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Il corriere della 2SA

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Edizione unica per pochi, ma buoni.

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INDICE Pagina 1: Dalla villa al castello di L. Marzano,M.Primavera, R. Lettini, F. Cipriano, R. Cipriano e M. Dilillo Pagina 7: Il castello di Dragonara di M. primavera, R. Lettini, F. Cipriano, R. Cipriano e M. Dilillo Pagina 8: La donna nel medioevo di P. Lorusso, G. Fiore G. Parisi S. Amedeo, Angelica Camuso e Federica Baldi Pagina 11: Il mercato di G. Labriola e F. Olivieri Pagina 13: La vita nel convento di L. Todrani e G. Marino Pagina 21: magia e medicina nel medioevo di L. Passaro

REDAZIONE DIRETTORE Prof. Anna Papadia GRAFICA E IMPAGINAZIONE Giorgia Parisi, Paola Lorusso REFERENTI SETTORI L. Marzano R. Lettini P. Lorusso G. Labriola L. Todrani L. Passaro

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Dalla Villa al Castello A partire dal II secolo, a causa della morsa dell’ereditarietà dei mestieri

1, con la conseguente chiusura delle classi sociali, per

sfuggire al potere dei vescovi insediatosi nelle città e per difendersi dalle incursioni barbariche, vi fu uno spostamento dell’asse politico dalle città alle campagne. Qui venivano erette costruzioni, le “villae”, dove vigeva un rapporto di accomodazione

2. Col tempo,

nacque la necessità di trasformare tali villae in fortezze a causa delle continue battaglie tra feudatari. Nacquero così i primi castelli: veri e propri regni autonomi che disponevano di leggi, terre ed eserciti a servizio del feudatario. I castelli si trovavano in altura ed erano circondati da mura munite di feritoie (strettissime finestrelle), guardiole sorvegliate da sentinelle e da torri(rotonde o quadrate)per difendersi da attacchi nemici. A partire dal X secolo, con il definitivo affermarsi del feudalesimo, i veri protagonisti della vita politica, amministrativa e militare divennero i feudatari, i quali per difendere i propri possedimenti dalle incursioni sempre più frequenti di Ungari, Vichinghi e altre popolazioni nomadi circondarono di robuste fortificazioni le città, i villaggi e i monasteri. Essi, inoltre, sempre a scopo di difesa costruirono numerosi castelli in posizioni strategiche, soprattutto in luoghi elevati dai quali era possibile controllare il territorio circostante. All’ inizio il castello era costruito semplicemente da una torre di legno circondata da palizzate e fossati; in seguito, a partire dall’ XI secolo, divenne un robusto edificio di pietra, cinto di mura merlate e di torri con passerelle e luoghi di vedetta su cui erano appostate le sentinelle, che vigilavano per la sicurezza del castello e dei suoi abitanti. Spesso, per renderne l’ accesso più impraticabile, il castello era circondato da un largo fossato colmo d’ acqua, attraversato solo da un ponte levatoio. Nell’ interno l’ ampia corte poteva essere divisa in due cortili: quello più interno racchiudeva il “mastio”, la dimora del castellano; nell’ altro cortile c’erano le case degli artigiani, le stalle, i granai, il forno, la cappella, le baracche per i soldati e il deposito delle armi necessarie per garantire la sicurezza di tutti gli abitanti. Il castello era, dunque, il

1Passaggio obbligatorio del proprio lavoro da padre in figlio. 2L’uomo libero che si sottometteva al signore, gli prestava fiducia in cambio di protezione.

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centro di potere feudale e della vita sociale e la potenza del signore dipendeva anche dal numero di vassalli e di parenti che proteggeva e sul cui aiuto poteva contare, in caso di necessità.

3

Nel romanzo de “I Promessi Sposi”, Manzoni scrive: “Il palazzo di Don Rodrigo sorgeva isolato […] sulla cima di uno de’ poggi”

4. Le

mura e le torri terminavano con dei merli a coda di rondine o piatti che servivano per difendersi dalle frecce. Anche il ponte levatoio, che attraversava il fossato, assumeva funzione di difesa: veniva issato ogni qualvolta si presentava una minaccia. All’interno del castello c’era il cortile, dove si svolgevano gran parte delle funzioni del castello. Inoltre, vi erano alcuni servizi, quali laboratori artigianali, i magazzini e le scuderie. La descrizione del palazzotto di Don Rodrigo,precisa e dettagliata, rispecchia la personalità del personaggio crudele e malvagio. Infatti,il palazzotto è descritto come un luogo tetro, posto al centro di un terreno arido. “La porta era chiusa… le rade e piccole finestre che davan sulla strada, chiuse da imposte sconnesse e consunte dagli ann erano però difese da grosse inferiate”. A prima vista, il castello dà l'impressione di essere un forte militare in disuso ma la presenza “due grand’ avoltoi,con l’ali spalancate, e coi tesch penzoloni […] erano inchiodati, ciascuno sur un battente del portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste a destra e sinistra, facevan la guardia”

5 invece dimostra il contrario. Lo stato di

decadenza del palazzotto, le imposte consunte e i bravi minacciosi a guardia del castello danno una sensazione di timore e di diabolico, come in effetti è Don Rodrigo: un uomo che di buono ha poco, e che per ottenere rispetto usa la paura che incute attraverso i suoi bravi. Il castello è l'inespugnabile fortezza in cui vive e opera l'innominato, uomo malvagio e crudele “le cui mani arrivavano spesso dove non arrivava la vista degli altri: un uomo o un diavolo, per cui la difficoltà delle imprese era spesso uno stimolo a prenderle sopra di sé”

6 (cap.XVIII). Il luogo descritto all'inizio del

cap. XX, è situato in un punto imprecisato lungo il confine tra il Milanese e il Bergamasco e distante non più di sette miglia dal

3Storia medievale 1, di S. Zanichelli della atlas (pg. 142) 4“Promessi Sposi” Di Alessandro Manzoni, edizione integrale a cura di A. Jacomuzzi e A.M. Longobardi,

editore SEI, anno 2005. Pagina 108 capitolo V 5Promessi Sposi” Di Alessandro Manzoni, edizione integrale a cura di A. Jacomuzzi e A.M. Longobardi,

editore SEI, anno 2005. Pagina 108 capitolo V 6Capitolo XX pagine 358-359 dei Promessi Sposi, società editrice internazionale Torino, a cura di A.

Jacumuzzi e A. M. Longobardi

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palazzotto di don Rodrigo che si reca dall’ Innominato per affidargli il rapimento di Lucia. Fin dall'inizio il castello si presenta come un luogo truce e sinistro, specchio fedele della personalità malvagia del signore che vi risiede. Infatti, sorge in cima a un'erta collina, al centro di una valle "angusta e uggiosa" che è a cavallo del confine dei due stati, accessibile solo attraverso un sentiero tortuoso che si inerpica verso l'alto e che è dominato dagli occupanti del castello che sono dunque al riparo dall'assalto di qualunque nemico. Dall’alto l’ Innominato controllava tutto e dalle finestre poteva ben vedere chi saliva. Il castello è come un nido di aquile in cui l'innominato non ha nessuno al di sopra di sé e da dove può dominare anche fisicamente su tutto il territorio circostante, di cui egli è considerato l'assoluto padrone (i pochi birri che si sono avventurati lì sono stati uccisi e nessuno oserebbe addentrarvisi senza essere amico del bandito). All'inizio del sentiero che conduce in alto c'è un'osteria che funge da corpo di guardia, la quale, a dispetto dell'insegna che mostra un sole splendente, è nota come la Malanotte e in cui stazionano bravi dell'innominato armati fino ai denti: qui si ferma don Rodrigo quando giunge insieme ai suoi sgherri e viene precisato che nessuno può salire al castello armato, per cui il signorotto deve consegnare ai bravi il suo schioppo. In seguito don Rodrigo viene accompagnato all'interno della fortezza e percorre una serie di oscuri corridoi, con bravi di guardia ad ogni stanza e varie armi appese alle pareti (moschetti, sciabole, armi da taglio...). Il luogo è stato giustamente interpretato come un simbolo dell'indole del suo signore, che vive nella sua solitudine asserragliato su un'alta montagna e rende il proprio maniero inaccessibile a chiunque non voglia fare avvicinare: tale è la condizione dell'innominato sino al ravvedimento, poi è lui stesso a scendere dall'altura per incontrare il cardinale e giungere alla conversione, per cui il castello è in certo qual modo immagine dell'isolamento del peccato che l'uomo spezza andando a parlare con il cardinale Borromeo. Data l'identificazione tra il personaggio manzoniano e la figura storica di Francesco Bernardino Visconti, si pensa che il suo castello fosse quello i cui resti sorgono ancora nella cittadina di Vercurago, sulla strada che un tempo collegava Bergamo a Lecco (rimangono in piedi un torrione e parte della cinta muraria).

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Un altro esempio lo troviamo nel romanzo “La Papessa” dove viene riportata la descrizione di altri servizi presenti in un castello: “[…] attraversarono a cavallo la robusta palizzata […] e oltrepassarono alcune dipendenze: una cucina, un forno, una stalla, un deposito per il granturco”.

7 Un ultimo modello di castello medievale l'abbiamo

studiato nel romanzo “I Pilastri della terra” Tra i luoghi in cui sono ambientate le vicende dei protagonisti dei Pilastri della Terra, ci sono anche i castelli tipici dell’ età medioevale che vengono descritti in maniera particolareggiata. Per alcuni personaggi come Jack che viveva nella foresta, i castelli, “ultima meraviglia di una serie interminabile”, erano i luoghi in cui venivano ambientate le storie di maghi e cavalieri, quindi luoghi di rifugio e di avventure e, poiché non aveva mai visto un castello, immaginava che fosse un po’ più grande della grotta in cui viveva. I castelli invece erano grandi, fortificati, con tanti edifici e tanta gente impegnata a lavorare: c’ era chi ferrava i cavalli, chi prendeva l’ acqua, chi infornava il pane, chi trasportava farina, legna, stoffe, spade, insomma un brulicare di vita e dinamicità (pagina 199). In realtà i grandi castelli, centri di vita, attività economiche e sociali erano anche luoghi di difesa e quindi fortificati. Infatti, il fossato e i bastioni non avevano nulla di naturale e Tom spiega a Jack che erano stati scavati e costruiti da tanti uomini che lavoravano insieme. La descrizione esterna del castello con i suoi elementi difensivi si trova a pagina 46: “il fossato asciutto, il terrapieno che circondava la roccaforte centrale e il ponte levatoio e una guardiola

7“La Papessa”, di Donna Woolfolk Cross, Newton Compton editori, anno 1996

Il castello dell'innominato

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al fianco della porta […] di fronte alla porta, sul lato più lontano, c’ era il forte, l’ ultima rocca in caso di attacco che sorgeva in alto per permettere di vedere lontano”. All’interno del castello c’ erano tanti edifici bassi di legno, una scuderia, una cucina, un forno, diversi magazzini. Al centro stava il pozzo e sulla destra il palazzo grande e imponente, costruito su due piani. Molto dettagliata è anche la descrizione esterna di Earlcastle (pagina 173) in cui ritornano gli elementi di difesa con la particolarità “del fossato ampio e profondo a forma di otto con l’ anello superiore più piccolo di quello inferiore. Alla base dell’ otto c’ erano un ponte levatoio e un varco nel terrapieno che permettevano di accedere al cerchio inferiore. Era l’unico accesso. Non era possibile raggiungere il cerchio superiore se non passando dal primo e varcando un altro ponte sul fossato che li divideva”.

8 Anche il castello che il vescovo Waleran stava

costruendo (pagina 331) presentava un fossato asciutto colmato per permettere il passaggio alla gente. In tutte le descrizioni contenuti nei romanzo i castelli appaiono dunque non solo come luoghi di potere e luoghi di difesa ma anche come centri economici e sociali in cui si svolgevano le principali attività.

8I Pilastri della Terra, Ken Follett, Oscar Mondadori, 1990 Ristampa del 2011

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Il castello di Dragonara A seguito di questa introduzione, vi parleremo del castello di Dragonara , luogo che prendeva nome da Dragone, secondo dei dodici figli di Tancredi i cui discendenti presero il cognome "Sangro" dal fiume Sangro su cui possedettero estesi fondi. La fortezza fu costruita all'inizio dell' XI sec. sulle pendici del sub appennino Dauno.

E’ possibile che Dragone, fondatore dell'Abbazia della SS. Trinità di Venosa chiamasse a Dragonara la stessa manodopera che aveva lavorato all'Abbazia per farsi costruire il Castello: ciò spiegherebbe l'identico, singolare modo di fabbricare quelle volte oblunghe, con uno speciale impasto di malta, ciottoli di fiume e mattoni. A decorare le pietre dei muri esterni del Maniero ci sono piccole lastre scolpite in marmo. Esse raffigurano soggetti cari al medioevo tra cui anche un cavaliere in armatura. La torre del castello era originariamente priva di entrata e si pensa che l’assenza di una porta sia dovuta a scopo bellico e difensivo; sono state avanzate ipotesi sulla presenza di un qualche passaggio sotterraneo che collega il Castello con la torre, o addirittura di un luogo finalizzato a riti di iniziazione di sette segrete, durante i quali i postulanti riflettevano sul proprio essere. Nel 1190 Dragonara venne distrutta. In seguito al matrimonio tra Enrico IV e Costanza D'Altavilla, ultima erede della dinastia Normanna, ebbe inizio con la nuova dinastia Sveva

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un periodo di grande splendore per la Capitanata sede prediletta di Federico II, il quale, logorato dall'aspra lotta sostenuta contro il Papato e i Comuni, trovò la fine il 13 Dicembre 1250. Intorno a Torremaggiore, ardeva la guerra e molte città, tra cui San Severo, Civitate, Foggia, Fiorentino e Dragonara, erano rovinate e quasi distrutte. La ricostruzione di Dragonara fu impostata su di un terrazzamento delimitato naturalmente da un fossato e da una profonda scarpata. La difesa della città fu impostata, quindi, in parte sull'alta scarpate del terrazzo e in parte su un'altura retrostante su cui venne innalzato il castello. Il perimetro difeso ebbe cosi la forma di un triangolo circondato su due lati non protetti dalla scarpata del terrazzo da un profondo fossato. Il castello costituiva al vertice sud est di questo triangolo il fermo difensivo dell'insieme. Il tracciato delle cinta si adegua quindi alle condizioni impostate dal terreno e le opere di fortificazione sorgono nei tratti meno difesi naturalmente.

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9Fonti: Sitografia: http://www.impariamoascrivere.it/sanmarco/castello.htm -“Raimondo di Sangro”, di L.

Sansone Vagni

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La donna nel Medioevo Il Medioevo è stato il periodo in cui la donna ha subito le più evidenti forme di discriminazione e violenza e solo nei secoli successivi in modo lento e doloroso ha acquisito una dignità ed un grado di parità di trattamento con gli uomini purtroppo non presente tuttora in molte zone del nostro pianeta. Nel nostro percorso di studi abbiamo esaminato diversi romanzi e, avendo trovato vari esempi di discriminazione verso la donna nelle storie delle protagoniste, ci siamo soffermati su un particolare aspetto della società medioevale: la condizione della donna. La donna è stata da sempre considerata inferiore all’uomo sin dai tempi delle polis greche nel 1000 a.C. dove aveva un ruolo sociale marginale, pochissimi diritti ed era esclusa da ogni carica politica ed amministrativa. Con l’avvento della religione cristiana, in particolare nel IV secolo quando l’imperatore Teodosio la impone come religione di stato (editto di Tessalonica 390 d.C.), tutti i culti pagani vengono vietati e coloro che non si dichiaravano cristiani venivano perseguitati. Le conoscenze filosofiche e scientifiche del periodo classico ora ritenute “pagane” vengono abbandonate e distrutte e gli unici testi approvati erano le sacre scritture, spesso interpretate in modo letterale. In questo contesto storico lo status sociale della donna, considerata empia e priva della capacità di ragionare, peggiora in quantoritenuta fonte del peccato originale. L’esempio storico è quello di Ipazia di Alessandria, matematica, astronoma e filosofa, che viene perseguitata e uccisa da un gruppo di paraboloni (confraternita di monaci fanatici seguaci del Vescovo Cirillo) perché sosteneva teorie scientifiche in contrasto con i dettati biblici del Cristianesimo. Con il passare dei secoli la discriminazione femminile è sempre più esasperata a tal punto che la nascita di una figlia viene considerata una disgrazia. “Una femmina. Il Canonico scosse la testa. E’ una punizione di Dio. Una punizione per i miei peccati…”

10questa è la

reazione del padre di Giovanna la protagonista del romanzo “La Papessa” alla nascita della figlia. In questo romanzo risalta anche la problematica dell’istruzione, esclusiva degli uomini appartenenti al Clero e alle classi nobiliari del IX secolo. Giovanna, infatti, per

10La Papessa – Donna Woolfolk Cross – 1996 – Newton Compton Editori – pag. 15

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placare la sua sete di conoscenza ed accedere alla scuola vescovile è costretta a fingersi uomo assumendo l’identità del fratello morto. “Alzò il coltello. Con lentezza, deliberatamente, iniziò a tagliare. Era il crepuscolo quando dalla Cattedrale uscì la figura di un giovane…”.

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Un altro strumento vessatorio nei confronti delle donne era l’accusa di stregoneria con notizie di processi risalenti già dall’alto medioevo. Riferimenti si trovano sia nel libro “La Papessa” ( periodo 800 d.C.) dove questa sorte tocca alla levatrice del villaggio, Hortud, che nel testo “La Chimera” (ambientato nel 1600) dove invece è la protagonista, Antonia, ad essere condannata al rogo, solo perché aveva incontri notturni con il suo amante in luoghi dove si credeva venissero svolti riti di stregoneria. “La popolazione del villaggio di Ingelheim era riunita attorno allo stagno. Quel giorno doveva essere processata una strega, un avvenimento che certamente ispirava orrore, pietà e diletto. […] Se Hortrud risaliva alla superficie dello stagno e galleggiava, significava che le acque benedette dal prete l’avevano respinta; sarebbe stata rivelata la sua natura di strega e fattucchiera e Hortrud sarebbe stata bruciata sul rogo. Se affondava, dimostrava la sua innocenza ed era salva.”

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“Antonia era stata sorpresa più di una volta, di notte e in mezzo ai campi […] e riconosciuta per strega; anzi a questo proposito Don Teresio spiegò che gli incontri fra la strega e il diavolo avvenivano abitualmente […]”

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Da sempre l’unico compito attribuito alle donne è stato quello di procreare e allevare figli, dipendenti dal padre prima e da un eventuale marito successivamente. Raramente riuscivano a raggiungere una indipendenza economica e nei casi migliori riuscivano ad acquisire il ruolo di mercantesse altrimenti l’altra strada era la prostituzione. Nei Pilastri della

11

La Papessa – Donna Woolfolk Cross – 1996 – Newton Compton Editori – pag. 180 12 La Papessa – Donna Woolfolk Cross – 1996 – Newton Compton Editori – pag. 60 13La Chimera – Sebastiano Vassalli – 1990 – Einaudi – pag. 189

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terra un esempio di mercantessa è quello di Aliena che dopo la morte del padre Bartholomew e la perdita di tutti i beni della famiglia, riesce a ricostruirsi una vita grazie al commercio della lana. “Aliena aveva nei magazzini una quantità di lana ancora più cospicua […] era nel magazzino e dirigeva le operazioni di scarico di un carro traboccante di lana”

14.

14I pilastri della terra – Ken Follett – 1989 – Mondadori – pag 549

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Il Mercato Dopo la caduta dell’ Impero Romano d’Occidente, avvenuta nel 476 d.c. , inizia“cronologicamente” il periodo chiamato Medioevo (anche se per mentalità il Medioevo è iniziato prima che cadesse l’Impero Romano d’Occidente). Il Medioevo è caratterizzato dal fatto che non esiste più il concetto di stato, ma bensì il concetto di “accomandazione”, il quale consiste in un patto tra un grande proprietario terriero e uomo libero, nel quale: • Il proprietario terriero si impegnava a dare protezione all’uomo libero. • L’uomo libero dava in cambio la sua fedeltà, obbedienza e offriva il proprio lavoro. Questo concetto, nel Medioevo con l’arrivo di Carlo Magno, verrà poi chiamato vincolo Vassallatico (il quale includeva anche la fedeltà militare al sovrano). Ma cosa centra tutto ciò con il mercato e il commercio? Bisogna sapere che durante il Medioevo l’economia dei feudi (le terre date dal sovrano ai signori), era un’economia molto chiusa, perché ogni feudo pensava solo al proprio mantenimento; bisognerà arrivare all’XI sec. d.c. per riavere un’economia fatta anche di commercio. Molte città, infatti, diventarono famose per il loro grande mercato o per le fiere periodiche (per esempio in Italia grazie agli scambi commerciali si svilupparono città come: Milano, Firenze, Pavia, Venezia, ecc…). Organizzare un mercato non era molto semplice, infatti come viene descritto nel libro I pilastri della terra di Ken Follett, bisognava ottenere un permesso speciale che solo il sovrano in carica poteva concedere, ma era molto difficile perché in quel periodo in Inghilterra (dove è ambientato il libro), c’erano molte guerre di successione al trono e il re cambiava di continuo. “La fiera aveva occupato l’intero recinto, a eccezione degli edifici monastici e del chiostro, che erano sacri. Erano stati montati centinaia di chioschi e banchetti. I più semplici erano bianchi e di legno su cavalletti. Alcuni chioschi includevano tende per ripararsi dalla pioggia o per concludere gli affari in privato. I chioschi più raffinati erano vere casette con grandi magazzini, diversi banchi, e tavoli e sedie dove il mercante faceva accomodare i clienti importanti. Quasi tutti i chioschi erano forniti di merci. Il priorato

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aveva già incassato più di dieci sterline e dazi. Le sole merci che si potevano portare nel recinto il giorno della fiera erano cibi appena cotti, pane e focacce calde e mele al forno. Philip non sapeva con certezza quanto gli avrebbe reso la fiera, ma sarebbe stata comunque un successo, e quindi aveva speranze di guadagnare più delle venticinque sterline preventivate all’inizio. Negli ultimi mesi c’erano stati momenti in cui aveva temuto che la fiera non si sarebbe svolta. La guerra civile continuava senza che Stefano e Matilde ottenessero una vittoria decisiva; ma la sua licenza non era stata revocata. William Hamleigh aveva tentato di sabotare la fiera in molti modi. Aveva chiesto allo sceriffo di vietarla, ma lao sceriffo aveva bisogno dell’autorizzazione di uno dei monarchi, e la risposta non era arrivata”.

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Ma adesso osserviamo con più attenzione cosa si vendeva nel mercato. Le merci si distinguevano in due tipi: • merci di lusso, ovvero spezie, vini pregiati, sete ecc… • merci di largo consumo, ovvero quelle di uso quotidiano. Nel libro LA PAPESSA di Donna Woolfolk Cross, assistiamo alla scena in cui Giovanna (protagonista del romanzo) si trova ad una fiera, e ad un certo punto è attratta da una bancarella con delle pergamene scritte in greco, il monaco direttore della bancarella pensando che li volesse comprare per scriverci sopra, le mostra come raschiare e cancellare le scritte in greco, ma prima che avvenisse l’irreparabile Giovanna “salva” le pergamene comprandole. Questo era solo un esempio, ma succedeva spesso che i manoscritti (e non solo) considerati dalla chiesa pagani venissero distrutti o raschiati per poi riutilizzare le pergamene. “Sul campo le bancarelle dei mercanti erano addossate l’una all’altra, ed esponevano le merci in una sgargiante, incoerente profusione di colori e forme. C’erano vesti e mantelle di seta porporina, pelli dello stesso rosso scarlatto attribuito alla fenice, piume di pavone, farsetti di cuoi stampato, rare prelibatezze come mandorle e uva passa, e ogni genere di profumi e spezie, perle, gemme, argento e oro. Altre merci continuavano ad affluire attraverso i cancelli, in alti mucchi sui carri oppure trasportate in ingombranti cataste sulla schiena dei venditori più poveri, piegati in due sotto il gran peso. Mentre Giovanni pagava il suo acquisto, l’attenzione di Giovanna fu 15Fonti:“I pilastri della Terra”, K. Follet, Oscar Mondadori, 1990, pgg. 485-611

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attratta da alcuni fogli di pergamena sbrindellati, sparsi disordinatamente in fondo alla bancarella. I margini dei fogli erano strappati, le parole sbiadite e a tratti cancellate da brutte macchie marroni. Giovanna si chinò per leggere meglio, e l’eccitazione le arrossò le guance. Vedendo il suo interesse, il mercante accorse: “Così giovane e già così esperta nell’adocchiare un affare”, disse sontuosamente. “I fogli sono vecchi, ma ancora buoni allo scopo. Grazie!” Prima che Giovanna potesse parlare, il mercante prese un utensile lungo e piatto e raschiò rapidamente la pagina, cancellando parecchie lettere. “Fermo!”. Giovanna parlò bruscamente, rammentando una diversa pergamena e un diverso coltello. “Fermo!” Il mercante la osservò incuriosito. “Non preoccuparti, ragazza, è solo uno scritto pagano”. Le mostrò la pagina con orgoglio. “Vedi? Bella pulita e pronta per scriverci!”. Alzò l’utensile per ripetere, ma Giovanna gli afferrò la mano. “Ti darò un denaro per questi fogli”, disse con fare sbrigativo, l’uomo finse di essere offeso.”

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In fine un altro commercio molto esteso era quello della lana. Nel libro I PILASTRI DELLA TERRA, infatti, Aliena (una delle protagoniste) riesce a creare un mercato così esteso grazie alla compravendita di lana, che è lei a comprare l’armatura, il cavallo e le armi al fratello Richard per la guerra. Dal XII secolo le donne furono progressivamente emarginate dalla gestione dei beni e dei diritti di famiglia e si affermò l’idea che solo i figli maschi (tendenzialmente i primogeniti) potessero ereditare il patrimonio e il titolo del padre, ciò avvenne per evitare la divisione

delle ricchezze della famiglia causata dal matrimonio di una delle 16Fonti:“La papessa”, D. Woolfolk Cross, Newton Compton editori, 1996, pg. 137

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figlie. Il matrimonio era un vero e proprio affare di famiglia, infatti, per molti secoli non ebbe un carattere religioso: esso non nasceva dalla volontà della donna ma era deciso da altri, in genere il padre, che prendeva accordi con la famiglia dello sposo già durante l’infanzia della futura moglie. Solo nella seconda metà del XII secolo Papa Alessandro III incluse il matrimonio tra i sacramenti. La dimostrazione di quanto esposto appare chiaramente nel romanzo “I Pilastri della terra” relativamente alla figura di Aliena, figlia di un nobile promessa in sposa ad un giovane signorotto locale solo per fini politici ed economici. “Il Conte Bartholomew aveva un figlio maschio che avrebbe ereditato il titolo ed il patrimonio; quindi la figlia poteva servigli solo per stringere un’alleanza…”.

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Se non promessa in sposa, la sorte della donna non era migliore, infatti spesso era destinata ad una vita monacale in convento, ciò permetteva al figlio primogenito di ereditare tutti i beni della famiglia. E’ questo il triste destino che tocca a Gertrude, nota come la Monaca di Monza, nel romanzo “I promessi sposi”. “Quanti figliuoli avesse […] aveva destinati al chiostro tutti i cadetti dell’uno e dell’altro sesso per lasciare intatta la sostanza al primogenito […] La nostra infelice era ancora nascosta nel ventre della madre che la sua condizione era già irrevocabilmente stabilita.”.

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17I pilastri della terra – Ken Follett – 1989 – Mondadori – pag 166 18I promessi sposi – Alessandro Manzoni – capitolo IX – pag.184

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I Conventi IL CONVENTO è per definizione l’edificio in cui vive una comunità di religiosi, frati o suore, soggetti alla medesima regola.

La STRUTTURA ARCHITETTONICA di UN MONASTERO:

L'ampiezza delle comunità monastiche, variava in funzione della ricchezza e del prestigio: alcune erano piccolissime, poche altre potevano accogliere anche 900 monaci. In media però ne riunivano da 10 a 50, perché l'Abate doveva conoscere e seguire i suoi monaci e guidarli come un padre spirituale.

Solitamente costruito vicino ad un corso d'acqua, l'intero complesso monastico era orientato in modo che l'acqua potesse essere convogliata verso le fontane e la cucina, prima di raggiungere la lavanderia ed i bagni. Le origini della struttura del tipico monastero rimangono oscure. Probabilmente i monaci si rifecero in parte alle ville romane loro

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familiari e costruite su uno schema unico in tutto l'impero. D'altra parte i monaci, quando potevano, stabilivano le loro comunità in edifici preesistenti, spesso proprio delle ville di origine romana, che poi adattavano alle loro esigenze. Il tempo, l'esperienza e le esigenze delle comunità monastiche lentamente influirono sull'impostazione originale dei monasteri secondo criteri comuni a tutte le latitudini. Questo portò i monasteri a rassomigliarsi tra loro. Alla fine l'aspetto generale del monastero risultò essere quello di una sorta di città, con case divise da strade ed edifici, soprattutto nei grandi monasteri, divisi in gruppi. L'edificio della chiesa forma il nucleo e rappresenta il centro religioso della comunità. Perseguendo l'indipendenza dal mondo esterno, inoltre, i monaci si dotarono di mulini, forni, stalle, cantine e dei laboratori artigiani necessari per eseguire riparazioni e quant'altro fosse richiesto per soddisfare le esigenze della loro comunità. Chiesa : In altezza, la chiesa di norma domina materialmente il resto dell'abbazia ed inoltre è sempre molto ricca, dimostrando la grande importanza che l'ufficio divino deve avere nella vita del monaco. La sua dimensione e ricchezza esprime anche la prosperità del monastero e spesso vi sono seppelliti i benefattori della comunità e conservate le reliquie dei santi. Per la sua costruzione i monaci si rifecero soprattutto alle basiliche romane, molto diffuse in Italia: una navata centrale e due laterali illuminate da una fila di finestre sulle pareti, terminanti in un'abside semicircolare. Chiostro : Il chistro (dal latino claustrum, luogo chiuso), è stilisticamente ripreso dell'atrium delle ville romani ed è il luogo deputato alla meditazione (per questo vi vige la "regola del silenzio") servendo ai religiosi da deambulatorio e riparo. È sempre circondato da portici sostenuti da colonne e pilastri ed è posizionato centralmente alle varie costruzioni del monastero di cui viene così a formare l'ossatura, infatti su di esso si affacciano gli edifici più importanti, come la

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chiesa, il capitolo per le riunioni della comunità monastica, il dormitorio (poi sostituito dalle celle), il refettorio. Capitolo : Il capitolo è il locale destinato alle riunioni della comunità monastica dove: . Il postulante si presenta a chiedere l'ammissione al monastero; . l'abate impone il nome nuovo al postulante che così diventa novizio e, in segno di umiltà ed affetto, gli lava i piedi, seguito in ciò da tutti i fratelli; . Il novizio emette i voti divenendo monaco; . l'abate convoca i suoi monaci per consultarli su questione importanti per la comunità; . funge anche da camera ardente per la veglia dei monaci deceduti. Inizialmente nel capitolo ci si riuniva solo per la distribuzione del lavoro manuale tra i monaci, solo con il tempo fu dedicato esclusivamente alle riunioni ufficiali della comunità. Il suo nome deriva dalle letture (preghiere, sacre scritture e la regola dell'ordine) che accompagnavano abitualmente l'attribuzione delle varie incombenze. Benché il passo letto quotidianamente non corrispondesse sempre ad un capitolo, tuttavia questo nome restò attribuito alla sala. Biblioteca : Come abbiamo già detto, le biblioteche benedettine hanno svolto l'importantissima funzione di preservare, dopo la caduta dell'Impero romano, le conoscenze antiche raccogliendo dalle rovine quello che veniva recuperato. Anche ai giorni nostri la biblioteca di un monastero ha grande importanza, dato che la lettura e lo studio fanno parte integrante della vita monastica. Sono inoltre aperte e frequentate anche da studiosi esterni, che spesso solo lì possono reperire i documenti di cui necessitano. Dormitorio e celle: Il dormitorio era la camerata comune dove, secondo la Regola, una lampada era mantenuta sempre accesa. Quando i monaci erano tanti, erano divisi tra più dormitori. Con gli anni si passò dalla camerata comune alle celle. Dapprima si praticarono delle divisioni di legno per isolare il monaco dalle inevitabili distrazioni di una sala comune, incompatibili con le esigenze dell'attività intellettuale (studio). In seguito la stanza fu chiusa da una porta e, in tal modo, si giunse al tipo di costruzione attuale divenuto di uso generale dal XV secolo.

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Refettorio: Il refettorio era la sala comune dove i monaci si riunivano per consumare i loro pasti. Originariamente costruito sul piano del triclinium romano, terminava in un'abside. I tavoli erano (e sono tuttora) normalmente disposti su tre lati lungo le pareti, lasciando il centro libero per gli inservienti. Vicino al refettorio c'era sempre una fontana dove ci si poteva/doveva lavare prima e dopo i pasti. Cimitero: Alla loro morte, i monaci erano seppelliti nel cimitero interno al monastero. L'onore di essere sepolti tra i monaci era un privilegio che la comunità talvolta poteva concedere a vescovi, re e benefattori. Foresteria : Le comunità monastiche sempre ed ovunque hanno accordato ospitalità a tutti con spirito di servizio. Per questa ragione i monasteri costruiti lungo vie molto trafficate erano particolarmente attrezzati allo scopo e molto apprezzati. Spesso accoglievano anche ospiti di riguardo come re, principi e vescovi in viaggio insieme alle loro corti ed accompagnatori. Le infermerie erano collegate a queste ali del monastero per curare anche gli ospiti che ne avessero bisogno. Gli edifici adibiti all'ospitalità erano spesso suddivisi in aree distinte, dove meno interferivano con la quiete e la riservatezza del monastero ed avevano anche una cappella perché gli estranei non erano ammessi nella chiesa utilizzata da monaci o monache. Infermeria: L'infermeria era un edificio separato dedicato ad ospitare i monaci malati o deboli che erano affidati ad un monaco-medico. Spesso era posta vicino al dormitorio. Era dotata di un orto detto Giardino dei semplici.

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Giardino dei semplici: Inizialmente aveva il nome di orto dei semplici. La parola semplici deriva dal latino medioevale

medicamentum o medicina simplex usata per definire le erbe medicinali. È un Orto per la coltivazione delle erbe e delle piante medicinali, spesso posto nei pressi

dell'infermeria. Cucine: La cucina (dove i monaci servivano in turni settimanali) era naturalmente situata vicino al refettorio. Nei monasteri più grandi c'erano più cucine: per i monaci, i novizi e gli ospiti. Gabinetti: I gabinetti erano separati dagli edifici principali ed erano raggiungibili percorrendo un corridoio. Erano sempre disposti con grande cura verso l'igiene e la pulizia e forniti di acqua corrente ogni volta che era possibile. Scuole : Molti monasteri avevano scuole esterne per i novizi, ragazzi destinati dai loro genitori alla vita monastica. In anni recenti alcuni hanno istituito anche scuole e collegi aperti a giovani che non hanno la chiamata religiosa. Noviziato: I novizi, non essendo ancora parte della comunità, non avevano il diritto di frequentare la zona di clausura. Avevano un posto nel coro durante gli uffici divini, ma trascorrevano il resto del tempo nel noviziato. Un monaco anziano, il prefetto o maestro dei novizi, li istruiva nei principi della vita religiosa e li sorvegliava. Il periodo di prova durava una settimana. I noviziati più grandi avevano propri dormitori, cucine, refettori, sale di lavoro ed anche chiostri. Azienda agricola: Le aziende agricole sono intese dalla regola da un lato come

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un'occasione di lavoro, dall'altro come un mezzo di sostentamento che assicurava al monastero l'autonomia alimentare. Magazzini e laboratori: Nessun monastero era completo senza le sue dispense per conservare il cibo. C'erano, inoltre, granai, cantine e altri locali di servizio; tutto posto, insieme agli edifici delle fattorie, sotto la tutela del monaco cellaio. Molti monasteri possedevano anche mulini per macinare il grano. Appartamenti dell'abate: A partire dal basso medioevo separati erano anche gli appartamenti del capo della comunità: l'abate. Nel bellissimo romanzo di Ken Follet, I Pilastri della Terra, l’autore descrive con dovizia di particolari la strutture di varie chiese

medievali, come ad esempio: “aveva visto diverse chiese, e tutte avevano più o meno la stessa struttura. La parte più ampia era la navata centrale, che si trovava sempre a ovest. Poi c’erano i due bracci, che Tom chiamava transetti e che sporgevano a nord e a sud. L’estremità orientale veniva chiamata abside ed era più corta della navata. Kingsbridge era diversa dalle altre chiese solo perché l’estremità occidentale

aveva due torri, ai lati del portale, come in corrispondenza dei transetti”.

19 “a Winchester […] la calma e la serenità del monastero

furono per Philip un ristoro come una fontana in una giornata afosa […] la cattedrale di Winchester era la chiesa più grande del mondo […] Era lunga un ottavo di miglio[…] aveva due torri campanarie, una sopra l’altare e l’altra all’estremità occidentale”.

20 Come non

ricordare, a proposito di suore rinchiuse in convento, la triste storia della Monaca di Monza, narrata dal Manzoni nel suo celeberrimo romanzo “I promessi Sposi” e che tanto ci ha appassionato durante i nostri studi di letteratura italiana. Storia triste in quanto testimonianza di una vicenda realmente accaduta alla nobile Maria

19

Da I Pilastri della Terra parte I , cap.4, pag.236 20

Da I pilastri della Terra parte II, cap.2 pag.316

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Virginia de Lenya di Milano, che fu indotta dalla famiglia alla MONACAZIONE FORZATA, affinchè il patrimonio familiare non

venisse dissipato per la dote matrimoniale, ma restasse nelle mani del figlio primogenito. Nel capitolo X deI Promessi Sposi, infatti, Il Manzoni racconta dell’ingresso di Gertrude (Virginia) nel monastero delle suore di clausura di Monza, del suo noviziato fino a quando Gertrude non prende i voti monacali, divenendo la più nota “monaca di Monza”. –“Fu dunque fatta la sua

volontà; e, condotta pomposamente al monastero vestì l’abito. Dopo 12 mesi di noviziato, pieni di sentimenti e di ripentimenti, si trovò al momento della professione, al momento, cioè in cui conveniva, o dire un “no” più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un “si” tante volte detto; lo ripetè, e fu monaca per sempre”-

21 Sembra a questo punto necessario approfondire il

concetto di CLAUSURA, per poter meglio comprendere lo stile di vita all’interno di un convento: dal latino CLAUDO, il termine indica la legge che regola e disciplina i contatti dei monaci e delle monache con il mondo esterno. La vita di un monastero di clausura è quindi centrata sulla ricerca di Dio attraverso la preghiera,l’ascolto della Parola, la contemplazione, l’ascesi e la pratica della fraternità all’interno della comunità religiosa. La clausura delle monache può sembrare un retaggio di secoli passati, al contrario si tratta di una realtà viva e addirittura in espansione essendo addirittura più di 3500 i monasteri di clausura sparsi nei 5 continenti; in Italia i monasteri femminili sono 468 ed il primato per numero di monasteri lo ha l’ordine francescano. L’accoglienza della lingua e della cultura latina da parte dei cristiani costituisce la premessa dell’intensa attività scrittoria dei monasteri che, a partire dal VI secolo 21

Da I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni capitolo 10 versi 470-476

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cominciarono a sorgere in tutta Europa. Padre del monachesimo occidentale fu San Benedetto da Norcia, fondatore dell’abbazia di Montecassino, ancora oggi centro attivo di preghiera e di cultura. La Regula da lui istituita, basata sul celeberrimo motto “Ora et Labora” valorizza moltissimo il lavoro sia manuale che intellettuale, tanto che in Europa i monasteri benedettini assunsero un ruolo fondamentale nel recupero dell’economia, della società e della cultura. Mentre aiutavano e reintegravano vagabondi e contadini in fuga, restituendo alla coltivazione le terre abbandonate, i monaci riuscirono anche nell’impresa di conservare e ricopiare le opere di tutti gli autori latini. I monaci addetti a questo compito venivano chiamati amanuensi. Fu la loro attività, ispirata all’ottica cristiana secondo cui ogni aspetto della realtà manifesta la gloria di Dio, ad aver salvato gran parte del patrimonio culturale della classicità. Ricordiamo il famoso SCRIPTORIUM (dal verbo scribere, “scrivere”) , ovvero il luogo in cui era effettuata l'attività di copiatura da parte dei monaci emanuensi soprattutto nel Medioevo. Nel romanzo “La Papessa”, Giovanna come punizione fu costretta da Odo a trascrivere il passaggio dalla prima lettera a Timoteo ben 25 volte in bella scrittura, proprio nello scriptorium, luogo che spesso viene richiamato nella narrazione. –“Molto bene”-disse Odo. –“Come punizione per la tua indolenza, trascriverai il passaggio dalla prima lettera a Timoteo, capitolo 2, versetti 11 e 12, 25 volte in bella scrittura prima di andartene”.

22

Nella terminologia corrente di solito si intende per centro scrittorio quella parte del complesso monastico dedicata alla copiatura dei manoscritti, spesso comunicante con la biblioteca. E’ di tutta evidenza dunque la grande importanza culturale dei conventi e monasteri nel mondo, sia per l'azione di salvaguardia della cultura greca e latina, sia perché costituirono ambiti di pensiero e sviluppo di nuova cultura. Tutt’oggi i conventi sono mete di turismo e luoghi di ritiro spirituale, isolati dai frenetici centri cittadini e frequentati anche dalla gente comune, desiderosa del clima di pace e serenità che è possibile respirare all’interno di un monastero. 22

Dal “La Papessa” capitolo 8 pag. 107

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Magia e Medicina nel Medioevo La notte è il luogo deputato per misfatti che nessuno avrebbe compiuto di giorno. È proprio nella notte quindi che si pensava venisse praticata la stregoneria. Nei “Promesso Sposi” l’osteria e la notte sono luoghi significativi:

∙ la prima è quella di Don Abbondio (capitolo 2, righi 14-28), nella quale il curato viene minacciato da due bravi di Don Rodrigo che non voleva che Renzo e Lucia si sposassero;

∙ la seconda riguarda Lucia, Renzo e Agnese che cercano di organizzare un “matrimonio a sorpresa” (capitolo 8, righi 20-640). Questo particolare matrimonio consisteva nel tentativo di imbrogliare Don Abbondio che senza volerlo avrebbe sposato Renzo e Lucia;

∙ la terza è la notte che Renzo trascorre accampato vicino all’Adda, dopo essersi allontanato da Gorgonzola (capitolo 17, righi 88-121). Durante il sonno viene tormentato dai pensieri e ricordi più angosciosi: la lontananza da Lucia, dal paese, dalle persone care, ma anche la preoccupazione dei fatti milanesi e della persecuzione della polizia;

∙ la quarta è la notte dell’Innominato (capitolo 20, righi 267-416), nella quale Lucia viene rapita e portata al suo castello.

MEDICINA NEL MEDIOEVO: Nel Medioevo le erbe e le spezie, sempre accompagnate da riti magici o preghiere, erano molto usate per preparare pozioni e medicine. Nel romanzo “La Papessa” di Donna Woolfolk Cross ci sono vari riferimenti all’uso di esse per preparare delle medicine (a pagina 203 e 204 è appunto descritta la scienza medica di allora, vengono nominate alcune erbe e vengono illustrate le loro

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proprietà curative. Poi a pagina 331 c’è anche una piccola descrizione delle farmacie medioevale, nonché dei laboratori dove venivano preparate la pozioni L’abilità nel preparare pozioni e rimedi contro le malattie è indicata col termine inglese antico “Lybcraeft”. Sempre nel romanzo di Donna Cross ci sono delle parti nelle quali vengono proprio descritte le procedure di preparazione.

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L’idea che ci fossero dei virus nell’aria si è sviluppata nella seconda metà del Medioevo: questi agenti patogeni invisibili presero il nome di Onflyge e non sono nient’altro che le infezioni. Nello stesso romanzo ci sono delle informazioni anche su questo.

24

23

A pagina 392 e 393, quando Giovanna cura il papa o a pagina 228 e 229, quando scopre che una donna non era

veramente ammalata di lebbra come si pensava e allora riesce a guarirla 24

A pagina 257 e 258 c’è una parte nella quale la protagonista Giovanna scopre che le malattie si possono trasmettere

col contatto fisico e quindi che il contagio può avvenire facilmente

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Geoffrey Chaucer The poet Geoffrey Chaucer (1343-1400 a.C.) has been very important in the Middle Ages, because he is regarded as the “father” of modern English language. As he was a public figure of Kent he was allowed to travel all over Europe, getting in touch with other cultures like the French and the Italian ones and their influence is clear in some of his works: “The Parlement of Foules”,“The House of Fame” and the narrative poem, considered his masterpiece, “The Canterbury Tales”. The poem opens with a “General Prologue”, in which Chaucer introduces the characters. At the time of this work, society was divided in three social classes: the “military”, the “clergy” and the “laity”. Chaucer’s characters are classified in the same way. They are also separated according to their behaviour. The poet uses the narrative technique of physiognomic: the physical aspect is related to the character’s moral. “The Canterbury Tales” is a frame-tale collection of independent stories linked by a main theme: the “pilgrimage”. It’s a journey that people made to a holy place, especially during the Middle Ages when religion was really important. Thirty pilgrims are making a four day journey from London to St. Thomas Becket’s shrine, an Archbishop murdered in 1170, in Canterbury. A tale-telling competition starts among the pilgrims consisting in telling some stories about their own adventures. The poem was inspired by Boccaccio’s “Decameron” but it remained unfinished.

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The female figures in “The Canterbury Tales” The two women described by Chaucer in the “General Prologue” are the Prioress and the Wife of Bath as representatives of two of the three estates described by the poet: the clergy and the laity. The Prioress, a kind of nun, is not described highlighting her faith and devotion, but through her singing, her ability to speak French, her

elegant table manners and her love of small animals. The tone of this description is ironic in order to criticize the clergy. At Chaucer’s time, it was dangerous to criticize the King, but writers made fun of monks, nuns, friars and pardoners. “At meat her manners were well-thought withal; […] She could clean her

upper lip so clean that not trace of grease was to be seen upon the cup when she had drunk [...]; She used to weepif she but saw a mouse caught in a tra, if it was death or bleeding.” A fascinating aspect of Chaucer’s version of the estates? Satire is that he includes several pilgrims ( the doctor, the cook, the shipman) who do not fit neatly into the three estates models and the figure that best represents it is the wife of Bath; her staus of widow and a merchant contradicts the traditional medieval ideas of both gender and class, demonstrating how the social structure was changing. Five times married, she is perhaps the most entertaining of the pilgrims she seems to regard pilgrimage as a social activity infact she has been to all the major pilgrimage sites of the medieval times. This suggests a remarkable freedom of movement and access to wealth that was unusual in the Middle Ages but still common enough to confound and complicate the idea of the three estates.

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“A worthy woman all her life, she’d had five husband, all at the churh door apart from the other company in youth [...]; And she had trice been in jerusalem, seen many strange rivers and passed over them; she’d been to Rome and also to Boulogne, St. James in Compostela and Cologne.”.

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Fine

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