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SENTENZA sui ricorsi proposti nell'interesse di: 1. Berlusconi Paolo, nato a Milano il 6-12-48, 2. Berlusconi Silvio, nato a Milano il 29-9-36, avverso la sentenza in data 31-3-14 della Corte di Appello di Milano, sezione 2° penale; visti gli atti, la sentenza ed il procedimento; udita la relazione fatta dal consigliere, dott. Vincenzo Rotundo; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dr. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; uditi gli avv. ti Carlo Federico Grosso (per la parte civile), Federico Cecconi, Niccolò Ghedini e Piero Longo (per gli imputati). FATTO 1. Il procedimento in esame ha preso l'avvio dalla pubblicazione, in data 27-12- 2005 e nei giorni successivi, sul quotidiano "Il Giornale" del contenuto di una conversazione telefonica tra l'on. Piero Fassino e Giovanni Consorte, intercettata nell'ambito di un procedimento penale pendente presso la Procura della Repubblica di Milano su ipotesi di reato di manipolazione del mercato in riferimento alla scalata della Banca Antonveneta da parte della Banca Popolare di Penale Sent. Sez. 6 Num. 39428 Anno 2015 Presidente: AGRO' ANTONIO Relatore: ROTUNDO VINCENZO Data Udienza: 31/03/2015 Corte di Cassazione - copia non ufficiale

Sentenza Paolo e Silvio Berlusconi

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Page 1: Sentenza Paolo e Silvio Berlusconi

SENTENZA sui ricorsi proposti nell'interesse di:

1. Berlusconi Paolo, nato a Milano il 6-12-48,

2. Berlusconi Silvio, nato a Milano il 29-9-36,

avverso la sentenza in data 31-3-14 della Corte di Appello di Milano, sezione 2°

penale;

visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;

udita la relazione fatta dal consigliere, dott. Vincenzo Rotundo;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale, dr. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

uditi gli avv. ti Carlo Federico Grosso (per la parte civile), Federico Cecconi,

Niccolò Ghedini e Piero Longo (per gli imputati).

FATTO 1. Il procedimento in esame ha preso l'avvio dalla pubblicazione, in data 27-12-

2005 e nei giorni successivi, sul quotidiano "Il Giornale" del contenuto di una

conversazione telefonica tra l'on. Piero Fassino e Giovanni Consorte, intercettata

nell'ambito di un procedimento penale pendente presso la Procura della

Repubblica di Milano su ipotesi di reato di manipolazione del mercato in

riferimento alla scalata della Banca Antonveneta da parte della Banca Popolare di

Penale Sent. Sez. 6 Num. 39428 Anno 2015Presidente: AGRO' ANTONIORelatore: ROTUNDO VINCENZOData Udienza: 31/03/2015

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Lodi (si tratta della telefonata identificata in via breve nell'immaginario collettivo

con la frase dell'on. Fassino: "Allora abbiamo una Banca?").

Si trattava di una conversazione non trascritta, coperta da omissis, in quanto

effettuata da un parlamentare.

Le indagini subito espletate per individuare la fonte della violazione del segreto

istruttorio non conducevano però ad alcun risultato utile.

Solo molto tempo dopo, in data 3-10-2009, era avvenuto che l'on Antonio Di

Pietro si era presentato presso la Procura della Repubblica di Roma e aveva

rilasciato dichiarazioni in merito ai colloqui avuti con tale Fabrizio Favata, che gli

era stato presentato dalla giornalista de "L"Unità", Clauda Fusani. Il Favata

aveva, tra l'altro, raccontato prima alla Fusani e poi a Di Pietro che, unitamente

a Roberto Raffaelli, amministratore delegato di R.C.S., società leader del settore

delle intercettazioni telefoniche, aveva incontrato, la sera della vigilia di Natale

del 2005, ad Arcore, Paolo e Silvio Berlusconi, ai quali aveva ceduto una pen

drive contenente la famosa telefonata Fassino-Consorte

A seguito delle dichiarazioni di Di Pietro erano state attivate indagini, che si

erano sostanziate in intercettazioni, servizi di osservazione, interrogatori,

perquisizioni domiciliari ed acquisizioni documentali.

All'esito delle indagini, Paolo Berlusconi era stato chiamato a rispondere del reato

di cui agli artt. 81, comma secondo, 110 e 326, commi primo e terzo, cod. pen.

per avere, nella sua qualità di editore del quotidiano "Il Giornale", -in concorso

con Roberto Raffaelli (consigliere ed amministratore delegato della RCS spa,

incaricato dì pubblico servizio in quanto ausiliario della polizia giudiziaria

delegato a fornire le attrezzature per operazioni di intercettazione in

procedimento penale), Fabrizio Favata ed Eugenio Petessi [il primo in affari da

tempo con Paolo Berlusconi nella società LP. Time s.r.I.; il secondo legato da

tempo al Raffaelli da rapporti di conoscenza e di attività illegali (false fatture) ed

al Favata da rapporti di amicizia e di affari], agendo il Raffaelli in violazione dei

doveri inerenti a pubblico servizio e con abuso della sua qualità, rivelato notizie

d'ufficio che dovevano rimanere segrete.

Secondo l'ipotesi accusatoria:

• Raffaelli aveva in un primo momento rivelato a Petessi e Favata il

contenuto della conversazione telefonica intercorsa tra Fassino e

Consorte e di altre conversazioni intercettate, quando tali conversazioni

erano ancora sottoposte a segreto, non trascritte né sintetizzate nei

verbali delle operazioni compiute dalla Polizia Giudiziaria, non trasfuse in

atti di indagine, e quindi esistenti al momento dei fatti soltanto in

formato-audio;

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• successivamente, in concorso tra loro, avevano rivelato lo stesso

contenuto a Paolo Berlusconi;

• ancora successivamente, in concorso tra loro e con Paolo Berlusconi, lo

avevano rivelato al fratello di quest'ultimo, Sivio Berlusconi, allora

Presidente del Consiglio;

• e quindi si erano avvalsi illegittimamente delle notizie segrete suindicate,

trasferendole a Paolo Berlusconi in formato-audio a mezzo di pen-drive e

da Paolo Berlusconi al quotidiano "Il Giornale", sul quale erano state

pubblicate il 31-12-2005 e nei giorni successivi.

Silvio Berlusconi era stato, a sua volta, imputato del reato di cui agli artt. 110 e

326, comma primo, cod. pen. per avere -in concorso con Roberto Raffaelli,

Fabrizio Favata, Petessi Eugenio e Paolo Berlusconi, nelle qualità e nei ruoli sopra

rispettivamente già specificati- violando Raffaelli i doveri inerenti al pubblico

servizio e comunque abusando della relativa qualità, rivelato notizie d'ufficio che

dovevano rimanere segrete.

Segnatamente Silvio Berlusconi, accettando di ricevere Raffaelli e Favata presso

la propria residenza di Arcore, ricevendoli effettivamente unitamente al fratello

Paolo, ascoltando il contenuto della conversazione telefonica intercorsa il 18-7-

05 tra Fassino e Consorte, intercettata nell'ambito del procedimento suindicato,

esprimendo compiacimento e riconoscenza per la rivelazione illegale appena

effettuata, aveva determinato, con tale comportamento univoco e concludente,

la rivelazione di tali notizie segrete per il tramite di Paolo Berlusconi, che, di

conseguenza, dapprima le aveva acquisite in formato-audio a mezzo di pen-drive

da Raffaelli e Favata e poi le aveva fatte pervenire al quotidiano "Il Giornale",

dove erano state pubblicate il 31 dicembre 2005 e nei giorni successivi.

2. Con sentenza in data 7-3-13 il Tribunale di Milano ha dichiarato Paolo

Berlusconi e Silvio Berlusconi colpevoli del reato di cui all'art. 326 cod. pen., così

come rispettivamente loro contestato, condannando Paolo Berlusconi alla pena di

anni due e mesi tre di reclusione e Silvio Berlusconi alla pena di anni uno di

reclusione, con obbligo di risarcimento in solido dei danni cagionati alla costituita

parte civile, Piero Fassino, liquidati in ottantamila euro, e di rifusione delle spese

sostenute dalla medesima parte civile, liquidate come da dispositivo.

Nei confronti dei coimputati di Paolo e Sivio Berlusconi si è proceduto

separatamente e i relativi procedimenti hanno seguito le regole dei riti alternativi

rispettivamente scelti (per Raffaelli e Petessi l'applicazione patteggiata della

pena; per Favata il giudizio abbreviato).

All'esito di un complesso dibattimento (nel corso del quale sono stati escussi

numerosi testimoni, che hanno consentito di ricostruire i rapporti tra Fabrizio

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Favata e Paolo Berlusconi e il lungo interessamento della società RCS del

Raffaelli rispetto all'espansione nel mercato romeno), il Tribunale di Milano ha

ritenuto che le risultanze acquisite avevano pienamente dimostrato la penale

responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti.

In particolare, il Giudice di primo grado ha ritenuto accertato che erano state

poste in essere cinque diverse condotte di rivelazione ed utilizzazione della

notizia segreta:

1. una prima rivelazione tra Raffaelli e Petessi;

2. una seconda rivelazione da Raffaelli e Petessi a Favata;

3. una terza rivelazione da Raffaelli e Favata a Paolo Berlusconi nell'ottobre

2005;

4. una quarta rivelazione ad Arcore da Raffaelli, Favata e Paolo Berlusconi a

Silvio Berlusconi in data 24-12-2015;

5. la pubblicazione della telefonata su "Il Giornale" il 31-12-2005 e nei giorni

successivi, previa acquisizione della chiavetta e suo trasferimento alla

redazione del predetto quotidiano.

Il Tribunale ha in primis rilevato che, alla luce delle risultanze acquisite, poteva

ritenersi certo che nei primi tre episodi Silvio Berlusconi era palesemente

estraneo e Paolo Berlusconi (nel terzo) si era limitato ad ascoltare.

Quanto alle condotte successive, il Tribunale si è imposto di verificare:

• per Silvio Berlusconi se, rispetto al mero ascolto della telefonata, egli

avesse concorso alla successiva propalazione della stessa, per mezzo

della pubblicazione sul quotidiano "Il Giornale" in data 31-12-2005

mediante atti concreti di agevolazione tipici del concorrente nel reato

proprio;

• per Paolo Berlusconi se avesse concorso nella propalazione medesima,

tramite la pubblicazione, sul suo giornale e se avesse utilizzato la

diffusione della notizia segreta per trarne profitti patrimoniali.

A tal fine il Tribunale ha proceduto ad una dettagliata ricostruzione dell'incontro

di Arcore, ha ripercorso la fase della pubblicazione della notizia, ha confrontato

analiticamente le dichiarazioni di Favata e quelle di Raffaelli, concludendo per la

credibilità dei riferimenti del Favata e per la scarsa coerenza di quelli del Raffaelli

(con particolare riferimento a tre aspetti del suo narrato, e cioè il riferito

inconveniente tecnico, la sua delusione dopo l'incontro e il disinteresse di Paolo Berlusconi).

Il Tribunale, in definitiva, ha ritenuto accertato (in base a quanto riferito dal

Favata, riscontrato dalle dichiarazioni di Petessi e De Ambrosis) che all'incontro

di Arcore la registrazione-audio era stata ascoltata tramite il computer portatile

del Raffaelli, senza alcun "addormentamento" da parte di Sivio Berlusconi, né

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decisivo inceppamento del p.c., e che il successivo 27 dicembre il Favata,

ottenuta dal Raffaelli la chiavetta con la registrazione, la aveva consegnata a

Paolo Berlusconi, che a sua volta l'aveva fatta pervenire alla redazione del suo

giornale.

3. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Milano, sezione 2°

penale, in data 31-3-2014, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di

Paolo Berlusconi e di Silvio Berlusconi in ordine ai reati loro rispettivamente

ascritti perché estinti per prescrizione, confermando le statuizioni civili.

La Corte Distrettuale ha dapprima ritenuto infondati i motivi di gravame

(formulati nell'interesse di Silvio Berlusconi) concernenti l'eccezione di

incompetenza per territorio e quella di nullità del decreto dispositivo del giudizio

per la asserita indeterminatezza della condotta ascritta al predetto imputato.

Successivamente ha constatato che i reati contestati agli imputati erano oramai

estinti per prescrizione.

La presenza di una domanda della Parte Civile ha, però, imposto alla Corte di

Appello di procedere ad una completa disamina del compendio probatorio ai fini

delle statuizioni civili.

La Corte di Milano ha così rianalizzato la posizione di Fabrizio Favata, osservando

che il Tribunale aveva correttamente condotto il vaglio della credibilità del

predetto. Ha poi ribadito la criticità della versione dei fatti fornita dal Raffaelli,

condividendo i tre nodi individuati dal Tribunale che ne rendevano inattendibile il

narrato. Ha infine dato una lettura logica agli avvenimenti, rimarcando che

appariva poco credibile che il trio che la sera della vigilia di Natale si era recato

ad Arcore dall'allora Presidente del Consiglio in carica non avesse avuto un

programma condiviso e consapevole, consistente nel proporre al premier

l'ascolto (e, naturalmente, poi anche la disponibilità) dell'intercettazione

trafugata: solo un tale programma poteva spiegare la frenesia del Favata e la

presenza del Raffaelli, primo artefice del "regalo" che ci si apprestava a fare al

Presidente e bramoso di sostegno, grazie ad esso, per i suoi progetti di

espansione in Romania. Da ultimo la Corte di merito ha ritenuto che i riferimenti

del Favata anche in riferimento alla successiva consegna della pen -drive erano

riscontrati dalle concrete ed affidabili dichiarazioni di Petessi e De Ambrosis.

In chiusura la Corte di Appello di Milano ha sottolineato che a Silvio Berlusconi

era contestato il concorso nel reato di cui all'art. 326, comma primo, cod. pen.,

per il quale non era necessario un interesse di carattere patrimoniale, sicché ben

poteva prefigurarsi un interesse di tipo diverso, commisurato al vantaggio

ottenuto nella lotta politica.

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Gli elementi acquisiti apparivano ben lontani dal configurare una evidenza di

prove immediatamente dimostrative della estraneità dei due imputati rispetto

agli addebiti loro mossi e, anzi, erano del tutto idonei a fondare -anche nella

ricorrenza di una causa estintiva del reato- la responsabilità di Paolo Berlusconi

e di Sivio Berlusconi ai fini delle domande civili.

4. Avverso la suindicata sentenza della Corte di Appello di Milano del 31-3-14

hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori, Paolo

Berlusconi e Silvio Berlusconi, chiedendone l'annullamento. 4.1. La Difesa di Sivio Berlusconi (avv. ti Niccolò Ghedini e Piero Longo) deduce:

1. Violazione dell'art. 326 cod. pen. e degli artt. 8, 12 e 16 cod. proc. pen.,

rinnovando l'eccezione di incompetenza territoriale già ritualmente

sollevata e respinta dai Giudici di merito. Silvio Berlusconi -si ricorda in

ricorso- è imputato esclusivamente di concorso nel reato di cui all'art.

326, comma primo, cod. pen., commesso pacificamente in Arcore, nella

circoscrizione del Tribunale di Monza. La Corte di Appello, nel respingere

l'eccezione, sarebbe incorsa in errore ritenendo unitaria la fattispecie

prevista da tale disposizione, che, invece, per giurisprudenza e per

dottrina consolidate, prevede quattro ipotesi distinte. Avrebbe altresì

errato la Corte Distrettuale là dove avrebbe affermato che la competenza,

radicata in Milano per le imputazioni a carico di Paolo Berlusconi, attraeva

a sé anche quella riguardante gli altri imputati. Silvio Berlusconi è infatti,

come si è visto, imputato di mero concorso nella commissione del solo

reato di cui all'art. 326, comma primo, cod. pen.: ne risulta che la sua

posizione sarebbe governata unicamente dalla lettera a) dell'art. 12 cod.

proc. pen. e non sarebbero a lui applicabili le ipotesi previste dalle

ulteriori lettere del medesimo art. 12.

2. Violazione dell'art. 429, comma 1 lettera c) e comma 2, cod. proc. pen.

per indeterminatezza del capo di imputazione, in quanto, contrariamente

a quanto affermato dalla Corte di Appello di Milano nel respingere

l'eccezione, i comportamenti attribuiti all'imputato (accettare, ascoltare

ed esprimere compiacimento) sarebbero meramente formali e non

descrittivi del fatto con particolare riferimento all'elemento psicologico del

reato. A parte il fatto che nella seconda parte della imputazione ascritta a

Silvio Berlusconi sarebbe stato descritto il concorso nella diversa

fattispecie di cui al comma terzo dell'art. 326 cod. pen., fattispecie

estranea alla imputazione coatta imposta dal GUP al P.M., sicché

l'imputato non sarebbe stato posto in grado di sapere esattamente da

cosa doveva difendersi.

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3. Erronea applicazione dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., in quanto

nel caso in esame la chiamata in correità di Fabrizio Favata non sarebbe

stata in realtà vagliata dalla Corte di merito in base ai criteri elaborati

dalla giurisprudenza di legittimità, ma in base ad altri diversi principi. In

particolare la credibilità-attendibilità-affidabilità del dichiarato dal Favata

sarebbe stata erroneamente soppesata alla luce della affidabilità o meno

di altro soggetto (Raffaelli) con conseguente evidente vizio logico

insuperabile.

4. Violazione di legge in riferimento al concorso di persone nel reato di cui

all'art. 326 cod. pen., in quanto la condotta tenuta da Sivio Berlusconi

avrebbe dovuto essere qualificata come penalmente irrilevante. Anche a

ritenere provato l'ascolto da parte di Sivio Berlusconi della conversazione

intercettata, egli sarebbe stato "mero percettore di notizia coperta da

segreto di ufficio a sua insaputa rivelatagli da soggetti terzi".

Mancherebbe la prova del contributo causale fornito da Sivio Berlusconi

alla commissione del reato e la ricostruzione dei Giudici di merito sul

punto sarebbe una pura illazione. Inoltre nel caso di specie Vintraneus si

era già deciso a rivelare il segreto e nessun contributo concorsuale

potrebbe essere ravvisato nell'averlo ospitato presso la propria

abitazione, ancorché ciò fosse avvenuto con la consapevolezza

dell'intenzione propalatoria di quello. In realtà si sarebbe dilatato il

perimetro della responsabilità concorsuale fino ad includervi anche la

semplice connivenza. Ospitare e presenziare all'incontro sarebbe bastato

ad integrare una condotta di avvallo e consenso alla produzione

dell'evento illecito poi verificatosi con la divulgazione della notizia coperta

da segreto. Si tratterebbe di conclusioni tanto più errate se si considera

che a Silvio Berlusconi è contestato unicamente il concorso nel reato di

cui al comma primo dell'art. 326 cod. pen. In realtà le risultanze acquisite

avrebbero al più dimostrato un semplice e generico interessamento da

parte dell'imputato alla realizzazione dell'evento criminoso.

5. Violazione di legge per erronea applicazione della fattispecie di reato di

cui all'art. 326, comma 1, cod. pen. Delle cinque ipotizzate condotte di

rivelazione di segreto di ufficio una soltanto vedrebbe coinvolto in prima

persona Silvio Berlusconi, e cioè la quarta, quella avvenuta la vigilia di

Natale del 2005 in Arcore, ove nella sua residenza Raffaelli, Favata ed il

fratello Paolo Berlusconi gli rivelarono l'atto coperto da segreto di ufficio.

Ne discenderebbe che l'unica condotta ipotizzabile a carico dell'imputato

sarebbe quella di uso di atto coperto da segreto di ufficio, prevista e

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punita dal comma terzo dell'art. 326 cod. pen., condotta tutt'affatto

diversa da quella contestata.

6. Vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità per

concorso in rivelazione di segreto di ufficio, in quanto, per i motivi sopra

esposti, la Corte di merito avrebbe in realtà motivato unicamente in

riferimento alla fattispecie di uso di atto coperto da segreto di ufficio, mai

contestata a Silvio Berlusconi.

7. Violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., in quanto, qualora si

ritenesse che l'imputato sia stato ritenuto responsabile del reato di cui

all'art. 326, terzo comma, cod. proc. pen., sarebbe stato violato il

principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza.

8. Nullità del capo della sentenza afferente la condanna al ristoro dei danni

subiti dalla parte civile per vizio di motivazione. In primo luogo lo schema

argomentativo della sentenza impugnata sarebbe del tutto incongruo e, in

secondo luogo non sarebbe stata data risposta alcuna alla considerazione

difensiva in base alla quale il danno provocato dalla commissione del

reato di cui all'art. 326, comma primo, cod. pen. era necessariamente

diverso ed assai minore rispetto al danno provocato dalla pubblicazione

della notizia segreta, sicché risultava errata la condanna in solido con

l'altro imputato, condannato per il reato di pubblicazione della notizia.

4.2. La Difesa di Paolo Berlusconi (avv. ti Piero Longo e Federico Cecconi)

denuncia:

1. Violazione dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. per avere la Corte di

Appello individuato quale riscontro esterno alle dichiarazioni rese da

Fabrizio Favata il mancato riscontro delle dichiarazioni rese da Roberto

Raffaelli. Si tratta di censura identica a quella riassunta al numero 1 del

precedente punto 4.1.

2. Violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte di

Appello correttamente valutato, in riferimento al giudizio di attendibilità

delle dichiarazioni di Fabrizio Favata, i precedenti penali, le condizioni

socio-economiche, i motivi di odio e di inimicizia nei confronti di Paolo

Berlusconi e i cd. riscontri estrinseci.

DIRITTO 1. Questa Corte, esaminando una questione del tutto analoga a quella sollevata

nel primo motivo del ricorso presentato nell'interesse di Silvio Berlusconi

(incompetenza per territorio e estinzione del reato per prescrizione), ha già

chiarito che nel giudizio di cassazione, qualora il reato sia già prescritto, non è

rilevabile la nullità, anche di ordine generale, in quanto l'inevitabile rinvio al

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giudice di merito risulta incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità

della causa estintiva, salvo che la sentenza di merito ipoteticamente affetta da

nullità abbia deciso non solo in ordine al reato per cui è intervenuta la

prescrizione, ma anche in ordine al risarcimento dei danni da esso cagionati o

alle restituzioni, giacché in tal caso la nullità, ove sussistente, deve essere

comunque rilevata e dichiarata riflettendosi sulla validità delle statuizioni civili

(Sez. 2, Sentenza n. 3221 del 07/01/2014, Rv. 258817, Macchia).

Ne discende che, poiché la sentenza impugnata ha deciso anche in

riferimento al risarcimento dei danni causati dal reato, nel caso in esame si

impone il vaglio del primo motivo di ricorso formulato nell'interesse di Silvio

Berlusconi, con il quale, come si è visto (v. punto 4.1 che precede) si rinnova

l'eccezione di incompetenza territoriale già ritualmente sollevata e respinta dai

Giudici di merito.

Si sottolinea in ricorso che Silvio Berlusconi é imputato esclusivamente di

concorso nel reato di cui all'art. 326, comma primo, cod. pen., commesso

pacificamente in Arcore, nella circoscrizione del Tribunale di Monza. Avrebbe in

proposito errato la Corte di Appello nel ritenere, per respingere l'eccezione,

unitaria la fattispecie prevista da tale disposizione. Ulteriore errore avrebbe

commesso la Corte Distrettuale nell'affermare che la competenza radicata in

Milano per le imputazioni a carico di Paolo Berlusconi aveva attratto a sé anche

quella riguardante gli altri imputati: Silvio Berlusconi era infatti imputato di mero

concorso nella commissione del solo reato di cui all'art. 326, comma primo, cod.

pen., sicché la sua posizione doveva essere governata unicamente dalla lettera

a) dell'art. 12 cod. proc. pen. e non erano a lui applicabili le ipotesi previste dalle

ulteriori lettere del medesimo art. 12.

La censura è infondata.

In realtà, non è vero che, come si afferma in ricorso, delle cinque condotte

di rivelazione di segreto di ufficio rubricate una soltanto riguarda in prima

persona Silvio Berlusconi, e cioè la quarta, quella avvenuta la vigilia di Natale del

2005 in Arcore, ove, nella sua residenza, Raffaelli, Favata ed il fratello Paolo gli

avevano rivelato l'atto coperto da segreto di ufficio.

A Sivio Berlusconi risulta, infatti, contestata anche la quinta condotta

descritta nel capo di imputazione, e cioè la pubblicazione (in concorso) della

telefonata su "Il Giornale" il 31-12-20 e nei giorni successivi, previa acquisizione

della chiavetta e suo trasferimento alla redazione del predetto quotidiano. E

anche di questa condotta i Giudici di merito hanno ritenuto Sivio Berlusconi responsabile, avendo concluso che in base alle risultanze processuali doveva

ritenersi accertato il suo concorso alla successiva propalazione della notizia per

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mezzo della pubblicazione sul quotidiano "Il Giornale", in quanto era stato il suo placet, intervenuto nell'incontro di Arcore, a dare il via alla pubblicazione stessa.

Ne discende che il reato ascritto a Sivio Berlusconi si è dipanato nelle due

condotte di rivelazione descritte come quarta e quinta nel capo di imputazione e

attuate la prima in Arcore e la seconda, almeno a quanto consta dagli atti, in Milano.

D'altra parte nel caso in cui il giudice d'appello, in riforma della sentenza di

condanna di primo grado, abbia dichiarato l'estinzione del reato, la contestuale

ricorrenza di una causa estintiva e della nullità processuale della sentenza non

impone nel giudizio di cassazione l'annullamento di questa se risulta che il

giudice di merito non potrebbe comunque ritenere sussistenti le condizioni per

pronunciare, attraverso una operazione di mera constatazione, un

proscioglimento nel merito, ai sensi dell'art. 129, comma secondo, cod. proc.

pen. (Sez. 5, Sentenza n. 51135 del 19/11/2014, Rv. 261919, Donde').

In definitiva in presenza di una causa estintiva del reato non vi è, in ogni

caso, più spazio per accertamenti o approfondimenti istruttori in riferimento al

luogo di pubblicazione della notizia.

2. Anche il secondo motivo di ricorso è privo di fondamento.

Si deduce la violazione dell'art. 429, comma 1 lettera c) e comma 2, cod.

proc. pen. per indeterminatezza del capo di imputazione, in quanto i

comportamenti attribuiti all'imputato (accettare, ascoltare ed esprimere

compiacimento) sarebbero meramente formali e non descrittivi del fatto, con

particolare riferimento all'elemento psicologico del reato. Inoltre nella seconda

parte della imputazione ascritta a Silvio Berlusconi sarebbe stato descritto il

concorso nella diversa fattispecie di cui al comma terzo dell'art. 326 cod. pen.,

fattispecie estranea alla imputazione coatta imposta dal GUP al P.M., sicché

l'imputato non sarebbe stato posto in grado di sapere esattamente da cosa

doveva difendersi.

In base al costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, non

vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con

adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da

consentire all'imputato di difendersi. (v. da ultimo Sez. 5, Sentenza n. 6335 del 18/10/2013, Rv. 258948, Morante).

Nel caso di specie, a Silvio Berlusconi è stato espressamente contestato: di

avere accettato di ricevere Raffaelli e Favata, unitamente a suo fratello Paolo, presso la propria residenza di Arcore; di avere ascoltato il contenuto della

conversazione telefonica intercorsa il 18-7-05 tra Fassino e Consorte,

intercettata nell'ambito di un procedimento penale; di avere, nell'occasione,

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espresso compiacimento e riconoscenza per la rivelazione illegale appena

effettuata; di avere così determinato la rivelazione di tali notizie segrete per il

tramite di Paolo Berlusconi, il quale, dopo averle acquisite in formato-audio a

mezzo di pen-drive da Raffaelli e Favata, le aveva poi fatte pervenire al

quotidiano "Il Giornale", dove erano state pubblicate il 31 dicembre 2005 e nei

giorni successivi.

E' di tutta evidenza, già dalla semplice enunciazione del capo di

imputazione, che nessuna indeterminatezza o genericità è riscontrabile nelle

contestazioni di reato mosse all'imputato, che è stato senz'altro posto in grado di

adeguatamente difendersi.

3. Con il terzo motivo di ricorso la Difesa di Silvio Berlusconi deduce, come

si è visto, la violazione dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., in quanto nel

caso in esame la chiamata in correità di Fabrizio Favata non sarebbe stata in

realtà vagliata dalla Corte di merito in base ai criteri elaborati dalla

giurisprudenza di legittimità, ma in base ad altri diversi principi. In particolare la

credibilità-attendibilità.affidabilità del dichiarato dal Favata sarebbe stata

erroneamente soppesata alla luce della affidabilità o meno di altro soggetto

(Raffaelli), con conseguente evidente vizio logico insuperabile. Si tratta di

censura replicata in termini del tutto analoghi dalla Difesa di Paolo Berlusconi nel

suo primo motivo di ricorso.

Le censure non colgono nel segno.

In realtà i Giudici di merito hanno correttamente condotto il vaglio della

credibilità del Favata, chiarendo che tutti i profili di criticità delle sue

dichiarazioni erano intervenuti in un momento (posteriore a quello dei fatti

salienti e del suo riferirne "in presa diretta" a soggetti quali Petessi e De

Ambrosis), in cui egli stava attraversando gravi difficoltà economiche ed era

deluso dalla constatata mancanza di riconoscenza da parte della famiglia

Berlusconi, che egli era convinto di avere favorito in modo sostanziale. Le ragioni

che lo avevano indotto alle accuse nei confronti degli imputati andavano

ricercate proprio in tale sua evoluzione di sentimenti e andavano considerate non

staticamente ma nella dinamica della sua vicenda. D'altra parte la attendibilità

delle dichiarazioni del Favata era riscontrata dai riferimenti di Petessi e De

Ambrosis.

Solo a questo punto la Corte di Appello è passata a vagliare la complessiva

credibilità della versione alternativa dei fatti fornita dal Raffaelli, concludendo per

la criticità di tale versione alla luce dei parametri di ragionevolezza e congruenza

e condividendo i tre nodi individuati dal Tribunale che ne rendevano inattendibile

il narrato. La Corte Distrettuale ha, infine, dato una lettura logica agli

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avvenimenti, rimarcando che appariva poco credibile che il trio che la sera della

vigilia di Natale si era recato ad Arcore dall'allora Presidente del Consiglio in

carica non avesse avuto un programma condiviso e consapevole, consistente nel

proporre al premier l'ascolto (e, naturalmente, poi anche la disponibilità)

dell'intercettazione trafugata: solo un tale programma poteva spiegare la

frenesia del Favata e la presenza del Raffaelli, primo artefice del "regalo" che ci

si apprestava a fare al Presidente e bramoso di sostegno per i suoi progetti di

espansione in Romania.

4. Con le residue censure la Difesa di Silvio Berlusconi denuncia violazione

di legge, sostenendo in primo luogo che la condotta tenuta dall'imputato avrebbe

dovuto essere qualificata come penalmente irrilevante, essendo egli stato "mero

percettore di notizia coperta da segreto di ufficio a sua insaputa rivelatagli da

soggetti terzi"; mancherebbe la prova del contributo causale fornito da Sivio

Berlusconi alla commissione del reato e la ricostruzione dei Giudici di merito sul

punto sarebbe una pura illazione. A parte il fatto che, nel caso di specie,

Vintraneus si era già deciso a rivelare il segreto e nessun contributo concorsuale

potrebbe essere ravvisato nell'averlo ospitato presso la propria abitazione e

nell'avere presenziato all'incontro.

In secondo luogo, si sostiene che delle cinque ipotizzate condotte di

rivelazione di segreto di ufficio una soltanto vedrebbe coinvolto in prima persona

Silvio Berlusconi, e cioè la quarta (quella avvenuta la vigilia di Natale del 2005 in

Arcore, ove, nella sua residenza, Raffaelli, Favata ed il fratello Paolo gli avevano

rivelato l'atto coperto da segreto di ufficio). Ne discenderebbe che l'unica

condotta ipotizzabile a carico dell'imputato sarebbe quella di uso di atto coperto

da segreto di ufficio, prevista e punita dal comma terzo dell'art. 326 cod. pen.,

condotta tutt'affatto diversa da quella contestata.

Anche queste censure sono infondate.

Già nel 1981 le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che il delitto di

rivelazione dei segreti di ufficio si risolve in una fattispecie plurisoggettiva

anomala, essendo la condotta incriminata legata a chi riceve la notizia e alla

previsione della punizione nei confronti del solo autore della rivelazione, nel

senso, cioè, che il mero recettore della notizia non può essere assoggettato a

pena in conformità del principio di legalità. Tuttavia, in base all'ordinaria

disciplina del concorso di persone nel reato, non può escludersi la partecipazione

morale del destinatario della rivelazione; partecipazione, questa, che, oltre alle

tradizionali forme della determinazione e della istigazione, comprende anche

l'accordo criminoso e, comunque, può estrinsecarsi nei modi più vari ed

indifferenziati, ribellandosi a qualsiasi catalogazione o tipicizzazione, a cui invece

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deve uniformarsi la condotta dell'autore dell'illecito e, quindi, del concorrente che

esegue l'Azione vietata dalla norma e non già quella del partecipe. (Sez. U,

Sentenza n. 420 del 28/11/1981, Rv. 151619, Emiliani).

Si tratta di principi costantemente riaffermati dalla giurisprudenza di

legittimità, sicché può considerarsi ius receptum che in tema di rivelazione di

segreti d'ufficio, ai fini della sussistenza del concorso nel reato dell'"extraneus", è

necessario che questi, lungi dal limitarsi a ricevere la notizia, abbia istigato o

indotto il pubblico ufficiale a porre in essere la rivelazione (v. per tutte: Sez. 1,

Sentenza n. 5842 del 17/01/2011, Rv. 249357, Barranca).

Sempre in tema di rivelazione di segreti di ufficio si è anche precisato che il

soggetto "estraneo", risponde del reato a titolo di concorso con l'autore

principale qualora abbia rivelato ad altri una notizia segreta riferitagli come tale,

giacché realizza una condotta ulteriore rispetto a quella dell'originario

propalatore (Sez. 6, Sentenza n. 15489 del 26/02/2004, Rv. 229344, Iervolino;

Sez. 6, Sentenza n. 42109 del 14/10/2009, Rv. 245021, Pezzato).

In applicazione di questi principi, correttamente i Giudici di merito hanno

ritenuto Silvio Berlusconi colpevole del reato di cui agli artt. 110 e 326, comma

primo, cod. pen. a lui ascritto. Con motivazione ineccepibile sul piano del diritto, immune da vizi logici ed

aderente alle risultanze processuali il Tribunale di Milano prima e la Corte di

Appello poi hanno ritenuto accertato che Silvio Berlusconi nell'incontro di Arcore

abbia ascoltato la registrazione-audio ed abbia, anche con il suo atteggiamento

compiaciuto e riconoscente, dato il suo placet alla successiva pubblicazione del

colloquio intercettato. In buona sostanza Silvio Berlusconi, chiamato a decidere

sul punto dopo avere ascoltato la registrazione coperta da segreto, ha

sostanzialmente dato il via, con il suo assenso e con il suo beneplacito, alla

pubblicazione della notizia, rendendosi responsabile di concorso nel delitto di

rivelazione di segreto di ufficio, trattandosi con tutta evidenza di una notizia

tuttora coperta dal segreto, in quanto non appresa legittimamente da alcuno e

dunque non caduta in pubblico dominio ed essendone rimasta confinata la

conoscenza all'interno della ristretta cerchia degli imputati (v. Sez. 5, sentenza

n. 30070 del 20-3-2009, Rv 244480, P.G. in proc. C. e altri). Infatti la

partecipazione psichica a mezzo istigazione richiede che sia provato, da parte del

giudice di merito, che il comportamento tenuto dal presunto concorrente morale

abbia effettivamente fatto sorgere il proposito criminoso ovvero lo abbia anche

soltanto rafforzato (Sez. 6, Sentenza n. 39030 del 05/07/2013, Rv. 256608,

Pagano) e nel caso in esame è indubbio che il placet del Presidente del Consiglio

in carica abbia avuto efficacia determinante ai fini della successiva pubblicazione

della notizia.

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Le predette conclusioni escludono, d'altra parte, qualsiasi violazione del

principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza, posto che la

rivelazione, da parte del pubblico ufficiale, di notizie di ufficio destinate a

rimanere segrete, anche se avvenga verso corrispettivo in danaro o altra utilità

(circostanza che può, se del caso, comportare il concorso con il reato di

corruzione), integra l'ipotesi delittuosa prevista dal comma primo dell'art. 326, e

non quella prevista dal successivo comma terzo, per la cui configurabilità occorre

che l'utilizzazione illegittima della notizia si concreti in una condotta di suo

autonomo e diretto sfruttamento o impiego da parte dell'"intraneus", pubblico

ufficiale o incaricato di pubblico servizio (Sez. 1, Sentenza n. 39514 del

03/10/2007, Rv. 237747, Ferrari; Sez. 6, Sentenza n. 37559 del 27/09/2007,

Rv. 237447, Spinelli).

5. L'ultimo motivo di ricorso formulato nell'interesse di Sivio Berlusconi

concerne il capo della sentenza afferente la condanna al ristoro dei danni subiti

dalla parte civile. Si denuncia in primis la incongruità dello schema

argomentativo della sentenza impugnata e, in secondo luogo, la mancata

motivazione in riferimento alla eccepita minore entità del danno provocato dalla

commissione del reato di cui all'art. 326, comma primo, cod. pen. rispetto a

quello causato dalla pubblicazione della notizia segreta, con conseguente

erroneità della condanna in solido con il coimputato.

La prima articolazione del motivo di ricorso è inammissibile per difetto di

specificità, atteso che la censura é formulata in modo astratto e stereotipato,

senza alcuna illustrazione concreta della incongruità argomentativa denunciata.

La seconda articolazione è, invece, manifestamente infondata. La condotta

di avvallo e consenso alla pubblicazione della intercettazione, oltre a costituire un

concreto contributo causale alla produzione del danno, è risultata determinante,

in quanto, in base alla dinamica dei fatti ricostruita nelle sentenze di merito,

senza il placet di Sivio Berlusconi la notizia presumibilmente non sarebbe stata

pubblicata. Ne discende la correttezza della condanna di entrambi gli imputati in

solido al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

6. Resta, infine, da esaminare l'ultima censura formulata nel ricorso

proposto nell'interesse di Paolo Berlusconi (violazione di legge e vizio di

motivazione per non avere la Corte di Appello correttamente valutato, in

riferimento al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni di Fabrizio Favata, i

precedenti penali, le condizioni socio-economiche, i motivi di odio e di inimicizia

nei confronti dell'imputato e i cd. riscontri estrinseci).

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I.

I

Si tratta di un motivo di ricorso basato su doglianze non consentite in sede

di giudizio di legittimità. Le censure del ricorrente attengono invero alla

valutazione della prova, che rientra nella facoltà esclusiva del giudice di merito e

non può essere posta in questione in sede di giudizio di legittimità quando

fondata su motivazione congrua e non manifestamente illogica. Nel caso di

specie, i giudici di appello hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e

sono pervenuti alla decisione impugnata attraverso un esame completo ed

approfondito delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il

profilo della congruità e della correttezza logica

7. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento

delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado

dalla parte civile costituita, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q. M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali

nonché a rifondere le spese sostenute dalla parte civile, che liquida in euro

quattromila, oltre iva e cpa.

Roma, 31-3-2015.

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