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Questi che stiamo vivendo sono stati mesi difficili per il Paese, nel corso dei quali sono stati messi a dura prova il suo tessuto sociale e produttivo. Le Istituzioni sono state sollecitate in maniera intensa dalla crisi economica e dalle difficoltà occupazionali a fornire delle risposte ai lavoratori, alle imprese e alle famiglie. Risposte che si sono tradotte in misure efficaci che hanno consentito di mitigare e affrontare con minori criticità rispetto a quanto è avvenuto in altri Paesi, questa drammatica contingenza. L’attuale fase però dimostra, che non basta l’efficacia dell’azione amministrativa per restituire solidità alla credibilità delle Istituzioni e partecipazione ai cittadini. Non è più sufficiente rivendicare legittimamente il risultato, occorre ridare una prospettiva alle speranze della società. Per farlo credo si debba riconoscere che oggi c’è un vuoto di partecipazione e senso di appartenenza e questo vuoto, prima che a riempirlo siano la demagogia del qualunquismo, la furbizia dei parvenu o all’opposto la scaltrezza d navigati faccendieri della politica, va riempito. Mi onoro di appartenere ad un partito che ha saputo creare in poco tempo un’ondata di consenso attorno a sé, capace di reggere agli urti mediatici di tutti questi mesi. Ma ho la consapevolezza che il rischio sia quello, se si continua sulla strada dell’isolamento dalla gente, di disperdere un patrimonio di militanza, mobilitazione e partecipazione che ha permesso ad un intero ambiente politico di restare unito nei momenti di sconfitta e di saper affrontare le sfide per essere classe di governo. Si sta consolidando la prassi di notificare le decisioni e gli indirizzi politici sulle pagine dei giornali. Ritengo sia una scelta comoda, ma non utile. Facile, ma di breve respiro. Se riduciamo lo spazio di dibattito a vantaggio esclusivo della comunicazione “istituzionale”; se azzeriamo lo spazio di elaborazione politica e culturale per lasciare visibilità soltanto allo spot di una conferenza stampa o alla campagna elettorale permanente togliamo senso all’esistenza di un partito – che è quotidiana mediazione fra interessi diversi nell’ottica di una comune visione di futuro – e lasciamo il campo aperto a solitarie e personalistiche battaglie di potere. Per questo sono convinta che occorra ripartire dalla base, che è un concetto di cui nel tempo si è abusato ma di cui occorre urgentemente riappropriarsi. Occorre ricreare degli spazi di reale dibattito interno; dotare il partito di organismi che funzionino e all’interno dei quali vi sia condivisione e formazione di idee e di progetti. È necessario riportare le decisioni nei luoghi di discussione e sottrarli alla scelta di pochi: non siamo casta, non dobbiamo diventare un club. La politica non ha nulla da guadagnare, in termini di credibilità, quando rischia di arrivare alla gente soltanto per i vari toto - nomine che riempiono periodicamente le pagine dei giornali, per quei balletti di poltrone che alimentano una visione distorta e riduttiva della politica e per altre dinamiche che non riguardano se non marginalmente la vita di ogni giorno. La Politica e il Paese si attendono partecipazione. Quella vera. Quella dei luoghi dove discutere, confrontarsi e decidere. Occorre riappropriarsi delle piazze, quelle reali: non quelle del qualunquismo, ma quelle dove si ha il coraggio di incontrare l’entusiasmo o la delusione della gente. Quelle dove un politico possa tornare ad incontrare le aspettative dei suoi concittadini ai quali provare a raccontare quale futuro ha immaginato per loro e per i loro figli. Abbiamo chiuso la Prima Repubblica pensando di poter chiudere anche con i partiti. Ci siamo risvegliati da questa illusione pronti a esaltare il successo ottenuto da chi ha restituito partecipazione ed è tornato “fra le gente”. Pur consapevole dei forti limiti che una stagione politica ha conosciuto, ci siamo ritrovati a confrontarci con il rimpianto per i partiti “di una volta”, che avevano la capacità di riunire attorno ad un progetto i loro militanti e sapevano svolgere così quella loro irrinunciabile funzione sociale, di punto di incontro e di sintesi tra le domande dei cittadini e le Istituzioni che le interpretano. Senza valori e senza responsabilità non si crea il bene per il territorio e la Comunità nella quale siamo chiamati a vivere e ad operare. Rafforzare, innovare e ripensare la società deve condurci a disegnare una visione degli anni a venire che ristabilisca un patto di reciproca fiducia fra la Politica e i cittadini. Occorre per questo delineare e individuare un percorso che lasci intravedere una prospettiva del futuro che ci liberi dall’esigenza di un consenso immediato e ci consenta di tracciare delle tappe che diano non solo risposte, ma siano capaci di suscitare quella condivisione di mezzi e di fini, di idee e di futuro, fra le istituzioni e la sua gente. Per questa ragione c’è la reale esigenza di creare dei contenitori come l’Associazione alla quale stiamo dando vita. Non per riempire la nostra area politico dell’ennesimo luogo per un’ autoreferenziale riflessione politico- culturale, ma per dare vita ad uno spazio di sana e necessaria elaborazione di pensiero. “È necessario riportare le decisioni nei luoghi di discussione e sottrarli alla scelta di pochi: non siamo casta, non dobbiamo diventare un club.” SEGNIAMO LA ROTTA… Magazine WWW.MERIDIANAMAGAZINE.ORG GENNAIO - FEBBRAIO 2010 Anno 0, N. 0 - diffusione gratuita - di Alessia Rosolen* LA NOSTRA MERIDIANA Segnerà il tempo da Nord a Sud con un solo obiettivo: contribuire alla crescita politica e culturale del Popolo delle Libertà. ROTOLANDO VERSO SUD Sviluppo e legalità quel binomio inscindibile che fatica ad imporsi di Ulderico De Laurentiis a pag. 6 GIOVANE COME L’ITALIA Esserlo realmente è saper rappresentare le sfide di una generazione Alberto Spampinato a pag. 2 di Basilio Catanoso a pag. 3 * Assessore regionale Friuli Venezia Giulia R. Zatkova, Ritratto di Marinetti

Meridiana | Gennaio - Febbraio 2010

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Questi che stiamo vivendo sono stati mesi difficili per il Paese, nel corso dei quali sono stati messi a dura prova il suo tessuto sociale e produttivo. Le Istituzioni sono state sollecitate in maniera intensa dalla crisi economica e dalle difficoltà occupazionali a fornire delle risposte ai lavoratori, alle imprese e alle famiglie. Risposte che si sono tradotte in misure efficaci che hanno consentito di mitigare e affrontare con minori criticità rispetto a quanto è avvenuto in altri Paesi, questa drammatica contingenza.L’attuale fase però dimostra, che non basta l’efficacia dell’azione amministrativa per restituire solidità alla credibilità delle Istituzioni e partecipazione ai cittadini. Non è più sufficiente rivendicare legittimamente il risultato, occorre ridare una prospettiva alle speranze della società.Per farlo credo si debba riconoscere che oggi c’è un vuoto di partecipazione e senso di appartenenza e questo vuoto, prima che a riempirlo siano la demagogia del qualunquismo, la furbizia dei parvenu o all’opposto la scaltrezza d navigati faccendieri della politica, va riempito. Mi onoro di appartenere ad un partito che ha saputo creare in poco tempo un’ondata di consenso attorno a sé, capace di reggere agli urti mediatici di tutti questi mesi. Ma ho la consapevolezza che il rischio sia quello, se si continua sulla strada dell’isolamento dalla gente, di disperdere un patrimonio di militanza, mobilitazione e partecipazione che ha permesso ad un intero ambiente politico di restare unito nei momenti di sconfitta e di saper affrontare le sfide per essere classe di governo. Si sta consolidando la prassi di notificare le decisioni e gli indirizzi politici sulle pagine dei giornali. Ritengo sia una scelta comoda, ma non utile. Facile, ma di breve respiro.Se riduciamo lo spazio di dibattito a vantaggio

esclusivo della comunicazione “istituzionale”; se azzeriamo lo spazio di elaborazione politica e culturale per lasciare visibilità soltanto allo spot di una conferenza stampa o alla campagna elettorale permanente togliamo senso all’esistenza di un partito – che è quotidiana mediazione fra interessi diversi nell’ottica di una comune visione di futuro – e lasciamo il campo aperto a solitarie e personalistiche battaglie di potere.Per questo sono convinta che occorra ripartire dalla base, che è un concetto di cui nel tempo si è abusato ma di cui occorre urgentemente riappropriarsi.Occorre ricreare degli spazi di reale dibattito interno; dotare il partito di organismi che funzionino e all’interno dei quali vi sia condivisione e formazione di idee e di progetti. È necessario riportare le decisioni nei luoghi di discussione e sottrarli alla scelta di pochi: non

siamo casta, non dobbiamo diventare un club.La politica non ha nulla da guadagnare, in termini di credibilità, quando rischia di arrivare alla gente soltanto per i vari toto - nomine che riempiono periodicamente le pagine dei giornali, per quei balletti di poltrone che alimentano una visione distorta e riduttiva della politica e per altre dinamiche che non riguardano se non marginalmente la vita di ogni giorno. La Politica e il Paese si attendono partecipazione. Quella vera. Quella dei luoghi dove discutere, confrontarsi e decidere.Occorre riappropriarsi delle piazze, quelle reali: non quelle del qualunquismo, ma quelle dove si ha il coraggio di incontrare l’entusiasmo o la delusione della gente. Quelle dove un politico

possa tornare ad incontrare le aspettative dei suoi concittadini ai quali provare a raccontare quale futuro ha immaginato per loro e per i loro figli. Abbiamo chiuso la Prima Repubblica pensando di poter chiudere anche con i partiti. Ci siamo risvegliati da questa illusione pronti a esaltare il successo ottenuto da chi ha restituito partecipazione ed è tornato “fra le gente”. Pur consapevole dei forti limiti che una stagione politica ha conosciuto, ci siamo ritrovati a confrontarci con il rimpianto per i partiti “di una volta”, che avevano la capacità di riunire attorno ad un progetto i loro militanti e sapevano svolgere così quella loro irrinunciabile funzione sociale, di punto di incontro e di sintesi tra le domande dei cittadini e le Istituzioni che le interpretano.Senza valori e senza responsabilità non si crea il bene per il territorio e la Comunità nella quale siamo chiamati a vivere e ad operare. Rafforzare,

innovare e ripensare la società deve condurci a disegnare una visione degli anni a venire che ristabilisca un patto di reciproca fiducia fra la Politica e i cittadini.

Occorre per questo delineare e individuare un percorso che lasci intravedere una prospettiva del futuro che ci liberi dall’esigenza di un consenso immediato e ci consenta di tracciare delle tappe che diano non solo risposte, ma siano capaci di suscitare quella condivisione di mezzi e di fini, di idee e di futuro, fra le istituzioni e la sua gente.Per questa ragione c’è la reale esigenza di creare dei contenitori come l’Associazione alla quale stiamo dando vita. Non per riempire la nostra area politico dell’ennesimo luogo per un’ autoreferenziale riflessione politico- culturale, ma per dare vita ad uno spazio di sana e necessaria elaborazione di pensiero.

“È necessario riportare le decisioni nei luoghi di discussione e sottrarli alla scelta di pochi: non siamo casta, non dobbiamo diventare un club.”

SEGNIAMO LA ROTTA…

Magazine

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GENNAIO - FEBBRAIO

2010Anno 0, N. 0 - diffusione gratuita -

di Alessia Rosolen*

LA NOSTRA MERIDIANASegnerà il tempo da Nord a Sud con un solo obiettivo: contribuire alla crescita politica e culturale del Popolo delle Libertà.

ROTOLANDO VERSO SUDSviluppo e legalità quel binomio inscindibile che fatica ad imporsidi Ulderico De Laurentiisa pag. 6

GIOVANE COME L’ITALIAEsserlo realmente è saper rappresentare le sfide di una generazioneAlberto Spampinatoa pag. 2

di Basilio Catanoso a pag. 3

* Assessore regionale Friuli Venezia Giulia

R. Zatkova, Ritratto di Marinetti

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2 GEN - FEB 2010

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GIOVANE COME L’ITALIAdi Alberto Spampinato*

Rinnovarsi. La chiave di lettura della politica italiana

sembra ormai essere la ricerca di nuovi assetti

per meglio offrire risposte alla nostra nazione. E,

soprattutto alla luce del percorso intrapreso da

Alleanza Nazionale e Forza Italia che ha sancito

la nascita del Pdl, il mondo giovanile non poteva

non interrogarsi sul ruolo e sull’assetto che è

necessario darsi per rivolgersi alla maggioranza

dei giovani italiani.

Azione Giovani, in termini di qualità delle attività

svolte, numero di iscritti, ramificazione sul territorio,

nelle scuole e nelle università, in termini di qualità

e quantità di giovani amministratori che esprime,

rappresenta la compagine politica giovanile più forte e incisiva sulla politica italiana.

Ma il dibattito nato attorno alla fondazione del PdL spinge a una

riflessione nuova e a un obiettivo più ampio e ambizioso. Costruire in

Italia la più grande forza in grado di rappresentare tutto il panorama

giovanile del centrodestra e in grado di incarnare quella continuità di

valori in linea con la tradizione della destra italiana.

La Giovane Italia, il movimento ufficiale del PdL (composto da Azione

Giovani, Azione Studentesca, Azione Universitaria e dai gruppi giovanili

provenienti da Forza Italia) nasce con un gravoso compito, quello

di rappresentare a livello giovanile il Popolo della Libertà, un partito

che raccoglie vastissimo consenso tra gli under 35, e trovare nuove

forme di comunicazione per rappresentare al meglio le istanze di una

generazione, offrendo modelli aggregativi e di impegno in grado di

essere da traino per i giovani.

L’aver metabolizzato la necessità di creare un soggetto unitario ha

portato ad un confronto tra due facce della stessa medaglia, la destra

italiana, che da anni operavano fianco a fianco senza aver mai trovato

dei forti e continui momenti di confronto.

Dal 1994 in poi, le esperienze del Polo della Libertà e della Casa

delle Libertà, le esperienze di governo del 1994, del 2001 e del 2008

hanno sempre visto Forza Italia e Alleanza Nazionale fianco a fianco,

nell’elaborazione dei programmi elettorali e nel portare avanti l’azione

di governo.

Il compito più arduo spetta adesso ai giovani del nostro partito. Trovare

una unità di azione, in linea con l’appartenenza al medesimo partito, e

coerente con il proprio trascorso storico e politico.

Saper uscire dalla dialettica di partito e saper affrontare un processo

fondativo sincero e partecipato rappresenta la scelta più responsabile

che la nostra gioventù deve saper fare. La struttura di transizione che

porterà Azione Giovani e Forza Giovani alla Giovane Italia rappresenta

in maniera paritetica i due movimenti giovanili. Un 50% e 50% della

rappresentanza a qualsiasi livello, che sancisce il principio della voglia

di costruire insieme, rinunciando alle rendite di posizione che il partito

dei grandi ha imposto nei propri quadri intermedi, e ponendo il futuro

del nuovo movimento giovanile nella capacità di autodeterminarsi.

La sfida che la Giovane Italia dovrà affrontare sarà quella del

rinnovamento della propria struttura: nell’età dei propri dirigenti e

rappresentanti, più vicini ai giovani; nella capacità di aggregare tutte

le realtà giovanili vicine al centrodestra, diventando un laboratorio

politico e culturale, espressione di un movimentismo legato alla politica

classica, al volontariato, all’associazionismo, alla cultura; nella capacità

di relazionarsi con gli ambiti territoriali e di azione politica, quali scuola

e università; nella capacità di utilizzare canali di dialogo più vicini

alle giovani generazioni; nella capacità di farsi portavoce di istanze

giovanili.

Il precariato sociale, le tossicodipendenze, gli attacchi al diritto alla

vita, la schiavitù delle mafie, la difficoltà a costruirsi un futuro attraverso

il riconoscimento del proprio merito e del proprio valore in ambito

professionale, la difficoltà di dare un valore al proprio titolo di studi.

Quando Giorgia Meloni, presidente nazionale della Giovane Italia, ha

ricevuto il mandato di rappresentare nel Governo tutti i giovani attraverso

il Ministero della Gioventù, ha subito compreso il peso del compito che

la attendeva: “La nostra generazione è la prima generazione che si

confronta con una realtà peggiore di quella che avevano ereditato i loro

genitori”. Di questo dobbiamo farci carico. La nostra missione sta nel

trovare strumenti adatti a ribaltare l’attuale. La capacità rivoluzionaria di

un movimento politico sta nel lasciare delle tracce indelebili del proprio

passaggio, nel costruire la strada su cui, chi ci seguirà, potrà proseguire

il proprio percorso. Dobbiamo lasciare una traccia forte del percorso

che fin qui abbiamo seguito. Dobbiamo indicare una via chiara e sicura

alle generazioni che ci seguiranno.

C’è una generazione che urla per venire allo scoperto. C’è una

generazione che si batte ogni giorno contro il degrado, prestando il

proprio servizio attraverso il volontariato. C’è una generazione che

sceglie di mettere al mondo un figlio e di costruirsi una famiglia,

rifiutando l’aborto e barcamenandosi tra stipendi bassissimi e contratti

a tempo senza certezza di rinnovo e senza la minima tutela. C’è una

generazione che si ribella alle mafie, con le campagne contro il pizzo,

con le manifestazioni in regioni e in comuni in cui fino a pochi anni fa

era impensabile soltanto pronunciare la parola ‘ndrangheta, o mafia,

o camorra. Occorre dar voce a questa generazione, alla pare migliore

di una generazione, che non si riconosce in un mondo di veline e

spacciatori, di disimpegnati e di bulli. Occorre riconoscere la parte della

barricata sulla quale stare, coniugando la nostra azione politica con la

nostra identità. Giovani del nostro tempo, ribelli e fieri; capaci di essere

il megafono della gioventù di una intera nazione.

Capaci di essere davvero la Giovane Italia!

* Dirigente Nazionale Giovane Italia

Page 3: Meridiana | Gennaio - Febbraio 2010

SCEGLIERE, PARTECIPARE,CONTARE DI PIU’di Basilio Catanoso*

Scegliere. Partecipare. Contare di più.

Sono le parole d’ordine di una nuova stagione

politica, di quella “seconda fase” del Popolo

delle Libertà che oggi è sentita e attesa dalla

classe dirigente, dai militanti, dai simpatizzanti

della più grande formazione politica del centro

destra dal dopoguerra ad oggi. Le regole della

Politica sono tanto semplici quanto difficili da

applicare: consenso, partecipazione popolare

e legittime ambizioni da soddisfare, rimangono

spesso un patrimonio per “iniziati”, lontano

dal comune sentire e dalla voglia dei cittadini

di essere protagonisti. A questo centro-destra

manca un po’ di anima, manca un grande

progetto culturale capace di coinvolgere i tanti

ambienti che potenzialmente si riconoscono in

un progetto politico che riunisce in un unico

contenitore le più grandi tradizioni politico-

culturali italiane: liberale, cattolica e nazionale.

A questo centro-destra manca l’effervescenza

culturale e il dibattito “porta a porta” al quale

siamo stati abituati negli anni di militanza in un

partito “pesante” come il Movimento Sociale

prima e Alleanza Nazionale poi: fisiologico,

naturale persino quando si cercano nuove

sintesi e ci si pongono problemi organizzativi

e di posizionamento interno; queste difficoltà,

però, non impediscono alla “pancia” del

centro-destra di confrontarsi, produrre politica

e cultura, dettare il ritmo e aggiornare l’agenda

di chi ha il compito di prendere le decisioni

più importanti. La nostra “Meridiana” nasce

per questo: segnare il tempo, in un gioco

naturale di luci e ombre, un tempo presente

e riconoscibile, il tempo delle scelte e del

protagonismo. Un’Associazione culturale e

un centro Studi che raccolgono esperienze

territorialmente eterogenee e politicamente

omogenee, nate da una straordinaria esperienza

nel mondo giovanile e messe insieme oggi

da una comunanza ideale e dalla voglia di

condividere un’esperienza nuova, fatta di

impegno, aggregazione e allargamento degli

orizzonti. Un’esperienza che parli all’Italia

moderna delle nuove tecnologie al servizio

dell’uomo e delle infrastrutture che accorciano

le distanze fra nord e sud della Nazione,

all’Italia che non ha paura delle contaminazioni

culturali ma che non dimentica l’irrinunciabile

desiderio di sicurezza dei propri cittadini,

all’Italia che crede in una gioventù capace di

conquistare attraverso il merito uno spazio

importante nella gerontocratica Italia che

conta e che decide, all’Italia che guarda con

soddisfazione e rispetto agli uomini dello Stato

che arrestano i più pericolosi latitanti simbolo

di una criminalità organizzata finalmente con

le spalle al muro.

Un’Associazione promossa da dirigenti

politici, amministratori, tanti giovani e semplici

simpatizzanti, uomini e donne che non sanno

cosa sia la “questione morale” perchè hanno

nel loro DNA la Politica, quella vera, quella che

non conosce compromessi impronunciabili.

Abbiamo salutato come una benedizione

la nascita del popolo della Libertà e adesso

ci piacerebbe salutarne la “crescita”. Noi ci

metteremo la voglia e la passione, insieme

all’esperienza maturata in tanti anni di

impegno che speriamo di condividere con

i tanti entusiasti “neofiti” di questo centro

destra, vero e proprio inestimabile patrimonio

per un grande partito popolare di massa.

3GEN - FEB 2010

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* Parlamentare PdL

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4 GEN - FEB 2010

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Le infrastrutture, le grandi opere, l’edilizia di stato e quanto altro di simile e in relazione agli interventi in materia dei governi, da sempre e ovunque, ma direi in particolare in Italia, hanno costituito un importante capitolo della spesa pubblica. L’importanza economica delle opere pubbliche, dalla più semplice da percepire legata alle ricadute occupazionali dirette, ovvero a quanto qualsiasi cittadino è in grado di rilevare macroscopicamente alla semplice visione di un cantiere attivo, alla capacità di generare economie indotte su grande scala, dal livello regionale all’europeo e in qualche caso oltre, è di primaria importanza. Parimenti è opportuno evidenziare la capacità politica che un governo dimostra e con la quale si confronta, nel momento in cui decide di intraprendere la progettazione e la costruzione di un’opera pubblica strategica o rilevante, interpretando o anticipando un’utilità e un’esigenza pubbliche. Spesso, come la storia ci insegna, anche la più recente, l’Italia è stata in grado di progettare e realizzare manufatti che di per sé, durante la costruzione, sono stati occasione di confronto con le nostre capacità. Non è di secondaria importanza dire che la nostra Nazione ha accumulato un gap sensibile in ambito infrastrutturale, in relazione ai nostri “concorrenti” europei, tenuto anche conto che facciamo parte delle prime otto economie mondiali. All’incapacità di operare delle scelte politiche da parte di governi deboli, spesso caratterizzati dalla commistione con interessi che di pubblico avevano poco o nulla, successivamente si è aggiunto il condizionamento di un ambientalismo cieco, becero e volto di più alla captazione di consensi elettorali, spesso accordati da cittadini in buona fede, che all’interesse nazionale (lampante è il paragone tra ambientalisti francesi e italiani). La Legge 109/94 sui lavori pubblici è stata uno spartiacque rispetto all’andamento precedente, oggi rimpiazzata dal Codice degli Appalti (D.Lgs. 163/2006 già modificato da tre decreti correttivi in attesa del Regolamento che sostituirà il vigente D.P.R. 554/99), senza dimenticare, oltre ai già citati provvedimenti legislativi, la legge 443/2001, solitamente definita Legge Obiettivo, poiché ha dotato l’esecutivo di uno strumento di accelerazione delle procedure d’appalto e quindi

d’esecuzione di grandi opere strategiche. Non è un caso che l’implementazione e il recupero della centralità delle infrastrutture pubbliche, al fine anche di recuperare il gap di cui prima si è detto, che ci vede costretti ad inseguire con grave affanno i Paesi nostri concorrenti e/o partner, siano avvenuti e stiano avendo luogo grazie ad esecutivi forti e dinamici, come il precedente e l’attuale Governo Berlusconi. I ministri delle Infrastrutture Pietro Lunardi (precedente esecutivo di centrodestra) e Altero Matteoli, attuale titolare del medesimo dicastero ed ex del Ministero per le Politiche Ambientali, anche esso ormai ben più che complementare in rapporto alle opere infrastrutturali, hanno dato impulso tanto alle progettazioni quanto ai cantieri, facendo peraltro

uscire dal torpore grandi progetti, come il Ponte sullo Stretto, mandati in “letargo” dal breve quanto inadeguato governo Prodi.Una delle opere più importanti, ma probabilmente con minore rilevanza in quanto a elemento di un sistema infrastrutturale, può essere ritenuto il “MOSE”. La necessità inderogabile per la città di Venezia, unicum mondiale che l’Italia ha la fortuna di possedere ma il dovere di conservare, anche nei confronti della comunità internazionale, è senza dubbio quella di dovere affrontare il problema della cosiddetta acqua alta in tempi relativamente stretti e con efficacia. Grazie all’azione di un esecutivo che ha assunto le proprie responsabilità fino in fondo, sono iniziati e in stato d’esecuzione i lavori per la costruzione di una “diga mobile”, che “lavora” secondo il livello della laguna veneziana, con il fine di evitare la distruzione sistematica della città lagunare. Dal MOSE è facile passare ad un’altra opera contrastata e poco sostenuta in precedenza, ma oggi riavviata, quale è la cosiddetta TAV,

GRANDI OPERE, NUOVA ITALIA,

ossia alta velocità ferroviaria Torino-Lione. Altre anche sono le opere con successo dei Governi Berlusconi e del Ministero delle Infrastrutture con in testa il Ministro Matteoli, come il “Passante di Mestre”, l’autostrada A20 Messina-Palermo (dopo una conclusione attesa da decenni), l’alta velocità ferroviaria Roma-Milano, la prevista linea di alta capacità ferroviaria Napoli-Reggio Calabria, la variante di valico Barberino del Mugello sull’autostrada A1, i maxi lotti in parte terminati e in parte in esecuzione dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, il Ponte sullo Stretto di Messina e tante altre infrastrutture in fase di ideazione-progettazione o esecuzione, impossibili da citare tutte per brevità. Il Ponte sullo Stretto ci offre l’occasione di ricordare che parecchie infrastrutture non rispondono all’esigenza propagandistica di nessun governo, come spesso alcuni tendono a voler far credere, bensì sono parte di un sistema ben più ampio e sovranazionale. Si è detto che bisogna recuperare il divario infrastrutturale tra Italia e altri paesi per motivi di competitività. Ciò è vero, soprattutto nell’ottica concorrenziale, oltre che in ordine ai benefici diretti interni, ma è parimenti vero che vi è pure un livello di solidarietà tra i partners europei. Infatti molte opere che

ricadono o dovranno ricadere sul territorio italiano sono e faranno parte di un sistema comunitario, nei confronti del quale abbiamo il dovere di essere all’altezza degli impegni presi, senza peraltro recare danni alle altre nazioni né all’immagine dell’Italia. A tal proposito basta citare l’Asse Rotterdam-Genova, il Corridoio V Lisbona-Kiev, il Corridoio VIII Bari-Varna, il Corridoio I Berlino-Palermo, nell’ambito del quale è appunto inserito il Ponte sullo Stretto, avendo come quadro di riferimento l’approvazione del Piano Van Miert per lo sviluppo delle Reti Transeuropee di Trasporto (TEN-T) ad opera del Parlamento Europeo nell’aprile 2004. Il Ponte sarà snodo fondamentale, non a caso la UE lo ha inserito tra le opere prioritarie, di un sistema di

reti viarie stradali, ferroviarie e marittime, che non colma solo il gap di Sicilia e Calabria, o del Sud Italia, come erroneamente si crede, ma inserisce l’intero sistema Italia a un livello superiore finora negato per incapacità interne. A dimostrazione che la politica seria si propone e si misura con i cittadini con l’evidenza dei fatti e delle opere, il ministro delle Infrastrutture Matteoli, oltre ad aver dato l’indirizzo politico di fornire informazioni sulle attività connesse ai lavori del Ponte, per dar luogo ad uno stretto dialogo col territorio, ha dato nuovo avvio nel mese di ottobre del 2009 alla realizzazione della grande infrastruttura tra Sicilia e continente, attraverso l’ordine d’inizio attività impartito al General Contractor e non solo, ponendo come simbolica “prima pietra” le opere propedeutiche ferroviarie iniziate il 23 dicembre 2009 a Cannitello di Villa San Giovanni, in attesa di quelle sulla sponda Siciliana per il 2010.

di Antonio Catanoso*

* Architetto (Reggio Calabria)

Page 5: Meridiana | Gennaio - Febbraio 2010

di Salvo Pogliese*

5GEN - FEB 2010

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IL PdL ha certamente rappresentato una

scelta coraggiosa e lungimirante che si è

concretizzata grazie ad una felice intuizione

di Silvio Berlusconi e di Gianfranco Fini

che hanno saputo interpretare l’esigenza di

stabilità e di semplificazione del quadro politico

fortemente sentita dall’elettorato, stanco di

assistere impotente a governi “stagionali”

puntualmente “ricattati” da singoli partiti o da

singoli parlamentari. E quella scelta presa in

poche ore nel febbraio del 2008, fra lo stupore

e l’incomprensione di gran parte dei quadri

dirigenti di AN e di FI, è stata premiata dagli

Italiani che il 13 aprile del 2008 regalarono al PdL

un eccezionale successo e contestualmente, a

chi si collocava al di fuori della logica bipolare

un tonfo senza precedenti (basti pensare alla

Sinistra Arcobaleno e alla Destra di Storace).

In alcune zone della nostra nazione si sono

raggiunte percentuali “bulgare”. In Sicilia,

per esempio, il PdL ha ottenuto il 47%

con l’eccezionale risultato di Catania dove

ha conquistato la maggioranza assoluta

con il 50,02% dei consensi. Ma dopo

quell’entusiasmante “battesimo” elettorale

non si è riscontrata una crescita organizzativa

coerente.

E dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia si invoca

un sistema di regole condiviso che possa

accompagnare la strutturazione organizzativa

del più grande partito italiano e che permetta

l’individuazione di criteri di selezione della

classe dirigente. Ma in Sicilia la situazione è

ancor più “peculiare” ..

È l’unica regione in Italia in cui, a distanza

di un anno dalla celebrazione del primo

Congresso Nazionale di Roma, non sono

stati ancora nominati i coordinatori Provinciali

e, conseguentemente, quelli cittadini con

una “indiretta anarchia” che ne è conseguita

nonostante lo sforzo e le indubbie qualità

dei due coordinatori regionali, Nania e

Castiglione.

Ma il vero paradosso è rappresentato dalla

costituzione all’interno dell’Assemblea

Regionale Siciliana di un nuovo gruppo

parlamentare, il PdL Sicilia, avvenuta nei primi

giorni di novembre 2009 “contrapposto” a

quello “ufficiale” e mai “smentito” ufficialmente

a Roma nonostante le dichiarazioni “a caldo”

dei tre coordinatori nazionali, La Russa,

Verdini e Bondi, ed il successivo “rimpasto”

di dicembre del governo Lombardo (il terzo

in diciotto mesi) che ha visto la nascita di una

nuova maggioranza “trasversale”,

MPA, PdL Sicilia e PD, che ha

tradito la volontà degli elettori

siciliani, con l’ovvia uscita dalla

giunta del PdL. Tutto ciò non può

più essere consentito!

Il nostro elettorato rimane

sbigottito e “disorientato” dinanzi

all’“assordante silenzio” romano

e i nostri dirigenti “periferici”

pretendono coerenza e chiarezza.

La stessa coerenza e la stessa

chiarezza che portarono alla

nascita del PdL e al successivo

trionfo elettorale…

L’Italia è un Paese meraviglioso: se sei bravo, lavori, produci, ti sporchi le mani di fango, devi essere irrimediabilmente ridimensionato; se, per caso, ti chiami Guido Bertolaso, hai risolto insieme al Governo l’emergenza-rifiuti o sei riuscito a minimizzare gli effetti devastanti del terremoto in Abruzzo, allora devi essere certamente distrutto, professionalmente, umanamente, persino nella dimensione più intima. Strano Paese, l’Italia: piena di avvoltoi e sciacalli, profittatori e gente che ride dei terremoti, eppure ostinatamente attento più alle visite al Salaria Village del Sottosegretario che agli sviluppi dell’ichiesta sulla corruzione. Guido Bertolaso ha beneficiato di un clima politico favorevole, al contrario di quanto avvenuto durante il Governo Prodi, eppure non si è accontentato di muovere i fili dalla propria stanza: ha reso popolari le divise della Protezione Civile, diventato l’Esercito “laico” di un’Italia traboccante di volontari pronti a scavare nel fango, ha dato loro la dignità di una ribalta nazionale, si è sporcato le mani e le scarpe nella prima linea delle emergenze, sfiorato dalle pallottole metaforiche degli eco-camorristi e dalle invidie di chi sopporta male gli uomini delle Istituzioni fattivi e produttivi. Strano Paese, l’Italia: anziché collaborare ad estirpare la pianta venefica della corruzione e del malaffare, la maggiore associazione dei magistrati italiani, l’ANM,

preferisce indignarsi perché il cognato di Bertolaso, fra l’altro avendone la legittimità, ha fornito la propria consulenza per i lavori del G8. Da quando la Magistratura si occupa di dare lezioni “etiche” piuttosto che accertare violazioni della Legge? A noi questo piacere piace davvero pochissimo, perché ci piacciono poco le ambigue pruderie da centro Benessere e ci interessano di più leggi più dure per corrotti e corruttori e una protezione Civile che continui, al netto degli sciacalli, sulla strada segnata da Guido Bertolaso: mani nel fango e decisionismo, volontari e divise con la coccarda tricolore, immagine straordinaria nel mondo e paura di nessuno, neppure del colosso statunitense con i piedi nell’argilla dell’emergenza haitiana. A noi piace quest’Italia. Ci piace il Sottosegretario che risale sull’aereo e corre a mettere una pezza all’ennesimo disastro idrogeologico di un territorio sin troppo massacrato da amministratori per lo meno incauti. Dio salvi Guido Bertolaso dalle invidie e dal tiro al bersaglio che non conosce pudore. A noi basterebbe sapere nome e cognome della massaggiatrice che ha tenuto diritta la sua schiena in questi anni: la regaleremmo volentieri a tanti politici italiani, giornalisti o magistrati (solo quelli in malafede…) che non riescono proprio a farcela da soli.

God save Guido Bertolaso

di Cyrano

Coerenza e chiarezza

* Vice capogruppo PdLAssemblea Regionale Siciliana

Page 6: Meridiana | Gennaio - Febbraio 2010

6 GEN - FEB 2010

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di Ulderico De Laurentiis*La notizia apparsa un po’ ovunque negli ultimi

giorni è di quelle risolutive e rassicuranti.

Mettiamoci l’anima in pace: al sud siamo

meno intelligenti per questioni genetiche,

quindi meglio rassegnarsi al sottosviluppo del

mezzogiorno perché siamo noi ed il nostro

quoziente intellettivo il vero problema.

La serissima e incontrovertibile teoria è del

luminare Richard Lynn, professore emerito di

psicologia all’Università dell’Ulster che afferma

che “il quoziente intellettivo più basso nel sud

Italia può essere attribuito alla mescolanza

genetica con le popolazioni del vicino Oriente

e del Nord Africa”. Ecco scoperte le ragioni

scientifiche di anni di arretratezza e di difficoltà

ad uscire da quel pantano chiamato ancora

da molti “questione meridionale”, come se

l’“Esercito di Franceschiello” abbia subito

disfatta solo qualche lustro fa.

Reminiscenze borboniche a parte, stendiamo

un velo pietoso sulla teoria di Lynn e proviamo

a capire cosa davvero non va, analizzando il

problema da un’ottica inedita - se vogliamo -

in relazione a questo fenomeno.

Evitando di perderci in un lungo articolo che

vada su una strada già percorsa migliaia

di volte - quella dei problemi strutturali e

infrastrutturali, della necessità di una banca

del mezzogiorno per trattenere gli investimenti

sul territorio ecc. - preferiamo concentrarci

su un aspetto evidenziato pochi mesi fa

dal Ministro dell’Economia Giulio Tremonti,

che in un convegno del Pdl sui problemi del

meridione, dichiarava che il gap tra Nord e

Sud “non è solo una questione di discussione

economica è anche di soluzione civile” e

morale aggiungiamo noi.

Il ministro denunciava che al sud “nella triade

appalti, sanità e fondi Ue è cresciuta in modo

esponenziale, verticale, inaccettabile la cifra

della criminalità”, così come la corruzione in

una piccola opera pubblica è “quasi certa” e

questo in qualche misura favorisce un trend del

“grande” verso il “piccolo” anche in termini di

progettazione e pianificazione dello sviluppo.

L’analisi di Tremonti potrebbe sembrare

esagerata e in alcuni casi può portarci ad

un rifiuto con annesso sfoggio di orgoglio

meridionale, morale e civile, ma il problema c’è

ed è ben visibile.

Basti guardare a come sono messi (male e

in alcuni casi malissimo) i governatori delle

regioni meridionali e le loro giunte, in termini di

indagini, processi e condanne.

Infatti abbiamo Vendola che tempo fa è

stato indagato in Puglia per concussione,

con l’ex assessore regionale alla sanità che

trovava rifugio sugli scranni parlamentari; in

Calabria abbiamo il Presidente Loiero per cui

recentemente è stata richiesta la condanna

ad un anno e mezzo per abuso d’ufficio,

nell’ambito dell’inchiesta “why not” e che

pure in passato qualche altro problemino lo

aveva avuto, mentre per la storia giudiziaria

di Raffaele lombardo in Sicilia ci vorrebbe

un intero numero di Meridiana e quindi ci

riserviamo di approfondirla - se necessario - la

prossima volta, pur ribadendo che è sempre

stato assolto o graziato dalla prescrizioni in

merito alle accuse contestategli in passato.

Anche in Campania non se la passa poi

così tanto bene il pluri-processato De Luca,

candidato per il centrosinistra alla presidenza

della regione, tanto che l’ironia di qualcuno

vedeva come preferibile una ricandidatura di

Antonio Bassolino che in fondo di processi in

corso ne aveva soltanto uno.

Pertanto l’analisi di Tremonti è abbastanza

aderente alla realtà che il Mezzogiorno d’Italia

è costretto ad affrontare ogni giorno.

In questo quadro una ricetta unica ed

immediatamente efficace non esiste, ma è

fuor di dubbio che un grande partito come

il Popolo della Libertà, possa dare uno

scossone al territorio, iniziando da un vero

ricambio generazionale che favorisca quella

classe dirigente formatasi secondo i valori e le

esperienze del movimentismo politico giovanile,

del volontariato e della politica come missione,

come servizio reso incondizionatamente alla

propria gente ed alla propria terra.

Le veline incantano l’occhio, ma giovani in

gamba, preparati, onesti e motivati possono

contribuire a risollevare il paese.

Rotolando verso Sud

* Dirigente nazionale Giovane Italia

Page 7: Meridiana | Gennaio - Febbraio 2010

Ci perdoneranno i custodi dell’ortodossia tolkieniana, ma questo filmone holliwoo-diano saturo di effetti speciali e 3D non sa-rebbe mai esistito senza l’influenza benefi-ca della saga del Signore degli Anelli. Troppo simile alla Terra di Mezzo questa Pandora, nel-la quale la simbiosi fra esseri umani e Natura è la garanzia di un equilibrio cosmico mes-so in pericolo dalle forze del Male: davanti allo schermo ab-biamo temuto che spuntasse Barbalbero, il più antico degli Ent, a schiaffeggiare le astro-navi degli esseri umani brutti e cattivi, ma ci è bastato vedere la scena della battaglia finale per immaginare il professore oxfordiano alla sceneggiatura e il genio Peter Jackson dietro la macchina da presa. E’ tutto scritto lì, nella bibbia del Fantasy: Jake Sully, il marine invalido che salverà Pandora dalla distruzione è un hobbit a tre dimensioni, infinitamente piccolo ma co-raggioso e determinato, sin dai primi vagiti del film ha la faccia del Leviatano, tutti noi

lo sappiamo, perchè è scritto, che sarà lui l’uomo della Provvidenza; i Na’vi sono trop-po, maledettamente, simili agli Elfi, forse non così belli ma in simbiosi con la Natura

Dèa, agili sui loro destrieri, bravi a tirare con l’arco e custodi di una lingua misteriosa e musicale. C’è tutto, c’è anche l’Anello, tra-sfigurato nella capsula che riporta Jake alla base: ogni volta che ritorna a fare rapporto ai cattivi il nostro Frodo soffre, perde l’ap-

petito, si lacera interiormente, ma alla fine rinuncia a un nuovo paio di gambe fiam-manti perchè la sua missione è più impor-tante: salvare Pandora. Che dire dell’ambientalismo non manieri-stico del film? Buon vecchio Tolkien! Cer-to non vedrete le navi di Greenpeace, nè

taluni animalisti un po’ rom-pipalle e neppure Pecoraro Scanio: vedrete il rispetto per una Natura che è principio ed essenza della vita, intimamen-te connessa con il ciclo vitale del popolo Na’vi, persino nella rispettosa cerimonia dell’ucci-sione degli animali per la so-pravvivenza. Come faremo adesso con la spietata critica in poltrona? Che robaccia è questo fa-volone ipertecnologico rea-zionario-bucolico che strizza l’occhio alla Tradizione, che ripropone l’eterna lotta fra Bene e Male, che ci ripropo-ne l’eroe anti-eroe capace di

muovere la Storia? Fatevene una ragione. John Ronald Reuel è vivo e lotta con noi... per stavolta si chiama James Cameron e ha gli occhialetti 3D. Buona visione.

7GEN - FEB 2010

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Facebook e il Gioco della Torredi Costanza Martina VitaleNel mare nostrum della navigazione web

l’immagine è più o meno questa: un’orgia

dissacrante tra i giovani timonieri, il barcone

della politica e il liquido facebookiano. Un

marasma di idee stralunate in cui necessiterebbe

un miracolone del vecchio Mosè. Per questo

cari utenti, da utente, si invoca la separazione

delle acque. In altre parole una sorta di gioco

del “cerca l’intruso” tra le tre variabili innanzi

esposte. Al voto stanno i giovani, la politica e

facebook. A questo punto però le alternative

potrebbero essere molteplici. Cioè figuriamoci,

ad esempio, che questo giochino del “trova

l’intruso”, inserito magicamente in una rivista

enigmistica, passi nelle mani di tre menti illustri,

stesi belli spaparanzati all’arsura del sole estivo:

Beppe Grillo, Francesco Cossiga e Veronica

Lario. Non soffermatevi sul fatto che stiano in

costume, vi prego, concentratevi sul giochino.

Dunque, secondo voi, cosa sceglierebbero? Chi

eliminerebbero drasticamente dalla triade?

Sicuramente Beppe Grillo non starebbe lì a

pensarci molto. Via la politica. Non ce n’è uno

decente al potere, resettiamo tutto, largo ai

giovani! La coppia giovani-facebook per lui

regge. Liscio come l’olio.

L’onorevole Cossiga probabilmente elimine-

rebbe i giovani per il semplice fatto che lo fanno

sentire più vecchio di quello che è. Dopodichè

della coppia rimasta in ballottaggio politica-

facebook non avrebbe a che ridire. Da quando

nel 2001 ha scritto al giovane e incauto, a

suo dire, Bill Gates per presunti problemi del

programma Windows Xp a lui andrà di lusso

perfino la chat di fb, figurarsi!

E Veronica? Non è escluso che ritenga

la piattaforma facebook poco consona

all’educazione dei propri figli, da censurare

loro come le reti mediaset, anche se per motivi

diversi. Per cui la coppia giovani-politica per

lei funziona che è un piacere.

Sicché non si palesano soluzioni e siamo al

punto di partenza. Un minestrone da mandare

giù per intero con nessuno che soccorrerà

le nostre giornate dall’imbarazzo civile di

trovarsi di fronte a gruppi che inneggiano

alla formazione di fan del pomodoro per

dimostrare la scarsa popolarità di Berlusconi o

di squadroni di amanti dei maiali per dimezzare

il popolo votante la lega Nord. Proposte, in fin

dei conti, confusionarie quanto divertenti.

Cosa dire? Al momento il pomodoro e Bossi

sono in testa. Trovate voi l’intruso.

Il Cinema visto da me di Jackal

Il Signore degli Avatar

Page 8: Meridiana | Gennaio - Febbraio 2010

8 GEN - FEB 2010

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Magazine

Come ribadito anche alla presentazione delle

candidate alla Presidenza di quattro delle

tredici Regioni che andranno a elezioni il

prossimo 28 e 29 marzo, la prossima tornata

elettorale avrà una valenza di carattere

nazionale rappresentando un banco di prova

di medio termine sia per il Pdl che per i nostri

avversari.

Lo slogan “più infrastrutture, meno tasse, meno

code” è, nella sua semplicità, un messaggio

estremamente importante che

pone il cittadino, fruitore di

servizi, in primo piano rispetto

alla macchina burocratica

lenta e asfissiante che fino a

oggi ha condizionato la vita di

molti italiani.

Il sistema Regione deve

andare incontro alle esigenze

dei propri abitanti snellendone

le problematiche e facilitando

la soluzione dei loro problemi

e le risposte alle loro richieste.

Lo statalismo centralizzato

e dirigista caro alla sinistra è

un modello ormai sorpassato

e che mal si inserisce nello

scenario di un’Europa che

corre avanti.

Le Regioni devono sviluppare

al proprio interno quelle che

sono le caratteristiche che

le contraddistinguono e che

rendono ogni parte del nostro

Paese unica. I cittadini devono

radicarsi in questo territorio

perché solo così si fa muro

contro l’immigrazione che

rischia, quando inserita in un

territorio debole, di cadere

facilmente in mano alla criminalità organizzata

andando a ingrossarne le fila. Ridare alle Regioni

i propri valori di unicità e favorire il sentimento

di appartenenza non può che creare un circolo

virtuoso nel quale chiunque vada a integrarsi

può trovare facilmente la propria collocazione.

Ma per fare questo si devono mantenere dei

capisaldi come la casa, la vivibilità dell’ambiente

che ci circonda, la valorizzazione del territorio.

In molte Regioni non esiste un piano casa.

Spesso questo comporta il lievitare oltre

misura dei prezzi al metro quadro degli alloggi,

l’aumento spropositato dei canoni di affitto

che difficilmente possono essere sopportati

da una famiglia magari monoreddito. In alcuni

casi, come i più recenti e tragici, si vedono

famiglie che vivono in condizioni talmente al

limite della decenza da domandarsi come si

possa arrivare a una situazione di tale degrado

senza che nessuno intervenga. Di queste

famiglie magari ci accorgiamo solo quando la

casa crolla e dei bambini perdono la vita.

L’ambiente che ci circonda non è meno

importante. Vediamo in questi giorni che

cosa sta succedendo in alcune cittadine del

sud Italia dove la natura si ribella, su quelle

montagne che stanno crollando e che stanno

trascinando a valle case e attività commerciali

non c’era più nemmeno un albero e su questo

dobbiamo vigilare se non vogliamo andare

incontro a catastrofi naturali e

sociali sempre più frequenti.

Semplificare la vita dei

cittadini con meno burocrazia

e leggi più snelle e semplici.

E per questo anche più facili

da rispettare. Regimi fiscali

più leggeri e servizi migliori.

Difendere la scelta di non

far pagare l’Ici sulla prima

casa è una scelta di civiltà e

che risponde a quella logica,

precedentemente accennata,

di far radicare le persone sul

territorio attraverso la casa che

è un bene primario a tutti gli

effetti. Rendere la burocrazia

più leggera per favorire chi

vuole intraprendere nuove

imprese.

La Regione, con i propri

maggiorati poteri, non deve

diventare l’ennesima struttura

elefantiaca, moltiplicatrice di

costi e di spese, ma quel volano

capace di coniugare identità,

amore e difesa del proprio

territorio, rappresentanza

vicina al cittadino e risposta ai

bisogni primari delle persone:

la nostra sfida per cambiare il Paese passa

anche da qui.

Magazine

LA SFIDA DELLE REGIONIdi Silvia Silvestri*

Organo dell’Associazione Culturale “Meridiana”www.meridianamagazine.org - [email protected]

PRESIDENTE “MERIDIANA”Basilio Catanoso

DIRETTORE RESPONSABILEAlessia Rosolen

COORDINATORE DI REDAZIONEUlderico De Laurentiis

Hanno collaboratoACME, Antonio Catanoso, Nello Donnarumma, Cyrano, Pasquale Fiorillo, Arturo Governa, Davide Infuso,

Antonio Nicolò, Salvo Pogliese, Silvia Silvestri, Alberto Spampinato, Costanza Martina Vitale.

Grafica ed impaginazione: Ulderico De Laurentiis, Francesco Maugeri.

Testata in attesa di registrazioneAnno 0, N. 0 - diffusione gratuita -

Stampa: Galatea Editrice Via Piemonte, 84 - 95024 Acireale (CT)

* Dirigente provinciale PdL Pisa