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Discipline Filosofiche, 1994, 1: 239-274

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RAPPRESENTARE E GIUDICARE. Sull'origine e il ruolo della dottrina degli oggetti intenzionali nella psicologia di Franz Brentano di Riccardo Martinelli (Università di Firenze)

Die Methode verlangt, daß man vom Einfa-cheren zum Komplizierteren fortschreite. Auch winkt der Arbeit hier der reichste Lohn, da jeder Fortschritt in der Erkenntnis des Elementarsten, selbst wenn klein und unscheinbar in sich, seiner Kraft nach im-mer ganz unverhältnismäßig groß sein wird.

F. Brentano 1. La rappresentazione e gli oggetti intenzionali La figura di Franz Brentano che emerge dalla critica filosofica anche specialistica è tuttora vigorosamente ancorata al concetto di intenzionalità: mutuato il termine in questione dal lessico to-mista, egli lo avrebbe rielaborato ad uso della psicologia teore-tica della fine del secolo scorso, rendendolo finalmente disponi-bile – previa radicale e profonda riforma – per la fenomenologia di Husserl. La persistenza di quest’immagine si spiega forse a partire dal fatto che l’interesse critico nei confronti di Brentano risulta spesso mediato da quello per i filosofi che sono in qualche modo riferibili alla sua scuola: in primo luogo Husserl, ma anche Meinong, von Ehrenfels, Twardowski, Marty, e altri ancora.

Una prima ricognizione sulla questione mostra tuttavia che il termine «intenzionalità» – come tale – è del tutto assente dal lessico di Brentano. Egli si riferisce invece, in alcuni passaggi tra i più citati della sua opera, all’in-esistenza intenzionale che compete ai fenomeni di natura psichica. Essi sono caratterizzati dal «contenere» in sé qualche cosa, o meglio, dall’avere sempre

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qualcosa come oggetto. Non v’è possibile attività mentale priva di un simile termine di riferimento:

Nella rappresentazione qualcosa viene rappresentato, nel giudizio qualcosa viene affermato o negato (anerkannt oder verworfen), nell’amore amato, nell’odio odiato, nel deside-rio desiderato, e così via. [PsI, p. 125]

Questo quid cui gli atti psichici sono rivolti e che Brentano chiama oggetto intenzionale costituisce il problema che informa tutte le seguenti considerazioni, animate dal tentativo di giungere a una chiarificazione che tenga conto dell’effettivo utilizzo di questa dottrina nel quadro complessivo della psico-logia di Brentano.

Nello spirito del motto brentaniano posto in epigrafe, il pro-blema verrà affrontato a partire dall’unità più semplice che è lecito rilevare nel campo dei fenomeni psichici, unità che senz’alcuna esitazione va indicata nella rappresentazione. L’importanza di questo concetto nella psicologia di Brentano è fuori discussione. Le attività psichiche appartenenti alle tre grandi classi che risultano dalla sua ben nota classificazione – e cioè le rappresentazioni, i giudizi e le emozioni – non si di-spongono affatto sullo stesso piano, quasi che tra le rappresen-tazioni da un lato, e le attività giudicative ed emotive dall’altro, non vi fosse che un rapporto di semplice coordinazione. Al contrario, Brentano ritiene che per poter affermare o desiderare, negare od odiare alcunché, occorra innanzi tutto rendere la cosa in questione oggetto di una rappresentazione:

Nulla può venire giudicato, ma neppure desiderato, sperato o temuto, se non viene rappresentato. [PsI, p. 112]

Gli oggetti intenzionali sono quindi, in una prima e decisiva ac-cezione, gli oggetti delle rappresentazioni; solo in un secondo momento, questi possono poi divenire oggetto di una relazione giudicativa (o emozionale) da parte del soggetto. Il nesso for-mato dall’atto di rappresentazione e dall’oggetto intenzionale che le corrisponde risulta così l’unità minima con cui la scienza psicologica deve misurarsi, l’elemento necessariamente pre-supposto a qualsivoglia ulteriore attività mentale più elaborata. Si può dunque affermare che la rappresentazione svolga nella

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dottrina di Brentano il fondamentale ruolo di un vero e proprio principio d’ordine della complessità della vita psichica. Di conseguenza, l’indagine sul tema degli oggetti intenzionali che ci proponiamo di effettuare deve concedere un’attenzione parti-colare e preliminare alla questione della natura degli oggetti della rappresentazione.

Nonostante la riduzione operata, che pure sgombra notevol-mente il campo, il problema si presenta ancora assai complesso. Va tenuto presente che Brentano inizia la propria attività di filo-sofo e psicologo in un’epoca che assiste a un fenomeno destinato a notevoli ripercussioni sul piano dei problemi men-zionati, e cioè la nascita e la progressiva affermazione della moderna psicologia scientifica. La cultura filosofica non può rimanere indifferente di fronte a questo evento, che rischia di sottrarle un dominio – quello della riflessione sulla mente – che pareva resistere con tenacia alla colonizzazione da parte del metodo scientifico. Non a caso filosofia e psicologia inabitano la medesima scuola, la medesima cattedra, la medesima perso-nalità scientifica, spesso in un viluppo semantico oggi difficil-mente comprensibile; non a caso si assiste al proliferare di distinzioni (psicologia descrittiva versus genetica) e di nuove discipline (fenomenologia, teoria dell’oggetto) il cui compito è proprio quello di garantire alla riflessione filosofica sullo psi-chico una collocazione il cui senso rischia di divenire proble-matico. È in questa cornice che va collocata e compresa la questione proposta. Brentano si sforza di concepire una psico-logia descrittiva certo non appiattita sul versante fisiologico (come quella che egli chiama la psicologia genetica), e tuttavia di carattere esplicitamente scientifico; egli ritiene, anzi, che la sola psicologia descrittiva possa innalzarsi al rango di una vera e propria disciplina scientifica. Il suo utilizzo del concetto di rappresentazione è significativo a tale proposito perché gli con-sente di ricondurre la vita psichica a unità elementari, la cui origine ultima dev’essere indicata nell’attività di sensazione. L’applicabilità di principio del metodo analitico, proprio delle discipline scientifiche, risulta in tal modo garantita anche nel campo degli elementi puramente psicologici che formano l’oggetto della psicologia descrittiva.

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Alla luce di questo ambizioso tentativo, non è affatto sor-prendente la peculiare rispondenza che s’instaura tra la conce-zione psicologica di Brentano e quella di Aristotele. In partico-lare, alcuni tratti fondamentali della dottrina degli oggetti inten-zionali sono riscontrabili – ben prima della pur importante me-diazione scolastica – già nel De Anima, testo cui il giovane Brentano dedica un attento e denso saggio. Una ricognizione sulla concezione aristotelica e sull’interpretazione datane da Brentano, con particolare riguardo al tema della sensibilità, costituisce dunque il punto di partenza delle seguenti conside-razioni (2). Si tratterà quindi di stabilire il concetto di oggetto intenzionale della rappresentazione di specie sensibile (3) e noetica (4), per risalire progressivamente ai gradi più elevati della sfera psichica, e in special modo al giudizio (5). Conclu-sivamente si dovrà affrontare una questione critica (6), concer-nente il significato e la portata dell’evoluzione della dottrina brentaniana in esame.

Secondo i parametri dell’interpretazione «ontologica» del problema, Brentano avrebbe dapprima ammesso che gli oggetti del pensiero godano di una forma del tutto particolare di esi-stenza, appunto detta in-esistenza intenzionale. Successivamen-te, resosi conto delle difficoltà di tale posizione, egli avrebbe ricusato questa tesi per abbracciare il punto di vista reista, secondo cui il pensiero può invece avere come oggetto esclusi-vamente enti reali1. Rispetto a questa linea interpretativa, la presente ricerca mette capo a conclusioni di segno opposto. La

1. Per una rassegna delle tendenze interpretative, cfr. R. RICHARDSON, «Brentano on Intentional Inexistence and the Distinction between Mental and Physical Phenomena», Archiv für Geschichte der Philosophie LXV, 1982, pp. 250-282. Quanto all’interpretazione «ontologica», cfr. i lavori di R. M. CHISHOLM, e soprattutto «Brentano on Descriptive Psychology and the Intentional», in E. N. LEE and M. MANDELBAUM (eds.) Phenomenology and Existentialism, Baltimore, 1967, pp. 1-23. Chisholm ritiene che l’in-esistenza intenzionale esprima sia una tesi psicologica (il riferimento ad un oggetto), sia una tesi ontologica per cui tale oggetto gode di una forma distinta di essere: «as soon as a man starts to think about a unicorn, there comes into being an actual contemplated unicorn» (p. 9). Questo secondo aspetto (quello che Brentano avrebbe più tardi ricusato) è impugnato da L. MC ALISTER «Chisholm and Brentano on Intentionality», The Review of Metaphysics XXVIII, 1974, pp. 328-338.

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dottrina degli oggetti intenzionali non esprime infatti – ci sem-bra – una tesi di carattere ontologico, bensì una concezione psi-cologica cui Brentano si attiene anche nella fase più matura della sua filosofia, che si configura dunque come uno sviluppo ulteriore degli assunti fondamentali della prima maniera.

2. Brentano e il De Anima di Aristotele Una delle considerazioni metodologiche che Aristotele antepo-ne alla trattazione particolareggiata delle diverse facoltà dell’anima riveste un’importanza del tutto particolare ai nostri fini. Risolvendo una delle aporie enumerate in apertura del trattato [A 402b 9-16] egli precisa che, essendo l’atto logica-mente anteriore alla potenza, l’esame di ciascuna facoltà in potenza (dÚnamij) dev’essere preceduto da quello della corri-spondente attività (1n2rgeia, pr©xij). Per la stessa ragione, inoltre, occorre che l’analisi muova innanzi tutto dagli oggetti (¢ntike#mena) cui le facoltà in atto sono dirette:

Ma se questo è vero, ancor prima che le attività si devono prendere in considerazione gli oggetti correlativi, poiché è di questi anzitutto, e per lo stesso motivo, che si deve trattare, ossia dell’alimento, del sensibile e dell’intelligibile. [415 a 20-22]2

L’orientamento metodologico delineato, il cui fine ultimo è quello di esautorare la celebre partizione platonica della psiche, prevede dunque che le distinzioni essenziali vengano operate a partire dalle diverse specie di oggetti (trof», a"jsqhtÒn,nohtÒn) cui l’anima è rivolta quando le corrispondenti facoltà (vegetativa, sensibile, intellettiva) passano dalla potenza all’atto. Questo aspetto dell’impostazione di Aristotele diviene immediatamente e concretamente operativo in relazione alla questione della sensibilità, posta e risolta proprio a partire dalle diverse specie di oggetti sensibili.

2. La traduzione che utilizziamo è quella curata da G. Movia in Aristotele,

L’anima, Napoli, 1979, p. 145.

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Tra questi, occorre distinguere in primo luogo oggetti sensi-bili propri e comuni (complessivamente detti sensibili per sé) e oggetti sensibili accidentali [418a 7-25]. Propri si dicono gli oggetti specifici di ciascuno dei cinque sensi esterni, come il colore per la vista, il suono per l’udito, e così via; comuni sono invece quei sensibili che possono venir afferrati da più d’uno dei cinque sensi, come accade per la figura, la grandezza, il movimento e il numero. Sensibile accidentale è detto infine tutto ciò che viene colto obliquamente, come le sostanze indi-viduali: ad esempio «il figlio di Diare» che, in quanto bianco, viene colto indirettamente da chi vede (propriamente) il bianco3. Individuati in tal modo gli elementi fondamentali sui quali operare, Aristotele può ora affrontare le difficoltà – e sono numerose – che rimangono irrisolte. Tralasciando le questioni relative a ciascun singolo senso [Β 7-11], occorre soffermarsi particolarmente sulle due questioni che inaugurano l’analisi svolta nel libro terzo [Γ 1-2].

In primo luogo, Aristotele pone la questione di un principio coordinatore delle attività dei diversi sensi [Γ 1, 425 a14-b4]. Egli argomenta a partire dal problema posto dalla percezione dei sensibili comuni: non è certo possibile ammettere un senso speciale, accanto ai cinque consueti, che sia deputato ad assol-vere a tale funzione. Inoltre, si chiede Aristotele, quale senso è responsabile dell’elementare distinzione tra due sensibili propri appartenenti a differenti ambiti sensibili, come ad esempio tra il bianco e il dolce? Né la vista né il gusto possono essere chia-mati in causa a tale proposito, essendo essi esclusivamente pre-

3. Cfr. B 6, 418a 7-25. Sulla distinzione tra i sensibili, cfr. soprattutto D.W.

HAMLYN «Aristotle’s Account of Aesthesis in the De Anima», Classical Quarterly LIII, 1959, pp. 6-16; R. SORABJI «Aristotle on Demarcating the Five Senses», The Philosophical Review LXXX, 1971, pp 55-79; A. GRAESER «On Aristotle’s Framework of Sensibilia», in LLOYD, G.E.R. and OWEN, G.E.L. (eds.) Aristotle on Mind and the Senses, Cambridge, 1978, pp. 69-97. Il curioso uso del patronimico (cfr. anche 425a 25: «il figlio di Cleone») per i sensibili accidentali potrebbe riferirsi ad una dottrina, altrove meglio sviluppata, della percezione predicativa. Cfr. S. CASHDOLLAR «Aristotle’s Account of Incidental Perception», Phronesis XVIII, 1973, pp. 156-175; part. 168, n. 24; I. BLOCK, «Aristotle and the Physical Object», Philosophy and Phenomenological Research XXI, 1960, pp. 93-101, part. pp. 95-96.

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posti a distinguere (in guisa di medietas o proporzione tra gli estremi [424a 2-5; 426 a27-b7]), rispettivamente tra bianco e nero e tra dolce e amaro – e dunque tra diversi gradi di una medesima qualità. A partire da queste considerazioni Aristotele giunge ad ammettere la presenza di un senso comune (koin¾a%sqhsij, 425a 27) che si configura come un principio unifica-tore delle facoltà sensitive speciali, responsabile – come testi-moniano diversi luoghi dei Parva naturalia – della soluzione di numerosi problemi specifici4 .

Accanto a tale istanza troviamo un problema che dà luogo ad analoghe difficoltà, vale a dire quello della sinestesi o appercezione sensibile. L’argomento è fondato sulla constata-zione che colui che sente è al tempo stesso anche consapevole del proprio sentire [Γ 2, 425b12- 426a26]. Sorge qui nuova-mente il problema di determinare quale sia il senso responsabile di tale peculiare attività, ad esempio della consapevolezza del vedere: si tratta della vista o di un ulteriore senso? Se si tratta della vista, essa avrà come oggetto se stessa; in questo caso si potrebbe però obiettare che la vista stessa dovrebbe essere colorata dato che, come sappiamo, il suo oggetto proprio è il colore. Se invece è un senso ulteriore, il colore dovrebbe essere oggetto proprio di due diversi sensi5 – per tacere del fatto che si aprirebbe con ciò la strada a un regresso in infinitum. L’esito antinomico sembra dunque inevitabile, dato che uno stesso senso (qualunque esso sia) dovrebbe poter avvertire la vista, e con essa il colore.

4. Cfr. ad esempio De sensu 449a 5-20; De Mem. 1, 450a 9-12. Sul tema

classico del sensus communis cfr. D.W. HAMLYN «Koinê Aisthêsis», The Monist LII, 1968, pp. 195-200.

5. Sul fatto che l’ulteriore senso dovrebbe cogliere anche il colore per cogliere la vista, si veda il commento di Tommaso d’Aquino, In Ar. librum de anima...: «Dicere vero, quod ille alter sensus, quo quis sentit se videre, non sentiat colorem, est omnino irrationabile: quia si non cognosceret colorem, non posset cognoscere quid esset videre, cum videre nihil aliud sit, quam sentire colorem» [Liber III, Lectio II, § 585]. Sull’incompletezza dell’ar-gomento in generale stando al solo De Anima, nonché sulla connessione tra le due aporie qui presentate separatamente, cfr. Ch. K. KAHN «Sensation and Consciousness in Aristotle’s Psychology», Archiv für Geschichte der Philosophie XXXXVIII, 1966, pp. 43-81, in part. pp. 54-57.

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La soluzione della difficoltà che viene offerta nel De Anima è incentrata sulla duplice distinzione tra potenza e atto della sensazione e dell’oggetto sensibile. Il colore può essere in atto o in potenza, e così pure la sensazione visiva, ma quando entrambi sono in atto si realizza una completa unità tra la sen-sazione e il suo oggetto. La vista può allora cogliere se stessa in atto, perché tra sensazione e oggetto sensibile non vi è distin-zione, anche se da questa circostanza non è affatto lecito dedur-re che il colore non esista altro che nella vista, come pure alcuni tra i fisiologi precedenti hanno ritenuto6: la sola attività del soggetto senziente non è infatti in alcun modo sufficiente ad attualizzare la potenza dell’oggetto. Le difficoltà, osserva Ari-stotele, sono in parte di natura linguistica. Mentre per il senso uditivo possediamo due termini specifici che denotano l’atto del senso e quello del sensibile (audizione e risonanza, ¥kousij e yÒfhsij [426 a12]), nel caso della vista manca un termine inteso a designare l’atto del colore – ciò che potremmo forse definire come «il rilucere» del colore in potenza. Ad ogni modo, il colore non viene affatto attualizzato (fatto «rilucere») dall’attività visiva del soggetto; ciò richiede invece condizioni supplementari costituite da una serie di eventi (in primo luogo, la luce e un mezzo diafano) che, nel caso del sensibile, sono esterni ed estranei all’attività del senziente7.

6. È questa, ad esempio, la teoria protagorea discussa nel Teeteto platonico [X, 153d-154b; XII 155b-e]. È opportuno ricordare che la soluzione aristotelica qui illustrata appare in contrasto con quanto si evince da De Somn. 455a 12-22, dove si afferma esplicitamente che non è con la vista, ma col senso comune, che si avverte di vedere. Stando a questo passo, il senso comune risulta ancora una volta l’elemento determinante, al punto da as-sorbire la stessa attività sinestetica. Si vedrà come anche nell’interpretazione di Brentano senso comune e attività sinestetica tendano a convergere. Tut-tavia, al contrario di quanto vale per Aristotele, agli occhi di Brentano è il senso interno che finisce con l’assorbire tutte le molteplici funzioni del senso comune, prefigurando per molti versi il ruolo della vera e propria «percezione interna».

7. Anche gli oggetti dell’attività noetica coincidono, in quanto in atto, con la facoltà che è loro relativa [Γ 7, 431b17]. In questo caso, però, il principio che pone in atto l’oggetto non può essere di natura fisica, e pertanto Aristotele riserva questo ruolo al noàjpoihtikÒj che agisce «come la luce, poiché in un certo senso anche la luce rende i colori in potenza colori in atto» [Γ 5, 430a 15-17]. Di quest’analogia è significativamente ben consapevole anche

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La corrispondenza tra l’attività sensibile e il suo oggetto in atto è resa possibile dalla peculiare attività di cui l’organismo animato è capace. Essa può essere proficuamente esemplificata a partire dalla facoltà dell’anima più elementare, quella vegeta-tivo-nutritiva:

C’è però una differenza se diciamo alimento ciò che si ag-giunge al corpo nel suo stato ultimo, oppure in quello origi-nario. Se entrambi sono alimento, ma l’uno è elaborato e l’altro no, si potrà parlare di alimento secondo entrambe le teorie. In quanto non è elaborato, si può dire infatti che il contrario si nutre del contrario; in quanto è elaborato, si può dire che il simile si nutre del simile. [416b 3-7]

In questo passaggio è del tutto evidente l’attività di trasforma-zione che rende l’oggetto – nella fattispecie, l’alimento – simile all’essere animato che se ne nutre, elaborandolo ed assimilan-dolo. In maniera analoga dev’essere pure inteso il funzionamen-to della facoltà sensibile, con la sola differenza che quest’ultima, ovviamente, riceve solo la forma dell’oggetto, senza la materia [Β 12, 424a 17-19]. Per il tramite del momento mediatore dell’immaginazione (fantas#a), la sensazione costi-tuisce poi la condizione necessaria della superiore facoltà intellettiva, dal momento che è nella sensazione che le forme vengono originariamente recepite [G 8, 432a 3-10].

Parecchi dei caratteri fin qui individuati sono sostanzial-mente condivisi dalla psicologia di Brentano8. L’eredità di

Brentano [PA, pp. 153, 168], che si mostra fin da principio poco disponibile a una netta separazione metodologica nella trattazione delle due facoltà superiori dell’anima.

8. Cfr. R. SORABJI, «Body and Soul in Aristotle», Philosophy IL, 1974, pp. 63-89, il quale ritiene tuttavia che, dopo una fase di effettivo allineamento con la dottrina aristotelica, Brentano abbia abbracciato una concezione radicalmente diversa, secondo la quale l’oggetto del pensiero in-esiste intenzionalmente nella psiche, senza che sia più necessaria la sua esistenza reale nel mondo esterno (p. 73). È un fatto che Brentano svincoli la rappresentazione dalla necessità della contemporanea presenza dello stimolo esterno; ciò non è comunque sufficiente a giustificare l’interpretazione «ontologica» della sua dottrina successiva. Cfr. S. BESOLI, «La formazione aristotelica del pensiero di Franz Brentano», pp. IX-XXXI in PA, part. pp. XVI-XVIII, dove il medesimo argomento torna a sostegno della tesi di una sostanziale continuità nel pensiero di Brentano.

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Aristotele si riscontra soprattutto negli elementi fondamentali della scienza dell’anima, in quegli ¢ntike#mena cui corrispon-dono, in Brentano, gli oggetti intenzionali della rappresenta-zione. Corrispondentemente, l’utilizzo brentaniano dei termini Objekt e Gegenstand è sempre volto a designare il correlato interno dell’atto, e mai le cose del mondo fisico: si tratta di og-getti in quanto già «elaborati» per il tramite della sensazione, e resi in definitiva sostanza psichica essi stessi. A dispetto delle notevoli differenze tra i due sistemi (soprattutto relative al ruolo dell’immaginazione), Brentano resterà sempre fedele al principio per cui le rappresentazioni noetiche o astratte debbono fondarsi sulle rappresentazioni sensibili (o sensazioni, Empfindungen); egli utilizza inoltre espressamente la distinzio-ne tra sensibili propri e comuni, a dispetto del fatto che la sua soluzione del problema del movimento (uno dei gemeinsame Sinnesobjekte) diverga notevolmente da quella aristotelica.

Nel rispondere ad alcune critiche che ritiene frutto di grosso-lani fraintendimenti circa la sua concezione degli oggetti inten-zionali, Brentano avrà modo di affermare quanto segue, in una celebre lettera a Marty:

Quando Aristotele dice che l’a"sqhtÕn1nerge#v [sensibile in atto] è nel senziente, anch’egli parla di ciò che Lei chiama semplicemente «oggetto», ma che io (proprio a causa di questo «in» che si è soliti adoperare) mi sono permesso di chiamare «oggetto immanente», intendendo con ciò non che esso sia, ma che esso sia un oggetto, anche senza che qual-cosa di esterno gli corrisponda. Che esso sia un oggetto, è però il correlato linguistico del fatto che il senziente lo ha come oggetto, in altre parole, che egli se lo rappresenta sen-sibilmente (er es empfindend vorstelle). [WE, p. 88]

Il riferimento alla dottrina del De Anima non potrebbe essere più esplicito. L’oggetto sensibile in atto non «è» ma «è oggetto» della corrispondente rappresentazione: in tal modo, Brentano mostra di voler sottrarre la propria psicologia a quelle pregiudi-ziali ontologiche relative al modo d’essere dell’¢ntike#menon che sembrano invece in un primo momento entrare in gioco con

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l’espressione «in-esistenza intenzionale» e con il rimando alle interpretazioni scolastiche9.

Ovviamente, l’individuazione di questa filiazione non esau-risce per intero il quadro della psicologia brentaniana. Già il saggio del 1867 dal titolo La psicologia di Aristotele mostra una tendenza centrifuga rispetto all’impostazione aristotelica, e difatti l’interpretazione della questione della sensibilità ivi pro-posta da Brentano è, per così dire, la più «forte» pensabile. Egli ritiene infatti di poter ricomprendere tutte le principali questioni relative alla sensazione con l’ausilio di due soli elementi: i sensibili propri e il senso interno. Rispetto al De Anima, quest’ultimo vede però assai diversamente precisata la dinamica del proprio funzionamento:

Se ora ci chiediamo quale sia l’oggetto proprio di questo senso, risulta evidente che come tale dobbiamo designare la nostra sensazione. [PA, p. 104]

In grazia di questa caratterizzazione, il senso interno può as-sorbire le funzioni dell’aristotelico sensus communis, concor-rendo a risolvere il problema della coordinazione tra le diverse attività sensibili proprie:

suo oggetto proprio sono unicamente le sensazioni, così co-me i colori sono l’oggetto proprio della vista, ma percepen-do di vedere il bianco e di gustare il dolce, e distinguendo queste sensazioni, esso allo stesso tempo ci insegna a cono-scere l’analoga differenza tra il bianco e il dolce stessi. [PA, p. 104-105]

Il medesimo meccanismo analogico rende inoltre possibile l’unità figurale di ciò che viene testimoniato dalla vista e dal

9. Ad ogni modo, neppure il riferimento alla dottrina scolastica sembra avvalorare di necessità l’interpretazione «ontologica» dell’in-esistenza inten-zionale. Cfr. A. MARRAS, «Scholastic Roots of Brentano’s Conception of In-tentionality», in MC ALISTER (ed.), The Philosophy of F. Brentano, London, 1976, pp. 128-139: «As the Scholastics put it, the form of the object exists in the subject as an attribute or modification of the subject (sicut accidens in subiecto)» (p. 131). Sul fatto che gli elementi di base su cui opera la psicologia di Brentano siano di origine aristotelica pare concordare F. VOLPI, che pure ha insistito molto sulla distanza che separa le due concezioni. Cfr. «War Brentano ein Aristoteliker? Zu Brentanos und Aristoteles’ Auffassung der Psychologie», Brentano-Studien II, 1989, pp. 13-29, part. p. 26.

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tatto, e spiega come due qualità, ad esempio il rosso e il caldo, possano inerire allo stesso soggetto. Risulta abbastanza eviden-te, dunque, l’enorme importanza che il senso interno riveste nella scienza, nell’arte e nella vita pratica, dato che «persino il movimento più semplice» risulterebbe impossibile senza questo senso supremo che coordina i diversi sensi speciali [PA, 106-107]. La soluzione di Brentano eccede sicuramente i limiti di un’esegesi puntuale del testo aristotelico; ad ogni modo, egli ha individuato nel senso interno un elemento sostanzialmente nuovo di grande rilevanza teorica.

Questo risultato verrà messo pienamente a frutto alcuni anni più tardi, nella Psicologia dal punto di vista empirico del 1874. In quest’opera Brentano sviluppa una dottrina nella quale con-fluiscono elementi di varia provenienza, tra cui spiccano per importanza quelli di matrice cartesiana. È qui che si compie, in-nanzi tutto, l’innesto del tema dell’evidenza su quello del senso interno, il cui terreno d’applicazione si estende peraltro ben al di là dell’originaria sfera sensibile, giungendo ad abbracciare l’intero dominio dello psichico. Si configura così una forma distinta dell’Anschauung, chiamata percezione interna (innere Wahrnehmung), che è in grado di cogliere direttamente gli atti psichici stessi, di qualunque natura essi siano, e che costituisce dunque la peculiare forma d’esperienza che rende possibile la psicologia come scienza dei fenomeni psichici. I fatti di cui la percezione interna reca testimonianza sono afferrati nella loro immediata evidenza: se si avverte di udire un suono, ad esem-pio, tale avvertire è provato oltre ogni iperbolico dubbio, qua-lunque sia la situazione delle onde sonore nell’aria circo-stante10. Dal punto di vista epistemologico la percezione interna

10. In effetti, la percezione interna consta di due momenti distinti: in primo

luogo vi è un rappresentare che ha come oggetti tutti gli atti psichici (è infatti escluso che ve ne siano di inconsci), e vi è un giudicare con evidenza: «Mit jedem psychischen Akte ist daher ein doppeltes inneres Bewußtsein verbunden: eine darauf bezügliche Vorstellung und ein darauf bezügliches Urteil, die sogenannte innere Wahrnehmung, welche eine unmittelbare, evidente Erkenntnis des Aktes ist» [PsI, p. 203]. L’osservazione è interessante in relazione alla tesi per cui la rappresentazione è il principio d’ordine delle manifestazioni della coscienza: come si vede Brentano non rinuncia mai, neppure nell’ambito coscienza interna immediata, a distinguere i due momenti

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gode allora di un indubbio primato: sull’evidenza che la con-traddistingue Brentano ritiene di poter fondare tanto la psico-logia come scienza descrittiva quanto, mediatamente, ogni altra forma di conoscenza propria delle scienze naturali.

Guadagnata la nuova dimensione della coscienza interna, la dottrina di Brentano si allontana poi ulteriormente dalla pro-spettiva aristotelica perfezionando la tripartizione degli atti in rappresentazioni, giudizi e attività emozionali. È però impor-tante rimarcare il fatto che tutti questi elementi vengono ad in-tegrarsi con la dottrina degli oggetti intenzionali: alla base di ogni diversa attività psichica colta dalla percezione interna vi è infatti sempre un semplice atto di rappresentazione rivolto al proprio oggetto intenzionale, che può essere di natura sensibile o noetica11. Tra questi oggetti, quelli di natura sensibile merita-no per primi la nostra attenzione.

3. Il problema della sensibilità Nel periodo successivo al 1874 Brentano si dedica al sensibile con un’attenzione particolare di cui recano testimonianza prima le lezioni dei semestri 1887/’88 e 1888/’89, e poi diversi scritti e discorsi, raccolti infine nel 1907 in un volume intitolato Un-tersuchungen zur Sinnespsychologie12. Evidentemente, dopo

della semplice presentazione e della (logicamente successiva) presa di posizione (giudicativa o sentimentale) circa l’oggetto rappresentato [ibid., pp. 203-218].

11. È stata di recente sottolineata la relazione genetica e concettuale che, grazie alla mediazione lessicale dal latino actualitas, intercorre tra l’1n2rgeia aristotelica e l’atto (Akt) psichico in senso brentaniano. Cfr. D. MÜNCH, Intention und Zeichen. Untersuchungen zu Franz Brentano und zu Edmund Husserls Frühwerk, Frankfurt a. M., 1993, p. 54. Il valore epistemologico della percezione interna è dato proprio dal fatto che essa, secondo Brentano, è in grado di cogliere i fenomeni (o atti) psichici in quanto in atto, un atto che - aristotelicamente - non può essere inteso altrimenti che come rivolgimento verso un oggetto.

12. Sull’importanza del problema del sensibile in questa fase del pensiero di Brentano, cfr. DP, pp. 88-120 e l’Appendice III («Vom Inhalt der Empfindungen»), pp. 134-145; cfr. inoltre l’introduzione a cura degli editori (p. X). La moderna edizione delle Untersuchungen zur Sinnespsychologie

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aver fissato nella prima edizione della Psicologia dal punto di vista empirico i dettami epistemologici della scienza in que-stione, egli sente l’esigenza di porre mano a un’indagine più ravvicinata attorno alla natura degli oggetti sensibili, compien-do così uno sforzo i cui risultati si riveleranno gravidi di conse-guenze anche sul piano generale. Il suo interesse in tale ambito è duplice: egli si propone tanto di portare il proprio contributo a una serie di temi di psicologia del sensibile alquanto specifici quali il contrasto cromatico, le illusioni ottico-geometriche o la fusione tonale, quanto di chiarire la natura ultima degli oggetti della sensazione dal punto di vista metafisico e in relazione al loro valore per la teoria della conoscenza.

Quanto al primo aspetto, Brentano ha modo di esercitare la propria abilità di psicologo nel confrontarsi con alcuni dei pro-blemi più dibattuti del suo tempo. Il principio fondamentale della sua trattazione è che tutti i molteplici caratteri fenomenici del sensibile (chiarezza, colorito e intensità) sono riconducibili alle diverse «particolarità della collocazione» delle qualità entro lo «spazio sensibile» (Empfindungsraum)13. L’argomento si basa sulla considerazione che alcune differenze spaziali, abba-stanza piccole da rimanere al di sotto della soglia di avvertibili-tà (Merklichkeitsschwelle), non vengono percepite in quanto tali ma si trasformano, a livello di risultato percettivo, in una qualità nuova e fenomenicamente del tutto diversa. Ad esempio, una scacchiera composta da quadrati piuttosto piccoli di due colori differenti appare da una certa distanza come se fosse rivestita di un colore uniforme, intermedio tra i primi due (un fenomeno, questo, che ognuno ha modo di sperimentare quotidianamente con certi tipi di tessuto). Questa pare a Brentano la migliore spiegazione dell’origine di tutte le qualità multiple ad inclusione, per esempio, di quei fenomeni musicali complessi

contiene anche i materiali editi e inediti che Brentano programmava di includere in una seconda edizione.

13. Cfr. «Über Individuation, multiple Qualität und Intensität sinnlicher Erscheinungen», [US, pp. 66-89], p. 81. Si tratta di una rielaborazione del discorso tenuto da Brentano dinanzi al 3° Congresso Internazionale di Psicologia, München 1896. L’intervento si conclude (p. 89) con le parole che abbiamo scelto per l’epigrafe al presente contributo.

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per i quali Stumpf aveva invece ritenuto opportuno introdurre il concetto di fusione tonale. Lo stesso modello vale infine a chiarire la natura della chiarezza e intensità dei fenomeni: è infatti sufficiente introdurre rispettivamente elementi cosiddetti insaturi (ad esempio, bianco e nero) o spazi vuoti nella scac-chiera che abbiamo preso ad esempio, per ottenere corrispon-denti variazioni nella chiarezza e nell’intensità complessive.

L’assunto fondamentale della psicologia del sensibile brenta-niana, da cui discende ogni soluzione di problemi particolari, è dunque quello per cui i caratteri fondamentali degli oggetti sensibili sono qualità e spazialità. Dal momento che assume l’originarietà del momento spaziale in ciascuna sensazione, Brentano abbraccia la posizione nativista in merito al problema dell’origine della rappresentazione di spazio14. Il momento temporale entra invece in gioco a livello dei sensibili comuni, soprattutto con la percezione del movimento. Essa deriva da un’«associazione originaria» di più sensazioni per il tramite della percezione interna, da cui trae origine la temporalizzazione dei fenomeni sensibili che spiega, ad esempio, come oltre agli accordi vengono afferrate anche successioni melodiche di note15.

14. Cfr. lo scritto del 1906 «Nativistische, empiristische und anoetistische

Theorie unserer Raumvorstellung», [RZK, pp. 164-177]. La contrapposizione tra empirismo e nativismo risale a un celebre discorso di H. VON HELMHOLTZ dal titolo «Die Thatsachen in der Wahrnehmung» (1878) [trad. it. «I fatti nella percezione», in Opere, pp. 591-646, Torino, 1967]. Anche se Helmholtz difende la tesi empirista (p. 616) per cui la spazialità dei fenomeni è frutto di inferenze (per lo più inconsce) operate su materiale originario spazialmente «neutro», la sua posizione ha in comune con quella di Brentano la netta opposizione alla concezione kantiana dello spazio. Lo stesso Brentano ne è consapevole e, nonostante le notevoli differenze, tende ad evitare la contrapposizione polemica con uno degli psicologi contemporanei da lui maggiormente stimati [cfr. US, p. 69; DP, pp. 7 e 45].

15. Sul riferimento alla dottrina aristotelica dei sensibili comuni in relazione al problema del tempo, cfr. RZK; in particolare i testi «Was die Philosophen über die Zeit gelehrt haben» (1902) [pp. 60-86, part. pp. 62 e 75] e «Zum Verständnis der Aristotelischen Lehre von der Zeit» (1915) [pp. 138-152]. Sull’importante e negletto tema della sensazione, e sulla presenza in essa di un’associata attività giudicativa, che rende ragione dell’aristotelica percezione accidentale, cfr. J. EISENMEIER, «Brentanos Lehre von der Empfindung», Monatshefte für pädagogische Reform LXVIII, 1918, pp. 473-493, part. p. 477; W. BAUMGARTNER,

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Per quanto concerne poi l’aspetto metafisico delle ricerche sulla psicologia del sensibile, Brentano giunge dopo non poche indecisioni all’ammissione dell’universalità dell’oggetto della sensazione. Ciò si deve al fatto che egli non trova nell’oggetto sensibile nulla che possa valergli un’individuazione di tipo as-soluto: ciò che appare non può dunque in alcun modo esser ritenuto qualcosa di sostanziale. Escludere che l’individuazione ottenuta nella percezione esterna possa configurarsi come asso-luta, che possa cioè notificare delle sostanze in prensione diret-ta, non significa però asserire l’impossibilità di un’in-dividuazione di natura relativa, che risulta invece garantita dal momento spaziale che, come si è osservato, Brentano ravvisa nell’a"sqhtÒn16. Pertanto, se la percezione esterna fallisce una presa sostanziale sulla realtà, non è affatto per le generiche ragioni di «inaffidabilità» della sensazione comunemente allegate alle teorie della conoscenza d’ispirazione razionalista, ma perché non si danno collocazioni spaziali (né temporali) assolute. Lungi dal costituire le condizioni dell’esperienza, spazio e tempo sono invece concetti ottenuti per astrazione dall’esperienza, che offre in primo luogo qualità disposte entro uno spazio (sensibili propri) e in secondo luogo gli stessi sistemi qualità-spazio in stato di quiete o movimento (sensibili comuni), e dunque nel tempo17. «Die Rolle der deskriptiven Psychologie Franz Brentanos am Beispiel der Wahrnehmung», Supplementi di Topoi 2, 1988, pp. 5-25.

16. L’evoluzione della concezione di Brentano riguarda contempora-neamente, in un nesso assai difficile da dipanare: 1) il problema dell’indivi-duazione tanto spaziale quanto temporale dell’oggetto primario; 2) il pro-blema della natura assoluta o relativa di tale individuazione; 3) il problema della natura sostanziale ovvero accidentale delle determinazioni spazio-temporali. Per un prezioso orientamento, cfr. A. WERNER, Die psychologisch-erkenntnistheoretischen Grundlagen der Metaphysik F. Brentanos, Diss., Hildesheim, 1930, pp. 69-79 e p. 97; inoltre O. KRAUS «Zur Phänomeno-gnosie des inneren Zeitbewußtseins», Archiv für die gesamte Psychologie LXXV, 1930, pp. 1-22, che (a prescindere dall’accesa polemica con Husserl, praticamente accusato di plagio) contiene uno scritto assai preciso di A. Marty relativo all’evoluzione della concezione brentaniana del tempo.

17. Sulla scorta di Lotze, l’intera psicologia austro-tedesca del secondo ottocento tende a sottrarsi al dogma kantiano che all’individuazione siano sufficienti le due dimensioni (trascendentali) dello spazio e del tempo: cfr. E. MELANDRI, «The ‘Analogia Entis’ according to Franz Brentano», Topoi VI,

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Per quanto concerne il valore epistemologico delle apparen-ze sensibili, Brentano trova una singolare rispondenza con la concezione espressa in quegli stessi anni da Helmholtz: gli og-getti della sensazione sono segni (Zeichen), e non immagini (Abbilder) della realtà esterna18. Segni non vincolanti che pos-sono occorrere, peraltro, in assenza dei correlati corrispondenti:

Quando ci appare qualche cosa di natura fisica, non abbiamo mai la garanzia che quest’apparenza (dieses Erscheinende) esista anche in realtà; la fisica ci insegna, piuttosto, che nel mondo esterno non esistono né colori, né suoni, né tempera-ture, né alcuna specie di qualità sensibili. [...] Al posto di colori, suoni, odori, caldo (Wärme), freddo (Kälte), peso ecc., che il realismo ingenuo ammette senz’altro esistere nel mondo esterno e indipendentemente dalle nostre sensazioni, si collocano determinate ipotesi fisiche sulla natura della luce, sulle onde nei mezzi elastici, sui movimenti molecolari ecc. [...] [LU, pp. 153-154]

A titolo cautelativo, contro la possibilità che tale concezione possa venir confusa con quella secondo cui all’esistenza reale delle cose in sé si opporrebbe quella fenomenale di ciò che ap-pare nella sensazione, egli aggiunge:

Si è espresso tutto ciò dicendo: alla percezione esterna com-pete soltanto una verità fenomenale. Questa formulazione è però fuorviante. Effettivamente è (tatsächlich ist) soltanto colui che vede i colori, che ode i suoni, che sente caldo o

1987, pp. 51-58, part. p. 52. Solo apparentemente la posizione di Brentano si avvicina a quella dello Hegel della Phänomenologie des Geistes, nella cui prima sezione (‘Bewußtsein’) si mostra l’universalità del «questo» (nelle sue due forme: l’ora e il qui ) che costituisce la verità della certezza sensibile. Le ragioni di uno «smascheramento» del sapere apparente sono del tutto assenti in Brentano, che non indulge affatto ai paradossi deittici che animano il testo hegeliano: «Per es. il qui è l’albero. Io mi volto, e questa verità è dileguata convertendosi della opposta: il qui non è un albero, ma piuttosto una casa. Anche il qui non dilegua, ma è costante nel dileguare della casa, dell’albero ecc., e gli è indifferente di essere casa o albero. Di nuovo, il questo si mostra dunque come semplicità mediata o come universalità» [trad. it. Fenome-nologia dello spirito, Firenze, 1960, p. 85].

18. Cfr. «I fatti della percezione», cit., p. 601; la concezione semiologica della percezione è già abbracciata da Brentano nel 1874 [cfr. PsI, p.28].

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freddo, duro o molle; colori, suoni, caldo, freddo, duro, molle ecc., non sono (sind nicht), né nel mondo esterno né come oggetti mentali o immanenti nella coscienza del sen-ziente. [LU, p. 154]

È davvero molto importante soffermarsi su queste affermazioni, decisive anche sul piano generale ai fini della corretta compren-sione della dottrina dell’in-esistenza intenzionale. Nel negare che le qualità sensibili abbiano un’esistenza puramente feno-menale, Brentano si rifiuta di ammettere che esse (in)-esistano come oggetti mentali o immanenti, vale a dire che possa compe-tere loro una particolare forma di esistenza impropria e ontologicamente distinta da quella effettiva: le qualità sensibili – egli afferma – semplicemente non sono. Certo esse non sono un puro nulla: il loro essere non rimanda però a quello delle co-se esterne – solo eventualmente corrispondenti e comunque del tutto ininfluenti sul piano della psicologia descrittiva – bensì a quello del senziente, il quale esiste (tatsächlich ist) in modo as-solutamente certo19.

Si noti come Brentano asserisca che le qualità sensibili non partecipano di un essere immanente alla coscienza, ma neppure di un essere reale nel mondo esterno. Ciò vanifica duplicemente ogni tentativo di confronto tra l’essere extra- e quello intramen-tale delle qualità. Una disciplina entro cui tale confronto potreb-be essere istituito non esiste – e, in ogni caso, non potrebbe trat-tarsi della psicologia. Interpretare la dottrina dell’in-esistenza intenzionale come se sottintendesse una forma d’essere speciale per gli oggetti intenzionali significa allora – a prescindere dal contrasto con questo esplicito pronunciamento di Brentano – introdurre un momento di sovrapposizione tra metafisica e

19. Cfr. B. SMITH, «The Soul and Its Parts. A Study in Aristotle and

Brentano», Brentano-Studien I, 1988, pp. 75-88; le qualità sensibili «[…] are not real, but this does not mean that they are merely nothing. Rather, they are non-real parts of a real substance, a thinker». Questa definizione, del tutto corretta, non potrebbe comunque sostenere l’ipotesi che in un secondo momento Brentano abbia ricusato tale concezione, la quale si mantiene invece anche nel quadro del reismo. Ad ogni modo, l’autore ritiene che alle qualità sensibili competa una «diminished sort of existence, an existence ‘in the mind’» (p. 81).

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psicologia del tutto assente dalle sue intenzioni. È invece all’essere del senziente, la cui esistenza non pone particolari complicazioni, che Brentano fa appello per rendere ragione della natura degli oggetti intenzionali. È chiaro che la posizione così assunta, separando gli ambiti rispettivi (e per così dire sal-vaguardando gli interessi) della psicologia descrittiva da un lato, e della fisica dall’altro, scarica tutto l’onere problematico sulla teoria della conoscenza, e difatti Brentano è costretto a utilizzare la scomoda mediazione della percezione interna per spiegare l’origine e il fondamento della conoscenza20.

Nella medesima direzione va interpretata quella formula di trasformazione che Brentano ripetutamente oppone a coloro che leggono le sue considerazioni sugli oggetti di rappresentazione in senso ontologico. Prescindendo interamente dalla natura particolare (sensibile o d’altra specie) degli oggetti intenzionali in questione, egli afferma un principio analogo a quello appena illustrato, ma di portata più generale:

Al giudizio: c’è un A-pensato, è affatto equivalente: c’è un pensante-A. [WE, p. 32]

È chiaro che si può correntemente parlare di oggetti rappresentati o, più in generale, «pensati»; occorre tuttavia tener presente che, all’occorrenza, questa maniera di esprimersi dev’essere risolta in un’affermazione esistenziale riguardante una res cogitans21. A

20. L’insistenza di Brentano sulla distinzione tra la percezione esterna e quella interna rende l’aspetto epistemologico della sua dottrina fortemente datato [cfr. VE pp. 161-167; LU 199 sgg.]. Su questo punto è possibile istituire un utile confronto con la posizione di Wundt e Mach, i quali (pur con notevoli differenze) sottolineano invece l’unità dell’esperienza, che viene considerata (nelle scienze naturali e in psicologia) da due punti di vista differenti, esprimendo così una concezione più consona alle esigenze di una moderna filosofia della scienza. Wundt condivide però con Brentano l’idea che soltanto l’esperienza in quanto considerata dal punto di vista della psicologia sia immediata. Cfr. ad es. W. WUNDT, Grundriß der Psychologie, Leipzig 1896, pp. 18 e 369 (trad. it. Elementi di psicologia, Genova, 1992 (Piacenza, 19101) pp. 12 e 339); E. MACH, Die Analyse der Empfindungen und das Verhältnis des Physischen zum Psychischen, Jena 1885 (trad. it. L’analisi delle sensazioni e il rapporto tra fisico e psichico, Milano, 1975, ad es. p. 48 e passim).

21. Parte della critica è dell’avviso che solo in una fase matura (dopo il 1905) Brentano abbia conseguito tali chiarimenti, che contraddirebbero le

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Brentano non sfugge il fatto che nel passare dalla semplice considerazione degli oggetti della rappresentazione così come appaiono nella percezione interna, ai giudizi che esprimono un’affermazione di esistenza («es gibt») circa tali oggetti, vi è un salto logico di portata filosofica tutt’altro che trascurabile. Prima di affrontarne le insidie, occorre tuttavia completare la ricognizione sugli oggetti di rappresentazione con alcune considerazioni in merito a quelli di natura non sensibile.

4. Le attività psichiche sovraordinate

Nelle lezioni dei semestri 1888/’89 Brentano introduce un’inte-ressante distinzione tra atti fondamentali (fundamentale) e atti sovraordinati (supraponierte) [DP, p. 84]. Tale distinzione ha un duplice significato: in primo luogo, le rappresentazioni di oggetti intelligibili sono atti sovraordinati rispetto alle più fon-damentali rappresentazioni di oggetti sensibili; secondariamen-te, tutte le attività psichiche che comportano una «presa di posi-zione» a parte subiecti (giudizi ed emozioni) sono atti sovraor-dinati rispetto alle rappresentazioni di qualunque natura. Grazie a questi chiarimenti, è possibile precisare ulteriormente la con-cezione di Brentano. Gli atti sovraordinati come i giudizi e le acquisizioni della fase precedente. Ad ogni modo, le ultime due citazioni sono tratte rispettivamente dalle lezioni di logica tenute al più tardi nei semestri 1884/85, (ma corrispondenti a quelli del 1878/’79 [cfr. LU, p. 309, n. 140, p. 322]), e da un testo del 1902 spesso citato come espressione degli assunti della prima fase (o di un momento «transitorio»). L. GILSON, La psychologie descriptive selon Franz Brentano, Paris, 1955, riconosce che la «formula di trasformazione» è presente da prima della presunta «svolta»: solo nell’ultima fase, però, «ces deux formules expriment une seule réalité psychologique, dont la seconde seule est la traduction directe», mentre in precedenza «cette équivalence logique n’impliquait nulle identification psychologique. Ces deux jugements correspondaient à deux attitudes différentes de la conscience, celle-ci portant, soit sur un object irréel, soit sur un object réel» (p. 143). L’equivalenza ci pare invece in entrambi i casi tanto logica quanto psicologica: i giudizi esistenziali riguardanti «A-pensati» sono espressioni comode (ancorché improprie) perché nella realtà psicologica «A» non è altro che un’affezione della sostanza pensante. Le difficoltà dell’ «object en tant que pensé» (pp. 130 sgg.) si risolvono distinguendo attentamente i due momenti del pensare: la rappresentazione e il giudizio [cfr. PsII, p. 73-74].

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emozioni sono detti essi stessi sensibili o noetici a seconda della natura degli atti fondamentali soggiacenti, vale a dire le rappre-sentazioni. Queste ultime sono poi soggette a un analogo princi-pio di fondazione, dal momento che le rappresentazioni astratte devono fondarsi su quelle di natura sensibile, secondo le modalità che occorre ora precisare. Il passaggio dalla sfera sensibile a quella intellettiva avviene per il tramite di una serie di operazioni, tra le quali la principale è senza dubbio il proce-dimento di astrazione.

Nella concezione di Brentano, l’astrazione agisce diretta-mente sui caratteri di qualità e spazialità (e in subordine, di temporalità) che abbiamo visto competere all’oggetto della sen-sazione. Ad esempio, astraendo in modo da escludere il mo-mento spaziale si ottengono qualità come il «bianco o rosso in specie» (ein Weißes oder Rotes), e successivamente «un qual-cosa di colorato» (ein Farbiges). Viceversa, prescindendo astrattivamente dalla qualità si giunge dapprima alle diverse figure geometriche e quindi al concetto generale di estensione. Astraendo a partire da entrambi i momenti della qualità e dello spazio, si può infine giungere al concetto di cosa (Ding) in generale [PsIII, p. 86].

Come abbiamo indicato, l’oggetto sensibile è esso stesso in certa misura un universale. Ciò implica l’assenza di un discri-mine netto tra oggetti intenzionali di natura sensibile e noetica, e consente a Brentano di concepire una continuità di ordine metafisico nel concetto di Vorstellung: i diversi gradi di univer-salità dal sensibile alle specie formano un continuum che giu-stifica l’inclusione delle rappresentazioni sensibili e astratte entro un’unica classe. È notevole il fatto che l’unità concettuale perseguita venga raggiunta per la via opposta a quella battuta dal nominalismo, secondo i cui dettami sarebbe possibile pen-sare solo il particolare. Secondo Brentano è invece possibile pensare solo l’universale, ma con gradi di universalità progres-sivamente crescenti nel passaggio dal sensibile alle specie e ai concetti, sulla scorta dello schema ora illustrato. Non è però necessario che la rappresentazione sensibile venga rinnovata all’atto del concepimento di una nozione astratta:

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Non è quindi affatto vero che chi pensa il concetto di una casa in generale si rappresenti anche intuitivamente una casa singola, fosse anche da un lato soltanto, con tutti i rapporti dimensionali tra le parti precisamente determinati. È dunque certamente vero il contrario, e le presunte esperienze a ciò contrapposte si eliminano in quanto, allorché pensiamo una casa o anche un triangolo in generale, non lo facciamo altri-menti che tramite una combinazione di attributi, ciascuno dei quali è tratto da un’intuizione. [PsIII, p. 87]

A partire dagli esempi di concetti dotati di universalità ancora maggiore, quali quelli di «stato» o di «chiesa» [ibid., p. 88], ri-sulta ancor più chiaramente che l’enumerazione delle singole componenti intuitive non può esser effettuata che in maniera del tutto incompleta. La combinazione di attributi qui menzionata contribuisce, assieme all’astrazione, alla formazione di concetti di complessità illimitata: sono infatti pensabili – o meglio, rap-presentabili – oggetti di qualunque natura, ad inclusione delle combinazioni noetico-sensitive, degli oggetti inesistenti o impossibili, delle relazioni e così via, in una scala continua che dal grado minimo (ma mai nullo) di universalità del sensibile ascende sino ai concetti più astratti22.

Una menzione a parte meritano infine quei particolari oggetti che sono costituiti dai contenuti di giudizio, come ad esempio «l’essere di A» o «il non-essere di A», che corrispon-dono ai giudizi «A è» e «A non è» (ma si danno anche casi più complessi, quale «l’impossibilità di un quadrato rotondo» [WE, p. 92]). I contenuti di giudizio possono divenire a loro volta oggetto di rappresentazione, ma solo mediante una fin-zione che consiste nel trasporre questi entia linguae sul piano degli entia rationis. La possibilità di rappresentare i contenuti di giudizio è, come ogni finzione linguistica, sicuramente im-

22. Assai importante è anche il processo di identificazione di unità portatrici

di più qualità: un’identificazione che non è però di natura logico-predicativa, ma antecedente ad essa; cfr. l’Appendice XIV («Anschauung und abstrakte Vorstellung») in PsII, pp. 206-207. Il saggio è l’ultimo dettato da Brentano (9.3.1917), otto giorni prima della sua morte; gli elementi essenziali della teoria dell’identificazione come una delle due forme possibili (assieme alla già citata sovrapposizione) di aumento della complessità psichica sono però già delineati nel 1874 [cfr. PsI, pp. 223-224].

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portante sul piano pratico, ma può risultare filosoficamente fuorviante perché rischia di occultare la differenza che intercor-re tra il rappresentare «A», il giudicare «A è», e il rappresentare (mediante finzione) «l’essere di A». Anche il matematico, ad esempio, ammette correntemente grandezze negative o poligoni di un numero infinito di lati senza che questo, ovviamente, sot-tintenda alcuna concessione a tali entità sul piano ontologico. Di questo problema occorrerà trattare più diffusamente nel seguito.

A questo punto dovremmo essere in grado di comprendere appieno il concetto di «oggetto della rappresentazione» nel caso della coscienza tanto sensibile quanto noetica, esplicitandone i caratteri da tre punti di vista differenti ma integrati tra loro nel quadro della filosofia di Brentano. Dal punto di vista psicolo-gico, l’oggetto sensibile presenta le due sole dimensioni quali-tà/spazio; prescindendo da una di esse (o da entrambe) si otten-gono gli oggetti di natura intelligibile. In questo caso si può contare anche sulla possibilità della combinazione degli attri-buti, il che consente di introdurre ogni genere di entità astratte, guadagnando il livello desiderato di generalità. Dal punto di vista metafisico, l’oggetto di ogni rappresentazione, anche di natura sensibile, è affetto da una misura di universalità che vieta di attribuirgli un’autonoma forma di esistenza, per quanto impropria; tali oggetti costituiscono invece un’affezione del soggetto psichico come mostrato dalla regola per cui, alla do-manda circa l’essere degli A-pensati, si replica con un’affermazione sui pensanti-A. La sostanza pensante è infatti, a differenza dei propri oggetti, un individuale ultimo e dunque una sostanza in senso proprio. Infine, dal punto di vista della teoria della conoscenza (erkenntnistheoretisch), occorre trac-ciare una netta distinzione: gli oggetti sensibili sono segni di un mondo esterno che essi, comunque, non afferrano direttamente e la cui esistenza è invece un’ipotesi, ancorché dotata di un grado di probabilità elevatissimo23. Gli oggetti noetici non assolvono invece neppure alla funzione segnica, ma costitui-

23. Sul carattere ipotetico dell’affermazione di esistenza del mondo esterno,

cfr. L. GILSON, cit., p. 26.

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scono delle unità delle quali non solo la scienza, ma la stessa vita pratica non potrebbe fare a meno. Né la percezione esterna né il pensiero concettuale possono dunque esser posti a fonda-mento della teoria della conoscenza; è invece la percezione interna che costituisce la fonte inoppugnabile di evidenza cui attingono, con differente grado di mediatezza, le diverse scienze.

5. Il giudizio e i suoi «oggetti» Stabilita in tal modo la natura delle rappresentazioni e dei loro oggetti, si può comprendere quale ruolo spetti a tali elementi nel quadro della dottrina complessiva di Brentano. Conformemente a una concezione già presente in modo compiuto nella Psicologia del 1874, egli ritiene che tutte le attività psichiche debbano fondarsi su una rappresentazione. In apertura abbiamo voluto indicare in tale concezione il principio d’ordine della psicologia di Brentano: per chiarire il senso di quell’affer-mazione, occorre illustrare quali siano la natura e il senso della fondazione in questione.

In un primo tempo, ancora sotto l’influsso della legge psico-fisica e in modo particolare della pur criticata interpretazione datane da Wundt – che indicava nell’intensità la quantità fonda-mentale per la misurazione dello psichico – Brentano confidò addirittura di poter dare un significato quantitativo a tale princi-pio, postulando che l’intensità dell’atto di rappresentazione fosse uguale a quella dell’oggetto rappresentato. Egli giunse persino a condurre vere e proprie dimostrazioni a partire da tale uguaglianza, come quella dedicata alla negazione dell’occorrenza di fenomeni psichici inconsci. Questi ultimi dovrebbero essere atti di intensità positiva non colti dalla per-cezione interna, ovvero colti da una rappresentazione della per-cezione interna di intensità nulla, il che contraddice il principio di eguaglianza menzionato24. Ma anche una volta riconosciuta

24. Cfr. PsI, pp. 167 sgg. Si tratta di un argomento di notevole rilevanza epistemologica, dal momento che nulla deve sfuggire allo sguardo della percezione interna. La dottrina sarà però revocata da Brentano sulla scorta

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l’insostenibilità di tale concezione intensivo-quantitativa, si mantiene appieno per Brentano la validità del principio che egli fa valere come primo elemento di distinzione tra i fatti (o fenomeni) della scienza psicologica e quelli della scienza natu-rale:

[...] con il nome di fenomeni psichici abbiamo designato le rappresentazioni, così come tutte quelle apparenze per le quali le rappresentazioni costituiscono il fondamento. [PsI, p. 112]

La natura di questa fondazione, lungi dall’alludere a misteriose potenze della psiche, è perfettamente risolvibile in un’altra af-fermazione del tutto trasparente ed elementare. Che i giudizi siano fondati su rappresentazioni, vuol dire che lo stesso ogget-to viene al tempo stesso rappresentato e giudicato; ne consegue, per converso, che l’oggetto di qualsiasi giudizio è anche ipso facto oggetto di una soggiacente rappresentazione [PsII, p. 38].

Questa concezione può risultare di difficile comprensibilità, perché – con Aristotele – si è inclini a considerare il giudizio come il risultato dell’unione di due termini aventi rispettiva-mente funzione di soggetto e di predicato25. A questa dottrina Brentano si oppone però strenuamente, insistendo sulla circo-stanza che a differenziare rappresentazione e giudizio non è una differenza nel numero degli oggetti, quasi che la rappresenta-zione afferrasse un solo oggetto, e il giudizio invece due oggetti intenzionali. Al contrario, in entrambi i casi si ha a che fare col medesimo, unico oggetto della rappresentazione, il quale può venire aggiuntivamente anche affermato o negato, ossia giudi-cato. È la forma peculiare dell’espressione linguistica che con-corre a mascherare la reale consistenza della differenza tra rappresentazione e giudizio, in ciò favorita dalla comune desi-gnazione in termini di «pensiero», oltre che dalla consuetudine

della successiva riconduzione dell’intensità a spazialità sensibile nel senso sopra esposto (§ 3). La ritrattazione si compie nel 1911, nell’Appendice VI («Von der Unmöglichkeit, jeder psychischen Beziehung eine Intensität zuzuerkennen…») alla seconda edizione della Psychologie [PsII, pp. 151-152].

25. Cfr. De Anima, G 6, in part. 430b 26-30; De Int. I, 16a 4-19.

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di annettere quasi sempre alle rappresentazioni una presa di posizione di tipo giudicativo.

Sul piano della logica, ciò comporta la riconduzione della predicazione categoriale alla predicazione esistenziale (affer-mativa o negativa), cosa che può compiersi senza eccessiva difficoltà, una volta riconosciuta la reale natura della copula:

Quando diciamo «A esiste» («A ist»), questa proposizione non è, come molti hanno creduto e ancor oggi credono, una predicazione nella quale l’esistenza, come predicato, viene unita ad A come soggetto. Non l’unione della nota caratte-ristica (Merkmal) «esistenza» con «A», bensì «A» stesso, è l’oggetto che noi affermiamo (anerkennen). Ugualmente, allorché diciamo «A non esiste», questa non è una predica-zione dell’esistenza di A nel senso contrario, ovvero una negazione dell’unione tra la nota caratteristica «esistenza» e «A», bensì «A» è l’oggetto che noi neghiamo. [PsII, p. 49]

La posizione espressa è del tutto consistente con la concezione brentaniana del giudizio come attività psichica piuttosto che come enunciato: si tratta di un’attività sui generis, non ulterior-mente riducibile come fosse la somma di più rappresentazioni, né in alcun altro modo. Che nella concezione brentaniana del giudizio il momento proposizionale risulti essere qualcosa di successivo e inessenziale, può essere facilmente mostrato a partire da quell’attività che egli chiama il giudicare sensibile (sinnliches Urteilen). Ad ogni rappresentazione sensibile è sempre associato un atto di assenso (Anerkennung) in virtù del quale il contenuto sensibile si presenta come vero: tale assenso è un’attività giudicativa immanente alla percezione, cui è evi-dentemente del tutto secondaria ed estranea l’enunciazione in una proposizione. È superfluo aggiungere che su tale assenso, pur se psicologicamente coercitivo, il filosofo non fa alcun af-fidamento nell’elaborazione della propria teoria della cono-scenza26.

26. Vi è poi un’altra, importante specie di giudizi sensibili, legati alle

attività del notare, del comparare e del valutare, che sono tra l’altro all’origine delle percezioni figurali, come le illusioni ottico-geometriche [cfr. PsIII, pp. 12-21; US, p. 104 e p. 118]. Sul notare e le attività a ciò connesse, cfr. W. BAUMGARTNER, «Vom Bemerken und: Wie man ein rechter Psychognost

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Anche nel caso della predicazione categoriale («S è p»), la presa di posizione che il soggetto compie nell’attività giudica-tiva è un atto unico e semplice di affermazione o negazione dell’oggetto che viene rappresentato mediante la combinazione attributiva («un Sp è»), una possibilità della quale siamo adesso in grado di scorgere tutta l’importanza:

La proposizione categoriale «qualche uomo è malato» ha lo stesso significato della proposizione esistenziale «un uomo malato esiste» oppure «c’è un uomo malato». La proposizione categoriale «nessuna pietra è vivente» ha lo stesso significato della proposizione esistenziale «una pietra vivente non esiste» oppure «non c’è una pietra vivente. [PsII, 56]27

L’insistenza di Brentano sul fatto che rappresentazione e giudizio siano attitudini differenti orientate sul medesimo og-getto intenzionale non appare eccessiva alla luce del taglio che egli vuol dare al problema, sopra menzionato, dei contenuti del giudizio. Ad esempio, al giudizio «il centauro non esiste» può esser fatto corrispondere il contenuto «il non-essere del centau-ro». Tale entità, a sua volta, può essere rappresentata e divenire inoltre il soggetto grammaticale di un’affermazione esistenziale affermativa vera, del genere «il ‘non-essere del centauro’ è». Occorre ricordare che proprio in quegli anni la teoria dell’og-getto di Meinong concedeva ai contenuti di giudizio (gli Objektive) se non proprio di esistere, quantomeno di sussistere (bestehen). Con indicibile disappunto di Brentano, Meinong esprimeva così nella maniera più determinata un orientamento flosofico peraltro abbastanza diffuso, consistente nel far corri-spondere a ciascuna differente specie d’atto altrettanti determi-

wird», Grazer philosophische Studien XXVIII, 1986, pp. 235-251; V. FANO, La filosofia dell’evidenza. Saggio sull’epistemologia di Franz Brentano, Bologna, 1993, pp. 131-148.

27. L’esposizione prosegue poi con le altre due forme tradizionali del giudizio. Come si vede, nel campo della logica Brentano assume una posizione che rimane arretrata rispetto al mainstream della riflessione successiva che si sviluppa a partire da Frege. Cfr. P. SIMONS «Brentano’s Reform of Logic», Topoi VI, 1987, pp. 25-38.

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nati Gegenstände28. Brentano ammette invece, come si è mo-strato, una sola specie di oggetto, colta secondo modalità diffe-renti: si tratta degli oggetti (sensibili o intelligibili) della rappresentazione, che possono aggiuntivamente esser interessati da un’attività di affermazione o negazione. Nell’esempio utilizzato, l’oggetto intenzionale è esclusivamente «il centau-ro», mai invece «l’essere» o «il non-essere» del medesimo.

Per la precisione, il problema dei contenuti di giudizio va formulato nel seguente modo:

Non si tratta di stabilire se i contenuti di giudizio sussistano come contenuti di giudizio, ma se sussista qualcosa in sé e per sé, che sotto determinate condizioni possa divenire contenuto di un giudizio [...]. [WE 92]

Di questa inseità o separatezza che – a prescindere dalla molti-plicazione degli enti praeter necessitatem – svilirebbe la speci-ficità del giudizio parificando le diverse specie d’atto in una sorta di «prensioni neutre» di oggetti (Gegenstände) differen-ziati, Brentano non riesce a convincersi. La sua soluzione fa invece appello alla possibilità di riportare ogni atto giudicativo a un’affermazione o negazione compiuta sugli oggetti intenzio-nali, ovvero sugli oggetti delle soggiacenti rappresentazioni, siano essi sensibili o noetici, semplici ovvero ottenuti – come i centauri – per composizione attributiva.

La spiegazione conseguita non è però ancora del tutto soddi-sfacente. La rappresentazione dei contenuti di giudizio pone un problema molto serio: come possono venire rappresentate que-ste entità, posto che esse non sono né sensibili né ottenute per astrazione e combinazione attributiva dal sensibile? La questio-

28. Secondo Meinong, le specie d’atto sono quattro, e altrettanti sono i generi di oggetto: Objekte, Objektive, Dignitative, Desiderative. Nel sistema di Brentano, invece, hanno cittadinanza solamente gli Objekte. Egli critica infatti aspramente la concezione (originariamente di Twardowski, ma ripresa da Meinong) per cui il contenuto sarebbe in qualche modo «qualcosa di più» dell’oggetto: «Wie die Eigentümlichkeit des psychisch Tätigen, sich auf Dinge zu beziehen, dazu geführt hat, von Objekten zu sprechen, die in dem psychisch Tätigen seien, so hat der Umstand, daß sich das psychisch Tätige verschiedentlich auf dasselbe Ding bezieht, dazu geführt, von etwas zu sprechen, was in gewisser Weise mehr als das Objekt sei, dasselbe in sich enthalte und ebenfalls in dem psychisch Tätigen sich finde» [PsII, p. 159].

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ne viene risolta da Brentano grazie alla distinzione tra modo diretto ed obliquo del rappresentare: gli enti non reali del tipo dei contenuti di giudizio vengono rappresentati obliquamente, mentre ad essere rappresentato direttamente è un ente reale, e cioè un soggetto giudicante. I problemi relativi a tale concezio-ne costituiscono l’oggetto delle restanti considerazioni.

6. Il trattamento degli enti irreali L’orientamento mostrato da Brentano relativamente alla que-stione dei contenuti del giudizio trova corrispondenza nella tesi per cui solo enti reali possono divenire oggetto del pensiero. Questa tesi, che è stata definita reista, segna senza dubbio un’acquisizione nuova, conseguita con la seconda edizione della Psicologia dal punto di vista empirico (1911). Molti critici hanno però voluto leggere in essa una vera e propria svolta, che avrebbe condotto l’autore a contraddire addirittura l’assunto portante della fase precedente, ovvero la tesi dell’in-esistenza intenzionale. In sintesi, ammessi dapprima nel novero delle oggettualità del pensiero solo enti irreali (in quanto in-esistenti intenzionalmente), Brentano avrebbe poi abbracciato la tesi diametralmente opposta, secondo cui solo enti reali possono divenire oggetto del pensiero.

Per una formulazione più precisa del problema, occorre anzitutto chiarire la natura degli oggetti irreali che Brentano avrebbe prima ammesso e poi nettamente rifiutato. Un’espo-sizione chiara, che ha fatto da modello per tante interpretazioni, può essere rinvenuta nell’introduzione alla raccolta di inediti brentaniani cui l’editrice, Franziska Mayer-Hillebrand, ha voluto conferire il significativo titolo «Die Abkehr vom Nichtrealen». Tra le diverse specie di oggetti irreali che l’autrice distingue ci interessano soprattutto quelli appartenenti alle due classi (1) degli oggetti immanenti, e (2) degli oggetti del giudizio29.

29. La seconda classe comprende anche gli oggetti degli Interesse-phänomene; le altre due sono: 3) Le relazioni e 4) I collettivi o le parti di un continuo. Cfr. la «Einleitung der Herausgeberin» [AN, pp. 1-98], p. 6.

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Del fatto che Brentano abbia attribuito a questi ultimi la qualifica di entità irreali e inautentiche, nessun critico sembra aver mai dubitato. Ai contenuti di giudizio compete infatti senz’altro una forma ontologica impropria, vale a dire quella dell’«essere come vero» (l’Ñn æj ¢lhq2j della Metafisica di Aristotele) che Brentano già nel suo primo lavoro filosofico aveva contrapposto all’essere in senso proprio, e cioè inteso se-condo le categorie30. Il problema rimane invece aperto per quanto concerne gli oggetti immanenti, i quali altro non sono che gli oggetti intenzionali della rappresentazione. Secondo la Mayer-Hillebrand sarebbero anch’essi irreali, in quanto dotati di un ens diminutum nella coscienza del pensante. Questo fatto dovrebbe poi avvalorare l’interpretazione «ontologica» della tesi dell’in-esistenza intenzionale, in considerazione del pecu-liare statuto esistenziale, quello di irrealia, degli oggetti inten-zionali. Se così fosse, tuttavia, dovremmo ragionevolmente aspettarci che nella successiva fase, in cui non sono ammessi oggetti irreali, Brentano faccia menzione in primo luogo proprio di questi fondamentali oggetti, indicandone in qualche modo l’avvenuta mutazione di status ontologico. Proprio questo, però, non è dato riscontrare in alcun passo di Brentano, come peraltro

30. Si tratta del lavoro Von der mannigfachen Bedeutung des Seienden nach

Aristoteles, Freiburg 1862. Cfr. M. ANTONELLI, «Univocità dell’essere e intenzionalità del conoscere: saggio critico sulla genesi e sulle fonti del pensiero di F. Brentano» Giornale critico della filosofia italiana X, 1990, pp. 101-123. Null’altro che la modalità impropria dell’ens tamquam verum caratterizzerebbe, secondo parte della critica, gli oggetti del pensiero per contrasto rispetto all’essere reale e proprio che compete al mondo delle cose extrapsichiche. La psicologia descrittiva risulterebbe allora fortemente dipendente da un’ontologia che, a sua volta, risulterebbe di fattura drasticamente dualista. Cfr. F. MODENATO, Coscienza ed essere in Franz Brentano, Bologna, 1979, pp. 95-96; P. SPINICCI «Realtà e rappresentazione. Saggio sulla genesi della filosofia dell’esperienza nel pensiero di F. Brentano», Rivista di storia della filosofia II, 1985, pp. 229-254, in part. p. 233. Tuttavia Brentano è esplicito nell’affermare che verità e falsità competono in primo luogo al giudizio, dunque alla sfera della logica, e solo mediatamente ed impropriamente a quella della rappresentazione [WE, p. 6]. Egli non ha affatto inteso, né mai esplicitamente affermato, che l’essere nel senso del vero competa agli oggetti della rappresentazione, bensì solo a quelle oggettualità del pensiero che sono i correlati del giudizio, ossia all’affermazione o negazione di qualcosa.

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testimoniano gli esempi scelti dell’autrice stessa [AN, pp. 36-43]. Né potrebbe essere altrimenti: la lunga lista di irrealia che Brentano fornisce [PsII, p. 162] mostra invece che essi sono esattamente tutto ciò che non può costituire direttamente l’oggetto di una rappresentazione, e che richiede pertanto la mediazione del modus obliquus, e con ciò stesso il rimando ad un’altra sostanza pensante per la quale siffatte entità sussistono:

Non si può rendere oggetto – così come si fa per un centauro – «l’essere» o «il non-essere» di un centauro, bensì sola-mente un soggetto che afferma o nega il centauro (einen den Zentaur Anerkennenden oder Leugnenden) [...]. [PsII, p. 162]

Come si vede, la precisazione non intacca minimamente il modo di concepire l’oggetto intenzionale (il centauro); ma è volta per contro ad escludere i contenuti del giudizio dal novero degli oggetti intenzionali veri e propri, che invece debbono sempre, per il tramite della sensazione, attingere all’universo delle cose reali.

Quando Brentano afferma di aver abbracciato una concezio-ne per cui oggetto di rappresentazione possono essere solo enti reali [PsII, p. 2], ciò significa allora che egli ha sviluppato i mezzi tecnici per ricondurre le rappresentazioni «fittizie» di entità irreali (come i contenuti di giudizio) a un modulo che mette capo, ancora una volta, alla realtà del pensante. In questo caso si tratta tuttavia di un secondo soggetto pensante (eventualmente ipotetico), e precisamente di colui il quale, giudicando ad esempio che «un centauro non è», conferisce un qualche essere improprio (il Seiende im Sinne des Wahren), al «non essere» del centauro. È importante rimarcare che l’attività rappresentativa e giudicativa di questo ulteriore soggetto ha luogo senza variazione alcuna rispetto allo schema illustrato da Brentano fin dalla prima edizione della Psicologia dal punto di vista empirico.

Bisogna dunque distinguere attentamente tra oggetto inten-zionale e oggetto-pensato (o anche rappresentato): solo la prima espressione rimanda alla consueta attività psichica che è oggetto della psicologia descrittiva, e della quale è garanzia ul-tima l’evidenza della percezione interna. La seconda espres-

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sione designa invece un irrealtà analoga al contenuto del giu-dizio, che dev’essere interpretata come l’oggetto intenzionale, colto obliquamente, di un secondo e distinto ente reale pensante che diviene oggetto intenzionale per il primo. Con tutto ciò, Brentano non disconosce affatto la grande utilità pratica delle finzioni linguistiche, che consentono proprio di riferirsi ai contenuti in questione senza ripercorrere effettivamente questo tortuoso procedimento; la chiarificazione filosofica, nondimeno, non può prendere la scorciatoia dell’ammissione della sus-sistenza di tutti i possibili enti irreali. Come si vede, il senso di quel realismo filosofico già presente sin dagli esordi della riflessione brentaniana si viene ulteriormente precisando a partire dal confronto con i problemi, progressivamente più complessi, che impegnano Brentano nel corso degli anni. Il rei-smo non implica affatto, invece, il venir meno delle presunte peculiarità ontologiche degli oggetti intenzionali: in particolare, occorre ribadire con decisione che le rappresentazioni sensibili continuano a non aver alcun accesso diretto ai Realia del mondo esterno.

La principale novità conseguita con la seconda edizione della Psicologia è dunque costituita dal fatto che tra gli oggetti della rappresentazione – i quali comunque «non sono» – quelli riferiti a enti irreali (non conta qui che siano essi stessi parti irreali del pensante) come «il non-essere di un centauro» ma anche «un centauro-pensato» e simili, possono essere ora interpretati come riferiti modo recto a entità reali, e solamente modo obliquo agli irreali in questione. Questo testimonia dello sforzo compiuto da Brentano per marcare ancor più chiaramen-te in senso realista la sua dottrina e non indica invece l’ammissione di una presunta precedente fase «irreista». Non è dunque l’esigenza di un allontanamento dalle proprie posizioni precedenti (Abkehr) ad ispirare il reismo di Brentano bensì, all’opposto, quella di un netto rifiuto di quelle concezioni, a suo dire insostenibili, che egli vedeva diffondersi in seno alla sua scuola.

Questo risultato consente di sintetizzare le coordinate della concezione psicologica di Brentano facendo perno sugli ele-menti dottrinali più stabili nel tempo. A partire dell’aristotelico

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sensibile in atto (l’elemento su cui poggia l’intero edificio), egli concepisce la progressiva complicazione della vita psichica lungo tre diverse direttrici: 1) L’astrazione e la combinazione attributiva consentono di disporre di oggetti noetici di rappre-sentazione; 2) Gli oggetti di rappresentazione (sensibili e noe-tici) possono essere oggetto di una presa di posizione ulteriore, che nel caso dell’attività giudicativa è costituita dall’afferma-zione e dalla negazione; 3) Tutti gli atti così ottenuti risultano al tempo stesso oggetto della percezione interna, e dunque di un’attività di rappresentazione e di giudizio evidente31. Sul piano ontologico, nessuna di queste tesi comporta grandi diffi-coltà: gli oggetti delle rappresentazioni sensibili non godono, come abbiamo visto, di alcuna forma speciale d’essere, non es-sendo che modificazioni accidentali della sostanza psichica. Gli oggetti delle rappresentazioni noetiche sono frutto di operazioni (astrazione e combinazione attributiva) compiute sugli oggetti sensibili, e non rimandano quindi ad alcun’altra speciale forma d’essere («c’è un A-pensato» si traduce infatti in «c’è un pen-sante-A»). Inoltre, non vi è alcuno specifico oggetto autonomo del giudizio (o di qualsivoglia attività sovraordinata), in quanto l’attività giudicativa è affermazione o negazione degli oggetti intenzionali della rappresentazione. Anche qualora i contenuti di giudizio vengano rappresentati, ciò avviene secondo una modalità rappresentativa particolare che rimanda ancora una volta, in ultima istanza, all’essere di un pensante.

Si può allora scorgere tutta l’importanza del principio che prevede la fondazione di tutte le attività psichiche nella rappre-sentazione: esso consente la risoluzione in elementi semplici di cui deve consistere l’attività scientifica, garantendo l’analiz-zabilità anche nel caso degli stati mentali più complessi. La tesi dell’in-esistenza intenzionale, secondo l’interpretazione psico-logica che ne abbiamo proposto, significa che tutte le attività psichiche sono caratterizzate dall’avere qualcosa come oggetto. Oggetto intenzionale, atto fondamentale, atto sovraordinato e

31. Nel pronunciarsi per l’analizzabilità di principio della psiche, Brentano non nega tuttavia l’effettiva unità degli atti, e di qui dell’intera coscienza: tutti i fenomeni psichici parziali sono parti di un fenomeno psichico complessivo unitario [cfr. PsI, pp. 231-232].

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percezione interna costituiscono la sequenza che esprime nel modo più naturale la complessa struttura della vita psichica; nel perseguire il proprio compito di chiarificazione, la psicologia descrittiva non fa poi altro che ripercorrere la medesima sequenza in senso inverso, a partire dalla percezione interna.

In quest’accezione, la tesi dell’in-esistenza intenzionale è espressione di un atteggiamento che la riflessione di Brentano non abbandona mai, risultando anzi il nucleo attorno al quale vanno addensandosi tutti i successivi arricchimenti, così come le nuove e diverse soluzioni problematiche. La natura ontolo-gica degli oggetti intenzionali non costituisce invece un pro-blema di cui è necessario (né ammissibile) si occupi la psico-logia; analogamente, essa non ha nulla da dire circa i correlati fisici delle apparenze sensibili. L’orientamento descrittivo si-gnifica, innanzi tutto, proprio quest’affermazione dell’autono-mia e indipendenza di principio della psicologia tanto dall’on-tologia quanto dalla (psico)-fisica. Sicuramente Brentano non ha concepito in un’unica intuizione originaria né l’intera dottrina, né la possibilità di risolvere su tali basi tutti i diversi problemi psicologici che egli incontra nel corso della sua lunga attività di ricerca. Tuttavia, ci sembra che in questo lungo e a volte anche tormentato processo di continua elaborazione e ricerca non vi siano, tutto sommato, delle «svolte» così radicali da giustificare l’assunzione di una netta cesura nel suo pensiero. Ci auguriamo invece di aver mostrato, almeno per quanto concerne la dottrina degli oggetti intenzionali, come gli elementi di continuità siano di gran lunga più rilevanti delle ac-quisizioni ascrivibili a un’interpretazione di segno opposto.

Questo potrebbe consentire, conclusivamente, di inserire la discussione proposta in un quadro più ampio. Senza sminuire in nulla l’importanza della dissertazione brentaniana Sul moltepli-ce significato dell’essere secondo Aristotele, riteniamo che essa non costituisca affatto (come sostenuto, tra gli altri, dalla Mayer-Hillebrand a ulteriore sostegno della propria tesi) il mo-dello della sua concezione degli oggetti intenzionali. È nel con-frontarsi con il De Anima, invece, e in particolare con il tema della sensibilità, che Brentano trova il modo di sottrarre la pro-pria psicologia alla rigida alternativa tra modalità propria e im-

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propria dell’essere, e conseguentemente al giogo del dualismo ontologico in cui diversamente essa si sarebbe trovata intrappo-lata. Con l’ausilio dei mezzi teorici della psicologia aristotelica l’oggetto della rappresentazione, ossia il sensibile o intelligibile in atto, viene svincolato da ogni implicazione logica e ontolo-gica preliminare, e trasformato nell’elemento descrittivo fon-damentale della scienza dell’anima.

Lungi dal prospettare una tesi ontologica o una teoria della conoscenza di tipo fenomenologico, la dottrina degli oggetti in-tenzionali rimanda dunque in ultima istanza a un principio di analisi scientifica, mostrando come la psicologia di Brentano sia legata a una concezione epistemologica di stampo ottocentesco, tra le cui matrici vi è indubbiamente quella del positivismo. Il problema dell’intenzionalità, dal quale avevamo preso l’avvio, è allora illuminante nell’indicare come in realtà la riflessione di Brentano si mantenga assai lontana dalle prospettive critico-filosofiche che da essa traggono lo spunto. Se è storicamente vero che Husserl, Meinong e gli altri principali componenti quel vasto movimento di pensiero che contribuì ad animare la scena filosofica austriaca e tedesca in quegli anni, traggono numerosi stimoli dal comune maestro, è tuttavia assai importante riconoscere le differenze di formazione, mentalità, e soprattutto di stile filosofico, che passano tra Brentano e i filosofi che si sono formati alla sua scuola. Differenze che si traducono, ci sembra, in uno iato teoretico maggiore di quello meramente cronologico e generazionale.

ABBREVIAZIONI (*) I testi contrassegnati con l’asterisco sono stati tratti dal Nachlaß brenta-niano e pubblicati dai curatori

AN Die Abkehr vom Nichtrealen, hg. F. Mayer-Hillebrand, Francke, Bern, 1966 (*)

DP Deskriptive Psychologie, hg. R. Chisholm – W. Baumgart-ner, Meiner, Hamburg, 1982 (*)

LU Die Lehre vom richtigen Urteil, hg. F. Mayer-Hillebrand, Francke, Bern, 1956 (*)

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PA La psicologia di Aristotele con particolare riguardo alla sua dottrina del nous poietikos, Pitagora, Bologna, 1989; trad. it. (a cura di S. Besoli) di Die Psychologie des Aristo-teles, insbesondere seine Lehre vom nous poietikos, Kirchheim, Mainz, 1867

PsI Psychologie vom empirischen Standpunkt. 1. Band, Ham-burg, Meiner 1924 (18741)

PsII Psychologie vom empirischen Standpunkt. 2. Band: Von der Klassifikation der psychischen Phänomene, Meiner, Ham-burg, 1925 (18741; 19112)

PsIII Psychologie vom empirischen Standpunkt. 3. Band: Vom sinnlichen und noetischen Bewußtsein, hg. O. Kraus -F. Mayer-Hillebrand, Meiner, Hamburg, 1968 (19281) (*)

RZK Philosophische Untersuchungen zu Raum, Zeit und Konti-nuum, hg. S. Körner – R. Chisholm, Meiner, Hamburg, 1976 (*)

US Untersuchungen zur Sinnespsychologie, hg. R.. Chisholm e R. Fabian, Meiner, Hamburg, 1979 (19071)

VE Versuch über die Erkenntnis, hg. A. Kastil, Meiner, Ham-burg, 1970 (19251) (*)

WE Wahrheit und Evidenz, hg. O. Kraus, Meiner, Hamburg, 1930 (*)


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