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Perizia piazza verdi la spezia di Ettore Maria Mazzola

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La perizia su Piazza Verdi (La Spezia) dell'Architetto Ettore Maria Mazzola.

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PROF. ARCH. ETTORE MARIA MAZZOLA CONSULENZA TECNICA NEL RICORSO AL T.A.R. LIGURIA R.G. 1008/13 RIGUARDANTE IL PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE

ARCHITETTONICA E ARTISTICA DI PIAZZA GIUSEPPE VERDI A LA SPEZIA

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Per incarico conferitogli dall’avv. Rino Tortorelli a nome di Italia Nostra sede di La Spezia, il sottoscritto arch. Ettore Maria MAZZOLA, nato a Barletta il 17.07.1965, C.F. MZZ TRM 65L17 A669H, con Studio Professionale in Roma, Clivo Rutario 60 Palazzina “B”, iscritto all’Albo Professionale degli Architetti e Paesaggisti di Roma e Provincia al n°10344, redige la seguente

PERIZIA SULLO STATO DEI LUOGHI

a titolo di Consulenza Tecnica in merito al Ricorso al TAR della Regione Liguria R.G. 1008/13 per la vicenda relativa al Progetto di Riqualificazione Architettonica e Artistica di Piazza Giuseppe Verdi a La Spezia

1 - PREMESSA

Premesso:

che in data 29 luglio 2009 veniva bandito un Concorso di Progettazione Architettonica per la Riqualificazione Architettonica e Artistica di piazza Giuseppe Verdi a La Spezia;

che nel febbraio 2010, conclusosi l'iter procedurale, la commissione giudicatrice formata dall’arch. Emilio Erario (Presidente della Commissione nonché Direttore del Dipartimento IV - Pianificazione e Controllo dello Sviluppo Urbanistico e delle Attività del Territorio del Comune della Spezia), dall’ing. Claudio Canneti (Direttore del Dipartimento II - Ambiente, Servizi Tecnici e Opere Pubbliche del Comune della Spezia), dall’arch. Alessandro Mendini, dal prof. Giacinto di Pietrantonio (Direttore della GAMeC Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo), dal dr. Gianni Bolongaro (fondatore della BGN Management Consultants in Marketing di Milano, fondatore con la moglie Grazia Marino de La Marrana arteambientale e del Premio P.A.A.LM.A. Premio Artista + Architetto La Marrana Arteambientale), sceglieva all’unanimità, tra gli 89 progetti presentati, come progetto vincitore quello presentato dal gruppo costituito dall'arch. Giannantonio Vannetti di Firenze (capogruppo) con gli architetti Christian Baglio, Elena Ciappi, Claudio Dini, Franca Cecilia Franchi) in collaborazione con l'artista francese Daniel Buren, (Leone d'oro alla Biennale di Venezia del 1986);

che il progetto vincitore veniva presentato nel corso del maggio 2010 in occasione di un convegno/mostra tenutosi presso il Centro di Arte Moderna e Contemporanea della Spezia, durante il quale venivano esposti tutti gli elaborati presentati;

che, con Decreto del Direttore Generale del Dipartimento Sviluppo Economico della Regione Liguria, n°2560 del 7.09.2010 detto Ente, sulla base della documentazione inviata dal Comune della Spezia relativamente al livello di progettazione preliminare risultante dagli esiti del concorso di idee bandito al sensi dell'art. 109 del D.lgs. 163/2006, approvava la concessione di contributo, rilevando un “significativo miglioramento della proposta sotto profilo qualitativo e in coerenza con gli obiettivi dell'Asse 3”;

che, con lettera dell'8 maggio 2012 prot. 42197 il Comune inviava alla Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici della Liguria il progetto definitivo relativo alle “opere di riqualificazione architettonica e artistica di piazza Verdi”;

che, con nota del 7 novembre 2012, la stessa autorizzava il Comune allo svolgimento di lavori previsti, ribadendo la corretta procedura seguita come da lettera inviata al Comitato di Piazza Verdi (avv. Giromini) in data 15/04/2013;

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che, di conseguenza, i lavori venivano appaltati e avviati in data 17 giugno 2013;

che, sempre in data 17 giugno 2013, perveniva la nota prot. 004448 del Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria con la quale veniva richiesto di avviare le procedure di interesse culturale della Piazza invitando a "non procedere con opere che interessano beni cui eventuale interesse culturale deve tuttavia essere verificato";

che analoga lettera perveniva in pari data dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici;

che a tali note il Comune contro deduceva contestandone il contenuto;

che, con nota del 28 giugno 2013, il Soprintendente per i Beni Architettonici confermava il nulla osta alla prosecuzione della gara limitatamente nella sede viaria ed i marciapiedi con esclusione delle opere interessanti l'area centrale della Piazza e le componenti arboree ivi presenti;

che il Comune al fine di ricercare soluzioni progettuali alternative, incaricava il Direttore Forestale dr. Luigi Sani di eseguire una valutazione delle condizioni vegetative, fitosanitaria e di stabilità del pini domestici presenti nella piazza, accollandosi le spese aggiuntive di circa € 10.000;

che, a seguito della conclusione della perizia del dr. Sani, il Comune di Spezia presentava una memoria difensiva, datata 10 ottobre 2013, nella quale veniva riportato un riassunto – che talvolta appare come una interpretazione atta a perseguire l’obiettivo prefisso – della Relazione Generale redatta dal dr. Sani secondo la quale emergerebbe “si sta trattando di un filare di pini ormai a fine vita, cinque del quali da tagliare per l'incolumità e la pericolosità, e gli altri gravemente compromessi”. Nella memoria si riteneva altresì che “non si potrebbe neppure parlare di filare in quanto interessato da due assi viari trasversali che creano 3 grandi aiuole spartitraffico” e che “la vita media di un pino domestico in città varia da 60 a 80 anni”. Questa memoria conseguente la perizia si spinge a ritenere che “in piazza Verdi le condizioni ambientali per la vita del pini sono le peggiori (traffico, inquinamento, falda marina ecc), i pini hanno 76 anni e almeno altri due di vita al momento della piantumazione” concludendo che il pino non potrà mai essere una pianta monumentale sottoposta a vincoli proprio per questa ragione”;

che a tal proposito, solo per citare un esempio atto a sottolineare la distanza tra le affermazioni summenzionate e quelle di altri esperti del settore, è interessante far notare come Paola Bonfanti, un’autorevole esperta del settore, in un articolo intitolato “Come Passano gli Anni tra Foglie e Radici1” pubblicato nell’inserto “Scienza” del Corriere della Sera datato 8/11/1992, affermava: “(…) è il caso del pino, che passa dai "soli" 300 anni di vita per il pino domestico (ovvero quello oggetto della situazione di Piazza Verdi a La Spezia n.d.r.) per arrivare ai 500 del pino silvestre e ai 1300 del pino cembro (…)” … davanti a certe discrepanze risulta legittimo che chiunque non risulti esperto della materia venga avvolto da qualche dubbio sulla vitalità dei pini di Piazza Verdi, specie se si considera che, nelle schede tecniche degli alberi di Spezia contenute nella perizia del dr. Siani, non ci si spinge mai a dire che gli alberi siano giunti al capolinea … semmai spesso si legge “parametri vitali buoni, aspettativa di vita contenuta” e, in molti casi, viene suggerito di effettuare sulle essenze arboree un “monitoraggio attraverso una analisi visiva e strumentale ogni due-tre anni.” … il che lascia intendere che gli stessi possano vivere ancora per decine di anni se opportunamente curati e monitorati!

1 (cfr http://archiviostorico.corriere.it/1992/novembre/08/come_passano_gli_anni_tra_co_0_9211087544.shtml)

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che, leggendo attentamente la succitata “memoria” dell’ottobre 2013, salta agli occhi quella che possa essere la vera ragione dell’intenzione di eliminare le alberature in oggetto: esse collidono con un progetto ideologico ed autoreferenziale per il quale i progettisti non hanno alcuna intenzione di confrontarsi con la storia, l’architettura, l’urbanistica, la vegetazione locali! E infatti nella memoria si legge: “Dobbiamo condizionare un progetto di riqualificazione di una piazza alla restante vita di 5 pini?” (…) “La relazione (del dr. Sani n.d.r.) chiarisce definitivamente anche l'impossibilità di perseguire soluzioni alternative che avrebbero potuto trovare una forzata condivisione con i progettisti, quella del trasferimento del pini ai lati dell'anfiteatro in quanto costosissima e impraticabile e quella del mantenimento di quattro pini lungo gli assi trasversali di via D'Azeglio e via del Colli. Il mantenimento dei cinque pini centrali, pur possibile in base alla relazione, avrebbe non poche controindicazioni.

1) Anzitutto la non accettazione da parte dei progettisti fortemente contrari ad eliminare l'anfiteatro centrale considerato il cuore del progetto. Questo causerebbe il rifacimento integrale del progetto (…).

2) la conseguenza di eseguire un intervento costosissimo, sapendo che nel giro di pochi anni (inferiori al periodo di ammortamento dell'intervento) i pini andrebbero tagliati.

3) la indeterminatezza dell'esito dell'intervento di sistemazione attorno ai pini rimanenti che potrebbero essere intaccati nell'apparato radicale durante i lavori.

4) un fuori scala clamoroso rispetto alle nuove piantumazioni previste nel progetto, data l'altezza dei pini, una asimmetria dell'intero spazio percepito, l'eliminazione della piazza centrale e della visione libera del Palazzo delle Poste: in sostanza un pessimo risultato urbanistico ed architettonico;

5) la non fruibilità dello spazio sottostante da parte del cittadini a causa del pericolo di caduta pigne e degli escrementi degli uccelli (problema già evidenziato nella piazza Saint Bon e piazza Brin);

che diversamente, leggendo la vera Relazione Peritale, il dr. Sani dice chiaramente che sia ben difficile poter prevedere ciò che possa accadere agli alberi e, mai si dice che gli alberi siano giunti al termine della propria vita come invece evidenziato nell’interpretazione faziosa contenuta nella memoria presentata dal Comune di Spezia. In particolare nella sua Relazione il dr. Sani, dopo aver mostrato i dati delle varie prove, onestamente afferma: “In questa ottica, la decisione in merito alla conservazione o meno degli alberi vegetanti in piazza G. Verdi e/o delle cure colturali da somministrargli, non può dipendere solo dalle condizioni di "salute" e di stabilità strutturale di ogni soggetto arboreo, ma deve essere affrontata in relazione a criteri valutativi che tengano conto anche, congiuntamente, delle condizioni ambientali che condizionano l'attività vegetativa, da una parte, e delle modalità di fruizione e gestione urbanistica dell'area, con particolare riferimento alla vulnerabilità del sito di potenziale caduta, dall'altra”. Inoltre, nella introduzione della relazione peritale, il dr. Sani chiarisce anche un qualcosa di estremamente importante relativamente alla presunta impossibilità di sottoporre a vincolo il pino domestico sostenuta nella memoria del Comune, egli infatti afferma: “in qualità di arboricoltore, il tecnico incaricato è specialista del settore ed utilizza le conoscenze ed esperienze professionali per esaminare gli alberi e prescrivere misure che ne favoriscano la bellezza, la salute e la sicurezza. Il Committente, proprietario o gestore dell'albero, può scegliere o meno di accettare queste prescrizioni o richiedere approfondimenti. Gli alberi, diversamente da manufatti antropici, sono strutture dinamiche e, nella loro gestione, possono essere applicabili tecniche colturali diverse, che comportano rischi diversi. Una ragionevole gestione del rischio deve avere tuttavia sempre l'obiettivo di conservare alberi che appaiono stabili al verificarsi di eventi meteorici non particolarmente intensi. Con la presente relazione i tecnici incaricati propongono un indirizzo di riferimento per le decisioni gestionali che deve assumere il proprietario/gestore dell'albero. Qualora la percezione del rischio del committente fosse diversa, è

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necessario riconsiderare gli interventi proposti in relazione a tale diversa impostazione. (…). In Arboricoltura non è infatti possibile individuare ogni e qualsiasi condizione che potrebbe portare un albero al cedimento totale o parziale. Gli alberi sono organismi viventi, che possono cadere in molti modi, alcuni dei quali non ancora pienamente compresi. (…);

che, sempre nella memoria difensiva di cui sopra, il Comune tiene a sottolineare di aver effettuato un corretto percorso amministrativo per giungere all'esecuzione dei lavori in base all'autorizzazione concessa nel novembre 2012, provvedendo a redigere 5 progetti distinti per la integrale sistemazione della piazza per l'importo complessivo di € 2.800.000,00 e che gli stessi risultano essere stati tutti appaltati. Nella memoria si sottolinea come “l'impresa NEC, appaltatrice del lavori principali, ha già firmato con riserva il verbale di consegna lavori e che i ritardi dei lavori, la loro modifica o addirittura la loro sospensione provocherebbe danni alla stessa con inevitabile rivalsa verso il comune. Ogni giorno di fermo cantiere costa all'Amministrazione circa 2.000 euro. (…) Sulle risorse comunitarie si ricorda che il progetto POR-FERS come gli altri ricadenti nella programmazione 2007/2013 debbono concludersi tutti entro il marzo 2015. Ogni progetto ha poi una tempistica di spesa rilevata trimestralmente che, se non rispettata, comporta il disimpegno automatico delle risorse dedicate. Inoltre il non raggiungimento della previsione di spesa programmato entro il termine del programma (marzo 2015) potrebbe comportare la revoca dell'intero finanziamento del progetto Por Centro -Città (circa 9 milioni di euro);

che, da quanto sopra, sembra emergere più un discorso di fretta per non perdere i contributi che non una logica tesa alla tutela e decoro della città! Sul discorso dell’eventuale danno economico si dirà più avanti in merito ad una vicenda storica romana che dovrebbe fare scuola;

che, nella Relazione Storica che accompagna il progetto vincitore, i progettisti sostengono che: “La piazza non è nata secondo un originario disegno di tipo razionalista ed è priva di un impianto stilistico a cui si possa fare riferimento e, di conseguenza, a cui ritornare con criteri di restauro. I motivi che sostengono questa affermazione sono almeno i seguenti: 1) il disegno della piazza è conseguenza di scelte urbanistiche successive e non coordinate che ne hanno realizzato uno spazio dalle dimensioni non controllate: infatti con la demolizione del Teatro Politeama furono unite le due piazze, quella su Via Chiodo e quella alle spalle del teatro, con il terzo nuovo spazio ottenuto dalla demolizione dell'edificio stesso; 2) il Palazzo delle Poste di A. Mazzoni, che ne ha condizionato la forma finale, non è sufficiente a caratterizzare stilisticamente una piazza che ha componenti architettoniche disomogenee e di peso riconducibili all'eclettismo fine '800 e allo stile Neo Deco; 3) infine il Palazzo delle Poste di Angiolo Mazzoni non è definibile come architettura razionalista, sia nel senso europeo del movimento (si vedano per tutti Le Corbusier e Gropius), sia nel senso delle ricerche più specificamente italiane dell'epoca (si veda il MIAR, Movimento Italiano per l'Architettura Razionale di Terragni, Figini, Pollini, Libera, ecc), sia per la sua ortodossia con le finalità ideologiche del fascismo2. Infatti nel suo originale eclettismo compaiono varie suggestioni fra cui la suggestione metafisica, che proponeva una monumentalità separata dalla realtà sociale, o addirittura cubiste nella realizzazione sul retro dell'edificio di volumetrie di raccordo con le quote collinari, il tutto frammisto ad archi, lesene, torri, masse solide e materiali di derivazione romana come il travertino e il mattone, senza rinunciare alle statue celebrative che furono tuttavia successivamente cancellate semplificando la trabeazione sulla facciata principale;

2 Come scrive Kenneth Frampton (Storia dell'Architettura Moderna), "l’architettura razionalista era incompatibile con le esigenze retoriche del fascismo". L'opera del Mazzoni appartiene ad uno stile eclettico divenuto con Piacentini lo stile ufficiale del partito, uno stile di derivazione crociana capace di andare a braccetto con l'accademismo (Zevi, Storta dell'architettura moderna) dove l'arte si può raggiungere con tutti i mezzi espressivi anche quelli più facilmente riproducibili.

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che, andando avanti nella loro “lettura storica” di Piazza Verdi i progettisti, perseverando nella loro fede assoluta nell’insegnamento ideologico della storia ricevuto in un ambiente universitario (quello del nostro Paese) dove la visione personale e distorta della storia proposto da Zevi e Frampton la fa da padrona, si sono spinti ad affermare che “i pini, che non sono elementi originari della costruzione della piazza ma inseriti nel 1938 da parte dell'Ufficio Comunale, sono testimonianza di quella corrente monumentale e provincialistica prodotto di un equivoco romantico tipico di certe correnti di falso ambientalismo alla ricerca di toni mediterranei sostenuti dal regime3. L'introduzione del pino domestico nell'epoca fascista fa parte di quell'ideologia di diffusione della civiltà romana e di unificazione del paesaggio al fine di creare una cultura comune nelle varie regioni italiane: ornamento alla solennità e alla grandezza di tempi lontani4. Allo stato attuale questo ruolo ideologico non può certo sostenersi come simbolo di una coscienza di conservazione di valori che sono ampiamente superati. Il pino domestico è ampiamente diffuso lungo tutto il litorale tirrenico, in tipiche formazioni costiere -principalmente di origine artificiale- e, a partire dagli anni '30 è stato massicciamente utilizzato come alberata stradale e come alberatura urbana. La diffusione del pino in ambienti antropizzati, soprattutto lungo le arterie stradali è avvenuta in un periodo in cui le implicazioni sulla circolazione veicolare erano pressoché minime e le tipologie di manto stradale poco interferivano con gli apparati radicali degli alberi. Da un punto di vista forestale le inesistenti o scarse conoscenze dei progettisti e delle manovalanze dell'epoca (e di molti di quelli ancora oggi operanti) hanno comportato un uso improprio di quest'albero realizzando impianti con poco spazio per lo sviluppo delle radici e delle chiome: certamente l'errore maggiore è stato quello di destinarlo a siti completamente inadatti, caratterizzati da traffico o talvolta costituiti da suoli eccessivamente pesanti e compatti, composti da materiali di riporto e scarti di materiali edili;

che, indipendentemente dalla chiave di lettura storica e paesaggistica dei progettisti, mirante a dimostrare con la teoria un risultato già deciso in partenza, la Soprintendenza locale ha provveduto a far maggiore luce sulla realtà storica della piazza e, nello specifico, sulla valenza storica dei pini ivi esistenti, nonché sulle ragioni progettuali facenti capo ad una visione unitaria della piazza che, sebbene non riferibile ad un unico stile (e mi permetterei di suggerire, fortunatamente!) come lamentato nella relazione storica presentata dal gruppo vincitore del concorso attuale, possiede comunque una sua logicità progettuale che la rende un ambiente unico e specifico di un momento storico ben definito che vedeva nella continuità della tradizione – e non ancora nel razionalismo – la necessità di ambientarsi! … Le piazze italiane infatti, ad eccezione di alcuni luoghi barocchi come Piazza San Pietro e Piazza Sant’Ignazio di Roma, sono il risultato di una stratificazione storica che ha visto sorgere palazzi, chiese ed edifici residenziali intorno ad uno spazio pubblico a testimonianza dell’importanza data al rispetto del carattere del luogo e del decoro urbano. In particolare, nella Relazione Storica della Soprintendenza a firma dell’arch. Luisa Papotti, datata 15 ottobre 2013 , si legge: “nel 1937, su progetto dell'Ispettore ai Giardini della Città, si approvò il progetto per l'alberatura della piazza, consistente nella piantagione di n°12 piante di pino domestico lungo l'asse maggiore della piazza in perfetto allineamento con le colonne dell'illuminazione pubblica elettrica: La scelta delle essenze, fatte appositamente arrivare a La Spezia da un vivaio dì Cecina, non appare casuale: l'inserimento nella composizione architettonica della nuova piazza del filare di pini marittimi risponde a quella ‘ricerca di toni mediterranei sostenuti dal regime’ che caratterizza molti coevi interventi di disegno urbano, da quello romano della via dell'Impero, oggi dei Fori Imperiali a quello di Marcello Piacentini per piazza della Vittoria a Genova. L’alberata fu realizzata ed ultimata tra il 1937 ed il luglio 1939,

3 Bruno Zevi, (Storia dell'Architettura Moderna, capitolo: La corruzione fascista) Cioè furono parte di quel clima culturale ricco di contraddizioni che Manfredo Tafuri (Storia dell'Architettura Contemporanea) descrive come fondato lui confronto fra ipotesi di rinnovamento e tendenze reazionarie … dove la salvaguardia del rapporto con la tradizione in un processo formale diviene occasione per riproporre miti mediterranei. 4 F. Panzini, "1860-1960. Un paesaggio vegetale per l’Italia unita" In: Paesaggio. Sopravvivenza e Trasformazione a cura di Francesca Gottardo

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quando ne fu deliberato il pagamento. Nella stessa relazione si può leggere come “nel luglio del 1938 ‘Il Popolo di La Spezia’ descriveva, in un articolo dedicato alle opere pubbliche della Spezia il definitivo completamento con una spesa di oltre 750.000 lire del largo Verdi e delle strade che ad esso fanno capo, necessario per dare - dopo la demolizione del Politeama Duca di Genova e della case adiacenti - organica razionale sistemazione alla bellissima ed importantissima zona della nostra città che ne costituisce il ganglio politico, ed è tradizionale luogo di adunata delle più significative manifestazioni di popolo";

che quindi, a seguito di questa analisi storica più approfondita, in data 12 novembre 2013, la Soprintendenza ai Beni Culturali e Paesaggistici della Regione Liguria emanava un Decreto di Interesse Culturale dell’intera area di Piazza Verdi. Nel Decreto suddetto veniva specificato: “che l'immobile denominato "Piazza Verdi" sito in La Spezia, di proprietà del Comune di La Spezia. (…), è di interesse culturale ai sensi dell'art. 10 comma 1 e 4 lett. g) del citato D.Lgs. 42/2004: l'immobile come sopra denominato viene, quindi, sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenuto nel Decreto Legislativo stesso, in quanto riveste un ruolo importante nel disegno della città, significativo del fenomeno di espansione urbana verso levante, presenta un'essenziale relazione compositiva con gli edifici monumentali che vi prospettano e conserva, nonostante la sostituzione dei materiali nel tempo, elementi riconducibili all'originario impianto degli anni Trenta del XX secolo, quali il filare alberato di pini che ne scandisce lo spazio centrale, come meglio specificato nella relazione storico artistica. L’accertamento dell'interesse costituisce dichiarazione ai sensi dell'art.13, come disposto dal comma 7 dell'art. 12 (…). A cura della Soprintendenza competente esso verrà quindi, trascritto, nei modi dell'art. 15 comma 2 del D. Lgs. 42/2004, presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari ed avrà efficacia anche nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a titolo del bene”;

che, per concludere la premessa il sottoscritto ricorda come, in aggiunta a quanto finora riportato, esistano molti altri argomenti di dibattimento ed una cospicua documentazione agli atti che testimoniano come i cittadini di Spezia, in maniera individuale e/o in forma di associazioni in comitati e o movimenti ambientalisti, culturali o filantropici, stiano strenuamente opponendosi alle decisioni d’ufficio della presente amministrazione.

2 – RIFLESSIONI

Al sottoscritto è stato richiesto di esprimere un parere urbanistico architettonico sul progetto vincitore del concorso nonché sull’eventuale legittimità del taglio delle alberature previsto dallo stesso. Considerati i documenti esaminati, specie alla luce di alcune affermazioni ideologiche contenute nella relazione storica allegata al progetto e nelle memorie difensive del Comune della Spezia, lo scrivente ritiene necessario far chiarezza su alcuni aspetti storici che possono risultare utili a comprendere meglio l’argomento del contendere.

Per quanto possa sembrare poco ortodosso all’interno di una perizia tecnica, il sottoscritto ritiene utile fare un breve excursus atto ricordare a chi dovrà emettere un giudizio definitivo su questa triste faccenda, quanta importanza venisse in passato data al parere della comunità dei cittadini relativamente a scelte urbanistiche che riguardavano la res publica. È utile infatti ricordare come, prima delle imposizioni urbanistico-architettoniche di matrice ideologica scaturite dal CIAM del ’33 – ma già in nuce nelle teorie di Le Corbusier (sponsorizzate dal produttore di automobili francese Voisin a partire dai primi anni ’20 del secolo scorso) – l’opinione della gente e il rispetto del decorum rivestivano un ruolo vitale nello sviluppo delle città. Nello specifico italiano è utile ricordare che questo approccio “partecipato e condiviso” alla progettazione urbana

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ebbe fine, proprio all’indomani del completamento di Piazza Verdi a La Spezia, con alcune leggi delle quali ancora oggi paghiamo delle conseguenze5.

Prima di quella data infatti, perfino nell’Italia fascista, venivano concepite norme come quelle contenute nella Relazione al Piano di Bari Vecchia del 1930, ispirato da Gustavo Giovannoni e studiato da Concezio Petrucci, dove si ammoniva: «[…] Tra le attribuzioni del Comune e della commissione dovrà essere quella che fa capo al Diritto Architettonico, in quanto l’opera esterna non tanto appartiene al proprietario quanto alla città». Se questa illuminata norma non bastasse a chiarire quanto fosse importante il giudizio collettivo rispetto a quello soggettivo, risulta utile ricordare un interessante aneddoto riportato nell’autobiografia dell’architetto romano Armando Brasini, un aneddoto che, come si è detto in precedenza in merito all’eventuale danno economico derivante dalla mancata realizzazione del progetto per Piazza Verdi, ancora oggi dovrebbe far scuola tra gli amministratori delle nostre città … Brasini scrive: «(…) ricorderò che al tempo in cui presentai a Mussolini i progetti della via Imperiale, della via del Mare, l’ingrandimento della Piazza dell’Ara Coeli (che venivano a formare un’unica visione con il complesso monumentale che circonda il Vittoriano), un giorno mi accorsi che tra il Palazzetto Venezia in Piazza San Marco e la via dell’Ara Coeli si allestiva un grande recinto che aveva l’apparenza di un cantiere edilizio. Meravigliato, per rendermi conto di quanto stava succedendo chiesi notizia in proposito al governatore di Roma, il Principe Boncompagni, il quale mi informò di aver ceduto l’area recintata alla “Confederazione dell’Industria” la quale avrebbe fatto costruire un grande edificio. Alle mie proteste mi fu risposto che non vi era più nulla da fare perché il progetto del costruendo palazzo era già stato approvato dai più eminenti architetti del consiglio superiore dei Lavori Pubblici, dal ministro Ricci e financo da Mussolini, il quale aveva firmato di suo pugno il progetto stesso. Posto di fronte al fatto compiuto scrissi una lettera vivacissima a Mussolini, facendo presente che l’approvazione da parte sua della costruzione di quel palazzo era in netto contrasto con quanto egli aveva approvato precedentemente, mentre lo stato di fatto veniva a compromettere irrimediabilmente l’intera zona. Mussolini rendendosi conto dell’errore mi fece chiamare, mi ringraziò, ed accettò il mio consiglio; dopo di che diede ordine di sospendere l’inizio dei lavori e ciò permise di salvare la visione del Campidoglio e di tutto quanto lo circonda e che forma la più grande visione della romanità nelle sue epoche» … leggendo questa breve storia viene da riflettere sulla presunta impossibilità, specie in un periodo “democratico” come quello attuale, di poter fare marcia indietro su delle decisioni prese e su degli appalti già assegnati, ignorando testardamente l’evidente malcontento generale tra i cittadini spezzini e tra tutte le persone che, pur non essendo spezzine, tengano a cuore uno dei luoghi più celebrati e vitali del capoluogo ligure … a tal proposito viene anche da chiedersi le ragioni per le quali, piuttosto che dedicarsi al miglioramento di brani di città dove imperversano il degrado e lo squallore, si sia stata sentita l’esigenza di “riqualificare” l’architettura e l’arte di un luogo che, da sempre, pullula di vita e si presenta come un libro aperto di storia dell’architettura e dell’arte spezzina e italiana a cavallo tra l’Otto e il Novecento!

Occorre altresì ricordare come, almeno dall’epoca dei codici urbanistici medievali (Siena, Vicenza, Orvieto, ecc.) l’approvazione di progetti urbanistico-architettonici abbia visto la necessità di porre in primis il decoro urbano e il rispetto di tutti. Non è un caso se la formula di approvazione di un progetto a Venezia fino a non molto tempo fa fosse “ch’el sia fata ca staga ben!” … oggi purtroppo viviamo in una società dove il concetto di “libertà” risulta distorto al punto di arrivare a confondersi con quello di “arroganza”: a causa del modo ideologico e pseudo-intellettuale di guardare all’arte ed all’architettura, viene rivendicato il diritto di libertà di espressione di un presunto artista e/o architetto anche in spregio della libertà di un’intera comunità di manifestare il proprio dissenso contro delle opere che comprometterebbero per sempre il senso di appartenenza e il genius loci.

5 Nel 1938 lo Stato Italiano, approvava le “Istruzioni per il restauro dei Monumenti” redatte dal Ministero della Pubblica Istruzione, nelle quali, al punto 8, si ammoniva: «per ovvie ragioni di dignità storica e per la necessaria chiarezza della coscienza artistica attuale, è assolutamente proibita, anche in zone non aventi interesse monumentale o paesistico, la costruzione di edifici in «stili» antichi, rappresentando essi una doppia falsificazione, nei riguardi dell’antica e della recente storia dell’arte» Il 17 agosto 1942 lo Stato Italiano approvava la Legge Urbanistica Statale n°1150 tutt’oggi vigente, una legge volta alla messa in atto della città a dimensione di automobile in luogo di quella a dimensione umana, secondo i dettami della Carta di Atene voluta da Le Corbusier anche in opposizione ai membri del CIAM del ’33 che mai giunsero ad un accordo sull’argomento.

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Purtroppo, a seguito della nuova visione ideologica dell’architettura e dell’urbanistica imposto nelle facoltà di architettura a partire dai primissimi anni ‘60, i cittadini “moderni” sono stati costretti ad abdicare a favore di una presunta èlite colta (Le Corbusier ha più volte ribadito questa definizione degli architetti nelle lettere inviate a Gideon, Presidente del CIAM, affinché pubblicasse la Carta di Atene6); questa èlite, in nome della sua presunta preparazione ed in nome di una visione molto distorta e personale della “modernità”, ha riposto nel dimenticatoio concetti come il bene e bello condiviso, il decoro e la scala umana, ovvero quei concetti che, da sempre, avevano sovrinteso all’opera degli architetti … non è un caso se, prima dell’avvento della “cultura” modernista non si fossero mai registrate manifestazioni di piazza, (anche eclatanti come lo sciopero della fame di un cittadino spezzino nel caso di Piazza Verdi), per scongiurare la realizzazione di progetti urbanistico-architettonici non condivisibili. Urge ricordare che la Legge Urbanistica tutt’ora vigente in Italia (1150/42) risulta essere una delle prime leggi urbanistiche, a livello internazionale, emanate all’indomani della pubblicazione (in quello stesso anno) della Carta di Atene imposta da Le Corbusier.

Fortunatamente molti dei nostri centri storici sono stati in grado di passare indenni alla falce di certi personaggi che, negli anni, hanno imposto un modo di costruire lontano anni luce dalla reali esigenze umane, sicché il nostro Paese continua ad essere la meta più ricercata del turismo colto (e non) di tutto il mondo … cosa accadrebbe se, per il capriccio di qualche architetto e/o artista autoreferenziale sostenuto da qualche politico in cerca di notorietà, venissero meno quei caratteri ambientali che possono ritrovarsi nelle nostre città?

3 – CONCLUSIONI

La Spezia può, senza ombra di dubbio, definirsi una capitale dell’Italia Liberty e Decò, una splendida realtà dove gli ultimi grandi episodi dell’arte e dell’architettura che possano annoverarsi nei libri di storia hanno generato un incantevole unicum italiano. In questo unicum sorge anche la Piazza Verdi che, con la forza del suo carattere unitario ma non uniforme e con la sua storia, è da ritenersi senz’altro un luogo già abbondantemente “qualificato” per poter essere oggetto di una “riqualificazione architettonica e artistica”.

Come è stato detto, anche in maniera più approfondita nella Relazione Storica elaborata a cura della Soprintendenza della Regione Liguria, parte integrante di questa “unitarietà” è data dal filare di pini domestici piantati secondo uno schema logico e/o ideologico che, in quanto testimone del suo tempo, rende inammissibile la loro rimozione!

Sarebbe utile riflettere sul fatto che, finché le trasformazioni urbane sono state operate nel rispetto delle tradizioni locali, esse hanno sempre raccolto il consenso pubblico … fino a quel momento non v’era alcuna necessità per la gente comune di doversi far spiegare da un critico esperto (autoproclamatosi tale) il significato nascosto dell’intervento! Le trasformazioni e addizioni urbane hanno trovato consenso finché gli architetti hanno saputo e voluto dialogare col contesto, quando tutto questo è venuto meno, l’opera degli architetti, spesso accompagnata da parole arroganti, ha iniziato ad essere guardata con sospetto e timore!

È il caso per esempio delle parole che hanno accompagnato il progetto per Piazza Verdi, parole che non hanno fatto altro che ingigantire il senso di rifiuto da parte della cittadinanza rispetto ad un’opera ritenuta inutile quanto brutta.

La relazione e il progetto risultano spesso in contraddizione. Per esempio, mentre si parla della necessità di “ridurre drasticamente il carico del traffico veicolare urbano”, ci si accorge che la “piazza” verrebbe a configurarsi come una lunga isola delimitata dal traffico veicolare: quantunque si possa supporre una limitazione al solo transito del trasporto pubblico, ci si troverebbe comunque davanti ad un’esplanade più che a una piazza, che non presenta alcuna protezione totale dai veicoli su almeno uno dei suoi lati (come accade in tutte le piazze

6 Per un approfondimento si rimanda al saggio scritto dal sottoscritto e disponibile on-line al link http://www.de-architectura.com/2009/07/dietro-il-modernismo-alcune-verita.html

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PROF. ARCH. ETTORE MARIA MAZZOLA CONSULENZA TECNICA NEL RICORSO AL T.A.R. LIGURIA R.G. 1008/13 RIGUARDANTE IL PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE

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degne di tale nome); una spianata che non presenta alcun senso di contenimento dello spazio stesso, ovvero priva del senso ultimo della piazza italiana. Il progetto, più che ad una piazza italiana è assimilabile a quegli spazi sconfinati che gli americani chiamano “plaza” che risultano molto distanti da un concetto italiano di piazza e fini a se stessi.

A conferma delle intenzioni degli architetti di non avere alcun interesse a relazionarsi con il contesto, né con l’idea di piazza italiana preferendo il modello (fine a se stesso) della plaza americana, i progettisti hanno affermato di voler dare a quel luogo una “definizione di ordine spaziale non monumentale ma ludica”, sottolineando che “nella nuova immagine del progetto non vi è nostalgia del passato ma fiducia nel tempo che avanza rinnovandosi”!!! Perché allora fingere interesse verso la storia di un luogo presentando una relazione storica se non v’è alcun interesse a riflettere sul codice genetico delle piazze italiane? … I progettisti avrebbero dovuto mettere da parte l’approccio ideologico e capire che, ragionare sulla “tipologia” e sulla “storia” delle piazze italiane non equivale ad essere nostalgici del passato – se mai questo fosse un problema – ma risulta utile a realizzare uno spazio decoroso per quel luogo e riconoscibile come piazza piuttosto che un luogo “usa e getta”!

La piazza dovrebbe essere un luogo accogliente e protetto, un luogo coerente con l’intorno, dove viene ad instaurarsi un rapporto privilegiato di relazione tra lo spazio aperto e uno o più edifici emergenti lungo il suo perimetro.

La decisione di non rispettare l’ordine spaziale esistente, creandone uno nuovo “ludico” (ove 14 discutibili portali verdi e rossi – all’interno dei quali ci saranno dei nebulizzatori d’acqua – e vasche allagate intransitabili se non con sistemi di guado), trasformerà questo simbolico luogo spezzino in un pessimo esempio di kitsch, ispirato ad un outlet o uno shopping mall, che molto difficilmente garantirà la vitalità ed il senso di appartenenza attuale del luogo.

Piuttosto che temere di essere “nostalgici”, i progettisti avrebbero potuto immaginare come rendere maggiormente fruibile e sicuro lo spazio pedonale, magari limitando lo stesso volume di traffico veicolare che intendono mantenere lungo il lato mare, proteggendo quindi la piazza lungo il lato dell’ufficio postale mazzoniano.

La verità è che, nella totale mancanza di volontà di dialogare con il contesto, certi progettisti preferiscono intraprendere delle battaglie – perse in partenza, agli occhi della stragrande maggioranza della gente – nelle quali giustificano, in maniera poco credibile, delle opere fini a se stesse come opere di “riqualificazione”. Nel caso in oggetto, la giustificazione dei progettisti vedrebbe La Spezia come “la rappresentazione di una profonda aspirazione alla modernità” … Ma la modernità è ben altra cosa che non il modernismo! Sorge quindi il dubbio che questa aspirazione risulti solo appannaggio dei progettisti.

Il limite maggiore del progetto, in netto contrasto con quanto veniva scritto all’epoca in cui venivano piantati gli alberi oggetto del contendere è che, grazie alla “messa a dimora” dei telai di Buren in luogo degli alberi, e grazie alle vasche ed alle aree scavate delle futura Piazza Verdi, essa non risulterà essere più fruibile dagli esseri umani, perché ridotta ad una spianata utile solo alla mostra dei 14 portali – 7 prima e 7 dopo la “piazza scavata” davanti all’edificio postale.

Nella Piazza, i progettisti dicono di voler realizzare una “interpretazione dell’assenza come segno morbido scavato per un teatro centrale” … concetto alquanto arcano da comprendere, specie considerando che quello che viene proposto è un ambiente rettangolare gradonato su tutto il perimetro più assimilabile alla tipologia dell’anfiteatro che non a quella teatro, ma non è questo il problema più importante del progetto proposto, poiché il problema più serio è che, se mai una realizzazione del genere avesse luogo, un disabile non potrà mai più pensare di potersi avvicinare al centro dell’ambiente, a meno cha non intenda rischiare di cadere dalle gradonate!

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A tal proposito sarebbe utile ricordare che esistono delle norme specifiche in materia di abbattimento delle barriere architettoniche che non possono venire ignorate in una nuova progettazione, norme che prevedono che una “piazza” debba essere accessibile a tutti! … La cosa appare quanto meno contrastante con l’affermazione dei progettisti secondo i quali “nel progetto l’arte è intesa come utile, cioè non come pura immagine ma come strumento di realizzazione di spazi fruibili e contemporanei in grado di creare nuove percezioni e riconnessioni ambientali”.

I progettisti affermano che la nuova Piazza Verdi possieda una “scala tagliata sull’uomo, i cui intenti sono quelli di ricreare un luogo stimolante e di cui riappropriarsi per l’abitare”, e che il progetto – che si ricorda propone l’abbattimento delle attuali alberature, fondamentali per ombreggiare un luogo così vasto – risulti sostenibile.

Nel capitolo intitolato “Comfort Ambientale e Sostenibilità” i progettisti infatti affermano: “Non si dà un progetto di uso se non si realizza allo stesso tempo un livello adeguato di comfort ambientale. L’uso degli elementi naturali: tappeti erbosi, specchi d’acqua e nuove alberature per l’aumento dell’ombreggiatura, contribuiscono al miglioramento del microclima estivo locale secondo i principi della bioclimatica applicata agli spazi esterni. Altri criteri di sostenibilità applicabili sono: il risparmio idrico attraverso l’uso delle superfici pavimentate per la raccolta e il riuso delle acque piovane per le fontane e l’irrigazione del verde; l’uso di materiali naturali e locali per le pavimentazioni; il controllo dell’inquinamento luminoso e l’uso di fonti a basso consumo (led incassati nel pavimento); progetto sonoro e riduzione dell’inquinamento acustico; uso di tecniche attive per il raffrescamento estivo (nebulizzatori inseriti nel percorso d’arte)” … davvero poco per definire il progetto sostenibile!

Chi conosca il progetto proposto ed abbia un minimo senso dello spazio potrà rendersi conto che lo spazio realmente disponibile per i pedoni spezzini risulterà molto ridotto, mentre la futura assenza di ombreggiature come quelle attuali renderà molto poco desiderabile la fruizione della futura piazza Verdi … che ne sarà dunque di quello spazio che nel summenzionato articolo del luglio del 1938 su “Il Popolo di La Spezia” veniva descritto come una “bellissima ed importantissima zona della nostra città che ne costituisce il ganglio politico, ed è tradizionale luogo di adunata delle più significative manifestazioni di popolo"?

Indipendentemente dalla varie letture di parte che possono farsi della storia e dello stato di salute dei pini domestici di Piazza Verdi, c’è di fatto che l’intero luogo risulta essere stato sottoposto a vincolo culturale e paesaggistico, quindi si ritiene assolutamente impossibile attuare il progetto di trasformazione della piazza nel modo in cui esso è stato concepito. Qualora una indispensabile perizia d’ufficio dovesse confermare la necessità di abbattimento dei 4 pini “pericolanti”, come indicato dalla Soprintendenza, gli stessi dovranno essere sostituiti e mai rimossi definitivamente, affinché non venga meno l’unitarietà urbanistica di questo spazio unico che ci testimonia l’articolata vicenda storica dell’urbanistica spezzina tra Otto e Novecento.

Roma, 25 marzo 2014 In fede

Arch. Ettore Maria MAZZOLA