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Cinque domande che gli studenti ci fanno durante le docenze Faccioni sui manifesti, etica aziendale, marketing virale: le questioni più ricorrenti durante questi mesi in giro per l’Italia. gennaio 2014

Cinque domande che gli studenti ci fanno durante le docenze

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1. Manifesti elettorali: faccioni sì o faccioni no? 2. Lavorate per tutti i politici che vi chiamano? 3. Non avete paura che le vostre campagne siano oggetto di satira? 4. Il marketing virale può aiutare la politica? 5. Voglio fare comunicazione politica: mi date un consiglio?

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Faccioni sui manifesti, etica aziendale,marketing virale: le questioni più ricorrentidurante questi mesi in giro per l’Italia.

gennaio 2014

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Chi sono

Mi chiamo Dino Amenduni([email protected] - http://about.me/dinoamenduni)

Sono il responsabile dei nuovi media e consulente per la comunicazione politica per l’agenzia Proforma di Bari (www.proformaweb.it)

Sono collaboratore e blogger per Finegil-Gruppo Espressoe formatore (su social media marketing e comunicazione politica)

Tutte le mie presentazioni sono disponibili gratuitamente(sia la consultazione che il download) all’indirizzo: www.slideshare.net/doonie

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sommario

1. Manifesti elettorali: faccioni sì o faccioni no?

2. Lavorate per tutti i politici che vi chiamano?

3. Non avete paura che le vostre campagne siano oggetto di satira?

4. Il marketing virale può aiutare la politica?

5. Voglio fare comunicazione politica: mi date un consiglio?

Le cinque domande

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Manifesti elettorali:faccioni sìo faccioni no?

Dipende (dal livello di popolarità del candidato)

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5Faccioni sì o faccioni no?

Popolarità assolutapercentuale di elettori che conoscono il candidato.

Popolarità relativaconfronto di popolarità tra il candidato e i suoi competitor (tenendo conto anche della distanza temporale dalla data delle elezioni).

Dipende.Partiamo da un presupposto. Questo tipo di valutazione non dovrebbe essere di tipo estetico, ma legato alla gestione di una variabile: la popolarità del candidato all’interno dell’elettorato di riferimento.

Più basso è l’indice di popolarità assoluta, più largo è il divario tra i candidati (con il “nostro” candidato in svantaggio), più il volto sui manifesti è strategicamente sensato.

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Francesca Barracciu, primarie del centrosinistra (settembre 2013, Sardegna) → volto sul manifesto perché il livello di conoscenza del candidato era più basso rispetto al Presidente Cappellacci, essendo lei la sfidante.

Il manifesto della campagna è dunque utile ad aumentare la notorietà all’interno di un pubblico più ampio.

Faccioni sì o faccioni no?Sì.

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Matteo Renzi, primarie del centrosinistra (dicembre 2013, Italia) → il volto sul manifesto non è stato necessario perché il livello di conoscenza del candidato era molto alto sia in termini assoluti, sia nei confronti dei competitor (Cuperlo, Civati, Pittella).

Faccioni sì o faccioni no?No.

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Nichi Vendola, primarie del centrosinistra (2005, Puglia) → il volto sul manifesto è stato utile perché Vendola era stato in Parlamento negli anni precedenti e aveva percentuali di notorietà molto più basse rispetto a Raffaele Fitto, Presidente di Regione in carica.

Faccioni sì o faccioni no?Stesso candidato, campagne diverse, strategie diverse.

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Nichi Vendola, primarie del centrosinistra (2010, Puglia) → Lo scenario è molto diverso dalla campagna di cinque anni prima: Vendola ha governato e dunque è molto più conosciuto dei suoi principali avversari, Palese e Poli Bortone. Il volto non è dunque indispensabile dal punto di vista strategico.

Faccioni sì o faccioni no?Stesso candidato, campagne diverse, strategie diverse.

Non si può scavare il fondodel più belmare del mondo.

VENDOLA la poesia è nei fatti.

No alle piattaforme petrolifere al largo della costa pugliese. www.nichivendola.it

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PresuppostoUn sondaggio che vi dica qual è il livello di notorietà del candidato. Senza questo indicatore la scelta è totalmente arbitraria e svincolata da ogni riflessione strategica.

Faccioni sì o faccioni no?In sintesi.

OrientamentoIl volto è utile per aumentare il tasso di popolarità in tempi brevi, soprattutto se si agisce contemporaneamente su altri mezzi (spot tv, social media, stampa, presenze televisive) per consolidare l’associazione nome-volto.

Nessuna scelta è definitivaNon esistono candidati per cui il volto sui manifesti va sempre bene o sempre male. Lo stesso candidato può avere esigenze che cambiano negli anni e a seconda del contesto (a partire dalle caratteristiche dei competitor).

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Lavorate per tutti i politici che vi chiamano?

No, per scelta. Ma pensiamo che sia legittimo pensarla diversamente.

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12Lavorate per tutti?

Riteniamo che le campagne elettorali richiedano il 101% dello sforzo professionale dei consulenti di comunicazione politica, in qualsiasi contesto si svolgano (dai piccoli centri a campagne nazionali: ogni elezione ha uguale dignità, e simili difficoltà).

La combinazione di alcune componenti abituali degli appuntamenti elettorali (tempi stretti, tante decisioni da prendere, tanti cambiamenti in corsa, gruppi di lavoro da coordinare, pressione da parte degli elettori e dei media, generale clima di sfiducia nei confronti della politica) richiedono, a nostro avviso, massimo impegno, dedizione e concentrazione (il 101%, appunto).

No.

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13Lavorate per tutti?

L’unico modo, per noi, di dare questo benedetto 101% è avere anche solo un minimo di condivisione emotiva, valoriale, politica di ciò che il candidato propone all’elettorato.

Non tutti i candidati possono piacere allo stesso modo (così come non siamo piaciuti allo stesso modo a tutti i candidati), ma abbiamo bisogno di un livello minimo di partenza per poter dare il massimo.

Per questo abbiamo deciso di non accettare commesse che provengono dalla parte politica più lontana dalle nostre idee (la destra, nello specifico).

No.

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14Lavorate per tutti?

Non ci sogneremmo mai di dire che il nostro modello aziendale sia l’unico corretto, anzi.

Molti consulenti politici ritengono che l’unico metodo per svolgere correttamente questa professione sia sostanzialmente il nostro opposto, cioè lavorare mantenendo distanza critica dai candidati e dalle loro idee.

Il distacco, visto da noi come un elemento capace di non farci rendere al massimo, può essere invece considerato il giusto ingrediente per dare consigli e suggerimenti non viziati da componenti emotive o di appartenenza.

Lasciamo al lettore la scelta su quale modello adottare.

No, ma non è detto che sia giusto.

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15Lavorate per tutti?In sintesi.Non esiste un modello universalmente validoEntrambi gli approcci (lavoro “di appartenenza” e lavoro “per tutti”) convivono da sempre nel panorama della comunicazione politica, stimolando un confronto sempre stimolante.

C’è lo stesso dilemma nella professione di comunicatore politicoÈ un mestiere a parte, che richiede competenze specifiche, o un professionista deve saper “vendere” un politico e un detersivo allo stesso modo? Noi pensiamo che sia un lavoro specifico, pubblicitari molto più bravi di noi (Jacques Seguela, ad esempio), la pensano all’opposto.

La nostra posizione è un lussoSe fossimo un’agenzia che fa solo campagne elettorali, non potremmo permettercelo.Lavorare anche nel campo della comunicazione non politica ci rende più liberi di scegliere.

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Non avete paurache le vostre campagne siano oggetto di satira?

No, anzi. Quando è possibile, progettiamocampagne fatte apposta per essere taroccate.

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17Paura della satira?

Da qualche anno proviamo a progettare campagne il cui sviluppo (visual, concept) è naturalmente orientato a stimolare processi generativi da parte degli utenti.

Questo tipo di apertura può favorire l’aumento di visibilità e di popolarità delle campagne, soprattutto se sono inserite in un contesto competitivo molto polarizzato, con grande “tifo” e allo stesso tempo grande ostilità per il candidato con cui stiamo lavorando.

In alcuni casi non ci limitiamo a realizzare campagne “virali”, ma costruiamo strumenti (ad esempio generatori automatici di manifesti) che permettano a chiunque, anche senza alcuna competenza grafica, di realizzare adattamenti liberi.

No, anzi.

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18Paura della satira?

Sito “neutro” (ma progettato dal comitato Vendola) in cui l’utente poteva liberamente taroccare i manifesti dei tre candidati principali.

85% dei manifesti generati ha riguardato Vendola, circa il 50% di quei manifesti era “negativo” ma nelle ore successive alla pubblicazione del sito, la campagna di Vendola ha sovrastato quella degli avversari sui social media.

Tarocca il Manifesto (Regionali 2010)

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19Paura della satira?

Campagna creata con un concept ipervirale. Sapevamo che la generazione dei manifesti avrebbe potuto ottenere effetti satirici, ma anche che in questo modo il claim “Oppure Vendola” sarebbe diventato più rapidamente popolare sul web.

Oppure Vendola (Primarie 2012)

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20Paura della satira?

Il sito www.cambiaverso.com permetteva agli utenti di generare il proprio manifesto personalizzato e di pubblicarlo direttamente su Facebook e su Twitter, con un solo click e inserendo solo il proprio testo.

Grazie a questo strumento, sono stati realizzati oltre 10mila manifesti nella prima settimana dopo l’uscita del generatore.

Matteo Renzi (Primarie 2013)

www.cambiaverso.com

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In sintesi.Non avere paura dei “manifesti tarocchi” Se la campagna non funziona, non funzionerà anche se non sarà oggetto di satira. Se funziona, è meglio far sì che circoli nel modo più semplice e virale possibile.

Paura della satira?

Scelta strategica e di creatività Le campagne non sono “virali” per definizione. Chiaramente un candidato molto amato o molto odiato favorisce meccanismi di generazione di manifesti.Ma è altrettanto importante progettare una campagna che si presti a questo tipo di declinazioni. La progettazione, dunque, può condizionare almeno in parte concept e visual della campagna.

Evitare di inserire il candidato(in particolare foto, in particolare il volto) direttamente sui manifesti oggetto di satira.Questo potrebbe favorire un effetto-boomerang (l’oppositore può mettere parole scomode in bocca al candidato).

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Il marketing viralepuò aiutare la politica?

Sì, ma senza esagerare. La politica è semprepiù importante della comunicazione.

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23Il marketing virale aiuta?

Se è vero che una buona comunicazione può aiutare, è altrettanto che vero che una buona comunicazione, da sola, non basta per vincere le elezioni.Serve molto altro, serve la politica. Servono le cose fatte per un sindaco, una proposta chiara per un candidato, una visione strategica d’insieme per un gruppo di lavoro.

Per questo motivo bisogna fare sempre attenzione a dare il giusto peso a ogni singola componente della comunicazione pensando che nessuna idea, da sola, risulta davvero decisiva.

I video virali, anche geniali, non fanno eccezione.

Sì, ma senza esagerare.

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24Il marketing virale aiuta?

Un video è virale quando:

1. È condiviso dai tastemaker, da utenti con grande popolarità e reputazione che accelera il processo di conoscenza del contenuto;

2. Ha un format facilmente riproducibile da altri utenti, che moltiplicano sia la portata del contenuto, sia la conoscenza dello stesso;

3. Contiene componenti (soggetto, sceneggiatura, scelte stilistiche) imprevedibili, che tengano alta l’attenzione dello spettatore.

Queste tre condizioni sono necessarie, ma non sufficienti.I video virali non si costruiscono in laboratorio (salvo rarissimi, e comunque non del tutto gestibili, casi).

Cos’è un video virale.

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25Il marketing virale aiuta?

Un video autoprodotto a costo zero da due volontari diventa così popolare su Internet da indurre un cambio di pianificazione sui mezzi tradizionali: questo video va in televisione nell’ultima settimana prima delle elezioni.

Michele Emiliano – Problemi di elezione(Amministrative 2009)

clicca per guardare il video sul tuo browser

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26Il marketing virale aiuta?

Un noto commerciante barese, conosciuto per i suoi video pubblicitari sulle principali tv locali, realizza uno spot politico “atipico” a sostegno di Michele Emiliano, sindaco di Bari.

Qui un suo spot originale…

Michele Emiliano – Gianni Paulicelli (Amministrative 2009)

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27Il marketing virale aiuta?

… e qui lo spot politico, realizzato tenendo conto di tutte le caratteristiche stilistiche dell’originale, ma con un messaggio forte e di profonda attualità per le amministrative 2009: il no al nucleare.

Michele Emiliano – Gianni Paulicelli (Amministrative 2009)

clicca per guardare il video sul tuo browser

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28Il marketing virale aiuta?

Lo spot per la tv e per Internet (due minuti) con cui Michele Emiliano, rilanciando e rovesciando un messaggio elettorale di Berlusconi, comunica la sua candidatura nelle ultime due settimane di campagna elettorale.

Michele Emiliano – Ballottaggio (Amministrative 2009)

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In sintesi.Virali si nasce, non si diventaÈ giusto impegnarsi per progettare contenuti (in particolare video) di successo, ma se la grande idea non arriva, non bisogna fissarsi né disperdere troppe energie in questo segmento.

Il marketing virale aiuta?

Virale è autoironicoAnche se in politica può sembrare difficile, o addirittura pericoloso, è impossibile pensare a un contenuto davvero virale senza tenere conto di una dose, anche piccola, di ironia, meglio se applicata a se stessi.

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In sintesi.Il marketing virale aiuta?

Virale è genuinoUn video troppo perfetto, patinato, preciso, difficilmente riuscirà a ottenere la carica empatica necessaria alla diffusione di un contenuto. Meglio impreciso ma fatto in casa, vero, accessibile a tutti.

Virale non è tuttoLa politica viene sempre prima della comunicazione. Mai dimenticarselo.

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Voglio farecomunicazione politica:mi date un consiglio?

Ne diamo due: fare almeno una campagnadietro le quinte, presentarsi dai politicicon un piano di lavoro già pronto

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32Due consigli

Spesso si impara più lavorando come volontari in una campagna elettorale, anche molto piccola, anche in un ruolo molto marginale, che studiando modelli teorici troppo elaborati (e troppo slegati dal contesto italiano, specie locale).

Il nostro primo consiglio è, dunque: cercate la pratica, l’esperienza concreta, anche non su livelli nazionali, perché si impara molto di più “sporcandosi le mani” che studiando ma a “distanza di sicurezza”.

Nel bene e nel male, si impara più dietro le quinte, e questo tipo di esperienza non si può trovare altrove, se non in campagna elettorale.

1. Fare una campagna dietro le quinte

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33Due consigli

L’offerta di comunicazione politica professionale supera, al momento, la domanda. La cultura della comunicazione politica fa fatica a radicare e ancora oggi ci sono tantissimi politici e partiti che non ritengono di aver bisogno di consulenti, di analisi, di sondaggi, di dati scientifici.

Per questo non è più sufficiente andare da un politico e dire di essere in grado di fare una campagna elettorale.

Serve un altro approccio, più dispendioso dal punto di vista del tempo e dell’impegno necessario.

Serve andare da un cliente potenziale illustrando con precisione qual è lo scenario, qual è la potenziale crisi di comunicazione e come si risolve.

2. Andare dai politici ma con le idee chiare

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34Due consigli

Possibile schema di lavoro:

1. Individuazione di un partito o di un politico con cui si intende lavorare;

2. Analisi scientifica dei punti di forza e dei punti di debolezza nell’attuale comunicazione del destinatario;

3. Spiegazione puntuale di come si intendono risolvere i punti di debolezza, in quanto tempo, con quali strumenti e perché è così importante che il politico investa per risolvere i problemi segnalati;

4. Indicazione chiara e definita di quale può essere il ruolo del comunicatore politico per risolvere il problema evidenziato (e, dunque, perché un politico dovrebbe scegliere proprio quel collaboratore).

2. Andare dai politici ma con le idee chiare

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In sintesi.Il curriculum accademico non bastaServe l’esperienza sul campo. E serve fare gavetta.

Due consigli

La competenza professionale non basta, quando il mercato è saturo.Serve un approccio più proattivo, in cui problemi e soluzioni siano mostrati ai politici con prontezza, in alcuni casi prima ancora che loro siano consapevoli di avere quel tipo di problemi.

Meglio una buona campagna localecon autonomia e responsabilità, che una grande campagna nazionale ma con un ruolo piccolo e defilato, specie nelle prime fasi.

Il comunicatore politico, se gli va bene, lavora sette giorni su sette e 24 ore su 24. O si accetta questa regola (almeno in alcune parti dell’anno), o si rischia di non essere efficaci come servirebbe in questo momento storico.

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Grazie.

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