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tesi sul pensiero politico islamico con particolare riferimento alla filosofia politica dei fratelli musulmani egiziani. Ricostruzione della storia del movimento e delle sue radici culturali nel modernismo arabo; analisi delle peculiarità regionali dei movimenti affini nel mondo arabo; appendice sulle "primavere arabe" e sulla controrivoluzione egiziana.
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L IBERA UNIVERSITÀ MARIA SS. ASSUNTA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE, POLITICHE E DELLE LINGUE MODERNE
CORSO DI STUDI MAGISTRALE / SPECIALISTICA IN RELAZIONI
INTERNAZIONALI CLASSE LM 52
CATTEDRA DI FILOSOFIA POLITICA
IL PENSIERO POLITICO ISLAMICO: I FRATELLI MUSULMANI NEL
MONDO ARABO
THE ISLAMIC POLITICAL BELIEF: THE MUSLIM BROTHERHOOD IN THE ARAB
WORLD
Relatore
Prof. Rocco Pezzimenti
Correlatore Prof. Giampaolo Malgeri
CANDIDATO
Ilaria Danesi
11471/400
ANNO ACCADEMICO 2012 –2013
I
INDICE
INTRODUZIONE…………………………………………………………….................p.1
IL RIFORMISMO ISLAMICO………………………………………………………....p.4
Crisi e rinnovamento: l’Occidente come modello……………………………….....p.5
L’Occidente come “altro”: il ritorno alle origini…………………………………..p.10
Gli innovatori……………………………………………………………………...p.19
I dissidenti………………………………………………………………………....p.29
I restauratori……………………………………………………………………….p.33
LA SOCIETA’ DEI FRATELLI MUSULMANI………………………… …………...p.41
l’Egitto degli anni ’30 tra modernità e islamismo ………………………….……..p.42
Hasan al-Banna’ e la fondazione dei Fratelli Musulmani……………….………...p.46
L’ideologia………………………………………………………………………...p.48
Organizzazione, modus operandi, diffusione……………………………………...p.67
I motivi del successo………………………………………………………………p.69
Guerra mondiale, nazionalismo, repressione…………………………………...…p.74
Sayyid Qutb: l’Islam è la soluzione……………………………………..…...……p.79
Il ritorno di Qutb, i Fratelli, l’illusione rivoluzionaria………………………….....p.87
Nasser, prigionia, Pietre Miliari: la radicalizzazione del messaggio…………...…p.91
Martirio ed eredità……………………………………………….………….……p.108
Sadat e un nuovo inizio. Una galassia islamista……………………...….…........p.119
L’era Mubarak…………………………………………………………………....p.131
Conclusioni………………………………………………………………...…….p.143
I FRATELLI NEL MONDO ARABO: GIORDANIA, SUDAN, MAGHREB…...…p.148
I Fratelli Musulmani in Giordania………………………………………………..p.150
I Fratelli e lo Stato giordano………………………….………………………..…p.151
Crisi del “blocco storico” e palestinizzazione………………………..…………..p.162
La terza fase………………………………………………………………………p.165
Attualità e conclusioni…………………………………………………..………..p.167
I Fratelli Musulmani in Sudan……………………………………………………p.172
Hasan al-Turabi…………………………………………………………………...p.175
L’associazione dei Fratelli Musulmani sudanesi…………………………………p.180
I Fratelli Musulmani nel Maghreb……………………………………………..…p.187
PDJ e politica di compromesso………………………………………………...…p.188
Tunisia: ascesa e declino di Harakat al-Nahda……………………….…………..p.195
II
Un confronto……………………………………………………….……………..p.201
APPENDICE: PRIMAVERE ARABE E ISLAMISTI AL POTERE………………..p.203
Tunisia: Al-Nahda e la Rivoluzione dei Gelsomini……………………….……..p.204
Egitto: rivoluzione e controrivoluzione………………………………………….p.213
CONCLUSIONI…………………………………………………………….………..p.222
BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………..p.229
RINGRAZIAMENTI……………………………………………………..…………..p.236
1
INTRODUZIONE
Oggetto di questa tesi è la società dei Fratelli Musulmani, la più importante e
radicata associazione islamista del mondo contemporaneo, salita anche in Europa
agli onori della cronaca in seguito alle cosiddette “primavere arabe”. Fondata nel
1928 da Hasan al-Banna’, la società di inserisce nel novero delle numerose
associazioni caritatevoli di ispirazione devota che nell’Egitto degli anni Trenta,
ma in parte ancor oggi, colmavano il vuoto lasciato dal potere centrale nel campo
assistenziale. Ben presto però la Fratellanza si differenzierà da queste ultime per
una visione politica dell’Islam che ne farà il principale movimento islamista
dell’era moderna, punto di riferimento per tutti i movimenti della galassia
islamista, che ad essa in qualche modo si ispirano, come riferimento ideologico e
sovente anche organizzativo.
Obiettivo dei Fratelli è la re-islamizzazione della società egiziana e araba in
generale, considerata ormai lontana dagli autentici valori religiosi. Questa re-
islamizzazione non deve essere frutto di una imposizione dall’alto, ma di una
crescita e di una presa i coscienza dal basso, generata dal ritorno alle fonti e dalla
riscoperta della tradizione. I modelli importati dall’Occidente andavano rifiutati
perché portatori di materialismo, individualismo, corruzione, ingiustizia sociale;
la legge coranica (shari’a) è l’unica scritta per il volere di Dio e la felicità
dell’uomo, costituisce una necessità non solo religiosa, ma anche sociale ed è un
passaggio verso il grande obiettivo della realizzazione di uno Stato propriamente
islamico.
Per capire pienamente il messaggio di cui la Fratellanza si fa portatrice occorre
fare un passo indietro nel dibattito filosofico del mondo arabo e islamico. Le
teorie di al-Banna’ si innestano infatti nel lungo corso del Rinascimento del
pensiero arabo, la Nahda, che a cavallo tra Otto e Novecento ha prodotto alcune
delle pagine più interessanti della riflessione filosofica e politologica del pensiero
islamico. Il contatto diretto con l’Occidente colonizzatore, il suo stile di vita e le
sue conquiste militari ma anche scientifiche, imposero ai pensatori islamici una
2
riflessione sulla propria cultura, e una presa di coscienza dello svilimento cui
questa era andata incontro ormai da secoli. Grandi personalità del pensiero arabo
si interrogheranno sui motivi di questo ritardo culturale, giungendo a posizioni
anche molto divergenti tra loro. Se in un primo momento questi intellettuali
subiranno fatalmente il fascino della modernità occidentale, gradualmente si farà
strada l’idea che proprio quella modernità ha intaccato i valori più autentici della
propria cultura, e che solo la riscoperta delle fonti, l’interiorizzazione e la piena
comprensione del messaggio del Profeta, nonché l’imitazione della società
virtuosa che Muhammad e i suoi seguaci avevano creato nell’età aurea dei quattro
“califfi ben diretti”, potrà riportare l’Islam all’antico splendore.
Svanito il mordente delle lotte per le indipendenze nazionali e lasciato il posto alla
disillusione per il fallimento di sistemi politici di matrice anch’essa occidentale,
questo ritorno alle origini si declinerà in chiave politica, per opera di pensatori
come Sayyid Qutb, nuovo mentore dei Fratelli Musulmani soggiogati dal regime
di Nasser e maiître à pensér del pensiero politico islamico radicale. Il discorso
politico, con l’interpretazione del concetto stesso di Stato islamico e dei mezzi per
attuarlo sarà portatrice di fratture ancora attuali all’interno del movimento, diviso
tra un’anima moderata e un’anima radicale.
Nella storia della Fratellanza congiunture storiche e maturazione dell’ideologia si
salderanno, influenzandosi vicendevolmente. Gli oltre ottant’anni di vita del
movimento saranno caratterizzati da un continuo gioco di equilibri col potere
centrale, una dialettica in cui il movimento dovrà districarsi tra vantaggi e
svantaggi del suo status “ibrido” di movimento mai formalmente riconosciuto
sino all’epoca recente eppure pienamente operante nel panorama politico, in cui
ha a lungo esercitato un ruolo contro-egemonico importante con la sua azione di
opposizione e moralizzazione.
Capace di attirare la fiducia delle masse grazie ai suoi valori di riferimento, ma
anche grazie alla predicazione, alla propaganda, ad una struttura organizzativa
verticistica assolutamente efficiente e all’infaticabile prassi di azione quotidiana
3
sul territorio, la Fratellanza ha sovente spaventato i governi che ne hanno in ogni
modo limitato l’azione; salvo sfruttarne il seguito popolare se necessario per
ostacolare avversari più pericolosi nell’immediato.
L’espansione del movimento è stata tale da confluire in organizzazioni nazionali
esplicitamente legate al movimento-madre egiziano, o ad esso comunque ispirate,
pur caratterizzate dalle peculiarità delle singole aree geopolitiche. Questi partiti
islamisti, con la propria specifica maturazione e il proprio specifico bagaglio,
sono i protagonisti, con alterne vicende, della politica mediorientale e
nordafricana degli ultimi anni, segnati da rivoluzioni e controrivoluzioni. Proprio
il più o meno parziale fallimento di queste sollevazioni ha mostrato il volto
peggiore di un movimento islamista teoricamente “moderato” come la Fratellanza,
riaprendo il dibattito sulla compatibilità del sistema democratico con le istanze
islamiste, tendenti come obiettivo finale all’instaurazione dello Stato islamico.
La tesi si ripropone quindi di analizzare evoluzione storica e filosofica della
società dei Fratelli Musulmani, attraverso il pensiero dei suoi pensatori più
influenti e attraverso le tappe che ne hanno segnato la storia, dalla fondazione ai
nostri giorni.
Il primo capitolo è dedicato al Riformismo arabo come matrice culturale del
pensiero della Fratellanza ed è corredato da una serie di testi tratti dalle opere più
significative della corrente; il secondo capitolo, cuore dello studio, analizza
storia, ideologia ed operato dei Fratelli Musulmani egiziani sino al governo
Mubarak; quindi un terzo capitolo allarga lo sguardo alle formazioni islamiste di
Giordania, Tunisia, Marocco e Sudan allo scopo di fornire alcuni esempi della
gemmazione dell’associazione originaria; una doverosa appendice riassume i
principali eventi delle “primavere arabe” che in Tunisia ed Egitto hanno portato i
reciproci partiti legati alla Fratellanza al potere, salvo poi immediatamente
destituirli in quest’ultimo caso, e precede alcune considerazioni conclusive a
parziale bilancio degli importanti cambiamenti in atto.
4
IL RIFORMISMO ISLAMICO
Com’è potuto accadere che il mondo sia diventato l’inferno dei
credenti e il paradiso dei miscredenti? ANOUAR ABDEL-MALEK
Non sarebbe possibile comprendere il fenomeno dell’islamismo moderno, ed in
particolare dell’Associazione dei Fratelli Musulmani, senza prima indagare il
retroterra culturale in cui esso affonda le radici. L’islamismo politico si presenta
infatti, come una conseguenza delle idee sviluppare nella cosiddetta Nahda, il
Riformismo islamico, la corrente culturale che ha segnato il mondo musulmano
ed in particolare arabo a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Come vedremo, tale processo di rinascita sta alla base di tutte le correnti che si
sono successivamente sviluppate, anche di quelle che, ad un primo esame,
sembrerebbero escludersi a vicenda. Proprio nelle ambiguità e nella polivalenza
delle premesse poste durante la prima fase di questo “risveglio” trovano infatti
un’unica origine tanto le posizioni di quanti sostengono la necessità di un
sostanziale rinnovamento mediante l’emancipazione dalla tradizione islamica
anche su punti delicati ed essenziali, quanto quelle di coloro che, al contrario, di
quella stessa tradizione intendono riproporre forme e contenuti, rifiutando ogni
altro modello e concependo la “riforma” più come un ripristino di quanto è stato
accantonato o inadeguatamente applicato che come un effettivo cambiamento.
Il pensiero dell’intellighenzia di cui si cercherà di fornire un quadro abbraccia
dunque posizioni molto eterogenee, ma con un minimo comune denominatore: la
presa di coscienza della profonda crisi che il mondo arabo stava attraversando e la
conseguente necessità di trovare una soluzione che riportasse l’islam ai fasti del
passato.
5
Quest’opera di autoanalisi e di ricerca della propria identità non poteva che
esprimersi attraverso il confronto con l’altro, rappresentato dall’Occidente.
Siamo, si noterà, nel pieno colonialismo e la presenza occidentale influenza ogni
aspetto del vivere quotidiano dei paesi colonizzati. In aggiunta, nel 1922 la
Repubblica Turca ha sostituito il disgregato Impero Ottomano, e la laicizzazione
voluta da Mustafa Kemal ha spazzato via l’istituzione del Califfato, punto di
riferimento essenziale seppur dibattuto per tutta la Umma, assestando così un altro
duro colpo all’identità musulmana.
Se inizialmente il sapere occidentale sarà visto con fascinazione e molti concetti
prettamente occidentali metabolizzati, progressivamente il recupero dell’identità
araba e musulmana tenderà a prendere forma nell’alterità con quel mondo
occidentale che ha, per la maggior parte di questi autori, intaccato la purezza
dell’Islam. Secondo questo filone di autori l’Islam deve dunque, per risorgere in
tutto il suo splendore e tornare a dominare il mondo come un tempo, recuperare le
sue origini, a partire dalle fonti, da riscoprire ed indagare nella loro autenticità, per
applicare la parola di Allah all’intero vivere quotidiano.
In questo processo di recupero identitario chiave di volta è la risposta da dare alla
“modernità occidentale”. Dalla diversità dell’approccio a quest’ultima
prenderanno vita quelle correnti potremmo dire “riformiste”, “laiche” o
“riformatrici” che tracceranno la strada, inizialmente ancora legata ad una
dimensione prevalentemente culturale, che sfocerà nell’islamizzazione del politico
e, per quanto riguarda questa ricerca, nei movimenti islamisti del XX secolo.
CRISI E RINNOVAMENTO: L’OCCIDENTE COME MODELLO
La stagione più dinamica e creativa del pensiero musulmano coincise con i primi
secoli del Califfato quando, in concomitanza con la sua straordinaria espansione
militare, l’Islam seppe creare sintesi di ampio respiro tra i suoi valori e l’eredità
6
delle tradizioni culturali che andava via via inglobando.1 Terminata questa fase,
già prima dell’abbattimento degli Abbasidi da parte dei Mongoli nel 1258, si era
assistito ad un progressivo impoverimento ed irrigidimento dottrinale che
accompagnò l’Islam sino alle soglie dell’era moderna, con uno sviluppo inverso
rispetto a quello conosciuto dall’Occidente cristiano: al periodo della massima
fioritura, avvenuta nei secoli che corrispondono a quelli del nostro Medioevo,
seguì un lento ma inesorabile declino che interessò i più diversi settori della
cultura, proprio mentre l’Europa viveva il suo Rinascimento. Tale letargo
culturale sarebbe durato a lungo, ma non fu totale, né tantomeno definitivo. I
primi segnali di rinnovamento si possono rintracciare già nel XVIII secolo, con
l’anticipazione di alcune tematiche che sarebbero state riproposte
sistematicamente dal successivo Riformismo islamico. Ricordiamo a questo
proposito il movimento dei Wahhabiti, fondato in Arabia da Muhammad ibn ‘Abd
al-Wahhāb (1703- 1792), esponente di un puritanesimo intransigente teso a
riportare l’Islam alla sua formulazione originaria, liberandolo da principi e
pratiche di origine spuria, che ne avevano alterato la purezza ed indebolito la
forza. La fortuna del Wahhabismo si deve alla sua alleanza con l’emergente
dinastia saudita, ma al di fuori dell’Arabia la sua influenza fu assai limitata.
Tuttavia il desiderio di riformare l’Islam e la critica ad alcune pratiche tradizionali
anticiparono le tesi che avrebbero successivamente avuto grande fortuna.
Qualcosa di analogo avvenne quasi simultaneamente in Cirenaica col movimento
dei Senussi, una confraternita che promuoveva uno stile di vita austero e devoto ai
primi credenti, in contrapposizione ai musulmani occidentalizzati.
Una trasformazione più profonda e generalizzata, in grado di investire
formulazioni dottrinali classiche e radicate tradizioni, si ebbe però soltanto
quando il più diretto confronto/scontro con l’occidente, non più limitato soltanto o
principalmente alla sfera politico-militare, condusse ad una drammatica svolta. Si
prese coscienza della necessità di acquisire nuove conoscenze e tecniche moderne,
di rinnovare apparati e istituzioni, di sollevarsi dalla stagnazione (jumūd) che
1 Per una storia dell’espansione islamica si possono consultare: ALBERT HOURANI, Storia dei popoli arabi. Da Maometto ai nostri giorni, Oscar Mondadori, Cles 1998; PIER GIOVANNI DONINI, Il mondo islamico. Breve storia dal Cinquecento a oggi, Editori Laterza, Bari 2003.
7
caratterizzava la vita culturale. Ma ciò avvenne bruscamente e non al termine di
un graduale processo evolutivo, quando la decadenza dell’Impero Ottomano e la
politica espansionista delle potenze europee costrinsero i Paesi arabo-musulmani a
prendere coscienza del loro ritardo in molti settori e dell’urgenza di porvi rimedio.
La data che viene solitamente indicata come punto di partenza di questo processo
è quella del 1798, corrispondente alla campagna di Bonaparte in Egitto.
In realtà già l’Impero Ottomano, aveva introdotto significative novità come la
stampa e la riforma dell’esercito, ma questo processo fu certamente stimolato e
accelerato dalla presenza francese in Egitto, ed ovviamente continuò ben oltre
questa.2 A partire dall’epoca napoleonica sino a tutta quella dell’imperialismo,
arabi ed europei si trovarono a vivere faccia a faccia come non gli era mai
capitato, e le loro reciproche opinioni erano ovviamente destinate a cambiare. Gli
studi, gli insegnamenti, ma anche la creazione di nuove istituzioni, riavvicinarono
le due culture e le portarono a confrontarsi. La classe intellettuale musulmana
andava così convincendosi della necessità di una riforma che secondo alcuni
poteva avvenire recependo quello che non era in contrasto con la tradizione.
Gli intellettuali locali rimasero affascinati dal progresso prima di tutto scientifico
degli occidentali: “Ci presentarono poi altri esperimenti scientifici di questo
genere, basati sulla combinazione di corpi semplici e il loro avvicinamento l’uno
all’altro. […] Fecero ancora altri esperimenti tutti straordinari come i primi e
che delle menti come le nostre non potevano né concepire, né spiegare”, si legge
nelle pagine ricche di ammirazione lasciate da un annalista del tempo.3
Numerosi furono i viaggi e i soggiorni di studio in Occidente dei più giovani
rappresentanti dell’esigua classe media islamica. In particolare ciò riguardò
l'Egitto, la Siria, il Libano e la Turchia ottomana stessa. Mete privilegiate furono
Londra, Parigi e le varie città della Germania. Il desiderio di acquisire le
2 Cfr. PAOLO BRANCA, Moschee inquiete. Tradizionalisti, innovatori, fondamentalisti nella cultura islamica, il Mulino, Bologna 2003, pp. 63-65. 3 ‘ABD AL-RAHMĀN AL-JABARTĪ, Merveilles biographiques et historiques, Nendeln 1970 [ed. orig. 1881], , vol VI, pp. 74 ss., cit. in P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit. p. 65.
8
conoscenze e le tecniche che assicuravano ai paesi europei la superiorità,
determinò, negli anni successivi, l’invio da parte dei governatori d’Egitto di
apposite missione di studio che non limitarono il proprio interesse alle scienze, ma
si appassionarono all’insieme della cultura occidentale e, una volta tornate in
patria, furono determinanti nella promozione di innovativi istituti di formazione,
destinati a creare la futura classe dirigente. Inestimabile fu il contributo dato in
questo senso da un’apposita commissione presieduta da Rifā’al-Tahtāwī (1801-
1873), che tradusse in arabo autori come Voltaire e Montesquieu e che ci ha
lasciato un interessantissimo diario del suo soggiorno parigino.
Egli si pose in particolare il problema della lingua, che non si limitava alla pur
centrale questione della diglossia (la lingua scritta araba rimaneva fedele alle
regole dell’arabo classico, al contrario di quella parlata, ndr): la lingua araba
doveva adeguarsi alla funzione di strumento di comunicazione di massa e dotarsi
di un lessico rinnovato e una struttura più elastica per poter esprimere nuove
realtà. “Non so come indicare in arabo i mobili che arredano la mia stanza,
mentre non ho difficoltà a farlo in inglese”4 , scrisse laconicamente un altro
intellettuale di doppia formazione, Salāma Mūsā (1887 – 1958) e ancora più
perentoriamente al-Tahtāwī osservava:
“Tra i fattori che favoriscono i francesi a progredire nelle scienze e nelle arti, vanno
menzionate la semplicità e la perfezione della loro lingua. Impararla non richiede molta
fatica […] poiché questa lingua è completamente priva di ambiguità ed esclude ogni
equivoco. […] Esattamente il contrario di quanto avviene nell’ arabo dove, per leggere un
libro di una data materia, si deve prima studiarne il linguaggio, verificando
minuziosamente il significato delle parole e completando le frasi dando ad esse un senso
che non è esattamente quello che risulta dall’espressione.”5
Dalla consapevolezza teorica del problema si passò in seguito a nuove esperienze
nel campo letterario, ma la questione della diglossia rimase irrisolta e quella
dell’ammodernamento della lingua restò comunque una problematica aperta, tanto 4 P. BRANCA, Moschee inquiete...op.cit., p. 66. 5 RIFÂ’AL-TAHTÂWÎ , L’Or de Paris, Sindbad-Paris 1988, p. 185, cit. in P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., pp. 66-67.
9
che più avanti lo scrittore e pedagogo Ahmad Amīn (1886–1954) potrà riproporla
in termini sostanzialmente analoghi. Lo stesso Amīn sottolineava come fosse lo
stesso modo canonico di esprimere il pensiero, affidato alla concatenazione di
proposizioni scarsamente subordinate e mal disciplinato all’infuori della
speculazione teologica e filosofica, a necessitare di una riorganizzazione per poter
riflettere il mondo delle idee dell’Occidente moderno. Da qui la difficoltà, non
ancora del tutto superata, nel tradurre in arabo opere storiche o sociologiche
scritte nelle lingue occidentali, i cui aspetti stilistici sfuggono alla sintassi araba.
Se aggiungiamo a tutto ciò le difficoltà della complessa grafia araba si può ben
comprendere l’esclamazione di Anis Furayha: “Siamo il solo popolo che deve
capire per leggere, tutti gli altri leggono per capire!” 6
Grazie ai giornali e alla pubblicistica tuttavia si posero le basi per la nascita di
quell’arabo letterario “medio” che ancor oggi è utilizzato nella stampa quotidiana,
nei libri e nelle riviste. Un notevole contributo a questo processo fu dato anche da
alcuni intellettuali cristiani, così come importante fu il contributo cristiano alla
scolarizzazione.
Anche l’introduzione della stampa, come quella di altre innovazioni tecnologiche
incontrò tuttavia vivaci resistenze da parte degli ambienti tradizionalisti, timorosi
dell’effetto dissacrante che queste potevano avere, particolarmente in un settore
come quello linguistico-letterario da sempre strettamente correlato all’ambito
religioso e al testo Sacro. Nonostante ciò, l’adozione di nuovi moduli di
comunicazione stava prendendo avvio all’interno di una più generale ricettività
rispetto ai prodotti della cultura europea.
Non meno significative furono le trasformazioni nel settore giuridico, dove
modelli di stampo occidentale cominciarono a influire sulla codificazione del
diritto, emancipandolo dalle forme e dalle disposizioni tradizionali mediante la
ricezione di modelli normativi stranieri. Nell’Impero Ottomano le celebri riforme
Tanzīmāt vennero avviate da Adbul Magīd I (1939 -1861), mentre nel Maghreb e 6 GUSTAVE E. VON GRUNEBAUM, L’identité culturelle de l’islam, Paris 1973, p. 141, cit. in P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p. 69.
10
nello specifico in Tunisia l’opera di ammodernamento fu voluta prevalentemente
dallo statista Khayr al-Dīn (1820-1889), il quale promuoveva un’evoluzione delle
istituzioni e delle finanze pubbliche su modello dei moderni stati europei.
L’OCCIDENTE COME “ALTRO”: IL RITORNO ALLE ORIGINI
L’apertura alle suggestioni del pensiero europee fu in un primo tempo come visto
entusiastica ed incondizionata, ma la fase ricettiva non poteva durare a lungo in
modo acritico, non soltanto per il rischio di perdita d’identità che un simile
processo comportava, ma anche a causa degli avvenimenti politici che vedevano
nella politica di aggressione coloniale dell’Occidente il principale ostacolo sulla
strada della realizzazione di quegli stessi ideali che il contatto con la cultura
europea aveva contribuito a diffondere. Così le tematiche del risveglio culturale,
il recupero della propria tradizione, nella quale l’Islam giocava un ruolo di primo
piano, e l’anelito al riscatto politico presero a muoversi di pari passo.
In quest’ottica la tradizione doveva avere una reale portata rivoluzionaria, così
come sostengono molti odierni movimenti islamici. Ma mentre questi ultimi si
pongono in antitesi ad un potere costituito che (escludendo i casi in cui esso si fa
portatore di un modello estraneo alla tradizione, come il laicismo turco) poggia
sugli stessi valori di coloro i quali vogliono porsi come alternativa, i “riformatori”
della fine dell’Ottocento volevano sottoporre la tradizione ad una revisione critica
perché sentivano al necessità di introdurre nei propri paesi profonde
trasformazioni. 7
Il rapporto con l’Europa, pur portatore di grandi novità, non poteva che essere
denso di critiche: accettare tecnologia, scienza e la stessa idea di nazione,
significava riviverle in una prospettiva islamica. L’idea di nazione significava
emancipazione dal dominio turco, sempre mal tollerato, senza però mettere in
discussione l’appartenenza alla vasta comunità musulmana, di cui i turchi 7 ROCCO PEZZIMENTI, Il pensiero politico islamico del ‘900. Tra riformismo, restaurazione e laicismo, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2011, p. 21.
11
facevano parte. D’altro canto il rifiuto del colonialismo non cancellava quelle idee
di modernità da esso portate con cui occorreva comunque confrontarsi.
Che anche la religione venisse investita dal tentativo di rinnovamento fu invece
una brevissima illusione.8 Prevalsero quei motivi che spinsero a privilegiare
settori della Riforma che non toccavano l’aspetto religioso, in lotta contro coloro
che volevano sottomettere e mettere in pericolo la genuinità della cultura e della
tradizione musulmana. Secondo una felice definizione i riformisti volevano così
“islamizzare la modernità”9, un concetto su cui torneremo in seguito.
Ciò è già evidente in Jamāl al-Dīn al-Afghānī (1838-1897), personalità dallo
straordinario carisma che diede vita a circoli riformistici nei vari paesi arabi da lui
visitati per combattere i regimi autocratici e illiberali e l’influenza delle potenze
europee, nonché ispiratore di gran parte delle correnti innovative del pensiero
musulmano moderno. Il grave stato di decadenza in cui versavano i paesi
musulmani, a suo parere, non soltanto non era degno del loro glorioso passato,
ma neppure conforme allo spirito genuino dell’Islam, che vede nel successo anche
temporale un segno della propria autenticità e della benevolenza divina. Traccia
quindi una critica di quegli atteggiamenti che avevano reso i musulmani
corresponsabili della crisi che li affliggeva, giacché “Iddio non cambia il favore di
cui ha favorito un popolo fin quando essi non cambiano quel che hanno in cuore”
(Corano, 8,53). Così argomenta:
“Iddio Altissimo ci ha esplicitamente detto nella Rivelazione che i popoli non
decadono, non muoiono né scompaiono se non dopo essersi allontanati dalla condotta
ch’Egli stesso, nella sua infinta saggezza, ha stabilito.
Iddio non cambia la forza, il potere, il benessere, l‘agiatezza, la sicurezza e la
tranquillità di cui gode un popolo prima che questo abbia abbandonato la ragionevolezza
e il buon senso e non abbia smesso di considerare ciò a cui Dio ha destinato i popoli
d’altri tempi e di riflettere sulla sorte di quanti si sono scostati dalla retta via e che sono
quindi scomparsi, colpiti dalla sventura. 8 Ibid. 9 BRUNO ETIENNE, L’islamismo radicale, Rizzoli, Milano 2001 [ed. orig. L’islamisme radical, Hachette, Paris 1987], p.115.
12
Cessando di praticare la giustizia e di seguire la saggezza essi hanno perduto il retto
giudizio, la sincerità, l’integrità della coscienza, la resistenza alle passioni e l’ardore per
la verità, per il trionfo e la salvaguardia, nella quale non si adoperano più […]
Dio allora li ha fatti perire per i loro peccati ed essi sono diventati un esempio per
quanti sanno riflettere.
Egli, infatti, ha stabilito che la sopravvivenza il progresso dei popoli siano fondati sulle
virtù cui abbiamo fatto cenno e che, di conseguenza, la loro rovina dipenda
dall’abbandono di esse. […]
Dobbiamo tornare in noi stessi, esaminare i nostri pensieri e verificare il nostro
comportamento per sapere se stiamo seguendo le orme di quanti ci hanno preceduto nella
fede. […]
Come potremmo non accusare noi stessi vedendo gli stranieri spadroneggiare in casa
nostra, umiliare il nostro popolo, spargere il sangue dei nostri fratelli innocenti senza che
nessuno alzi un dito?
La maggior parte degli innumerevoli figli di questa religione non danno nulla di quanto
possiedono per difendere le loro terre e se stessi, preferiscono questa vita all’Altra […].
Ci siamo sparsi a Oriente e ad Occidente fin quasi a perdere quanto ci univa. […]
Apparteniamo ad un’unica Comunità e adoperarci per difenderla dai suoi nemici,
quand’essa viene attaccata, è il primo fra i doveri religiosi: lo attesta il Libro Sacro e il
consenso dei credenti di ogni generazione.[…]
Com’è stato promesso per mezzo dei profeti, questa Comunità è destinata al bene fino
alla fine dei tempi […].
Se gli ‘ulemā’ fedeli si metteranno all’opera, facendo quanto loro indicato da Dio e dal
Profeta e se ravviveranno lo spirito del Corano richiamando i credenti ai suoi nobili
principi e riconducendoli all’inviolabile patto divino, si vedrà allora la verità imporsi e
svanire il falso, la luce tornerà a splendere nelle menti e si tradurrà in pratica.
Il fermento che va coinvolgendo gli animi dei musulmani di tutti i paesi in questi tempi
testimonia che Iddio li ha preparati a lanciare un grido che li raccoglierà, ristabilendo
l’unità di quanti credono nella Sua unicità”
Scrive ancora, riguardo al predominio cristiano e alla decadenza della potenza
militare islamica:
13
“La religione cristiana è fondata sulla pace e la benevolenza, ha portato all’abolizione
della legge del taglione, alla rinuncia al potere e alle vanità del mondo, ha insegnato ai
suoi seguaci a sottomettersi all’autorità costituita, […] tra le esortazioni evangeliche c’è
quella che dice “se qualcuno ti percuote sulla guancia destra, tu porgigli la sinistra”
[…].
Chiunque consideri la struttura di questa religione tenendo conto dell’enorme influsso
che la fede ha sul pensiero […] non potrà che stupirsi del comportamento di quanti si
rifanno a questo credo pacifico. […] Si affannano nel conquistare paesi e
nell’impadronirsi di lontani territori, tutti i giorni escogitano qualcosa di nuovo in materia
di guerra e inventano nuovi strumenti bellici che impiegano tanto nei confitti tra di loro
quanto in quelli contro gli altri […].
La religione islamica ha posto invece tra i suoi fondamenti la ricerca del successo, lo
slancio di conquista e il predominio, il rifiuto di qualsiasi legge che contrasti con la sua e
di ogni potere che non ne applichi le norme.
Chi esamini le origini di questa religione e legga il suo Testo Sacro si convincerà che i
suoi fedeli non dovrebbero essere militarmente secondi a nessuno, dovrebbero superare
tutti nell’inventare macchine da guerra […] acquisendo le più ampie conoscenze ad esse
inerenti, quali la fisica, la chimica, la meccanica, la geometria ecc. […]
Per quale favore della sorte i cristiani sono arrivati a ciò che non era contemplato dalla
loro fede? Quale colpo di sfortuna ha invece colto i musulmani facendoli restare indietro
nell’acquisizione proprio dei mezzi prioritari per l’adempimento della loro vocazione?
[…]
Ci limiteremo a dire che il cristianesimo si è diffuso nell’Europa post-romana, dove già
erano presenti fedi , usi e costumi legati a religioni e a leggi anteriori. Il cristianesimo si
mostrò tollerante verso quelle abitudini e quelle mentalità e conquistò quei popoli con la
persuasione e senza ricorrere alla forza. Ciò nonostante le pagine del Vangelo che
invitano alla pace in un primo tempo non furono divulgate tra le masse, ma restarono
riservare ai capi spirituali […] In seguito quando i Pontefici si misero a legiferare e
indissero le crociate, lo fecero in nome della religione. Tutto ciò dapprima si confuse nei
dogmi della fede per divenirne infine uno dei principi di base[…].
Quanto ai musulmani, dopo i traguardi raggiunti al tempo delle origini della loro
religione […] tra essi apparvero in seguito uomini che, ammantandosi degli abiti della
religione, introdussero delle novità estranee al genuino Islam.
14
Si diffusero così la dottrina della predestinazione, che fu tanto ripetuta da insinuarsi
infine nei cuori distogliendoli dall’azione, si propagarono le eresie del terzo e quarto
secolo e le dottrine dei sofisti, […] il risultato fu un indebolimento delle volontà”10
L’ignoranza e la pura imitazione delle tradizioni più decadenti; le divisioni interne
alla comunità che opponeva sette ed etnie minando l’unità della Umma; il
carattere dispotico della maggioranza dei principi al potere: erano tutti bersagli
della critica di al-Afghani. Al tempo stesso egli difendeva strenuamente l’Islam
più autentico, cercando di dimostrare la perfetta compatibilità tra scienza e fede,
nonché la superiorità dell’Islam rispetto alle altre religioni per la sua intrinseca
razionalità, imputando i mali di cui il mondo musulmano soffriva ad una non
corretta adesione agli ideali della propria fede da parte dei suoi stessi, dichiarati
seguaci.
Se da un lato dunque si avvertiva la necessità di svincolarsi dagli aspetti statici del
pensiero religioso tradizionale e di una più generale maturazione della cultura
araba, dall’altro lato cresceva la consapevolezza che proprio quella tradizione,
diversamente interpretata, poteva fornire gli elementi di continuità che
garantissero la conservazione della propria identità in un momento di così vaste e
radicali trasformazioni.
Nel pensiero di al-Afghani, osserva Paolo Branca, si può rintracciare “qualcosa di
simile allo spirito della Riforma protestante”, 11 nella necessità di un contatto
diretto con l’autorità della Scrittura (il Corano), senza fermarsi all’interpretazione
tradizionale. Di qui la condanna dello spirito di “imitazione” (taqlīd) e l’invito a
riaprire la “porta dell’ijtihād”, lo sforzo interpretativo, indebitamente interrotto
ormai da molti secoli.
10 GAMAL AL -DĪN AL-AFGHĀNĪ e MUHAMMAD ‘ABDUH, al-‘Urwa al-wutqā (Il legame indissolubile), Dār al-kitāb al-‘arabi, Beirut 1983, pp. 171-175 e 65-69, cit. in PAOLO BRANCA, Voci dell’Islam moderno. Il pensiero arabo-musulmano fra rinnovamento e tradizione, Marietti, Genova 1991, pp. 127-134. 11 P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p. 73.
15
Chi sviluppò in tal senso lo spirito del riformismo musulmano fu soprattutto il
dotto egiziano e suo discepolo Muhammad ‘Abduh (1849-1905). Di formazione
tradizionale azharita12, Abduh subì profondamente l’influsso morale del maestro.
Divenne redattore-capo della “Gazzetta ufficiale” egiziana, ma, a causa delle sue
simpatie per la rivoluzione di ‘Urabī Pascià (1882)13, e nonostante non ne
condividesse gli estremismi e fosse in linea di massima favorevole ad un dialogo
con gli inglesi, fu costretto all’esilio in seguito alla conseguente occupazione
britannica.14 A Parigi rincontrò al-Afghānī e insieme pubblicarono per breve
tempo un periodico, “Il Saldo vincolo” (“al-‘Urwa al-Wuthqa”), che fu una vera
fucina di idee salafite e circolò ampiamente nel mondo arabo. Il salafismo, o
salafiyya è una scuola di pensiero sunnita che prende il nome dal termine arabo
salaf al-ṣaliṣīn ("i pii antenati"), di cui al-Afghani (pur sciita) e ‘Abduh sono
considerati maestri, e che si ispira appunto al recupero dello spirito degli
“antichi”. Tornato in patria nel 1888, ‘Abduh venne nominato muftī, ovvero
principale consulente giuridico dello Stato. Si impegnò alacremente nella riforma
dell’Università di al-Azhar oltre che dei tribunali, nella convinzione che
educazione e giustizia fossero due pilastri della Riforma e del buon governo. Il
suo intervento sul sistema universitario e giuridico fu duraturo e significativo.15
‘Abduh non scrisse molto, ma tutte le sue opere furono particolarmente efficaci.
Nella sua autobiografia espose come segue i propri obiettivi:
in primo luogo, liberare il pensiero dalle catene della servile imitazione del
passato (taqlīd) e comprendere la religione com’ era compresa dagli antichi della
Comunità (salaf), prima che comparisse il dissenso; quindi, nell’acquisizione
della conoscenza religiosa, tornare alle fonti e soppesarle nell’ottica della ragione
umana, che Dio ha creato allo scopo di prevenire ogni eccesso o adulterazione
della religione, così da adempiere la saggezza di Dio e preservare l’ordine del
12 al-Azhar è la celeberrima università islamica del Cairo. 13 Ahmad ‘Urābī è l’ufficiale e politico egiziano che ha guidato l’insurrezione patriottica contro i britannici e contro il khedivè tra il 1979 e il 1882, ad Egitto ancora formalmente sotto dominio ottomano. L’insurrezione venne soffocata dalle armate britanniche nella definitiva battaglia di Tel El Kebir, il 13 settembre 1882. 14 MASSIMO CAMPANINI, Il pensiero islamico contemporaneo, il Mulino, Bologna 2005, p. 27. 15 MASSIMO CAMPANINI, Storia dell’Egitto contemporaneo. Dalla rinascita ottocentesca a Mubarak, Edizioni Lavoro, Roma 2005, p. 56.
16
mondo umano; infine, dimostrare che, vista in questa luce, la religione è amica
della scienza e stimola l’uomo a investigare i segreti dell’esistenza, ammonendolo
di rispettare le verità eterne e di basarsi su di loro nella sua vita e nella condotta
morale16
Raccogliendo dunque la sfida lanciata all’Islam dal pensiero moderno e dalle
profonde trasformazioni in atto nelle società orientali, Muhammad si preoccupò di
riformulare il credo e l’etica della propria religione in modo da renderli meno
vulnerabili alle critiche e agli attacchi che provenivano dai suoi avversari e al fine
di liberare quelle forze vitali di pensiero e di azione che lunghi secoli di
decadenza avevano svilito.
Nel suo pensiero si svilupparono quindi per la prima volta insieme le due direttrici
del riformismo islamico: da una parte la critica e dall’altra la difesa e il recupero
della propria tradizione.
Dimostrare che l’Islam è, nei suoi fondamenti, essenzialmente favorevole alla
scienza e al progresso non avrebbe avuto alcun effetto se contemporaneamente
non lo si fosse liberato dallo spirito di imitazione che ne aveva bloccato lo
sviluppo, ponendo tra i fedeli e i testi originari della fede la mediazione di infiniti
compendi e commentari di scarsa qualità e oscura comprensione (egli stesso
aveva estremo interesse per lo studio del Libro sacro ed iniziò un commentario
che fu proseguito dal suo discepolo Rashīd Ridā, ndr). Purificare l’eredità
islamica dagli elementi estranei che nel corso dei secoli ne avevano alterato il
messaggio originale e rendere a quest’ultimo la possibilità di essere credibile per
l’uomo del XX secolo, questi sono in definitiva gli obiettivi dichiarati di
‘Abduh.17
Si trattava dunque, in pieno spirito salafita, di rinnovare l’Islam nella dimensione
della scienza, attingendo alle sue fonti primarie. Il presupposto di questa
professione d’intenti era la sostanziale razionalità dell’Islam in quanto religione e
16 ALBERT HOURANI, Arabic thought in the Liberal Age. 1798-1939, Oxford 1962, pp. 140-141, cit. in M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p.56. 17 Cfr. P.BRANCA, Voci dell’Islam…op.cit., pp. 134-135.
17
sistema di vita. La razionalità dell’Islam è fondata nello stesso Corano, come si
legge nell’opera più famosa di ‘Abduh, l’“Epistola sull’Unicità di Dio” (“Risāla
al-tawhīd” ):
“Il Corano non pretende che si abbia fiducia in lui per il fatto che lo dice. No! Il Corano
prova ciò che enuncia, espone dottrine divergenti e le confuta con l’argomentazione; fa
appello alla ragione e risveglia l’intelligenza; mostra l’ordine che regna nell’universo, le
leggi che lo governano, la saggezza e la perfezione che vi si manifestano”18
Nel dispiegare del suo pensiero ‘Abduh fu tra i primi fautori, nel mondo arabo-
islamico contemporaneo, del recupero della teologia razionalistica dei mutaziliti,
una scuola teologica fiorita in Iraq nel IX secolo dell’era cristiana. In quest’ottica,
almeno nelle prime edizioni dell’”Epistola sull’Unicità di Dio”, egli approvava la
dottrina del Corano creato e del libero arbitrio umano. Nonostante questa tesi,
particolarmente invisa ai tradizionalisti, sia stata silenziosamente lasciata cadere
nelle successive edizioni, possiamo tuttora leggere nell’opera la difesa
dell’indipendenza e della libertà umana di agire rispetto alla predestinazione
divina. D’altra parte, pur essendo l’uomo capace di agire, non potrebbe farlo se
Dio non glielo consentisse (una posizione con la quale l’autore mediava tra
mutazilismo e asharismo19); pur essendo la ragione peculiare dell’essere uomo, la
stessa di arresta di fronte ai misteri e a verità che solo la Profezia può rivelare.
Sebbene il pragmatismo e il razionalismo di ‘Abduh abbiano fatto sospettare ad
alcuni autori che fosse un agnostico, nelle sue opere si leggono chiare
affermazioni che circoscrivono comunque le capacità della ragione. Divenne
d’altronde il maître à penser del riformismo islamico e contribuì alla diffusione
del salafismo, che arrivò in Siria come in Algeria e perfino in India.
18 MUHAMMAD ‘ABDUH, Risālat al-tawhīd, Exposè de la Religion Musulmane, Parigi 1978, p.6 (traduzione italiana a cura di G.SORAVIA, Trattato sull’unicità divina, Il Ponte, Bologna 2003), cit. in M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p.57. 19 In contrasto con il Mutazilismo, gli ashariti proposero una natura unica e trascendentale di Dio e caratteristiche divine ben superiori alle capacità umane. Il disaccordo tra i seguaci degli ashariti e i mutaziliti si manifestò anche su altri due punti fondamentali, quali il rifiuto della tesi del libero arbitrio e il trionfo della predestinazione; e la ripresa della tesi dell’eternità del Corano.
18
‘Abduh, come al-Afghānī, era convinto che l’Islam fosse una “civiltà” nel senso
più pieno e totale del termine. Nell’ambito della problematica tra le leggi di Dio,
rivelate, e le leggi umane, figlie della scienza terrena, rispondeva che la vera
civiltà è conforme all’Islam, e non viceversa il vero Islam conforme alla civiltà.
Questa distinzione, nota Massimo Campanini, “prefigura nel pensiero islamico
contemporaneo una duplice tendenza in relazione alla modernità, tendenza che
sarà persistente nei decenni successivi ad ‘Abduh: l’una, riformistica, che ha
inteso islamizzare la modernità, cioè ricondurre la modernità nell’alveo dell’Islam
sostenendo che l’Islam è una religione e un’ideologia perfettamente in grado di
comprendere e di governare il nuovo; l’altra, modernista e laicista, che ha inteso
modernizzare l’Islam, cioè in pratica circoscrivere la funzione della religione
all’ambito spirituale e ultimo della coscienza. ‘Abduh sosteneva la prima tesi,
quella dell’islamizzazione della modernità: accettava con entusiasmo la modernità
e la scienza, ma riteneva che esse fossero non solo compatibili col, ma addirittura
una declinazione del razionalismo islamico”20
Molti discepoli, piò o meno diretti, di ‘Abduh colsero pienamente gli elementi
innovatori, in chiave razionalista e scientista, del suo pensiero, e furono vivaci
riformatori almeno sul piano delle idee. Tra questi Qāsim Amīn (1865-1908),
intellettuale nato al Cairo e anch’esso trasferitosi in Francia, in questo caso per
perfezionarsi nelle discipline giuridiche. Le sue argomentazioni sono sulla linea
del primo riformismo musulmano nella difesa dell’Islam rispetto alle accuse
mossegli dai suoi avversari e nello sforzo di dimostrarne la perfetta compatibilità
con la razionalità e la scienza. Ma soprattutto si segnalò per due opere pubblicate
tra il 1899 e il 1900 che fecero scalpore: si trattava dei primi libri nel mondo arabo
che sistematicamente rivendicavano l’effettiva parità tra uomo e donna nella
società e l’emancipazione delle donne dal ruolo subordinato nella famiglia e sul
lavoro. La subordinazione femminile altro non sarebbe difatti che uno dei tanti
frutti di un’errata interpretazione della religione. L’apertura mentale di Amīn, che 20 M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., pp. 58-59.
19
prevedibilmente gli costò durissime critiche dagli ambienti tradizionali, si
manifestò anche in altre tematiche di carattere sociologico e psico-pedagogico,
testimoni di uno spirito riformista ben al di là di una semplice preoccupazione
apologetica.
Oltre ad Amīn si potrebbe citare anche Ahmad Lutfī al-Sayyid (1872-1963),
intellettuale dall’orientamento liberale che in quegli anni esaltò la libertà come
diritto dell’individuo e rivendicazione civile e denunciò gli eccessi dello
statalismo. Tuttavia, il secolarismo di questi autori non fu l’unico effetto
dell’insegnamento razionalizzante di ‘Abduh. Dopo la sua scomparsa, il
movimento che a lui si rifaceva, la Salafiyya, venne guidato dal siriano Rashīd
Ridâ (1865-1935), ma progressivamente all’impulso realmente innovativo si andò
affiancando e talvolta sostituendo la tendenza a ripristinare l’Islam nelle sue
forme originarie, privilegiando il filone apologetico e revivalista che fu proprio
anche dei primi movimenti islamici radicali, sorti appunto in quegli stessi anni,
come quello dei Fratelli Musulmani.21 Ridâ come vedremo interpretò il salafismo
in chiave marcatamente religiosa e si può dire conservatrice.
GLI INNOVATORI
Non per questo si può dire che la spinta al rinnovamento sia venuta del tutto a
mancare. Anzi, alcune delle voci più significative e delle proposte più audaci in
questo senso dovevano ancora esprimersi, come estrema conseguenza della
consapevolezza della necessità di un sostanziale cambiamento, giù espressa
compiutamente dagli spiriti più acuti.
All’interno di questo filone va segnalato sicuramente il siriano ‘Abd al-Rahmān
al-Kawākibī (1849-1902). Nato ad Aleppo in una famiglia di notabili, pur
ricoprendo diverse cariche amministrative non risparmiò critiche ai governanti
ottomani dalle colonne di varie testate a cui collaborò, tanto da meritarsi un
21 Cfr. P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p. 75.
20
processo per tradimento poi risoltosi in assoluzione. Le intimidazioni tuttavia non
finirono e lo indussero, nel 1899, a cercare rifugio in Egitto, dove incontrò i favori
del khedive ‘Abbās Hilmī, strenuo avversario del sultano ‘Adb al-Hamīd, e si unì
al gruppo di riformisti che si raccoglievano attorno alla rivista ‘al-Manār”, diretta
da Rāsid Ridâ. Qui pubblicò “Umm al-Qurā” (“La Madre delle città”, epiteto di
La Mecca), opera nella quale, immaginando un credibile “Congresso della
rinascita islamica”, esprimeva le sue critiche e le sue proposte di riforma.
Nonostante il ricorso ad uno pseudonimo, la paternità dell’opera non restò ignora
ai suoi nemici ed egli morì avvelenato da un agente ottomano nel 1902. Nella sua
seconda opera, “Tabā’i’ al-istbdād wa masāri’ al-isti’b ād” (“ Caratteri della
tirannide e danni dell’asservimento”) dà invece voce al tema del dispotismo,
mostrando evidenti influssi da parte di alcuni autori europei tra cui
l’espressamente richiamato Vittorio Alfieri. 22
I suoi scritti hanno come principale obiettivo da un lato stabilire il primato degli
arabi in seno all’Islam in luogo del decadente impero ottomano (da cui la richiesta
di un califfato arabo spirituale); dall’altro assicurare la separazione tra potere
politico temporale e potere spirituale. Il tutto al fine di fornire al mondo arabo
un’unità organizzata attorno all’Egitto, rispettando pienamente la sovranità del
movimento nazionale in materia di potere politico23. Così facendo, Kawākibī
inaugura la formazione del sottogruppo radicale all’interno del fondamentalismo
islamico, ovvero di quel che può essere designato con l’appellazione di
“islamismo politico” propriamente detto, da quel momento in avanti cuore stesso
del movimento arabo del ventesimo secolo. Tra le sue osservazioni uscite dalla
sua limpidissima penna si possono segnalare i passi sulla specificità e i valori del
mondo arabo e sul rapporto tra dispotismo e religione, in cui per altro si coglie
un’aperta critica ai governanti e ai religiosi asserviti che sfruttano le varie
religioni per intimorire e soggiogare i popoli. 24
Tra gli altri esponenti di rilievo del riformismo islamico in Siria ci limitiamo a
citare Tāhir al-Jazā’iri (1850-1920), autore di un catechismo nel quale cercò di
22 Cfr. P.BRANCA, Voci dell’islam…op.cit., pp.117-121. 23 ANOUAR ABDEL-MALEK , La pensée politique arabe contemporaine, Seuil, Parigi 1970, p. 205. 24 passi delle opere di Kawābī si possono trovare nelle due opere citate alle note 22 e 23.
21
rendere accessibili gli articoli del credo musulmano combattendo le forme
devianti della religiosità popolare; ‘Abd al-Qādir al-Maghribī (1868-1956),
fautore di riforme nel settore dell’istruzione e della cultura; Muhammad Kurd’Alī
(1876-1953), intellettuale e uomo politico di grande apertura.
In Libano emerge sulle altre la figura di Sakīb Arslān (1869-1946), intellettuale
forgiato dagli assidui contatti oltre che con i vari paesi arabi anche con diversi
esponenti della cultura occidentale. Interrogandosi in “Limādā ta’ahhara al-
muslimūn wa limādā taqaddama gayruhum” (“Perche è musulmani sono
arretrati mentre gli altri progrediscono”) sulle cause del ritardo musulmano,
Arslān ritiene che l’inerzia dei musulmani sia una dei principali motivi del
degrado. Essi hanno dimenticato che la loro religione non si occupa solo
dell’Aldilà, al contrario la sua peculiarità è quella di essere contemporaneamente
religione di questo e dell’altro mondo:
“Il danno fatto dai musulmani colpiti dall’inerzia non è minore di quello provocato dai
rinnegati, anche se i primi non hanno la malizia e la cattiva coscienza dei secondi e si
comportano così solo per ignoranza o per fanatismo.
Sono stati loro a spianare la strada ai nemici della civiltà islamica i quali hanno trovato
comodo giustificare la propria aggressione col pretesto dell’arretratezza del mondo
musulmano che essi imputano agli insegnamenti stessi dell’Islam”
Lo svantaggio islamico deriva dal fatto che ci si è preoccupati solo di orientare
gli sforzi della ricerca verso le scienze religiose invece che verso quelle che
cercano di migliorare la vita terrena. Purtroppo molti islamici hanno accettato
questo dato di fatto quasi per decreto divino provocando indolenza e pigrizia,
atteggiamento che ha prodotto anche non pochi problemi di immagine e che ha
indotto gli occidentali a definire l’Islam fatalista e rinunciatario.
“Sono stati loro a determinare lo stato di miseria in cui si trovano i musulmani, poiché
hanno fatto dell’Islam una religione che si occupa solo dell’aldilà, mentre esso è
contemporaneamente la religione di questo e dell’altro mondo ed è anzi questa la
caratteristica che lo contraddistingue. […]
22
I musulmani che si lasciano andare all’inerzia […] quando constatano questa situazione
la giustificano parlando del destino e del decreto divino, come fanno tutti gli indolenti di
questo mondo. […]
È questo atteggiamento che ha indotto gli occidentali a definire l’Islam fatalista e
rinunciatario: quello che è, è, e non si può farci niente”
Ovviamente anche in questo caso la risposta a tale fraintendimento non può essere
che il ritorno alle origini, riformando quindi la religione coranica e purificandola
dalle impurità.
“In realtà sono le idee di questi musulmani a non adattarsi alla civiltà e ad opporsi al
progresso, l’Islam non è responsabile della loro rigidezza. […]
Coloro che comprendono rettamente l’Islam accolgono anzi di buon grado ogni
innovazione che non si opponga alle verità della fede e non provochi guasti.
D’altra parte, non riesco ad immaginare che nulla di quanto può essere utile alla società
possa trovarsi in contrasto con una religione che ha per fine la felicità dei suoi fedeli.”25
Arslān mise la sua abilità di scrittore al servizio ella causa della rinascita araba
non solo sul piano della cultura, ma anche impegnandosi a livello politico. Nel
1921 a Ginevra si fece infatti promotore di un Congresso siro-palestinese di cui fu
rappresentante presso la Società delle Nazioni e diresse la prestigiosa rivista “La
Nation Arabe”.
I maggiori esponenti del pensiero riformista nel Maghreb furono degli algerini.
Sulla scorta delle tesi di Muhammad ‘Abduh, che aveva visitato il Paese nel 1903,
essi si impegnarono contro il culto dei marabutti (“santi” riconosciuti a livello
locale) e le altre forme di religiosità diffuse tra la popolazione; ma nello stesso
tempo reagirono all’influenza occidentale facendo della lingua e della cultura i
punti di forza per la promozione dell’identità nazionale algerina, opponendosi al
diffondersi dei modelli di vita europei. Capofila del movimento fu ‘Abd al-Hamīd
ibn (Ben) Bādīs (1889-1940), che dopo un solido corso di studi tradizionali a
25 SAKĪB ARSLĀN, Limādā ta’ahhara al-muslimūn wa limādā taqaddama gayruhum (Perché i musulmani sono arretrati mentre gli altri progrediscono), Dār maktaba al-hayāt, Beirut 1969, pp. 105 ss., cit. in P.BRANCA, Voci dell’Islam…op.cit., pp. 122-125.
23
Tunisi, ricevette nuovi stimoli dopo il pellegrinaggio a La Mecca e il fruttuoso
confronto con gli intellettuali riformisti de Il Cairo. Fu pioniere del nascente
giornalismo algerino e fondatore della rivista “al-Shihāb” (“La Meteora”),
portavoce delle idee della Salafiyya e di posizioni nazionaliste moderate.
Scopo della pubblicazione era quello di combattere gli aspetti più deteriori della
religiosità popolare per ridare credibilità all’Islam davanti alle sfide del mondo
moderno. Il programma era ben sintetizzato dallo slogan: “L’Islam è la mia
religione, l’arabo è la mia lingua, l’Algeria è la mia patria”, e sin dal primo
editoriale si affermo una netta volontà di distinguere religione e politica. Solo la
religione difatti costituiva il fondamento capace di delineare la linea di condotta e
la forza morale per liberare le moderne società da ogni vizio, vizio da cui ogni
buon musulmano era chiamato a depurare la società. Dal punto di vista politico
importante era l’appello alla Francia per una maggiore emancipazione del governo
di Algeri, motivato da quegli stessi valori di libertà, fraternità e uguaglianza
diffusi dalla Rivoluzione francese. Non venivano messi in dubbio i vantaggi del
legame con Parigi, ma veniva sottolineata la sostanziale noncuranza francese per
la condizione morale ed intellettuale della popolazione locale. Il richiamo alla
cultura araba è ben presente ma con tono sostanzialmente moderato e l’augurio di
fondo è che i due popoli potessero pacificamente convivere.
Attorno a Bādīs si costituì nel 1931 l’Associazione degli ‘ulema’ algerini, che
raccolse gli spiriti più aperti dell’intellighenzia religiosa quali Bashīr al-Ibrāhīmi
(1889-1965), che si batté per la predicazione religiosa in moschee e madrase
libere dai condizionamenti istituzionali, e Mubārak Mīlī (1897-1945), apostolo del
Riformismo islamico nel sud del Paese, una zona ancora semifeudale dove il
discorso religioso era ancora appannaggio delle confraternite tradizionali.
Anche se dal punto di vista più strettamente dottrinale la corrente algerina è stata
meno audace di quella egiziana nel recupero di orientamenti teologici originali,
l’importanza del movimento fu enorme per la rinascita sociale e culturale del
Paese. 26
26 Cfr. P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p.78.
24
Alcune voci significative di questo periodo esprimono meglio di altre il profondo
disagio e la drammaticità di un dibattito che non opponeva soltanto esponenti di
differenti orientamenti, ma lacerava al loro interno le stesse coscienze.
Emblematica a questo proposito la figura dell’intellettuale egiziano Salāma Mūsā
(1887-1958), che diede voce alle contraddizioni lasciate aperte dal processo di
apertura ai modelli occidentali, tanto entusiasticamente intrapreso quanto
rapidamente arenatosi su alcune grandi questioni di fondo:
“Sono trascorsi più di centotrenta anni (il riferimento è alla campagna di Bonaparte in
Egitto, ndr) e ancora ci troviamo nell’incertezza, non sappiamo se siamo orientali e
dobbiamo seguire la via dell’Asia o se invece siamo occidentali e dobbiamo unirci anima
e corpo all’Europa assumendone le usanze, adottandone l’abbigliamento, il cibo, gli stili
di governo, di vita familiare e sociale, i sistemi di produzione e di coltivazione”27
Molte istituzioni si erano già uniformate ai modelli occidentali, Mūsā notava però
come in questo processo precario il vecchio e il nuovo andassero accostandosi e
giustapponendosi, anziché unirsi in una sintesi armonica:
“Abbiamo un governo di stile europeo, ma vi sopravvivono entità orientali quali il
Ministero degli Awqāf (fondazioni pie) e i tribunali sciaraitici che frenano il processo del
paese. Abbiamo un’università che diffonde tra noi la cultura del mondo civilizzato, ma al
suo fianco al-Azhar propaga quella dei secoli oscuri.” 28
Mūsā è considerato tra i fondatori del socialismo egiziano, ha guidato la battaglia
in favore dello spirito scientifico e della teoria evoluzionistica, la lotta politica per
la democrazia e il socialismo, e un lavoro di critica letteraria, filologica e
religiosa. 29
La sua preoccupazione sulla mancata armonicità tra cultura orientale e modelli
occidentali fu una delle costanti del pensiero riformista. Già nel 1926 così si
27 SALĀMĀ MŪSĀ, al-Taraddud bayna al-Sahrq wa-l-Gharb (L’indecisione tra Oriente e Occidente), in al-Yawma wa-ghadan (Oggi e domani), riportato in A.A.V.V., Fî-l-qawmiyya al-‘arabiyya (Sul nazionalismo arabo), Beirut 1980, p.332, cit. in P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p.79. 28 Ivi, p. 333. 29 A.ABDEL-MALEK , La pensèe politique…op.cit., p.242.
25
esprimeva in proposito Abd al-Razzāq Ahmad al-Sanhūrī (1895-1971), uno tra i
più eminenti uomini di diritto del mondo arabo contemporaneo:
“La diversità attualmente esistente in Egitto tra i differenti sistemi d’istruzione non può
certo contribuire all’unità nazionale. Il sistema religioso e quello laico sono
semplicemente giustapposti: il primo a sua volta segue tanto programmi tradizionali
(come ad al-Azhar) quanto procedimenti più moderni (come la scuola dei Cadi, o giudici,
o quella per insegnamenti di lingua araba, Dār al-‘Ulūm). Un sistema scolastico unificato
è indispensabile all’Egitto ancor più che alla Francia.”30
Dieci anni dopo anche Tāhā Husain (1889-1973) tornava sull’argomento,
sottolineando come proprio l’importanza fondamentale e il prestigio di al-Azhar
dovessero spingere la rinomata università islamica ad abbracciare anziché
respingere la modernità, affinché vi potesse essere comunicabilità tra uomini di
religione e popolo. 31
La coscienza di questa fase critica attraversata dal proprio Paese e dalla cultura
araba in generale indusse Salāma Mūsā a considerare necessaria una sorta di
scelta di campo, nella quale egli espresse chiaramente il proprio orientamento.
Dichiarava infatti: “noi non siamo affatto orientali” e riteneva che “definire
orientale l’Egitto è un errore madornale”, pensando che “l’attaccamento di
alcuni di noi per l’oriente è in realtà attaccamento per il passato”. 32
Diametralmente opposta la risposta su questo tema di al-Sanhūrī, promotore del
“panorientalismo”. Nel suo pensiero la religione musulmana ha per nascita una
dimensione globale che ne fa un elemento unificante necessario ma non
sufficiente: il panislamismo trova sul piano politico una sua insostituibile
espressione nel superamento dei confini nazionali: 33
30 ABD AL-RAZZÂQ AL-SANHOURY, Le califat, Geuthner, Paris 1926, pp. 342-343, cit. in P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p. 79. 31 TĀHĀ HUSAIN, Mustaqbal a-Thaqāfa fī Misr (Il futuro della cultura in Egitto), Il Cairo 1936, riportato in PAOLO MINGANTI, Taha Husein e l’insegnamento in el-Azhar, nel volume Taha Husein, Napoli 1964, pp. 82-83, cit. in P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p. 79. 32 S.MŪSĀ, al-Taraddud…op.cit., pp.334-336. 33 Cfr. R.PEZZIMENTI, Il pensiero politico…op.cit., p. 35.
26
“Il panislamismo ha una base religiosa e una base politica. Nel suo aspetto religioso
esso è sempre esistito, fin dalla nascita dell’Islam, mentre sul versante politico si colloca
tra le grandi espressioni del pensiero sociale moderno.
Da questo punto di vista si pone essenzialmente come una dottrina difensiva che trova
la sua ragion d’essere e la sua forza nelle presenti condizioni del mondo musulmano.
I sostenitori del panislamismo intendono usare la solidarietà religiosa come base per
una collaborazione politica tra tutti i popoli islamici che consenta loro di lavorare fianco a
fianco per la propria emancipazione e darsi un’organizzazione.
Si tratta ora di vedere che forma prenderà tale organizzazione: una confederazione
islamica? Un impero califfale? Bisogna prima liberare i paesi assoggettati dal dominio
straniero o si deve cominciare a riunire quelli già indipendenti? Le risposte ch’essi danno
a questi problemi sono ancora piuttosto imprecise. […]
È proprio tale imprecisione a conferire al panislamismo nello stesso tempo un carattere
minaccioso e una sorta di debolezza.
Non si può negare l’esistenza di una solidarietà islamica, che si è tra l’altro manifestata
ben prima della nascita dell’attuale movimento panislamico, ma, perché essa possa dare
qualche risultato concreto, non bisogna portarla fuori dal suo consueto campo d’azione.
Non bisogna chiedere troppo all’Islam.
Esso costituisce senz’altro un forte fattore di coesione, ma non può soffocare le altre
forze che agiscono nella società. […]
Si deve tener conto anzitutto di quel fattore tanto dinamico che è il nazionalismo
poiché, se venisse trascurato il suo legittimo ruolo, esso finirebbe per reagire con spinte
particolariste che si opporrebbero a qualsiasi movimento di carattere universalista.
Senza la base salda del nazionalismo non si può realizzare nulla di duraturo[…].
Facendo appello al panislamismo non si raccoglie il consenso che di qualche credente
sognatore, mentre l’Oriente intero risponde alla chiamata fatta in nome del nazionalismo.
L’idea di patria sta gradatamente prevalendo su ogni altra.[…]
Nazionalismo, panarabismo, panturanismo, hanno tutti bisogno di un orientamento
generale per poter collaborare. Senza tale coordinamento l’Oriente rischia di dilaniarsi in
gravi lotte intestine.
27
Se l’elemento unificatore non può esser rappresentato dal panislamismo, è possibile
trovarne un altro? Noi siamo convinti di sì: si tratta del panorientalismo”.34
Queste interessanti riflessioni ci avvicinano a due tematiche di fondamentale
importanza e tra loro legate, ovvero i temi del nazionalismo (che nel mondo arabo
si manifesta al tempo stesso nella sua dimensione nazionale e sovranazionale) e
del Califfato, su cui torneremo in seguito.
Mūsā non era affatto l’unico intellettuale a collocare l’Egitto nella sfera
occidentale, l’idea di una specificità della Terra dei Faraoni era un tema comune a
molti nazionalisti, compreso lo stesso al-Sanhūrī, che, pur portavoce del
panorientalismo, riteneva questo Paese il “più adatto a costituire una nazione nel
senso occidentale del termine”.35
In quest’ottica la tesi più nota è forse quella del già citato Tāhā Husain, uno dei
personaggi più significativi della cultura araba del Novecento, sostenitore di
un’argomentazione più articolata e prudente nella quale predominavano
comunque l’eredità e la vocazione mediterranea della cultura egiziana. Nel già
citato “Mustaqbal al-thaqāfa fī Misr” (“L’avvenire della cultura in Egitto”), si
chiede se il suo Paese fosse culturalmente parte dell’oriente o dell’Occidente:
“La mentalità egiziana è orientale o europea, sul piano dell’immaginazione, della
percezione, del mondo di intendere e giudicare? In termini precisi: è più facile, per la
mentalità egiziana, comprende un cinese o un giapponese piuttosto che un francese o un
inglese? Quella è la questione che dobbiamo chiarire, prima di pensare alle basi su cui
dovremo edificare la nostra cultura e il nostro insegnamento.
Mi sembra che il modo migliore consista nel fare ritorno alla storia del pensiero
egiziano sin dai tempi più lontani e seguirne l’evoluzione sino ai nostri giorni. […]
Non mi pare che il collegamento tra gli antichi egizi e i paesi orientali abbia superato il
vicino oriente che noi chiamiamo Palestina, Siria e Iraq, ovvero l’oriente
mediterraneo.[…]
34 A.AL-SANHOURY, Le califat…op.cit., pp. 509-513. 35 Ivi, p. 342.
28
Il senso di tutte queste indicazioni storiche è chiaro: la mentalità egiziana non ha
intrattenuto con l’estremo oriente dei rapporti importanti; non ha coesistito pacificamente
e beneficamente con la mentalità persiana, con cui i rapporti sono stati piuttosto di guerra
e inimicizia. […]” 36
Poiché la mente egiziana si è storicamente sviluppata in stretto contatto con le
civiltà mediterranee, l’Egitto appartiene in modo totale all’Occidente. La mente
egiziana ha conservato le sue caratteristiche originarie anche quando si è aperta
all’Islam. Di fatto, Islam e Cristianesimo condividono la medesima essenza e la
medesima fonte, così come il medesimo collegamento con il razionalismo
filosofico greco. La mente islamica consiste perciò di tre elementi: il razionalismo
greco, il pragmatismo romano e lo spirito religioso degli arabi. È quindi possibile
dire, secondo Husain, che l’ideale egiziano nella vita pratica coincide con l’ideale
europeo.
Tāhā Husain introdusse inoltre il metodo scientifico nell’analisi letteraria, e in
particolare nel suo “Fī’-shi’r al-j āhilī” (“Sulla poesia preislamica”) pubblicato
nel 1926 sosteneva che la poesia dell’epoca antecedente all’Islam e alla
predicazione maomettana, normalmente considerata la prima e più pura
espressione della lingua araba e dunque “classica” per eccellenza, fosse una
contraffazione più tarda:
“La stragrande maggioranza di quanto chiamiamo poesia preislamica non è per nulla
tale, ma una contraffazione che risale a dopo l’islam ed è quindi islamica in quanto
rappresenta la vita, le tendenze e le passioni dei musulmani molto più di quanto non
faccia per l’epoca precedente. […]
Non dobbiamo tanto basarci su questa poesia per commentare il Corano e interpretare i
detti del Profeta, ma piuttosto basarci sul Corano e sui hadīth per commentare e
interpretare questa poesia. Voglio cioè dire che questi componimenti poetici non
confermano né dimostrano nulla e non vanno adottati, come è stato fatto, come strumento
36 TAHA HUSAIN, Moustaqbal al-Thaqāfah fī Misr (Il futuro della cultura in Egitto), il Cairo, 1944 [ed. orig. 1936], pp. 13-21, cit. in A. ABDEL-MALEK , La pensèe…op.cit., pp.141-144.
29
per affrontare i testi sacri. Sono artificiali e creati per convalidare quanto gli ‘ulemā’
volevano dimostrare”37
In tal modo venivano messi in discussione tanto la buona fede degli antichi dotti
quanto soprattutto il fondamento linguistico del Testo Sacro che anzi veniva, in un
certo senso, secolarizzato e piegato a metro di giudizio di fatti storici o letterari
profani. Tāhā Husain al tempo stesso rivendicava il proprio metodo innovativo
contro quello dei tradizionalisti, un metodo aperto al dubbio che non accetta
supinamente la tradizione mitizzata ma la sottopone a critica.
Tornando alla specificità egiziana, con la sua vocazione mediterranea, e alla
concezione che di essa hanno alcuni dei pensatori trattati, è evidente come gli
eventi storici che seguiranno ribalteranno le concezioni appena viste: la Filosofia
della Rivoluzione di Nasser farà dell’Egitto il cuore della compagine araba, quindi
di quella africana, e infine della comunità islamica internazionale.
I DISSIDENTI
Salāma Mūsā concepiva la religione come un fatto privato: “la religione oggi non
è più un fattore di aggregazione, ma un credo mediante il quale l’individuo si
lega all’universo. […] le religioni del futuro saranno un fatto individuale e non
collettivo” 38. In questa riflessione egli si avvicinava alle tesi di altri intellettuali,
anch’essi cristiani, di quel periodo, come gli “scientisti libanesi”, che avevano
espresso la loro adesione alle teorie evoluzioniste, entrando in conflitto col
proprio ambiente d’origine fino ad incorrere in un’aperta accusa di miscredenza,
benché non avessero contestato i dati della rivelazione, se non nelle
interpretazioni letterali che discordavano con le acquisizioni della scienza
moderna.
37 T. HUSAIN , Fī’-shi’r al-j āhilī (Sulla poesia preislamica), il Cairo 1926, 1-10, cit. in P. BRANCA, Voci dell’Islam…op.cit., pp. 171-178. 38 S.MŪSĀ, al-Taraddud…op.cit., p. 343.
30
Un orientamento simile in campo islamico lo propone ancora la mentalità aperta
di Tāhā Husain, quando afferma che “la storia ha stabilito da molto tempo che
l’unità religiosa o di lingua non può costituire una valida base per l’unità
politica, né un fondamento per la costituzione degli Stati” 39 e più in generale
nella rimessa in discussione di concezioni tradizionali , tra cui lo stretto legame
religione-politica, e conseguentemente delle istituzioni musulmane classiche che
su di esse si fondavano: prima fra tutti il Califfato.
L’istituzione del califfato è al centro dell’interesse di ‘Alī ‘Abd al-Rāziq (1888-
1966) e della sua opera del 1925 destinata a suscitare grande scalpore: “al-Islām
wa usūl al-hukm” (“L’Islam e le basi del potere”), nel quale è sostenuta la
necessità di introdurre una netta distinzione tra religione e politica poiché,
secondo l’autore, la conduzione tra i due campi è stata voluta dai detentori del
potere soltanto in funzione dei loro propri interessi. Nel Corano e
nell’insegnamento del Profeta non vi sarebbero infatti elementi sufficienti per
sostenere che l’Islam porti necessariamente con se’ una determinata
organizzazione della società con una specifica forma di potere:
“Cerchi il lettore nel Corano un indizio esplicito o implicito di quel carattere politico
della religione islamica che costoro vorrebbero erigere a dogma. Si sforzi quanto è
possibile di trovare tali indizi tra i hadīt del Profeta. Sono queste le fonti genuine della
religione, a portata di mano, cui attingere. Cerchi dunque di trarne una prova o una
parvenza di prova; non troverà nessun argomento serio, ma solo materia di congetture”40
Il Califfo si sarebbe quindi arrogato indebitamente il carattere di governo islamico
per eccellenza e lo studio degli avvenimento storici dimostrerebbe al contrario
quanto gli effetti negativi derivati da tale istituzioni abbiano influito sul destino
della Comunità dei credenti.
39 T.HUSAIN, Les egiptiens sont des arabes, in ANOUAR ABDEL-MALEK , Anthologie de la littérature arabe contemporaine, Seuil, Paris 1964, p. 127. 40 ALI ‘ABD AL-RAZIQ, L’Islam e le basi del potere, (a cura di) E.PANETTA, in “Studi politici”, II serie, V, 1925, n.4, p. 391, cit. in, P.BRANCA, Voci dell’islam…op.cit., p. 168.
31
Se si tiene conto che il mondo musulmano era ancora sotto choc per la recente
dissoluzione dell’Impero ottomano e per la soppressione del Califfato ad opera del
presidente turco Mustafa Kemal, avvenuta solo un anno prima, non stupirà che il
carattere rivoluzionario delle tesi avanzate abbia portato ad un aspro dibattito nel
corso del quale l’opera di al-Razīq ottenne, accanto ad autorevoli consensi come
quello espresso da Tāhā Husain, anche e soprattutto violente critiche. L’autore
verrà privato del titolo di shayk , ottenuto al termine degli studi nell’Università di
al-Azhar, e successivamente sarà destituito anche dalla carica di giudice.
Una volta spentasi la polemica e dopo una serie di soggiorni all’estero, ‘Alī ‘Abd
al-Rāziq farà riorno in Egitto dove ricoprirà ancora cariche di prestigio e non
perderà occasione per difendere le proprie idee ricollegandole con quelle di
Muhammad ‘Abduh.
Ancora non si erano placate le polemiche sorte attorno al libro di al-Raziq che
l’anno successivo verrà diffuso il già citato saggio di Tāhā Husain “Sulla poesia
preislamica”, nel quale l’autore mette in dubbio l’autenticità di gran parte del
patrimonio poetico tradizionalmente attribuito ad autori arabi antichi precedenti
alla nascita dell’Islam. Il carattere forse troppo drastico delle critiche mossa da
Husain verso il patrimonio letterario tradizionale e la violenta reazione degli
ambienti conservatori contribuirono a rendere la polemica incandescente.
Anche sul piano della storia religiosa dell’Islam e in particolare relativamente alla
riabilitazione del mu’tazilismo, antica scuola teologica di stampo “razionalista”
furono anni di prese di posizione. Già nel 1912 Jamāl al-Dīn al-Qāsimī (1866-
1914) di Damasco, discepolo di Muhammad ‘Abduh, aveva pubblicato un breve
studio che affrontava esplicitamente le tesi dell’antica scuola teologica in uno
spirito ben diverso da quello di condanna tradizionalmente seguito. Più importante
però in questo senso fu l’opera dell’egiziano Sahmad Amīn (1886-1954) , che
facendo tesoro dei contributi dell’orientalismo europeo redasse una storia del
pensiero islamico in cui si occupò diffusamente della dottrina mu’tazilita. Pur
senza ignorare i rischi insiti nel voler limitare la realtà divina alla logica umana
32
l’autore considerò favorevolmente gli sforzi mu’taziliti e sottolineò a più riprese
le analogie tra la loro epoca e quella attualmente vissuta nei paesi islamici.
In questa fase di profonda introspezione critica della cultura araba non sono
mancate posizioni ancora più drastiche nei riguardi della religione, ma in questo
caso non si può più parlare di riformismo musulmano, bensì di vero e proprio
distacco dalla fede islamica. Si può segnalare per completezza d’informazione il
siriano Sādiq Jalāl al-‘Azm, il quale non cercò, come gli intellettuali
precedentemente citati, di ricomporre la frattura tra scienza e fede ma,
sviluppando le premesse razionaliste del suo pensiero, giunse al rifiuto delle
religioni in generale.
Quel che si può osservare rispetto a questa fase del pensiero riformista è come,
pur con tutti i suoi limiti, essa sia stato comunque importante nel proporre un
approccio critico rispetto alla tradizione. I suoi fautori sostengono che non sia
possibile imitare il comportamento degli autori antichi. Costoro hanno vissuto in
armonia con la loro epoca, hanno praticato l’ijtihād (libera riflessione), fondato
delle scienze, dato vita ad una civiltà, un pensiero, una filosofia. Sono loro che
hanno tramandato quel che i contemporanei chiamavano proprio patrimonio
culturale. E questo patrimonio continuava a svolgere un ruolo nella formazione
della coscienza e ad influenzare i comportamenti in un modo o nell’altro. Una
simile eredità non poteva essere né ignorata né fatta propria così com’era,
acriticamente. Andava riformulata, depurata da quel che non era consono
all’epoca contemporanea, conservandone gli aspetti positivi ma adattandoli ai
tempi attraverso un linguaggio nuovo. Un’operazione necessaria se si voleva
uscire dalla crisi in cui versava il mondo arabo. Occorreva essere al tempo stesso
autentici e moderni, occorreva saper gettare un ponte tra ciò che si era ereditato e
ciò che invece si era preso a prestito.41
Tuttavia, riflette il teologo egiziano Nasr Hamid Abu Zayd, cui appartiene
quest’ultima, lucida, riflessione, tale orientamento è stato seguito solo
parzialmente e senza la necessaria coerenza e il dovuto coraggio, e i risultati della 41 NASR HAMID ABU ZAYD , Islam e storia: critica del discorso religioso, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 20.
33
Nahda e di tanti pensatori illuminati sono rimasti circoscritti ad un ambito
ristretto, lasciando campo libero al dominio di un discorso religioso tirannico.
L’autore individua le cause di questa involuzione nel carattere fondamentalmente
sincretico dei progetti della Nahda, dovuto alla debolezza delle classi medie (che
costituivano i portavoce di questo movimento) e alla loro mancanza di autonomia
socioeconomica e, di conseguenza, politica. Il discorso di questa frangia
intellettuale è rimasto esso stesso in qualche modo prigioniero delle polemiche
ingaggiate con gli avversari salafiti, senza mai giungere ad una reale apertura di
nuovi orizzonti. Questa generazione di riformisti ha senza dubbio posto le basi di
un dialogo con il patrimonio tradizionale inteso come soggetto in evoluzione, ma
tutto ciò non è bastato a fondare un’autentica coscienza scientifica e storica,
perché è mancato il coraggio di condurre la battaglia sino in fondo e consumare
una rottura definitiva con il pensiero salafita, rimanendo così prigionieri di una
concezione antistorica dei testi religiosi. Involuzioni ,queste, attestate per altro da
alcuni clamorosi ripensamenti, come quello dell’egiziano Khālid Muhammad
Khālid (1920-1996) che ,da critico del tradizionalismo, diverrà, trent’anni dopo e
deluso dalla mancata realizzazione delle aspirazioni di governi di vario
orientamento, un promotore della saldatura tra religione e Stato come unica via
possibile.
I RESTAURATORI
Le opere di rottura appena citate esprimevano certamente un malessere, ma nuove
esigenze andavano trasferendo l’attenzione e focalizzando i conflitti su campi
diversi. L’erede di questa impostazione “laica” fu di quella parte del nazionalismo
destinato a prolungarsi, non senza travagli, nella nascita del socialismo arabo,
mentre il pensiero religioso si mostrava incline a sviluppare in un’altra direzione
le medesime premesse.
Proprio in questo periodo prendeva difatti corpo una corrente, anch’essa a suo
modo riformista, ma orientata in un senso diverso e talora opposto a quello fin qui
34
delineato, che allo stesso tempo riprendeva antiche correnti del pensiero islamico
e che rappresenta l’ultima fase del problematico rapporto tra due civiltà venute a
più stretto e diretto contatto.
“Quando due culture si incontrano, la cultura vincente impone i suoi concetti, valori,
archetipi e caratteristiche alla cultura vinta, il cui ruolo è, in quel momento, passivo, cioè
di acconsentimento: essa si lascia prendere dalla apparente di forza e di novità della
cultura vittoriosa, mentre ne ignora i tratti specifici e la verità, e non valuta né le
influenze che quella avrà su di se’ né il posto che occuperà. Questo è ciò che è avvenuto,
storicamente, al momento dell’espansione europea, durante i quattro secoli trascorsi,
quando i modi di governo, i metodi di produzione e l’arte militare europea si diffusero
negli altri continenti. A questa succede una seconda fase, nella vita delle culture vinte,
una fase positiva, in cui queste culture si rivolgono verso le mode culturali e ne adottano
le apparenze, pensando che questi modi costituiscano la fonte della loro potenza, che la
loro adozione permetterà alle culture vinte di pervenire ed eguagliare le culture vittoriose,
così che esse potranno ormai scuoterne il giogo.[…] Una terza fase dell’illusione
culturale comincia subito dopo questa seconda fase, cioè quella dell’”età dell’oro” o del
ritorno al passato, dell’orgoglio nazionale delle società in via di sviluppo”.42
Questa osservazione sociologica di al-Din Saber ben delinea l’evoluzione del
Riformismo. Capofila di quest’ultimo orientamento fu, come anticipato, Rashid
Ridâ, col quale la componente apologetica divenne preponderante nel quadro di
un confronto con l’Occidente che, tanto dal punto i vista politico quanto da quello
culturale, andava assumendo toni sempre più aspri.
Le interpretazioni sugli scritti di Rashīd Ridâ da parte degli studiosi
contemporanei non sono sempre concordi. Si è soliti considerare il pensatore
siriano emigrato in Egitto come il discepolo prediletto di ‘Abduh e continuatore
del riformismo ortodosso dei primi salafiti 43; mentre più recentemente si è
sottolineato come Ridâ avesse “strumentalizzato” a proprio favore il nome del
42
MOHI AL-DIN SABER, Specificità nazionale e universalità, in A.ABDEL-MALEK , Anthologie…op. cit., pp. 156-157. 43 HENRI LAOUST, Le Rèformisme Orthodoxe des “Salafiya”et le caratères généraux de son orientation actuelle, in Pluralismes dans l’Islam, Geuthner, Parigi 1983, pp. 386-434, cit. in M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p.87.
35
maestro e avesse in fondo impresso al razionalismo del predecessore un’impronta
più conservatrice d integralista.44 Secondo Campanini ciò è però vero solo in
parte: certamente Ridâ fu meno aperto alle novità della modernità rispetto al
maestro e altrettanto sicuramente il salfismo successivo, soprattutto dei Fratelli
Musulmani, è più debitore a lui che non ad ‘Abduh. Ma questo non toglie che
alcune iniziative di Ridâ vadano nella direzione di un’islamizzazione della
modernità assolutamente consapevole e non angusta. Egli insistette sul carattere
essenzialmente pratico dell’attività riformistica, e a questo fine il Corano doveva
offrire gli strumenti teorici fondamentali. Insistette anche sull’aspetto apologetico
della difesa della religione per proteggerla da accuse di oscurantismo, e in ciò il
suo intento non era distante da quello di ‘Abduh, anche se più marcatamente
difensivo.
Altrettanto apologetica du la posizione assunta da Ridâ nell’animato dibattito sul
Califfato che si aprì in Egitto negli anni Venti dopo la radicale decisione di
Atatürk. Ridâ fu tra coloro che levarono gli scudi in favore dell’antica istituzione
e nel 1922 compose un libro, “Il califfato o imamato supremo”, proprio per
richiederne il ripristino. Da molti punti di vista si tratta di un’opinione tradizionale
e legata alle fonti classiche della dottrina, come l’opera del teologo medievale al-
Māwārdi; ma da altri punti di vista è assolutamente originale. Ridâ sottolinea il
rapporto tra il Califfato e la Umma, la Comunità, la cui unicità corrisponde
secondo lui all’unità dell’imamato supremo e la fondazione di un Califfato
legittimo dove ispirarsi all’obiettivo dell’unificazione. Il sovrano è dunque non
tanto un individuo specifico, quanto un principio di unità ed organizzazione: in
questo modo il concetto astratto di sovranità si affianca al riconoscimento
tradizionale del Califfato, riservato ai discendenti della tribù del Profeta, i
Quraysh. L’elezione del Califfo spetta ai dotti in scienze religiose, coloro che
hanno il potere di “sciogliere e legare”, come da espressone tradizionale. Ridâ
individua però questo potere, ed è questo l’aspetto interessante, nei rappresentanti
del popolo, nelle istituzioni parlamentari di tipo moderno. Il popolo è dunque la
fonte di sovranità, e Ridâ si spinge a richiedere la costituzione di un Partito
islamico progressista che sia, ad un tempo, islamico e popolare. Secondo 44 HMIDA ENNAIFER, Les commentaires coraniques contemporains. Analyse de leur methodologie, PISAI, Roma 1998, pp.31-39, cit. in M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p. 87.
36
Campanini l’opera di Ridâ è dunque meno conservatrice di quanto sostengano
altri studiosi almeno su determinate tematiche.45
Quale che sia il giudizio sull’opera di Ridâ è innegabile che nel dibattito culturale
del mondo arabo il momento più ricettivo del riformismo fosse ormai superato e
gli sguardi si rivolgevano ormai alla gloria perduta dei secoli passati. Il tema del
ritorno alle origini e dell’eliminazione delle influenze esterne che avrebbero
alterato la primitiva purezza dell’Islam era determinato da una volontà di
affermazione della propria originalità e indipendenza culturale come forma di
resistenza all’aggressione occidentale.
La scuola della Salafiyya si in quest’ottica apologetica alla ricerca di “soluzioni
islamiche” per i grandi problemi che emergevano sul piano politico e sociale.
Così, in modo ambiguo se non contradditorio, la Salafiyya rappresentò il punto di
maturazione delle premesse poste dai riformisti del periodo precedente e la
dilatazione della coscienza critica della propria condizione in più ampi strati della
società araba, ma contemporaneamente costituì anche il momento in cui le spinte
di trasformazione subirono un profondo mutamento di rotta.
Quindi, nonostante il ruolo giocato dai modelli occidentali, specialmente nella
fase della lotta per l’indipendenza nazionale e dell’edificazione degli stati sorti
con la fine del colonialismo, si è avuta in seguito una sorta di crisi di rigetto, che
perdura tutt’ora: una dipendenza mal sopportata ha condotto alla crisi della fase
ricettiva nella quale si erano accolti in forma entusiastica e spesso acritica molti
stimoli proveniente dall’Occidente. In questo clima si determinarono le condizioni
per la formazione dei movimenti islamici radicali, a partire da quello dei Fratelli
Musulmani, nato in Egitto nel 1928 e destinato a raccogliere ampi consensi e un
vasto seguito. La formula è appunto quella che ripropone la concezione islamica
tradizionale nelle sue forme canoniche: quella globalità, quella stretta connessione
tra religioso e politico, spirituale e temporale, che avrebbe caratterizzato l’Islam
45 Cfr. M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto….op.cit., pp.87-89.
37
sin dalle sue origini; il permanente valore normativo della tradizione in ogni
settore della vita e della cultura; l’idea di riforma come costante aspirazione a
ripristinare gli antichi insegnamenti nella loro forma originale.
Si trattava di un modo per rispondere allo stato di arretratezza, indebolimento e
subalternità che veniva avvertito come scandaloso e non più sopportabile. Da
questo stato d’animo i Fratelli derivavano contenuti ed enfasi di un programma di
recupero della propria irriducibile originalità, in contrapposizione a quella che è
vista come una aggressione esterna. Soltanto il Libro e la tradizione del Profeta
tracciano la strada da percorrere come regola di vita perché la Comunità non cada
nell’errore, occorre perciò che le leggi islamiche della comunità attingano alla
fonte pura. Inoltre, essi credono che l’Islam in quanto religione universale
abbracci tutti gli aspetti della vita, per ogni popolo e comunità, in ogni epoca e
periodo storico: l’Islam è così completo e vasto da non poter essere esposto alla
frammentarietà di questa vita. Si trattava in buona sostanza di una proposta a suo
modo riformista e onnicomprensiva, che, benché nata con intenti moralizzatori,
implicava una vocazione anche politica, che farà dei Fratelli un vero e proprio
partito. Inoltre, come vedremo, la prassi quotidiana, l’attività propagandistica e
quella assistenziale, convoglieranno il pensiero dell’Associazione facendo breccia
in larghi ed eterogenei strati di popolazione, ben al di là di quanto potesse fare
l’attitudine speculativa degli intellettuali riformisti.
L’ideologia dei Fratelli, ma anche di molti altri movimenti islamici più o meno
radicali, ha incontrato una crescente fortuna grazie alla crisi delle ideologie
importate dall’Occidente (siano esse di marca capitalista o socialista), dimostratesi
incapaci di apportare un vero progresso e anzi viste come matrice di dilanianti
divisioni sociali. L’avanguardia politica islamista giunse così a dominare se non a
monopolizzare il campo delle forze di opposizione alle spesso corrotte e invise al
popolo classi dirigenti al potere, che vedevano il loro prestigio compromesso
dagli insuccessi sul piano internazionale e dalla mancata realizzazione dello
sviluppo interno dei Paesi che governavano.
38
La frustrazione derivante dalla delusione dopo le indipendenze e il fallimento dei
tentativi dei movimenti patriottici, nazionalisti e socialisti che prendevano in
prestito dall’Occidente forme e modelli capitalisti e socialisti, rafforzava l’idea
della necessità di cercare una via propria, non mutuata da modelli esterni, che
dapprima liberasse l’Islam e la società islamica dalle contaminazioni per poi
guardare al nemico “esterno”. Convinzione ulteriormente rafforzata dopo le
esperienze dittatoriali nate dal nuovo contesto d’indipendenza formale.
Questa è la traiettoria che, dal punto di vista più strettamente culturale ed
ideologico, ha condotto all’attuale situazione. Se da un lato è innegabile che il
dibattito e il confronto in atto siano pesantemente condizionati da fattori storico-
politici, si può constatare altresì come alcune questioni di fondo e di grande
rilievo si ripropongano al pensiero religioso, come il problema, cruciale,
dell’interpretazione del testo rivelato.
Non si deve però credere che l’ideologia del radicalismo islamico sia dominata da
una rozza interpretazione letterale delle fonti e dalla mera tensione ad applicare
acriticamente quanto fissato dalla tradizione. Un intento “riformista” muove i suoi
sostenitori, benché il senso del rinnovamento da essi proposto sia spesso da
intendere essenzialmente come purificazione e ripristino del modello islamico
originario. All’interno di quest’ultimo però essi stessi operano talvolta delle
interessanti distinzioni, ad esempio tra quel che è prescrittivo, essendo relativo
alla parola di Dio tramite Maometto, e quanto è invece parte della storia e legato
alle prime pie interpretazioni del messaggio. Secondo Paolo Branca la
contestazione della validità di quelle parti della tradizione legate all’autorità
umana non è sostanzialmente diversa dalla critica al taqlīd (“spirito di
imitazione”) di al-Afghānī o di ‘Abduh, anche se proprio per questo porta in se’ il
rischio di attribuire ogni fallimento alla cattiva interpretazione o applicazione da
parte dell’uomo di un modello coranico in se’ perfetto e immutabile.46
46 Cfr. P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., pp. 96-97.
39
Diverso e più profondo invece il problema cruciale dal rapporto tra assoluto e
storia nella rivelazione, ovvero la distinzione tra principi permanenti e
concretizzazioni provvisorie figlie del contesto in cui il Corano ha trovato forma.
Il pensiero islamico moderno si è in questo senso posto il problema di un’esegesi
del Testo Sacro che rispondesse a nuovi criteri. Si può sicuramente ricordare in
quest’ottica il commentario coranico pubblicato sulla rivista “al-Manār” sulla
base di alcune lezioni tenute da ‘Abduh e completato dal discepolo Rīdā, che
rivalutava il ruolo della ragione per un’adesione alla fede non di sola abitudine ma
pienamente consapevole. Pur non fornendo una risposta chiara ed univoca al
binomio ragione-rivelazione offre un contributo sul piano morale nella critica agli
atteggiamenti fatalisti e deresponsabilizzanti di piena accettazione delle
disposizioni giuridiche tradizionali che affliggeva i musulmani dell’epoca. Il
filone della cosiddetta esegesi “scientifica” ebbe uno sviluppo autonomo, dando
vita ad una ricca letteratura apologetica mirata a risolvere la controversia fede-
ragione, attraverso un ingenuo parallelo tra religione e scienza (alcuni autori
cercarono di intravedere nel Testo Sacro la prefigurazione di moderne scoperte ed
invenzioni); ma non mancano anche interessanti tentativi di introdurre
nell’esegesi del Corano moderni criteri storico-critici, tra cui si può ricordare la
presa di posizione, invero vittima di non poche critiche, dell’egiziano Muhammad
Ahmad Khalf Allāh, che nel 1947 riconobbe che le scelte stilistiche e di contenuto
del Corano come di qualsiasi altro libro seguivano le regole della comunicazione
tra narratore ed uditori, e non erano quindi sollevate da relativizzazioni storiche.
Non mancano nemmeno letture più interiorizzate, meditative e contemplative del
Testo Sacro, come quella proposta da Kamel Hussein (1901-1977) o vicine
all’antropologia (Muhammad Arkoun).
Per quel che riguarda più da vicino questa tesi la rilettura più interessante della
parola di Allah è quella in chiave socio-politica. Sayyd Qutb, figura chiave del
movimento dei Fratelli Musulmani a partire dagli anni Cinquanta, ne darà una
lettura “rivoluzionaria” nel suo commentario coranico, proponendo l’Islam come
sistema olistico fondato sull’esclusiva legittimità dell’autorità divina e quindi
radicalmente alternativo ad ogni altro.
40
E’ questa la visione dei Fratelli Musulmani e dei movimenti islamici radicali che
ad essi si ispireranno.
41
LA SOCIETA’ DEI FRATELLI MUSULMANI
A noi l’azione, a Dio il successo…
Noi siamo dei fratelli a servizio dell’Islam,
noi siamo i Fratelli Musulmani.
HASAN AL-BANNA’
Nell’ottica di un’analisi dei movimenti islamisti l’attenzione è caduta sui Fratelli
Musulmani non solo in quanto più antico e numeroso movimento islamista
contemporaneo, ma anche perché essi rappresentano un modello paradigmatico di
quella galassia di partiti, movimenti, associazioni che ad essi si ispirano nella loro
lotta all’islamizzazione della società, per riferimento ideologico ed organizzativo.
In questo senso, l’Associazione fondata nel 1928 è divenuta un modello di
militanza islamica moderna che ha avuto molti imitatori nel mondo arabo
musulmano contemporaneo a partire dagli anni Settanta. Inoltre, essa ha avuto fin
dall’inizio aperte pretese di internazionalità, e con il procedere degli anni si è
rapidamente diffusa in svariati paesi arabi ed in particolare in Siria, in Giordania e
nei territori palestinesi, anche se l’Egitto è rimasto il contesto centrale della sua
attività.
Rimandando al capitolo successivo il compito di allargare la panoramica al
mondo arabo e in particolare ai casi di studio del Maghreb e della Giordania,
scelti per le particolari realtà sociopolitiche che li contraddistinguono, si cercherà
qui di riassumere la storia dell’Associazione, nella sua organizzazione ed
evoluzione, sottolineandone l’ondivago rapporto col potere nel susseguirsi dei
regimi egiziani, e prestando particolare attenzione agli aspetti dottrinali e alle due
figure chiave che a decenni dalla morte ancora influenzano le anime del
movimento: i teorici Hasan Al-Banna’ e Saydd Qutb.
42
L’EGITTO DEGLI ANNI ’30 TRA MODERNITA’ E ISLAMISMO
E’ il marzo 1928 quando Hasan al-Banna’ inaugura a Ismailiyaa, sul canale di
Suez, la prima cellula dei Fratelli Musulmani (Jama’a al-Ikhwan al-Muslimin),
facendosi interprete del malessere che pervadeva la società egiziana di fronte
all’occupazione inglese, ma anche di quella volontà di rinascita dei popoli arabi di
cui si è detto nel precedente capitolo e che nella vivacità culturale di un Egitto in
fermento trovava terreno fertile sotto forma di associazionismo religioso.
La nascita della Jama’a al-Ikhwan al-Muslimin si colloca in un periodo in cui il
processo di modernizzazione e di secolarizzazione dello stato egiziano si era
esteso a tutti i compartimenti del politico, accelerata dalla rivoluzione del 1919.
L’affermazione del sentimento nazionalista passava infatti per l’accettazione di un
percorso riformatore che lo stesso Stato egiziano avrebbe intrapreso a partire da
questa data: la proclamazione unilaterale di indipendenza concessa dai britannici
nel 1922 , la Costituzione della nuova monarchia di Re Fu’ad e le successive
elezioni, trasferivano nel processo politico egiziano modelli occidentali , in una
realtà in cui l’influsso dell’Occidente a tutti i livelli era ben lungi da essere messo
in discussione. 47 Il linguaggio stesso del politico in Egitto aveva assunto
ineluttabilmente il modello secolare occidentale, ma i partiti di recente
formazione erano minati nelle fondamenta dalla morsa da un lato della monarchia
dall’altro dei britannici, che ne limitavano fortemente l’azione. I dissidi interni e
l’inesperienza completavano un quadro che vede così la parcellizzazione della
rappresentanza politica una volta venuto meno il grande obiettivo
dell’indipendenza.
Si può dire che il panorama politico fosse diviso tra debole monarchia, Inglesi e
partiti, comprendenti nazionalisti, filomonarchici, i Fratelli Musulmani, gli
‘ulamā’ , nonché il piccolo partito comunista. Erano ancora ben presenti i fermenti
che l’epoca della Nahda, il Rinascimento islamico, fra la fine del XIX e l’inizio
47 Cfr. MASSIMO CAMPANINI, Storia dell’Egitto Contemporaneo. Dalla rinascita ottocentesca a Mubarak, pp. 67-81, Edizioni Lavoro, Roma 2005.
43
del XX aveva diffuso, soprattutto attraverso il pensiero dei suoi tre grandi
protagonisti, Jamal al-Din al-Afghani, Muhammad ‘Abdu e, più tardi, Rashid
Rida, erede e nuovo interprete della Nahda e fondatore della corrente Salafiyya
che propugnando un ritorno ai pii antenati per recuperare l’identità islamica può
essere vista come precorritrice della Fratellanza Musulmana. Il cosiddetto
modernismo islamico rappresentato dalla Nahda si era andato via via
compenetrando con il nascente nazionalismo egiziano, incarnato in personaggi
come Mustafa Kamil (1874-1908), Lufti al-Sayyd (1872-1963) e Sa’ad Zaghlul
(1860-1928). I partiti politici, che si erano costituiti formalmente nel 1907, si
rinforzarono con la prima guerra mondiale e la dichiarazione del protettorato
britannico, ma il forte sentimento nazionalista emerse soprattutto con l’episodio
della delegazione guidata da Aa’ad Zaghlul, la delegazione (Wafd) di nazionalisti
che illustrarono alla conferenza di pace di Parigi nel 1919 le aspirazioni
indipendentistiche dell’Egitto. Il Wafd si trasformò poi in un vero e proprio
partito che richiedeva la piena indipendenza, protagonista della politica egiziana
per molto tempo.
Gli anni Trenta dunque, furono caratterizzati in Egitto da un precario gioco di
equilibrio, con la monarchia succube della Gran Bretagna in opposizione al partito
Wafd, il quale però regolarmente vinceva le elezioni e poi veniva estromesso, fino
alle successive elezioni nelle quali nuovamente prevaleva. 48 Solo nel 1942,
quando il re Faruq si avvicinò troppo agli interessi italiani e tedeschi, gli inglesi
voltarono pagina, avvicinandosi al Wafd per rovesciare la monarchia. In tutto ciò
si inserisce la complessa vicenda del Trattato anglo-egiziano del 1936, che
concedeva formalmente una parvenza d’indipendenza all’Egitto, con le forze
inglesi che rimanevano stanziate però nella zona del Canale di Suez, sotto la
parvenza di un’alleanza militare tra i due Paesi. In quel decennio le condizioni
economiche della popolazione peggiorarono notevolmente, a causa della crescita
demografica troppo rapida e del declino dei mercati mondiali del cotone, sulla cui
esportazione si basava gran parte dell’economia nazionale egiziana. Solo una
48 PATRIZIA MANDUCHI , Questo mondo non è un luogo per ricompense. Vita e opere di Sayyd Qutb, martire dei Fratelli Musulmani, Aracne, Roma 2009, p. 41.
44
piccola parte della popolazione (urbanizzata e modernizzata) traeva beneficio dal
progresso economico che toccava alcuni settori, come i beni di consumo o lo
sviluppo bancario. Nel complesso il tenore di vita della popolazione, in particolare
l’enorme massa di contadini poveri, non era dissimile da quello della seconda
metà del XIX secolo49.
Il dibattito intellettuale comincia ad essere sempre più dominato dal tema del
recupero dell’identità culturale oltre che politica, e in esso un posto di grande
rilievo occupa la tradizione islamica. Il dibattito è aspro, con nomi di grande
prestigio che si contendono il campo, in difesa o del modello di sviluppo
occidentale o del recupero della tradizione islamica e orientale. L’islam comincia
ad essere enfatizzato come la soluzione più adatta a superare la grave crisi in cui
versava il Paese e a fornire gli strumenti per la rinascita di un Egitto veramente
indipendente.
Ma l’Islam era in questo quadro era ancora ai margini della gestione diretta del
politico, il suo rapporto con esso era indiretto e seguiva due direzioni: da un lato,
quell’elaborazione teorica poliedrica e caratterizzata dalla vibrante critica
dell’establishment religioso che rimane però elitaria e fortemente osteggiata dal
“clero” tradizionale50; dall’altro, la diffusione di un brulicare di associazioni
caritatevoli di carattere religioso. 51 Queste associazioni portavano avanti
un’attività di predicazione e assistenza a sostegno alle classi meno agiate, e tra
esse a distinguersi furono proprio quelle che, pur rifiutando ufficialmente legami
col politico, traevano importanti benefici da partiti o personalità ad esso legate.52
Queste associazioni, occorre però notare, non contestavano il linguaggio e le
pratiche secolari importate dall’Occidente, e lasciando ai partiti qualsiasi
iniziativa nel campo politico, ne legittimavano l’azione e la natura stessa. La più 49 Cfr. P. MANDUCHI, Questo mondo…op.cit., pp. 39-42 50 Per uno sguardo sul dibattito culturale: ALBERT HOURANI, Arabic Thought in the Liberal Age, 1798-1939, Cambridge University Press, New York 1983 [ed.orig. Oxford University Press, 1962]. 51 JAMES HEIWORTH-DUNNE, Religious and Political Trends in Modern Egypt, author, Washington 1950, pp. 89-91, cit. in ANTHONY SANTILLI , I Fratelli Musulmani d’Egitto: frammenti di un progetto egemonico, p.5, in (a cura di) MASSIMO CAMPANINI, KARIM MEZRAN , I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, UTET, Torino 2010. 52 A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani …op.cit., p.5.
45
importante di queste associazioni era la Società dei Giovani Musulmani (Jāmi’a
al-shubbān al-muslimīn). Parallelamente, si era rinfocolata l’ostilità verso i
missionari cristiani e alcune istituzioni religiose dirette da occidentali furono
accusate, a torto o a ragione, di voler strappare i giovani musulmani alla fede dei
loro avi e di indurli all’apostasia. I sospetti colpirono anche gli autoctoni copti e
nel 1937 lo stesso capo del Wafd, Mustafà al-Nahhās, fu accusato di “coptismo”,
cioè di cedimento agli influssi cristiani nel suo partito e nei suoi governi.53
Va sottolineato come non fosse solo il mondo cristiano occidentale a mettere a
repentaglio l’unità islamica in quegli anni. Questa aveva difatti subito un duro
colpo dalla caduta del califfato, sostituito dalla repubblica nazionalista di Ataturk
nel 1924. L’abolizione del califfato, che simboleggiava l’unità dei credenti
musulmani, genererà enorme smarrimento (nonostante le dure critiche rivolte in
passato ai turchi, accusati di aver ridotto l’islam ad una tradizione sclerotizzata) e
scatenerà un dibattito sulla sua funzione e natura che proprio in Egitto troverà le
disquisizioni più alte, per voce di pensatori come il già citato Rashīd Rida, ‘Abd
al Rāziq, al-Sanhūrī, che giunsero a posizioni molto diverse a riguardo.
La fondazione dei Fratelli Musulmani rappresenta una delle reazioni a questo
smarrimento. L’Associazione, infatti, incarna la dimensione politica dell’islam,
sostituendosi al califfato scomparso, cui sarebbe spettato tale compito. Ai partiti
nazionalisti egiziani dell’epoca, che reclamavano l’indipendenza, la partenza
dell’occupante inglese e una Costituzione democratica, i Fratelli opponevano uno
slogan che è rimasto assai in voga nella corrente islamista: “La nostra
Costituzione è il Corano”. Il che voleva dire, secondo un’altra formulazione, che
“l’Islam è un sistema completo e totale”, e che non c’era alcun bisogno di andare
a cercare in valori esogeni, occidentali, la base dell’ordine sociale, perché tutto era
già contenuto nel Libro. Tutti i movimenti islamisti, di qualsiasi tendenza essi
siano, fanno propria questa dottrina: la soluzione ai problemi politici dei
musulmani consiste nell’instaurazione di uno “Stato islamico“ che applichi la
shari’a come doveva fare per tradizione il califfo.
53 M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p.91.
46
HASAN AL-BANNA E LA FONDAZIONE DEI FRATELLI MUSULMA NI 54
Hasan al-Banna’ nasce a Mahmudiyya, vicino Alessandria, nel 1906. Figlio di un
diplomato all’università islamica di al-Azhār nonché autore di alcuni libri sulla
giurisprudenza islamica e sugli hadīt, insegnante religioso ed imām della locale
moschea, Hasan mostrò sin da giovane età una religiosità fervente unita a quelle
doti di organizzatore ed oratore che ne faranno il leader del movimento. Per
vent’anni fu membro della tarīqa (“confraternita”) degli Hasafiyya, nonché , sin
dall’età di dodici anni, di numerose società islamiche volte a moralizzare i
costumi e preservare la cultura araba. Da studente al Cairo, influenzato dalle idee
del maestro medievale Abu Hamid al-Ghazzali sull’educazione, si fece notare per
le sue critiche alle autorità universitarie che non agivano con efficacia contro il
pericolo di laicizzazione e di diffusione di idee contrarie all’Islam. Entrato nella
cerchia della Salafiyya, il movimento di ritorno ai pii antenati la cui origine si fa
risalire a Rashīd Rida, fece proseguire, dopo la morte di quest’ultimo nel 1935, le
uscite della sua rivista, “Al-Manār” (“Il Faro”). Maestro elementare presso la
scuola di Ismailiyya, fu un fervente attivista religioso, infaticabile viaggiatore,
grande organizzatore, impegnato in programmi per la costruzione di scuole,
moschee, gruppi scout, circoli culturali, piccole imprese industriali.
Dalla sua biografia possiamo subito notare come il suo arrivo al Cairo per
completare gli studi coincida col periodo di intenso fermento politico ed
intellettuale che caratterizza gli anni Venti egiziani. Ai suoi occhi appaiono chiari
i problemi che attanagliano l’Egitto: la lotta per il controllo tra Wafd e Liberal-
costituzionalisti (Liberal Constitutionalist) e il chiassoso dibattito politico, con la
disunità conseguente alla rivoluzione del 1919; gli orientamenti del dopoguerra
volti all’apostasia e al nichilismo che stanno fagocitando il mondo islamico; gli
attacchi alla tradizione e all’ortodossia, incoraggiati dalla rivoluzione kemalista in
Turchia; le correnti estranee all’Islam nella riorganizzazione dell’Università
54 Una dettagliata biografia di al-Banna’ si può trovare in RICHARD M ITCHELL, The Society of the Muslim Brothers, Oxford University Press, New York-Oxford 1969.
47
egiziana, basate sulla convinzione che l’insegnamento non potesse essere laico
senza prima estirpare la religione e le tradizioni sociali da essa derivanti; i salotti
letterari, le società, i partiti secolari e libertari; e tutti i libri, i giornali, le riviste
che propagandavano queste idee, il cui obiettivo non era altro che l’indebolimento
dell’influenza della religione. 55 Troviamo già qui, negli anni della sua
formazione, alcune delle considerazioni che andranno a formare l’ideologia della
Fratellanza.
Laureatosi alla Dar al-‘Ulm, la scuola di alta formazione all’insegnamento, nel
1927 all’età di 21 anni, viene presto assegnato alla scuola primaria della città di
Isma’iliyya, nella zona del canale di Suez. Prende subito parte attivamente alla
vita comunitaria, alla moschea e all’istituto familiarizza con i personaggi di spicco
del “clero” e della giurisprudenza cittadina, inoltre tiene lezioni serali per i
genitori dei suoi alunni e dibattiti sull’Islam ed esercita così la sua oratoria.
Rimane immediatamente colpito dal completo dominio straniero sui servizi
pubblici e dal divario economico tra occidentali e lavoratori egiziani della zona.
E’ in questo contesto che nel marzo del 1928 al-Banna’ e sei compagni
d’avventura, impiegati nel campo militare inglese danno formalmente vita alla
Società dei Fratelli Musulmani. Stando alle ricostruzioni, più o meno romanzate
che siano, furono questi uomini a riconoscere in al-Banna una guida spirituale e a
porgergli l’onore e l’onere di guidarli verso la rinascita islamica. Il nome
dell’associazione fu scelto dallo stesso al-Banna: “We are brothers in the service
of Islam, hence, we are ‘the Muslim Brothers’ “. 56
Nei primi tre anni di vita dell’associazione l’obiettivo principale fu la diffusione
nella zona di Isma’liyya, portata avanti da al-Banna’ e da affiliati selezionati
attraverso il contatto diretto, nelle moschee ma anche casa per casa e nei luoghi
pubblici, di svago o di lavoro. L’utilizzo delle moschee conferiva alla
“predicazione” la legittimità e la rispettabilità necessarie, il contatto quotidiano
con la popolazione un aspetto di sincerità e umanità. Il messaggio fa
immediatamente presa e si diffonde rapidamente, ma altrettanto rapidamente 55 Cfr. R.MITCHELL, The Society…op.cit., p.4. 56 Ivi, pp.73-4.
48
incontra resistenze e antipatie premonitrici di quella che sarà la sorte del
movimento negli anni avvenire, anche se nei primi anni Trenta si tratta di
un’ostilità confinata ad alcune autorità cittadine. Nel 1932 al-Banna’ chiede e
ottiene di essere trasferito al Cairo, dove, grazie all’unione con i membri della
Società per la Cultura Islamica, guidata dal fratello ‘Abd al-rahman al-Banna, dà
vita al primo nucleo della Fratellanza nella capitale. La necessità di rimpiazzare il
leader ad Isma’iliyya dà intanto vita ad una delle prime dispute all’interno della
Società, risolta con l’estromissione dei dissidenti.
L’IDEOLOGIA
Da un punto di vista ideologico il pensiero dei Fratelli può essere visto come
congiunzione tra la islah, la riforma che cerca una via di uscita dalla decadenza in
cui è caduto il mondo arabo, e il fondamentalismo contemporaneo. 57 La
continuità con la riforma riguarda anzitutto il ritorno alle fonti, Corano e Sunna,
come testi ispiratori dell’agire politico e sociale, oltre che la richiesta di
applicazione della shari’a, la Legge religiosa, come strumento di regolazione
sociale. Comuni alle due correnti sono anche la critica ai chierici “ufficiali”
dell’islam, gli ‘ulamā’, ed ai faqih, esperti della Legge e giurisperiti, accusati di
una lettura statica dei testi, nonché la concezione della legittimità del politico. Ma
il riformismo rimarrà sempre una corrente intellettuale ed elitaria, mentre i Fratelli
Musulmani saranno presto un movimento di massa, che contrapporrà alla
modernità europea una modernità “islamica”.
Nucleo fondamentale dell’ideologia dell’Associazione è la riproposizione
dell’islam nella sua integralità originaria, unità alla consapevolezza della necessità
di un’azione decisa e multiforme per riaffermare i valori islamici nelle società
moderne. Da questa consapevolezza deriva la struttura organizzativa del
movimento, rispondente all’urgenza di una penetrazione sociale capillare e in
grado di permettere un rinnovato diffondersi dei valori islamici.
57 RENZO GUOLO, Il fondamentalismo islamico, Editori La Terza, Bari 2002, p.6.
49
E’ impossibile dare una definizione univoca della Fratellanza Musulmana, che è
più di un partito politico e di un’organizzazione caritatevole tradizionale. La sua
migliore descrizione è stata probabilmente fatta dallo stesso al-Banna’ alla Quinta
Conferenza Generale, tenutasi al Cairo nel 1939: “un messaggio salafita, una via
sunnita, una verità sufi, un’organizzazione politica, un gruppo sportivo,
un’unione scientifica e culturale, un’impresa economica ed un’idea sociale” 58.
Questi punti fissano le caratteristiche del movimento e nella loro varietà
esprimono l’Islam integrale a cui gli Ikhwan si ispirano: tutte le dimensioni della
vita individuale e associata trovano nell’Islam il riferimento normativo ultimo, e
tutte ad esso convergono, affinché sia realizzata una società veramente permeata
dei valori islamici.
I musulmani hanno difatti dimenticato che l’Islam è un sistema onnicomprensivo,
“totale (nizam shamil), che comprende la manifestazione della vita nella sua
totalità”59.Compiono gli atti di fede, ma non vivono l’Islam come pratica di vita,
alla maniera del Profeta e dei suoi fedeli, come nell’epoca “aurea” dei quattro
“Califfi ben diretti”, e non danno così vita ad una società autenticamente islamica.
Vale la pena, per meglio chiarire questo concetto olistico di Islam, lasciare la
parola alla Guida Suprema: 60
“L’Islam dei Fratelli Musulmani. Permettetemi, Signori, di spiegare tale espressione.
Non voglio dire con questo che i Fratelli Musulmani professino un islam nuovo, diverso
da quello stabilito dal Profeta Maometto. Voglio dire piuttosto che molti musulmani, in
diverse epoche, hanno posto sull’islam riserve, o gli hanno assegnato caratteristiche,
definizioni o descrizioni, tutte di testa propria, utilizzando a torto la sua flessibilità e la 58 Cfr. titoli dei paragrafi della sua Lettera al V Congresso (1939). 59 AL-BANNA ’, Majmu’a rasa’il al-Imam al-shahid Hasan al-Banna, al-Qahira, s.n., 1992, cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani …op.cit., p.7. 60 Il testo è tratto dai documenti del Quinto congresso dei Fratelli Musulmani tenuto al Cairo nel 1939, a poco più di un decennio dalla fondazione dell’Associazione. La traduzione in italiano cui si fa riferimento è di PAOLA PIZZO ed è contenuta in: Dossier mondo islamico 2, I Fratelli Musulmani e il dibattito sull’islam politico, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1996.
50
sua ampiezza, qualità derivanti soltanto dalla Sapienza Superiore. In tal modo si sono
venute a creare divergenze enormi sul senso dell’islam e si sono fissate nell’animo dei
suoi fedeli numerose immagini vicine, lontane o conformi al primo islam che il Profeta e i
suoi Compagni hanno illustrato nel migliore dei modi.
Vi sono così alcuni che vedono nell’islam soltanto la definizione esteriore del culto;
seguendo tale culto e vedendolo seguito sono tranquilli e soddisfatti, credendo di essere
arrivati all’essenza dell’islam. Questa è la concezione più diffusa nella maggioranza dei
musulmani.
Altri invece vedono nell’islam soltanto la natura superiore, la sublime spiritualità e quel
nutrimento filosofico che alletta l’intelletto e lo spirito, allontanandolo dal sudiciume del
mondo materiale, tirannico e ingiusto.
Altri ancora si limitano ad ammirare l’islam per i suoi concetti vitali e pratici, senza
cercare altro, né desiderare di spingere oltre la loro riflessione.
Altri infine considerano l’islam come una sorta di raccolta di credenze ereditarie e di
atti tradizionali senza utilità e incompatibili con lo sviluppo. Non si sentono a proprio
agio con l’islam e con tutto ciò che ad esso si collega. Quest’ultima concezione è molto
diffusa tra coloro che hanno acquisito una cultura occidentale non hanno mai avuto
l’occasione di entrare realmente in contatto con la verità dell’islam: non hanno conosciuto
dell’islam alcunché di autentico, oppure ne hanno avuta un’immagine deformata,
venendo in contatto con musulmani che ne erano indegni rappresentanti.
Tutte queste categorie si suddividono poi in sottocategorie, ognuna delle quali ha una
concezione più o meno diversa dall’altra, pochi hanno dell’islam un’immagine completa
e chiara che integri tuti questi concetti.
Le molteplici immagini che gli uomini si sono fatti dell’unico islam li hanno portati a
divergere notevolmente sul modo di intendere i Fratelli Musulmani e il loro pensiero.
Alcuni li considerano un gruppo di predicatori o di guide spirituali, il cui unico scopo
consiste nell’ammonire gli uomini, invitandoli all’ascesi in questo mondo e ricordando
loro quello futuro. Altri immaginano i Fratelli Musulmani come una confraternita sufi
mirante a insegnare agli uomini i diversi tipi di dikr61 , le tecniche del culto, nonché il
distacco e l’ascesi che gli sono collegati. Altri ancora, li considerano un gruppo di teorici
e di giuristi il cui unico scopo è trovare un accordo su un gruppo di precetti, argomentare
o combattere in loro favore, condurre gli uomini ad aderirvi, disputare o arrivare a una
conciliazione con quelli che non si schierano dalla loro parte. Pochi hanno frequentato i
Fratelli Musulmani e condiviso la loro vita – senza limitarsi soltanto ad ascoltarli, o a
61 Una pratica mistica consistente nella ripetizione continua del nome di Dio.
51
proiettare su di loro la propria concezione dell’islam – così da conoscerli veramente e
cogliere tutti gli aspetti teorici e pratici della loro predicazione.
Per questo, vorrei parlarvi brevemente della concezione e dell’immagine dell’islam
secondo i Fratelli Musulmani, perché sia chiaro e manifesto il fondamento che
propugniamo e in cui siamo fieri di trovare il nostro punto di riferimento e la nostra
origine.
1. Noi, Fratelli Musulmani, riteniamo che i precetti e gli insegnamenti universali
dell’islam comprendano tutto ciò che riguarda la vita dell’uomo in questo mondoe
nell’altro, e che sono nell’errore quanti pensano che tali insegnamenti trattino
soltanto dell’aspetto cultuale o spirituale, a esclusione di altri. L’islam è in effetti
credo e culto, nazione e cittadinanza, religione e stato, spiritualità e azione, Libro e
spada. Il nobile corano parla di tutto questo, considerandolo sostanza e parte
integrande dell’islam, e raccomanda di conformarvisi globalmente, come viene
indicato in questo nobile versetto:
“Cerca piuttosto, con le ricchezze che Dio t’ha dato, di acquistarti la Dimora
dell’Oltre e non dimenticare il tuo dovere nel mondo, e benefica gli altri così come
iddio ah beneficato te”62
Nel corano o nella preghiera, a proposito del credo e del culto, si recita questa
parola di Dio:
“Eppure non ebbero altro comando che quello di adorare Iddio in sincerità di
culto, da puri credenti, di compiere la Preghiera, di pagare la Decima: questo è
l’autentico culto”63
Ma ugualmente si recita quello che Dio ha detto riguardo al potere, alla giustizia e
alla politica:
“Ma no! per il tuo Signore! Essi non crederanno finché non ria vanno costituito
giudice delle loro discordie e allora non troveranno alcun imbarazzo ad accettare
la tua decisione e a sottomettervisi di sottomissione piena”64
62 Corano 28:77, traduzione italiana a cura di ALESSANDRO BAUSANI, Il Corano, Sansoni, Firenze 1955. 63 Corano 98:5.
52
Si legge ugualmente il pronunciamento a proposito dei debiti e del commercio:
“O’ voi che credete, quando contraete un debito a scadenza fissa, scrivetelo, e lo
scriva tra voi uno scrivano, con giustizia e non rifiuti lo scrivano di scrivere come
Iddio gli ha insegnato; […]”65
Si recita ancora quello che dice a proposito del jihad, del combattimento e della
razzia:
E quanto tu ti trovi alla loro testa in una spedizione e dirigi per loro la Preghiera,
stia ritto al tuo fianco un gruppo, ma prendano le loro armi con se’ […].
Piacerebbe agli infedeli che voi trascuraste le vostre armi e le vostre salmerie, per
irrompere su di voi tutt’a un tratto. Non sarà peccato se deporrete le armi se siete
disturbati dalla poggia o malati: state in guarda, tuttavia! 66
Ci sono molti altri versetti sugli stessi temi o su altri, inerenti al comportamento in
generale o alla vita on società.
Così i Fratelli Musulmani sono in assiduo contatto col Libro di Dio, ne hanno tratto
ispirazione e guida arrivando alla conclusione che l’islam è questa concezione
totale, di potata universale, destinata a regolare tuti gli assetti della vita che, di
conseguenza, devono essere impregnati, sottomettersi al suo potere, seguire i suoi
precetti ed insegnamenti, prendendoli come riferimento nella misura in cui la
comunità vuole essere autenticamente musulmana. Ma se è musulmana soltanto nel
culto mentre negli altri aspetti della vita imita i non musulmani, è una comunità che
ha lasciato l’islam, simile a quelli che dio fustiga:
credete dunque in una parte della scrittura rinnegando l’altra? Ma la punizione di
quelli di voi che così agiscono non può essere altro che l’ignominia in questa vita
terrena e al dì della Resurrezione saran gittati nel più crudele castigo, perché Iddio
non è ignaro di ciò che voi fate.67
64 Corano 4:65. 65 Corano 2:282. 66 Corano 4:102. 67 Corano 2:85b.
53
2. Accanto a ciò i Fratelli Musulmani credono che la base e la fonte degli
insegnamenti islamici siano il Libro di Dio e la tradizione del Profeta. 68 Se la
comunità prende entrambi come regola di vita, non sarà mai nell’errore. Molte delle
teorie e delle scienze che sono entrate in contatto con l’islam e se ne sono
impregnate portano il segno delle epoche che le hanno viste nascere e dei popoli
che furono loro contemporanei. Per questo, occorre che le leggi islamiche che la
comunità prende a riferimento attingano alla fonte pura, la fonte del primo
zampillo. Occorre comprendere l’islam come lo compresero i Compagni e i loro
successori di buona stirpe[…].
3. Parallelamente, Fratelli Musulmani credono che l’Islam in quanto religione
universale, abbracci tutti gli aspetti della vita, per ogni popolo e comunità, in ogni
epoca e periodo storico. L’islam è così completo e vasto da non poter essere esposto
alla frammentarietà di questa vita, specialmente alle semplici contingenze mondane.
Offre piuttosto principi universali che regolano tali contingenze, mostrando agli
uomini il modo pratico in cui li si deve applicare […].
Preoccupazione cara all’islam è la cura dell’anima umana, che è l’origine dei
sistemi di pensiero, la materia base della riflessione, della rappresentazione e della
figurazione. Le ha prescritto rimedi efficaci per purificarla dalle passioni, lavarla
dalle contaminazione dei desideri e dell’inclinazione, condurla alla pienezza e alla
perdizione, proteggerla dall’ingiustizia, dalla negligenza, dall’avversità. Una volta
che l’anima si sia raddrizzata e purificata, tutto ciò che ne emana è sano e bello.
Si dice che la giustizia non risiede nel testo della legge, ma nell’anima del giudice,
diamo una legge completa e giusta a un giudice animato dalla passione e
dall’interesse, ed egli la applicherà in maniera ingiusta, senza equità. Diamo una
legge incompleta e ingiusta a un giudice integro e giusto, ed egli la applicherà in
maniera integra, giusta, piena di bontà, misericordia ed equità. È per questo motivo
che l’anima umana è oggetto di una grande attenzione nel Libro di Dio. Le prime
anime forgiate dall’islam costituirono dei modelli di umanità piena.
68 La sunna, l’insieme delle tradizione relative al Profeta, è riportata in sei principali raccolte ad opera di al-Bukhārī, al-Tirmidī, al-Nasā’ ī, Abū Dāwūd e Ibn Maja.
54
Per tutti questi motivi, la natura dell’islam è adatta a ogni epoca e comunità,
estendendosi a ogni scopo e obiettivo. È sempre per questo che l’islam non rifiuta
di trarre profitto da ogni sistema valido che non si opponga alle sue leggi generali e
ai suoi principi universali.
[…] La dottrina dei Fratelli Musulmani “comprende in se’ tutte le concezioni
riformiste”. È proprio perché i fratelli musulmani considerano l’islam universale e
totalizzante che la loro dottrina abbraccia tutti gli aspetti del Riformismo sorti
all’interno della comunità, così come tutti gli elementi del pensiero riformista; ogni
riformista sincero e fervente vi ritrova l’oggetto delle sue aspirazioni. […]
[…]Si può dire a giusto titolo che i Fratelli Musulmani sono:
a) un invito al ritorno alle fonti, in quanto invitano a far tornare l’islam alla pur
onte del libro di dio e della tradizione del suo profeta;
b) una via tradizionale, in quanto si sforzano di agire in tutto secondo la pura
tradizione, specialmente per quanto riguarda la verità di fede e il culto, per
quanto possibile;
c) una realtà sufi, in quanto sanno che il fondamento del bene è la purezza
dell’anima e del cuore, la perseveranza nell’azione, la rinuncia alle creature, il
desiderio di Dio e l’attaccamento al bene;
d) un’entità politica, in quanto rivendicano la riforma del potere all’interno e il
riesame del bene della comunità musulmana rispetto alle altre comunità
all’esterno. Promuovono l’educazione del popolo alla fierezza, alla nobiltà e
alla salvaguardia più vigilante del suo nazionalismo;
e) un gruppo sportivo, in quanto si preoccupano dei loro corpi e sanno che il
credente robusto è migliore del credente debole, perché il Profeta ha detto: “il
tuo corpo ha su di te dei diritti”. Sanno che tutto quello che l’islam richiede non
può essere portato a compimento se non con un corpo robusto: la preghiera, il
digiuno, il pellegrinaggio, l’elemosina e richiedono un organismo adatto a
sopportare i pesi dello studio, del lavoro e del combattimento per il bene
quotidiano. […]
f) una lega scientifica e culturale, in quanto l’islam fa dell’acquisizione della
scienza un precetto valido per ogni musulmano e musulmana,: i circoli dei
55
Fratelli Musulmani sono in realtà scuole d’insegnamento e di cultura, nonché
istituti di educazione fisica, intellettuale e spirituale
g) un’impresa economica, in quanto l’islam si preoccupa di gestire i beni e di
acquisirli. Così ha detto il Profeta: “la benedizione del lavoro delle sue mani,
si addormenta perdonato”; o anche: “Dio ama il credente che pratica un
mestiere”;
h) una dottrina sociale, in quanto si preoccupano dei mali della società
musulmana e cercano sistemi per curarli e guarire la comunità.
Vediamo dunque come questa concezione totalizzante dell’islam abbia portato la nostra
dottrina a toccare tutti gli aspetti del Riformismo, dirigendo l’attività dei Fratelli
Musulmani in tutti i settori: nel momento in cui si preoccupano di un certo settore,
intendono abbracciarli tutti e sanno che l’islam tutti li rivendica. Per questo molti aspetti
dell’attività dei Fratelli Musulmani sembrano contradditori, mentre non lo sono […] Tutti
questi aspetti possono essere percepiti dalla gente come contradittori, non coincidenti gli
uni con gli altri. Se costoro sapessero che è l’islam a riunirli tutti, l’islam che li prescrive
e invita a praticarli, ne vedrebbero l’armonia e la complementarità. Con tale approccio
globale i Fratelli Musulmani evitano tutto quello che, in questi diversi settori, si presta
alla critica o alla negligenza.”
L’eterogenea pervasività del messaggio dei Fratelli, da un lato indubbio punto di
forza della loro ideologia, doveva incontrare qualche perplessità se a dieci anni
dalla fondazione il Congresso sente di dover in parte puntualizzare come appena
visto finalità ed ideali dell’Associazione. Questi erano stati enunciati sin dal
primo congresso, tenutosi sempre al Cairo, nel 1932, in un documento passato alla
storia come il “Credo”, in seguito pubblicato nelle “memorie” della Guida
Suprema. In questo importante documento si legge69:
1) Credo che tutte le cose procedano da Dio, che il nostro maestro Maometto, che
Dio lo benedica, è l’ultimo dei profeti che è stato mandato a tutti gli uomini, che
il Corano è il libro di Allah, che l’Islam è una legge generale dell’ordine del
69 HASAN AL-BANNA ’ , Mudhakkirāt ad-da’wa wa’l-dā,yyia Il Cairo, s.d.
56
mondo e dell’aldilà; prometto di applicare a me stesso una parte del nobile
Corano, di attenermi alla Sunna purificatrice, di studiare la vita del Profeta e la
storia dei suoi nobili discepoli.
2) Credo che la rettitudine, la virtù e la scienza facciano parte dei fondamenti
dell’Islam; prometto di esser giusto, di eseguire i riti, di astenermi dalle azioni
interdette, di esser virtuoso, di avere delle buone abitudini, di abbandonare la
cattive abitudini, di seguire per quanto possibile le pratiche rituali islamiche, di
preferire l’amore e l’affetto alla disputa e ai processi, di non ricorrere alla
giustizia che costrettovi, di essere fiero dei riti dell’islam e della usa lingua, e di
diffondere le scienze e le conoscenze in tutte le classi sociali che compongono la
umma.
3) Credo che il musulmano debba essere attivo e guadagnare, e che ogni persona
abbia diritto al denaro che guadagna; prometto di lavorare per guadagnarmi la
vita e di risparmiare per l’avvenire, di versare la la Zakāt, di consacrare una parte
del mio reddito a opere di beneficenza, di incoraggiare ogni utile progetto
economico, di preferire i prodotti del mio paese e dei miei correligionari, di non
praticare l’usura in nessun genere di affare, di non perdermi nelle cose che
superano le mie capacità
4) Credo che il musulmano sia responsabile della sua famiglia, che sia un suo
dovere preservarne la salute, le credenze e i costumi; prometto di fare tutto il
possibile in questo senso, di trasmettere gli insegnamenti dell’Islam ai membri
della mia famiglia, di non iscrivere i miei figli in una scuola che non insegni loro
le giuste credenze e la giusta morale, di boicottare tutti i giornali, le
pubblicazioni, i libri , i gruppi e i club che si oppongono agli insegnamenti
dell’islam.
5) Credo che sia dovere del musulmano far rivivere la gloria dell’islam,
promuovendo la rinascita del suoi popoli e restaurandone la legislazione. Credo
che a bandiera dell’islam debba dominare l’umanità e che il dovere di ogni
musulmano consista nell’educare il mondo secondo le regole dell’islam;
prometto di lottare finché vivrò per realizzare questa missione e di sacrificarle
tutto ciò che posseggo.
6) Credo che i musulmani formino una sola nazione unita dalla fede islamica e che
l’islam ordini ai suoi figli di fare il bene di tutti. Prometto di fare ogni sforzo per
rinforzare il legame di fratellanza fra tutti i musulmani, e per eliminare
l’indifferenza e le divergenze fra le loro comunità e le loro confraternite.
57
7) Credo che il motivo del ritardo dei musulmani stia nel loro allontanamento dalla
religione e che la base della riforma consisterà nel ritorno agli insegnamenti
dell’islam e al suo giudizio, che questo è possibile se i musulmani operano in
questo senso, e che la dottrina dei Fratelli Musulmani possa realizzare questo
obiettivo. Prometto di attenermi fermamente a questi principi, di rimanere leale
verso chiunque lavora per essi e di militare al loro servizio fino a morire per essi.
Dopo questa enunciazione di regole e comportamenti cui il buon Fratello
Musulmano deve attenersi quotidianamente, il credo enuncia i pilatri della
dottrina islamica, alla base dell’ideologia della fratellanza, e conclude con la
ferma esortazione a lottare con pazienza e fermezza per la rinascita di un islam
vero e forte:
a) la legge dei Fratelli […]si ispira alla stessa regola stabilita da Maometto. Non vi è
una sola parola nella fede dei fratelli che non si fondi sul Libro di Allah, sulla
Sunna del suo Profeta e sullo spirito dell’Islam autentico […] Coloro che
dubitano dei Fratelli Musulmani dopo che la loro posizione è stata resa così
chiara e malgrado la purezza della loro fede, sono quelli che non hanno studiato
l’slam in modo autentico, oppure quelli che hanno un cuore malato e che sono in
malafede.
b) La religione soddisfa l’appetito spirituale dell’uomo e gli prodiga tranquillità di
coscienza, e la felicità di cui ha bisogno è l’Islam, il legame più potente che
unisce le fonti d’amore nelle anime della nazione, che rafforza l’intera fra i
popoli, che guida il mondo con certezza verso l’unità generale [...] è l’islam che
fonda lo Stato su principi di giustizia, stabilisce il governo in base a diritti ben
precisi, e dà ad ognuno dei membri delle classi e della nazione quel che gli spetta,
senza frustrazioni, ingiustizie, ingratitudini […] questa è una lezione che
dovrebbero imparare i dirigenti orientali che hanno voluto o vorranno cercare per
il loro popolo una via diversa da quella dell’Islam al fine di fondare su di essa la
rinascita c costituire la religione, la umma e lo Stato.
c) I musulmani non potranno oggi avere successo che seguendo la stessa via del
nostro maestro Maometto […] in effetti, da quando le nazioni orientali hanno
abbandonato gli insegnamenti dell’islam per tentare di sostituirli con altri che
esse hanno creduto capaci di rigenerale la loro condizione, le vediamo dibattersi
nei sentieri dell’incertezza e subire l’amarezza dei fallimenti, pagando caro il
58
prezzo di questa deviazione nella loro dignità, nella loro morale, nella loro
fierezza e nella loro amministrazione […] La risorsa dell’oriente risiede nella sua
morale e nella sua fede […].
d) Per quanto riguarda l’applicazione di questo metodo alla situazione dei
musulmani d’oggi […] essa richiederà molto tempo. Perché l’abisso che gli
avvenimenti politici e sociali hanno scavato fra i musulmani e la loro fede è
profondo, perché i mezzi usati dai nemici dell’islam per allontanare i musulmani
dall’islam nel corso dell’epoca moderna sono efficaci, e perché i musulmani
stessi combattono la loro religione, spezzando al loro spada con le proprie mani
[…] Tutto ciò i Fratelli Musulmani lo sanno […] essi non hanno mai creduto,
quando hanno deciso di agire, che la loro via sarebbe stata facile ed agevole
[…]non bisogna rinunciare all’azione, al contrario, gli ostacoli non faranno che
intensificare la nostra energia e le difficoltà non faranno che accelerare la nostra
marcia verso la lotta, come dice la parola di Allah l’Altissimo: o fratelli
musulmani, la vittoria nasce dalla pazienza, la salvezza dalla fermezza, e una
ricompensa attende gli esseri pii!” 70
Infine, la dimensione più strettamente giuridica, sociale ed economica delle
rivendicazioni degli Ikhwan può essere sintetizzata dalle “cinquanta richieste”,
corollario conclusivo della lettera che la Guida Suprema inviò nel 1936 ai “re e ai
principi, ai membri delle organizzazioni legislative e delle società islamiche, a chi
possiede giudizio e senso dell’onore nel mondo musulmano”. In principio inserite
nell’opera autobiografica “Mudakkirāt al-da’wa wa-l-dā’ ī” (“Memorie della
Missione e del Predicatore”), queste rivendicazioni furono riedite nel fascicolo
“Nahwa al-nūr” (“Verso la Luce”), stampato dalla tipografia dei Fratelli
Musulmani al Cairo:
1) Nel campo politico e giudiziario
1. Condannare le divisioni di parte e orientare le forze politiche della nazione
verso la costituzione di un fronte unico.
2. Riformare la legge di modo che sia in accordo con la legislazione islamica, in
particolare nel campo penale e in quello delle punizioni legali.
70 La traduzione è tratta da ANOUAR ABDEL-MALEK , Il pensiero politico arabo contemporaneo, Editori riuniti, Roma 1973, pp. 36-39.
59
3. Rinforzare l’esercito, moltiplicare le sezioni dei giovani e infiammarli alla
jihad islamica.
4. Rinforzare i legami tra tutti i paesi musulmani, in particolare i paesi arabi, al
fine di predisporre una riflessione seria e pratica sul problema del califfato
scomparso.
5. Diffondere lo spirito musulmano nelle sfere di governo, perché tutti i cittadini
si sentano obbligati ad applicare gli insegnamenti dell’islam.
6. Sorvegliare la condotta personale dei funzionari, vegliare affinché non vi sia un
divario tra la sfera privata e quella lavorativa.
7. Anticipare gli orari di lavoro negli uffici, d’estate e d’inverno, per facilitare la
pratica dei precetti religiosi e impedire le veglie serali troppo frequenti.
8. Condannare la corruzione e il favoritismo, per ricorrere solo alla competenza e
ai favori conformi alla legge.
9. Fare in modo che il governo agisca seguendo le norme e gli insegnamenti
dell’islam: che l’organizzazione delle prigioni e degli ospedali non
contravvenga a tali insegnamenti; che i turni di servizio siano distribuiti in
modo da non interferire con gli orari della preghiera, tranne in caso di
necessità; che le celebrazioni ufficiali rivestano un carattere islamico, e così
via.
10. Attribuire alcune funzioni militari e amministrative ai diplomati di al-Azhar.
2) Nel campo sociale e pratico
1. Abituare il popolo al rispetto dei costumi pubblici, stabilire ferme direttive per
preservare la legge in questo campo e aggravare le sanzioni contro gli attentati
alla moralità.
2. Risolvere il problema della donna in modo da salvaguardare sia la sua
promozione sia la sua protezione, in accordo con gli insegnamenti dell’islam.
Tale questione, la più importante delle questioni sociali, non deve essere
lasciata alla discrezione di penne tendenziose e di opinioni irresponsabili di
gente condizionata da interessi personali.
3. Condannare la prostituzione in forma clandestina o pubblica, e considerare la
fornicazione, in ogni circostanza, come un crimine abietto, il cui reo deve
essere punito.
4. Condannare i giochi d’azzardo in ogni forma: giochi, lotterie e così via.
60
5. Combattere l’uso del vino come quello delle droghe, vietarne il consumo e
liberare la nazione dei mali da esso derivati.
6. Lottare contro gli abbigliamenti provocanti e la licenza morale, guidare le
donne verso ciò che deve essere, con insistenza. Questo vale in particolare per
le istitutrici, le allieve, le dottoresse e le studentesse, e tutte coloro che hanno
un identico statuto.
7. Rivedere i programmi di insegnamento destinati alle ragazze e separarli
nettamente da quelli dei ragazzi, nei diversi gradi di istruzione.
8. Impedire la promiscuità tra studenti e studentesse. Considerare che ogni
relazione appartata tra un uomo e una donna è un delitto e deve essere punita.
9. Incoraggiare il matrimonio e la procreazione attraverso tutti i mezzi appropriati
ed elaborare una legislazione atta a proteggere e incoraggiare la famiglia e a
regolare i problemi coniugali.
10. Chiudere le sale da ballo e le discoteche, impedire la danza.
11. Sorvegliare le rappresentazioni teatrali e i film, operare una scelta rigorosa
delle pièces e dei film.
12. Censurare e selezionare le canzoni ed esercitare una stretta sorveglianza in
questo campo.
13. Operare una saggia selezione delle conferenze, delle canzoni e delle
trasmissioni diffuse nel paese, e utilizzare le stazioni radio per promuovere una
buona educazione morale e patriottica.
14. Confiscare le pièces provocatrici, le opere che propugnano lo scetticismo e la
corruzione, nonché i giornali che concorrono a diffondere l’immoralità e che si
dedicano a uno sfruttamento svergognato delle passioni.
15. Organizzare dei campi estivi per eliminare il disordine e la permissività che
annullano l’obiettivo fondamentale di tale attività.
16. Regolare gli orari di apertura e chiusura dei caffè pubblici, sorvegliarne il
personale e i clienti, orientarli verso ciò che è loro utile e non permettere a
questi locali di restare aperti troppo a lungo.
17. Utilizzare i caffè per insegnare agli analfabeti a leggere e scrivere. Giovani
energici presi tra gli insegnanti e gli studenti daranno il loro contributo a questo
settore.
18. Combattere i costumi nocivi sul piano economico, morale e altro; distogliere da
essi le masse per orientarle verso le buone abitudini, o correggerle per
accordarle all’interesse comune. Ciò avvenga per matrimoni, funerali,
61
cerimonie di nascita, feste e celebrazioni. Il governo dia l’esempio su questo
punto.
19. Considerare come facente parte degli insegnamenti dell’islam il ricorso alla
hisba71 e la condanna di quanti la ostacolano o attentino a essa, rompendo il
digiuno di Ramadān72, abbandonando la preghiera intenzionalmente, insultando
la religione, e così via.
20. Nei villaggi, collegare le scuole primarie alle moschee e migliorare lo stato
degli impiegati e l’igiene; esercitare la massima cura affinché i piccoli siano
iniziati alla preghiera e i grandi al sapere.
21. Decretare che l’insegnamento religioso sarà una materia essenziale nelle scuole
di ogni categoria e nell’università.
22. Incoraggiare la memorizzazione del Corano nelle scuole elementari pubbliche e
privare; farne condizione essenziale per il conseguimento dei diplomi religiosi
e linguistici; in ogni scuola, farne imparare a memoria una parte.
23. Elaborare una politica stabile per promuovere l’insegnamento, elevarne il
livello, dare unità di obiettivi e fini alle sue diverse sezioni, riconciliare le
diverse culture della nazione. L’insegnamento si dedicherà innanzi tutto a
diffondere un alto spirito patriottico e una morale autentica.
24. Sollecitare l’insegnamento della lingua araba in tutte le fasi dell’istruzione;
nella prima fase, accordarle preminenza, escludendo ogni altra lingua straniera.
25. Interessarsi alla storia dell’islam, alla storia nazionale e a quella della civiltà
musulmana.
26. Riflettere sul miglior modo per unificare progressivamente l’abbigliamento
nella nazione.
27. Condannare le abitudini straniere nelle famiglie per quanto riguarda la lingua, i
costumi, i vestiti, le governanti e le nutrici; igienizzare il tutto, in particolare
nelle famiglie appartenenti ad un ceto elevato.
28. Dare un sano orientamento alla stampa, incoraggiare gli autori e gli scrittori a
trattare temi islamici e orientali.
29. Occuparsi della salute pubblica, generalizzando la propaganda sanitaria con
ogni mezzo; moltiplicare gli ospedali, il numero dei medici e dei dispensari
ambulanti e facilitare il ricorso alle cure..
71 Obbligo imposto da Dio a tutti i musulmani di “ordinare il bene e proibire il male”. 72 Cinque sono i doveri fondamentali del musulmano: attestazione di fede in Dio e a Maometto, preghiera rituale, digiuno nel mese di Ramadān, elemosina rituale, pellegrinaggio alla Mecca.
62
30. Interessarsi al villaggio: organizzazione, proprietà, purificazione delle acque,
mezzi di coltivazione, divertimenti, istruzione.
3) Nel campo economico
1. Organizzare la zakāt73 come fonte di entrata, seguendo gli insegnamenti della
legge musulmana liberale, utilizzarla per la realizzazione di progetti di
beneficenza necessari: ricoveri per gli anziani e i poveri, orfanotrofi, e per
rinforzare l’esercito.
2. Vietare il prestito a interesse e organizzare le banche in modo da raggiungere
tale obiettivo. Il governo darà l’esempio su questo punto, rinunciando agli
interessi nelle imprese che da esso dipendono: istituti di credito, prestito
industriale, e così via.
3. Incoraggiare le imprese economiche, moltiplicarle, procurare lavoro ai
disoccupati, sottrarre agli stranieri le percentuali che possiedono, per farne
imprese puramente nazionali.
4. Proteggere il pubblico dalla tirannia delle compagnie commerciali, imporre
loro sanzioni e cercare di procurare al pubblico ogni profitto possibile.
5. Migliorare le condizioni dei piccoli funzionari, aumentando il loro salario,
pagando loro premi e indennità, riducendo il trattamento degli alti funzionari.
6. Limitare i posti di funzionario, specialmente quelli pletorici, e restringerli al
numero indispensabile; distribuire il lavoro tra i funzionari in modo equo;
essere precisi su questo punto.
7. Incoraggiare l’aiuto all’agricoltura e all’artigianato; avere cura della
promozione del contadino e dell’artigiano nel campo della produzione.
8. Prestare attenzione ai problemi tecnici e sociali degli operai, elevare il loro
livello di vita nei differenti campi.
9. Sfruttare le risorse naturali, le terre incolte, le miniere trascurare, e così via.
10. Accordare priorità all’elaborazione ed esecuzione dei progetti necessari a
danno dei superflui.
Il Cairo, Ufficio della Guida Suprema dei Fratelli Musulmani74
73 Elemosina rituale islamica, uno dei doveri fondamentali del musulmano. 74 La traduzione del documento originale è citata in Dossier Mondo Islamico 2…op. cit. pp. 21-24.
63
In questo lungo elenco di richieste, su possono notare alcuni aspetti anch’essi figli
di un’interpretazione olistica della religione islamica, ma anche del nazionalismo
dell’epoca, nelle sue accezioni nazionale, panaraba finanche panislamica: la
nazionalizzazione delle industrie e l’estromissione degli interessi stranieri, il
rafforzamento del legame della umma. Sempre presente il fondamentale tema
dell’educazione religiosa a tutti i livelli, l’accento è qui posto con veemenza e un
più marcato tradizionalismo sulla moralizzazione dei costumi in chiave
rigidamente coranica, in particolare rispetto alla condizione femminile. Le
riflessioni economiche denotato preoccupazione per la corruzione dilagante e per
l’eccessivo numero di dipendenti pubblici, nonché l’esigenza sempre sentita di
una riforma agraria efficace. Quanto alla zakāt per i poveri si tratta di un precetto
coranico basilare che si inserisce coerentemente nella natura anche assistenziale
dell’Associazione e nel progetto di giustizia sociale da essa propugnato.
Il lungo inciso si è reso necessario perché tutta l’ideologia della Fratellanza ruota
attorno ai punti centrali toccati in questi documenti: liberazione dei territori arabi
dalla dominazione straniera e dai suoi influssi, ripristino della legge islamica
(sharī’a) per ogni attività ed in ogni settore della vita politica, sociale, economica,
culturale; abolizione dei partiti politici in nome di un’unità della società islamica
che rispetti innanzitutto l’unicità divina (tawhīd) ma anche quella unità concreta
realizzata nell’”età dell’oro” dei califfi “ben guidati”; sistema di istruzione
religiosa che subentri a quello laico, causa della decadenza delle società islamiche
e dell’allontanamento degli individui dalla loro identità religiosa; rifiuto di tutti i
modelli culturali e dei sistemi di pensiero estranei all’islam; giustizia sociale,
ispirata dai principi del Corano.
Questa generale opera di re-islamizzazione della società non doveva essere frutto
di un’imposizione dall’alto, ma di una crescita e presa di coscienza dal basso.
Ecco perché propaganda e istruzione erano tanto importanti, ed ecco perché , nei
principi condivisi, l’organizzazione ripudiava il ricorso alla violenza. Per Al-
Banna’ il cammino verso l’islamizzazione della società doveva passare attraverso
tappe previste, secondo una scala ascendente: “Noi vogliamo l’uomo musulmano,
64
poi la famiglia musulmana, pio la società musulmana, poi il governo musulmano
e infine la nazione (nel senso di umma, ndr) musulmana”. L’obiettivo ultimo era
la rifondazione del califfato islamico, entità sovranazionale che abbraccia tutti i
popoli e gli stati musulmani75.
I Fratelli erano fermamente convinti del valore politico della religione e anzi
affermavano che l’islam non conosce potere spirituale, che viene assorbito dal
politico.76 Il ricercatore presso l’università di Oxford e nipote di al-Banna’, Tāriq
Ramadan, ha negato che il nonno avesse intenzione di fondare un partito politico,
e conseguentemente annota che:
“L’impegno umano razionale, conosciuto con il nome di ijtihad, è importantissimo e
indispensabile: è il modo con cui gli uomini testimoniano la loro fedeltà a Dio nel corso
dei secoli della loro storia. Essi devono cercare il modo migliore di gestire la loro vita alla
luce delle Sue raccomandazioni; è chiaro, quindi, che sono loro che cercano, che
governano, e non Dio. Non si tratta quindi di una teocrazia, alla quale si oppone la natura
stessa dell’Islam, secondo al-Banna’. Il Corano è la costituzione dei musulmani in quanto
il Libro rivelato contiene le prescrizioni fondamentali generali: gli uomini devono, a
valle, creare un’organizzazione politica ed una legislazione sempre nuove e rinnovate per
garantire, nel tempo, la loro fedeltà ai principi. Pe questo, al-Banna’ ritiene che il regime
parlamentare costituzionale apparso nell’epoca moderna sia l’organizzazione che più si
avvicina al rispetto degli insegnamenti islamici, poiché tiene conto del parere del
popolo.”77
Anche lo storico Massimo Campanini sottolinea come sia importante “ricordare
che al-Banna’ non suggerì alcuna forma particolare di Stato islamico. Anzi, era
perfettamente convinto che lo Stato islamico in senso moderno potesse essere una
democrazia parlamentare, in pacifica consonanza con le istituzioni liberali
sviluppate in Europa. L’importante era che la vita degli uomini e la vita dello
75 TĀRIQ RAMADAN, Il riformismo islamico. Un secolo di rinnovamento musulmano, Città Aperta, Troina 2004, p.314. 76 Ivi, p.335. 77 Ivi, p.336.
65
Stato, anche sotto il profilo legislativo, si richiamasse ai principi del Corano e
della sunna”78
La posizione di al-Banna’ si pone in questo senso in netto contrasto, come si
vedrà, col concetto politico di hakimiyya formulato Sayyd Qutb. Tuttavia, è
altrettanto vero che, anche se forse non aveva intenzione di fondare un partito
politico islamico, Hasan al-Banna’ disse che l’”Islam nel quale credono i Fratelli
Musulmani vede nel potere politico uno dei suoi pilastri […] Il profeta ha fatto
del potere politico una delle radici dell’Islam e nei nostri libri di diritto
musulmano il potere politico è annoverato tra gli articoli del dogma” 79. Di fatto,
alla luce di queste premesse, gli Ikhwan contribuirono certamente a sviluppare
una partecipazione e una coscienza politica di massa. Scrive Brynijar Lia:
“Le modalità d’azione che caratterizzarono l’impegno politico dei Fratelli Musulmani
negli anni 1930 erano estremamente moderne. I loro comitati, petizioni, campagne di
stampa, pubblicazione di opuscolo, viaggi di propaganda, dimostrazioni di massa e così
via, erano la manifestazione della crescita di una politica di massa opposta al
tradizionalismo religioso. Inoltre, il loro attivismo politico rappresentò una frattura
rispetto ai vuoti incontri di notabili che dominavano la vita politica egiziana. Ancora più
importante, metodi moderni di propaganda politica venivano applicati negli ambiti
tradizionali delle moschee, dei villaggi di provincia e dei quartieri popolari delle città,
dove la politica era considerata un privilegio delle élites. Così, sfidando l’esclusivismo
politico delle élites, i Fratelli Musulmani avvicinarono alla politica le classi
tradizionaliste e politicamente inconsapevoli, e quindi allargarono le basi della
partecipazione pubblica”80
E’ possibile che il giudizio di Lia sia eccessivamente enfatizzato ma non vi è
dubbio che questi movimenti di riforma islamica, che apparentemente sembravano
votati ad un mero recupero del passato, presentassero anche aspetti di reazione
78 M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit.,p.92. 79 OLIVIER CARRÈ, GÈRARD MICHAUD, Les Frères Musulmans, Gallimard/Julliard, 1983, p. 36, cit. in MASSIMO CAMPANINI, KARIM MEZRAN , Arcipelago Islam. Tradizione, riforma e militanza in età contemporanea, editori Laterza, Bari 2007, p.46. 80 Cfr. BRYNIJAR LIA, The Society of the Muslim Brothers in Egypt. The rise of an islamic mass movement, Ithaca press, Reading 1998, pp. 282-283.
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alla modernità e di attualizzazione del messaggio religioso, in un tentativo,
necessariamente dialettico, di adeguamento a nuovi contesti economici, politici e
sociali. E non vi è altrettanto dubbio che i Fratelli Musulmani costituissero un
vero e proprio “partito religioso” (benché istituzionalmente non riconosciuto
come tale) , traducendo in chiara attività “politica” la loro inclinazione religiosa,
una necessità che supera la concezione del confronto partitico come elemento
negativo perché divisorio della Umma cui si è accennato. Ciò giustifica come mai,
in occasione delle elezioni generali del 1942, al-Banna’ decidesse di partecipare
alla competizione accettando il gioco democratico, e , in un certo modo, in cerca
di legittimazione politica, scendendo a patti con le istituzioni monarchiche e con
la stessa Gran Bretagna, l’odiata potenze straniera egemone.
La compromissione col palazzo scontentò certamente lea più movimentiste ed
intransigenti dell’organizzazione. Infatti, nonostante la Guida e i suoi
collaboratori avessero dichiarato più volte la natura non violenta del loro progetto
di islamizzazione, era progressivamente emersa anche un’altra faccia della
Fratellanza, quella armata, poiché dal movimento si era presto separata un’ala più
radicale, denominata La gioventù di Nostro Signore Muhammad, che accusava al-
Banna’ di eccessiva moderazione e di compromessi col potere , e che preluderà al
cosiddetto “Apparato segreto” (al-jihāz as-sirrī o nizam al-khass) organizzato in
scala gerarchica da usar,’ashīra, raht e katība (famiglie, clan, gruppi, battaglioni),
costituito all’inizio degli anni Quaranta.81
Questa duplice anima dell’Associazione fondatrice del radicalismo islamico viene
evidenziata anche da un altro fortunato slogan, che renderà famoso il movimento
e che sarà mutuato ad tutti i gruppi militari seguenti, condensato in cinque punti:
“Dio è il nostro scopo, Muhammad il nostro comandante, il Corano la nostra
Costituzione, il jihad il nostro cammino, il martirio il più alto dei nostri desideri”. 82 Il simbolo della Fratellanza era, ed è, non a caso un Corano sorretto da due
spade incrociate.
81 P. MANDUCHI, Questo mondo….op.cit., p.78. 82 Ibid.
67
ORGANIZZIONE, MODUS OPERANDI, DIFFUSIONE
“I discorsi, i detti, le corrispondenze, le lezioni, le conferenze […] tutto ciò da
solo è inutile e di nessun profitto […]. Gli strumenti generali delle missioni non
cambiano, rimangono invariati e non vanno al di là di queste tre materie: 1) la
profonda fede (al-iman al-amiq).2) la meticolosa organizzazione (al-takwin al
daqiq). 3) il lavoro costante (al-‘amal al-mutawasil)” 83
Come laconicamente espresso da queste parole del suo fondatore, elemento
fondamentale per capire la rapida diffusione della Jama’a al-Ikhwan al-Muslimin,
e al tempo stesso caratteristica che la colloca a pieno titolo nella “modernità” è
ovviamente l’organizzazione del movimento. Questa rispecchierà fedelmente le
evoluzioni dell’ideologia dei Fratelli. Fino alla metà degli anni Trenta, infatti, la
rudimentale struttura organizzativa manteneva caratteri delle tradizionali
associazioni caritatevoli; in seguito, la maggiore connotazione politica che venne
assumendo il movimento influenzò anche l’apparato di coordinamento, anche a
causa di eventi congiunturali.
Alcune campagne difatti permisero all’Associazione di acquisire esperienze di
pratiche sociali fondamentali per la mobilitazione degli anni successivi. Tra le più
importanti possiamo annoverare campagne per progetti sociali ad Ismaylla come
la costruzione di una moschea e di istituti scolastici (1931), contro la prostituzione
(1939), contro la presenza di missioni confessionali occidentali su suolo egiziano
(1933), ma soprattutto la grande campagna di sostegno alla rivolta palestinese
(1936-1939).
La struttura organizzativa si evolveva anche a causa di spinte centripete:
l’autoritarismo della Guida Suprema portò progressivamente ad un processo di
centralizzazione. La crisi interna del 1931-1932 successiva al trasferimento di al-
Banna’ al Cairo, permise l’allontanamento di frange di dissidenti ancorati alle 83 HASAN AL-BANNA, Majmu’a rasa’il al-Imam al-shahid Hasan al_Banna, al-Qahira. S.n. 1992, p.108, cit. in M.CAMPANINI, K.MEZRAN, I Fratelli Musulmani…op.cit., p. 13.
68
pratiche del modello associativo caritatevole tradizionale, così che al Terzo
Congresso dei Fratelli (1935) venne accordato un maggior potere al Leader. Tra il
1938 e l’anno successivo una serie di rappresentanti locali non risultavano più
adatti al nuovo contesto di proselitismo e furono sostituiti da una nuova
generazione di membri figli dell’evoluzione del movimento. Venne istituita anche
una nuova figura istituzionale, una sorta di supervisore locale scelto dall’alto e
non in loco, ad ulteriore conferma del progressivo centralismo nel nuovo
equilibrio interno. 84
L’Associazione andava così organizzandosi in una struttura verticistica in cui la
Guida suprema era coadiuvata da un Consiglio consultivo generale (majlis
alshūrà al-‘āmm) da cui emanava un Ufficio generale per l’orientamento. Una
segreteria coordinava le attività e gli uffici amministrativi, da cui dipendevano, in
ordine discendente, i distretti, le banche, le famiglie infine le “falangi” (kutā’ib ).
Numerose sezioni si occupavano di tesoreria, di statistica, di servizi, ma l’ufficio
probabilmente più importante era quello della propaganda (da’wa). L’attività
missionaria e di persuasione era centrale nei Fratelli e si affiancava ad una intensa
opera di interventi sociali, educativi e sanitari. 85 Esisteva inoltre una sezione
femminile, nella quale spiccava la figura di Zaynab al-Ghazālī, fondatrice
dell’associazione delle donne musulmane, instancabile organizzatrice ed attivista.
l’Associazione conosce immediatamente un successo prorompente. Già nel
gennaio 1929 nuove filiali erano state aperte ad Asyu, a Benha e al Cairo. Nel
1931 al-Banna’ poté trasferire il suo quartier generale nella capitale e da lì
viaggiare per tutto l’Egitto. Nel 1936 le filiali arrivarono a 150, nel 1937 a 216,
alla fine della seconda guerra mondiale superavano le 1500. Gli adepti erano già
20.000 a metà degli anni trenta, nel 1944 pare fossero circa 500.000, un numero
destinato ad aumentare ancora negli anni successivi fino ad arrivare al milione di
84 i dati sull’espansione dell’associazione sono tratti da A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani …op.cit., p.14. Per informazioni più dettagliate riguardo all’organizzazione del movimento si vedano i già citati testi di BRYNIJAR LIA , The Society of the Muslim Brothers in Egypt. The rise of an islamic mass movement, Ithaca press, Reading 1998; e Richard. P. Mitchell, The Society of the Muslim Brothers, Oxford University Press, New York- Oxford 1969 85 Cfr. R. MITCHELL, The Society...op.cit., cap. II; e M. CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p.93.
69
attivisti. Nel frattempo, branche della Fratellanza si aprivano in tutto il vicino
oriente arabo: poco dopo la seconda guerra mondiale ve ne erano in Siria, in
Giordania, in Marocco e poi in Sudan e in Tunisia.86
Il successo dipendeva soprattutto dall’attività caritatevole e assistenziale, tangibile
nei quartieri più poveri, nelle moschee di periferia, negli ambulatori medici
gratuiti, nell’aiuto agli studenti universitari poveri, nelle scuole e negli ospedali,
nei cicli di seminari e nelle squadre di boy-scout. Perché l’islamizzazione dal
basso si realizzasse era necessario un capitale e colossale lavoro di informazione e
istruzione e l’opera che i Fratelli compirono in pochi decenni fu formidabile.
Per volere del suo fondatore, il movimento si dotò da subito di un potente
apparato di propaganda, e in particolare di attrezzature per la stampa. Pochi mesi
dopo la Lettera della Guida Suprema, pubblicata al Cairo nel dicembre 1932 –
gennaio 193387 (che si può considerare il primo documento stampato
dell’associazione) cominciano nel maggio del 1933 le uscite del primo giornale
del movimento, la “Majalla al-ikhwān al-muslimīn” (“Rivista dei Fratelli
Musulmani”, dal sottotitolo “La voce del messaggio di verità, forza e libertà”),
un settimanale che durerà quattro anni e sarà seguito, nel 1938, da un altro
settimanale politico, “al-Nadhīr” (“L’ammonitore”), chiuso poco dopo, quando
l’editore decide di unirsi alla già citata Gioventù di Muhammad, gruppo
scissionista dei Fratelli. Al-Banna’ aveva inoltre come accennato ripreso a far
uscire la storica rivista della Salafiyya di Rida, “al-Manār” dal 1939 al 1941, fino
alla definitiva chiusura per volere governativo.88
I MOTIVI DEL SUCCESSO
Il successo che Hasan al-Banna’ riuscì ad ottenere sin dal primo decennio di vita
del movimento va ricercato non solo nella forza del messaggio, perfettamente
86 M. CAMPANINI, K.MEZRAN, Arcipelago Islam…op.cit., p.43. 87 Le lettere di al-Banna’ sono raccolte nelle Rasā’il al-imām al-shahīd, pubblicate in varie edizioni in tutto il mondo musulmano. 88 Cfr. P. MANDUCHI, Questo mondo…op.cit., p.79-80.
70
inserito nel contesto socio-politico dell’Egitto del tempo; o nel ruolo di assistenza
fornito dall’associazione, comune a molte altre organizzazioni di pari finalità. A
distinguere sin dal principio la Fratellanza è la capacità del movimento di
permeare la società egiziana attraverso modalità che collocano l’islamismo di al-
Banna’ all’interno della modernità pur propugnando un ritorno alla tradizione, in
qualche modo attingendo dai modelli della stessa secolarizzazione cui si
opponeva.
L’apparente genericità del nome dato all’associazione rivendica una distinzione
netta dai modelli di sociabilità adottati in quel periodo per cooptare le spinte dal
basso. Secondo le sue stesse parole, questo movimento non doveva essere
un’associazione, né un club, né un sindacato, né tantomeno una confraternita, ma
un’unione fondata su di un’ideologia (fikra), una morale (ma’nawiyya) e delle
azioni (‘amaliyyat)89.
Questa emancipazione intellettuale doveva necessariamente comportare un
radicale mutamento nella prassi quotidiana, monopolizzata da quel
multipartitismo artificiale che non aveva elaborato veri programmi di riforma
socio-culturali, e che aveva al contrario facilitato la penetrazione straniera nel
Paese.
L’ideologia promossa dalla Fratellanza riuscì in un periodo relativamente breve a
costruire un blocco sociale proprio, animato da un discorso sostanzialmente
alternativo a quello adottato all’epoca dalle istituzioni politiche sia al potere sia
all’opposizione. Erano riusciti ad elaborare un progetto egemonico contestando
quel modello secolare che assumerà piena maturazione nel periodo successivo.
Tale progetto si era concretizzato attraverso l’organizzazione pianificata di una
vasta gamma di pratiche volte alla maturazione di una coscienza politica islamica.
Questa ideologia era portatrice di un linguaggio nuovo, e soprattutto di una
diversa percezione dei tradizionali spazi sociali attraverso i quali si manteneva
vivo il rapporto della popolazione egiziana con l’Islam. Soprattutto, di questi 89 HASAN AL-BANNA ’, Mudhakkirat al-da’wa wa al-da’iya, Dar al-shihab, il Cairo, s.d. (ed.1966) p.76, cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani …op.cit., p.8.
71
spazi rielabora la funzione: da strettamente sociale e culturale, ora quella galassia
di attori e reti assume rilevanza politica. Essa divenne un laboratorio di progetti
per il movimento, che seppe imporre nuove regole di partecipazione attiva alla
trasformazione della società.
Sotto questo punto di vista, due furono i motivi principali del successo: la rigida
ed efficiente organizzazione gerarchica ed il radicamento sociale. Tanto
funzionale era la struttura piramidale che a partire dal 1933 vennero tenuto
congressi annuali che decidevano ed indicavano la via da seguire. La propaganda
e la presenza sociale attirarono all’organizzazione le simpatie popolari ed i Fratelli
si infiltrarono profondamente nella società, istituirono scuole e ospedali, si
profusero nell’attività caritativa e assistenziale, inquadrarono i giovani in gruppi
educativi e sportivi.
L’impegno per la costruzione della società islamica era alimentato da un’attività
di diversificazione del panorama dei recettori del messaggio, nonché dei vettori di
diffusione dello stesso. 90
Durante tutto il periodo di ascesa, la preesistente rete religiosa (associazioni
islamiche, club, confraternite sufi e moschee) costituirà una piattaforma
importante per la diffusione del proprio messaggio e il reclutamento di nuovi
membri. Caratterizzandosi sin dall’inizio come un movimento religioso, la
Fratellanza poteva accedere a dei luoghi di sociabilità sostanzialmente interdetti
ai partiti politici. L’ideologia della Fratellanza si confrontava con una galassia di
associazioni che non erano portatrici istanze politiche, inoltre la sua natura
confessionale le permise di stringere contatti con quelle élites politiche locali che,
qualora al-Banna’ si fosse presentato come il leader di un partito vero e proprio,
avrebbero probabilmente mostrato maggiore diffidenza. Questa facilità di contatti
appariva ancora più evidente nei piccoli centri , dove il fattore religioso deteneva
un potere legittimante maggiore rispetto a quello politico. I Fratelli accordarono
particolare attenzione agli imam locali in quanto chiave di accesso al territorio e
scelti appositamente tra rappresentanti locali del movimento. Le moschee
90 Cfr. M.CAMPANINI, K.MEZRAN, I Fratelli Musulmani…op.cit., pp.10-14.
72
rappresentavano un centro propulsore, anche se l’influenza del modello secolare
occidentale era tale da rendere necessari altri luoghi per l’insegnamento islamico.
Un’intensa attività di propaganda venne quindi portata avanti nei caffè, ad
ulteriore riprova di una volontà di avvicinamento al popolo, alla gente comune.
Al-Banna’ suggeriva inoltre di utilizzare quegli spazi come centri sociali per
l’alfabetizzazione delle classi più povere. 91 I nuovi ricettori sociali che emersero
nell’Egitto liberale non furono trascurati. Il movimento studentesco, fino agli anni
Trenta di marca wafdista, fu uno dei nuovi centri di reclutamento per la
Fratellanza. Inoltre, le riforme economiche, politiche e sociali avanzate dagli
Ikhwan li avvicinavano agli ordini professionali e, come vedremo, ai sindacati.
Per quanto riguarda i vettori di diffusione il Leader nelle sue memorie afferma che
il percorso individuale da solo non è sufficiente, è anzi necessaria la formazione
di un’opinione pubblica che comprenda questa ideologia. L’opinione pubblica
doveva essere orientata attraverso un messaggio semplice e coerente. Numerose,
come si è visto, saranno le riviste promosse e gestite fai Fratelli Musulmani,
diverse per temi e approcci utilizzati, fino alla decisione, presa nel secondo
Congresso (1934) di fondare una propria casa editrice completamente
autofinanziata. Accanto a questi strumenti di diffusione non si devono dimenticare
le lezioni, l’attività dei giovani missionari, e ancora la presenza dei Fratelli nelle
maggiori feste islamiche attraverso importanti dimostrazioni, il tutto fondamentale
per aumentare la visibilità del movimento.
Questa diversificazione teneva perfettamente in considerazione la complessità
della società egiziana e i diversi gradi di istruzione in essa presenti. L’obiettivo
non è mai stato quello di costruire un’alternativa escludente, ma al contrario un
consenso generalizzato. L’ideologia inglobante di al-Banna’ tentò sempre di unire
la comunità dei credenti, in una costante lotta contro ogni forma di settarismo.
L’Islam dei Fratelli consente di unificare sotto la propria guida gruppi sociali
dagli interessi differenziati, ma in egual modo sostenitori di un modello di
civilizzazione fondato sulla matrice islamica. Al-Banna’ vuole distinguersi da 91 Al-Banna, Risala nahwa al-nur, in Majmu’a rasa’il al-Imam al-shahid Hasan al-Banna, art. n.16 e n.17, p. 292 ,1937-1938; cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani …op.cit., p.11.
73
quei partiti che prendono l’Islam come punto di riferimento (Hizb al-watani) o
quelle associazioni che, rivendicando un rinnovamento del sentimento e della
conoscenza dell’Islam, erano in realtà un’appendice di particolari fazioni
politiche. Il movimento è portatore di “un messaggio globale che non aderisce ad
alcun gruppo particolare” 92 e si diffonde così dai ceti popolari alla piccola
borghesia urbana di recente alfabetizzazione, sino agli strati sociali medio-alti,
dove penetra tra le professioni liberali, i docenti universitari, gli alti gradi militari.
La Fratellanza propone un messaggio che permette la rimozione degli interessi di
classe; in una società frammentata dalla penetrazione occidentale come quella
egiziana essi indicano una via per il superamento delle contraddizioni sociali. I
conflitti di classe sono anzi esorcizzati, in quanto minacciano l’ordine sociale
unitario cui la umma aspira e la indeboliscono nella sfida contro i nemici
dell’Islam. Questa sorta di interclassismo confessionale permette al gruppo di fare
sintesi dei diversi interessi sociali, riunendo insieme ceti rurali, masse urbane,
studenti, professionisti.93
Quanto ai rapporti col governo, l’atteggiamento ambiguo tenuto da al-Banna’ e
dai suoi successori e l’altrettanto ambiguo status dell’Associazione, che non si
presenta come vero e proprio partito pur recitando un evidente ruolo politico,
contribuiscono a spiegare l’ondivago rapporto col potere costituito. Se da un lato
infatti la necessità di una legittimazione costituirà in alcuni frangenti una spada di
Damocle pendente sul capo della Fratellanza, dall’altro questa ambiguità gli
permetterà di muoversi con sorprendente flessibilità ed in determinati casi, come
si vedrà, di defilarsi dalla centralizzazione monopartitica nasseriana. Lo stesso
accento sul concetto di “ordine islamico” anziché di “Stato islamico” permette al
gruppo una certa libertà d’azione, determinando per contro l’oscillante condotta
dei diversi regimi verso la Fratellanza, incerti tra inclusione nel sistema politico e
repressione violenta. Ancor oggi, si potrebbe dire, questa tendenza all’ambiguità e
al compromesso rappresenta una caratteristica del movimento, da un lato
contribuendo al suo successo, dall’altro giustificando i timori degli oppositori.
92 “Awlan da’wa al-Ikhwan al-muslimin da’wa ‘amma la tantasibu ila ta’ifa khassa” A L-BANNA ’, Risala da’watuna….op.cit., p.25, cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani …op.cit., p.7. 93 Cfr., RENZO GUOLO, Il fondamentalismo…op.cit., pp.6-11.
74
GUERRA MONDIALE, NAZIONALISMO, REPRESSIONE
Nel 1939, quando si aprono le ostilità della seconda guerra mondiale, il governo
egiziano era presieduto da ‘Alī Māher. Costui, come del resto il re, nutriva
simpatie per le potenze dell’Asse, giustificate nell’ottica dell’ostilità anti-inglese.
Soprattutto l’Italia, proprio nel 1939, aveva cerca di approfondire e consolidare i
legami diplomatici con l’Egitto cercando di sfruttarne il nazionalismo, e nel
maggio Italo Balbo era giunto al Cairo per incontrare Re Fārūq. Ma le proposte di
intesa in funzione antibritannica avevano suscitato la ferma opposizione di
Muhammad Mahmūd, allora Primo Ministro e notoriamente filo-inglese.
Muhammad, malato, si dimise nell’agosto e presidente del consiglio divenne
come detto ‘Alī Māher, di simpatie diametralmente opposte. Tuttavia quelle
dell’Italia erano solo vaghe assicurazioni e non promesse di un effettivo aiuto per
sostenere Fārūq nel suo contenzioso con la Gran Bretagna, e il governo egiziano
scelse quindi una politica prudente e potenzialmente equidistante, cercando di
mantenere l’Egitto fuori dal conflitto. Naturalmente, la Gran Bretagna aveva mal
visto l’ascesa al potere di Māher, troppo fedele al Re per essere malleabile, e ,
una volta deflagrata al guerra, era più che mai intenzionata a mantenere l’Egitto
sotto la sua sfera d’influenza e sotto il suo controllo militare. D’altronde, l’ostilità
verso gli inglesi era diffusa, soprattutto tra la popolazione, ma non univoca, e in
Parlamento non mancavano esponenti favorevoli al compromesso. All’ordine dato
dal Palazzo alle truppe egiziane di non sparare al contingente italiano sul fronte
occidentale si inasprirà però il braccio di ferro con gli inglesi, che terminò con la
prevedibile sconfitta del più debole: il 28 giugno 1940 Māher fu costretto a
dimettersi, aprendo un biennio di crisi politica col susseguirsi di precari ministeri,
guidati da Hasan Sabrī e Husayn Sirrī Pascià.
Nel frattempo la situazione egiziana si era venuta complicando ed un ruolo
centrale nel far precipitare gli eventi lo ebbero proprio i Fratelli Musulmani, che
dopo aver sostenuto in un primo momento la non belligeranza, reagirono alle
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pesanti ingerenze britanniche partecipando più attivamente all’agitazione
nazionalistica contro gli occupanti. La risposta di Londra non si fece attendere:
nel maggio 1940 la Guida Suprema dei Fratelli venne trasferita nell’Alto Egitto,
con l’accusa pretestuosa di aver trascurato il proprio lavoro di dipendente statale
del ministro dell’Educazione. L’esilio fu breve, poiché al-Banna’ poté tornare al
Cairo già in settembre, ma qui fu nuovamente arrestato, mentre l’associazione
vedeva chiudere i propri periodici e revocare il proprio diritto di riunione e
propaganda.
In queste concitate fasi al-Banna’ stabilirà contatti con ‘Alī Māher e Aziz al Masri
Pascià, capo di stato maggiore dell’esercito e fervente nazionalista, in un intreccio
di relazioni che includeva oltre ai Fratelli anche esponenti del Palazzo fedeli al re,
studenti universitari, ufficiali dell’esercito. Non mancò chi lesse
nell’atteggiamento di al-Banna’ una deplorevole ambiguità anziché una
lungimirante azione politica. Alcuni esponenti dei Fratelli non condividevano
l’amicizia del loro leader con Māher, temendo una collusione dell’organizzazione
con il potere. La Guida Suprema si mosse però con cautela, cercando di non
recidere del tutto i legami con le autorità costituite, probabilmente al fine di
evitare una definitiva messa al bando dei Fratelli che avrebbe pregiudicato
l’attività di propaganda. Di fatto, pare che nel 1941 si ebbero contatti persino con
l’ambasciata britannica, anche se non tutti concordano sul significato da dare a
questa opzione politica. Questo atteggiamento tattico, al limite del cedimento e
del compromesso e sancito definitivamente dalla partecipazione alle elezioni
politiche del 1941, si scontrava col progressivo sviluppo dell’Apparato Segreto
dell’associazione che mirava al contrario ad un intervento radicale. L’apparato,
che avrebbe assunto dopo la guerra connotati terroristici, sfuggì senza dubbio al
controllo di al-Banna’, il quale, personalmente, era con tutta verosimiglianza
contrario ad azioni di forza fini a se stesse, valutando senza dubbio che la guerra
in corso e la determinazione inglese non costituissero fattori propizi ad una
affermazione del suo movimento.
76
Queste vicende fanno comprendere quanto forti dovessero essere le
preoccupazioni inglesi nei confronti dei Fratelli, delle alte sfere dell’esercito
parzialmente inquinate dai rapporti con i movimenti rivoluzionari e della cui
fedeltà alla Gran Bretagna era lecito diffidare (si erano già manifestate quelle
inquietudini e quelle inclinazioni radicali che avrebbero condotto alla formazione
del gruppo nazionalista e rivoluzionario degli Ufficiali liberi, desinato a condure
la rivoluzione del 1952), e soprattutto di Re Fārūq. Inoltre, il ristagno economico
non contribuiva certo a risvegliare le simpatie dell’opinione pubblica verso la
Gran Bretagna, ai cui interessi bellici la politica egiziana sembrava
accondiscendente.
Dopo ulteriori tensioni generate dalla decisione del governo di Pascià di rompere
le relazioni diplomatiche con la Francia collaborazionista di Vichy, la Gran
Bretagna passò alle maniere forti con un vero colpo di Stato. Il 4 febbraio 1941 i
carri armati inglesi circondarono il palazzo reale al Cairo e a Re Fārūq fu imposto
un ultimatum: insediare un governo stabile fedele a Londra che tenesse sotto
rigido controllo le spinte disgregatrici o perdere il trono. Fārūq cedette,
chiamando a gestire il consiglio dei ministri il veterano Mustafà al-Nahhās, in cui
gli inglesi trovarono un pragmatico alleato. Le elezioni successivamente indette
diedero vita ad un organismo più compiacente gli interessi inglesi, e questa volta
trovarono nei nazionalisti del Wafd un insperato alleato: ‘Alī Māhēr venne
arrestato; numerosi cospiratori tra cui il futuro presidente Sadat, affiliato ai
Fratelli Musulmani e in stretti rapporti con al-Banna’, vennero incarcerati.
Il colpo di mano del 4 febbraio 1942 scredita il Wafd, un movimento popolare in
declino che ora si rivelava disposto a collaborare con l’occupante pur di ottenere il
potere, e contemporaneamente il re, piegato al dominio britannico. Alcuni militari,
tra cui l’allora sconosciuto Muhammad Najib , protestarono vivacemente per la
debolezza mostrata dall’Egitto. Le preoccupazioni inglesi si dividevano frattanto
tra instabilità interna e difficoltà belliche, ma la vittoria di el-Alamein dell’ottobre
1942 frustrò le ambizioni italo-tedesche lasciando alla Gran Bretagna il controllo
del Paese. Dissoltosi il pericolo di una caduta in mano tedesca o italiana,
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nell’ottobre del 1944 Fārūq riuscì a liberarsi di al-Nahhās ed ha instaurare un
governo più congeniale, mentre molti prigionieri politici vennero liberati.
Si trattava però solo di una parentesi. I disordini più gravi seguirono infatti la
decisione del governo di dichiarare finalmente guerra alla Germania, il 24
febbraio 1945, a guerra quasi conclusa. Era un gesto in qualche modo dovuto, ma
venne visto dall’opinione pubblica come un’altra concessione all’occupante
inglese: il primo ministro Ahmad Māher (fratello di Ali Māher) venne assassinato,
quindi venne fatta esplodere l’automobile di al-Nahhas, mentre pochi mesi dopo
venne ucciso un esponente dell’ala anglofila del parlamento, Amīn ‘Otmān.
Anche i simboli dell’occidentalizzazione furono presi di mira nelle maggiori città
del Paese e la situazione andava progressivamente sfuggendo di mano ai
responsabili dell’ordine pubblico. Esplosero anche violenti contrasti sociali,
esasperati dalla crisi economica in cui versava il Paese, che condussero nel
febbraio 1945 alla costituzione del comitato nazionale degli operai e degli
studenti, testimonianza del fermento che agitava l’intellighenzia più consapevole e
testimone del progressivo affermarsi di una tendenza “socialista” che confluirà
qualche anno dopo nel “socialismo arabo” nasseriano.
Parallelamente, l’apparato segreto dei Fratelli Musulmani, ormai completamente
sfuggito all’autorità di Al’Banna, portò a termine alcune azioni violente, tra cui
l’uccisione il 22 marzo 1948 di Ahmad al-Khazindari bey, giudice colpevole di
aver condannato all’ergastolo due ikhwan. E’ l’inizio di un’escalation di violenza
senza precedenti. L’associazione venne sciolta nel dicembre seguente, e tre
settimane più tardi un fratello musulmano dell’apparato segreto uccise il primo
ministro Fahmī al-Nuqrāshī, che aveva siglato l’atto di scioglimento del
movimento con l’accusa di “tentativo di rovesciare l’ordine stabilito, terrorismo,
assassinio” 94. Si temeva infatti che la Fratellanza, che si sospettava autrice di
molti attentati, riuscisse a rovesciare l’ordine costituito. La reazione
dell’establishment non si fece attendere: il 12 febbraio 1949 un commando
(probabilmente armato dalla polizia o dallo stesso governo con la connivenza
delle autorità britanniche, anche se non si è mai fatta piena luce sull’’episodio)
94 PATRIZIA MANDUCHI , Questo mondo non è luogo…op.cit., p. 81.
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assassinava Hasan al-Banna’, che da quel momento è ricordato come martire
(shahīd).
Gli Ikhwan cercarono di pianificare l’ennesima ritorsione, ma il colpo venne
sventato dalle forze dell’ordine. Per i Fratelli fu una tragedia immane, ma il
movimento non vacillò. L’infaticabile opera di propaganda perseguita per anni
dalla Guida Suprema passò ai suoi compagni e discepoli, anche a livello teorico,
con l’intensa opera di recupero dei pochi scritti che al-Banna’ aveva lasciato. A
capo dell’associazione venne posto inizialmente Salih ‘Ashmawi, già segretario
generale, quindi nel 1951, dopo che la Fratellanza fu nuovamente riconosciuta
dalle autorità egiziane, il giudice Hasan al-Hudaybi divenne Guida suprema, ruolo
che ricoprì fino al 1973. Esattamente come il fondatore, Hudaybi non era in grado
di mantenere a freno l’apparato segreto, la posizione ufficiale dei Fratelli fu
tuttavia moderata, e la dirigenza della nuova Guida come vedremo non disdegnerà
di prendere contatti col Palazzo.
Nel 1948 scoppiava inoltre la guerra di Palestina, la prima, ufficiale, guerra arabo-
israeliana che inaugurava il periodo di lotta dichiara tra gli arabi e Israele non
ancora concluso. Il coinvolgimento in Palestina non era stato visto
favorevolmente dal primo ministro Fahmi al-Nuqrāshī, che dubitava
dell’efficienza degli eserciti arabi, ma l’opinione pubblica era insorta, sull’onda di
un’estrema agitazione emotiva. Decisivo fu poi l’atteggiamento favorevole del re,
mosso da calcoli probabilmente di opportunismo e prestigio. I Fratelli Musulmani
diedero alla lotta un valore religioso e molti volontari partirono per il fronte,
decidendo però di combattere non con le truppe egiziane, ma in gruppi autonomi
volontari, denominati Jawwāla, facendo numerosi proseliti anche tra le forze
armate.
Le truppe egiziane combatterono valorosamente, ma soffrirono dure sconfitte.
Non si trattò solo di imperizia da parte degli alti comandi, quanto di
impreparazione ed evidenti carenze negli equipaggiamenti militari. Lo scandalo
delle armi difettose venne alla luce e l’inchiesta condusse a clamorose dimissioni,
79
ma alla lunga venne insabbiata. Molti però percepirono questo dramma come un
tradimento, ed in ogni caso dimostrava come la classe politica egiziana cinica e
corrotta fosse lontana dal sentire popolare. La guerra di Palestina e il disastro
affrontato dalle truppe arabe e soprattutto egiziane, caratterizzarono senza dubbio
il consolidamento del movimento degli Ufficiali Liberi che avrebbe condotto la
rivoluzione del 1952.95
SAYYID QUTB : L’ISLAM è LA SOLUZIONE
Sayyid Qutb (1906-1966) è uno degli intellettuali che più hanno influenzato
l’evoluzione dell’islamismo nel mondo arabo ed oltre, per il suo pensiero ,
rivoluzionario nel contenuto e limpido nell’esposizione, e per il ruolo di shahid
(martire) che il governo di Nasser gli ha riservato.
Vale la pena ripercorrere brevemente le tappe della sua vita perché le vicissitudini
personali, accanto ai mutamenti in atto nel Paese, hanno contribuito a trasformare
questo professore, fervente nazionalista e scrittore discretamente noto nell’Egitto
degli ultimi anni della monarchia e nei primi dell’era nasseriana, in una figura di
spicco della Fratellanza e nel probabilmente più noto teorico del radicalismo
estremista contemporaneo.96
Sayyid Qutb nasce il 9 ottobre 1906 a Musha, un paesino del Medio Egitto, in
una famiglia di piccoli notabili rurali in declino. Si tratta di un villaggio dalla
popolazione ibrida, islamica e cristiana, che presenta sia la scuola coranica
(Kuttab) sia la scuola governativa. Benché vantasse in famiglia due laureati ad al-
Azhar fu proprio la scuola pubblica che il giovanissimo Qutb andò a frequentare,
dopo un breve quanto insoddisfacente soggiorno al Kuttab: affrontò da solo gli
studi coranici, imparando il testo sacro alla perfezione prima del compimento del
decimo anno d’età. Sin da tenera età fu sensibilizzato alla politica e alla religione:
95 Per una ricostruzione delle concitate fasi storiche qui riassunte si veda in particolare: M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., pp. 97-120. 96 Sulla biografia di Qutb si vedano in particolar modo: P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit. ; GILLES KEPEL , Il Profeta e il Faraone. I Fratelli Musulmani alle origini del movimento islamista, Editori Laterza, Bari 2006 [ed.orig.1984]; SAYYED KHATAB , The political thought of Sayyd Qutb, Routledge, London- New York 2006.
80
il padre, lo haji Qutb Ibrahim, era delegato di Musha per il Partito nazionale di
Mustafa Kamil, abbonato al giornale di partito, ed organizzatore presso la sua
dimora di frequenti riunioni politiche di stampo antibritannico. Il giovane Qutb, si
noterà, nasce e vive i primi anni della sua vita nell’epoca più significativa della
lotta per l’indipendenza, e la sua parabola umana attraverserà le fasi salienti della
storia dell’Egitto, dapprima protettorato britannico, quindi indipendente sotto la
monarchia di Fu’ad (1917-1936) e Fārūq (1937-1952) , infine, dopo il 52,
repubblicano con i presidenti Neguib e Nasser.
Gli avvenimenti della sua prima infanzia sono raccolti nell’autobiografia “Un
bambino di paese” 97, che porta per altro una dedica a Tāhā Husain (1889-1973),
celebre intellettuale e letterato egiziano, simbolo del pensiero riformista e laico,
che pur giungendo a posizioni ideologiche diametralmente opposte, funge qui da
modello per la penna di Sayyid. Quello che esce dalle pagine è un Egitto in cui
solo i grandi centri urbani percepiscono un certo grado di modernizzazione/
occidentalizzazione, mentre la vita contadina rimane immutabilmente scandita dai
ritmi naturali e caratterizzata da un vincolo di solidarietà tra gli abitanti del
villaggio più forte di qualsiasi identità nazionale e persino dell’appartenenza alla
Umma. La stessa religiosità popolare è spesso poco o per nulla vicina alla
ritualità islamica e sempre in equilibrio precario di fronte alle novità della
modernizzazione, in un ambiente in cui superstizioni e credenze ancestrali
convivono con pratiche islamiche ortodosse e rispettano le pari usanze della
nutrita minoranza cristiano copta.98 La voce dello scrittore adulto non risparmia
alcune ironiche considerazioni su questo islam imbarbarito e per i suoi maestri, ed
in tutta la produzione seguente avrà modo di ribadire questo suo rigetto verso
l’ establishment religioso, che giudica ignorante, corrotto, ormai lontano dal vero
islam e dalla gente:
“Altri dubbi scaturiscono dal confondere l’idea della religione stessa con quelli che sono
chiamati “uomini di religione”. Costoro sono, fra le creature di Allah, i più lontani dal
97 SAYYID QUTB, Tifl min al-qary’ a dar ash-shuruq, il Cairo 1946. La traduzione utilizzata è di JOHN CALVERT, WILLIAM SHEPPARD, Sayyd Qutb. A child from the village, Syracuse University Press, Syracuse, New York 2004. 98 Per un riassunto e commento delle pagine di “Un bambino di paese” si veda P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., pp. 24-38.
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rappresentare l’Islam e il suo pensiero […] Ci sono alcuni che pensano che la legge
dell’Islam si identifichi con quella dello shaykh e dervisci! […] Nulla di ciò nell’Islam
puro e corretto. Non ci sono abiti speciali per shaukh e dervisci.”99
Nelle memorie d’infanzia di Qutb grande spazio è riservato anche alla tematica
nazionalista. Il crescente entusiasmo per la lotta all’indipendenza si era spinto
anche al villaggio:
“Si era verso la fine della Prima Guerra Mondiale. La scuola aveva un preside giovane
e infiammato di spirito patriottico. Siccome il padre del ragazzo (Qutb, ndr) era un
membro del comitato del Partito Nazionalista e costante lettore di un quotidiano, la sua
casa divenne un luogo d’incontro per gli uomini del villaggio che supportavano il Partito
Nazionalista.[…] Al ragazzo fu permesso di partecipare ad alcune discussioni che
avevano luogo durante questi incontri, ma altri incontri erano segreti e nessuno ne sapeva
nulla. […] L’intero villaggio era dalla parte della Turchia , lo Stato del Califfato islamico,
e contro gli Alleati, che rappresentavano gli “infedeli” che combattevano l’Islam.[…]
Questi incontri impressero nella sua mente (del ragazzo, ndr) un sentimento indefinito
che ancora non conosceva.[…] Quando suonò la tromba della grande rivoluzione
egiziana, il preside davanti agli studenti riuniti fece un fiero discorso patriottico. Disse
che la scuola sarebbe stata chiusa a tempo indeterminato perché lui e i suoi colleghi
stavano partendo per fare la rivoluzione. Era il dovere di ogni persona! [...] Egli (il
ragazzo, ndr) si sentiva esplodere di entusiasmo per la rivoluzione e scrisse discorsi ai
quali aggiungeva versi di poesia.[…] Li recitava nelle sale di riunione e nelle moschee,
dove soffiava lo spirito della sacra rivoluzione. […] Poi giunse il nuovo, sacro nome: il
nome di Sa’ad Zaghlul!”100
Sa’ad Zaghlul (1859-1927) era l’eroe nazionale di quegli anni, capo del partito
indipendentista del Wafd, amatissimo dal popolo dopo la sua espulsione per
ordine britannico il 9 marzo 1919, seguito dall’esilio a Malta. Fu la scintilla che
fece scoppiare la “prima rivoluzione” degli egiziani, in cui persero la vita circa
ottocento persone, e che si placò solo con la liberazione di Zaghlul. La
99 SAYYID QUTB, Ma’raka al –islam wa’l-ra smaliyya (La battaglia dell’Islam contro il capitalismo), Dār arh-shurūq, Cairo 1950, pp. 63, 69-70, cit. in P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 31. 100 Ivi, pp. 92-96.
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delegazione del Wafd (che significa appunto “partito della delegazione”) si recò
alla conferenza di Pace di Parigi ma non ottenne alcun risultato di riguardo e le
persecuzioni continuarono, ma alla fine del protettorato inglese sarà proprio il
partito nazionalista a dominare la scena politica egiziana. Il giovane Qutb era
completamente affascinato da questa figura eroica, come tanti suoi connazionali
dell’epoca. I temi della giustizia sociale, dell’indipendenza, e della lotta per i
propri diritti, dominanti nella prima parte della sua produzione letteraria, non
saranno mai marginali, nemmeno quando l’Islam diventerà la pietra angolare del
suo pensiero.
Abbiamo lasciato Qutb ragazzino nelle campagne del Medio Egitto e lo
ritroviamo al Cairo nel 1921, con due anni di ritardo causa interruzioni belliche
rispetto alle decisioni prese dalla famiglia per gli studi del figlio. Alloggia per
quattro anni di cui si conosce ben poco in un sobborgo cittadino, ospite di uno zio,
giornalista e wafdista, prima di entrare alla Scuola Normale per Istitutori,
terminata la quale approda a Dar al-‘Ulum (“Casa delle Scienze”), un istituto
modernista di formazione all’insegnamento.101 Qui si laurea nel 1933, poi per
sedici anni lavorerà alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione, per il
quale insegna e redige progetti di riforma scolastica puntualmente scartati dai suoi
superiori. Parallelamente conduce un’attività di letterato, anche grazie alla
collaborazione del suo mentore, il noto scrittore Mahmud ‘Abbas al-‘Aqqad
(1889–1964) presentatogli dallo zio, e proprio la critica letteraria sarà principale
argomento delle sue pubblicazioni fino alla fine della seconda guerra mondiale.
Fino al 1945 risulta membro del Wafd, ma in questa data abbandona i partiti, per
lui inadeguati simboli di un’epoca passata, e la sua attenzione si sposta dalla
letteratura al nazionalismo e alle tematiche sociali. Questa evoluzione si sposa
perfettamente col dibattito politico e culturale di quegli anni, in un Egitto
caratterizzato sin dagli anni ’30 da un precario gioco di equilibrio tra monarchia ,
Gran Bretagna e opposizione dei partiti (Wafd in primo luogo) in cui in pochi
godono dei frutti dell’occidentalizzazione e molti, soprattutto nelle campagne da
cui Qutb proveniva, soffrono la fame. Un Egitto nel cui vivace dibattito culturale
101 GILLES KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 15.
83
l’Islam si avvia a divenire per molti la risposta adeguata ad una vera rinascita
nazionale. Anche i Fratelli Musulmani notano la propensione verso tematiche
della cultura e della tradizione islamica nelle pubblicazioni del giovane
giornalista, e alcuni suoi articoli trovano spazio sul loro giornale, la “Majalla al-
ikhwan al-muslimin”, ma senza che da ciò derivasse un avvicinamento particolare
di Qutb alla giovane Associazione.102
L’uguaglianza degli uomini senza distinzioni e l’Islam come sistema giusto ed
eterno (“al-islam huwa al-hall”, “l’Islam è la soluzione”) sono il filo conduttore
dei numerosi articoli pubblicati nel dopoguerra sugli organi di stampa all’epoca
più impegnati e diffusi, tra cui “Sahifat al-hizb al watani” (“Giornale del Partito
Nazionale”), “al-Liwa” (“La Bandiera”), “Sahifat hizb misr al-fatat” (“Giornale
del partito del Giovane Egitto”), “al-Ishtirakiyya” (“Il Socialismo”). Diventa
direttore, nell’aprile 1947, della rivista scientifica “al-‘alam al –‘arabi” (“Il
Mondo Arabo”) e fonda, nel gennaio 1948, il settimanale “al-fikr al-jadid” (“Il
Nuovo Pensiero”), che avrà vita breve per la censura del governo. Il 1948 è un
anno turbolento per l’Egitto e tutto il Vicino Oriente: il 14 maggio gli inglesi
lasciano la Palestina e il giorno successivo Israele si autoproclama Stato
Indipendente, scoppia la prima guerra arabo-israeliana. La tagliente vena
polemica nei confronti del governo degli scritti di Qutb lo inimicherà al sovrano,
tanto da spingerlo ad un “esilio volontario” per evitare il carcere. Nel novembre
del 1948 viene quindi inviato a tempo illimitato negli Stati Uniti dal Ministero
della Pubblica Istruzione, ufficialmente per studiare il sistema scolastico pubblico
americano, implicitamente per liberarsi di un intellettuale scomodo ed
intransigente. Il viaggio, che doveva nelle intenzioni governative farne un cantore
dell’occidentalizzazione, rappresenterà una svolta nella sua vita e lo consegnerà al
suo ritorno alla causa dei Fratelli Musulmani.
La società americana lo disgusta: lo disgustano il suo culto del dollaro, la sua
promiscuità sessuale, la sua ferocia verso i più deboli. Al suo ritorno, nel 1951,
Qutb scriverà pagine durissime su quanto ha visto, tali da costringerlo alle
102 P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 43.
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dimissioni dal Ministero. La sua fede islamica non aveva mai vacillato, ma dal
soggiorno americano riaffiora, rinvigorita, nella sua dimensione sociale, come
unica ancora di salvezza dalla deriva occidentale. L’America che accoglie Qutb è
quella del pieno boom economico del dopoguerra, le strade sono gremite e
luccicanti in vista del Natale, ma al visitatore di Musha appaiono un miscuglio di
criminalità, insicurezza, alcolismo, prostituzione. In un articolo che sarà
pubblicato con il titolo “Hama’im fi New York” (“I piccioni di New York”) sul
giornale “Al-kitab” nel dicembre 1949 Qutb descrive la città come un’enorme
officina, frenetica, chiassosa, grigia e sporca, dove persino i piccioni sembrano
tristi e apatici. 103 Non solo, mentre si trova in convalescenza all’ospedale della
George Washington University, operato di tonsille, viene raggiunto dalla notizia
della morte di Al-Banna’ (12 febbraio 1949) , ed assiste alla reazione compiaciuta
(ed invero forse un po’ esagerata dalla penna del nostro, dal momento che Al-
Banna’ non era un personaggio così noto, ndr) dei media americani. Nemmeno il
trasferimento in una tranquilla cittadina di provincia modifica la sua opinione
della società a stelle e strisce, si convince anzi dell’ipocrisia che a fatica nasconde
sotto ad un tappeto di pacatezza e coesione una società in realtà avida e razzista.
“Questa grande America: quanto vale nella scala dei valori umani? E che cosa essa ha
aggiunto al conto finale delle acquisizioni morali dell’umanità? E, alla fine del viaggio,
quale sarà stato il suo contributo? Temo che non ci sia un equilibrio fra la grandezza
materiale dell’America e la qualità del suo popolo.[…] Il reale valore di ogni civiltà
conosciuta dall’uomo non sta negli strumenti che egli ha inventato o in quanto potere egli
esercita, […] il valore delle civiltà si trova in quelle verità universali e universalmente
note che esse hanno raggiunto. Queste conquiste elevano i sentimenti, edificano le
coscienze, aggiungono profondità alla percezione umana dei valori della vita.” 104
Estraniato dall’ambiente circostante comincerà a scrivere una serie di lettere
indirizzate in Egitto, in cui sottolinea l’ingratitudine degli Stati Uniti verso la
103 JOHN CALVERT, The World is an Undutiful Boy: Sayyd Qutb’s American Experience, in Islam and Christian-Muslim Relations, II, n.I, 2000, cit. in P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 54. 104 Originariamente si tratta del testo di un’altra missiva indirizzata a Tawfiq al-Hakiim, come riporta SAYYED KHATAB , The Political Thought of Sayyid Qutb, Routledg, Abington-New York 2006, p. 142, cit. in P.MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 59.
85
grande civiltà egiziana (sono gli anni in cui gli USA si schierano apertamente in
favore della causa sionista, ndr) e il gioco a cui l’uomo bianco costringe il suo
popolo, ma anche la complicità della classe degli intellettuali arabi che non
percepiscono gli appelli del popolo e dei giovani:
“Questa generazione arrabbiata dovrà essere reclutata per stabilire un nuovo sistema
politico. Non aspettiamoci soluzioni prefabbricate da Mosca o da qualcun altro […] le
nostre soluzioni dovranno essere originate ed essere sviluppate dalla nostra cultura, nel
nostro ambiente e con le nostre circostanze.”105
Si lascia andare nelle stesse pagine ad un’analisi sociologica:
“La produttività americana non è eguagliata da nessun’altra nazione. Il livello di vita è
miracolosamente e incredibilmente elevato, ma l‘uomo non può mantenere il suo
equilibrio senza rischiare di essere trasformato in una machina. Non può sopportare il
peso di un lavoro estenuante e mantenere inalterata la sua umanità, ed è così che egli
libera l’animale che ha dentro. […] Siamo di fronte al caso di un popolo che ha raggiunto
l’apice della crescita e la massima elevazione nelle scienze e nella produttività,
rimanendo abissalmente primitivo nel campo della sensibilità, dei sentimenti, del
comportamento. […] La confusione svanisce non appena si osserva il passato e il
presente di questo popolo, che rivela immediatamente la ragione di questo zenit di civiltà
combinato con questo nadir di arretratezza.[…] Mentre affrontava la natura […] e
combatteva per costruire la sua patria con le nude mani, la scienza applicata fu la sua più
grande alleata in questa lotta violenta. La scienza applicata gli procurò effettivamente gli
strumenti per creare, costruire, organizzare, produrre”106
Nell’uomo americano dunque la mancanza di una storia antica e la durezza delle
condizioni in cui sorse la nuova nazione hanno generato un insano credo nel
progresso inteso come miglioramento materiale, come spinta violenta alla ricerca
delle migliori condizioni possibili, a svantaggio dell’evoluzione del pensiero e
dello spirito. Eppure:
105 Si tratta di una lettera riportata in S.KHATB , The Political…op.cit. p.145 e pubblicata sulla rivista “Ar-risāla” il 31 luglio 1950. 106 Ibid.
86
“Quando l’umanità chiude le finestre alla fede nella religione, alla fede nell’arte e alla
fede nei valori spirituali, non le rimane alcuno sfogo per questa energia se non nel regno
della scienza applicata e del lavoro, o nella dissipazione nei piaceri dei sensi. Questo è il
punto dove l’America è finita dopo quattrocento anni.” 107
E’ non a caso durante l’esperienza statunitense , di cui ha lasciato il resoconto,
“Amrika allati ra’ aytu” (“ l’America che ho visto”)108, affidato al suo rientro alle
pagine della rivista letteraria “Ar-risala”, che Qutb scrive un’opera che avrà
grande successo in patria, e che è una chiave di volta nella sua filosofia: “Al-
‘adala al-ijtima’iyya fi’l-islam” (“La giustizia sociale nell’Islam”) , il primo libro
“islamista” che pur precedendo cronologicamente la sua ufficiale conversione alla
Fratellanza è legato strettamente alle successive pubblicazioni. Tratta del
rapporto tra religione e società, con continui paralleli tra Cristianesimo ed Islam,
ad evidenziare la superiorità di quest’ultimo. Lancia una dura critica al principio
di separazione tra religione e politica, alla base delle società occidentale, poiché
Dio è centro ed origine di ogni cosa e al suo ordine si deve attenere qualsiasi
società che voglia realizzare la giustizia tra gli uomini. Matura un concetto chiave
nella filosofia qutbiana che verrà ulteriormente precisato in seguito, il concetto di
società jahilita, la società “ignorante” del periodo preislamico, che non conosce la
legge di Dio, la shari’a, che si illude l’adozione di modelli esterni occidentali
possa portarla verso il progresso.
“La società islamica oggi non è veramente islamica.[…] Nella nostra moderna società
non giudichiamo in base a ciò che Dio ha rivelato; la base della nostra economia è l’usura
(riba), le nostre leggi permettono l’oppressione piuttosto che punirla, la tassa per i poveri
(zakat) non è più obbligatoria, e non pesa nel modo dovuto. Permettiamo la stravaganza
e il lusso che l’Islam proibisce; permettiamo il morire di fame.”109
107 Ibid. 108 La traduzione qui utilizzata è di TAREK MASOUD, AMMAR FAKEEH, L’America che io ho visto. Nella scala dei valori umani (1951), cit. in KAMAL ABDEL -MALEK , America in an Arab Mirror. Images of America in Arabic Travel Literature. An Anthology (1895-1995), St. Martin’s Press, New York 2000, pp. 9-27. 109 SAYYID QUTB, al-‘adāla al-ijtimāiyya fī’l-isl ām, cit. in W. SHEPARD, Sayyd Qutb and islamic Activism: a Translation and Critical Analysis of Social Justice in Islam, Brill, Leiden 1996, p.321, cit. in P.MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p.48.
87
L’Islam sarebbe in grado di risolvere i problemi della società basandosi sulla
giustizia sociale (al-adala al-ij-tima’iyya) insita nel Corano. Siamo nel pieno
dell’ideologia radicalista: il sistema politico islamico è superiore a tutti gli altri
sistemi socio-politici perché è il sistema previsto da Allah. Liberalismo,
capitalismo, persino il nazionalismo, non possono sfuggire alla propria fragilità.
Qutb descrive con meticolosità come l’Islam abbia nel corso della storia risposto
alle esigenze di qualsiasi società in qualsiasi tempo. Sottolinea l’armonia che esso
ha creato tra uomo e natura e tra uomo e uomo, figlie di una vita coerente con la
Legge di Dio, l’unica perfetta. Le società possono divenire realmente islamiche
solo seguendo i principi islamici nel proprio vivere quotidiano perché nell’Islam
vita spirituale e temporale sono intrinsecamente legate. L’Islam è un sistema
totalizzante ed unitario, onnicomprensivo e coerente, è “din wa dunya wa dawla”
(religione, società, Stato). Ma, soprattutto, l’Islam è ora per Qutb “al-islam huwa
al-hall” , la soluzione.
Il RITORNO DI QUTB, I FRATELLI, L’ILLUSIONE
RIVOLUZIONARIA
Al suo ritorno, il 20 agosto 1950, Qutb è accolto da un Egitto in cui ormai sono
poste le radici per la rivoluzione degli Ufficiali Liberi che avverrà due anni più
tardi, con un popolo ormai logorato dall’alto tasso di povertà e sempre più
insofferente verso Re Fārūq , il suo lusso sfrenato ed il suo malgoverno. In questo
contesto sociale depresso si è fatta sempre più strada sin dalla sua fondazione
l’Associazione dei Fratelli Musulmani con la sua opera assistenziale ed il suo
proselitismo religioso e morale. Qutb vi aderirà ufficialmente nel 1951 e ne
diventerà da subito massimo teorico, orfana com’era l’associazione dalla figura
dello scomparso Al-Banna’. “Sono nato nel 1951”, dirà, a sottolineare quanto
questo evento faccia da spartiacque nella sua vita e nel suo pensiero.
88
Al rientro, preannunciato sulle colonne dal giornale “ar-Risala”, ricevette molte
visite, da parte di intellettuali ma anche di giovani militanti affascinati dai suoi
scritti. Nei due anni successivi all’assassinio di Al-Banna’ ne prese
temporaneamente il ruolo Salih’Ashmawi, che volle fortemente l’affiliazione con
Qutb. Per breve tempo il nostro continuò anche a lavorare per il Ministero
dell’Educazione, ma, data l’evidente incompatibilità tra le sue conclusioni anti-
istituzionali e il ruolo ricoperto, già dal 52 rassegnò le dimissioni, accettate solo
due anni più tardi. Il 1950 non è solo l’anno del ritorno a casa ma anche l’anno
del suo primo haji, il Grande Pellegrinaggio a la Mecca, importante non solo per
la sua piena maturazione religiosa ma anche perché quivi incontra il grande
intellettuale indiano Abu al-Hasan an-Nadawi (1913-1999), e secondo alcuni
studiosi110 questi lo inizia al pensiero del pakistano Abu’l-A’la al-Mawdudi, che
enorme influsso avrà sulla sua maturazione filosofica. Nel 1951 pubblica
“Ma’rakat al-islam wa’l-ra’smaliyya” (“La battaglia dell’Islam contro il
capitalismo”), in cui critica il capitalismo ed esalta le potenzialità del sistema
islamico per combattere i disequilibri socio-economici in particolare facendo leva
sulla zakat e il divieto dell’usura (riba). Ma soprattutto il 1951 è l’anno in cui
entra ufficialmente a far parte della Fratellanza. Lo fa in un momento particolare,
quando il movimento si stava riprendendo dalla perdita del suo leader fondatore e
dalla prima dura repressione, in concomitanza con l’avvio della lunga fase di
Guida Suprema di Hasan al-Hudaybi (successore di Al-Banna dal ’51 al ’73).
Grazie al suo valore e prestigio diviene immediatamente membro del direttivo
(maktab al-rashad) e capo della Sezione per la Diffusione dell’Islam (nashr al-
da’wa) dove si adopera fruttuosamente per la diffusione del messaggio. Dopo la
repressione e la censura, all’inizio degli anni Cinquanta riaprono alcuni giornali
vicini ai Fratelli e Qutb vi partecipa attivamente. Il tono dei suoi articoli, pur
intransigente rispetto al degrado dei costumi dei connazionali, è tuttavia ancora
moderato e Qutb risulta molto vicino agli alti gradi del movimento, con cui negli
anni seguenti maturerà una netta rottura.
110 P.MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 82.
89
Frattanto i tempi sono come detto ormai maturi per la “Rivoluzione Benedetta” (
thawra mubaraka), così come fu ribattezzato da Hudaybi il colpo di stato degli
Ufficiali Liberi, che soverchia la monarchia ed instaura la repubblica. Il golpe fu
portato a termine senza spargimenti di sangue nella notte fra il 22 e 23 luglio con
l’appoggio di tutte le forze politiche e sociali tra cui i Fratelli, che garantirono
appoggio logistico e adesione della popolazione. I Fratelli condividevano
l’urgenza di cambiamento delle forze militari e ritenevano di poter ispirare la
politica del nuovo governo, rappresentando un anello di congiunzione tra
l’esercito e l’Islam che doveva guidarne le azioni ; inoltre il socialismo arabo, uno
dei tratti predominanti della propaganda nasseriana, rivendicava una matrice
islamica a differenziarlo dal socialismo scientifico (sintetizzando sono qui assenti
il conflitto di classe e l’ateismo e la proprietà privata è tutelata benché in un’ottica
sociale)111 ed era promotore di un programma sociale che ben si conciliava con
l’ideale della Fratellanza: uguaglianza degli uomini, esaltazione della giustizia
sociale, cooperazione tra le classi, equa distribuzione delle risorse, erano parole
d’ordine dell’uno come dell’altro movimento. Anche dal punto di vista personale i
legami con gli Ufficiali erano molto stretti: alcuni di loro erano affiliati alla
Fratellanza, lo stesso colonnello Jamal’abd al-Nassir, con il nome di ‘Abd al-
Qadir Zaghlul, faceva parte del movimento, e vi erano stati già contatti di Anwar
as-Sadat e dello stesso Nasser con Al-Banna’ fra il 1040 e il 1944 e poi, nelle fasi
immediatamente precedenti la sollevazione, con Hudaybi.112 Quanto al generale
Neguib, primo presidente ufficiale dell’Egitto repubblicano, aveva manifeste
simpatie per la Fratellanza, che gli rimase vicina anche quando nel 1954 si dimise
ritirandosi a vita privata, dopo essere stato accusato di aver tradito gli ideali della
rivoluzione e forse proprio per la sua vicinanza alla Fratellanza, con cui i rapporti
erano ormai cambiati. Sayyid Qutb ha un ruolo importante nei giorni del putsch.
Partecipa attivamente all’organizzazione e proprio nel salotto di casa sua “ Nasser
e i militari cospiratori si erano incontrati per coordinare il colpo di mano con i
Fratelli Musulmani. Parecchi degli Ufficiali, compreso Anwar al-Sadat, che
sarebbe stato il successore di Nasser, avevano stretti legami con la Fratellanza. Se
111 Sull’argomento si veda in particolar modo MASSIMO CAMPANINI, La teoria del socialismo in Egitto, Centro Alfarabi, Palermo 1987. 112 P.MANDUCHI, Questo mondo non è luogo…op.cit., p. 86.
90
il colpo fosse fallito, i Fratelli avrebbero aiutato gli ufficiali a fuggire. In realtà il
Governo cadde così facilmente che l’effettiva partecipazione dei Fratelli
all’operazione si ridusse a ben poca cosa” 113. Nell’agosto del 1952 Qutb tenne un
famoso discorso intitolato “Emancipazione intellettuale e spirituale nell’Islam” al
circolo degli Ufficiali, in cui esortava a sradicare la piaga della corruzione del
vecchio regime, predisponendo una nuova costituzione in tempi brevi, senza
temere di utilizzare strumenti poco democratici instaurando una momentanea e
necessaria “dittatura giusta” di transizione.
“Questa gente, che ha sofferto una dittatura oppressiva per decenni, non potrebbe
sopportare altri sei medi di giusta dittatura? Siamo consapevoli che ogni azione di pulizia
non si può porre in essere che per mezzo di una dittatura”.114
Ricevette un’ovazione e Neguib lo definì pubblicamente “maestro spirituale della
Rivoluzione” nominandolo consulente culturale nel Consiglio della Rivoluzione.
L’alleanza tra Ikhwan ed Ufficiali Liberi durò tuttavia molto poco e lo scontro fu
motivato sia da divergenze ideologiche (i militari pur essendo nella maggioranza
dei casi sinceri musulmani miravano a creare uno Stato laico, i Fratelli
ovviamente uno Stato islamico) sia dalla ricerca del consolidamento del proprio
potere personale: così come erano stati fondamentali nell’appoggiare la
rivoluzione, ora i Fratelli rappresentavano l’unica forza sociale e politica che per
ideologia, struttura e consenso poteva realmente minarne le sorti. 115
Si può aggiungere un’ulteriore spiegazione del contrasto nella ferma posizione dei
Fratelli contro la presenza britannica e contro il trattato anglo-egiziano che
prevedeva il ritiro delle truppe inglesi da tutto il territorio meno che nella zona del
canale di Suez. Ma soprattutto fu la vicinanza a Neguib , favorevole ad un rientro
dei militari nelle caserme e all’instaurarsi di un governo civile, a scavare un solco
113 Ibid. 114 ADEL HAMMUDA , Sayyd Qutb min al-qary’a ila al-mishnaqa (Sayyd Qutb, dal villaggio al patibolo), Sina lī al-nashr, Cairo 1990, p.112, cit. in P.MANDUCHI, Questo mondo non è luogo…op.cit., p. 87. 115 Cfr. M.CAMPANINI, K.MEZRAN, I Fratelli Musulmani…op.cit., p. 19.
91
tra l’Associazione e la sempre più predominante figura di Nasser, che mirava al
coinvolgimento diretto dei militari nella politica. Fra il febbraio e marzo 1954
Neguib fu destituito dal suo incarico di Presidente della Repubblica e poi
brevemente reinsediato al potere per circa un mese prima che la crescente
popolarità di Nasser ponesse fine ad ogni velleità dei suoi “avversari” politici,
compresa la più radicata Associazione del Paese. L’anno precedente erano stati
l’unico gruppo a non essere disciolto il 16 gennaio quando venne proclamato il
partito unico (il Raggruppamento della Liberazione), con la motivazione che non
erano un partito ma un’associazione con una missione religiosa (risala diniyaa),
ma a partire dal 1954 il regime cominciò a perseguitare gli Ikhwan, dopo aver
dichiarato che si trattava in realtà di un gruppo politico (questa ambiguità di fondo
è come accennato uno dei tratti caratteristici dell’Associazione e in varie fasi della
propria storia si può notare come gli stessi Fratelli abbiano beneficiato in qualche
modo della loro posizione non chiaramente definita). “Se si rivede la storia dei
Fratelli Musulmani”, dirà amaramente Hudaybi, “si scoprirà che tutti i principi
della rivoluzione erano presi dalla nostra eredità. (Nasser e gli Ufficiali liberi,
ndr) non applicarono tali principi e se ne allontanarono. Questa fu la ragione
principale della nostra disputa con loro” 116 . In effetti il pragmatismo
rivoluzionario mal si sposava con il genere di rivoluzione auspicato dalla
Fratellanza, l’esercito escludeva qualsiasi tipo di dialogo o soluzione alternativa,
quindi anche la via parlamentare auspicata dalla Guida Suprema: era ormai chiaro
che si potesse essere solo in contrasto col regime, non in rapporto dialettico.
NASSER, PRIGIONIA, PIETRE MILIARI . LA RADICALIZ ZAZIONE
DEL MESSAGGIO
Lungo tutti i sedici anni della sua leadership (1954-1970) Nasser sottoporrà i
Fratelli Musulmani ad una sistematica persecuzione. Dopo il primo biennio
repressivo del 1954-1955 particolarmente severa fu la “purga” degli anni 1965-66, 116 BARRY RUBIN, Islamic fundamentalism in egyptian politics. Updated edition, Palgrave Macmillan, Londra 2002, p.28, cit. in M.CAMPANINI, I Fratelli Musulmani…op.cit., p.19.
92
quando moltissimi affiliati finirono in carcere, furono torturati e in alcuni casi
uccisi. Queste ondate repressive erano in perfetta continuità con le accuse portate
contro i Fratelli già alla fine del 1948 dal governo egiziano , sollecitato da
britannici, francesi e americani che ne avvertivano la pericolosità. Ora l’accusa
era voler impedire il processo rivoluzionario. Accanto a questa politica repressiva
vi furono comunque anche tentativi di cooptazione: alcuni membri della
Fratellanza si alleeranno al regime uscendo dall’organizzazione (come lo shaykh
Ahmad Hasan al-Baquri , che ricoprirà la carica di ministro del Waqf dal 1952 al
1959 e di presidente dell’università di al-Azhar nel 1964) , altri rifiuteranno.
Non è facile definire ideologicamente il regime di Nasser. Uno strano miscuglio
di laicismo politico e di islamismo etico; era in ogni caso un regime autocratico
ed intollerante ad ogni opposizione, che appariva particolarmente compromesso
con le ideologie secolari dell’Occidente come il socialismo, o con ideologie
“autoctone” ma non religiosamente connotate, come il panarabismo. In questo
senso, esso sembrava nemico dell’Islam. 117 Il rapporto di Nasser con l’Islam e
con i Fratelli Musulmani rimane altamente contradditorio. Il ra’is non poteva
permettere ad un gruppo politico rivale di condizionare le sue scelte, ma d’altro
canto non era insensibile ai richiami alla giustizia, alla correttezza delle istituzioni
e alle altre istanze sociali in comune con il messaggio dell’Associazione. Si può
dire che il “socialismo islamico” non fosse distante dal socialismo arabo
nasseriano. 118
Alla messa al bando della Fratellanza, dichiarata il 14 gennaio 1954, seguirono
immediati arresti di membri di spicco dell’organizzazione, tra cui Qutb. Questi
suscitarono violente manifestazioni e già nell’aprile dello stesso anno Nasser
concesse la sua uscita di prigione e non ostacolò la sua nomina alla direzione della
rinata rivista della Fratellanza, “Al-ikhwan al-muslimun”. Tuttavia, ben lungi dal
pentimento sperato, Qutb rincarò dalle pagine del giornale le critiche al governo,
in particolare relativamente alla scelta della via “diplomatica” da parte di Nasser
nei rapporti con la Gran Bretagna, laddove l’intellettuale avrebbe preferito una 117 M.CAMPANINI, Arcipelago Islam…op.cit., p. 49. 118 Ivi, pp. 47-49.
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jihad contro la presenza britannica. Già ad agosto il giornale venne chiuso.
Nasser non aspettava altro che l’occasione per screditare anche pubblicamente
l’Associazione e il destro gli fu offerto nell’ottobre del 1954 da un fallito attentato
ad Alessandria, quando il Fratello Musulmano Mahmud ’Abd al-Latif gli sparò
alcuni colpi di pistola senza colpirlo. Nasser ne approfittò per scatenare una
violenta repressione (tra gli altri viene impiccato ‘Abd al-Qadir ‘Awda, uno degli
esponenti più in vista). Qutb viene arrestato e torturato come la maggior parte dei
militanti e dopo un processo-farsa è condannato, il 13 luglio 1955, ad ergastolo,
poi commutato in 25 anni di lavori forzati119 a causa delle sue precarie condizioni
di salute, da scontare nel campo di concentramento di Tura. Le sue condizioni di
detenzione relativamente miti gli consentono di scrivere, e riesce a far pubblicare
il suo notissimo commento coranico , “Fi zalal al-Qur’an” (“Sotto l’egida del
Corano”) e altre opere. Nel 1962, due anni prima della sua scarcerazione, alcune
pagine della successiva opera “Ma’alim fi’l tariq” (“Pietre Miliari”) circolano
negli ambienti legati ai Fratelli, in particolare nella cerchia di persone che si
riunisce attorno alla Sorella Musulmana Zaynab-al Ghazali. E’ una delle opere più
lette e censurate del mondo arabo e ispirerà il futuro dei movimenti islamisti. Gli
scritti di Qutb riempiranno il vuoto ideologico di un’Associazione che fino a quel
momento aveva avuto come nemici dichiarati gli stranieri britannici e la loro
alleata monarchia, e che ora si doveva confrontare con un nuovo nemico, prima
alleato, egiziano e musulmano, che per di più proclamava gli stessi ideali, anche
se con un linguaggio decisamente diverso. 120 Nasser aveva avuto ragione
logisticamente dell’organizzazione ma non certo della corrente di pensiero, che
dai campi di prigionia si andò invece riformulando nell’elaborare strategie di lotta
contro il nuovo potere costituito. Concetti e categorie strettamente coraniche
vennero utilizzate a piene mani per condannare le istituzioni dello Stato egiziano,
dimostrare la sua illegittimità, presentarlo come kafir, “empio”. Gli scritti di Qutb
hanno un ruolo fondamentale in questo processo di maturazione. Vengono rilette
le sue precedenti opere ruotanti attorno al tema delle “false” società islamiche,
119 G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p.18. Il dato è incerto, per altri studiosi gli anni a cui fu condannato furono in realtà quindici: Cfr. P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 91. 120 P.MANDUCHI, Questo mondo non è luogo…op.cit., p. 91.
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mentre anche concretamente gruppi di affiliati si organizzano per il sostentamento
delle famiglie dei prigionieri, in una crescente partecipazione emotiva verso i tanti
giovani martiri che periscono a Tura e negli altri campi.
“Pietre miliari” non è una creazione interamente nuova (dei tredici capitoli
almeno quattro sono ripresi da “Fizalal al-Qur’an”- “Sotto l’egida del Corano”,
il commentario che l’autore ha redatto essenzialmente in prigione dal 1954 al
1964, inoltre i concetti che l’autore elabora sono presi in prestito da diversi
pensatori) ma l’organicità e la maturità della riflessione ne hanno fatto il “Che
fare?” del movimento islamista. 121 Il capitolo introduttivo annuncia il senso
dell’opera: 122
“Ai nostri giorni, l’umanità è sull’orlo dell’abisso […] e ciò non per la minaccia di
distruzione che aleggia sopra di essa (questo infatti non è che il sintomo del male, non il
male in se stesso), bensì a causa del suo fallimento nel campo dei “valori”, sotto la cui
egida l’uomo avrebbe potuto vivere ed volversi in armonia.
“Tale è l’evidenza: prendiamo il mondo occidentale, dove oggi non hanno più corso i
“valori” che esso offre come esempio all’umanità. Quel mondo non possiede più
nemmeno ciò con cui convince la propria coscienza di meritare di esistere, dopo che la
sua “democrazia” si è realizzata in quella che presenta tutte le caratteristiche di una
bancarotta. Al punto tale, del resto, che poco a poco esso si è messo a prendere a prestito,
adattandolo, il sistema in vigore nel blocco dell’Est, e in particolare il suo sistema
economico, il socialismo!
“All’Est, la situazione è la stessa.[…] Le teorie collettiviste, marxismo in testa, che
avevano dapprincipio esercitato il loro fascino su molte persone, in quanto ideologie
portatrici di una dottrina, sono totalmente regredite -intellettualmente parlando- fino a
ridursi oggi al ruolo di ideologie di Stato; il quale Stato è distante quanto più non si
potrebbe dalle fondamenta dottrinali di quelle ideologie!123
121 Il paragone è dell’intellettuale egiziano TARIQ AL-BISHIR, Sa yabqi al-ghalu ma baqiya al-taghrib (L’estremismo durerà quanto l’occidentalizzazione), in “al-‘Arabi”, Kuwait, 1, 1982, cit. in G. KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 19. 122 Non esiste una traduzione completa in lingua italiana di Pietre Miliari, si farà quindi riferimento a diverse edizioni. In questo caso SAYYD QUTB, Ma’alim fi’l tariq (Pietre miliari), (a cura di) Dar al-shuruq , Beirut - il Cairo, 1980, p.5, cit. in G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p.19. 123 Ivi, p.5.
95
“All’umanità serve una nuova direzione!124
“A conti fatti, tanto le ideologie dell’individuo quanto le ideologie collettiviste si sono
risolte in un fallimento. Spetta ora all’Islam, alla Umma, giocare il loro ruolo, nella più
critica delle ore, quando regnano il disordine e la confusione. [...] Il tempo dell’islam è
venuto, esso che non rinnega le invenzioni materiali di questo mondo, poiché le considera
come la funzione prima dell’uomo, dacché Dio gli ha accordato il governo sulla Terra in
sua vece, e come un mezzo - a determinate condizioni- per adorare Dio e realizzare gli
scopi dell’esistenza umana.125
“L’islam può giocare il proprio ruolo solo incarnandosi in una società, in una Umma.
[…] L’umanità non presta orecchio, in particolare di questo tempi, a una credenza astratta
che non possa vedere corroborata da fatti tangibili. Orbene, la Umma, è opinione comune,
ha visto estinguersi da diversi secoli la propria esistenza.
“Ma la Umma non è una terra su cui vive l’Islam, tantomeno una patria i cui antenati
avrebbero vissuto, in una certa epoca, secondo un modo di vita islamico. […]
“La Umma musulmana è una collettività (jama’a) di genti la cui vita nella sua interessa,
nei suoi aspetti intellettuali, sociali, esistenziali, politici, morali e pratici, deriva dall’etica
(minhaj) islamica. Questa Umma, così caratterizzata, ha cessato di esistere da quando
nessun luogo sulla Terra è più governato secondo la legge di Dio. […]
“Ai nostri giorni, il mondo intero vive in uno stato di jahiliyya126, se si fa riferimento
alla fonte a cui attinge le regole del suo modo di esistere, jahiliyya che il comfort
materiale e le invenzioni scientifiche non modificano in nulla, per quanto straordinari
possano essere!
“Il principio su cui si fonda è l’opposizione al predominio di Dio sulla Terra e alla
caratteristica principale del Divino, vale a dire la sovranità (al-hakimiyya) : investe gli
uomini di questa sovranità, e fa di alcuni di essi degli Dei per gli altri. Questa operazione
non avviene alla maniera primitiva della jahilliyya di prima dell’ègira, bensì permettendo
all’uomo di arrogarsi indebitamente il diritto di stabilire i valori, di legiferare, di
elaborare dei sistemi, di prendere delle posizioni, e ciò senza considerare quale sia l’etica
divina (minhaj allah lil hayah), anzi attenendosi a ciò che Egli non ha affatto permesso!
124 Ivi, p.6. 125 Ivi, p.7. 126 E’ impossibile tradurre letteralmente il termine jahiliyya se non tramite una perifrasi. Derivata dalla radice araba del termine “ignorare”, per i musulmani indica la società preislamica della penisola araba, che “ignorava” Dio, finché non venne Maometto con la sua predicazione. E’ qualcosa di paragonabile al concetto di “barbarie” nella tradizione occidentale, quindi indica “quel che non è islamismo”.
96
Ebbene, opporsi in questo modo al predominio d Dio vuol dire essere il nemico dei suoi
fedeli.
“La degradazione dell’uomo in generale nei regimi collettivisti, l’ingiustizia che
subiscono gli individui e i popoli dominati dal capitale e dal colonialismo, non sono altro
che effetto di questa opposizione al predominio di Dio, e la negazione della dignità che
dio ha dato all’uomo! 127
“Quanto a noi, conosciamo, senza ombra di dubbio, qualcosa di completamente nuovo,
che l’umanità ignora e che non sarebbe in grado di fabbricare.
“Ciò premesso, è necessario che questo nuovo si concretizzi nella pratica e nella realtà,
che una Umma viva attraverso di esso, […] cosa per cui si rende necessaria la
resurrezione dei paesi musulmani. Essa sarà seguita, presto o tardi, dalla loro conquista
del predominio mondiale.
“Come avrà inizio questa resurrezione islamica? È necessario che un’avanguardia
prenda la decisione e si metta in marcia in mezzo alla jahilliya che regna sul mondo
intero. Essa dovrà essere in grado di praticare un ritiro, e in altre occasioni di cercare il
contatto con la jahilliyya che la accerchia.
“Perché questa avanguardia trovi la sua strada, è necessario che ci siano delle pietre
miliari che le consentano di sapere dove comincia il suo lungo percorso, quale ruolo essa
dovrà interpretare per raggiungere il suo scopo, dove si trova la sua funzione autentica.
[…] queste pietre miliari, inoltre, dovranno permetterle di comprendere quale dovrà
essere la sua posizione nei confronti della jahiliyya che impera sulla Terra. Come
definirsi rispetto a essa? Quando mescolarsi alle genti, e quando separarsene? Come e a
quale proposito parlare loro la lingua dell’Islam? […]
“E’ per questa avanguardia tanto attesa che ho scritto Pietre miliari.” 128
Qutb analizza dunque la società contemporanea e redige una guida per
l’avanguardia incaricata di procedere alla resurrezione della umma, scrivendo così
il manifesto islamista. La constatazione di partenza è il fallimento dell’Occidente,
del capitalismo e del socialismo, contrapposte all’Islam, unico insieme di valori in
grado di redimere questa società degradata.
Ma quando utilizza il termine jahiliyya per descrivere la società in cui vive Qutb
compie un’innovazione rispetto al corpus tradizionale dei Fratelli: se la società
contemporanea è paragonabile alla barbarie preislamica si deve allora adottare 127 Ivi, p.10. 128 Ivi, p.12.
97
verso di essa lo stesso atteggiamento che ebbero il Profeta e i sui compagni verso
il modello originale. Su di loro l’avanguardia odierna dovrà ricalcare il proprio
comportamento, quindi ritirarsi in disparte dalla società in determinate occasioni,
e cercare il contatto in altre, esattamente come fatto dal Profeta che, in situazioni
di debolezza, scelse di fuggire dalla Mecca e di compiere l’ègira a Medina, prima
di tornare da conquistatore nella città che aveva abbandonato.
Al-Banna’ mai aveva pensato di tacciare la società egiziana del suo tempo di
antislamismo. Ma i tempi sono cambiati, l’Egitto di Nasser (più precisamente la
“Repubblica Araba Unita”) ha mostrato ai Fratelli il volto peggiore del socialismo
arabo costringendoli alla prigionia dei campi se non alla forca : non c’è più spazio
per la predicazione (da’wa) com’era praticata con successo dall’Associazione
negli anni Trenta e Quaranta, non è più realizzabile in uno Stato in cui il controllo
sociale è ben più rigido che sotto la decaduta monarchia e l’occupante inglese.
La jahiliyya di cui parla Qutb è in primo luogo la società governata da un principe
perverso , che si fa adorare al posto di Dio, che governa secondo il suo capriccio
anziché ispirarsi al Libro e ai detti del Profeta. Che il capriccio del principe sia o
meno legittimato da paramenti giuridici non cambia la natura del suo arbitrio:
“E’ jahilita qualsiasi società che non è musulmana […] di fatto, qualsiasi società dove
venga adorato un oggetto altro da Dio e da Lui solo. […] Dobbiamo quindi classificare in
questa categoria la totalità delle società che esistono ai giorni nostri sul pianeta!” 129
Vengono quindi passati in rassegna i vari tipi di società e viene spiegato in che
modo ognuno di essi sia jahilita. In prima fila stanno le società comuniste, che
negano Dio e dove l’”oggetto dell’adorazione” (‘ubudiyya) è il partito, dato che
in questo sistema è la direzione collegiale che detiene la verità”, dove “i bisogni
umani sono ricondotti a quelli dell’animale”. Seguono poi varie società idolatre,
dove “la sovranità (hakimiyya) più alta si esercita in nome del popolo, in nome
del partito o in nome i qualsiasi cosa”, poi le società ebraiche e cristiane. Infine
“bisogna considerare nella categoria delle società jahilite le società che si
129 Ivi, p.98.
98
autoproclamano musulmane […] poiché non si consacrano, nel corso della loro
esistenza, all’adorazione (‘ubudiyya) di Dio solo – benchè unicamente in Lui
hanno fede- ma conferiscono le caratteristiche che sono per eccellenza della
divinità ad altri da Dio. Esse credono in una sovranità (hakimiyya) altra dalla
Sua, e da questa derivano la loro organizzazione, le loro leggi, i loro valori, i loro
giudizi, le loro abitudini, le loro tradizioni…e quasi tutti i principi della loro
esistenza”.130
Possiamo notare come i due termini ‘al-ubudiyya (“adorazione”) e al-hakimiyya
(“sovranità”) ricorrano nel testo. Questa coppia di concetti rappresenta il rapporto
tra uomo e Dio, e quindi l’essenza della società concepita da Qutb. Non si tratta
però di due termini coranici. Sono formati rispettivamente dalle radici dei verbi
“adorare” e “governare” o “giudicare”, e compaiono nell’opera del grande
pensatore pakistano Mawdudi “al-Mustalahat al-arba’a fi-l Qur’an (al-ilah - al-
rabb- al’ibada – al-din)” (“Le quattro categorie principali del Corano”), che
ricerca appunto il significato originale ed autentico dei termini coranici così come
erano compresi dagli arabi all’epoca della predicazione di Maometto, e non nella
versione appiattita coeva. Per il filosofo pakistano una delle cause della decadenza
dei paesi islamici risiede appunto nella differente percezione della predicazione
coranica rispetto ai tempi dell’ègira. Per ricostruire una società musulmana
bisogna innanzitutto imparare nuovamente a leggere il Corano nel suo contesto,
senza attribuire un’eccessiva importanza alla Tradizione, frutto della storia e
sclerotizzata. Il testo di Mawdudi viene pubblicato nel 1941 in India e
rappresenta il corrispettivo di Pietre miliari, un manifesto che annuncia l’obiettivo
di fondo della Jama’at e islami, il più antico partito religioso indiano, fondato
dallo stesso Mawdudi.
Per Qutb, come per Mawdudi, nella società autenticamente musulmana la sola
sovranità esercitata è quella di Dio ( al- hakimiyya li-llah) ed Egli è l’unico
oggetto di adorazione (al-‘ubudiyyah li-llah). Il potere non può essere esercitato
se non in nome di Dio e seguendo le prescrizioni della rivelazione (al-hukm bima
130 Ivi, pp. 98-101.
99
anzala allah). Il principio di sovranità è garanzia contro il potere discrezionale del
governante, solo la legislazione basata sul libro (shari’at allah) non rischia di
essere distorta a servizio del despota. In contrapposizione alla società
musulmana, la società jahilita conferisce la sovranità ad altri da Dio e fa di questi
sovrani oggetti di adorazione: è caratterizzata dalla divinizzazione del detentore
del potere, sia esso uomo, casta o partito, e dall’adorazione di questi da parte del
popolo.
I due termini desunti dal linguaggio di Mawdudi assumono qui maggiore forza,
ma restano termini non coranici, e in questo senso saranno il fulcro della critica
che la Guida Suprema Hudaybi muoverà al pensatore pakistano, e quindi
indirettamente a Qutb, quando il movimento assumerà posizioni contrastanti al
proprio interno proprio in rapporto al pensiero qutbiano.
Il criterio al tempo stesso necessario e sufficiente che permette di stabilire se una
società è musulmana o jahilita risiede dunque nel tipo di ‘ubufiyya e hakimiyya
che è possibile osservare al suo interno: nel primo caso Dio solo è venerato e
sovrano, nel secondo caso qualsiasi altra cosa al di fuori di Dio. Nel capitolo
intitolato “La civiltà è l’Islam” viene precisato il pensiero riguardo alla società
che si professano musulmane senza esserlo autenticamente:
“l’Islam conosce solo due tipi di società: musulmana o jahilita. La società musulmana è
quella dove viene applicato l’islam. l’islam è fede, adorazione, legislazione,
organizzazione sociale, creazione, comportamento. La società jahilita è quella dove non
viene applicato l’Islam. Non la governano più la fede, né la visione islamica del mondo,
né tantomeno i suoi valori la sua equità, la sua legge , la sua creazione e i
comportamenti.
“Pertanto, una società la cui legislazione non sia fondata sulla Legge divina (shari’at
allah) non è musulmana, anche se gli individui si proclamano musulmani, anche se
pregano, digiunano e compiono il pellegrinaggio.
“Altrettanto poco musulmana sarebbe una società che si creasse un islam a sua misura,
diverso da quello stabilito dal Signore e dichiarato dal suo Inviato, e che si chiamasse, ad
esempio, l’”Islam evoluto”.
100
“La società jahilita può presentare diversi volti:
- la negazione dell’esistenza di Dio, la spiegazione della storia attraverso il
materialismo e la contraddizione, l’applicazione del sistema chiamato
“socialismo scientifico”;
- il riconoscimento dell’esistenza di Dio, ma limitando ai cieli l’ambito del Suo
potere, a scapito di questo mondo; questa società non regola la propria esistenza
sulla Legge divina né sui valori eterni che egli ha posto come fondamento,
benché consenta agli individui di adorare Dio nelle sinagoghe, nelle chiese e
nelle moschee. Tuttavia, essa impedisce loro di reclamare che la loro esistenza
sia regolata dalla legge divina: in questo modo, essa nega la caratteristica di
divinità che ha Dio sulla Terra, o la rende inefficace. […] Perciò stesso, è una
società jahilita”.131
Per i lettori che leggono Pietre miliari durante gli anni sessanta l’identificazione
con la Repubblica Araba nasseriana, il suo “socialismo” e il suo islam formale è
immediata. Qutb denuncia che la legislazione islamica di cui si fa forte il regime
non ha per lui alcun valore essendo solo una facciata.
Il suo successore, Sadat, sostituirà il “socialismo arabo” con l’apertura economica,
ma l’altro volto rimarrà invariato, crescerà anzi di importanza col passare degli
anni, quando il ra’is chiederà alle istituzioni dell’Islam una legittimazione sempre
maggiore. Qutb ha dunque saputo elaborare delle categorie che consentono di
pensare gli Stati del mondo musulmano all’indomani della loro indipendenza,
questa la ragione di fondo del suo successo.
Difatti, benché l’attenzione degli osservatore internazionali dell’epoca si sia
spesso concentrata esclusivamente sul “socialismo arabo”, il governo di Nasser,
ben lungi dall’intraprendere un’opera di” secolarizzazione” da molti auspicata, si
è sforzato di modernizzare le istituzioni dell’Islam ufficiale, in particolare al-
‘Azhar, per farne delle cinghie di trasmissione della propria ideologia. È questo
“l’Islam evoluto” su cui ironizza Qutb.
131 Ivi, pp.116-117.
101
Fissati i concetti di società musulmana e società jahilita, Qutb riflette sul processo
che permetterà di distruggere la jahiliyya ed edificare sulle sue rovine lo Stato
musulmano. Secondo lui il tempo di agire è più che maturo, e d’altronde
l’umanità contemporanea non presta orecchio a credenze puramente astratte.
Per restaurare l’Islam c’è bisogno di un’autentica rivoluzione, sotto la guida di
“un’avanguardia della Umma” che deve prendere ad esempio “l’unica
generazione coranica”, vale a dire i compagni del Profeta. Essi, infatti, si sono
formati intellettualmente attorno alla fonte del Corano, ed hanno così costruito la
società islamica ideale, l’età dell’oro dei quattro “califfi ben guidati” successori
del Profeta. Quando i musulmani hanno invece prestato attenzione alla cultura
degli imperi bizantino e sasanide il loro pensiero è stato viziato , e le disgrazie
sono cominciate sin dal quinto califfo, Mu’awiya, il fondatore della dinastia
omayyade. L’avanguardia deve ragionare sul Corano ed astrarsi dalla cultura non
musulmana. Deve quindi come punto di partenza scacciare la jahiliyya dalla
propria mente:
“Dobbiamo tornare al Corano ed assimilarlo, al fine di applicarlo, di metterlo in pratica
[…]al fine di comprendere ciò che richiede da noi, in breve, al dine fi essere![…]
Successivamente dobbiamo fare tabula rasa dell’influenza che la jahiliyya ha sulla nostra
anima: sul nostro modo di pensare, di giudicare, sulle nostre usanze”. 132
Così liberata dalle contaminazioni jahilite l’avanguardia è matura per agire:
“Il nostro primo compito è di cambiare la società nei fatti, di cambiare la realtà jahilita
da cima a fondo. […] Dapprima, dobbiamo sbarazzarci di questa società jahilita, dei suoi
valori, della sua ideologia, e non semplicemente edulcorare tanto o poco i nostri valori e
la nostra ideologia per avvicinarci ad essa! Certamente no! Perché le nostre strade
divergono , e se noi facessimo anche solo un passo verso di essa, la nostra etica
scomparirebbe e saremmo perduti!” 133
132 Ivi, pp. 21-22. 133 Ivi, p.22.
102
Il processo di passaggio dalla jahilyya all’Islam si svolge in questo modo:
“Un uomo ha fede in quel credo che emana da una fonte nascosta ed è animato
unicamente dalla potenza di Dio; attraverso la fede di questo solo uomo comincia a
esistere virtualmente la società islamica […]. Ordunque, quest’uomo solo non riceve la
rivelazione per ripiegarsi su se medesimo, ma per prendere slancio con essa: tale è la
natura di questo credo […]. La forza immensa che l’ha condotta fino a questa anima sa
per certo che lo porterà più lontano ancora.
“Quando ci sono tre credenti toccati dalla fede , questo crede segnala loro. “adesso , voi
siete un società, una società islamica indipendente, separata dalla società jahilita che non
ha fede nel credo […]”; da questo istante, la società islamica esiste in atto. I tre diventano
dieci, i dieci cento, i cento mille, e i mille dodicimila…così compare e si costituisce la
società islamica. Nel frattempo è cominciata la battaglia fra la società nascente che ha
dichiarato secessione […] dalla società jahilita e quest’ultima, che si è vista sottrare degli
uomini […].
“Ciò che caratterizza il credo islamico, così come la società che a esso si ispira, è di
essere un movimento (haraka) che non consente a nessuno di tenersi in disparte […]; la
battaglia è continua, e la lotta sacra (jihad) dura fino al giorno del giudizio”. 134
Per esigenze d’analisi possiamo dunque distinguere due tappe: la tappa
dell’approfondimento spirituale, dell’ispirazione coranica che mira a staccare il
soggetto dall’alienazione jahilita, e quella della battaglia contro questa stessa
società jahilita. Nel concetto di jihad rientrano entrambi questi passaggi, dallo
sforzo personale di meditazione sul Libro fino al combattimento armato.
Nel lungo capitolo intitolato “Al-Jihad fi sabil allah” (“La lotta sacra sulla strada
di Dio”) 135 Qutb precisa che intende questo concetto in tutte le sue accezioni,
contrariamenti a chi vorrebbe edulcorarlo riducendolo ad una “guerra difensiva”
per non spaventare i non musulmani, o limitandolo al solo combattimento
134 Ivi, pp. 129-130. 135 Questo capitolo, così come il precedente, sono stati eliminati a partire dal 1981 dall’edizione più diffusa di Pietre miliari, pubblicata dalla casa editrice libanese-egiziana Dar al-Shuruq e a cui si è fatto fin qui riferimento. Al loro posto sono state inserite altre pagine di Qutb meno vigorose. Gli estratti di questi due capitoli fanno quindi riferimento ad un’altra edizione: (a cura di) UNIONE ISLAMICA MONDIALE DEGLI STUDENTI, Ma’alim fi’l tariq , s.l. [Kuwait], s.d., cit. in G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone….op.cit., p.31
103
interiore del credente contro le tentazioni, per non sporcarsi le mani nel contatto
col mondo. L’Islam deve liberare l’uomo dall’abbrutimento in cui possono
precipitarlo le sue passioni, ma deve anche costituire un’arma grazie al quale egli
si emancipa dal gioco impostogli da altri suoi simili. Tale è la funzione della jihad
e sarebbe illusorio immaginare che essa possa avere efficacia esclusivamente
grazie alla forza del discorso:
“Instaurare il regno di Dio sulla Terra, sopprimere quello degli uomini, sottrarre il
potere a coloro dei Suoi adoratori che lo hanno usurpato, per renderlo a Dio solo, dare
autorità alla legge divina (shari’at allah) solamente, e sopprimere le leggi creare
dell’uomo […], tutto questo non si fa con prediche e discorsi. Perché coloro che hanno
usurpato il potere di Dio sulla terra per fare dei Suoi adoratori i loro schiavi non se ne
priveranno in virtù del solo Verbo, altrimenti assai semplice sarebbe stato il compito dei
Suoi Inviati” .136
L’abbattimento degli ostacoli materiali sulla strada dell’avanguardia spetta a
quello che Qutb chiama “il movimento” (al-haraka):
“ Il discorso (bayan) si oppone alle dottrine e alle concezioni [fallaci], mentre è il
movimento che abbatte gli ostacoli materiali, vale a dire, in primo luogo, il potere
politico”. 137
Qutb insiste più volte sul fatto che il solo “discorso” non basti all’instaurazione
del Regno di Dio sulla terra, fatto che va letto tenendo conto della condizione in
cui l’opera vede la sua genesi: il campo di prigionia di uno Stato totalitario. Il
nasserismo imprime una considerevole spinta alla radicalizzazione
dell’islamismo. L’apporto di Qutb, a confronto con i Fratelli musulmani più
tradizionalisti, consiste nella sua chiara percezione del cambiamento strutturale
introdotto dal nasserismo nei rapporti tra Stato e società civile. Prima del 1952 i
governi egiziani che si erano succeduti non avevano ostacolato più di tanto la
predicazione di al-Banna’ e dei suoi discepoli se non nelle fasi di aperta crisi
136 Ivi, pp. 60-61. 137 Ibid.
104
politica. I Fratelli potevano proclamare il loro odio verso il colonialismo
britannico come la loro ostilità verso i partiti. Ma dal momento in cui gli spiriti
critici devono ridursi al silenzio per non essere costretti all’esilio, alla prigione o
alla forca, la predicazione dei Fratelli non è più possibile. Qutb segnala a coloro
che scelgono il silenzio che stanno sbagliando. Bisogna adattare la propria
modalità di azione al tipo di repressione dello Stato: contro la jahiliyya nasseriana
i militanti devono ricorrere al “movimento”, alla lotta non semplicemente verbale.
I termini “movimento” e “discorso” sono un esplicito riferimento alla
propagazione dell’Islam attraverso “la sciabola” e “il Libro”, essenzialmente
complementari. Ciascuno di questi due strumenti aveva nella storia musulmana un
campo di utilizzo proprio. La sciabola serviva a sottomettere territori governati da
non musulmani e, all’interno di questi, costringere alla conversione sotto minaccia
di morte i soli pagani. Ebrei e cristiani non venivano costretti a convertirsi con la
violenza, dovevano giungere all’Islam attraverso la sola forza del Libro, ovvero la
predicazione (in realtà la maggioranza delle conversioni avvenne probabilmente
per i vantaggi fiscali procurati dallo status di musulmani). Nell’Egitto del XXmo
secolo la predicazione si rivolge più alla massa musulmana che non alla
minoranza ebraica o cristiano copta, sono i musulmani ad aver dimenticato che
l’Islam è un sistema globale e non una devozione privata. Dopo il colpo di Stato il
governo di Nasser diventa, perseguitandoli, il principale nemico
dell’Associazione, e il Libro lascia il posto alla sciabola, per combattere il potere
come si combattevano i pagani.
Il salto di qualità alla tradizionale critica al potere che Qutb rappresenta è netto:
collocare il principe al di fuori dell’Islam equivale a pronunciare un tafkir,
scomunicarlo. La scomunica è un’arma estremamente pericolosa da maneggiare,
perché cade facilmente nelle mani di sette che i dotti e i religiosi non sono in
grado di controllare. In questo senso, come nota Gilles Kepel 138, la morte
prematura di Sayyid Qutb sul patibolo ha consegnato le sue teorie al pubblico
dominio con tutto ciò che ancora potevano avere di impreciso, e l’arma della
138 G. KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 33.
105
scomunica è in effetti caduta nelle mani di settari incontrollabili. Qutb d’altronde
lascia in sospeso la definizione completa di jahilyya: il principe perverso e la sua
burocrazia ne sono i soli rappresentanti, oppure i suoi confini coincidono con
quelli della società nel suo insieme? Equivale a dire che nessuno è musulmano?
Questi interrogativi non rappresentano semplici sofismi, perché come vedremo le
diverse componenti del movimento islamista degli anni Settanta elaboreranno la
loro strategia in funzione delle risposte a queste domande.
Qutb inaspettatamente uscì dal carcere nel 1964, anche se solo per un brevissimo
periodo. Secondo la versione ufficiale del governo egiziano il provvedimento fu
preso per ragioni di salute, altri sostengono che la scarcerazione fu escogitata per
poter poterlo definitivamente condannare a morte poco dopo. In realtà la
liberazione si deve all’interessamento dei Fratelli Musulmani e di alti esponenti
religiosi iracheni, che in seguito al peggioramento della sua salute chiesero al
presidente iracheno ‘Abd as-Salam ‘Arif, in visita al Cairo in occasione del primo
vertice dei paesi arabi nel 1964, di fare pressioni su Nasser per la scarcerazione
del letterato. I Fratelli iracheni sapevano dei buoni rapporti che legavano i due
presidenti e dell’apprezzamento di ‘Arif per l’opera di Qutb. Il vertice del Cairo
era il segno più tangibile dell’enorme popolarità di Nasser, riconosciuto leader del
mondo arabo nonostante il discioglimento del fallito progetto della Repubblica
Araba Unita con Siria e Yemen e l’enorme sforzo economico a carico dell’Egitto
nel conflitto contro i Sauditi iniziato nel 1962 per supportare le forze repubblicane
avverse alla monarchia proprio in Yemen. In questi anni i Fratelli operano in
semi-clandestinità per ricompattare il movimento duramente colpito dalle purghe
nasseriane, ed in particolare i quattro dirigenti massimi dei gruppi costituiti al
Cairo, ad Alessandria, a Damietta e a Bahayra lavorano alacremente per gettare
nuove basi per la rinascita del movimento.139 Qutb, una volta liberato, non solo
non mostrò alcun segno di riconoscenza verso il governo ma si unì
immediatamente ai dirigenti islamici per contribuire al progetto. La sua analisi
teorica era proprio quel che mancava ad un’architettura che aveva retto agli
attacchi del regime ma si era ritrovata priva di un maitre à penser: alla fine del
139 Cfr. P.MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 113.
106
1964 dunque , esattamente a dieci anni dalla terribile repressione, il movimento
era riformato , di nuovo ben organizzato, aveva nuovamente una sua struttura
operativa e soprattutto il suo nuovo ideologo e il suo manifesto programmatico,
Ma’ālim fī’l tar īq. La Fratellanza tuttavia appare spaccata tra una frangia
moderata, che si riconosce nella guida suprema Hudaybi e che non cessa di
dialogare col potere e frange estreme che da lì a poco faranno sentire la propria
voce.
Dopo il brevissimo momento di distensione, in cui il Presidente Nasser sembrò
quasi volersi riconciliare col gruppo, una nuova ondata di repressione si abbatté
sul rinato movimento, dopo la denuncia da parete del regime di un complotto
internazionale, addirittura un tentativo di colpo di Stato guidato proprio dai
Fratelli Musulmani, al quale tuttavia essi si sono sempre dichiarati estranei e sul
quale di fatto non si farà mai completa luce.
Sembra più verosimile che, grazie al momento di debolezza che la Fratellanza
attraversava a causa di alcuni scontri interni fra l’ala più moderata e l’ala più
estremista, il governo egiziano e l’apparato poliziesco (al cui interno si giocava
una lotta senza quartiere fra i Servizi di Sicurezza Militari e i Servizi
dell’Informazione Generale) abbiano colto l’occasione per colpire nuovamente il
movimento, che rappresentava sempre un temibile concorrente politico-religioso.
Si giunse così all’arresto, il 29 luglio 1965, di Muhammad Qutb, fratello e
discepolo di Sayyid, seguita il 9 agosto da quello dello stesso Sayyid , e il 20 di
‘Ad al-Fattah Isma’il, solo per citare i nomi più noti. Fece seguito una spietata
repressione che ebbe il suo culmine nell’episodio di Kardasa, un villaggio non
distante dalla zona delle Piramidi, roccaforte dei Fratelli Musulmani sin dagli anni
Quaranta. Qui il 21 agosto un gruppo di poliziotti in borghese si era recato col
compito di arrestare un militante, Sayyd Nazili, ma non trovandolo tentarono di
portare via il fratello, scatenando l’ira degli abitanti che li costrinse al
ripiegamento. La mattina dopo la rappresaglia si scatenò sul villaggio che venne
completamente distrutto, mentre gli abitanti di sesso maschile vennero condotti
alle carceri militari, da cui uscirono solo un mese più tardi.140 I giornali egiziani
diedero ampio risalto a questo episodio descrivendo il villaggio come un covo del
140 G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p.19.
107
fanatismo religioso. Il 10 agosto lo stesso Nasser in un discorso pronunciato a
Mosca accusò apertamente gli Ikhwān di essere l’anima del complotto
internazionale sventato dai suoi servizi di sicurezza. La repressione che ne seguì
fu durissima, con perquisizioni, torture e arresti di membri veri o presunti
dell’Associazione, che sembrò questa volta veramente annientata.
Il governo egiziano mise in piedi una campagna diffamatoria senza precedenti
contro i membri del movimento descritti come terroristi e accusati nei dibattiti
parlamentari, come nei comizi, sulla stampa, nei servizi radiofonici e televisivi.
L’organizzazione venne addirittura attaccata durante le khutbāt, i sermoni tenuti
nelle moschee dagli ‘ulamā’ ufficiali, e soprattutto dalle massime autorità
religione in Egitto e in tutta la dār-al-islām sunnita. Gli ‘ulamā’ di al-Azhār
emettono alcuni documenti ufficiali, significativamente intitolati “L’opinione
della religione circa i Fratelli di Satana” o “La secessione dei Fratelli dal mondo
dell’Islam” . In quest’ultimo ad esempio si legge:
“Il loro programma politico, come partito, non ha mai previsto la partecipazione al
Governo nel periodo del detestato regime reale durante il quale i partiti politici erano tutti
politicamente attivi […] la loro è una politica distruttiva che ha come principi di base uno
scetticismo totale nello sviluppo umano e nei valori della civiltà umana. La loro è una
politica totalmente negativa, che richiede alla comunità di isolarsi completamente dai
valori della civiltà, dalle normali relazioni sociali con gli altri, dalla gente e dai suoi
interessi diretti. Essi rifiutano di accettare i loro compagni cittadini – che sono anche loro
fratelli – come musulmani […] Un’occhiata al loro “Segnali” [riferimento all’opera di
Qutb ndr] è sufficiente per mostrare a chiunque quanto la loro visione dell’Islam, con
tutti i suoi valori di tolleranza, sia distorta dal principio dell’odio. Questa visione di odio
nega all’Islam le sue qualità come religione della riforma, della virtù e della tolleranza,
dell’equità e dell’equilibrio morale. […] Il loro Islam è un credo inaridito, rigido, in cui
possono governare solo il caos e la confusione”141
E’, questo, il momento di maggior distacco tra gli shaykh ufficiali e i Fratelli
Musulmani, che li accusano di essere totalmente asserviti al potere politico. Una
141 PIETER SMOOR, The mental world of Sayyd Qutb, seedbed for the Muslim Brothers, in Amsterdam Middle Eastern Studies, 1990, pp.2 07-208, cit. in P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 116.
108
frattura che non si salderà mai più, anche se l’ala moderata di Fratelli tenterà un
avvicinamento negli anni Settanta, soprattutto sotto la presidenza Sadat. I seguaci
di Qutb invece animeranno l’ala più radicale, quella più intransigente che
abbandona la via pacifica del dialogo e del confronto con tutte le altre componenti
istituzionali per intraprendere il jihād.
Il processo contro Qutb e quarantadue suoi segaci cominciò il 19 aprile 1966 e
durò quasi tre mesi. “ Per un musulmano è giunto il momento di dare la vita per
proclamare la nascita del movimento islamico” dichiarò spavaldamente Qutb
all’apertura del procedimento. 142 Riconobbe con amarezza che il nuovo Egitto
anticolonialista era più oppressivo del regime che aveva soppiantato. L’unica
prova effettiva prodotta contro Qutb era il suo libro Pietre Miliari. “Ringrazio
Dio” dichiarò. “Ho lavorato quindici anni per il jihad e finalmente ho meritato
questo martirio” 143
Assieme al suo più vicino discepolo, Muhammad Hawwash ed al già citato ‘Abd
al-Fattah Isma’il, Sayyid Qutb viene impiccato il 29 agosto 1966, dopo la
preghiera dell’alba. Il governo non consegnò mai il corpo alla famiglia per timore
che la sua tomba potesse divenire meta di disordini e manifestazioni. 144
MARTIRIO ED EREDITA’
La dura repressione degli anni nasseriani produsse importanti trasformazioni nella
Fratellanza, con la formazione come detto di due tendenze in seno al movimento
che si riveleranno gravide di conseguenze anche nei decenni successivi. Da una
parte abbiamo una Guida Suprema estremamente prudente di fronte alla politica
del regime. Nel precipitarsi degli eventi al-Hudaybi continuò a sottolineare
l’importanza della costituzione di un Parlamento liberamente eletto, a rifiutare il
pragmatismo nasseriano (che aveva portato ad un riavvicinamento con gli inglesi
attraverso la ratifica del trattato anglo-egiziano del 1954) , nonché a condannare
142 P.MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 116. 143 Ibid. 144 Ivi, p. 117.
109
l’uso della violenza da parte del regime per fare piazza pulita dell’opposizione
interna, ma senza contrapporsi al potere costituito in quanto tale. Abbiamo poi
una frangia dei Fratelli che adotta un atteggiamento più duramente anti-
nasseriano, di cui Qutb prese progressivamente la leadership costruendone la base
teorica. Al-Banna’ aveva incarnato per l’Associazione la triplice funzione di
guida spirituale, teorico del movimento e uomo politico, godeva quindi di un
potere pressoché assoluto, in quanto detentore del monopolio della morale,
dell’interpretazione ideologica e dell’azione. Dopo il suo assassinio non si avrà
più una Guida Suprema del suo calibro. La divisione che avvenne in questo
periodo tra una Guida spirituale che tentava di mantenere unite le fila
dell’associazione negli anni della repressione e un pensatore che dal carcere
elaborava un nuovo paradigma interpretativo è un fenomeno del tutto nuovo per
l’organizzazione. La conseguenza più importante negli anni a venire sarà un
rafforzamento costante della struttura organizzativa, con un’importante libertà di
iniziativa accordata alle varie commissioni interne. 145 Qutb aveva ricevuto
direttamente da al-Hudaybi l’incarico di inquadrare i Fratelli come lui incarcerati,
ma il successo della sua predicazione andò ben oltre le aspettative della Guida
Suprema, costituendo il punto di partenza per quella galassia di movimenti
islamisti che prolifereranno in Egitto a partire dagli anni Settanta. Il successo di
Qutb provocò quindi da una parte il ridimensionamento della figura della Guida
Suprema all’interno del movimento, dall’altra favorirà la parcellizzazione del
discorso islamista in Egitto, che fino agli anni Sessanta aveva visto il suo
esponente di spicco nella sola Fratellanza. Il rischio era la perdita da parte
dell’associazione del monopolio del discorso religioso come elemento di
opposizione militante al regime. Un rischio concreto ed avvertito da al-Hudaybi
che nel 1969 pubblicherà il noto libro “Predicatori…non giudici” (“Du’a…la
quda”), accusando indirettamente Qutb di un kharijismo lontano dalla tradizione
sunnita per il sostanziale tafkir che aveva rivolto al regime nasseriano,
rimproverando inoltre la sua utopia di uno stato islamico che aveva minato,
sostituendolo, il militantismo quotidiano e pacifico da sempre portato avanti dalla
Fratellanza. 145 N.’ABD AL-FATTAH, Les Frères Musulmans, in La situation religieuse en Egypte, PISAI – Etudes arabes, 94, 1998, pp. 84-85.
110
Storicamente i kharigiti, il cui nome in arabo significa “coloro che sono usciti”,
hanno origine in un gruppo di musulmani che, in occasione della attaglia di Siffin
che vide contrapporsi nel luglio del 657 dell’ègira le truppe del quarto “califfo ben
guidato” ‘Ali e quelle do governatore di Siria e futuro califfo Mu’awiya,
abbandonarono il combattimento. Consideravano irragionevole uno scontro
fratricida tra musulmani per impadronirsi del potere. Per il loro rifiuto di
compromettersi negli intrighi della lotta per il califfato, i kharigiti si collocarono
al di fuori della comunità, scegliendo la purezza della dottrina contro le brutture
del mondo. Vivendo in luoghi ritirati scomunicavano (takfir) i musulmani che
non li avevano seguiti nel loro ritiro (hijra) e che commettevano il crimine di non
rivoltarsi contro il potere politico. La contropartita della loro rivolta permanente
contro qualsiasi potere impuro fu la loro sostanziale incapacità di costituire uno
Stato in grado di durare nel tempo. I dotti dell’Islam in contrapposizione a loro
hanno sempre scelto lo Stato, anche se iniquo e criticabile, poiché esso difendeva
la società musulmana contro gli infedeli. Il compito dei dotti era quello di
correggere il principe in errore, e lunga è la tradizione di critica al potere
costituito nel mondo islamico. Se difatti sono stati molti ‘ulamā’ pronti a
manifestare la loro compiacenza ai signori, è anche vero che una parte importate
fra loro non ha mai avuto timore di stigmatizzarne gli abusi. Gli ‘ulamā’ , poiché
parlano a nome di Dio e fondano sul Corano i pareri giuridici da loro emessi,
hanno il considerevole potere di conferire o togliere ad un governante la
legittimità. Chiunque contesti questo governante guadagnerà un notevole credito
se otterrà l’appoggio di alcuni ‘ulamā’ , o se riuscirà a farsi passare per tale e a
denunciare in nome di Dio il regime che vuole abbattere. Per questo queste figure
sono organizzate in corpi, dotati di istituzioni la cui funzione è esattamente quella
di filtrare l’accesso alla dignità religiosa e delimitare il numero e la qualità delle
persone abilitate ad emettere parere giuridici fondati sul Libro. Queste istituzioni
non sono però sempre riuscite a conservare l’indipendenza richiesta rispetto al
potere esecutivo, e per questo esiste uno spazio per pensatori musulmani la cui
formazione di base non è controllata dalle istituzioni che dispensano il sapere
religioso. Le istituzioni non possono che reagire a tale fenomeno o annettendo
111
questi pensatori, “recuperandoli”, o additandoli come “eretici”. Sia al-Banna’ che
Qutb sono entrambi laureati a Dar al’ulum, la scuola normale non religiosa, e non
hanno mai studiato sui banchi di al-Azhar. Ma se al-Banna’ è stato, almeno in
maniera postuma, bene accolto dagli ‘ulamā’ , l’autore di “Pietre miliari” è stato
invece messo all’indice come deviante (munharif).
Per quanto aspre potessero essere le critiche dei dotti al potere costituito la
scomunica del principe nella storia è stata pronunciata solo in casi eccezionali,
perché questa apre la strada a temibili disordini e crea un pericoloso precedente.
Nel quadro di questo dibattito, in cui la posta in gioco è niente di meno che
l’Islam in quanto fattore di legittimità o illegittimità del potere politico, e che a
partire dalla seconda metà del XX secolo continua ad essere di scottante attualità,
si inseriscono le reazioni agli scritti di Qutb.
Dal giorno della sua impiccagione, il 26 agosto 1966, Qutb acquisì per i suoi
ammiratori la qualità di shahid, martire. Divenne arduo trattare la sua persona e la
sua opera in termini non passionali. Negli scritti dei funzionari civili e religiosi
del regime la sua memoria era offuscata come reazionario e traditore giustamente
punito; sul versante dei Fratelli Musulmani aveva libero corso solo l’agiografia,
nonostante evidenti divergenze di alcuni esponenti rispetto alle sue idee più
audaci.
La reazione dell’istituzione islamica egiziana fu indignata e si scatenò sulla rivista
del Ministero dei Waqf (beni religiosi), “Minbar al-islam” (“La cattedra
dell’Islam”) e in diversi titoli pubblicati al momento del processo di Qutb.146
L’opinione più autorevole è stata espressa, su richiesta dello shaykh di al-Azhar
Hasan Ma’mun, dallo shaykh Muhammad ‘Abd al-Latif al Sibki, presidente della
commissione della fatwa: benché inizialmente possa essere scambiata per
un’opera che chiama all’Islam, osserva lo shaykh Sibki, si prova ben presto
repulsione di fronte al suo “stile incendiario”, dagli effetti disastrosi sui giovani e
sui lettori di debole cultura islamica. Lo shaykh dichiara che è blasfemo indicare
146 Cfr. G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 36.
112
col nome di jahiliyya qualsiasi altro periodo che non sia quello della predicazione
maomettana: “Come i kharigiti, Qutb utilizza i concetti di al-hakimiyya li-allah
per invitare ad opporsi a qualsiasi sovrano terrestre”. Lo shaykh ritiene invece
che il Corano predichi l’obbedienza al sovrano musulmano, il quale, a sua volta,
fa regnare la giustizia fra i suoi sudditi, d’altronde “la maggior parte degli attuali
dirigenti dei paesi dell’Islam sono buoni”. Quanto al jihad, per Qutb
consisterebbe nel dichiarare guerra a tutti coloro che non al pensano come lui, per
instaurare una società musulmana di cui lui sarebbe il capo. In conclusione,
“benché lo stile del libro sia infarcito di versetti del Corano e di rimandi alla
storia musulmana, non è altro in verità che uno stile da sabotatore, del tipo di
coloro che, in tutte le società, mescolano vero e falso per meglio dissimularsi”.
Questo “libro destinato a trarre in inganno i semplici e a fare di essi dei fanatici
e dei ciechi assassini” dev’essere messo in relazione con gli avvenimenti recenti
(il “complotto” dei Fratelli Musulmani nel 1965, ndr): “se facciamo il
collegamento tra la predicazione (da’wa) di Sayyid Qutb e gli avvenimenti
recenti, e se consideriamo ciò alla luce della Rivoluzione egiziana (il nasserismo,
ndr) e dei trionfi eclatanti da essa conseguiti in tutti i settori, appare in maniera
evidente che la predicazione dei Fratelli musulmani altro non è se non un
complotto contro la nostra Rivoluzione, occultato sotto la maschera dello zelo
religioso, e che coloro che se ne fanno predicatori o che vi prestano orecchio
intendono arrecare danno alla nazione, farla regredire e farle subire delle
calamità” 147. Il testo decisamente esclude qualsiasi possibilità di “recupero” del
pensiero qutbiano da parte del potere, diversamente da quella che sarà la sorte di
altre correnti del movimento islamista.
Più interessanti sono le confutazioni dell’opera in seno allo stesso movimento
islamista da parte di coloro che ne formeranno la componente riformista. La
Guida Suprema al-Hudaybi come detto aveva appoggiato il lavoro di Qutb,
eppure nel 1969 redige Predicatori…non giudici 148 (pubblicato postumo nel
147 IMAM ‘ABD ALLAH , ‘Abd al_nasir wa-l Ikhwan al-muslimun (Nasser e i Fratelli Musulmani), il Cairo 1980 cit. in G. KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p.37. 148 HASAN AL-HUDAYBI , Du’āt…la qudāt (Predicatori, non giudici), il Cairo 1977, cit. in P.MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 102.
113
1977) , al fine di correggere gli errori di “certi” Fratelli Musulmani. Il testo di al-
Hudaybi contiene critiche esplicite all’opera di Mawdudi “Le quattro categorie
principali del Corano”, ma tra le righe è evidente la confutazione di alcuni
passaggi chiave di “Pietre Miliari” . Contro la già citata categoria qutbiana di
hākimiyya, l’assoluta sovranità di Dio, la Guida afferma:
“Un musulmano non deve mettere, autonomamente, un limite al potere di Dio
negandogli il diritto di permettere agli uomini di stabilire certe leggi e ordinamenti. […]
In verità Dio l’Altissimo ci ha lasciato uno spazio immenso negli affari di questo mondo.
Sta a noi organizzare questo spazio in maniera conforme alla nostra ragione, nel quadro
degli scopi generali e dei fini che l’Altissimo ci ha fissato e che ci chiede di eseguire, e a
condizione, certamente, che non permettiamo cose che Dio ha proibito, né proibiamo
cose che Dio ha permesso. Nella legge divina ci sono obblighi, interdizioni, questioni
definibili “neutre”. Nel campo delle faccende “neutre”, i musulmani devono elaborare
disposizioni, decreti, leggi, ordinamenti, relativi per esempio al regime che applicherà il
dovere divino di consultazione o concernenti i codici della circolazione stradale, le leggi
sull’igiene e la sanità, i regolamenti per la salvaguardia delle culture, l’utilizzo dei canali
d’irrigazione, le leggi sull’insegnamento, l’organizzazione delle professioni, medicina,
ingegneria, farmacia, etc., le leggi della funzione pubblica e dell’amministrazione, con le
loro diverse competenze e specializzazioni […] Tutto questo, è chiaro, non è in rapporto
con l’esistenza o meno di un “governo islamico”.
Tutti colgono il riferimento, tanto che Muhammad Qutb, fratello di Sayyid, nel
1975 pubblica una lunga lettera sull’organo dei Fratelli Musulmani libanesi, “Al-
Shihab”, per difendere la memoria del fratello contro quelli che lo accusano di
avere espresso idee in contraddizione con la dottrina dei Fratelli Musulmani:
“Io stesso l’ho sentito dire più di una volta: “noi siamo dei predicatori, e non dei
giudici. Il nostro scopo non è legiferare contro le persone, ma far loro conoscere la
verità che non esiste altro Dio all’infuori di Dio. La gente, infatti, non sa che cosa
comporta questa formula”149
149 G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 38.
114
Secondo al-Hudaybi, l’azione dei Fratelli dev’essere predicare l’Islam nella
società in cui vivono; questa società non viene caratterizzata come jahiliyya, ma
esistono numerosi musulmani che sono in uno stato di juhl, di “ignoranza”. Le
due parole hanno la stessa etimologia ma, mentre una è carica di connotazioni
pregnanti per una coscienza musulmana, l’altra significa semplicemente
l’ignoranza a cui è possibile porre rimedio con la pura predicazione. E’ sufficiente
pronunciare le due professioni di fede ( “Non esiste altro Dio all’infuori di Dio” e
“Maometto è il Suo inviato”) per essere musulmano. Esistono certo musulmani
peccatori, ma non si scomunica un musulmano perché pecca. Ricordando questo
principio, che egli basa sul Libro e su diversi hadith, al-Hudaybi contraddice
Mawdudi, secondo cui la professione di fede ai nostri giorni non è ben compresa,
e oltre che esplicitata deve essere tradotta in atti affinché colui che la proferisce
meriti di essere chiamato musulmano. 150 Con questo escamotage la Guida critica
anche Qutb e la sua concezione secondo cui una società la cui legislazione non sia
fondata sulla Legge divina non è musulmana, anche se gli individuo si
proclamano musulmani, pregano, digiunano e compiono il pellegrinaggio.
Siamo al cuore del problema che dividerà, da questo momento e per tutto il
periodo della presidenza di Sadat, il movimento islamista tra “rivoluzionari”, per i
quali la società egiziana è jahiliyya, e “riformisti”, che ritengono sufficiente la
semplice “predicazione”, e non il “movimento” , per ricondurre all’Islam
autentico la società musulmana ignorante della validità universale della legge
coranica.
Il problema ritorna alla questione della valutazione del potere politico nell’Egitto
di Nasser e del suo successore: questo tipo di potere, consente alla Fratellanza la
predicazione? Hudaybi, e dopo la sua morte la corrente dei Fratelli riunita intorno
al successore Talmasani e alla rivista “al-Da’wa” (“La predicazione”),
rispondono affermativamente a questa domanda. Secondo questa corrente lo
Stato nasseriano non è strutturalmente diverso da quello che lo ha preceduto. I
giovani islamisti che hanno letto Qutb rispondono invece negativamente e
115
riconoscono pienamente nella società egiziana una barbarie sotto l’egida di un
principe perverso da sconfiggere attraverso il “movimento”.
Jahiliyya è un termine coranico, per al-Hudaybi ha dunque il peso di un concetto
di cui bisogna comprendere il significato. Ma tutt’altro discorso vale per il
termine hakimiyya (“sovranità”), che Mawdudi utilizza come l’equivalente
contemporaneo della categoria coranica del rabb (“signore”) nell’espressione al-
hakimiyya lillah (“solo in Dio risiede la sovranità”). Per la Guida Suprema la
problematica del pensatore pakistano è vana nelle sue fondamenta: non c’è alcun
bisogno di cercare degli equivalenti contemporanei alle quattro categorie
principali del Corano, perché la tradizione non ha mai smesso di interpretarle. Di
conseguenza, sono perfettamente chiare. È poi privo di senso determinare il credo
dell’Islam facendo della hakimiyya un criterio: “certi fondano la loro fede su un
termine che non è attestato da alcun passaggio del Libro o dei detti del Profeta,
su una parola di fabbricazione umana, che non è sacrosanta ed è dunque
ricettacolo di errore e di illusione”151. Qutb è martire ed intoccabile e in tutta
l’opera non viene mai nominato, bisognerà aspettare il 1982 per leggere, dalla
penna di Talmasani, che “Sayyid Qutb rappresentava solo se stesso, e non i
Fratelli Musulmani”152. Durante gli anni Sessanta e Settanta la sua opera per i
Fratelli ”riformisti” è tanto imbarazzante quanto affascinante, mancando il
movimento di pensatori del suo calibro. Dopo il contributo di Hudaybi, alcuni dei
più anziani fra gli esponenti dei Fratelli Musulmani si cimentano in commenti
sull’opera: tutti questi scritti sono variazioni su uno stesso tema, impostato dalla
lettere precedentemente citata di Muhammad Qutb, che è una difesa e una chiave
di lettura “in tono minore” del pensiero del fratello.
“Non c’è nulla negli scritti [di Sayyid] che contraddica il Corano e la Sunna, su cui si
fonda la predicazione dei Fratelli Musulmani, [...], non c’è nulla in quegli scritti che
contraddica le idee dell’imam martire Hasan al-Banna’, fondatore dell’Associazione, in
particolare ciò che ha scritto nella sua lettera degli insegnamenti (risalat al-ta’lim),
capitolo XX: “ Non è permesso scomunicare il musulmano che ha pronunciato le due
151 HASAN AL-HUDAYBI , Du’āt…op.cit. 152 Cfr. G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 40.
116
professioni di fede, che agisce conformemente a quanto esse impongono e adempie agli
obblighi rituali”.153
Erede spirituale di al-Banna’, Qutb non può essere il maitre à penser di coloro che
come i kharigiti si ritirano al di fuori della società, se lo si legge correttamente:
“Riguardo al problema della “separazione” (al-mufasala) era chiaro, nelle sue parole,
che si trattava di astrarsi mentalmente, di fare ciò che fa “spontaneamente” il musulmano
devoto e praticante (al-muslim al-multazim) nei confronti di coloro che non si sentono
vincolati dagli obblighi dell’islam, e non di effettiva separazione materiale. Perché è la
società in cui viviamo quella a cui predichiamo l’Islam, e se ce ne allontanassimo come
potremmo predicare?154
Con questa lettera Muhammad colloca il pensiero del fratello tra le due correnti e
in particolare tra i “moderati” come al-Hudaybi e la “Società dei Musulmani” di
Shukri Mustafa155, un movimento radicale salito agli onori delle cronache la cui
hijra, il ritiro lontano dalla jahilliya, non aveva così alcun titolo per richiamarsi a
Qutb. Dopo la pubblicazione di questa lettera, gli autori appartenenti alla
tendenza “riformista” del movimento islamista si dedicheranno ad un lavoro di
esegesi del testo di Qutb senza negare che abbia costituito un’ispirazione per la
tendenza rivoluzionaria più estremista, ma cercando di dimostrare che questa
ispirazione poteva nascere solo da una lettura poco attenta; a loro il compito di
presentare l’interpretazione capace di restituire il significato originario.
L’obiettivo di negare il rapporto diretto tra gli scritti di Qutb e i movimenti
estremisti degli anni Settanta si esplica attraverso tre procedure principali: il
confronto dei passaggi più apparentemente “eretici” con altri in cui è viceversa
proclamata l’adesione al dogma; l’analisi dei termini per ricollocarli nella
153 Lettera di Muhammad Qutb alla rivista “al-Shihab”, cit. in G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p.40. 154 Ibid. 155 Si tratta di una setta islamista operante nell’Egitto degli anni ‘70. Per un’analisi sul ruolo del suddetto movimento Cfr. G. KEPEL, Il Profeta e il Faraone… op.cit. pp. 46-79 ; e M. CAMPANINI, K.MEZRAN, Arcipelago Islam…op.cit., pp. 68-69, che danno due letture differenti dello stesso fenomeno.
117
Tradizione; l’affermazione che a prescindere Qutb era un uomo, non un profeta,
quindi fallibile.
La lettura migliore di Qutb in questo spirito “riformista” è quella di Yusif al-
‘Azm, una delle personalità più in vista dei Fratelli Musulmani giordani, autore di
una documentata biografia.156 Per lui Sayyid era semplicemente un uomo, e non
era pertanto sacrilego discuterne le idee, era anzi necessario esporle chiaramente
perché non vi fossero equivoci, criticando quel che era criticabile. Sia la condanna
cieca sia l’agiografia, sostiene, sono atteggiamenti sbagliati e occorre tenere conto
delle condizioni di prigionia durissima al momento in cui le parole di Qutb sono
state scritte. Per al-‘Azm è inoltre necessario distinguere tra scomunica e
jahiliyya: Qutb utilizzava il termine jahiliyya nel senso di sottosviluppo
intellettuale, morale, etico; in questo senso, è assolutamente legittimo indicare col
nome di jahiliyya la società odierna, e i predicatori possono farlo, purché sia ben
chiaro che questo non condanna la società alla scomunica. Secondo l’esegesi di
al-‘Azm, l’avanguardia della umma diverrebbe non una setta che scomunica la
società ma una élite che cura i propri simili dalle ingerenze non musulmane. La
‘uzla, la separazione o ritiro, raccomandata da Qutb nel suo capitolo introduttivo,
quando scrive che “l’avanguardia deve sapere quando separarsi dalla gente”, è
ricondotta alle dimensioni di una semplice “astrazione spirituale”. Non si deve
viceversa esitare nel considerare errate quelle considerazioni estreme che Qutb ha
fatto, sempre secondo al-‘Azm, a causa della sua natura umana fallibile ed
influenzato dalle torture subite, sempre senza dimenticare che si tratta di uno
scrittore e non di un faqih (esperto di diritto religioso), e che a volte si lasciava
trasportare dal proprio stile. La posizione di Yusif al-‘Azm è senza dubbio
paradigmatica dell’atteggiamento ambiguo dei maggiori esponenti dei Fratelli
Musulmani rispetto a Qutb.
156 YUSIF AL-’A ZM, Ra’id al-fikr al-islami al-mu’asir, al-shahid Sayyid Qutb (Il martire Sayyid Qutb, maestro del pensiero islamico contemporaneo), Damasco-Beirut 1980.
118
Si possono in definitiva riconoscere tre diverse linee interpretative del pensiero
qutbiano lasciato in sospeso dalla morte prematura 157. I più estremisti ritengono
che, al di fuori del loro ristretto nucleo di veri credenti, l’empietà regni
dappertutto, e pronunciano quindi il tafkir generalizzato, che va a colpire persino i
loro compagni di prigionia. Altri limitano la loro scomunica ai dirigenti, empi
perché non governano secondo i dettami contenuti nei testi sacri, ma risparmiano
le masse dei credenti. Altri ancora, soprattutto fra i Fratelli rilasciati o residenti
all’estero, che riconoscono Hasan al Hudaybi come Guida Suprema, propongono
un’interpretazione allegorica dei passaggi più controversi degli scritti di Qutb.
Alla fine degli anni Sessanta queste tre tendenze si manifestano all’interno di una
corrente islamista che agisce per lo più nella clandestinità: in essa, i giovani che
volevano abbattere lo Stato e persino punire la società per la sua passiva
accettazione di questo Stato “empio”, si oppongono a quel che restava
dell’establishment dei Fratelli. I membri di quest’ultimo, stabilitisi
prevalentemente in Arabia Saudita e in Giordania, spaventati da un tale livello di
radicalismo e ancora traumatizzati dalla repressione del 1954 in Egitto,
prediligevano ove possibile il compromesso politico allo scontro con lo Stato, e
attendevano l’ora della riscossa, fino alla clamorosa sconfitta subita dagli eserciti
arabi uniti contro Israele nella guerra dei Sei Giorni del giugno 1967.
Quest’ultima assesta un duro colpo agli stati nati dal nazionalismo arabo e
destabilizza Nasser, che presenta le sue dimissioni, per poi ritirarle in una
situazione drammatica.
Comincia così a sgretolarsi il consenso sui valori nazionalisti dominanti dal
momento dell’Indipendenza, su cui si fondava la legittimità del potere. E’ in
questa breccia culturale che si insinuerà, insieme ad altre ideologie contestatarie,
il pensiero islamista, che irromperà nelle sue molteplici forme durante gli anni
Settanta in quasi tutti i paesi del mondo musulmano.
157 Cfr. GILLES KEPEL, Jihad, ascesa e declino. Storia del fondamentalismo islamico, ed. Carocci 2011, pp. 31-33.
119
SADAT E UN NUOVO INIZIO. UNA GALASSIA ISLAMISTA
Dalla fine degli anni Sessanta, come detto, i Fratelli Musulmani non dovranno
più guardarsi solo dall’autoritarismo dei regimi egiziani che si succederanno fino
ai nostri giorni, ma anche da tutta una galassia di movimenti che, attraverso
pratiche più o meno violente, sicuramente radicali, potevano indebolire l’azione
del movimento “madre”, perché giocavano all’interno dello stesso campo di
legittimazione religiosa. La linea ufficiale sarà quella di un ritorno ai principi
enunciati dal primo leader della Fratellanza, l’unico che poteva concorrere con
Qutb nel pantheon dei martiri (shuhada’) per la causa islamica, ovviamente Hasan
al-Banna’. La rielaborazione radicale del concetto globale islamico nata dalle
carceri nasseriane aveva prodotto, almeno inizialmente, un indebolimento
dell’appello dei Fratelli, incapaci in questo periodo di rimanere uniti sotto
un’unica idea di riforma islamica. La storia moderna del movimento nasce
proprio dalle ceneri di questo periodo, e dalla ripresa di valori e pratiche
dell’epoca di al-Banna’ adattate al nuovo contesto sadatiano, che permetteranno
all’Associazione una riorganizzazione teorica e pratica.
Dopo la morte di Nasser, nel 1970, la rinascita dei Fratelli si legò strettamente al
rapporto che il nuovo ra’is Anwar al-Sadat instaurò con l’Islam. Come sottolinea
Massimo Campanini:
“Mentre Nasser faceva dell’Islam l’ispiratore etico e ideale di scelte politiche laiche,
Sadat voleva fare dell’Islam un’arma di governo, ma senza i musulmani, confiscando cioè
a suo pro la simbologia religiosa, e cercando di evitare che le forze religiose interferissero
con le sue decisioni”158
La propaganda che Sadat utilizzò per mostrarsi come il “presidente credente”
aveva il fine principale di trovare una legittimazione nuova rispetto a quella del
suo predecessore. Era inoltre uno strumento importante per logorare la sinistra
egiziana di stampo comunista, e quella base nasseriana che, nonostante la
158 M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p. 231.
120
cosiddetta “rivoluzione del riassestamento” del 1971,159 era ancora fortemente
presente negli apparati statali.160 L’amnistia generale che permise a molti membri
della Fratellanza di uscire dalle carceri in quello stesso anno (e che si completò tra
il 1971 e il 1975), era direttamente collegabile a questa politica. I Fratelli poterono
così cominciare una lenta ricostruzione del proprio apparato, e rimodellare la
propria ideologia in funzione delle esperienze acquisite.
Alla luce della dura repressione degli anni passati, la nuova Guida Suprema, al-
Tilmisani, adottò una strategia di riconoscimento del sistema politico egiziano.
Questo comportava il rifiuto della violenza come arma politica e un rinnovato
sforzo dedicato all’islamizzazione della società dal basso, con una maggiore
impronta al dialogo con tutte le forze politiche e sociali presenti sul territorio
egiziano. Dunque un esplicito ritorno ai dettami di al-Banna’ ed un parallelo
allontanamento dalle idee di Qutb che mal si conciliavano con la volontà di
riemergere sulla scena egiziana. Il pensiero formulato dal fondatore del
movimento, comprese le sue ambiguità, risultava invece perfettamente funzionale
a questo scopo. La predicazione ritorna ad assumere un ruolo centrale (haraka),
ma si permea di una forte critica a quel panarabismo che aveva contraddistinto il
discorso nasseriano, giudicato a posteriori un’ideologia parziale.161 L’educazione
riassume l’accezione originaria, almeno in teoria, perché i Fratelli non hanno più a
disposizione quel vasto panorama di vettori comunicativi sviluppato dagli anni
Trenta. In questa attività si segnala Zaynab al-Ghazali, già citata fondatrice e
principale animatrice della sezione femminile della Fratellanza. Zaynab affermava
che compito primario della donna è di essere moglie e madre, ma affermava anche
che le donne non devono affatto rinunciare all’impegno pubblico e politico. Le
sue lezioni nelle moschee del Cairo erano frequentissime e contribuirono alla
formazione islamica soprattutto delle donne del popolo. 159 Con “rivoluzione del riassestamento” (Corrective Revolution) si intende la svolta politica impressa da Sadat una volta salito al potere dopo la morte di Nasser (avvenuta per cause naturali il 28 settembre 1970), di cui era stato vicepresidente, volta a depurare il governo, le istituzioni e le forze armate dagli elementi nasseriani più ardenti. La “rivoluzione correttiva”, che comporta una netta deviazione dal punto di vista economico, ideologico e di politica estera, porterà alla scarcerazione di alcuni Fratelli imprigionati, ed accorderà agli islamisti maggiore autonomia in cambio del sostegno politico. 160 Cfr. A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p.22. 161 G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 101.
121
Dal 1976 dopo il benestare del regime, riprendono le pubblicazione della rivista
“da’wa” , che si prodiga tra l’altro in una riscrittura della storia del movimento,
per legittimarne l’esistenza e l’azione ed ottenere il riconoscimento politico
necessario alla ricostruzione.
Pur maggiormente liberi rispetto al recente passato, gli Ikhwan non ottennero mai
un riconoscimento ufficiale. Il provvedimento del 1954 che li aveva resi un
movimento illegale è rimasto fino ai tempi recenti in vigore, così come la
proibizione di costituzione di formazioni politiche esplicitamente religiose voluta
da Sadat nel suo pluripartitismo “guidato”. L’ambiguo status di cui godevano
permetteva al regime di mantenere una spada di Damocle sulla testa
dell’organizzazione, che rendeva quindi necessaria la collaborazione col potere. I
Fratelli rilasciati dalle carceri parteciparono alla redazione di parti della
“Costituzione permanente” del 1971 che esplicitamente riconosceva l’Islam come
“fonte principale della legislazione” (masdar ra’isi li al-tashri’); nel 1976
sostennero il multipartitismo e la politica di infitah162 di Sadat, che doveva
rappresentare ai loro occhi una opportunità da cogliere per la costituzione di una
società islamica. La politica cooptativa del regime si concretizzò in numerose
iniziative: oltre alle pressioni affinché la rivista “al-Da’wa” non fosse critica nei
confronti del governo, Sadat propose ad al-Tilmisani l’ingresso nel majlis al-
shurà (Consiglio Consultivo). Propose anche di correggere lo statuto legale
dell’associazione registrandola come un’organizzazione del Ministero degli Affari
Sociali, ma entrambe queste offerte furono declinate dalla Guida, che preferiva
uno statuto semilegale piuttosto che una diretta dipendenza dal governo egiziano.
162 Letteralmente "apertura", è il termine che il governo di Sadat volle dare agli inizi degli anni Settanta all'apertura economica che metteva di fatto fine al modello economico dirigistico fino ad allora seguito fin dall'epoca del nasserismo. Questo cambiamento, che significò l'apertura di fatto alla logica del mercato fu il primo visibile passo compiuto in direzione di un profondo e radicale cambiamento delle alleanze internazionali, con l'abbandono dell'amicizia privilegiata fin lì osservata nei confronti dell’Unione Sovietica e l'avvicinamento sostanziale agli Stati Uniti.
122
Nonostante la Guida tentasse di mantenersi autonoma di fronte alle pressioni, il
pragmatismo di quegli anni indeboliva inevitabilmente l’efficacia del messaggio.
I Fratelli Musulmani desideravano presentarsi come i guardiani morali della
politica egiziana, ma se negli anni Quaranta, e fino alla repressione del 1954,
questa politica di “controllo” rappresentava un indicatore della loro forza, in
questo momento è sintomo della loro debolezza, perché al di là di questa critica
non possono spingersi. Emblematico è il loro atteggiamento nella seconda metà
degli anni Settanta di fronte al riavvicinamento tra Egitto ed Israele: vista la
posizione di debolezza, la loro critica non andò oltre le righe del proprio giornale,
costretti a mantenere un atteggiamento sostanzialmente moderato. 163
Queste ambiguità saranno maggiormente evidenziate dallo sviluppo nel medesimo
periodo di un nutrito numero organizzazioni islamiche: la libertà d’azione e di
espressione che Sadat aveva lasciato alle correnti islamiche per sgretolare il
blocco nasseriano aveva infatti preso delle pieghe inaspettate. Numerose
associazioni benefiche islamiche si erano fortemente sviluppate in questo
decennio; la legge sulla nazionalizzazione delle moschee (che dal 1971 faceva
passare una gran parte di queste sotto il diretto controllo del Ministero dei Waqf)
non includeva in effetti tutte quelle gestire da associazioni considerate apolitiche.
Queste moschee sfuggite al controllo del Ministero costituiranno un importante
spazio di socialità e un punto di partenza per quella galassia di movimenti islamici
rivoluzionari che si prodigheranno in un’attività di islamizzazione sempre più
radicale. La concorrenza che questi gruppi esercitarono sull’attività dei Fratelli
Musulmani deve principalmente addursi al tipo di azione da loro intrapresa.
Tra le varie associazioni vale la pena ricordare La società dei Musulmani, anche
chiamata Takfir wa Hijra (Scomunica ed Egira), e al-Jihad. Le caratteristiche
peculiari di questi movimenti li pongono in rotta di collisione col neo-
tradizionalismo. Il caso di Tafkir wa hijra e del suo leader e fondatore, Shukri
Ahmad Mustafà, è degno di particolare considerazione. 164 Shukri Mustafà era un
agronomo che conobbe il carcere sotto Nasser. Liberato all’epoca delle aperture di 163 Cfr. A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p.22.
123
Sadat verso gli islamisti, si impegnò in un’opera di propaganda islamica, quindi
nel 1973 decise la “svolta del ritiro” (hijra, su modello del ritiro del Profeta) e con
i propri seguaci si nascose sulle montagne del deserto, sognando la costituzione di
una società di veri musulmani. Nel 1977 il gruppo rapì e uccise un ex ministro dei
Waqf ed ‘ulama’, Muhammad al-Dhahabi, scatenando la durissima repressione
delle autorità. Tra gli altri, Shukri fu arrestato e impiccato. La Società dei
Musulmani rivela caratteri post-moderni di estremismo irrazionalista ed un
anarchismo privo di qualsiasi centralizzazione direttiva. La condanna radicale
della società contemporanea jahilita , su modello qutbiano, si accompagnava nella
sua ideologia al rifiuto di mescolarsi con altri “miscredenti”: una distinzione netta,
manichea, che opponeva i veri credenti, ovvero gli adepti, al resto del mondo.
Shukri Mustafà giunse al punto di condannare ogni tipo di cultura, scritta o orale,
filosofia o letteratura, teologia o belle arti, in nome di una purezza della
rivelazione originaria a partire dalla quale il mondo avrebbe seguito una
irreversibile via alla perfezione. Storici come Gilles Kepel giudicano quello di
Shukri come un tentativo sia pur velleitario di trovare un nuovo linguaggio
dell’Islam ed una nuova organizzazione sociale; altri come Massimo Campanini e
Karim Mezran sottolineano come essa si ponga in palese rotta di collisione col
Corano e la sunna del Profeta , dove la scienza e l’impegno sociale, l’amore per il
sapere e il coinvolgimento “sulla via di Dio” sono al contrario presentate come
caratteristiche dell’impegno islamico alla riforma della società.165 Quale che sia il
giudizio su questa associazione, la sua collocazione ed il suo operato, di certo
rappresenta una delle tante varianti dell’avanguardia islamista radicale che si
ritorcerà contro il machiavellismo sadatiano, e il processo tenuto al suo leader
segna il fallimento della strategia del potere nei confronti della corrente islamista.
Quanto all’associazione Jihad, era stata fondata da un ingegnere, ‘Abd al-Salam
Faraj, autore di un opuscolo militante dal titolo “L’obbligazione assente” (“Al-
Farida al-gha’iba”), riferendosi al dovere che, secondo Faraj, mancava da secoli
nella dottrina e nella prassi politica dei musulmani, ovvero il jihad.
Richiamandosi al teologo medievale Ibn Taymiyya, Jihad sosteneva che
combattere contro un regime oppressore, falsamente musulmano e anzi
165 Si veda nota 110.
124
decisamente miscredente, fosse un vero e proprio dovere per un autentico muslim.
Sarà proprio un rappresentante di questa associazione radicale a porre fine alla
vita di Sadat, il 6 ottobre 1981.
Tra il 1970 e il 1981 la Fratellanza sembra dunque non detenere più il monopolio
del discorso contro-egemonico islamico, tantomeno quello dell’azione dal basso
per la costruzione di un consenso politico. Per quanto riguarda il primo aspetto,
seppur con interpretazioni tra loro anche conflittuali, le diverse tendenze del
movimento islamista si erano sostanzialmente riappropriate di quell’eredità
qutbiana abbandonata dai Fratelli. Per quanto riguarda invece il secondo aspetto,
il politologo Francois Burgat sottolinea:
La maggior parte di quei movimenti che sono stati etichettati come “rivoluzionari” negli
anni Settanta era sostenitrice di un’azione dal basso. Fatta eccezione che per la piccola
organizzazione egiziana Jihad […] le pratiche di islamizzazione sociale sono rimaste
centrali nelle preoccupazioni di tutti questi gruppi considerati rivoluzionari dal momento
in cui hanno cominciato a reagire alla violenza di Stato.166
Organizzazioni come le Jam’iyyat islamiyya,167 riuscirono molto più
efficacemente della Fratellanza nella penetrazione degli ambienti universitari e
non solo.168 Dalla seconda metà del decennio il regime avvertirà la pericolosità di
questi nuovi gruppi. Si trattava di un ulteriore elemento di destabilizzazione, che
si nutriva delle inedite condizioni socio-economiche, nonché del processo di
reislamizzazione del politico che tutto il mondo arabo stava vivendo in quel
periodo. 169 In continuità con la propria politica compromissoria la Fratellanza
tentò di trarre vantaggio da questa situazione: al-Tilmisani arriverà a chiedere il
riconoscimento del proprio movimento con lo scopo di contenere le spinte
contestatarie della galassia islamista.
166 FRANCOIS BURGAT, L’islamisme en face, la Decouverte, Parigi 2002, p.86 . 167 Si tratta di associazioni islamiste studentesche che si sono imposte durante la presidenza Sadat come dominanti nei campus universitari. 168 Cfr. G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., pp. 107-125. 169 Cfr. G.KEPEL, Jihad…op.cit., cap.3.
125
Inoltre, proprio in questo periodo la Fratellanza prese contatti con la Jam’iyaa al-
shar’iyya. Nata all’inizio del secolo ventesimo si tratta di una delle ancora oggi
più importanti associazioni caritatevoli del panorama egiziano, per capillarità e
risorse a disposizione. Si sviluppò in epoca nasseriana, quando il regime ne prese
sostanzialmente il controllo, e da quel momento l’associazione, per tramite del
Ministero degli Affari Religiosi, mantenne sempre uno stretto rapporto col potere.
Esente dalla nazionalizzazione delle moschee del 1971, la Jam’iyya diversificò
ulteriormente le sue attività sotto Sadat, svolgendo una funzione mediatrice tra
l’amministrazione egiziana e la società. L’avvicinamento comincia quindi negli
anni Settanta, con il permissivo atteggiamento di Sadat, che non ostacolava la
presenza di membri della Fratellanza all’interno dell’associazione. Fino a quando
questa presenza non intaccò il quadro direttivo nazionale dalla Jam’iyya,
direttamente vincolato al governo, Sadat non fece nulla per impedirne il connubio,
e dal canto loro i Fratelli inizialmente si accontentarono di questa penetrazione,
senza pretendere di stravolgere finalità e pratiche dell’associazione, consapevoli
delle eventuali conseguenze di un suo diretto impegno “politico”. Agli occhi dei
Fratelli questa era una via di accesso indiretta al politico e al tempo stesso una
strada per un radicamento sul territorio.
Parallelamente i Fratelli prestavano attenzione ai nuovi attori sociali sulla scena
politica, in particolare al movimento studentesco. Sviluppatosi a partire dalle
contestazioni del 1968 170, il movimento studentesco assunse una connotazione
sempre più politica, domandando ad alta voce riforme che garantissero una
maggiore partecipazione nei processi decisionali ed una maggiore libertà
d’espressione. Dalla seconda metà degli anni Settanta questo divenne
appannaggio dei gruppi militanti islamisti, a scapito della sinistra egiziana. Ma la
Fratellanza non era alla testa di questo movimento. Dal momento in cui lo
scontro tra il movimento studentesco controllato da gruppi islamisti e il governo si
fece più aspro, i Fratelli si ritrovarono tra due fuochi. Nel 1977 Sadat chiese
addirittura proprio il loro intervento per tentare di disinnescare una situazione
potenzialmente esplosiva, dato il radicalismo che il movimento stava assumendo. 170 Cfr. G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., pp. 107-125. Un quadro esaustivo lo fornisce A.ABDALLAH , The student movement and national politics in Egypt, Al Saqi Books, Londra 1985.
126
L’atteggiamento della Fratellanza fu di condanna rispetto agli atti violenti, senza
però appoggiare il messaggio de “la politica fuori dalle università” che il regime
avrebbe voluto. Anche in questo caso, la Fratellanza era ben conscia del
potenziale bacino rappresentato dalla base sociale che il movimento studentesco
era riuscito ad attirare, e quel consenso era agli occhi della Guida ben più
importante dell’identificazione col regime. Ecco perché, quando nel 1978 alcuni
giovani leader islamisti del movimento studentesco furono arrestati, un gruppo di
avvocati legati alla Fratellanza si offrì di difenderli in cambio di una loro
associazione agli Ikhwan. Le divergenze ideologiche non permisero
un’accettazione dell’offerta in questa fase, che si concretizzò invece a partire dagli
anni Ottanta. Le moschee private e i campus universitari costituiranno il punto di
partenza per la ricostruzione della base sociale degli Ikhwan, con una strategia di
penetrazione che darà i suoi primi frutti dal decennio successivo.
Intanto, non solo la radicalizzazione del discorso religioso sembrava minare la
solidità del governo di Sadat, ma anche le scelte in politica economica, politica
interna e politica estera della sua amministrazione lo esponevano a critiche
sempre più marcate. Le liberalizzazioni economiche ebbero effetti devastanti,
arricchendo pochi e diffondendo la miseria in ampi strati della popolazioni; la
gestione autoritaria ed illiberale del potere e l’eccesso di occidentalizzazione dei
costumi veniva contestato dalle organizzazioni islamiche, e ancora più sdegno
provocava la scelta di appoggiare gli Stati Uniti e di stipulare una pace con Israele
(1979). Delusione per le ideologie laiche, povertà diffusa e crisi sociale,
oscillazioni nella politica interna: questi fattori si mescolarono in un clima di
crescente ostilità che alimentò contro Sadat l’opposizione della sinistra, dei copti,
degli intellettuali e, naturalmente, degli islamici. Dopo una serie di vanificati
tentativi di colpi di Stato, Sadat optò per l’incarcerazione, nel settembre 1981, di
diverse migliaia di oppositori: un mese più tardi il braccio armato di al-Jihad
passò all’azione, uccidendo il Presidente, simbolicamente durante la parata
militare che commemorava l’ottavo anniversario dell’inizio della Guerra di
Ottobre contro Israele, e quella prestigiosa traversata militare del canale di Suez
127
che permise al ra’is di occultare momentaneamente la corruzione e l’incuria della
sua amministrazione.
In realtà il delicato equilibrio tra Sadat e gruppi islamisti si era incrinato già
qualche anno prima, e in particolare si può prendere come riferimento il 1977.
Prima di questa data Stato e movimenti islamisti avevano un rapporto
complementare: all’ala “riformista” del movimento, raccolta intorno al mensile
“al-Dawa” dei Fratelli Musulmani e presente all’università nelle Jama’at
islamiyya, il potere dimostrava una benevolenza ripagata con il “repulisti” dai
campus di tutto ciò che era in odore di comunismo o di nasserismo; all’ala
marginale e settaria dello stesso movimento, veniva concessa una tolleranza
compensata da un’infiltrazione della polizia, con lo scopo di offrire alla dissidenza
islamista degli sfoghi che la tenessero lontana dalla tentazione del colpo di Stato,
che un abortito tentativo dell’aprile 1974 all’Accademia militare di Eliopoli aveva
ricordato essere di estrema attualità. 171 La scommessa di Sadat, che molti capi di
Stato del mondo musulmano rilanceranno negli anni seguenti, consisteva quindi
nell’incoraggiare lo sviluppo del movimento islamico in cambio del sostegno
politico, conferendogli una certa autonomia culturale ed ideologica, purché gestita
dall’intellighenzia islamista, nonché un più ampio accesso della borghesia
religiosa ad alcuni settori dell’economia privatizzata. Questi islamisti benvoluti
dal potere dal canto loro devono sbarrare la strada ai gruppi radicali che
vorrebbero sovvertire l’ordine sociale. 172
Questo gentleman’s agreement finisce come detto nel 1977. L’anno era
cominciato con delle agitazioni contro la politica di apertura economica, di cui
gran parte della popolazione temeva le ricadute sociali; poi il già citato rapimento
e assassinio da parte della Società dei Musulmani (al takfir wa-l hijra), quindi, in
ottobre, un mese dopo il processo all’associazione, Sadat si reca a Gerusalemme
per stringere la pace con Israele, un passo politico che avrà effetti dirompenti sulle
relazioni con l’intellighenzia islamista e la borghesia religiosa. L’irruzione stessa
di un gruppo come al takfir wa-l hijra sulla scena dimostrava come il regime e i 171 Cfr. G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., cap.3. 172 Cfr. G.KEPEL, Jihad…op.cit, cap.5 .
128
“moderati” non fossero riusciti a contenere la frangia radicale del movimento
islamista, destinata anzi a crescere negli anni e a scivolare nel terrorismo. Il
gruppo, che suscita grande impressione entro ed oltre i confini egiziani per il suo
estremismo, offriva un progetto di vita comunitario ai giovani reclutati dagli
ambienti modesti rimasti marginalizzati dal liberismo economico di Sadat,
mettendo in luce tutti i fallimenti del regime. Le autorità religiose avevano
rifiutato le idee di Shukri, assimilate da un ‘ulema’ di al-Azhar (quello sceicco
Dhahabi che sarà preso in ostaggio e ucciso) al kharigismo, e lo stesso gruppo si
era scontrato militarmente con altre fazioni islamiste concorrenti. Nonostante ciò
al processo il procuratore militare criminalizza, oltre a Shukri, gli islamisti in
generale e la stessa istituzione religiosa di al-Azhar, che pure aveva subìto
l’assassinio di uno dei suoi esponenti senza che le autorità avessero intavolato un
negoziato: l’Università fu giudicata incapace di inculcare nei giovani il “vero
islam” e perciò aperta all’influenza di un “ciarlatano” come Shukri. Il caso può
essere considerato il preludio della rottura del movimento islamista con il regime,
sancita dal viaggio di Sadat il mese successivo. Il ra’is non poteva ammettere
contestazioni alla sua politica, riassunta in quegli ambienti nella formula
“vergognosa pace con gli ebrei”. L’unione degli studenti venne sciolta, i beni
delle Jama’at sequestrati, i loro campi estivi chiusi dalla polizia e, come
avvertimento, anche il giornale dei Fratelli Musulmani subì gli strali della
censura.
Nonostante il crescendo di tensione tra potere centrale e islamisti, questi ultimi
non serrarono i ranghi. Al-Tilmisani e i suoi volevano un’opposizione rispettosa
della legalità, anche per ragioni opportunistiche: le pagine pubblicitarie del loro
mensile oltre alle inserzioni di aziende appartenenti ai Fratelli arricchiti durante
l’esilio, contavano anche numerosi annunci di società a partecipazione statale.173
Le transazioni tra la borghesia religiosa e il potere, la loro complementarità, non
venivano rimesse in discussione dalle vicissitudini politiche, che non potevano
trascinare la borghesia religiosa verso una strategia di rovesciamento violento del
regime. ma, proprio perché non animata da uno spirito di opposizione oltranzista,
173 Ivi, p. 91.
129
quella borghesia religiosa perse il contatto con i militanti più radicali, provenienti
dal mondo studentesco e dalla gioventù urbana povera, che avrebbero preso da
soli l’iniziativa di andare allo sconto con Sadat. La radicalizzazione
dell’opposizione islamista dopo il 1977 coinvolgerà innanzitutto la base delle
ja’ma’at: la predicazione nei campus si trasformerà in azione clandestina nelle
periferie urbane egiziane, abitate da una popolazione in miseria (Il Cairo,
Alessandria, le grandi città dell’alto Egitto, Assiut e Minia). Da queste zone
proverranno quasi tutti gli imputati, arrestati dopo l’assassino di Sadat e
l’insurrezione di Assiut nell’ottobre 1981. L’organizzazione della Jihad di
Abdessalam Faraj mette in pratica “l’imperativo occultato” uccidendo il ra’is,
dopo aver scavato un ulteriore solco col clero “traditore” colluso col potere
empio: è una frattura interiore ed insanabile tra frangia radicale ed intellighenzia
islamista , ma la critica si estende anche ai “moderati”. Secondo Faraj, i Fratelli
Musulmani, nel fare opposizione legale al sistema, sottovalutano la sua natura
profondamente empia e, partecipandovi, la rafforzano. Per instaurare lo Stato
islamico, Faraj e i suoi compagni di congiura compiono un atto di forza: a loro
avviso l’omicidio di Sadat avrebbe mosso le masse, sarebbe stato il preludio di
una “rivoluzione popolare”. Negli interrogatori seguiti all’arresto, gli imputati
hanno usato proprio queste espressioni, con riferimento all’Iran, dove la
rivoluzione aveva da poco trionfato (1979). Ma gli islamisti iraniani avevano
saputo mobilitare fianco a fianco, sotto la guida dell’ayatollah Khomeini, i
giovani poveri delle citta, i mercanti del bazar e i ceti medi laici. Al contrario,
Faraj e i suoi avevano tagliato i ponti con la borghesia religiosa egiziana,
insultando il clero, la cui “obbligazione mancante” era divenuto anzi il loro primo
bersaglio. Furono incapaci di trasformare l’attentato in rivolta generale in nome
dell’islam, di saldare le opposizioni conto il potere “empio”. Non avevano alcuna
reale soluzione alternativa. Non vi era alcun progetto di costruzione di un nuovo
Stato sulle ceneri di quello abbattuto. Il primo passo era proprio quello di
combattere e vincere il nemico “vicino” (i falsi musulmani e i governi corrotti)
per poi rivolgere le energie del jihad verso il nemico “lontano”, Israele e
l’Occidente, in primo luogo gli Stati Uniti. Eppure, al momento dell’assassinio,
l’impopolarità di Sadat, che aveva riempito le carceri di ogni genere di oppositore,
130
anche i più moderati, era al culmine, il che lo portava ad un isolamento quasi
paranoico. Mentre al ra’is succedeva Mubarak e l’insurrezione orchestrata
dall’Organizzazione della Jihad ad Assiut veniva domata dai paracadutisti, ai
militanti radicali veniva data la caccia nei quartieri popolari. In seguito, il clero di
al-‘Azhar ha speso molte energie per dimostrare che le idee di Faraj e dei suoi
compagni non avevano alcun titolo per richiamarsi all’opera di Ibn Taimiyya.
Insultati dagli attivisti, gli ‘ulamā’ hanno replicato che soltanto loro erano abilitati
ad interpretare i grandi Testi della tradizione islamica, fuori dalla portata degli
“ignoranti”. I dotti dovevano fare i conti con la nuova realtà: la politica saudita di
diffusione di massa delle proprie opere, favorita dal clero wahabita instaurato in
Arabia Saudita, le aveva rese accessibili ai giovani radicali secolarizzati. Questi
ultimi ne avrebbero fatto una lettura altrettanto conservatrice dal punto di vista
morale, ma molto più destabilizzante per l’ordine costituito.
Il caso Egiziano di fine anni Settanta illustrava così per la prima volta il fallimento
politico degli islamisti, le cui tre componenti non riescono a costituire un unico
fronte. Ma mostra anche l’empasse di un regime che, sperando di mantenere
l’ordine sociale, ha voluto allearsi alla borghesia religiosa e utilizzare
l’intellighenzia islamista “moderata”, lasciando a quest’ultima il controllo in fatto
di morale e cultura e concedendo alla prima qualche beneficio dell’economia
privatizzata. In seguito al viaggio di Sadat a Gerusalemme e alla pace con Israele,
gli orientamenti dello Stato egiziano si sono scontrati con i valori fondamentali
dell’islamismo, anche nella sua componente più moderata: l’ostilità verso gli ebrei
e in particolare verso lo Stato ebraico. Il regime è caduto nella trappola da lui
stesso tesa: il discorso dell’intellighenzia, bene accetto finché attaccava la sinistra,
è diventato un fattore di instabilità, coagulando e radicalizzando l’opposizione. La
componente borghese del movimento, contraria allo scontro aperto, è stata
sopravanzata dai gruppi di giovani poveri delle periferie e dagli studenti partigiani
della jihad. Gli islamisti egiziani, nonostante l’iniziale fallimento, hanno svolto
comunque il ruolo di precursori. Il loro esempio sarà a lungo meditato e susciterà
l’emulazione dei militanti fin nell’Africa subsahariana o in Asia centrale, grazie al
prestigio di un Paese in cui erano nati i Fratelli Musulmani e Sayyid Qutb.
131
L’ERA MUBARAK
Che la Fratellanza non fosse coinvolta nell’attentato è confermato dal fatto che il
nuovo presidente, Husni Mubarak, inaugurerà il suo primo periodo di ufficio con
un atteggiamento tollerante e possibilista, sia verso le opposizioni laiche sia verso
i Fratelli, nell’evidente tentativo di pacificare la società egiziana che sotto Sadat
aveva conosciuto una escalation di estremismo e violenza. In realtà è possibile
distinguere due fasi della politica di Mubarak verso i Fratelli, due fasi
corrispondenti a due indirizzi divergenti della politica complessiva del presidente.
La prima fase, racchiusa negli anni Ottanta, fu di tacita tolleranza, anche se non di
aperto riconoscimento. La situazione di instabilità all’indomani dell’assassinio di
Sadat aveva quasi obbligato il nuovo ra’is a una politica di distensione, e i Fratelli
approfittarono del nuovo clima politico per avviare delle trasformazioni
importanti che caratterizzeranno la loro attività sino ai giorni nostri. Gli Ikhwan
rimangono fermi nella volontà di islamizzazione dello Stato e della società
egiziane, vi è però un mutamento sostanziale, nella decisione di istituzionalizzare
la propria attività politica e sociale. Avevano osservato con attenzione il processo
di apertura democratica avviatosi sotto Sadat e percepiscono la crescente re-
islamizzazione della società e il moltiplicarsi di riferimenti all’Islam nei discorsi
politici come un buon substrato per la loro azione politica. 174 Comprendono
quindi le potenzialità di portare il loro messaggio in tutte quelle istituzioni
politico-sociali a cui lo Stato egiziano, almeno teoricamente, aveva
progressivamente delegato un potere di rappresentanza. La loro strategia da
questo momento, sia con ‘Omar al-Tilmisani sia con Muhammad Hamid Abu al-
Nasr che prenderà il suo posto nel 1986, era di mantenere un basso profilo per
ottenere un riconoscimento politico. Questo sembrava conciliarsi perfettamente
con la strategia del primo Mubarak, da poco salito al potere e alla ricerca
anch’esso di una legittimazione. Questo connubio d’interessi si concretizzerà con
la partecipazione dei Fratelli alle tornate elettorali del 1984 e del 1987, e con il
174 JEAN-NOEL FERRIÈ, Les frères musulmans égyptiens et la modération, in “Maghreb-Machrek”, 2008,194, p.31.
132
loro sostegno quello stesso anno al secondo mandato presidenziale del ra’is. 175
Sia la legge 114/1983 per le elezioni del 1984, sia la legge 188/1986 per quelle
del 1987 sancivano uno sbarramento all’8% con lo scopo di limitare l’azione
dell’opposizione. Questo incoraggiava la formazione di alleanze tra diverse forze
politiche. L’alleanza con il neo-Wafd per la tornata del 1984 e la costituzione
dell’Alleanza Islamica del 1987 (che li univa al Partito del Lavoro e al Partito dei
Liberali) rispondono all’esigenza del movimento di tentare comunque la via
parlamentare nonostante l’associazione non fosse legalmente riconosciuta. Nel
complesso questa partecipazione permise alla Fratellanza di rinnovare il proprio
bagaglio di vettori di diffusione del messaggio e le permise di entrare direttamente
in contatto con tutto il mondo politico egiziano, e con quell’apparato
amministrativo che ruotava inevitabilmente attorno ad esso. Vi sono comunque
differenze tra le due tornate elettorali: l’alleanza con il neo-Wafd, con la quale i
Fratelli ottennero 8 seggi, nasceva da una convergenza di interessi e si tradusse in
un’efficace cooperazione tra le due forze, pur partendo da posizioni distinte. Se
infatti il quadro di riferimento del neo-Wafd era rappresentato dai moderni
concetti di democrazia e liberalismo, quello della Fratellanza rimaneva la shari’a,
intesa come un “sistema economico, sociale, culturale e militare affinché Dio ci
benedica e ci accordi il suo sostegno”176. Questo rapido avvicinamento alla prassi
politica troverà negli anni successivi un movimento attento nel rispondere alle
inedite esigenze che l’attività parlamentare richiedeva. Come sottolinea Amr
Elshobaki:
“Le elezioni del 1987 simbolizzano la maturità e lo sviluppo di questa situazione
“preliminare”, e il passaggio da una posizione di “scoperta” a una posizione di “scelta”.
Con le elezioni del 1987 ci troviamo di fronte a una corrente politica dall’esperienza
ridotta ma che tesse delle alleanze politiche […] che si lancia in campagne elettorali e
ideologiche e che presenta al momento delle elezioni l’immagine progressista di una
175 Cfr. A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., pp.27-44. 176 Queste le parole di un deputato di quella legislatura. AMR ELSHOBAKI, Les Frères Musulmans des origines à nos jours, Khartala, Parigi 2009, p.148 cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p. 29.
133
“nuova esperienza islamica”, differente dall’aspetto virtuale attraverso il quale essa
appariva negli scritti teorici e politici dell’inizio”. 177
L’associazione si adatta quindi al linguaggio e alla prassi delle istituzioni politiche
nelle quali ottiene l’accesso, avvicinandosi molto all’atteggiamento del resto
dell’opposizione178 . Il primo programma elettorale conteneva rivendicazioni
strettamente politiche, solo nella seconda sezione si affronta il tema della
“applicazione immediata della legge islamica in accordo con le disposizioni
costituzionali”, specificando di essere consapevoli di come “ci sia bisogno di un
certo lasso di tempo affinché questa applicazione sia completa e conforme alle
nostre attese”179 . La richiesta di applicazione della shari’a trova dunque
legittimazione politica nella Costituzione, che espressamente la sancisce come sua
fonte addirittura primaria. Il risultato ottenuto alle elezioni del 1987 ci dimostra
anche l’importante capacità di mobilitazione dell’elettorato che il movimento
seppe mettere in campo: con i 38 seggi gli Ikhwan rappresentavano la principale
forza dell’opposizione.
Accanto all’attività parlamentare, i Fratelli si impegnarono anche nella
penetrazione in tutti quei settori della società che dall’inizio degli anni Settanta
andavano emergendo sulla scena egiziana. Anche le modalità di costruzione di un
proprio blocco sociale saranno innovative: la preminenza sarà data alla pratica
prima che al messaggio, mirando al miglioramento delle condizioni di tutti questi
attori sociali. Consapevoli dei disagi che gli studenti egiziani vivevano
quotidianamente, i Fratelli si impegnarono ad esempio nell’organizzazione di
servizi di assistenza volti a colmare le lacune lasciate dal regime. Si trattava di
servizi assistenziali richiesti molto spesso dagli stessi studenti (dalla vendita a
prezzi ridotti di manuali universitari alla formazione di gruppi di sostegno allo
studio ecc.). Una volta ottenuta la fiducia degli studenti, gli Ikhwan si
presentarono alle elezioni nei vari organi di rappresentanza, ottenendo nel 1987 la
177 Ivi, p.152. 178 Ivi, pp. 163-167. 179 Ivi, pp. 158-160; H.AL-AWADI , In pursuit of legitimacy. The Muslim Brothers and Mubarak, 1981-2000, University of Exter, Exter 2003, p.80, cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p.29.
134
maggioranza dei seggi dei sindacati studenteschi presso le università del Cairo,
Alessandria e Zaqaziq, per poi estendersi anche a Mansura e al-Azhar. Lo stesso
accadde per gli insegnanti, per la cui categoria i Fratelli ottennero incrementi
salariali, alloggi sociali per i meno abbienti e un’assistenza sanitaria
complementare a quella pubblica, il tutto a spese delle università. Il primo club
per insegnati che passò sotto la direzione ikhwan fu quello dell’università di
Asyut nel 1985, seguirono quindi quelli del Cairo, Alessandria e Zaqaziq.
Un modello simile fu adottato per penetrare sindacati e ordini professionali delle
classi medie istruite. A partire dagli anni Ottanta, due fenomeni produssero
importanti mutamenti che minarono la loro dipendenza dalle autorità governative.
Da un lato la politica di scolarizzazione di massa avviata sin dall’epoca nasseriana
aveva prodotto un notevole incremento delle iscrizioni a queste organizzazioni.
Negli anni a seguire, questo processo di allargamento della loro base di
rappresentanza rappresentò il presupposto necessario alla successiva
politicizzazione. La scarsa capacità di assorbimento di forza-lavoro da parte del
Paese aveva prodotto un diffuso sentimento si frustrazione, che non provocò però
una politicizzazione generalizzata: toccò soprattutto alle sigle sindacali o
associazioni professionali il cui statuto non dipendeva direttamente dallo Stato e
che in questo periodo assunsero una maggiore autonomia. I Fratelli otterranno i
maggiori risultati proprio all’interno di questi sindacati di professione (niqabat
mihniyya) e non invece nei sindacati operai (niqabat ‘ummaliyya) che, per la loro
strategica importanza nel processo di liberalizzazione dell’economia egiziana,
furono sempre oggetto di strettissimo controllo da parte delle autorità. Dei 22
sindacati presenti in Egitto, gli ikhwan riuscirono tra gli anni Ottanta e Novanta a
controllare i cinque politicamente più attivi: medici, ingegneri, farmacisti,
scienziati e avvocati. Forti dell’esperienza organizzativa fornita loro dall’attività
nei campus universitari, i membri che maggiormente si impegnarono nell’attività
sindacale (in particolare le generazioni più giovani) posero come primo obiettivo
la lotta alla corruzione e lo sperpero, per poi entrare nella gestione delle risorse
dei vari sindacati, secondo lo schema già adottato con le rappresentanze
studentesche dei campus. In seguito alla crisi che colpì duramente la middle class
135
egiziana negli anni Ottanta, gli Ikhwan si adoperarono per ottimizzare lo
sfruttamento delle risorse esistenti e incrementare i servizi assistenziali, di cui un
esempio emblematico può essere rappresentato dall’assicurazione medica
complementare. Sia questo, sia altri progetti portati avanti dalla Fratellanza
furono successivamente adottati anche da sindacati non da loro controllati, ed è
quindi innegabile che l’attivismo dei Fratelli rappresentò uno stimolo importante
per innovare la funzione stessa della rappresentanza sindacale in Egitto. La
gestione degli organi di rappresentanza da parte della Fratellanza fu improntata al
pragmatismo e prestando attenzione ad evitare lo scontro diretto col regime: in un
primo periodo infatti i Fratelli non candidarono mai propri membri alla presidenza
dei consigli direttivi sindacali da loro “controllati”, ma sostennero di volta in volta
una personalità vicina al governo egiziano che permettesse di mediare tra le
proprie richieste e la politica governativa.
Se sindacati e università permisero di penetrare le classi medie istruite,
l’avvicinamento ad associazioni caritatevoli radicate sul territorio permise alla
Fratellanza di prendere contatto con altri settori della società, ovvero le fasce più
povere e svantaggiate, abbandonate dalla politica di infitah che aveva alleggerito
lo Stato dai compiti di assistenza primaria.
Il confronto al quale si prestano i Fratelli Musulmani presuppone non solo
un’importante capacità di mobilitazione, ma anche la volontà di ascoltare le
esigenze dei nuovi attori sociali e della società civile egiziana. In quest’ottica, la
diffusione della propria ideologia si dissolve in una costante pratica sul territorio e
nelle attività moderne che la Fratellanza portò avanti accettando le regole della
rappresentanza democratica. In questo sta il successo dell’associazione durante
gli anni Ottanta, ed è per questo che Mubarak cominciò a temerne l’azione.
Il 1990 può essere considerato l’anno spartiacque, che segna l’avvio della seconda
fase del rapporto tra governo e Fratellanza dell’epoca Mubarak. Le nuove regole
imposte dal ra’is per le elezioni di quello stesso anno all’Assemblea del popolo,
provocarono forti proteste da parte dei maggiori partiti di opposizione, molti dei
quali decisero per il boicottaggio delle elezioni. I Fratelli non fecero eccezione,
convinti di poter comunque esercitare una forte pressione sul regime tramite la
136
propria estesa base sociale. La pressione non verteva solo su rivendicazioni di
carattere sociale, difatti da questo momento i sindacati più influenti così come i
campus universitari rappresenteranno delle tribune politiche sia per quanto
riguardava la situazione interna che internazionale. Scopo principale del Comitato
per il Coordinamento dell’Azione Sindacale (Lajna tansiq al-‘amal al-niqabi)
creato nel 1990 era proprio il coordinamento delle iniziative di tutti i sindacati
controllati dalla Fratellanza. In politica interna domandavano con forza
l’annullamento della legge sullo stato d’emergenza, il rispetto delle libertà e dei
diritti dell’uomo, la libertà di formare partiti e fondare giornali, nonché un
maggior rispetto dell’autonomia sindacale. Si tratta di tematiche che potremmo
definire “laiche” e che nascevano da una critica dell’autoritarismo egiziano, in
contrasto con i valori democratico-costituzionali sbandierate dallo stesso governo.
Questo comitato prendeva forza dalla diversificazione delle attività che
l’Associazione aveva intrapreso sin dl decennio precedente attraverso lo sviluppo
della propria struttura (tanzim), con nuove sezioni e specifiche commissioni che
studiavano le trasformazioni in atto in seno alla società egiziana.
Le rivendicazioni in ambito internazionale erano invece più marcatamente
islamiche. Le tensioni che la Umma stava vivendo in quel periodo erano oggetto
di numerose iniziative: la guerra in Bosnia-Erzegovina, la prima guerra del Golfo,
la crisi algerina del 1991, la crisi israelo-palestinese che aveva subito
un’accelerazione con la prima Intifada, gli Accordi di Oslo del 1993, solo per
ricordare gli avvenimenti più importanti. Molti sindacati costituirono dei
“comitati” per delle specifiche battaglie politiche: vi era un sostegno di carattere
“morale”, che mirava alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso
conferenze, seminari, dichiarazioni ai media, e un sostegno materiale, attraverso la
raccolta e spedizione di denaro e beni di prima necessità.
Ovviamente questo tipo di iniziative delegittimava l’azione governativa egiziana
nel suo complesso e la repressione non si fece attendere. Con la legge n.100 del
febbraio 1993 e le sue successive modifiche le autorità egiziane tentarono inoltre
di liquidare la presenza islamista nei sindacati professionali, ostacolandone la
137
rielezione all’interno dei consigli direttivi.180 Inoltre il governò si impegnò nel
limitare l’attività di tutte quelle organizzazioni non partitiche che potevano
minarne la credibilità, ad esempio con l’emblematica legge n.153 del 1999 che
limitava fortemente l’autonomia dell’associazionismo civile. Venne colpita anche
la presenza islamista all’interno della Jam’iyya al-shar’iyya, l’associazione
caritatevole utilizzata come precedentemente detto da “ponte” col politico dalla
Fratellanza. Il dissolvimento della maggioranza islamista nel recentemente eletto
consiglio di amministrazione si era reso ancora più urgente dato il probabile
coinvolgimento di militanti locali del PDN, la base teoricamente più fedele al
regime.
Mubarak ebbe gioco facile nel processo di marginalizzazione della componente
islamista dalle rappresentanze della società civile anche grazie alla
radicalizzazione del discorso contro-egemonico islamista, che proprio negli anni
Novanta visse il suo periodo più fosco, sfociando in derive terroristiche.
Nuove organizzazioni militanti, come la Jama’aIslamiyya, si fecero infatti largo e
cominciarono a colpire obiettivi civili, sia la popolazione inerme egiziana, sia i
turisti. L’attacco più spietato fu quello ad una comitiva di giapponesi e altri
visitatori a Luxor nel 1997. La cieca violenza di queste organizzazioni alienò loro
ogni simpatia presso le masse popolari e l’opinione pubblica. Se movimenti come
Takfir wa hijra e al-Jihad avevano riscosso non adesione ma una certa
comprensione , il terrorismo dei tardi anni Ottanta e degli anni Novanta si ritorse
contro i suoi promotori e recise le labili radici che poteva avere presso una
popolazione esasperata dalla corruzione, dalla povertà e dal lusso sfacciato dei
nuovi ricchi. La spietata repressione della polizia e dell’esercito fecero il resto.
Nel 2000 i dirigenti radicali in carcere proclamarono al fine della lotta armata, per
lo meno sul piano interno. I Fratelli Musulmani non ebbero alcuna parte nella
violenza terrorista, ma Mubarak , con scarsa lungimiranza, decise di parificarli
alle organizzazioni armate radicali, facendo subire loro più o meno la stessa
persecuzione, ed evitando così di fatto un loro pericoloso ritorno sulla scena
parlamentare per le elezioni del 1995, dove la Fratellanza fu costretta a capitolare.
138
La politica repressiva adottata dal regime colpiva indistintamente qulasisi
formazione in grado di minarne la stabilità. Ne fece le spese anche quell’inedito
progetto politico del Hizb al- Wasat (Partito del Centro) nato da una costola dei
Fratelli Musulmani nel 1996. Espressione di quella generazione degli anni
Settanta che per la sua attività nei campus universitari e nei sindacati aveva
partecipato attivamente alla istituzionalizzazione delle attività della Fratellanza,
questo partito non vide mai la luce per l’ostracismo della Commissione dei partiti
che non ne autorizzò la nascita. Il progetto incontrò però anche l’opposizione
della vecchia guardia degli Ikhwan, che non riteneva opportuno provocare
ulteriormente il regime. Non voleva inoltre lasciare spazio ad un’iniziativa che,
seppur in perfetta continuità con la strategia di riconoscimento adottata negli anni
Settanta, era nata dalle generazioni più giovani, fino a quel momento tenute
lontane dall’apparato direttivo. Le tensioni prodotte attorno a questo progetto sono
emblematiche dello scontro generazionale interno alla Fratellanza, che, sorto negli
anni Settanta, mina tutt’ora la governabilità del movimento.
In questi frangenti, la dirigenza dei Fratelli continuò una paziente opera di
legittimazione attraverso una costante presenza nella realtà sociale: furono ad
esempio i Fratelli, e non lo Stato, a soccorrere i diseredati del Cairo dopo il
terremoto del 1993. Un aspetto importante di questa presenza è costituito dalla
cosiddetta “finanzia islamica” e dall’obbedienza islamica di molti uomini d’affari;
ma non bisogna dimenticare l’influenza sugli studenti e sui lavoratori. Si è anzi
sostenuto che la legittimazione ricercata dai Fratelli abbia accresciuto il suo
significato politico, e non solo quello sociale, per esempio quando essi si
opposero nettamente all’intervento egiziano a fianco degli USA nella Guerra del
Golfo nel 1991 contro Saddam Hussein.
Paradossalmente, in vista delle elezioni del 2000 i Fratelli Musulmani riprendono
temi già presenti proprio nel programma del Hizb al-Wasat. Il riferimento
costante alla Costituzione egiziana, della quale si chiede la piena applicazione
attraverso riforme politiche per una maggiore democratizzazione, sarà completato
da appelli ad un maggior coinvolgimento nella società egiziana della minoranza
139
copta e delle donne. Le disposizioni per le tornate elettorale (un sistema di
candidature indipendenti) modificarono anche il comportamento della Fratellanza
durante la campagna: ci si concentrò maggiormente sul programma individuale
dei singoli candidati più che su un programma generale, privilegiando quindi il
legame del candidato col territorio e la rete di contatti figlia dell’opera
assistenziale. I Fratelli si limitarono inoltre a candidature “sicure”, ed evitarono
manifestazioni di piazza per non irrigidire l’atteggiamento nei loro confronti. Al
di là dell’ovvio collegamento con la repressione subita nei decenni precedenti, c’è
anche una volontà di rompere l’isolamento che il regime aveva costruito:
emblematici gli sforzi di adeguamento ai media più avanzati (è di questo periodo
la nascita del sito web della Fratellanza).
Nonostante questo atteggiamento prudente i timori del governo riguardo
all’associazione non erano venuti meno e come detto arresti e processi sommari
coinvolsero anche membri della Fratellanza assieme ad islamisti radicali; ma fu
l’intervento dell’Alta Corte costituzionale a stravolgere uno scenario politico che
sembrava già segnato. La corte manifestava infatti una notevole indipendenza
rispetto al regime , e particolarmente importante in questo senso fu la sentenza che
prevedeva il controllo degli uffici di voto da parte dei giudici per le elezioni che si
sarebbero dovute svolgere quello stesso anno, e che vide la Fratellanza, coi suoi
17 seggi, restare la principale forza dell’opposizione.
L’inizio del XXIesimo secolo ha portato con se’ in Egitto delle profonde
trasformazioni politiche. Emergono nuovi attori che da diversi punti di vista
contestano la legittimità del regime egiziano e il suo autoritarismo. Il ruolo
assunto dal Movimento egiziano per il Cambiamento (al-Haraka al-misriyya min
ajl al-taghiyr) definito comunemente Kifaya (“Basta”) è l’espressione di una
società civile istruita che ha rotto per la prima volta dopo molti anni la coltre di
silenzio calata sulle azioni di Mubarak. Costituito da rappresentanti di tutta
l’opposizione egiziana, Kifaya si è caratterizzato inizialmente per delle
mobilitazioni di solidarietà alla causa palestinese, nonché contro l’invasione
anglo-americana in Iraq e il progetto del Grande Medio Oriente di marca
statunitense. Ha saputo poi diversificare le proprie rivendicazioni, spostando la
140
propria attenzione su questioni di politica interna. Suo principale obiettivo era di
evitare la possibilità di un passaggio di poteri “ereditario” dal ra’is al proprio
figlio Jamal. Reclamava inoltre riforme costituzionali volte a diminuire il potere
presidenziale sull’intero apparato politico per un pieno processo di
democratizzazione. 181
Altro fattore importante è rappresentato dai magistrati. Attivi sin dalla seconda
metà degli anni Ottanta nel reclamare una maggiore autonomia dell’esecutivo, si
impegnarono poi nel 2000 per il controllo degli uffici elettorali a seguito della già
detta disposizione dell’Alta Corte costituzionale. Hanno allo stesso modo
minacciato di boicottare le operazioni di controllo durante le elezioni del 2005 se
le autorità non avessero loro garantito i giusti mezzi per monitorarne il regolare
svolgimento. Nei mesi successivi si susseguirono le loro denunce di brogli,
accompagnate da manifestazioni di protesta che acquistarono il sostegno di altri
fronti di opposizione.
L’azione di questi attori si è rivelata tuttavia a lungo andare limitata. La ragione
principale risiede probabilmente nel loro carattere urbano e sostanzialmente
elitario, derivante dalla funzione che svolgono nello spazio pubblico e politico
egiziano. Hanno comunque giocato un ruolo importante nella diversificazione
dell’opposizione al regime, delegittimandone l’azione. Pur partendo da logiche
differenti entrambi hanno utilizzato simili pratiche di dissenso, come
manifestazioni, comunicati nei canali satellitari, nuova stampa indipendente sorta
proprio nei medesimi anni.
Tra il 2004 e il 2006 la Fratellanza ha sostenuto questi movimenti di protesta,
anche se in modo ambiguo. È stata tra le fondatrici di Kifaya ed ha seguito con
assiduità l’attività di denuncia dei giudici (anche perché molto spesso i brogli
elettorali andavano proprio a discapito dei Fratelli), tuttavia ha partecipato
attivamente solo alle proteste del maggio 2005, con manifestazioni che
mobilitarono migliaia di persone, mettendo momentaneamente in disparte l’anima
181 Cfr. MASSIMO CAMPANINI, I Fratelli Musulmani…op.cit., p. 37.
141
islamica del movimento e appoggiando le rivendicazioni “secolari” di Kifaya.
Questa mobilitazione durò solo pochi mesi. Dal luglio successivo i Fratelli
sembrano smarcarsi progressivamente dalle rivendicazioni di Kifaya, alternando
manifestazioni con differenti fronti dell’opposizione laica a dichiarazioni di
protesta contro l’autoritarismo di Mubarak, senza però metterne in discussione la
legittimità di governo. Questo atteggiamento ambiguo ha disorientato gli stessi
protagonisti dell’opposizione laica al regime, e in questi anni in molti hanno
avanzato l’ipotesi di un accordo di principio tra piani alti della Fratellanza e
Mubarak: una maggiore visibilità sulla scena egiziana, in cambio di un
riconoscimento della presidenza Mubarak. 182 Gli Ikhwan hanno in effetti
mostrato una spiccata tendenza al compromesso se necessario alla salvaguardia
del movimento. Anthony Santilli sottolinea due importanti fenomeni: da una
parte, è innegabile constatare che i contatti tra Fratellanza e autorità egiziane sono
costanti; dall’altra, all’interno del movimento stesso, si è via via diffuso un
dissenso sospinto dai membri più giovani. 183C’è un atteggiamento dialettico tra le
alte sfere dei due poli direttivi, minato però da questa base “movimentista” che
preme per un’intesa con le altre forze dell’opposizione.
Questa ambiguità di fondo non ha comunque compromesso la mobilitazione per le
elezioni del 2005: le battaglie “civili” dei quel periodo legittimavano la richiesta
di riconoscimento legale da parte dell’associazione, e il seguito popolare non è
mai venuto a mancare. Il sistema delle candidature indipendenti favoriva quei
deputati con solidi legami col territorio e lo stato egiziano aveva ormai rinunciato
a garantire servizi assistenziali. La partita politica si gioca così tra candidati del
PND, che possono sfruttare l’apparato dello Stato-partito, gli esponenti della
nuova borghesia d’affari (che per i risultati ottenuti in campo elettorale sono stati
riassorbiti dal PND dopo le elezioni) e appunto gli Ikhwan. Sono l’unica forza
d’opposizione in grado di garantire una mobilitazione a scopo assistenziale, in
piena continuità con le attività svolte in passato dalla Fratellanza nei sindacati,
nelle università e nelle associazioni caritatevoli. I risultati delle elezioni del 2005
182 TEWFIK ACLIMANDOS, Les Frères : de la clandestinitè au tamkin, in “L’Egypte dans l’année 2005”, pp. 84-89, cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p.38. 183 Cfr. A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p.39.
142
sono stati sorprendenti a detta degli stessi dirigenti Ikhwan, con 88 seggi
guadagnati su 444 in totale. Risultato ancora più importante se si pensa che il
numero totale di candidati del movimento era di 150.
Fino ai recenti avvenimenti (si rimanda all’appendice per un tentativo di analisi
della “primavera araba” che ha sollevato Mubarak poco più di un anno fa,
portando al governo con libere elezioni i Fratelli Musulmani, salvo vederli
decaduti proprio in questi giorni per mano di un altro colpo di Stato dell’esercito
sospinto da parte della popolazione, ndr) la Fratellanza come tale è rimasta
dunque fuorilegge ma il numero di candidati indipendenti eletti in parlamento è
andato aumentando (alle elezioni del 1995 un solo candidato eletto su 444 seggi; a
quelle del 2000 diciassette candidati eletti ; a quelle del 2005 ottantotto) a
dimostrazione di come l’organizzazione abbia mantenuto solide radici popolari
nel tempo184. Quanto quindi pagasse la politica di esclusione totale di Mubarak
nei confronti dei raggruppamenti islamici era ed è oggetto di discussione. C’è chi
ha addirittura sostenuto che proprio tale politica sia stata la principale causa della
radicalizzazione e dell’estremizzazione del fondamentalismo185. Non a caso la
guida della Fratellanza negli anni Ottanta, Mustafà Mashhur, ha affermato che la
sua società, se riconosciuta, avrebbe potuto costituire un bastione contro la
diffusione dell’islamismo estremista. Di fatto l’islamismo “moderato” dei Fratelli
ha rappresentato nell’ultimo decennio un punto di riferimento essenziale e il suo
disegno strategico di islamizzazione dal basso risulta tanto più interessante quanto
più si considera l’importanza del tema dell’intricato rapporto tra Islam e
democrazia.
184 M.CAMPANINI, K.MEZRAN, Arcipelago islam…op.cit., p. 71. 185 Cfr. LAURA GUAZZONE, La transizione politica in Egitto, tra liberalizzazione di regime, “intifadah al-islah” e Fratelli Musulmani, in “Oriente Moderno”, LXXXV, 2005, 2-3, pp. 445-482.
143
CONCLUSIONI
Si è cercato di riassumere le diverse e talvolta intricate fasi attraverso le quali la
Fratellanza ha tentato di costituirsi in gruppo egemonico, e i fattori di resistenza,
esogeni ed endogeni, che questa ha incontrato lungo il percorso verso la propria
legittimazione socio-politica.
Questa legittimazione, oggi come in passato, si è fondata su due fattori
fondamentali: il radicamento sociale dell’associazione e l’ideologia olistica di cui
si è fatta portatrice. L’azione della Fratellanza si è caratterizzata per il
progressivo sviluppo di una flessibile struttura di coordinamento, che ha saputo
rinnovarsi nel tempo garantendo un’azione capillare e diversificata all’interno
della società egiziana. La ragione principale dell’efficienza della sua struttura
risiede nella forte responsabilizzazione dei propri membri per le attività dispiegate
sul territorio: l’affiliato della Fratellanza agisce mettendo in gioco anzitutto se
stesso per il bene collettivo. Questo attivismo è funzionale non alla promozione
del singolo, bensì allo sviluppo del bene comune, secondo i principi di
un’ideologia che forniva ad ogni singola azione una valenza morale.
L’elaborazione di questa ideologia olistica fondata sull’Islam ha permesso una
legittimazione morale anche alla pratica politica. Durante la loro storia, gli Ikhwan
hanno accompagnato l’emergere nel fenomeno politico del discorso islamico, da
una prima fase in cui dominante era il modello secolare occidentale, ad una fase di
maggiore autonomia, dove si è compresa la portata rivoluzionaria del discorso
islamista nell’ opposizione all’egemonia del regime.
Attività quotidiana e opposizione contro-egemonica si sono alimentati a vicenda,
fornendo la dimensione dei successi ottenuti nel tempo dal movimento, sia nel
campo sociale sia nel campo strettamente politico.
Nella storia del movimento le fasi di espansione si sono alternate ad altrettante
fasi in cui l’apparato coercitivo dello Stato egiziano ha tentato di bloccarne
144
l’avanzata. Le conseguenze di questa alternanza sulle strategie del movimento
sono state importanti: da una parte si è rinunciato ufficialmente alla violenza come
strumento politico per fare pressione sul potere costituito, distinguendosi così da
altre organizzazioni islamiche radicali; dall’altra si sono consolidate nel tempo
pratiche e discorsi alla ricerca di un riconoscimento formale. Dagli anni Ottanta
in avanti la Fratellanza ha saputo pragmaticamente adattarsi alle istituzioni che ha
avvicinato (dai sindacati alle associazioni caritatevoli all’Assemblea del Popolo
ecc.), contribuendo alla propria ma anche alla loro modernizzazione.
E’ stata megafono della società civile, reclamando per il Paese un miglioramento
delle condizioni sociali, ma anche una riforma etica e culturale. Ha contrastato il
regime attraverso quegli strumenti da lui stesso creati per mantenere il potere (in
primis la Costituzione), in un atteggiamento “legalista” che ben si colloca nella
lunghissima tradizione del diritto islamico. Ma soprattutto, questo ha permesso
alla Fratellanza di avvicinarsi all’opposizione laica, che , in particolar modo dagli
anni 2000, ha rivendicato una maggiore democratizzazione del Paese.
L’opposizione laica mancava tuttavia di quella solida base sociale vantata dalla
Fratellanza, pertanto le manifestazioni promosse da Kifaya, dal Club dei giudici o
dai giornalisti non hanno saputo coinvolgere la popolazione egiziana, consentendo
così al regime di soffocarne l’azione di protesta. Proteste più marcatamente
sociali non hanno invece necessitato del sostegno e dell’organizzazione di alcun
gruppo “politico” , preferendo una diretta “contrattazione” con le autorità. Sono
manifestazioni figlie dell’impoverimento progressivo che in particolare le classi
operaie egiziane subiscono ormai da più di un ventennio. Qualche anno addietro
gli osservatori sottolineavano una “cultura della protesta” 186 che andava
diffondendosi in Egitto e che sembra confermata dai recenti sconvolgimenti
politici.
Di fronte a queste tensioni, l’atteggiamento della Fratellanza è sembrato piuttosto
ambiguo. Da una parte ha partecipato ai fronti di opposizione civile, pur
186 JOEL BEININ, The egyptian workers movement in 2007, in Chroniques égyptiennes 2007, Cedej, Le Caire 2008, pp.217-38; J. BEININ, L’Egypte des ventres vide, in Le monde diplomatique, maggio 2008, URL: http//www.monde-diplomatiqu.fr/2008/05/BEININ/15861.
145
mantenendo un atteggiamento sostanzialmente distinto. Dall’altra, ha assunto una
posizione maggiormente attendista nei confronti delle mobilitazioni più
spiccatamente sociali, limitando il proprio sostegno ad una timida partecipazione
alle mobilitazioni più imponenti (e di maggior successo) e ad un tardivo impegno
nella penetrazione dei sindacati di categoria. Non si è mai riconosciuta l’esistenza
di un sostanziale conflitto di classe , né la Fratellanza ha mai giudicato questa
serie di proteste come prodotto di una naturale divergenza di interessi tra gli attori
sociali della scena egiziana. Come sottolinea Antonhy Santilli187, l’iniziale
attendismo della Fratellanza di fronte a rivendicazioni sociali animate dalle classi
operaie può esser figlio dell’incapacità di inquadrare il fenomeno nel proprio
orizzonte ideologico. La flessibilità dell’ideologia islamista in riferimento ai
processi economici ha avuto effetti contraddittori: si è passati da un programma
economico dalle tendenze marcatamente “socialiste”, che ha animato il
movimento dalla sua nascita sino al periodo nasseriano, fino al convinto sostegno
al corso neo-liberale. Questa incapacità del movimento di produrre
autonomamente una critica organica ai disequilibri prodotti dalla crisi del sistema
economico egiziano hanno portato gli Ikhwan all’incapacità (anch’essa
apparentemente confermata dal fallimento del recente governo a maggioranza
islamista ndr) di fornire risposte convincenti ad un tipo di mobilitazione come
quella sopra evocata, radicale, spontanea, critica nei confronti del ra’is in maniera
“pericolosa”. Questa incapacità potrebbe impedire a priori al movimento la
possibilità di estendere la propria base di consenso a settori chiave della società
egiziana, che cercano risposte anzitutto ai problemi economici del Paese.
Si può infine fare una riflessione sul rapporto che la Fratellanza ha nel tempo
instaurato col potere. Sin dall’epoca di al-Banna’, l’Associazione ha sempre
tentato di mantenere il contatto coi gruppi dominanti, tendenza accentuata in
seguito alle ondate di repressione che l’organizzazione ha costantemente subito a
partire dell’epoca nasseriana, e che l’hanno condotta ad un’attitudine
187 A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p.41; Sullo stesso tema si vedano anche le riflessioni di HUSAN TAMMAM , PATRICK HAENNI, Les Frères musulmans égyptiens face à la question sociale. Authopsie d’une malaise socio-théologique, in “Institut Religioscope, Études et analyses”, 2009, 20, maggio, URL: http://religion.info/pdf/2009_05_fm_social.pdf.
146
sostanzialmente moderata, con periodi caratterizzati da una chiara propensione al
compromesso. Uno dei problemi principali dell’organizzazione è dunque stato
quello di conciliare i forti principi della propria ideologia con il pragmatismo
dimostrato nelle relazioni col potere. Le giovani generazioni hanno
profondamente modificato gli equilibri interni del movimento, ed hanno spesso
rivendicato una maggiore partecipazione ai processi decisionali in seno alla
struttura, senza però ottenere lo spazio richiesto. Gli esiti del primo progetto del
Hizb al-wasat sono particolarmente indicativi dell’impenetrabilità del gruppo
dirigente, in uno scontro generazionale che si presenta ancora aperto. Quando, nel
2007, la Fratellanza ha annunciato, con la pubblicazione online del proprio
programma, la volontà di costituire un partito politico, ha scatenato una serie di
reazioni che confermano la sostanziale presenza all’interno del movimento di
differenti correnti, determinate a ridiscutere le strategie generali. Sul finire del
XXI secolo la Fratellanza è apparsa preoccupata soprattutto di mostrarsi
all’esterno come un movimento “accettabile”, pronto a prendere le redini del
potere, anche grazie alla crisi di legittimità di Mubarak e alle nuove aperture degli
Stati Uniti dell’era Obama.
Il progetto egemonico islamista della Fratellanza sembrava in questa fase essersi
dissolto in obiettivi di breve/medio periodo, come il riconoscimento ufficiale.
Obiettivi che distolgono al tempo stesso da un orizzonte futuribile diverso da
quello attuale, in cui la distanza tra élite dirigente, concentrata nella tessitura di
contatti con il mondo istituzionale egiziano ed internazionale, e base eterogenea
del movimento, sembra minarne l’organicità. Organicità che è uno degli elementi
chiave che avevano permesso al fondatore della Fratellanza di costruire un inedito
rapporto con le masse, responsabilizzate e coinvolte in un progetto con una forte
legittimazione morale.
In definitiva, la Fratellanza sembra oggi imbrigliata da quell’ambiguità di fondo
che non considera sufficientemente né la portata destabilizzante dei dissidi
endogeni, né l’assoluta priorità del discorso socio-economico in questa delicata
fase storica per il Paese. La funzione contro-egemonica, che in certi momenti
147
della loro storia i Fratelli sono stati in grado di portare avanti in maniera
estremamente efficace, sembra mal conciliarsi con la pratica di governo a cui
parte del movimento mirava; ed altrettanto contradditorio appare il rapporto tra
istituzionalizzazione dell’associazione e sua ideologia rivoluzionaria. Alla luce
dei recenti avvenimenti si può forse azzardare che il ruolo ed il successo dei
Fratelli Musulmani siano minacciati più dall’ambiguità delle dinamiche interne
che non dall’azione di altri attori politici egiziani o internazionali.
148
I FRATELLI MUSULMANI NEL MONDO ARABO:
GIORDANIA, SUDAN, MAGHREB
In verità questa vostra Comunità
è una Comunità unica e Io sono il vostro Signore.
CORANO XXIII,23
L’Egitto è certamente il Paese a cui è legata a doppio filo la Fratellanza
Musulmana, ciò non toglie che ramificazioni dell’Associazione si siano sparse in
tutto il mondo arabo ed oltre, pur non ricalcando in tutto e per tutto i caratteri
dell’associazione madre.
Ispirandosi a Qutb e ad altri pensatori, negli anni Settanta germinarono dalla
Fratellanza Musulmana, oltre ai partiti islamisti, anche molteplici avanguardie
estremiste, che talvolta scelsero la lotta armata e il terrorismo. Queste avanguardie
estremiste rovesciarono l’impostazione originaria data da al-Banna’: non più
islamizzazione “dal basso” grazie alla propaganda e all’educazione, ma
islamizzazione “dall’alto”, imposta con la violenza a prescindere dall’assenso o
meno di chi la subiva. Questa svolta radicale, tuttavia, separa in modo netto il
corpus principale dei Fratelli dalle sue derivazioni più o meno dirette.
La radicalizzazione dei movimenti islamisti tra gli anni Settanta e Novanta del
Novecento assunse diversi aspetti. Si è detto dell’Egitto nel capitolo precedente,
ma anche in altre parti del mondo arabo e islamico la presenza islamica andava
intanto a consolidarsi. Ci concentreremo sui casi della Giordania, del Sudan e
dell’area del Maghreb, pur senza ignorare l’importanza e la particolarità del caso
iraniano ed il “laboratorio islamista” costituito dall’Afghanistan.
Il trionfo della rivoluzione di Khomeini in Iran nel 1979 e l’invasione sovietica
dell’Afghanistan dello stesso anno, impressero infatti al radicalismo islamico una
svolta decisiva.
149
La rivoluzione iraniana e la nascita della Repubblica Islamica dimostrarono non
solo che un moto popolare poteva abbattere un regime dispotico, ma soprattutto
che era possibile instaurare un nuovo sistema politico totalmente ispirato a
principi islamici.188 La dottrina politica sciita tradizionale, o almeno quella
imamita o duodecimana professata in Libano, in Iraq meridionale e appunto in
Iran, afferma che, in assenza dell’imam, occultato e atteso, ogni formazione
politica è illegittima, per cui i fedeli devono mantenere una posizione quietista e
silenziosa, rinunciando a rivendicare il potere. Sebbene preparata da riflessioni
teoriche importanti o da un lavoro di stampo giuridico da parte di alcuni centri di
cultura sciita, la teoria e la prassi politica di Khomeini costituirono in questo
senso una vera svolta. Per l’ayatollah i giurisperiti hanno il dovere e il diritto di
sostituire l’imam occultato nelle funzioni politiche. Ciò portava a credere che la
realizzazione dello stato islamico fosse possibile e che, anzi, l’Iran khomeinista ne
rappresentasse l’incarnazione.
In Afghanistan si concentrarono invece tutti coloro che, in nome dell’Islam,
volevano combattere l’ateismo e il comunismo sovietico. Questi mujahedin
furono generosamente sovvenzionati e armati sia dagli Stati Uniti (per combattere
il tradizionale nemico), sia dall’Arabia Saudita (per guadagnare l’egemonia sul
movimento islamico internazionale). Tuttavia, questo lasciò via libera a milizie
fanatiche come i talebani, che una volta impadronitisi del potere instaurarono un
regime oscurantista e violento; e favorì l’addestramento e l’ideologizzazione di
gruppi armati che, finita la guerra, e crollata l’Unione Sovietica , sarebbero tornati
nei Paesi d’origine, come Tunisia, Egitto o Giordania, con una grossa esperienza
di guerriglia e con la convinzione che la lotta armata avrebbe potuto instaurare
dovunque lo Stato islamico.
Dal momento che come detto i Fratelli Musulmani sono una realtà polimorfa,
capace di adattarsi alle specificità nazionali dando vita a partiti più o meno affini
alla matrice egiziana, si sono scelti tre casi di studio per rappresentare altrettante
188 Cfr. MASSIMO CAMPANINI, KARIM MEZRAN , Arcipelago Islam. Tradizione, riforma e militanza in età contemporanea, Editori Laterza, Bari 2007, pp. 76-77.
150
realtà nazionali dell’associazione: il Sudan, la Giordania, e l’area del Maghreb,
con un confronto tra realtà marocchina e tunisina.
I FRATELLI MUSULMANI IN GIORDANIA
Premessa essenziale per lo studio del fenomeno della Fratellanza Musulmana è
l’osservazione del suo sviluppo nella specificità dei contesti storico-geografici. In
altre parole occorre considerare l’Associazione non come una concezione astratta
dell’attivismo islamico, ma come frutto di precisi processi di interazione tra tutti
gli attori sociali coinvolti, tra cui gli attivisti stessi, lo Stato, e la società , in questo
caso, giordana. In questo senso anche qui come in Egitto va immediatamente
rilevata l’importanza fondamentale della rete di associazioni coerenti con
l’ideologia. Il movimento islamista giordano ha infatti diffuso i propri valori nella
società civile dal basso, in particolar modo reclutando simpatizzanti tra la classe
media, anziché sfidando direttamente il potere dello Stato. Una strategia che si è
qui dimostrata particolarmente efficace sin dalla nascita della filiale, nel 1945, e
fino all’inizio degli anni Novanta. Per quasi cinquant’anni addirittura i Fratelli
Musulmani giordani sono sembrati l’esempio di un movimento islamista
perfettamente integrato nelle istituzioni e nella via politica nazionale, un
fenomeno definito appunto come “eccezione giordana” 189. Ciò è stato possibile
grazie all’atteggiamento moderato e lealista del movimento che, pur senza
rinnegare l’ispirazione panislamista, ha sostenuto, per convinzione e per interesse,
la monarchia hashemita giordana. Tale strategia è stata attuata sullo sfondo
dell’illuminata visione politica di Re Hussein, deciso ad allargare il più possibile
le basi dello Stato giordano. Gli ultimi venti-trent’anni hanno tuttavia determinato
una profonda crisi del movimento: i Fratelli si sono divisi in fazioni e il prevalere
di componenti filo-palestinesi radicali ha determinato lo sgretolamento del
“blocco storico” tra classe media religiosa e gioventù urbana povera, costruito dal
189 MANSOOR MOADDEL, Jordanian exceptionalism. A Comparative Analysis of State-Religion Relationship in Egypt, Iran , Jordan and Syria, Palgrave, New York 2002, cit. in DANIELE ATZORI, I Fratelli Musulmani in Giordania, in (a cura di) MASSIMO CAMPANINI, KARIM MEZRAN , I Fratelli Musulmani nel mondo arabo, Utet, Torino 2010, p.72.
151
movimento nei decenni precedenti, inaugurando un periodo di crescente
marginalizzazione. 190 Proprio questa “palestinizzazione” dei Fratelli Musulmani,
la cui leadership è stata espugnata da elementi vicini ad Hamas, ha in sostanza
minato almeno per ora il progetto islamista di costruzione di un’autentica “volontà
nazional-popolare”, e vanificato i precedenti, fruttuosi, sforzi del movimento
islamista di creare quel “blocco storico” tramite una rete di istituzioni sociali
islamiche.
I FRATELLI E LO STATO GIORDANO
Il processo di formazione dello Stato e dei Fratelli Musulmani giordani aiutano a
comprendere la particolare natura delle loro relazioni. La Giordania sorse dal
crollo dell’Impero Ottomano durante la prima Guerra Mondiale e la conseguente
attribuzione da parte della Società delle Nazioni dei territori ad esso appartenenti
alle potenze vincitrici. Il mandato sull’area transgiordana, a est del fiume
Giordano, e cisgiordana, a ovest dello stesso, fu assegnato all’Inghilterra. Nel
1921, Londra affidò il controllo dell’area transgiordana ad ‘Abdallah, figlio di
Hudayn Ibd ‘Ali, discendente del Profeta Muhammad e sharif della Mecca.
‘Abdallah, che aveva combattuto al fianco degli alleati contro il Califfato
ottomano (quindi contro altri musulmani, con la promessa di un grande Stato
arabo ad est di Suez) doveva ora presidiare un’area delicata, arginando sia il
mandato francese in Libano e in Siria, sia l’espansione del recente “focolare”
ebraico. La Giordania (allora Trans-giordania), la terra affidata ad ‘Abdallah,
sorse dunque per iniziativa inglese, priva di una reale identità storica o geografica.
‘Abdallah dovette unificare le tribù beduine che abitavano la zona, affidandosi
alle risorse finanziarie e militari messe a disposizione dall’Inghilterra. La struttura
di potere che mise abilmente in piedi si basava su una concezione tribale fondata
sulla fedeltà personale e sulle clientele; ma una formidabile fonte di
190 Cfr. D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p.72.
152
legittimazione era garantita anche dall’appartenenza della monarchia alla dinastia
hashemita, cioè alla famiglia del Profeta. 191
La società dei Fratelli Musulmani giordani nacque nel 1945, per iniziativa di Abu
Qurah, facoltoso mercante della città settentrionale di Salt. Il movimento si
caratterizzò inizialmente per la promozione del jihad contro gli stanziamenti
ebraici nei territori ad est del Giordano, embrione dello Stato di Israele. Inoltre i
Fratelli miravano a contrastare la presenza inglese, e ridurre la penetrazione dei
valori occidentali nel proprio Paese, esattamente come la compagine di
riferimento egiziana. Sebbene questo programma fosse potenzialmente una causa
di scontro con ‘Abdallah, che dal 1945 divenne Re della Giordania, i Fratelli
evitarono lo scontro frontale, optando piuttosto per un’opera di da’wa, di appello
alla conversione. Fu un tacito patto con la dinastia hashemita, che garantì fino
agli anni Novanta ai Fratelli giordani uno status privilegiato rispetto ai loro
confratelli in altri paesi arabi, nonché, sin dalla loro nascita, un riconoscimento
legale 192. ‘Abdallah dal canto suo vide nei Fratelli dei preziosi alleati, in grado di
sostenere la legittimità del suo Regno, basata sulla discendenza dal Profeta. Gli
Ikhwan potevano costituire un baluardo contro la diffusione di ideologie secolari
come il comunismo e il socialismo, che avrebbero potuto erodere sia l’assetto
sociale edificato da ‘Abdallah sia la legittimazione religiosa del suo potere. 193
Nel 1953 lo status dell’associazione cambiò da “società di beneficenza” a
“comitato islamico generale e onnicomprensivo”, il che garantì loro maggior
libertà e autonomia legale. Quando, nel 1957, tutte le formazioni politiche furono
sciolte, loro non toccò lo stesso destino proprio perché non erano partito politico
de iure, ma “solo” de facto. Poterono così partecipare alle elezioni de 1962 e del
1967, ed operare alla luce del sole mentre i loro corrispettivi egiziani o siriani
venivano incarcerati. Durante gli anni Ottanta, le relazioni tra governo siriano e
giordano si fecero particolarmente tese, e la posizioni dei Fratelli Musulmani e del
191 Cfr. PHILIP ROBINS, A History of Jordan, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. 16-34, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p.77. 192 Cfr. MARION BOULBY, The Muslim Brotherhood and the Kings of Jordan, 1945–1993, Scholars Press, Atlanta 1999, pp. 37-72, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p. 77. 193 D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p. 78.
153
governo di Amman finirono per coincidere: i Fratelli siriani trovarono rifugio in
Giordania, e la Fratellanza divenne funzione della politica estera giordana. 194 Si
può dunque dire che gli Ikhwan giordani svilupparono una relazione strettissima,
quasi simbiotica, col regime hashemita.
Nella storia dei Fratelli giordani chiave di volta è però la questione palestinese.
La popolazione giordana era, fino al 1948, costituita da popolazioni arabe
genericamente identificate come “transgiordane”, ovvero provenienti dalle terre
ad est del fiume Giordano (East Bank). Quando, nel 1948, la Giordania si schierò
a fianco del fronte arabo contro il nascente Stato di Israele, annettendo la
Cisgiordania (West Bank) si trovò a dover gestire circa 450.000 palestinesi qui
residenti, oltre a circa 350.000 profughi in fuga da Israele. I profughi palestinesi,
che si stanziarono principalmente nei centri urbani di Ammam, Zarqa, e Irbid,
alterarono drasticamente la situazione etnica e demografica del Regno hashemita.
Parte di essi entrò nel tessuto cittadino, molti palestinesi dovettero però
accontentarsi dei campi profughi in cui buona parte dei profughi vive tuttora.
Nel 1951 Re ‘Abdallah venne assassinato, dopo il breve Regno di Talal, a salire al
trono fu Hussein, nel 1953. Nel 1963 un’altra guerra vide scontrarsi Giordania ed
Israele, per una clamorosa sconfitta che costò l’occupazione da parte ebraica della
Cisgiordania, dalla quale circa 300.000 palestinesi fuggirono in Giordania. L’Olp,
l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, creò basi nel Regno,
formando una sorta di Stato nello Stato da cui attaccare Israele. Il regime di Re
Hussein, temendo così di perdere il controllo su parte del proprio territorio,
scatenò un’offensiva contro l’Olp, dando origine alla guerra civile degli anni
1970-1971, la cui fase più acuta è conosciuta come “settembre nero”. Circa 3400
palestinesi persero la vita e i movimento di resistenza palestinese fu bandito dalla
Giordania. I Fratelli Musulmani giordani non parteciparono all’insurrezione dei
palestinesi, anzi, sostennero le istituzioni giordane. Riuscirono pertanto a farsi
carico delle rimostranze sociali della popolazione palestinese e non, senza però
opporsi al regime, tanto che negli anni successivi la disillusione verso l’opzione
194 Ibid.
154
laica dell’Olp spinse un numero crescente di palestinesi a identificare la propria
causa proprio nel progetto islamista dei Fratelli. Il nazionalismo secolare fu anzi
considerato da questi responsabile delle sconfitte del popolo palestinese, sulla scia
del fallimento del sogno socialista e panarabo di Nasser, e l’islamismo militante
fu interpretato come unica vera possibilità di riscossa.
Anche in questo caso, l’ideale islamico era quello dell’età dell’oro dei “quattro
califfi ben guidati”, e la strada per la sua realizzazione la shari’a. L’ideologia
islamista si diffuse sia tra i ceti medi sia tra i ceti popolari, attraendo soprattutto,
ma non esclusivamente, i palestinesi. Nota Atzori come dai palestinesi fosse
privilegiato l’aspetto riformatore e talvolta rivoluzionario del messaggio islamista,
laddove i transgiordani privilegiavano la componente di conservazione sociale195.
I giordani di origine palestinese sono ormai metà della popolazione totale e molti
di loro non si sono mai identificati con lo stato Giordano, rimanendo in primo
luogo palestinesi. Molti di costoro si sentono anzi traditi dal Regno hashemita,
soprattutto dopo la distensione portata avanti con Israele e culminata negli accordi
del 1994. La delusione non ha intaccato le basi dello Stato Giordano, ma ha
prodotto profonde modifiche nel movimento islamista del Paese. Benché ad
Occidente la Giordania appaia essenzialmente come un Paese laico, la sua società
è fortemente imbevuta di valori islamisti in campo sia sociale sia politico. Non è
solo un’influenza culturale islamica sul modo di vivere dei cittadini giordani, ma
una vera e propria concezione ideologica che non conosce barriere di classe, una
ideologia che interessa il piano sociale, politico ed economico. Si dovrebbe però
in realtà parlare di diverse componenti, quindi di “islamismi”: il paesaggio dell’
Islam politico giordano è variegato, tra Fratelli Musulmani, innumerevoli correnti
salafite, comunità sufi, Islam tradizionale "tribale"...un substrato islamista
composito che si muove al di sotto dall'Islam "ufficiale", cardine della
legittimazione del potere hashemita196.
L’islamizzazione della società giordana si inserisce nel più generale contesto di
diffusione dell’Islam politico degli anni Settanta visto nel capitolo precedente, ma 195 Ivi, p. 80. 196 Ibid.
155
trova qui delle condizioni peculiari che ne favoriscono l’attecchimento. In primo
luogo, in ragione del fatto che l’identità giordana stessa è un prodotto recente
quanto la nascita dello stato Giordano, e poggia quindi su fragili fondamenta. Si
tratta di un’identità che si è anzi paradossalmente rafforzata con l’integrazione dei
profughi palestinesi tra il ‘48 e il ‘67, proprio in contrapposizione all’identità dei
nuovi arrivati. Questi ultimi sono di origine palestinese ma non possono tornare
nella patria natia, e al tempo stesso pur avendo cittadinanza giordana non si
considerano propriamente “giordani”, ne come tali sono accettati. Inoltre la
Giordania ospita minoranze circasse e cecene, integrate economicamente ma
fieramente non-arabe. Vi è poi il fattore religioso a rappresentare un ulteriore
elemento di disgregazione identitaria, con le minoranze arabe cristiane; infine la
nutrita minoranza di profughi iracheni, in fuga dalla seconda Guerra del Golfo.
Solo l’abilità politica di Re Hussein ha saputo mantenere insieme fino ad ora
questo crogiolo di popoli ed identità differenti, se si escludono momenti di forte
tensione come i già citati fatti del biennio ‘70-‘71. I Fratelli Musulmani hanno
giocato un ruolo cruciale nella ricerca di un’identità nazionale. Sottolineando
l’appartenenza all’Islam, prima di quella etnica, hanno favorito l’unione del
popolo Giordano attorno alla figura del Re. Anche laddove hanno esercitato un
ruolo di critica ai governi, essi non hanno mai toccato la monarchia, nè i
fondamenti dello Stato e dell’identità giordana. L’Islam è così stato sapientemente
utilizzato dagli hashemiti con l’aiuto dell’Associazione per cementare l’unità
nazionale giordana ed arginare le spinte centrifughe. Esito di questa riuscita
collaborazione tra Fratelli e casa regnante non poteva che essere la forte
islamizzazione della società. L’alleanza con i Fratelli non è servita al Re ad
arginare esclusivamente le potenzialmente dilanianti differenze etniche. I Fratelli
avevano infatti frenato anche la penetrazione nel Paese del comunismo e del
panarabismo, sedato l’irredentismo palestinese e contribuito a disinnescare la
diffusione della cosiddetta "rivolta del pane" del 1989 nelle aree urbane. Gli anni
Novanta furono difatti anni di grandi cambiamenti politici, economici e sociali, in
cui la Giordania si distinse agli occhi del mondo come esempio di un Paese che
accettava le sfide della globalizzazione cercando al tempo stesso di integrare il
156
movimento islamista all’interno del proprio sistema politico e socio-economico.197
Quando, nel 1989, l’ondata di proteste della “rivolta del pane” scosse il sud del
Paese, il regime non rispose con una repressione, come accaduto anni addietro nel
“settembre nero”, nonostante le preoccupazioni per una sollevazione che vedeva
come protagoniste proprio le aree abitate da transgiordani, e non da palestinesi, e
che scuoteva quindi le basi stesse della monarchia. I Fratelli non solo non
appoggiarono la protesta, ma contribuirono a calmare le acque, esattamente come
nel 1970. Dopo la rivolta il regime decise di avviare una serie di liberalizzazioni
politiche, permettendo elezioni democratiche nel Paese. Seguirono riforme
politiche ed economiche volte a promuovere democratizzazione e sviluppo198e
furono proprio queste liberalizzazioni a compensare agli occhi dell’opinione
pubblica il sostanziale ritiro dello Stato sul piano del welfare. Re Hussein
indisse le prime elezioni dal 1967, e la Fratellanza conquistò ben 34 seggi su 80,
mostrandosi come principale forza nel Paese: il Fratello Musulmano ‘Abd al-Latif
‘Arabiyyat venne eletto Presidente del nuovo Parlamento.
Gli Ikhwan svolsero un ruolo fondamentale nel legittimare i cambiamenti sociali e
politici e la modernizzazione del Paese, oltre che nel costituire un baluardo contro
la penetrazione del comunismo e del nasserismo, considerate forze centripete e
destabilizzanti. La tradizione di coabitazione e collaborazione tra il regime e il
movimento ebbe origine nella scelta, condivisa da entrambi, di lasciare al primo i
controllo della società politica, e al secondo l’egemonia sulla società civile.
Questa strategia pragmatica si rivelò particolarmente efficace nella promozione di
un vasto e ramificato settore privato islamico, volto a permeare la società di valori
islamici senza sfidare il potere. Esattamente come in Egitto, I Fratelli dedicarono
particolare attenzione al settore dell’educazione, grazie in particolare allo stretto
controllo esercitato sul Ministero dell’Educazione: Ishaq al-Farhan, importante
esponente del movimento, ricoprì infatti la carica di Ministro dell’Educazione
197 Ivi, p.82. 198 WARWICK KNOWLES, Jordan since 1989. A study in political economy. I.B. Tauris, Londra-New York 2005, pp. 80-81, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p. 83.
157
dall’ottobre 1970 al novembre del 1974.199 Ciò garantì ai membri della sua
associazione un accesso privilegiato all’impiego come insegnanti nelle scuole
statali, inoltre il Fratello Musulmano Kamil al-Sharif fu Ministro per gli Affari
Religiosi (Awqaf) tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta,
assicurandosi una forte influenza sulle moschee, fondamentale luogo di
produzione e promozione dell’Islam ufficiale.
I movimenti islamisti giovanili spodestarono i gruppi di sinistra nelle università
anche grazie all’aiuto del governo secondo uno schema già visto in Egitto, gruppi
marxisti che negli scontri del 1970 avevano appoggiato la fazione palestinese.
Anche nelle associazioni professionali i Fratelli riuscirono a guadagnarsi un ruolo
egemonico sin dalla metà degli anni Sessanta.200
L’assistenza ai ceti più poveri rimaneva ovviamente una peculiarità
dell’associazione, tramite la quale poté conquistare un ampio consenso. In
particolare, motore di questo processo fu la Islamic Center Society, in prima linea
nel fornire servizi sanitari e nell’organizzare eventi volti a diffondere i valori
islamici, attraverso cui i Fratelli controllavano tutta una serie di altre importanti
istituzioni. La capillare opera di penetrazione, del tutto simile a quella già
analizzata per il caso egiziano, in Giordania fu facilitata dall’assenza di
competizione, dal momento che movimenti di diversa ispirazione non godevano
di riconoscimento legale, lasciando così alla Fratellanza la possibilità di
espandersi in diversi settori, dalla finanza all’editoria . Essendo il cuore politico
dello Stato precluso ai Fratelli, il mercato divenne uno dei principali spazi di
opportunità a loro disposizione. Ciò consentì lo sviluppo di un dinamico settore
privato islamico, che godeva dell’appoggio del governo, oltre che del sostegno
attivo e materiale dei Fratelli che operavano nelle istituzioni.
Questa suddivisione di compiti favorì la stabilità sociopolitica giordana, poiché lo
Stato poté disinvestire risorse dal welfare, in particolare in concomitanza con
l’adozione delle politiche neoliberiste varate a partire dagli anni Ottanta. I Fratelli
199 SHMUEL BAR, The Muslim Brotherhood in Jordan, The Moshe Dayan Center for Middle Eastern and African Studies, Tel Aviv 1998, p. 32, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p 85. 200 P.ROBINS, A History of Jordan…op.cit., pp. 129-132.
158
non appoggiarono queste politiche neoliberiste per profondo convincimento
ideologico, ma in ragione del fatto che la loro implementazione avrebbe
determinato un ritiro dello Stato dal settore assistenziale, comportando quindi
l’estensione della loro egemonia sulla società civile.
Il mercato era un settore privilegiato nell’ottica dell’obiettivo di fondo, cioè
costruire una società islamica tramite l’islamizzazione dal basso, attraverso la
fondazione di miriadi di islamic social institutions e la promozione dell’islamic
business. La visione economica dei Fratelli può essere avvicinata al principio di
sussidiarietà: lo Stato dovrebbe limitarsi a svolgere solo le funzioni che la società
civile non è in grado di svolgere. In un’economia basata sulle rendite e dalle forti
caratteristiche tribali, i Fratelli svolsero un ruolo “moderno” nella promozione di
un’economia basata sul settore privato, e tendenzialmente autonoma dalle
tradizionali reti clientelari dello Stato 201, determinando un’economia non basata
su una logica meramente neo-liberista ma appunto “sussidiaria”, solidale e
comunitaria. Questo originale esperimento giordano è figlio ovviamente delle
particolari condizioni sociopolitiche e delle specifiche interazioni tra gli attori
sociali che contraddistinguono il caso giordano più che dalla natura del
movimento islamista, che in Giordania non si presenta come movimento contro-
egemonico ma come parte integrante del tessuto sociale.
La Fratellanza ebbe anche un ruolo attivo nella nascita di un settore bancario
islamico. La sua genesi a livello globale è stata interpretata come frutto
dell’accordo, negli anni Settanta, tra i detentori di rendite petrolifere e settori del
tradizionale ceto degli ‘ulemā’ 202 : quando parte dell’immenso eccesso di
liquidità derivante dallo shock petrolifero fu investito nella creazione delle
cosiddette banche islamiche, alcuni ‘ulema’, in cambio di ben remunerati
impieghi nel settore bancario e del riconoscimento del proprio status, diedero
l’ imprimatur all’esperimento, garantendo con i propri pareri legali (fatwa)
201 BJORN OLAV UTVIK, The Pious Road to Development. Islamist Economics in Egypt, Hurst & Company, Londra 2006, pp. 150 ss., cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p.87. 202 MONZER KAHF, Islamic Banks: The Rise of a New Power Alliance of Wealth and Shari’a Scholarship, in (a cura di) CLEMENT HENRY, RODNEY WILSON, The Politics of Islamic Finance, Edimburgh University Press, Edimburgo 2004, p.17, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p.89.
159
“l’islamicità” delle banche. In questo modo vedevano parzialmente riconosciuto il
proprio prestigio tradizionale, messo in crisi dall’avvento della modernità che
rischiava di farne dei semplici impiegati statali a servizio dei governi. Lavorare al
servizio delle banche islamiche sarebbe stato per loro più redditizio e li avrebbe al
tempo stesso emancipati dallo stretto controllo politico dello Stato. Venne così a
crearsi un nuovo solido blocco di potere, cementato dai petroldollari e dalla
legittimazione religiosa. Alcuni governi dei Paesi arabi individuarono in questa
lobby transnazionale un potenziale alleato, in grado di fare da argine alle
opposizioni sia delle sinistre sia dell’emergente islamismo radicale eversivo.
Questo blocco era una garanzia di stabilità benché non subordinato ai governi, e
questi, in primis l’Egitto di Sadat, riconobbero e garantirono numerosi privilegi
alle neonate banche islamiche, che godevano così di legittimità sia religiosa sia
politica. Il ceto medio islamista divenne parte integrante di questo sistema:
costituito sia da vecchi proprietari terrieri sia da professionisti, questa classe
media era autonoma dal potere centrale perché non inserita nei quadri della
burocrazia statale, e non doveva quindi le sue fortune alle rendite concesse dai
governi in modo clientelare; al tempo stesso per la conservazione del blocco
sociale era “alleata” dei governi nell’arginare le contestazioni, soprattutto da
sinistra, che avrebbero potuto mettere in discussione il proprio status quo. Il
blocco islamista era insomma un alleato dello Stato, ma autonomo ed in grado di
“negoziare”.
In Giordania, così come in molti altri stati arabi, questa classe media islamista
costituì il principale cliente delle banche islamiche e la laro principale fonte di
forza lavoro qualificata, in quanto questo ceto moderno era composto in buona
parte da persone con formazione occidentale, spesso di tipo scientifico o
economico e con padronanza della lingua inglese.
Proprio questa classe media costituiva il principale ceto sociale di riferimento dei
Fratelli Musulmani, come attestato per altro dalla penetrazione della Fratellanza
nelle associazioni professionali. La Jordan Islamc Bank nacque dalle idee
dell’economista Sami Hamud, ex dipendente della Jordanian National Bank e
figlio di uno studioso di scienze islamiche. Dopo aver dimostrato la realizzabilità
160
teorica di un sistema bancario compatibile con i principi dell’Islam, Sami Hamud
cercò di metterlo in pratica. Per fare ciò necessitava del consenso governativo in
quanto l’istituzione di una banca islamica nel Paese richiedeva l’approvazione
mediante una legge ad hoc. Incassato il “no” del presidente della Arab Bank per
la promozione del suo progetto, l’appoggio gli venne dato dai Fratelli Musulmani.
La Fratellanza fece partecipare Sami Hamud ad un talk show televisivo rendendo
le sue teorie molto popolari, nel frattempo svolse un’azione di lobbying tramite i
propri appoggi nel governo , in particolare grazie a Kamil al-Sharif, ministro degli
Awqaf203. L’alto profilo del progetto convinse il principe saudita Muhammad al-
Faysal a credervi e promuoverlo: Hamud fu invitato in Arabia Saudita, e al-Faysal
incontrò il principe Hasan, quindi la questione fu presentata al Consiglio dei
Ministri giordano che nel 1977 approvò l’istituzione di una banca islamica,
ratificata l’anno successivo.
La nascita di un istituto di credito islamico vicino ai Fratelli musulmani fu reso
possibile grazie alle risorse a disposizione grazie alle ricchezze petrolifere dopo la
crisi del 1973, ma anche grazie allo sviluppo teorico della cosiddetta economia
islamica, disciplina che aspira fondere il rigore dell’economia con l’ispirazione
morale e i precetti legali dell’Islam, impresa che coinvolse studiosi di tutto il
mondo islamico e nella quale il giordano Hamud rivestì un ruolo importante.
Molti islamisti accusano le banche islamiche di essere in realtà tali solo di nome,
preferendo depositare il proprio denaro in informali associazioni di risparmio,
considerate il miglior modo di rispettare i dettami dell’Islam e di rinsaldare la
fiducia tra le persone coinvolte, ma è comunque innegabile che la creazione di un
sistema finanziario islamico svolse un ruolo fondamentale nella promozione
dell’islamismo in Giordania. Per quanto riguarda la Fratellanza, essendole
precluso il potere politico nel delicato equilibrio raggiunto con la monarchia, il
mercato diveniva il principale spazio di opportunità in cui esprimere le proprie
velleità di islamizzazione della società. Inoltre la creazione della banca islamica
ha dato modo di finanziare quelle innumerevoli attività economiche, movimenti e
istituzioni in qualche modo riconducibili al movimento. La finanza islamica si
203 Cfr. D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., pp. 89-93.
161
delinea così causa ed effetto al tempo stesso dell’integrazione del movimento
islamista in seno alla società giordana. Anche per questo le riforme economiche
degli anni Novanta hanno rappresentato agli occhi dell’associazione
un’opportunità e non una minaccia, nella loro modernizzazione, e si può dire che
la Fratellanza in Giordania abbia nel corso di questi anni interpretato l’Islam in
chiave moderna, di certo più di quanto non abbia fatto il movimento-madre
egiziano. Va però sempre tenuto presente come i Fratelli Musulmani giordani
abbiano sostenuto le liberalizzazioni economiche e politiche per esigenze
essenzialmente tattiche: il loro fine ultimo non è la democrazia liberale ma una
“democrazia islamica”.
L’Islam politico tendeva tuttavia ad essere letto come un’ideologia democratica,
per il rilievo dato ai concetti di partecipazione e di consultazione (shurà) e
vagamente socialista, per l’enfasi sul concetto di giustizia sociale, redistribuzione
della ricchezza e lotta alle rendite. Erano messaggi, questi, di cui la Fratellanza si
faceva promotrice facendo presa sul proletariato urbano, spesso composto da
profughi palestinesi, turbati da prospettive economiche incerte e drammatiche
crisi d’identità. Era un messaggio populista in grado di mobilitare le masse ma
senza mettere in discussione come detto l’assetto sociale esistente. Il linguaggio
della Fratellanza riusciva anzi a costituire un “blocco storico” tra la gioventù
urbana povera e la classe media religiosa, edificando una volontà comune,
possiamo dire “nazionale”, attraverso l’uso di simboli comprensibili da tutti. Non
solo il proletariato urbano, ma la stessa classe media colta cercava difatti
nell’Islam politico moderato della Fratellanza una soluzione alle proprie
frustrazioni, in questo caso derivanti da un peso politico non ritenuto
proporzionato al proprio contributo alla vita economica e sociale giordana. Fu
questa capacità di far convergere interessi eterogenei a permettere ai Fratelli di
estendere la propria influenza sulla società giordana fino agli anni Novanta.
La classe media islamista che abbiamo descritto tende per sua natura ad
allontanare svolte rivoluzionarie, al contrario auspica una serie di profonde ma
graduali riforme che incrementino l’aderenza della società agli standard sia morali
162
sia legali fissati dalla tradizione islamica a cui è stata sensibilizzata. L’islamismo
esprime la volontà di emancipare sia i ceti poveri (che reclamano giustizia sociale)
sia la nuova classe media islamista (che chiede un’influenza politica maggiore)
dal controllo statale. L’Islamic Action Front Party, espressione politica della
Fratellanza fondato nel 1992, ha fatto uso di entrambi questi discorsi, appellandosi
alla giustizia sociale e alla “democrazia islamica”, evocata da concetto islamico di
shurà (“consultazione”), che rivela la volontà della classe media di prendere parte
al processo decisionale. 204 L’IAFP ha preso parte alla vita parlamentare giordana,
talvolta in opposizione talvolta a sostegno dei governi, dimostrando un notevole
pragmatismo pur sorretta dai principi religiosi. Una partecipazione democratica
che ha contribuito ad isolare i gruppi più estremisti, come i salafiti. Tali premesse
lasciavano intravedere un rafforzamento sia delle basi democratiche dello Stato
giordano, delle sue istituzioni e della stessa monarchia hashemita (che avrebbe
ridotto l’aspetto coercitivo in favore del gioco democratico), sia degli islamisti,
che si sarebbero integrati pienamente nel sistema. Gli ultimi decenni però
documentano che quanto auspicato non è avvenuto.
CRISI DEL BLOCCO STORICO e PALESTINIZZAZIONE
Fino alla fine degli anni Ottanta i Fratelli Musulmani erano stati tendenzialmente
uniti, fedeli sia ai valori comunitari di al-Banna’ sia alla strategia di
collaborazione con la dinastia locale scelta da Abu Qarah, primo leader della
sezione giordana. Gli anni Novanta furono invece segnati, nel mondo islamico,
dal tentativo di gruppi fondamentalisti estremisti di prendere il potere con le armi.
La vittoria delle “brigate islamiste internazionali“ dei mujahidin afgani contro i
sovietici convinse molti tra i veterani ad esportare modalità di reclutamento e
tattiche di guerriglia al di là del teatro afghano.205 “Bosnia, Algeria e Israele
divennero luoghi in cui i mujahidin tentarono di replicare l’esperienza afghana. I
204 Cfr. AHMAD JAMIL AZEM , The Islamic Action Front Party, in (a cura di) HANI HOURANI, Islamic Movements in Jordan, al-Urdun al-Jadid, Amman 1997, p- 105, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p.94. 205 Cfr. D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p.95.
163
veterani dell’Afghanistan di ritorno in patria contribuirono a radicalizzare il
movimento islamista giordano. I vasti network clandestini salafiti si diffusero
nella società giordana, attraendo numerosi giovani. Il messaggio radicale degli
eroi afghani affascinava più di quello che veniva percepito come il grigio e
ufficiale islamismo lealista dei Fratelli Musulmani” 206.
Alcuni esponenti dei Fratelli iniziarono quindi ad adottare un retorica jihadista,
antisionista e antiimperialista per attirare nuovi militanti. Lo stesso islamismo
sociale non riusciva più a cementare quel “blocco storico” tra classe media e
proletariato, laddove le istituzioni islamiche preferirono reclutare membri della
classe media anziché erogare servizi ai ceti poveri, indebolendo la coesione del
movimento. La retorica jihadista della frangia estremista spaventava sia la classe
media sia il regime, mentre l’ala sociale si dedicava a creare piuttosto reti
clientelari che a guadagnare il sostegno delle masse diseredate. Ma anche il
welfare islamico cessò di essere un efficace mezzo per conseguire l’egemonia
sulle classi popolari, come accadde invece in Palestina con Hamas e in Libano
con Hezbollah. I Fratelli erano così accusati da ambo i lati: dai salafiti, per il loro
legame con la monarchia, e dai moderati, per le tendenze più radicali.
Nel 1990 la Fratellanza scelse di impegnarsi direttamente nel gioco politico: una
nuova leadership prese il controllo dell’organizzazione, mentre la vecchia guardia
rimase in controllo della potente Islamic Center Society. Dopo le elezioni, il
movimento si trovò diviso in due correnti, che la stampa giordana battezzò
“falchi” e “colombe”. I “falchi”, guidati da Muhammad Abu Faris e Ibrahim
Mas’ud, rimasero inizialmete in posizione subordinata rispetto alle “colombe”
quali Ishaq al-Farhan, Ahmad al-Azayda, ‘Abdallah al-Ukayla, Bassam al’Amush
e Hamza Mansur. Nel 1993 la direzione dei Fratelli scelse di creare un partito
formalmente indipendente dalla Fratellanza, l’Islamic Action Front Party, ma in
realtà sua espressione politica. Tuttavia, questi costituirono un terzo centro di
potere all’interno del movimento, così spaccato in Fratelli Musulmani, Islamic
Center Society e Islamic Action Front Party. La mancanza di un coordinamento
ovviamente indebolì il consenso e la credibilità del movimento stesso, all’interno
206 Ibid.
164
del quale la componente più dinamica si rivelò quella in controllo dell’Islamic
Center Society, grazie alla sua capillare rete assistenziale. La corrente più debole
fu al contrario quella legata al partito: la decisione dei Fratelli di boicottare le
elezioni politiche del 1997 si ritorse contro gli esponenti dell’ Iafp, che persero coi
propri seggi anche ogni possibilità d’influenza. Questa strategia fratricida non
solo pose un freno all’inserimento dei Fratelli nel sistema politico giordano, ma
anche alla democratizzazione del Paese nel suo complesso. I ceti borghesi e
popolari difatti erano fino a quel momento rappresentati da un partito di massa
come l’Iafp, e si ritrovarono privati di un’efficace espressione politica.
L’elemento divisorio principale era legato alla questione palestinese, e quindi
riflesso della divisione etnica del popolo giordano. Il prevalere dei “falchi”
palestinesi all’interno del movimento determinò l’emarginazione della
componente più borghese e moderata, fedele alle istituzioni e al Re, ma al tempo
stesso determinò la perdita di parte dei consensi della base popolare. La crisi
iniziata tra 1989 e i 1993 si inasprì con gli accordi di pace giordano-israeliani del
1994, e divenne poi cronica in seguito all’ascensione al trono di ‘Abdallah I,
all’esplosione della seconda intifada e alle conseguenze degli attentati terroristici
dell’11 settembre. Tutti questi elementi contribuirono a quella che l’israeliano
Shmuel Bar ha definito la “palestinizzazione” dei Fratelli musulmani giordani. Il
che non corrisponde solo ad una generica prevalenza della componente
palestinese all’interno dell’organizzazione, ma soprattutto alla crescente influenza
ideologica di Hamas, evidente in seguito al successo del movimento islamista
palestinese nelle elezioni del parlamento palestinese del gennaio 2006.207 Questa
frattura era ed è tuttora un chiaro riflesso della divisione tra transgiordani e
cisgiordani, cioè giordani di origine palestinese. 208 Nel corso degli anni Novanta
furono questi ultimi a prevalere, ottenendo il controllo sia della società dei Fratelli
Musulmani sia dell’Islamic Action Front Party, sua espressione politica,
emarginando progressivamente l’ala moderata e lealista e segnando una battuta
d’arresto per chi, non solo in Giordania, sperava in un partito moderato
d’ispirazione religiosa islamica. I riferimenti ideologici di quest’ala radicale 207 Cfr. S.BAR, The Muslim Brotherhood…op.cit., p. 46. 208 Ivi,p. 50.
165
erano gli scritti di Sayyd Qutb, ma anche le idee del Fratello Musulmano
giordano-palestinese ‘Abdallah’ Azzam fondatore dei Mujāhidīn afghani e
“maestro” di Osama Bin Laden.
Di fronte all’esplosione della seconda intifada nel 2000 e agli attacchi terroristici
dell’11 settembre 2001 e ai mutamenti internazionali derivanti, i Fratelli,
indeboliti e privi di una guida unitaria, risposero radicalizzandosi, e cercando di
sfruttare le ondate emotive anti-israeliane e anti-americane. Talvolta non hanno
negato l’appoggio a terroristi internazionali, come nel caso dei funerali di Abu
Musa al-Zarqawi (capo di Al Qa’ida in Iraq) a cui parteciparono quattro
parlamentari esponenti della Fratellanza.
LA TERZA FASE
Mentre le altre fazioni continuavano a fronteggiarsi, una quarta ulteriore
componente, promossa da Hamas, espugnò il movimento. Una nuova classe
dirigente cavalcò con successo il discorso anti-occidentale, inaugurando una fase
nuova del movimento, caratterizzata da una stagione di radicalismo e di
contrapposizione frontale al governo.
Se nella loro prima fase, dalla fondazione nel 1945 agli anni Novanta, i Fratelli
Musulmani hanno agito in simbiosi con il governo giordano, e nella seconda , fino
al 2002, erano stati dilaniati da divisioni interne e diverse strategie perseguite
dalle varie correnti, questa terza fase si arricchisce di una nuova componente
legata ad Hamas. Questa nuova leadeship conquistò anche l’Iafp, eleggendo Zaki
Bani Arshid suo esponente alla guida del partito, e al contrario dell’intento
unificatrice da sempre perseguito dai Fratelli giordani, mirò ad enfatizzare le
divisioni tra le due principali etnie del Paese. Nel 2007 l’Iafp incappò in un
clamoroso insuccesso elettorale, ma questi, anziché spingere ad un’inversione di
rotta, portò a nuove elezioni interne, nel tentativo di rafforzare ulteriormente la
corrente radicale del movimento. Tentativo riuscito grazie all’elezione, per un
166
solo voto, del radicale Hammam Sa’id, nuova guida generale, che si operò per
porre fine all’ormai quasi decennale bando di Hamas dalla Giordania.
L’atteggiamento sempre più radicale dei Fratelli come prevedibile portò il regime
ex alleato ad intensificare il controllo e la repressione, restringendo gli spazi di
opportunità a disposizione dell’associazione ed intervenendo anche sulla legge
elettorale, pur di limitare i risultati dell’Iafp, in realtà già deludenti. Il nuovo
atteggiamento estremista spaventava infatti la classe media islamista, che non si
riconosceva in messaggi conflittuali, diretti prevalentemente a far presa sui ceti
poveri. A questi ultimi, si prospettava un messaggio decisamente semplificato:
causa delle loro sofferenze erano non tanto le disuguaglianze sociali, quanto
l’occidentalizzazione del Paese e l’”entità sionista”. Lo spettro dell’antisemitismo
si diffuse in vasti settori della società giordana, in un percorso in cui giordani e
palestinesi trovavano un facile capro espiatorio nel vicino ebraico.
Gli estremisti si alienarono così sia le simpatie di buona parte della classe media,
sia della componente etnica transgiordana.
Sebbene a causa di questa sua deriva radicale la Fratellanza giordana non sia stata
in grado di assumere un ruolo di avanguardia politica, perdendo parte dei consensi
faticosamente conquistati negli anni della moderazione collaborativa con la
monarchia, ciò non toglie che l’influenza dell’islamismo sia ancora molto intensa
nel Paese. Lo stile di vita della popolazione è stato profondamente influenzato
dalla proposta di comportamento autenticamente islamico, e si può dire che
l’islamismo abbia cercato di colmare il vuoto identitario della giovane ed
eterogenea società giordana. La classe media islamica è un ceto sociale
assolutamente moderno, slegato da logiche tradizionali e di formazione di tipo
occidentale, per cui l’inglese rappresenta una vera e propria seconda lingua, il che
favorisce per altro l’accesso alle fonti di informazione internazionali.
Specialmente i giovani giordani sono alla ricerca di un’emancipazione che li
renda partecipi della “società occidentale”, sognata e reinterpretata, ed invadono i
grandi centri commerciali, simbolo di questa agognata occidentalizzazione, come
il simbolico Mecca Mall di Ammam, grande centro di aggregazione della middle
167
class della capitale. Preme a questa classe media, anche islamista, di essere
riconosciuta come “moderna”, soprattutto per quanto riguarda i modelli di
consumo. Si assiste ad una sorta di frattura tra un’identità araba tradizionale,
percepita da molti giovani quasi come una vergogna, a una nuova identità arabo-
occidentale, rappresentata da questo vivere quotidiano “all’occidentale”. Al tempo
stesso la classe media di origine palestinese, costituita prevalentemente da
professionisti, sottolinea la propria superiorità culturale rispetto ai transgiordani,
considerati beduini che hanno subito un processo di acculturazione e
civilizzazione solo grazie alla migrazione forzata dei palestinesi. Questa borghesia
palestinese di prima o seconda generazione ha per altro maturato un forte senso di
colpa e frustrazione per la situazione del proprio popolo e per la propria
impotenza nell’incidere sulle scelte politiche. L’apparente paradosso è che tale
processo di occidentalizzazione dello stile di vita procede di pari passo con una
radicalizzazione dell’islamizzazione, sia sociale sia politica. Vengono insomma
adottati modelli iperconsumisti occidentali, fusi con la pratica dell’Islam e
posizioni socio-politiche islamiste. L’Islam è vissuto sempre più come
un’ideologia che come una religione, e l’islamismo come elemento
imprescindibile per definire la propria identità: il problema diventa conciliare
questo stile di vita e di consumi sempre più legati all’occidente con l’essenza
stessa dell’Islam. Il paradigma secondo il quale la diffusione della società dei
consumi avrebbe portato ad un affievolirsi o ad una scomparsa del sentimento
religioso viene clamorosamente smentito dall’osservazione della società
giordana.209
ATTUALITA’ E CONCLUSIONI
Si può in definitiva affermare che i Fratelli Musulmani, al tempo del loro
massimo splendore, siano riusciti a svolgere una direzione intellettuale e morale
sulla società giordana nel suo complesso, dimostrata dalla fortissima influenza
esercitata in qualunque campo della vita associata e dal prestigio di cui essi
209 Cfr. D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., pp. 100-102.
168
godevano presso tutti i ceti. Questo capitale è stato in parte dilapidato dalla
decisine dei quadri dirigenti di aderire alle posizioni di Hamas, compromettendo
quell’unità nazional-popolare faticosamente conquistata. In particolare, sia la
classe media islamista sia il proletariato urbano, i ceti che con più convinzione
sostenevano la Fratellanza, si sono allontanati da essa: la prima perché spaventata
dal crescente radicalismo, la seconda perché alla retorica non aveva fatto seguito
nessun concreto miglioramento del suo tenore di vita.
Si può aggiungere che l’opera di islamizzazione della società giordana pur
proseguita negli anni Novanta e nel XXI secolo, ha visto perdere il monopolio del
settore da parte dei Fratelli, che devono ora condividere questo ruolo con un
pulviscolo di associazioni e attività economiche, spesso da loro ispirati, ma non
più da loro guidati.
Se l’eccezione giordana appariva fino agli anni Novanta come l’esempio da
seguire nella costruzione di un movimento islamista moderato in grado di
esercitare un ruolo governativo stabile, rappresentando in questo senso il punto di
riferimento di tutte le forze islamiste che desideravano partecipare al processo
democratico, come quelle turche, il prevalere dei “falchi” al suo interno ha
progressivamente emarginato assieme alla componente moderata anche quel
progetto di un partito politico di ispirazione religiosa, conservatore dal punto di
vista morale e liberale dal punto di vista politico economico e sensibile alla
solidarietà sociale, quale i Fratelli Musulmani pre-radicalizzazione potevano
apparire.
Nonostante i Fratelli avessero sempre simpatizzato per la causa palestinese, non
avevano mai posto quest’ultima davanti alla tradizionale fedeltà alla monarchia, in
nome dell’unità nazionale. I “falchi” sono riusciti ad affermare una visione
manichea della politica, definendo la propria identità esclusivamente contro
qualcuno, l’entità sionista. Si sono fatti contagiare dalla retorica di Hamas,
minando quella tradizione di coabitazione con lo Stato che era sta per circa
169
cinquant’anni una caratteristica saliente della società giordana, nonché un fattore
determinate per il successo dell’associazione stessa.
Con l’inasprirsi dei rapporti tra ala radicale della Fratellanza e governo, il
movimento islamista ha scelto di boicottare le elezioni del 2010, senza però in
questo modo aver causato alcuna seria sfida alla monarchia. L’ascesa al potere
dei partiti islamisti in Egitto e in Tunisia ha reso urgente per Ammam adottare
misure contro l’avanzata della Fratellanza. Nel 2011, mentre dilagavano le
ribellioni in buona parte del Nord Africa e del Medio Oriente, la formazione
islamista in Giordania organizzò dimostrazioni per chiedere la rimozione del
Premier Ma’rūf al-Bahit. Da allora, ha preso parte a proteste per chiedere
l’allontanamento del primo ministro in carica e per invocare maggiori poteri al
parlamento. La sfida al regime si è fatta più seria quando il fronte ha escluso di
prendere parte alle ultime elezioni: soggetta a tali pressioni, la monarchia ha
tentato di persuadere i Fratelli a partecipare alla competizione elettorale
democratica, tra l’altro chiedendo al leader di Hamas Hālid Mis’al,, in visita ad
Ammam nel luglio 2012, di esercitare pressioni sull’organizzazione210 . Le
elezioni si sono tenute il 23 gennaio 2013 e nonostante la campagna di
boicottaggio e discredito delle opposizioni, Fratelli Musulmani in testa, le elezioni
hanno confermato un’ampia maggioranza delle forze fedeli alla monarchia.
Non un caso, per la Fratellanza e i gruppi della sinistra che hanno cercato,
inutilmente, di fare pressione per cambiare l’attuale legge elettorale, che prevede
l’assegnazione di soli 27 seggi su 150 sulla base alle liste nazionali, e dei restanti
attraverso le circoscrizioni locali, legate a doppio filo alla famiglia di Abdallah II.
Secondo gli osservatori internazionali le operazioni di voto e scrutinio si sono
svolte regolarmente, almeno in misura maggiore rispetto ad altri stati del Medio
Oriente e del Nord Africa, e secondo la Commissione elettorale indipendente ha
votato il 56,69% degli aventi diritto, un milione e 280mila persone su quasi
quattro milioni. Una bassa affluenza, che non basta a mettere in discussione la
210
ROGER BOU CHAHINE, I mille volti della Fratellanza, in Limes, n.1/2013, pp.137-138.
170
fedeltà al Re, anche se 18 deputati legati alla Fratellanza, oltre ad una decina di
islamici moderati e alcuni candidati di sinistra del movimento panarabo sono
comunque riusciti ad entrare in Parlamento. La scelta di andare ad elezioni
anticipate, le prime in Giordania dall’inizio della “primavera araba”, era stata
presa da Abdallah II dopo le manifestazioni cominciate nell’ottobre scorso,
quando la gente era scesa in piazza contro il taglio dei sussidi al carburante.
Ancora una volta la monarchia giordana ha giocato d’anticipo, con un segnale
forte che dimostrasse al suo popolo di essere ascoltato; una scelta strategica,
secondo le opposizioni, che di fatto non ha messo davvero in discussione il potere
reale211.
Oggi il governo giordano monitora con attenzione e timore gli sviluppi della crisi
siriana, vista la possibilità che i Fratelli Musulmani salgano al potere dopo
l’eventuale caduta di al-Assad, ribaltando le sorti della regione con possibili
conseguenze anche sulla realtà giordana.212 Inoltre un afflusso continuo di
profughi proveniente dalla Siria va ad unirsi ai già circa 450.000 profughi iracheni
della regione, complicandone ulteriormente il tessuto etnico. Il peso della crisi
siriana si aggiunge ai problemi economici (la situazione del Paese è estremamente
delicata: sei milioni e mezzo di abitanti, dei quali oltre la metà palestinesi; un
tasso di disoccupazione al 40%, che sale al 60% fra gli under 30; continui
sabotaggi del gasdotto che dall’Egitto porta il gas in Giordania, e in Israele, fatto
saltare più volte, che se da un lato ha portato alla ricerca di fonti alternative,
dall’altro ha indotto il Paese ad acquistare più petrolio, e dunque a dover spendere
di più. La fine degli aiuti ha aumentato il malcontento, che il Governo ha cercato
di tamponare con l’offerta di un pacchetto di assistenza ai redditi più bassi213).
Nonostante il Fronte di Azione Islamico abbia denunciato come la legge elettorale
impedisca di garantire un’effettiva competizione plurale, di fatto anche gli
211 ILARIA ROMANO , Giordania: le elezioni e l’opposizione “morbida” dei Fratelli Musulmani, in Reset, 28/1/2013, http://www.reset.it/reset-doc/giordania-le-elezioni-e-lopposizione-morbida-dei-fratelli-musulmani 212 TAMER AL-SAMADI, Jordan fears rise of Muslim Brotherhood in Syria, in al-Monitor, 20/12/2012, http://www.al-monitor.com/pulse/ar/contents/articles/politics/2012/12/jordan-inches-away-from-syria-war.html 213 I.ROMANO, Giordania: le elezioni…precedentemente citato.
171
oppositori sanno che la monarchia va preservata, perché un’ipotetica caduta
fornirebbe ad Israele il pretesto per indicare la riva orientale del Giordano come
patria dei palestinesi e giustificare l’annessione della Cisgiordania, nonostante il
Regno abbia firmato con Tel Aviv un trattato di pace. Gli stessi palestinesi di
Giordania sanno che un drastico cambiamento al vertice potrebbe portare nuovi
squilibri, come confermato dal recente voto in Israele del gennaio 2013. È
evidente che per gli israeliani, sempre meno propensi all'idea dei due Stati, è assai
forte la tentazione di trovare una via uscita ai loro problemi dall'altra parte del
fiume.214
Anche a livello internazionale la Giordania riveste un ruolo strategico, e ne è
consapevole. Europa e Usa puntano sulla monarchia per contenere la crisi in Siria,
anche qualora il regime di Assad dovesse finire. E pure i paesi del Golfo
preferiscono il Regno ad un eventuale nuovo assetto che dovesse portare alla
maggioranza la Fratellanza giordana, non fosse altro che per la vicinanza con
quella palestinese e siriana.215 Definito, a volte ingenerosamente, come il tipico
stato "cuscinetto", la Giordania è stritolata tra Israele, l'Iraq, suo maggiore
fornitore di petrolio, la Siria, travolta dalla guerra civile, e l'Arabia Saudita. Una
costante lotta per la sopravvivenza e la sicurezza, adesso minacciata dall'afflusso
dei rifugiati siriani che hanno fatto della Giordania del Nord un bacino per
reclutare guerriglieri destinati in buona parte a infoltire le schiere degli islamisti
anti-Assad. Non solo, dalla Siria stanno arrivando numerosi profughi palestinesi
guardati in Giordania come un ulteriore elemento di destabilizzazione
demografica. Le elezioni non cambieranno il dato di fondo, cioè che la Giordania
è aggrappata alla Corona come ancora di salvataggio, ma questa monarchia è
impegnata ad arginare le spinte dalla “primavera araba” nel vicino Egitto, in
Tunisia, Libia. Il Marocco di Mohammed VI, dove un partito islamico moderato
guida un governo di coalizione, potrebbe rappresentare un esempio ma per
un'evoluzione del genere i tempi in Giordania non sembrano ancora maturi. 216
214 ALBERTO NEGRI, Elezioni in Giordania, i Fratelli Musulmani boicottano il voto, in Il Sole 24 ore, 23/1/2013, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-23/elezioni-giordania-fratelli-musulmani-150946.shtml?uuid=AbLzINNH. 215 I. ROMANO, Giordania: le elezioni…precedentemente citato. 216 A.NEGRI , Elezioni in Giordania…precedentemente citato.
172
I FRATELLI MUSULMANI IN SUDAN
Sebbene l’islamizzazione diffusa e profonda in Sudan sia un fenomeno
relativamente recente (a partire dal XVI secolo in poi) l’Islam si è poi qui espresso
in forme assai originali e peculiari. Una delle caratteristiche riscontrabili è lo
stretto legame instaurato sin da subito tra la pratica religiosa e il sufismo.217
L’islam sudanese si è infatti spesso declinato in termini mistici, e questo non solo
relativamente alla religiosità popolare, ma anche relativamente alla religiosità
dotta e istituzionale. Una delle cause della rivolta mahadista 218che si scatenò nel
1881 fu proprio la reazione degli ‘ulamā’ e dei fakis (sant’uomini) al tentativo dei
turco egiziani di Muhammad ‘Ali e Isma’il Pascià di imporre l’Islam azharita, con
le sue regole e le sue strutture, dopo aver conquistato il Paese nella metà del XIX
secolo.219
Il fenomeno mahadista è stato contemporaneamente di islamismo politico e di
rivendicazione proto-nazionalista, e proprio la declinazione politica è una seconda
caratteristica saliente assunta dall’Islam nell’ambito sudanese. Non è rara
nell’Islam una declinazione politica del sufismo, ma in Sudan ha acquisito una
continuità peculiare anche rispetto ad altre esperienze, come quella senussita. Pur
dissoltosi lo stato mahdista, gli eredi del Mahd, a partire dal figlio ‘Abd al-
Rahman, hanno proseguito il suo impegno politico, sebbene con un atteggiamento
217 Cfr. MASSIMO CAMPANINI, Hasan al-Turabi e i Fratelli Musulmani come avanguardia islamica in Sudan, p.45 , in (a cura di) MASSIMO CAMPANINI, KARIM MEZRAN , I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Utet, Torino 2010. 218 Il mahdismo è un movimento spirituale islamico e si fonda sul concetto di Mahdī. Il Mahdī è una guida spirituale (lett. "ben guidato [da Dio]") di un movimento salvifico. In ambito sciita si ritiene che il Mahdī sia l'ultimo degli Imām discendenti da ʿAl ī, il quale non sarebbe morto ma "scomparso", sottratto alla vista del mondo fino al suo ritorno, alla fine del mondo, quando riporterà il bene e la giustizia sulla terra. Come tutti i messianismi, il mahdismo trova il proprio fondamento sul rifiuto di una realtà storica, che si ritiene negativa e bisognosa di un cambiamento radicale.Il mahdismo si è sviluppato in particolari momenti di crisi e nel tentativo di un rinnovamento totale della società. Il primo a essere considerato Mahdī fu il figlio che il quarto califfo 'Alī ibn Abī Tālib ebbe da una donna della tribù dei Banū Hanīfa: Muhammad ibn ‘Alī, detto anche Muhammad ibn al-Hanafiyya. La sua morte infatti non fu accettata da tutti quegli alidi che si riconoscevano suoi discepoli e seguaci che credevano egli si fosse occultato al mondo vivendo fino al momento della sua epifania in una località presso Medina. 219 Cfr. M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p.45.
173
moderato al limite del compromissorio, ed ebbero un ruolo nel processo
nazionalistico di liberazione dal colonialismo inglese. 220
In questo contesto i Fratelli Musulmani sudanesi hanno proseguito la vocazione
politica dell’Islam, mentre hanno nella sostanza rotto con la declinazione mistica,
com’è possibile verificare confrontando gli atteggiamenti della Fratellanza
sudanese con quelli delle altre due principali confraternite politiche :gli Ansar e la
Khatmiyya. Gli Ansar sono un gruppo neomahdista rappresentato dal partito della
Umma, e i cui leader sono stati prima Sayyd ‘Abd al-Rahman al-Mahdi e poi
Sadiq al-Mahdi; Khatmiyya è una formazione i cui leader, prima Sayyd ‘Ali al-
Mirghani e poi Muhammad ‘Othman al-Mirghani, si sono legati rispettivamente
al National Unionist Party (NUP) e al Democratic Unionist Party (DUP). Questi
partiti religiosi non erano né fanatici né promotori di una radicale islamizzazione
della politica sudanese, per cui la condotta delle loro azioni politiche e la loro idea
di governo erano essenzialmente secolari. Il potere politico detenuto dagli
Ansar/Umma e dalla Khatmiyya era risultato più della fedeltà ereditaria aderente
alla tradizione che dell’impegno ideologico per realizzare uno Stato islamico. Al
contrario, due pilastri essenziali dell’ideologia dei Fratelli Musulmani sono
sempre stati la sintesi di religione e politica e la necessità, come obiettivo ultimo,
di realizzare lo Stato islamico. Ciò potenzialmente poneva in rotta di collisione i
Fratelli con i rappresentanti più accreditati e storicamente più significativi della
religiosità popolare sudanese. In quest’ottica si può dire che l’azione dei Fratelli
fosse quella più intransigente, originale e meno compromissoria nel quadro della
società religiosa sudanese.
I Fratelli Musulmani (Al-Ikhwan al-Muslimun) apparvero ufficialmente in Sudan
nella seconda metà degli anni Quaranta. Nel 1946 ‘Awad ‘Omar al-Imam e poi
‘Ali Talb Allah fondarono e guidarono un’organizzazione esplicitamente legata
all’organizzazione madre in Egitto e riconosciuta da Hasan al-Banna’. Nel 1949
nacque quindi un secondo movimento, il Movimento Islamico della Liberazione
(Harakat al-tahrir a-islami), fondato esplicitamente per combattere l’espansione 220 Cfr. HASSAN AHEMD IBRAHIM, Sayyid ‘Abd al-Rahm al-Mahdi. A Study of Neo-mahdism in the Sudan (1899-1956), Brill, Leida 2004, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p. 46.
174
del comunismo. Non si rifaceva alla Fratellanza egiziana, ma ne condivideva
alcuni obiettivi. Nel 1954 difatti le due correnti si unirono, generando
ufficialmente la Jama’a al-Ikhwan al–Muslimin. 221
L’organizzazione verrà guidata da Hasan al-Turabi, che ne rivendicherà uno
sviluppo autonomo. Tuttavia il movimento rimase del tutto marginale per tutti gli
anni Cinquanta e, coinvolto nel 1959 in un fallito colpo di Stato, a differenza di
quanto avvenuto per i compagni egiziani non seppe proporsi come una forza di
effettiva importanza nel variegato panorama politico sudanese. Campanini
riconosce particolare rilievo tra le motivazioni di questa differenza nel fatto che,
mentre in Egitto i Fratelli avevano riempito un vuoto nella rappresentanza
religiosa delle masse popolari, in Sudan questa rappresentanza fosse già
egregiamente sostenuta dagli Ansar/Umma e dalla Khatmiyya, specialmente i
primi.222 Le due associazioni erano radicate sia in ambiente rurale sia presso la
borghesia urbana e interpretavano la varietà della società sudanese; inoltre la
nascita dei Fratelli in Egitto corrispondeva alla necessità di dare una connotazione
islamica alla protesta nei confronti del governo liberale corrotto e nei confronti
dell’occupatore britannico, sintetizzando così mito dello Stato islamico e lotta
anti-imperialista e nazionalista. Questo spazio di manovra non c’era in Sudan, per
quanto i Fratelli Musulmani lo rivendicassero: la lotta nazionalista era stata
condotta da altre forze e spesso con caratteri secolari.
I Fratelli cominciarono a svolgere un ruolo decisivo nella politica sudanese, pur
rimanendo assai meno importanti degli altri partiti religiosi, tra il 1964 e il 1969,
durante il secondo periodo di governo costituzionale del Paese, chiusa la lunga
parentesi militare della dittatura di Ibrahim ‘Abbud.223
221 Cfr. M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 47. 222 Ibid. 223 Ibrahim Abbud, comandante dell'esercito nel 1956, il 17 novembre 1958 ebbe, come capo del movimento che prese il potere in Sudan, la presidenza del Consiglio supremo delle forze armate che assunse il governo del Paese e mantenne la carica fino al novembre del 1964, quando venne formato un gabinetto civile.
175
La svolta avvenne per merito di Hasan al-Turabi, che dal 1954 divenne leader
della filiale studentesca dei Fratelli, una delle roccaforti della presenza ikhwan in
Sudan.
HASAN AL-TURABI
Hasan al-Turabi fu uno dei primi studenti sudanesi a ottenere titoli accademici in
Occidente, ed era assai introdotto nel pensiero e nella cultura europea.
Nel suo pensiero sono evidenti sia il substrato ideologico dei Fratelli Musulmani,
sia il razionalismo moderato di ispirazione salafita di al-Afghani e ‘Abduh. Nel
memorandum presentato al comitato incaricato di stilare un progetto di
Costituzione nel gennaio 1968, al-Turabi individuava le seguenti caratteristiche
della costituzione islamica:224
1) La Costituzione dovrebbe rappresentare la volontà del popolo, e dal momento che
in Sudan la maggioranza della popolazione è musulmana, deve prevalere la volontà
islamica del popolo sudanese;
2) Diversamente dalle altre religioni, l’Islam è religione e Stato e prescrive ai credenti
di governare in accordo con la rivelazione di Dio;
3) Una Costituzione islamica dovrebbe prevedere il governo della legge sacra e non il
governo degli uomini, poiché nell’Islam non vi è luogo per la teocrazia o per il
clero;
4) L’Islam si oppone alla dittatura;
5) L’Islam protegge le libertà private e garantisce la libertà di opinione e di
partecipazione agli affari pubblici;
6) L’Islam incoraggia l’ijtihad, poiché l’opinione finale spetta al popolo, e ogni
individuo, gruppo d’individui, partito politico ha il diritto d’interpretare la volontà
popolare e di operare per l’assunzione del potere attraverso la shurà;
7) L’Islam ha riconosciuto la libertà religiosa prima dell’Europa e prevede la
protezione dei cittadini che professano altre credenze religiose;
224 Cfr. ABDEL SALAM SIDAHMED, Religion and Politics in Contemporary Sudan, Routledge, Londra-New York 2004, pp. 103-110, cit. in M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 49.
176
8) L’Islam invoca l’uguaglianza di fronte alla legge e ai diritti pubblici.
In un testo specificatamente dedicato allo Stato islamico, al-Turabi argomenta in
questo modo, secondo la ricostruzione di Campanini225:
a) L’evoluzione dello Stato islamico non è astrattamente teorica, ma strettamente
legata all’evoluzione delle società islamiche;
b) lo stato islamico non è nazionalista poiché la fedeltà ultima è dovuta a Dio e
traslatamente alla Comunità di tutti i credenti;
c) lo Stato islamico non è un’entità assoluta o autonomamente sovrana in quanto, in
ultima analisi, è sottoposta alle più elevate regole della shari’a;
d) lo Stato non altro che la dimensione politica dello sforzo collettivo di tutti i
musulmani;
e) ne consegue che l’ordine governativo islamico è nella sostanza una forma di
democrazia rappresentativa. Ciò non significa governo diretto del popolo, poiché
comunque esso deve venir guidato dai principi della shari’a che riconoscono a Dio
la funzione di legislatore; ma , rappresentando la shari’a le convinzioni del popolo,
lo Stato islamico è, in un certo modo, il prodotto della volontà popolare;
f) Il modello della dialettica minoranza/maggioranza di un sistema parlamentare non è
tuttavia coerente con gli ideali dell’Islam, poiché potrebbe condurre ad un
fazionalismo che può risultare gravemente oppressivo dei diritti dell’individuo; la
libertà dell’individuo emana in ultima analisi dalla dottrina dell’unicità di Dio, che
richiede l’auto-liberazione dell’uomo da ogni autorità che non sia l’autorità di Dio.
Vale la pena sottolineare alcuni aspetti del ragionamento di al-Turabi: egli si
dichiara perfettamente convinto della liceità di una rappresentanza parlamentare
della volontà dei cittadini, ma la identifica con l’ ijmà (“il consenso dei dotti”) e
la shurà (“consultazione”). Non sono l’ijmà e la shurà a essere democratiche, è
la democrazia a tradurre in un linguaggio moderno quelli che sono gli eterni
principi dell’Islam. Ancora, nell’affermazione che nell’Islam non vi è luogo per
225 HASAN AL-TURABI, The Islamic State, in (a cura di) JOHN ESPOSITO, Voices of Resurgent Islam, Oxford University Press, New York-Oxford 1983, pp. 241-51, cit. in M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 49.
177
la teocrazia o per il clero e che quindi una costituzione islamica dovrebbe
seguire la legge sacra e non la legge umana, sembra operare il concetto di
hakimiyya di al-Mawdudi e Sayyd Qutb. Rispetto ai Fratelli Musulmani
egiziani, al-Turabi evidenzia il carattere contingente dello Stato islamico, sulla
falsariga di alcune considerazioni già espresse da alcuni grandi Riformisti, e
sminuisce il ruolo nazionale o nazionalistico. Assolutamente “ikwhan” è invece
l’enfatizzazione del ruolo politico collettivo dei credenti.
Ancora Campanini sottolinea come nella prassi i Fratelli sudanesi non abbiano
mai rifiutato alcune categorie della cosiddetta democrazia occidentale, pur
oscillando tra sistema parlamentare e sistema presidenziale. Nel suo “Il
rinnovamento del pensiero islamico” al-Turabi espone dettagliatamente la sua
visione di stato islamico. Si domanda innanzitutto se il pensiero islamico possa
rinnovarsi, dal momento che la religione è eterna e immutabile. Per al-Turabi il
pensiero islamico è un’interazione tra le capacità intellettive dei musulmani e i
valori eterni e permanenti della religione (al-fikr al-islami huwa taga’ul bayna
‘aqulina bi-ma ‘indahu min al-ma’arif al-‘aqliyya wa bayna al-qiyam al-
azaliyya) 226 . Nell’Islam, l’adorazione non può fare a meno di ricorrere
all’intelligenza e alla fede contemporaneamente, all’intelletto e alla ragione che
formano un tutt’uno. Il rinnovamento del pensiero islamico si fonda quindi su
tre elementi basilari: il ritorno ai principi fondamentali del Corano e della
Sunna; la necessità di legare il pensiero (fikr) alla realtà fattuale (waqi’)
attraverso una giurisprudenza nuova che risponda alle mutate condizioni della
realtà contingente; l’implementazione dell’Islam attraverso la sintesi tra
religione e vita, cioè tra spirito religioso e realtà sociale e politica. 227
Proprio la spinta al rinnovamento del pensiero islamico deve essere motore di un
rinnovamento della società islamica, che non può essere guidata da uno Stato
non autenticamente islamico.
226 HASAN AL TURABI, Tajdid al-fikr al-islami (Il rinnovamento del pensiero islamico), Dar al-Qarafi’l-Nashr wa’l-Tawsi’, Rabat 1993, pp. 4-31, cit. in M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., pp. 50-51. 227 Ibid.
178
Gli ‘ulamā’ hanno in questo contesto un ruolo fondamentale coi loro giudizi,
qualora si dimostrino riformisti e non ciecamente subordinati alle fonti
tradizionali o al potere. Tuttavia nel discorso di al-Turabi fondamentali restano i
concetti di shurà e ijma’, costitutivi del discorso politico islamico. Sembra
prefigurare una struttura democratico-parlamentare dello Stato islamico da lui
immaginato. L’ijma’ è infatti rappresentata meglio di ogni altra cosa da un
sistema parlamentare liberamente eletto da tutti i musulmani, in accordo coi
precetti musulmani della tradizione; ed analogamente rimane fondamentale la
shurà, come partecipazione popolare alle decisioni e forse alla formulazione
delle leggi stesse. Jihad e ijtihad non sono , per al-Turabi, limitati all’iniziativa
personale, ma sono un dovere collettivo della comunità islamica, per saper
scegliere ed esercitare l’ijma’ e la shurà.
Se queste considerazioni appaiono in linea con una visione modernizzante
dell’islam, non significa che il pensiero di al-Turabi esca dall’ottica di quella
retrospettiva utopica mirante a ricostituire il glorioso passato dell’età dell’oro
medinese. Quel passato va ricostruito, ma (qui la “modernità” di al-Turabi) può
essere ricostruito solo mediante il rinnovamento, che può addirittura portare ad
un superamento delle conquiste fatte dai contemporanei del Profeta. Inoltre al-
Turabi sottolinea come la storia del pensiero islamico abbia vissuto svariate fasi
di rinnovamento. In quest’ottica rivaluta l’apporto dei mu’taziliti (che già
abbiamo visto essere riferimento per alcuni intellettuali innovatori e
progressisti), ma anche dei wahhabiti228 (questa visione del movimento
wahhabita è invece caratteristica, perché si tratta di un movimento
fondamentalmente tradizionalista); oltre ai più “vicini” Mawdudi e Qutb. Questi
ultimi sono anzi basilari nel pensiero al-turabiano, in particolare nella
228 Movimento dell'Islam fondato nel XVIII secolo da Mohammad ibn Abd al-Wahab che si proponeva di riportare l'Islam alla purezza originaria, abolendo l'adorazione di santi e martiri. Esso si richiama agli insegnamenti di Ibn Hanbal e di Ibn Tayuiya. Al Wahab convertì alla sua dottrina un capo politico, Muhammad Ibn Sa'Ud, il cui figlio, 'Abd El-'Aziz, fu il fondatore del primo impero wahabita. Non si tratta di una setta, ma un movimento fondamentalista, caratterizzato da un grande rigorismo morale e che intende riportare l'Islam alla sua primitiva purezza. Per i wahabiti, le uniche regole per una vita religiosa sono contenute nel Corano e nella Sunna. In questo senso sottolineano più delle altre correnti la necessità del jihad.
179
rivendicazione della onnicomprensività dell’islam e della sovranità di Dio
(hakimiyya).
Nella sua visione della shari’a, il leader dei Fratelli sudanesi insiste
particolarmente sul concetto di fiqh, cioè di fatto della rielaborazione umana
della legge divina tradizionale. Il rinnovamento è lecito, anzi è naturale
conseguenza delll’ijtihad. Per al-Turabi, il cui fine come per ogni Fratello
Musulmano è la realizzazione dello Stato islamico, l’aspetto normativo è
basilare, in questo caso ben oltre quanto non appaia nella compagine egiziana,
che privilegia invece l’aspetto sociale. 229
Infine, se il governo che detiene il potere, opprime la comunità musulmana non
rispettando la shari’a, è diritto del musulmano ribellarsi. La liceità di ribellione
è teorizzata da parte del pensiero islamico tradizionale sin dal medioevo, ma per
al-Turabi una rivoluzione politica può derivare dalla rivoluzione della cultura e
del pensiero. Polemizza quindi contro l’islam passivo a favore di un
atteggiamento fondato sullo sforzo sia individuale sia comunitario, come da
precetto coranico. Uno jihad che può prevedere la mera disputa (jidal) il
combattimento (qital) fino alla rivoluzione contro uno status quo iniquo e le
forze consolidate che lo sostengano.
Si può notare come nel pensiero di al-Turabi coesistano inflessibilità ideologica
e morale e flessibilità d’azione. Afferma che per raggiungere l’islamizzazione
della società sono legittimi sia metodi graduali che radicali, a seconda delle
circostanze, attraverso un processo ascendente (islamizzazione dal basso, dalla
società allo stato islamico) o discendente (islamizzazione dall’alto da parte dello
stato islamico della società), e nemmeno scarta a priori una convergenza tattica
con i cristiani, essendo comune “nemico” l’ateismo di matrice comunista. 230
229 Cfr. M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 53. 230 A.S. SIDAHMED, Politics and Islam…op.cit., p. 131.
180
L’ASSOCIAZIONE DEI FRATELLI MUSULMANI SUDANESI
Nel 1964 le forze politiche islamiste sudanesi convogliarono nell’Islamic
Charter Front (ICF), un cartello in cui i Fratelli Musulmani avevano invero una
posizione di minoranza e che nel 1965, esaurita la parentesi del regime
autoritario di ‘Abbud e restaurata in Sudan la democrazia, era andato incontro ad
un esito interlocutorio ottenendo undici seggi. Anche le successive elezioni, del
1968 avevano registrato la sostanziale subalternità della Fratellanza, che non era
riuscita a proporre un progetto politico convincente. Sul piano propositivo l’ICF
aveva presentato una “Carta islamica” che, coerentemente alle posizioni
teoriche di al-Turabi, presentava un programma moderato, pragmatico e
sostanzialmente equilibrato tra esigenze islamiste e gestione di uno Stato
moderno, poggiando in particolar modo sulla necessità di un sistema
democratico pur espressivo della shari’a e su un altro punto nodale delle
concezioni politiche islamiste, quello della giustizia sociale. La novità
sostanziale risiedeva nel fatto che l’Icf sembrava deporre l’idea di essere un
semplice gruppo di pressione, per presentarsi sulla scena politica come partito e
tutti gli effetti. Tuttavia i risultati elettorali furono insoddisfacenti, e lo stesso al-
Turabi nel 1968 non venne eletto nella sua circoscrizione.
Secondo Sidahmed 231 il risultato insoddisfacente era figlio della svolta verso
sinistra e verso il secolarismo di sezioni influenti dell’intellighenzia,
professionisti e altri settori moderni, così che l’influenza dell’Icf rimase
sostanzialmente confinata a quei settori della società educati tradizionalmente.
Oltre ad avere un bacino di consenso scarno e tradizionalista, la presa degli
islamisti fu frenata anche da un progetto non ben definito e sofisticato. Le sue
formulazioni rimanevano infatti vaghe e generali, e la maggior parte delle
energie propagandistiche dell’icf furono rivolte ad attaccare i comunisti.
Inoltre il fronte degli Ikhwan era tutt’altro che unito, e aspre rivalità opponevano
le personalità dirigenti più significative. La corrente maggiormente “politica”
231 Ivi, p. 98.
181
faceva capo ad al-Turabi e mirava ad un coinvolgimento diretto nella vita
politica del Paese, opponendosi ad una corrente tradizionalista, legata soprattutto
al sociale.
Al-Turabi trovò un momentaneo accordo strategico con Sadiq al-Mahdi e
Muhammad ‘Othman al-Mirghani, rispettivamente alla testa degli Ansar/Umma
e della Kahtmiyaa, mirato a convergere sulla tematica dello Stato islamico e
della costituzione islamica, contro il comune nemico comunista. La dizione di
Sudan come una “Repubblica Democratica Socialista” fu contestata dagli
islamisti in nome della shurà per far prevalere istanze maggiormente radicate
nella tradizione del pensiero politico islamico anziché desunte dall’Occidente,
ed il fronte islamista ottenne così il riconoscimento dell’Islam come religione di
Stato, nonché la shari’a come base della legislazione. Ma tutto questo non
significava che il progetto costituzionale vedesse prevalere la normativa
islamica, esso era anzi il frutto di un equilibrio di esigenze di forze diverse. In
ogni caso, l’accordo naufragò per divergenze interne tra i vari gruppi politici, e
la nuova Costituzione non entrò mai in vigore.
Nel maggio 1969 si verificò il colpo di stato di Ja’far Numayri (Nimeiri),
maturato dalla situazione di stallo in cui si trovava la vita politica sudanese,
lacerata da lotte intestine tra partiti e gruppi di interesse. Per alcuni anni il
regime di Numayri fu laico ed ispirato al socialismo nasseriano, in conflitto col
potente partito comunista sudanese. In questo periodo il nuovo dittatore non
mancò di perseguitare anche le organizzazioni islamiste tra cui i Fratelli, e
Hasan al-Turabi venne incarcerato. Dal 1973 però Numayri decise una svolta
islamica, riportando al centro della scena al-Turabi e i Fratelli, che sfruttarono
abilmente la nuova convergenza di interessi col regime. Numayri poteva
contrastare la maggior incidenza e rappresentatività presso la popolazione delle
organizzazioni religiose appoggiando i Fratelli, in particolare gli Ansar/Umma; i
Fratelli potevano uscire dal loro isolamento e sperare di entrare più
profondamente nei processi decisionali. Un Comitato appositamente istituito
per il ritorno delle leggi alla compatibilità con la shari’a venne affidaato ad al-
182
Turabi. Come detto questa attenzione sugli aspetti giuridico-legislativi della
shari’a in parte divergeva dall’atteggiamento dei fratelli egiziani, che invece
insistevano sull’aspetto sociale e civile e sull’islamizzazione dal basso della
società. In Sudan si è invece immediatamente insistito sull’aspetto istituzionale
(la costituzione islamica) e soprattutto normativo (la shari’a) dello “Stato
islamico”.
Al-Turabi divenne “Avvocato generale dello Stato” (una figura con compiti
simili al Ministro della Giustizia, ndr), non faceva tuttavia parte del comitato di
tre saggi cui nel 1983 Numayri diede l’incarico di convertire il sistema legale
sudanese in un sistema islamico in accordo la shari’a , le cosiddette “leggi di
settembre”. La presa di posizione fu un fulmine a ciel sereno per la stessa
Fratellanza, perché il presidente sembrava deciso a scavalcare le forze islamiste
nel progetto di riforma politico religiosa. In ogni caso, nonostante ciò e
nonostante l’immagine del Premier fosse ormai sbiadita per le gravi condizioni
economiche in cui versava il Paese e un fronte di opposizione sempre più
organizzato e compatto, i Fratelli decisero di appoggiare la riforma legislativa.
Se al-Mahdi si dimostrò contrario ad un’eccessiva rigidità riguardo alle pene
hudud, al-Turabi individuò nell’estensione delle norme coraniche la via
privilegiata per la trasformazione del Sudan in un Stato islamico. Il fronte
islamista si presentò dunque ancora una volta spaccato. Al-Mahdi spiegò in
un’intervista che il rigorismo imperante nel pensiero e nella politica musulmane
rappresentavano a suo avviso una grave minaccia per il futuro dell’Islam:232
“I Fratelli Musulmani pensano all’Islam secondo categorie molto tradizionali […].
Noi (Ansar/Umma, ndr) pensiamo invece di dover costruire un nuovo modello su basi
islamiche. Loro si conformano alla scuola di pensiero sunnita e sono vincolati alle
quattro scuole legali sunnite. Noi riconosciamo i testi originali, ma cerchiamo nuove
formulazioni, consci dei cambiamenti che si sono verificati nei tempi e nei luoghi. Loro
sono la branca di un movimento che si è sviluppato al di fuori del Sudan. Noi ci siamo
sviluppati in Sudan e gli conferiremmo un ruolo guida nel revival dell’Islam”.
232 Cfr. GABRIEL WARBURG , Islam, Sectarianism and Politics in Sudan since the Mahdiyya, Hurst, Londra 2003, p. 175, cit. in M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 60.
183
Sadiq al-Mahadi polemizzava anche sulla natura elitaria assunta dai fratelli
sudanesi, in opposizione all’appeal popolare degli Ansar.
I rapporti tra al-Turabi e Numayri furono stretti fino al 1984, poi, nel marzo 1965
il leader della Fratellanza venne incarcerato nel contesto di un’improvvisa
repressione generalizzata nei confronti dell’associazione. Si sono ipotizzate molte
ipotesi su questo voltafaccia di un Numayri comunque in difficoltà. Tra queste
anche pressioni americane, ma è più probabile che Numayri temesse in primo
luogo il diffondersi dell’influenza dei Fratelli. La loro era stata un’alleanza
strategica, ma ora si doveva anticipare un possibile colpo di Stato degli Ikhwan.
Ciò è d’altronde comprensibile, vista la corsa contro il tempo dell’associazione,
che mirava a consolidarsi in un solido blocco di potere prima del prevedibile
collasso del regime, a cui loro stessi avrebbero potuto dare la definitiva spallata
una volta raggiunta una posizione di forza sufficiente per riceverne l’eredità totale
o parziale. Questo progetto egemonico implicava una strategia di compromesso
che indubbiamente ne indeboliva il consenso popolare, e difatti il periodo di
collusione con Numayri fu un periodo di confusione ideologica e politica:
avevano ottenuto molto dall’alleanza col regime, ma alla lunga il gioco politico li
stava penalizzando. In ogni caso, sottolinea Campanini233, non era chiaro come
l’avanguardia dirigente dell’organizzazione avrebbe potuto articolare e rendere
produttivo il suo rapporto con la necessaria base di massa del movimento
islamista.
La caduta di Numayri nel 1985 avvenne per mano di un moto popolare di cui si
fecero interpreti alcuni reparti dell’esercito, e aprì una nuova fase di governo
parlamentare in cui la questione dell’islamizzazione delle istituzioni e della legge
rimase apertissima, riproponendo la rivalità tra Ansar/Umma, Khatmyya/DUP e
Fratelli Musulmani. Questi ultimi rimasero defilati durante il colpo di Stato,
probabilmente per la loro riluttanza a lasciar cadere un regime che speravano di
233 Cfr. M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 61.
184
ereditare: un atteggiamento ambiguo che provocò loro l’ostilità delle forze
politiche più attive nella sollevazione.
Si aprì così per l’associazione una fase assai incerta, in cui subirono dal punto di
vista politico l’ostilità degli islamici moderati e al tempo stesso delle forze
sudanesi contrarie all’islamizzazione (soprattutto nel sud del paese, in cui era in
atto una guerra civile di liberazione; ma anche i residui del partito comunista), e in
aggiunta dell’opinione pubblica internazionale. Gli Stati Uniti per esempio, che
pure avevano appoggiato il regime, non avevano affatto visto di buon occhio la
sua compromissione con gli Ikhwan. Era dunque necessario un ripensamento per
ricollocarsi nel gioco politico, così il movimento entrò a far parte del National
Islamic Front (NIF). I generali che avevano abbattuto Numayri non guardavano
comunque negativamente la Fratellanza, ed anzi sapevano di potervi trovare un
alleato rispetto alle più consolidate e quindi temibili forze islamiste politiche
settarie. Nonostante ciò, quando il sistema politico tornò in mano ai civili nel
pieno gioco democratico, le urne decretarono il trionfo degli Ansar/Umma di al-
Mahdi, seguiti dalla DUP. Il NIF non ottenne comunque uno scarso risultato
elettorale con i suoi 51 seggi, determinati dal fatto che i fratelli aprirono brecce tra
gli studenti e i laureati e ottennero parecchi voti nelle circoscrizioni degli
intellettuali, confermandosi però partito tendenzialmente elitario.
La situazione politica sudanese non trovò comunque una collocazione stabile, e
tra 1986 e 1989 si succedettero ben cinque governi, tutti egemonizzati dalla
Umma di al-Mahdi e caratterizzati tra divergenze tra Umma, DUP e NIF, che
diedero vita a diverse alleanze tutte alla lunga inconcludenti. La momentanea
alleanza tra Fratelli e Ansar/Umma a spese del DUP avrebbe dovuto implicare un
ulteriore passo verso l’islamizzazione, ed al-Turabi tornò a svolgere un ruolo
preminente all’interno dell’esecutivo come Ministro della Giustizia. Il NIF avanzò
proposte di riforma giudiziaria comprendenti le pene hudud, il qisas o legge del
taglione, la diyya, proposte non rigettate da al-Mahdi ma inaccettabili per le forze
indipendentistiche non musulmane del Sudan specialmente meridionale. La
mancanza di un punto d’incontro tra le forze politiche in causa prospettava
185
l’islamizzazione del Sudan come un obiettivo irraggiungibile, benché agognato
dalla maggior parte di esse, seppur con differenti sfumature.
Finché ,nel giugno 1989, il Paese non fu scosso da un altro colpo di Stato, anche
in questo caso figlio dell’instabilità cronica del quadro politico, ad opera di Omar
al-Bashir. Questa volta secondo la maggioranza degli osservatori il ruolo dei
Fratelli Musulmani fu fondamentale: avrebbero fornito i quadri di un
pronunciamento militare condotto non da alti ufficiali dell’esercito, ma da
graduati di medio e basso rango, che dunque non potevano contare sulla fedeltà
incondizionata dell’esercito. 234Ali Othman Muhammad Taha, sodale di Hasan al-
Turabi e vicesegretario del NIF, avrebbe organizzato il golpe. I protagonisti della
vicenda si rimbalzarono vicendevolmente le responsabilità della sollevazione, ma
quale che sia la corretta ricostruzione dei fatti il NIF ha tratto tutti i benefici
possibili della sua collaborazione con al-Bashir. L’ideologia e il programma
politico del Nif furono implementati dal presidente, mentre al-Turabi e colleghi
diventarono il blocco di potere effettivo dietro il trono e assunsero posizioni
direttive.
E’ possibile che anche l’arresto di al-Turabi nell’immediato seguito del golpe
servisse ad erigere una cortina di fumo. L’avvenimento rimane tuttavia non
pienamente chiaro. In ogni caso, tra NIF e golpisti vi fu una successiva
collaborazione fatta di interessi economici e politici intesa a dirigere il governo
verso lo stato islamico passando per la giunta militare. La strategia di al-Turabi
consisteva nella speranza che l’emergere dei Fratelli avrebbe emarginato il
settarismo di ispirazione sufista in Sudan . Un tentativo che secondo alcuni storici
tuttavia non è andato a buon fine, perché le correnti di sufismo politico avrebbero
mantenuto il loro spazio di azione235
In questa intricata vicenda storica ciò che preme qui sottolineare è il fatto che i
Fratelli Musulmani sudanesi interpretarono il loro ruolo in senso di avanguardia
elitaria piuttosto che di avanguardia organica alle masse. Si appoggiarono ai poteri
forti dell’esercito anziché al popolo per effettuare un colpo di forza, il che può 234 A.S. SIDAHMED, Religion and Politics…op.cit., pp. 189-191. 235 Cfr. G. WARBURG, Islam, Sectarianism…op.cit., pp. 92-93.
186
essere considerato il tassello di un progetto di arrivare ad un controllo dall’alto
della società sudanese. Ciò non toglie che tra le prime decisioni operative ci fu
un’apertura alla società civile con l’avvio di un ampio programma di riforme in
particolare legate all’educazione, ma anche al ruolo femminile. Il percorso
islamista post colpo di Stato fu tutt’altro che lineare, tuttavia nel 1998 venne
ufficialmente proclamato lo Stato islamico del Sudan. In questi anni l’influenza
degli Ikhwan si estese anche presso le fasce diseredate della popolazione, la cui
condizione economica predisponeva ad abbracciare il messaggio ideologico
salvifico islamista. Tuttavia secondo alcuni studiosi la maggioranza della
popolazione sudanese sarebbe rimasta fedele all’identità tradizionale e il progetto
sociale islamista pertanto nel complesso fallimentare.236
Nel 1999 i rapporti tra Omar al-Bashir e al-Turabi si incrinarono a causa della
rispettiva rivalità, di una diversa idea politica su come sfruttare la nuova ricchezza
petrolifera, e alle tensioni tra islamisti e militari, nonché al diverso atteggiamento
nei confronti del movimento islamista militante transnazionale237. Nel complesso
al-Bashir era spinto da un pragmatismo oscurato in al-Turabi dall’obiettivo di
islamizzazione. Al-Bashir non arretrava di fronte al progetto di Stato islamico, ma
era assai più pratico nell’applicazione delle leggi, inoltre puntava ad un
accentramento del potere e allo sfruttamento delle risorse petrolifere per
sviluppare economicamente il Paese, a migliorare i rapporti con l’Occidente e ad
impedire le spinte indipendentistiche delle regioni non musulmane del Sudan.
Così facendo metteva in dubbio la shurà, e non disdegnava l’idea di dare ampia
autonomia al sud Sudan non musulmano, per consolidare la compattezza dello
Stato islamico centrale. Nel 2000 nacque così il Popular National Congress
diretto da al-Turabi in opposizione ad al-Bashir, con una ulteriore frattura
all’interno delle rappresentanze politiche islamiste. Al-Turabi verrà arrestato e
236 Cfr. PETER WOODWARD, Cinquant’anni di politica islamica, in Afriche e Orienti, VIII, 2006, 1-2 Dossier Sudan 1956 -2006, p.91, che rimanda al saggio di ALEX DE WALL , Islamism and its Enemies in the Horn of Africa, Hurst, Londra 2004, cit. in M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 66. 237 Cfr. ROBERT COLLINS, A History of Modern Sudan, Cambridge University Press, Cambridge 2008, cap. 7 e 8, cit. in M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 66. Collins insiste sul fatto che al-Turabi offrì ampia sponda al movimento di Osama Bin Laden, laddove al-Bashir era maggiormente preoccupato di evitare l’isolamento del Sudan nel quadro internazionale.
187
negli anni successivi uscirà ed entrerà periodicamente in carcere, fino alla
definitiva emarginazione in quella che qualcuno considera la “seconda repubblica
islamica” in Sudan.
Le vicende sudanesi sono politicamente molto complesse, come dimostra la
recente secessione del sud del Paese, costituitosi in Stato indipendente
(Repubblica del Sudan del Sud) nel 2001.
Quel che si può trarre dal punto di vista filosofico politologico è che in Sudan, a
differenza dell’Egitto, i Fratelli non sono mai riusciti (e forse nemmeno hanno
mirato) a mobilitare la masse e farsi interpreti delle istanze islamiche popolari. In
parte questo può essere dovuto ala loro incapacità di costituirsi come partito
moderno, e dall’aver intrapreso una direzione ideologica che andava più in
direzione di un’avanguardia elitaria che indirizzante le masse popolari, imbevute
di sufismo e fortemente legate alla tradizione, quindi fondamentalmente
impreparate allo Stato islamico. Hanno così ricercato un’islamizzazione dall’alto,
legandosi ai regimi che si avvicendavano al potere, salvo mostrarsi poi deboli
durante le fasi democratiche ed incapaci di acquisire spazi decisionali autonomi.
Questa collusione necessaria a causa dell’intrinseca debolezza ha snaturato la
missione originaria dei Fratelli e la loro vocazione popolare, portando per altro ad
un processo di islamizzazione delle istituzioni assai lento e per molti versi
inefficace. 238
I FRATELLI MUSULMANI NEL MAGHREB
Il profilo storico–politico della Fratellanza Musulmana in Maghreb può essere
seguito attraverso l’evoluzione di due movimenti: il Partito della Giustizia e dello
Sviluppo (o PDJ, Parti de la Justice et du Developpement) in Marocco e il
Harakat al-Nahda (Ennahda) tunisino.
238 Cfr. M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…pp. 68-70.
188
Il primo riesce a trovare il giusto mezzo che lo porta ad entrare in pieno titolo nel
sistema politico marocchino, grazie ad una strategia a lungo termine e per tappe,
seguendo la via della legalità e riconoscendo il Re come Amir al-Mu’minin
(“principe dei credenti” ), rinunciando alla violenza, accentando le regole della
“democrazia” (autocratica) marocchina. Il secondo, dichiaratamente ikhwaniyya,
si è arroccato sulle proprie posizioni, preferendo la coerenza alla politica di
compromesso.
PDJ E POLITICA DI COMPROMESSO
L’evoluzione storico-politica dei Fratelli Musulmani in Marocco coincide con
nascita a formazione del Partito della Giustizia e dello Sviluppo, PJD. Nel Paese
i primi movimenti propriamente islamisti comparvero alla fine degli anni
Sessanta. La politica coloniale francese aveva determinato, con la sua missione
civilizzatrice, una crisi d’identità che aveva rinnovato l’adesione locale alla fede
islamica e alla tradizione araba. Le ondate repressive del governo dispotico di
Nasser nei confronti dei Fratelli Musulmani in Egitto (nel 1948, a metà anni
Cinquanta e all’incirca fino al 1970) portarono i quadri dirigenti egiziani a
trasferirsi in Marocco, dove cercarono di ri-arabizzare il francofono Maghreb.
Essi, assieme a membri dell’organizzazione siriana, contribuirono alla re-
islamizzazione della società marocchina.
Quest’opera fu portata avanti attraverso la predicazione e favorì la formazione e il
proliferare di movimenti di ispirazione islamista, alcuni di questi influenzati dagli
insegnamenti dei movimenti islamici come i Fratelli e da intellettuali radicali
come Qutb. Alcuni di queste associazioni mostrarono un’evidente dimensione di
militanza politica, ma, differentemente rispetto ad Algeria e Tunisia, il panorama
189
dei movimenti islamici marocchini dava vita ad un quadro assai frammentato,
senza una leadership consolidata a fare da riferimento.239
I membri dei Fratelli Musulmani rifugiatisi in Marocco cominciarono a reclutare
nuovi adepti, soprattutto tra le fila degli insegnanti: tra questi c’erano ‘Abd el-
Karim Mouti’, e Ibhahim Kamal, che assieme ad alcuni compagni fondarono nel
1969 la Jam’iayyat al-Shabiba al-Islamiyya al-Maghribiyya (Associazione della
Gioventù Islamica Marocchina). L’evoluzione in chiave politica ed islamica del
movimento darà origine all’attuale partito di ispirazione islamica ufficialmente
riconosciuto, moderato e parte attiva della vita politica, il Partito della Giustizia e
dello Sviluppo.
Mouti’ è considerato il padre fondatore dell’islamismo radicale marocchino e al-
Shabiba il primo gruppo in Marocco, prima ancora di Giustizia e Carità di
Abdessalam Yasin, a richiamarsi ad un islamismo radicale in aperta rottura con la
tradizione politica del Paese e con l’istituto del Re, cui il movimento non
riconobbe lo status di Amir al-Mu’minin, che era stato istituzionalizzato in
occasione della riforma costituzionale del 1962. Fortemente influenzato dalle
idee di Qutb, fece di Pietre Miliari il modello su cui orientare l’agenda politica
del movimento, che rimase nella clandestinità per tre anni, sino al 1973 quando
chiese ed ottenne il riconoscimento formale. Mouti’ si adoperò per sfruttare il
movimento e per reclutare nuovi seguaci, soprattutto nel mondo accademico. Da
un lato lavorò sul versante della legalità proponendo finalità soprattutto religiose
ed educative in contrapposizione alla visione di una società atea propugnata dalla
sinistra marxista, rifiutando apertamente la violenza e proponendosi obiettivi di
riforma etica della società e di assistenza sociale; dall’altro lato diede però vita ad
un’organizzazione clandestina parallela, antagonista del regime e più radicale, che
aveva come obiettivo il rovesciamento in vista di una ricostruzione della società in
senso marcatamente islamico. Un gruppo ben strutturato, che disponeva di
239 Cfr. TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione e negazione: i Fratelli Musulmani nel Maghreb, in (a cura di) MASSIMO CAMPANINI, KARIM MEZRAN , I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Utet, Torino 2010, pp. 141-142.
190
un’organizzazione paramilitare e che reclutava in particolar modo studenti
liceali.240
Il luogo adibito al reclutamento era la moschea, in cui si invitava all’adesione alla
jama’a. poi i reclutati venivano organizzati in cellule, sotto responsabilità di un
emiro. Per rinforzare i legami tra i membri venivano organizzate attività sportive e
socio-culturali, mentre i membri venivano divisi per fasce di età e in funzione
dell’appartenenza ad una categoria socio-professionale. Superata la fase dello
studio delle fonti iniziava una seconda fase corrispondete alla formazione
ideologica per la quale si utilizzavano i testi radicali di Qutb, quindi venivano
svelati in una terza fase i segreti dell’organizzazione 241.
Una volta riconosciuto il movimento ufficiale, questo movimento clandestino
parallelo continuò ad operare sotterraneamente, a tal punto di segretezza che
spesso membri dell’una e dell’altra organizzazione non erano a conoscenza
reciproca. Inoltre il movimento clandestino mantenne una rete di rapporti con altre
organizzazioni dei Paesi arabi, beneficiava del sostegno finanziario dell’Arabia
Saudita e della solidarietà di movimenti islamisti di Egitto, Libano e Siria. 242
Ovviamente movimento islamista e movimento di sinistra si contesero il controllo
delle università e delle associazioni sindacali. Tale confronto si inserisce in una
fase politica della monarchia caratterizzata da una atteggiamento conciliante nei
confronti dei movimenti islamisti (ma di repressione nei confronti di quei gruppi
che predicavano il ricorso alla violenza) che perdurerà per tutti gli anni Sessanta e
Settanta, in una ben precisa strategia di contenimento della sinistra e dell’estrema
sinistra che abbiamo già visto per gli altri Paesi.
240 Cfr. MOHAMMED TOZY, Monarchie et islam politique au Maroc, Presses de Sciences Politiques, Parigi 1999, p.231, cit. in TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p. 145. 241 Cfr. MARIE HÉLÈNE PARIZEAU, SOHEIL KASH, Pluralisme et islamisme au Maghreb, in Pluralisme, modernité et monde arabe: politique, droits de l’homme et bioéthique, Les Presses de l’Université Laval, Saint-Foy 199, pp. 165-166, cit. in TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione… op.cit., p. 145. 242 Cfr. ABDERRAHIM LAMCHICHI , L‘islamisme s’enracine au Maroc, in “Le Monde Diplomatique”, maggio 1996, pp. 10-11, cit. in TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione… op.cit., p
191
Intorno agli anni Ottanta si registrerà invece un’inversione di tendenza
nell’approccio del regime ai movimenti islamisti, che rischiavano di far vacillare
il controllo del monarca sulla sfera religiosa di cui, in qualità di “principe dei
credenti”, era interprete esclusivo, che si tradurrà in un controllo più serrato e
diretto della sfera religiosa in una fase di pressione più marcata. A questo
irrigidimento governativo corrispose un indebolimento delle correnti radicali, o
una loro metamorfosi verso posizioni più moderate. È questo anche il caso di al-
Shabiba, il cui passaggio graduale verso toni moderati era per altro già iniziato.
La forza propagatrice del movimento tra il 1972 e il 1975 insospettiva infatti la
monarchia che vi infiltrò i servizi segreti, portando alla luce l’organizzazione
clandestina e le sue reali finalità. Il coinvolgimento del movimento nell’assassinio
di ‘Omar Banjelloun, leader di USFP (Union Socialiste des Forces Populaires), e
l’aggressione ai danni di un militante comunista insegnate di filosofia nel 1972
segneranno l’avvio della campagna repressiva nei confronti del movimento,
dichiarato illegale nel 1976.
Si aprì una fase confusa in cui Mouti’, principale indagato (e in seguito
condannato) per la morte di Benjelloun lasciò il Paese, così come il responsabile
del braccio armato dell’associazione. Il braccio destro di Mouti’, Kamal Ibrahim,
venne invece arrestato. Mouti’ cercò di esercitare ancora la sua leadership
dall’estero, senza riuscirvi. Emersero divisioni interne e il movimento si
frammentò in molteplici cellule che esasperarono le lotte intestine. Moutì andava
intanto assumendo posizione sempre più radicali che culminarono nella
pubblicazione, in Belgio, della rivista “al-Mujahid” nella quale invocava
apertamente il ricorso alla violenza criticando aspramente la monarchia.
Tra i gruppi che si staccarono dal movimento originario emersero tre in
particolare: un primo ostile a Moutì, di cui parte si unirà poi al gruppo radicale al-
Jihad, o nel movimento Al’Adl wal ihsan di ‘Abdessalam Yasin; un secondo
gruppo neutrale che scelse di non esprimersi rispetto alla vecchia leadership e da
cui originarono diversi formazioni religiose su base locale, tra cui gruppi confluiti
in seguito nel Movimento dell’Unità e della Riforma (MUR), principale
192
derivazione di al-Shabiba; infine un terzo gruppo fedele a Mouti’, la cui
maggioranza formerà poi il movimento al-Jama’ala al-Islamiyaa ,che passando
per varie fasi approderà nel PDJ, unendosi al Movimento Popolare Democratico e
Costituzionale (MPDC).243
Al-jama’a al-Islamiyya, guidato da Abdallah Benkirane, era come detto il
principale tra questi gruppi, che, nato da una costola di al-Shabiba, se ne distaccò
espressamente denunciando la gestione e le pratiche Mouti’. Richiese
riconoscimento legale come organizzazione islamica nel 1983, e si sforzò di
presentarsi come un’organizzazione autonoma, nazionale, che non rappresentava
l’Islam nella sua interezza, sino ad aggiungere alla propria Carta, con una
formulazione postuma, l’obiettivo di confrontarsi con ideologie e idee contrarie
all’Islam.244Il gruppo perseguì essenzialmente una duplice strategia: da un lato
cercò di accreditarsi nella sfera islamista promuovendo una riforma dottrinale che
rompesse con l’islamismo dei Fratelli Musulmani al fine di promuovere un Islam
maggiormente in linea col contesto sociopolitico marocchino, dall’altro perseguì
la strada della normalizzazione, della distensione e collaborazione col potere
politico, mirando a diventarne l’interlocutore islamista privilegiato.
La prima fase evolutiva del movimento fu ancora clandestina, e segnata da una
dialettica di tipo estremista, coi membri che ricevevano una formazione anche
paramilitare, ed un’organizzazione ancora su modello dei Fratelli Musulmani. Poi
nel 1984 seguirono un’ondata di arresti da parte del governo, il che segnò il
passaggio ad una seconda fase in cui il movimento scelse di adottare una strategia
di lotta politica mettendo in discussione la clandestinità. Una terza fase prese
avvio nel 1992, come reazione al colpo di stato in Algeria, e segnò un passo
avanti nella realpolitik del movimento e nella strategia di distensione. Il
movimento cambiò nome da al-Jama’a al-Islamiyya a Harakat al-islah wa al-
tajdid ( nell’acronimo francese MRR, Mouvement Réferome et Renoveau),
eliminando ogni esplicito riferimento islamico per lasciar posto a termini quali
243 Cfr. TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p. 147. 244 Cfr. EMAD ELDIN SHAHIN, Polical Ascent: Contemporary Islamic Movements in North Africa, Westview Press, Oxford 1997, p.189, cit. in TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p. 148.
193
islah e tadjid (“rinnovamento”) che appartengono al lessico del pensiero politico
arabo della Nahda. L’inaugurazione dell’ultima tappa di maturazione del
movimento può essere individuata nel 1996, con la nascita del partito politico,
dopo la richiesta rigettata nel 1989 e nel 1992. Per ottenere il riconoscimento si
optò per l‘associazione ad un movimento già accettato, il Movimento Popolare
Costituzionale e Democratico (MPDC): a partire dalle elezioni del 1997 il
neonato movimento prese il nome di PJD, Partito di Giustizia e dello Sviluppo.245
La strategia è comprensibile all’interno della politica nota come dell’alternance
instaurata dal regime marocchino nel 1997-1998: già da anni Re Hasan aveva
compreso che la crisi socio economica del Paese non gli avrebbe più consentito di
governare attraverso elezioni fittizie e che era ormai necessario un coinvolgimento
dell’opposizione, ed aveva così avviato un’apertura democratica. Il MRR ebbe
dunque la chance di entrare nella scena politica marocchina.
La posizione ideologica della Jama’a si basava essenzialmente su tre capisaldi:
l’illegittimità dell’uso della violenza come strumento politico; la compatibilità tra
Islam e democrazia e la questione femminile. La presa di posizione esplicita e
netta di Benkirane ha significato una rottura coi metodi di indottrinamento e di
formazione ereditati da al-Shabiba, anche se in realtà occorse parecchio tempo
perché la cultura della non violenza nei militanti venisse interiorizzata (violenti
sconti scoppiarono difatti tra il 1992 e il 1994 tra sinistra ed islamisti). Per quanto
attiene al rapporto tra Islam e democrazia, Benkirane sottolinea:
“Gli islamisti marocchini non hanno mai considerato la democrazia come apostasia ma
hanno avuto qualche difficoltà a legare il concetto di hakimiyya di Dio a quello di
sovranità del popolo […]. Gli islamisti del MPDC ripresero il concetto di shurà […] per
ammettere la democrazia al contempo limitando la sovranità popolare alle questioni non
trattate dal Corano e dalla Sunna del Profeta […]. Lungi dall’essere formale,
245 Cfr. TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p. 149.
194
l’attaccamento alla democrazia è visibile nella pratica dell’associazione, che cambia
frequentemente leader e organizza scrutini interni esemplari.246”
Relativamente alla questione femminile. gli islamisti del PJD si arroccarono su
posizioni più conservatrici. L’intransigenza nei confronti della questione
femminile si era già palesata in passato quando gli islamisti reagirono in maniera
molto violenta ad una petizione da parte dell’Union de l’Action Feminine ,
presentando la loro mobilitazione come una forma di jihad a tutela della famiglia
e dell’Islam in Marocco.
In parallelo alla fusione con MPCD , l’associazione al-Islah wa al Tajdid integrò
nel 1996 quegli elementi "neutrali" in rapporto allo scioglimento di al-Shabiba,
formando un nuovo movimento associativo: MUR (Mouvement Unité et
Réforme), guidato da Ahamed Raissouni, destinato ad avere un ruolo sociale,
parallelamente al partito politico di riferimento (PJD), in una struttura di fatto
bicefala, che consente al movimento di avere un dialogo più libero con la propria
base sociale pur sposando le scelte del palazzo tramite il partito (ambiguità
puntualmente oggetto delle critiche delle altre forze politiche in ogni momento di
tensione). Alle elezioni del 1997 PJD scelse un basso profilo non candidando le
personalità più in vista, , una strategia che si dimostrerà vincente anche come
riscontro tra i votanti. La politica di cautela continuò anche nelle successive
elezioni sia politiche sia amministrative. Si tratta di un atteggiamento mirato
soprattutto alla monarchia, che il movimento riconosce come legittima nonché
come fondamento della nazione marocchina.
In una prima fase della sua vita politica il PDJ mise in primo piano la
moralizzazione dei costumi in chiave tradizionale islamica, e si pose come partito
di opposizione, alternando opposizione legale e consenso critico.
Dopo gli attentati suicidi di al-Qaida a Casablanca nel 2003 che provocarono oltre
quaranta vittime, il PJD si impegnò per mantenere il proprio spaziò politico,
246 ABDELILLAH BENKIRANE , La normalisation politique de l’Islamisme dans le Royaume Cherifien. Généalogie et pratiques du Parti de la Justice ed du Développement, in “Revue Averroès”, 2009, 1, p.5 , cit. in TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p. 151.
195
minacciato dalle critiche contro gli estremismi religiosi che, nonostante la netta
condanna del terrorismo già espressa dai propri leader, colpì anche il partito. In
questa fase il partito prende le distanze anche dal MUR, ed emargina tutti quegli
gli elementi che hanno mantenuto posizioni ambigue, tra cui Raissouni. Il partito
sposta inoltre la sua attenzione dall’ affermazione dei valori islamici a questioni
più squisitamente socio-economiche politiche, quali l’integrità territoriale,
tralasciando però l’importante questione di una revisione costituzionale che
aumentasse i poteri del parlamento, richiesta da più partiti.
Lo sforzo di emersione e normalizzazione del PJD sul panorama politico
marocchino ha determinato l’omologazione della sua linea politica a quella di
altre formazioni partitiche legalizzate, e di fatto, pur mantenendo la sua peculiarità
di partito "di ispirazione religiosa" ha delineato un programma politico imperniato
su tematiche "secolari". Lo stesso Benkirane ha definito il PJD nel programma
elettorale del 2007 come "un partito di centro che combina in maniera ottimale
riferimenti islamici e modernità" e che fonda la sua concezione dell’Islam sul
"giusto mezzo, il rinnovamento, la modernizzazione, l’apertura e il
riconoscimento reciproco. 247
TUNISIA: ASCESA E DECLINO DI HARAKAT AL-NAHDA
Harakat al-Nahda (Ennahda, secondo la trascrizione più in uso sui nostri media,
ndr) è il più numeroso ed influente movimento islamista tunisino, ispirato ed
ideologicamente connesso alla Fratellanza Musulmana egiziana. Tra i fondatori,
Rashid al-Ghannoushi ne diverrà ideologo ed è a lui , che ne abbracciò l’ideologia
mentre si trovava a Damasco per motivi di studio, che si deve la diffusione dei
Fratelli in Tunisia. A seguito della distensione operata da Sadat di cui si è detto
nel capitolo precedente, le idee e i testi della Fratellanza circolarono più
liberamente in tutto il mondo arabo, ed in Tunisia in particolare in concomitanza
247 Ivi, p.12.
196
con la prima esposizione internazionale del libro nel Paese che si tenne nel
1973. Il legame con la Fratellanza venne esplicitamente espresso da uno dei
leader del movimento tunisino nel corso di una conferenza svoltasi nel Regno
Unito nel 1988, laddove il movimento venne definito “ ikhwaniyaa”, conforme ai
Fratelli. 248 Tiziana Giuliani individua quattro fasi dello sviluppo del movimento
tunisino249: una fase di formazione (che va dal 1970, anno della fondazione, al
1973); una fase di espansione e politicizzazione (dal 1973 al 1980); una fase di
confronto col regime di Bourghiba (dal 1981 al 1987); la fase post-Bourghiba
(successiva al 1987, che vede anch’essa un confronto col neo presidente Ben ’Ali,
dopo una prima fase di distensione).
Il periodo post indipendenza fa da cornice alla formazione del movimento. Negli
anni successivi all’indipendenza tunisina, Bourghiba tentò di avviare un
significativo processo di cambiamento della società in direzione di una
laicizzazione per dar vita ad uno Stato moderno, avviando una serie di riforme in
campo religioso, dall’abolizione del velo e della poligamia fino allo
smantellamento del sistema del Waqf , sino a spingersi alla raccomandazione
contro il digiuno del Ramadan perché metteva a rischio la produttività del Paese.
Lo Stato di fatto interveniva in campo religioso, prima appannaggio esclusivo
degli ‘ulemā’ , lanciando una campagna contro questi ultimi, definiti come
obsoleti ostacoli alla modernizzazione del Paese. Bourghiba introdusse un
sistema di istruzione moderno su modello francese, mentre il Ministero acquisiva
la competenza anche dell’istruzione tradizionale religiosa (col controllo delle
madrase e dell’università islamica Zytuna). L’impatto di queste riforme fu
fortissimo, dal momento che venne di fatto smantellato l’intero vecchio ordine
culturale.
Bourghiba però, a differenza di Ataturk in Turchia, non si libererà dei riferimenti
religiosi, ma manterrà un atteggiamento pragmatico che gli sarà utile in seguito:
248 Cfr. ALDEEB ABU SAHLIEH, I movimenti dell’attivismo islamico, la Legge islamica e i diritti dell’uomo, in “Rivista internazionale dei diritti dell’uomo”, X, settembre-dicembre 1997, pp. 461-513, cit. in TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p.156 249 cfr. TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., pp. 156-158
197
con le sue riforme rivendica per se’, in qualità di leader di uno Stato musulmano,
la possibilità di riaprire le porte dell’ ijtihad per conciliare religione e modernità,
in un equilibrio in cui l’Islam è dichiaratamente religione di Stato (come sancito
dalla Costituzione del 1958). L’occidentalizzazione passò per l’istituzione del
francese come lingua principale del sistema scolastico, che contribuì a
marginalizzare chi aveva seguito una formazione tradizionale. Bourghiba rifiutò
di negoziare i fattori costitutivi dell’identità nazionale con altri gruppi di interesse
tunisini, come tentò invece il suo successore Ben ‘Ali con il Patto Nazionale, e
proprio nel periodo di affermazione del panarabismo, dell’esperienza della
Repubblica Araba Unita (RAU), del conflitto arabo-israeliano. In campo
economico il ministro delle finanze Ben Saleh cercò di guidare il Paese verso
un’economia pianificata su modello sovietico finalizzata ad ostacolare le
importazioni e migliorare la produttività agricola e l’industria autoctona. Le
riforme economiche si dimostrarono tuttavia fallimentari, generando un crescente
malcontento tra la popolazione (tra cui cresceva vertiginosamente la
disoccupazione) e un pericoloso ricorso all’indebitamento finanziario all’estero.
Sul piano politico il fallimento fa vacillare la credibilità di Bourghiba , che nel
1970 chiude la fase “socialista” ed inizia una transizione verso il liberismo. In
questo contesto, un gruppo di giovani scontenti tra cui Rashid al-Ghannoushi,
‘Abdel Fattah Mouro, Hemida al-Naifar e Salaha eddin al-Jourshi, pongono le
basi per la nascita di quello che sarebbe divenuto Harakat al-Nahda.
Al-Ghannoshi e al-Naifar, inizialmente attratti dal nasserisimo, ne erano rimasti
delusi e avevano abbracciato le tesi dei Fratelli Musulmani. Assieme ai propri
compagni iniziarono ad organizzare riunioni in cui dibattere le questioni religiose
e cominciarono a praticare la da’wa, in una fase embrionale del movimento che
vede il governo adottare un atteggiamento di cauta tolleranza. Siamo difatti in
concomitanza con la rottura governativa con la sinistra cui segue la svolta
liberista, e gli islamisti diventano funzionali al governo nel suo tentativo di
controbilanciare i residui socio-comunisti. Negli anni Settanta, alcuni fattori
propizi consentono al movimento di crescere e rafforzarsi affacciandosi al
contempo sul terreno del confronto politico, in un allargamento dell’interesse
198
influenzato anche dagli scritti di Qutb. Il primo terreno di scontro politico è
rappresentato dalle università, dove gli studenti diventano oggetto e soggetto della
lotta contro la sinistra. Alla politicizzazione del movimento secondo una visione
qutbista sono però contrari alcuni tra i membri fondatori del partito (al-Naifar e al-
Jourshi), che se ne distaccano, dando origine al Movimento Progressista di
Tendenza Islamica. Harakat al-Nahda nel mentre si espande, incontrando il
successo in particolare grazie al sentimento di malcontento diffuso per le
condizioni socio economiche del Paese, a cui gli islamisti riescono a dare risposta
fornendo non solo un’alternativa politica, ma anche un’identità legata alla
religione. Il nuovo corso economico aveva in parte riabilitato l’economia del
Paese attraverso il settore energetico e lo sviluppo del turismo, ma la
disoccupazione doveva rivelarsi endemica e la politica agricola fallimentare.
Violente proteste culminarono nel gennaio 1978 in quello che è passato alla storia
come “giovedì nero”, con l’arresto di molti membri dell’Union Generale
Tunisienne du Travail. Proprio questo evento creò un vuoto che al-Nahda si
dimostrerà scaltra nel riempire, nutrendosi dell’indebolimento di altre forze
politiche, come appunto la decapitata UGTT e le sinistre, che progressivamente
perdevano il consenso degli universitari in favore degli islamisti.
Anche in Tunisia possiamo notare come le questioni sociali ed economiche si
uniscano a quelle identitarie e culturali nella dialettica tra islamisti e governo.
Non a caso l’economista Salah Karkar diverrà vicario di al-Ghannoushi nel 1979.
La diffusione delle idee dei Fratelli Musulmani egiziani derivante dall’approccio
morbido di Sadat, congiuntamente all’eco della rivoluzione iraniana, premono sul
malcontento popolare dando un appiglio soprattutto ai giovani, che numerosi
aderiscono alla sempre più popolare al-Nahda. La crescita del movimento non
poteva che spaventare il governo, che nel 1979 vieta la pubblicazione della sua
rivista ufficiale. Il successo comporta anche la necessità di una maggiore
organizzazione interna, che avverrà su modello dei Fratelli egiziani, con una
struttura piramidale alla cui base stavano piccole cellule, a salire fino alla
Conferenza Generale. Il governo si vede costretto ad esercitare un maggiore
controllo sulle attività religiose, istituendo un’agenzia speciale che ne
199
monitorasse l’evoluzione. In quest’ottica, il governo rivendicava il ruolo avuto
da Bourghiba a difesa e sostegno dell’Islam durante l’occupazione francese.
Durante lo stato di allerta alcuni esponenti del movimento, tra cui al-Ghannoushi
e Mourou, vengono arrestati, quindi nel 1980 stessa sorte tocca a Karkar e Dimni,
mentre vengono scoperti documenti inerenti le strategie del movimento. Nel
frattempo Bourghiba da il suo placet per l’avvio di un sistema multi-partitico,
figlio della necessità di guidare alleanze più ampie e un sistema più
rappresentativo di fronte al malcontento popolare. Il nuovo primo ministro, in
sostituzione del malato Nouira, Mohammed Mzali, ha un orientamento liberale e
un atteggiamento di simpatia per la causa islamista. La positiva congiuntura
spinge allora al-Nahda a pianificare l’emersione sula scena. Il 6 giugno 1981
viene indetta una conferenza stampa in cui i membri di spicco enunciano obiettivi
e finalità dell’organizzazione e chiedono al governo il riconoscimento legale come
partito politico. Questa sorta di manifesto programmatico contiene le motivazioni
che hanno ispirato la nascita del partito e scaturiscono dall’osservazione della
marginalizzazione e alienazione cui è soggetto l’Islam contemporaneo, attaccato
nei suoi valori fondanti. Quindi analizza la situazione tunisina, caratterizzata da
un clima acceso e da crisi economiche esacerbate dalla presenza di un partito
unico (il Destour) a dominare la scena politica, e da politiche dettate da interessi
internazionali e non nazionali. Infine accusa il regime di aver orchestrato una
campagna faziosa contro il movimento. A fronte di questa riprovevole situazione
al-Nahda propone un Islam rivitalizzato e rinnovato, una nuova attenzione alla
volontà popolare e un sistema di giustizia sociale più equo. La moschea è vista
come fulcro della mobilitazione popolare; l’arabizzazione, il rifiuto della violenza,
e il rifiuto di un sistema politico incentrato sul partito unico come elementi
basilari per la ripresa della società tunisina. 250
A seguito di questo critico proclama il governo sferrerà la propria offensiva contro
gli islamisti, arrestando sessantuno membri del movimento con l’accusa di
associazione illegale e diffamazione. Si apre una fase di confronto acceso ed
arresti che inducono diversi leader ad abbandonare il Paese e rifugiarsi all’estero.
250 Cfr. TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p 162-163
200
Solo il sopraggiungere di una nuova forte crisi economica e un nuovo
malcontento induce Mzali a rivedere e mitigare le misure contro gli islamisti, a cui
viene concessa un’amnistia in cambio di una modifica della denominazione del
movimento, così da eliminare espliciti riferimenti all’Islam. All’interno di al-
Nahda si dibatte sulla questione , e alla fine ha il sopravvento la posizione del
leader carismatico, al-Ghannoushi, favorevole alla linea dura, coerente ed
intransigente rispetto alle proposte del regime: la politica del compromesso viene
così rigettata.
Gli ultimi anni della presidenza Bourghiba sono contrassegnati da un’evoluzione
in direzione di un autoritarismo e accentramento del potere. Al-Nahda viene
accusata per le esplosioni nei villaggi turistici di Sousse e Monastir e le misure
repressive si fanno più apre comprendendo anche la pena di morte per sette
membri dell’organizzazione. Al-Ghannoushi è condannato ai lavori forzati a vita.
Secondo molti analisti politici una delle ragioni che determinò la presa di potere
da parte del primo ministro Zine el-‘Abidine Ben ‘Ali e la deposizione di
Bourghiba quale presidente, risiede proprio nell’aspra politica del governo di
quest’ultimo contro gli islamisti che rischiava, secondo molti tunisini, di portare
gravi conseguenze per il Paese. 251
Il nuovo presidente inaugura un nuovo corso adottando una politica di
conciliazione con gli islamisti, e riafferma l’identità arabo islamica tunisina, anche
attraverso alcuni gesti simbolici come la riapertura della Zaytuna, la costituzione
di un Consiglio Supremo Islamico e la liberazione di al-Ghannoushi e altri
membri del partito. A sua volta quest’ultimo afferma la propria non violenza e
volontà di diventare partito legalmente riconosciuto. Abbandona la vecchia
denominazione di Movimento della tendenza Islamica, al fine di soddisfare i
requisiti di legge sui partiti politici tunisini. Per numerosi suoi dirigenti il
passaggio al nome di al-Nahda è tuttavia un fatto puramente formale, che non
significa un allontanamento dai principi islamici. Il nuovo manifesto emanato dal
251 E.SHAIN, Political Ascent….op. cit., p. 99.
201
movimento non è dissimile in effetti dal precedente del 1981, anche se viene
inserita tra gli obiettivi la salvaguardia della repubblica e dei suoi fondamenti,
oltre alla salvaguardia della società civile e l’inclusione del principio di sovranità
popolare. Il movimento continuava ad avere una struttura sotterranea parallela,
tanto che il nome del nuovo presidente, Sadiq Chourou, viene divulgato solo
qualche anno più tardi. Nonostante firmi il nuovo Patto Nazionale, al-Nahda si
vede negata la partecipazione alle elezioni legislative del 1989: gli islamisti
sfidano allora il governo presentando i propri candidati come indipendenti.
Ottengono un risultato apprezzabile con circa il 15% dei voti totali, ma arrivando
a sfiorare il 40% nelle città principali, risultando così principale partito di
opposizione. Al-Ghannoushi decide di lasciare il Paese oramai disilluso sulla
possibilità di collaborare fruttuosamente col governo, e i fatti non gli danno torto:
da lì a breve riprende una nuova offensiva contro gli islamisti. Nel 1991, a seguito
di due gravi episodi attribuiti ad al-Nahda (l’attacco agli uffici del Rassemblement
constitutionnel démocratique, il partito fondato da Ben ‘Ali, a Bab Souika e un
complotto finalizzato ad un colpo di Stato) le misure repressive si inaspriscono
ancora, con arresti sistematici e sovente arbitrari, secondo quanto riportato da
Amnesty International. L’episodio terroristico di Bab Souika per altro apre una
frattura all’interno del movimento, da cui si distacca una fazione apertamente non-
violenta che cerca una riconciliazione col governo. Gli islamisti liberati dalle
carceri tunisine sono in realtà sottoposti ad una rigida sorveglianza, come
mostrano alcuni reportage dei tardi anni 2000 252
UN CONFRONTO
Si può notare come sia il movimento islamista marocchino sia il movimento
islamista tunisino di cui si è scelto di parlare abbiano dovuto relazionarsi con un
regime autoritario, che in precise fasi storiche ha dovuto aprire a possibili
conciliazioni, rappresentate dall’alternance in Marocco e dal Patto Nazionale
tunisino, che hanno offerto alle opposizioni uno spiraglio per un ingresso ufficiale
252 Cfr. TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p.166
202
nel sistema politico legalizzato. Mentre in Marocco l’ Islam è parte integrante del
sistema politico poiché la monarchia discende dalla famiglia del Profeta che ne fa
una fonte di legittimità, nella Tunisia post indipendenza l’Islam è stato, secondo
al-Nahda, rinnegato in nome di un modernismo di tipo occidentale. La fase di
affermazione ed espansione di entrambi i movimenti passa per uno scontro-
confronto con i movimenti della sinistra, e in questa veste entrambi diventano
funzionali alle politiche di contenimento dei rispettivi governi. Entrambi, infine,
hanno una struttura bicefala: il PDJ in una certa fase separa il partito politico dal
movimento di pensiero (MUR) , ed entrambi coesistono alla luce del sole ma
separando gli ambiti della sfera d’azione dei propri membri; mentre al-Nahda ad
un movimento di superficie che cerca la legalizzazione affianca uno struttura
clandestina, che si sostituisce nella direzione del movimento ogni qualvolta le
repressioni del regime lo rendono necessario. Assolutamente diversa è invece la
risposta dei due movimenti a questo gioco di scontri ed equilibri con i rispettivi
governi: il PDJ ha accettato di eliminare ogni riferimento all’Islam che possa
sembrare radicale, così come le connessioni con i Fratelli Musulmani e perfino
con il MUR, al-Nahda è rimasto tenacemente legato al suo essere “ikhwaniyya”,
pur in un’accezione dichiaratamente anti-violenta e moderata.
203
APPENDICE: PRIMAVERE ARABE E ISLAMISTI AL
POTERE
Quando il popolo vuole vivere
Le catene si spezzano!
Le tenebre si dissovono!
INNO NAZIONALE TUNISINO
Il 18 dicembre 2010 Mohamhed Bouazizi, fruttivendolo ambulante di Sidi
Bouzid, metteva fine alla propria vita appiccandosi fuoco in segno di protesta nei
confronti delle autorità di polizia locali e del governo, per le misere condizioni
economiche e la dilagante disoccupazione della sua come di molte altre città
tunisine.
Il gesto estremo di quello che è immediatamente diventato un eroe popolare è la
scintilla che fa divampare il fuoco di quelle che i media occidentali hanno
ribattezzato “primavere arabe”, una serie di sollevazioni popolari generate dal
comune malcontento per le disastrose condizioni economiche, il malgoverno, la
corruzione, la violazione dei diritti civili di svariati Paesi del mondo arabo. Le
rivolte hanno provocato ad oggi la caduta di quattro capi di Stato (Zine el-Abidine
Ben Ali in Tunisia dal 14 gennaio 2011, in Egitto Hosni Mubarak l'11 febbraio
2011, in Libia Muhammar Gheddafi, catturato e ucciso dai ribelli il 20 ottobre
2011, Ali Abdullah Saleh in Yemen, il 27 febbraio 2012), e sono state
caratterizzate dall’avanzata dei partiti di matrice islamista. Tuttavia, le recenti
evoluzioni mostrano una situazione di grave instabilità sociopolitica, in
particolare in Egitto, dove è in corso una “controrivoluzione” guidata dai militari
che ha destituito il governo dei Fratelli Musulmani, ma anche nel resto della
regione mediorientale e nordafricana.
204
TUNISIA: AL-NAHDA E LA RIVOLUZIONE DEI GELSOMINI
E’ la Tunisia a dare il via alla serie di proteste. Dieci giorni dopo il suicidio
dimostrativo di Bouaziz, violente manifestazioni scoppiano nel centro-sud del
Paese. Ad ispirarle sono inizialmente le stesse motivazioni che hanno spinto il
giovane fruttivendolo al suicidio (frustrazione per la disoccupazione, corruzione
della polizia, indifferenza delle autorità, crescente preoccupazione per il rialzo dei
prezzi dei beni di prima necessità), più in profondità però traspariva
l’insoddisfazione, specie delle generazioni più giovani che non avevano
partecipato ai moti d’indipendenza, per il regime decisamente autoritario di Ben
Alì, per la mancanza di libertà di espressione, per il bavaglio imposto alla stampa
e per una società basata sul clientelismo. I moti e la conseguente repressione
andarono radicalizzandosi, sino a spingere, il 14 gennaio 2001, il presidente Ben
Ali alla fuga in Arabia Saudita (essendosi rifiutare di accoglierlo Malta, Francia e
Italia) non prima di aver ordinato di fare “terra bruciata”. Tuttavia l’esercito,
dapprima neutrale, sodalizzò con la folla, opponendosi alla polizia, rimasta fedele
all’ex Presidente.
In attesa di elezioni generali (inizialmente previste entro due mesi e poi rinviate
per l'estate), viene varato un governo di unità nazionale presieduto dal Primo
ministro Mohamed Ghannouchi del quale vengono chiamati a far parte anche
esponenti dell'opposizione parlamentare ed extraparlamentare.
Ghannouchi, cresciuto nei ranghi benalisti, cerca di guidare la transizione, impasta
e rimpasta a più riprese il proprio governo, ma manca dell'autorevolezza per
imporre una road map per la ricostruzione delle istituzioni del Paese. Il 25
febbraio centomila tunisini scendono in piazza per chiedere le dimissioni di
Ghannouchi, che il 27 lascia l'incarico. Lo sostituisce Béji Caïd Essebsi, un altro
veterano della politica tunisina, già a più riprese ministro nei governi guidati dal
primo presidente del paese, Habib Bourguiba. Vengono indette per il 24 luglio
(spostate poi all’ottobre) le elezioni per un'Assemblea costituente, mentre il nuovo
governo ad interim annuncia la dissoluzione della polizia segreta.
205
Le elezioni vedono la netta affermazione dei partiti che si erano opposti a Ben Ali,
in particolare del partito islamista moderata Ennahda (al-Nahda), che ottiene il
37% dei voti e 89 seggi, e Congresso per la Repubblica, partito laico riformista,
che ottiene l'8,7% dei voti e 29 seggi. In seguito l'Assemblea Costituente elegge
Presidente della Repubblica Moncef Marzouki, vecchio oppositore di Ben Ali e
leader del Congresso per la Repubblica, che nomina Primo Ministro Hamadi
Jebali, anch’egli storico oppositore di Ben Ali e segretario di Ennahda. Il nuovo
governo è costituito da una coalizione tripartita che comprende Ennahda, il
Congresso per la Repubblica e il Forum Democratico per il Lavoro e la Libertà.
Si tratta di un avvenimento storico: per la prima volta nel Maghreb vince un
partito islamico, se si esclude il Fis algerino nel dicembre '91, spazzato via un
mese dopo dal colpo di stato dei generali e dalla lunga e cupa stagione dei
massacri.
Così, Mouad al-Ghannoushi, figlio del fondatore del movimento Rashid e
responsabile dei rapporti coi media, ha elencato i principi del partito vincitore
delle elezioni :”Democrazia, uguaglianza tra i sessi, libertà di coscienza e di
espressione, giustizia per tutti”. A convincere l’opinione pubblica è stato
l’islamismo moderato, teoricamente vicino a quello dell’ Akp di Erdogan in
Turchia, secondo lo stesso al-Ghannoushi. “Garantiamo agli uomini d'affari
stranieri che i loro interessi saranno preservati”, dice il vicepresidente di
Ennahda Abdel Hamid Jelassi, “ e siamo pronti a collaborare con tutti i partiti
della Costituente”. 253
Le ragioni di questa vittoria, facilitata da un fronte laico frammentato al quale non
è bastato il sostegno dei media, le elenca il carismatico Abdel Fattah Mourou:
“Ennahda ha vinto perché è all'opposizione da venticinque anni durante i quali
sono stati incarcerati 30mila militanti e altri 30mila mandati in esilio. Ennahda è
stata la maggiore vittima politica di Ben Ali. Questo la gente lo sa. Non solo, gli
253 ALBERTO NEGRI, Islamici senza rivali in Tunisia, in “il Sole 24 ore”, 25 ottobre 2011, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-10-25/islamici-senza-rivali-tunisia-063839.shtml?uuid=AakzzlFE. Ultima visualizzazione: 24/09/2013.
206
altri partiti hanno polarizzato la campagna insistendo sul laicismo: i tunisini sono
dei moderati ma attaccati profondamente alla loro identità musulmana.”254
La vittoria elettorale di Ennahda nel 2011 ha dunque rappresentato il
coronamento di una lunga marcia politica cominciata negli anni Ottanta,
caratterizzata dalla dura repressione da parte del regime di Habib Bourguiba.
Linea perseguita successivamente anche sotto Ben Ali e caratterizzata da un
processo di moderazione e ripensamento concettuale dell’ispirazione islamista del
movimento analizzata nel capitolo precedente.
Tali eventi contribuirono a creare quella fama di serietà, integrità e
determinazione che rese Ennahda il principale e più rispettato movimento
d’opposizione al regime nell’immaginario collettivo del popolo tunisino e nelle
narrative di resistenza ad esso connesse. 255
Non è stata quindi certamente una sorpresa che la caduta del regime di Ben Ali
abbia spalancato le porte al ritorno in grande stile di Ennahada e della sua
leadership esiliata. La “rivoluzione dei gelsomini” in un primo tempo non ha visto
coinvolti i gruppi islamisti, e non conteneva nemmeno una forte retorica islamista.
Tuttavia ha permesso la nascita di nuove formazioni politiche e il ritorno di
diverse guide dall’esilio. Gli islamisti hanno beneficiato di questa apertura, ma
soprattutto del vuoto di potere e dell’assenza di gruppi organizzati sul terreno256.
Quando a seguito della caduta di Ben Ali, Rashid al-Ghannoushi è rientrato a
Tunisi dal suo esilio a Londra (dove aveva operato come consulente di Tony Blair
quando questi era Primo ministro del Regno Unito) è stato accolto da migliaia di
sostenitori proprio come l’Ayatollah Khoemeni. Ma a differenza del leader sciita
sin dall’inizio al-Ghannoushi è stato attento a non spaventare gli ambienti laici del
paese e a rassicurare la classe media evitando ogni contrasto con gli altri partiti
254 Ibid. 255 RICCARDO FABIANI, Ennahda, prima tunisino e poi Fratello, in “Limes” , n.1 /2013, http://temi.repubblica.it/limes/ennhada-prima-tunisino-e-poi-fratello/42653?printpage=undefined. Ultima visualizzazione: 24/09/2013. 256 ROGER BOU CHAHINE, I mille volti della Fratellanza, in “Limes” n. 1/2013, p. 131.
207
d’opposizione, accennando a un programma elettorale privo di riferimenti
specifici alla shari’a. Questo approccio è servito infatti ad aumentare la popolarità
di Ennahda anche presso quei settori della società tunisina non appartenenti allo
spazio ideologico islamista di cui Ennahda rappresentava il centro di gravità
politico, culturale e ideologico.
Grazie a questa strategia al suo rientro per mesi al-Ghannoshi è riuscito ad evitare
i temi più controversi e scottanti (come quello dei diritti delle donne o del ruolo
dell’Islam in politica), riuscendo a raggiungere sia i collegi elettorali più
oltranzisti sia quelli non islamisti e costruendo un blocco sociale ampio ed
eterogeneo capace di fare di Ennahda il principale partito del paese.
Grazie al successo elettorale dell’11 ottobre 2011, il partito ha conquistato un
ruolo determinante nel delineare gli assetti futuri della Tunisia e nel definirne la
costituzione. Eppure, il successo decretato dalle urne non è stato sufficiente per
permettere agli islamisti di governare da soli, costringendoli a scendere a patti con
il Congresso e con Ettakatol. La maggioranza solo relativa ottenuta da Ennahda si
è rivelata fondamentale nel delineare la traiettoria della transizione politica
tunisina.
Nei mesi successivi al trionfo elettorale di Ennahda, infatti, si è lentamente
delineato il nuovo scenario politico tunisino, rivelando una transizione ben diversa
dai caotici processi avviati quasi in contemporanea in Egitto e poco più tardi in
Libia. Tre elementi si sono affermati prepotentemente, condizionando così il
panorama post-elettorale: la maggioranza assoluta dei partiti di ispirazione laica,
sebbene profondamente divisi e in guerra l’uno con l’altro; la lenta crescita di un
nuovo attore politico più radicale di Ennahda, ovvero la nebulosa salafita; e
l’emersione di diverse linee di frattura interne a Ennahda stesso, principalmente
come conseguenza delle opposte pressioni esercitate da un lato dai partiti laici e
dall’altro dai salafiti.
208
Per quanto riguarda la maggioranza laica, non essendo riuscita a unirsi è stata
politicamente sconfitta, ma è rimasta in grado di influenzare in maniera
determinante il dibattito costituzionale e i processi decisionali, rappresentando
anche un freno per eventuali tentativi di Ennahda di virare verso il salafismo. Di
fronte ad ogni tentativo di Ennahda di ridisegnare i confini del rapporto religione-
politica o dei diritti delle donne, la mobilitazione dei laici è stata fondamentale per
frenare le spinte islamiste più radicali, complice la maggioranza solo relativa di
del partito islamista nell’assemblea costituente. Sicché, Ennahda si è limitato a
consolidare il proprio potere in questa prima fase post-elettorale, per rimandare a
un non meglio precisato futuro la possibilità di introdurre misure più
marcatamente islamiste controverse.
Tuttavia, il fenomeno politico più originale e inatteso è stata proprio la
spettacolare emersione del salafismo sul piano politico. L’apertura dello spazio
politico ai movimenti precedentemente repressi sotto Ben Ali ha creato infatti un
vuoto politico alla “destra” di Ennahda, accentuato anche dalla svolta pragmatica
“centrista” del movimento. È dunque emersa una pletora di predicatori e di gruppi
estremisti di stampo salafita, un’alternativa estremamente interessante per i settori
più conservatori della società tunisina, spiazzati dalla moderazione mostrata da
Ennahda negli ultimi due anni. Grazie ad alcuni atti provocatori capaci di
innescare una spirale di paura e violenza che ha condizionato il clima sociale e
politico in Tunisia per mesi, essi sono riusciti a occupare in maniera sempre più
vistosa lo spazio mediatico tunisino, amplificando la propria presa su alcuni
settori della società.
Inoltre, gli islamisti di al-Ghannoushi si sono trovati per la prima volta in
concorrenza con altri soggetti religiosi tunisini. L’agguerrita minoranza salafita ha
introdotto un elemento cruciale di sfida all’egemonia di Ennahda nel campo
conservatore, evidenziando come esista anche in Tunisia un settore della società
pronto a entrare in azione qualora gli islamisti al potere si mostrino troppo timidi
con i laici.
209
Ennahda ha reagito assumendo un atteggiamento profondamente ambiguo nei
confronti dei salafiti: da una parte, gli islamisti di al-Ghannoushi sanno di aver
bisogno dei salafiti per vincere le prossime elezioni; dall’altra parte, Ennahda non
può far vedere di essere troppo vicino ai salafiti, pena la perdita di consensi fra gli
elettori moderati e non islamisti. Tale dilemma è il più importante problema
strategico per il partito, incapace di risolvere quest’ambiguità senza perdere pezzi
da una parte o dall’altra. Inoltre, a causa di questo dilemma sono emerse svariate
linee di frattura all’interno di Ennahda stesso. Al-Ghannoushi ha cercato di
coprire le crepe usando un linguaggio impreciso e vago, a volte avanzando
proposte più radicali, salvo ritirarle in seconda battuta davanti alle veementi
proteste dell’opposizione laica. Tuttavia, questa tattica non è stata sufficiente a
nascondere le molteplici divisioni all’interno del partito, fra moderati (come il
primo ministro Hamadi Gibali) e conservatori (come Sadiq Suru) o fra leadership
in esilio e in carcere: i primi sono quelli che hanno trascorso gli ultimi vent’anni a
Londra o nel Golfo e pertanto tendono ad assumere posizioni più concilianti verso
i partiti laici, mentre gli altri hanno scontato lunghe pene nelle prigioni di Ben Ali
e sono a più stretto contatto con i duri e puri del partito. O ancora fra Gibali e al-
Ghannoushi stesso, quest’ultimo velatamente accusato di manovrare contro il
primo con l’obiettivo di sostituirlo alla guida del governo con il più fedele
ministro della Salute ‘Abd al-Latif Mikki. Lungi dallo spaccare in due Ennahda,
questi scontri personali e ideologici tendono invece a sovrapporsi, evidenziando la
natura complessa del fenomeno islamista tunisino. Il carisma e la credibilità del
suo leader sono per ora è per ora riuscite a mantenere assieme i pezzi del
movimento, restano seri dubbi riguardo alla capacità di tenuta di Ennhada nel
futuro post-Ghannoushi.
Questo delicato equilibrio politico ha prodotto un aspro dibattito costituzionale.
Solo dopo vari mesi l’Assemblea costituente è riuscita a presentare un progetto di
Costituzione condiviso più o meno dalla maggior parte delle forze politiche e
sociali. Grazie a estenuanti trattative e dopo alcune mini-crisi, le autorità tunisine
hanno raggiunto un compromesso sulla forma di governo semipresidenziale, sui
diritti delle donne e sugli altri temi più dibattuti. Nonostante le tensioni sociali e
210
politiche restino alte, la Tunisia ha imboccato una strada consensuale dalla quale
non si è mai allontanata, evitando gli strappi e i traumi che hanno invece
caratterizzato la transizione egiziana.
Secondo Fabiani il percorso nettamente diverso seguito dalla Tunisia rispetto
all’Egitto non è una sorpresa. La “primavera araba” ha infatti trovato qui un
terreno ben più propizio: la Tunisia è un Paese piccolo, economicamente aperto e
rivolto verso l’Europa, al riparo dalle pressioni geopolitiche dello scontro fra i
giganti maghrebini Algeria-Marocco e sufficientemente lontano dal Mashrek.
Inoltre, grazie a un lascito coloniale meno duro rispetto ad Algeria o Libia e alle
limitate risorse petrolifere e minerarie, il Paese ha potuto sviluppare un’ampia e
ben istruita classe media che ha tratto giovamento dall’economia relativamente
diversificata della Tunisia. In questo contesto, l’esperienza islamista di Ennahda
si è sviluppata seguendo un percorso decisamente moderno e originale nel
panorama mediorientale e nordafricano.257
L’islamismo tunisino si è così adattato alla realtà sociale ed economica del Paese
facendo propri i principi democratici e liberali condivisi dalla maggioranza della
popolazione, risultando sempre più originale e lontano dalla matrice islamista dei
Fratelli Musulmani egiziani. Al contrario, la parabola egiziana viene vista con un
certo distacco a Tunisi. Il modello di riferimento viene cercato altrove, in Turchia
in primo luogo, addirittura per qualcuno nell’esperienza dei cattolici democratici
europei.258 L’autopercezione di Ennahda è pertanto quella di un partito forte,
culturalmente influente, politicamente avanzato e relativamente autonomo rispetto
ad altre esperienze islamiste nel mondo arabo, nonostante lo scarso peso
demografico e geopolitico della Tunisia.
Questo non significa però che sia immune dalle pressioni geopolitiche regionali o
che la sua autonomia sia assicurata.. Innanzitutto, la parabola dell’islamismo
tunisino è profondamente influenzata da due attori: la lunga mano dei Paesi del
Golfo e in particolare del Qatar; poi, il lungo esilio a Londra di alcuni fra i suoi 257 RICCARDO FABIANI, Ennahda, prima tunisino…precedentemente citato. 258 Ibid.
211
leader, che ha lasciato in loro un’impronta culturale e politica di stampo
anglosassone (ad esempio nella concezione dei rapporti fra religione e Stato) che
fa di Ennahda un movimento politico assolutamente atipico per la Tunisia. Di
questi due elementi, però, è il primo a essere nettamente più importante dal punto
di vista geopolitico. Il Qatar infatti ha ospitato per anni vari dirigenti in esilio del
partito ne ha finanziato le attività e ha fornito al momento opportuno pieno
sostegno economico e mediatico (mediante “Al-jazeera”).
Questi legami acquisiscono un significato particolare se posti nella prospettiva
dell’incontro-scontro con la minoranza salafita. Non è infatti un mistero che molti
predicatori salafiti abbiano ricevuto e ricevano tuttora sostegno finanziario e
ideologico dalla galassia wahhabita saudita, suscitando notevole preoccupazione
negli ambienti laici tunisini.
Nell’ambito arabo della Fratellanza musulmana, Ennahda rappresenta oggi
l’esperimento più avanzato e ambizioso. Il partito islamista tunisino gode di
simpatie e sostegni diffusi, negli Stati Uniti, in Europa e nei paesi del Golfo.
Tuttavia L’intreccio di coperture, simpatie, competizione e ambiguità che lega la
nebulosa salafita ai Fratelli musulmani tunisini è motivo di preoccupazione e
sospetti.
Il destino della Tunisia post “primavera araba” era ed più che mai legato al
completamento dell’evoluzione di Ennahda in un moderno partito conservatore
rispettoso della separazione fra Stato e religione e fermo nella collocazione
geopolitica del Paese. Le particolari condizioni sociali, economiche e geopolitiche
della Tunisia possono permettere a questo paese laboratorio di indovinare una
formula di successo che potrebbe essere successivamente adattata al resto della
regione, soprattutto nel momento in cui l’Egitto sbanda pericolosamente,
suscitando angosce in molti osservatori interni e internazionali. Per fare questo,
però, la Tunisia avrebbe dovuto accelerare l’uscita dalla lunga fase di transizione
iniziata nel 2011, mentre gli avvenimenti più recenti mostrano un passo indietro in
questo senso.
212
Chokri Belaïd, uno dei leader del Fronte Popolare (la coalizione “di sinistra”
attualmente all’opposizione), è stato ucciso il 6 febbraio scorso e stessa sorte è
toccata Mohamed Brahmi, fondatore di uno dei partiti laici del Paese, il 25 luglio.
In molti hanno accusato Ennahda di essere coinvolta in entrambi gli omicidi,
qualcuno parlando di “mandante morale”, qualcun altro sostenendo che il partito
al potere non aveva fatto abbastanza per bloccare le violenze degli estremisti
islamici.
dopo le grandi proteste anti-governative che hanno seguito l’omicidio di Brahmi,
Ennahda ha fatto qualche passo indietro ritirando in parte le proposte di
introduzione della shari’a. Il 27 agosto il governo ha inserito ufficialmente Ansar
al-Sharia, gruppo di estremisti islamisti, nella lista delle organizzazioni
terroristiche, e ha iniziato ad arrestare i suoi membri. Secondo le opposizioni,
comunque, quello che ha fatto il governo non è stato sufficiente: Ansar al-Sharia è
considerata anche dagli Stati Uniti un gruppo terroristico che opera in diversi stati
dal Marocco allo Yemen, tuttavia in Tunisia è conosciuto più per i servizi sociali
che offre ad alcuni dei quartieri più poveri di molte città, che per la violenza.259
Non solo gli omicidi politici spaventano l’opinione pubblica tunisina: secondo i
movimenti di contestazione il governo controllato da Ennahda a quasi due anni
dall’insediamento non si è mai occupato dei veri problemi del Paese, ovvero la
crescita del neo-salafismo di matrice jihadista, la redazione della nuova
Costituzione, la crisi economica, la disoccupazione, la distanza fra centro e
periferie sempre più profonda. Si è curato, invece, di islamizzare la società e
reprimere ogni forma di dissidenza dell’immaginario, comportandosi come
l’RCD, il partito unico di Ben Alì che, secondo parte dell’opinione pubblica
tunisina, ancora trama nell’ombra delle sale del potere (soprattutto economico).260
259 Che aria tira in Tunisia? in “il Post”, 20 settembre 2013, http://www.ilpost.it/2013/09/20/tunisia-ennahda/. Ultima visualizzazione: 24/09/2013 260 MONICA RICCI SARGENTINI, In Tunisia vietato protestare, artisti e attivisti finiscono in carcere, in “Corriere della Sera”, 26 settembre 2013, http://lepersoneeladignita.corriere.it/2013/09/26/in-tunisia-vietato-protestare-decine-di-arresti-per-i-giovani-artisti/. Ultima visualizzazione: 24/09/2013.
213
Le critiche che ora molti tunisini stanno rivolgendo a Ennahda sono molto simili a
quelle che milioni di egiziani hanno rivolto al governo dei Fratelli Musulmani tra
la fine di giugno e l’inizio di luglio: incompetenza nella gestione del potere,
invadenza dell’Islam nella società e favoreggiamento di movimenti estremisti.
Per il momento rimane una grande differenza che sembra distanziare la situazione
della Tunisia da quella dell’Egitto, cioè il ruolo dell’esercito nella transizione. In
Egitto i militari hanno occupato importanti posizioni di potere per decenni, sono
stati decisivi sia nella caduta di Mubarak che poi nel colpo di Stato contro
Mohamed Morsi. In Tunisia il ruolo dell’esercito è molto più marginale e finora i
militari sono rimasti esclusi dai colloqui tra governo e opposizioni.
EGITTO: RIVOLUZIONE E CONTRORIVOLUZIONE
La “primavera araba” egiziana inizia nel gennaio 2011, come moto di protesta
popolare diretto contro il trentennale regime di Hosni Mubarak, inizialmente
promosso con mezzi pacifici ed ispirato dalle manifestazioni tunisine capaci di
sollevare Zine el-Abidine Ben Ali. Movente principale anche per gli egiziani il
rinnovamento del regime politico cristallizzato attorno a Mubarak, anche qui
come in Tunisia a provocare la detonazione del malcontento sono stati elementi
come l'aumento dei prezzi dei generi alimentari e la crisi occupazionale che
colpisce in particolare i giovani. Benché gli indici rilevassero un’economia
tendenzialmente in crescita e non soggetta ai contraccolpi riservati alle economie
occidentali dalla recente crisi finanziaria, la redistribuzione della ricchezza nel
Paese risultava ancora assolutamente iniqua, e il Paese afflitto da una corruzione
endemica e da un preoccupante aumento della disoccupazione giovanile. In
particolare si può notare come ad un aumento della scolarizzazione, promossa
fruttuosamente dal governo, non sia corrisposto un aumento dell’offerta di lavoro
per le giovani generazioni, il che ha generato nelle masse di giovani istruiti e
disoccupati un senso di frustrazione ed una richiesta di cambiamento che premeva
più sulle questioni sociali e sulla trasformazione del regime in senso democratico
e pluralistico che non sulle riforme di un assetto economico di per se’ in
214
espansione. Le richieste di democrazia si uniscono a un malessere suscitato dalle
condizioni generate da uno “stato di emergenza” costituzionalmente instaurato da
Mubarak dopo l’assassinio di Sadat e mai revocato. Tale stato di crisi che
conferisce allo Stato poteri speciali, assegna la facoltà alla polizia di attuare arresti
per periodi illimitati e permette il ricorso ai tribunali speciali.
La scintilla della rivolta si fa risalire al 17 gennaio 2011, quando al Cairo un
uomo si dà fuoco, sulla scia di quanto accaduto in Tunisia al venditore ambulante
Mohamed Bouazizi, divenuto simbolo della contestazione tunisina, seguito da
altri due avvenimenti analoghi a pochi giorni di distanza. Il 25 gennaio migliaia
di persone scendono in piazza nella capitale per manifestare, scatenando la
repressione delle autorità che provocano quattro morti: da questo momento in
avanti la rivolta si estenderà a macchia d’olio in tutto l’Egitto.
L'esponente dell'opposizione egiziana più noto al di fuori del Paese, Muhammad
al-Barade'i, intanto fa il suo ritorno in Egitto e annuncia di voler sostenere la
protesta e di essere pronto a guidare la transizione dopo la caduta di Mubārak se il
popolo gli darà il consenso. Quando il presidente decide di attuare un nuovo giro
di vite nel tentativo di porre sotto controllo la rivolta (rafforzando la presenza dei
militari per le strade e ricorrendo maggiormente all'impiego di blindati e aerei
militari che sorvolano la capitale), al-Barāde'i rinnova il proprio invito a Mubārak
a lasciare la presidenza e si ripropone come nuovo leader del Paese. Nel mentre i
Ministri avevano rassegnato le dimissioni ed era stato reso noto che il capo dei
servizi segreti egiziani, ʿUmar Sulaymān, era stato nominato vice presidente
della Repubblica, facendo quindi intravedere la concreta possibilità che a
succedere al dittatore non sarebbe più stato il figlio Gamāl, bensì (secondo quanto
stabilito dalla Costituzione) ʿUmar Sulaymān.
Il 31 gennaio, nella speranza di calmare l'escalation della protesta, Mubārak
dimette il suo gabinetto, dando corso a un nuovo governo, ma Il presidente
dell'Assemblea del Popolo, il parlamento egiziano, Aʿmad Fatʿ ī Surūr, fa sapere
che sarà aperta un'inchiesta sulla regolarità delle contestate elezioni legislative del
2010 (vinte con netta maggioranza dal partito del ra’is), la cui dubbia legittimità
215
ha rappresentato un elemento di crescente malcontento ed esasperazione nella
popolazione.
A fronte delle sempre più numerose manifestazioni di piazza che sfidano il
coprifuoco, militari annunciano la propria decisione, sfidando l'autorità di
Mubārak, di non usare la forza contro la popolazione che intenderà ancora
dimostrare per richiedere la fine del potere del Presidente. All'indomani della
manifestazione del 31 gennaio svoltasi nella capitale e dopo che Mubārak
annuncia in televisione di voler aprire un dialogo con le opposizioni, promettendo
la libera scelta di colui che gli subentrerà alla carica di presidente e una riforma
costituzionale, il presidente statunitense Barack Obama rinnova al ra’is l’invito,
già espresso giorni prima, a lasciare la carica, auspicando l'inizio immediato della
transizione democratica.
L’epicentro della protesta si sposta a piazza Tahrir, dove l’esercito cerca di sedare
gli scontri tra sostenitori del ra’is e oppositori. Mentre si avvia la macchina della
diplomazia internazionale la situazione sembra normalizzarsi dai primi giorni di
febbraio, raggiungendo un quadro più favorevole al dialogo tra governo e
opposizione. Mediante le trattative condotte tra il regime e il movimento di
protesta egiziano, ancorché non rappresentato in tutte le sue sfaccettature, si cerca
di raggiungere un accordo per l’attuazione di riforme costituzionali, iniziativa
raggiunta grazie all’incontro tra il vicepresidente ʿOmar Sulaymān e i
rappresentanti dell'opposizione, tra i quali anche una delegazione dei Fratelli
Musulmani. Le opposizioni, tuttavia, rimangono scettiche verso l'accordo, in
primo luogo per il mancato raggiungimento delle dimissioni di Mubārak. Il 10
febbraio ʿ osnī Mubārak, mentre la piazza principale della capitale è gremita in
attesa dell'annuncio delle sue dimissioni (di cui si è diffusa, nel frattempo,
notizia), in un discorso alla tv pubblica dichiara la sua intenzione di trasferire in
toto i poteri al vice presidente Sulaymān. Contestualmente rende noto di non
volersi ricandidare alle prossime elezioni, che si svolgeranno in settembre, e che
sosterrà la transizione verso la riforma della costituzione che, promette,
contribuirà a rinnovare. Il Presidente esprime quindi la volontà di preparare la
strada per eliminare le leggi d'emergenza non appena possibile, a situazione
normalizzata. Alla fine di intense trattative tra le diplomazie e di un braccio di
216
ferro tra le opposizioni e il governo che appariva senza esito, ʿosnī Mubārak, per
un trentennio Presidente della Repubblica Egiziana, rassegna l'11 febbraio le
dimissioni dalla propria carica. Ad annunciarlo è il vice presidente ʿ Omar
Suleymān, il quale comunica che Mubārak ha lasciato alle forze armate l'incarico
di gestire gli affari dello stato e di decidere del destino politico dell'Egitto.
L'uscita di scena di Mubārak (il quale alcune ore dopo le dimissioni abbandona il
Cairo e si rifugia nella sua residenza di Sharm el-Sheikh) lascia il potere politico
sotto il controllo del Consiglio supremo delle forze armate, composto da 18
militari e presieduto dal feldmaresciallo Mohammed Hoseyn Tantawi, uomo
chiave della giunta e capo di stato provvisorio dell'Egitto in virtù dell'assunzione
de facto dei poteri presidenziali. Ai militari viene demandato il compito di
traghettare il paese verso la democrazia.
Il Premier egiziano Ahmad Shafiq, dopo che per giorni numerosi egiziani avevano
continuato a protestare in piazza Tahrir chiedendo le sue dimissioni, ritenendolo
colluso col vecchio regime, il 3 marzo rimette il proprio incarico di Primo
ministro, mentre il parlamento viene sciolto dal Consiglio, che decide anche per la
sospensione della costituzione.
Il referendum sugli emendamenti alla Costituzione della Repubblica araba
d'Egitto si tiene il 19 marzo. La consultazione registra il 77,2% dei sì, che
consentono in questo modo l'implementazione di elezioni parlamentari e
presidenziali entro la fine dell'anno.
Questi in breve i fatti che tra gennaio e marzo 2011 hanno portato alla caduta del
regime di Hosni Mubarak, Presidente egiziano dal 1981, e all’indizione di libere
elezioni, fissate per giugno 2012. Le urne consegnano un risultato impensabile
fino ad un anno e mezzo prima: con 13.230.131 voti (51,7 %), il Partito Libertà e
Giustizia (espressione politica dei Fratelli Musulmani) di Mohammed Morsi,
supera i 12.347.038 (48%) di Ahmed Shafiq (48%), ultimo Primo Ministro di
Mubārak.261 Dopo alcuni giorni di doverose verifiche dato lo stretto margine ,
261 Egitto, vince Mohamed Morsi: “Sarò il Presidente di tutti gli egiziani”, in “Corriere della Sera”, 24 giugno 2012, http://www.corriere.it/esteri/12_giugno_24/egitto-nuovo-presidente_814d64dc-bdf9-11e1-a8f4-59710be8ebe6.shtml. Ultima visualizzazione: 24/09/2013.
217
Morsi viene ufficialmente eletto presidente, formalizzando come precedentemente
promesso la sua rinuncia alla militanza nella Fratellanza , di cui pure il Partito è
espressione diretta. E’ il quinto presidente della storia dell’Egitto, il primo a non
provenire dai quadri dell’esercito, e giura simbolicamente a piazza Tahrir,
esclamando di voler essere il presidente di tutti gli egiziani per un Paese che deve
ritrovare la sua unità, e di voler rispettare gli accordi internazionali, in riferimento
ad Israele.
Indubbiamente la situazione economica e sociale ereditata dal nuovo governo è
preoccupante, tuttavia Morsi in particolare gode di alta popolarità, benché quella
dei Fratelli resti stazionaria. Il nuovo governo gode dell’appoggio internazionale
degli Stati Uniti, dell’Europa Occidentale, della Turchia, del Qatar, anche se le
altre monarchie del golfo e l’Arabia Saudita se ne auguravano il fallimento. Molti
dirigenti e uomini d’affari vicini al vecchio regime erano pronti a collaborare per
trarne vantaggio e anche in seno all’esercito poteva trovare interlocutori convinti
dell’urgenza di restituire ai civili le redini del potere.262 Secondo Aclimandos, i
Fratelli “avrebbero dovuto favorire un governo di unità nazionale in modo da
consolidare il loro potere e riscuotere il plauso del mondo intero, invece hanno
cercato di creare una sorta di coalizione islamista con salafiti e jihadisti più o
meno pentiti”.263 Hanno cercato di rassicurare e cooptare le forze di sicurezza
(polizia esclusa), nonché l’esercito e gli uomini d’affari legati al precedente
regime, per mostrare un volto tollerante; hanno cercato di attirare i favori di
alcune grandi famiglie dell’Alto Egitto, dove il movimento della Fratellanza è
meno radicato, e tentato di conquistare il controllo dell’apparato statale attraverso
l’assegnazione di posti chiave a molti dei loro. Le nomine dei loro seguaci sono
sempre state aspramente criticate dalle altre forze politiche, talvolta a ragione.
Tutto questo è apparso alla popolazione come una continuazione del clientelismo
del regime che avevano abbattuto. I Fratelli, esattamente sulla scia di quei
rapporti clientelari, hanno cercato una “riconciliazione” con gli uomini d’affari
legati al vecchio regime e invisi alla gioventù e alla loro base, sollecitando la
262 Cfr. TEWFICK ACLIMANDOS, Il regno di un anno, ascesa e caduta dei Fratelli Musulmani, in “Limes” , 7/2013, p.85. 263 Ibid.
218
restituzione del maltolto in cambio della rinuncia ad azioni penali, accordi per
altro spesso falliti264. Altre testimonianze (ma è più difficile in questo senso
trovare conferme) parlano di pressioni verso coloro i quali avevano qualcosa da
farsi perdonare, affinché svendessero le loro imprese a uomini legati
all’associazione.
La loro inesperienza di governo e la loro visione del mondo “manichea” (tra ciò
che è conforme al volere divino e ciò che non lo è) hanno presto modificato le
prospettive ottimistiche nei loro confronti. Pare inoltre che il governo si affidasse
ad una diplomazia “segreta” o quantomeno parallela, destando non solo
perplessità sulle intenzioni del movimento, ma scavando così un solco con le
Forze di sicurezza che cercavano di cooptare265. Pare ci siano stati tentativi di
infiltrazione nelle stesse Forze di sicurezza, nonché di creare servizi
d’informazione paralleli e milizie fedeli.
Ideologicamente contrari ad una coabitazione con le forze laiche, i Fratelli si sono
alleati con i salafiti, in un rapporto che ha rappresentato una risorsa, ma anche un
grosso ostacolo. La presenza di una Salafiyya radicale sullo scacchiere politico
consente alla Fratellanza di presentarsi come forza islamista moderata, ma di fatto
la differenza tra le due ideologie si assottiglia enormemente nell’ottica
dell’instaurazione di uno Stato islamico, riducendosi ad una mera questione di
tempistiche (un processo lungo e graduale, secondo la Fratellanza). I Fratelli
avevano rilasciato quei jihadisti che si erano mostrati pentiti, molti dei quali
avevano aderito alle formazioni jihadiste del Sinai, che servivano per altro al
governo per mostrarsi garante dell’equilibrio e della sicurezza nella regione (gli
attacchi ai gasdotti del Sinai si erano moltiplicati durante il periodo di governo
dell’esercito, ed erano cessati alla proclamazione di Morsi e alla destituzione del
maresciallo Tantawi). C’era però un prezzo da pagare al radicalismo salafita.
Quell’alleanza, sulla falsariga di quanto successo in seguito alla
“palestinizzazione” del movimento e ai legami con Hamas, è una delle cause che
264 Ivi, pp.86-87. 265 Ibid.
219
hanno spinto le Forze di sicurezza e l’esercito ad entrare in rotta di collisione col
nuovo governo.
Inoltre i risultati elettorali avevano mostrato un inaspettato e di certo mal digerito
successo dei salafiti “quietisti”, che di fatto privavano la Fratellanza dal
monopolio islamista in Egitto. I salafiti quietisti stessi diffidavano della
Fratellanza cui preferivano le sicurezze dell’esercito. Temevano che l’ambiguità
della Fratellanza avrebbe decretato il fallimento dell’Islamismo politico.
Tutto questo senza considerare l’incapacità del governo di fare fronte alla
situazione economica, nonché i cattivi rapporti tra il nuovo governo e gli
investitori del Golfo (ad eccezione come detto del Qatar), che hanno scoraggiato
l’afflusso di capitali da quell’area.
Quanto al progetto totalitario dei Fratelli, bisogna considerare che la confraternita
non disponeva dei mezzi per attuarlo, ma non sembrava essersene resa conto. Ha
spaventato la maggioranza della popolazione mobilitandola assieme agli apparati
di sicurezza contro i suoi seguaci senza raggiungere alcun risultato tangibile.
La prima vera offensiva dei Fratelli ha preso di mira l’Alta Corte Costituzionale e
la giustizia. Secondo la fratellanza la Corte era uno strumento nelle mani del
regime di Mubarak, mentre secondo i suoi oppositori era invece un bastione della
giustizia, che sapeva autolimitarsi, ma che aveva anche messo in imbarazzo
Mubarak con diverse sue sentenze. Il giudice al-Gibāli del Consiglio di Stato si è
lamentato, privatamente e in pubblico, di aver ricevuto minacce fisiche da parte di
membri della Fratellanza. La nuova costituzione ha limitato inoltre il ruolo
dell’Alta Corte i Fratelli hanno ridotto drasticamente il numero dei suoi
componenti, per potersi sbarazzare di al-Gibali.
Anche i media e i giornalisti sono stati oggetto pare di forme di ostilità di vario
genere da parte dei membri della Fratellanza, che hanno stretto d’assedio le sedi di
alcuni giornali, oltre a perseguire giudiziariamente gli autori di articoli non graditi
e a chiudere alcune reti televisive perché considerate ostili al nuovo governo.
220
Nella primavera del 2012 i Fratelli Musulmani sembravano aver comunque partita
vinta, avevano stroncato l’opposizione, mentre l’esercito non sembrava
intenzionato ad intervenire.
Nell’agosto 2012 Morsi destituì il maresciallo Husayn Tantawi, ministro della
Difesa, e il generale Sami Hafiz Anan, Capo di Stato Maggiore delle Forze
armate. I due vennero rimpiazzati da colleghi considerati molto fedeli: il generale
‘Abd al-Fattah al-Sisi che prese il posto di Ministro della Difesa e il generale
Sidqi Subhi, nuovo Capo di Stato Maggiore. Inoltre vennero fortemente limitate le
prerogative del presidente affidando il potere legislativo allo stesso comando
militare. La scelta all’epoca sembrava assennata, ma a marzo 2013 si rivelò un
errore madornale per la Fratellanza: avevano sostituito due capi ormai vecchi e
ben disposti con due uomini giovani e decisi, di notevole fiuto politico e che non
potevano assolutamente essere qualificati come cattivi musulmani, provenendo da
due famiglie di comprovata devozione. Frattanto, nel dicembre 2012 veniva
approvata la nuova Costituzione, con una bozza redatta dalla Fratellanza e
approvata dopo due turni referendari. Questa viene aspramente contestata dalle
opposizioni, perché troppo basata sulla shari’a e non tutelante i diritti civili266.
Fino a febbraio, malgrado numerose Frizioni e fughe di notizie, i vertici militari
si dichiaravano intenzionati a rimanere lontani dalla vita politica, anche se già
verso la metà del mese Subhi dichiarerà che se la situazione si fosse complicata
sarebbero stati costretti ad intervenire, invitando le forze politiche a superare le
loro divergenze. Un mese dopo la linea guida era già cambiata, e i militari
cominciarono a definire insanabile i contrasti coi Fratelli, che volevano tarpare le
ali all’esercito, preoccupati dalla popolarità di al-Sisi. Inoltre i loro legami con i
jihadisti destavano preoccupazione per la sicurezza nazionale. il colpo di Stato
sembrava tuttavia impossibile: i generali alla guida dell’esercito espressero allora,
con svariate dichiarazioni, la necessità di una copertura popolare per la loro
discesa in piazza267.
266 Il testo si può trovare online al seguente indirizzo: http://www.egyptindependent.com/news/egypt-s-draft-constitution-translated. 267 Cfr. ACLIMANDOS, Il regno…op. cit., p. 93.
221
In aprile due giovani delusi dagli scarsi risultati del Fronte di Salvezza Nazionale
lanciarono una petizione che chiedeva la destituzione di Morsi ed elezioni
anticipate, riscontrando un enorme successo. Di fronte alle manifestazioni
popolari le Forze di sicurezza cominciarono a coordinare il golpe, contattando
tutte le forze antagoniste della Fratellanza, dai giovani attivisti, ai gruppi non
islamisti, ai salafiti quietisti, nonché i quadri del vecchio regime. Il piano
presupponeva però una mobilitazione popolare. La Fratellanza non poteva
contare sulla protezione né della polizia né dell’esercito, e doveva quindi di fronte
alle manifestazioni indietreggiare, oppure attaccare, e correre così il rischio di
provocare un intervento militare.
Il resto è storia di questi giorni: le massicce manifestazioni nelle piazze hanno
dato il via al colpo di Stato che ha provocato la caduta di un governo ormai
totalmente inviso al popolo, ma anche ad una successiva serie di scontri al limite
della guerra civile che ancora non sono cessati. Svariati leader della Fratellanza
sono stati arrestati o hanno lasciato il Paese, mentre il presidente dell’Alta Corte
Costituzionale è stato nominato Capo dello Stato ad interim ed una tabella di
marcia è stata definita. La coalizione degli scontenti che ha rovesciato Morsi
appare molto eterogena: il rischio è che lo sia troppo per poter funzionare.
222
CONCLUSIONI
A cosa serve la rivoluzione
se non riesce a rendere gli uomini migliori?
ANDRÈ MALRAUX
Il quadro che si è cercato di delineare, che pur senza analizzarne tutte le
declinazioni nazionali vuole fornire un’idea dei capisaldi ideologici e del modus
operandi della Fratellanza Musulmana nel mondo arabo, presenta una realtà
ancor oggi, a quasi un secolo dalla sua nascita, in dialettica con la modernità, la
democrazia, il secolarismo.
I partiti nati in seno al movimento si caratterizzano per un pragmatismo che sfuma
nell’ambiguità di fronte a tematiche così difficilmente conciliabili con la propria
ideologia islamista e quindi tendenzialmente “conservatrice”, anche se per il
pensiero occidentale è difficile (e quindi improprio) inquadrare l’islamismo
politico all’interno delle categorie del pensiero politico occidentale. Le risposte
date dal pensiero arabo-islamico sul rapporto tra democrazia ed islamismo, basate
su categorie coraniche come shurà (consultazione) e ijma’ (consenso) possono
apparire a qualcuno come artificiose, studiate per rassicurare le masse laiche e i
governi esteri, o comunque utopiche o approssimative. Tuttavia sono testimoni di
una dialettica tra tradizionalisti e innovatori ampiamente verificabile nel mondo
intellettuale musulmano, e anche in quello cosiddetto islamista, dove persino tra
coloro che sbrigativamente sarebbero etichettati come “tradizionalisti” le voci non
sono univoche.
Vi si trova chi, pur facendo i conti con la realtà contemporanea, cerca di
riproporre i valori eterni dell’Islam ricalcando l’antico esempio del Profeta e chi
ha cercato di sperimentare nuove vie, anche in condizioni di difficoltà e
persecuzione politica. Intellettuali, più che organizzazioni, usciti dalla matrice
della Fratellanza Musulmana hanno cercato di superare in diversi modi i confini
della tradizione, pur rispettandone la sostanza, o rivalutandola in modo nuovo.
223
Se uomini come Muhammad Qutb, Muhammad al-Gazali, Yusuf al-Qardawi,
Muhammad Aramad al-Buti e altri (sul cui pensiero non c’è stato qui spazio di
approfondimento, ma molto noti nel mondo arabo) hanno influenzato
profondamente l’opinione pubblica contemporanea secondo un filone “ortodosso”
della Fratellanza originaria; una seconda tendenza oltrepassa questi neo-
tradizionalismi, e si esprime in personalità come quelle analizzate di Rashid
Ghannoushi, Hasan al-Turabi, ma anche negli egiziani Muhammad ‘Imara e Tariq
al-Bishi , nel discusso Tariq Ramadan e molti altri ancora.268 Intellettuali che
rifiutano fermamente il metodo, anche se non l’obiettivo (l‘islamizzazione della
società e l’instaurazione di uno Stato islamico) delle avanguardie più radicali ed
ovviamente di quelle armate se non esplicitamente terroriste. L’obiettivo va per
loro perseguito attraverso il radicamento, la cultura, la propaganda, anche
l’organizzazione politica, ma partecipativa di un sistema parlamentare
democratico, affrontando con sensibilità le tematiche della storia, della
democrazia, della riscrittura del moderno, della ricerca scientifica e anche della
reinterpretazione della legge religiosa e dei valori dell’Islam in chiave
attualizzata.
Certo gli ultimi due anni, se dapprima hanno spalancato una speranza di
democratizzazione con la caduta di regimi dittatoriali decennali sulla forza della
spinta popolare ed in particolare di masse di giovani istruiti e tecnologizzati,
hanno poi visto un’escalation di tensioni sociali e una rapida virata verso
l’islamizzazione in quegli stessi Paesi, spaventando chi in occidente abbraccia più
o meno consciamente la tesi dello “scontro di civiltà”. Ma non va mai dimenticato
che la dimensione teorica spesso si scontra con oggettivi ostacoli fattuali,
compresi leader islamisti che raramente fanno corrispondere il proprio operato
alle promesse di moderazione poste dalla loro stessa da’wa.
268 Per uno sguardo d’insieme su tutte queste “voci”, si vedano M.CAMPANINI, K.MEZRAN, Arcipelago Islam. Tradizione, riforma e militanza in età contemporanea, Editori Laterza, Bari 2007; PAOLO BRANCA, Voci dell’Islam moderno. Il pensiero arabo-musulmano fra rinnovamento e tradizione, Marietti, Genova 1997, MASSIMO CAMPANINI, Il pensiero islamico contemporaneo, il Mulino, Bologna 2009; RENZO GUOLO, Il fondamentalismo islamico, Laterza, Bari 2002.
224
La “controrivoluzione” egiziana di queste settimane ne è un esempio calzante, e i
partiti islamisti di tutto il mondo arabo e non dovranno necessariamente fare
tesoro della “lezione” se vogliono proseguire nel loro progetto di islamizzazione
della società attraverso vie democratiche.
La “restaurazione” del potere militare al Cairo ha portato con sé un cambiamento
da non sottovalutare. Per la prima volta nella sua lunga storia, infatti, la
Fratellanza Musulmana ha perso quel largo sostegno popolare che l’aveva portata
a vincere le elezioni poco più di un anno fa. L’ampia base sociale che aveva
riposto nell’Associazione la fiducia in un cambiamento è rimasta fortemente
delusa e, fiaccata da un anno di tensioni, promesse disattese e tentativi autoritari
di Morsi, ora guarda all’esercito come garante dell’ordine, indispensabile per far
ripartire un’economia in ginocchio, colpita soprattutto nel turismo. I militari, dal
canto loro, si sono mostrati ostili a qualsiasi cambiamento che potesse minare il
loro potere. Essi, infatti, sono riusciti a creare nel tempo un vero e proprio impero
economico grazie a un sistema di corruzione e clientelismo che la “rivoluzione”
non è riuscita a smantellare. L’Esercito è una vera e propria lobby anche
economica, arroccata sui propri privilegi e chiusa a qualsiasi forma di
contrattazione e privatizzazione. Il cambio di governo non ha impedito ai militari
di mantenere il controllo sulle loro imprese; le forze armate, anzi, si sono opposte
a qualsiasi tentativo di liberalizzazione che avrebbe potuto colpire i loro affari. I
militari, inoltre, occupano i vertici dell’amministrazione pubblica, e numerosi ex
militari sono governatori regionali.
Non solo ampi strati della popolazione, ma anche i ricchi imprenditori legati al
vecchio regime, incarcerati o emigrati, hanno guardato con favore la caduta di
Morsi, mentre altri sono stati cooptati dal governo islamista attraverso sistemi
clientelari non dissimili da quelli del regime. Agli ostacoli esterni si è aggiunta
l’inesperienza al governo, un fattore determinante nel fallimento degli Ikhwan. I
Fratelli Musulmani, storicamente perseguitati in Egitto, non avevano mai
ricoperto posizioni di vertice, se non a livello sindacale. Tale incompetenza è
emersa soprattutto in relazione alla delicata situazione economica, segnata da un
225
debito record e spese esorbitanti per le sovvenzioni al settore agroalimentare e
petrolifero.
A questi problemi interni va aggiunta la mutata congiuntura internazionale.
Innanzitutto, a causa dei disordini entro i confini egiziani, la tensione in Sinai è
sempre più alta, e numerosi sono stati gli attacchi terroristici e le violenze, in una
situazione di anarchia e caos che consente a gruppi legati ad al-Jihad di
organizzarsi e guadagnare terreno, preoccupando Israele ( senza per altro che il
governo Morsi abbia fatto a sufficienza per arginare le derive violente della
regione, probabilmente a causa dei rapporti con gli stessi gruppi radicali). Anche
le ricche monarchie del Golfo, escluso il Qatar, hanno visto con favore la
destituzione di Morsi, poiché i Fratelli Musulmani, che hanno vinto in Yemen e
che si oppongono alla monarchia in Giordania, costituiscono una vera spina nel
fianco soprattutto per Riyad. E non è un caso, infatti, che il nuovo governo sia
sostenuto proprio da Arabia Saudita, Giordania e Israele. Su tutto ciò, inoltre,
incombe l’ombra di un intervento armato in Siria che potrebbe destabilizzare
ulteriormente il fragile equilibrio mediorientale.
Tutte queste concause (ed altre ancora se ne potrebbero probabilmente
individuare) hanno portato al fallimento dei Fratelli Musulmani egiziani al primo
incarico di governo.
Sarebbe difficile ed inappropriato soppesare colpe e responsabilità alla luce di una
situazione quanto mai intricata e in cui l’operato sia del governo sia dell’esercito,
ma anche della comunità internazionale e degli Stati che all’evoluzione egiziana
hanno guardato con divergenti interessi, è stato fallimentare quantomeno nei
risultati. Se appare scontata la condanna delle violazioni dei diritti umani e delle
violenze da ambo le parti, ciò non toglie la necessità di analizzare le motivazioni
che rendono oggi l’Egitto un Paese spaccato: da un lato i sostenitori islamisti di
un governo legittimamente eletto e deposto da un golpe militare (a cui accostare
un qualsivoglia aggettivo non servirà ad eleminare la natura di colpo di Stato);
dall’altro una larghissima fetta di società civile che, a pochi mesi dalle suddette
elezioni, saluta con entusiasmo l’intervento delle forze armate e il ripristino di uno
226
status quo che pure appare molto lontano dalle speranze espresse dalla rivoluzione
di piazza Tahrir di due anni orsono.
Quel che appare evidente è che i Fratelli Musulmani egiziani abbiano perso una
grande occasione dopo decenni passati a costruire una legittimità politica che
consentisse loro di sviluppare il proprio progetto di Stato islamico. Forse i timori
di chi aveva sempre sottolineato le ambiguità del messaggio mediatico ikhwan si
sono rivelati fondati, e davvero la moderazione mostrata nella loro storia recente
altro non era che un grande bluff per rassicurare le altre forze politiche, salvo poi
svelare la propria natura ideologicamente intransigente una volta conquistato il
potere. O forse il giro di vite e l’accentramento del potere avviato da Morsi con la
destituzione degli altri gradi dell’esercito e della magistratura rappresentavano
nelle intenzioni del Presidente un passaggio temporaneo e necessario, uno “stato
di eccezione” volto ad eliminare quei quadri istituzionali verosimilmente collusi
con un regime di durata decennale. Quel che è certo è che l’islamizzazione varata
da Morsi ha inimicato alla Fratellanza buona parte delle masse popolari, ed
altrettanto evidente è come l’establishment della Fratellanza si sia dimostrato
incapace di affrontare l’impegno governativo, anche a causa della difficile
congiuntura economica attraversata dal Paese e dall’economia internazionale
tutta. Anche tralasciando momentaneamente le valutazioni sull’applicazione della
shari’a, che pure ha scontentato e allarmato buona parte della società civile (ma
che era sostanzialmente “in programma” o se non altro “prevedibile” vista la
natura islamista del partito vincitore delle elezioni), il governo Morsi non è stato
in grado di dare risposte alle reali preoccupazioni della popolazione egiziana,
legate a questioni assolutamente secolari. In questo senso la Fratellanza ha
manifestato i sintomi (o le caratteristiche) di un movimento che si fa partito di
governo: da oltre ottant’anni all’opposizione, pur essendosi dati
un’organizzazione pienamente istituzionalizzata, i Fratelli sono rimasti
sostanzialmente un “movimento di opposizione”, capace di svolgere con la
propria critica moralizzante un ruolo contro-egemonico importante, ma senza
abbracciare quel novero di idee e conoscenze che potesse farne una guida di
governo credibile in una fase storica così delicata.
227
Non va ovviamente dimenticato che si trattava della prima esperienza di questo
tipo e il suo fallimento non rappresenta una risposta definitiva alla possibilità tout
court per un partito islamista di formare un governo stabile, tantomeno una
risposta all’eterno quesito sulla compatibilità tra Islam e democrazia. Rimane da
verificare se altre occasioni si presenteranno, dato il tragico epilogo della
“primavera araba” egiziana, le non meno preoccupanti tensioni in tutto il mondo
arabo che ha visto trionfare partiti islamisti in seguito alle rivolte generalizzate del
2011, e non ultima la tremenda repressione di Erdogan sui manifestanti turchi, che
hanno mostrato il volto peggiore dei partiti islamisti al potere.
Sarebbe d’altronde come precedentemente accennato ingeneroso e scorretto
mischiare pensiero e prassi politica, a maggior ragione in un’area geopolitica
afflitta da decenni di dittatura, clientelismo e ingerenze internazionali, governata
dai poteri forti e come tale ancora bisognosa di metabolizzare il concetto stesso di
democrazia per trovare una propria via, non necessariamente “all’occidentale” ma
rispettosa dei diritti dei cittadini, al confronto democratico.
In quest’ottica lo scontro tra l’establishment della Fratellanza e i militari può
essere letto in primo luogo come uno scontro di potere, e non un repentino
“autunno” su tutto quel che le “primavere arabe” hanno mostrato. Gli egiziani
scesi in piazza a meno di due anni distanza non sono solo nostalgici dell’ex
regime ad esso legati da qualche rapporto clientelare, sono anzi in buona parte gli
stessi che hanno sollevato Mubarak e non hanno trovato soddisfazione nel nuovo
governo islamico pur democraticamente eletto. L’esercito ha trovato nel
malcontento popolare la “legittimazione” per un golpe che ha ripristinato la sua
posizione di forza, in un’evoluzione che, quale sia la propria posizione sui partiti
islamisti, non si può di certo salutare come “democratica”. Dall’altra parte, la
condanna delle violenze dell’esercito e il rammarico per il significato stesso di
quella che appare come una contro-rivoluzione, non può e non deve portare a
sottovalutare la spinta popolare che ne ha sostenuto e ne sostiene l’operato,
nonostante la violentissima repressione contro i propri connazionali. E’ ora
difficile fare previsioni su quello che può essere il futuro dell’Egitto, un Paese
diviso tra sostenitori di Morsi (che chiedono “dov’è finito il mio voto?”) e
228
sostenitori del comandante in capo delle Forze armate, el-Sisi (addirittura
mitizzato, stando alle testimonianze riportate dai media), in un’escalation di
violenze reciproche che ha visto traslare lo scontro su un piano religioso,
radicalizzandolo. A farne le spese non può che essere la società civile, siano essi i
cristiano copti, vittime di feroci attentati islamici nelle ultime settimane; siano gli
stessi simpatizzanti islamisti, rastrellati, incarcerati e condannati a centinaia al pari
dei leader politici e le cui aspettative sono state comunque deluse; siano le masse
di “laici” che hanno scelto in gran parte il “male minore” al-Sisi, ma certo
speravano in ben altri seguiti dopo la caduta di Mubarak (frattanto scarcerato e in
attesa di processo) e che certo non vedono in questa situazione al limite della
guerra civile un aiuto per il miglioramento delle proprie condizioni socio-
economiche.
Il futuro legale della stessa Fratellanza egiziana è a rischio, con il nuovo governo
che discute se mettere o meno al bando l’organizzazione: una soluzione che
rappresenterebbe un altro schiaffo alla democrazia ma che soprattutto rischierebbe
di radicalizzare ulteriormente lo scontro, incoraggiando la frangia violenta del
movimento, mai del tutto sopita anche quando la leadership ha seguito vie
politiche moderate ed ora “legittimata” nel suo operato oltranzista dalla nuova
ondata repressiva.
Quanto all’Egitto, con o senza Fratellanza il futuro appare oggi quanto mai
nebuloso. L’instabilità politica e gli scontri di piazza hanno pesantemente
intaccato le attività economiche presenti nel Paese e fatto fuggire capitali esteri e
turisti, essenziali per la ripresa. Il presidente della Repubblica Mansour ha
assicurato che ci saranno nuove elezioni in tempi brevi, tuttavia la concentrazione
di poteri nelle mani di el-Sisi costituisce un pericolo per il percorso democratico
del Paese. La crisi economica, l’instabilità interna e il delicato quadro geopolitico
della regione saranno dunque fattori cruciali di una situazione che tuttavia dovrà
in un modo o nell’altro tenere ancora conto dell’islamismo politico e dei suoi
esponenti.
229
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RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare innanzitutto il Prof. Pezzimenti, relatore di questa tesi, per la
grande disponibilità e cortesia dimostratemi, per la fiducia accordatami e per tutto
l’aiuto fornito durante la stesura.
Ringrazio i docenti, gli assistenti, l’intero personale ed in particolare gli addetti
alla segreteria della Lumsa, che hanno prestato attenzione ad ogni mia esigenza
negli ultimi due anni.
Ringrazio infine familiari, parenti e amici che hanno accompagnato gli anni di
studi di cui questa tesi è corollario finale, supportandomi economicamente e
psicologicamente e arricchendo immensamente questo percorso con la loro
presenza.