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LIBERA UNIVERSITÀ MARIA SS. ASSUNTA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE, POLITICHE E DELLE LINGUE MODERNE CORSO DI STUDI MAGISTRALE / SPECIALISTICA IN RELAZIONI INTERNAZIONALI CLASSE LM 52 CATTEDRA DI FILOSOFIA POLITICA IL PENSIERO POLITICO ISLAMICO: I FRATELLI MUSULMANI NEL MONDO ARABO THE ISLAMIC POLITICAL BELIEF: THE MUSLIM BROTHERHOOD IN THE ARAB WORLD Relatore Prof. Rocco Pezzimenti Correlatore Prof. Giampaolo Malgeri CANDIDATO Ilaria Danesi 11471/400 ANNO ACCADEMICO 2012 –2013

Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

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tesi sul pensiero politico islamico con particolare riferimento alla filosofia politica dei fratelli musulmani egiziani. Ricostruzione della storia del movimento e delle sue radici culturali nel modernismo arabo; analisi delle peculiarità regionali dei movimenti affini nel mondo arabo; appendice sulle "primavere arabe" e sulla controrivoluzione egiziana.

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L IBERA UNIVERSITÀ MARIA SS. ASSUNTA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE, POLITICHE E DELLE LINGUE MODERNE

CORSO DI STUDI MAGISTRALE / SPECIALISTICA IN RELAZIONI

INTERNAZIONALI CLASSE LM 52

CATTEDRA DI FILOSOFIA POLITICA

IL PENSIERO POLITICO ISLAMICO: I FRATELLI MUSULMANI NEL

MONDO ARABO

THE ISLAMIC POLITICAL BELIEF: THE MUSLIM BROTHERHOOD IN THE ARAB

WORLD

Relatore

Prof. Rocco Pezzimenti

Correlatore Prof. Giampaolo Malgeri

CANDIDATO

Ilaria Danesi

11471/400

ANNO ACCADEMICO 2012 –2013

Page 2: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

I

INDICE

INTRODUZIONE…………………………………………………………….................p.1

IL RIFORMISMO ISLAMICO………………………………………………………....p.4

Crisi e rinnovamento: l’Occidente come modello……………………………….....p.5

L’Occidente come “altro”: il ritorno alle origini…………………………………..p.10

Gli innovatori……………………………………………………………………...p.19

I dissidenti………………………………………………………………………....p.29

I restauratori……………………………………………………………………….p.33

LA SOCIETA’ DEI FRATELLI MUSULMANI………………………… …………...p.41

l’Egitto degli anni ’30 tra modernità e islamismo ………………………….……..p.42

Hasan al-Banna’ e la fondazione dei Fratelli Musulmani……………….………...p.46

L’ideologia………………………………………………………………………...p.48

Organizzazione, modus operandi, diffusione……………………………………...p.67

I motivi del successo………………………………………………………………p.69

Guerra mondiale, nazionalismo, repressione…………………………………...…p.74

Sayyid Qutb: l’Islam è la soluzione……………………………………..…...……p.79

Il ritorno di Qutb, i Fratelli, l’illusione rivoluzionaria………………………….....p.87

Nasser, prigionia, Pietre Miliari: la radicalizzazione del messaggio…………...…p.91

Martirio ed eredità……………………………………………….………….……p.108

Sadat e un nuovo inizio. Una galassia islamista……………………...….…........p.119

L’era Mubarak…………………………………………………………………....p.131

Conclusioni………………………………………………………………...…….p.143

I FRATELLI NEL MONDO ARABO: GIORDANIA, SUDAN, MAGHREB…...…p.148

I Fratelli Musulmani in Giordania………………………………………………..p.150

I Fratelli e lo Stato giordano………………………….………………………..…p.151

Crisi del “blocco storico” e palestinizzazione………………………..…………..p.162

La terza fase………………………………………………………………………p.165

Attualità e conclusioni…………………………………………………..………..p.167

I Fratelli Musulmani in Sudan……………………………………………………p.172

Hasan al-Turabi…………………………………………………………………...p.175

L’associazione dei Fratelli Musulmani sudanesi…………………………………p.180

I Fratelli Musulmani nel Maghreb……………………………………………..…p.187

PDJ e politica di compromesso………………………………………………...…p.188

Tunisia: ascesa e declino di Harakat al-Nahda……………………….…………..p.195

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II

Un confronto……………………………………………………….……………..p.201

APPENDICE: PRIMAVERE ARABE E ISLAMISTI AL POTERE………………..p.203

Tunisia: Al-Nahda e la Rivoluzione dei Gelsomini……………………….……..p.204

Egitto: rivoluzione e controrivoluzione………………………………………….p.213

CONCLUSIONI…………………………………………………………….………..p.222

BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………..p.229

RINGRAZIAMENTI……………………………………………………..…………..p.236

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1

INTRODUZIONE

Oggetto di questa tesi è la società dei Fratelli Musulmani, la più importante e

radicata associazione islamista del mondo contemporaneo, salita anche in Europa

agli onori della cronaca in seguito alle cosiddette “primavere arabe”. Fondata nel

1928 da Hasan al-Banna’, la società di inserisce nel novero delle numerose

associazioni caritatevoli di ispirazione devota che nell’Egitto degli anni Trenta,

ma in parte ancor oggi, colmavano il vuoto lasciato dal potere centrale nel campo

assistenziale. Ben presto però la Fratellanza si differenzierà da queste ultime per

una visione politica dell’Islam che ne farà il principale movimento islamista

dell’era moderna, punto di riferimento per tutti i movimenti della galassia

islamista, che ad essa in qualche modo si ispirano, come riferimento ideologico e

sovente anche organizzativo.

Obiettivo dei Fratelli è la re-islamizzazione della società egiziana e araba in

generale, considerata ormai lontana dagli autentici valori religiosi. Questa re-

islamizzazione non deve essere frutto di una imposizione dall’alto, ma di una

crescita e di una presa i coscienza dal basso, generata dal ritorno alle fonti e dalla

riscoperta della tradizione. I modelli importati dall’Occidente andavano rifiutati

perché portatori di materialismo, individualismo, corruzione, ingiustizia sociale;

la legge coranica (shari’a) è l’unica scritta per il volere di Dio e la felicità

dell’uomo, costituisce una necessità non solo religiosa, ma anche sociale ed è un

passaggio verso il grande obiettivo della realizzazione di uno Stato propriamente

islamico.

Per capire pienamente il messaggio di cui la Fratellanza si fa portatrice occorre

fare un passo indietro nel dibattito filosofico del mondo arabo e islamico. Le

teorie di al-Banna’ si innestano infatti nel lungo corso del Rinascimento del

pensiero arabo, la Nahda, che a cavallo tra Otto e Novecento ha prodotto alcune

delle pagine più interessanti della riflessione filosofica e politologica del pensiero

islamico. Il contatto diretto con l’Occidente colonizzatore, il suo stile di vita e le

sue conquiste militari ma anche scientifiche, imposero ai pensatori islamici una

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riflessione sulla propria cultura, e una presa di coscienza dello svilimento cui

questa era andata incontro ormai da secoli. Grandi personalità del pensiero arabo

si interrogheranno sui motivi di questo ritardo culturale, giungendo a posizioni

anche molto divergenti tra loro. Se in un primo momento questi intellettuali

subiranno fatalmente il fascino della modernità occidentale, gradualmente si farà

strada l’idea che proprio quella modernità ha intaccato i valori più autentici della

propria cultura, e che solo la riscoperta delle fonti, l’interiorizzazione e la piena

comprensione del messaggio del Profeta, nonché l’imitazione della società

virtuosa che Muhammad e i suoi seguaci avevano creato nell’età aurea dei quattro

“califfi ben diretti”, potrà riportare l’Islam all’antico splendore.

Svanito il mordente delle lotte per le indipendenze nazionali e lasciato il posto alla

disillusione per il fallimento di sistemi politici di matrice anch’essa occidentale,

questo ritorno alle origini si declinerà in chiave politica, per opera di pensatori

come Sayyid Qutb, nuovo mentore dei Fratelli Musulmani soggiogati dal regime

di Nasser e maiître à pensér del pensiero politico islamico radicale. Il discorso

politico, con l’interpretazione del concetto stesso di Stato islamico e dei mezzi per

attuarlo sarà portatrice di fratture ancora attuali all’interno del movimento, diviso

tra un’anima moderata e un’anima radicale.

Nella storia della Fratellanza congiunture storiche e maturazione dell’ideologia si

salderanno, influenzandosi vicendevolmente. Gli oltre ottant’anni di vita del

movimento saranno caratterizzati da un continuo gioco di equilibri col potere

centrale, una dialettica in cui il movimento dovrà districarsi tra vantaggi e

svantaggi del suo status “ibrido” di movimento mai formalmente riconosciuto

sino all’epoca recente eppure pienamente operante nel panorama politico, in cui

ha a lungo esercitato un ruolo contro-egemonico importante con la sua azione di

opposizione e moralizzazione.

Capace di attirare la fiducia delle masse grazie ai suoi valori di riferimento, ma

anche grazie alla predicazione, alla propaganda, ad una struttura organizzativa

verticistica assolutamente efficiente e all’infaticabile prassi di azione quotidiana

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sul territorio, la Fratellanza ha sovente spaventato i governi che ne hanno in ogni

modo limitato l’azione; salvo sfruttarne il seguito popolare se necessario per

ostacolare avversari più pericolosi nell’immediato.

L’espansione del movimento è stata tale da confluire in organizzazioni nazionali

esplicitamente legate al movimento-madre egiziano, o ad esso comunque ispirate,

pur caratterizzate dalle peculiarità delle singole aree geopolitiche. Questi partiti

islamisti, con la propria specifica maturazione e il proprio specifico bagaglio,

sono i protagonisti, con alterne vicende, della politica mediorientale e

nordafricana degli ultimi anni, segnati da rivoluzioni e controrivoluzioni. Proprio

il più o meno parziale fallimento di queste sollevazioni ha mostrato il volto

peggiore di un movimento islamista teoricamente “moderato” come la Fratellanza,

riaprendo il dibattito sulla compatibilità del sistema democratico con le istanze

islamiste, tendenti come obiettivo finale all’instaurazione dello Stato islamico.

La tesi si ripropone quindi di analizzare evoluzione storica e filosofica della

società dei Fratelli Musulmani, attraverso il pensiero dei suoi pensatori più

influenti e attraverso le tappe che ne hanno segnato la storia, dalla fondazione ai

nostri giorni.

Il primo capitolo è dedicato al Riformismo arabo come matrice culturale del

pensiero della Fratellanza ed è corredato da una serie di testi tratti dalle opere più

significative della corrente; il secondo capitolo, cuore dello studio, analizza

storia, ideologia ed operato dei Fratelli Musulmani egiziani sino al governo

Mubarak; quindi un terzo capitolo allarga lo sguardo alle formazioni islamiste di

Giordania, Tunisia, Marocco e Sudan allo scopo di fornire alcuni esempi della

gemmazione dell’associazione originaria; una doverosa appendice riassume i

principali eventi delle “primavere arabe” che in Tunisia ed Egitto hanno portato i

reciproci partiti legati alla Fratellanza al potere, salvo poi immediatamente

destituirli in quest’ultimo caso, e precede alcune considerazioni conclusive a

parziale bilancio degli importanti cambiamenti in atto.

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4

IL RIFORMISMO ISLAMICO

Com’è potuto accadere che il mondo sia diventato l’inferno dei

credenti e il paradiso dei miscredenti? ANOUAR ABDEL-MALEK

Non sarebbe possibile comprendere il fenomeno dell’islamismo moderno, ed in

particolare dell’Associazione dei Fratelli Musulmani, senza prima indagare il

retroterra culturale in cui esso affonda le radici. L’islamismo politico si presenta

infatti, come una conseguenza delle idee sviluppare nella cosiddetta Nahda, il

Riformismo islamico, la corrente culturale che ha segnato il mondo musulmano

ed in particolare arabo a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Come vedremo, tale processo di rinascita sta alla base di tutte le correnti che si

sono successivamente sviluppate, anche di quelle che, ad un primo esame,

sembrerebbero escludersi a vicenda. Proprio nelle ambiguità e nella polivalenza

delle premesse poste durante la prima fase di questo “risveglio” trovano infatti

un’unica origine tanto le posizioni di quanti sostengono la necessità di un

sostanziale rinnovamento mediante l’emancipazione dalla tradizione islamica

anche su punti delicati ed essenziali, quanto quelle di coloro che, al contrario, di

quella stessa tradizione intendono riproporre forme e contenuti, rifiutando ogni

altro modello e concependo la “riforma” più come un ripristino di quanto è stato

accantonato o inadeguatamente applicato che come un effettivo cambiamento.

Il pensiero dell’intellighenzia di cui si cercherà di fornire un quadro abbraccia

dunque posizioni molto eterogenee, ma con un minimo comune denominatore: la

presa di coscienza della profonda crisi che il mondo arabo stava attraversando e la

conseguente necessità di trovare una soluzione che riportasse l’islam ai fasti del

passato.

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5

Quest’opera di autoanalisi e di ricerca della propria identità non poteva che

esprimersi attraverso il confronto con l’altro, rappresentato dall’Occidente.

Siamo, si noterà, nel pieno colonialismo e la presenza occidentale influenza ogni

aspetto del vivere quotidiano dei paesi colonizzati. In aggiunta, nel 1922 la

Repubblica Turca ha sostituito il disgregato Impero Ottomano, e la laicizzazione

voluta da Mustafa Kemal ha spazzato via l’istituzione del Califfato, punto di

riferimento essenziale seppur dibattuto per tutta la Umma, assestando così un altro

duro colpo all’identità musulmana.

Se inizialmente il sapere occidentale sarà visto con fascinazione e molti concetti

prettamente occidentali metabolizzati, progressivamente il recupero dell’identità

araba e musulmana tenderà a prendere forma nell’alterità con quel mondo

occidentale che ha, per la maggior parte di questi autori, intaccato la purezza

dell’Islam. Secondo questo filone di autori l’Islam deve dunque, per risorgere in

tutto il suo splendore e tornare a dominare il mondo come un tempo, recuperare le

sue origini, a partire dalle fonti, da riscoprire ed indagare nella loro autenticità, per

applicare la parola di Allah all’intero vivere quotidiano.

In questo processo di recupero identitario chiave di volta è la risposta da dare alla

“modernità occidentale”. Dalla diversità dell’approccio a quest’ultima

prenderanno vita quelle correnti potremmo dire “riformiste”, “laiche” o

“riformatrici” che tracceranno la strada, inizialmente ancora legata ad una

dimensione prevalentemente culturale, che sfocerà nell’islamizzazione del politico

e, per quanto riguarda questa ricerca, nei movimenti islamisti del XX secolo.

CRISI E RINNOVAMENTO: L’OCCIDENTE COME MODELLO

La stagione più dinamica e creativa del pensiero musulmano coincise con i primi

secoli del Califfato quando, in concomitanza con la sua straordinaria espansione

militare, l’Islam seppe creare sintesi di ampio respiro tra i suoi valori e l’eredità

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delle tradizioni culturali che andava via via inglobando.1 Terminata questa fase,

già prima dell’abbattimento degli Abbasidi da parte dei Mongoli nel 1258, si era

assistito ad un progressivo impoverimento ed irrigidimento dottrinale che

accompagnò l’Islam sino alle soglie dell’era moderna, con uno sviluppo inverso

rispetto a quello conosciuto dall’Occidente cristiano: al periodo della massima

fioritura, avvenuta nei secoli che corrispondono a quelli del nostro Medioevo,

seguì un lento ma inesorabile declino che interessò i più diversi settori della

cultura, proprio mentre l’Europa viveva il suo Rinascimento. Tale letargo

culturale sarebbe durato a lungo, ma non fu totale, né tantomeno definitivo. I

primi segnali di rinnovamento si possono rintracciare già nel XVIII secolo, con

l’anticipazione di alcune tematiche che sarebbero state riproposte

sistematicamente dal successivo Riformismo islamico. Ricordiamo a questo

proposito il movimento dei Wahhabiti, fondato in Arabia da Muhammad ibn ‘Abd

al-Wahhāb (1703- 1792), esponente di un puritanesimo intransigente teso a

riportare l’Islam alla sua formulazione originaria, liberandolo da principi e

pratiche di origine spuria, che ne avevano alterato la purezza ed indebolito la

forza. La fortuna del Wahhabismo si deve alla sua alleanza con l’emergente

dinastia saudita, ma al di fuori dell’Arabia la sua influenza fu assai limitata.

Tuttavia il desiderio di riformare l’Islam e la critica ad alcune pratiche tradizionali

anticiparono le tesi che avrebbero successivamente avuto grande fortuna.

Qualcosa di analogo avvenne quasi simultaneamente in Cirenaica col movimento

dei Senussi, una confraternita che promuoveva uno stile di vita austero e devoto ai

primi credenti, in contrapposizione ai musulmani occidentalizzati.

Una trasformazione più profonda e generalizzata, in grado di investire

formulazioni dottrinali classiche e radicate tradizioni, si ebbe però soltanto

quando il più diretto confronto/scontro con l’occidente, non più limitato soltanto o

principalmente alla sfera politico-militare, condusse ad una drammatica svolta. Si

prese coscienza della necessità di acquisire nuove conoscenze e tecniche moderne,

di rinnovare apparati e istituzioni, di sollevarsi dalla stagnazione (jumūd) che

1 Per una storia dell’espansione islamica si possono consultare: ALBERT HOURANI, Storia dei popoli arabi. Da Maometto ai nostri giorni, Oscar Mondadori, Cles 1998; PIER GIOVANNI DONINI, Il mondo islamico. Breve storia dal Cinquecento a oggi, Editori Laterza, Bari 2003.

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caratterizzava la vita culturale. Ma ciò avvenne bruscamente e non al termine di

un graduale processo evolutivo, quando la decadenza dell’Impero Ottomano e la

politica espansionista delle potenze europee costrinsero i Paesi arabo-musulmani a

prendere coscienza del loro ritardo in molti settori e dell’urgenza di porvi rimedio.

La data che viene solitamente indicata come punto di partenza di questo processo

è quella del 1798, corrispondente alla campagna di Bonaparte in Egitto.

In realtà già l’Impero Ottomano, aveva introdotto significative novità come la

stampa e la riforma dell’esercito, ma questo processo fu certamente stimolato e

accelerato dalla presenza francese in Egitto, ed ovviamente continuò ben oltre

questa.2 A partire dall’epoca napoleonica sino a tutta quella dell’imperialismo,

arabi ed europei si trovarono a vivere faccia a faccia come non gli era mai

capitato, e le loro reciproche opinioni erano ovviamente destinate a cambiare. Gli

studi, gli insegnamenti, ma anche la creazione di nuove istituzioni, riavvicinarono

le due culture e le portarono a confrontarsi. La classe intellettuale musulmana

andava così convincendosi della necessità di una riforma che secondo alcuni

poteva avvenire recependo quello che non era in contrasto con la tradizione.

Gli intellettuali locali rimasero affascinati dal progresso prima di tutto scientifico

degli occidentali: “Ci presentarono poi altri esperimenti scientifici di questo

genere, basati sulla combinazione di corpi semplici e il loro avvicinamento l’uno

all’altro. […] Fecero ancora altri esperimenti tutti straordinari come i primi e

che delle menti come le nostre non potevano né concepire, né spiegare”, si legge

nelle pagine ricche di ammirazione lasciate da un annalista del tempo.3

Numerosi furono i viaggi e i soggiorni di studio in Occidente dei più giovani

rappresentanti dell’esigua classe media islamica. In particolare ciò riguardò

l'Egitto, la Siria, il Libano e la Turchia ottomana stessa. Mete privilegiate furono

Londra, Parigi e le varie città della Germania. Il desiderio di acquisire le

2 Cfr. PAOLO BRANCA, Moschee inquiete. Tradizionalisti, innovatori, fondamentalisti nella cultura islamica, il Mulino, Bologna 2003, pp. 63-65. 3 ‘ABD AL-RAHMĀN AL-JABARTĪ, Merveilles biographiques et historiques, Nendeln 1970 [ed. orig. 1881], , vol VI, pp. 74 ss., cit. in P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit. p. 65.

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conoscenze e le tecniche che assicuravano ai paesi europei la superiorità,

determinò, negli anni successivi, l’invio da parte dei governatori d’Egitto di

apposite missione di studio che non limitarono il proprio interesse alle scienze, ma

si appassionarono all’insieme della cultura occidentale e, una volta tornate in

patria, furono determinanti nella promozione di innovativi istituti di formazione,

destinati a creare la futura classe dirigente. Inestimabile fu il contributo dato in

questo senso da un’apposita commissione presieduta da Rifā’al-Tahtāwī (1801-

1873), che tradusse in arabo autori come Voltaire e Montesquieu e che ci ha

lasciato un interessantissimo diario del suo soggiorno parigino.

Egli si pose in particolare il problema della lingua, che non si limitava alla pur

centrale questione della diglossia (la lingua scritta araba rimaneva fedele alle

regole dell’arabo classico, al contrario di quella parlata, ndr): la lingua araba

doveva adeguarsi alla funzione di strumento di comunicazione di massa e dotarsi

di un lessico rinnovato e una struttura più elastica per poter esprimere nuove

realtà. “Non so come indicare in arabo i mobili che arredano la mia stanza,

mentre non ho difficoltà a farlo in inglese”4 , scrisse laconicamente un altro

intellettuale di doppia formazione, Salāma Mūsā (1887 – 1958) e ancora più

perentoriamente al-Tahtāwī osservava:

“Tra i fattori che favoriscono i francesi a progredire nelle scienze e nelle arti, vanno

menzionate la semplicità e la perfezione della loro lingua. Impararla non richiede molta

fatica […] poiché questa lingua è completamente priva di ambiguità ed esclude ogni

equivoco. […] Esattamente il contrario di quanto avviene nell’ arabo dove, per leggere un

libro di una data materia, si deve prima studiarne il linguaggio, verificando

minuziosamente il significato delle parole e completando le frasi dando ad esse un senso

che non è esattamente quello che risulta dall’espressione.”5

Dalla consapevolezza teorica del problema si passò in seguito a nuove esperienze

nel campo letterario, ma la questione della diglossia rimase irrisolta e quella

dell’ammodernamento della lingua restò comunque una problematica aperta, tanto 4 P. BRANCA, Moschee inquiete...op.cit., p. 66. 5 RIFÂ’AL-TAHTÂWÎ , L’Or de Paris, Sindbad-Paris 1988, p. 185, cit. in P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., pp. 66-67.

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che più avanti lo scrittore e pedagogo Ahmad Amīn (1886–1954) potrà riproporla

in termini sostanzialmente analoghi. Lo stesso Amīn sottolineava come fosse lo

stesso modo canonico di esprimere il pensiero, affidato alla concatenazione di

proposizioni scarsamente subordinate e mal disciplinato all’infuori della

speculazione teologica e filosofica, a necessitare di una riorganizzazione per poter

riflettere il mondo delle idee dell’Occidente moderno. Da qui la difficoltà, non

ancora del tutto superata, nel tradurre in arabo opere storiche o sociologiche

scritte nelle lingue occidentali, i cui aspetti stilistici sfuggono alla sintassi araba.

Se aggiungiamo a tutto ciò le difficoltà della complessa grafia araba si può ben

comprendere l’esclamazione di Anis Furayha: “Siamo il solo popolo che deve

capire per leggere, tutti gli altri leggono per capire!” 6

Grazie ai giornali e alla pubblicistica tuttavia si posero le basi per la nascita di

quell’arabo letterario “medio” che ancor oggi è utilizzato nella stampa quotidiana,

nei libri e nelle riviste. Un notevole contributo a questo processo fu dato anche da

alcuni intellettuali cristiani, così come importante fu il contributo cristiano alla

scolarizzazione.

Anche l’introduzione della stampa, come quella di altre innovazioni tecnologiche

incontrò tuttavia vivaci resistenze da parte degli ambienti tradizionalisti, timorosi

dell’effetto dissacrante che queste potevano avere, particolarmente in un settore

come quello linguistico-letterario da sempre strettamente correlato all’ambito

religioso e al testo Sacro. Nonostante ciò, l’adozione di nuovi moduli di

comunicazione stava prendendo avvio all’interno di una più generale ricettività

rispetto ai prodotti della cultura europea.

Non meno significative furono le trasformazioni nel settore giuridico, dove

modelli di stampo occidentale cominciarono a influire sulla codificazione del

diritto, emancipandolo dalle forme e dalle disposizioni tradizionali mediante la

ricezione di modelli normativi stranieri. Nell’Impero Ottomano le celebri riforme

Tanzīmāt vennero avviate da Adbul Magīd I (1939 -1861), mentre nel Maghreb e 6 GUSTAVE E. VON GRUNEBAUM, L’identité culturelle de l’islam, Paris 1973, p. 141, cit. in P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p. 69.

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nello specifico in Tunisia l’opera di ammodernamento fu voluta prevalentemente

dallo statista Khayr al-Dīn (1820-1889), il quale promuoveva un’evoluzione delle

istituzioni e delle finanze pubbliche su modello dei moderni stati europei.

L’OCCIDENTE COME “ALTRO”: IL RITORNO ALLE ORIGINI

L’apertura alle suggestioni del pensiero europee fu in un primo tempo come visto

entusiastica ed incondizionata, ma la fase ricettiva non poteva durare a lungo in

modo acritico, non soltanto per il rischio di perdita d’identità che un simile

processo comportava, ma anche a causa degli avvenimenti politici che vedevano

nella politica di aggressione coloniale dell’Occidente il principale ostacolo sulla

strada della realizzazione di quegli stessi ideali che il contatto con la cultura

europea aveva contribuito a diffondere. Così le tematiche del risveglio culturale,

il recupero della propria tradizione, nella quale l’Islam giocava un ruolo di primo

piano, e l’anelito al riscatto politico presero a muoversi di pari passo.

In quest’ottica la tradizione doveva avere una reale portata rivoluzionaria, così

come sostengono molti odierni movimenti islamici. Ma mentre questi ultimi si

pongono in antitesi ad un potere costituito che (escludendo i casi in cui esso si fa

portatore di un modello estraneo alla tradizione, come il laicismo turco) poggia

sugli stessi valori di coloro i quali vogliono porsi come alternativa, i “riformatori”

della fine dell’Ottocento volevano sottoporre la tradizione ad una revisione critica

perché sentivano al necessità di introdurre nei propri paesi profonde

trasformazioni. 7

Il rapporto con l’Europa, pur portatore di grandi novità, non poteva che essere

denso di critiche: accettare tecnologia, scienza e la stessa idea di nazione,

significava riviverle in una prospettiva islamica. L’idea di nazione significava

emancipazione dal dominio turco, sempre mal tollerato, senza però mettere in

discussione l’appartenenza alla vasta comunità musulmana, di cui i turchi 7 ROCCO PEZZIMENTI, Il pensiero politico islamico del ‘900. Tra riformismo, restaurazione e laicismo, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2011, p. 21.

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facevano parte. D’altro canto il rifiuto del colonialismo non cancellava quelle idee

di modernità da esso portate con cui occorreva comunque confrontarsi.

Che anche la religione venisse investita dal tentativo di rinnovamento fu invece

una brevissima illusione.8 Prevalsero quei motivi che spinsero a privilegiare

settori della Riforma che non toccavano l’aspetto religioso, in lotta contro coloro

che volevano sottomettere e mettere in pericolo la genuinità della cultura e della

tradizione musulmana. Secondo una felice definizione i riformisti volevano così

“islamizzare la modernità”9, un concetto su cui torneremo in seguito.

Ciò è già evidente in Jamāl al-Dīn al-Afghānī (1838-1897), personalità dallo

straordinario carisma che diede vita a circoli riformistici nei vari paesi arabi da lui

visitati per combattere i regimi autocratici e illiberali e l’influenza delle potenze

europee, nonché ispiratore di gran parte delle correnti innovative del pensiero

musulmano moderno. Il grave stato di decadenza in cui versavano i paesi

musulmani, a suo parere, non soltanto non era degno del loro glorioso passato,

ma neppure conforme allo spirito genuino dell’Islam, che vede nel successo anche

temporale un segno della propria autenticità e della benevolenza divina. Traccia

quindi una critica di quegli atteggiamenti che avevano reso i musulmani

corresponsabili della crisi che li affliggeva, giacché “Iddio non cambia il favore di

cui ha favorito un popolo fin quando essi non cambiano quel che hanno in cuore”

(Corano, 8,53). Così argomenta:

“Iddio Altissimo ci ha esplicitamente detto nella Rivelazione che i popoli non

decadono, non muoiono né scompaiono se non dopo essersi allontanati dalla condotta

ch’Egli stesso, nella sua infinta saggezza, ha stabilito.

Iddio non cambia la forza, il potere, il benessere, l‘agiatezza, la sicurezza e la

tranquillità di cui gode un popolo prima che questo abbia abbandonato la ragionevolezza

e il buon senso e non abbia smesso di considerare ciò a cui Dio ha destinato i popoli

d’altri tempi e di riflettere sulla sorte di quanti si sono scostati dalla retta via e che sono

quindi scomparsi, colpiti dalla sventura. 8 Ibid. 9 BRUNO ETIENNE, L’islamismo radicale, Rizzoli, Milano 2001 [ed. orig. L’islamisme radical, Hachette, Paris 1987], p.115.

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Cessando di praticare la giustizia e di seguire la saggezza essi hanno perduto il retto

giudizio, la sincerità, l’integrità della coscienza, la resistenza alle passioni e l’ardore per

la verità, per il trionfo e la salvaguardia, nella quale non si adoperano più […]

Dio allora li ha fatti perire per i loro peccati ed essi sono diventati un esempio per

quanti sanno riflettere.

Egli, infatti, ha stabilito che la sopravvivenza il progresso dei popoli siano fondati sulle

virtù cui abbiamo fatto cenno e che, di conseguenza, la loro rovina dipenda

dall’abbandono di esse. […]

Dobbiamo tornare in noi stessi, esaminare i nostri pensieri e verificare il nostro

comportamento per sapere se stiamo seguendo le orme di quanti ci hanno preceduto nella

fede. […]

Come potremmo non accusare noi stessi vedendo gli stranieri spadroneggiare in casa

nostra, umiliare il nostro popolo, spargere il sangue dei nostri fratelli innocenti senza che

nessuno alzi un dito?

La maggior parte degli innumerevoli figli di questa religione non danno nulla di quanto

possiedono per difendere le loro terre e se stessi, preferiscono questa vita all’Altra […].

Ci siamo sparsi a Oriente e ad Occidente fin quasi a perdere quanto ci univa. […]

Apparteniamo ad un’unica Comunità e adoperarci per difenderla dai suoi nemici,

quand’essa viene attaccata, è il primo fra i doveri religiosi: lo attesta il Libro Sacro e il

consenso dei credenti di ogni generazione.[…]

Com’è stato promesso per mezzo dei profeti, questa Comunità è destinata al bene fino

alla fine dei tempi […].

Se gli ‘ulemā’ fedeli si metteranno all’opera, facendo quanto loro indicato da Dio e dal

Profeta e se ravviveranno lo spirito del Corano richiamando i credenti ai suoi nobili

principi e riconducendoli all’inviolabile patto divino, si vedrà allora la verità imporsi e

svanire il falso, la luce tornerà a splendere nelle menti e si tradurrà in pratica.

Il fermento che va coinvolgendo gli animi dei musulmani di tutti i paesi in questi tempi

testimonia che Iddio li ha preparati a lanciare un grido che li raccoglierà, ristabilendo

l’unità di quanti credono nella Sua unicità”

Scrive ancora, riguardo al predominio cristiano e alla decadenza della potenza

militare islamica:

Page 16: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

13

“La religione cristiana è fondata sulla pace e la benevolenza, ha portato all’abolizione

della legge del taglione, alla rinuncia al potere e alle vanità del mondo, ha insegnato ai

suoi seguaci a sottomettersi all’autorità costituita, […] tra le esortazioni evangeliche c’è

quella che dice “se qualcuno ti percuote sulla guancia destra, tu porgigli la sinistra”

[…].

Chiunque consideri la struttura di questa religione tenendo conto dell’enorme influsso

che la fede ha sul pensiero […] non potrà che stupirsi del comportamento di quanti si

rifanno a questo credo pacifico. […] Si affannano nel conquistare paesi e

nell’impadronirsi di lontani territori, tutti i giorni escogitano qualcosa di nuovo in materia

di guerra e inventano nuovi strumenti bellici che impiegano tanto nei confitti tra di loro

quanto in quelli contro gli altri […].

La religione islamica ha posto invece tra i suoi fondamenti la ricerca del successo, lo

slancio di conquista e il predominio, il rifiuto di qualsiasi legge che contrasti con la sua e

di ogni potere che non ne applichi le norme.

Chi esamini le origini di questa religione e legga il suo Testo Sacro si convincerà che i

suoi fedeli non dovrebbero essere militarmente secondi a nessuno, dovrebbero superare

tutti nell’inventare macchine da guerra […] acquisendo le più ampie conoscenze ad esse

inerenti, quali la fisica, la chimica, la meccanica, la geometria ecc. […]

Per quale favore della sorte i cristiani sono arrivati a ciò che non era contemplato dalla

loro fede? Quale colpo di sfortuna ha invece colto i musulmani facendoli restare indietro

nell’acquisizione proprio dei mezzi prioritari per l’adempimento della loro vocazione?

[…]

Ci limiteremo a dire che il cristianesimo si è diffuso nell’Europa post-romana, dove già

erano presenti fedi , usi e costumi legati a religioni e a leggi anteriori. Il cristianesimo si

mostrò tollerante verso quelle abitudini e quelle mentalità e conquistò quei popoli con la

persuasione e senza ricorrere alla forza. Ciò nonostante le pagine del Vangelo che

invitano alla pace in un primo tempo non furono divulgate tra le masse, ma restarono

riservare ai capi spirituali […] In seguito quando i Pontefici si misero a legiferare e

indissero le crociate, lo fecero in nome della religione. Tutto ciò dapprima si confuse nei

dogmi della fede per divenirne infine uno dei principi di base[…].

Quanto ai musulmani, dopo i traguardi raggiunti al tempo delle origini della loro

religione […] tra essi apparvero in seguito uomini che, ammantandosi degli abiti della

religione, introdussero delle novità estranee al genuino Islam.

Page 17: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

14

Si diffusero così la dottrina della predestinazione, che fu tanto ripetuta da insinuarsi

infine nei cuori distogliendoli dall’azione, si propagarono le eresie del terzo e quarto

secolo e le dottrine dei sofisti, […] il risultato fu un indebolimento delle volontà”10

L’ignoranza e la pura imitazione delle tradizioni più decadenti; le divisioni interne

alla comunità che opponeva sette ed etnie minando l’unità della Umma; il

carattere dispotico della maggioranza dei principi al potere: erano tutti bersagli

della critica di al-Afghani. Al tempo stesso egli difendeva strenuamente l’Islam

più autentico, cercando di dimostrare la perfetta compatibilità tra scienza e fede,

nonché la superiorità dell’Islam rispetto alle altre religioni per la sua intrinseca

razionalità, imputando i mali di cui il mondo musulmano soffriva ad una non

corretta adesione agli ideali della propria fede da parte dei suoi stessi, dichiarati

seguaci.

Se da un lato dunque si avvertiva la necessità di svincolarsi dagli aspetti statici del

pensiero religioso tradizionale e di una più generale maturazione della cultura

araba, dall’altro lato cresceva la consapevolezza che proprio quella tradizione,

diversamente interpretata, poteva fornire gli elementi di continuità che

garantissero la conservazione della propria identità in un momento di così vaste e

radicali trasformazioni.

Nel pensiero di al-Afghani, osserva Paolo Branca, si può rintracciare “qualcosa di

simile allo spirito della Riforma protestante”, 11 nella necessità di un contatto

diretto con l’autorità della Scrittura (il Corano), senza fermarsi all’interpretazione

tradizionale. Di qui la condanna dello spirito di “imitazione” (taqlīd) e l’invito a

riaprire la “porta dell’ijtihād”, lo sforzo interpretativo, indebitamente interrotto

ormai da molti secoli.

10 GAMAL AL -DĪN AL-AFGHĀNĪ e MUHAMMAD ‘ABDUH, al-‘Urwa al-wutqā (Il legame indissolubile), Dār al-kitāb al-‘arabi, Beirut 1983, pp. 171-175 e 65-69, cit. in PAOLO BRANCA, Voci dell’Islam moderno. Il pensiero arabo-musulmano fra rinnovamento e tradizione, Marietti, Genova 1991, pp. 127-134. 11 P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p. 73.

Page 18: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

15

Chi sviluppò in tal senso lo spirito del riformismo musulmano fu soprattutto il

dotto egiziano e suo discepolo Muhammad ‘Abduh (1849-1905). Di formazione

tradizionale azharita12, Abduh subì profondamente l’influsso morale del maestro.

Divenne redattore-capo della “Gazzetta ufficiale” egiziana, ma, a causa delle sue

simpatie per la rivoluzione di ‘Urabī Pascià (1882)13, e nonostante non ne

condividesse gli estremismi e fosse in linea di massima favorevole ad un dialogo

con gli inglesi, fu costretto all’esilio in seguito alla conseguente occupazione

britannica.14 A Parigi rincontrò al-Afghānī e insieme pubblicarono per breve

tempo un periodico, “Il Saldo vincolo” (“al-‘Urwa al-Wuthqa”), che fu una vera

fucina di idee salafite e circolò ampiamente nel mondo arabo. Il salafismo, o

salafiyya è una scuola di pensiero sunnita che prende il nome dal termine arabo

salaf al-ṣaliṣīn ("i pii antenati"), di cui al-Afghani (pur sciita) e ‘Abduh sono

considerati maestri, e che si ispira appunto al recupero dello spirito degli

“antichi”. Tornato in patria nel 1888, ‘Abduh venne nominato muftī, ovvero

principale consulente giuridico dello Stato. Si impegnò alacremente nella riforma

dell’Università di al-Azhar oltre che dei tribunali, nella convinzione che

educazione e giustizia fossero due pilastri della Riforma e del buon governo. Il

suo intervento sul sistema universitario e giuridico fu duraturo e significativo.15

‘Abduh non scrisse molto, ma tutte le sue opere furono particolarmente efficaci.

Nella sua autobiografia espose come segue i propri obiettivi:

in primo luogo, liberare il pensiero dalle catene della servile imitazione del

passato (taqlīd) e comprendere la religione com’ era compresa dagli antichi della

Comunità (salaf), prima che comparisse il dissenso; quindi, nell’acquisizione

della conoscenza religiosa, tornare alle fonti e soppesarle nell’ottica della ragione

umana, che Dio ha creato allo scopo di prevenire ogni eccesso o adulterazione

della religione, così da adempiere la saggezza di Dio e preservare l’ordine del

12 al-Azhar è la celeberrima università islamica del Cairo. 13 Ahmad ‘Urābī è l’ufficiale e politico egiziano che ha guidato l’insurrezione patriottica contro i britannici e contro il khedivè tra il 1979 e il 1882, ad Egitto ancora formalmente sotto dominio ottomano. L’insurrezione venne soffocata dalle armate britanniche nella definitiva battaglia di Tel El Kebir, il 13 settembre 1882. 14 MASSIMO CAMPANINI, Il pensiero islamico contemporaneo, il Mulino, Bologna 2005, p. 27. 15 MASSIMO CAMPANINI, Storia dell’Egitto contemporaneo. Dalla rinascita ottocentesca a Mubarak, Edizioni Lavoro, Roma 2005, p. 56.

Page 19: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

16

mondo umano; infine, dimostrare che, vista in questa luce, la religione è amica

della scienza e stimola l’uomo a investigare i segreti dell’esistenza, ammonendolo

di rispettare le verità eterne e di basarsi su di loro nella sua vita e nella condotta

morale16

Raccogliendo dunque la sfida lanciata all’Islam dal pensiero moderno e dalle

profonde trasformazioni in atto nelle società orientali, Muhammad si preoccupò di

riformulare il credo e l’etica della propria religione in modo da renderli meno

vulnerabili alle critiche e agli attacchi che provenivano dai suoi avversari e al fine

di liberare quelle forze vitali di pensiero e di azione che lunghi secoli di

decadenza avevano svilito.

Nel suo pensiero si svilupparono quindi per la prima volta insieme le due direttrici

del riformismo islamico: da una parte la critica e dall’altra la difesa e il recupero

della propria tradizione.

Dimostrare che l’Islam è, nei suoi fondamenti, essenzialmente favorevole alla

scienza e al progresso non avrebbe avuto alcun effetto se contemporaneamente

non lo si fosse liberato dallo spirito di imitazione che ne aveva bloccato lo

sviluppo, ponendo tra i fedeli e i testi originari della fede la mediazione di infiniti

compendi e commentari di scarsa qualità e oscura comprensione (egli stesso

aveva estremo interesse per lo studio del Libro sacro ed iniziò un commentario

che fu proseguito dal suo discepolo Rashīd Ridā, ndr). Purificare l’eredità

islamica dagli elementi estranei che nel corso dei secoli ne avevano alterato il

messaggio originale e rendere a quest’ultimo la possibilità di essere credibile per

l’uomo del XX secolo, questi sono in definitiva gli obiettivi dichiarati di

‘Abduh.17

Si trattava dunque, in pieno spirito salafita, di rinnovare l’Islam nella dimensione

della scienza, attingendo alle sue fonti primarie. Il presupposto di questa

professione d’intenti era la sostanziale razionalità dell’Islam in quanto religione e

16 ALBERT HOURANI, Arabic thought in the Liberal Age. 1798-1939, Oxford 1962, pp. 140-141, cit. in M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p.56. 17 Cfr. P.BRANCA, Voci dell’Islam…op.cit., pp. 134-135.

Page 20: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

17

sistema di vita. La razionalità dell’Islam è fondata nello stesso Corano, come si

legge nell’opera più famosa di ‘Abduh, l’“Epistola sull’Unicità di Dio” (“Risāla

al-tawhīd” ):

“Il Corano non pretende che si abbia fiducia in lui per il fatto che lo dice. No! Il Corano

prova ciò che enuncia, espone dottrine divergenti e le confuta con l’argomentazione; fa

appello alla ragione e risveglia l’intelligenza; mostra l’ordine che regna nell’universo, le

leggi che lo governano, la saggezza e la perfezione che vi si manifestano”18

Nel dispiegare del suo pensiero ‘Abduh fu tra i primi fautori, nel mondo arabo-

islamico contemporaneo, del recupero della teologia razionalistica dei mutaziliti,

una scuola teologica fiorita in Iraq nel IX secolo dell’era cristiana. In quest’ottica,

almeno nelle prime edizioni dell’”Epistola sull’Unicità di Dio”, egli approvava la

dottrina del Corano creato e del libero arbitrio umano. Nonostante questa tesi,

particolarmente invisa ai tradizionalisti, sia stata silenziosamente lasciata cadere

nelle successive edizioni, possiamo tuttora leggere nell’opera la difesa

dell’indipendenza e della libertà umana di agire rispetto alla predestinazione

divina. D’altra parte, pur essendo l’uomo capace di agire, non potrebbe farlo se

Dio non glielo consentisse (una posizione con la quale l’autore mediava tra

mutazilismo e asharismo19); pur essendo la ragione peculiare dell’essere uomo, la

stessa di arresta di fronte ai misteri e a verità che solo la Profezia può rivelare.

Sebbene il pragmatismo e il razionalismo di ‘Abduh abbiano fatto sospettare ad

alcuni autori che fosse un agnostico, nelle sue opere si leggono chiare

affermazioni che circoscrivono comunque le capacità della ragione. Divenne

d’altronde il maître à penser del riformismo islamico e contribuì alla diffusione

del salafismo, che arrivò in Siria come in Algeria e perfino in India.

18 MUHAMMAD ‘ABDUH, Risālat al-tawhīd, Exposè de la Religion Musulmane, Parigi 1978, p.6 (traduzione italiana a cura di G.SORAVIA, Trattato sull’unicità divina, Il Ponte, Bologna 2003), cit. in M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p.57. 19 In contrasto con il Mutazilismo, gli ashariti proposero una natura unica e trascendentale di Dio e caratteristiche divine ben superiori alle capacità umane. Il disaccordo tra i seguaci degli ashariti e i mutaziliti si manifestò anche su altri due punti fondamentali, quali il rifiuto della tesi del libero arbitrio e il trionfo della predestinazione; e la ripresa della tesi dell’eternità del Corano.

Page 21: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

18

‘Abduh, come al-Afghānī, era convinto che l’Islam fosse una “civiltà” nel senso

più pieno e totale del termine. Nell’ambito della problematica tra le leggi di Dio,

rivelate, e le leggi umane, figlie della scienza terrena, rispondeva che la vera

civiltà è conforme all’Islam, e non viceversa il vero Islam conforme alla civiltà.

Questa distinzione, nota Massimo Campanini, “prefigura nel pensiero islamico

contemporaneo una duplice tendenza in relazione alla modernità, tendenza che

sarà persistente nei decenni successivi ad ‘Abduh: l’una, riformistica, che ha

inteso islamizzare la modernità, cioè ricondurre la modernità nell’alveo dell’Islam

sostenendo che l’Islam è una religione e un’ideologia perfettamente in grado di

comprendere e di governare il nuovo; l’altra, modernista e laicista, che ha inteso

modernizzare l’Islam, cioè in pratica circoscrivere la funzione della religione

all’ambito spirituale e ultimo della coscienza. ‘Abduh sosteneva la prima tesi,

quella dell’islamizzazione della modernità: accettava con entusiasmo la modernità

e la scienza, ma riteneva che esse fossero non solo compatibili col, ma addirittura

una declinazione del razionalismo islamico”20

Molti discepoli, piò o meno diretti, di ‘Abduh colsero pienamente gli elementi

innovatori, in chiave razionalista e scientista, del suo pensiero, e furono vivaci

riformatori almeno sul piano delle idee. Tra questi Qāsim Amīn (1865-1908),

intellettuale nato al Cairo e anch’esso trasferitosi in Francia, in questo caso per

perfezionarsi nelle discipline giuridiche. Le sue argomentazioni sono sulla linea

del primo riformismo musulmano nella difesa dell’Islam rispetto alle accuse

mossegli dai suoi avversari e nello sforzo di dimostrarne la perfetta compatibilità

con la razionalità e la scienza. Ma soprattutto si segnalò per due opere pubblicate

tra il 1899 e il 1900 che fecero scalpore: si trattava dei primi libri nel mondo arabo

che sistematicamente rivendicavano l’effettiva parità tra uomo e donna nella

società e l’emancipazione delle donne dal ruolo subordinato nella famiglia e sul

lavoro. La subordinazione femminile altro non sarebbe difatti che uno dei tanti

frutti di un’errata interpretazione della religione. L’apertura mentale di Amīn, che 20 M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., pp. 58-59.

Page 22: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

19

prevedibilmente gli costò durissime critiche dagli ambienti tradizionali, si

manifestò anche in altre tematiche di carattere sociologico e psico-pedagogico,

testimoni di uno spirito riformista ben al di là di una semplice preoccupazione

apologetica.

Oltre ad Amīn si potrebbe citare anche Ahmad Lutfī al-Sayyid (1872-1963),

intellettuale dall’orientamento liberale che in quegli anni esaltò la libertà come

diritto dell’individuo e rivendicazione civile e denunciò gli eccessi dello

statalismo. Tuttavia, il secolarismo di questi autori non fu l’unico effetto

dell’insegnamento razionalizzante di ‘Abduh. Dopo la sua scomparsa, il

movimento che a lui si rifaceva, la Salafiyya, venne guidato dal siriano Rashīd

Ridâ (1865-1935), ma progressivamente all’impulso realmente innovativo si andò

affiancando e talvolta sostituendo la tendenza a ripristinare l’Islam nelle sue

forme originarie, privilegiando il filone apologetico e revivalista che fu proprio

anche dei primi movimenti islamici radicali, sorti appunto in quegli stessi anni,

come quello dei Fratelli Musulmani.21 Ridâ come vedremo interpretò il salafismo

in chiave marcatamente religiosa e si può dire conservatrice.

GLI INNOVATORI

Non per questo si può dire che la spinta al rinnovamento sia venuta del tutto a

mancare. Anzi, alcune delle voci più significative e delle proposte più audaci in

questo senso dovevano ancora esprimersi, come estrema conseguenza della

consapevolezza della necessità di un sostanziale cambiamento, giù espressa

compiutamente dagli spiriti più acuti.

All’interno di questo filone va segnalato sicuramente il siriano ‘Abd al-Rahmān

al-Kawākibī (1849-1902). Nato ad Aleppo in una famiglia di notabili, pur

ricoprendo diverse cariche amministrative non risparmiò critiche ai governanti

ottomani dalle colonne di varie testate a cui collaborò, tanto da meritarsi un

21 Cfr. P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p. 75.

Page 23: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

20

processo per tradimento poi risoltosi in assoluzione. Le intimidazioni tuttavia non

finirono e lo indussero, nel 1899, a cercare rifugio in Egitto, dove incontrò i favori

del khedive ‘Abbās Hilmī, strenuo avversario del sultano ‘Adb al-Hamīd, e si unì

al gruppo di riformisti che si raccoglievano attorno alla rivista ‘al-Manār”, diretta

da Rāsid Ridâ. Qui pubblicò “Umm al-Qurā” (“La Madre delle città”, epiteto di

La Mecca), opera nella quale, immaginando un credibile “Congresso della

rinascita islamica”, esprimeva le sue critiche e le sue proposte di riforma.

Nonostante il ricorso ad uno pseudonimo, la paternità dell’opera non restò ignora

ai suoi nemici ed egli morì avvelenato da un agente ottomano nel 1902. Nella sua

seconda opera, “Tabā’i’ al-istbdād wa masāri’ al-isti’b ād” (“ Caratteri della

tirannide e danni dell’asservimento”) dà invece voce al tema del dispotismo,

mostrando evidenti influssi da parte di alcuni autori europei tra cui

l’espressamente richiamato Vittorio Alfieri. 22

I suoi scritti hanno come principale obiettivo da un lato stabilire il primato degli

arabi in seno all’Islam in luogo del decadente impero ottomano (da cui la richiesta

di un califfato arabo spirituale); dall’altro assicurare la separazione tra potere

politico temporale e potere spirituale. Il tutto al fine di fornire al mondo arabo

un’unità organizzata attorno all’Egitto, rispettando pienamente la sovranità del

movimento nazionale in materia di potere politico23. Così facendo, Kawākibī

inaugura la formazione del sottogruppo radicale all’interno del fondamentalismo

islamico, ovvero di quel che può essere designato con l’appellazione di

“islamismo politico” propriamente detto, da quel momento in avanti cuore stesso

del movimento arabo del ventesimo secolo. Tra le sue osservazioni uscite dalla

sua limpidissima penna si possono segnalare i passi sulla specificità e i valori del

mondo arabo e sul rapporto tra dispotismo e religione, in cui per altro si coglie

un’aperta critica ai governanti e ai religiosi asserviti che sfruttano le varie

religioni per intimorire e soggiogare i popoli. 24

Tra gli altri esponenti di rilievo del riformismo islamico in Siria ci limitiamo a

citare Tāhir al-Jazā’iri (1850-1920), autore di un catechismo nel quale cercò di

22 Cfr. P.BRANCA, Voci dell’islam…op.cit., pp.117-121. 23 ANOUAR ABDEL-MALEK , La pensée politique arabe contemporaine, Seuil, Parigi 1970, p. 205. 24 passi delle opere di Kawābī si possono trovare nelle due opere citate alle note 22 e 23.

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21

rendere accessibili gli articoli del credo musulmano combattendo le forme

devianti della religiosità popolare; ‘Abd al-Qādir al-Maghribī (1868-1956),

fautore di riforme nel settore dell’istruzione e della cultura; Muhammad Kurd’Alī

(1876-1953), intellettuale e uomo politico di grande apertura.

In Libano emerge sulle altre la figura di Sakīb Arslān (1869-1946), intellettuale

forgiato dagli assidui contatti oltre che con i vari paesi arabi anche con diversi

esponenti della cultura occidentale. Interrogandosi in “Limādā ta’ahhara al-

muslimūn wa limādā taqaddama gayruhum” (“Perche è musulmani sono

arretrati mentre gli altri progrediscono”) sulle cause del ritardo musulmano,

Arslān ritiene che l’inerzia dei musulmani sia una dei principali motivi del

degrado. Essi hanno dimenticato che la loro religione non si occupa solo

dell’Aldilà, al contrario la sua peculiarità è quella di essere contemporaneamente

religione di questo e dell’altro mondo:

“Il danno fatto dai musulmani colpiti dall’inerzia non è minore di quello provocato dai

rinnegati, anche se i primi non hanno la malizia e la cattiva coscienza dei secondi e si

comportano così solo per ignoranza o per fanatismo.

Sono stati loro a spianare la strada ai nemici della civiltà islamica i quali hanno trovato

comodo giustificare la propria aggressione col pretesto dell’arretratezza del mondo

musulmano che essi imputano agli insegnamenti stessi dell’Islam”

Lo svantaggio islamico deriva dal fatto che ci si è preoccupati solo di orientare

gli sforzi della ricerca verso le scienze religiose invece che verso quelle che

cercano di migliorare la vita terrena. Purtroppo molti islamici hanno accettato

questo dato di fatto quasi per decreto divino provocando indolenza e pigrizia,

atteggiamento che ha prodotto anche non pochi problemi di immagine e che ha

indotto gli occidentali a definire l’Islam fatalista e rinunciatario.

“Sono stati loro a determinare lo stato di miseria in cui si trovano i musulmani, poiché

hanno fatto dell’Islam una religione che si occupa solo dell’aldilà, mentre esso è

contemporaneamente la religione di questo e dell’altro mondo ed è anzi questa la

caratteristica che lo contraddistingue. […]

Page 25: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

22

I musulmani che si lasciano andare all’inerzia […] quando constatano questa situazione

la giustificano parlando del destino e del decreto divino, come fanno tutti gli indolenti di

questo mondo. […]

È questo atteggiamento che ha indotto gli occidentali a definire l’Islam fatalista e

rinunciatario: quello che è, è, e non si può farci niente”

Ovviamente anche in questo caso la risposta a tale fraintendimento non può essere

che il ritorno alle origini, riformando quindi la religione coranica e purificandola

dalle impurità.

“In realtà sono le idee di questi musulmani a non adattarsi alla civiltà e ad opporsi al

progresso, l’Islam non è responsabile della loro rigidezza. […]

Coloro che comprendono rettamente l’Islam accolgono anzi di buon grado ogni

innovazione che non si opponga alle verità della fede e non provochi guasti.

D’altra parte, non riesco ad immaginare che nulla di quanto può essere utile alla società

possa trovarsi in contrasto con una religione che ha per fine la felicità dei suoi fedeli.”25

Arslān mise la sua abilità di scrittore al servizio ella causa della rinascita araba

non solo sul piano della cultura, ma anche impegnandosi a livello politico. Nel

1921 a Ginevra si fece infatti promotore di un Congresso siro-palestinese di cui fu

rappresentante presso la Società delle Nazioni e diresse la prestigiosa rivista “La

Nation Arabe”.

I maggiori esponenti del pensiero riformista nel Maghreb furono degli algerini.

Sulla scorta delle tesi di Muhammad ‘Abduh, che aveva visitato il Paese nel 1903,

essi si impegnarono contro il culto dei marabutti (“santi” riconosciuti a livello

locale) e le altre forme di religiosità diffuse tra la popolazione; ma nello stesso

tempo reagirono all’influenza occidentale facendo della lingua e della cultura i

punti di forza per la promozione dell’identità nazionale algerina, opponendosi al

diffondersi dei modelli di vita europei. Capofila del movimento fu ‘Abd al-Hamīd

ibn (Ben) Bādīs (1889-1940), che dopo un solido corso di studi tradizionali a

25 SAKĪB ARSLĀN, Limādā ta’ahhara al-muslimūn wa limādā taqaddama gayruhum (Perché i musulmani sono arretrati mentre gli altri progrediscono), Dār maktaba al-hayāt, Beirut 1969, pp. 105 ss., cit. in P.BRANCA, Voci dell’Islam…op.cit., pp. 122-125.

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23

Tunisi, ricevette nuovi stimoli dopo il pellegrinaggio a La Mecca e il fruttuoso

confronto con gli intellettuali riformisti de Il Cairo. Fu pioniere del nascente

giornalismo algerino e fondatore della rivista “al-Shihāb” (“La Meteora”),

portavoce delle idee della Salafiyya e di posizioni nazionaliste moderate.

Scopo della pubblicazione era quello di combattere gli aspetti più deteriori della

religiosità popolare per ridare credibilità all’Islam davanti alle sfide del mondo

moderno. Il programma era ben sintetizzato dallo slogan: “L’Islam è la mia

religione, l’arabo è la mia lingua, l’Algeria è la mia patria”, e sin dal primo

editoriale si affermo una netta volontà di distinguere religione e politica. Solo la

religione difatti costituiva il fondamento capace di delineare la linea di condotta e

la forza morale per liberare le moderne società da ogni vizio, vizio da cui ogni

buon musulmano era chiamato a depurare la società. Dal punto di vista politico

importante era l’appello alla Francia per una maggiore emancipazione del governo

di Algeri, motivato da quegli stessi valori di libertà, fraternità e uguaglianza

diffusi dalla Rivoluzione francese. Non venivano messi in dubbio i vantaggi del

legame con Parigi, ma veniva sottolineata la sostanziale noncuranza francese per

la condizione morale ed intellettuale della popolazione locale. Il richiamo alla

cultura araba è ben presente ma con tono sostanzialmente moderato e l’augurio di

fondo è che i due popoli potessero pacificamente convivere.

Attorno a Bādīs si costituì nel 1931 l’Associazione degli ‘ulema’ algerini, che

raccolse gli spiriti più aperti dell’intellighenzia religiosa quali Bashīr al-Ibrāhīmi

(1889-1965), che si batté per la predicazione religiosa in moschee e madrase

libere dai condizionamenti istituzionali, e Mubārak Mīlī (1897-1945), apostolo del

Riformismo islamico nel sud del Paese, una zona ancora semifeudale dove il

discorso religioso era ancora appannaggio delle confraternite tradizionali.

Anche se dal punto di vista più strettamente dottrinale la corrente algerina è stata

meno audace di quella egiziana nel recupero di orientamenti teologici originali,

l’importanza del movimento fu enorme per la rinascita sociale e culturale del

Paese. 26

26 Cfr. P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p.78.

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24

Alcune voci significative di questo periodo esprimono meglio di altre il profondo

disagio e la drammaticità di un dibattito che non opponeva soltanto esponenti di

differenti orientamenti, ma lacerava al loro interno le stesse coscienze.

Emblematica a questo proposito la figura dell’intellettuale egiziano Salāma Mūsā

(1887-1958), che diede voce alle contraddizioni lasciate aperte dal processo di

apertura ai modelli occidentali, tanto entusiasticamente intrapreso quanto

rapidamente arenatosi su alcune grandi questioni di fondo:

“Sono trascorsi più di centotrenta anni (il riferimento è alla campagna di Bonaparte in

Egitto, ndr) e ancora ci troviamo nell’incertezza, non sappiamo se siamo orientali e

dobbiamo seguire la via dell’Asia o se invece siamo occidentali e dobbiamo unirci anima

e corpo all’Europa assumendone le usanze, adottandone l’abbigliamento, il cibo, gli stili

di governo, di vita familiare e sociale, i sistemi di produzione e di coltivazione”27

Molte istituzioni si erano già uniformate ai modelli occidentali, Mūsā notava però

come in questo processo precario il vecchio e il nuovo andassero accostandosi e

giustapponendosi, anziché unirsi in una sintesi armonica:

“Abbiamo un governo di stile europeo, ma vi sopravvivono entità orientali quali il

Ministero degli Awqāf (fondazioni pie) e i tribunali sciaraitici che frenano il processo del

paese. Abbiamo un’università che diffonde tra noi la cultura del mondo civilizzato, ma al

suo fianco al-Azhar propaga quella dei secoli oscuri.” 28

Mūsā è considerato tra i fondatori del socialismo egiziano, ha guidato la battaglia

in favore dello spirito scientifico e della teoria evoluzionistica, la lotta politica per

la democrazia e il socialismo, e un lavoro di critica letteraria, filologica e

religiosa. 29

La sua preoccupazione sulla mancata armonicità tra cultura orientale e modelli

occidentali fu una delle costanti del pensiero riformista. Già nel 1926 così si

27 SALĀMĀ MŪSĀ, al-Taraddud bayna al-Sahrq wa-l-Gharb (L’indecisione tra Oriente e Occidente), in al-Yawma wa-ghadan (Oggi e domani), riportato in A.A.V.V., Fî-l-qawmiyya al-‘arabiyya (Sul nazionalismo arabo), Beirut 1980, p.332, cit. in P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p.79. 28 Ivi, p. 333. 29 A.ABDEL-MALEK , La pensèe politique…op.cit., p.242.

Page 28: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

25

esprimeva in proposito Abd al-Razzāq Ahmad al-Sanhūrī (1895-1971), uno tra i

più eminenti uomini di diritto del mondo arabo contemporaneo:

“La diversità attualmente esistente in Egitto tra i differenti sistemi d’istruzione non può

certo contribuire all’unità nazionale. Il sistema religioso e quello laico sono

semplicemente giustapposti: il primo a sua volta segue tanto programmi tradizionali

(come ad al-Azhar) quanto procedimenti più moderni (come la scuola dei Cadi, o giudici,

o quella per insegnamenti di lingua araba, Dār al-‘Ulūm). Un sistema scolastico unificato

è indispensabile all’Egitto ancor più che alla Francia.”30

Dieci anni dopo anche Tāhā Husain (1889-1973) tornava sull’argomento,

sottolineando come proprio l’importanza fondamentale e il prestigio di al-Azhar

dovessero spingere la rinomata università islamica ad abbracciare anziché

respingere la modernità, affinché vi potesse essere comunicabilità tra uomini di

religione e popolo. 31

La coscienza di questa fase critica attraversata dal proprio Paese e dalla cultura

araba in generale indusse Salāma Mūsā a considerare necessaria una sorta di

scelta di campo, nella quale egli espresse chiaramente il proprio orientamento.

Dichiarava infatti: “noi non siamo affatto orientali” e riteneva che “definire

orientale l’Egitto è un errore madornale”, pensando che “l’attaccamento di

alcuni di noi per l’oriente è in realtà attaccamento per il passato”. 32

Diametralmente opposta la risposta su questo tema di al-Sanhūrī, promotore del

“panorientalismo”. Nel suo pensiero la religione musulmana ha per nascita una

dimensione globale che ne fa un elemento unificante necessario ma non

sufficiente: il panislamismo trova sul piano politico una sua insostituibile

espressione nel superamento dei confini nazionali: 33

30 ABD AL-RAZZÂQ AL-SANHOURY, Le califat, Geuthner, Paris 1926, pp. 342-343, cit. in P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p. 79. 31 TĀHĀ HUSAIN, Mustaqbal a-Thaqāfa fī Misr (Il futuro della cultura in Egitto), Il Cairo 1936, riportato in PAOLO MINGANTI, Taha Husein e l’insegnamento in el-Azhar, nel volume Taha Husein, Napoli 1964, pp. 82-83, cit. in P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., p. 79. 32 S.MŪSĀ, al-Taraddud…op.cit., pp.334-336. 33 Cfr. R.PEZZIMENTI, Il pensiero politico…op.cit., p. 35.

Page 29: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

26

“Il panislamismo ha una base religiosa e una base politica. Nel suo aspetto religioso

esso è sempre esistito, fin dalla nascita dell’Islam, mentre sul versante politico si colloca

tra le grandi espressioni del pensiero sociale moderno.

Da questo punto di vista si pone essenzialmente come una dottrina difensiva che trova

la sua ragion d’essere e la sua forza nelle presenti condizioni del mondo musulmano.

I sostenitori del panislamismo intendono usare la solidarietà religiosa come base per

una collaborazione politica tra tutti i popoli islamici che consenta loro di lavorare fianco a

fianco per la propria emancipazione e darsi un’organizzazione.

Si tratta ora di vedere che forma prenderà tale organizzazione: una confederazione

islamica? Un impero califfale? Bisogna prima liberare i paesi assoggettati dal dominio

straniero o si deve cominciare a riunire quelli già indipendenti? Le risposte ch’essi danno

a questi problemi sono ancora piuttosto imprecise. […]

È proprio tale imprecisione a conferire al panislamismo nello stesso tempo un carattere

minaccioso e una sorta di debolezza.

Non si può negare l’esistenza di una solidarietà islamica, che si è tra l’altro manifestata

ben prima della nascita dell’attuale movimento panislamico, ma, perché essa possa dare

qualche risultato concreto, non bisogna portarla fuori dal suo consueto campo d’azione.

Non bisogna chiedere troppo all’Islam.

Esso costituisce senz’altro un forte fattore di coesione, ma non può soffocare le altre

forze che agiscono nella società. […]

Si deve tener conto anzitutto di quel fattore tanto dinamico che è il nazionalismo

poiché, se venisse trascurato il suo legittimo ruolo, esso finirebbe per reagire con spinte

particolariste che si opporrebbero a qualsiasi movimento di carattere universalista.

Senza la base salda del nazionalismo non si può realizzare nulla di duraturo[…].

Facendo appello al panislamismo non si raccoglie il consenso che di qualche credente

sognatore, mentre l’Oriente intero risponde alla chiamata fatta in nome del nazionalismo.

L’idea di patria sta gradatamente prevalendo su ogni altra.[…]

Nazionalismo, panarabismo, panturanismo, hanno tutti bisogno di un orientamento

generale per poter collaborare. Senza tale coordinamento l’Oriente rischia di dilaniarsi in

gravi lotte intestine.

Page 30: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

27

Se l’elemento unificatore non può esser rappresentato dal panislamismo, è possibile

trovarne un altro? Noi siamo convinti di sì: si tratta del panorientalismo”.34

Queste interessanti riflessioni ci avvicinano a due tematiche di fondamentale

importanza e tra loro legate, ovvero i temi del nazionalismo (che nel mondo arabo

si manifesta al tempo stesso nella sua dimensione nazionale e sovranazionale) e

del Califfato, su cui torneremo in seguito.

Mūsā non era affatto l’unico intellettuale a collocare l’Egitto nella sfera

occidentale, l’idea di una specificità della Terra dei Faraoni era un tema comune a

molti nazionalisti, compreso lo stesso al-Sanhūrī, che, pur portavoce del

panorientalismo, riteneva questo Paese il “più adatto a costituire una nazione nel

senso occidentale del termine”.35

In quest’ottica la tesi più nota è forse quella del già citato Tāhā Husain, uno dei

personaggi più significativi della cultura araba del Novecento, sostenitore di

un’argomentazione più articolata e prudente nella quale predominavano

comunque l’eredità e la vocazione mediterranea della cultura egiziana. Nel già

citato “Mustaqbal al-thaqāfa fī Misr” (“L’avvenire della cultura in Egitto”), si

chiede se il suo Paese fosse culturalmente parte dell’oriente o dell’Occidente:

“La mentalità egiziana è orientale o europea, sul piano dell’immaginazione, della

percezione, del mondo di intendere e giudicare? In termini precisi: è più facile, per la

mentalità egiziana, comprende un cinese o un giapponese piuttosto che un francese o un

inglese? Quella è la questione che dobbiamo chiarire, prima di pensare alle basi su cui

dovremo edificare la nostra cultura e il nostro insegnamento.

Mi sembra che il modo migliore consista nel fare ritorno alla storia del pensiero

egiziano sin dai tempi più lontani e seguirne l’evoluzione sino ai nostri giorni. […]

Non mi pare che il collegamento tra gli antichi egizi e i paesi orientali abbia superato il

vicino oriente che noi chiamiamo Palestina, Siria e Iraq, ovvero l’oriente

mediterraneo.[…]

34 A.AL-SANHOURY, Le califat…op.cit., pp. 509-513. 35 Ivi, p. 342.

Page 31: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

28

Il senso di tutte queste indicazioni storiche è chiaro: la mentalità egiziana non ha

intrattenuto con l’estremo oriente dei rapporti importanti; non ha coesistito pacificamente

e beneficamente con la mentalità persiana, con cui i rapporti sono stati piuttosto di guerra

e inimicizia. […]” 36

Poiché la mente egiziana si è storicamente sviluppata in stretto contatto con le

civiltà mediterranee, l’Egitto appartiene in modo totale all’Occidente. La mente

egiziana ha conservato le sue caratteristiche originarie anche quando si è aperta

all’Islam. Di fatto, Islam e Cristianesimo condividono la medesima essenza e la

medesima fonte, così come il medesimo collegamento con il razionalismo

filosofico greco. La mente islamica consiste perciò di tre elementi: il razionalismo

greco, il pragmatismo romano e lo spirito religioso degli arabi. È quindi possibile

dire, secondo Husain, che l’ideale egiziano nella vita pratica coincide con l’ideale

europeo.

Tāhā Husain introdusse inoltre il metodo scientifico nell’analisi letteraria, e in

particolare nel suo “Fī’-shi’r al-j āhilī” (“Sulla poesia preislamica”) pubblicato

nel 1926 sosteneva che la poesia dell’epoca antecedente all’Islam e alla

predicazione maomettana, normalmente considerata la prima e più pura

espressione della lingua araba e dunque “classica” per eccellenza, fosse una

contraffazione più tarda:

“La stragrande maggioranza di quanto chiamiamo poesia preislamica non è per nulla

tale, ma una contraffazione che risale a dopo l’islam ed è quindi islamica in quanto

rappresenta la vita, le tendenze e le passioni dei musulmani molto più di quanto non

faccia per l’epoca precedente. […]

Non dobbiamo tanto basarci su questa poesia per commentare il Corano e interpretare i

detti del Profeta, ma piuttosto basarci sul Corano e sui hadīth per commentare e

interpretare questa poesia. Voglio cioè dire che questi componimenti poetici non

confermano né dimostrano nulla e non vanno adottati, come è stato fatto, come strumento

36 TAHA HUSAIN, Moustaqbal al-Thaqāfah fī Misr (Il futuro della cultura in Egitto), il Cairo, 1944 [ed. orig. 1936], pp. 13-21, cit. in A. ABDEL-MALEK , La pensèe…op.cit., pp.141-144.

Page 32: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

29

per affrontare i testi sacri. Sono artificiali e creati per convalidare quanto gli ‘ulemā’

volevano dimostrare”37

In tal modo venivano messi in discussione tanto la buona fede degli antichi dotti

quanto soprattutto il fondamento linguistico del Testo Sacro che anzi veniva, in un

certo senso, secolarizzato e piegato a metro di giudizio di fatti storici o letterari

profani. Tāhā Husain al tempo stesso rivendicava il proprio metodo innovativo

contro quello dei tradizionalisti, un metodo aperto al dubbio che non accetta

supinamente la tradizione mitizzata ma la sottopone a critica.

Tornando alla specificità egiziana, con la sua vocazione mediterranea, e alla

concezione che di essa hanno alcuni dei pensatori trattati, è evidente come gli

eventi storici che seguiranno ribalteranno le concezioni appena viste: la Filosofia

della Rivoluzione di Nasser farà dell’Egitto il cuore della compagine araba, quindi

di quella africana, e infine della comunità islamica internazionale.

I DISSIDENTI

Salāma Mūsā concepiva la religione come un fatto privato: “la religione oggi non

è più un fattore di aggregazione, ma un credo mediante il quale l’individuo si

lega all’universo. […] le religioni del futuro saranno un fatto individuale e non

collettivo” 38. In questa riflessione egli si avvicinava alle tesi di altri intellettuali,

anch’essi cristiani, di quel periodo, come gli “scientisti libanesi”, che avevano

espresso la loro adesione alle teorie evoluzioniste, entrando in conflitto col

proprio ambiente d’origine fino ad incorrere in un’aperta accusa di miscredenza,

benché non avessero contestato i dati della rivelazione, se non nelle

interpretazioni letterali che discordavano con le acquisizioni della scienza

moderna.

37 T. HUSAIN , Fī’-shi’r al-j āhilī (Sulla poesia preislamica), il Cairo 1926, 1-10, cit. in P. BRANCA, Voci dell’Islam…op.cit., pp. 171-178. 38 S.MŪSĀ, al-Taraddud…op.cit., p. 343.

Page 33: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

30

Un orientamento simile in campo islamico lo propone ancora la mentalità aperta

di Tāhā Husain, quando afferma che “la storia ha stabilito da molto tempo che

l’unità religiosa o di lingua non può costituire una valida base per l’unità

politica, né un fondamento per la costituzione degli Stati” 39 e più in generale

nella rimessa in discussione di concezioni tradizionali , tra cui lo stretto legame

religione-politica, e conseguentemente delle istituzioni musulmane classiche che

su di esse si fondavano: prima fra tutti il Califfato.

L’istituzione del califfato è al centro dell’interesse di ‘Alī ‘Abd al-Rāziq (1888-

1966) e della sua opera del 1925 destinata a suscitare grande scalpore: “al-Islām

wa usūl al-hukm” (“L’Islam e le basi del potere”), nel quale è sostenuta la

necessità di introdurre una netta distinzione tra religione e politica poiché,

secondo l’autore, la conduzione tra i due campi è stata voluta dai detentori del

potere soltanto in funzione dei loro propri interessi. Nel Corano e

nell’insegnamento del Profeta non vi sarebbero infatti elementi sufficienti per

sostenere che l’Islam porti necessariamente con se’ una determinata

organizzazione della società con una specifica forma di potere:

“Cerchi il lettore nel Corano un indizio esplicito o implicito di quel carattere politico

della religione islamica che costoro vorrebbero erigere a dogma. Si sforzi quanto è

possibile di trovare tali indizi tra i hadīt del Profeta. Sono queste le fonti genuine della

religione, a portata di mano, cui attingere. Cerchi dunque di trarne una prova o una

parvenza di prova; non troverà nessun argomento serio, ma solo materia di congetture”40

Il Califfo si sarebbe quindi arrogato indebitamente il carattere di governo islamico

per eccellenza e lo studio degli avvenimento storici dimostrerebbe al contrario

quanto gli effetti negativi derivati da tale istituzioni abbiano influito sul destino

della Comunità dei credenti.

39 T.HUSAIN, Les egiptiens sont des arabes, in ANOUAR ABDEL-MALEK , Anthologie de la littérature arabe contemporaine, Seuil, Paris 1964, p. 127. 40 ALI ‘ABD AL-RAZIQ, L’Islam e le basi del potere, (a cura di) E.PANETTA, in “Studi politici”, II serie, V, 1925, n.4, p. 391, cit. in, P.BRANCA, Voci dell’islam…op.cit., p. 168.

Page 34: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

31

Se si tiene conto che il mondo musulmano era ancora sotto choc per la recente

dissoluzione dell’Impero ottomano e per la soppressione del Califfato ad opera del

presidente turco Mustafa Kemal, avvenuta solo un anno prima, non stupirà che il

carattere rivoluzionario delle tesi avanzate abbia portato ad un aspro dibattito nel

corso del quale l’opera di al-Razīq ottenne, accanto ad autorevoli consensi come

quello espresso da Tāhā Husain, anche e soprattutto violente critiche. L’autore

verrà privato del titolo di shayk , ottenuto al termine degli studi nell’Università di

al-Azhar, e successivamente sarà destituito anche dalla carica di giudice.

Una volta spentasi la polemica e dopo una serie di soggiorni all’estero, ‘Alī ‘Abd

al-Rāziq farà riorno in Egitto dove ricoprirà ancora cariche di prestigio e non

perderà occasione per difendere le proprie idee ricollegandole con quelle di

Muhammad ‘Abduh.

Ancora non si erano placate le polemiche sorte attorno al libro di al-Raziq che

l’anno successivo verrà diffuso il già citato saggio di Tāhā Husain “Sulla poesia

preislamica”, nel quale l’autore mette in dubbio l’autenticità di gran parte del

patrimonio poetico tradizionalmente attribuito ad autori arabi antichi precedenti

alla nascita dell’Islam. Il carattere forse troppo drastico delle critiche mossa da

Husain verso il patrimonio letterario tradizionale e la violenta reazione degli

ambienti conservatori contribuirono a rendere la polemica incandescente.

Anche sul piano della storia religiosa dell’Islam e in particolare relativamente alla

riabilitazione del mu’tazilismo, antica scuola teologica di stampo “razionalista”

furono anni di prese di posizione. Già nel 1912 Jamāl al-Dīn al-Qāsimī (1866-

1914) di Damasco, discepolo di Muhammad ‘Abduh, aveva pubblicato un breve

studio che affrontava esplicitamente le tesi dell’antica scuola teologica in uno

spirito ben diverso da quello di condanna tradizionalmente seguito. Più importante

però in questo senso fu l’opera dell’egiziano Sahmad Amīn (1886-1954) , che

facendo tesoro dei contributi dell’orientalismo europeo redasse una storia del

pensiero islamico in cui si occupò diffusamente della dottrina mu’tazilita. Pur

senza ignorare i rischi insiti nel voler limitare la realtà divina alla logica umana

Page 35: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

32

l’autore considerò favorevolmente gli sforzi mu’taziliti e sottolineò a più riprese

le analogie tra la loro epoca e quella attualmente vissuta nei paesi islamici.

In questa fase di profonda introspezione critica della cultura araba non sono

mancate posizioni ancora più drastiche nei riguardi della religione, ma in questo

caso non si può più parlare di riformismo musulmano, bensì di vero e proprio

distacco dalla fede islamica. Si può segnalare per completezza d’informazione il

siriano Sādiq Jalāl al-‘Azm, il quale non cercò, come gli intellettuali

precedentemente citati, di ricomporre la frattura tra scienza e fede ma,

sviluppando le premesse razionaliste del suo pensiero, giunse al rifiuto delle

religioni in generale.

Quel che si può osservare rispetto a questa fase del pensiero riformista è come,

pur con tutti i suoi limiti, essa sia stato comunque importante nel proporre un

approccio critico rispetto alla tradizione. I suoi fautori sostengono che non sia

possibile imitare il comportamento degli autori antichi. Costoro hanno vissuto in

armonia con la loro epoca, hanno praticato l’ijtihād (libera riflessione), fondato

delle scienze, dato vita ad una civiltà, un pensiero, una filosofia. Sono loro che

hanno tramandato quel che i contemporanei chiamavano proprio patrimonio

culturale. E questo patrimonio continuava a svolgere un ruolo nella formazione

della coscienza e ad influenzare i comportamenti in un modo o nell’altro. Una

simile eredità non poteva essere né ignorata né fatta propria così com’era,

acriticamente. Andava riformulata, depurata da quel che non era consono

all’epoca contemporanea, conservandone gli aspetti positivi ma adattandoli ai

tempi attraverso un linguaggio nuovo. Un’operazione necessaria se si voleva

uscire dalla crisi in cui versava il mondo arabo. Occorreva essere al tempo stesso

autentici e moderni, occorreva saper gettare un ponte tra ciò che si era ereditato e

ciò che invece si era preso a prestito.41

Tuttavia, riflette il teologo egiziano Nasr Hamid Abu Zayd, cui appartiene

quest’ultima, lucida, riflessione, tale orientamento è stato seguito solo

parzialmente e senza la necessaria coerenza e il dovuto coraggio, e i risultati della 41 NASR HAMID ABU ZAYD , Islam e storia: critica del discorso religioso, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 20.

Page 36: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

33

Nahda e di tanti pensatori illuminati sono rimasti circoscritti ad un ambito

ristretto, lasciando campo libero al dominio di un discorso religioso tirannico.

L’autore individua le cause di questa involuzione nel carattere fondamentalmente

sincretico dei progetti della Nahda, dovuto alla debolezza delle classi medie (che

costituivano i portavoce di questo movimento) e alla loro mancanza di autonomia

socioeconomica e, di conseguenza, politica. Il discorso di questa frangia

intellettuale è rimasto esso stesso in qualche modo prigioniero delle polemiche

ingaggiate con gli avversari salafiti, senza mai giungere ad una reale apertura di

nuovi orizzonti. Questa generazione di riformisti ha senza dubbio posto le basi di

un dialogo con il patrimonio tradizionale inteso come soggetto in evoluzione, ma

tutto ciò non è bastato a fondare un’autentica coscienza scientifica e storica,

perché è mancato il coraggio di condurre la battaglia sino in fondo e consumare

una rottura definitiva con il pensiero salafita, rimanendo così prigionieri di una

concezione antistorica dei testi religiosi. Involuzioni ,queste, attestate per altro da

alcuni clamorosi ripensamenti, come quello dell’egiziano Khālid Muhammad

Khālid (1920-1996) che ,da critico del tradizionalismo, diverrà, trent’anni dopo e

deluso dalla mancata realizzazione delle aspirazioni di governi di vario

orientamento, un promotore della saldatura tra religione e Stato come unica via

possibile.

I RESTAURATORI

Le opere di rottura appena citate esprimevano certamente un malessere, ma nuove

esigenze andavano trasferendo l’attenzione e focalizzando i conflitti su campi

diversi. L’erede di questa impostazione “laica” fu di quella parte del nazionalismo

destinato a prolungarsi, non senza travagli, nella nascita del socialismo arabo,

mentre il pensiero religioso si mostrava incline a sviluppare in un’altra direzione

le medesime premesse.

Proprio in questo periodo prendeva difatti corpo una corrente, anch’essa a suo

modo riformista, ma orientata in un senso diverso e talora opposto a quello fin qui

Page 37: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

34

delineato, che allo stesso tempo riprendeva antiche correnti del pensiero islamico

e che rappresenta l’ultima fase del problematico rapporto tra due civiltà venute a

più stretto e diretto contatto.

“Quando due culture si incontrano, la cultura vincente impone i suoi concetti, valori,

archetipi e caratteristiche alla cultura vinta, il cui ruolo è, in quel momento, passivo, cioè

di acconsentimento: essa si lascia prendere dalla apparente di forza e di novità della

cultura vittoriosa, mentre ne ignora i tratti specifici e la verità, e non valuta né le

influenze che quella avrà su di se’ né il posto che occuperà. Questo è ciò che è avvenuto,

storicamente, al momento dell’espansione europea, durante i quattro secoli trascorsi,

quando i modi di governo, i metodi di produzione e l’arte militare europea si diffusero

negli altri continenti. A questa succede una seconda fase, nella vita delle culture vinte,

una fase positiva, in cui queste culture si rivolgono verso le mode culturali e ne adottano

le apparenze, pensando che questi modi costituiscano la fonte della loro potenza, che la

loro adozione permetterà alle culture vinte di pervenire ed eguagliare le culture vittoriose,

così che esse potranno ormai scuoterne il giogo.[…] Una terza fase dell’illusione

culturale comincia subito dopo questa seconda fase, cioè quella dell’”età dell’oro” o del

ritorno al passato, dell’orgoglio nazionale delle società in via di sviluppo”.42

Questa osservazione sociologica di al-Din Saber ben delinea l’evoluzione del

Riformismo. Capofila di quest’ultimo orientamento fu, come anticipato, Rashid

Ridâ, col quale la componente apologetica divenne preponderante nel quadro di

un confronto con l’Occidente che, tanto dal punto i vista politico quanto da quello

culturale, andava assumendo toni sempre più aspri.

Le interpretazioni sugli scritti di Rashīd Ridâ da parte degli studiosi

contemporanei non sono sempre concordi. Si è soliti considerare il pensatore

siriano emigrato in Egitto come il discepolo prediletto di ‘Abduh e continuatore

del riformismo ortodosso dei primi salafiti 43; mentre più recentemente si è

sottolineato come Ridâ avesse “strumentalizzato” a proprio favore il nome del

42

MOHI AL-DIN SABER, Specificità nazionale e universalità, in A.ABDEL-MALEK , Anthologie…op. cit., pp. 156-157. 43 HENRI LAOUST, Le Rèformisme Orthodoxe des “Salafiya”et le caratères généraux de son orientation actuelle, in Pluralismes dans l’Islam, Geuthner, Parigi 1983, pp. 386-434, cit. in M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p.87.

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35

maestro e avesse in fondo impresso al razionalismo del predecessore un’impronta

più conservatrice d integralista.44 Secondo Campanini ciò è però vero solo in

parte: certamente Ridâ fu meno aperto alle novità della modernità rispetto al

maestro e altrettanto sicuramente il salfismo successivo, soprattutto dei Fratelli

Musulmani, è più debitore a lui che non ad ‘Abduh. Ma questo non toglie che

alcune iniziative di Ridâ vadano nella direzione di un’islamizzazione della

modernità assolutamente consapevole e non angusta. Egli insistette sul carattere

essenzialmente pratico dell’attività riformistica, e a questo fine il Corano doveva

offrire gli strumenti teorici fondamentali. Insistette anche sull’aspetto apologetico

della difesa della religione per proteggerla da accuse di oscurantismo, e in ciò il

suo intento non era distante da quello di ‘Abduh, anche se più marcatamente

difensivo.

Altrettanto apologetica du la posizione assunta da Ridâ nell’animato dibattito sul

Califfato che si aprì in Egitto negli anni Venti dopo la radicale decisione di

Atatürk. Ridâ fu tra coloro che levarono gli scudi in favore dell’antica istituzione

e nel 1922 compose un libro, “Il califfato o imamato supremo”, proprio per

richiederne il ripristino. Da molti punti di vista si tratta di un’opinione tradizionale

e legata alle fonti classiche della dottrina, come l’opera del teologo medievale al-

Māwārdi; ma da altri punti di vista è assolutamente originale. Ridâ sottolinea il

rapporto tra il Califfato e la Umma, la Comunità, la cui unicità corrisponde

secondo lui all’unità dell’imamato supremo e la fondazione di un Califfato

legittimo dove ispirarsi all’obiettivo dell’unificazione. Il sovrano è dunque non

tanto un individuo specifico, quanto un principio di unità ed organizzazione: in

questo modo il concetto astratto di sovranità si affianca al riconoscimento

tradizionale del Califfato, riservato ai discendenti della tribù del Profeta, i

Quraysh. L’elezione del Califfo spetta ai dotti in scienze religiose, coloro che

hanno il potere di “sciogliere e legare”, come da espressone tradizionale. Ridâ

individua però questo potere, ed è questo l’aspetto interessante, nei rappresentanti

del popolo, nelle istituzioni parlamentari di tipo moderno. Il popolo è dunque la

fonte di sovranità, e Ridâ si spinge a richiedere la costituzione di un Partito

islamico progressista che sia, ad un tempo, islamico e popolare. Secondo 44 HMIDA ENNAIFER, Les commentaires coraniques contemporains. Analyse de leur methodologie, PISAI, Roma 1998, pp.31-39, cit. in M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p. 87.

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36

Campanini l’opera di Ridâ è dunque meno conservatrice di quanto sostengano

altri studiosi almeno su determinate tematiche.45

Quale che sia il giudizio sull’opera di Ridâ è innegabile che nel dibattito culturale

del mondo arabo il momento più ricettivo del riformismo fosse ormai superato e

gli sguardi si rivolgevano ormai alla gloria perduta dei secoli passati. Il tema del

ritorno alle origini e dell’eliminazione delle influenze esterne che avrebbero

alterato la primitiva purezza dell’Islam era determinato da una volontà di

affermazione della propria originalità e indipendenza culturale come forma di

resistenza all’aggressione occidentale.

La scuola della Salafiyya si in quest’ottica apologetica alla ricerca di “soluzioni

islamiche” per i grandi problemi che emergevano sul piano politico e sociale.

Così, in modo ambiguo se non contradditorio, la Salafiyya rappresentò il punto di

maturazione delle premesse poste dai riformisti del periodo precedente e la

dilatazione della coscienza critica della propria condizione in più ampi strati della

società araba, ma contemporaneamente costituì anche il momento in cui le spinte

di trasformazione subirono un profondo mutamento di rotta.

Quindi, nonostante il ruolo giocato dai modelli occidentali, specialmente nella

fase della lotta per l’indipendenza nazionale e dell’edificazione degli stati sorti

con la fine del colonialismo, si è avuta in seguito una sorta di crisi di rigetto, che

perdura tutt’ora: una dipendenza mal sopportata ha condotto alla crisi della fase

ricettiva nella quale si erano accolti in forma entusiastica e spesso acritica molti

stimoli proveniente dall’Occidente. In questo clima si determinarono le condizioni

per la formazione dei movimenti islamici radicali, a partire da quello dei Fratelli

Musulmani, nato in Egitto nel 1928 e destinato a raccogliere ampi consensi e un

vasto seguito. La formula è appunto quella che ripropone la concezione islamica

tradizionale nelle sue forme canoniche: quella globalità, quella stretta connessione

tra religioso e politico, spirituale e temporale, che avrebbe caratterizzato l’Islam

45 Cfr. M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto….op.cit., pp.87-89.

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37

sin dalle sue origini; il permanente valore normativo della tradizione in ogni

settore della vita e della cultura; l’idea di riforma come costante aspirazione a

ripristinare gli antichi insegnamenti nella loro forma originale.

Si trattava di un modo per rispondere allo stato di arretratezza, indebolimento e

subalternità che veniva avvertito come scandaloso e non più sopportabile. Da

questo stato d’animo i Fratelli derivavano contenuti ed enfasi di un programma di

recupero della propria irriducibile originalità, in contrapposizione a quella che è

vista come una aggressione esterna. Soltanto il Libro e la tradizione del Profeta

tracciano la strada da percorrere come regola di vita perché la Comunità non cada

nell’errore, occorre perciò che le leggi islamiche della comunità attingano alla

fonte pura. Inoltre, essi credono che l’Islam in quanto religione universale

abbracci tutti gli aspetti della vita, per ogni popolo e comunità, in ogni epoca e

periodo storico: l’Islam è così completo e vasto da non poter essere esposto alla

frammentarietà di questa vita. Si trattava in buona sostanza di una proposta a suo

modo riformista e onnicomprensiva, che, benché nata con intenti moralizzatori,

implicava una vocazione anche politica, che farà dei Fratelli un vero e proprio

partito. Inoltre, come vedremo, la prassi quotidiana, l’attività propagandistica e

quella assistenziale, convoglieranno il pensiero dell’Associazione facendo breccia

in larghi ed eterogenei strati di popolazione, ben al di là di quanto potesse fare

l’attitudine speculativa degli intellettuali riformisti.

L’ideologia dei Fratelli, ma anche di molti altri movimenti islamici più o meno

radicali, ha incontrato una crescente fortuna grazie alla crisi delle ideologie

importate dall’Occidente (siano esse di marca capitalista o socialista), dimostratesi

incapaci di apportare un vero progresso e anzi viste come matrice di dilanianti

divisioni sociali. L’avanguardia politica islamista giunse così a dominare se non a

monopolizzare il campo delle forze di opposizione alle spesso corrotte e invise al

popolo classi dirigenti al potere, che vedevano il loro prestigio compromesso

dagli insuccessi sul piano internazionale e dalla mancata realizzazione dello

sviluppo interno dei Paesi che governavano.

Page 41: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

38

La frustrazione derivante dalla delusione dopo le indipendenze e il fallimento dei

tentativi dei movimenti patriottici, nazionalisti e socialisti che prendevano in

prestito dall’Occidente forme e modelli capitalisti e socialisti, rafforzava l’idea

della necessità di cercare una via propria, non mutuata da modelli esterni, che

dapprima liberasse l’Islam e la società islamica dalle contaminazioni per poi

guardare al nemico “esterno”. Convinzione ulteriormente rafforzata dopo le

esperienze dittatoriali nate dal nuovo contesto d’indipendenza formale.

Questa è la traiettoria che, dal punto di vista più strettamente culturale ed

ideologico, ha condotto all’attuale situazione. Se da un lato è innegabile che il

dibattito e il confronto in atto siano pesantemente condizionati da fattori storico-

politici, si può constatare altresì come alcune questioni di fondo e di grande

rilievo si ripropongano al pensiero religioso, come il problema, cruciale,

dell’interpretazione del testo rivelato.

Non si deve però credere che l’ideologia del radicalismo islamico sia dominata da

una rozza interpretazione letterale delle fonti e dalla mera tensione ad applicare

acriticamente quanto fissato dalla tradizione. Un intento “riformista” muove i suoi

sostenitori, benché il senso del rinnovamento da essi proposto sia spesso da

intendere essenzialmente come purificazione e ripristino del modello islamico

originario. All’interno di quest’ultimo però essi stessi operano talvolta delle

interessanti distinzioni, ad esempio tra quel che è prescrittivo, essendo relativo

alla parola di Dio tramite Maometto, e quanto è invece parte della storia e legato

alle prime pie interpretazioni del messaggio. Secondo Paolo Branca la

contestazione della validità di quelle parti della tradizione legate all’autorità

umana non è sostanzialmente diversa dalla critica al taqlīd (“spirito di

imitazione”) di al-Afghānī o di ‘Abduh, anche se proprio per questo porta in se’ il

rischio di attribuire ogni fallimento alla cattiva interpretazione o applicazione da

parte dell’uomo di un modello coranico in se’ perfetto e immutabile.46

46 Cfr. P.BRANCA, Moschee inquiete…op.cit., pp. 96-97.

Page 42: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

39

Diverso e più profondo invece il problema cruciale dal rapporto tra assoluto e

storia nella rivelazione, ovvero la distinzione tra principi permanenti e

concretizzazioni provvisorie figlie del contesto in cui il Corano ha trovato forma.

Il pensiero islamico moderno si è in questo senso posto il problema di un’esegesi

del Testo Sacro che rispondesse a nuovi criteri. Si può sicuramente ricordare in

quest’ottica il commentario coranico pubblicato sulla rivista “al-Manār” sulla

base di alcune lezioni tenute da ‘Abduh e completato dal discepolo Rīdā, che

rivalutava il ruolo della ragione per un’adesione alla fede non di sola abitudine ma

pienamente consapevole. Pur non fornendo una risposta chiara ed univoca al

binomio ragione-rivelazione offre un contributo sul piano morale nella critica agli

atteggiamenti fatalisti e deresponsabilizzanti di piena accettazione delle

disposizioni giuridiche tradizionali che affliggeva i musulmani dell’epoca. Il

filone della cosiddetta esegesi “scientifica” ebbe uno sviluppo autonomo, dando

vita ad una ricca letteratura apologetica mirata a risolvere la controversia fede-

ragione, attraverso un ingenuo parallelo tra religione e scienza (alcuni autori

cercarono di intravedere nel Testo Sacro la prefigurazione di moderne scoperte ed

invenzioni); ma non mancano anche interessanti tentativi di introdurre

nell’esegesi del Corano moderni criteri storico-critici, tra cui si può ricordare la

presa di posizione, invero vittima di non poche critiche, dell’egiziano Muhammad

Ahmad Khalf Allāh, che nel 1947 riconobbe che le scelte stilistiche e di contenuto

del Corano come di qualsiasi altro libro seguivano le regole della comunicazione

tra narratore ed uditori, e non erano quindi sollevate da relativizzazioni storiche.

Non mancano nemmeno letture più interiorizzate, meditative e contemplative del

Testo Sacro, come quella proposta da Kamel Hussein (1901-1977) o vicine

all’antropologia (Muhammad Arkoun).

Per quel che riguarda più da vicino questa tesi la rilettura più interessante della

parola di Allah è quella in chiave socio-politica. Sayyd Qutb, figura chiave del

movimento dei Fratelli Musulmani a partire dagli anni Cinquanta, ne darà una

lettura “rivoluzionaria” nel suo commentario coranico, proponendo l’Islam come

sistema olistico fondato sull’esclusiva legittimità dell’autorità divina e quindi

radicalmente alternativo ad ogni altro.

Page 43: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

40

E’ questa la visione dei Fratelli Musulmani e dei movimenti islamici radicali che

ad essi si ispireranno.

Page 44: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

41

LA SOCIETA’ DEI FRATELLI MUSULMANI

A noi l’azione, a Dio il successo…

Noi siamo dei fratelli a servizio dell’Islam,

noi siamo i Fratelli Musulmani.

HASAN AL-BANNA’

Nell’ottica di un’analisi dei movimenti islamisti l’attenzione è caduta sui Fratelli

Musulmani non solo in quanto più antico e numeroso movimento islamista

contemporaneo, ma anche perché essi rappresentano un modello paradigmatico di

quella galassia di partiti, movimenti, associazioni che ad essi si ispirano nella loro

lotta all’islamizzazione della società, per riferimento ideologico ed organizzativo.

In questo senso, l’Associazione fondata nel 1928 è divenuta un modello di

militanza islamica moderna che ha avuto molti imitatori nel mondo arabo

musulmano contemporaneo a partire dagli anni Settanta. Inoltre, essa ha avuto fin

dall’inizio aperte pretese di internazionalità, e con il procedere degli anni si è

rapidamente diffusa in svariati paesi arabi ed in particolare in Siria, in Giordania e

nei territori palestinesi, anche se l’Egitto è rimasto il contesto centrale della sua

attività.

Rimandando al capitolo successivo il compito di allargare la panoramica al

mondo arabo e in particolare ai casi di studio del Maghreb e della Giordania,

scelti per le particolari realtà sociopolitiche che li contraddistinguono, si cercherà

qui di riassumere la storia dell’Associazione, nella sua organizzazione ed

evoluzione, sottolineandone l’ondivago rapporto col potere nel susseguirsi dei

regimi egiziani, e prestando particolare attenzione agli aspetti dottrinali e alle due

figure chiave che a decenni dalla morte ancora influenzano le anime del

movimento: i teorici Hasan Al-Banna’ e Saydd Qutb.

Page 45: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

42

L’EGITTO DEGLI ANNI ’30 TRA MODERNITA’ E ISLAMISMO

E’ il marzo 1928 quando Hasan al-Banna’ inaugura a Ismailiyaa, sul canale di

Suez, la prima cellula dei Fratelli Musulmani (Jama’a al-Ikhwan al-Muslimin),

facendosi interprete del malessere che pervadeva la società egiziana di fronte

all’occupazione inglese, ma anche di quella volontà di rinascita dei popoli arabi di

cui si è detto nel precedente capitolo e che nella vivacità culturale di un Egitto in

fermento trovava terreno fertile sotto forma di associazionismo religioso.

La nascita della Jama’a al-Ikhwan al-Muslimin si colloca in un periodo in cui il

processo di modernizzazione e di secolarizzazione dello stato egiziano si era

esteso a tutti i compartimenti del politico, accelerata dalla rivoluzione del 1919.

L’affermazione del sentimento nazionalista passava infatti per l’accettazione di un

percorso riformatore che lo stesso Stato egiziano avrebbe intrapreso a partire da

questa data: la proclamazione unilaterale di indipendenza concessa dai britannici

nel 1922 , la Costituzione della nuova monarchia di Re Fu’ad e le successive

elezioni, trasferivano nel processo politico egiziano modelli occidentali , in una

realtà in cui l’influsso dell’Occidente a tutti i livelli era ben lungi da essere messo

in discussione. 47 Il linguaggio stesso del politico in Egitto aveva assunto

ineluttabilmente il modello secolare occidentale, ma i partiti di recente

formazione erano minati nelle fondamenta dalla morsa da un lato della monarchia

dall’altro dei britannici, che ne limitavano fortemente l’azione. I dissidi interni e

l’inesperienza completavano un quadro che vede così la parcellizzazione della

rappresentanza politica una volta venuto meno il grande obiettivo

dell’indipendenza.

Si può dire che il panorama politico fosse diviso tra debole monarchia, Inglesi e

partiti, comprendenti nazionalisti, filomonarchici, i Fratelli Musulmani, gli

‘ulamā’ , nonché il piccolo partito comunista. Erano ancora ben presenti i fermenti

che l’epoca della Nahda, il Rinascimento islamico, fra la fine del XIX e l’inizio

47 Cfr. MASSIMO CAMPANINI, Storia dell’Egitto Contemporaneo. Dalla rinascita ottocentesca a Mubarak, pp. 67-81, Edizioni Lavoro, Roma 2005.

Page 46: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

43

del XX aveva diffuso, soprattutto attraverso il pensiero dei suoi tre grandi

protagonisti, Jamal al-Din al-Afghani, Muhammad ‘Abdu e, più tardi, Rashid

Rida, erede e nuovo interprete della Nahda e fondatore della corrente Salafiyya

che propugnando un ritorno ai pii antenati per recuperare l’identità islamica può

essere vista come precorritrice della Fratellanza Musulmana. Il cosiddetto

modernismo islamico rappresentato dalla Nahda si era andato via via

compenetrando con il nascente nazionalismo egiziano, incarnato in personaggi

come Mustafa Kamil (1874-1908), Lufti al-Sayyd (1872-1963) e Sa’ad Zaghlul

(1860-1928). I partiti politici, che si erano costituiti formalmente nel 1907, si

rinforzarono con la prima guerra mondiale e la dichiarazione del protettorato

britannico, ma il forte sentimento nazionalista emerse soprattutto con l’episodio

della delegazione guidata da Aa’ad Zaghlul, la delegazione (Wafd) di nazionalisti

che illustrarono alla conferenza di pace di Parigi nel 1919 le aspirazioni

indipendentistiche dell’Egitto. Il Wafd si trasformò poi in un vero e proprio

partito che richiedeva la piena indipendenza, protagonista della politica egiziana

per molto tempo.

Gli anni Trenta dunque, furono caratterizzati in Egitto da un precario gioco di

equilibrio, con la monarchia succube della Gran Bretagna in opposizione al partito

Wafd, il quale però regolarmente vinceva le elezioni e poi veniva estromesso, fino

alle successive elezioni nelle quali nuovamente prevaleva. 48 Solo nel 1942,

quando il re Faruq si avvicinò troppo agli interessi italiani e tedeschi, gli inglesi

voltarono pagina, avvicinandosi al Wafd per rovesciare la monarchia. In tutto ciò

si inserisce la complessa vicenda del Trattato anglo-egiziano del 1936, che

concedeva formalmente una parvenza d’indipendenza all’Egitto, con le forze

inglesi che rimanevano stanziate però nella zona del Canale di Suez, sotto la

parvenza di un’alleanza militare tra i due Paesi. In quel decennio le condizioni

economiche della popolazione peggiorarono notevolmente, a causa della crescita

demografica troppo rapida e del declino dei mercati mondiali del cotone, sulla cui

esportazione si basava gran parte dell’economia nazionale egiziana. Solo una

48 PATRIZIA MANDUCHI , Questo mondo non è un luogo per ricompense. Vita e opere di Sayyd Qutb, martire dei Fratelli Musulmani, Aracne, Roma 2009, p. 41.

Page 47: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

44

piccola parte della popolazione (urbanizzata e modernizzata) traeva beneficio dal

progresso economico che toccava alcuni settori, come i beni di consumo o lo

sviluppo bancario. Nel complesso il tenore di vita della popolazione, in particolare

l’enorme massa di contadini poveri, non era dissimile da quello della seconda

metà del XIX secolo49.

Il dibattito intellettuale comincia ad essere sempre più dominato dal tema del

recupero dell’identità culturale oltre che politica, e in esso un posto di grande

rilievo occupa la tradizione islamica. Il dibattito è aspro, con nomi di grande

prestigio che si contendono il campo, in difesa o del modello di sviluppo

occidentale o del recupero della tradizione islamica e orientale. L’islam comincia

ad essere enfatizzato come la soluzione più adatta a superare la grave crisi in cui

versava il Paese e a fornire gli strumenti per la rinascita di un Egitto veramente

indipendente.

Ma l’Islam era in questo quadro era ancora ai margini della gestione diretta del

politico, il suo rapporto con esso era indiretto e seguiva due direzioni: da un lato,

quell’elaborazione teorica poliedrica e caratterizzata dalla vibrante critica

dell’establishment religioso che rimane però elitaria e fortemente osteggiata dal

“clero” tradizionale50; dall’altro, la diffusione di un brulicare di associazioni

caritatevoli di carattere religioso. 51 Queste associazioni portavano avanti

un’attività di predicazione e assistenza a sostegno alle classi meno agiate, e tra

esse a distinguersi furono proprio quelle che, pur rifiutando ufficialmente legami

col politico, traevano importanti benefici da partiti o personalità ad esso legate.52

Queste associazioni, occorre però notare, non contestavano il linguaggio e le

pratiche secolari importate dall’Occidente, e lasciando ai partiti qualsiasi

iniziativa nel campo politico, ne legittimavano l’azione e la natura stessa. La più 49 Cfr. P. MANDUCHI, Questo mondo…op.cit., pp. 39-42 50 Per uno sguardo sul dibattito culturale: ALBERT HOURANI, Arabic Thought in the Liberal Age, 1798-1939, Cambridge University Press, New York 1983 [ed.orig. Oxford University Press, 1962]. 51 JAMES HEIWORTH-DUNNE, Religious and Political Trends in Modern Egypt, author, Washington 1950, pp. 89-91, cit. in ANTHONY SANTILLI , I Fratelli Musulmani d’Egitto: frammenti di un progetto egemonico, p.5, in (a cura di) MASSIMO CAMPANINI, KARIM MEZRAN , I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, UTET, Torino 2010. 52 A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani …op.cit., p.5.

Page 48: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

45

importante di queste associazioni era la Società dei Giovani Musulmani (Jāmi’a

al-shubbān al-muslimīn). Parallelamente, si era rinfocolata l’ostilità verso i

missionari cristiani e alcune istituzioni religiose dirette da occidentali furono

accusate, a torto o a ragione, di voler strappare i giovani musulmani alla fede dei

loro avi e di indurli all’apostasia. I sospetti colpirono anche gli autoctoni copti e

nel 1937 lo stesso capo del Wafd, Mustafà al-Nahhās, fu accusato di “coptismo”,

cioè di cedimento agli influssi cristiani nel suo partito e nei suoi governi.53

Va sottolineato come non fosse solo il mondo cristiano occidentale a mettere a

repentaglio l’unità islamica in quegli anni. Questa aveva difatti subito un duro

colpo dalla caduta del califfato, sostituito dalla repubblica nazionalista di Ataturk

nel 1924. L’abolizione del califfato, che simboleggiava l’unità dei credenti

musulmani, genererà enorme smarrimento (nonostante le dure critiche rivolte in

passato ai turchi, accusati di aver ridotto l’islam ad una tradizione sclerotizzata) e

scatenerà un dibattito sulla sua funzione e natura che proprio in Egitto troverà le

disquisizioni più alte, per voce di pensatori come il già citato Rashīd Rida, ‘Abd

al Rāziq, al-Sanhūrī, che giunsero a posizioni molto diverse a riguardo.

La fondazione dei Fratelli Musulmani rappresenta una delle reazioni a questo

smarrimento. L’Associazione, infatti, incarna la dimensione politica dell’islam,

sostituendosi al califfato scomparso, cui sarebbe spettato tale compito. Ai partiti

nazionalisti egiziani dell’epoca, che reclamavano l’indipendenza, la partenza

dell’occupante inglese e una Costituzione democratica, i Fratelli opponevano uno

slogan che è rimasto assai in voga nella corrente islamista: “La nostra

Costituzione è il Corano”. Il che voleva dire, secondo un’altra formulazione, che

“l’Islam è un sistema completo e totale”, e che non c’era alcun bisogno di andare

a cercare in valori esogeni, occidentali, la base dell’ordine sociale, perché tutto era

già contenuto nel Libro. Tutti i movimenti islamisti, di qualsiasi tendenza essi

siano, fanno propria questa dottrina: la soluzione ai problemi politici dei

musulmani consiste nell’instaurazione di uno “Stato islamico“ che applichi la

shari’a come doveva fare per tradizione il califfo.

53 M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p.91.

Page 49: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

46

HASAN AL-BANNA E LA FONDAZIONE DEI FRATELLI MUSULMA NI 54

Hasan al-Banna’ nasce a Mahmudiyya, vicino Alessandria, nel 1906. Figlio di un

diplomato all’università islamica di al-Azhār nonché autore di alcuni libri sulla

giurisprudenza islamica e sugli hadīt, insegnante religioso ed imām della locale

moschea, Hasan mostrò sin da giovane età una religiosità fervente unita a quelle

doti di organizzatore ed oratore che ne faranno il leader del movimento. Per

vent’anni fu membro della tarīqa (“confraternita”) degli Hasafiyya, nonché , sin

dall’età di dodici anni, di numerose società islamiche volte a moralizzare i

costumi e preservare la cultura araba. Da studente al Cairo, influenzato dalle idee

del maestro medievale Abu Hamid al-Ghazzali sull’educazione, si fece notare per

le sue critiche alle autorità universitarie che non agivano con efficacia contro il

pericolo di laicizzazione e di diffusione di idee contrarie all’Islam. Entrato nella

cerchia della Salafiyya, il movimento di ritorno ai pii antenati la cui origine si fa

risalire a Rashīd Rida, fece proseguire, dopo la morte di quest’ultimo nel 1935, le

uscite della sua rivista, “Al-Manār” (“Il Faro”). Maestro elementare presso la

scuola di Ismailiyya, fu un fervente attivista religioso, infaticabile viaggiatore,

grande organizzatore, impegnato in programmi per la costruzione di scuole,

moschee, gruppi scout, circoli culturali, piccole imprese industriali.

Dalla sua biografia possiamo subito notare come il suo arrivo al Cairo per

completare gli studi coincida col periodo di intenso fermento politico ed

intellettuale che caratterizza gli anni Venti egiziani. Ai suoi occhi appaiono chiari

i problemi che attanagliano l’Egitto: la lotta per il controllo tra Wafd e Liberal-

costituzionalisti (Liberal Constitutionalist) e il chiassoso dibattito politico, con la

disunità conseguente alla rivoluzione del 1919; gli orientamenti del dopoguerra

volti all’apostasia e al nichilismo che stanno fagocitando il mondo islamico; gli

attacchi alla tradizione e all’ortodossia, incoraggiati dalla rivoluzione kemalista in

Turchia; le correnti estranee all’Islam nella riorganizzazione dell’Università

54 Una dettagliata biografia di al-Banna’ si può trovare in RICHARD M ITCHELL, The Society of the Muslim Brothers, Oxford University Press, New York-Oxford 1969.

Page 50: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

47

egiziana, basate sulla convinzione che l’insegnamento non potesse essere laico

senza prima estirpare la religione e le tradizioni sociali da essa derivanti; i salotti

letterari, le società, i partiti secolari e libertari; e tutti i libri, i giornali, le riviste

che propagandavano queste idee, il cui obiettivo non era altro che l’indebolimento

dell’influenza della religione. 55 Troviamo già qui, negli anni della sua

formazione, alcune delle considerazioni che andranno a formare l’ideologia della

Fratellanza.

Laureatosi alla Dar al-‘Ulm, la scuola di alta formazione all’insegnamento, nel

1927 all’età di 21 anni, viene presto assegnato alla scuola primaria della città di

Isma’iliyya, nella zona del canale di Suez. Prende subito parte attivamente alla

vita comunitaria, alla moschea e all’istituto familiarizza con i personaggi di spicco

del “clero” e della giurisprudenza cittadina, inoltre tiene lezioni serali per i

genitori dei suoi alunni e dibattiti sull’Islam ed esercita così la sua oratoria.

Rimane immediatamente colpito dal completo dominio straniero sui servizi

pubblici e dal divario economico tra occidentali e lavoratori egiziani della zona.

E’ in questo contesto che nel marzo del 1928 al-Banna’ e sei compagni

d’avventura, impiegati nel campo militare inglese danno formalmente vita alla

Società dei Fratelli Musulmani. Stando alle ricostruzioni, più o meno romanzate

che siano, furono questi uomini a riconoscere in al-Banna una guida spirituale e a

porgergli l’onore e l’onere di guidarli verso la rinascita islamica. Il nome

dell’associazione fu scelto dallo stesso al-Banna: “We are brothers in the service

of Islam, hence, we are ‘the Muslim Brothers’ “. 56

Nei primi tre anni di vita dell’associazione l’obiettivo principale fu la diffusione

nella zona di Isma’liyya, portata avanti da al-Banna’ e da affiliati selezionati

attraverso il contatto diretto, nelle moschee ma anche casa per casa e nei luoghi

pubblici, di svago o di lavoro. L’utilizzo delle moschee conferiva alla

“predicazione” la legittimità e la rispettabilità necessarie, il contatto quotidiano

con la popolazione un aspetto di sincerità e umanità. Il messaggio fa

immediatamente presa e si diffonde rapidamente, ma altrettanto rapidamente 55 Cfr. R.MITCHELL, The Society…op.cit., p.4. 56 Ivi, pp.73-4.

Page 51: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

48

incontra resistenze e antipatie premonitrici di quella che sarà la sorte del

movimento negli anni avvenire, anche se nei primi anni Trenta si tratta di

un’ostilità confinata ad alcune autorità cittadine. Nel 1932 al-Banna’ chiede e

ottiene di essere trasferito al Cairo, dove, grazie all’unione con i membri della

Società per la Cultura Islamica, guidata dal fratello ‘Abd al-rahman al-Banna, dà

vita al primo nucleo della Fratellanza nella capitale. La necessità di rimpiazzare il

leader ad Isma’iliyya dà intanto vita ad una delle prime dispute all’interno della

Società, risolta con l’estromissione dei dissidenti.

L’IDEOLOGIA

Da un punto di vista ideologico il pensiero dei Fratelli può essere visto come

congiunzione tra la islah, la riforma che cerca una via di uscita dalla decadenza in

cui è caduto il mondo arabo, e il fondamentalismo contemporaneo. 57 La

continuità con la riforma riguarda anzitutto il ritorno alle fonti, Corano e Sunna,

come testi ispiratori dell’agire politico e sociale, oltre che la richiesta di

applicazione della shari’a, la Legge religiosa, come strumento di regolazione

sociale. Comuni alle due correnti sono anche la critica ai chierici “ufficiali”

dell’islam, gli ‘ulamā’, ed ai faqih, esperti della Legge e giurisperiti, accusati di

una lettura statica dei testi, nonché la concezione della legittimità del politico. Ma

il riformismo rimarrà sempre una corrente intellettuale ed elitaria, mentre i Fratelli

Musulmani saranno presto un movimento di massa, che contrapporrà alla

modernità europea una modernità “islamica”.

Nucleo fondamentale dell’ideologia dell’Associazione è la riproposizione

dell’islam nella sua integralità originaria, unità alla consapevolezza della necessità

di un’azione decisa e multiforme per riaffermare i valori islamici nelle società

moderne. Da questa consapevolezza deriva la struttura organizzativa del

movimento, rispondente all’urgenza di una penetrazione sociale capillare e in

grado di permettere un rinnovato diffondersi dei valori islamici.

57 RENZO GUOLO, Il fondamentalismo islamico, Editori La Terza, Bari 2002, p.6.

Page 52: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

49

E’ impossibile dare una definizione univoca della Fratellanza Musulmana, che è

più di un partito politico e di un’organizzazione caritatevole tradizionale. La sua

migliore descrizione è stata probabilmente fatta dallo stesso al-Banna’ alla Quinta

Conferenza Generale, tenutasi al Cairo nel 1939: “un messaggio salafita, una via

sunnita, una verità sufi, un’organizzazione politica, un gruppo sportivo,

un’unione scientifica e culturale, un’impresa economica ed un’idea sociale” 58.

Questi punti fissano le caratteristiche del movimento e nella loro varietà

esprimono l’Islam integrale a cui gli Ikhwan si ispirano: tutte le dimensioni della

vita individuale e associata trovano nell’Islam il riferimento normativo ultimo, e

tutte ad esso convergono, affinché sia realizzata una società veramente permeata

dei valori islamici.

I musulmani hanno difatti dimenticato che l’Islam è un sistema onnicomprensivo,

“totale (nizam shamil), che comprende la manifestazione della vita nella sua

totalità”59.Compiono gli atti di fede, ma non vivono l’Islam come pratica di vita,

alla maniera del Profeta e dei suoi fedeli, come nell’epoca “aurea” dei quattro

“Califfi ben diretti”, e non danno così vita ad una società autenticamente islamica.

Vale la pena, per meglio chiarire questo concetto olistico di Islam, lasciare la

parola alla Guida Suprema: 60

“L’Islam dei Fratelli Musulmani. Permettetemi, Signori, di spiegare tale espressione.

Non voglio dire con questo che i Fratelli Musulmani professino un islam nuovo, diverso

da quello stabilito dal Profeta Maometto. Voglio dire piuttosto che molti musulmani, in

diverse epoche, hanno posto sull’islam riserve, o gli hanno assegnato caratteristiche,

definizioni o descrizioni, tutte di testa propria, utilizzando a torto la sua flessibilità e la 58 Cfr. titoli dei paragrafi della sua Lettera al V Congresso (1939). 59 AL-BANNA ’, Majmu’a rasa’il al-Imam al-shahid Hasan al-Banna, al-Qahira, s.n., 1992, cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani …op.cit., p.7. 60 Il testo è tratto dai documenti del Quinto congresso dei Fratelli Musulmani tenuto al Cairo nel 1939, a poco più di un decennio dalla fondazione dell’Associazione. La traduzione in italiano cui si fa riferimento è di PAOLA PIZZO ed è contenuta in: Dossier mondo islamico 2, I Fratelli Musulmani e il dibattito sull’islam politico, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1996.

Page 53: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

50

sua ampiezza, qualità derivanti soltanto dalla Sapienza Superiore. In tal modo si sono

venute a creare divergenze enormi sul senso dell’islam e si sono fissate nell’animo dei

suoi fedeli numerose immagini vicine, lontane o conformi al primo islam che il Profeta e i

suoi Compagni hanno illustrato nel migliore dei modi.

Vi sono così alcuni che vedono nell’islam soltanto la definizione esteriore del culto;

seguendo tale culto e vedendolo seguito sono tranquilli e soddisfatti, credendo di essere

arrivati all’essenza dell’islam. Questa è la concezione più diffusa nella maggioranza dei

musulmani.

Altri invece vedono nell’islam soltanto la natura superiore, la sublime spiritualità e quel

nutrimento filosofico che alletta l’intelletto e lo spirito, allontanandolo dal sudiciume del

mondo materiale, tirannico e ingiusto.

Altri ancora si limitano ad ammirare l’islam per i suoi concetti vitali e pratici, senza

cercare altro, né desiderare di spingere oltre la loro riflessione.

Altri infine considerano l’islam come una sorta di raccolta di credenze ereditarie e di

atti tradizionali senza utilità e incompatibili con lo sviluppo. Non si sentono a proprio

agio con l’islam e con tutto ciò che ad esso si collega. Quest’ultima concezione è molto

diffusa tra coloro che hanno acquisito una cultura occidentale non hanno mai avuto

l’occasione di entrare realmente in contatto con la verità dell’islam: non hanno conosciuto

dell’islam alcunché di autentico, oppure ne hanno avuta un’immagine deformata,

venendo in contatto con musulmani che ne erano indegni rappresentanti.

Tutte queste categorie si suddividono poi in sottocategorie, ognuna delle quali ha una

concezione più o meno diversa dall’altra, pochi hanno dell’islam un’immagine completa

e chiara che integri tuti questi concetti.

Le molteplici immagini che gli uomini si sono fatti dell’unico islam li hanno portati a

divergere notevolmente sul modo di intendere i Fratelli Musulmani e il loro pensiero.

Alcuni li considerano un gruppo di predicatori o di guide spirituali, il cui unico scopo

consiste nell’ammonire gli uomini, invitandoli all’ascesi in questo mondo e ricordando

loro quello futuro. Altri immaginano i Fratelli Musulmani come una confraternita sufi

mirante a insegnare agli uomini i diversi tipi di dikr61 , le tecniche del culto, nonché il

distacco e l’ascesi che gli sono collegati. Altri ancora, li considerano un gruppo di teorici

e di giuristi il cui unico scopo è trovare un accordo su un gruppo di precetti, argomentare

o combattere in loro favore, condurre gli uomini ad aderirvi, disputare o arrivare a una

conciliazione con quelli che non si schierano dalla loro parte. Pochi hanno frequentato i

Fratelli Musulmani e condiviso la loro vita – senza limitarsi soltanto ad ascoltarli, o a

61 Una pratica mistica consistente nella ripetizione continua del nome di Dio.

Page 54: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

51

proiettare su di loro la propria concezione dell’islam – così da conoscerli veramente e

cogliere tutti gli aspetti teorici e pratici della loro predicazione.

Per questo, vorrei parlarvi brevemente della concezione e dell’immagine dell’islam

secondo i Fratelli Musulmani, perché sia chiaro e manifesto il fondamento che

propugniamo e in cui siamo fieri di trovare il nostro punto di riferimento e la nostra

origine.

1. Noi, Fratelli Musulmani, riteniamo che i precetti e gli insegnamenti universali

dell’islam comprendano tutto ciò che riguarda la vita dell’uomo in questo mondoe

nell’altro, e che sono nell’errore quanti pensano che tali insegnamenti trattino

soltanto dell’aspetto cultuale o spirituale, a esclusione di altri. L’islam è in effetti

credo e culto, nazione e cittadinanza, religione e stato, spiritualità e azione, Libro e

spada. Il nobile corano parla di tutto questo, considerandolo sostanza e parte

integrande dell’islam, e raccomanda di conformarvisi globalmente, come viene

indicato in questo nobile versetto:

“Cerca piuttosto, con le ricchezze che Dio t’ha dato, di acquistarti la Dimora

dell’Oltre e non dimenticare il tuo dovere nel mondo, e benefica gli altri così come

iddio ah beneficato te”62

Nel corano o nella preghiera, a proposito del credo e del culto, si recita questa

parola di Dio:

“Eppure non ebbero altro comando che quello di adorare Iddio in sincerità di

culto, da puri credenti, di compiere la Preghiera, di pagare la Decima: questo è

l’autentico culto”63

Ma ugualmente si recita quello che Dio ha detto riguardo al potere, alla giustizia e

alla politica:

“Ma no! per il tuo Signore! Essi non crederanno finché non ria vanno costituito

giudice delle loro discordie e allora non troveranno alcun imbarazzo ad accettare

la tua decisione e a sottomettervisi di sottomissione piena”64

62 Corano 28:77, traduzione italiana a cura di ALESSANDRO BAUSANI, Il Corano, Sansoni, Firenze 1955. 63 Corano 98:5.

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52

Si legge ugualmente il pronunciamento a proposito dei debiti e del commercio:

“O’ voi che credete, quando contraete un debito a scadenza fissa, scrivetelo, e lo

scriva tra voi uno scrivano, con giustizia e non rifiuti lo scrivano di scrivere come

Iddio gli ha insegnato; […]”65

Si recita ancora quello che dice a proposito del jihad, del combattimento e della

razzia:

E quanto tu ti trovi alla loro testa in una spedizione e dirigi per loro la Preghiera,

stia ritto al tuo fianco un gruppo, ma prendano le loro armi con se’ […].

Piacerebbe agli infedeli che voi trascuraste le vostre armi e le vostre salmerie, per

irrompere su di voi tutt’a un tratto. Non sarà peccato se deporrete le armi se siete

disturbati dalla poggia o malati: state in guarda, tuttavia! 66

Ci sono molti altri versetti sugli stessi temi o su altri, inerenti al comportamento in

generale o alla vita on società.

Così i Fratelli Musulmani sono in assiduo contatto col Libro di Dio, ne hanno tratto

ispirazione e guida arrivando alla conclusione che l’islam è questa concezione

totale, di potata universale, destinata a regolare tuti gli assetti della vita che, di

conseguenza, devono essere impregnati, sottomettersi al suo potere, seguire i suoi

precetti ed insegnamenti, prendendoli come riferimento nella misura in cui la

comunità vuole essere autenticamente musulmana. Ma se è musulmana soltanto nel

culto mentre negli altri aspetti della vita imita i non musulmani, è una comunità che

ha lasciato l’islam, simile a quelli che dio fustiga:

credete dunque in una parte della scrittura rinnegando l’altra? Ma la punizione di

quelli di voi che così agiscono non può essere altro che l’ignominia in questa vita

terrena e al dì della Resurrezione saran gittati nel più crudele castigo, perché Iddio

non è ignaro di ciò che voi fate.67

64 Corano 4:65. 65 Corano 2:282. 66 Corano 4:102. 67 Corano 2:85b.

Page 56: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

53

2. Accanto a ciò i Fratelli Musulmani credono che la base e la fonte degli

insegnamenti islamici siano il Libro di Dio e la tradizione del Profeta. 68 Se la

comunità prende entrambi come regola di vita, non sarà mai nell’errore. Molte delle

teorie e delle scienze che sono entrate in contatto con l’islam e se ne sono

impregnate portano il segno delle epoche che le hanno viste nascere e dei popoli

che furono loro contemporanei. Per questo, occorre che le leggi islamiche che la

comunità prende a riferimento attingano alla fonte pura, la fonte del primo

zampillo. Occorre comprendere l’islam come lo compresero i Compagni e i loro

successori di buona stirpe[…].

3. Parallelamente, Fratelli Musulmani credono che l’Islam in quanto religione

universale, abbracci tutti gli aspetti della vita, per ogni popolo e comunità, in ogni

epoca e periodo storico. L’islam è così completo e vasto da non poter essere esposto

alla frammentarietà di questa vita, specialmente alle semplici contingenze mondane.

Offre piuttosto principi universali che regolano tali contingenze, mostrando agli

uomini il modo pratico in cui li si deve applicare […].

Preoccupazione cara all’islam è la cura dell’anima umana, che è l’origine dei

sistemi di pensiero, la materia base della riflessione, della rappresentazione e della

figurazione. Le ha prescritto rimedi efficaci per purificarla dalle passioni, lavarla

dalle contaminazione dei desideri e dell’inclinazione, condurla alla pienezza e alla

perdizione, proteggerla dall’ingiustizia, dalla negligenza, dall’avversità. Una volta

che l’anima si sia raddrizzata e purificata, tutto ciò che ne emana è sano e bello.

Si dice che la giustizia non risiede nel testo della legge, ma nell’anima del giudice,

diamo una legge completa e giusta a un giudice animato dalla passione e

dall’interesse, ed egli la applicherà in maniera ingiusta, senza equità. Diamo una

legge incompleta e ingiusta a un giudice integro e giusto, ed egli la applicherà in

maniera integra, giusta, piena di bontà, misericordia ed equità. È per questo motivo

che l’anima umana è oggetto di una grande attenzione nel Libro di Dio. Le prime

anime forgiate dall’islam costituirono dei modelli di umanità piena.

68 La sunna, l’insieme delle tradizione relative al Profeta, è riportata in sei principali raccolte ad opera di al-Bukhārī, al-Tirmidī, al-Nasā’ ī, Abū Dāwūd e Ibn Maja.

Page 57: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

54

Per tutti questi motivi, la natura dell’islam è adatta a ogni epoca e comunità,

estendendosi a ogni scopo e obiettivo. È sempre per questo che l’islam non rifiuta

di trarre profitto da ogni sistema valido che non si opponga alle sue leggi generali e

ai suoi principi universali.

[…] La dottrina dei Fratelli Musulmani “comprende in se’ tutte le concezioni

riformiste”. È proprio perché i fratelli musulmani considerano l’islam universale e

totalizzante che la loro dottrina abbraccia tutti gli aspetti del Riformismo sorti

all’interno della comunità, così come tutti gli elementi del pensiero riformista; ogni

riformista sincero e fervente vi ritrova l’oggetto delle sue aspirazioni. […]

[…]Si può dire a giusto titolo che i Fratelli Musulmani sono:

a) un invito al ritorno alle fonti, in quanto invitano a far tornare l’islam alla pur

onte del libro di dio e della tradizione del suo profeta;

b) una via tradizionale, in quanto si sforzano di agire in tutto secondo la pura

tradizione, specialmente per quanto riguarda la verità di fede e il culto, per

quanto possibile;

c) una realtà sufi, in quanto sanno che il fondamento del bene è la purezza

dell’anima e del cuore, la perseveranza nell’azione, la rinuncia alle creature, il

desiderio di Dio e l’attaccamento al bene;

d) un’entità politica, in quanto rivendicano la riforma del potere all’interno e il

riesame del bene della comunità musulmana rispetto alle altre comunità

all’esterno. Promuovono l’educazione del popolo alla fierezza, alla nobiltà e

alla salvaguardia più vigilante del suo nazionalismo;

e) un gruppo sportivo, in quanto si preoccupano dei loro corpi e sanno che il

credente robusto è migliore del credente debole, perché il Profeta ha detto: “il

tuo corpo ha su di te dei diritti”. Sanno che tutto quello che l’islam richiede non

può essere portato a compimento se non con un corpo robusto: la preghiera, il

digiuno, il pellegrinaggio, l’elemosina e richiedono un organismo adatto a

sopportare i pesi dello studio, del lavoro e del combattimento per il bene

quotidiano. […]

f) una lega scientifica e culturale, in quanto l’islam fa dell’acquisizione della

scienza un precetto valido per ogni musulmano e musulmana,: i circoli dei

Page 58: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

55

Fratelli Musulmani sono in realtà scuole d’insegnamento e di cultura, nonché

istituti di educazione fisica, intellettuale e spirituale

g) un’impresa economica, in quanto l’islam si preoccupa di gestire i beni e di

acquisirli. Così ha detto il Profeta: “la benedizione del lavoro delle sue mani,

si addormenta perdonato”; o anche: “Dio ama il credente che pratica un

mestiere”;

h) una dottrina sociale, in quanto si preoccupano dei mali della società

musulmana e cercano sistemi per curarli e guarire la comunità.

Vediamo dunque come questa concezione totalizzante dell’islam abbia portato la nostra

dottrina a toccare tutti gli aspetti del Riformismo, dirigendo l’attività dei Fratelli

Musulmani in tutti i settori: nel momento in cui si preoccupano di un certo settore,

intendono abbracciarli tutti e sanno che l’islam tutti li rivendica. Per questo molti aspetti

dell’attività dei Fratelli Musulmani sembrano contradditori, mentre non lo sono […] Tutti

questi aspetti possono essere percepiti dalla gente come contradittori, non coincidenti gli

uni con gli altri. Se costoro sapessero che è l’islam a riunirli tutti, l’islam che li prescrive

e invita a praticarli, ne vedrebbero l’armonia e la complementarità. Con tale approccio

globale i Fratelli Musulmani evitano tutto quello che, in questi diversi settori, si presta

alla critica o alla negligenza.”

L’eterogenea pervasività del messaggio dei Fratelli, da un lato indubbio punto di

forza della loro ideologia, doveva incontrare qualche perplessità se a dieci anni

dalla fondazione il Congresso sente di dover in parte puntualizzare come appena

visto finalità ed ideali dell’Associazione. Questi erano stati enunciati sin dal

primo congresso, tenutosi sempre al Cairo, nel 1932, in un documento passato alla

storia come il “Credo”, in seguito pubblicato nelle “memorie” della Guida

Suprema. In questo importante documento si legge69:

1) Credo che tutte le cose procedano da Dio, che il nostro maestro Maometto, che

Dio lo benedica, è l’ultimo dei profeti che è stato mandato a tutti gli uomini, che

il Corano è il libro di Allah, che l’Islam è una legge generale dell’ordine del

69 HASAN AL-BANNA ’ , Mudhakkirāt ad-da’wa wa’l-dā,yyia Il Cairo, s.d.

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56

mondo e dell’aldilà; prometto di applicare a me stesso una parte del nobile

Corano, di attenermi alla Sunna purificatrice, di studiare la vita del Profeta e la

storia dei suoi nobili discepoli.

2) Credo che la rettitudine, la virtù e la scienza facciano parte dei fondamenti

dell’Islam; prometto di esser giusto, di eseguire i riti, di astenermi dalle azioni

interdette, di esser virtuoso, di avere delle buone abitudini, di abbandonare la

cattive abitudini, di seguire per quanto possibile le pratiche rituali islamiche, di

preferire l’amore e l’affetto alla disputa e ai processi, di non ricorrere alla

giustizia che costrettovi, di essere fiero dei riti dell’islam e della usa lingua, e di

diffondere le scienze e le conoscenze in tutte le classi sociali che compongono la

umma.

3) Credo che il musulmano debba essere attivo e guadagnare, e che ogni persona

abbia diritto al denaro che guadagna; prometto di lavorare per guadagnarmi la

vita e di risparmiare per l’avvenire, di versare la la Zakāt, di consacrare una parte

del mio reddito a opere di beneficenza, di incoraggiare ogni utile progetto

economico, di preferire i prodotti del mio paese e dei miei correligionari, di non

praticare l’usura in nessun genere di affare, di non perdermi nelle cose che

superano le mie capacità

4) Credo che il musulmano sia responsabile della sua famiglia, che sia un suo

dovere preservarne la salute, le credenze e i costumi; prometto di fare tutto il

possibile in questo senso, di trasmettere gli insegnamenti dell’Islam ai membri

della mia famiglia, di non iscrivere i miei figli in una scuola che non insegni loro

le giuste credenze e la giusta morale, di boicottare tutti i giornali, le

pubblicazioni, i libri , i gruppi e i club che si oppongono agli insegnamenti

dell’islam.

5) Credo che sia dovere del musulmano far rivivere la gloria dell’islam,

promuovendo la rinascita del suoi popoli e restaurandone la legislazione. Credo

che a bandiera dell’islam debba dominare l’umanità e che il dovere di ogni

musulmano consista nell’educare il mondo secondo le regole dell’islam;

prometto di lottare finché vivrò per realizzare questa missione e di sacrificarle

tutto ciò che posseggo.

6) Credo che i musulmani formino una sola nazione unita dalla fede islamica e che

l’islam ordini ai suoi figli di fare il bene di tutti. Prometto di fare ogni sforzo per

rinforzare il legame di fratellanza fra tutti i musulmani, e per eliminare

l’indifferenza e le divergenze fra le loro comunità e le loro confraternite.

Page 60: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

57

7) Credo che il motivo del ritardo dei musulmani stia nel loro allontanamento dalla

religione e che la base della riforma consisterà nel ritorno agli insegnamenti

dell’islam e al suo giudizio, che questo è possibile se i musulmani operano in

questo senso, e che la dottrina dei Fratelli Musulmani possa realizzare questo

obiettivo. Prometto di attenermi fermamente a questi principi, di rimanere leale

verso chiunque lavora per essi e di militare al loro servizio fino a morire per essi.

Dopo questa enunciazione di regole e comportamenti cui il buon Fratello

Musulmano deve attenersi quotidianamente, il credo enuncia i pilatri della

dottrina islamica, alla base dell’ideologia della fratellanza, e conclude con la

ferma esortazione a lottare con pazienza e fermezza per la rinascita di un islam

vero e forte:

a) la legge dei Fratelli […]si ispira alla stessa regola stabilita da Maometto. Non vi è

una sola parola nella fede dei fratelli che non si fondi sul Libro di Allah, sulla

Sunna del suo Profeta e sullo spirito dell’Islam autentico […] Coloro che

dubitano dei Fratelli Musulmani dopo che la loro posizione è stata resa così

chiara e malgrado la purezza della loro fede, sono quelli che non hanno studiato

l’slam in modo autentico, oppure quelli che hanno un cuore malato e che sono in

malafede.

b) La religione soddisfa l’appetito spirituale dell’uomo e gli prodiga tranquillità di

coscienza, e la felicità di cui ha bisogno è l’Islam, il legame più potente che

unisce le fonti d’amore nelle anime della nazione, che rafforza l’intera fra i

popoli, che guida il mondo con certezza verso l’unità generale [...] è l’islam che

fonda lo Stato su principi di giustizia, stabilisce il governo in base a diritti ben

precisi, e dà ad ognuno dei membri delle classi e della nazione quel che gli spetta,

senza frustrazioni, ingiustizie, ingratitudini […] questa è una lezione che

dovrebbero imparare i dirigenti orientali che hanno voluto o vorranno cercare per

il loro popolo una via diversa da quella dell’Islam al fine di fondare su di essa la

rinascita c costituire la religione, la umma e lo Stato.

c) I musulmani non potranno oggi avere successo che seguendo la stessa via del

nostro maestro Maometto […] in effetti, da quando le nazioni orientali hanno

abbandonato gli insegnamenti dell’islam per tentare di sostituirli con altri che

esse hanno creduto capaci di rigenerale la loro condizione, le vediamo dibattersi

nei sentieri dell’incertezza e subire l’amarezza dei fallimenti, pagando caro il

Page 61: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

58

prezzo di questa deviazione nella loro dignità, nella loro morale, nella loro

fierezza e nella loro amministrazione […] La risorsa dell’oriente risiede nella sua

morale e nella sua fede […].

d) Per quanto riguarda l’applicazione di questo metodo alla situazione dei

musulmani d’oggi […] essa richiederà molto tempo. Perché l’abisso che gli

avvenimenti politici e sociali hanno scavato fra i musulmani e la loro fede è

profondo, perché i mezzi usati dai nemici dell’islam per allontanare i musulmani

dall’islam nel corso dell’epoca moderna sono efficaci, e perché i musulmani

stessi combattono la loro religione, spezzando al loro spada con le proprie mani

[…] Tutto ciò i Fratelli Musulmani lo sanno […] essi non hanno mai creduto,

quando hanno deciso di agire, che la loro via sarebbe stata facile ed agevole

[…]non bisogna rinunciare all’azione, al contrario, gli ostacoli non faranno che

intensificare la nostra energia e le difficoltà non faranno che accelerare la nostra

marcia verso la lotta, come dice la parola di Allah l’Altissimo: o fratelli

musulmani, la vittoria nasce dalla pazienza, la salvezza dalla fermezza, e una

ricompensa attende gli esseri pii!” 70

Infine, la dimensione più strettamente giuridica, sociale ed economica delle

rivendicazioni degli Ikhwan può essere sintetizzata dalle “cinquanta richieste”,

corollario conclusivo della lettera che la Guida Suprema inviò nel 1936 ai “re e ai

principi, ai membri delle organizzazioni legislative e delle società islamiche, a chi

possiede giudizio e senso dell’onore nel mondo musulmano”. In principio inserite

nell’opera autobiografica “Mudakkirāt al-da’wa wa-l-dā’ ī” (“Memorie della

Missione e del Predicatore”), queste rivendicazioni furono riedite nel fascicolo

“Nahwa al-nūr” (“Verso la Luce”), stampato dalla tipografia dei Fratelli

Musulmani al Cairo:

1) Nel campo politico e giudiziario

1. Condannare le divisioni di parte e orientare le forze politiche della nazione

verso la costituzione di un fronte unico.

2. Riformare la legge di modo che sia in accordo con la legislazione islamica, in

particolare nel campo penale e in quello delle punizioni legali.

70 La traduzione è tratta da ANOUAR ABDEL-MALEK , Il pensiero politico arabo contemporaneo, Editori riuniti, Roma 1973, pp. 36-39.

Page 62: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

59

3. Rinforzare l’esercito, moltiplicare le sezioni dei giovani e infiammarli alla

jihad islamica.

4. Rinforzare i legami tra tutti i paesi musulmani, in particolare i paesi arabi, al

fine di predisporre una riflessione seria e pratica sul problema del califfato

scomparso.

5. Diffondere lo spirito musulmano nelle sfere di governo, perché tutti i cittadini

si sentano obbligati ad applicare gli insegnamenti dell’islam.

6. Sorvegliare la condotta personale dei funzionari, vegliare affinché non vi sia un

divario tra la sfera privata e quella lavorativa.

7. Anticipare gli orari di lavoro negli uffici, d’estate e d’inverno, per facilitare la

pratica dei precetti religiosi e impedire le veglie serali troppo frequenti.

8. Condannare la corruzione e il favoritismo, per ricorrere solo alla competenza e

ai favori conformi alla legge.

9. Fare in modo che il governo agisca seguendo le norme e gli insegnamenti

dell’islam: che l’organizzazione delle prigioni e degli ospedali non

contravvenga a tali insegnamenti; che i turni di servizio siano distribuiti in

modo da non interferire con gli orari della preghiera, tranne in caso di

necessità; che le celebrazioni ufficiali rivestano un carattere islamico, e così

via.

10. Attribuire alcune funzioni militari e amministrative ai diplomati di al-Azhar.

2) Nel campo sociale e pratico

1. Abituare il popolo al rispetto dei costumi pubblici, stabilire ferme direttive per

preservare la legge in questo campo e aggravare le sanzioni contro gli attentati

alla moralità.

2. Risolvere il problema della donna in modo da salvaguardare sia la sua

promozione sia la sua protezione, in accordo con gli insegnamenti dell’islam.

Tale questione, la più importante delle questioni sociali, non deve essere

lasciata alla discrezione di penne tendenziose e di opinioni irresponsabili di

gente condizionata da interessi personali.

3. Condannare la prostituzione in forma clandestina o pubblica, e considerare la

fornicazione, in ogni circostanza, come un crimine abietto, il cui reo deve

essere punito.

4. Condannare i giochi d’azzardo in ogni forma: giochi, lotterie e così via.

Page 63: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

60

5. Combattere l’uso del vino come quello delle droghe, vietarne il consumo e

liberare la nazione dei mali da esso derivati.

6. Lottare contro gli abbigliamenti provocanti e la licenza morale, guidare le

donne verso ciò che deve essere, con insistenza. Questo vale in particolare per

le istitutrici, le allieve, le dottoresse e le studentesse, e tutte coloro che hanno

un identico statuto.

7. Rivedere i programmi di insegnamento destinati alle ragazze e separarli

nettamente da quelli dei ragazzi, nei diversi gradi di istruzione.

8. Impedire la promiscuità tra studenti e studentesse. Considerare che ogni

relazione appartata tra un uomo e una donna è un delitto e deve essere punita.

9. Incoraggiare il matrimonio e la procreazione attraverso tutti i mezzi appropriati

ed elaborare una legislazione atta a proteggere e incoraggiare la famiglia e a

regolare i problemi coniugali.

10. Chiudere le sale da ballo e le discoteche, impedire la danza.

11. Sorvegliare le rappresentazioni teatrali e i film, operare una scelta rigorosa

delle pièces e dei film.

12. Censurare e selezionare le canzoni ed esercitare una stretta sorveglianza in

questo campo.

13. Operare una saggia selezione delle conferenze, delle canzoni e delle

trasmissioni diffuse nel paese, e utilizzare le stazioni radio per promuovere una

buona educazione morale e patriottica.

14. Confiscare le pièces provocatrici, le opere che propugnano lo scetticismo e la

corruzione, nonché i giornali che concorrono a diffondere l’immoralità e che si

dedicano a uno sfruttamento svergognato delle passioni.

15. Organizzare dei campi estivi per eliminare il disordine e la permissività che

annullano l’obiettivo fondamentale di tale attività.

16. Regolare gli orari di apertura e chiusura dei caffè pubblici, sorvegliarne il

personale e i clienti, orientarli verso ciò che è loro utile e non permettere a

questi locali di restare aperti troppo a lungo.

17. Utilizzare i caffè per insegnare agli analfabeti a leggere e scrivere. Giovani

energici presi tra gli insegnanti e gli studenti daranno il loro contributo a questo

settore.

18. Combattere i costumi nocivi sul piano economico, morale e altro; distogliere da

essi le masse per orientarle verso le buone abitudini, o correggerle per

accordarle all’interesse comune. Ciò avvenga per matrimoni, funerali,

Page 64: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

61

cerimonie di nascita, feste e celebrazioni. Il governo dia l’esempio su questo

punto.

19. Considerare come facente parte degli insegnamenti dell’islam il ricorso alla

hisba71 e la condanna di quanti la ostacolano o attentino a essa, rompendo il

digiuno di Ramadān72, abbandonando la preghiera intenzionalmente, insultando

la religione, e così via.

20. Nei villaggi, collegare le scuole primarie alle moschee e migliorare lo stato

degli impiegati e l’igiene; esercitare la massima cura affinché i piccoli siano

iniziati alla preghiera e i grandi al sapere.

21. Decretare che l’insegnamento religioso sarà una materia essenziale nelle scuole

di ogni categoria e nell’università.

22. Incoraggiare la memorizzazione del Corano nelle scuole elementari pubbliche e

privare; farne condizione essenziale per il conseguimento dei diplomi religiosi

e linguistici; in ogni scuola, farne imparare a memoria una parte.

23. Elaborare una politica stabile per promuovere l’insegnamento, elevarne il

livello, dare unità di obiettivi e fini alle sue diverse sezioni, riconciliare le

diverse culture della nazione. L’insegnamento si dedicherà innanzi tutto a

diffondere un alto spirito patriottico e una morale autentica.

24. Sollecitare l’insegnamento della lingua araba in tutte le fasi dell’istruzione;

nella prima fase, accordarle preminenza, escludendo ogni altra lingua straniera.

25. Interessarsi alla storia dell’islam, alla storia nazionale e a quella della civiltà

musulmana.

26. Riflettere sul miglior modo per unificare progressivamente l’abbigliamento

nella nazione.

27. Condannare le abitudini straniere nelle famiglie per quanto riguarda la lingua, i

costumi, i vestiti, le governanti e le nutrici; igienizzare il tutto, in particolare

nelle famiglie appartenenti ad un ceto elevato.

28. Dare un sano orientamento alla stampa, incoraggiare gli autori e gli scrittori a

trattare temi islamici e orientali.

29. Occuparsi della salute pubblica, generalizzando la propaganda sanitaria con

ogni mezzo; moltiplicare gli ospedali, il numero dei medici e dei dispensari

ambulanti e facilitare il ricorso alle cure..

71 Obbligo imposto da Dio a tutti i musulmani di “ordinare il bene e proibire il male”. 72 Cinque sono i doveri fondamentali del musulmano: attestazione di fede in Dio e a Maometto, preghiera rituale, digiuno nel mese di Ramadān, elemosina rituale, pellegrinaggio alla Mecca.

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62

30. Interessarsi al villaggio: organizzazione, proprietà, purificazione delle acque,

mezzi di coltivazione, divertimenti, istruzione.

3) Nel campo economico

1. Organizzare la zakāt73 come fonte di entrata, seguendo gli insegnamenti della

legge musulmana liberale, utilizzarla per la realizzazione di progetti di

beneficenza necessari: ricoveri per gli anziani e i poveri, orfanotrofi, e per

rinforzare l’esercito.

2. Vietare il prestito a interesse e organizzare le banche in modo da raggiungere

tale obiettivo. Il governo darà l’esempio su questo punto, rinunciando agli

interessi nelle imprese che da esso dipendono: istituti di credito, prestito

industriale, e così via.

3. Incoraggiare le imprese economiche, moltiplicarle, procurare lavoro ai

disoccupati, sottrarre agli stranieri le percentuali che possiedono, per farne

imprese puramente nazionali.

4. Proteggere il pubblico dalla tirannia delle compagnie commerciali, imporre

loro sanzioni e cercare di procurare al pubblico ogni profitto possibile.

5. Migliorare le condizioni dei piccoli funzionari, aumentando il loro salario,

pagando loro premi e indennità, riducendo il trattamento degli alti funzionari.

6. Limitare i posti di funzionario, specialmente quelli pletorici, e restringerli al

numero indispensabile; distribuire il lavoro tra i funzionari in modo equo;

essere precisi su questo punto.

7. Incoraggiare l’aiuto all’agricoltura e all’artigianato; avere cura della

promozione del contadino e dell’artigiano nel campo della produzione.

8. Prestare attenzione ai problemi tecnici e sociali degli operai, elevare il loro

livello di vita nei differenti campi.

9. Sfruttare le risorse naturali, le terre incolte, le miniere trascurare, e così via.

10. Accordare priorità all’elaborazione ed esecuzione dei progetti necessari a

danno dei superflui.

Il Cairo, Ufficio della Guida Suprema dei Fratelli Musulmani74

73 Elemosina rituale islamica, uno dei doveri fondamentali del musulmano. 74 La traduzione del documento originale è citata in Dossier Mondo Islamico 2…op. cit. pp. 21-24.

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63

In questo lungo elenco di richieste, su possono notare alcuni aspetti anch’essi figli

di un’interpretazione olistica della religione islamica, ma anche del nazionalismo

dell’epoca, nelle sue accezioni nazionale, panaraba finanche panislamica: la

nazionalizzazione delle industrie e l’estromissione degli interessi stranieri, il

rafforzamento del legame della umma. Sempre presente il fondamentale tema

dell’educazione religiosa a tutti i livelli, l’accento è qui posto con veemenza e un

più marcato tradizionalismo sulla moralizzazione dei costumi in chiave

rigidamente coranica, in particolare rispetto alla condizione femminile. Le

riflessioni economiche denotato preoccupazione per la corruzione dilagante e per

l’eccessivo numero di dipendenti pubblici, nonché l’esigenza sempre sentita di

una riforma agraria efficace. Quanto alla zakāt per i poveri si tratta di un precetto

coranico basilare che si inserisce coerentemente nella natura anche assistenziale

dell’Associazione e nel progetto di giustizia sociale da essa propugnato.

Il lungo inciso si è reso necessario perché tutta l’ideologia della Fratellanza ruota

attorno ai punti centrali toccati in questi documenti: liberazione dei territori arabi

dalla dominazione straniera e dai suoi influssi, ripristino della legge islamica

(sharī’a) per ogni attività ed in ogni settore della vita politica, sociale, economica,

culturale; abolizione dei partiti politici in nome di un’unità della società islamica

che rispetti innanzitutto l’unicità divina (tawhīd) ma anche quella unità concreta

realizzata nell’”età dell’oro” dei califfi “ben guidati”; sistema di istruzione

religiosa che subentri a quello laico, causa della decadenza delle società islamiche

e dell’allontanamento degli individui dalla loro identità religiosa; rifiuto di tutti i

modelli culturali e dei sistemi di pensiero estranei all’islam; giustizia sociale,

ispirata dai principi del Corano.

Questa generale opera di re-islamizzazione della società non doveva essere frutto

di un’imposizione dall’alto, ma di una crescita e presa di coscienza dal basso.

Ecco perché propaganda e istruzione erano tanto importanti, ed ecco perché , nei

principi condivisi, l’organizzazione ripudiava il ricorso alla violenza. Per Al-

Banna’ il cammino verso l’islamizzazione della società doveva passare attraverso

tappe previste, secondo una scala ascendente: “Noi vogliamo l’uomo musulmano,

Page 67: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

64

poi la famiglia musulmana, pio la società musulmana, poi il governo musulmano

e infine la nazione (nel senso di umma, ndr) musulmana”. L’obiettivo ultimo era

la rifondazione del califfato islamico, entità sovranazionale che abbraccia tutti i

popoli e gli stati musulmani75.

I Fratelli erano fermamente convinti del valore politico della religione e anzi

affermavano che l’islam non conosce potere spirituale, che viene assorbito dal

politico.76 Il ricercatore presso l’università di Oxford e nipote di al-Banna’, Tāriq

Ramadan, ha negato che il nonno avesse intenzione di fondare un partito politico,

e conseguentemente annota che:

“L’impegno umano razionale, conosciuto con il nome di ijtihad, è importantissimo e

indispensabile: è il modo con cui gli uomini testimoniano la loro fedeltà a Dio nel corso

dei secoli della loro storia. Essi devono cercare il modo migliore di gestire la loro vita alla

luce delle Sue raccomandazioni; è chiaro, quindi, che sono loro che cercano, che

governano, e non Dio. Non si tratta quindi di una teocrazia, alla quale si oppone la natura

stessa dell’Islam, secondo al-Banna’. Il Corano è la costituzione dei musulmani in quanto

il Libro rivelato contiene le prescrizioni fondamentali generali: gli uomini devono, a

valle, creare un’organizzazione politica ed una legislazione sempre nuove e rinnovate per

garantire, nel tempo, la loro fedeltà ai principi. Pe questo, al-Banna’ ritiene che il regime

parlamentare costituzionale apparso nell’epoca moderna sia l’organizzazione che più si

avvicina al rispetto degli insegnamenti islamici, poiché tiene conto del parere del

popolo.”77

Anche lo storico Massimo Campanini sottolinea come sia importante “ricordare

che al-Banna’ non suggerì alcuna forma particolare di Stato islamico. Anzi, era

perfettamente convinto che lo Stato islamico in senso moderno potesse essere una

democrazia parlamentare, in pacifica consonanza con le istituzioni liberali

sviluppate in Europa. L’importante era che la vita degli uomini e la vita dello

75 TĀRIQ RAMADAN, Il riformismo islamico. Un secolo di rinnovamento musulmano, Città Aperta, Troina 2004, p.314. 76 Ivi, p.335. 77 Ivi, p.336.

Page 68: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

65

Stato, anche sotto il profilo legislativo, si richiamasse ai principi del Corano e

della sunna”78

La posizione di al-Banna’ si pone in questo senso in netto contrasto, come si

vedrà, col concetto politico di hakimiyya formulato Sayyd Qutb. Tuttavia, è

altrettanto vero che, anche se forse non aveva intenzione di fondare un partito

politico islamico, Hasan al-Banna’ disse che l’”Islam nel quale credono i Fratelli

Musulmani vede nel potere politico uno dei suoi pilastri […] Il profeta ha fatto

del potere politico una delle radici dell’Islam e nei nostri libri di diritto

musulmano il potere politico è annoverato tra gli articoli del dogma” 79. Di fatto,

alla luce di queste premesse, gli Ikhwan contribuirono certamente a sviluppare

una partecipazione e una coscienza politica di massa. Scrive Brynijar Lia:

“Le modalità d’azione che caratterizzarono l’impegno politico dei Fratelli Musulmani

negli anni 1930 erano estremamente moderne. I loro comitati, petizioni, campagne di

stampa, pubblicazione di opuscolo, viaggi di propaganda, dimostrazioni di massa e così

via, erano la manifestazione della crescita di una politica di massa opposta al

tradizionalismo religioso. Inoltre, il loro attivismo politico rappresentò una frattura

rispetto ai vuoti incontri di notabili che dominavano la vita politica egiziana. Ancora più

importante, metodi moderni di propaganda politica venivano applicati negli ambiti

tradizionali delle moschee, dei villaggi di provincia e dei quartieri popolari delle città,

dove la politica era considerata un privilegio delle élites. Così, sfidando l’esclusivismo

politico delle élites, i Fratelli Musulmani avvicinarono alla politica le classi

tradizionaliste e politicamente inconsapevoli, e quindi allargarono le basi della

partecipazione pubblica”80

E’ possibile che il giudizio di Lia sia eccessivamente enfatizzato ma non vi è

dubbio che questi movimenti di riforma islamica, che apparentemente sembravano

votati ad un mero recupero del passato, presentassero anche aspetti di reazione

78 M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit.,p.92. 79 OLIVIER CARRÈ, GÈRARD MICHAUD, Les Frères Musulmans, Gallimard/Julliard, 1983, p. 36, cit. in MASSIMO CAMPANINI, KARIM MEZRAN , Arcipelago Islam. Tradizione, riforma e militanza in età contemporanea, editori Laterza, Bari 2007, p.46. 80 Cfr. BRYNIJAR LIA, The Society of the Muslim Brothers in Egypt. The rise of an islamic mass movement, Ithaca press, Reading 1998, pp. 282-283.

Page 69: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

66

alla modernità e di attualizzazione del messaggio religioso, in un tentativo,

necessariamente dialettico, di adeguamento a nuovi contesti economici, politici e

sociali. E non vi è altrettanto dubbio che i Fratelli Musulmani costituissero un

vero e proprio “partito religioso” (benché istituzionalmente non riconosciuto

come tale) , traducendo in chiara attività “politica” la loro inclinazione religiosa,

una necessità che supera la concezione del confronto partitico come elemento

negativo perché divisorio della Umma cui si è accennato. Ciò giustifica come mai,

in occasione delle elezioni generali del 1942, al-Banna’ decidesse di partecipare

alla competizione accettando il gioco democratico, e , in un certo modo, in cerca

di legittimazione politica, scendendo a patti con le istituzioni monarchiche e con

la stessa Gran Bretagna, l’odiata potenze straniera egemone.

La compromissione col palazzo scontentò certamente lea più movimentiste ed

intransigenti dell’organizzazione. Infatti, nonostante la Guida e i suoi

collaboratori avessero dichiarato più volte la natura non violenta del loro progetto

di islamizzazione, era progressivamente emersa anche un’altra faccia della

Fratellanza, quella armata, poiché dal movimento si era presto separata un’ala più

radicale, denominata La gioventù di Nostro Signore Muhammad, che accusava al-

Banna’ di eccessiva moderazione e di compromessi col potere , e che preluderà al

cosiddetto “Apparato segreto” (al-jihāz as-sirrī o nizam al-khass) organizzato in

scala gerarchica da usar,’ashīra, raht e katība (famiglie, clan, gruppi, battaglioni),

costituito all’inizio degli anni Quaranta.81

Questa duplice anima dell’Associazione fondatrice del radicalismo islamico viene

evidenziata anche da un altro fortunato slogan, che renderà famoso il movimento

e che sarà mutuato ad tutti i gruppi militari seguenti, condensato in cinque punti:

“Dio è il nostro scopo, Muhammad il nostro comandante, il Corano la nostra

Costituzione, il jihad il nostro cammino, il martirio il più alto dei nostri desideri”. 82 Il simbolo della Fratellanza era, ed è, non a caso un Corano sorretto da due

spade incrociate.

81 P. MANDUCHI, Questo mondo….op.cit., p.78. 82 Ibid.

Page 70: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

67

ORGANIZZIONE, MODUS OPERANDI, DIFFUSIONE

“I discorsi, i detti, le corrispondenze, le lezioni, le conferenze […] tutto ciò da

solo è inutile e di nessun profitto […]. Gli strumenti generali delle missioni non

cambiano, rimangono invariati e non vanno al di là di queste tre materie: 1) la

profonda fede (al-iman al-amiq).2) la meticolosa organizzazione (al-takwin al

daqiq). 3) il lavoro costante (al-‘amal al-mutawasil)” 83

Come laconicamente espresso da queste parole del suo fondatore, elemento

fondamentale per capire la rapida diffusione della Jama’a al-Ikhwan al-Muslimin,

e al tempo stesso caratteristica che la colloca a pieno titolo nella “modernità” è

ovviamente l’organizzazione del movimento. Questa rispecchierà fedelmente le

evoluzioni dell’ideologia dei Fratelli. Fino alla metà degli anni Trenta, infatti, la

rudimentale struttura organizzativa manteneva caratteri delle tradizionali

associazioni caritatevoli; in seguito, la maggiore connotazione politica che venne

assumendo il movimento influenzò anche l’apparato di coordinamento, anche a

causa di eventi congiunturali.

Alcune campagne difatti permisero all’Associazione di acquisire esperienze di

pratiche sociali fondamentali per la mobilitazione degli anni successivi. Tra le più

importanti possiamo annoverare campagne per progetti sociali ad Ismaylla come

la costruzione di una moschea e di istituti scolastici (1931), contro la prostituzione

(1939), contro la presenza di missioni confessionali occidentali su suolo egiziano

(1933), ma soprattutto la grande campagna di sostegno alla rivolta palestinese

(1936-1939).

La struttura organizzativa si evolveva anche a causa di spinte centripete:

l’autoritarismo della Guida Suprema portò progressivamente ad un processo di

centralizzazione. La crisi interna del 1931-1932 successiva al trasferimento di al-

Banna’ al Cairo, permise l’allontanamento di frange di dissidenti ancorati alle 83 HASAN AL-BANNA, Majmu’a rasa’il al-Imam al-shahid Hasan al_Banna, al-Qahira. S.n. 1992, p.108, cit. in M.CAMPANINI, K.MEZRAN, I Fratelli Musulmani…op.cit., p. 13.

Page 71: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

68

pratiche del modello associativo caritatevole tradizionale, così che al Terzo

Congresso dei Fratelli (1935) venne accordato un maggior potere al Leader. Tra il

1938 e l’anno successivo una serie di rappresentanti locali non risultavano più

adatti al nuovo contesto di proselitismo e furono sostituiti da una nuova

generazione di membri figli dell’evoluzione del movimento. Venne istituita anche

una nuova figura istituzionale, una sorta di supervisore locale scelto dall’alto e

non in loco, ad ulteriore conferma del progressivo centralismo nel nuovo

equilibrio interno. 84

L’Associazione andava così organizzandosi in una struttura verticistica in cui la

Guida suprema era coadiuvata da un Consiglio consultivo generale (majlis

alshūrà al-‘āmm) da cui emanava un Ufficio generale per l’orientamento. Una

segreteria coordinava le attività e gli uffici amministrativi, da cui dipendevano, in

ordine discendente, i distretti, le banche, le famiglie infine le “falangi” (kutā’ib ).

Numerose sezioni si occupavano di tesoreria, di statistica, di servizi, ma l’ufficio

probabilmente più importante era quello della propaganda (da’wa). L’attività

missionaria e di persuasione era centrale nei Fratelli e si affiancava ad una intensa

opera di interventi sociali, educativi e sanitari. 85 Esisteva inoltre una sezione

femminile, nella quale spiccava la figura di Zaynab al-Ghazālī, fondatrice

dell’associazione delle donne musulmane, instancabile organizzatrice ed attivista.

l’Associazione conosce immediatamente un successo prorompente. Già nel

gennaio 1929 nuove filiali erano state aperte ad Asyu, a Benha e al Cairo. Nel

1931 al-Banna’ poté trasferire il suo quartier generale nella capitale e da lì

viaggiare per tutto l’Egitto. Nel 1936 le filiali arrivarono a 150, nel 1937 a 216,

alla fine della seconda guerra mondiale superavano le 1500. Gli adepti erano già

20.000 a metà degli anni trenta, nel 1944 pare fossero circa 500.000, un numero

destinato ad aumentare ancora negli anni successivi fino ad arrivare al milione di

84 i dati sull’espansione dell’associazione sono tratti da A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani …op.cit., p.14. Per informazioni più dettagliate riguardo all’organizzazione del movimento si vedano i già citati testi di BRYNIJAR LIA , The Society of the Muslim Brothers in Egypt. The rise of an islamic mass movement, Ithaca press, Reading 1998; e Richard. P. Mitchell, The Society of the Muslim Brothers, Oxford University Press, New York- Oxford 1969 85 Cfr. R. MITCHELL, The Society...op.cit., cap. II; e M. CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p.93.

Page 72: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

69

attivisti. Nel frattempo, branche della Fratellanza si aprivano in tutto il vicino

oriente arabo: poco dopo la seconda guerra mondiale ve ne erano in Siria, in

Giordania, in Marocco e poi in Sudan e in Tunisia.86

Il successo dipendeva soprattutto dall’attività caritatevole e assistenziale, tangibile

nei quartieri più poveri, nelle moschee di periferia, negli ambulatori medici

gratuiti, nell’aiuto agli studenti universitari poveri, nelle scuole e negli ospedali,

nei cicli di seminari e nelle squadre di boy-scout. Perché l’islamizzazione dal

basso si realizzasse era necessario un capitale e colossale lavoro di informazione e

istruzione e l’opera che i Fratelli compirono in pochi decenni fu formidabile.

Per volere del suo fondatore, il movimento si dotò da subito di un potente

apparato di propaganda, e in particolare di attrezzature per la stampa. Pochi mesi

dopo la Lettera della Guida Suprema, pubblicata al Cairo nel dicembre 1932 –

gennaio 193387 (che si può considerare il primo documento stampato

dell’associazione) cominciano nel maggio del 1933 le uscite del primo giornale

del movimento, la “Majalla al-ikhwān al-muslimīn” (“Rivista dei Fratelli

Musulmani”, dal sottotitolo “La voce del messaggio di verità, forza e libertà”),

un settimanale che durerà quattro anni e sarà seguito, nel 1938, da un altro

settimanale politico, “al-Nadhīr” (“L’ammonitore”), chiuso poco dopo, quando

l’editore decide di unirsi alla già citata Gioventù di Muhammad, gruppo

scissionista dei Fratelli. Al-Banna’ aveva inoltre come accennato ripreso a far

uscire la storica rivista della Salafiyya di Rida, “al-Manār” dal 1939 al 1941, fino

alla definitiva chiusura per volere governativo.88

I MOTIVI DEL SUCCESSO

Il successo che Hasan al-Banna’ riuscì ad ottenere sin dal primo decennio di vita

del movimento va ricercato non solo nella forza del messaggio, perfettamente

86 M. CAMPANINI, K.MEZRAN, Arcipelago Islam…op.cit., p.43. 87 Le lettere di al-Banna’ sono raccolte nelle Rasā’il al-imām al-shahīd, pubblicate in varie edizioni in tutto il mondo musulmano. 88 Cfr. P. MANDUCHI, Questo mondo…op.cit., p.79-80.

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70

inserito nel contesto socio-politico dell’Egitto del tempo; o nel ruolo di assistenza

fornito dall’associazione, comune a molte altre organizzazioni di pari finalità. A

distinguere sin dal principio la Fratellanza è la capacità del movimento di

permeare la società egiziana attraverso modalità che collocano l’islamismo di al-

Banna’ all’interno della modernità pur propugnando un ritorno alla tradizione, in

qualche modo attingendo dai modelli della stessa secolarizzazione cui si

opponeva.

L’apparente genericità del nome dato all’associazione rivendica una distinzione

netta dai modelli di sociabilità adottati in quel periodo per cooptare le spinte dal

basso. Secondo le sue stesse parole, questo movimento non doveva essere

un’associazione, né un club, né un sindacato, né tantomeno una confraternita, ma

un’unione fondata su di un’ideologia (fikra), una morale (ma’nawiyya) e delle

azioni (‘amaliyyat)89.

Questa emancipazione intellettuale doveva necessariamente comportare un

radicale mutamento nella prassi quotidiana, monopolizzata da quel

multipartitismo artificiale che non aveva elaborato veri programmi di riforma

socio-culturali, e che aveva al contrario facilitato la penetrazione straniera nel

Paese.

L’ideologia promossa dalla Fratellanza riuscì in un periodo relativamente breve a

costruire un blocco sociale proprio, animato da un discorso sostanzialmente

alternativo a quello adottato all’epoca dalle istituzioni politiche sia al potere sia

all’opposizione. Erano riusciti ad elaborare un progetto egemonico contestando

quel modello secolare che assumerà piena maturazione nel periodo successivo.

Tale progetto si era concretizzato attraverso l’organizzazione pianificata di una

vasta gamma di pratiche volte alla maturazione di una coscienza politica islamica.

Questa ideologia era portatrice di un linguaggio nuovo, e soprattutto di una

diversa percezione dei tradizionali spazi sociali attraverso i quali si manteneva

vivo il rapporto della popolazione egiziana con l’Islam. Soprattutto, di questi 89 HASAN AL-BANNA ’, Mudhakkirat al-da’wa wa al-da’iya, Dar al-shihab, il Cairo, s.d. (ed.1966) p.76, cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani …op.cit., p.8.

Page 74: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

71

spazi rielabora la funzione: da strettamente sociale e culturale, ora quella galassia

di attori e reti assume rilevanza politica. Essa divenne un laboratorio di progetti

per il movimento, che seppe imporre nuove regole di partecipazione attiva alla

trasformazione della società.

Sotto questo punto di vista, due furono i motivi principali del successo: la rigida

ed efficiente organizzazione gerarchica ed il radicamento sociale. Tanto

funzionale era la struttura piramidale che a partire dal 1933 vennero tenuto

congressi annuali che decidevano ed indicavano la via da seguire. La propaganda

e la presenza sociale attirarono all’organizzazione le simpatie popolari ed i Fratelli

si infiltrarono profondamente nella società, istituirono scuole e ospedali, si

profusero nell’attività caritativa e assistenziale, inquadrarono i giovani in gruppi

educativi e sportivi.

L’impegno per la costruzione della società islamica era alimentato da un’attività

di diversificazione del panorama dei recettori del messaggio, nonché dei vettori di

diffusione dello stesso. 90

Durante tutto il periodo di ascesa, la preesistente rete religiosa (associazioni

islamiche, club, confraternite sufi e moschee) costituirà una piattaforma

importante per la diffusione del proprio messaggio e il reclutamento di nuovi

membri. Caratterizzandosi sin dall’inizio come un movimento religioso, la

Fratellanza poteva accedere a dei luoghi di sociabilità sostanzialmente interdetti

ai partiti politici. L’ideologia della Fratellanza si confrontava con una galassia di

associazioni che non erano portatrici istanze politiche, inoltre la sua natura

confessionale le permise di stringere contatti con quelle élites politiche locali che,

qualora al-Banna’ si fosse presentato come il leader di un partito vero e proprio,

avrebbero probabilmente mostrato maggiore diffidenza. Questa facilità di contatti

appariva ancora più evidente nei piccoli centri , dove il fattore religioso deteneva

un potere legittimante maggiore rispetto a quello politico. I Fratelli accordarono

particolare attenzione agli imam locali in quanto chiave di accesso al territorio e

scelti appositamente tra rappresentanti locali del movimento. Le moschee

90 Cfr. M.CAMPANINI, K.MEZRAN, I Fratelli Musulmani…op.cit., pp.10-14.

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72

rappresentavano un centro propulsore, anche se l’influenza del modello secolare

occidentale era tale da rendere necessari altri luoghi per l’insegnamento islamico.

Un’intensa attività di propaganda venne quindi portata avanti nei caffè, ad

ulteriore riprova di una volontà di avvicinamento al popolo, alla gente comune.

Al-Banna’ suggeriva inoltre di utilizzare quegli spazi come centri sociali per

l’alfabetizzazione delle classi più povere. 91 I nuovi ricettori sociali che emersero

nell’Egitto liberale non furono trascurati. Il movimento studentesco, fino agli anni

Trenta di marca wafdista, fu uno dei nuovi centri di reclutamento per la

Fratellanza. Inoltre, le riforme economiche, politiche e sociali avanzate dagli

Ikhwan li avvicinavano agli ordini professionali e, come vedremo, ai sindacati.

Per quanto riguarda i vettori di diffusione il Leader nelle sue memorie afferma che

il percorso individuale da solo non è sufficiente, è anzi necessaria la formazione

di un’opinione pubblica che comprenda questa ideologia. L’opinione pubblica

doveva essere orientata attraverso un messaggio semplice e coerente. Numerose,

come si è visto, saranno le riviste promosse e gestite fai Fratelli Musulmani,

diverse per temi e approcci utilizzati, fino alla decisione, presa nel secondo

Congresso (1934) di fondare una propria casa editrice completamente

autofinanziata. Accanto a questi strumenti di diffusione non si devono dimenticare

le lezioni, l’attività dei giovani missionari, e ancora la presenza dei Fratelli nelle

maggiori feste islamiche attraverso importanti dimostrazioni, il tutto fondamentale

per aumentare la visibilità del movimento.

Questa diversificazione teneva perfettamente in considerazione la complessità

della società egiziana e i diversi gradi di istruzione in essa presenti. L’obiettivo

non è mai stato quello di costruire un’alternativa escludente, ma al contrario un

consenso generalizzato. L’ideologia inglobante di al-Banna’ tentò sempre di unire

la comunità dei credenti, in una costante lotta contro ogni forma di settarismo.

L’Islam dei Fratelli consente di unificare sotto la propria guida gruppi sociali

dagli interessi differenziati, ma in egual modo sostenitori di un modello di

civilizzazione fondato sulla matrice islamica. Al-Banna’ vuole distinguersi da 91 Al-Banna, Risala nahwa al-nur, in Majmu’a rasa’il al-Imam al-shahid Hasan al-Banna, art. n.16 e n.17, p. 292 ,1937-1938; cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani …op.cit., p.11.

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73

quei partiti che prendono l’Islam come punto di riferimento (Hizb al-watani) o

quelle associazioni che, rivendicando un rinnovamento del sentimento e della

conoscenza dell’Islam, erano in realtà un’appendice di particolari fazioni

politiche. Il movimento è portatore di “un messaggio globale che non aderisce ad

alcun gruppo particolare” 92 e si diffonde così dai ceti popolari alla piccola

borghesia urbana di recente alfabetizzazione, sino agli strati sociali medio-alti,

dove penetra tra le professioni liberali, i docenti universitari, gli alti gradi militari.

La Fratellanza propone un messaggio che permette la rimozione degli interessi di

classe; in una società frammentata dalla penetrazione occidentale come quella

egiziana essi indicano una via per il superamento delle contraddizioni sociali. I

conflitti di classe sono anzi esorcizzati, in quanto minacciano l’ordine sociale

unitario cui la umma aspira e la indeboliscono nella sfida contro i nemici

dell’Islam. Questa sorta di interclassismo confessionale permette al gruppo di fare

sintesi dei diversi interessi sociali, riunendo insieme ceti rurali, masse urbane,

studenti, professionisti.93

Quanto ai rapporti col governo, l’atteggiamento ambiguo tenuto da al-Banna’ e

dai suoi successori e l’altrettanto ambiguo status dell’Associazione, che non si

presenta come vero e proprio partito pur recitando un evidente ruolo politico,

contribuiscono a spiegare l’ondivago rapporto col potere costituito. Se da un lato

infatti la necessità di una legittimazione costituirà in alcuni frangenti una spada di

Damocle pendente sul capo della Fratellanza, dall’altro questa ambiguità gli

permetterà di muoversi con sorprendente flessibilità ed in determinati casi, come

si vedrà, di defilarsi dalla centralizzazione monopartitica nasseriana. Lo stesso

accento sul concetto di “ordine islamico” anziché di “Stato islamico” permette al

gruppo una certa libertà d’azione, determinando per contro l’oscillante condotta

dei diversi regimi verso la Fratellanza, incerti tra inclusione nel sistema politico e

repressione violenta. Ancor oggi, si potrebbe dire, questa tendenza all’ambiguità e

al compromesso rappresenta una caratteristica del movimento, da un lato

contribuendo al suo successo, dall’altro giustificando i timori degli oppositori.

92 “Awlan da’wa al-Ikhwan al-muslimin da’wa ‘amma la tantasibu ila ta’ifa khassa” A L-BANNA ’, Risala da’watuna….op.cit., p.25, cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani …op.cit., p.7. 93 Cfr., RENZO GUOLO, Il fondamentalismo…op.cit., pp.6-11.

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74

GUERRA MONDIALE, NAZIONALISMO, REPRESSIONE

Nel 1939, quando si aprono le ostilità della seconda guerra mondiale, il governo

egiziano era presieduto da ‘Alī Māher. Costui, come del resto il re, nutriva

simpatie per le potenze dell’Asse, giustificate nell’ottica dell’ostilità anti-inglese.

Soprattutto l’Italia, proprio nel 1939, aveva cerca di approfondire e consolidare i

legami diplomatici con l’Egitto cercando di sfruttarne il nazionalismo, e nel

maggio Italo Balbo era giunto al Cairo per incontrare Re Fārūq. Ma le proposte di

intesa in funzione antibritannica avevano suscitato la ferma opposizione di

Muhammad Mahmūd, allora Primo Ministro e notoriamente filo-inglese.

Muhammad, malato, si dimise nell’agosto e presidente del consiglio divenne

come detto ‘Alī Māher, di simpatie diametralmente opposte. Tuttavia quelle

dell’Italia erano solo vaghe assicurazioni e non promesse di un effettivo aiuto per

sostenere Fārūq nel suo contenzioso con la Gran Bretagna, e il governo egiziano

scelse quindi una politica prudente e potenzialmente equidistante, cercando di

mantenere l’Egitto fuori dal conflitto. Naturalmente, la Gran Bretagna aveva mal

visto l’ascesa al potere di Māher, troppo fedele al Re per essere malleabile, e ,

una volta deflagrata al guerra, era più che mai intenzionata a mantenere l’Egitto

sotto la sua sfera d’influenza e sotto il suo controllo militare. D’altronde, l’ostilità

verso gli inglesi era diffusa, soprattutto tra la popolazione, ma non univoca, e in

Parlamento non mancavano esponenti favorevoli al compromesso. All’ordine dato

dal Palazzo alle truppe egiziane di non sparare al contingente italiano sul fronte

occidentale si inasprirà però il braccio di ferro con gli inglesi, che terminò con la

prevedibile sconfitta del più debole: il 28 giugno 1940 Māher fu costretto a

dimettersi, aprendo un biennio di crisi politica col susseguirsi di precari ministeri,

guidati da Hasan Sabrī e Husayn Sirrī Pascià.

Nel frattempo la situazione egiziana si era venuta complicando ed un ruolo

centrale nel far precipitare gli eventi lo ebbero proprio i Fratelli Musulmani, che

dopo aver sostenuto in un primo momento la non belligeranza, reagirono alle

Page 78: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

75

pesanti ingerenze britanniche partecipando più attivamente all’agitazione

nazionalistica contro gli occupanti. La risposta di Londra non si fece attendere:

nel maggio 1940 la Guida Suprema dei Fratelli venne trasferita nell’Alto Egitto,

con l’accusa pretestuosa di aver trascurato il proprio lavoro di dipendente statale

del ministro dell’Educazione. L’esilio fu breve, poiché al-Banna’ poté tornare al

Cairo già in settembre, ma qui fu nuovamente arrestato, mentre l’associazione

vedeva chiudere i propri periodici e revocare il proprio diritto di riunione e

propaganda.

In queste concitate fasi al-Banna’ stabilirà contatti con ‘Alī Māher e Aziz al Masri

Pascià, capo di stato maggiore dell’esercito e fervente nazionalista, in un intreccio

di relazioni che includeva oltre ai Fratelli anche esponenti del Palazzo fedeli al re,

studenti universitari, ufficiali dell’esercito. Non mancò chi lesse

nell’atteggiamento di al-Banna’ una deplorevole ambiguità anziché una

lungimirante azione politica. Alcuni esponenti dei Fratelli non condividevano

l’amicizia del loro leader con Māher, temendo una collusione dell’organizzazione

con il potere. La Guida Suprema si mosse però con cautela, cercando di non

recidere del tutto i legami con le autorità costituite, probabilmente al fine di

evitare una definitiva messa al bando dei Fratelli che avrebbe pregiudicato

l’attività di propaganda. Di fatto, pare che nel 1941 si ebbero contatti persino con

l’ambasciata britannica, anche se non tutti concordano sul significato da dare a

questa opzione politica. Questo atteggiamento tattico, al limite del cedimento e

del compromesso e sancito definitivamente dalla partecipazione alle elezioni

politiche del 1941, si scontrava col progressivo sviluppo dell’Apparato Segreto

dell’associazione che mirava al contrario ad un intervento radicale. L’apparato,

che avrebbe assunto dopo la guerra connotati terroristici, sfuggì senza dubbio al

controllo di al-Banna’, il quale, personalmente, era con tutta verosimiglianza

contrario ad azioni di forza fini a se stesse, valutando senza dubbio che la guerra

in corso e la determinazione inglese non costituissero fattori propizi ad una

affermazione del suo movimento.

Page 79: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

76

Queste vicende fanno comprendere quanto forti dovessero essere le

preoccupazioni inglesi nei confronti dei Fratelli, delle alte sfere dell’esercito

parzialmente inquinate dai rapporti con i movimenti rivoluzionari e della cui

fedeltà alla Gran Bretagna era lecito diffidare (si erano già manifestate quelle

inquietudini e quelle inclinazioni radicali che avrebbero condotto alla formazione

del gruppo nazionalista e rivoluzionario degli Ufficiali liberi, desinato a condure

la rivoluzione del 1952), e soprattutto di Re Fārūq. Inoltre, il ristagno economico

non contribuiva certo a risvegliare le simpatie dell’opinione pubblica verso la

Gran Bretagna, ai cui interessi bellici la politica egiziana sembrava

accondiscendente.

Dopo ulteriori tensioni generate dalla decisione del governo di Pascià di rompere

le relazioni diplomatiche con la Francia collaborazionista di Vichy, la Gran

Bretagna passò alle maniere forti con un vero colpo di Stato. Il 4 febbraio 1941 i

carri armati inglesi circondarono il palazzo reale al Cairo e a Re Fārūq fu imposto

un ultimatum: insediare un governo stabile fedele a Londra che tenesse sotto

rigido controllo le spinte disgregatrici o perdere il trono. Fārūq cedette,

chiamando a gestire il consiglio dei ministri il veterano Mustafà al-Nahhās, in cui

gli inglesi trovarono un pragmatico alleato. Le elezioni successivamente indette

diedero vita ad un organismo più compiacente gli interessi inglesi, e questa volta

trovarono nei nazionalisti del Wafd un insperato alleato: ‘Alī Māhēr venne

arrestato; numerosi cospiratori tra cui il futuro presidente Sadat, affiliato ai

Fratelli Musulmani e in stretti rapporti con al-Banna’, vennero incarcerati.

Il colpo di mano del 4 febbraio 1942 scredita il Wafd, un movimento popolare in

declino che ora si rivelava disposto a collaborare con l’occupante pur di ottenere il

potere, e contemporaneamente il re, piegato al dominio britannico. Alcuni militari,

tra cui l’allora sconosciuto Muhammad Najib , protestarono vivacemente per la

debolezza mostrata dall’Egitto. Le preoccupazioni inglesi si dividevano frattanto

tra instabilità interna e difficoltà belliche, ma la vittoria di el-Alamein dell’ottobre

1942 frustrò le ambizioni italo-tedesche lasciando alla Gran Bretagna il controllo

del Paese. Dissoltosi il pericolo di una caduta in mano tedesca o italiana,

Page 80: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

77

nell’ottobre del 1944 Fārūq riuscì a liberarsi di al-Nahhās ed ha instaurare un

governo più congeniale, mentre molti prigionieri politici vennero liberati.

Si trattava però solo di una parentesi. I disordini più gravi seguirono infatti la

decisione del governo di dichiarare finalmente guerra alla Germania, il 24

febbraio 1945, a guerra quasi conclusa. Era un gesto in qualche modo dovuto, ma

venne visto dall’opinione pubblica come un’altra concessione all’occupante

inglese: il primo ministro Ahmad Māher (fratello di Ali Māher) venne assassinato,

quindi venne fatta esplodere l’automobile di al-Nahhas, mentre pochi mesi dopo

venne ucciso un esponente dell’ala anglofila del parlamento, Amīn ‘Otmān.

Anche i simboli dell’occidentalizzazione furono presi di mira nelle maggiori città

del Paese e la situazione andava progressivamente sfuggendo di mano ai

responsabili dell’ordine pubblico. Esplosero anche violenti contrasti sociali,

esasperati dalla crisi economica in cui versava il Paese, che condussero nel

febbraio 1945 alla costituzione del comitato nazionale degli operai e degli

studenti, testimonianza del fermento che agitava l’intellighenzia più consapevole e

testimone del progressivo affermarsi di una tendenza “socialista” che confluirà

qualche anno dopo nel “socialismo arabo” nasseriano.

Parallelamente, l’apparato segreto dei Fratelli Musulmani, ormai completamente

sfuggito all’autorità di Al’Banna, portò a termine alcune azioni violente, tra cui

l’uccisione il 22 marzo 1948 di Ahmad al-Khazindari bey, giudice colpevole di

aver condannato all’ergastolo due ikhwan. E’ l’inizio di un’escalation di violenza

senza precedenti. L’associazione venne sciolta nel dicembre seguente, e tre

settimane più tardi un fratello musulmano dell’apparato segreto uccise il primo

ministro Fahmī al-Nuqrāshī, che aveva siglato l’atto di scioglimento del

movimento con l’accusa di “tentativo di rovesciare l’ordine stabilito, terrorismo,

assassinio” 94. Si temeva infatti che la Fratellanza, che si sospettava autrice di

molti attentati, riuscisse a rovesciare l’ordine costituito. La reazione

dell’establishment non si fece attendere: il 12 febbraio 1949 un commando

(probabilmente armato dalla polizia o dallo stesso governo con la connivenza

delle autorità britanniche, anche se non si è mai fatta piena luce sull’’episodio)

94 PATRIZIA MANDUCHI , Questo mondo non è luogo…op.cit., p. 81.

Page 81: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

78

assassinava Hasan al-Banna’, che da quel momento è ricordato come martire

(shahīd).

Gli Ikhwan cercarono di pianificare l’ennesima ritorsione, ma il colpo venne

sventato dalle forze dell’ordine. Per i Fratelli fu una tragedia immane, ma il

movimento non vacillò. L’infaticabile opera di propaganda perseguita per anni

dalla Guida Suprema passò ai suoi compagni e discepoli, anche a livello teorico,

con l’intensa opera di recupero dei pochi scritti che al-Banna’ aveva lasciato. A

capo dell’associazione venne posto inizialmente Salih ‘Ashmawi, già segretario

generale, quindi nel 1951, dopo che la Fratellanza fu nuovamente riconosciuta

dalle autorità egiziane, il giudice Hasan al-Hudaybi divenne Guida suprema, ruolo

che ricoprì fino al 1973. Esattamente come il fondatore, Hudaybi non era in grado

di mantenere a freno l’apparato segreto, la posizione ufficiale dei Fratelli fu

tuttavia moderata, e la dirigenza della nuova Guida come vedremo non disdegnerà

di prendere contatti col Palazzo.

Nel 1948 scoppiava inoltre la guerra di Palestina, la prima, ufficiale, guerra arabo-

israeliana che inaugurava il periodo di lotta dichiara tra gli arabi e Israele non

ancora concluso. Il coinvolgimento in Palestina non era stato visto

favorevolmente dal primo ministro Fahmi al-Nuqrāshī, che dubitava

dell’efficienza degli eserciti arabi, ma l’opinione pubblica era insorta, sull’onda di

un’estrema agitazione emotiva. Decisivo fu poi l’atteggiamento favorevole del re,

mosso da calcoli probabilmente di opportunismo e prestigio. I Fratelli Musulmani

diedero alla lotta un valore religioso e molti volontari partirono per il fronte,

decidendo però di combattere non con le truppe egiziane, ma in gruppi autonomi

volontari, denominati Jawwāla, facendo numerosi proseliti anche tra le forze

armate.

Le truppe egiziane combatterono valorosamente, ma soffrirono dure sconfitte.

Non si trattò solo di imperizia da parte degli alti comandi, quanto di

impreparazione ed evidenti carenze negli equipaggiamenti militari. Lo scandalo

delle armi difettose venne alla luce e l’inchiesta condusse a clamorose dimissioni,

Page 82: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

79

ma alla lunga venne insabbiata. Molti però percepirono questo dramma come un

tradimento, ed in ogni caso dimostrava come la classe politica egiziana cinica e

corrotta fosse lontana dal sentire popolare. La guerra di Palestina e il disastro

affrontato dalle truppe arabe e soprattutto egiziane, caratterizzarono senza dubbio

il consolidamento del movimento degli Ufficiali Liberi che avrebbe condotto la

rivoluzione del 1952.95

SAYYID QUTB : L’ISLAM è LA SOLUZIONE

Sayyid Qutb (1906-1966) è uno degli intellettuali che più hanno influenzato

l’evoluzione dell’islamismo nel mondo arabo ed oltre, per il suo pensiero ,

rivoluzionario nel contenuto e limpido nell’esposizione, e per il ruolo di shahid

(martire) che il governo di Nasser gli ha riservato.

Vale la pena ripercorrere brevemente le tappe della sua vita perché le vicissitudini

personali, accanto ai mutamenti in atto nel Paese, hanno contribuito a trasformare

questo professore, fervente nazionalista e scrittore discretamente noto nell’Egitto

degli ultimi anni della monarchia e nei primi dell’era nasseriana, in una figura di

spicco della Fratellanza e nel probabilmente più noto teorico del radicalismo

estremista contemporaneo.96

Sayyid Qutb nasce il 9 ottobre 1906 a Musha, un paesino del Medio Egitto, in

una famiglia di piccoli notabili rurali in declino. Si tratta di un villaggio dalla

popolazione ibrida, islamica e cristiana, che presenta sia la scuola coranica

(Kuttab) sia la scuola governativa. Benché vantasse in famiglia due laureati ad al-

Azhar fu proprio la scuola pubblica che il giovanissimo Qutb andò a frequentare,

dopo un breve quanto insoddisfacente soggiorno al Kuttab: affrontò da solo gli

studi coranici, imparando il testo sacro alla perfezione prima del compimento del

decimo anno d’età. Sin da tenera età fu sensibilizzato alla politica e alla religione:

95 Per una ricostruzione delle concitate fasi storiche qui riassunte si veda in particolare: M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., pp. 97-120. 96 Sulla biografia di Qutb si vedano in particolar modo: P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit. ; GILLES KEPEL , Il Profeta e il Faraone. I Fratelli Musulmani alle origini del movimento islamista, Editori Laterza, Bari 2006 [ed.orig.1984]; SAYYED KHATAB , The political thought of Sayyd Qutb, Routledge, London- New York 2006.

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80

il padre, lo haji Qutb Ibrahim, era delegato di Musha per il Partito nazionale di

Mustafa Kamil, abbonato al giornale di partito, ed organizzatore presso la sua

dimora di frequenti riunioni politiche di stampo antibritannico. Il giovane Qutb, si

noterà, nasce e vive i primi anni della sua vita nell’epoca più significativa della

lotta per l’indipendenza, e la sua parabola umana attraverserà le fasi salienti della

storia dell’Egitto, dapprima protettorato britannico, quindi indipendente sotto la

monarchia di Fu’ad (1917-1936) e Fārūq (1937-1952) , infine, dopo il 52,

repubblicano con i presidenti Neguib e Nasser.

Gli avvenimenti della sua prima infanzia sono raccolti nell’autobiografia “Un

bambino di paese” 97, che porta per altro una dedica a Tāhā Husain (1889-1973),

celebre intellettuale e letterato egiziano, simbolo del pensiero riformista e laico,

che pur giungendo a posizioni ideologiche diametralmente opposte, funge qui da

modello per la penna di Sayyid. Quello che esce dalle pagine è un Egitto in cui

solo i grandi centri urbani percepiscono un certo grado di modernizzazione/

occidentalizzazione, mentre la vita contadina rimane immutabilmente scandita dai

ritmi naturali e caratterizzata da un vincolo di solidarietà tra gli abitanti del

villaggio più forte di qualsiasi identità nazionale e persino dell’appartenenza alla

Umma. La stessa religiosità popolare è spesso poco o per nulla vicina alla

ritualità islamica e sempre in equilibrio precario di fronte alle novità della

modernizzazione, in un ambiente in cui superstizioni e credenze ancestrali

convivono con pratiche islamiche ortodosse e rispettano le pari usanze della

nutrita minoranza cristiano copta.98 La voce dello scrittore adulto non risparmia

alcune ironiche considerazioni su questo islam imbarbarito e per i suoi maestri, ed

in tutta la produzione seguente avrà modo di ribadire questo suo rigetto verso

l’ establishment religioso, che giudica ignorante, corrotto, ormai lontano dal vero

islam e dalla gente:

“Altri dubbi scaturiscono dal confondere l’idea della religione stessa con quelli che sono

chiamati “uomini di religione”. Costoro sono, fra le creature di Allah, i più lontani dal

97 SAYYID QUTB, Tifl min al-qary’ a dar ash-shuruq, il Cairo 1946. La traduzione utilizzata è di JOHN CALVERT, WILLIAM SHEPPARD, Sayyd Qutb. A child from the village, Syracuse University Press, Syracuse, New York 2004. 98 Per un riassunto e commento delle pagine di “Un bambino di paese” si veda P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., pp. 24-38.

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rappresentare l’Islam e il suo pensiero […] Ci sono alcuni che pensano che la legge

dell’Islam si identifichi con quella dello shaykh e dervisci! […] Nulla di ciò nell’Islam

puro e corretto. Non ci sono abiti speciali per shaukh e dervisci.”99

Nelle memorie d’infanzia di Qutb grande spazio è riservato anche alla tematica

nazionalista. Il crescente entusiasmo per la lotta all’indipendenza si era spinto

anche al villaggio:

“Si era verso la fine della Prima Guerra Mondiale. La scuola aveva un preside giovane

e infiammato di spirito patriottico. Siccome il padre del ragazzo (Qutb, ndr) era un

membro del comitato del Partito Nazionalista e costante lettore di un quotidiano, la sua

casa divenne un luogo d’incontro per gli uomini del villaggio che supportavano il Partito

Nazionalista.[…] Al ragazzo fu permesso di partecipare ad alcune discussioni che

avevano luogo durante questi incontri, ma altri incontri erano segreti e nessuno ne sapeva

nulla. […] L’intero villaggio era dalla parte della Turchia , lo Stato del Califfato islamico,

e contro gli Alleati, che rappresentavano gli “infedeli” che combattevano l’Islam.[…]

Questi incontri impressero nella sua mente (del ragazzo, ndr) un sentimento indefinito

che ancora non conosceva.[…] Quando suonò la tromba della grande rivoluzione

egiziana, il preside davanti agli studenti riuniti fece un fiero discorso patriottico. Disse

che la scuola sarebbe stata chiusa a tempo indeterminato perché lui e i suoi colleghi

stavano partendo per fare la rivoluzione. Era il dovere di ogni persona! [...] Egli (il

ragazzo, ndr) si sentiva esplodere di entusiasmo per la rivoluzione e scrisse discorsi ai

quali aggiungeva versi di poesia.[…] Li recitava nelle sale di riunione e nelle moschee,

dove soffiava lo spirito della sacra rivoluzione. […] Poi giunse il nuovo, sacro nome: il

nome di Sa’ad Zaghlul!”100

Sa’ad Zaghlul (1859-1927) era l’eroe nazionale di quegli anni, capo del partito

indipendentista del Wafd, amatissimo dal popolo dopo la sua espulsione per

ordine britannico il 9 marzo 1919, seguito dall’esilio a Malta. Fu la scintilla che

fece scoppiare la “prima rivoluzione” degli egiziani, in cui persero la vita circa

ottocento persone, e che si placò solo con la liberazione di Zaghlul. La

99 SAYYID QUTB, Ma’raka al –islam wa’l-ra smaliyya (La battaglia dell’Islam contro il capitalismo), Dār arh-shurūq, Cairo 1950, pp. 63, 69-70, cit. in P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 31. 100 Ivi, pp. 92-96.

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delegazione del Wafd (che significa appunto “partito della delegazione”) si recò

alla conferenza di Pace di Parigi ma non ottenne alcun risultato di riguardo e le

persecuzioni continuarono, ma alla fine del protettorato inglese sarà proprio il

partito nazionalista a dominare la scena politica egiziana. Il giovane Qutb era

completamente affascinato da questa figura eroica, come tanti suoi connazionali

dell’epoca. I temi della giustizia sociale, dell’indipendenza, e della lotta per i

propri diritti, dominanti nella prima parte della sua produzione letteraria, non

saranno mai marginali, nemmeno quando l’Islam diventerà la pietra angolare del

suo pensiero.

Abbiamo lasciato Qutb ragazzino nelle campagne del Medio Egitto e lo

ritroviamo al Cairo nel 1921, con due anni di ritardo causa interruzioni belliche

rispetto alle decisioni prese dalla famiglia per gli studi del figlio. Alloggia per

quattro anni di cui si conosce ben poco in un sobborgo cittadino, ospite di uno zio,

giornalista e wafdista, prima di entrare alla Scuola Normale per Istitutori,

terminata la quale approda a Dar al-‘Ulum (“Casa delle Scienze”), un istituto

modernista di formazione all’insegnamento.101 Qui si laurea nel 1933, poi per

sedici anni lavorerà alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione, per il

quale insegna e redige progetti di riforma scolastica puntualmente scartati dai suoi

superiori. Parallelamente conduce un’attività di letterato, anche grazie alla

collaborazione del suo mentore, il noto scrittore Mahmud ‘Abbas al-‘Aqqad

(1889–1964) presentatogli dallo zio, e proprio la critica letteraria sarà principale

argomento delle sue pubblicazioni fino alla fine della seconda guerra mondiale.

Fino al 1945 risulta membro del Wafd, ma in questa data abbandona i partiti, per

lui inadeguati simboli di un’epoca passata, e la sua attenzione si sposta dalla

letteratura al nazionalismo e alle tematiche sociali. Questa evoluzione si sposa

perfettamente col dibattito politico e culturale di quegli anni, in un Egitto

caratterizzato sin dagli anni ’30 da un precario gioco di equilibrio tra monarchia ,

Gran Bretagna e opposizione dei partiti (Wafd in primo luogo) in cui in pochi

godono dei frutti dell’occidentalizzazione e molti, soprattutto nelle campagne da

cui Qutb proveniva, soffrono la fame. Un Egitto nel cui vivace dibattito culturale

101 GILLES KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 15.

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l’Islam si avvia a divenire per molti la risposta adeguata ad una vera rinascita

nazionale. Anche i Fratelli Musulmani notano la propensione verso tematiche

della cultura e della tradizione islamica nelle pubblicazioni del giovane

giornalista, e alcuni suoi articoli trovano spazio sul loro giornale, la “Majalla al-

ikhwan al-muslimin”, ma senza che da ciò derivasse un avvicinamento particolare

di Qutb alla giovane Associazione.102

L’uguaglianza degli uomini senza distinzioni e l’Islam come sistema giusto ed

eterno (“al-islam huwa al-hall”, “l’Islam è la soluzione”) sono il filo conduttore

dei numerosi articoli pubblicati nel dopoguerra sugli organi di stampa all’epoca

più impegnati e diffusi, tra cui “Sahifat al-hizb al watani” (“Giornale del Partito

Nazionale”), “al-Liwa” (“La Bandiera”), “Sahifat hizb misr al-fatat” (“Giornale

del partito del Giovane Egitto”), “al-Ishtirakiyya” (“Il Socialismo”). Diventa

direttore, nell’aprile 1947, della rivista scientifica “al-‘alam al –‘arabi” (“Il

Mondo Arabo”) e fonda, nel gennaio 1948, il settimanale “al-fikr al-jadid” (“Il

Nuovo Pensiero”), che avrà vita breve per la censura del governo. Il 1948 è un

anno turbolento per l’Egitto e tutto il Vicino Oriente: il 14 maggio gli inglesi

lasciano la Palestina e il giorno successivo Israele si autoproclama Stato

Indipendente, scoppia la prima guerra arabo-israeliana. La tagliente vena

polemica nei confronti del governo degli scritti di Qutb lo inimicherà al sovrano,

tanto da spingerlo ad un “esilio volontario” per evitare il carcere. Nel novembre

del 1948 viene quindi inviato a tempo illimitato negli Stati Uniti dal Ministero

della Pubblica Istruzione, ufficialmente per studiare il sistema scolastico pubblico

americano, implicitamente per liberarsi di un intellettuale scomodo ed

intransigente. Il viaggio, che doveva nelle intenzioni governative farne un cantore

dell’occidentalizzazione, rappresenterà una svolta nella sua vita e lo consegnerà al

suo ritorno alla causa dei Fratelli Musulmani.

La società americana lo disgusta: lo disgustano il suo culto del dollaro, la sua

promiscuità sessuale, la sua ferocia verso i più deboli. Al suo ritorno, nel 1951,

Qutb scriverà pagine durissime su quanto ha visto, tali da costringerlo alle

102 P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 43.

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dimissioni dal Ministero. La sua fede islamica non aveva mai vacillato, ma dal

soggiorno americano riaffiora, rinvigorita, nella sua dimensione sociale, come

unica ancora di salvezza dalla deriva occidentale. L’America che accoglie Qutb è

quella del pieno boom economico del dopoguerra, le strade sono gremite e

luccicanti in vista del Natale, ma al visitatore di Musha appaiono un miscuglio di

criminalità, insicurezza, alcolismo, prostituzione. In un articolo che sarà

pubblicato con il titolo “Hama’im fi New York” (“I piccioni di New York”) sul

giornale “Al-kitab” nel dicembre 1949 Qutb descrive la città come un’enorme

officina, frenetica, chiassosa, grigia e sporca, dove persino i piccioni sembrano

tristi e apatici. 103 Non solo, mentre si trova in convalescenza all’ospedale della

George Washington University, operato di tonsille, viene raggiunto dalla notizia

della morte di Al-Banna’ (12 febbraio 1949) , ed assiste alla reazione compiaciuta

(ed invero forse un po’ esagerata dalla penna del nostro, dal momento che Al-

Banna’ non era un personaggio così noto, ndr) dei media americani. Nemmeno il

trasferimento in una tranquilla cittadina di provincia modifica la sua opinione

della società a stelle e strisce, si convince anzi dell’ipocrisia che a fatica nasconde

sotto ad un tappeto di pacatezza e coesione una società in realtà avida e razzista.

“Questa grande America: quanto vale nella scala dei valori umani? E che cosa essa ha

aggiunto al conto finale delle acquisizioni morali dell’umanità? E, alla fine del viaggio,

quale sarà stato il suo contributo? Temo che non ci sia un equilibrio fra la grandezza

materiale dell’America e la qualità del suo popolo.[…] Il reale valore di ogni civiltà

conosciuta dall’uomo non sta negli strumenti che egli ha inventato o in quanto potere egli

esercita, […] il valore delle civiltà si trova in quelle verità universali e universalmente

note che esse hanno raggiunto. Queste conquiste elevano i sentimenti, edificano le

coscienze, aggiungono profondità alla percezione umana dei valori della vita.” 104

Estraniato dall’ambiente circostante comincerà a scrivere una serie di lettere

indirizzate in Egitto, in cui sottolinea l’ingratitudine degli Stati Uniti verso la

103 JOHN CALVERT, The World is an Undutiful Boy: Sayyd Qutb’s American Experience, in Islam and Christian-Muslim Relations, II, n.I, 2000, cit. in P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 54. 104 Originariamente si tratta del testo di un’altra missiva indirizzata a Tawfiq al-Hakiim, come riporta SAYYED KHATAB , The Political Thought of Sayyid Qutb, Routledg, Abington-New York 2006, p. 142, cit. in P.MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 59.

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grande civiltà egiziana (sono gli anni in cui gli USA si schierano apertamente in

favore della causa sionista, ndr) e il gioco a cui l’uomo bianco costringe il suo

popolo, ma anche la complicità della classe degli intellettuali arabi che non

percepiscono gli appelli del popolo e dei giovani:

“Questa generazione arrabbiata dovrà essere reclutata per stabilire un nuovo sistema

politico. Non aspettiamoci soluzioni prefabbricate da Mosca o da qualcun altro […] le

nostre soluzioni dovranno essere originate ed essere sviluppate dalla nostra cultura, nel

nostro ambiente e con le nostre circostanze.”105

Si lascia andare nelle stesse pagine ad un’analisi sociologica:

“La produttività americana non è eguagliata da nessun’altra nazione. Il livello di vita è

miracolosamente e incredibilmente elevato, ma l‘uomo non può mantenere il suo

equilibrio senza rischiare di essere trasformato in una machina. Non può sopportare il

peso di un lavoro estenuante e mantenere inalterata la sua umanità, ed è così che egli

libera l’animale che ha dentro. […] Siamo di fronte al caso di un popolo che ha raggiunto

l’apice della crescita e la massima elevazione nelle scienze e nella produttività,

rimanendo abissalmente primitivo nel campo della sensibilità, dei sentimenti, del

comportamento. […] La confusione svanisce non appena si osserva il passato e il

presente di questo popolo, che rivela immediatamente la ragione di questo zenit di civiltà

combinato con questo nadir di arretratezza.[…] Mentre affrontava la natura […] e

combatteva per costruire la sua patria con le nude mani, la scienza applicata fu la sua più

grande alleata in questa lotta violenta. La scienza applicata gli procurò effettivamente gli

strumenti per creare, costruire, organizzare, produrre”106

Nell’uomo americano dunque la mancanza di una storia antica e la durezza delle

condizioni in cui sorse la nuova nazione hanno generato un insano credo nel

progresso inteso come miglioramento materiale, come spinta violenta alla ricerca

delle migliori condizioni possibili, a svantaggio dell’evoluzione del pensiero e

dello spirito. Eppure:

105 Si tratta di una lettera riportata in S.KHATB , The Political…op.cit. p.145 e pubblicata sulla rivista “Ar-risāla” il 31 luglio 1950. 106 Ibid.

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“Quando l’umanità chiude le finestre alla fede nella religione, alla fede nell’arte e alla

fede nei valori spirituali, non le rimane alcuno sfogo per questa energia se non nel regno

della scienza applicata e del lavoro, o nella dissipazione nei piaceri dei sensi. Questo è il

punto dove l’America è finita dopo quattrocento anni.” 107

E’ non a caso durante l’esperienza statunitense , di cui ha lasciato il resoconto,

“Amrika allati ra’ aytu” (“ l’America che ho visto”)108, affidato al suo rientro alle

pagine della rivista letteraria “Ar-risala”, che Qutb scrive un’opera che avrà

grande successo in patria, e che è una chiave di volta nella sua filosofia: “Al-

‘adala al-ijtima’iyya fi’l-islam” (“La giustizia sociale nell’Islam”) , il primo libro

“islamista” che pur precedendo cronologicamente la sua ufficiale conversione alla

Fratellanza è legato strettamente alle successive pubblicazioni. Tratta del

rapporto tra religione e società, con continui paralleli tra Cristianesimo ed Islam,

ad evidenziare la superiorità di quest’ultimo. Lancia una dura critica al principio

di separazione tra religione e politica, alla base delle società occidentale, poiché

Dio è centro ed origine di ogni cosa e al suo ordine si deve attenere qualsiasi

società che voglia realizzare la giustizia tra gli uomini. Matura un concetto chiave

nella filosofia qutbiana che verrà ulteriormente precisato in seguito, il concetto di

società jahilita, la società “ignorante” del periodo preislamico, che non conosce la

legge di Dio, la shari’a, che si illude l’adozione di modelli esterni occidentali

possa portarla verso il progresso.

“La società islamica oggi non è veramente islamica.[…] Nella nostra moderna società

non giudichiamo in base a ciò che Dio ha rivelato; la base della nostra economia è l’usura

(riba), le nostre leggi permettono l’oppressione piuttosto che punirla, la tassa per i poveri

(zakat) non è più obbligatoria, e non pesa nel modo dovuto. Permettiamo la stravaganza

e il lusso che l’Islam proibisce; permettiamo il morire di fame.”109

107 Ibid. 108 La traduzione qui utilizzata è di TAREK MASOUD, AMMAR FAKEEH, L’America che io ho visto. Nella scala dei valori umani (1951), cit. in KAMAL ABDEL -MALEK , America in an Arab Mirror. Images of America in Arabic Travel Literature. An Anthology (1895-1995), St. Martin’s Press, New York 2000, pp. 9-27. 109 SAYYID QUTB, al-‘adāla al-ijtimāiyya fī’l-isl ām, cit. in W. SHEPARD, Sayyd Qutb and islamic Activism: a Translation and Critical Analysis of Social Justice in Islam, Brill, Leiden 1996, p.321, cit. in P.MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p.48.

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L’Islam sarebbe in grado di risolvere i problemi della società basandosi sulla

giustizia sociale (al-adala al-ij-tima’iyya) insita nel Corano. Siamo nel pieno

dell’ideologia radicalista: il sistema politico islamico è superiore a tutti gli altri

sistemi socio-politici perché è il sistema previsto da Allah. Liberalismo,

capitalismo, persino il nazionalismo, non possono sfuggire alla propria fragilità.

Qutb descrive con meticolosità come l’Islam abbia nel corso della storia risposto

alle esigenze di qualsiasi società in qualsiasi tempo. Sottolinea l’armonia che esso

ha creato tra uomo e natura e tra uomo e uomo, figlie di una vita coerente con la

Legge di Dio, l’unica perfetta. Le società possono divenire realmente islamiche

solo seguendo i principi islamici nel proprio vivere quotidiano perché nell’Islam

vita spirituale e temporale sono intrinsecamente legate. L’Islam è un sistema

totalizzante ed unitario, onnicomprensivo e coerente, è “din wa dunya wa dawla”

(religione, società, Stato). Ma, soprattutto, l’Islam è ora per Qutb “al-islam huwa

al-hall” , la soluzione.

Il RITORNO DI QUTB, I FRATELLI, L’ILLUSIONE

RIVOLUZIONARIA

Al suo ritorno, il 20 agosto 1950, Qutb è accolto da un Egitto in cui ormai sono

poste le radici per la rivoluzione degli Ufficiali Liberi che avverrà due anni più

tardi, con un popolo ormai logorato dall’alto tasso di povertà e sempre più

insofferente verso Re Fārūq , il suo lusso sfrenato ed il suo malgoverno. In questo

contesto sociale depresso si è fatta sempre più strada sin dalla sua fondazione

l’Associazione dei Fratelli Musulmani con la sua opera assistenziale ed il suo

proselitismo religioso e morale. Qutb vi aderirà ufficialmente nel 1951 e ne

diventerà da subito massimo teorico, orfana com’era l’associazione dalla figura

dello scomparso Al-Banna’. “Sono nato nel 1951”, dirà, a sottolineare quanto

questo evento faccia da spartiacque nella sua vita e nel suo pensiero.

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Al rientro, preannunciato sulle colonne dal giornale “ar-Risala”, ricevette molte

visite, da parte di intellettuali ma anche di giovani militanti affascinati dai suoi

scritti. Nei due anni successivi all’assassinio di Al-Banna’ ne prese

temporaneamente il ruolo Salih’Ashmawi, che volle fortemente l’affiliazione con

Qutb. Per breve tempo il nostro continuò anche a lavorare per il Ministero

dell’Educazione, ma, data l’evidente incompatibilità tra le sue conclusioni anti-

istituzionali e il ruolo ricoperto, già dal 52 rassegnò le dimissioni, accettate solo

due anni più tardi. Il 1950 non è solo l’anno del ritorno a casa ma anche l’anno

del suo primo haji, il Grande Pellegrinaggio a la Mecca, importante non solo per

la sua piena maturazione religiosa ma anche perché quivi incontra il grande

intellettuale indiano Abu al-Hasan an-Nadawi (1913-1999), e secondo alcuni

studiosi110 questi lo inizia al pensiero del pakistano Abu’l-A’la al-Mawdudi, che

enorme influsso avrà sulla sua maturazione filosofica. Nel 1951 pubblica

“Ma’rakat al-islam wa’l-ra’smaliyya” (“La battaglia dell’Islam contro il

capitalismo”), in cui critica il capitalismo ed esalta le potenzialità del sistema

islamico per combattere i disequilibri socio-economici in particolare facendo leva

sulla zakat e il divieto dell’usura (riba). Ma soprattutto il 1951 è l’anno in cui

entra ufficialmente a far parte della Fratellanza. Lo fa in un momento particolare,

quando il movimento si stava riprendendo dalla perdita del suo leader fondatore e

dalla prima dura repressione, in concomitanza con l’avvio della lunga fase di

Guida Suprema di Hasan al-Hudaybi (successore di Al-Banna dal ’51 al ’73).

Grazie al suo valore e prestigio diviene immediatamente membro del direttivo

(maktab al-rashad) e capo della Sezione per la Diffusione dell’Islam (nashr al-

da’wa) dove si adopera fruttuosamente per la diffusione del messaggio. Dopo la

repressione e la censura, all’inizio degli anni Cinquanta riaprono alcuni giornali

vicini ai Fratelli e Qutb vi partecipa attivamente. Il tono dei suoi articoli, pur

intransigente rispetto al degrado dei costumi dei connazionali, è tuttavia ancora

moderato e Qutb risulta molto vicino agli alti gradi del movimento, con cui negli

anni seguenti maturerà una netta rottura.

110 P.MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 82.

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Frattanto i tempi sono come detto ormai maturi per la “Rivoluzione Benedetta” (

thawra mubaraka), così come fu ribattezzato da Hudaybi il colpo di stato degli

Ufficiali Liberi, che soverchia la monarchia ed instaura la repubblica. Il golpe fu

portato a termine senza spargimenti di sangue nella notte fra il 22 e 23 luglio con

l’appoggio di tutte le forze politiche e sociali tra cui i Fratelli, che garantirono

appoggio logistico e adesione della popolazione. I Fratelli condividevano

l’urgenza di cambiamento delle forze militari e ritenevano di poter ispirare la

politica del nuovo governo, rappresentando un anello di congiunzione tra

l’esercito e l’Islam che doveva guidarne le azioni ; inoltre il socialismo arabo, uno

dei tratti predominanti della propaganda nasseriana, rivendicava una matrice

islamica a differenziarlo dal socialismo scientifico (sintetizzando sono qui assenti

il conflitto di classe e l’ateismo e la proprietà privata è tutelata benché in un’ottica

sociale)111 ed era promotore di un programma sociale che ben si conciliava con

l’ideale della Fratellanza: uguaglianza degli uomini, esaltazione della giustizia

sociale, cooperazione tra le classi, equa distribuzione delle risorse, erano parole

d’ordine dell’uno come dell’altro movimento. Anche dal punto di vista personale i

legami con gli Ufficiali erano molto stretti: alcuni di loro erano affiliati alla

Fratellanza, lo stesso colonnello Jamal’abd al-Nassir, con il nome di ‘Abd al-

Qadir Zaghlul, faceva parte del movimento, e vi erano stati già contatti di Anwar

as-Sadat e dello stesso Nasser con Al-Banna’ fra il 1040 e il 1944 e poi, nelle fasi

immediatamente precedenti la sollevazione, con Hudaybi.112 Quanto al generale

Neguib, primo presidente ufficiale dell’Egitto repubblicano, aveva manifeste

simpatie per la Fratellanza, che gli rimase vicina anche quando nel 1954 si dimise

ritirandosi a vita privata, dopo essere stato accusato di aver tradito gli ideali della

rivoluzione e forse proprio per la sua vicinanza alla Fratellanza, con cui i rapporti

erano ormai cambiati. Sayyid Qutb ha un ruolo importante nei giorni del putsch.

Partecipa attivamente all’organizzazione e proprio nel salotto di casa sua “ Nasser

e i militari cospiratori si erano incontrati per coordinare il colpo di mano con i

Fratelli Musulmani. Parecchi degli Ufficiali, compreso Anwar al-Sadat, che

sarebbe stato il successore di Nasser, avevano stretti legami con la Fratellanza. Se

111 Sull’argomento si veda in particolar modo MASSIMO CAMPANINI, La teoria del socialismo in Egitto, Centro Alfarabi, Palermo 1987. 112 P.MANDUCHI, Questo mondo non è luogo…op.cit., p. 86.

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il colpo fosse fallito, i Fratelli avrebbero aiutato gli ufficiali a fuggire. In realtà il

Governo cadde così facilmente che l’effettiva partecipazione dei Fratelli

all’operazione si ridusse a ben poca cosa” 113. Nell’agosto del 1952 Qutb tenne un

famoso discorso intitolato “Emancipazione intellettuale e spirituale nell’Islam” al

circolo degli Ufficiali, in cui esortava a sradicare la piaga della corruzione del

vecchio regime, predisponendo una nuova costituzione in tempi brevi, senza

temere di utilizzare strumenti poco democratici instaurando una momentanea e

necessaria “dittatura giusta” di transizione.

“Questa gente, che ha sofferto una dittatura oppressiva per decenni, non potrebbe

sopportare altri sei medi di giusta dittatura? Siamo consapevoli che ogni azione di pulizia

non si può porre in essere che per mezzo di una dittatura”.114

Ricevette un’ovazione e Neguib lo definì pubblicamente “maestro spirituale della

Rivoluzione” nominandolo consulente culturale nel Consiglio della Rivoluzione.

L’alleanza tra Ikhwan ed Ufficiali Liberi durò tuttavia molto poco e lo scontro fu

motivato sia da divergenze ideologiche (i militari pur essendo nella maggioranza

dei casi sinceri musulmani miravano a creare uno Stato laico, i Fratelli

ovviamente uno Stato islamico) sia dalla ricerca del consolidamento del proprio

potere personale: così come erano stati fondamentali nell’appoggiare la

rivoluzione, ora i Fratelli rappresentavano l’unica forza sociale e politica che per

ideologia, struttura e consenso poteva realmente minarne le sorti. 115

Si può aggiungere un’ulteriore spiegazione del contrasto nella ferma posizione dei

Fratelli contro la presenza britannica e contro il trattato anglo-egiziano che

prevedeva il ritiro delle truppe inglesi da tutto il territorio meno che nella zona del

canale di Suez. Ma soprattutto fu la vicinanza a Neguib , favorevole ad un rientro

dei militari nelle caserme e all’instaurarsi di un governo civile, a scavare un solco

113 Ibid. 114 ADEL HAMMUDA , Sayyd Qutb min al-qary’a ila al-mishnaqa (Sayyd Qutb, dal villaggio al patibolo), Sina lī al-nashr, Cairo 1990, p.112, cit. in P.MANDUCHI, Questo mondo non è luogo…op.cit., p. 87. 115 Cfr. M.CAMPANINI, K.MEZRAN, I Fratelli Musulmani…op.cit., p. 19.

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tra l’Associazione e la sempre più predominante figura di Nasser, che mirava al

coinvolgimento diretto dei militari nella politica. Fra il febbraio e marzo 1954

Neguib fu destituito dal suo incarico di Presidente della Repubblica e poi

brevemente reinsediato al potere per circa un mese prima che la crescente

popolarità di Nasser ponesse fine ad ogni velleità dei suoi “avversari” politici,

compresa la più radicata Associazione del Paese. L’anno precedente erano stati

l’unico gruppo a non essere disciolto il 16 gennaio quando venne proclamato il

partito unico (il Raggruppamento della Liberazione), con la motivazione che non

erano un partito ma un’associazione con una missione religiosa (risala diniyaa),

ma a partire dal 1954 il regime cominciò a perseguitare gli Ikhwan, dopo aver

dichiarato che si trattava in realtà di un gruppo politico (questa ambiguità di fondo

è come accennato uno dei tratti caratteristici dell’Associazione e in varie fasi della

propria storia si può notare come gli stessi Fratelli abbiano beneficiato in qualche

modo della loro posizione non chiaramente definita). “Se si rivede la storia dei

Fratelli Musulmani”, dirà amaramente Hudaybi, “si scoprirà che tutti i principi

della rivoluzione erano presi dalla nostra eredità. (Nasser e gli Ufficiali liberi,

ndr) non applicarono tali principi e se ne allontanarono. Questa fu la ragione

principale della nostra disputa con loro” 116 . In effetti il pragmatismo

rivoluzionario mal si sposava con il genere di rivoluzione auspicato dalla

Fratellanza, l’esercito escludeva qualsiasi tipo di dialogo o soluzione alternativa,

quindi anche la via parlamentare auspicata dalla Guida Suprema: era ormai chiaro

che si potesse essere solo in contrasto col regime, non in rapporto dialettico.

NASSER, PRIGIONIA, PIETRE MILIARI . LA RADICALIZ ZAZIONE

DEL MESSAGGIO

Lungo tutti i sedici anni della sua leadership (1954-1970) Nasser sottoporrà i

Fratelli Musulmani ad una sistematica persecuzione. Dopo il primo biennio

repressivo del 1954-1955 particolarmente severa fu la “purga” degli anni 1965-66, 116 BARRY RUBIN, Islamic fundamentalism in egyptian politics. Updated edition, Palgrave Macmillan, Londra 2002, p.28, cit. in M.CAMPANINI, I Fratelli Musulmani…op.cit., p.19.

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quando moltissimi affiliati finirono in carcere, furono torturati e in alcuni casi

uccisi. Queste ondate repressive erano in perfetta continuità con le accuse portate

contro i Fratelli già alla fine del 1948 dal governo egiziano , sollecitato da

britannici, francesi e americani che ne avvertivano la pericolosità. Ora l’accusa

era voler impedire il processo rivoluzionario. Accanto a questa politica repressiva

vi furono comunque anche tentativi di cooptazione: alcuni membri della

Fratellanza si alleeranno al regime uscendo dall’organizzazione (come lo shaykh

Ahmad Hasan al-Baquri , che ricoprirà la carica di ministro del Waqf dal 1952 al

1959 e di presidente dell’università di al-Azhar nel 1964) , altri rifiuteranno.

Non è facile definire ideologicamente il regime di Nasser. Uno strano miscuglio

di laicismo politico e di islamismo etico; era in ogni caso un regime autocratico

ed intollerante ad ogni opposizione, che appariva particolarmente compromesso

con le ideologie secolari dell’Occidente come il socialismo, o con ideologie

“autoctone” ma non religiosamente connotate, come il panarabismo. In questo

senso, esso sembrava nemico dell’Islam. 117 Il rapporto di Nasser con l’Islam e

con i Fratelli Musulmani rimane altamente contradditorio. Il ra’is non poteva

permettere ad un gruppo politico rivale di condizionare le sue scelte, ma d’altro

canto non era insensibile ai richiami alla giustizia, alla correttezza delle istituzioni

e alle altre istanze sociali in comune con il messaggio dell’Associazione. Si può

dire che il “socialismo islamico” non fosse distante dal socialismo arabo

nasseriano. 118

Alla messa al bando della Fratellanza, dichiarata il 14 gennaio 1954, seguirono

immediati arresti di membri di spicco dell’organizzazione, tra cui Qutb. Questi

suscitarono violente manifestazioni e già nell’aprile dello stesso anno Nasser

concesse la sua uscita di prigione e non ostacolò la sua nomina alla direzione della

rinata rivista della Fratellanza, “Al-ikhwan al-muslimun”. Tuttavia, ben lungi dal

pentimento sperato, Qutb rincarò dalle pagine del giornale le critiche al governo,

in particolare relativamente alla scelta della via “diplomatica” da parte di Nasser

nei rapporti con la Gran Bretagna, laddove l’intellettuale avrebbe preferito una 117 M.CAMPANINI, Arcipelago Islam…op.cit., p. 49. 118 Ivi, pp. 47-49.

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jihad contro la presenza britannica. Già ad agosto il giornale venne chiuso.

Nasser non aspettava altro che l’occasione per screditare anche pubblicamente

l’Associazione e il destro gli fu offerto nell’ottobre del 1954 da un fallito attentato

ad Alessandria, quando il Fratello Musulmano Mahmud ’Abd al-Latif gli sparò

alcuni colpi di pistola senza colpirlo. Nasser ne approfittò per scatenare una

violenta repressione (tra gli altri viene impiccato ‘Abd al-Qadir ‘Awda, uno degli

esponenti più in vista). Qutb viene arrestato e torturato come la maggior parte dei

militanti e dopo un processo-farsa è condannato, il 13 luglio 1955, ad ergastolo,

poi commutato in 25 anni di lavori forzati119 a causa delle sue precarie condizioni

di salute, da scontare nel campo di concentramento di Tura. Le sue condizioni di

detenzione relativamente miti gli consentono di scrivere, e riesce a far pubblicare

il suo notissimo commento coranico , “Fi zalal al-Qur’an” (“Sotto l’egida del

Corano”) e altre opere. Nel 1962, due anni prima della sua scarcerazione, alcune

pagine della successiva opera “Ma’alim fi’l tariq” (“Pietre Miliari”) circolano

negli ambienti legati ai Fratelli, in particolare nella cerchia di persone che si

riunisce attorno alla Sorella Musulmana Zaynab-al Ghazali. E’ una delle opere più

lette e censurate del mondo arabo e ispirerà il futuro dei movimenti islamisti. Gli

scritti di Qutb riempiranno il vuoto ideologico di un’Associazione che fino a quel

momento aveva avuto come nemici dichiarati gli stranieri britannici e la loro

alleata monarchia, e che ora si doveva confrontare con un nuovo nemico, prima

alleato, egiziano e musulmano, che per di più proclamava gli stessi ideali, anche

se con un linguaggio decisamente diverso. 120 Nasser aveva avuto ragione

logisticamente dell’organizzazione ma non certo della corrente di pensiero, che

dai campi di prigionia si andò invece riformulando nell’elaborare strategie di lotta

contro il nuovo potere costituito. Concetti e categorie strettamente coraniche

vennero utilizzate a piene mani per condannare le istituzioni dello Stato egiziano,

dimostrare la sua illegittimità, presentarlo come kafir, “empio”. Gli scritti di Qutb

hanno un ruolo fondamentale in questo processo di maturazione. Vengono rilette

le sue precedenti opere ruotanti attorno al tema delle “false” società islamiche,

119 G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p.18. Il dato è incerto, per altri studiosi gli anni a cui fu condannato furono in realtà quindici: Cfr. P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 91. 120 P.MANDUCHI, Questo mondo non è luogo…op.cit., p. 91.

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mentre anche concretamente gruppi di affiliati si organizzano per il sostentamento

delle famiglie dei prigionieri, in una crescente partecipazione emotiva verso i tanti

giovani martiri che periscono a Tura e negli altri campi.

“Pietre miliari” non è una creazione interamente nuova (dei tredici capitoli

almeno quattro sono ripresi da “Fizalal al-Qur’an”- “Sotto l’egida del Corano”,

il commentario che l’autore ha redatto essenzialmente in prigione dal 1954 al

1964, inoltre i concetti che l’autore elabora sono presi in prestito da diversi

pensatori) ma l’organicità e la maturità della riflessione ne hanno fatto il “Che

fare?” del movimento islamista. 121 Il capitolo introduttivo annuncia il senso

dell’opera: 122

“Ai nostri giorni, l’umanità è sull’orlo dell’abisso […] e ciò non per la minaccia di

distruzione che aleggia sopra di essa (questo infatti non è che il sintomo del male, non il

male in se stesso), bensì a causa del suo fallimento nel campo dei “valori”, sotto la cui

egida l’uomo avrebbe potuto vivere ed volversi in armonia.

“Tale è l’evidenza: prendiamo il mondo occidentale, dove oggi non hanno più corso i

“valori” che esso offre come esempio all’umanità. Quel mondo non possiede più

nemmeno ciò con cui convince la propria coscienza di meritare di esistere, dopo che la

sua “democrazia” si è realizzata in quella che presenta tutte le caratteristiche di una

bancarotta. Al punto tale, del resto, che poco a poco esso si è messo a prendere a prestito,

adattandolo, il sistema in vigore nel blocco dell’Est, e in particolare il suo sistema

economico, il socialismo!

“All’Est, la situazione è la stessa.[…] Le teorie collettiviste, marxismo in testa, che

avevano dapprincipio esercitato il loro fascino su molte persone, in quanto ideologie

portatrici di una dottrina, sono totalmente regredite -intellettualmente parlando- fino a

ridursi oggi al ruolo di ideologie di Stato; il quale Stato è distante quanto più non si

potrebbe dalle fondamenta dottrinali di quelle ideologie!123

121 Il paragone è dell’intellettuale egiziano TARIQ AL-BISHIR, Sa yabqi al-ghalu ma baqiya al-taghrib (L’estremismo durerà quanto l’occidentalizzazione), in “al-‘Arabi”, Kuwait, 1, 1982, cit. in G. KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 19. 122 Non esiste una traduzione completa in lingua italiana di Pietre Miliari, si farà quindi riferimento a diverse edizioni. In questo caso SAYYD QUTB, Ma’alim fi’l tariq (Pietre miliari), (a cura di) Dar al-shuruq , Beirut - il Cairo, 1980, p.5, cit. in G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p.19. 123 Ivi, p.5.

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“All’umanità serve una nuova direzione!124

“A conti fatti, tanto le ideologie dell’individuo quanto le ideologie collettiviste si sono

risolte in un fallimento. Spetta ora all’Islam, alla Umma, giocare il loro ruolo, nella più

critica delle ore, quando regnano il disordine e la confusione. [...] Il tempo dell’islam è

venuto, esso che non rinnega le invenzioni materiali di questo mondo, poiché le considera

come la funzione prima dell’uomo, dacché Dio gli ha accordato il governo sulla Terra in

sua vece, e come un mezzo - a determinate condizioni- per adorare Dio e realizzare gli

scopi dell’esistenza umana.125

“L’islam può giocare il proprio ruolo solo incarnandosi in una società, in una Umma.

[…] L’umanità non presta orecchio, in particolare di questo tempi, a una credenza astratta

che non possa vedere corroborata da fatti tangibili. Orbene, la Umma, è opinione comune,

ha visto estinguersi da diversi secoli la propria esistenza.

“Ma la Umma non è una terra su cui vive l’Islam, tantomeno una patria i cui antenati

avrebbero vissuto, in una certa epoca, secondo un modo di vita islamico. […]

“La Umma musulmana è una collettività (jama’a) di genti la cui vita nella sua interessa,

nei suoi aspetti intellettuali, sociali, esistenziali, politici, morali e pratici, deriva dall’etica

(minhaj) islamica. Questa Umma, così caratterizzata, ha cessato di esistere da quando

nessun luogo sulla Terra è più governato secondo la legge di Dio. […]

“Ai nostri giorni, il mondo intero vive in uno stato di jahiliyya126, se si fa riferimento

alla fonte a cui attinge le regole del suo modo di esistere, jahiliyya che il comfort

materiale e le invenzioni scientifiche non modificano in nulla, per quanto straordinari

possano essere!

“Il principio su cui si fonda è l’opposizione al predominio di Dio sulla Terra e alla

caratteristica principale del Divino, vale a dire la sovranità (al-hakimiyya) : investe gli

uomini di questa sovranità, e fa di alcuni di essi degli Dei per gli altri. Questa operazione

non avviene alla maniera primitiva della jahilliyya di prima dell’ègira, bensì permettendo

all’uomo di arrogarsi indebitamente il diritto di stabilire i valori, di legiferare, di

elaborare dei sistemi, di prendere delle posizioni, e ciò senza considerare quale sia l’etica

divina (minhaj allah lil hayah), anzi attenendosi a ciò che Egli non ha affatto permesso!

124 Ivi, p.6. 125 Ivi, p.7. 126 E’ impossibile tradurre letteralmente il termine jahiliyya se non tramite una perifrasi. Derivata dalla radice araba del termine “ignorare”, per i musulmani indica la società preislamica della penisola araba, che “ignorava” Dio, finché non venne Maometto con la sua predicazione. E’ qualcosa di paragonabile al concetto di “barbarie” nella tradizione occidentale, quindi indica “quel che non è islamismo”.

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Ebbene, opporsi in questo modo al predominio d Dio vuol dire essere il nemico dei suoi

fedeli.

“La degradazione dell’uomo in generale nei regimi collettivisti, l’ingiustizia che

subiscono gli individui e i popoli dominati dal capitale e dal colonialismo, non sono altro

che effetto di questa opposizione al predominio di Dio, e la negazione della dignità che

dio ha dato all’uomo! 127

“Quanto a noi, conosciamo, senza ombra di dubbio, qualcosa di completamente nuovo,

che l’umanità ignora e che non sarebbe in grado di fabbricare.

“Ciò premesso, è necessario che questo nuovo si concretizzi nella pratica e nella realtà,

che una Umma viva attraverso di esso, […] cosa per cui si rende necessaria la

resurrezione dei paesi musulmani. Essa sarà seguita, presto o tardi, dalla loro conquista

del predominio mondiale.

“Come avrà inizio questa resurrezione islamica? È necessario che un’avanguardia

prenda la decisione e si metta in marcia in mezzo alla jahilliya che regna sul mondo

intero. Essa dovrà essere in grado di praticare un ritiro, e in altre occasioni di cercare il

contatto con la jahilliyya che la accerchia.

“Perché questa avanguardia trovi la sua strada, è necessario che ci siano delle pietre

miliari che le consentano di sapere dove comincia il suo lungo percorso, quale ruolo essa

dovrà interpretare per raggiungere il suo scopo, dove si trova la sua funzione autentica.

[…] queste pietre miliari, inoltre, dovranno permetterle di comprendere quale dovrà

essere la sua posizione nei confronti della jahiliyya che impera sulla Terra. Come

definirsi rispetto a essa? Quando mescolarsi alle genti, e quando separarsene? Come e a

quale proposito parlare loro la lingua dell’Islam? […]

“E’ per questa avanguardia tanto attesa che ho scritto Pietre miliari.” 128

Qutb analizza dunque la società contemporanea e redige una guida per

l’avanguardia incaricata di procedere alla resurrezione della umma, scrivendo così

il manifesto islamista. La constatazione di partenza è il fallimento dell’Occidente,

del capitalismo e del socialismo, contrapposte all’Islam, unico insieme di valori in

grado di redimere questa società degradata.

Ma quando utilizza il termine jahiliyya per descrivere la società in cui vive Qutb

compie un’innovazione rispetto al corpus tradizionale dei Fratelli: se la società

contemporanea è paragonabile alla barbarie preislamica si deve allora adottare 127 Ivi, p.10. 128 Ivi, p.12.

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verso di essa lo stesso atteggiamento che ebbero il Profeta e i sui compagni verso

il modello originale. Su di loro l’avanguardia odierna dovrà ricalcare il proprio

comportamento, quindi ritirarsi in disparte dalla società in determinate occasioni,

e cercare il contatto in altre, esattamente come fatto dal Profeta che, in situazioni

di debolezza, scelse di fuggire dalla Mecca e di compiere l’ègira a Medina, prima

di tornare da conquistatore nella città che aveva abbandonato.

Al-Banna’ mai aveva pensato di tacciare la società egiziana del suo tempo di

antislamismo. Ma i tempi sono cambiati, l’Egitto di Nasser (più precisamente la

“Repubblica Araba Unita”) ha mostrato ai Fratelli il volto peggiore del socialismo

arabo costringendoli alla prigionia dei campi se non alla forca : non c’è più spazio

per la predicazione (da’wa) com’era praticata con successo dall’Associazione

negli anni Trenta e Quaranta, non è più realizzabile in uno Stato in cui il controllo

sociale è ben più rigido che sotto la decaduta monarchia e l’occupante inglese.

La jahiliyya di cui parla Qutb è in primo luogo la società governata da un principe

perverso , che si fa adorare al posto di Dio, che governa secondo il suo capriccio

anziché ispirarsi al Libro e ai detti del Profeta. Che il capriccio del principe sia o

meno legittimato da paramenti giuridici non cambia la natura del suo arbitrio:

“E’ jahilita qualsiasi società che non è musulmana […] di fatto, qualsiasi società dove

venga adorato un oggetto altro da Dio e da Lui solo. […] Dobbiamo quindi classificare in

questa categoria la totalità delle società che esistono ai giorni nostri sul pianeta!” 129

Vengono quindi passati in rassegna i vari tipi di società e viene spiegato in che

modo ognuno di essi sia jahilita. In prima fila stanno le società comuniste, che

negano Dio e dove l’”oggetto dell’adorazione” (‘ubudiyya) è il partito, dato che

in questo sistema è la direzione collegiale che detiene la verità”, dove “i bisogni

umani sono ricondotti a quelli dell’animale”. Seguono poi varie società idolatre,

dove “la sovranità (hakimiyya) più alta si esercita in nome del popolo, in nome

del partito o in nome i qualsiasi cosa”, poi le società ebraiche e cristiane. Infine

“bisogna considerare nella categoria delle società jahilite le società che si

129 Ivi, p.98.

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autoproclamano musulmane […] poiché non si consacrano, nel corso della loro

esistenza, all’adorazione (‘ubudiyya) di Dio solo – benchè unicamente in Lui

hanno fede- ma conferiscono le caratteristiche che sono per eccellenza della

divinità ad altri da Dio. Esse credono in una sovranità (hakimiyya) altra dalla

Sua, e da questa derivano la loro organizzazione, le loro leggi, i loro valori, i loro

giudizi, le loro abitudini, le loro tradizioni…e quasi tutti i principi della loro

esistenza”.130

Possiamo notare come i due termini ‘al-ubudiyya (“adorazione”) e al-hakimiyya

(“sovranità”) ricorrano nel testo. Questa coppia di concetti rappresenta il rapporto

tra uomo e Dio, e quindi l’essenza della società concepita da Qutb. Non si tratta

però di due termini coranici. Sono formati rispettivamente dalle radici dei verbi

“adorare” e “governare” o “giudicare”, e compaiono nell’opera del grande

pensatore pakistano Mawdudi “al-Mustalahat al-arba’a fi-l Qur’an (al-ilah - al-

rabb- al’ibada – al-din)” (“Le quattro categorie principali del Corano”), che

ricerca appunto il significato originale ed autentico dei termini coranici così come

erano compresi dagli arabi all’epoca della predicazione di Maometto, e non nella

versione appiattita coeva. Per il filosofo pakistano una delle cause della decadenza

dei paesi islamici risiede appunto nella differente percezione della predicazione

coranica rispetto ai tempi dell’ègira. Per ricostruire una società musulmana

bisogna innanzitutto imparare nuovamente a leggere il Corano nel suo contesto,

senza attribuire un’eccessiva importanza alla Tradizione, frutto della storia e

sclerotizzata. Il testo di Mawdudi viene pubblicato nel 1941 in India e

rappresenta il corrispettivo di Pietre miliari, un manifesto che annuncia l’obiettivo

di fondo della Jama’at e islami, il più antico partito religioso indiano, fondato

dallo stesso Mawdudi.

Per Qutb, come per Mawdudi, nella società autenticamente musulmana la sola

sovranità esercitata è quella di Dio ( al- hakimiyya li-llah) ed Egli è l’unico

oggetto di adorazione (al-‘ubudiyyah li-llah). Il potere non può essere esercitato

se non in nome di Dio e seguendo le prescrizioni della rivelazione (al-hukm bima

130 Ivi, pp. 98-101.

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anzala allah). Il principio di sovranità è garanzia contro il potere discrezionale del

governante, solo la legislazione basata sul libro (shari’at allah) non rischia di

essere distorta a servizio del despota. In contrapposizione alla società

musulmana, la società jahilita conferisce la sovranità ad altri da Dio e fa di questi

sovrani oggetti di adorazione: è caratterizzata dalla divinizzazione del detentore

del potere, sia esso uomo, casta o partito, e dall’adorazione di questi da parte del

popolo.

I due termini desunti dal linguaggio di Mawdudi assumono qui maggiore forza,

ma restano termini non coranici, e in questo senso saranno il fulcro della critica

che la Guida Suprema Hudaybi muoverà al pensatore pakistano, e quindi

indirettamente a Qutb, quando il movimento assumerà posizioni contrastanti al

proprio interno proprio in rapporto al pensiero qutbiano.

Il criterio al tempo stesso necessario e sufficiente che permette di stabilire se una

società è musulmana o jahilita risiede dunque nel tipo di ‘ubufiyya e hakimiyya

che è possibile osservare al suo interno: nel primo caso Dio solo è venerato e

sovrano, nel secondo caso qualsiasi altra cosa al di fuori di Dio. Nel capitolo

intitolato “La civiltà è l’Islam” viene precisato il pensiero riguardo alla società

che si professano musulmane senza esserlo autenticamente:

“l’Islam conosce solo due tipi di società: musulmana o jahilita. La società musulmana è

quella dove viene applicato l’islam. l’islam è fede, adorazione, legislazione,

organizzazione sociale, creazione, comportamento. La società jahilita è quella dove non

viene applicato l’Islam. Non la governano più la fede, né la visione islamica del mondo,

né tantomeno i suoi valori la sua equità, la sua legge , la sua creazione e i

comportamenti.

“Pertanto, una società la cui legislazione non sia fondata sulla Legge divina (shari’at

allah) non è musulmana, anche se gli individui si proclamano musulmani, anche se

pregano, digiunano e compiono il pellegrinaggio.

“Altrettanto poco musulmana sarebbe una società che si creasse un islam a sua misura,

diverso da quello stabilito dal Signore e dichiarato dal suo Inviato, e che si chiamasse, ad

esempio, l’”Islam evoluto”.

Page 103: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

100

“La società jahilita può presentare diversi volti:

- la negazione dell’esistenza di Dio, la spiegazione della storia attraverso il

materialismo e la contraddizione, l’applicazione del sistema chiamato

“socialismo scientifico”;

- il riconoscimento dell’esistenza di Dio, ma limitando ai cieli l’ambito del Suo

potere, a scapito di questo mondo; questa società non regola la propria esistenza

sulla Legge divina né sui valori eterni che egli ha posto come fondamento,

benché consenta agli individui di adorare Dio nelle sinagoghe, nelle chiese e

nelle moschee. Tuttavia, essa impedisce loro di reclamare che la loro esistenza

sia regolata dalla legge divina: in questo modo, essa nega la caratteristica di

divinità che ha Dio sulla Terra, o la rende inefficace. […] Perciò stesso, è una

società jahilita”.131

Per i lettori che leggono Pietre miliari durante gli anni sessanta l’identificazione

con la Repubblica Araba nasseriana, il suo “socialismo” e il suo islam formale è

immediata. Qutb denuncia che la legislazione islamica di cui si fa forte il regime

non ha per lui alcun valore essendo solo una facciata.

Il suo successore, Sadat, sostituirà il “socialismo arabo” con l’apertura economica,

ma l’altro volto rimarrà invariato, crescerà anzi di importanza col passare degli

anni, quando il ra’is chiederà alle istituzioni dell’Islam una legittimazione sempre

maggiore. Qutb ha dunque saputo elaborare delle categorie che consentono di

pensare gli Stati del mondo musulmano all’indomani della loro indipendenza,

questa la ragione di fondo del suo successo.

Difatti, benché l’attenzione degli osservatore internazionali dell’epoca si sia

spesso concentrata esclusivamente sul “socialismo arabo”, il governo di Nasser,

ben lungi dall’intraprendere un’opera di” secolarizzazione” da molti auspicata, si

è sforzato di modernizzare le istituzioni dell’Islam ufficiale, in particolare al-

‘Azhar, per farne delle cinghie di trasmissione della propria ideologia. È questo

“l’Islam evoluto” su cui ironizza Qutb.

131 Ivi, pp.116-117.

Page 104: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

101

Fissati i concetti di società musulmana e società jahilita, Qutb riflette sul processo

che permetterà di distruggere la jahiliyya ed edificare sulle sue rovine lo Stato

musulmano. Secondo lui il tempo di agire è più che maturo, e d’altronde

l’umanità contemporanea non presta orecchio a credenze puramente astratte.

Per restaurare l’Islam c’è bisogno di un’autentica rivoluzione, sotto la guida di

“un’avanguardia della Umma” che deve prendere ad esempio “l’unica

generazione coranica”, vale a dire i compagni del Profeta. Essi, infatti, si sono

formati intellettualmente attorno alla fonte del Corano, ed hanno così costruito la

società islamica ideale, l’età dell’oro dei quattro “califfi ben guidati” successori

del Profeta. Quando i musulmani hanno invece prestato attenzione alla cultura

degli imperi bizantino e sasanide il loro pensiero è stato viziato , e le disgrazie

sono cominciate sin dal quinto califfo, Mu’awiya, il fondatore della dinastia

omayyade. L’avanguardia deve ragionare sul Corano ed astrarsi dalla cultura non

musulmana. Deve quindi come punto di partenza scacciare la jahiliyya dalla

propria mente:

“Dobbiamo tornare al Corano ed assimilarlo, al fine di applicarlo, di metterlo in pratica

[…]al fine di comprendere ciò che richiede da noi, in breve, al dine fi essere![…]

Successivamente dobbiamo fare tabula rasa dell’influenza che la jahiliyya ha sulla nostra

anima: sul nostro modo di pensare, di giudicare, sulle nostre usanze”. 132

Così liberata dalle contaminazioni jahilite l’avanguardia è matura per agire:

“Il nostro primo compito è di cambiare la società nei fatti, di cambiare la realtà jahilita

da cima a fondo. […] Dapprima, dobbiamo sbarazzarci di questa società jahilita, dei suoi

valori, della sua ideologia, e non semplicemente edulcorare tanto o poco i nostri valori e

la nostra ideologia per avvicinarci ad essa! Certamente no! Perché le nostre strade

divergono , e se noi facessimo anche solo un passo verso di essa, la nostra etica

scomparirebbe e saremmo perduti!” 133

132 Ivi, pp. 21-22. 133 Ivi, p.22.

Page 105: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

102

Il processo di passaggio dalla jahilyya all’Islam si svolge in questo modo:

“Un uomo ha fede in quel credo che emana da una fonte nascosta ed è animato

unicamente dalla potenza di Dio; attraverso la fede di questo solo uomo comincia a

esistere virtualmente la società islamica […]. Ordunque, quest’uomo solo non riceve la

rivelazione per ripiegarsi su se medesimo, ma per prendere slancio con essa: tale è la

natura di questo credo […]. La forza immensa che l’ha condotta fino a questa anima sa

per certo che lo porterà più lontano ancora.

“Quando ci sono tre credenti toccati dalla fede , questo crede segnala loro. “adesso , voi

siete un società, una società islamica indipendente, separata dalla società jahilita che non

ha fede nel credo […]”; da questo istante, la società islamica esiste in atto. I tre diventano

dieci, i dieci cento, i cento mille, e i mille dodicimila…così compare e si costituisce la

società islamica. Nel frattempo è cominciata la battaglia fra la società nascente che ha

dichiarato secessione […] dalla società jahilita e quest’ultima, che si è vista sottrare degli

uomini […].

“Ciò che caratterizza il credo islamico, così come la società che a esso si ispira, è di

essere un movimento (haraka) che non consente a nessuno di tenersi in disparte […]; la

battaglia è continua, e la lotta sacra (jihad) dura fino al giorno del giudizio”. 134

Per esigenze d’analisi possiamo dunque distinguere due tappe: la tappa

dell’approfondimento spirituale, dell’ispirazione coranica che mira a staccare il

soggetto dall’alienazione jahilita, e quella della battaglia contro questa stessa

società jahilita. Nel concetto di jihad rientrano entrambi questi passaggi, dallo

sforzo personale di meditazione sul Libro fino al combattimento armato.

Nel lungo capitolo intitolato “Al-Jihad fi sabil allah” (“La lotta sacra sulla strada

di Dio”) 135 Qutb precisa che intende questo concetto in tutte le sue accezioni,

contrariamenti a chi vorrebbe edulcorarlo riducendolo ad una “guerra difensiva”

per non spaventare i non musulmani, o limitandolo al solo combattimento

134 Ivi, pp. 129-130. 135 Questo capitolo, così come il precedente, sono stati eliminati a partire dal 1981 dall’edizione più diffusa di Pietre miliari, pubblicata dalla casa editrice libanese-egiziana Dar al-Shuruq e a cui si è fatto fin qui riferimento. Al loro posto sono state inserite altre pagine di Qutb meno vigorose. Gli estratti di questi due capitoli fanno quindi riferimento ad un’altra edizione: (a cura di) UNIONE ISLAMICA MONDIALE DEGLI STUDENTI, Ma’alim fi’l tariq , s.l. [Kuwait], s.d., cit. in G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone….op.cit., p.31

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103

interiore del credente contro le tentazioni, per non sporcarsi le mani nel contatto

col mondo. L’Islam deve liberare l’uomo dall’abbrutimento in cui possono

precipitarlo le sue passioni, ma deve anche costituire un’arma grazie al quale egli

si emancipa dal gioco impostogli da altri suoi simili. Tale è la funzione della jihad

e sarebbe illusorio immaginare che essa possa avere efficacia esclusivamente

grazie alla forza del discorso:

“Instaurare il regno di Dio sulla Terra, sopprimere quello degli uomini, sottrarre il

potere a coloro dei Suoi adoratori che lo hanno usurpato, per renderlo a Dio solo, dare

autorità alla legge divina (shari’at allah) solamente, e sopprimere le leggi creare

dell’uomo […], tutto questo non si fa con prediche e discorsi. Perché coloro che hanno

usurpato il potere di Dio sulla terra per fare dei Suoi adoratori i loro schiavi non se ne

priveranno in virtù del solo Verbo, altrimenti assai semplice sarebbe stato il compito dei

Suoi Inviati” .136

L’abbattimento degli ostacoli materiali sulla strada dell’avanguardia spetta a

quello che Qutb chiama “il movimento” (al-haraka):

“ Il discorso (bayan) si oppone alle dottrine e alle concezioni [fallaci], mentre è il

movimento che abbatte gli ostacoli materiali, vale a dire, in primo luogo, il potere

politico”. 137

Qutb insiste più volte sul fatto che il solo “discorso” non basti all’instaurazione

del Regno di Dio sulla terra, fatto che va letto tenendo conto della condizione in

cui l’opera vede la sua genesi: il campo di prigionia di uno Stato totalitario. Il

nasserismo imprime una considerevole spinta alla radicalizzazione

dell’islamismo. L’apporto di Qutb, a confronto con i Fratelli musulmani più

tradizionalisti, consiste nella sua chiara percezione del cambiamento strutturale

introdotto dal nasserismo nei rapporti tra Stato e società civile. Prima del 1952 i

governi egiziani che si erano succeduti non avevano ostacolato più di tanto la

predicazione di al-Banna’ e dei suoi discepoli se non nelle fasi di aperta crisi

136 Ivi, pp. 60-61. 137 Ibid.

Page 107: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

104

politica. I Fratelli potevano proclamare il loro odio verso il colonialismo

britannico come la loro ostilità verso i partiti. Ma dal momento in cui gli spiriti

critici devono ridursi al silenzio per non essere costretti all’esilio, alla prigione o

alla forca, la predicazione dei Fratelli non è più possibile. Qutb segnala a coloro

che scelgono il silenzio che stanno sbagliando. Bisogna adattare la propria

modalità di azione al tipo di repressione dello Stato: contro la jahiliyya nasseriana

i militanti devono ricorrere al “movimento”, alla lotta non semplicemente verbale.

I termini “movimento” e “discorso” sono un esplicito riferimento alla

propagazione dell’Islam attraverso “la sciabola” e “il Libro”, essenzialmente

complementari. Ciascuno di questi due strumenti aveva nella storia musulmana un

campo di utilizzo proprio. La sciabola serviva a sottomettere territori governati da

non musulmani e, all’interno di questi, costringere alla conversione sotto minaccia

di morte i soli pagani. Ebrei e cristiani non venivano costretti a convertirsi con la

violenza, dovevano giungere all’Islam attraverso la sola forza del Libro, ovvero la

predicazione (in realtà la maggioranza delle conversioni avvenne probabilmente

per i vantaggi fiscali procurati dallo status di musulmani). Nell’Egitto del XXmo

secolo la predicazione si rivolge più alla massa musulmana che non alla

minoranza ebraica o cristiano copta, sono i musulmani ad aver dimenticato che

l’Islam è un sistema globale e non una devozione privata. Dopo il colpo di Stato il

governo di Nasser diventa, perseguitandoli, il principale nemico

dell’Associazione, e il Libro lascia il posto alla sciabola, per combattere il potere

come si combattevano i pagani.

Il salto di qualità alla tradizionale critica al potere che Qutb rappresenta è netto:

collocare il principe al di fuori dell’Islam equivale a pronunciare un tafkir,

scomunicarlo. La scomunica è un’arma estremamente pericolosa da maneggiare,

perché cade facilmente nelle mani di sette che i dotti e i religiosi non sono in

grado di controllare. In questo senso, come nota Gilles Kepel 138, la morte

prematura di Sayyid Qutb sul patibolo ha consegnato le sue teorie al pubblico

dominio con tutto ciò che ancora potevano avere di impreciso, e l’arma della

138 G. KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 33.

Page 108: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

105

scomunica è in effetti caduta nelle mani di settari incontrollabili. Qutb d’altronde

lascia in sospeso la definizione completa di jahilyya: il principe perverso e la sua

burocrazia ne sono i soli rappresentanti, oppure i suoi confini coincidono con

quelli della società nel suo insieme? Equivale a dire che nessuno è musulmano?

Questi interrogativi non rappresentano semplici sofismi, perché come vedremo le

diverse componenti del movimento islamista degli anni Settanta elaboreranno la

loro strategia in funzione delle risposte a queste domande.

Qutb inaspettatamente uscì dal carcere nel 1964, anche se solo per un brevissimo

periodo. Secondo la versione ufficiale del governo egiziano il provvedimento fu

preso per ragioni di salute, altri sostengono che la scarcerazione fu escogitata per

poter poterlo definitivamente condannare a morte poco dopo. In realtà la

liberazione si deve all’interessamento dei Fratelli Musulmani e di alti esponenti

religiosi iracheni, che in seguito al peggioramento della sua salute chiesero al

presidente iracheno ‘Abd as-Salam ‘Arif, in visita al Cairo in occasione del primo

vertice dei paesi arabi nel 1964, di fare pressioni su Nasser per la scarcerazione

del letterato. I Fratelli iracheni sapevano dei buoni rapporti che legavano i due

presidenti e dell’apprezzamento di ‘Arif per l’opera di Qutb. Il vertice del Cairo

era il segno più tangibile dell’enorme popolarità di Nasser, riconosciuto leader del

mondo arabo nonostante il discioglimento del fallito progetto della Repubblica

Araba Unita con Siria e Yemen e l’enorme sforzo economico a carico dell’Egitto

nel conflitto contro i Sauditi iniziato nel 1962 per supportare le forze repubblicane

avverse alla monarchia proprio in Yemen. In questi anni i Fratelli operano in

semi-clandestinità per ricompattare il movimento duramente colpito dalle purghe

nasseriane, ed in particolare i quattro dirigenti massimi dei gruppi costituiti al

Cairo, ad Alessandria, a Damietta e a Bahayra lavorano alacremente per gettare

nuove basi per la rinascita del movimento.139 Qutb, una volta liberato, non solo

non mostrò alcun segno di riconoscenza verso il governo ma si unì

immediatamente ai dirigenti islamici per contribuire al progetto. La sua analisi

teorica era proprio quel che mancava ad un’architettura che aveva retto agli

attacchi del regime ma si era ritrovata priva di un maitre à penser: alla fine del

139 Cfr. P.MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 113.

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106

1964 dunque , esattamente a dieci anni dalla terribile repressione, il movimento

era riformato , di nuovo ben organizzato, aveva nuovamente una sua struttura

operativa e soprattutto il suo nuovo ideologo e il suo manifesto programmatico,

Ma’ālim fī’l tar īq. La Fratellanza tuttavia appare spaccata tra una frangia

moderata, che si riconosce nella guida suprema Hudaybi e che non cessa di

dialogare col potere e frange estreme che da lì a poco faranno sentire la propria

voce.

Dopo il brevissimo momento di distensione, in cui il Presidente Nasser sembrò

quasi volersi riconciliare col gruppo, una nuova ondata di repressione si abbatté

sul rinato movimento, dopo la denuncia da parete del regime di un complotto

internazionale, addirittura un tentativo di colpo di Stato guidato proprio dai

Fratelli Musulmani, al quale tuttavia essi si sono sempre dichiarati estranei e sul

quale di fatto non si farà mai completa luce.

Sembra più verosimile che, grazie al momento di debolezza che la Fratellanza

attraversava a causa di alcuni scontri interni fra l’ala più moderata e l’ala più

estremista, il governo egiziano e l’apparato poliziesco (al cui interno si giocava

una lotta senza quartiere fra i Servizi di Sicurezza Militari e i Servizi

dell’Informazione Generale) abbiano colto l’occasione per colpire nuovamente il

movimento, che rappresentava sempre un temibile concorrente politico-religioso.

Si giunse così all’arresto, il 29 luglio 1965, di Muhammad Qutb, fratello e

discepolo di Sayyid, seguita il 9 agosto da quello dello stesso Sayyid , e il 20 di

‘Ad al-Fattah Isma’il, solo per citare i nomi più noti. Fece seguito una spietata

repressione che ebbe il suo culmine nell’episodio di Kardasa, un villaggio non

distante dalla zona delle Piramidi, roccaforte dei Fratelli Musulmani sin dagli anni

Quaranta. Qui il 21 agosto un gruppo di poliziotti in borghese si era recato col

compito di arrestare un militante, Sayyd Nazili, ma non trovandolo tentarono di

portare via il fratello, scatenando l’ira degli abitanti che li costrinse al

ripiegamento. La mattina dopo la rappresaglia si scatenò sul villaggio che venne

completamente distrutto, mentre gli abitanti di sesso maschile vennero condotti

alle carceri militari, da cui uscirono solo un mese più tardi.140 I giornali egiziani

diedero ampio risalto a questo episodio descrivendo il villaggio come un covo del

140 G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p.19.

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107

fanatismo religioso. Il 10 agosto lo stesso Nasser in un discorso pronunciato a

Mosca accusò apertamente gli Ikhwān di essere l’anima del complotto

internazionale sventato dai suoi servizi di sicurezza. La repressione che ne seguì

fu durissima, con perquisizioni, torture e arresti di membri veri o presunti

dell’Associazione, che sembrò questa volta veramente annientata.

Il governo egiziano mise in piedi una campagna diffamatoria senza precedenti

contro i membri del movimento descritti come terroristi e accusati nei dibattiti

parlamentari, come nei comizi, sulla stampa, nei servizi radiofonici e televisivi.

L’organizzazione venne addirittura attaccata durante le khutbāt, i sermoni tenuti

nelle moschee dagli ‘ulamā’ ufficiali, e soprattutto dalle massime autorità

religione in Egitto e in tutta la dār-al-islām sunnita. Gli ‘ulamā’ di al-Azhār

emettono alcuni documenti ufficiali, significativamente intitolati “L’opinione

della religione circa i Fratelli di Satana” o “La secessione dei Fratelli dal mondo

dell’Islam” . In quest’ultimo ad esempio si legge:

“Il loro programma politico, come partito, non ha mai previsto la partecipazione al

Governo nel periodo del detestato regime reale durante il quale i partiti politici erano tutti

politicamente attivi […] la loro è una politica distruttiva che ha come principi di base uno

scetticismo totale nello sviluppo umano e nei valori della civiltà umana. La loro è una

politica totalmente negativa, che richiede alla comunità di isolarsi completamente dai

valori della civiltà, dalle normali relazioni sociali con gli altri, dalla gente e dai suoi

interessi diretti. Essi rifiutano di accettare i loro compagni cittadini – che sono anche loro

fratelli – come musulmani […] Un’occhiata al loro “Segnali” [riferimento all’opera di

Qutb ndr] è sufficiente per mostrare a chiunque quanto la loro visione dell’Islam, con

tutti i suoi valori di tolleranza, sia distorta dal principio dell’odio. Questa visione di odio

nega all’Islam le sue qualità come religione della riforma, della virtù e della tolleranza,

dell’equità e dell’equilibrio morale. […] Il loro Islam è un credo inaridito, rigido, in cui

possono governare solo il caos e la confusione”141

E’, questo, il momento di maggior distacco tra gli shaykh ufficiali e i Fratelli

Musulmani, che li accusano di essere totalmente asserviti al potere politico. Una

141 PIETER SMOOR, The mental world of Sayyd Qutb, seedbed for the Muslim Brothers, in Amsterdam Middle Eastern Studies, 1990, pp.2 07-208, cit. in P. MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 116.

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108

frattura che non si salderà mai più, anche se l’ala moderata di Fratelli tenterà un

avvicinamento negli anni Settanta, soprattutto sotto la presidenza Sadat. I seguaci

di Qutb invece animeranno l’ala più radicale, quella più intransigente che

abbandona la via pacifica del dialogo e del confronto con tutte le altre componenti

istituzionali per intraprendere il jihād.

Il processo contro Qutb e quarantadue suoi segaci cominciò il 19 aprile 1966 e

durò quasi tre mesi. “ Per un musulmano è giunto il momento di dare la vita per

proclamare la nascita del movimento islamico” dichiarò spavaldamente Qutb

all’apertura del procedimento. 142 Riconobbe con amarezza che il nuovo Egitto

anticolonialista era più oppressivo del regime che aveva soppiantato. L’unica

prova effettiva prodotta contro Qutb era il suo libro Pietre Miliari. “Ringrazio

Dio” dichiarò. “Ho lavorato quindici anni per il jihad e finalmente ho meritato

questo martirio” 143

Assieme al suo più vicino discepolo, Muhammad Hawwash ed al già citato ‘Abd

al-Fattah Isma’il, Sayyid Qutb viene impiccato il 29 agosto 1966, dopo la

preghiera dell’alba. Il governo non consegnò mai il corpo alla famiglia per timore

che la sua tomba potesse divenire meta di disordini e manifestazioni. 144

MARTIRIO ED EREDITA’

La dura repressione degli anni nasseriani produsse importanti trasformazioni nella

Fratellanza, con la formazione come detto di due tendenze in seno al movimento

che si riveleranno gravide di conseguenze anche nei decenni successivi. Da una

parte abbiamo una Guida Suprema estremamente prudente di fronte alla politica

del regime. Nel precipitarsi degli eventi al-Hudaybi continuò a sottolineare

l’importanza della costituzione di un Parlamento liberamente eletto, a rifiutare il

pragmatismo nasseriano (che aveva portato ad un riavvicinamento con gli inglesi

attraverso la ratifica del trattato anglo-egiziano del 1954) , nonché a condannare

142 P.MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 116. 143 Ibid. 144 Ivi, p. 117.

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109

l’uso della violenza da parte del regime per fare piazza pulita dell’opposizione

interna, ma senza contrapporsi al potere costituito in quanto tale. Abbiamo poi

una frangia dei Fratelli che adotta un atteggiamento più duramente anti-

nasseriano, di cui Qutb prese progressivamente la leadership costruendone la base

teorica. Al-Banna’ aveva incarnato per l’Associazione la triplice funzione di

guida spirituale, teorico del movimento e uomo politico, godeva quindi di un

potere pressoché assoluto, in quanto detentore del monopolio della morale,

dell’interpretazione ideologica e dell’azione. Dopo il suo assassinio non si avrà

più una Guida Suprema del suo calibro. La divisione che avvenne in questo

periodo tra una Guida spirituale che tentava di mantenere unite le fila

dell’associazione negli anni della repressione e un pensatore che dal carcere

elaborava un nuovo paradigma interpretativo è un fenomeno del tutto nuovo per

l’organizzazione. La conseguenza più importante negli anni a venire sarà un

rafforzamento costante della struttura organizzativa, con un’importante libertà di

iniziativa accordata alle varie commissioni interne. 145 Qutb aveva ricevuto

direttamente da al-Hudaybi l’incarico di inquadrare i Fratelli come lui incarcerati,

ma il successo della sua predicazione andò ben oltre le aspettative della Guida

Suprema, costituendo il punto di partenza per quella galassia di movimenti

islamisti che prolifereranno in Egitto a partire dagli anni Settanta. Il successo di

Qutb provocò quindi da una parte il ridimensionamento della figura della Guida

Suprema all’interno del movimento, dall’altra favorirà la parcellizzazione del

discorso islamista in Egitto, che fino agli anni Sessanta aveva visto il suo

esponente di spicco nella sola Fratellanza. Il rischio era la perdita da parte

dell’associazione del monopolio del discorso religioso come elemento di

opposizione militante al regime. Un rischio concreto ed avvertito da al-Hudaybi

che nel 1969 pubblicherà il noto libro “Predicatori…non giudici” (“Du’a…la

quda”), accusando indirettamente Qutb di un kharijismo lontano dalla tradizione

sunnita per il sostanziale tafkir che aveva rivolto al regime nasseriano,

rimproverando inoltre la sua utopia di uno stato islamico che aveva minato,

sostituendolo, il militantismo quotidiano e pacifico da sempre portato avanti dalla

Fratellanza. 145 N.’ABD AL-FATTAH, Les Frères Musulmans, in La situation religieuse en Egypte, PISAI – Etudes arabes, 94, 1998, pp. 84-85.

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110

Storicamente i kharigiti, il cui nome in arabo significa “coloro che sono usciti”,

hanno origine in un gruppo di musulmani che, in occasione della attaglia di Siffin

che vide contrapporsi nel luglio del 657 dell’ègira le truppe del quarto “califfo ben

guidato” ‘Ali e quelle do governatore di Siria e futuro califfo Mu’awiya,

abbandonarono il combattimento. Consideravano irragionevole uno scontro

fratricida tra musulmani per impadronirsi del potere. Per il loro rifiuto di

compromettersi negli intrighi della lotta per il califfato, i kharigiti si collocarono

al di fuori della comunità, scegliendo la purezza della dottrina contro le brutture

del mondo. Vivendo in luoghi ritirati scomunicavano (takfir) i musulmani che

non li avevano seguiti nel loro ritiro (hijra) e che commettevano il crimine di non

rivoltarsi contro il potere politico. La contropartita della loro rivolta permanente

contro qualsiasi potere impuro fu la loro sostanziale incapacità di costituire uno

Stato in grado di durare nel tempo. I dotti dell’Islam in contrapposizione a loro

hanno sempre scelto lo Stato, anche se iniquo e criticabile, poiché esso difendeva

la società musulmana contro gli infedeli. Il compito dei dotti era quello di

correggere il principe in errore, e lunga è la tradizione di critica al potere

costituito nel mondo islamico. Se difatti sono stati molti ‘ulamā’ pronti a

manifestare la loro compiacenza ai signori, è anche vero che una parte importate

fra loro non ha mai avuto timore di stigmatizzarne gli abusi. Gli ‘ulamā’ , poiché

parlano a nome di Dio e fondano sul Corano i pareri giuridici da loro emessi,

hanno il considerevole potere di conferire o togliere ad un governante la

legittimità. Chiunque contesti questo governante guadagnerà un notevole credito

se otterrà l’appoggio di alcuni ‘ulamā’ , o se riuscirà a farsi passare per tale e a

denunciare in nome di Dio il regime che vuole abbattere. Per questo queste figure

sono organizzate in corpi, dotati di istituzioni la cui funzione è esattamente quella

di filtrare l’accesso alla dignità religiosa e delimitare il numero e la qualità delle

persone abilitate ad emettere parere giuridici fondati sul Libro. Queste istituzioni

non sono però sempre riuscite a conservare l’indipendenza richiesta rispetto al

potere esecutivo, e per questo esiste uno spazio per pensatori musulmani la cui

formazione di base non è controllata dalle istituzioni che dispensano il sapere

religioso. Le istituzioni non possono che reagire a tale fenomeno o annettendo

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111

questi pensatori, “recuperandoli”, o additandoli come “eretici”. Sia al-Banna’ che

Qutb sono entrambi laureati a Dar al’ulum, la scuola normale non religiosa, e non

hanno mai studiato sui banchi di al-Azhar. Ma se al-Banna’ è stato, almeno in

maniera postuma, bene accolto dagli ‘ulamā’ , l’autore di “Pietre miliari” è stato

invece messo all’indice come deviante (munharif).

Per quanto aspre potessero essere le critiche dei dotti al potere costituito la

scomunica del principe nella storia è stata pronunciata solo in casi eccezionali,

perché questa apre la strada a temibili disordini e crea un pericoloso precedente.

Nel quadro di questo dibattito, in cui la posta in gioco è niente di meno che

l’Islam in quanto fattore di legittimità o illegittimità del potere politico, e che a

partire dalla seconda metà del XX secolo continua ad essere di scottante attualità,

si inseriscono le reazioni agli scritti di Qutb.

Dal giorno della sua impiccagione, il 26 agosto 1966, Qutb acquisì per i suoi

ammiratori la qualità di shahid, martire. Divenne arduo trattare la sua persona e la

sua opera in termini non passionali. Negli scritti dei funzionari civili e religiosi

del regime la sua memoria era offuscata come reazionario e traditore giustamente

punito; sul versante dei Fratelli Musulmani aveva libero corso solo l’agiografia,

nonostante evidenti divergenze di alcuni esponenti rispetto alle sue idee più

audaci.

La reazione dell’istituzione islamica egiziana fu indignata e si scatenò sulla rivista

del Ministero dei Waqf (beni religiosi), “Minbar al-islam” (“La cattedra

dell’Islam”) e in diversi titoli pubblicati al momento del processo di Qutb.146

L’opinione più autorevole è stata espressa, su richiesta dello shaykh di al-Azhar

Hasan Ma’mun, dallo shaykh Muhammad ‘Abd al-Latif al Sibki, presidente della

commissione della fatwa: benché inizialmente possa essere scambiata per

un’opera che chiama all’Islam, osserva lo shaykh Sibki, si prova ben presto

repulsione di fronte al suo “stile incendiario”, dagli effetti disastrosi sui giovani e

sui lettori di debole cultura islamica. Lo shaykh dichiara che è blasfemo indicare

146 Cfr. G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 36.

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112

col nome di jahiliyya qualsiasi altro periodo che non sia quello della predicazione

maomettana: “Come i kharigiti, Qutb utilizza i concetti di al-hakimiyya li-allah

per invitare ad opporsi a qualsiasi sovrano terrestre”. Lo shaykh ritiene invece

che il Corano predichi l’obbedienza al sovrano musulmano, il quale, a sua volta,

fa regnare la giustizia fra i suoi sudditi, d’altronde “la maggior parte degli attuali

dirigenti dei paesi dell’Islam sono buoni”. Quanto al jihad, per Qutb

consisterebbe nel dichiarare guerra a tutti coloro che non al pensano come lui, per

instaurare una società musulmana di cui lui sarebbe il capo. In conclusione,

“benché lo stile del libro sia infarcito di versetti del Corano e di rimandi alla

storia musulmana, non è altro in verità che uno stile da sabotatore, del tipo di

coloro che, in tutte le società, mescolano vero e falso per meglio dissimularsi”.

Questo “libro destinato a trarre in inganno i semplici e a fare di essi dei fanatici

e dei ciechi assassini” dev’essere messo in relazione con gli avvenimenti recenti

(il “complotto” dei Fratelli Musulmani nel 1965, ndr): “se facciamo il

collegamento tra la predicazione (da’wa) di Sayyid Qutb e gli avvenimenti

recenti, e se consideriamo ciò alla luce della Rivoluzione egiziana (il nasserismo,

ndr) e dei trionfi eclatanti da essa conseguiti in tutti i settori, appare in maniera

evidente che la predicazione dei Fratelli musulmani altro non è se non un

complotto contro la nostra Rivoluzione, occultato sotto la maschera dello zelo

religioso, e che coloro che se ne fanno predicatori o che vi prestano orecchio

intendono arrecare danno alla nazione, farla regredire e farle subire delle

calamità” 147. Il testo decisamente esclude qualsiasi possibilità di “recupero” del

pensiero qutbiano da parte del potere, diversamente da quella che sarà la sorte di

altre correnti del movimento islamista.

Più interessanti sono le confutazioni dell’opera in seno allo stesso movimento

islamista da parte di coloro che ne formeranno la componente riformista. La

Guida Suprema al-Hudaybi come detto aveva appoggiato il lavoro di Qutb,

eppure nel 1969 redige Predicatori…non giudici 148 (pubblicato postumo nel

147 IMAM ‘ABD ALLAH , ‘Abd al_nasir wa-l Ikhwan al-muslimun (Nasser e i Fratelli Musulmani), il Cairo 1980 cit. in G. KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p.37. 148 HASAN AL-HUDAYBI , Du’āt…la qudāt (Predicatori, non giudici), il Cairo 1977, cit. in P.MANDUCHI, Questo mondo non è un luogo…op.cit., p. 102.

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113

1977) , al fine di correggere gli errori di “certi” Fratelli Musulmani. Il testo di al-

Hudaybi contiene critiche esplicite all’opera di Mawdudi “Le quattro categorie

principali del Corano”, ma tra le righe è evidente la confutazione di alcuni

passaggi chiave di “Pietre Miliari” . Contro la già citata categoria qutbiana di

hākimiyya, l’assoluta sovranità di Dio, la Guida afferma:

“Un musulmano non deve mettere, autonomamente, un limite al potere di Dio

negandogli il diritto di permettere agli uomini di stabilire certe leggi e ordinamenti. […]

In verità Dio l’Altissimo ci ha lasciato uno spazio immenso negli affari di questo mondo.

Sta a noi organizzare questo spazio in maniera conforme alla nostra ragione, nel quadro

degli scopi generali e dei fini che l’Altissimo ci ha fissato e che ci chiede di eseguire, e a

condizione, certamente, che non permettiamo cose che Dio ha proibito, né proibiamo

cose che Dio ha permesso. Nella legge divina ci sono obblighi, interdizioni, questioni

definibili “neutre”. Nel campo delle faccende “neutre”, i musulmani devono elaborare

disposizioni, decreti, leggi, ordinamenti, relativi per esempio al regime che applicherà il

dovere divino di consultazione o concernenti i codici della circolazione stradale, le leggi

sull’igiene e la sanità, i regolamenti per la salvaguardia delle culture, l’utilizzo dei canali

d’irrigazione, le leggi sull’insegnamento, l’organizzazione delle professioni, medicina,

ingegneria, farmacia, etc., le leggi della funzione pubblica e dell’amministrazione, con le

loro diverse competenze e specializzazioni […] Tutto questo, è chiaro, non è in rapporto

con l’esistenza o meno di un “governo islamico”.

Tutti colgono il riferimento, tanto che Muhammad Qutb, fratello di Sayyid, nel

1975 pubblica una lunga lettera sull’organo dei Fratelli Musulmani libanesi, “Al-

Shihab”, per difendere la memoria del fratello contro quelli che lo accusano di

avere espresso idee in contraddizione con la dottrina dei Fratelli Musulmani:

“Io stesso l’ho sentito dire più di una volta: “noi siamo dei predicatori, e non dei

giudici. Il nostro scopo non è legiferare contro le persone, ma far loro conoscere la

verità che non esiste altro Dio all’infuori di Dio. La gente, infatti, non sa che cosa

comporta questa formula”149

149 G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 38.

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114

Secondo al-Hudaybi, l’azione dei Fratelli dev’essere predicare l’Islam nella

società in cui vivono; questa società non viene caratterizzata come jahiliyya, ma

esistono numerosi musulmani che sono in uno stato di juhl, di “ignoranza”. Le

due parole hanno la stessa etimologia ma, mentre una è carica di connotazioni

pregnanti per una coscienza musulmana, l’altra significa semplicemente

l’ignoranza a cui è possibile porre rimedio con la pura predicazione. E’ sufficiente

pronunciare le due professioni di fede ( “Non esiste altro Dio all’infuori di Dio” e

“Maometto è il Suo inviato”) per essere musulmano. Esistono certo musulmani

peccatori, ma non si scomunica un musulmano perché pecca. Ricordando questo

principio, che egli basa sul Libro e su diversi hadith, al-Hudaybi contraddice

Mawdudi, secondo cui la professione di fede ai nostri giorni non è ben compresa,

e oltre che esplicitata deve essere tradotta in atti affinché colui che la proferisce

meriti di essere chiamato musulmano. 150 Con questo escamotage la Guida critica

anche Qutb e la sua concezione secondo cui una società la cui legislazione non sia

fondata sulla Legge divina non è musulmana, anche se gli individuo si

proclamano musulmani, pregano, digiunano e compiono il pellegrinaggio.

Siamo al cuore del problema che dividerà, da questo momento e per tutto il

periodo della presidenza di Sadat, il movimento islamista tra “rivoluzionari”, per i

quali la società egiziana è jahiliyya, e “riformisti”, che ritengono sufficiente la

semplice “predicazione”, e non il “movimento” , per ricondurre all’Islam

autentico la società musulmana ignorante della validità universale della legge

coranica.

Il problema ritorna alla questione della valutazione del potere politico nell’Egitto

di Nasser e del suo successore: questo tipo di potere, consente alla Fratellanza la

predicazione? Hudaybi, e dopo la sua morte la corrente dei Fratelli riunita intorno

al successore Talmasani e alla rivista “al-Da’wa” (“La predicazione”),

rispondono affermativamente a questa domanda. Secondo questa corrente lo

Stato nasseriano non è strutturalmente diverso da quello che lo ha preceduto. I

giovani islamisti che hanno letto Qutb rispondono invece negativamente e

Page 118: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

115

riconoscono pienamente nella società egiziana una barbarie sotto l’egida di un

principe perverso da sconfiggere attraverso il “movimento”.

Jahiliyya è un termine coranico, per al-Hudaybi ha dunque il peso di un concetto

di cui bisogna comprendere il significato. Ma tutt’altro discorso vale per il

termine hakimiyya (“sovranità”), che Mawdudi utilizza come l’equivalente

contemporaneo della categoria coranica del rabb (“signore”) nell’espressione al-

hakimiyya lillah (“solo in Dio risiede la sovranità”). Per la Guida Suprema la

problematica del pensatore pakistano è vana nelle sue fondamenta: non c’è alcun

bisogno di cercare degli equivalenti contemporanei alle quattro categorie

principali del Corano, perché la tradizione non ha mai smesso di interpretarle. Di

conseguenza, sono perfettamente chiare. È poi privo di senso determinare il credo

dell’Islam facendo della hakimiyya un criterio: “certi fondano la loro fede su un

termine che non è attestato da alcun passaggio del Libro o dei detti del Profeta,

su una parola di fabbricazione umana, che non è sacrosanta ed è dunque

ricettacolo di errore e di illusione”151. Qutb è martire ed intoccabile e in tutta

l’opera non viene mai nominato, bisognerà aspettare il 1982 per leggere, dalla

penna di Talmasani, che “Sayyid Qutb rappresentava solo se stesso, e non i

Fratelli Musulmani”152. Durante gli anni Sessanta e Settanta la sua opera per i

Fratelli ”riformisti” è tanto imbarazzante quanto affascinante, mancando il

movimento di pensatori del suo calibro. Dopo il contributo di Hudaybi, alcuni dei

più anziani fra gli esponenti dei Fratelli Musulmani si cimentano in commenti

sull’opera: tutti questi scritti sono variazioni su uno stesso tema, impostato dalla

lettere precedentemente citata di Muhammad Qutb, che è una difesa e una chiave

di lettura “in tono minore” del pensiero del fratello.

“Non c’è nulla negli scritti [di Sayyid] che contraddica il Corano e la Sunna, su cui si

fonda la predicazione dei Fratelli Musulmani, [...], non c’è nulla in quegli scritti che

contraddica le idee dell’imam martire Hasan al-Banna’, fondatore dell’Associazione, in

particolare ciò che ha scritto nella sua lettera degli insegnamenti (risalat al-ta’lim),

capitolo XX: “ Non è permesso scomunicare il musulmano che ha pronunciato le due

151 HASAN AL-HUDAYBI , Du’āt…op.cit. 152 Cfr. G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 40.

Page 119: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

116

professioni di fede, che agisce conformemente a quanto esse impongono e adempie agli

obblighi rituali”.153

Erede spirituale di al-Banna’, Qutb non può essere il maitre à penser di coloro che

come i kharigiti si ritirano al di fuori della società, se lo si legge correttamente:

“Riguardo al problema della “separazione” (al-mufasala) era chiaro, nelle sue parole,

che si trattava di astrarsi mentalmente, di fare ciò che fa “spontaneamente” il musulmano

devoto e praticante (al-muslim al-multazim) nei confronti di coloro che non si sentono

vincolati dagli obblighi dell’islam, e non di effettiva separazione materiale. Perché è la

società in cui viviamo quella a cui predichiamo l’Islam, e se ce ne allontanassimo come

potremmo predicare?154

Con questa lettera Muhammad colloca il pensiero del fratello tra le due correnti e

in particolare tra i “moderati” come al-Hudaybi e la “Società dei Musulmani” di

Shukri Mustafa155, un movimento radicale salito agli onori delle cronache la cui

hijra, il ritiro lontano dalla jahilliya, non aveva così alcun titolo per richiamarsi a

Qutb. Dopo la pubblicazione di questa lettera, gli autori appartenenti alla

tendenza “riformista” del movimento islamista si dedicheranno ad un lavoro di

esegesi del testo di Qutb senza negare che abbia costituito un’ispirazione per la

tendenza rivoluzionaria più estremista, ma cercando di dimostrare che questa

ispirazione poteva nascere solo da una lettura poco attenta; a loro il compito di

presentare l’interpretazione capace di restituire il significato originario.

L’obiettivo di negare il rapporto diretto tra gli scritti di Qutb e i movimenti

estremisti degli anni Settanta si esplica attraverso tre procedure principali: il

confronto dei passaggi più apparentemente “eretici” con altri in cui è viceversa

proclamata l’adesione al dogma; l’analisi dei termini per ricollocarli nella

153 Lettera di Muhammad Qutb alla rivista “al-Shihab”, cit. in G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p.40. 154 Ibid. 155 Si tratta di una setta islamista operante nell’Egitto degli anni ‘70. Per un’analisi sul ruolo del suddetto movimento Cfr. G. KEPEL, Il Profeta e il Faraone… op.cit. pp. 46-79 ; e M. CAMPANINI, K.MEZRAN, Arcipelago Islam…op.cit., pp. 68-69, che danno due letture differenti dello stesso fenomeno.

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117

Tradizione; l’affermazione che a prescindere Qutb era un uomo, non un profeta,

quindi fallibile.

La lettura migliore di Qutb in questo spirito “riformista” è quella di Yusif al-

‘Azm, una delle personalità più in vista dei Fratelli Musulmani giordani, autore di

una documentata biografia.156 Per lui Sayyid era semplicemente un uomo, e non

era pertanto sacrilego discuterne le idee, era anzi necessario esporle chiaramente

perché non vi fossero equivoci, criticando quel che era criticabile. Sia la condanna

cieca sia l’agiografia, sostiene, sono atteggiamenti sbagliati e occorre tenere conto

delle condizioni di prigionia durissima al momento in cui le parole di Qutb sono

state scritte. Per al-‘Azm è inoltre necessario distinguere tra scomunica e

jahiliyya: Qutb utilizzava il termine jahiliyya nel senso di sottosviluppo

intellettuale, morale, etico; in questo senso, è assolutamente legittimo indicare col

nome di jahiliyya la società odierna, e i predicatori possono farlo, purché sia ben

chiaro che questo non condanna la società alla scomunica. Secondo l’esegesi di

al-‘Azm, l’avanguardia della umma diverrebbe non una setta che scomunica la

società ma una élite che cura i propri simili dalle ingerenze non musulmane. La

‘uzla, la separazione o ritiro, raccomandata da Qutb nel suo capitolo introduttivo,

quando scrive che “l’avanguardia deve sapere quando separarsi dalla gente”, è

ricondotta alle dimensioni di una semplice “astrazione spirituale”. Non si deve

viceversa esitare nel considerare errate quelle considerazioni estreme che Qutb ha

fatto, sempre secondo al-‘Azm, a causa della sua natura umana fallibile ed

influenzato dalle torture subite, sempre senza dimenticare che si tratta di uno

scrittore e non di un faqih (esperto di diritto religioso), e che a volte si lasciava

trasportare dal proprio stile. La posizione di Yusif al-‘Azm è senza dubbio

paradigmatica dell’atteggiamento ambiguo dei maggiori esponenti dei Fratelli

Musulmani rispetto a Qutb.

156 YUSIF AL-’A ZM, Ra’id al-fikr al-islami al-mu’asir, al-shahid Sayyid Qutb (Il martire Sayyid Qutb, maestro del pensiero islamico contemporaneo), Damasco-Beirut 1980.

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118

Si possono in definitiva riconoscere tre diverse linee interpretative del pensiero

qutbiano lasciato in sospeso dalla morte prematura 157. I più estremisti ritengono

che, al di fuori del loro ristretto nucleo di veri credenti, l’empietà regni

dappertutto, e pronunciano quindi il tafkir generalizzato, che va a colpire persino i

loro compagni di prigionia. Altri limitano la loro scomunica ai dirigenti, empi

perché non governano secondo i dettami contenuti nei testi sacri, ma risparmiano

le masse dei credenti. Altri ancora, soprattutto fra i Fratelli rilasciati o residenti

all’estero, che riconoscono Hasan al Hudaybi come Guida Suprema, propongono

un’interpretazione allegorica dei passaggi più controversi degli scritti di Qutb.

Alla fine degli anni Sessanta queste tre tendenze si manifestano all’interno di una

corrente islamista che agisce per lo più nella clandestinità: in essa, i giovani che

volevano abbattere lo Stato e persino punire la società per la sua passiva

accettazione di questo Stato “empio”, si oppongono a quel che restava

dell’establishment dei Fratelli. I membri di quest’ultimo, stabilitisi

prevalentemente in Arabia Saudita e in Giordania, spaventati da un tale livello di

radicalismo e ancora traumatizzati dalla repressione del 1954 in Egitto,

prediligevano ove possibile il compromesso politico allo scontro con lo Stato, e

attendevano l’ora della riscossa, fino alla clamorosa sconfitta subita dagli eserciti

arabi uniti contro Israele nella guerra dei Sei Giorni del giugno 1967.

Quest’ultima assesta un duro colpo agli stati nati dal nazionalismo arabo e

destabilizza Nasser, che presenta le sue dimissioni, per poi ritirarle in una

situazione drammatica.

Comincia così a sgretolarsi il consenso sui valori nazionalisti dominanti dal

momento dell’Indipendenza, su cui si fondava la legittimità del potere. E’ in

questa breccia culturale che si insinuerà, insieme ad altre ideologie contestatarie,

il pensiero islamista, che irromperà nelle sue molteplici forme durante gli anni

Settanta in quasi tutti i paesi del mondo musulmano.

157 Cfr. GILLES KEPEL, Jihad, ascesa e declino. Storia del fondamentalismo islamico, ed. Carocci 2011, pp. 31-33.

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119

SADAT E UN NUOVO INIZIO. UNA GALASSIA ISLAMISTA

Dalla fine degli anni Sessanta, come detto, i Fratelli Musulmani non dovranno

più guardarsi solo dall’autoritarismo dei regimi egiziani che si succederanno fino

ai nostri giorni, ma anche da tutta una galassia di movimenti che, attraverso

pratiche più o meno violente, sicuramente radicali, potevano indebolire l’azione

del movimento “madre”, perché giocavano all’interno dello stesso campo di

legittimazione religiosa. La linea ufficiale sarà quella di un ritorno ai principi

enunciati dal primo leader della Fratellanza, l’unico che poteva concorrere con

Qutb nel pantheon dei martiri (shuhada’) per la causa islamica, ovviamente Hasan

al-Banna’. La rielaborazione radicale del concetto globale islamico nata dalle

carceri nasseriane aveva prodotto, almeno inizialmente, un indebolimento

dell’appello dei Fratelli, incapaci in questo periodo di rimanere uniti sotto

un’unica idea di riforma islamica. La storia moderna del movimento nasce

proprio dalle ceneri di questo periodo, e dalla ripresa di valori e pratiche

dell’epoca di al-Banna’ adattate al nuovo contesto sadatiano, che permetteranno

all’Associazione una riorganizzazione teorica e pratica.

Dopo la morte di Nasser, nel 1970, la rinascita dei Fratelli si legò strettamente al

rapporto che il nuovo ra’is Anwar al-Sadat instaurò con l’Islam. Come sottolinea

Massimo Campanini:

“Mentre Nasser faceva dell’Islam l’ispiratore etico e ideale di scelte politiche laiche,

Sadat voleva fare dell’Islam un’arma di governo, ma senza i musulmani, confiscando cioè

a suo pro la simbologia religiosa, e cercando di evitare che le forze religiose interferissero

con le sue decisioni”158

La propaganda che Sadat utilizzò per mostrarsi come il “presidente credente”

aveva il fine principale di trovare una legittimazione nuova rispetto a quella del

suo predecessore. Era inoltre uno strumento importante per logorare la sinistra

egiziana di stampo comunista, e quella base nasseriana che, nonostante la

158 M.CAMPANINI, Storia dell’Egitto…op.cit., p. 231.

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120

cosiddetta “rivoluzione del riassestamento” del 1971,159 era ancora fortemente

presente negli apparati statali.160 L’amnistia generale che permise a molti membri

della Fratellanza di uscire dalle carceri in quello stesso anno (e che si completò tra

il 1971 e il 1975), era direttamente collegabile a questa politica. I Fratelli poterono

così cominciare una lenta ricostruzione del proprio apparato, e rimodellare la

propria ideologia in funzione delle esperienze acquisite.

Alla luce della dura repressione degli anni passati, la nuova Guida Suprema, al-

Tilmisani, adottò una strategia di riconoscimento del sistema politico egiziano.

Questo comportava il rifiuto della violenza come arma politica e un rinnovato

sforzo dedicato all’islamizzazione della società dal basso, con una maggiore

impronta al dialogo con tutte le forze politiche e sociali presenti sul territorio

egiziano. Dunque un esplicito ritorno ai dettami di al-Banna’ ed un parallelo

allontanamento dalle idee di Qutb che mal si conciliavano con la volontà di

riemergere sulla scena egiziana. Il pensiero formulato dal fondatore del

movimento, comprese le sue ambiguità, risultava invece perfettamente funzionale

a questo scopo. La predicazione ritorna ad assumere un ruolo centrale (haraka),

ma si permea di una forte critica a quel panarabismo che aveva contraddistinto il

discorso nasseriano, giudicato a posteriori un’ideologia parziale.161 L’educazione

riassume l’accezione originaria, almeno in teoria, perché i Fratelli non hanno più a

disposizione quel vasto panorama di vettori comunicativi sviluppato dagli anni

Trenta. In questa attività si segnala Zaynab al-Ghazali, già citata fondatrice e

principale animatrice della sezione femminile della Fratellanza. Zaynab affermava

che compito primario della donna è di essere moglie e madre, ma affermava anche

che le donne non devono affatto rinunciare all’impegno pubblico e politico. Le

sue lezioni nelle moschee del Cairo erano frequentissime e contribuirono alla

formazione islamica soprattutto delle donne del popolo. 159 Con “rivoluzione del riassestamento” (Corrective Revolution) si intende la svolta politica impressa da Sadat una volta salito al potere dopo la morte di Nasser (avvenuta per cause naturali il 28 settembre 1970), di cui era stato vicepresidente, volta a depurare il governo, le istituzioni e le forze armate dagli elementi nasseriani più ardenti. La “rivoluzione correttiva”, che comporta una netta deviazione dal punto di vista economico, ideologico e di politica estera, porterà alla scarcerazione di alcuni Fratelli imprigionati, ed accorderà agli islamisti maggiore autonomia in cambio del sostegno politico. 160 Cfr. A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p.22. 161 G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., p. 101.

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121

Dal 1976 dopo il benestare del regime, riprendono le pubblicazione della rivista

“da’wa” , che si prodiga tra l’altro in una riscrittura della storia del movimento,

per legittimarne l’esistenza e l’azione ed ottenere il riconoscimento politico

necessario alla ricostruzione.

Pur maggiormente liberi rispetto al recente passato, gli Ikhwan non ottennero mai

un riconoscimento ufficiale. Il provvedimento del 1954 che li aveva resi un

movimento illegale è rimasto fino ai tempi recenti in vigore, così come la

proibizione di costituzione di formazioni politiche esplicitamente religiose voluta

da Sadat nel suo pluripartitismo “guidato”. L’ambiguo status di cui godevano

permetteva al regime di mantenere una spada di Damocle sulla testa

dell’organizzazione, che rendeva quindi necessaria la collaborazione col potere. I

Fratelli rilasciati dalle carceri parteciparono alla redazione di parti della

“Costituzione permanente” del 1971 che esplicitamente riconosceva l’Islam come

“fonte principale della legislazione” (masdar ra’isi li al-tashri’); nel 1976

sostennero il multipartitismo e la politica di infitah162 di Sadat, che doveva

rappresentare ai loro occhi una opportunità da cogliere per la costituzione di una

società islamica. La politica cooptativa del regime si concretizzò in numerose

iniziative: oltre alle pressioni affinché la rivista “al-Da’wa” non fosse critica nei

confronti del governo, Sadat propose ad al-Tilmisani l’ingresso nel majlis al-

shurà (Consiglio Consultivo). Propose anche di correggere lo statuto legale

dell’associazione registrandola come un’organizzazione del Ministero degli Affari

Sociali, ma entrambe queste offerte furono declinate dalla Guida, che preferiva

uno statuto semilegale piuttosto che una diretta dipendenza dal governo egiziano.

162 Letteralmente "apertura", è il termine che il governo di Sadat volle dare agli inizi degli anni Settanta all'apertura economica che metteva di fatto fine al modello economico dirigistico fino ad allora seguito fin dall'epoca del nasserismo. Questo cambiamento, che significò l'apertura di fatto alla logica del mercato fu il primo visibile passo compiuto in direzione di un profondo e radicale cambiamento delle alleanze internazionali, con l'abbandono dell'amicizia privilegiata fin lì osservata nei confronti dell’Unione Sovietica e l'avvicinamento sostanziale agli Stati Uniti.

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122

Nonostante la Guida tentasse di mantenersi autonoma di fronte alle pressioni, il

pragmatismo di quegli anni indeboliva inevitabilmente l’efficacia del messaggio.

I Fratelli Musulmani desideravano presentarsi come i guardiani morali della

politica egiziana, ma se negli anni Quaranta, e fino alla repressione del 1954,

questa politica di “controllo” rappresentava un indicatore della loro forza, in

questo momento è sintomo della loro debolezza, perché al di là di questa critica

non possono spingersi. Emblematico è il loro atteggiamento nella seconda metà

degli anni Settanta di fronte al riavvicinamento tra Egitto ed Israele: vista la

posizione di debolezza, la loro critica non andò oltre le righe del proprio giornale,

costretti a mantenere un atteggiamento sostanzialmente moderato. 163

Queste ambiguità saranno maggiormente evidenziate dallo sviluppo nel medesimo

periodo di un nutrito numero organizzazioni islamiche: la libertà d’azione e di

espressione che Sadat aveva lasciato alle correnti islamiche per sgretolare il

blocco nasseriano aveva infatti preso delle pieghe inaspettate. Numerose

associazioni benefiche islamiche si erano fortemente sviluppate in questo

decennio; la legge sulla nazionalizzazione delle moschee (che dal 1971 faceva

passare una gran parte di queste sotto il diretto controllo del Ministero dei Waqf)

non includeva in effetti tutte quelle gestire da associazioni considerate apolitiche.

Queste moschee sfuggite al controllo del Ministero costituiranno un importante

spazio di socialità e un punto di partenza per quella galassia di movimenti islamici

rivoluzionari che si prodigheranno in un’attività di islamizzazione sempre più

radicale. La concorrenza che questi gruppi esercitarono sull’attività dei Fratelli

Musulmani deve principalmente addursi al tipo di azione da loro intrapresa.

Tra le varie associazioni vale la pena ricordare La società dei Musulmani, anche

chiamata Takfir wa Hijra (Scomunica ed Egira), e al-Jihad. Le caratteristiche

peculiari di questi movimenti li pongono in rotta di collisione col neo-

tradizionalismo. Il caso di Tafkir wa hijra e del suo leader e fondatore, Shukri

Ahmad Mustafà, è degno di particolare considerazione. 164 Shukri Mustafà era un

agronomo che conobbe il carcere sotto Nasser. Liberato all’epoca delle aperture di 163 Cfr. A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p.22.

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123

Sadat verso gli islamisti, si impegnò in un’opera di propaganda islamica, quindi

nel 1973 decise la “svolta del ritiro” (hijra, su modello del ritiro del Profeta) e con

i propri seguaci si nascose sulle montagne del deserto, sognando la costituzione di

una società di veri musulmani. Nel 1977 il gruppo rapì e uccise un ex ministro dei

Waqf ed ‘ulama’, Muhammad al-Dhahabi, scatenando la durissima repressione

delle autorità. Tra gli altri, Shukri fu arrestato e impiccato. La Società dei

Musulmani rivela caratteri post-moderni di estremismo irrazionalista ed un

anarchismo privo di qualsiasi centralizzazione direttiva. La condanna radicale

della società contemporanea jahilita , su modello qutbiano, si accompagnava nella

sua ideologia al rifiuto di mescolarsi con altri “miscredenti”: una distinzione netta,

manichea, che opponeva i veri credenti, ovvero gli adepti, al resto del mondo.

Shukri Mustafà giunse al punto di condannare ogni tipo di cultura, scritta o orale,

filosofia o letteratura, teologia o belle arti, in nome di una purezza della

rivelazione originaria a partire dalla quale il mondo avrebbe seguito una

irreversibile via alla perfezione. Storici come Gilles Kepel giudicano quello di

Shukri come un tentativo sia pur velleitario di trovare un nuovo linguaggio

dell’Islam ed una nuova organizzazione sociale; altri come Massimo Campanini e

Karim Mezran sottolineano come essa si ponga in palese rotta di collisione col

Corano e la sunna del Profeta , dove la scienza e l’impegno sociale, l’amore per il

sapere e il coinvolgimento “sulla via di Dio” sono al contrario presentate come

caratteristiche dell’impegno islamico alla riforma della società.165 Quale che sia il

giudizio su questa associazione, la sua collocazione ed il suo operato, di certo

rappresenta una delle tante varianti dell’avanguardia islamista radicale che si

ritorcerà contro il machiavellismo sadatiano, e il processo tenuto al suo leader

segna il fallimento della strategia del potere nei confronti della corrente islamista.

Quanto all’associazione Jihad, era stata fondata da un ingegnere, ‘Abd al-Salam

Faraj, autore di un opuscolo militante dal titolo “L’obbligazione assente” (“Al-

Farida al-gha’iba”), riferendosi al dovere che, secondo Faraj, mancava da secoli

nella dottrina e nella prassi politica dei musulmani, ovvero il jihad.

Richiamandosi al teologo medievale Ibn Taymiyya, Jihad sosteneva che

combattere contro un regime oppressore, falsamente musulmano e anzi

165 Si veda nota 110.

Page 127: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

124

decisamente miscredente, fosse un vero e proprio dovere per un autentico muslim.

Sarà proprio un rappresentante di questa associazione radicale a porre fine alla

vita di Sadat, il 6 ottobre 1981.

Tra il 1970 e il 1981 la Fratellanza sembra dunque non detenere più il monopolio

del discorso contro-egemonico islamico, tantomeno quello dell’azione dal basso

per la costruzione di un consenso politico. Per quanto riguarda il primo aspetto,

seppur con interpretazioni tra loro anche conflittuali, le diverse tendenze del

movimento islamista si erano sostanzialmente riappropriate di quell’eredità

qutbiana abbandonata dai Fratelli. Per quanto riguarda invece il secondo aspetto,

il politologo Francois Burgat sottolinea:

La maggior parte di quei movimenti che sono stati etichettati come “rivoluzionari” negli

anni Settanta era sostenitrice di un’azione dal basso. Fatta eccezione che per la piccola

organizzazione egiziana Jihad […] le pratiche di islamizzazione sociale sono rimaste

centrali nelle preoccupazioni di tutti questi gruppi considerati rivoluzionari dal momento

in cui hanno cominciato a reagire alla violenza di Stato.166

Organizzazioni come le Jam’iyyat islamiyya,167 riuscirono molto più

efficacemente della Fratellanza nella penetrazione degli ambienti universitari e

non solo.168 Dalla seconda metà del decennio il regime avvertirà la pericolosità di

questi nuovi gruppi. Si trattava di un ulteriore elemento di destabilizzazione, che

si nutriva delle inedite condizioni socio-economiche, nonché del processo di

reislamizzazione del politico che tutto il mondo arabo stava vivendo in quel

periodo. 169 In continuità con la propria politica compromissoria la Fratellanza

tentò di trarre vantaggio da questa situazione: al-Tilmisani arriverà a chiedere il

riconoscimento del proprio movimento con lo scopo di contenere le spinte

contestatarie della galassia islamista.

166 FRANCOIS BURGAT, L’islamisme en face, la Decouverte, Parigi 2002, p.86 . 167 Si tratta di associazioni islamiste studentesche che si sono imposte durante la presidenza Sadat come dominanti nei campus universitari. 168 Cfr. G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., pp. 107-125. 169 Cfr. G.KEPEL, Jihad…op.cit., cap.3.

Page 128: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

125

Inoltre, proprio in questo periodo la Fratellanza prese contatti con la Jam’iyaa al-

shar’iyya. Nata all’inizio del secolo ventesimo si tratta di una delle ancora oggi

più importanti associazioni caritatevoli del panorama egiziano, per capillarità e

risorse a disposizione. Si sviluppò in epoca nasseriana, quando il regime ne prese

sostanzialmente il controllo, e da quel momento l’associazione, per tramite del

Ministero degli Affari Religiosi, mantenne sempre uno stretto rapporto col potere.

Esente dalla nazionalizzazione delle moschee del 1971, la Jam’iyya diversificò

ulteriormente le sue attività sotto Sadat, svolgendo una funzione mediatrice tra

l’amministrazione egiziana e la società. L’avvicinamento comincia quindi negli

anni Settanta, con il permissivo atteggiamento di Sadat, che non ostacolava la

presenza di membri della Fratellanza all’interno dell’associazione. Fino a quando

questa presenza non intaccò il quadro direttivo nazionale dalla Jam’iyya,

direttamente vincolato al governo, Sadat non fece nulla per impedirne il connubio,

e dal canto loro i Fratelli inizialmente si accontentarono di questa penetrazione,

senza pretendere di stravolgere finalità e pratiche dell’associazione, consapevoli

delle eventuali conseguenze di un suo diretto impegno “politico”. Agli occhi dei

Fratelli questa era una via di accesso indiretta al politico e al tempo stesso una

strada per un radicamento sul territorio.

Parallelamente i Fratelli prestavano attenzione ai nuovi attori sociali sulla scena

politica, in particolare al movimento studentesco. Sviluppatosi a partire dalle

contestazioni del 1968 170, il movimento studentesco assunse una connotazione

sempre più politica, domandando ad alta voce riforme che garantissero una

maggiore partecipazione nei processi decisionali ed una maggiore libertà

d’espressione. Dalla seconda metà degli anni Settanta questo divenne

appannaggio dei gruppi militanti islamisti, a scapito della sinistra egiziana. Ma la

Fratellanza non era alla testa di questo movimento. Dal momento in cui lo

scontro tra il movimento studentesco controllato da gruppi islamisti e il governo si

fece più aspro, i Fratelli si ritrovarono tra due fuochi. Nel 1977 Sadat chiese

addirittura proprio il loro intervento per tentare di disinnescare una situazione

potenzialmente esplosiva, dato il radicalismo che il movimento stava assumendo. 170 Cfr. G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., pp. 107-125. Un quadro esaustivo lo fornisce A.ABDALLAH , The student movement and national politics in Egypt, Al Saqi Books, Londra 1985.

Page 129: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

126

L’atteggiamento della Fratellanza fu di condanna rispetto agli atti violenti, senza

però appoggiare il messaggio de “la politica fuori dalle università” che il regime

avrebbe voluto. Anche in questo caso, la Fratellanza era ben conscia del

potenziale bacino rappresentato dalla base sociale che il movimento studentesco

era riuscito ad attirare, e quel consenso era agli occhi della Guida ben più

importante dell’identificazione col regime. Ecco perché, quando nel 1978 alcuni

giovani leader islamisti del movimento studentesco furono arrestati, un gruppo di

avvocati legati alla Fratellanza si offrì di difenderli in cambio di una loro

associazione agli Ikhwan. Le divergenze ideologiche non permisero

un’accettazione dell’offerta in questa fase, che si concretizzò invece a partire dagli

anni Ottanta. Le moschee private e i campus universitari costituiranno il punto di

partenza per la ricostruzione della base sociale degli Ikhwan, con una strategia di

penetrazione che darà i suoi primi frutti dal decennio successivo.

Intanto, non solo la radicalizzazione del discorso religioso sembrava minare la

solidità del governo di Sadat, ma anche le scelte in politica economica, politica

interna e politica estera della sua amministrazione lo esponevano a critiche

sempre più marcate. Le liberalizzazioni economiche ebbero effetti devastanti,

arricchendo pochi e diffondendo la miseria in ampi strati della popolazioni; la

gestione autoritaria ed illiberale del potere e l’eccesso di occidentalizzazione dei

costumi veniva contestato dalle organizzazioni islamiche, e ancora più sdegno

provocava la scelta di appoggiare gli Stati Uniti e di stipulare una pace con Israele

(1979). Delusione per le ideologie laiche, povertà diffusa e crisi sociale,

oscillazioni nella politica interna: questi fattori si mescolarono in un clima di

crescente ostilità che alimentò contro Sadat l’opposizione della sinistra, dei copti,

degli intellettuali e, naturalmente, degli islamici. Dopo una serie di vanificati

tentativi di colpi di Stato, Sadat optò per l’incarcerazione, nel settembre 1981, di

diverse migliaia di oppositori: un mese più tardi il braccio armato di al-Jihad

passò all’azione, uccidendo il Presidente, simbolicamente durante la parata

militare che commemorava l’ottavo anniversario dell’inizio della Guerra di

Ottobre contro Israele, e quella prestigiosa traversata militare del canale di Suez

Page 130: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

127

che permise al ra’is di occultare momentaneamente la corruzione e l’incuria della

sua amministrazione.

In realtà il delicato equilibrio tra Sadat e gruppi islamisti si era incrinato già

qualche anno prima, e in particolare si può prendere come riferimento il 1977.

Prima di questa data Stato e movimenti islamisti avevano un rapporto

complementare: all’ala “riformista” del movimento, raccolta intorno al mensile

“al-Dawa” dei Fratelli Musulmani e presente all’università nelle Jama’at

islamiyya, il potere dimostrava una benevolenza ripagata con il “repulisti” dai

campus di tutto ciò che era in odore di comunismo o di nasserismo; all’ala

marginale e settaria dello stesso movimento, veniva concessa una tolleranza

compensata da un’infiltrazione della polizia, con lo scopo di offrire alla dissidenza

islamista degli sfoghi che la tenessero lontana dalla tentazione del colpo di Stato,

che un abortito tentativo dell’aprile 1974 all’Accademia militare di Eliopoli aveva

ricordato essere di estrema attualità. 171 La scommessa di Sadat, che molti capi di

Stato del mondo musulmano rilanceranno negli anni seguenti, consisteva quindi

nell’incoraggiare lo sviluppo del movimento islamico in cambio del sostegno

politico, conferendogli una certa autonomia culturale ed ideologica, purché gestita

dall’intellighenzia islamista, nonché un più ampio accesso della borghesia

religiosa ad alcuni settori dell’economia privatizzata. Questi islamisti benvoluti

dal potere dal canto loro devono sbarrare la strada ai gruppi radicali che

vorrebbero sovvertire l’ordine sociale. 172

Questo gentleman’s agreement finisce come detto nel 1977. L’anno era

cominciato con delle agitazioni contro la politica di apertura economica, di cui

gran parte della popolazione temeva le ricadute sociali; poi il già citato rapimento

e assassinio da parte della Società dei Musulmani (al takfir wa-l hijra), quindi, in

ottobre, un mese dopo il processo all’associazione, Sadat si reca a Gerusalemme

per stringere la pace con Israele, un passo politico che avrà effetti dirompenti sulle

relazioni con l’intellighenzia islamista e la borghesia religiosa. L’irruzione stessa

di un gruppo come al takfir wa-l hijra sulla scena dimostrava come il regime e i 171 Cfr. G.KEPEL, Il Profeta e il Faraone…op.cit., cap.3. 172 Cfr. G.KEPEL, Jihad…op.cit, cap.5 .

Page 131: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

128

“moderati” non fossero riusciti a contenere la frangia radicale del movimento

islamista, destinata anzi a crescere negli anni e a scivolare nel terrorismo. Il

gruppo, che suscita grande impressione entro ed oltre i confini egiziani per il suo

estremismo, offriva un progetto di vita comunitario ai giovani reclutati dagli

ambienti modesti rimasti marginalizzati dal liberismo economico di Sadat,

mettendo in luce tutti i fallimenti del regime. Le autorità religiose avevano

rifiutato le idee di Shukri, assimilate da un ‘ulema’ di al-Azhar (quello sceicco

Dhahabi che sarà preso in ostaggio e ucciso) al kharigismo, e lo stesso gruppo si

era scontrato militarmente con altre fazioni islamiste concorrenti. Nonostante ciò

al processo il procuratore militare criminalizza, oltre a Shukri, gli islamisti in

generale e la stessa istituzione religiosa di al-Azhar, che pure aveva subìto

l’assassinio di uno dei suoi esponenti senza che le autorità avessero intavolato un

negoziato: l’Università fu giudicata incapace di inculcare nei giovani il “vero

islam” e perciò aperta all’influenza di un “ciarlatano” come Shukri. Il caso può

essere considerato il preludio della rottura del movimento islamista con il regime,

sancita dal viaggio di Sadat il mese successivo. Il ra’is non poteva ammettere

contestazioni alla sua politica, riassunta in quegli ambienti nella formula

“vergognosa pace con gli ebrei”. L’unione degli studenti venne sciolta, i beni

delle Jama’at sequestrati, i loro campi estivi chiusi dalla polizia e, come

avvertimento, anche il giornale dei Fratelli Musulmani subì gli strali della

censura.

Nonostante il crescendo di tensione tra potere centrale e islamisti, questi ultimi

non serrarono i ranghi. Al-Tilmisani e i suoi volevano un’opposizione rispettosa

della legalità, anche per ragioni opportunistiche: le pagine pubblicitarie del loro

mensile oltre alle inserzioni di aziende appartenenti ai Fratelli arricchiti durante

l’esilio, contavano anche numerosi annunci di società a partecipazione statale.173

Le transazioni tra la borghesia religiosa e il potere, la loro complementarità, non

venivano rimesse in discussione dalle vicissitudini politiche, che non potevano

trascinare la borghesia religiosa verso una strategia di rovesciamento violento del

regime. ma, proprio perché non animata da uno spirito di opposizione oltranzista,

173 Ivi, p. 91.

Page 132: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

129

quella borghesia religiosa perse il contatto con i militanti più radicali, provenienti

dal mondo studentesco e dalla gioventù urbana povera, che avrebbero preso da

soli l’iniziativa di andare allo sconto con Sadat. La radicalizzazione

dell’opposizione islamista dopo il 1977 coinvolgerà innanzitutto la base delle

ja’ma’at: la predicazione nei campus si trasformerà in azione clandestina nelle

periferie urbane egiziane, abitate da una popolazione in miseria (Il Cairo,

Alessandria, le grandi città dell’alto Egitto, Assiut e Minia). Da queste zone

proverranno quasi tutti gli imputati, arrestati dopo l’assassino di Sadat e

l’insurrezione di Assiut nell’ottobre 1981. L’organizzazione della Jihad di

Abdessalam Faraj mette in pratica “l’imperativo occultato” uccidendo il ra’is,

dopo aver scavato un ulteriore solco col clero “traditore” colluso col potere

empio: è una frattura interiore ed insanabile tra frangia radicale ed intellighenzia

islamista , ma la critica si estende anche ai “moderati”. Secondo Faraj, i Fratelli

Musulmani, nel fare opposizione legale al sistema, sottovalutano la sua natura

profondamente empia e, partecipandovi, la rafforzano. Per instaurare lo Stato

islamico, Faraj e i suoi compagni di congiura compiono un atto di forza: a loro

avviso l’omicidio di Sadat avrebbe mosso le masse, sarebbe stato il preludio di

una “rivoluzione popolare”. Negli interrogatori seguiti all’arresto, gli imputati

hanno usato proprio queste espressioni, con riferimento all’Iran, dove la

rivoluzione aveva da poco trionfato (1979). Ma gli islamisti iraniani avevano

saputo mobilitare fianco a fianco, sotto la guida dell’ayatollah Khomeini, i

giovani poveri delle citta, i mercanti del bazar e i ceti medi laici. Al contrario,

Faraj e i suoi avevano tagliato i ponti con la borghesia religiosa egiziana,

insultando il clero, la cui “obbligazione mancante” era divenuto anzi il loro primo

bersaglio. Furono incapaci di trasformare l’attentato in rivolta generale in nome

dell’islam, di saldare le opposizioni conto il potere “empio”. Non avevano alcuna

reale soluzione alternativa. Non vi era alcun progetto di costruzione di un nuovo

Stato sulle ceneri di quello abbattuto. Il primo passo era proprio quello di

combattere e vincere il nemico “vicino” (i falsi musulmani e i governi corrotti)

per poi rivolgere le energie del jihad verso il nemico “lontano”, Israele e

l’Occidente, in primo luogo gli Stati Uniti. Eppure, al momento dell’assassinio,

l’impopolarità di Sadat, che aveva riempito le carceri di ogni genere di oppositore,

Page 133: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

130

anche i più moderati, era al culmine, il che lo portava ad un isolamento quasi

paranoico. Mentre al ra’is succedeva Mubarak e l’insurrezione orchestrata

dall’Organizzazione della Jihad ad Assiut veniva domata dai paracadutisti, ai

militanti radicali veniva data la caccia nei quartieri popolari. In seguito, il clero di

al-‘Azhar ha speso molte energie per dimostrare che le idee di Faraj e dei suoi

compagni non avevano alcun titolo per richiamarsi all’opera di Ibn Taimiyya.

Insultati dagli attivisti, gli ‘ulamā’ hanno replicato che soltanto loro erano abilitati

ad interpretare i grandi Testi della tradizione islamica, fuori dalla portata degli

“ignoranti”. I dotti dovevano fare i conti con la nuova realtà: la politica saudita di

diffusione di massa delle proprie opere, favorita dal clero wahabita instaurato in

Arabia Saudita, le aveva rese accessibili ai giovani radicali secolarizzati. Questi

ultimi ne avrebbero fatto una lettura altrettanto conservatrice dal punto di vista

morale, ma molto più destabilizzante per l’ordine costituito.

Il caso Egiziano di fine anni Settanta illustrava così per la prima volta il fallimento

politico degli islamisti, le cui tre componenti non riescono a costituire un unico

fronte. Ma mostra anche l’empasse di un regime che, sperando di mantenere

l’ordine sociale, ha voluto allearsi alla borghesia religiosa e utilizzare

l’intellighenzia islamista “moderata”, lasciando a quest’ultima il controllo in fatto

di morale e cultura e concedendo alla prima qualche beneficio dell’economia

privatizzata. In seguito al viaggio di Sadat a Gerusalemme e alla pace con Israele,

gli orientamenti dello Stato egiziano si sono scontrati con i valori fondamentali

dell’islamismo, anche nella sua componente più moderata: l’ostilità verso gli ebrei

e in particolare verso lo Stato ebraico. Il regime è caduto nella trappola da lui

stesso tesa: il discorso dell’intellighenzia, bene accetto finché attaccava la sinistra,

è diventato un fattore di instabilità, coagulando e radicalizzando l’opposizione. La

componente borghese del movimento, contraria allo scontro aperto, è stata

sopravanzata dai gruppi di giovani poveri delle periferie e dagli studenti partigiani

della jihad. Gli islamisti egiziani, nonostante l’iniziale fallimento, hanno svolto

comunque il ruolo di precursori. Il loro esempio sarà a lungo meditato e susciterà

l’emulazione dei militanti fin nell’Africa subsahariana o in Asia centrale, grazie al

prestigio di un Paese in cui erano nati i Fratelli Musulmani e Sayyid Qutb.

Page 134: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

131

L’ERA MUBARAK

Che la Fratellanza non fosse coinvolta nell’attentato è confermato dal fatto che il

nuovo presidente, Husni Mubarak, inaugurerà il suo primo periodo di ufficio con

un atteggiamento tollerante e possibilista, sia verso le opposizioni laiche sia verso

i Fratelli, nell’evidente tentativo di pacificare la società egiziana che sotto Sadat

aveva conosciuto una escalation di estremismo e violenza. In realtà è possibile

distinguere due fasi della politica di Mubarak verso i Fratelli, due fasi

corrispondenti a due indirizzi divergenti della politica complessiva del presidente.

La prima fase, racchiusa negli anni Ottanta, fu di tacita tolleranza, anche se non di

aperto riconoscimento. La situazione di instabilità all’indomani dell’assassinio di

Sadat aveva quasi obbligato il nuovo ra’is a una politica di distensione, e i Fratelli

approfittarono del nuovo clima politico per avviare delle trasformazioni

importanti che caratterizzeranno la loro attività sino ai giorni nostri. Gli Ikhwan

rimangono fermi nella volontà di islamizzazione dello Stato e della società

egiziane, vi è però un mutamento sostanziale, nella decisione di istituzionalizzare

la propria attività politica e sociale. Avevano osservato con attenzione il processo

di apertura democratica avviatosi sotto Sadat e percepiscono la crescente re-

islamizzazione della società e il moltiplicarsi di riferimenti all’Islam nei discorsi

politici come un buon substrato per la loro azione politica. 174 Comprendono

quindi le potenzialità di portare il loro messaggio in tutte quelle istituzioni

politico-sociali a cui lo Stato egiziano, almeno teoricamente, aveva

progressivamente delegato un potere di rappresentanza. La loro strategia da

questo momento, sia con ‘Omar al-Tilmisani sia con Muhammad Hamid Abu al-

Nasr che prenderà il suo posto nel 1986, era di mantenere un basso profilo per

ottenere un riconoscimento politico. Questo sembrava conciliarsi perfettamente

con la strategia del primo Mubarak, da poco salito al potere e alla ricerca

anch’esso di una legittimazione. Questo connubio d’interessi si concretizzerà con

la partecipazione dei Fratelli alle tornate elettorali del 1984 e del 1987, e con il

174 JEAN-NOEL FERRIÈ, Les frères musulmans égyptiens et la modération, in “Maghreb-Machrek”, 2008,194, p.31.

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132

loro sostegno quello stesso anno al secondo mandato presidenziale del ra’is. 175

Sia la legge 114/1983 per le elezioni del 1984, sia la legge 188/1986 per quelle

del 1987 sancivano uno sbarramento all’8% con lo scopo di limitare l’azione

dell’opposizione. Questo incoraggiava la formazione di alleanze tra diverse forze

politiche. L’alleanza con il neo-Wafd per la tornata del 1984 e la costituzione

dell’Alleanza Islamica del 1987 (che li univa al Partito del Lavoro e al Partito dei

Liberali) rispondono all’esigenza del movimento di tentare comunque la via

parlamentare nonostante l’associazione non fosse legalmente riconosciuta. Nel

complesso questa partecipazione permise alla Fratellanza di rinnovare il proprio

bagaglio di vettori di diffusione del messaggio e le permise di entrare direttamente

in contatto con tutto il mondo politico egiziano, e con quell’apparato

amministrativo che ruotava inevitabilmente attorno ad esso. Vi sono comunque

differenze tra le due tornate elettorali: l’alleanza con il neo-Wafd, con la quale i

Fratelli ottennero 8 seggi, nasceva da una convergenza di interessi e si tradusse in

un’efficace cooperazione tra le due forze, pur partendo da posizioni distinte. Se

infatti il quadro di riferimento del neo-Wafd era rappresentato dai moderni

concetti di democrazia e liberalismo, quello della Fratellanza rimaneva la shari’a,

intesa come un “sistema economico, sociale, culturale e militare affinché Dio ci

benedica e ci accordi il suo sostegno”176. Questo rapido avvicinamento alla prassi

politica troverà negli anni successivi un movimento attento nel rispondere alle

inedite esigenze che l’attività parlamentare richiedeva. Come sottolinea Amr

Elshobaki:

“Le elezioni del 1987 simbolizzano la maturità e lo sviluppo di questa situazione

“preliminare”, e il passaggio da una posizione di “scoperta” a una posizione di “scelta”.

Con le elezioni del 1987 ci troviamo di fronte a una corrente politica dall’esperienza

ridotta ma che tesse delle alleanze politiche […] che si lancia in campagne elettorali e

ideologiche e che presenta al momento delle elezioni l’immagine progressista di una

175 Cfr. A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., pp.27-44. 176 Queste le parole di un deputato di quella legislatura. AMR ELSHOBAKI, Les Frères Musulmans des origines à nos jours, Khartala, Parigi 2009, p.148 cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p. 29.

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133

“nuova esperienza islamica”, differente dall’aspetto virtuale attraverso il quale essa

appariva negli scritti teorici e politici dell’inizio”. 177

L’associazione si adatta quindi al linguaggio e alla prassi delle istituzioni politiche

nelle quali ottiene l’accesso, avvicinandosi molto all’atteggiamento del resto

dell’opposizione178 . Il primo programma elettorale conteneva rivendicazioni

strettamente politiche, solo nella seconda sezione si affronta il tema della

“applicazione immediata della legge islamica in accordo con le disposizioni

costituzionali”, specificando di essere consapevoli di come “ci sia bisogno di un

certo lasso di tempo affinché questa applicazione sia completa e conforme alle

nostre attese”179 . La richiesta di applicazione della shari’a trova dunque

legittimazione politica nella Costituzione, che espressamente la sancisce come sua

fonte addirittura primaria. Il risultato ottenuto alle elezioni del 1987 ci dimostra

anche l’importante capacità di mobilitazione dell’elettorato che il movimento

seppe mettere in campo: con i 38 seggi gli Ikhwan rappresentavano la principale

forza dell’opposizione.

Accanto all’attività parlamentare, i Fratelli si impegnarono anche nella

penetrazione in tutti quei settori della società che dall’inizio degli anni Settanta

andavano emergendo sulla scena egiziana. Anche le modalità di costruzione di un

proprio blocco sociale saranno innovative: la preminenza sarà data alla pratica

prima che al messaggio, mirando al miglioramento delle condizioni di tutti questi

attori sociali. Consapevoli dei disagi che gli studenti egiziani vivevano

quotidianamente, i Fratelli si impegnarono ad esempio nell’organizzazione di

servizi di assistenza volti a colmare le lacune lasciate dal regime. Si trattava di

servizi assistenziali richiesti molto spesso dagli stessi studenti (dalla vendita a

prezzi ridotti di manuali universitari alla formazione di gruppi di sostegno allo

studio ecc.). Una volta ottenuta la fiducia degli studenti, gli Ikhwan si

presentarono alle elezioni nei vari organi di rappresentanza, ottenendo nel 1987 la

177 Ivi, p.152. 178 Ivi, pp. 163-167. 179 Ivi, pp. 158-160; H.AL-AWADI , In pursuit of legitimacy. The Muslim Brothers and Mubarak, 1981-2000, University of Exter, Exter 2003, p.80, cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p.29.

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134

maggioranza dei seggi dei sindacati studenteschi presso le università del Cairo,

Alessandria e Zaqaziq, per poi estendersi anche a Mansura e al-Azhar. Lo stesso

accadde per gli insegnanti, per la cui categoria i Fratelli ottennero incrementi

salariali, alloggi sociali per i meno abbienti e un’assistenza sanitaria

complementare a quella pubblica, il tutto a spese delle università. Il primo club

per insegnati che passò sotto la direzione ikhwan fu quello dell’università di

Asyut nel 1985, seguirono quindi quelli del Cairo, Alessandria e Zaqaziq.

Un modello simile fu adottato per penetrare sindacati e ordini professionali delle

classi medie istruite. A partire dagli anni Ottanta, due fenomeni produssero

importanti mutamenti che minarono la loro dipendenza dalle autorità governative.

Da un lato la politica di scolarizzazione di massa avviata sin dall’epoca nasseriana

aveva prodotto un notevole incremento delle iscrizioni a queste organizzazioni.

Negli anni a seguire, questo processo di allargamento della loro base di

rappresentanza rappresentò il presupposto necessario alla successiva

politicizzazione. La scarsa capacità di assorbimento di forza-lavoro da parte del

Paese aveva prodotto un diffuso sentimento si frustrazione, che non provocò però

una politicizzazione generalizzata: toccò soprattutto alle sigle sindacali o

associazioni professionali il cui statuto non dipendeva direttamente dallo Stato e

che in questo periodo assunsero una maggiore autonomia. I Fratelli otterranno i

maggiori risultati proprio all’interno di questi sindacati di professione (niqabat

mihniyya) e non invece nei sindacati operai (niqabat ‘ummaliyya) che, per la loro

strategica importanza nel processo di liberalizzazione dell’economia egiziana,

furono sempre oggetto di strettissimo controllo da parte delle autorità. Dei 22

sindacati presenti in Egitto, gli ikhwan riuscirono tra gli anni Ottanta e Novanta a

controllare i cinque politicamente più attivi: medici, ingegneri, farmacisti,

scienziati e avvocati. Forti dell’esperienza organizzativa fornita loro dall’attività

nei campus universitari, i membri che maggiormente si impegnarono nell’attività

sindacale (in particolare le generazioni più giovani) posero come primo obiettivo

la lotta alla corruzione e lo sperpero, per poi entrare nella gestione delle risorse

dei vari sindacati, secondo lo schema già adottato con le rappresentanze

studentesche dei campus. In seguito alla crisi che colpì duramente la middle class

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135

egiziana negli anni Ottanta, gli Ikhwan si adoperarono per ottimizzare lo

sfruttamento delle risorse esistenti e incrementare i servizi assistenziali, di cui un

esempio emblematico può essere rappresentato dall’assicurazione medica

complementare. Sia questo, sia altri progetti portati avanti dalla Fratellanza

furono successivamente adottati anche da sindacati non da loro controllati, ed è

quindi innegabile che l’attivismo dei Fratelli rappresentò uno stimolo importante

per innovare la funzione stessa della rappresentanza sindacale in Egitto. La

gestione degli organi di rappresentanza da parte della Fratellanza fu improntata al

pragmatismo e prestando attenzione ad evitare lo scontro diretto col regime: in un

primo periodo infatti i Fratelli non candidarono mai propri membri alla presidenza

dei consigli direttivi sindacali da loro “controllati”, ma sostennero di volta in volta

una personalità vicina al governo egiziano che permettesse di mediare tra le

proprie richieste e la politica governativa.

Se sindacati e università permisero di penetrare le classi medie istruite,

l’avvicinamento ad associazioni caritatevoli radicate sul territorio permise alla

Fratellanza di prendere contatto con altri settori della società, ovvero le fasce più

povere e svantaggiate, abbandonate dalla politica di infitah che aveva alleggerito

lo Stato dai compiti di assistenza primaria.

Il confronto al quale si prestano i Fratelli Musulmani presuppone non solo

un’importante capacità di mobilitazione, ma anche la volontà di ascoltare le

esigenze dei nuovi attori sociali e della società civile egiziana. In quest’ottica, la

diffusione della propria ideologia si dissolve in una costante pratica sul territorio e

nelle attività moderne che la Fratellanza portò avanti accettando le regole della

rappresentanza democratica. In questo sta il successo dell’associazione durante

gli anni Ottanta, ed è per questo che Mubarak cominciò a temerne l’azione.

Il 1990 può essere considerato l’anno spartiacque, che segna l’avvio della seconda

fase del rapporto tra governo e Fratellanza dell’epoca Mubarak. Le nuove regole

imposte dal ra’is per le elezioni di quello stesso anno all’Assemblea del popolo,

provocarono forti proteste da parte dei maggiori partiti di opposizione, molti dei

quali decisero per il boicottaggio delle elezioni. I Fratelli non fecero eccezione,

convinti di poter comunque esercitare una forte pressione sul regime tramite la

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136

propria estesa base sociale. La pressione non verteva solo su rivendicazioni di

carattere sociale, difatti da questo momento i sindacati più influenti così come i

campus universitari rappresenteranno delle tribune politiche sia per quanto

riguardava la situazione interna che internazionale. Scopo principale del Comitato

per il Coordinamento dell’Azione Sindacale (Lajna tansiq al-‘amal al-niqabi)

creato nel 1990 era proprio il coordinamento delle iniziative di tutti i sindacati

controllati dalla Fratellanza. In politica interna domandavano con forza

l’annullamento della legge sullo stato d’emergenza, il rispetto delle libertà e dei

diritti dell’uomo, la libertà di formare partiti e fondare giornali, nonché un

maggior rispetto dell’autonomia sindacale. Si tratta di tematiche che potremmo

definire “laiche” e che nascevano da una critica dell’autoritarismo egiziano, in

contrasto con i valori democratico-costituzionali sbandierate dallo stesso governo.

Questo comitato prendeva forza dalla diversificazione delle attività che

l’Associazione aveva intrapreso sin dl decennio precedente attraverso lo sviluppo

della propria struttura (tanzim), con nuove sezioni e specifiche commissioni che

studiavano le trasformazioni in atto in seno alla società egiziana.

Le rivendicazioni in ambito internazionale erano invece più marcatamente

islamiche. Le tensioni che la Umma stava vivendo in quel periodo erano oggetto

di numerose iniziative: la guerra in Bosnia-Erzegovina, la prima guerra del Golfo,

la crisi algerina del 1991, la crisi israelo-palestinese che aveva subito

un’accelerazione con la prima Intifada, gli Accordi di Oslo del 1993, solo per

ricordare gli avvenimenti più importanti. Molti sindacati costituirono dei

“comitati” per delle specifiche battaglie politiche: vi era un sostegno di carattere

“morale”, che mirava alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso

conferenze, seminari, dichiarazioni ai media, e un sostegno materiale, attraverso la

raccolta e spedizione di denaro e beni di prima necessità.

Ovviamente questo tipo di iniziative delegittimava l’azione governativa egiziana

nel suo complesso e la repressione non si fece attendere. Con la legge n.100 del

febbraio 1993 e le sue successive modifiche le autorità egiziane tentarono inoltre

di liquidare la presenza islamista nei sindacati professionali, ostacolandone la

Page 140: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

137

rielezione all’interno dei consigli direttivi.180 Inoltre il governò si impegnò nel

limitare l’attività di tutte quelle organizzazioni non partitiche che potevano

minarne la credibilità, ad esempio con l’emblematica legge n.153 del 1999 che

limitava fortemente l’autonomia dell’associazionismo civile. Venne colpita anche

la presenza islamista all’interno della Jam’iyya al-shar’iyya, l’associazione

caritatevole utilizzata come precedentemente detto da “ponte” col politico dalla

Fratellanza. Il dissolvimento della maggioranza islamista nel recentemente eletto

consiglio di amministrazione si era reso ancora più urgente dato il probabile

coinvolgimento di militanti locali del PDN, la base teoricamente più fedele al

regime.

Mubarak ebbe gioco facile nel processo di marginalizzazione della componente

islamista dalle rappresentanze della società civile anche grazie alla

radicalizzazione del discorso contro-egemonico islamista, che proprio negli anni

Novanta visse il suo periodo più fosco, sfociando in derive terroristiche.

Nuove organizzazioni militanti, come la Jama’aIslamiyya, si fecero infatti largo e

cominciarono a colpire obiettivi civili, sia la popolazione inerme egiziana, sia i

turisti. L’attacco più spietato fu quello ad una comitiva di giapponesi e altri

visitatori a Luxor nel 1997. La cieca violenza di queste organizzazioni alienò loro

ogni simpatia presso le masse popolari e l’opinione pubblica. Se movimenti come

Takfir wa hijra e al-Jihad avevano riscosso non adesione ma una certa

comprensione , il terrorismo dei tardi anni Ottanta e degli anni Novanta si ritorse

contro i suoi promotori e recise le labili radici che poteva avere presso una

popolazione esasperata dalla corruzione, dalla povertà e dal lusso sfacciato dei

nuovi ricchi. La spietata repressione della polizia e dell’esercito fecero il resto.

Nel 2000 i dirigenti radicali in carcere proclamarono al fine della lotta armata, per

lo meno sul piano interno. I Fratelli Musulmani non ebbero alcuna parte nella

violenza terrorista, ma Mubarak , con scarsa lungimiranza, decise di parificarli

alle organizzazioni armate radicali, facendo subire loro più o meno la stessa

persecuzione, ed evitando così di fatto un loro pericoloso ritorno sulla scena

parlamentare per le elezioni del 1995, dove la Fratellanza fu costretta a capitolare.

Page 141: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

138

La politica repressiva adottata dal regime colpiva indistintamente qulasisi

formazione in grado di minarne la stabilità. Ne fece le spese anche quell’inedito

progetto politico del Hizb al- Wasat (Partito del Centro) nato da una costola dei

Fratelli Musulmani nel 1996. Espressione di quella generazione degli anni

Settanta che per la sua attività nei campus universitari e nei sindacati aveva

partecipato attivamente alla istituzionalizzazione delle attività della Fratellanza,

questo partito non vide mai la luce per l’ostracismo della Commissione dei partiti

che non ne autorizzò la nascita. Il progetto incontrò però anche l’opposizione

della vecchia guardia degli Ikhwan, che non riteneva opportuno provocare

ulteriormente il regime. Non voleva inoltre lasciare spazio ad un’iniziativa che,

seppur in perfetta continuità con la strategia di riconoscimento adottata negli anni

Settanta, era nata dalle generazioni più giovani, fino a quel momento tenute

lontane dall’apparato direttivo. Le tensioni prodotte attorno a questo progetto sono

emblematiche dello scontro generazionale interno alla Fratellanza, che, sorto negli

anni Settanta, mina tutt’ora la governabilità del movimento.

In questi frangenti, la dirigenza dei Fratelli continuò una paziente opera di

legittimazione attraverso una costante presenza nella realtà sociale: furono ad

esempio i Fratelli, e non lo Stato, a soccorrere i diseredati del Cairo dopo il

terremoto del 1993. Un aspetto importante di questa presenza è costituito dalla

cosiddetta “finanzia islamica” e dall’obbedienza islamica di molti uomini d’affari;

ma non bisogna dimenticare l’influenza sugli studenti e sui lavoratori. Si è anzi

sostenuto che la legittimazione ricercata dai Fratelli abbia accresciuto il suo

significato politico, e non solo quello sociale, per esempio quando essi si

opposero nettamente all’intervento egiziano a fianco degli USA nella Guerra del

Golfo nel 1991 contro Saddam Hussein.

Paradossalmente, in vista delle elezioni del 2000 i Fratelli Musulmani riprendono

temi già presenti proprio nel programma del Hizb al-Wasat. Il riferimento

costante alla Costituzione egiziana, della quale si chiede la piena applicazione

attraverso riforme politiche per una maggiore democratizzazione, sarà completato

da appelli ad un maggior coinvolgimento nella società egiziana della minoranza

Page 142: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

139

copta e delle donne. Le disposizioni per le tornate elettorale (un sistema di

candidature indipendenti) modificarono anche il comportamento della Fratellanza

durante la campagna: ci si concentrò maggiormente sul programma individuale

dei singoli candidati più che su un programma generale, privilegiando quindi il

legame del candidato col territorio e la rete di contatti figlia dell’opera

assistenziale. I Fratelli si limitarono inoltre a candidature “sicure”, ed evitarono

manifestazioni di piazza per non irrigidire l’atteggiamento nei loro confronti. Al

di là dell’ovvio collegamento con la repressione subita nei decenni precedenti, c’è

anche una volontà di rompere l’isolamento che il regime aveva costruito:

emblematici gli sforzi di adeguamento ai media più avanzati (è di questo periodo

la nascita del sito web della Fratellanza).

Nonostante questo atteggiamento prudente i timori del governo riguardo

all’associazione non erano venuti meno e come detto arresti e processi sommari

coinvolsero anche membri della Fratellanza assieme ad islamisti radicali; ma fu

l’intervento dell’Alta Corte costituzionale a stravolgere uno scenario politico che

sembrava già segnato. La corte manifestava infatti una notevole indipendenza

rispetto al regime , e particolarmente importante in questo senso fu la sentenza che

prevedeva il controllo degli uffici di voto da parte dei giudici per le elezioni che si

sarebbero dovute svolgere quello stesso anno, e che vide la Fratellanza, coi suoi

17 seggi, restare la principale forza dell’opposizione.

L’inizio del XXIesimo secolo ha portato con se’ in Egitto delle profonde

trasformazioni politiche. Emergono nuovi attori che da diversi punti di vista

contestano la legittimità del regime egiziano e il suo autoritarismo. Il ruolo

assunto dal Movimento egiziano per il Cambiamento (al-Haraka al-misriyya min

ajl al-taghiyr) definito comunemente Kifaya (“Basta”) è l’espressione di una

società civile istruita che ha rotto per la prima volta dopo molti anni la coltre di

silenzio calata sulle azioni di Mubarak. Costituito da rappresentanti di tutta

l’opposizione egiziana, Kifaya si è caratterizzato inizialmente per delle

mobilitazioni di solidarietà alla causa palestinese, nonché contro l’invasione

anglo-americana in Iraq e il progetto del Grande Medio Oriente di marca

statunitense. Ha saputo poi diversificare le proprie rivendicazioni, spostando la

Page 143: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

140

propria attenzione su questioni di politica interna. Suo principale obiettivo era di

evitare la possibilità di un passaggio di poteri “ereditario” dal ra’is al proprio

figlio Jamal. Reclamava inoltre riforme costituzionali volte a diminuire il potere

presidenziale sull’intero apparato politico per un pieno processo di

democratizzazione. 181

Altro fattore importante è rappresentato dai magistrati. Attivi sin dalla seconda

metà degli anni Ottanta nel reclamare una maggiore autonomia dell’esecutivo, si

impegnarono poi nel 2000 per il controllo degli uffici elettorali a seguito della già

detta disposizione dell’Alta Corte costituzionale. Hanno allo stesso modo

minacciato di boicottare le operazioni di controllo durante le elezioni del 2005 se

le autorità non avessero loro garantito i giusti mezzi per monitorarne il regolare

svolgimento. Nei mesi successivi si susseguirono le loro denunce di brogli,

accompagnate da manifestazioni di protesta che acquistarono il sostegno di altri

fronti di opposizione.

L’azione di questi attori si è rivelata tuttavia a lungo andare limitata. La ragione

principale risiede probabilmente nel loro carattere urbano e sostanzialmente

elitario, derivante dalla funzione che svolgono nello spazio pubblico e politico

egiziano. Hanno comunque giocato un ruolo importante nella diversificazione

dell’opposizione al regime, delegittimandone l’azione. Pur partendo da logiche

differenti entrambi hanno utilizzato simili pratiche di dissenso, come

manifestazioni, comunicati nei canali satellitari, nuova stampa indipendente sorta

proprio nei medesimi anni.

Tra il 2004 e il 2006 la Fratellanza ha sostenuto questi movimenti di protesta,

anche se in modo ambiguo. È stata tra le fondatrici di Kifaya ed ha seguito con

assiduità l’attività di denuncia dei giudici (anche perché molto spesso i brogli

elettorali andavano proprio a discapito dei Fratelli), tuttavia ha partecipato

attivamente solo alle proteste del maggio 2005, con manifestazioni che

mobilitarono migliaia di persone, mettendo momentaneamente in disparte l’anima

181 Cfr. MASSIMO CAMPANINI, I Fratelli Musulmani…op.cit., p. 37.

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141

islamica del movimento e appoggiando le rivendicazioni “secolari” di Kifaya.

Questa mobilitazione durò solo pochi mesi. Dal luglio successivo i Fratelli

sembrano smarcarsi progressivamente dalle rivendicazioni di Kifaya, alternando

manifestazioni con differenti fronti dell’opposizione laica a dichiarazioni di

protesta contro l’autoritarismo di Mubarak, senza però metterne in discussione la

legittimità di governo. Questo atteggiamento ambiguo ha disorientato gli stessi

protagonisti dell’opposizione laica al regime, e in questi anni in molti hanno

avanzato l’ipotesi di un accordo di principio tra piani alti della Fratellanza e

Mubarak: una maggiore visibilità sulla scena egiziana, in cambio di un

riconoscimento della presidenza Mubarak. 182 Gli Ikhwan hanno in effetti

mostrato una spiccata tendenza al compromesso se necessario alla salvaguardia

del movimento. Anthony Santilli sottolinea due importanti fenomeni: da una

parte, è innegabile constatare che i contatti tra Fratellanza e autorità egiziane sono

costanti; dall’altra, all’interno del movimento stesso, si è via via diffuso un

dissenso sospinto dai membri più giovani. 183C’è un atteggiamento dialettico tra le

alte sfere dei due poli direttivi, minato però da questa base “movimentista” che

preme per un’intesa con le altre forze dell’opposizione.

Questa ambiguità di fondo non ha comunque compromesso la mobilitazione per le

elezioni del 2005: le battaglie “civili” dei quel periodo legittimavano la richiesta

di riconoscimento legale da parte dell’associazione, e il seguito popolare non è

mai venuto a mancare. Il sistema delle candidature indipendenti favoriva quei

deputati con solidi legami col territorio e lo stato egiziano aveva ormai rinunciato

a garantire servizi assistenziali. La partita politica si gioca così tra candidati del

PND, che possono sfruttare l’apparato dello Stato-partito, gli esponenti della

nuova borghesia d’affari (che per i risultati ottenuti in campo elettorale sono stati

riassorbiti dal PND dopo le elezioni) e appunto gli Ikhwan. Sono l’unica forza

d’opposizione in grado di garantire una mobilitazione a scopo assistenziale, in

piena continuità con le attività svolte in passato dalla Fratellanza nei sindacati,

nelle università e nelle associazioni caritatevoli. I risultati delle elezioni del 2005

182 TEWFIK ACLIMANDOS, Les Frères : de la clandestinitè au tamkin, in “L’Egypte dans l’année 2005”, pp. 84-89, cit. in A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p.38. 183 Cfr. A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p.39.

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142

sono stati sorprendenti a detta degli stessi dirigenti Ikhwan, con 88 seggi

guadagnati su 444 in totale. Risultato ancora più importante se si pensa che il

numero totale di candidati del movimento era di 150.

Fino ai recenti avvenimenti (si rimanda all’appendice per un tentativo di analisi

della “primavera araba” che ha sollevato Mubarak poco più di un anno fa,

portando al governo con libere elezioni i Fratelli Musulmani, salvo vederli

decaduti proprio in questi giorni per mano di un altro colpo di Stato dell’esercito

sospinto da parte della popolazione, ndr) la Fratellanza come tale è rimasta

dunque fuorilegge ma il numero di candidati indipendenti eletti in parlamento è

andato aumentando (alle elezioni del 1995 un solo candidato eletto su 444 seggi; a

quelle del 2000 diciassette candidati eletti ; a quelle del 2005 ottantotto) a

dimostrazione di come l’organizzazione abbia mantenuto solide radici popolari

nel tempo184. Quanto quindi pagasse la politica di esclusione totale di Mubarak

nei confronti dei raggruppamenti islamici era ed è oggetto di discussione. C’è chi

ha addirittura sostenuto che proprio tale politica sia stata la principale causa della

radicalizzazione e dell’estremizzazione del fondamentalismo185. Non a caso la

guida della Fratellanza negli anni Ottanta, Mustafà Mashhur, ha affermato che la

sua società, se riconosciuta, avrebbe potuto costituire un bastione contro la

diffusione dell’islamismo estremista. Di fatto l’islamismo “moderato” dei Fratelli

ha rappresentato nell’ultimo decennio un punto di riferimento essenziale e il suo

disegno strategico di islamizzazione dal basso risulta tanto più interessante quanto

più si considera l’importanza del tema dell’intricato rapporto tra Islam e

democrazia.

184 M.CAMPANINI, K.MEZRAN, Arcipelago islam…op.cit., p. 71. 185 Cfr. LAURA GUAZZONE, La transizione politica in Egitto, tra liberalizzazione di regime, “intifadah al-islah” e Fratelli Musulmani, in “Oriente Moderno”, LXXXV, 2005, 2-3, pp. 445-482.

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143

CONCLUSIONI

Si è cercato di riassumere le diverse e talvolta intricate fasi attraverso le quali la

Fratellanza ha tentato di costituirsi in gruppo egemonico, e i fattori di resistenza,

esogeni ed endogeni, che questa ha incontrato lungo il percorso verso la propria

legittimazione socio-politica.

Questa legittimazione, oggi come in passato, si è fondata su due fattori

fondamentali: il radicamento sociale dell’associazione e l’ideologia olistica di cui

si è fatta portatrice. L’azione della Fratellanza si è caratterizzata per il

progressivo sviluppo di una flessibile struttura di coordinamento, che ha saputo

rinnovarsi nel tempo garantendo un’azione capillare e diversificata all’interno

della società egiziana. La ragione principale dell’efficienza della sua struttura

risiede nella forte responsabilizzazione dei propri membri per le attività dispiegate

sul territorio: l’affiliato della Fratellanza agisce mettendo in gioco anzitutto se

stesso per il bene collettivo. Questo attivismo è funzionale non alla promozione

del singolo, bensì allo sviluppo del bene comune, secondo i principi di

un’ideologia che forniva ad ogni singola azione una valenza morale.

L’elaborazione di questa ideologia olistica fondata sull’Islam ha permesso una

legittimazione morale anche alla pratica politica. Durante la loro storia, gli Ikhwan

hanno accompagnato l’emergere nel fenomeno politico del discorso islamico, da

una prima fase in cui dominante era il modello secolare occidentale, ad una fase di

maggiore autonomia, dove si è compresa la portata rivoluzionaria del discorso

islamista nell’ opposizione all’egemonia del regime.

Attività quotidiana e opposizione contro-egemonica si sono alimentati a vicenda,

fornendo la dimensione dei successi ottenuti nel tempo dal movimento, sia nel

campo sociale sia nel campo strettamente politico.

Nella storia del movimento le fasi di espansione si sono alternate ad altrettante

fasi in cui l’apparato coercitivo dello Stato egiziano ha tentato di bloccarne

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144

l’avanzata. Le conseguenze di questa alternanza sulle strategie del movimento

sono state importanti: da una parte si è rinunciato ufficialmente alla violenza come

strumento politico per fare pressione sul potere costituito, distinguendosi così da

altre organizzazioni islamiche radicali; dall’altra si sono consolidate nel tempo

pratiche e discorsi alla ricerca di un riconoscimento formale. Dagli anni Ottanta

in avanti la Fratellanza ha saputo pragmaticamente adattarsi alle istituzioni che ha

avvicinato (dai sindacati alle associazioni caritatevoli all’Assemblea del Popolo

ecc.), contribuendo alla propria ma anche alla loro modernizzazione.

E’ stata megafono della società civile, reclamando per il Paese un miglioramento

delle condizioni sociali, ma anche una riforma etica e culturale. Ha contrastato il

regime attraverso quegli strumenti da lui stesso creati per mantenere il potere (in

primis la Costituzione), in un atteggiamento “legalista” che ben si colloca nella

lunghissima tradizione del diritto islamico. Ma soprattutto, questo ha permesso

alla Fratellanza di avvicinarsi all’opposizione laica, che , in particolar modo dagli

anni 2000, ha rivendicato una maggiore democratizzazione del Paese.

L’opposizione laica mancava tuttavia di quella solida base sociale vantata dalla

Fratellanza, pertanto le manifestazioni promosse da Kifaya, dal Club dei giudici o

dai giornalisti non hanno saputo coinvolgere la popolazione egiziana, consentendo

così al regime di soffocarne l’azione di protesta. Proteste più marcatamente

sociali non hanno invece necessitato del sostegno e dell’organizzazione di alcun

gruppo “politico” , preferendo una diretta “contrattazione” con le autorità. Sono

manifestazioni figlie dell’impoverimento progressivo che in particolare le classi

operaie egiziane subiscono ormai da più di un ventennio. Qualche anno addietro

gli osservatori sottolineavano una “cultura della protesta” 186 che andava

diffondendosi in Egitto e che sembra confermata dai recenti sconvolgimenti

politici.

Di fronte a queste tensioni, l’atteggiamento della Fratellanza è sembrato piuttosto

ambiguo. Da una parte ha partecipato ai fronti di opposizione civile, pur

186 JOEL BEININ, The egyptian workers movement in 2007, in Chroniques égyptiennes 2007, Cedej, Le Caire 2008, pp.217-38; J. BEININ, L’Egypte des ventres vide, in Le monde diplomatique, maggio 2008, URL: http//www.monde-diplomatiqu.fr/2008/05/BEININ/15861.

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145

mantenendo un atteggiamento sostanzialmente distinto. Dall’altra, ha assunto una

posizione maggiormente attendista nei confronti delle mobilitazioni più

spiccatamente sociali, limitando il proprio sostegno ad una timida partecipazione

alle mobilitazioni più imponenti (e di maggior successo) e ad un tardivo impegno

nella penetrazione dei sindacati di categoria. Non si è mai riconosciuta l’esistenza

di un sostanziale conflitto di classe , né la Fratellanza ha mai giudicato questa

serie di proteste come prodotto di una naturale divergenza di interessi tra gli attori

sociali della scena egiziana. Come sottolinea Antonhy Santilli187, l’iniziale

attendismo della Fratellanza di fronte a rivendicazioni sociali animate dalle classi

operaie può esser figlio dell’incapacità di inquadrare il fenomeno nel proprio

orizzonte ideologico. La flessibilità dell’ideologia islamista in riferimento ai

processi economici ha avuto effetti contraddittori: si è passati da un programma

economico dalle tendenze marcatamente “socialiste”, che ha animato il

movimento dalla sua nascita sino al periodo nasseriano, fino al convinto sostegno

al corso neo-liberale. Questa incapacità del movimento di produrre

autonomamente una critica organica ai disequilibri prodotti dalla crisi del sistema

economico egiziano hanno portato gli Ikhwan all’incapacità (anch’essa

apparentemente confermata dal fallimento del recente governo a maggioranza

islamista ndr) di fornire risposte convincenti ad un tipo di mobilitazione come

quella sopra evocata, radicale, spontanea, critica nei confronti del ra’is in maniera

“pericolosa”. Questa incapacità potrebbe impedire a priori al movimento la

possibilità di estendere la propria base di consenso a settori chiave della società

egiziana, che cercano risposte anzitutto ai problemi economici del Paese.

Si può infine fare una riflessione sul rapporto che la Fratellanza ha nel tempo

instaurato col potere. Sin dall’epoca di al-Banna’, l’Associazione ha sempre

tentato di mantenere il contatto coi gruppi dominanti, tendenza accentuata in

seguito alle ondate di repressione che l’organizzazione ha costantemente subito a

partire dell’epoca nasseriana, e che l’hanno condotta ad un’attitudine

187 A.SANTILLI , I Fratelli Musulmani…op.cit., p.41; Sullo stesso tema si vedano anche le riflessioni di HUSAN TAMMAM , PATRICK HAENNI, Les Frères musulmans égyptiens face à la question sociale. Authopsie d’une malaise socio-théologique, in “Institut Religioscope, Études et analyses”, 2009, 20, maggio, URL: http://religion.info/pdf/2009_05_fm_social.pdf.

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146

sostanzialmente moderata, con periodi caratterizzati da una chiara propensione al

compromesso. Uno dei problemi principali dell’organizzazione è dunque stato

quello di conciliare i forti principi della propria ideologia con il pragmatismo

dimostrato nelle relazioni col potere. Le giovani generazioni hanno

profondamente modificato gli equilibri interni del movimento, ed hanno spesso

rivendicato una maggiore partecipazione ai processi decisionali in seno alla

struttura, senza però ottenere lo spazio richiesto. Gli esiti del primo progetto del

Hizb al-wasat sono particolarmente indicativi dell’impenetrabilità del gruppo

dirigente, in uno scontro generazionale che si presenta ancora aperto. Quando, nel

2007, la Fratellanza ha annunciato, con la pubblicazione online del proprio

programma, la volontà di costituire un partito politico, ha scatenato una serie di

reazioni che confermano la sostanziale presenza all’interno del movimento di

differenti correnti, determinate a ridiscutere le strategie generali. Sul finire del

XXI secolo la Fratellanza è apparsa preoccupata soprattutto di mostrarsi

all’esterno come un movimento “accettabile”, pronto a prendere le redini del

potere, anche grazie alla crisi di legittimità di Mubarak e alle nuove aperture degli

Stati Uniti dell’era Obama.

Il progetto egemonico islamista della Fratellanza sembrava in questa fase essersi

dissolto in obiettivi di breve/medio periodo, come il riconoscimento ufficiale.

Obiettivi che distolgono al tempo stesso da un orizzonte futuribile diverso da

quello attuale, in cui la distanza tra élite dirigente, concentrata nella tessitura di

contatti con il mondo istituzionale egiziano ed internazionale, e base eterogenea

del movimento, sembra minarne l’organicità. Organicità che è uno degli elementi

chiave che avevano permesso al fondatore della Fratellanza di costruire un inedito

rapporto con le masse, responsabilizzate e coinvolte in un progetto con una forte

legittimazione morale.

In definitiva, la Fratellanza sembra oggi imbrigliata da quell’ambiguità di fondo

che non considera sufficientemente né la portata destabilizzante dei dissidi

endogeni, né l’assoluta priorità del discorso socio-economico in questa delicata

fase storica per il Paese. La funzione contro-egemonica, che in certi momenti

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147

della loro storia i Fratelli sono stati in grado di portare avanti in maniera

estremamente efficace, sembra mal conciliarsi con la pratica di governo a cui

parte del movimento mirava; ed altrettanto contradditorio appare il rapporto tra

istituzionalizzazione dell’associazione e sua ideologia rivoluzionaria. Alla luce

dei recenti avvenimenti si può forse azzardare che il ruolo ed il successo dei

Fratelli Musulmani siano minacciati più dall’ambiguità delle dinamiche interne

che non dall’azione di altri attori politici egiziani o internazionali.

Page 151: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

148

I FRATELLI MUSULMANI NEL MONDO ARABO:

GIORDANIA, SUDAN, MAGHREB

In verità questa vostra Comunità

è una Comunità unica e Io sono il vostro Signore.

CORANO XXIII,23

L’Egitto è certamente il Paese a cui è legata a doppio filo la Fratellanza

Musulmana, ciò non toglie che ramificazioni dell’Associazione si siano sparse in

tutto il mondo arabo ed oltre, pur non ricalcando in tutto e per tutto i caratteri

dell’associazione madre.

Ispirandosi a Qutb e ad altri pensatori, negli anni Settanta germinarono dalla

Fratellanza Musulmana, oltre ai partiti islamisti, anche molteplici avanguardie

estremiste, che talvolta scelsero la lotta armata e il terrorismo. Queste avanguardie

estremiste rovesciarono l’impostazione originaria data da al-Banna’: non più

islamizzazione “dal basso” grazie alla propaganda e all’educazione, ma

islamizzazione “dall’alto”, imposta con la violenza a prescindere dall’assenso o

meno di chi la subiva. Questa svolta radicale, tuttavia, separa in modo netto il

corpus principale dei Fratelli dalle sue derivazioni più o meno dirette.

La radicalizzazione dei movimenti islamisti tra gli anni Settanta e Novanta del

Novecento assunse diversi aspetti. Si è detto dell’Egitto nel capitolo precedente,

ma anche in altre parti del mondo arabo e islamico la presenza islamica andava

intanto a consolidarsi. Ci concentreremo sui casi della Giordania, del Sudan e

dell’area del Maghreb, pur senza ignorare l’importanza e la particolarità del caso

iraniano ed il “laboratorio islamista” costituito dall’Afghanistan.

Il trionfo della rivoluzione di Khomeini in Iran nel 1979 e l’invasione sovietica

dell’Afghanistan dello stesso anno, impressero infatti al radicalismo islamico una

svolta decisiva.

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149

La rivoluzione iraniana e la nascita della Repubblica Islamica dimostrarono non

solo che un moto popolare poteva abbattere un regime dispotico, ma soprattutto

che era possibile instaurare un nuovo sistema politico totalmente ispirato a

principi islamici.188 La dottrina politica sciita tradizionale, o almeno quella

imamita o duodecimana professata in Libano, in Iraq meridionale e appunto in

Iran, afferma che, in assenza dell’imam, occultato e atteso, ogni formazione

politica è illegittima, per cui i fedeli devono mantenere una posizione quietista e

silenziosa, rinunciando a rivendicare il potere. Sebbene preparata da riflessioni

teoriche importanti o da un lavoro di stampo giuridico da parte di alcuni centri di

cultura sciita, la teoria e la prassi politica di Khomeini costituirono in questo

senso una vera svolta. Per l’ayatollah i giurisperiti hanno il dovere e il diritto di

sostituire l’imam occultato nelle funzioni politiche. Ciò portava a credere che la

realizzazione dello stato islamico fosse possibile e che, anzi, l’Iran khomeinista ne

rappresentasse l’incarnazione.

In Afghanistan si concentrarono invece tutti coloro che, in nome dell’Islam,

volevano combattere l’ateismo e il comunismo sovietico. Questi mujahedin

furono generosamente sovvenzionati e armati sia dagli Stati Uniti (per combattere

il tradizionale nemico), sia dall’Arabia Saudita (per guadagnare l’egemonia sul

movimento islamico internazionale). Tuttavia, questo lasciò via libera a milizie

fanatiche come i talebani, che una volta impadronitisi del potere instaurarono un

regime oscurantista e violento; e favorì l’addestramento e l’ideologizzazione di

gruppi armati che, finita la guerra, e crollata l’Unione Sovietica , sarebbero tornati

nei Paesi d’origine, come Tunisia, Egitto o Giordania, con una grossa esperienza

di guerriglia e con la convinzione che la lotta armata avrebbe potuto instaurare

dovunque lo Stato islamico.

Dal momento che come detto i Fratelli Musulmani sono una realtà polimorfa,

capace di adattarsi alle specificità nazionali dando vita a partiti più o meno affini

alla matrice egiziana, si sono scelti tre casi di studio per rappresentare altrettante

188 Cfr. MASSIMO CAMPANINI, KARIM MEZRAN , Arcipelago Islam. Tradizione, riforma e militanza in età contemporanea, Editori Laterza, Bari 2007, pp. 76-77.

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150

realtà nazionali dell’associazione: il Sudan, la Giordania, e l’area del Maghreb,

con un confronto tra realtà marocchina e tunisina.

I FRATELLI MUSULMANI IN GIORDANIA

Premessa essenziale per lo studio del fenomeno della Fratellanza Musulmana è

l’osservazione del suo sviluppo nella specificità dei contesti storico-geografici. In

altre parole occorre considerare l’Associazione non come una concezione astratta

dell’attivismo islamico, ma come frutto di precisi processi di interazione tra tutti

gli attori sociali coinvolti, tra cui gli attivisti stessi, lo Stato, e la società , in questo

caso, giordana. In questo senso anche qui come in Egitto va immediatamente

rilevata l’importanza fondamentale della rete di associazioni coerenti con

l’ideologia. Il movimento islamista giordano ha infatti diffuso i propri valori nella

società civile dal basso, in particolar modo reclutando simpatizzanti tra la classe

media, anziché sfidando direttamente il potere dello Stato. Una strategia che si è

qui dimostrata particolarmente efficace sin dalla nascita della filiale, nel 1945, e

fino all’inizio degli anni Novanta. Per quasi cinquant’anni addirittura i Fratelli

Musulmani giordani sono sembrati l’esempio di un movimento islamista

perfettamente integrato nelle istituzioni e nella via politica nazionale, un

fenomeno definito appunto come “eccezione giordana” 189. Ciò è stato possibile

grazie all’atteggiamento moderato e lealista del movimento che, pur senza

rinnegare l’ispirazione panislamista, ha sostenuto, per convinzione e per interesse,

la monarchia hashemita giordana. Tale strategia è stata attuata sullo sfondo

dell’illuminata visione politica di Re Hussein, deciso ad allargare il più possibile

le basi dello Stato giordano. Gli ultimi venti-trent’anni hanno tuttavia determinato

una profonda crisi del movimento: i Fratelli si sono divisi in fazioni e il prevalere

di componenti filo-palestinesi radicali ha determinato lo sgretolamento del

“blocco storico” tra classe media religiosa e gioventù urbana povera, costruito dal

189 MANSOOR MOADDEL, Jordanian exceptionalism. A Comparative Analysis of State-Religion Relationship in Egypt, Iran , Jordan and Syria, Palgrave, New York 2002, cit. in DANIELE ATZORI, I Fratelli Musulmani in Giordania, in (a cura di) MASSIMO CAMPANINI, KARIM MEZRAN , I Fratelli Musulmani nel mondo arabo, Utet, Torino 2010, p.72.

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151

movimento nei decenni precedenti, inaugurando un periodo di crescente

marginalizzazione. 190 Proprio questa “palestinizzazione” dei Fratelli Musulmani,

la cui leadership è stata espugnata da elementi vicini ad Hamas, ha in sostanza

minato almeno per ora il progetto islamista di costruzione di un’autentica “volontà

nazional-popolare”, e vanificato i precedenti, fruttuosi, sforzi del movimento

islamista di creare quel “blocco storico” tramite una rete di istituzioni sociali

islamiche.

I FRATELLI E LO STATO GIORDANO

Il processo di formazione dello Stato e dei Fratelli Musulmani giordani aiutano a

comprendere la particolare natura delle loro relazioni. La Giordania sorse dal

crollo dell’Impero Ottomano durante la prima Guerra Mondiale e la conseguente

attribuzione da parte della Società delle Nazioni dei territori ad esso appartenenti

alle potenze vincitrici. Il mandato sull’area transgiordana, a est del fiume

Giordano, e cisgiordana, a ovest dello stesso, fu assegnato all’Inghilterra. Nel

1921, Londra affidò il controllo dell’area transgiordana ad ‘Abdallah, figlio di

Hudayn Ibd ‘Ali, discendente del Profeta Muhammad e sharif della Mecca.

‘Abdallah, che aveva combattuto al fianco degli alleati contro il Califfato

ottomano (quindi contro altri musulmani, con la promessa di un grande Stato

arabo ad est di Suez) doveva ora presidiare un’area delicata, arginando sia il

mandato francese in Libano e in Siria, sia l’espansione del recente “focolare”

ebraico. La Giordania (allora Trans-giordania), la terra affidata ad ‘Abdallah,

sorse dunque per iniziativa inglese, priva di una reale identità storica o geografica.

‘Abdallah dovette unificare le tribù beduine che abitavano la zona, affidandosi

alle risorse finanziarie e militari messe a disposizione dall’Inghilterra. La struttura

di potere che mise abilmente in piedi si basava su una concezione tribale fondata

sulla fedeltà personale e sulle clientele; ma una formidabile fonte di

190 Cfr. D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p.72.

Page 155: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

152

legittimazione era garantita anche dall’appartenenza della monarchia alla dinastia

hashemita, cioè alla famiglia del Profeta. 191

La società dei Fratelli Musulmani giordani nacque nel 1945, per iniziativa di Abu

Qurah, facoltoso mercante della città settentrionale di Salt. Il movimento si

caratterizzò inizialmente per la promozione del jihad contro gli stanziamenti

ebraici nei territori ad est del Giordano, embrione dello Stato di Israele. Inoltre i

Fratelli miravano a contrastare la presenza inglese, e ridurre la penetrazione dei

valori occidentali nel proprio Paese, esattamente come la compagine di

riferimento egiziana. Sebbene questo programma fosse potenzialmente una causa

di scontro con ‘Abdallah, che dal 1945 divenne Re della Giordania, i Fratelli

evitarono lo scontro frontale, optando piuttosto per un’opera di da’wa, di appello

alla conversione. Fu un tacito patto con la dinastia hashemita, che garantì fino

agli anni Novanta ai Fratelli giordani uno status privilegiato rispetto ai loro

confratelli in altri paesi arabi, nonché, sin dalla loro nascita, un riconoscimento

legale 192. ‘Abdallah dal canto suo vide nei Fratelli dei preziosi alleati, in grado di

sostenere la legittimità del suo Regno, basata sulla discendenza dal Profeta. Gli

Ikhwan potevano costituire un baluardo contro la diffusione di ideologie secolari

come il comunismo e il socialismo, che avrebbero potuto erodere sia l’assetto

sociale edificato da ‘Abdallah sia la legittimazione religiosa del suo potere. 193

Nel 1953 lo status dell’associazione cambiò da “società di beneficenza” a

“comitato islamico generale e onnicomprensivo”, il che garantì loro maggior

libertà e autonomia legale. Quando, nel 1957, tutte le formazioni politiche furono

sciolte, loro non toccò lo stesso destino proprio perché non erano partito politico

de iure, ma “solo” de facto. Poterono così partecipare alle elezioni de 1962 e del

1967, ed operare alla luce del sole mentre i loro corrispettivi egiziani o siriani

venivano incarcerati. Durante gli anni Ottanta, le relazioni tra governo siriano e

giordano si fecero particolarmente tese, e la posizioni dei Fratelli Musulmani e del

191 Cfr. PHILIP ROBINS, A History of Jordan, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. 16-34, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p.77. 192 Cfr. MARION BOULBY, The Muslim Brotherhood and the Kings of Jordan, 1945–1993, Scholars Press, Atlanta 1999, pp. 37-72, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p. 77. 193 D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p. 78.

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153

governo di Amman finirono per coincidere: i Fratelli siriani trovarono rifugio in

Giordania, e la Fratellanza divenne funzione della politica estera giordana. 194 Si

può dunque dire che gli Ikhwan giordani svilupparono una relazione strettissima,

quasi simbiotica, col regime hashemita.

Nella storia dei Fratelli giordani chiave di volta è però la questione palestinese.

La popolazione giordana era, fino al 1948, costituita da popolazioni arabe

genericamente identificate come “transgiordane”, ovvero provenienti dalle terre

ad est del fiume Giordano (East Bank). Quando, nel 1948, la Giordania si schierò

a fianco del fronte arabo contro il nascente Stato di Israele, annettendo la

Cisgiordania (West Bank) si trovò a dover gestire circa 450.000 palestinesi qui

residenti, oltre a circa 350.000 profughi in fuga da Israele. I profughi palestinesi,

che si stanziarono principalmente nei centri urbani di Ammam, Zarqa, e Irbid,

alterarono drasticamente la situazione etnica e demografica del Regno hashemita.

Parte di essi entrò nel tessuto cittadino, molti palestinesi dovettero però

accontentarsi dei campi profughi in cui buona parte dei profughi vive tuttora.

Nel 1951 Re ‘Abdallah venne assassinato, dopo il breve Regno di Talal, a salire al

trono fu Hussein, nel 1953. Nel 1963 un’altra guerra vide scontrarsi Giordania ed

Israele, per una clamorosa sconfitta che costò l’occupazione da parte ebraica della

Cisgiordania, dalla quale circa 300.000 palestinesi fuggirono in Giordania. L’Olp,

l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, creò basi nel Regno,

formando una sorta di Stato nello Stato da cui attaccare Israele. Il regime di Re

Hussein, temendo così di perdere il controllo su parte del proprio territorio,

scatenò un’offensiva contro l’Olp, dando origine alla guerra civile degli anni

1970-1971, la cui fase più acuta è conosciuta come “settembre nero”. Circa 3400

palestinesi persero la vita e i movimento di resistenza palestinese fu bandito dalla

Giordania. I Fratelli Musulmani giordani non parteciparono all’insurrezione dei

palestinesi, anzi, sostennero le istituzioni giordane. Riuscirono pertanto a farsi

carico delle rimostranze sociali della popolazione palestinese e non, senza però

opporsi al regime, tanto che negli anni successivi la disillusione verso l’opzione

194 Ibid.

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154

laica dell’Olp spinse un numero crescente di palestinesi a identificare la propria

causa proprio nel progetto islamista dei Fratelli. Il nazionalismo secolare fu anzi

considerato da questi responsabile delle sconfitte del popolo palestinese, sulla scia

del fallimento del sogno socialista e panarabo di Nasser, e l’islamismo militante

fu interpretato come unica vera possibilità di riscossa.

Anche in questo caso, l’ideale islamico era quello dell’età dell’oro dei “quattro

califfi ben guidati”, e la strada per la sua realizzazione la shari’a. L’ideologia

islamista si diffuse sia tra i ceti medi sia tra i ceti popolari, attraendo soprattutto,

ma non esclusivamente, i palestinesi. Nota Atzori come dai palestinesi fosse

privilegiato l’aspetto riformatore e talvolta rivoluzionario del messaggio islamista,

laddove i transgiordani privilegiavano la componente di conservazione sociale195.

I giordani di origine palestinese sono ormai metà della popolazione totale e molti

di loro non si sono mai identificati con lo stato Giordano, rimanendo in primo

luogo palestinesi. Molti di costoro si sentono anzi traditi dal Regno hashemita,

soprattutto dopo la distensione portata avanti con Israele e culminata negli accordi

del 1994. La delusione non ha intaccato le basi dello Stato Giordano, ma ha

prodotto profonde modifiche nel movimento islamista del Paese. Benché ad

Occidente la Giordania appaia essenzialmente come un Paese laico, la sua società

è fortemente imbevuta di valori islamisti in campo sia sociale sia politico. Non è

solo un’influenza culturale islamica sul modo di vivere dei cittadini giordani, ma

una vera e propria concezione ideologica che non conosce barriere di classe, una

ideologia che interessa il piano sociale, politico ed economico. Si dovrebbe però

in realtà parlare di diverse componenti, quindi di “islamismi”: il paesaggio dell’

Islam politico giordano è variegato, tra Fratelli Musulmani, innumerevoli correnti

salafite, comunità sufi, Islam tradizionale "tribale"...un substrato islamista

composito che si muove al di sotto dall'Islam "ufficiale", cardine della

legittimazione del potere hashemita196.

L’islamizzazione della società giordana si inserisce nel più generale contesto di

diffusione dell’Islam politico degli anni Settanta visto nel capitolo precedente, ma 195 Ivi, p. 80. 196 Ibid.

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155

trova qui delle condizioni peculiari che ne favoriscono l’attecchimento. In primo

luogo, in ragione del fatto che l’identità giordana stessa è un prodotto recente

quanto la nascita dello stato Giordano, e poggia quindi su fragili fondamenta. Si

tratta di un’identità che si è anzi paradossalmente rafforzata con l’integrazione dei

profughi palestinesi tra il ‘48 e il ‘67, proprio in contrapposizione all’identità dei

nuovi arrivati. Questi ultimi sono di origine palestinese ma non possono tornare

nella patria natia, e al tempo stesso pur avendo cittadinanza giordana non si

considerano propriamente “giordani”, ne come tali sono accettati. Inoltre la

Giordania ospita minoranze circasse e cecene, integrate economicamente ma

fieramente non-arabe. Vi è poi il fattore religioso a rappresentare un ulteriore

elemento di disgregazione identitaria, con le minoranze arabe cristiane; infine la

nutrita minoranza di profughi iracheni, in fuga dalla seconda Guerra del Golfo.

Solo l’abilità politica di Re Hussein ha saputo mantenere insieme fino ad ora

questo crogiolo di popoli ed identità differenti, se si escludono momenti di forte

tensione come i già citati fatti del biennio ‘70-‘71. I Fratelli Musulmani hanno

giocato un ruolo cruciale nella ricerca di un’identità nazionale. Sottolineando

l’appartenenza all’Islam, prima di quella etnica, hanno favorito l’unione del

popolo Giordano attorno alla figura del Re. Anche laddove hanno esercitato un

ruolo di critica ai governi, essi non hanno mai toccato la monarchia, nè i

fondamenti dello Stato e dell’identità giordana. L’Islam è così stato sapientemente

utilizzato dagli hashemiti con l’aiuto dell’Associazione per cementare l’unità

nazionale giordana ed arginare le spinte centrifughe. Esito di questa riuscita

collaborazione tra Fratelli e casa regnante non poteva che essere la forte

islamizzazione della società. L’alleanza con i Fratelli non è servita al Re ad

arginare esclusivamente le potenzialmente dilanianti differenze etniche. I Fratelli

avevano infatti frenato anche la penetrazione nel Paese del comunismo e del

panarabismo, sedato l’irredentismo palestinese e contribuito a disinnescare la

diffusione della cosiddetta "rivolta del pane" del 1989 nelle aree urbane. Gli anni

Novanta furono difatti anni di grandi cambiamenti politici, economici e sociali, in

cui la Giordania si distinse agli occhi del mondo come esempio di un Paese che

accettava le sfide della globalizzazione cercando al tempo stesso di integrare il

Page 159: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

156

movimento islamista all’interno del proprio sistema politico e socio-economico.197

Quando, nel 1989, l’ondata di proteste della “rivolta del pane” scosse il sud del

Paese, il regime non rispose con una repressione, come accaduto anni addietro nel

“settembre nero”, nonostante le preoccupazioni per una sollevazione che vedeva

come protagoniste proprio le aree abitate da transgiordani, e non da palestinesi, e

che scuoteva quindi le basi stesse della monarchia. I Fratelli non solo non

appoggiarono la protesta, ma contribuirono a calmare le acque, esattamente come

nel 1970. Dopo la rivolta il regime decise di avviare una serie di liberalizzazioni

politiche, permettendo elezioni democratiche nel Paese. Seguirono riforme

politiche ed economiche volte a promuovere democratizzazione e sviluppo198e

furono proprio queste liberalizzazioni a compensare agli occhi dell’opinione

pubblica il sostanziale ritiro dello Stato sul piano del welfare. Re Hussein

indisse le prime elezioni dal 1967, e la Fratellanza conquistò ben 34 seggi su 80,

mostrandosi come principale forza nel Paese: il Fratello Musulmano ‘Abd al-Latif

‘Arabiyyat venne eletto Presidente del nuovo Parlamento.

Gli Ikhwan svolsero un ruolo fondamentale nel legittimare i cambiamenti sociali e

politici e la modernizzazione del Paese, oltre che nel costituire un baluardo contro

la penetrazione del comunismo e del nasserismo, considerate forze centripete e

destabilizzanti. La tradizione di coabitazione e collaborazione tra il regime e il

movimento ebbe origine nella scelta, condivisa da entrambi, di lasciare al primo i

controllo della società politica, e al secondo l’egemonia sulla società civile.

Questa strategia pragmatica si rivelò particolarmente efficace nella promozione di

un vasto e ramificato settore privato islamico, volto a permeare la società di valori

islamici senza sfidare il potere. Esattamente come in Egitto, I Fratelli dedicarono

particolare attenzione al settore dell’educazione, grazie in particolare allo stretto

controllo esercitato sul Ministero dell’Educazione: Ishaq al-Farhan, importante

esponente del movimento, ricoprì infatti la carica di Ministro dell’Educazione

197 Ivi, p.82. 198 WARWICK KNOWLES, Jordan since 1989. A study in political economy. I.B. Tauris, Londra-New York 2005, pp. 80-81, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p. 83.

Page 160: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

157

dall’ottobre 1970 al novembre del 1974.199 Ciò garantì ai membri della sua

associazione un accesso privilegiato all’impiego come insegnanti nelle scuole

statali, inoltre il Fratello Musulmano Kamil al-Sharif fu Ministro per gli Affari

Religiosi (Awqaf) tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta,

assicurandosi una forte influenza sulle moschee, fondamentale luogo di

produzione e promozione dell’Islam ufficiale.

I movimenti islamisti giovanili spodestarono i gruppi di sinistra nelle università

anche grazie all’aiuto del governo secondo uno schema già visto in Egitto, gruppi

marxisti che negli scontri del 1970 avevano appoggiato la fazione palestinese.

Anche nelle associazioni professionali i Fratelli riuscirono a guadagnarsi un ruolo

egemonico sin dalla metà degli anni Sessanta.200

L’assistenza ai ceti più poveri rimaneva ovviamente una peculiarità

dell’associazione, tramite la quale poté conquistare un ampio consenso. In

particolare, motore di questo processo fu la Islamic Center Society, in prima linea

nel fornire servizi sanitari e nell’organizzare eventi volti a diffondere i valori

islamici, attraverso cui i Fratelli controllavano tutta una serie di altre importanti

istituzioni. La capillare opera di penetrazione, del tutto simile a quella già

analizzata per il caso egiziano, in Giordania fu facilitata dall’assenza di

competizione, dal momento che movimenti di diversa ispirazione non godevano

di riconoscimento legale, lasciando così alla Fratellanza la possibilità di

espandersi in diversi settori, dalla finanza all’editoria . Essendo il cuore politico

dello Stato precluso ai Fratelli, il mercato divenne uno dei principali spazi di

opportunità a loro disposizione. Ciò consentì lo sviluppo di un dinamico settore

privato islamico, che godeva dell’appoggio del governo, oltre che del sostegno

attivo e materiale dei Fratelli che operavano nelle istituzioni.

Questa suddivisione di compiti favorì la stabilità sociopolitica giordana, poiché lo

Stato poté disinvestire risorse dal welfare, in particolare in concomitanza con

l’adozione delle politiche neoliberiste varate a partire dagli anni Ottanta. I Fratelli

199 SHMUEL BAR, The Muslim Brotherhood in Jordan, The Moshe Dayan Center for Middle Eastern and African Studies, Tel Aviv 1998, p. 32, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p 85. 200 P.ROBINS, A History of Jordan…op.cit., pp. 129-132.

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158

non appoggiarono queste politiche neoliberiste per profondo convincimento

ideologico, ma in ragione del fatto che la loro implementazione avrebbe

determinato un ritiro dello Stato dal settore assistenziale, comportando quindi

l’estensione della loro egemonia sulla società civile.

Il mercato era un settore privilegiato nell’ottica dell’obiettivo di fondo, cioè

costruire una società islamica tramite l’islamizzazione dal basso, attraverso la

fondazione di miriadi di islamic social institutions e la promozione dell’islamic

business. La visione economica dei Fratelli può essere avvicinata al principio di

sussidiarietà: lo Stato dovrebbe limitarsi a svolgere solo le funzioni che la società

civile non è in grado di svolgere. In un’economia basata sulle rendite e dalle forti

caratteristiche tribali, i Fratelli svolsero un ruolo “moderno” nella promozione di

un’economia basata sul settore privato, e tendenzialmente autonoma dalle

tradizionali reti clientelari dello Stato 201, determinando un’economia non basata

su una logica meramente neo-liberista ma appunto “sussidiaria”, solidale e

comunitaria. Questo originale esperimento giordano è figlio ovviamente delle

particolari condizioni sociopolitiche e delle specifiche interazioni tra gli attori

sociali che contraddistinguono il caso giordano più che dalla natura del

movimento islamista, che in Giordania non si presenta come movimento contro-

egemonico ma come parte integrante del tessuto sociale.

La Fratellanza ebbe anche un ruolo attivo nella nascita di un settore bancario

islamico. La sua genesi a livello globale è stata interpretata come frutto

dell’accordo, negli anni Settanta, tra i detentori di rendite petrolifere e settori del

tradizionale ceto degli ‘ulemā’ 202 : quando parte dell’immenso eccesso di

liquidità derivante dallo shock petrolifero fu investito nella creazione delle

cosiddette banche islamiche, alcuni ‘ulema’, in cambio di ben remunerati

impieghi nel settore bancario e del riconoscimento del proprio status, diedero

l’ imprimatur all’esperimento, garantendo con i propri pareri legali (fatwa)

201 BJORN OLAV UTVIK, The Pious Road to Development. Islamist Economics in Egypt, Hurst & Company, Londra 2006, pp. 150 ss., cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p.87. 202 MONZER KAHF, Islamic Banks: The Rise of a New Power Alliance of Wealth and Shari’a Scholarship, in (a cura di) CLEMENT HENRY, RODNEY WILSON, The Politics of Islamic Finance, Edimburgh University Press, Edimburgo 2004, p.17, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p.89.

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159

“l’islamicità” delle banche. In questo modo vedevano parzialmente riconosciuto il

proprio prestigio tradizionale, messo in crisi dall’avvento della modernità che

rischiava di farne dei semplici impiegati statali a servizio dei governi. Lavorare al

servizio delle banche islamiche sarebbe stato per loro più redditizio e li avrebbe al

tempo stesso emancipati dallo stretto controllo politico dello Stato. Venne così a

crearsi un nuovo solido blocco di potere, cementato dai petroldollari e dalla

legittimazione religiosa. Alcuni governi dei Paesi arabi individuarono in questa

lobby transnazionale un potenziale alleato, in grado di fare da argine alle

opposizioni sia delle sinistre sia dell’emergente islamismo radicale eversivo.

Questo blocco era una garanzia di stabilità benché non subordinato ai governi, e

questi, in primis l’Egitto di Sadat, riconobbero e garantirono numerosi privilegi

alle neonate banche islamiche, che godevano così di legittimità sia religiosa sia

politica. Il ceto medio islamista divenne parte integrante di questo sistema:

costituito sia da vecchi proprietari terrieri sia da professionisti, questa classe

media era autonoma dal potere centrale perché non inserita nei quadri della

burocrazia statale, e non doveva quindi le sue fortune alle rendite concesse dai

governi in modo clientelare; al tempo stesso per la conservazione del blocco

sociale era “alleata” dei governi nell’arginare le contestazioni, soprattutto da

sinistra, che avrebbero potuto mettere in discussione il proprio status quo. Il

blocco islamista era insomma un alleato dello Stato, ma autonomo ed in grado di

“negoziare”.

In Giordania, così come in molti altri stati arabi, questa classe media islamista

costituì il principale cliente delle banche islamiche e la laro principale fonte di

forza lavoro qualificata, in quanto questo ceto moderno era composto in buona

parte da persone con formazione occidentale, spesso di tipo scientifico o

economico e con padronanza della lingua inglese.

Proprio questa classe media costituiva il principale ceto sociale di riferimento dei

Fratelli Musulmani, come attestato per altro dalla penetrazione della Fratellanza

nelle associazioni professionali. La Jordan Islamc Bank nacque dalle idee

dell’economista Sami Hamud, ex dipendente della Jordanian National Bank e

figlio di uno studioso di scienze islamiche. Dopo aver dimostrato la realizzabilità

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160

teorica di un sistema bancario compatibile con i principi dell’Islam, Sami Hamud

cercò di metterlo in pratica. Per fare ciò necessitava del consenso governativo in

quanto l’istituzione di una banca islamica nel Paese richiedeva l’approvazione

mediante una legge ad hoc. Incassato il “no” del presidente della Arab Bank per

la promozione del suo progetto, l’appoggio gli venne dato dai Fratelli Musulmani.

La Fratellanza fece partecipare Sami Hamud ad un talk show televisivo rendendo

le sue teorie molto popolari, nel frattempo svolse un’azione di lobbying tramite i

propri appoggi nel governo , in particolare grazie a Kamil al-Sharif, ministro degli

Awqaf203. L’alto profilo del progetto convinse il principe saudita Muhammad al-

Faysal a credervi e promuoverlo: Hamud fu invitato in Arabia Saudita, e al-Faysal

incontrò il principe Hasan, quindi la questione fu presentata al Consiglio dei

Ministri giordano che nel 1977 approvò l’istituzione di una banca islamica,

ratificata l’anno successivo.

La nascita di un istituto di credito islamico vicino ai Fratelli musulmani fu reso

possibile grazie alle risorse a disposizione grazie alle ricchezze petrolifere dopo la

crisi del 1973, ma anche grazie allo sviluppo teorico della cosiddetta economia

islamica, disciplina che aspira fondere il rigore dell’economia con l’ispirazione

morale e i precetti legali dell’Islam, impresa che coinvolse studiosi di tutto il

mondo islamico e nella quale il giordano Hamud rivestì un ruolo importante.

Molti islamisti accusano le banche islamiche di essere in realtà tali solo di nome,

preferendo depositare il proprio denaro in informali associazioni di risparmio,

considerate il miglior modo di rispettare i dettami dell’Islam e di rinsaldare la

fiducia tra le persone coinvolte, ma è comunque innegabile che la creazione di un

sistema finanziario islamico svolse un ruolo fondamentale nella promozione

dell’islamismo in Giordania. Per quanto riguarda la Fratellanza, essendole

precluso il potere politico nel delicato equilibrio raggiunto con la monarchia, il

mercato diveniva il principale spazio di opportunità in cui esprimere le proprie

velleità di islamizzazione della società. Inoltre la creazione della banca islamica

ha dato modo di finanziare quelle innumerevoli attività economiche, movimenti e

istituzioni in qualche modo riconducibili al movimento. La finanza islamica si

203 Cfr. D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., pp. 89-93.

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161

delinea così causa ed effetto al tempo stesso dell’integrazione del movimento

islamista in seno alla società giordana. Anche per questo le riforme economiche

degli anni Novanta hanno rappresentato agli occhi dell’associazione

un’opportunità e non una minaccia, nella loro modernizzazione, e si può dire che

la Fratellanza in Giordania abbia nel corso di questi anni interpretato l’Islam in

chiave moderna, di certo più di quanto non abbia fatto il movimento-madre

egiziano. Va però sempre tenuto presente come i Fratelli Musulmani giordani

abbiano sostenuto le liberalizzazioni economiche e politiche per esigenze

essenzialmente tattiche: il loro fine ultimo non è la democrazia liberale ma una

“democrazia islamica”.

L’Islam politico tendeva tuttavia ad essere letto come un’ideologia democratica,

per il rilievo dato ai concetti di partecipazione e di consultazione (shurà) e

vagamente socialista, per l’enfasi sul concetto di giustizia sociale, redistribuzione

della ricchezza e lotta alle rendite. Erano messaggi, questi, di cui la Fratellanza si

faceva promotrice facendo presa sul proletariato urbano, spesso composto da

profughi palestinesi, turbati da prospettive economiche incerte e drammatiche

crisi d’identità. Era un messaggio populista in grado di mobilitare le masse ma

senza mettere in discussione come detto l’assetto sociale esistente. Il linguaggio

della Fratellanza riusciva anzi a costituire un “blocco storico” tra la gioventù

urbana povera e la classe media religiosa, edificando una volontà comune,

possiamo dire “nazionale”, attraverso l’uso di simboli comprensibili da tutti. Non

solo il proletariato urbano, ma la stessa classe media colta cercava difatti

nell’Islam politico moderato della Fratellanza una soluzione alle proprie

frustrazioni, in questo caso derivanti da un peso politico non ritenuto

proporzionato al proprio contributo alla vita economica e sociale giordana. Fu

questa capacità di far convergere interessi eterogenei a permettere ai Fratelli di

estendere la propria influenza sulla società giordana fino agli anni Novanta.

La classe media islamista che abbiamo descritto tende per sua natura ad

allontanare svolte rivoluzionarie, al contrario auspica una serie di profonde ma

graduali riforme che incrementino l’aderenza della società agli standard sia morali

Page 165: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

162

sia legali fissati dalla tradizione islamica a cui è stata sensibilizzata. L’islamismo

esprime la volontà di emancipare sia i ceti poveri (che reclamano giustizia sociale)

sia la nuova classe media islamista (che chiede un’influenza politica maggiore)

dal controllo statale. L’Islamic Action Front Party, espressione politica della

Fratellanza fondato nel 1992, ha fatto uso di entrambi questi discorsi, appellandosi

alla giustizia sociale e alla “democrazia islamica”, evocata da concetto islamico di

shurà (“consultazione”), che rivela la volontà della classe media di prendere parte

al processo decisionale. 204 L’IAFP ha preso parte alla vita parlamentare giordana,

talvolta in opposizione talvolta a sostegno dei governi, dimostrando un notevole

pragmatismo pur sorretta dai principi religiosi. Una partecipazione democratica

che ha contribuito ad isolare i gruppi più estremisti, come i salafiti. Tali premesse

lasciavano intravedere un rafforzamento sia delle basi democratiche dello Stato

giordano, delle sue istituzioni e della stessa monarchia hashemita (che avrebbe

ridotto l’aspetto coercitivo in favore del gioco democratico), sia degli islamisti,

che si sarebbero integrati pienamente nel sistema. Gli ultimi decenni però

documentano che quanto auspicato non è avvenuto.

CRISI DEL BLOCCO STORICO e PALESTINIZZAZIONE

Fino alla fine degli anni Ottanta i Fratelli Musulmani erano stati tendenzialmente

uniti, fedeli sia ai valori comunitari di al-Banna’ sia alla strategia di

collaborazione con la dinastia locale scelta da Abu Qarah, primo leader della

sezione giordana. Gli anni Novanta furono invece segnati, nel mondo islamico,

dal tentativo di gruppi fondamentalisti estremisti di prendere il potere con le armi.

La vittoria delle “brigate islamiste internazionali“ dei mujahidin afgani contro i

sovietici convinse molti tra i veterani ad esportare modalità di reclutamento e

tattiche di guerriglia al di là del teatro afghano.205 “Bosnia, Algeria e Israele

divennero luoghi in cui i mujahidin tentarono di replicare l’esperienza afghana. I

204 Cfr. AHMAD JAMIL AZEM , The Islamic Action Front Party, in (a cura di) HANI HOURANI, Islamic Movements in Jordan, al-Urdun al-Jadid, Amman 1997, p- 105, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p.94. 205 Cfr. D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p.95.

Page 166: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

163

veterani dell’Afghanistan di ritorno in patria contribuirono a radicalizzare il

movimento islamista giordano. I vasti network clandestini salafiti si diffusero

nella società giordana, attraendo numerosi giovani. Il messaggio radicale degli

eroi afghani affascinava più di quello che veniva percepito come il grigio e

ufficiale islamismo lealista dei Fratelli Musulmani” 206.

Alcuni esponenti dei Fratelli iniziarono quindi ad adottare un retorica jihadista,

antisionista e antiimperialista per attirare nuovi militanti. Lo stesso islamismo

sociale non riusciva più a cementare quel “blocco storico” tra classe media e

proletariato, laddove le istituzioni islamiche preferirono reclutare membri della

classe media anziché erogare servizi ai ceti poveri, indebolendo la coesione del

movimento. La retorica jihadista della frangia estremista spaventava sia la classe

media sia il regime, mentre l’ala sociale si dedicava a creare piuttosto reti

clientelari che a guadagnare il sostegno delle masse diseredate. Ma anche il

welfare islamico cessò di essere un efficace mezzo per conseguire l’egemonia

sulle classi popolari, come accadde invece in Palestina con Hamas e in Libano

con Hezbollah. I Fratelli erano così accusati da ambo i lati: dai salafiti, per il loro

legame con la monarchia, e dai moderati, per le tendenze più radicali.

Nel 1990 la Fratellanza scelse di impegnarsi direttamente nel gioco politico: una

nuova leadership prese il controllo dell’organizzazione, mentre la vecchia guardia

rimase in controllo della potente Islamic Center Society. Dopo le elezioni, il

movimento si trovò diviso in due correnti, che la stampa giordana battezzò

“falchi” e “colombe”. I “falchi”, guidati da Muhammad Abu Faris e Ibrahim

Mas’ud, rimasero inizialmete in posizione subordinata rispetto alle “colombe”

quali Ishaq al-Farhan, Ahmad al-Azayda, ‘Abdallah al-Ukayla, Bassam al’Amush

e Hamza Mansur. Nel 1993 la direzione dei Fratelli scelse di creare un partito

formalmente indipendente dalla Fratellanza, l’Islamic Action Front Party, ma in

realtà sua espressione politica. Tuttavia, questi costituirono un terzo centro di

potere all’interno del movimento, così spaccato in Fratelli Musulmani, Islamic

Center Society e Islamic Action Front Party. La mancanza di un coordinamento

ovviamente indebolì il consenso e la credibilità del movimento stesso, all’interno

206 Ibid.

Page 167: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

164

del quale la componente più dinamica si rivelò quella in controllo dell’Islamic

Center Society, grazie alla sua capillare rete assistenziale. La corrente più debole

fu al contrario quella legata al partito: la decisione dei Fratelli di boicottare le

elezioni politiche del 1997 si ritorse contro gli esponenti dell’ Iafp, che persero coi

propri seggi anche ogni possibilità d’influenza. Questa strategia fratricida non

solo pose un freno all’inserimento dei Fratelli nel sistema politico giordano, ma

anche alla democratizzazione del Paese nel suo complesso. I ceti borghesi e

popolari difatti erano fino a quel momento rappresentati da un partito di massa

come l’Iafp, e si ritrovarono privati di un’efficace espressione politica.

L’elemento divisorio principale era legato alla questione palestinese, e quindi

riflesso della divisione etnica del popolo giordano. Il prevalere dei “falchi”

palestinesi all’interno del movimento determinò l’emarginazione della

componente più borghese e moderata, fedele alle istituzioni e al Re, ma al tempo

stesso determinò la perdita di parte dei consensi della base popolare. La crisi

iniziata tra 1989 e i 1993 si inasprì con gli accordi di pace giordano-israeliani del

1994, e divenne poi cronica in seguito all’ascensione al trono di ‘Abdallah I,

all’esplosione della seconda intifada e alle conseguenze degli attentati terroristici

dell’11 settembre. Tutti questi elementi contribuirono a quella che l’israeliano

Shmuel Bar ha definito la “palestinizzazione” dei Fratelli musulmani giordani. Il

che non corrisponde solo ad una generica prevalenza della componente

palestinese all’interno dell’organizzazione, ma soprattutto alla crescente influenza

ideologica di Hamas, evidente in seguito al successo del movimento islamista

palestinese nelle elezioni del parlamento palestinese del gennaio 2006.207 Questa

frattura era ed è tuttora un chiaro riflesso della divisione tra transgiordani e

cisgiordani, cioè giordani di origine palestinese. 208 Nel corso degli anni Novanta

furono questi ultimi a prevalere, ottenendo il controllo sia della società dei Fratelli

Musulmani sia dell’Islamic Action Front Party, sua espressione politica,

emarginando progressivamente l’ala moderata e lealista e segnando una battuta

d’arresto per chi, non solo in Giordania, sperava in un partito moderato

d’ispirazione religiosa islamica. I riferimenti ideologici di quest’ala radicale 207 Cfr. S.BAR, The Muslim Brotherhood…op.cit., p. 46. 208 Ivi,p. 50.

Page 168: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

165

erano gli scritti di Sayyd Qutb, ma anche le idee del Fratello Musulmano

giordano-palestinese ‘Abdallah’ Azzam fondatore dei Mujāhidīn afghani e

“maestro” di Osama Bin Laden.

Di fronte all’esplosione della seconda intifada nel 2000 e agli attacchi terroristici

dell’11 settembre 2001 e ai mutamenti internazionali derivanti, i Fratelli,

indeboliti e privi di una guida unitaria, risposero radicalizzandosi, e cercando di

sfruttare le ondate emotive anti-israeliane e anti-americane. Talvolta non hanno

negato l’appoggio a terroristi internazionali, come nel caso dei funerali di Abu

Musa al-Zarqawi (capo di Al Qa’ida in Iraq) a cui parteciparono quattro

parlamentari esponenti della Fratellanza.

LA TERZA FASE

Mentre le altre fazioni continuavano a fronteggiarsi, una quarta ulteriore

componente, promossa da Hamas, espugnò il movimento. Una nuova classe

dirigente cavalcò con successo il discorso anti-occidentale, inaugurando una fase

nuova del movimento, caratterizzata da una stagione di radicalismo e di

contrapposizione frontale al governo.

Se nella loro prima fase, dalla fondazione nel 1945 agli anni Novanta, i Fratelli

Musulmani hanno agito in simbiosi con il governo giordano, e nella seconda , fino

al 2002, erano stati dilaniati da divisioni interne e diverse strategie perseguite

dalle varie correnti, questa terza fase si arricchisce di una nuova componente

legata ad Hamas. Questa nuova leadeship conquistò anche l’Iafp, eleggendo Zaki

Bani Arshid suo esponente alla guida del partito, e al contrario dell’intento

unificatrice da sempre perseguito dai Fratelli giordani, mirò ad enfatizzare le

divisioni tra le due principali etnie del Paese. Nel 2007 l’Iafp incappò in un

clamoroso insuccesso elettorale, ma questi, anziché spingere ad un’inversione di

rotta, portò a nuove elezioni interne, nel tentativo di rafforzare ulteriormente la

corrente radicale del movimento. Tentativo riuscito grazie all’elezione, per un

Page 169: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

166

solo voto, del radicale Hammam Sa’id, nuova guida generale, che si operò per

porre fine all’ormai quasi decennale bando di Hamas dalla Giordania.

L’atteggiamento sempre più radicale dei Fratelli come prevedibile portò il regime

ex alleato ad intensificare il controllo e la repressione, restringendo gli spazi di

opportunità a disposizione dell’associazione ed intervenendo anche sulla legge

elettorale, pur di limitare i risultati dell’Iafp, in realtà già deludenti. Il nuovo

atteggiamento estremista spaventava infatti la classe media islamista, che non si

riconosceva in messaggi conflittuali, diretti prevalentemente a far presa sui ceti

poveri. A questi ultimi, si prospettava un messaggio decisamente semplificato:

causa delle loro sofferenze erano non tanto le disuguaglianze sociali, quanto

l’occidentalizzazione del Paese e l’”entità sionista”. Lo spettro dell’antisemitismo

si diffuse in vasti settori della società giordana, in un percorso in cui giordani e

palestinesi trovavano un facile capro espiatorio nel vicino ebraico.

Gli estremisti si alienarono così sia le simpatie di buona parte della classe media,

sia della componente etnica transgiordana.

Sebbene a causa di questa sua deriva radicale la Fratellanza giordana non sia stata

in grado di assumere un ruolo di avanguardia politica, perdendo parte dei consensi

faticosamente conquistati negli anni della moderazione collaborativa con la

monarchia, ciò non toglie che l’influenza dell’islamismo sia ancora molto intensa

nel Paese. Lo stile di vita della popolazione è stato profondamente influenzato

dalla proposta di comportamento autenticamente islamico, e si può dire che

l’islamismo abbia cercato di colmare il vuoto identitario della giovane ed

eterogenea società giordana. La classe media islamica è un ceto sociale

assolutamente moderno, slegato da logiche tradizionali e di formazione di tipo

occidentale, per cui l’inglese rappresenta una vera e propria seconda lingua, il che

favorisce per altro l’accesso alle fonti di informazione internazionali.

Specialmente i giovani giordani sono alla ricerca di un’emancipazione che li

renda partecipi della “società occidentale”, sognata e reinterpretata, ed invadono i

grandi centri commerciali, simbolo di questa agognata occidentalizzazione, come

il simbolico Mecca Mall di Ammam, grande centro di aggregazione della middle

Page 170: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

167

class della capitale. Preme a questa classe media, anche islamista, di essere

riconosciuta come “moderna”, soprattutto per quanto riguarda i modelli di

consumo. Si assiste ad una sorta di frattura tra un’identità araba tradizionale,

percepita da molti giovani quasi come una vergogna, a una nuova identità arabo-

occidentale, rappresentata da questo vivere quotidiano “all’occidentale”. Al tempo

stesso la classe media di origine palestinese, costituita prevalentemente da

professionisti, sottolinea la propria superiorità culturale rispetto ai transgiordani,

considerati beduini che hanno subito un processo di acculturazione e

civilizzazione solo grazie alla migrazione forzata dei palestinesi. Questa borghesia

palestinese di prima o seconda generazione ha per altro maturato un forte senso di

colpa e frustrazione per la situazione del proprio popolo e per la propria

impotenza nell’incidere sulle scelte politiche. L’apparente paradosso è che tale

processo di occidentalizzazione dello stile di vita procede di pari passo con una

radicalizzazione dell’islamizzazione, sia sociale sia politica. Vengono insomma

adottati modelli iperconsumisti occidentali, fusi con la pratica dell’Islam e

posizioni socio-politiche islamiste. L’Islam è vissuto sempre più come

un’ideologia che come una religione, e l’islamismo come elemento

imprescindibile per definire la propria identità: il problema diventa conciliare

questo stile di vita e di consumi sempre più legati all’occidente con l’essenza

stessa dell’Islam. Il paradigma secondo il quale la diffusione della società dei

consumi avrebbe portato ad un affievolirsi o ad una scomparsa del sentimento

religioso viene clamorosamente smentito dall’osservazione della società

giordana.209

ATTUALITA’ E CONCLUSIONI

Si può in definitiva affermare che i Fratelli Musulmani, al tempo del loro

massimo splendore, siano riusciti a svolgere una direzione intellettuale e morale

sulla società giordana nel suo complesso, dimostrata dalla fortissima influenza

esercitata in qualunque campo della vita associata e dal prestigio di cui essi

209 Cfr. D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., pp. 100-102.

Page 171: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

168

godevano presso tutti i ceti. Questo capitale è stato in parte dilapidato dalla

decisine dei quadri dirigenti di aderire alle posizioni di Hamas, compromettendo

quell’unità nazional-popolare faticosamente conquistata. In particolare, sia la

classe media islamista sia il proletariato urbano, i ceti che con più convinzione

sostenevano la Fratellanza, si sono allontanati da essa: la prima perché spaventata

dal crescente radicalismo, la seconda perché alla retorica non aveva fatto seguito

nessun concreto miglioramento del suo tenore di vita.

Si può aggiungere che l’opera di islamizzazione della società giordana pur

proseguita negli anni Novanta e nel XXI secolo, ha visto perdere il monopolio del

settore da parte dei Fratelli, che devono ora condividere questo ruolo con un

pulviscolo di associazioni e attività economiche, spesso da loro ispirati, ma non

più da loro guidati.

Se l’eccezione giordana appariva fino agli anni Novanta come l’esempio da

seguire nella costruzione di un movimento islamista moderato in grado di

esercitare un ruolo governativo stabile, rappresentando in questo senso il punto di

riferimento di tutte le forze islamiste che desideravano partecipare al processo

democratico, come quelle turche, il prevalere dei “falchi” al suo interno ha

progressivamente emarginato assieme alla componente moderata anche quel

progetto di un partito politico di ispirazione religiosa, conservatore dal punto di

vista morale e liberale dal punto di vista politico economico e sensibile alla

solidarietà sociale, quale i Fratelli Musulmani pre-radicalizzazione potevano

apparire.

Nonostante i Fratelli avessero sempre simpatizzato per la causa palestinese, non

avevano mai posto quest’ultima davanti alla tradizionale fedeltà alla monarchia, in

nome dell’unità nazionale. I “falchi” sono riusciti ad affermare una visione

manichea della politica, definendo la propria identità esclusivamente contro

qualcuno, l’entità sionista. Si sono fatti contagiare dalla retorica di Hamas,

minando quella tradizione di coabitazione con lo Stato che era sta per circa

Page 172: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

169

cinquant’anni una caratteristica saliente della società giordana, nonché un fattore

determinate per il successo dell’associazione stessa.

Con l’inasprirsi dei rapporti tra ala radicale della Fratellanza e governo, il

movimento islamista ha scelto di boicottare le elezioni del 2010, senza però in

questo modo aver causato alcuna seria sfida alla monarchia. L’ascesa al potere

dei partiti islamisti in Egitto e in Tunisia ha reso urgente per Ammam adottare

misure contro l’avanzata della Fratellanza. Nel 2011, mentre dilagavano le

ribellioni in buona parte del Nord Africa e del Medio Oriente, la formazione

islamista in Giordania organizzò dimostrazioni per chiedere la rimozione del

Premier Ma’rūf al-Bahit. Da allora, ha preso parte a proteste per chiedere

l’allontanamento del primo ministro in carica e per invocare maggiori poteri al

parlamento. La sfida al regime si è fatta più seria quando il fronte ha escluso di

prendere parte alle ultime elezioni: soggetta a tali pressioni, la monarchia ha

tentato di persuadere i Fratelli a partecipare alla competizione elettorale

democratica, tra l’altro chiedendo al leader di Hamas Hālid Mis’al,, in visita ad

Ammam nel luglio 2012, di esercitare pressioni sull’organizzazione210 . Le

elezioni si sono tenute il 23 gennaio 2013 e nonostante la campagna di

boicottaggio e discredito delle opposizioni, Fratelli Musulmani in testa, le elezioni

hanno confermato un’ampia maggioranza delle forze fedeli alla monarchia.

Non un caso, per la Fratellanza e i gruppi della sinistra che hanno cercato,

inutilmente, di fare pressione per cambiare l’attuale legge elettorale, che prevede

l’assegnazione di soli 27 seggi su 150 sulla base alle liste nazionali, e dei restanti

attraverso le circoscrizioni locali, legate a doppio filo alla famiglia di Abdallah II.

Secondo gli osservatori internazionali le operazioni di voto e scrutinio si sono

svolte regolarmente, almeno in misura maggiore rispetto ad altri stati del Medio

Oriente e del Nord Africa, e secondo la Commissione elettorale indipendente ha

votato il 56,69% degli aventi diritto, un milione e 280mila persone su quasi

quattro milioni. Una bassa affluenza, che non basta a mettere in discussione la

210

ROGER BOU CHAHINE, I mille volti della Fratellanza, in Limes, n.1/2013, pp.137-138.

Page 173: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

170

fedeltà al Re, anche se 18 deputati legati alla Fratellanza, oltre ad una decina di

islamici moderati e alcuni candidati di sinistra del movimento panarabo sono

comunque riusciti ad entrare in Parlamento. La scelta di andare ad elezioni

anticipate, le prime in Giordania dall’inizio della “primavera araba”, era stata

presa da Abdallah II dopo le manifestazioni cominciate nell’ottobre scorso,

quando la gente era scesa in piazza contro il taglio dei sussidi al carburante.

Ancora una volta la monarchia giordana ha giocato d’anticipo, con un segnale

forte che dimostrasse al suo popolo di essere ascoltato; una scelta strategica,

secondo le opposizioni, che di fatto non ha messo davvero in discussione il potere

reale211.

Oggi il governo giordano monitora con attenzione e timore gli sviluppi della crisi

siriana, vista la possibilità che i Fratelli Musulmani salgano al potere dopo

l’eventuale caduta di al-Assad, ribaltando le sorti della regione con possibili

conseguenze anche sulla realtà giordana.212 Inoltre un afflusso continuo di

profughi proveniente dalla Siria va ad unirsi ai già circa 450.000 profughi iracheni

della regione, complicandone ulteriormente il tessuto etnico. Il peso della crisi

siriana si aggiunge ai problemi economici (la situazione del Paese è estremamente

delicata: sei milioni e mezzo di abitanti, dei quali oltre la metà palestinesi; un

tasso di disoccupazione al 40%, che sale al 60% fra gli under 30; continui

sabotaggi del gasdotto che dall’Egitto porta il gas in Giordania, e in Israele, fatto

saltare più volte, che se da un lato ha portato alla ricerca di fonti alternative,

dall’altro ha indotto il Paese ad acquistare più petrolio, e dunque a dover spendere

di più. La fine degli aiuti ha aumentato il malcontento, che il Governo ha cercato

di tamponare con l’offerta di un pacchetto di assistenza ai redditi più bassi213).

Nonostante il Fronte di Azione Islamico abbia denunciato come la legge elettorale

impedisca di garantire un’effettiva competizione plurale, di fatto anche gli

211 ILARIA ROMANO , Giordania: le elezioni e l’opposizione “morbida” dei Fratelli Musulmani, in Reset, 28/1/2013, http://www.reset.it/reset-doc/giordania-le-elezioni-e-lopposizione-morbida-dei-fratelli-musulmani 212 TAMER AL-SAMADI, Jordan fears rise of Muslim Brotherhood in Syria, in al-Monitor, 20/12/2012, http://www.al-monitor.com/pulse/ar/contents/articles/politics/2012/12/jordan-inches-away-from-syria-war.html 213 I.ROMANO, Giordania: le elezioni…precedentemente citato.

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171

oppositori sanno che la monarchia va preservata, perché un’ipotetica caduta

fornirebbe ad Israele il pretesto per indicare la riva orientale del Giordano come

patria dei palestinesi e giustificare l’annessione della Cisgiordania, nonostante il

Regno abbia firmato con Tel Aviv un trattato di pace. Gli stessi palestinesi di

Giordania sanno che un drastico cambiamento al vertice potrebbe portare nuovi

squilibri, come confermato dal recente voto in Israele del gennaio 2013. È

evidente che per gli israeliani, sempre meno propensi all'idea dei due Stati, è assai

forte la tentazione di trovare una via uscita ai loro problemi dall'altra parte del

fiume.214

Anche a livello internazionale la Giordania riveste un ruolo strategico, e ne è

consapevole. Europa e Usa puntano sulla monarchia per contenere la crisi in Siria,

anche qualora il regime di Assad dovesse finire. E pure i paesi del Golfo

preferiscono il Regno ad un eventuale nuovo assetto che dovesse portare alla

maggioranza la Fratellanza giordana, non fosse altro che per la vicinanza con

quella palestinese e siriana.215 Definito, a volte ingenerosamente, come il tipico

stato "cuscinetto", la Giordania è stritolata tra Israele, l'Iraq, suo maggiore

fornitore di petrolio, la Siria, travolta dalla guerra civile, e l'Arabia Saudita. Una

costante lotta per la sopravvivenza e la sicurezza, adesso minacciata dall'afflusso

dei rifugiati siriani che hanno fatto della Giordania del Nord un bacino per

reclutare guerriglieri destinati in buona parte a infoltire le schiere degli islamisti

anti-Assad. Non solo, dalla Siria stanno arrivando numerosi profughi palestinesi

guardati in Giordania come un ulteriore elemento di destabilizzazione

demografica. Le elezioni non cambieranno il dato di fondo, cioè che la Giordania

è aggrappata alla Corona come ancora di salvataggio, ma questa monarchia è

impegnata ad arginare le spinte dalla “primavera araba” nel vicino Egitto, in

Tunisia, Libia. Il Marocco di Mohammed VI, dove un partito islamico moderato

guida un governo di coalizione, potrebbe rappresentare un esempio ma per

un'evoluzione del genere i tempi in Giordania non sembrano ancora maturi. 216

214 ALBERTO NEGRI, Elezioni in Giordania, i Fratelli Musulmani boicottano il voto, in Il Sole 24 ore, 23/1/2013, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-23/elezioni-giordania-fratelli-musulmani-150946.shtml?uuid=AbLzINNH. 215 I. ROMANO, Giordania: le elezioni…precedentemente citato. 216 A.NEGRI , Elezioni in Giordania…precedentemente citato.

Page 175: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

172

I FRATELLI MUSULMANI IN SUDAN

Sebbene l’islamizzazione diffusa e profonda in Sudan sia un fenomeno

relativamente recente (a partire dal XVI secolo in poi) l’Islam si è poi qui espresso

in forme assai originali e peculiari. Una delle caratteristiche riscontrabili è lo

stretto legame instaurato sin da subito tra la pratica religiosa e il sufismo.217

L’islam sudanese si è infatti spesso declinato in termini mistici, e questo non solo

relativamente alla religiosità popolare, ma anche relativamente alla religiosità

dotta e istituzionale. Una delle cause della rivolta mahadista 218che si scatenò nel

1881 fu proprio la reazione degli ‘ulamā’ e dei fakis (sant’uomini) al tentativo dei

turco egiziani di Muhammad ‘Ali e Isma’il Pascià di imporre l’Islam azharita, con

le sue regole e le sue strutture, dopo aver conquistato il Paese nella metà del XIX

secolo.219

Il fenomeno mahadista è stato contemporaneamente di islamismo politico e di

rivendicazione proto-nazionalista, e proprio la declinazione politica è una seconda

caratteristica saliente assunta dall’Islam nell’ambito sudanese. Non è rara

nell’Islam una declinazione politica del sufismo, ma in Sudan ha acquisito una

continuità peculiare anche rispetto ad altre esperienze, come quella senussita. Pur

dissoltosi lo stato mahdista, gli eredi del Mahd, a partire dal figlio ‘Abd al-

Rahman, hanno proseguito il suo impegno politico, sebbene con un atteggiamento

217 Cfr. MASSIMO CAMPANINI, Hasan al-Turabi e i Fratelli Musulmani come avanguardia islamica in Sudan, p.45 , in (a cura di) MASSIMO CAMPANINI, KARIM MEZRAN , I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Utet, Torino 2010. 218 Il mahdismo è un movimento spirituale islamico e si fonda sul concetto di Mahdī. Il Mahdī è una guida spirituale (lett. "ben guidato [da Dio]") di un movimento salvifico. In ambito sciita si ritiene che il Mahdī sia l'ultimo degli Imām discendenti da ʿAl ī, il quale non sarebbe morto ma "scomparso", sottratto alla vista del mondo fino al suo ritorno, alla fine del mondo, quando riporterà il bene e la giustizia sulla terra. Come tutti i messianismi, il mahdismo trova il proprio fondamento sul rifiuto di una realtà storica, che si ritiene negativa e bisognosa di un cambiamento radicale.Il mahdismo si è sviluppato in particolari momenti di crisi e nel tentativo di un rinnovamento totale della società. Il primo a essere considerato Mahdī fu il figlio che il quarto califfo 'Alī ibn Abī Tālib ebbe da una donna della tribù dei Banū Hanīfa: Muhammad ibn ‘Alī, detto anche Muhammad ibn al-Hanafiyya. La sua morte infatti non fu accettata da tutti quegli alidi che si riconoscevano suoi discepoli e seguaci che credevano egli si fosse occultato al mondo vivendo fino al momento della sua epifania in una località presso Medina. 219 Cfr. M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p.45.

Page 176: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

173

moderato al limite del compromissorio, ed ebbero un ruolo nel processo

nazionalistico di liberazione dal colonialismo inglese. 220

In questo contesto i Fratelli Musulmani sudanesi hanno proseguito la vocazione

politica dell’Islam, mentre hanno nella sostanza rotto con la declinazione mistica,

com’è possibile verificare confrontando gli atteggiamenti della Fratellanza

sudanese con quelli delle altre due principali confraternite politiche :gli Ansar e la

Khatmiyya. Gli Ansar sono un gruppo neomahdista rappresentato dal partito della

Umma, e i cui leader sono stati prima Sayyd ‘Abd al-Rahman al-Mahdi e poi

Sadiq al-Mahdi; Khatmiyya è una formazione i cui leader, prima Sayyd ‘Ali al-

Mirghani e poi Muhammad ‘Othman al-Mirghani, si sono legati rispettivamente

al National Unionist Party (NUP) e al Democratic Unionist Party (DUP). Questi

partiti religiosi non erano né fanatici né promotori di una radicale islamizzazione

della politica sudanese, per cui la condotta delle loro azioni politiche e la loro idea

di governo erano essenzialmente secolari. Il potere politico detenuto dagli

Ansar/Umma e dalla Khatmiyya era risultato più della fedeltà ereditaria aderente

alla tradizione che dell’impegno ideologico per realizzare uno Stato islamico. Al

contrario, due pilastri essenziali dell’ideologia dei Fratelli Musulmani sono

sempre stati la sintesi di religione e politica e la necessità, come obiettivo ultimo,

di realizzare lo Stato islamico. Ciò potenzialmente poneva in rotta di collisione i

Fratelli con i rappresentanti più accreditati e storicamente più significativi della

religiosità popolare sudanese. In quest’ottica si può dire che l’azione dei Fratelli

fosse quella più intransigente, originale e meno compromissoria nel quadro della

società religiosa sudanese.

I Fratelli Musulmani (Al-Ikhwan al-Muslimun) apparvero ufficialmente in Sudan

nella seconda metà degli anni Quaranta. Nel 1946 ‘Awad ‘Omar al-Imam e poi

‘Ali Talb Allah fondarono e guidarono un’organizzazione esplicitamente legata

all’organizzazione madre in Egitto e riconosciuta da Hasan al-Banna’. Nel 1949

nacque quindi un secondo movimento, il Movimento Islamico della Liberazione

(Harakat al-tahrir a-islami), fondato esplicitamente per combattere l’espansione 220 Cfr. HASSAN AHEMD IBRAHIM, Sayyid ‘Abd al-Rahm al-Mahdi. A Study of Neo-mahdism in the Sudan (1899-1956), Brill, Leida 2004, cit. in D.ATZORI, I Fratelli…op.cit., p. 46.

Page 177: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

174

del comunismo. Non si rifaceva alla Fratellanza egiziana, ma ne condivideva

alcuni obiettivi. Nel 1954 difatti le due correnti si unirono, generando

ufficialmente la Jama’a al-Ikhwan al–Muslimin. 221

L’organizzazione verrà guidata da Hasan al-Turabi, che ne rivendicherà uno

sviluppo autonomo. Tuttavia il movimento rimase del tutto marginale per tutti gli

anni Cinquanta e, coinvolto nel 1959 in un fallito colpo di Stato, a differenza di

quanto avvenuto per i compagni egiziani non seppe proporsi come una forza di

effettiva importanza nel variegato panorama politico sudanese. Campanini

riconosce particolare rilievo tra le motivazioni di questa differenza nel fatto che,

mentre in Egitto i Fratelli avevano riempito un vuoto nella rappresentanza

religiosa delle masse popolari, in Sudan questa rappresentanza fosse già

egregiamente sostenuta dagli Ansar/Umma e dalla Khatmiyya, specialmente i

primi.222 Le due associazioni erano radicate sia in ambiente rurale sia presso la

borghesia urbana e interpretavano la varietà della società sudanese; inoltre la

nascita dei Fratelli in Egitto corrispondeva alla necessità di dare una connotazione

islamica alla protesta nei confronti del governo liberale corrotto e nei confronti

dell’occupatore britannico, sintetizzando così mito dello Stato islamico e lotta

anti-imperialista e nazionalista. Questo spazio di manovra non c’era in Sudan, per

quanto i Fratelli Musulmani lo rivendicassero: la lotta nazionalista era stata

condotta da altre forze e spesso con caratteri secolari.

I Fratelli cominciarono a svolgere un ruolo decisivo nella politica sudanese, pur

rimanendo assai meno importanti degli altri partiti religiosi, tra il 1964 e il 1969,

durante il secondo periodo di governo costituzionale del Paese, chiusa la lunga

parentesi militare della dittatura di Ibrahim ‘Abbud.223

221 Cfr. M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 47. 222 Ibid. 223 Ibrahim Abbud, comandante dell'esercito nel 1956, il 17 novembre 1958 ebbe, come capo del movimento che prese il potere in Sudan, la presidenza del Consiglio supremo delle forze armate che assunse il governo del Paese e mantenne la carica fino al novembre del 1964, quando venne formato un gabinetto civile.

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175

La svolta avvenne per merito di Hasan al-Turabi, che dal 1954 divenne leader

della filiale studentesca dei Fratelli, una delle roccaforti della presenza ikhwan in

Sudan.

HASAN AL-TURABI

Hasan al-Turabi fu uno dei primi studenti sudanesi a ottenere titoli accademici in

Occidente, ed era assai introdotto nel pensiero e nella cultura europea.

Nel suo pensiero sono evidenti sia il substrato ideologico dei Fratelli Musulmani,

sia il razionalismo moderato di ispirazione salafita di al-Afghani e ‘Abduh. Nel

memorandum presentato al comitato incaricato di stilare un progetto di

Costituzione nel gennaio 1968, al-Turabi individuava le seguenti caratteristiche

della costituzione islamica:224

1) La Costituzione dovrebbe rappresentare la volontà del popolo, e dal momento che

in Sudan la maggioranza della popolazione è musulmana, deve prevalere la volontà

islamica del popolo sudanese;

2) Diversamente dalle altre religioni, l’Islam è religione e Stato e prescrive ai credenti

di governare in accordo con la rivelazione di Dio;

3) Una Costituzione islamica dovrebbe prevedere il governo della legge sacra e non il

governo degli uomini, poiché nell’Islam non vi è luogo per la teocrazia o per il

clero;

4) L’Islam si oppone alla dittatura;

5) L’Islam protegge le libertà private e garantisce la libertà di opinione e di

partecipazione agli affari pubblici;

6) L’Islam incoraggia l’ijtihad, poiché l’opinione finale spetta al popolo, e ogni

individuo, gruppo d’individui, partito politico ha il diritto d’interpretare la volontà

popolare e di operare per l’assunzione del potere attraverso la shurà;

7) L’Islam ha riconosciuto la libertà religiosa prima dell’Europa e prevede la

protezione dei cittadini che professano altre credenze religiose;

224 Cfr. ABDEL SALAM SIDAHMED, Religion and Politics in Contemporary Sudan, Routledge, Londra-New York 2004, pp. 103-110, cit. in M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 49.

Page 179: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

176

8) L’Islam invoca l’uguaglianza di fronte alla legge e ai diritti pubblici.

In un testo specificatamente dedicato allo Stato islamico, al-Turabi argomenta in

questo modo, secondo la ricostruzione di Campanini225:

a) L’evoluzione dello Stato islamico non è astrattamente teorica, ma strettamente

legata all’evoluzione delle società islamiche;

b) lo stato islamico non è nazionalista poiché la fedeltà ultima è dovuta a Dio e

traslatamente alla Comunità di tutti i credenti;

c) lo Stato islamico non è un’entità assoluta o autonomamente sovrana in quanto, in

ultima analisi, è sottoposta alle più elevate regole della shari’a;

d) lo Stato non altro che la dimensione politica dello sforzo collettivo di tutti i

musulmani;

e) ne consegue che l’ordine governativo islamico è nella sostanza una forma di

democrazia rappresentativa. Ciò non significa governo diretto del popolo, poiché

comunque esso deve venir guidato dai principi della shari’a che riconoscono a Dio

la funzione di legislatore; ma , rappresentando la shari’a le convinzioni del popolo,

lo Stato islamico è, in un certo modo, il prodotto della volontà popolare;

f) Il modello della dialettica minoranza/maggioranza di un sistema parlamentare non è

tuttavia coerente con gli ideali dell’Islam, poiché potrebbe condurre ad un

fazionalismo che può risultare gravemente oppressivo dei diritti dell’individuo; la

libertà dell’individuo emana in ultima analisi dalla dottrina dell’unicità di Dio, che

richiede l’auto-liberazione dell’uomo da ogni autorità che non sia l’autorità di Dio.

Vale la pena sottolineare alcuni aspetti del ragionamento di al-Turabi: egli si

dichiara perfettamente convinto della liceità di una rappresentanza parlamentare

della volontà dei cittadini, ma la identifica con l’ ijmà (“il consenso dei dotti”) e

la shurà (“consultazione”). Non sono l’ijmà e la shurà a essere democratiche, è

la democrazia a tradurre in un linguaggio moderno quelli che sono gli eterni

principi dell’Islam. Ancora, nell’affermazione che nell’Islam non vi è luogo per

225 HASAN AL-TURABI, The Islamic State, in (a cura di) JOHN ESPOSITO, Voices of Resurgent Islam, Oxford University Press, New York-Oxford 1983, pp. 241-51, cit. in M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 49.

Page 180: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

177

la teocrazia o per il clero e che quindi una costituzione islamica dovrebbe

seguire la legge sacra e non la legge umana, sembra operare il concetto di

hakimiyya di al-Mawdudi e Sayyd Qutb. Rispetto ai Fratelli Musulmani

egiziani, al-Turabi evidenzia il carattere contingente dello Stato islamico, sulla

falsariga di alcune considerazioni già espresse da alcuni grandi Riformisti, e

sminuisce il ruolo nazionale o nazionalistico. Assolutamente “ikwhan” è invece

l’enfatizzazione del ruolo politico collettivo dei credenti.

Ancora Campanini sottolinea come nella prassi i Fratelli sudanesi non abbiano

mai rifiutato alcune categorie della cosiddetta democrazia occidentale, pur

oscillando tra sistema parlamentare e sistema presidenziale. Nel suo “Il

rinnovamento del pensiero islamico” al-Turabi espone dettagliatamente la sua

visione di stato islamico. Si domanda innanzitutto se il pensiero islamico possa

rinnovarsi, dal momento che la religione è eterna e immutabile. Per al-Turabi il

pensiero islamico è un’interazione tra le capacità intellettive dei musulmani e i

valori eterni e permanenti della religione (al-fikr al-islami huwa taga’ul bayna

‘aqulina bi-ma ‘indahu min al-ma’arif al-‘aqliyya wa bayna al-qiyam al-

azaliyya) 226 . Nell’Islam, l’adorazione non può fare a meno di ricorrere

all’intelligenza e alla fede contemporaneamente, all’intelletto e alla ragione che

formano un tutt’uno. Il rinnovamento del pensiero islamico si fonda quindi su

tre elementi basilari: il ritorno ai principi fondamentali del Corano e della

Sunna; la necessità di legare il pensiero (fikr) alla realtà fattuale (waqi’)

attraverso una giurisprudenza nuova che risponda alle mutate condizioni della

realtà contingente; l’implementazione dell’Islam attraverso la sintesi tra

religione e vita, cioè tra spirito religioso e realtà sociale e politica. 227

Proprio la spinta al rinnovamento del pensiero islamico deve essere motore di un

rinnovamento della società islamica, che non può essere guidata da uno Stato

non autenticamente islamico.

226 HASAN AL TURABI, Tajdid al-fikr al-islami (Il rinnovamento del pensiero islamico), Dar al-Qarafi’l-Nashr wa’l-Tawsi’, Rabat 1993, pp. 4-31, cit. in M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., pp. 50-51. 227 Ibid.

Page 181: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

178

Gli ‘ulamā’ hanno in questo contesto un ruolo fondamentale coi loro giudizi,

qualora si dimostrino riformisti e non ciecamente subordinati alle fonti

tradizionali o al potere. Tuttavia nel discorso di al-Turabi fondamentali restano i

concetti di shurà e ijma’, costitutivi del discorso politico islamico. Sembra

prefigurare una struttura democratico-parlamentare dello Stato islamico da lui

immaginato. L’ijma’ è infatti rappresentata meglio di ogni altra cosa da un

sistema parlamentare liberamente eletto da tutti i musulmani, in accordo coi

precetti musulmani della tradizione; ed analogamente rimane fondamentale la

shurà, come partecipazione popolare alle decisioni e forse alla formulazione

delle leggi stesse. Jihad e ijtihad non sono , per al-Turabi, limitati all’iniziativa

personale, ma sono un dovere collettivo della comunità islamica, per saper

scegliere ed esercitare l’ijma’ e la shurà.

Se queste considerazioni appaiono in linea con una visione modernizzante

dell’islam, non significa che il pensiero di al-Turabi esca dall’ottica di quella

retrospettiva utopica mirante a ricostituire il glorioso passato dell’età dell’oro

medinese. Quel passato va ricostruito, ma (qui la “modernità” di al-Turabi) può

essere ricostruito solo mediante il rinnovamento, che può addirittura portare ad

un superamento delle conquiste fatte dai contemporanei del Profeta. Inoltre al-

Turabi sottolinea come la storia del pensiero islamico abbia vissuto svariate fasi

di rinnovamento. In quest’ottica rivaluta l’apporto dei mu’taziliti (che già

abbiamo visto essere riferimento per alcuni intellettuali innovatori e

progressisti), ma anche dei wahhabiti228 (questa visione del movimento

wahhabita è invece caratteristica, perché si tratta di un movimento

fondamentalmente tradizionalista); oltre ai più “vicini” Mawdudi e Qutb. Questi

ultimi sono anzi basilari nel pensiero al-turabiano, in particolare nella

228 Movimento dell'Islam fondato nel XVIII secolo da Mohammad ibn Abd al-Wahab che si proponeva di riportare l'Islam alla purezza originaria, abolendo l'adorazione di santi e martiri. Esso si richiama agli insegnamenti di Ibn Hanbal e di Ibn Tayuiya. Al Wahab convertì alla sua dottrina un capo politico, Muhammad Ibn Sa'Ud, il cui figlio, 'Abd El-'Aziz, fu il fondatore del primo impero wahabita. Non si tratta di una setta, ma un movimento fondamentalista, caratterizzato da un grande rigorismo morale e che intende riportare l'Islam alla sua primitiva purezza. Per i wahabiti, le uniche regole per una vita religiosa sono contenute nel Corano e nella Sunna. In questo senso sottolineano più delle altre correnti la necessità del jihad.

Page 182: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

179

rivendicazione della onnicomprensività dell’islam e della sovranità di Dio

(hakimiyya).

Nella sua visione della shari’a, il leader dei Fratelli sudanesi insiste

particolarmente sul concetto di fiqh, cioè di fatto della rielaborazione umana

della legge divina tradizionale. Il rinnovamento è lecito, anzi è naturale

conseguenza delll’ijtihad. Per al-Turabi, il cui fine come per ogni Fratello

Musulmano è la realizzazione dello Stato islamico, l’aspetto normativo è

basilare, in questo caso ben oltre quanto non appaia nella compagine egiziana,

che privilegia invece l’aspetto sociale. 229

Infine, se il governo che detiene il potere, opprime la comunità musulmana non

rispettando la shari’a, è diritto del musulmano ribellarsi. La liceità di ribellione

è teorizzata da parte del pensiero islamico tradizionale sin dal medioevo, ma per

al-Turabi una rivoluzione politica può derivare dalla rivoluzione della cultura e

del pensiero. Polemizza quindi contro l’islam passivo a favore di un

atteggiamento fondato sullo sforzo sia individuale sia comunitario, come da

precetto coranico. Uno jihad che può prevedere la mera disputa (jidal) il

combattimento (qital) fino alla rivoluzione contro uno status quo iniquo e le

forze consolidate che lo sostengano.

Si può notare come nel pensiero di al-Turabi coesistano inflessibilità ideologica

e morale e flessibilità d’azione. Afferma che per raggiungere l’islamizzazione

della società sono legittimi sia metodi graduali che radicali, a seconda delle

circostanze, attraverso un processo ascendente (islamizzazione dal basso, dalla

società allo stato islamico) o discendente (islamizzazione dall’alto da parte dello

stato islamico della società), e nemmeno scarta a priori una convergenza tattica

con i cristiani, essendo comune “nemico” l’ateismo di matrice comunista. 230

229 Cfr. M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 53. 230 A.S. SIDAHMED, Politics and Islam…op.cit., p. 131.

Page 183: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

180

L’ASSOCIAZIONE DEI FRATELLI MUSULMANI SUDANESI

Nel 1964 le forze politiche islamiste sudanesi convogliarono nell’Islamic

Charter Front (ICF), un cartello in cui i Fratelli Musulmani avevano invero una

posizione di minoranza e che nel 1965, esaurita la parentesi del regime

autoritario di ‘Abbud e restaurata in Sudan la democrazia, era andato incontro ad

un esito interlocutorio ottenendo undici seggi. Anche le successive elezioni, del

1968 avevano registrato la sostanziale subalternità della Fratellanza, che non era

riuscita a proporre un progetto politico convincente. Sul piano propositivo l’ICF

aveva presentato una “Carta islamica” che, coerentemente alle posizioni

teoriche di al-Turabi, presentava un programma moderato, pragmatico e

sostanzialmente equilibrato tra esigenze islamiste e gestione di uno Stato

moderno, poggiando in particolar modo sulla necessità di un sistema

democratico pur espressivo della shari’a e su un altro punto nodale delle

concezioni politiche islamiste, quello della giustizia sociale. La novità

sostanziale risiedeva nel fatto che l’Icf sembrava deporre l’idea di essere un

semplice gruppo di pressione, per presentarsi sulla scena politica come partito e

tutti gli effetti. Tuttavia i risultati elettorali furono insoddisfacenti, e lo stesso al-

Turabi nel 1968 non venne eletto nella sua circoscrizione.

Secondo Sidahmed 231 il risultato insoddisfacente era figlio della svolta verso

sinistra e verso il secolarismo di sezioni influenti dell’intellighenzia,

professionisti e altri settori moderni, così che l’influenza dell’Icf rimase

sostanzialmente confinata a quei settori della società educati tradizionalmente.

Oltre ad avere un bacino di consenso scarno e tradizionalista, la presa degli

islamisti fu frenata anche da un progetto non ben definito e sofisticato. Le sue

formulazioni rimanevano infatti vaghe e generali, e la maggior parte delle

energie propagandistiche dell’icf furono rivolte ad attaccare i comunisti.

Inoltre il fronte degli Ikhwan era tutt’altro che unito, e aspre rivalità opponevano

le personalità dirigenti più significative. La corrente maggiormente “politica”

231 Ivi, p. 98.

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181

faceva capo ad al-Turabi e mirava ad un coinvolgimento diretto nella vita

politica del Paese, opponendosi ad una corrente tradizionalista, legata soprattutto

al sociale.

Al-Turabi trovò un momentaneo accordo strategico con Sadiq al-Mahdi e

Muhammad ‘Othman al-Mirghani, rispettivamente alla testa degli Ansar/Umma

e della Kahtmiyaa, mirato a convergere sulla tematica dello Stato islamico e

della costituzione islamica, contro il comune nemico comunista. La dizione di

Sudan come una “Repubblica Democratica Socialista” fu contestata dagli

islamisti in nome della shurà per far prevalere istanze maggiormente radicate

nella tradizione del pensiero politico islamico anziché desunte dall’Occidente,

ed il fronte islamista ottenne così il riconoscimento dell’Islam come religione di

Stato, nonché la shari’a come base della legislazione. Ma tutto questo non

significava che il progetto costituzionale vedesse prevalere la normativa

islamica, esso era anzi il frutto di un equilibrio di esigenze di forze diverse. In

ogni caso, l’accordo naufragò per divergenze interne tra i vari gruppi politici, e

la nuova Costituzione non entrò mai in vigore.

Nel maggio 1969 si verificò il colpo di stato di Ja’far Numayri (Nimeiri),

maturato dalla situazione di stallo in cui si trovava la vita politica sudanese,

lacerata da lotte intestine tra partiti e gruppi di interesse. Per alcuni anni il

regime di Numayri fu laico ed ispirato al socialismo nasseriano, in conflitto col

potente partito comunista sudanese. In questo periodo il nuovo dittatore non

mancò di perseguitare anche le organizzazioni islamiste tra cui i Fratelli, e

Hasan al-Turabi venne incarcerato. Dal 1973 però Numayri decise una svolta

islamica, riportando al centro della scena al-Turabi e i Fratelli, che sfruttarono

abilmente la nuova convergenza di interessi col regime. Numayri poteva

contrastare la maggior incidenza e rappresentatività presso la popolazione delle

organizzazioni religiose appoggiando i Fratelli, in particolare gli Ansar/Umma; i

Fratelli potevano uscire dal loro isolamento e sperare di entrare più

profondamente nei processi decisionali. Un Comitato appositamente istituito

per il ritorno delle leggi alla compatibilità con la shari’a venne affidaato ad al-

Page 185: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

182

Turabi. Come detto questa attenzione sugli aspetti giuridico-legislativi della

shari’a in parte divergeva dall’atteggiamento dei fratelli egiziani, che invece

insistevano sull’aspetto sociale e civile e sull’islamizzazione dal basso della

società. In Sudan si è invece immediatamente insistito sull’aspetto istituzionale

(la costituzione islamica) e soprattutto normativo (la shari’a) dello “Stato

islamico”.

Al-Turabi divenne “Avvocato generale dello Stato” (una figura con compiti

simili al Ministro della Giustizia, ndr), non faceva tuttavia parte del comitato di

tre saggi cui nel 1983 Numayri diede l’incarico di convertire il sistema legale

sudanese in un sistema islamico in accordo la shari’a , le cosiddette “leggi di

settembre”. La presa di posizione fu un fulmine a ciel sereno per la stessa

Fratellanza, perché il presidente sembrava deciso a scavalcare le forze islamiste

nel progetto di riforma politico religiosa. In ogni caso, nonostante ciò e

nonostante l’immagine del Premier fosse ormai sbiadita per le gravi condizioni

economiche in cui versava il Paese e un fronte di opposizione sempre più

organizzato e compatto, i Fratelli decisero di appoggiare la riforma legislativa.

Se al-Mahdi si dimostrò contrario ad un’eccessiva rigidità riguardo alle pene

hudud, al-Turabi individuò nell’estensione delle norme coraniche la via

privilegiata per la trasformazione del Sudan in un Stato islamico. Il fronte

islamista si presentò dunque ancora una volta spaccato. Al-Mahdi spiegò in

un’intervista che il rigorismo imperante nel pensiero e nella politica musulmane

rappresentavano a suo avviso una grave minaccia per il futuro dell’Islam:232

“I Fratelli Musulmani pensano all’Islam secondo categorie molto tradizionali […].

Noi (Ansar/Umma, ndr) pensiamo invece di dover costruire un nuovo modello su basi

islamiche. Loro si conformano alla scuola di pensiero sunnita e sono vincolati alle

quattro scuole legali sunnite. Noi riconosciamo i testi originali, ma cerchiamo nuove

formulazioni, consci dei cambiamenti che si sono verificati nei tempi e nei luoghi. Loro

sono la branca di un movimento che si è sviluppato al di fuori del Sudan. Noi ci siamo

sviluppati in Sudan e gli conferiremmo un ruolo guida nel revival dell’Islam”.

232 Cfr. GABRIEL WARBURG , Islam, Sectarianism and Politics in Sudan since the Mahdiyya, Hurst, Londra 2003, p. 175, cit. in M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 60.

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183

Sadiq al-Mahadi polemizzava anche sulla natura elitaria assunta dai fratelli

sudanesi, in opposizione all’appeal popolare degli Ansar.

I rapporti tra al-Turabi e Numayri furono stretti fino al 1984, poi, nel marzo 1965

il leader della Fratellanza venne incarcerato nel contesto di un’improvvisa

repressione generalizzata nei confronti dell’associazione. Si sono ipotizzate molte

ipotesi su questo voltafaccia di un Numayri comunque in difficoltà. Tra queste

anche pressioni americane, ma è più probabile che Numayri temesse in primo

luogo il diffondersi dell’influenza dei Fratelli. La loro era stata un’alleanza

strategica, ma ora si doveva anticipare un possibile colpo di Stato degli Ikhwan.

Ciò è d’altronde comprensibile, vista la corsa contro il tempo dell’associazione,

che mirava a consolidarsi in un solido blocco di potere prima del prevedibile

collasso del regime, a cui loro stessi avrebbero potuto dare la definitiva spallata

una volta raggiunta una posizione di forza sufficiente per riceverne l’eredità totale

o parziale. Questo progetto egemonico implicava una strategia di compromesso

che indubbiamente ne indeboliva il consenso popolare, e difatti il periodo di

collusione con Numayri fu un periodo di confusione ideologica e politica:

avevano ottenuto molto dall’alleanza col regime, ma alla lunga il gioco politico li

stava penalizzando. In ogni caso, sottolinea Campanini233, non era chiaro come

l’avanguardia dirigente dell’organizzazione avrebbe potuto articolare e rendere

produttivo il suo rapporto con la necessaria base di massa del movimento

islamista.

La caduta di Numayri nel 1985 avvenne per mano di un moto popolare di cui si

fecero interpreti alcuni reparti dell’esercito, e aprì una nuova fase di governo

parlamentare in cui la questione dell’islamizzazione delle istituzioni e della legge

rimase apertissima, riproponendo la rivalità tra Ansar/Umma, Khatmyya/DUP e

Fratelli Musulmani. Questi ultimi rimasero defilati durante il colpo di Stato,

probabilmente per la loro riluttanza a lasciar cadere un regime che speravano di

233 Cfr. M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 61.

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184

ereditare: un atteggiamento ambiguo che provocò loro l’ostilità delle forze

politiche più attive nella sollevazione.

Si aprì così per l’associazione una fase assai incerta, in cui subirono dal punto di

vista politico l’ostilità degli islamici moderati e al tempo stesso delle forze

sudanesi contrarie all’islamizzazione (soprattutto nel sud del paese, in cui era in

atto una guerra civile di liberazione; ma anche i residui del partito comunista), e in

aggiunta dell’opinione pubblica internazionale. Gli Stati Uniti per esempio, che

pure avevano appoggiato il regime, non avevano affatto visto di buon occhio la

sua compromissione con gli Ikhwan. Era dunque necessario un ripensamento per

ricollocarsi nel gioco politico, così il movimento entrò a far parte del National

Islamic Front (NIF). I generali che avevano abbattuto Numayri non guardavano

comunque negativamente la Fratellanza, ed anzi sapevano di potervi trovare un

alleato rispetto alle più consolidate e quindi temibili forze islamiste politiche

settarie. Nonostante ciò, quando il sistema politico tornò in mano ai civili nel

pieno gioco democratico, le urne decretarono il trionfo degli Ansar/Umma di al-

Mahdi, seguiti dalla DUP. Il NIF non ottenne comunque uno scarso risultato

elettorale con i suoi 51 seggi, determinati dal fatto che i fratelli aprirono brecce tra

gli studenti e i laureati e ottennero parecchi voti nelle circoscrizioni degli

intellettuali, confermandosi però partito tendenzialmente elitario.

La situazione politica sudanese non trovò comunque una collocazione stabile, e

tra 1986 e 1989 si succedettero ben cinque governi, tutti egemonizzati dalla

Umma di al-Mahdi e caratterizzati tra divergenze tra Umma, DUP e NIF, che

diedero vita a diverse alleanze tutte alla lunga inconcludenti. La momentanea

alleanza tra Fratelli e Ansar/Umma a spese del DUP avrebbe dovuto implicare un

ulteriore passo verso l’islamizzazione, ed al-Turabi tornò a svolgere un ruolo

preminente all’interno dell’esecutivo come Ministro della Giustizia. Il NIF avanzò

proposte di riforma giudiziaria comprendenti le pene hudud, il qisas o legge del

taglione, la diyya, proposte non rigettate da al-Mahdi ma inaccettabili per le forze

indipendentistiche non musulmane del Sudan specialmente meridionale. La

mancanza di un punto d’incontro tra le forze politiche in causa prospettava

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185

l’islamizzazione del Sudan come un obiettivo irraggiungibile, benché agognato

dalla maggior parte di esse, seppur con differenti sfumature.

Finché ,nel giugno 1989, il Paese non fu scosso da un altro colpo di Stato, anche

in questo caso figlio dell’instabilità cronica del quadro politico, ad opera di Omar

al-Bashir. Questa volta secondo la maggioranza degli osservatori il ruolo dei

Fratelli Musulmani fu fondamentale: avrebbero fornito i quadri di un

pronunciamento militare condotto non da alti ufficiali dell’esercito, ma da

graduati di medio e basso rango, che dunque non potevano contare sulla fedeltà

incondizionata dell’esercito. 234Ali Othman Muhammad Taha, sodale di Hasan al-

Turabi e vicesegretario del NIF, avrebbe organizzato il golpe. I protagonisti della

vicenda si rimbalzarono vicendevolmente le responsabilità della sollevazione, ma

quale che sia la corretta ricostruzione dei fatti il NIF ha tratto tutti i benefici

possibili della sua collaborazione con al-Bashir. L’ideologia e il programma

politico del Nif furono implementati dal presidente, mentre al-Turabi e colleghi

diventarono il blocco di potere effettivo dietro il trono e assunsero posizioni

direttive.

E’ possibile che anche l’arresto di al-Turabi nell’immediato seguito del golpe

servisse ad erigere una cortina di fumo. L’avvenimento rimane tuttavia non

pienamente chiaro. In ogni caso, tra NIF e golpisti vi fu una successiva

collaborazione fatta di interessi economici e politici intesa a dirigere il governo

verso lo stato islamico passando per la giunta militare. La strategia di al-Turabi

consisteva nella speranza che l’emergere dei Fratelli avrebbe emarginato il

settarismo di ispirazione sufista in Sudan . Un tentativo che secondo alcuni storici

tuttavia non è andato a buon fine, perché le correnti di sufismo politico avrebbero

mantenuto il loro spazio di azione235

In questa intricata vicenda storica ciò che preme qui sottolineare è il fatto che i

Fratelli Musulmani sudanesi interpretarono il loro ruolo in senso di avanguardia

elitaria piuttosto che di avanguardia organica alle masse. Si appoggiarono ai poteri

forti dell’esercito anziché al popolo per effettuare un colpo di forza, il che può 234 A.S. SIDAHMED, Religion and Politics…op.cit., pp. 189-191. 235 Cfr. G. WARBURG, Islam, Sectarianism…op.cit., pp. 92-93.

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186

essere considerato il tassello di un progetto di arrivare ad un controllo dall’alto

della società sudanese. Ciò non toglie che tra le prime decisioni operative ci fu

un’apertura alla società civile con l’avvio di un ampio programma di riforme in

particolare legate all’educazione, ma anche al ruolo femminile. Il percorso

islamista post colpo di Stato fu tutt’altro che lineare, tuttavia nel 1998 venne

ufficialmente proclamato lo Stato islamico del Sudan. In questi anni l’influenza

degli Ikhwan si estese anche presso le fasce diseredate della popolazione, la cui

condizione economica predisponeva ad abbracciare il messaggio ideologico

salvifico islamista. Tuttavia secondo alcuni studiosi la maggioranza della

popolazione sudanese sarebbe rimasta fedele all’identità tradizionale e il progetto

sociale islamista pertanto nel complesso fallimentare.236

Nel 1999 i rapporti tra Omar al-Bashir e al-Turabi si incrinarono a causa della

rispettiva rivalità, di una diversa idea politica su come sfruttare la nuova ricchezza

petrolifera, e alle tensioni tra islamisti e militari, nonché al diverso atteggiamento

nei confronti del movimento islamista militante transnazionale237. Nel complesso

al-Bashir era spinto da un pragmatismo oscurato in al-Turabi dall’obiettivo di

islamizzazione. Al-Bashir non arretrava di fronte al progetto di Stato islamico, ma

era assai più pratico nell’applicazione delle leggi, inoltre puntava ad un

accentramento del potere e allo sfruttamento delle risorse petrolifere per

sviluppare economicamente il Paese, a migliorare i rapporti con l’Occidente e ad

impedire le spinte indipendentistiche delle regioni non musulmane del Sudan.

Così facendo metteva in dubbio la shurà, e non disdegnava l’idea di dare ampia

autonomia al sud Sudan non musulmano, per consolidare la compattezza dello

Stato islamico centrale. Nel 2000 nacque così il Popular National Congress

diretto da al-Turabi in opposizione ad al-Bashir, con una ulteriore frattura

all’interno delle rappresentanze politiche islamiste. Al-Turabi verrà arrestato e

236 Cfr. PETER WOODWARD, Cinquant’anni di politica islamica, in Afriche e Orienti, VIII, 2006, 1-2 Dossier Sudan 1956 -2006, p.91, che rimanda al saggio di ALEX DE WALL , Islamism and its Enemies in the Horn of Africa, Hurst, Londra 2004, cit. in M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 66. 237 Cfr. ROBERT COLLINS, A History of Modern Sudan, Cambridge University Press, Cambridge 2008, cap. 7 e 8, cit. in M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…op.cit., p. 66. Collins insiste sul fatto che al-Turabi offrì ampia sponda al movimento di Osama Bin Laden, laddove al-Bashir era maggiormente preoccupato di evitare l’isolamento del Sudan nel quadro internazionale.

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187

negli anni successivi uscirà ed entrerà periodicamente in carcere, fino alla

definitiva emarginazione in quella che qualcuno considera la “seconda repubblica

islamica” in Sudan.

Le vicende sudanesi sono politicamente molto complesse, come dimostra la

recente secessione del sud del Paese, costituitosi in Stato indipendente

(Repubblica del Sudan del Sud) nel 2001.

Quel che si può trarre dal punto di vista filosofico politologico è che in Sudan, a

differenza dell’Egitto, i Fratelli non sono mai riusciti (e forse nemmeno hanno

mirato) a mobilitare la masse e farsi interpreti delle istanze islamiche popolari. In

parte questo può essere dovuto ala loro incapacità di costituirsi come partito

moderno, e dall’aver intrapreso una direzione ideologica che andava più in

direzione di un’avanguardia elitaria che indirizzante le masse popolari, imbevute

di sufismo e fortemente legate alla tradizione, quindi fondamentalmente

impreparate allo Stato islamico. Hanno così ricercato un’islamizzazione dall’alto,

legandosi ai regimi che si avvicendavano al potere, salvo mostrarsi poi deboli

durante le fasi democratiche ed incapaci di acquisire spazi decisionali autonomi.

Questa collusione necessaria a causa dell’intrinseca debolezza ha snaturato la

missione originaria dei Fratelli e la loro vocazione popolare, portando per altro ad

un processo di islamizzazione delle istituzioni assai lento e per molti versi

inefficace. 238

I FRATELLI MUSULMANI NEL MAGHREB

Il profilo storico–politico della Fratellanza Musulmana in Maghreb può essere

seguito attraverso l’evoluzione di due movimenti: il Partito della Giustizia e dello

Sviluppo (o PDJ, Parti de la Justice et du Developpement) in Marocco e il

Harakat al-Nahda (Ennahda) tunisino.

238 Cfr. M.CAMPANINI, Hasan al-Turabi…pp. 68-70.

Page 191: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

188

Il primo riesce a trovare il giusto mezzo che lo porta ad entrare in pieno titolo nel

sistema politico marocchino, grazie ad una strategia a lungo termine e per tappe,

seguendo la via della legalità e riconoscendo il Re come Amir al-Mu’minin

(“principe dei credenti” ), rinunciando alla violenza, accentando le regole della

“democrazia” (autocratica) marocchina. Il secondo, dichiaratamente ikhwaniyya,

si è arroccato sulle proprie posizioni, preferendo la coerenza alla politica di

compromesso.

PDJ E POLITICA DI COMPROMESSO

L’evoluzione storico-politica dei Fratelli Musulmani in Marocco coincide con

nascita a formazione del Partito della Giustizia e dello Sviluppo, PJD. Nel Paese

i primi movimenti propriamente islamisti comparvero alla fine degli anni

Sessanta. La politica coloniale francese aveva determinato, con la sua missione

civilizzatrice, una crisi d’identità che aveva rinnovato l’adesione locale alla fede

islamica e alla tradizione araba. Le ondate repressive del governo dispotico di

Nasser nei confronti dei Fratelli Musulmani in Egitto (nel 1948, a metà anni

Cinquanta e all’incirca fino al 1970) portarono i quadri dirigenti egiziani a

trasferirsi in Marocco, dove cercarono di ri-arabizzare il francofono Maghreb.

Essi, assieme a membri dell’organizzazione siriana, contribuirono alla re-

islamizzazione della società marocchina.

Quest’opera fu portata avanti attraverso la predicazione e favorì la formazione e il

proliferare di movimenti di ispirazione islamista, alcuni di questi influenzati dagli

insegnamenti dei movimenti islamici come i Fratelli e da intellettuali radicali

come Qutb. Alcuni di queste associazioni mostrarono un’evidente dimensione di

militanza politica, ma, differentemente rispetto ad Algeria e Tunisia, il panorama

Page 192: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

189

dei movimenti islamici marocchini dava vita ad un quadro assai frammentato,

senza una leadership consolidata a fare da riferimento.239

I membri dei Fratelli Musulmani rifugiatisi in Marocco cominciarono a reclutare

nuovi adepti, soprattutto tra le fila degli insegnanti: tra questi c’erano ‘Abd el-

Karim Mouti’, e Ibhahim Kamal, che assieme ad alcuni compagni fondarono nel

1969 la Jam’iayyat al-Shabiba al-Islamiyya al-Maghribiyya (Associazione della

Gioventù Islamica Marocchina). L’evoluzione in chiave politica ed islamica del

movimento darà origine all’attuale partito di ispirazione islamica ufficialmente

riconosciuto, moderato e parte attiva della vita politica, il Partito della Giustizia e

dello Sviluppo.

Mouti’ è considerato il padre fondatore dell’islamismo radicale marocchino e al-

Shabiba il primo gruppo in Marocco, prima ancora di Giustizia e Carità di

Abdessalam Yasin, a richiamarsi ad un islamismo radicale in aperta rottura con la

tradizione politica del Paese e con l’istituto del Re, cui il movimento non

riconobbe lo status di Amir al-Mu’minin, che era stato istituzionalizzato in

occasione della riforma costituzionale del 1962. Fortemente influenzato dalle

idee di Qutb, fece di Pietre Miliari il modello su cui orientare l’agenda politica

del movimento, che rimase nella clandestinità per tre anni, sino al 1973 quando

chiese ed ottenne il riconoscimento formale. Mouti’ si adoperò per sfruttare il

movimento e per reclutare nuovi seguaci, soprattutto nel mondo accademico. Da

un lato lavorò sul versante della legalità proponendo finalità soprattutto religiose

ed educative in contrapposizione alla visione di una società atea propugnata dalla

sinistra marxista, rifiutando apertamente la violenza e proponendosi obiettivi di

riforma etica della società e di assistenza sociale; dall’altro lato diede però vita ad

un’organizzazione clandestina parallela, antagonista del regime e più radicale, che

aveva come obiettivo il rovesciamento in vista di una ricostruzione della società in

senso marcatamente islamico. Un gruppo ben strutturato, che disponeva di

239 Cfr. TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione e negazione: i Fratelli Musulmani nel Maghreb, in (a cura di) MASSIMO CAMPANINI, KARIM MEZRAN , I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Utet, Torino 2010, pp. 141-142.

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190

un’organizzazione paramilitare e che reclutava in particolar modo studenti

liceali.240

Il luogo adibito al reclutamento era la moschea, in cui si invitava all’adesione alla

jama’a. poi i reclutati venivano organizzati in cellule, sotto responsabilità di un

emiro. Per rinforzare i legami tra i membri venivano organizzate attività sportive e

socio-culturali, mentre i membri venivano divisi per fasce di età e in funzione

dell’appartenenza ad una categoria socio-professionale. Superata la fase dello

studio delle fonti iniziava una seconda fase corrispondete alla formazione

ideologica per la quale si utilizzavano i testi radicali di Qutb, quindi venivano

svelati in una terza fase i segreti dell’organizzazione 241.

Una volta riconosciuto il movimento ufficiale, questo movimento clandestino

parallelo continuò ad operare sotterraneamente, a tal punto di segretezza che

spesso membri dell’una e dell’altra organizzazione non erano a conoscenza

reciproca. Inoltre il movimento clandestino mantenne una rete di rapporti con altre

organizzazioni dei Paesi arabi, beneficiava del sostegno finanziario dell’Arabia

Saudita e della solidarietà di movimenti islamisti di Egitto, Libano e Siria. 242

Ovviamente movimento islamista e movimento di sinistra si contesero il controllo

delle università e delle associazioni sindacali. Tale confronto si inserisce in una

fase politica della monarchia caratterizzata da una atteggiamento conciliante nei

confronti dei movimenti islamisti (ma di repressione nei confronti di quei gruppi

che predicavano il ricorso alla violenza) che perdurerà per tutti gli anni Sessanta e

Settanta, in una ben precisa strategia di contenimento della sinistra e dell’estrema

sinistra che abbiamo già visto per gli altri Paesi.

240 Cfr. MOHAMMED TOZY, Monarchie et islam politique au Maroc, Presses de Sciences Politiques, Parigi 1999, p.231, cit. in TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p. 145. 241 Cfr. MARIE HÉLÈNE PARIZEAU, SOHEIL KASH, Pluralisme et islamisme au Maghreb, in Pluralisme, modernité et monde arabe: politique, droits de l’homme et bioéthique, Les Presses de l’Université Laval, Saint-Foy 199, pp. 165-166, cit. in TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione… op.cit., p. 145. 242 Cfr. ABDERRAHIM LAMCHICHI , L‘islamisme s’enracine au Maroc, in “Le Monde Diplomatique”, maggio 1996, pp. 10-11, cit. in TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione… op.cit., p

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191

Intorno agli anni Ottanta si registrerà invece un’inversione di tendenza

nell’approccio del regime ai movimenti islamisti, che rischiavano di far vacillare

il controllo del monarca sulla sfera religiosa di cui, in qualità di “principe dei

credenti”, era interprete esclusivo, che si tradurrà in un controllo più serrato e

diretto della sfera religiosa in una fase di pressione più marcata. A questo

irrigidimento governativo corrispose un indebolimento delle correnti radicali, o

una loro metamorfosi verso posizioni più moderate. È questo anche il caso di al-

Shabiba, il cui passaggio graduale verso toni moderati era per altro già iniziato.

La forza propagatrice del movimento tra il 1972 e il 1975 insospettiva infatti la

monarchia che vi infiltrò i servizi segreti, portando alla luce l’organizzazione

clandestina e le sue reali finalità. Il coinvolgimento del movimento nell’assassinio

di ‘Omar Banjelloun, leader di USFP (Union Socialiste des Forces Populaires), e

l’aggressione ai danni di un militante comunista insegnate di filosofia nel 1972

segneranno l’avvio della campagna repressiva nei confronti del movimento,

dichiarato illegale nel 1976.

Si aprì una fase confusa in cui Mouti’, principale indagato (e in seguito

condannato) per la morte di Benjelloun lasciò il Paese, così come il responsabile

del braccio armato dell’associazione. Il braccio destro di Mouti’, Kamal Ibrahim,

venne invece arrestato. Mouti’ cercò di esercitare ancora la sua leadership

dall’estero, senza riuscirvi. Emersero divisioni interne e il movimento si

frammentò in molteplici cellule che esasperarono le lotte intestine. Moutì andava

intanto assumendo posizione sempre più radicali che culminarono nella

pubblicazione, in Belgio, della rivista “al-Mujahid” nella quale invocava

apertamente il ricorso alla violenza criticando aspramente la monarchia.

Tra i gruppi che si staccarono dal movimento originario emersero tre in

particolare: un primo ostile a Moutì, di cui parte si unirà poi al gruppo radicale al-

Jihad, o nel movimento Al’Adl wal ihsan di ‘Abdessalam Yasin; un secondo

gruppo neutrale che scelse di non esprimersi rispetto alla vecchia leadership e da

cui originarono diversi formazioni religiose su base locale, tra cui gruppi confluiti

in seguito nel Movimento dell’Unità e della Riforma (MUR), principale

Page 195: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

192

derivazione di al-Shabiba; infine un terzo gruppo fedele a Mouti’, la cui

maggioranza formerà poi il movimento al-Jama’ala al-Islamiyaa ,che passando

per varie fasi approderà nel PDJ, unendosi al Movimento Popolare Democratico e

Costituzionale (MPDC).243

Al-jama’a al-Islamiyya, guidato da Abdallah Benkirane, era come detto il

principale tra questi gruppi, che, nato da una costola di al-Shabiba, se ne distaccò

espressamente denunciando la gestione e le pratiche Mouti’. Richiese

riconoscimento legale come organizzazione islamica nel 1983, e si sforzò di

presentarsi come un’organizzazione autonoma, nazionale, che non rappresentava

l’Islam nella sua interezza, sino ad aggiungere alla propria Carta, con una

formulazione postuma, l’obiettivo di confrontarsi con ideologie e idee contrarie

all’Islam.244Il gruppo perseguì essenzialmente una duplice strategia: da un lato

cercò di accreditarsi nella sfera islamista promuovendo una riforma dottrinale che

rompesse con l’islamismo dei Fratelli Musulmani al fine di promuovere un Islam

maggiormente in linea col contesto sociopolitico marocchino, dall’altro perseguì

la strada della normalizzazione, della distensione e collaborazione col potere

politico, mirando a diventarne l’interlocutore islamista privilegiato.

La prima fase evolutiva del movimento fu ancora clandestina, e segnata da una

dialettica di tipo estremista, coi membri che ricevevano una formazione anche

paramilitare, ed un’organizzazione ancora su modello dei Fratelli Musulmani. Poi

nel 1984 seguirono un’ondata di arresti da parte del governo, il che segnò il

passaggio ad una seconda fase in cui il movimento scelse di adottare una strategia

di lotta politica mettendo in discussione la clandestinità. Una terza fase prese

avvio nel 1992, come reazione al colpo di stato in Algeria, e segnò un passo

avanti nella realpolitik del movimento e nella strategia di distensione. Il

movimento cambiò nome da al-Jama’a al-Islamiyya a Harakat al-islah wa al-

tajdid ( nell’acronimo francese MRR, Mouvement Réferome et Renoveau),

eliminando ogni esplicito riferimento islamico per lasciar posto a termini quali

243 Cfr. TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p. 147. 244 Cfr. EMAD ELDIN SHAHIN, Polical Ascent: Contemporary Islamic Movements in North Africa, Westview Press, Oxford 1997, p.189, cit. in TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p. 148.

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193

islah e tadjid (“rinnovamento”) che appartengono al lessico del pensiero politico

arabo della Nahda. L’inaugurazione dell’ultima tappa di maturazione del

movimento può essere individuata nel 1996, con la nascita del partito politico,

dopo la richiesta rigettata nel 1989 e nel 1992. Per ottenere il riconoscimento si

optò per l‘associazione ad un movimento già accettato, il Movimento Popolare

Costituzionale e Democratico (MPDC): a partire dalle elezioni del 1997 il

neonato movimento prese il nome di PJD, Partito di Giustizia e dello Sviluppo.245

La strategia è comprensibile all’interno della politica nota come dell’alternance

instaurata dal regime marocchino nel 1997-1998: già da anni Re Hasan aveva

compreso che la crisi socio economica del Paese non gli avrebbe più consentito di

governare attraverso elezioni fittizie e che era ormai necessario un coinvolgimento

dell’opposizione, ed aveva così avviato un’apertura democratica. Il MRR ebbe

dunque la chance di entrare nella scena politica marocchina.

La posizione ideologica della Jama’a si basava essenzialmente su tre capisaldi:

l’illegittimità dell’uso della violenza come strumento politico; la compatibilità tra

Islam e democrazia e la questione femminile. La presa di posizione esplicita e

netta di Benkirane ha significato una rottura coi metodi di indottrinamento e di

formazione ereditati da al-Shabiba, anche se in realtà occorse parecchio tempo

perché la cultura della non violenza nei militanti venisse interiorizzata (violenti

sconti scoppiarono difatti tra il 1992 e il 1994 tra sinistra ed islamisti). Per quanto

attiene al rapporto tra Islam e democrazia, Benkirane sottolinea:

“Gli islamisti marocchini non hanno mai considerato la democrazia come apostasia ma

hanno avuto qualche difficoltà a legare il concetto di hakimiyya di Dio a quello di

sovranità del popolo […]. Gli islamisti del MPDC ripresero il concetto di shurà […] per

ammettere la democrazia al contempo limitando la sovranità popolare alle questioni non

trattate dal Corano e dalla Sunna del Profeta […]. Lungi dall’essere formale,

245 Cfr. TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p. 149.

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194

l’attaccamento alla democrazia è visibile nella pratica dell’associazione, che cambia

frequentemente leader e organizza scrutini interni esemplari.246”

Relativamente alla questione femminile. gli islamisti del PJD si arroccarono su

posizioni più conservatrici. L’intransigenza nei confronti della questione

femminile si era già palesata in passato quando gli islamisti reagirono in maniera

molto violenta ad una petizione da parte dell’Union de l’Action Feminine ,

presentando la loro mobilitazione come una forma di jihad a tutela della famiglia

e dell’Islam in Marocco.

In parallelo alla fusione con MPCD , l’associazione al-Islah wa al Tajdid integrò

nel 1996 quegli elementi "neutrali" in rapporto allo scioglimento di al-Shabiba,

formando un nuovo movimento associativo: MUR (Mouvement Unité et

Réforme), guidato da Ahamed Raissouni, destinato ad avere un ruolo sociale,

parallelamente al partito politico di riferimento (PJD), in una struttura di fatto

bicefala, che consente al movimento di avere un dialogo più libero con la propria

base sociale pur sposando le scelte del palazzo tramite il partito (ambiguità

puntualmente oggetto delle critiche delle altre forze politiche in ogni momento di

tensione). Alle elezioni del 1997 PJD scelse un basso profilo non candidando le

personalità più in vista, , una strategia che si dimostrerà vincente anche come

riscontro tra i votanti. La politica di cautela continuò anche nelle successive

elezioni sia politiche sia amministrative. Si tratta di un atteggiamento mirato

soprattutto alla monarchia, che il movimento riconosce come legittima nonché

come fondamento della nazione marocchina.

In una prima fase della sua vita politica il PDJ mise in primo piano la

moralizzazione dei costumi in chiave tradizionale islamica, e si pose come partito

di opposizione, alternando opposizione legale e consenso critico.

Dopo gli attentati suicidi di al-Qaida a Casablanca nel 2003 che provocarono oltre

quaranta vittime, il PJD si impegnò per mantenere il proprio spaziò politico,

246 ABDELILLAH BENKIRANE , La normalisation politique de l’Islamisme dans le Royaume Cherifien. Généalogie et pratiques du Parti de la Justice ed du Développement, in “Revue Averroès”, 2009, 1, p.5 , cit. in TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p. 151.

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195

minacciato dalle critiche contro gli estremismi religiosi che, nonostante la netta

condanna del terrorismo già espressa dai propri leader, colpì anche il partito. In

questa fase il partito prende le distanze anche dal MUR, ed emargina tutti quegli

gli elementi che hanno mantenuto posizioni ambigue, tra cui Raissouni. Il partito

sposta inoltre la sua attenzione dall’ affermazione dei valori islamici a questioni

più squisitamente socio-economiche politiche, quali l’integrità territoriale,

tralasciando però l’importante questione di una revisione costituzionale che

aumentasse i poteri del parlamento, richiesta da più partiti.

Lo sforzo di emersione e normalizzazione del PJD sul panorama politico

marocchino ha determinato l’omologazione della sua linea politica a quella di

altre formazioni partitiche legalizzate, e di fatto, pur mantenendo la sua peculiarità

di partito "di ispirazione religiosa" ha delineato un programma politico imperniato

su tematiche "secolari". Lo stesso Benkirane ha definito il PJD nel programma

elettorale del 2007 come "un partito di centro che combina in maniera ottimale

riferimenti islamici e modernità" e che fonda la sua concezione dell’Islam sul

"giusto mezzo, il rinnovamento, la modernizzazione, l’apertura e il

riconoscimento reciproco. 247

TUNISIA: ASCESA E DECLINO DI HARAKAT AL-NAHDA

Harakat al-Nahda (Ennahda, secondo la trascrizione più in uso sui nostri media,

ndr) è il più numeroso ed influente movimento islamista tunisino, ispirato ed

ideologicamente connesso alla Fratellanza Musulmana egiziana. Tra i fondatori,

Rashid al-Ghannoushi ne diverrà ideologo ed è a lui , che ne abbracciò l’ideologia

mentre si trovava a Damasco per motivi di studio, che si deve la diffusione dei

Fratelli in Tunisia. A seguito della distensione operata da Sadat di cui si è detto

nel capitolo precedente, le idee e i testi della Fratellanza circolarono più

liberamente in tutto il mondo arabo, ed in Tunisia in particolare in concomitanza

247 Ivi, p.12.

Page 199: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

196

con la prima esposizione internazionale del libro nel Paese che si tenne nel

1973. Il legame con la Fratellanza venne esplicitamente espresso da uno dei

leader del movimento tunisino nel corso di una conferenza svoltasi nel Regno

Unito nel 1988, laddove il movimento venne definito “ ikhwaniyaa”, conforme ai

Fratelli. 248 Tiziana Giuliani individua quattro fasi dello sviluppo del movimento

tunisino249: una fase di formazione (che va dal 1970, anno della fondazione, al

1973); una fase di espansione e politicizzazione (dal 1973 al 1980); una fase di

confronto col regime di Bourghiba (dal 1981 al 1987); la fase post-Bourghiba

(successiva al 1987, che vede anch’essa un confronto col neo presidente Ben ’Ali,

dopo una prima fase di distensione).

Il periodo post indipendenza fa da cornice alla formazione del movimento. Negli

anni successivi all’indipendenza tunisina, Bourghiba tentò di avviare un

significativo processo di cambiamento della società in direzione di una

laicizzazione per dar vita ad uno Stato moderno, avviando una serie di riforme in

campo religioso, dall’abolizione del velo e della poligamia fino allo

smantellamento del sistema del Waqf , sino a spingersi alla raccomandazione

contro il digiuno del Ramadan perché metteva a rischio la produttività del Paese.

Lo Stato di fatto interveniva in campo religioso, prima appannaggio esclusivo

degli ‘ulemā’ , lanciando una campagna contro questi ultimi, definiti come

obsoleti ostacoli alla modernizzazione del Paese. Bourghiba introdusse un

sistema di istruzione moderno su modello francese, mentre il Ministero acquisiva

la competenza anche dell’istruzione tradizionale religiosa (col controllo delle

madrase e dell’università islamica Zytuna). L’impatto di queste riforme fu

fortissimo, dal momento che venne di fatto smantellato l’intero vecchio ordine

culturale.

Bourghiba però, a differenza di Ataturk in Turchia, non si libererà dei riferimenti

religiosi, ma manterrà un atteggiamento pragmatico che gli sarà utile in seguito:

248 Cfr. ALDEEB ABU SAHLIEH, I movimenti dell’attivismo islamico, la Legge islamica e i diritti dell’uomo, in “Rivista internazionale dei diritti dell’uomo”, X, settembre-dicembre 1997, pp. 461-513, cit. in TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p.156 249 cfr. TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., pp. 156-158

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197

con le sue riforme rivendica per se’, in qualità di leader di uno Stato musulmano,

la possibilità di riaprire le porte dell’ ijtihad per conciliare religione e modernità,

in un equilibrio in cui l’Islam è dichiaratamente religione di Stato (come sancito

dalla Costituzione del 1958). L’occidentalizzazione passò per l’istituzione del

francese come lingua principale del sistema scolastico, che contribuì a

marginalizzare chi aveva seguito una formazione tradizionale. Bourghiba rifiutò

di negoziare i fattori costitutivi dell’identità nazionale con altri gruppi di interesse

tunisini, come tentò invece il suo successore Ben ‘Ali con il Patto Nazionale, e

proprio nel periodo di affermazione del panarabismo, dell’esperienza della

Repubblica Araba Unita (RAU), del conflitto arabo-israeliano. In campo

economico il ministro delle finanze Ben Saleh cercò di guidare il Paese verso

un’economia pianificata su modello sovietico finalizzata ad ostacolare le

importazioni e migliorare la produttività agricola e l’industria autoctona. Le

riforme economiche si dimostrarono tuttavia fallimentari, generando un crescente

malcontento tra la popolazione (tra cui cresceva vertiginosamente la

disoccupazione) e un pericoloso ricorso all’indebitamento finanziario all’estero.

Sul piano politico il fallimento fa vacillare la credibilità di Bourghiba , che nel

1970 chiude la fase “socialista” ed inizia una transizione verso il liberismo. In

questo contesto, un gruppo di giovani scontenti tra cui Rashid al-Ghannoushi,

‘Abdel Fattah Mouro, Hemida al-Naifar e Salaha eddin al-Jourshi, pongono le

basi per la nascita di quello che sarebbe divenuto Harakat al-Nahda.

Al-Ghannoshi e al-Naifar, inizialmente attratti dal nasserisimo, ne erano rimasti

delusi e avevano abbracciato le tesi dei Fratelli Musulmani. Assieme ai propri

compagni iniziarono ad organizzare riunioni in cui dibattere le questioni religiose

e cominciarono a praticare la da’wa, in una fase embrionale del movimento che

vede il governo adottare un atteggiamento di cauta tolleranza. Siamo difatti in

concomitanza con la rottura governativa con la sinistra cui segue la svolta

liberista, e gli islamisti diventano funzionali al governo nel suo tentativo di

controbilanciare i residui socio-comunisti. Negli anni Settanta, alcuni fattori

propizi consentono al movimento di crescere e rafforzarsi affacciandosi al

contempo sul terreno del confronto politico, in un allargamento dell’interesse

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198

influenzato anche dagli scritti di Qutb. Il primo terreno di scontro politico è

rappresentato dalle università, dove gli studenti diventano oggetto e soggetto della

lotta contro la sinistra. Alla politicizzazione del movimento secondo una visione

qutbista sono però contrari alcuni tra i membri fondatori del partito (al-Naifar e al-

Jourshi), che se ne distaccano, dando origine al Movimento Progressista di

Tendenza Islamica. Harakat al-Nahda nel mentre si espande, incontrando il

successo in particolare grazie al sentimento di malcontento diffuso per le

condizioni socio economiche del Paese, a cui gli islamisti riescono a dare risposta

fornendo non solo un’alternativa politica, ma anche un’identità legata alla

religione. Il nuovo corso economico aveva in parte riabilitato l’economia del

Paese attraverso il settore energetico e lo sviluppo del turismo, ma la

disoccupazione doveva rivelarsi endemica e la politica agricola fallimentare.

Violente proteste culminarono nel gennaio 1978 in quello che è passato alla storia

come “giovedì nero”, con l’arresto di molti membri dell’Union Generale

Tunisienne du Travail. Proprio questo evento creò un vuoto che al-Nahda si

dimostrerà scaltra nel riempire, nutrendosi dell’indebolimento di altre forze

politiche, come appunto la decapitata UGTT e le sinistre, che progressivamente

perdevano il consenso degli universitari in favore degli islamisti.

Anche in Tunisia possiamo notare come le questioni sociali ed economiche si

uniscano a quelle identitarie e culturali nella dialettica tra islamisti e governo.

Non a caso l’economista Salah Karkar diverrà vicario di al-Ghannoushi nel 1979.

La diffusione delle idee dei Fratelli Musulmani egiziani derivante dall’approccio

morbido di Sadat, congiuntamente all’eco della rivoluzione iraniana, premono sul

malcontento popolare dando un appiglio soprattutto ai giovani, che numerosi

aderiscono alla sempre più popolare al-Nahda. La crescita del movimento non

poteva che spaventare il governo, che nel 1979 vieta la pubblicazione della sua

rivista ufficiale. Il successo comporta anche la necessità di una maggiore

organizzazione interna, che avverrà su modello dei Fratelli egiziani, con una

struttura piramidale alla cui base stavano piccole cellule, a salire fino alla

Conferenza Generale. Il governo si vede costretto ad esercitare un maggiore

controllo sulle attività religiose, istituendo un’agenzia speciale che ne

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199

monitorasse l’evoluzione. In quest’ottica, il governo rivendicava il ruolo avuto

da Bourghiba a difesa e sostegno dell’Islam durante l’occupazione francese.

Durante lo stato di allerta alcuni esponenti del movimento, tra cui al-Ghannoushi

e Mourou, vengono arrestati, quindi nel 1980 stessa sorte tocca a Karkar e Dimni,

mentre vengono scoperti documenti inerenti le strategie del movimento. Nel

frattempo Bourghiba da il suo placet per l’avvio di un sistema multi-partitico,

figlio della necessità di guidare alleanze più ampie e un sistema più

rappresentativo di fronte al malcontento popolare. Il nuovo primo ministro, in

sostituzione del malato Nouira, Mohammed Mzali, ha un orientamento liberale e

un atteggiamento di simpatia per la causa islamista. La positiva congiuntura

spinge allora al-Nahda a pianificare l’emersione sula scena. Il 6 giugno 1981

viene indetta una conferenza stampa in cui i membri di spicco enunciano obiettivi

e finalità dell’organizzazione e chiedono al governo il riconoscimento legale come

partito politico. Questa sorta di manifesto programmatico contiene le motivazioni

che hanno ispirato la nascita del partito e scaturiscono dall’osservazione della

marginalizzazione e alienazione cui è soggetto l’Islam contemporaneo, attaccato

nei suoi valori fondanti. Quindi analizza la situazione tunisina, caratterizzata da

un clima acceso e da crisi economiche esacerbate dalla presenza di un partito

unico (il Destour) a dominare la scena politica, e da politiche dettate da interessi

internazionali e non nazionali. Infine accusa il regime di aver orchestrato una

campagna faziosa contro il movimento. A fronte di questa riprovevole situazione

al-Nahda propone un Islam rivitalizzato e rinnovato, una nuova attenzione alla

volontà popolare e un sistema di giustizia sociale più equo. La moschea è vista

come fulcro della mobilitazione popolare; l’arabizzazione, il rifiuto della violenza,

e il rifiuto di un sistema politico incentrato sul partito unico come elementi

basilari per la ripresa della società tunisina. 250

A seguito di questo critico proclama il governo sferrerà la propria offensiva contro

gli islamisti, arrestando sessantuno membri del movimento con l’accusa di

associazione illegale e diffamazione. Si apre una fase di confronto acceso ed

arresti che inducono diversi leader ad abbandonare il Paese e rifugiarsi all’estero.

250 Cfr. TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p 162-163

Page 203: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

200

Solo il sopraggiungere di una nuova forte crisi economica e un nuovo

malcontento induce Mzali a rivedere e mitigare le misure contro gli islamisti, a cui

viene concessa un’amnistia in cambio di una modifica della denominazione del

movimento, così da eliminare espliciti riferimenti all’Islam. All’interno di al-

Nahda si dibatte sulla questione , e alla fine ha il sopravvento la posizione del

leader carismatico, al-Ghannoushi, favorevole alla linea dura, coerente ed

intransigente rispetto alle proposte del regime: la politica del compromesso viene

così rigettata.

Gli ultimi anni della presidenza Bourghiba sono contrassegnati da un’evoluzione

in direzione di un autoritarismo e accentramento del potere. Al-Nahda viene

accusata per le esplosioni nei villaggi turistici di Sousse e Monastir e le misure

repressive si fanno più apre comprendendo anche la pena di morte per sette

membri dell’organizzazione. Al-Ghannoushi è condannato ai lavori forzati a vita.

Secondo molti analisti politici una delle ragioni che determinò la presa di potere

da parte del primo ministro Zine el-‘Abidine Ben ‘Ali e la deposizione di

Bourghiba quale presidente, risiede proprio nell’aspra politica del governo di

quest’ultimo contro gli islamisti che rischiava, secondo molti tunisini, di portare

gravi conseguenze per il Paese. 251

Il nuovo presidente inaugura un nuovo corso adottando una politica di

conciliazione con gli islamisti, e riafferma l’identità arabo islamica tunisina, anche

attraverso alcuni gesti simbolici come la riapertura della Zaytuna, la costituzione

di un Consiglio Supremo Islamico e la liberazione di al-Ghannoushi e altri

membri del partito. A sua volta quest’ultimo afferma la propria non violenza e

volontà di diventare partito legalmente riconosciuto. Abbandona la vecchia

denominazione di Movimento della tendenza Islamica, al fine di soddisfare i

requisiti di legge sui partiti politici tunisini. Per numerosi suoi dirigenti il

passaggio al nome di al-Nahda è tuttavia un fatto puramente formale, che non

significa un allontanamento dai principi islamici. Il nuovo manifesto emanato dal

251 E.SHAIN, Political Ascent….op. cit., p. 99.

Page 204: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

201

movimento non è dissimile in effetti dal precedente del 1981, anche se viene

inserita tra gli obiettivi la salvaguardia della repubblica e dei suoi fondamenti,

oltre alla salvaguardia della società civile e l’inclusione del principio di sovranità

popolare. Il movimento continuava ad avere una struttura sotterranea parallela,

tanto che il nome del nuovo presidente, Sadiq Chourou, viene divulgato solo

qualche anno più tardi. Nonostante firmi il nuovo Patto Nazionale, al-Nahda si

vede negata la partecipazione alle elezioni legislative del 1989: gli islamisti

sfidano allora il governo presentando i propri candidati come indipendenti.

Ottengono un risultato apprezzabile con circa il 15% dei voti totali, ma arrivando

a sfiorare il 40% nelle città principali, risultando così principale partito di

opposizione. Al-Ghannoushi decide di lasciare il Paese oramai disilluso sulla

possibilità di collaborare fruttuosamente col governo, e i fatti non gli danno torto:

da lì a breve riprende una nuova offensiva contro gli islamisti. Nel 1991, a seguito

di due gravi episodi attribuiti ad al-Nahda (l’attacco agli uffici del Rassemblement

constitutionnel démocratique, il partito fondato da Ben ‘Ali, a Bab Souika e un

complotto finalizzato ad un colpo di Stato) le misure repressive si inaspriscono

ancora, con arresti sistematici e sovente arbitrari, secondo quanto riportato da

Amnesty International. L’episodio terroristico di Bab Souika per altro apre una

frattura all’interno del movimento, da cui si distacca una fazione apertamente non-

violenta che cerca una riconciliazione col governo. Gli islamisti liberati dalle

carceri tunisine sono in realtà sottoposti ad una rigida sorveglianza, come

mostrano alcuni reportage dei tardi anni 2000 252

UN CONFRONTO

Si può notare come sia il movimento islamista marocchino sia il movimento

islamista tunisino di cui si è scelto di parlare abbiano dovuto relazionarsi con un

regime autoritario, che in precise fasi storiche ha dovuto aprire a possibili

conciliazioni, rappresentate dall’alternance in Marocco e dal Patto Nazionale

tunisino, che hanno offerto alle opposizioni uno spiraglio per un ingresso ufficiale

252 Cfr. TIZIANA GIULIANI , Tra partecipazione…op.cit., p.166

Page 205: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

202

nel sistema politico legalizzato. Mentre in Marocco l’ Islam è parte integrante del

sistema politico poiché la monarchia discende dalla famiglia del Profeta che ne fa

una fonte di legittimità, nella Tunisia post indipendenza l’Islam è stato, secondo

al-Nahda, rinnegato in nome di un modernismo di tipo occidentale. La fase di

affermazione ed espansione di entrambi i movimenti passa per uno scontro-

confronto con i movimenti della sinistra, e in questa veste entrambi diventano

funzionali alle politiche di contenimento dei rispettivi governi. Entrambi, infine,

hanno una struttura bicefala: il PDJ in una certa fase separa il partito politico dal

movimento di pensiero (MUR) , ed entrambi coesistono alla luce del sole ma

separando gli ambiti della sfera d’azione dei propri membri; mentre al-Nahda ad

un movimento di superficie che cerca la legalizzazione affianca uno struttura

clandestina, che si sostituisce nella direzione del movimento ogni qualvolta le

repressioni del regime lo rendono necessario. Assolutamente diversa è invece la

risposta dei due movimenti a questo gioco di scontri ed equilibri con i rispettivi

governi: il PDJ ha accettato di eliminare ogni riferimento all’Islam che possa

sembrare radicale, così come le connessioni con i Fratelli Musulmani e perfino

con il MUR, al-Nahda è rimasto tenacemente legato al suo essere “ikhwaniyya”,

pur in un’accezione dichiaratamente anti-violenta e moderata.

Page 206: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

203

APPENDICE: PRIMAVERE ARABE E ISLAMISTI AL

POTERE

Quando il popolo vuole vivere

Le catene si spezzano!

Le tenebre si dissovono!

INNO NAZIONALE TUNISINO

Il 18 dicembre 2010 Mohamhed Bouazizi, fruttivendolo ambulante di Sidi

Bouzid, metteva fine alla propria vita appiccandosi fuoco in segno di protesta nei

confronti delle autorità di polizia locali e del governo, per le misere condizioni

economiche e la dilagante disoccupazione della sua come di molte altre città

tunisine.

Il gesto estremo di quello che è immediatamente diventato un eroe popolare è la

scintilla che fa divampare il fuoco di quelle che i media occidentali hanno

ribattezzato “primavere arabe”, una serie di sollevazioni popolari generate dal

comune malcontento per le disastrose condizioni economiche, il malgoverno, la

corruzione, la violazione dei diritti civili di svariati Paesi del mondo arabo. Le

rivolte hanno provocato ad oggi la caduta di quattro capi di Stato (Zine el-Abidine

Ben Ali in Tunisia dal 14 gennaio 2011, in Egitto Hosni Mubarak l'11 febbraio

2011, in Libia Muhammar Gheddafi, catturato e ucciso dai ribelli il 20 ottobre

2011, Ali Abdullah Saleh in Yemen, il 27 febbraio 2012), e sono state

caratterizzate dall’avanzata dei partiti di matrice islamista. Tuttavia, le recenti

evoluzioni mostrano una situazione di grave instabilità sociopolitica, in

particolare in Egitto, dove è in corso una “controrivoluzione” guidata dai militari

che ha destituito il governo dei Fratelli Musulmani, ma anche nel resto della

regione mediorientale e nordafricana.

Page 207: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

204

TUNISIA: AL-NAHDA E LA RIVOLUZIONE DEI GELSOMINI

E’ la Tunisia a dare il via alla serie di proteste. Dieci giorni dopo il suicidio

dimostrativo di Bouaziz, violente manifestazioni scoppiano nel centro-sud del

Paese. Ad ispirarle sono inizialmente le stesse motivazioni che hanno spinto il

giovane fruttivendolo al suicidio (frustrazione per la disoccupazione, corruzione

della polizia, indifferenza delle autorità, crescente preoccupazione per il rialzo dei

prezzi dei beni di prima necessità), più in profondità però traspariva

l’insoddisfazione, specie delle generazioni più giovani che non avevano

partecipato ai moti d’indipendenza, per il regime decisamente autoritario di Ben

Alì, per la mancanza di libertà di espressione, per il bavaglio imposto alla stampa

e per una società basata sul clientelismo. I moti e la conseguente repressione

andarono radicalizzandosi, sino a spingere, il 14 gennaio 2001, il presidente Ben

Ali alla fuga in Arabia Saudita (essendosi rifiutare di accoglierlo Malta, Francia e

Italia) non prima di aver ordinato di fare “terra bruciata”. Tuttavia l’esercito,

dapprima neutrale, sodalizzò con la folla, opponendosi alla polizia, rimasta fedele

all’ex Presidente.

In attesa di elezioni generali (inizialmente previste entro due mesi e poi rinviate

per l'estate), viene varato un governo di unità nazionale presieduto dal Primo

ministro Mohamed Ghannouchi del quale vengono chiamati a far parte anche

esponenti dell'opposizione parlamentare ed extraparlamentare.

Ghannouchi, cresciuto nei ranghi benalisti, cerca di guidare la transizione, impasta

e rimpasta a più riprese il proprio governo, ma manca dell'autorevolezza per

imporre una road map per la ricostruzione delle istituzioni del Paese. Il 25

febbraio centomila tunisini scendono in piazza per chiedere le dimissioni di

Ghannouchi, che il 27 lascia l'incarico. Lo sostituisce Béji Caïd Essebsi, un altro

veterano della politica tunisina, già a più riprese ministro nei governi guidati dal

primo presidente del paese, Habib Bourguiba. Vengono indette per il 24 luglio

(spostate poi all’ottobre) le elezioni per un'Assemblea costituente, mentre il nuovo

governo ad interim annuncia la dissoluzione della polizia segreta.

Page 208: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

205

Le elezioni vedono la netta affermazione dei partiti che si erano opposti a Ben Ali,

in particolare del partito islamista moderata Ennahda (al-Nahda), che ottiene il

37% dei voti e 89 seggi, e Congresso per la Repubblica, partito laico riformista,

che ottiene l'8,7% dei voti e 29 seggi. In seguito l'Assemblea Costituente elegge

Presidente della Repubblica Moncef Marzouki, vecchio oppositore di Ben Ali e

leader del Congresso per la Repubblica, che nomina Primo Ministro Hamadi

Jebali, anch’egli storico oppositore di Ben Ali e segretario di Ennahda. Il nuovo

governo è costituito da una coalizione tripartita che comprende Ennahda, il

Congresso per la Repubblica e il Forum Democratico per il Lavoro e la Libertà.

Si tratta di un avvenimento storico: per la prima volta nel Maghreb vince un

partito islamico, se si esclude il Fis algerino nel dicembre '91, spazzato via un

mese dopo dal colpo di stato dei generali e dalla lunga e cupa stagione dei

massacri.

Così, Mouad al-Ghannoushi, figlio del fondatore del movimento Rashid e

responsabile dei rapporti coi media, ha elencato i principi del partito vincitore

delle elezioni :”Democrazia, uguaglianza tra i sessi, libertà di coscienza e di

espressione, giustizia per tutti”. A convincere l’opinione pubblica è stato

l’islamismo moderato, teoricamente vicino a quello dell’ Akp di Erdogan in

Turchia, secondo lo stesso al-Ghannoushi. “Garantiamo agli uomini d'affari

stranieri che i loro interessi saranno preservati”, dice il vicepresidente di

Ennahda Abdel Hamid Jelassi, “ e siamo pronti a collaborare con tutti i partiti

della Costituente”. 253

Le ragioni di questa vittoria, facilitata da un fronte laico frammentato al quale non

è bastato il sostegno dei media, le elenca il carismatico Abdel Fattah Mourou:

“Ennahda ha vinto perché è all'opposizione da venticinque anni durante i quali

sono stati incarcerati 30mila militanti e altri 30mila mandati in esilio. Ennahda è

stata la maggiore vittima politica di Ben Ali. Questo la gente lo sa. Non solo, gli

253 ALBERTO NEGRI, Islamici senza rivali in Tunisia, in “il Sole 24 ore”, 25 ottobre 2011, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-10-25/islamici-senza-rivali-tunisia-063839.shtml?uuid=AakzzlFE. Ultima visualizzazione: 24/09/2013.

Page 209: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

206

altri partiti hanno polarizzato la campagna insistendo sul laicismo: i tunisini sono

dei moderati ma attaccati profondamente alla loro identità musulmana.”254

La vittoria elettorale di Ennahda nel 2011 ha dunque rappresentato il

coronamento di una lunga marcia politica cominciata negli anni Ottanta,

caratterizzata dalla dura repressione da parte del regime di Habib Bourguiba.

Linea perseguita successivamente anche sotto Ben Ali e caratterizzata da un

processo di moderazione e ripensamento concettuale dell’ispirazione islamista del

movimento analizzata nel capitolo precedente.

Tali eventi contribuirono a creare quella fama di serietà, integrità e

determinazione che rese Ennahda il principale e più rispettato movimento

d’opposizione al regime nell’immaginario collettivo del popolo tunisino e nelle

narrative di resistenza ad esso connesse. 255

Non è stata quindi certamente una sorpresa che la caduta del regime di Ben Ali

abbia spalancato le porte al ritorno in grande stile di Ennahada e della sua

leadership esiliata. La “rivoluzione dei gelsomini” in un primo tempo non ha visto

coinvolti i gruppi islamisti, e non conteneva nemmeno una forte retorica islamista.

Tuttavia ha permesso la nascita di nuove formazioni politiche e il ritorno di

diverse guide dall’esilio. Gli islamisti hanno beneficiato di questa apertura, ma

soprattutto del vuoto di potere e dell’assenza di gruppi organizzati sul terreno256.

Quando a seguito della caduta di Ben Ali, Rashid al-Ghannoushi è rientrato a

Tunisi dal suo esilio a Londra (dove aveva operato come consulente di Tony Blair

quando questi era Primo ministro del Regno Unito) è stato accolto da migliaia di

sostenitori proprio come l’Ayatollah Khoemeni. Ma a differenza del leader sciita

sin dall’inizio al-Ghannoushi è stato attento a non spaventare gli ambienti laici del

paese e a rassicurare la classe media evitando ogni contrasto con gli altri partiti

254 Ibid. 255 RICCARDO FABIANI, Ennahda, prima tunisino e poi Fratello, in “Limes” , n.1 /2013, http://temi.repubblica.it/limes/ennhada-prima-tunisino-e-poi-fratello/42653?printpage=undefined. Ultima visualizzazione: 24/09/2013. 256 ROGER BOU CHAHINE, I mille volti della Fratellanza, in “Limes” n. 1/2013, p. 131.

Page 210: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

207

d’opposizione, accennando a un programma elettorale privo di riferimenti

specifici alla shari’a. Questo approccio è servito infatti ad aumentare la popolarità

di Ennahda anche presso quei settori della società tunisina non appartenenti allo

spazio ideologico islamista di cui Ennahda rappresentava il centro di gravità

politico, culturale e ideologico.

Grazie a questa strategia al suo rientro per mesi al-Ghannoshi è riuscito ad evitare

i temi più controversi e scottanti (come quello dei diritti delle donne o del ruolo

dell’Islam in politica), riuscendo a raggiungere sia i collegi elettorali più

oltranzisti sia quelli non islamisti e costruendo un blocco sociale ampio ed

eterogeneo capace di fare di Ennahda il principale partito del paese.

Grazie al successo elettorale dell’11 ottobre 2011, il partito ha conquistato un

ruolo determinante nel delineare gli assetti futuri della Tunisia e nel definirne la

costituzione. Eppure, il successo decretato dalle urne non è stato sufficiente per

permettere agli islamisti di governare da soli, costringendoli a scendere a patti con

il Congresso e con Ettakatol. La maggioranza solo relativa ottenuta da Ennahda si

è rivelata fondamentale nel delineare la traiettoria della transizione politica

tunisina.

Nei mesi successivi al trionfo elettorale di Ennahda, infatti, si è lentamente

delineato il nuovo scenario politico tunisino, rivelando una transizione ben diversa

dai caotici processi avviati quasi in contemporanea in Egitto e poco più tardi in

Libia. Tre elementi si sono affermati prepotentemente, condizionando così il

panorama post-elettorale: la maggioranza assoluta dei partiti di ispirazione laica,

sebbene profondamente divisi e in guerra l’uno con l’altro; la lenta crescita di un

nuovo attore politico più radicale di Ennahda, ovvero la nebulosa salafita; e

l’emersione di diverse linee di frattura interne a Ennahda stesso, principalmente

come conseguenza delle opposte pressioni esercitate da un lato dai partiti laici e

dall’altro dai salafiti.

Page 211: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

208

Per quanto riguarda la maggioranza laica, non essendo riuscita a unirsi è stata

politicamente sconfitta, ma è rimasta in grado di influenzare in maniera

determinante il dibattito costituzionale e i processi decisionali, rappresentando

anche un freno per eventuali tentativi di Ennahda di virare verso il salafismo. Di

fronte ad ogni tentativo di Ennahda di ridisegnare i confini del rapporto religione-

politica o dei diritti delle donne, la mobilitazione dei laici è stata fondamentale per

frenare le spinte islamiste più radicali, complice la maggioranza solo relativa di

del partito islamista nell’assemblea costituente. Sicché, Ennahda si è limitato a

consolidare il proprio potere in questa prima fase post-elettorale, per rimandare a

un non meglio precisato futuro la possibilità di introdurre misure più

marcatamente islamiste controverse.

Tuttavia, il fenomeno politico più originale e inatteso è stata proprio la

spettacolare emersione del salafismo sul piano politico. L’apertura dello spazio

politico ai movimenti precedentemente repressi sotto Ben Ali ha creato infatti un

vuoto politico alla “destra” di Ennahda, accentuato anche dalla svolta pragmatica

“centrista” del movimento. È dunque emersa una pletora di predicatori e di gruppi

estremisti di stampo salafita, un’alternativa estremamente interessante per i settori

più conservatori della società tunisina, spiazzati dalla moderazione mostrata da

Ennahda negli ultimi due anni. Grazie ad alcuni atti provocatori capaci di

innescare una spirale di paura e violenza che ha condizionato il clima sociale e

politico in Tunisia per mesi, essi sono riusciti a occupare in maniera sempre più

vistosa lo spazio mediatico tunisino, amplificando la propria presa su alcuni

settori della società.

Inoltre, gli islamisti di al-Ghannoushi si sono trovati per la prima volta in

concorrenza con altri soggetti religiosi tunisini. L’agguerrita minoranza salafita ha

introdotto un elemento cruciale di sfida all’egemonia di Ennahda nel campo

conservatore, evidenziando come esista anche in Tunisia un settore della società

pronto a entrare in azione qualora gli islamisti al potere si mostrino troppo timidi

con i laici.

Page 212: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

209

Ennahda ha reagito assumendo un atteggiamento profondamente ambiguo nei

confronti dei salafiti: da una parte, gli islamisti di al-Ghannoushi sanno di aver

bisogno dei salafiti per vincere le prossime elezioni; dall’altra parte, Ennahda non

può far vedere di essere troppo vicino ai salafiti, pena la perdita di consensi fra gli

elettori moderati e non islamisti. Tale dilemma è il più importante problema

strategico per il partito, incapace di risolvere quest’ambiguità senza perdere pezzi

da una parte o dall’altra. Inoltre, a causa di questo dilemma sono emerse svariate

linee di frattura all’interno di Ennahda stesso. Al-Ghannoushi ha cercato di

coprire le crepe usando un linguaggio impreciso e vago, a volte avanzando

proposte più radicali, salvo ritirarle in seconda battuta davanti alle veementi

proteste dell’opposizione laica. Tuttavia, questa tattica non è stata sufficiente a

nascondere le molteplici divisioni all’interno del partito, fra moderati (come il

primo ministro Hamadi Gibali) e conservatori (come Sadiq Suru) o fra leadership

in esilio e in carcere: i primi sono quelli che hanno trascorso gli ultimi vent’anni a

Londra o nel Golfo e pertanto tendono ad assumere posizioni più concilianti verso

i partiti laici, mentre gli altri hanno scontato lunghe pene nelle prigioni di Ben Ali

e sono a più stretto contatto con i duri e puri del partito. O ancora fra Gibali e al-

Ghannoushi stesso, quest’ultimo velatamente accusato di manovrare contro il

primo con l’obiettivo di sostituirlo alla guida del governo con il più fedele

ministro della Salute ‘Abd al-Latif Mikki. Lungi dallo spaccare in due Ennahda,

questi scontri personali e ideologici tendono invece a sovrapporsi, evidenziando la

natura complessa del fenomeno islamista tunisino. Il carisma e la credibilità del

suo leader sono per ora è per ora riuscite a mantenere assieme i pezzi del

movimento, restano seri dubbi riguardo alla capacità di tenuta di Ennhada nel

futuro post-Ghannoushi.

Questo delicato equilibrio politico ha prodotto un aspro dibattito costituzionale.

Solo dopo vari mesi l’Assemblea costituente è riuscita a presentare un progetto di

Costituzione condiviso più o meno dalla maggior parte delle forze politiche e

sociali. Grazie a estenuanti trattative e dopo alcune mini-crisi, le autorità tunisine

hanno raggiunto un compromesso sulla forma di governo semipresidenziale, sui

diritti delle donne e sugli altri temi più dibattuti. Nonostante le tensioni sociali e

Page 213: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

210

politiche restino alte, la Tunisia ha imboccato una strada consensuale dalla quale

non si è mai allontanata, evitando gli strappi e i traumi che hanno invece

caratterizzato la transizione egiziana.

Secondo Fabiani il percorso nettamente diverso seguito dalla Tunisia rispetto

all’Egitto non è una sorpresa. La “primavera araba” ha infatti trovato qui un

terreno ben più propizio: la Tunisia è un Paese piccolo, economicamente aperto e

rivolto verso l’Europa, al riparo dalle pressioni geopolitiche dello scontro fra i

giganti maghrebini Algeria-Marocco e sufficientemente lontano dal Mashrek.

Inoltre, grazie a un lascito coloniale meno duro rispetto ad Algeria o Libia e alle

limitate risorse petrolifere e minerarie, il Paese ha potuto sviluppare un’ampia e

ben istruita classe media che ha tratto giovamento dall’economia relativamente

diversificata della Tunisia. In questo contesto, l’esperienza islamista di Ennahda

si è sviluppata seguendo un percorso decisamente moderno e originale nel

panorama mediorientale e nordafricano.257

L’islamismo tunisino si è così adattato alla realtà sociale ed economica del Paese

facendo propri i principi democratici e liberali condivisi dalla maggioranza della

popolazione, risultando sempre più originale e lontano dalla matrice islamista dei

Fratelli Musulmani egiziani. Al contrario, la parabola egiziana viene vista con un

certo distacco a Tunisi. Il modello di riferimento viene cercato altrove, in Turchia

in primo luogo, addirittura per qualcuno nell’esperienza dei cattolici democratici

europei.258 L’autopercezione di Ennahda è pertanto quella di un partito forte,

culturalmente influente, politicamente avanzato e relativamente autonomo rispetto

ad altre esperienze islamiste nel mondo arabo, nonostante lo scarso peso

demografico e geopolitico della Tunisia.

Questo non significa però che sia immune dalle pressioni geopolitiche regionali o

che la sua autonomia sia assicurata.. Innanzitutto, la parabola dell’islamismo

tunisino è profondamente influenzata da due attori: la lunga mano dei Paesi del

Golfo e in particolare del Qatar; poi, il lungo esilio a Londra di alcuni fra i suoi 257 RICCARDO FABIANI, Ennahda, prima tunisino…precedentemente citato. 258 Ibid.

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211

leader, che ha lasciato in loro un’impronta culturale e politica di stampo

anglosassone (ad esempio nella concezione dei rapporti fra religione e Stato) che

fa di Ennahda un movimento politico assolutamente atipico per la Tunisia. Di

questi due elementi, però, è il primo a essere nettamente più importante dal punto

di vista geopolitico. Il Qatar infatti ha ospitato per anni vari dirigenti in esilio del

partito ne ha finanziato le attività e ha fornito al momento opportuno pieno

sostegno economico e mediatico (mediante “Al-jazeera”).

Questi legami acquisiscono un significato particolare se posti nella prospettiva

dell’incontro-scontro con la minoranza salafita. Non è infatti un mistero che molti

predicatori salafiti abbiano ricevuto e ricevano tuttora sostegno finanziario e

ideologico dalla galassia wahhabita saudita, suscitando notevole preoccupazione

negli ambienti laici tunisini.

Nell’ambito arabo della Fratellanza musulmana, Ennahda rappresenta oggi

l’esperimento più avanzato e ambizioso. Il partito islamista tunisino gode di

simpatie e sostegni diffusi, negli Stati Uniti, in Europa e nei paesi del Golfo.

Tuttavia L’intreccio di coperture, simpatie, competizione e ambiguità che lega la

nebulosa salafita ai Fratelli musulmani tunisini è motivo di preoccupazione e

sospetti.

Il destino della Tunisia post “primavera araba” era ed più che mai legato al

completamento dell’evoluzione di Ennahda in un moderno partito conservatore

rispettoso della separazione fra Stato e religione e fermo nella collocazione

geopolitica del Paese. Le particolari condizioni sociali, economiche e geopolitiche

della Tunisia possono permettere a questo paese laboratorio di indovinare una

formula di successo che potrebbe essere successivamente adattata al resto della

regione, soprattutto nel momento in cui l’Egitto sbanda pericolosamente,

suscitando angosce in molti osservatori interni e internazionali. Per fare questo,

però, la Tunisia avrebbe dovuto accelerare l’uscita dalla lunga fase di transizione

iniziata nel 2011, mentre gli avvenimenti più recenti mostrano un passo indietro in

questo senso.

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212

Chokri Belaïd, uno dei leader del Fronte Popolare (la coalizione “di sinistra”

attualmente all’opposizione), è stato ucciso il 6 febbraio scorso e stessa sorte è

toccata Mohamed Brahmi, fondatore di uno dei partiti laici del Paese, il 25 luglio.

In molti hanno accusato Ennahda di essere coinvolta in entrambi gli omicidi,

qualcuno parlando di “mandante morale”, qualcun altro sostenendo che il partito

al potere non aveva fatto abbastanza per bloccare le violenze degli estremisti

islamici.

dopo le grandi proteste anti-governative che hanno seguito l’omicidio di Brahmi,

Ennahda ha fatto qualche passo indietro ritirando in parte le proposte di

introduzione della shari’a. Il 27 agosto il governo ha inserito ufficialmente Ansar

al-Sharia, gruppo di estremisti islamisti, nella lista delle organizzazioni

terroristiche, e ha iniziato ad arrestare i suoi membri. Secondo le opposizioni,

comunque, quello che ha fatto il governo non è stato sufficiente: Ansar al-Sharia è

considerata anche dagli Stati Uniti un gruppo terroristico che opera in diversi stati

dal Marocco allo Yemen, tuttavia in Tunisia è conosciuto più per i servizi sociali

che offre ad alcuni dei quartieri più poveri di molte città, che per la violenza.259

Non solo gli omicidi politici spaventano l’opinione pubblica tunisina: secondo i

movimenti di contestazione il governo controllato da Ennahda a quasi due anni

dall’insediamento non si è mai occupato dei veri problemi del Paese, ovvero la

crescita del neo-salafismo di matrice jihadista, la redazione della nuova

Costituzione, la crisi economica, la disoccupazione, la distanza fra centro e

periferie sempre più profonda. Si è curato, invece, di islamizzare la società e

reprimere ogni forma di dissidenza dell’immaginario, comportandosi come

l’RCD, il partito unico di Ben Alì che, secondo parte dell’opinione pubblica

tunisina, ancora trama nell’ombra delle sale del potere (soprattutto economico).260

259 Che aria tira in Tunisia? in “il Post”, 20 settembre 2013, http://www.ilpost.it/2013/09/20/tunisia-ennahda/. Ultima visualizzazione: 24/09/2013 260 MONICA RICCI SARGENTINI, In Tunisia vietato protestare, artisti e attivisti finiscono in carcere, in “Corriere della Sera”, 26 settembre 2013, http://lepersoneeladignita.corriere.it/2013/09/26/in-tunisia-vietato-protestare-decine-di-arresti-per-i-giovani-artisti/. Ultima visualizzazione: 24/09/2013.

Page 216: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

213

Le critiche che ora molti tunisini stanno rivolgendo a Ennahda sono molto simili a

quelle che milioni di egiziani hanno rivolto al governo dei Fratelli Musulmani tra

la fine di giugno e l’inizio di luglio: incompetenza nella gestione del potere,

invadenza dell’Islam nella società e favoreggiamento di movimenti estremisti.

Per il momento rimane una grande differenza che sembra distanziare la situazione

della Tunisia da quella dell’Egitto, cioè il ruolo dell’esercito nella transizione. In

Egitto i militari hanno occupato importanti posizioni di potere per decenni, sono

stati decisivi sia nella caduta di Mubarak che poi nel colpo di Stato contro

Mohamed Morsi. In Tunisia il ruolo dell’esercito è molto più marginale e finora i

militari sono rimasti esclusi dai colloqui tra governo e opposizioni.

EGITTO: RIVOLUZIONE E CONTRORIVOLUZIONE

La “primavera araba” egiziana inizia nel gennaio 2011, come moto di protesta

popolare diretto contro il trentennale regime di Hosni Mubarak, inizialmente

promosso con mezzi pacifici ed ispirato dalle manifestazioni tunisine capaci di

sollevare Zine el-Abidine Ben Ali. Movente principale anche per gli egiziani il

rinnovamento del regime politico cristallizzato attorno a Mubarak, anche qui

come in Tunisia a provocare la detonazione del malcontento sono stati elementi

come l'aumento dei prezzi dei generi alimentari e la crisi occupazionale che

colpisce in particolare i giovani. Benché gli indici rilevassero un’economia

tendenzialmente in crescita e non soggetta ai contraccolpi riservati alle economie

occidentali dalla recente crisi finanziaria, la redistribuzione della ricchezza nel

Paese risultava ancora assolutamente iniqua, e il Paese afflitto da una corruzione

endemica e da un preoccupante aumento della disoccupazione giovanile. In

particolare si può notare come ad un aumento della scolarizzazione, promossa

fruttuosamente dal governo, non sia corrisposto un aumento dell’offerta di lavoro

per le giovani generazioni, il che ha generato nelle masse di giovani istruiti e

disoccupati un senso di frustrazione ed una richiesta di cambiamento che premeva

più sulle questioni sociali e sulla trasformazione del regime in senso democratico

e pluralistico che non sulle riforme di un assetto economico di per se’ in

Page 217: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

214

espansione. Le richieste di democrazia si uniscono a un malessere suscitato dalle

condizioni generate da uno “stato di emergenza” costituzionalmente instaurato da

Mubarak dopo l’assassinio di Sadat e mai revocato. Tale stato di crisi che

conferisce allo Stato poteri speciali, assegna la facoltà alla polizia di attuare arresti

per periodi illimitati e permette il ricorso ai tribunali speciali.

La scintilla della rivolta si fa risalire al 17 gennaio 2011, quando al Cairo un

uomo si dà fuoco, sulla scia di quanto accaduto in Tunisia al venditore ambulante

Mohamed Bouazizi, divenuto simbolo della contestazione tunisina, seguito da

altri due avvenimenti analoghi a pochi giorni di distanza. Il 25 gennaio migliaia

di persone scendono in piazza nella capitale per manifestare, scatenando la

repressione delle autorità che provocano quattro morti: da questo momento in

avanti la rivolta si estenderà a macchia d’olio in tutto l’Egitto.

L'esponente dell'opposizione egiziana più noto al di fuori del Paese, Muhammad

al-Barade'i, intanto fa il suo ritorno in Egitto e annuncia di voler sostenere la

protesta e di essere pronto a guidare la transizione dopo la caduta di Mubārak se il

popolo gli darà il consenso. Quando il presidente decide di attuare un nuovo giro

di vite nel tentativo di porre sotto controllo la rivolta (rafforzando la presenza dei

militari per le strade e ricorrendo maggiormente all'impiego di blindati e aerei

militari che sorvolano la capitale), al-Barāde'i rinnova il proprio invito a Mubārak

a lasciare la presidenza e si ripropone come nuovo leader del Paese. Nel mentre i

Ministri avevano rassegnato le dimissioni ed era stato reso noto che il capo dei

servizi segreti egiziani, ʿUmar Sulaymān, era stato nominato vice presidente

della Repubblica, facendo quindi intravedere la concreta possibilità che a

succedere al dittatore non sarebbe più stato il figlio Gamāl, bensì (secondo quanto

stabilito dalla Costituzione) ʿUmar Sulaymān.

Il 31 gennaio, nella speranza di calmare l'escalation della protesta, Mubārak

dimette il suo gabinetto, dando corso a un nuovo governo, ma Il presidente

dell'Assemblea del Popolo, il parlamento egiziano, Aʿmad Fatʿ ī Surūr, fa sapere

che sarà aperta un'inchiesta sulla regolarità delle contestate elezioni legislative del

2010 (vinte con netta maggioranza dal partito del ra’is), la cui dubbia legittimità

Page 218: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

215

ha rappresentato un elemento di crescente malcontento ed esasperazione nella

popolazione.

A fronte delle sempre più numerose manifestazioni di piazza che sfidano il

coprifuoco, militari annunciano la propria decisione, sfidando l'autorità di

Mubārak, di non usare la forza contro la popolazione che intenderà ancora

dimostrare per richiedere la fine del potere del Presidente. All'indomani della

manifestazione del 31 gennaio svoltasi nella capitale e dopo che Mubārak

annuncia in televisione di voler aprire un dialogo con le opposizioni, promettendo

la libera scelta di colui che gli subentrerà alla carica di presidente e una riforma

costituzionale, il presidente statunitense Barack Obama rinnova al ra’is l’invito,

già espresso giorni prima, a lasciare la carica, auspicando l'inizio immediato della

transizione democratica.

L’epicentro della protesta si sposta a piazza Tahrir, dove l’esercito cerca di sedare

gli scontri tra sostenitori del ra’is e oppositori. Mentre si avvia la macchina della

diplomazia internazionale la situazione sembra normalizzarsi dai primi giorni di

febbraio, raggiungendo un quadro più favorevole al dialogo tra governo e

opposizione. Mediante le trattative condotte tra il regime e il movimento di

protesta egiziano, ancorché non rappresentato in tutte le sue sfaccettature, si cerca

di raggiungere un accordo per l’attuazione di riforme costituzionali, iniziativa

raggiunta grazie all’incontro tra il vicepresidente ʿOmar Sulaymān e i

rappresentanti dell'opposizione, tra i quali anche una delegazione dei Fratelli

Musulmani. Le opposizioni, tuttavia, rimangono scettiche verso l'accordo, in

primo luogo per il mancato raggiungimento delle dimissioni di Mubārak. Il 10

febbraio ʿ osnī Mubārak, mentre la piazza principale della capitale è gremita in

attesa dell'annuncio delle sue dimissioni (di cui si è diffusa, nel frattempo,

notizia), in un discorso alla tv pubblica dichiara la sua intenzione di trasferire in

toto i poteri al vice presidente Sulaymān. Contestualmente rende noto di non

volersi ricandidare alle prossime elezioni, che si svolgeranno in settembre, e che

sosterrà la transizione verso la riforma della costituzione che, promette,

contribuirà a rinnovare. Il Presidente esprime quindi la volontà di preparare la

strada per eliminare le leggi d'emergenza non appena possibile, a situazione

normalizzata. Alla fine di intense trattative tra le diplomazie e di un braccio di

Page 219: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

216

ferro tra le opposizioni e il governo che appariva senza esito, ʿosnī Mubārak, per

un trentennio Presidente della Repubblica Egiziana, rassegna l'11 febbraio le

dimissioni dalla propria carica. Ad annunciarlo è il vice presidente ʿ Omar

Suleymān, il quale comunica che Mubārak ha lasciato alle forze armate l'incarico

di gestire gli affari dello stato e di decidere del destino politico dell'Egitto.

L'uscita di scena di Mubārak (il quale alcune ore dopo le dimissioni abbandona il

Cairo e si rifugia nella sua residenza di Sharm el-Sheikh) lascia il potere politico

sotto il controllo del Consiglio supremo delle forze armate, composto da 18

militari e presieduto dal feldmaresciallo Mohammed Hoseyn Tantawi, uomo

chiave della giunta e capo di stato provvisorio dell'Egitto in virtù dell'assunzione

de facto dei poteri presidenziali. Ai militari viene demandato il compito di

traghettare il paese verso la democrazia.

Il Premier egiziano Ahmad Shafiq, dopo che per giorni numerosi egiziani avevano

continuato a protestare in piazza Tahrir chiedendo le sue dimissioni, ritenendolo

colluso col vecchio regime, il 3 marzo rimette il proprio incarico di Primo

ministro, mentre il parlamento viene sciolto dal Consiglio, che decide anche per la

sospensione della costituzione.

Il referendum sugli emendamenti alla Costituzione della Repubblica araba

d'Egitto si tiene il 19 marzo. La consultazione registra il 77,2% dei sì, che

consentono in questo modo l'implementazione di elezioni parlamentari e

presidenziali entro la fine dell'anno.

Questi in breve i fatti che tra gennaio e marzo 2011 hanno portato alla caduta del

regime di Hosni Mubarak, Presidente egiziano dal 1981, e all’indizione di libere

elezioni, fissate per giugno 2012. Le urne consegnano un risultato impensabile

fino ad un anno e mezzo prima: con 13.230.131 voti (51,7 %), il Partito Libertà e

Giustizia (espressione politica dei Fratelli Musulmani) di Mohammed Morsi,

supera i 12.347.038 (48%) di Ahmed Shafiq (48%), ultimo Primo Ministro di

Mubārak.261 Dopo alcuni giorni di doverose verifiche dato lo stretto margine ,

261 Egitto, vince Mohamed Morsi: “Sarò il Presidente di tutti gli egiziani”, in “Corriere della Sera”, 24 giugno 2012, http://www.corriere.it/esteri/12_giugno_24/egitto-nuovo-presidente_814d64dc-bdf9-11e1-a8f4-59710be8ebe6.shtml. Ultima visualizzazione: 24/09/2013.

Page 220: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

217

Morsi viene ufficialmente eletto presidente, formalizzando come precedentemente

promesso la sua rinuncia alla militanza nella Fratellanza , di cui pure il Partito è

espressione diretta. E’ il quinto presidente della storia dell’Egitto, il primo a non

provenire dai quadri dell’esercito, e giura simbolicamente a piazza Tahrir,

esclamando di voler essere il presidente di tutti gli egiziani per un Paese che deve

ritrovare la sua unità, e di voler rispettare gli accordi internazionali, in riferimento

ad Israele.

Indubbiamente la situazione economica e sociale ereditata dal nuovo governo è

preoccupante, tuttavia Morsi in particolare gode di alta popolarità, benché quella

dei Fratelli resti stazionaria. Il nuovo governo gode dell’appoggio internazionale

degli Stati Uniti, dell’Europa Occidentale, della Turchia, del Qatar, anche se le

altre monarchie del golfo e l’Arabia Saudita se ne auguravano il fallimento. Molti

dirigenti e uomini d’affari vicini al vecchio regime erano pronti a collaborare per

trarne vantaggio e anche in seno all’esercito poteva trovare interlocutori convinti

dell’urgenza di restituire ai civili le redini del potere.262 Secondo Aclimandos, i

Fratelli “avrebbero dovuto favorire un governo di unità nazionale in modo da

consolidare il loro potere e riscuotere il plauso del mondo intero, invece hanno

cercato di creare una sorta di coalizione islamista con salafiti e jihadisti più o

meno pentiti”.263 Hanno cercato di rassicurare e cooptare le forze di sicurezza

(polizia esclusa), nonché l’esercito e gli uomini d’affari legati al precedente

regime, per mostrare un volto tollerante; hanno cercato di attirare i favori di

alcune grandi famiglie dell’Alto Egitto, dove il movimento della Fratellanza è

meno radicato, e tentato di conquistare il controllo dell’apparato statale attraverso

l’assegnazione di posti chiave a molti dei loro. Le nomine dei loro seguaci sono

sempre state aspramente criticate dalle altre forze politiche, talvolta a ragione.

Tutto questo è apparso alla popolazione come una continuazione del clientelismo

del regime che avevano abbattuto. I Fratelli, esattamente sulla scia di quei

rapporti clientelari, hanno cercato una “riconciliazione” con gli uomini d’affari

legati al vecchio regime e invisi alla gioventù e alla loro base, sollecitando la

262 Cfr. TEWFICK ACLIMANDOS, Il regno di un anno, ascesa e caduta dei Fratelli Musulmani, in “Limes” , 7/2013, p.85. 263 Ibid.

Page 221: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

218

restituzione del maltolto in cambio della rinuncia ad azioni penali, accordi per

altro spesso falliti264. Altre testimonianze (ma è più difficile in questo senso

trovare conferme) parlano di pressioni verso coloro i quali avevano qualcosa da

farsi perdonare, affinché svendessero le loro imprese a uomini legati

all’associazione.

La loro inesperienza di governo e la loro visione del mondo “manichea” (tra ciò

che è conforme al volere divino e ciò che non lo è) hanno presto modificato le

prospettive ottimistiche nei loro confronti. Pare inoltre che il governo si affidasse

ad una diplomazia “segreta” o quantomeno parallela, destando non solo

perplessità sulle intenzioni del movimento, ma scavando così un solco con le

Forze di sicurezza che cercavano di cooptare265. Pare ci siano stati tentativi di

infiltrazione nelle stesse Forze di sicurezza, nonché di creare servizi

d’informazione paralleli e milizie fedeli.

Ideologicamente contrari ad una coabitazione con le forze laiche, i Fratelli si sono

alleati con i salafiti, in un rapporto che ha rappresentato una risorsa, ma anche un

grosso ostacolo. La presenza di una Salafiyya radicale sullo scacchiere politico

consente alla Fratellanza di presentarsi come forza islamista moderata, ma di fatto

la differenza tra le due ideologie si assottiglia enormemente nell’ottica

dell’instaurazione di uno Stato islamico, riducendosi ad una mera questione di

tempistiche (un processo lungo e graduale, secondo la Fratellanza). I Fratelli

avevano rilasciato quei jihadisti che si erano mostrati pentiti, molti dei quali

avevano aderito alle formazioni jihadiste del Sinai, che servivano per altro al

governo per mostrarsi garante dell’equilibrio e della sicurezza nella regione (gli

attacchi ai gasdotti del Sinai si erano moltiplicati durante il periodo di governo

dell’esercito, ed erano cessati alla proclamazione di Morsi e alla destituzione del

maresciallo Tantawi). C’era però un prezzo da pagare al radicalismo salafita.

Quell’alleanza, sulla falsariga di quanto successo in seguito alla

“palestinizzazione” del movimento e ai legami con Hamas, è una delle cause che

264 Ivi, pp.86-87. 265 Ibid.

Page 222: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

219

hanno spinto le Forze di sicurezza e l’esercito ad entrare in rotta di collisione col

nuovo governo.

Inoltre i risultati elettorali avevano mostrato un inaspettato e di certo mal digerito

successo dei salafiti “quietisti”, che di fatto privavano la Fratellanza dal

monopolio islamista in Egitto. I salafiti quietisti stessi diffidavano della

Fratellanza cui preferivano le sicurezze dell’esercito. Temevano che l’ambiguità

della Fratellanza avrebbe decretato il fallimento dell’Islamismo politico.

Tutto questo senza considerare l’incapacità del governo di fare fronte alla

situazione economica, nonché i cattivi rapporti tra il nuovo governo e gli

investitori del Golfo (ad eccezione come detto del Qatar), che hanno scoraggiato

l’afflusso di capitali da quell’area.

Quanto al progetto totalitario dei Fratelli, bisogna considerare che la confraternita

non disponeva dei mezzi per attuarlo, ma non sembrava essersene resa conto. Ha

spaventato la maggioranza della popolazione mobilitandola assieme agli apparati

di sicurezza contro i suoi seguaci senza raggiungere alcun risultato tangibile.

La prima vera offensiva dei Fratelli ha preso di mira l’Alta Corte Costituzionale e

la giustizia. Secondo la fratellanza la Corte era uno strumento nelle mani del

regime di Mubarak, mentre secondo i suoi oppositori era invece un bastione della

giustizia, che sapeva autolimitarsi, ma che aveva anche messo in imbarazzo

Mubarak con diverse sue sentenze. Il giudice al-Gibāli del Consiglio di Stato si è

lamentato, privatamente e in pubblico, di aver ricevuto minacce fisiche da parte di

membri della Fratellanza. La nuova costituzione ha limitato inoltre il ruolo

dell’Alta Corte i Fratelli hanno ridotto drasticamente il numero dei suoi

componenti, per potersi sbarazzare di al-Gibali.

Anche i media e i giornalisti sono stati oggetto pare di forme di ostilità di vario

genere da parte dei membri della Fratellanza, che hanno stretto d’assedio le sedi di

alcuni giornali, oltre a perseguire giudiziariamente gli autori di articoli non graditi

e a chiudere alcune reti televisive perché considerate ostili al nuovo governo.

Page 223: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

220

Nella primavera del 2012 i Fratelli Musulmani sembravano aver comunque partita

vinta, avevano stroncato l’opposizione, mentre l’esercito non sembrava

intenzionato ad intervenire.

Nell’agosto 2012 Morsi destituì il maresciallo Husayn Tantawi, ministro della

Difesa, e il generale Sami Hafiz Anan, Capo di Stato Maggiore delle Forze

armate. I due vennero rimpiazzati da colleghi considerati molto fedeli: il generale

‘Abd al-Fattah al-Sisi che prese il posto di Ministro della Difesa e il generale

Sidqi Subhi, nuovo Capo di Stato Maggiore. Inoltre vennero fortemente limitate le

prerogative del presidente affidando il potere legislativo allo stesso comando

militare. La scelta all’epoca sembrava assennata, ma a marzo 2013 si rivelò un

errore madornale per la Fratellanza: avevano sostituito due capi ormai vecchi e

ben disposti con due uomini giovani e decisi, di notevole fiuto politico e che non

potevano assolutamente essere qualificati come cattivi musulmani, provenendo da

due famiglie di comprovata devozione. Frattanto, nel dicembre 2012 veniva

approvata la nuova Costituzione, con una bozza redatta dalla Fratellanza e

approvata dopo due turni referendari. Questa viene aspramente contestata dalle

opposizioni, perché troppo basata sulla shari’a e non tutelante i diritti civili266.

Fino a febbraio, malgrado numerose Frizioni e fughe di notizie, i vertici militari

si dichiaravano intenzionati a rimanere lontani dalla vita politica, anche se già

verso la metà del mese Subhi dichiarerà che se la situazione si fosse complicata

sarebbero stati costretti ad intervenire, invitando le forze politiche a superare le

loro divergenze. Un mese dopo la linea guida era già cambiata, e i militari

cominciarono a definire insanabile i contrasti coi Fratelli, che volevano tarpare le

ali all’esercito, preoccupati dalla popolarità di al-Sisi. Inoltre i loro legami con i

jihadisti destavano preoccupazione per la sicurezza nazionale. il colpo di Stato

sembrava tuttavia impossibile: i generali alla guida dell’esercito espressero allora,

con svariate dichiarazioni, la necessità di una copertura popolare per la loro

discesa in piazza267.

266 Il testo si può trovare online al seguente indirizzo: http://www.egyptindependent.com/news/egypt-s-draft-constitution-translated. 267 Cfr. ACLIMANDOS, Il regno…op. cit., p. 93.

Page 224: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

221

In aprile due giovani delusi dagli scarsi risultati del Fronte di Salvezza Nazionale

lanciarono una petizione che chiedeva la destituzione di Morsi ed elezioni

anticipate, riscontrando un enorme successo. Di fronte alle manifestazioni

popolari le Forze di sicurezza cominciarono a coordinare il golpe, contattando

tutte le forze antagoniste della Fratellanza, dai giovani attivisti, ai gruppi non

islamisti, ai salafiti quietisti, nonché i quadri del vecchio regime. Il piano

presupponeva però una mobilitazione popolare. La Fratellanza non poteva

contare sulla protezione né della polizia né dell’esercito, e doveva quindi di fronte

alle manifestazioni indietreggiare, oppure attaccare, e correre così il rischio di

provocare un intervento militare.

Il resto è storia di questi giorni: le massicce manifestazioni nelle piazze hanno

dato il via al colpo di Stato che ha provocato la caduta di un governo ormai

totalmente inviso al popolo, ma anche ad una successiva serie di scontri al limite

della guerra civile che ancora non sono cessati. Svariati leader della Fratellanza

sono stati arrestati o hanno lasciato il Paese, mentre il presidente dell’Alta Corte

Costituzionale è stato nominato Capo dello Stato ad interim ed una tabella di

marcia è stata definita. La coalizione degli scontenti che ha rovesciato Morsi

appare molto eterogena: il rischio è che lo sia troppo per poter funzionare.

Page 225: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

222

CONCLUSIONI

A cosa serve la rivoluzione

se non riesce a rendere gli uomini migliori?

ANDRÈ MALRAUX

Il quadro che si è cercato di delineare, che pur senza analizzarne tutte le

declinazioni nazionali vuole fornire un’idea dei capisaldi ideologici e del modus

operandi della Fratellanza Musulmana nel mondo arabo, presenta una realtà

ancor oggi, a quasi un secolo dalla sua nascita, in dialettica con la modernità, la

democrazia, il secolarismo.

I partiti nati in seno al movimento si caratterizzano per un pragmatismo che sfuma

nell’ambiguità di fronte a tematiche così difficilmente conciliabili con la propria

ideologia islamista e quindi tendenzialmente “conservatrice”, anche se per il

pensiero occidentale è difficile (e quindi improprio) inquadrare l’islamismo

politico all’interno delle categorie del pensiero politico occidentale. Le risposte

date dal pensiero arabo-islamico sul rapporto tra democrazia ed islamismo, basate

su categorie coraniche come shurà (consultazione) e ijma’ (consenso) possono

apparire a qualcuno come artificiose, studiate per rassicurare le masse laiche e i

governi esteri, o comunque utopiche o approssimative. Tuttavia sono testimoni di

una dialettica tra tradizionalisti e innovatori ampiamente verificabile nel mondo

intellettuale musulmano, e anche in quello cosiddetto islamista, dove persino tra

coloro che sbrigativamente sarebbero etichettati come “tradizionalisti” le voci non

sono univoche.

Vi si trova chi, pur facendo i conti con la realtà contemporanea, cerca di

riproporre i valori eterni dell’Islam ricalcando l’antico esempio del Profeta e chi

ha cercato di sperimentare nuove vie, anche in condizioni di difficoltà e

persecuzione politica. Intellettuali, più che organizzazioni, usciti dalla matrice

della Fratellanza Musulmana hanno cercato di superare in diversi modi i confini

della tradizione, pur rispettandone la sostanza, o rivalutandola in modo nuovo.

Page 226: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

223

Se uomini come Muhammad Qutb, Muhammad al-Gazali, Yusuf al-Qardawi,

Muhammad Aramad al-Buti e altri (sul cui pensiero non c’è stato qui spazio di

approfondimento, ma molto noti nel mondo arabo) hanno influenzato

profondamente l’opinione pubblica contemporanea secondo un filone “ortodosso”

della Fratellanza originaria; una seconda tendenza oltrepassa questi neo-

tradizionalismi, e si esprime in personalità come quelle analizzate di Rashid

Ghannoushi, Hasan al-Turabi, ma anche negli egiziani Muhammad ‘Imara e Tariq

al-Bishi , nel discusso Tariq Ramadan e molti altri ancora.268 Intellettuali che

rifiutano fermamente il metodo, anche se non l’obiettivo (l‘islamizzazione della

società e l’instaurazione di uno Stato islamico) delle avanguardie più radicali ed

ovviamente di quelle armate se non esplicitamente terroriste. L’obiettivo va per

loro perseguito attraverso il radicamento, la cultura, la propaganda, anche

l’organizzazione politica, ma partecipativa di un sistema parlamentare

democratico, affrontando con sensibilità le tematiche della storia, della

democrazia, della riscrittura del moderno, della ricerca scientifica e anche della

reinterpretazione della legge religiosa e dei valori dell’Islam in chiave

attualizzata.

Certo gli ultimi due anni, se dapprima hanno spalancato una speranza di

democratizzazione con la caduta di regimi dittatoriali decennali sulla forza della

spinta popolare ed in particolare di masse di giovani istruiti e tecnologizzati,

hanno poi visto un’escalation di tensioni sociali e una rapida virata verso

l’islamizzazione in quegli stessi Paesi, spaventando chi in occidente abbraccia più

o meno consciamente la tesi dello “scontro di civiltà”. Ma non va mai dimenticato

che la dimensione teorica spesso si scontra con oggettivi ostacoli fattuali,

compresi leader islamisti che raramente fanno corrispondere il proprio operato

alle promesse di moderazione poste dalla loro stessa da’wa.

268 Per uno sguardo d’insieme su tutte queste “voci”, si vedano M.CAMPANINI, K.MEZRAN, Arcipelago Islam. Tradizione, riforma e militanza in età contemporanea, Editori Laterza, Bari 2007; PAOLO BRANCA, Voci dell’Islam moderno. Il pensiero arabo-musulmano fra rinnovamento e tradizione, Marietti, Genova 1997, MASSIMO CAMPANINI, Il pensiero islamico contemporaneo, il Mulino, Bologna 2009; RENZO GUOLO, Il fondamentalismo islamico, Laterza, Bari 2002.

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224

La “controrivoluzione” egiziana di queste settimane ne è un esempio calzante, e i

partiti islamisti di tutto il mondo arabo e non dovranno necessariamente fare

tesoro della “lezione” se vogliono proseguire nel loro progetto di islamizzazione

della società attraverso vie democratiche.

La “restaurazione” del potere militare al Cairo ha portato con sé un cambiamento

da non sottovalutare. Per la prima volta nella sua lunga storia, infatti, la

Fratellanza Musulmana ha perso quel largo sostegno popolare che l’aveva portata

a vincere le elezioni poco più di un anno fa. L’ampia base sociale che aveva

riposto nell’Associazione la fiducia in un cambiamento è rimasta fortemente

delusa e, fiaccata da un anno di tensioni, promesse disattese e tentativi autoritari

di Morsi, ora guarda all’esercito come garante dell’ordine, indispensabile per far

ripartire un’economia in ginocchio, colpita soprattutto nel turismo. I militari, dal

canto loro, si sono mostrati ostili a qualsiasi cambiamento che potesse minare il

loro potere. Essi, infatti, sono riusciti a creare nel tempo un vero e proprio impero

economico grazie a un sistema di corruzione e clientelismo che la “rivoluzione”

non è riuscita a smantellare. L’Esercito è una vera e propria lobby anche

economica, arroccata sui propri privilegi e chiusa a qualsiasi forma di

contrattazione e privatizzazione. Il cambio di governo non ha impedito ai militari

di mantenere il controllo sulle loro imprese; le forze armate, anzi, si sono opposte

a qualsiasi tentativo di liberalizzazione che avrebbe potuto colpire i loro affari. I

militari, inoltre, occupano i vertici dell’amministrazione pubblica, e numerosi ex

militari sono governatori regionali.

Non solo ampi strati della popolazione, ma anche i ricchi imprenditori legati al

vecchio regime, incarcerati o emigrati, hanno guardato con favore la caduta di

Morsi, mentre altri sono stati cooptati dal governo islamista attraverso sistemi

clientelari non dissimili da quelli del regime. Agli ostacoli esterni si è aggiunta

l’inesperienza al governo, un fattore determinante nel fallimento degli Ikhwan. I

Fratelli Musulmani, storicamente perseguitati in Egitto, non avevano mai

ricoperto posizioni di vertice, se non a livello sindacale. Tale incompetenza è

emersa soprattutto in relazione alla delicata situazione economica, segnata da un

Page 228: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

225

debito record e spese esorbitanti per le sovvenzioni al settore agroalimentare e

petrolifero.

A questi problemi interni va aggiunta la mutata congiuntura internazionale.

Innanzitutto, a causa dei disordini entro i confini egiziani, la tensione in Sinai è

sempre più alta, e numerosi sono stati gli attacchi terroristici e le violenze, in una

situazione di anarchia e caos che consente a gruppi legati ad al-Jihad di

organizzarsi e guadagnare terreno, preoccupando Israele ( senza per altro che il

governo Morsi abbia fatto a sufficienza per arginare le derive violente della

regione, probabilmente a causa dei rapporti con gli stessi gruppi radicali). Anche

le ricche monarchie del Golfo, escluso il Qatar, hanno visto con favore la

destituzione di Morsi, poiché i Fratelli Musulmani, che hanno vinto in Yemen e

che si oppongono alla monarchia in Giordania, costituiscono una vera spina nel

fianco soprattutto per Riyad. E non è un caso, infatti, che il nuovo governo sia

sostenuto proprio da Arabia Saudita, Giordania e Israele. Su tutto ciò, inoltre,

incombe l’ombra di un intervento armato in Siria che potrebbe destabilizzare

ulteriormente il fragile equilibrio mediorientale.

Tutte queste concause (ed altre ancora se ne potrebbero probabilmente

individuare) hanno portato al fallimento dei Fratelli Musulmani egiziani al primo

incarico di governo.

Sarebbe difficile ed inappropriato soppesare colpe e responsabilità alla luce di una

situazione quanto mai intricata e in cui l’operato sia del governo sia dell’esercito,

ma anche della comunità internazionale e degli Stati che all’evoluzione egiziana

hanno guardato con divergenti interessi, è stato fallimentare quantomeno nei

risultati. Se appare scontata la condanna delle violazioni dei diritti umani e delle

violenze da ambo le parti, ciò non toglie la necessità di analizzare le motivazioni

che rendono oggi l’Egitto un Paese spaccato: da un lato i sostenitori islamisti di

un governo legittimamente eletto e deposto da un golpe militare (a cui accostare

un qualsivoglia aggettivo non servirà ad eleminare la natura di colpo di Stato);

dall’altro una larghissima fetta di società civile che, a pochi mesi dalle suddette

elezioni, saluta con entusiasmo l’intervento delle forze armate e il ripristino di uno

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226

status quo che pure appare molto lontano dalle speranze espresse dalla rivoluzione

di piazza Tahrir di due anni orsono.

Quel che appare evidente è che i Fratelli Musulmani egiziani abbiano perso una

grande occasione dopo decenni passati a costruire una legittimità politica che

consentisse loro di sviluppare il proprio progetto di Stato islamico. Forse i timori

di chi aveva sempre sottolineato le ambiguità del messaggio mediatico ikhwan si

sono rivelati fondati, e davvero la moderazione mostrata nella loro storia recente

altro non era che un grande bluff per rassicurare le altre forze politiche, salvo poi

svelare la propria natura ideologicamente intransigente una volta conquistato il

potere. O forse il giro di vite e l’accentramento del potere avviato da Morsi con la

destituzione degli altri gradi dell’esercito e della magistratura rappresentavano

nelle intenzioni del Presidente un passaggio temporaneo e necessario, uno “stato

di eccezione” volto ad eliminare quei quadri istituzionali verosimilmente collusi

con un regime di durata decennale. Quel che è certo è che l’islamizzazione varata

da Morsi ha inimicato alla Fratellanza buona parte delle masse popolari, ed

altrettanto evidente è come l’establishment della Fratellanza si sia dimostrato

incapace di affrontare l’impegno governativo, anche a causa della difficile

congiuntura economica attraversata dal Paese e dall’economia internazionale

tutta. Anche tralasciando momentaneamente le valutazioni sull’applicazione della

shari’a, che pure ha scontentato e allarmato buona parte della società civile (ma

che era sostanzialmente “in programma” o se non altro “prevedibile” vista la

natura islamista del partito vincitore delle elezioni), il governo Morsi non è stato

in grado di dare risposte alle reali preoccupazioni della popolazione egiziana,

legate a questioni assolutamente secolari. In questo senso la Fratellanza ha

manifestato i sintomi (o le caratteristiche) di un movimento che si fa partito di

governo: da oltre ottant’anni all’opposizione, pur essendosi dati

un’organizzazione pienamente istituzionalizzata, i Fratelli sono rimasti

sostanzialmente un “movimento di opposizione”, capace di svolgere con la

propria critica moralizzante un ruolo contro-egemonico importante, ma senza

abbracciare quel novero di idee e conoscenze che potesse farne una guida di

governo credibile in una fase storica così delicata.

Page 230: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

227

Non va ovviamente dimenticato che si trattava della prima esperienza di questo

tipo e il suo fallimento non rappresenta una risposta definitiva alla possibilità tout

court per un partito islamista di formare un governo stabile, tantomeno una

risposta all’eterno quesito sulla compatibilità tra Islam e democrazia. Rimane da

verificare se altre occasioni si presenteranno, dato il tragico epilogo della

“primavera araba” egiziana, le non meno preoccupanti tensioni in tutto il mondo

arabo che ha visto trionfare partiti islamisti in seguito alle rivolte generalizzate del

2011, e non ultima la tremenda repressione di Erdogan sui manifestanti turchi, che

hanno mostrato il volto peggiore dei partiti islamisti al potere.

Sarebbe d’altronde come precedentemente accennato ingeneroso e scorretto

mischiare pensiero e prassi politica, a maggior ragione in un’area geopolitica

afflitta da decenni di dittatura, clientelismo e ingerenze internazionali, governata

dai poteri forti e come tale ancora bisognosa di metabolizzare il concetto stesso di

democrazia per trovare una propria via, non necessariamente “all’occidentale” ma

rispettosa dei diritti dei cittadini, al confronto democratico.

In quest’ottica lo scontro tra l’establishment della Fratellanza e i militari può

essere letto in primo luogo come uno scontro di potere, e non un repentino

“autunno” su tutto quel che le “primavere arabe” hanno mostrato. Gli egiziani

scesi in piazza a meno di due anni distanza non sono solo nostalgici dell’ex

regime ad esso legati da qualche rapporto clientelare, sono anzi in buona parte gli

stessi che hanno sollevato Mubarak e non hanno trovato soddisfazione nel nuovo

governo islamico pur democraticamente eletto. L’esercito ha trovato nel

malcontento popolare la “legittimazione” per un golpe che ha ripristinato la sua

posizione di forza, in un’evoluzione che, quale sia la propria posizione sui partiti

islamisti, non si può di certo salutare come “democratica”. Dall’altra parte, la

condanna delle violenze dell’esercito e il rammarico per il significato stesso di

quella che appare come una contro-rivoluzione, non può e non deve portare a

sottovalutare la spinta popolare che ne ha sostenuto e ne sostiene l’operato,

nonostante la violentissima repressione contro i propri connazionali. E’ ora

difficile fare previsioni su quello che può essere il futuro dell’Egitto, un Paese

diviso tra sostenitori di Morsi (che chiedono “dov’è finito il mio voto?”) e

Page 231: Il pensiero politico islamico: i Fratelli Musulmani nel Mondo Arabo

228

sostenitori del comandante in capo delle Forze armate, el-Sisi (addirittura

mitizzato, stando alle testimonianze riportate dai media), in un’escalation di

violenze reciproche che ha visto traslare lo scontro su un piano religioso,

radicalizzandolo. A farne le spese non può che essere la società civile, siano essi i

cristiano copti, vittime di feroci attentati islamici nelle ultime settimane; siano gli

stessi simpatizzanti islamisti, rastrellati, incarcerati e condannati a centinaia al pari

dei leader politici e le cui aspettative sono state comunque deluse; siano le masse

di “laici” che hanno scelto in gran parte il “male minore” al-Sisi, ma certo

speravano in ben altri seguiti dopo la caduta di Mubarak (frattanto scarcerato e in

attesa di processo) e che certo non vedono in questa situazione al limite della

guerra civile un aiuto per il miglioramento delle proprie condizioni socio-

economiche.

Il futuro legale della stessa Fratellanza egiziana è a rischio, con il nuovo governo

che discute se mettere o meno al bando l’organizzazione: una soluzione che

rappresenterebbe un altro schiaffo alla democrazia ma che soprattutto rischierebbe

di radicalizzare ulteriormente lo scontro, incoraggiando la frangia violenta del

movimento, mai del tutto sopita anche quando la leadership ha seguito vie

politiche moderate ed ora “legittimata” nel suo operato oltranzista dalla nuova

ondata repressiva.

Quanto all’Egitto, con o senza Fratellanza il futuro appare oggi quanto mai

nebuloso. L’instabilità politica e gli scontri di piazza hanno pesantemente

intaccato le attività economiche presenti nel Paese e fatto fuggire capitali esteri e

turisti, essenziali per la ripresa. Il presidente della Repubblica Mansour ha

assicurato che ci saranno nuove elezioni in tempi brevi, tuttavia la concentrazione

di poteri nelle mani di el-Sisi costituisce un pericolo per il percorso democratico

del Paese. La crisi economica, l’instabilità interna e il delicato quadro geopolitico

della regione saranno dunque fattori cruciali di una situazione che tuttavia dovrà

in un modo o nell’altro tenere ancora conto dell’islamismo politico e dei suoi

esponenti.

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RINGRAZIAMENTI

Desidero ringraziare innanzitutto il Prof. Pezzimenti, relatore di questa tesi, per la

grande disponibilità e cortesia dimostratemi, per la fiducia accordatami e per tutto

l’aiuto fornito durante la stesura.

Ringrazio i docenti, gli assistenti, l’intero personale ed in particolare gli addetti

alla segreteria della Lumsa, che hanno prestato attenzione ad ogni mia esigenza

negli ultimi due anni.

Ringrazio infine familiari, parenti e amici che hanno accompagnato gli anni di

studi di cui questa tesi è corollario finale, supportandomi economicamente e

psicologicamente e arricchendo immensamente questo percorso con la loro

presenza.