ASOBIMASHO L'arte del gioco in Giappone

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あそびましょう

Lucia Zennaro

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Indice ABSTRACT ........................................................................................................................... 3 1. L’INDUSTRIA DEI GIOCHI ............................................................................................ 5 2. GIOCATTOLI E COLLEZIONISMO ............................................................................... 6

2.1. OMOCHA E KYŌDO GANGU ................................................................................. 6 2.2. LE BAMBOLE E I GIOCATTOLI FOLKLORISTICI .............................................. 9

3. GIOCATTOLI MECCANICI .......................................................................................... 13 3.1. I KARAKURI ........................................................................................................... 13 3.2. I ROBOT GIAPPONESI ........................................................................................... 15 3.3. I ROBOT-GIOCATTOLO ........................................................................................ 18 3.4. I VOCALOID ............................................................................................................ 19 3.5. I ROBOT NEI MANGA E NELLA REALTA’ ........................................................ 20

4. IL KARAOKE ................................................................................................................. 21 4.1. LE REGOLE DEL GIOCO ....................................................................................... 21 4.2. IL KARAOKE NEI PROGRAMMI TELEVISIVI ................................................... 23 4.3. IL DRAMA “DRAGON ZAKURA” E IL KARAOKE............................................ 23

5. LO TSUKURU ................................................................................................................. 24 5.1. IL SIGNIFICATO DI TSUKURU NEL TEMPO ..................................................... 24 5.2. LA FILOSOFIA DELLO TSUKURU IN MIYAZAKI ............................................ 24 5.3. “WE COULD ALL BECAME KAMI, BY THE WAY OF TSUKURU” ................ 25

6. I BENTŌ BAKO ............................................................................................................... 27 6.1. LA STORIA DEI BENTŌ ........................................................................................ 27 6.2. I BENTŌ BAKO COME ARTE, DIVERTIMENTO E SOCIALIZZAZIONE ....... 27 6.3. CONCLUSIONE ....................................................................................................... 29

BIBLIOGRAFIA.................................................................................................................. 31

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ABSTRACT

Il gioco, nelle sue più disparate forme, fa parte della vita quotidiana dei giapponesi di tutte

le età e, nell’analizzare questa attività, ho cercato di utilizzare delle fonti diverse dal solito,

ovvero manga, anime, film e drama, per studiare come, in questi contesti, il gioco venga

visto e vissuto dagli stessi giapponesi: a volte in modo fantastico, altre in modo serio, e

altre volte in modo ironico o addirittura grottesco.

Le regole del gioco danno limiti e obblighi non solo nello sport, come ci si aspetterebbe, ma

anche in attività che sembrano meno competitive, come il collezionismo di oggetti antichi

e/o moderni, diventando gare di buon gusto e di ricchezza. Il gioco è un modo per stupire e

affascinare gli altri con la tecnologia che trasforma i sogni in realtà e li fa diventare

immortali (karakuri e robot), oppure è un modo per trasformare la realtà in qualcosa di

fantasioso e artistico (tsukuru e i bentō). Nel gioco non ci sono solo regole, ma si richiede

anche un assiduo allenamento (es. karaoke). La mia tesi, che ho cercato di dimostrare, è

che il gioco viene vissuto come una vera e propria disciplina, una strada per perfezionarsi e

diventare bravi.

Sono partita dall’osservazione che molte discipline sportive, come il kendō 剣道, judō柔道,

insieme ad altre come lo shodō 書道 e chadō 茶道, hanno il kanji dō 道: strada, per

indicare che si tratta di discipline con un percorso (michi) da seguire con la guida del

maestro che è anche maestro di vita. Gli studenti lo rispettano e si fidano, come se fosse un

arbitro e un mentore. Si dedicano all’attività con massima dedizione: allenamenti continui

al ritmo dell’incitamento “ganbatte”がんばって, “impegnati”, “dai il massimo di te in

quello che fai”. Nella ricerca ho verificato che il gioco è qualcosa di serio: una parte

importante della vita per realizzare sè stessi e gli altri, perchè non è un’attività che viene

fatta da soli, ma spesso si fa in gruppo (karaoke e tsukuru) con il sostegno e l’appoggio dei

partecipanti. Riguarda anche le attività lavorative e scolastiche: essere un team affiatato e

portare a termine i propri incarichi è un obiettivo importante e diventa quasi un

divertimento se fatto con lo spirito collaborativo giusto. In alcuni uffici e scuole si fanno

gare, giochi e si canta tutti insieme l’inno dell’azienda/scuola.

Nel mio lavoro ho cercato di trovare cosa spinge le persone al gioco e alla competizione e

penso che sia appunto la realizzazione di sè: trovare un proprio posto all’interno della

società e avere valore per quello che si fa e si rappresenta. Questo lo si trova in attività

come l’hobby del collezionismo, che fa sentire il collezionista importante perchè importanti

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sono gli oggetti che possiede e che mostra al mondo con orgoglio. Oppure con i robot e i

suoi antenati karakuri, che sono esseri simili a noi e per questo ci fanno divertire e sentire

unici, come unici sono gli oggetti o i progetti che vengono realizzati in armonia con il

gruppo. Anche attività come il karaoke sono vere e proprie sfide dove si vuole primeggiare,

ma anche socializzare con gli altri, come si fa anche con la preparazione del bentō che

diventa mezzo di espressione di sè e dei propri interessi.

Questa e l’immagine di copertina sono di Tanaka Ikko

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1. L’INDUSTRIA DEI GIOCHI

L’esportazione di giocattoli ha inizio nel dopo guerra, con la ricostruzione politico-

economica del Paese. Negli anni ’50 diventò sempre più importante, fino agli anni ’80

quando ebbe una grande influenza culturale a livello mondiale. L’architettura e la moda,

fanno del Giappone una super potenza culturale, insieme ai manga, anime e videogames, la

cui cultura pop (cultura di massa), è oggi il nuovo volto del Giappone: nel 2002, nel sito di

ricerca internazionale Lycos, la parola più cercata fu appunto “Dragon ball”, nome del noto

anime e manga.

Immagine del manga “Dragon Ball”

Inoltre, il 60% delle serie animate trasmesse nel mondo nel 2004 erano giapponesi e la

somma delle esportazioni di anime, videogames etc., era di 230 miliardi di yen, 80 volte le

importazioni. I maggiori importatori di cultura giapponese sono Hong Kong e Stati Uniti.

Seguono poi Germania, Taiwan, Corea del sud e Regno Unito. Il Giappone importa anche

giocattoli da altri Paesi e la principale fonte è la Cina con 226.62 bilioni di yen di

importazioni (85.7%). Per la maggior parte si tratta di giochi ricreativi da tavolo, come il

biliardo e il mahjong. Segue l’importazione di giochi europei, tra cui i Lego e i prodotti

Mattel (Barbie e Hot Wheel).

Anime, manga e videogames alimentano una serie infinita di merchandise per consumatori

molto fedeli di tutte le età e nazionalità. I merchandise più conosciuti sono le action figures,

comprate da liceali e da adulti di solito maschi, insieme ai giochi radio comandati. Anche i

giochi per cellulare e i keitai shōsetsu携帯小説 (romanzi per cellulare) vendono bene tra i

teenagers che spendono molti soldi per avere cellulari alla moda e giochi famosi. Tra i

videogames c’è una crescita di generi originali tra cui giochi interattivi, role play games,

giochi di lotta e romantici. Il rapporto di anime e manga competitivi sul mercato è del 10%,

ma se si aggiunge la vendita del merchandise, il businnes si espande a 3-5 mila miliardi di

yen. Con i mercati correlati del design, architettura e turismo, il settore industriale è di oltre

100 mila miliardi di yen.

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Il mercato giapponese dell’intrattenimento è molto fiorente al suo interno, ma anche nel

resto del mondo, creando una visione immaginaria del Paese, fatta principalmente di

elementi pop e fantastici che incantano milioni di persone e fanno del Giappone uno dei

Paesi più amati dai teenagers.

Copertine dei manga “Naruto” e “Nana”, molto famosi in Giappone

2. GIOCATTOLI E COLLEZIONISMO

2.1. OMOCHA E KYŌDO GANGU

All’interno della cultura giapponese, ci sono varie tipologie e figure di giocattoli. Alcune

somigliano ai nostri esemplari, altri sono più originali e tipici.

Interrogandosi sulla definizione di omocha玩具, termine giapponese per “giocattolo”, si

nota che essa assume molteplici significati dai ruoli e valenze differenti. Il vocabolo è

composto dalla contrazione delle parole mote-asobu oppure mochi-asobu, che significano

“giocare con”. Guardando sul dizionario, si nota che la parola viene usata anche in

determinati contesti, come frase fatta: per esempio “おもちゃにする”, che significa

prendersi gioco di qualcuno. La parola omocha è entrata a far parte dell’uso comune verso

la fine del periodo Meiji e solo negli anni ’30 del ’900 è diventata parola di corretto uso

anche nella lingua scritta.

Un altro vocabolo utilizzato per dire giocattolo può essere il più antico, gangu, utilizzato

dagli specialisti e dai collezionisti del genere, più tecnico del generico omocha, e utilizzato

anche per differenziare i giocattoli giapponesi veri e propri, chiamati con questo termine, da

quelli invece, euro-americani, che entrarono nella cultura e nel mondo giapponese e

vennero inseriti all’interno dell’insieme degli omocha. Il termine omocha, alla fine, non

indica solo i giocattoli giapponesi in generale, ma anche quelli di altre nazionalità. Serve,

quindi, anche per tradurre le terminologie straniere della parola giocattolo.

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Facendo un confronto tra i giocattoli antichi e tradizionali e quelli più recenti e moderni si

nota che le differenze non sono tanto di natura temporale e sociale (cambiamenti che

avvengono naturalmente perchè la società, i desideri e l’immaginazione cambiano), ma

piuttosto di tipo concettuale. Se la parola omocha rappresenta tutti i tipi di giocattoli in

quanto tali, anche quelli stranieri, kyōdo gangu (giocattoli folkloristici) è un termine molto

più specifico ed è in contrasto con ciò che è straniero, quindi non giapponese in senso

stretto. Ecco la definizione data dal Kyōdo-gangu jiten (Dizionario dei giocattoli

folkloristici, 1971) realizzato da Saitō: “the essential features of the traditional Japanese

toys are the very opposite of those of the modern toy that has invaded the market

everywhere”1. Saitō sottolinea, così, la differenza, fra i giocattoli giapponesi che fanno

parte della tradizione, fatti di materiali semplici e frugali come il legno e la carta, e quelli

euro-americani che sono invece fatti di plastica e di celluloide. Afferma addirittura, che

sono “the opposite”, gli opposti, quindi totalmente estranei alla cultura e alla mentalità

classica giapponese. C’è, in questo, un forte senso di lontananza e forse anche di rifiuto, di

quello che è “occidentale”, e una distinzione tra quello che è moderno (euro-americano) e

quello che è tradizionale (giapponese). Tuttavia, bisogna dire che questa distinzione non

rimarrà a lungo, e che presto molti giocattoli giapponesi si avvicineranno, per uso di

materiali, temi etc., a quelli euro-americani, come per esempio le action figure che

ritraggono personaggi di anime, manga e videogames giapponesi, ma sono fatti di plastica e

sono spesso articoli da collezionare.

Esempio di collezionismo di Action Figure

Abbiamo tre tipi di giocattoli che riguardano l’unione di questi due mondi: i cosiddetti

“japanese modern toys”, oggetti che sono peculiari della moderna cultura giapponese che

fanno parte, appunto, di manga, anime, libri etc. giapponesi (Transformer, Gachaman etc...),

1 Saitō,1971,48

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ma che utilizzano materiali non tradizionali ma più moderni; i “western traditional toys”,

oggetti venduti in Giappone e che sono entrati a far parte dell’immaginario comune anche

in questo Paese (cfr. le numerose rappresentazioni di Pierrot) pur non avendo niente a che

fare con la cultura giapponese. Infine, oggetti disegnati e prodotti in Giappone, ma destinati

a mercati esteri che non hanno “niente di giapponese” se non il fatto di essere made in

Japan.

Tornando alla definizione di giocattoli, vi è una ulteriore differenza perchè se, da una parte,

abbiamo i giocattoli più tradizionali, come articoli da collezione e di interesse anche storico

artistico(se non addirittura scaramantico-religioso), dall’altra, abbiamo invece giocattoli nel

vero senso della parola, ovvero oggetti con i quali si può giocare e che sono alla portata dei

bambini. La differenza sostanziale è proprio questa: ci sono giocattoli utilizzati dai bambini

durante i momenti ricreativi, e altri che non sono finalizzati a questo scopo, anche se hanno

le fattezze di un oggetto per bambini (i giocattoli folkloristici appunto).

A sinistra, bambole con vestiti dalle fattezze europee e giapponesi, a destra, esempi di giocattoli giapponesi e non

Per quanto riguarda i giocattoli folkloristici, Saitō Ryosuke dà queste definizioni: sono fatti

di materiali semplici, poco costosi, come il legno, l’argilla, la carta, il tessuto e il bamboo;

hanno, inoltre, caratteristiche regionali e folkloristiche diverse e vengono spesso venduti

nei mercati che si trovano all’interno dell’area di un tempio e hanno, quindi, poteri speciali

e vengono utilizzati come porta fortuna (engimono 縁起物). Sono legati, inoltre, a culti

locali e rituali domestici e la loro origine, di solito, risale al periodo Edo e Meiji.

Facciamo un esempio: parlando di bambole, esse avranno nomi diversi a seconda del loro

utilizzo, ovvero: se si parla di bambole di uso ludico allora le chiameremo ningyō人形, ma

se parliamo di bambole intese come giocattoli folkloristici, allora dovremo chiamarle hina

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ひな scritto anche 雛, che sono bambole utilizzate durante la cosiddetta festa delle bambole,

Hina matsuri del 3 marzo, quindi ad uso prettamente cerimoniale. Queste bambole, non

comuni ma dalle fattezze molto curate, che possono essere anche piuttosto costose e che

non si utilizzano per giocare, vengono poste su un speciale altare a rappresentare la

famiglia imperiale. Quindi, hanno un significato religioso e di venerazione. Basti pensare al

celebre film di Akira Kurozawa, Yume (Sogni), nell’episodio in cui vediamo proprio la

celebrazione di questa festa. Kurozawa vuole mettere in luce non solo il carattere religioso

di queste figure, ma anche quello più tradizionale e anche filo-naturalistico, dato che queste

figure si animano agli occhi del giovane protagonista per lamentare la distruzione del

boschetto di sakura e quindi la perdita della vera essenza della festa e ballano per l’ultima

volta agli occhi del protagonista.

A sinistra, esempio della disposizione delle bambole hina; a destra come la festa viene trasformata secondo i canoni “pop”giapponesi contemporanei

2.2. LE BAMBOLE E I GIOCATTOLI FOLKLORISTICI

Parlando di bambole, esse fanno parte di gran lunga dell’immaginario giapponese e sono

presenti in molti anime e manga famosi, tanto da diventare delle vere e proprie star in

Giappone. In “Rozen Maiden”, manga e anime delle autrici PEACH-PIT, abbiamo delle

bambole parlanti, in questo caso di fattura europea (in particolare francese) che prendono

vita e si scontrano tra loro per ottenere le “rose mistiche” delle compagne, ovvero la loro

energia magica e diventare “Alice”, la donna perfetta per il loro costruttore. Ho voluto

citare questo esempio perchè, in questo caso, le bambole sono viste come qualcosa di

“esoticamente occidentale” con le fattezze, gli abiti e lo stile di vita ottocentesco di origine

aristocratica francese. Però sono in un contesto del tutto giapponese: loro amano i

programmi televisivi e mangiano i cibi tradizionali giapponesi. Il loro nuovo padrone

attuale è un ragazzino (e già qui si esce dallo stereotipo femminile che vuole solo le

bambine giocare con le bambole!) hikikomori, quindi, problematico e stereotipo

dell’adolescente giapponese odierno. In questo caso, le bambole sono le vere protagoniste e

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non vengono utilizzate dal ragazzo per giocarci e divertirsi (come farebbe una bambina),

ma è lui che deve aiutare loro a vincere (rientrando forse, in questo modo, nello stereotipo

dell’eroe maschile) e a volte sembra quasi che sia lui l’oggetto del divertimento per loro e

non il contrario. Attraverso le bambole ed i loro poteri magici, poi, il ragazzino “guarirà”

dal suo “autismo” adolescenziale. Mi sembra, quindi, di poter dire che questi personaggi

riassumono in sè stessi la valenza del giocattolo ludico e quella del giocattolo folkloristico

dai poteri benefici.

Le bambole di “Rozen Maiden”

Tornando, quindi, ai giocattoli folkloristici, possiamo dire che il loro scopo non è

assolutamente ludico e sono spesso rappresentazioni miniaturizzate di figure umane oppure

di animali, oggetti etc.. La maggior parte di queste figure è di fattezza antropomorfa e

rappresenta personaggi leggendari, storici, mitologici, sacri o divini. Esempi significativi

sono le immagini di Tenjin (che rappresenta il famoso studioso di periodo Heian Sugawara

no Michizane), importanti lottatori di sumō oppure personaggi leggendari come Daruma.

Vi è poi la rappresentazione di figure di animali mitologici come i kappa e i tengu, presenti

spesso anche nelle opere di narrativa. Alcune di queste figure sono oggetti con qualità

portafortuna e scaramantica. Per esempio, lo stesso Daruma è una figura venduta in molti

mercati all’interno delle aree dei templi, ed è rappresentata con fattezze tondeggianti, che lo

fanno oscillare, spesso di colore rosso, priva delle pupille. È uso comune comprarne uno se

si ha un desiderio o un’aspettativa da realizzare, colorare una sola pupilla e aspettare che il

desiderio venga realizzato prima di colorarne la seconda.

Daruma

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Questa figura rappresenta il monaco Bodhidharma che fu fondatore e primo patriarca Zen

ed è una delle immagini più famose dell’iconografia giapponese, tanto che ci sono davvero

notevolissime varianti di questa immagine, addirittura nella versione Hello Kitty e

Doraemon e vengono anche realizzati dei bentō bako a forma di Daruma.

Hello Kitty-Daruma e Daruma Bentō

A proposito di questa figura, vorrei citare un film giapponese intitolato “Kami-sama no

iutoori” 神さまの言うとおり film bee movie dove figure tradizionali, come appunto

Daruma, ma anche il manekineko, prendono vita e diventano dei mostri malvagi che fanno

giochi sadici con gli sventurati giapponesi. Già nel trailer si vede come in questo caso il

gioco diventi qualcosa di pericoloso e addirittura sadico e come delle figure, che di solito

vengono considerate sacre e portafortuna, qui diventino qualcosa di diabolico, dando corpo

alle fantasie più inquietanti dell’immaginario giapponese, sempre però con un pizzico di

comico e di parodia 2. Si nota, quindi, come molte volte elementi tradizionali giapponesi

vengano senza problemi stravolti, sia nei film, sia negli elementi di design, per creare un

particolare effetto di divertimento e suggestione che piace molto ai giapponesi.

Altre versioni moderne di Daruma

Altro esempio importante di carattere folkloristico religioso è Tenjin, realizzato con

materiali fragili come la terracotta e la carta, concepito come divinità tutelare per i bambini

che stanno imparando a scrivere, oppure in generale come protettore degli studenti. Oppure

la figurina di una rana, kaeru 蛙 che viene gettata in mare come amuleto per un sicuro

2 https://www.facebook.com/video.php?v=715469598522295&set=vb.132272436842017&type=2&theater

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ritorno a casa da un viaggio per mare, dato che la parola rana è omofona al verbo ritornare a

casa kaeru 帰る. Sono, quindi, oggetti di natura più scaramantica e portafortuna.

Vi sono, poi, oggetti di carattere più profano, come gli hagoita 羽子板, una specie di

“racchetta” sulla quale sono attaccate delle figure dai colori brillanti, come bellezze

femminili, personaggi dello spettacolo etc. e che vengono venduti nei mercati che si

tengono il primo dell’anno e servono come ornamento oppure come regalo per il nuovo

anno, quindi il loro scopo è di solito prettamente decorativo.

Esempio di hagoita e bancarella con esposizione

Alcuni di questi oggetti diventano anche dei veri e propri souvenir, perchè caratteristici di

un luogo, di un templio specifico, e diventano, così, doni da fare ad amici e parenti al

ritorno dal viaggio. Sono i cosiddetti miyageみやげ. Una cosa che trovo interessante è che

questi giocattoli di uso non ludico, diventano dei veri e propri piccoli capolavori, lavorati

con maestria e ricercatezza e quindi sono davvero degli oggetti da collezione e questo è

proprio l’elemento che io ritengo interessante. Il collezionismo di questi oggetti, diventa,

paradossalmente, esso stesso un gioco, non solo perchè dà piacere e senso di soddisfazione

al collezionista che gira il Paese in cerca di rarità da aggiungere alla propria collezione,

esattamente come fa un bambino con le figurine, ma anche perchè ha delle precise regole

da rispettare: ci sono determinati canoni per capire se l’oggetto in questione è originale

oppure un falso e quindi questa attività diventa davvero importante non solo dal punto di

vista economico, ma anche artistico. C’è, infatti, di base una determinata concezione del

bello e del senso artistico e spesso i collezionisti decidono di dedicarsi a questa attività

perchè mossi da un senso di nostalgia per il passato e per gli oggetti di un tempo, oppure,

nel caso degli articoli moderni, perchè amano un determinato genere di manga o anime. È

un’attività elitaria perchè richiede non solo una notevole quantità di denaro per l’acquisto di

questi oggetti, ma anche determinate conoscenze, sia tecnico-artistiche sugli oggetti da

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collezione, sia personali di negozi e individui che possono avere lo stesso determinato

interesse. A tal proposito, nel 1880 Shimizu Seifū fondò, con pochi amici d’infanzia, il

“Takeuma Kai”竹馬会, un club dedicato ai divertimenti dei giochi d’infanzia. I partecipanti

si trovavano periodicamente in un ristorante ed erano tenuti ad indossare vestiti da bambini,

riscoprire i vecchi giocattoli di un tempo e giocare con essi con innocenza infantile. Lo

stesso Seifū iniziò nel 1891 a pubblicare una serie di libri intitolati “Unai no tomo”(gli

amici dei bambini) dove illustrava il suo personale catalogo comprendente più di 440

giocattoli provenienti da varie parti del Giappone. Questo lavoro divenne una vera e propria

bibbia per i collezionisti di giocattoli.

Questo tipo di attività diventa così importante che vengono tenute addirittura delle mostre

delle collezioni più belle e particolari in molte zone del Giappone, come per esempio al

parco di Ueno, oppure a Ōsaka. Nel 1909 il centro commerciale Mitsukoshi iniziò ad

organizzare delle esibizioni di giocattoli, come parte della sua strategia commerciale per

attirare clienti e farsi pubblicità.

Esempio di oggetti da collezione

3. GIOCATTOLI MECCANICI

3.1. I KARAKURI

Un altro giocattolo molto collezionato sono i cosiddetti karakuri. Sono delle bambole

meccaniche create nel periodo Tokugawa, in grado di muoversi da sole e compiere

determinate azioni predefinite. Durante il periodo Tokugawa la tecnologia e la meccanica

furono utilizzate e largamente investite soprattutto in ambito ludico e gli artigiani che

costruivano questi congegni meccanici venivano visti come dei maghi dai poteri particolari

e, dato che lavoravano nel mondo dello spettacolo, venivano guardati con sospetto. A causa

della loro esclusione sociale, non ci fu una fiorente industria meccanica, ma solo rari casi di

artigiani che si dedicavano a queste opere. Gli artigiani utilizzavano soprattutto il legno per

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le loro opere perchè c’era poca disponibilità di materiali minerali, quindi era un’impresa

davvero difficile costruire i piccoli ingranaggi per far funzionare queste bambole con il solo

ausilio del legno. L’influsso cinese è stato fondamentale per lo sviluppo della tecnologia

giapponese. Fu tramite la Cina che giunse in Giappone il primo automa: un carro sul quale

c’era un uomo con la mano tesa indicante il sud. Molto probabilmente si trattava di una

sorta di bussola, che univa l’utile al dilettevole. Con l’arrivo in Giappone, durante il XVI

secolo, di oggetti come gli orologi europei, gli artigiani giapponesi furono ispirati a creare

questo tipo di oggetti meccanici. Si dice che Tsuda Sukezaemon fu il primo giapponese a

costruire un orologio ispirato al meccanismo di quelli europei.

Tornando ai karakuri, essi vennero utilizzati largamente all’interno delle rappresentazioni

teatrali e affascinavano gli spettatori che li vedevano muoversi da soli sul palco. Famose

furono le rappresentazioni di jōruri realizzate dalla famiglia Takeda che nel 1741 organizzò

uno spettacolo grandioso che ebbe uno strepitoso successo e comprendeva una serie di

bambole karakuri dalle diverse funzioni e un palco oscillante (seri). Le persone erano

affascinate dai movimenti goffi e strani di queste figure e vedevano in esse l’immagine dei

bambini che sono incerti nel camminare e sembrano instabili, ma che suscitano, per questo

motivo, benevolenza. Si vedeva in questi movimenti un pò naif, l’essenza del movimento e

rendevano il corpo umano un oggetto di divertimento.

All’inizio del XIX secolo, la danza kabuki hangeodori diventò molto popolare e il corpo

stesso dell’attore iniziò ad essere usato come se fosse un apparato meccanico, tanto che

veniva richiesto all’attore di compiere movimenti acrobatici davvero complessi e il cambio

repentino di costumi e scenografie che ruotavano. Insomma, il corpo dell’acrobata veniva

utilizzato come se fosse il corpo di una bambola karakuri, in una perfetta fusione tra uomo

e macchina, ningen e ningyō. Uomo e macchina diventavano la stessa cosa e il divertimento

stava proprio nel confondere le due figure, nel non riuscire più a distinguerle.

Un genere affascinante delle bambole karakuri sono le cosiddette chahakobi o chakumi

ningyō, le bambole che portavano il tè, che vengono illustrate nel libro “Karakurizui” del

1796. Il meccanismo consiste in questo: la bambola tiene in mano un piattino e, se viene

appoggiato su esso la tazza da tè, la bambola inizia a muoversi verso una direzione stabilita.

Si ferma quando qualcuno toglie la tazza da tè per berla e riporla al suo posto e poi riprende,

tornando indietro.

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Chahakobi ningyō

Possiamo immaginare quale stupore potessero provare i commensali di qualche signore

vedendo questa scena così particolare e come questa macchina riuscisse a contribuire al

piacere dei banchetti dei nobili giapponesi.

3.2. I ROBOT GIAPPONESI

Anche adesso ci sono delle macchine, ovviamente molto più evolute, in grado di fare queste

azioni e molto altro ancora: i robot. In un certo senso possiamo dire che i karakuri sono i

prototipi dei robot moderni e questo dimostra come i giapponesi, fin dal passato, siano

riusciti a sfruttare le macchine in modo efficiente, perchè le considerano una sorta di

estensione o una copia della figura umana e non qualcosa che può minacciare l’uomo, come

invece tendiamo a vedere noi i robot. In Giappone i robot non intimidiscono l’uomo:

rimangono una copia affascinante e piacevole dell’essere umano, e sono considerati un pò

come degli animali domestici o delle figure strane, ma curiose, a volte quasi infantili e

innocenti. Le figure robotiche moderne in Giappone hanno lati positivi e sono ben accette

sia nella realtà, sia negli anime e manga, basti pensare al gatto blu Doraemon oppure a

figure come Ufo Robot che dimostrano l’attitudine benevola giapponese nei riguardi delle

figure meccaniche.

Doraemon e Ufo Robot goldrake

Molte volte questi robot diventano dei veri supereroi e una cosa che ritengo interessante è

ciò che li differenzia dai supereroi euro-americani. I nostri supereroi hanno di certo dei

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poteri fuori dal comune e, nel momento del bisogno, da esseri umani qualsiasi cambiano le

loro vesti, mettono la maschera e si trasformano in eroi misteriosi, ma rimangono sempre

degli esseri umani e le loro trasformazioni sono limitate solo ai vestiti e ai poteri. I

supereroi giapponesi sono, invece, molte volte dei robot, spesso venuti da altri pianeti e

hanno la capacità di cambiare in continuazione aspetto spostando vari pezzi meccanici per

creare nuovi aspetti e nuovi poteri. Sono in continua evoluzione e super accessoriati. È vero,

loro sono robot e rimarranno sempre robot, ma spesso sono dotati di sentimenti umani e

combattono per la Terra, quindi è facile capire come questi personaggi siano molto amati in

Giappone e anche nel resto del mondo.

Le bambole, così come i robot, appagano il nostro bisogno di forza e certezza, ma

soprattutto, appagano il nostro desiderio di immortalità. Le bambole e i robot sono creati in

tutto il mondo alla ricerca di sicurezza e appagamento, affinchè queste figure possano

rispondere degnamente ai nostri bisogni spirituali, scaramantici, estetici e ludici. Però c’è

una differenza tra le bambole e i robot, in questo caso i karakuri. Le bambole sono

immobili, è l’uomo o il bambino che, giocando, le muove, che simula le loro azioni, mentre

i robot hanno, in un certo senso, una vita propria, perchè si muovono autonomamente e

questo permette loro di attuare una sorta di metamorfosi da semplici bambole, a qualcosa

che supera il confine tra esseri viventi e non, riuscendo ad essere quasi umano. La cosa che

non permette loro di diventare umani non è solo il sentimento come molti credono, ma

anche la naturalezza e la spontaneità. I robot sono macchine quindi obbidiscono a

determinati comandi. È vero che alcuni sono altamente sofisticati e quindi risultano più

realistici, ma non possono compiere gesti o dire parole al di fuori di quelle selezionate per

loro. Inoltre, sono creati per scopi precisi, che possono essere economici, industriali, ludici

etc., ma comunque hanno una determinata funzione e, per ora, non possono uscire più di

tanto da essa. Questo è il limite che separa l’uomo dalla macchina e forse è anche un bene

perchè fa sì che ognuno, l’uomo e il robot, abbia compiti e funzioni diverse. Inoltre, essere

goffo e un pò meccanico, è una caratteristica che piace molto ai giapponesi perchè vedono

in queste figure qualcosa da accudire, da aiutare a crescere ed evolversi, giocando con lui,

come se fosse un bambino.

Nella nostra cultura euro-americana, i robot rappresentano la massima evoluzione

dell’automazione. I robot sono delle figure tecnologiche che spesso hanno la forma di un

essere umano, oppure di un animale conosciuto, di solito domestico come un cane o un

gatto. Ma perchè vengono prodotti dei robot con caratteristiche simili? Una delle ipotesi è

che secondo la tradizione religiosa shintoista, in ogni cosa c’è vita e anima, quindi, si crede

all’esistenza di una vita spirituale non solo negli esseri umani e negli animali, ma anche

negli oggetti e negli elementi naturali. I robot non sono da meno. Questo spiega perchè, in

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alcuni contesti aziendali, è successo che i dipendenti di un’azienda produttrice di tecnologia

robotica portassero al tempio a pregare per il successo dell’azienda anche i propri robot, e

che la presenza di questi “personaggi” non venisse considerata ostile o particolarmente

fuori luogo.

I giapponesi, di solito non pensano che la tecnologia robotica possa nuocere all’uomo,

come invece si vede in molti film americani; anzi, pensano che queste figure possano essere

particolarmente d’aiuto anche nella vita di tutti i giorni, oppure per le persone inferme,

tanto che esistono non solo robot ad uso ludico e sociale, ma anche assistenziale, come i

robot-infermiera, oppure i robot-commessi nei negozi. Inoltre, i robot fanno spesso lavori

difficili per gli uomini che richiedono una grande forza fisica oppure la sopportazione di

alte o basse temperature, magari senza ossigeno, tutti luoghi che escludono la presenza

umana. Pur con tutti questi elementi strumentali e migliorativi della vita, nella nostra

concezione, spesso i robot vengono visti come elementi negativi, talvolta in concorrenza

con l’uomo, per effetto dell’eccessiva meccanizzazione del lavoro, non considerando però

che il loro utilizzo toglie all’uomo la parte più pesante e pericolosa del suo lavoro.

Uno dei robot giapponesi più importanti e famosi è Wakamaru, un robot alto un metro e dal

peso di 30 kili, creato dalla Mitsubishi, con tanto di compleanno festeggiato il 4 febbraio,

data del suo esordio al pubblico. È un piccolo robot dal colore giallo (scelta fatta perchè è

un colore in grado di attirare l’attenzione) dagli occhi tondi che riesce a spostare e ad

indirizzare verso la persona con cui sta parlando. Sa stringere la mano al primo incontro e

tenere una normale conversazione, tanto che viene spesso utilizzato presso fiere ed eventi,

perchè è in grado di accompagnare i clienti e fare presentazioni presso negozi ed

esposizioni. Proprio grazie al suo carattere socievole e le sue espressioni amichevoli, è stato

utilizzato anche per tenere compagnia ai bambini e giocare con loro. È stato creato per

permettere la comunicazione con gli esseri umani ed è ideato per essere in grado di vivere

autonomamente senza bisogno di assistenza umana, dato che possiede un proprio ciclo

vitale ed è in grado di ricaricarsi autonomamente.

Wakamaru nei panni di cameriere (a sinistra) e di baby sitter (a destra)

18

3.3. I ROBOT-GIOCATTOLO

I robot dalla forma umana sono considerati rassicuranti proprio per il loro aspetto simile al

nostro, e sembra che questo favorisca una maggiore vicinanza e fiducia nei loro confronti.

La stessa cosa per quanto riguarda i robot-animali, presenti spesso in molte case giapponesi

per molteplici motivi. Due di questi sono i seguenti: molte volte i giapponesi lavorano fino

a tardi e non potrebbero permettersi di portare a passeggio il cane e accudirlo. Il secondo

motivo è che in molte abitazioni il possesso di animali non è permesso e le case sono molto

piccole, quindi se si cerca la compagnia e l’affetto di un animale lo si può trovare in un

animale-robot. Negli anni novanta è esplosa la passione per i tamagotchi たまごっち creati

da Aki Maita. In questo caso non erano dei veri e propri animali-robot, ma degli animali

virtuali (il gioco dice che sono degli alieni scesi sulla terra) che si potevano accudire

toccando semplici bottoni.

Tamagotchi

Questo tipo di gioco è diventano una vera e propria mania, perchè se non accuditi, questi

animali virtuali “morivano”. Proprio per questo motivo, la gente cercava di non dimenticare

mai di accudire il proprio “animale domestico”e alla fine perse successo perchè da gioco, si

stava trasformando in una sorta di malattia ossessiva. Ma forse il motivo principale della

perdita di successo è che non è un gioco che permette un vero e proprio contatto “fisico”

con il proprio cucciolo. Successivamente sono usciti altri giochi con animali virtuali di

questo tipo per le consolle della playstation o la nintendo ds, ma anche in questo caso,

anche se c’era la possibilità di “accarezzare” virtualmente il proprio cucciolo mediante

l’utilizzo del pennino, un vero e proprio contatto fisico non c’era comunque. I robot-

animali di adesso, alcuni muniti anche di morbido pelo, sono migliori perchè permettono al

padrone di accarezzarli, coccolarli, baciarli etc.. Inoltre, sono animali “in 3D”, non più in

uno schermo, quindi si possono avvicinare al padrone e sono certamente più realistici. Per

gli esseri umani (e anche per gli animali veri) il contatto fisico è un elemento importante

per consolidare l’affetto e creare un feeling tra i due. Se questo manca, l’effetto non è

realistico; ecco perchè gli animali virtuali interattivi sono ormai superati e si preferisce la

presenza di quelli robot. Un altro elemento importante è il fatto che i robot non muoiono

19

come gli esseri viventi. Possono vivere molto a lungo se tenuti bene e aggiustati quando si

rompono. Anche questo è un elemento che affascina gli esseri umani, perchè rappresenta la

creazione di esseri immortali.

3.4. I VOCALOID

L’aspirazione all’immortalità riguarda anche figure ancora più curiose, ovvero le cosiddette

cantanti vocaloid. Sono degli esseri virtuali creati al computer, spesso dall’aspetto

femminile e sensuale che tengono dei veri e propri concerti con milioni di spettatori

giapponesi che vengono a vederle mentre si esibiscono. Sul palco non c’è nulla, tranne un

particolare schermo che permette ai fan di vedere proiettata la figura della loro beniamina

con speciali effetti 3D. La voce non esiste, il corpo non esiste, tutto è creato al computer

eppure tutti le amano.

Immagini di un concerto della vocaloid Miku

Alla domanda sul perchè di tutta questa passione per figure virtuali, molti fan rispondono

“perchè vivranno per sempre e non invecchieranno e moriranno mai” oppure “perchè non

mi potranno mai tradire” e “perchè non faranno mai scandali come fanno le star reali”. Da

questo si possono trarre molte conclusioni. La prima è il fatto che queste persone vedono le

figure virtuali a volte come delle amanti, con cui hanno una “relazione” spirituale d’amore

e il fatto che questo sentimento sia a senso unico è solo un bene, perchè così non

soffriranno mai per amore perchè non verranno mai traditi. Inoltre non possono compiere

errori e quindi nessuno le biasimerà mai. L’altra cosa che tengo a sottolineare è l’idea

dell’immortalità della bellezza. In un mondo in cui vengono dati dei modelli estetici dove

solo la giovinezza conta, dove tutti i difetti del corpo devono sparire, queste figure sono

quelle più rappresentative. Non solo non moriranno mai, ma non cambieranno mai il loro

aspetto e questo è il sogno di milioni di persone. Il confine tra esseri umani e non, diventa

sempre più labile perchè queste figure toccano parti del nostro cuore sempre più fragili,

dove noi siamo deboli perchè esse incarnano ciò che noi vorremmo essere e i nostri sogni

più segreti, quindi ci toccano nel vivo della nostra fantasia più inconscia: l’idea

dell’immortalità, della perfezione fisica e dell’eterna bellezza.

20

3.5. I ROBOT NEI MANGA E NELLA REALTA’

I robot hanno affascinato le persone anche nel mondo surreale della fantascienza, basti

ricordare il noto manga “Chobits” delle CLAMP dove viene presentato un eventuale mondo

futuro dove ognuno ha con sè uno o più robot da compagnia. In questo caso i robot non

servono solo ad aiutare i proprio padroni nelle faccende domestiche, ricerche in internet etc.,

ma anche a scopi ben più ludici, soprattutto tra gli uomini che li utilizzano come giocattoli

sessuali più o meno espliciti. In questo caso, i robot hanno un aspetto molto gradevole, del

tutto uguali agli essere umani veri e propri, tanto che in alcuni casi si arriva addirittura ad

innamorarsi di essi e dimenticare l’amore con un proprio simile in favore di uno “robotico”,

e, in alcuni casi, sono molto piccoli, di dimensioni quasi tascabili per essere il più

facilmente possibile trasportabili. I robot di Chobits si basano sull’estetica del kawaiiかわ

いい, del carino, perchè sono esseri graziosi, che devono suscitare tenerezza e divertire i

propri padroni, non solo in virtù del loro aspetto fisico, ma anche cantando e ballando per

loro. Spesso si comportano come delle bambine innocenti, proprio per attirare l’affetto delle

persone.

I robot protagonisti di “Chobits”

Assomigliano un pò alle maid, le cameriere che si trovano in alcuni negozi o sale da tè,

vestite da cameriere di foggia vittoriana o francese che intrattengono i clienti chiamandoli

goshujinsama御主人様 (padrone). In questo caso, il divertimento sta nella finzione, in una

sorta di gioco delle parti dove il cliente (uomo) si sente soddisfatto e appagato dal modo in

cui viene trattato. Il cliente si accerchia di queste ragazze, parla con loro, scherza e arriva

addirittura a giocare, fingendo di essere un principe e loro delle principesse, con tanto di

scettro e corona. In altri casi, ci sono delle sale gioco dove sono sempre presenti queste

figure, che elogiano il “padrone” nel momento della vincita, incitandolo a continuare il

gioco. Questo tipo di attività è certamente molto redditizia, perchè punta proprio sulla

bellezza e l’attrazione sessuale che i clienti possono provare per queste donne. Tuttavia, è

severamente vietato avere rapporti sessuali o molestare le ragazze, perchè esse sono come

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degli sponsor pubblicitari viventi. Bisogna comunque chiedersi se questo tipo di eccentrico

business possa essere considerato rispettoso della personalità femminile e se queste donne,

che sono vere e in carne e ossa, non vengano alla fine confuse e trattate come oggetti o

robot come quelli di Chobits e Wakamaru.

Un Maid Cafè

4. IL KARAOKE

4.1. LE REGOLE DEL GIOCO

Il gioco del karaoke è una pratica molto in voga in Giappone e viene fatta non solo dai più

giovani, ma anche da moltissimi adulti, tanto che, in alcuni casi, diventa una tipica attività

da fare dopo il lavoro in compagnia dei propri colleghi e capo ufficio. Tuttavia, bisogna

dire che in Giappone questo tipo di attività ricreativa non è solo un semplice gioco, ma

assume un significato ben più ampio. Per prima cosa, come tutti i giochi che si rispettino,

ha delle regole che si possono trovare in riviste specializzate, in alcuni programmi televisivi

etc.. Queste regole spiegano come comportarsi, cosa cantare, quando farlo e molte altre

cose. In alcuni casi, ci sono addirittura regole per uomini e altre per donne e dipendono

anche dal tipo di situazione e persone con cui ci si sta divertendo. Analizziamo, innanzitutto,

le regole comportamentali e del linguaggio del corpo durante la performance. Per prima

cosa, viene specificata la corretta posizione del corpo, soprattutto dei piedi, e come tenere il

microfono. Per quanto riguarda gli uomini, devono tenere i piedi leggermente divaricati,

spalle dritte e tenere il microfono con una mano, tenendo con l’altra la corda del microfono,

mentre per le donne è richiesta una postura con i piedi in pose più eleganti, tenere il

microfono con una mano e l’altra dietro alla schiena e non è permesso ammiccare

esageratamente durante il canto. Cantare addossati contro un muro, muoversi in

continuazione, tenere le mani in tasca oppure tenere il microfono con due mani sono cose

ritenute quasi dei veri e propri tabù nel mondo del karaoke. Inoltre, a seconda del tipo di

spettatori, dipende non solo la scelta della canzone, ma anche il tipo di abbigliamento. Per

esempio, se una donna giovane deve cantare una canzone in compagnia dei propri colleghi,

non dovrà scegliere canzoni “sexy” o volgari ed è caldamente indicato che scelga una

canzone molto popolare, in modo tale che possa essere conosciuta dai più, preferibilmente

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amata dal proprio superiore. Infine, per non creare disagio e offendere le colleghe più

anziane, è necessario non indossare vestiti vistosi o dai colori esageratamente sgargianti,

come il rosso, per esempio. Per quanto riguarda le canzoni, molte riviste offrono

lunghissime liste dei titoli più in voga, distinti in base alle varie occasioni. Per esempio, le

canzone del gruppo Dreams come true sono caldamente raccomandate durante le

performance con i colleghi di lavoro, perchè sono largamente conosciute tra gli uomini di

mezza età che sono la maggioranza in molti posti di lavoro. In queste interminabili liste di

canzoni, spesso ci sono anche descrizioni accurate riguardanti il testo, il tipo di espressione

che bisogna assumere mentre si canta, come muoversi e come impostare la voce per essere

realistici e “spontanei”. Insomma, all’interno di questi consigli dati dalle riviste non solo si

parla di musica, ma anche di coreografia e atteggiamento da seguire.

Come si potrà facilmente capire, questo tipo di attività non è solo un semplice hobby, ma va

oltre. Soprattutto la festa-karaoke tra colleghi, non rappresenta un semplice divertimento

come altri, ma è un modo per affinare l’integrazione, per riconoscersi parte di un gruppo,

mettersi alla prova e mostrare di essere in grado di comportarsi, seguendo l’etichetta, anche

in queste circostanze che sembrano a prima vista informali, ma che invece non lo sono.

Anche in questo contesto, la gerarchia, lo status sociale di ogni individuo è fondamentale,

tanto che ci sono determinati momenti per cantare e altri per lasciar cantare i propri

superiori e così via. Ci sono anche delle regole forse un pò più scontate, come ascoltare

senza interrompere le canzoni degli altri per non risultare troppo sfacciati o egoisti, non

offendere, ma elogiare il modo di cantare dei propri colleghi specialmente se sono i

superiori o, in ambito privato, i propri mariti o mogli.

Mi sono chiesta come mai il karaoke, che dovrebbe essere solo divertimento, abbia tutte

queste regole molto precise ed esistano addirittura riviste che le elencano in maniera così

pedissequa. Probabilmente perchè in Giappone molte attività, a cominciare da quelle

sportive, passano dall’essere dei semplici hobby, a delle attività nelle quali i giocatori

hanno un atteggiamento serio e credono davvero in quello che stanno facendo. Questo

riguarda anche il karaoke. È, insomma, una di quelle descipline dove per diventare bravi,

bisogna fare un vero e proprio training, con tanto di maestro (sensei 先生) ed esercizio

praticamente quotidiano. Esistono, infatti, delle scuole che organizzano dei corsi di karaoke

a livello “professionale”. Durante la lezione il maestro sceglie una canzone: se è in inglese,

spiega il significato delle parole e quindi il tipo di intonazione e di atteggiamento da

assumere durante la performance. Dà una descrizione dettagliata della corretta pronuncia

delle parole, di come intercalarle in base al ritmo, e scrive tutte queste annotazioni sui

margini del foglio della canzone, in modo tale che gli studenti, quando arrivano a cantare

23

una determinata strofa, si ricordino che tipo di interpretazione devono dare. Un pò come per

l’opera lirica dove ci sono le indicazioni interpretative di una determinata aria. Durante la

lezione, la stessa canzone viene cantata più e più volte, addirittura anche dieci volte, per

prendere dimestichezza con il ritmo e con le indicazioni date. È proprio come si fa con gli

esercizi di arti marziali oppure con il shodō 書道 (arte della calligrafia), dove lo stesso

gesto o movimento viene ripetuto quasi all’infinito affinchè diventi spontaneo. Tutto questo

viene vissuto con serietà ed attenzione dagli studenti, con lo spirito di chi si sta preparando

per una gara di canto televisiva.

4.2. IL KARAOKE NEI PROGRAMMI TELEVISIVI

Di gare televisive in Giappone ne vengono fatte moltissime. Una delle più popolari è la

“Nodo jiman”, un contest settimanale nato poco dopo la fine della guerra. Questo tipo di

contest consiste in attività sia serie, sia ludiche, alternando, all’interno del programma,

momenti di divertimento a momenti più seri dove i concorrenti imparano nuove tecniche e

stili. In un programma chiamato “Karaoke corner”, per esempio, vengono date istruzioni su

come cantare canzoni in inglese ad alcuni cantanti amatoriali che partecipano al programma,

facendoli accompagnare e aiutare, nel corso della settimana, da professionisti ed esperti,

che spiegano il significato delle parole inglesi, e da coreografi. In questo modo, il cantante

amatoriale imparerà a gestire i vari aspetti della canzone e capirà che, dietro a un semplice

testo, c’è molto di più.

Infine, per quanto riguarda le indicazioni date dalle riviste, vorrei precisare che non sempre

vengono lette in chiave seria, diventando spesso anche un modo per ridere di sè stessi,

riconoscendosi o meno in un determinato atteggiamento, e facendo dell’autoironia.

Possiamo dire che spesso quello che dovrebbe essere serio (le regole per divertirsi,

appunto), diventa esso stesso divertimento e viceversa.

4.3. IL DRAMA “DRAGON ZAKURA” E IL KARAOKE

Nel drama “Dragon Zakura” il karaoke viene utilizzato dal professore, alle prese con

studenti indisciplinati e per nulla bravi, per trasformarli in studenti modello e farli entrare in

prestigiose università. Utilizza, così, il gioco per insegnare, attraverso quiz, attività canore,

sportive oppure con manga e fumetti. Nel drama non c’è solo spensieratezza, ma, anzi,

viene affrontata anche la psicologia dei ragazzi e la storia, nonostante il divertimento e

l’affiatamento tra studenti e insegnante, è pervasa da un senso di ansia e paura di deludere

gli altri. Le canzoni straniere e il karaoke sono molto di moda tra i teenagers e quindi il

professore decide di insegnare loro l’inglese cantando canzoni famose e analizzando di

volta in volta gli argomenti grammaticali presenti nei versi. Con questa strategia efficace,

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gli studenti imparano divertendosi e scoprono anche il significato delle hit del momento.

Quindi, se da una parte abbiamo il karaoke come disciplina, dall’altra abbiamo la disciplina

(l’inglese) insegnata con il karaoke.

scene del drama “Dragon Zakura”

5. LO TSUKURU

5.1. IL SIGNIFICATO DI TSUKURU NEL TEMPO

È concezione comune pensare che i Giapponesi siano grandi e instancabili lavoratori, dediti

alle loro attività con una logica ferrea di fedeltà nei confronti della propria azienda, ma al di

là di questo pregiudizio, ciò che voglio analizzare ora è che cosa spinge i giapponesi a

trovare realizzazione di sè nella logica dello tsukuru, che può essere tradotto letteralmente

con le parole produrre, creare, fare etc. e che nesso vi sia con il divertimento e il gioco.

Se noi analizziamo la storia giapponese, notiamo che, ad esempio, nel periodo Heian,

l’etica del lavoro non era certo la stessa di adesso. Studiare, dedicarsi ad attività ricreative e

artistiche era il vero valore principale per i nobili del tempo che non lavoravano

assolutamente e lasciavano questo compito ai propri servitori. Il kimono delle dame di corte,

per esempio, è un classico esempio che fa capire come le persone che indossavano questo

tipo di vestito, pesante anche 30 kili e con maniche lunghissime, non fossero di certo dedite

al lavoro quotidiano. Quindi, gli abiti esprimevano non solo la propria condizione sociale,

ma anche il tipo di attività quotidiana.

È nel periodo Muromachi, con l’avvento al potere della classe samuraica, che le cose sono

cambiate. La priorità ora è il lavoro manuale, la forza e prestanza fisica, la logica

patriarcale dello ie e il senso di fedeltà verso il proprio padrone. Tuttavia, lo spirito

edonistico precedente non sparì mai del tutto, anzi, si orientò, più o meno esplicitamente,

verso altre vie. A volte, come vedremo ora, queste due tendenze si uniscono e possono

creare, lavorando insieme, qualcosa di speciale.

5.2. LA FILOSOFIA DELLO TSUKURU IN MIYAZAKI

Analizziamo, dunque, la figura del grandissimo creatore di manga e anime Miyazaki Hayao,

che è stato seguito dalle telecamere durante la creazione del film “Mononoke Hime” per

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creare un documentario sul processo di creazione di un anime3. All’interno di questo

documentario, vediamo dunque il modo in cui Miyazaki lavora con il suo affiatato team,

parlando con esso, discutendo sulle varie idee, sulle cose che lo affascinano di più etc..

Interessante osservarlo mentre lavora divertendosi, anche nei momenti magari più difficili o

complicati, anche quando la giornata è stata stancante e si sente la tensione della scadenza

che si avvicina. I membri del team di Miyazaki lavorano affiatati con entusiamo, ogni

giorno dalle 10 fino a mezza notte, dal lunedì al sabato e a volte anche la domenica. Inoltre,

sono una squadra anche per le scelte di vita: dato che i film di Miyazaki spesso trattano

temi come l’amore per la natura e il desiderio di allontanarsi dalla logica distruttiva

industriale e dall’inquinamento, i membri del team sono caldamente invitati ad utilizzare

preferibilmente la bicicletta durante i loro spostamenti, proprio per avvicinarsi al meglio

alla filosofia ecologista e naturalista del gruppo.

L’azienda è come una famiglia: Miyazaki stesso cucina per il suo gruppo, mangia con loro,

chiacchiera come se fossero suoi figli. Inoltre, per meglio ispirarsi nel disegnare il setting di

“Mononoke Hime”, Miyazaki e il suo team sono andati a fare un viaggio vicino all’isola di

Okinawa. Lì non hanno solo ammirato il paesaggio, studiando gli effetti della luce e la

natura presente in questo luogo, ma hanno trovato anche momenti di svago in cui parlare

tra di loro e socializzare. Il viaggio di lavoro, quindi, si è trasformato in un viaggio anche di

divertimento.

Nel 1997 Miyazaki fece un discorso in cui parlava della sua concezione dello tsukuru nel

produrre anime e manga. Diceva che le persone che producono questo tipo di opere

lavorano il più possibile e duramente e che, proprio in questo sta la logica tsukuru. Afferma,

quindi, che i giovani stanno perdendo questo tipo di logica, del lavoro lento, faticoso, ma

bello e che preferiscono invece un lavoro più veloce, perdendo, però, di vista la bellezza

delle cose realizzate nel tempo e con dedizione. Miyazaki considera, inoltre, il lavoro

creativo come un piccolo contributo che l’artista dà per cercare di cambiare il mondo.

5.3. “WE COULD ALL BECAME KAMI, BY THE WAY OF TSUKURU”4

Molti sostengono, poi, che la logica tsukuru abbia origini legate al culto shintoista. In

questo tipo di concezione, ogni cosa presente nel mondo è avvolta dallo spirito dei kami, le

divinità shintoiste, le quali si dimostrano benevole con gli uomini se essi compiono dei

particolari riti in alcuni periodi dell’anno. Questi riti necessitano di un determinato

autocontrollo e precisione dei gesti, quindi, è importante realizzarli nella maniera corretta,

3 il resoconto è stato pubblicato sotto il titolo di “Mononoke Hime koshite umareta”

4 Cit. Dolores Rodriguez del Alisal, “Ludic elements in japanese attitudes to tsukuru” in Joy Hendry and Massimo

Raveri (ed.), Japan at play: the ludic and the logic of power, Routledge, 2002, p. 96

26

in conformità al determinato rito. Durante questi riti, i kami vengono invocati, viene offerto

loro del cibo e da bere, oppure si danza per loro: si cerca di dilettarli e farli divertire, e in

questo modo, i kami scendono tra gli uomini, entrano nel corpo dei performer che

diventano essi stessi kami e viceversa. Quindi, tutta la cerimonia si basa proprio sul

procurare piacere ai kami per diventare kami a propria volta. Il performer, ma anche il

creatore di oggetti o di film, è considerato il reale mediatore tra gli uomini (o i clienti) e le

divinità. Soddisfare le persone significa soddisfare le divinità. Ecco perchè il motto dei

venditori è: “okyaku sama wa kami sama desu”, il cliente è una divinità (non un re).

Estrarre la bellezza dalla natura, incorporarla in un oggetto destinato a qualcuno,

soddisfando così, sia le divinità sia il cliente, diventa una vera e propria esperienza ludica.

L’oggetto prodotto è un punto di connessione tra il costruttore e il compratore ed entrambi

raggiungono la soddisfazione personale perchè entrambi vedono in quell’oggetto una

realizzazzione di sè stessi, una gioia. La soddisfazione del cliente diventa la base della

soddisfazione del creatore stesso. Una cosa simile succede anche durante i matsuri, le feste

tradizionali, dove tutti i preparativi sono vissuti intensamente. La gente si alza presto,

lavora come se fosse un team, e ognuno fa tutto il possibile per assicurare il successo alla

realizzazione dell’evento. Quindi, il matsuri è un’attività sia ludica, sia lavorativa perchè la

gente si comporta davvero come se fosse il proprio vero lavoro.

Successo significa felicità per tutti e in questo sta il divertimento del “gioco”. Marìa-

Dolores Rodriguez del Alisal 5 racconta il suo incontro con un artigiano di Kyoto che

produce delle tradizionali campanelle chiamate furin. Questo artigiano le spiega che queste

campanelle sono tutte uniche nel proprio genere, perchè sono ognuna diversa dall’altra,

ognuna particolare per una determinata caratteristica. L’artigiano è felice e si diverte nel

proprio lavoro, e, anche se a volte non ha riconoscimento economico, prova soffisfazione

nel portare avanti l’attività di famiglia nello stesso modo del padre. L’offrire uno stile

diverso per ogni campanella, destinata a un diverso cliente, dà senso alla propria personale

esistenza.

Questo tipo di soddisfazione personale, nelle aziende diventa soffisfazione collettiva.

Proprio per far fronte al durissimo lavoro che i giapponesi devono affrontare ogni giorno, ci

vuole qualcosa che stimoli e sproni i dipendenti. Ecco perchè in molte aziende si canta o si

balla tutti insieme prima di lavorare, si fanno gite con i propri colleghi di lavoro oppure si

esce, per locali, assieme. Questo, non solo crea affiatamento e senso del gruppo, ma anche

aiuta a sopportare meglio le difficoltà e la stanchezza, rendendo il lavoro un vero e proprio

gioco stimolante e divertente.

5 Ibid.pag.93

27

6. I BENTŌ BAKO

6.1. LA STORIA DEI BENTŌ

Possiamo dire che i bentō bako, le tipiche scatole per il cibo che studenti e lavoratori

portano con loro ogni giorno, abbiano una forte associazione con il divertimento e il gioco,

mantenendo legami con la tradizione. I bentō bako, infatti, hanno una lunghissima

tradizione in Giappone, tanto che la loro origine risale addirittura al periodo Nara, quando

servivano per contenere il cibo, per portarlo facilmente in giro, oppure per conservarlo.

Ovviamente i bentō bako si sono trasformati nel tempo, hanno subito delle variazioni

estetiche e culturali rispetto a quelli del passato che ora vediamo nel tempio Shosoin. Si

sono, infatti, adattati ai tempi contemporanei, ai nuovi cibi e a quelli provenienti dal

continente euro-americano come i cibi americani del McDonald’s o agli spaghetti e pizza

italiani. Tuttavia, hanno mantenuto delle caratteristiche autonome, originali.

6.2. I BENTŌ BAKO COME ARTE, DIVERTIMENTO E SOCIALIZZAZIONE

I bentō bako sono fatti di vari materiali, che possono andare dalla plastica dai colori

vivacissimi, al semplice alluminio, fino alla tradizionale lacca per conferirgli un tocco più

“vintage”. Ovviamente, il materiale, la forma e il colore dei bentō bako dipendono dal

proprietario e dalla sua età, professione e interessi personali. Infatti, questi non sono solo

dei semplici contenitori, anzi, sono un modo per esprimere sè stessi e i propri gusti. In un

mondo in cui si cerca spesso l’omologazione, soprattutto nell’ambito scolastico dove gli

studenti sono tenuti a vestirsi con la divisa e a mantenere un determinato aspetto fisico e

atteggiamento, la preparazione del bentō rappresenta una via di sfogo e di originalità, dando

la possibilità di ottenere la stima e l’amicizia dei propri compagni di classe e l’occasione di

mostrare i propri interessi, come un determinato manga o anime piuttosto che un altro.

Diventa, quindi, una fonte di socializzazione e di legittimazione di sè.

Bentō con noti personaggi televisivi e di film giapponesi

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Nel momento dell’apertura del bentō due cose sono importanti: l’apparenza estetica e che

sia kawaiiかわいい carino, grazioso. Di solito ci sono dei colori fissi a seconda del genere

e la pressione del gruppo è molto forte: rosa o rosso per le bambine, blu per i bambini.

Esempi di bentō bako per bambine e bambini

La sostituzione del bentō bako segna anche i vari passaggi nella crescita dell’individuo o i

cambiamenti delle mode: segnano il labile confine tra essere o non essere parte del gruppo.

Il momento dell’inizio della scuola segna l’entrata nella società non solo del figlio, ma

anche della madre stessa come suo tutore, che lo porta a scegliere il bentō bako che

preferisce. Soprattutto in giovane età, sono le mamme a preparare il pranzo ai figli e sono

loro che devono occuparsi e interessarsi di tutti gli aspetti della vita scolastica del figlio,

dall’istruzione, all’aspetto fisico. Inoltre, la bellezza della presentazione viene prima di

tutto e la preparazione e la disposizione del cibo deve seguire determinati canoni estetici.

Per questo esistono apposite riviste specializzate nella preparazione del pranzo che

dev’essere in quest’ordine: bello, nutriente e appetitoso. Come in ogni gioco che si rispetti,

ci sono determinate regole da seguire per creare un piccolo capolavoro. Un buon bentō

deve avere quattro colori e quattro gusti differenti, in un giusto equilibrio che varia a

seconda delle stagioni.

Bentō con rappresentazione dell’hina matsuri e rappresentazione paesaggistica

E’ importante preparare un pasto nutriente per i propri figli, ma questo deve essere attraente

e affascinante. All’interno di queste creazioni si possono spesso nascondere dei messaggi

da parte delle madri, riservati ai propri figli, che comunicano sentimentalmente attraverso il

pranzo: quando il bambino apre la scatola, deve trovare un messaggio d’affetto per lui. Ci

sono, dunque, delle riviste che insegnano come tagliare il cibo a forma di cuore, oppure

29

come posizionarlo per far comparire la scritta suki好き (amore), oppure per i mariti che

hanno ottenuto una promozione, viene scritta con il cibo tagliato a pezzettini, la parola

omedetou おもでとう per congratularsi. Diventa, quindi, un mezzo per esprimere e inviare

dei piccoli messaggi d’affetto.

Le madri comprano le riviste specializzate e si consultano tra loro sulle ricette e sulle varie

tecniche di presentazione e in questo modo socializzano tra loro e creano una loro piccola

comunità. I bentō, quindi non solo creano un legame invisibile tra la madre e il proprio

bambino, tra il mondo della famiglia e quello della scuola, ma anche un legame che unisce

tutte le mamme in quanto tali.

I bentō bako sono diffusi anche nel mondo degli adulti. Utilizzati spesso perchè sono più

economici rispetto a un pranzo in un ristorante, sulla confezione dei bentō bako, è riportato

il numero di calorie presenti con il giusto apporto calorico per la dieta. In generale, sono le

donne le maggiori compratrici di bentō bako, non solo per il loro uso personale. Spesso lo

regalano ai propri mariti, fidanzati o amici, come segno di affetto e di cura nei loro

confronti. Infatti, è la donna incaricata di occuparsi dei pasti quotidiani anche nella propria

cerchia di amicizie: se si organizza una festa oppure una gita, saranno le ragazze ad

occuparsi dell’aspetto culinario. I ragazzi offriranno il passaggio in macchina e magari

qualche altra prelibatezza, cucinata dalla loro madre però. I bentō bako sono, quindi, spesso

un regalo gradito e vengono offerti in molteplici occasioni, anche a persone ricoverate in

ospedale, come segno di affetto.

Grazie alle varie tecniche per tagliare il cibo, si possono, dunque, creare dei paesaggi

fantasiosi oppure dei personaggi di anime e manga famosi. La preparazione del pranzo

diventa un momento di svago e fantasia, dove il mondo che ci circonda, soprattutto la

natura, può diventare fonte di ispirazione e divertimento e aiuta a realizzarci.

Esempio di trasformazione del cibo in oggetto della vita quotidiana

6.3. CONCLUSIONE

In questo sta, ancora una volta, il gioco: riuscire a creare qualcosa di eccezionale, che possa

stupire gli altri, attuando una metamorfosi (in questo caso del cibo), cambiandogli aspetto e

30

facendo in modo che, attraverso esso, le nostre fantasie diventino realtà. Si ritrovano,

quindi, anche qui tutti gli elementi che, secondo me, sono comuni a tutti i giochi giapponesi

e li caratterizzano in modo molto più marcato dei giochi euro-americani: il rigore delle

regole, che implica spesso una spontaneità limitata e un pò fittizia ma anche una severità,

talvolta maniacale, ma sempre originale e stupefacente; il gioco come parte della vita, delle

relazioni e dell’affermazione sociale; lo stupore e la meraviglia insiti nel gioco, uniti spesso

alla seduzione reciproca fra i giocatori e all’autoironia; il piacere dei giochi di ruolo e dello

scambio delle parti.

31

BIBLIOGRAFIA

Bonifati, Nunzia, Et voilà, I robot: logica ed estetica nell’era delle macchine, Italia:

Springer-Verlag, 2010, pp. 53-55

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Immagini varie tratte dal motore di ricerca Google e dal libro “Asobi” citato sopra.

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