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Avvenire 07/02/2014 Page : A26

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La montagnaterrazza su DioPer i ragazzi l’estatepuò far rima con scalatead alta quota. Proposteper dare ossigeno allospirito contemplandoil creato. L’esperienzadi un gruppo del Veneto

DI FRANCESCO DAL MAS

ome si sale sul Moriach, ilmonte del sacrificio di Isac-co? E, soprattutto, come si

scende? Curiosa la risposta di Mau-ro Corona, tra i più venduti ro-manzieri italiani, ma anche scul-tore e alpinista. «In queste espres-sioni della vita, ma in particolarecamminando per le terre alte, bi-sogna saper togliere, scavare, noncerto aggiungere». Togliere? «Sì, perlasciar spazio all’essenziale. In-somma, alla verità». Aldo Bertellee i ragazzi della Comunità «VillaSan Francesco» di Facen, in pro-vincia di Belluno, ai piedi dellemontagne feltrine, l’hanno presoalla lettera. Anche nella ricerca delsenso della vita, che sulle terre al-te è più faticosa (pesa a volta la so-litudine), ma viene premiata dailarghi orizzonti.Ricerca che sulle montagne di Fa-cen questi ragazzi hanno portatoavanti per 110 lunedì, interrogan-dosi con i loro amici, a volte perfi-no vescovi, sindaci, magistrati, pre-fetti. E che a fine mese sintetizze-ranno in tre itinerari per segnareanche un modello di come fre-quentare le altitudini senza spiritodi conquista, né con se stessi, nécon gli altri.Il 29 luglio, ad Arson, in Val SanMauro, si ritroveranno per riflette-re sulla povertà. «Poveri del super-fluo, saremo liberi davvero. Poveriin spirito, potremo finalmente ri-conoscere e accettare l’eredità gia-cente del regno dei cieli». Il 30 lu-glio cammineranno, in punta dipiedi, sul Monte Grappa, tragicoteatro della Grande Guerra, cento

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anni fa, per dire oggi un sì roton-do alla pace.«Saliamo su questa montagna sacraper non dimenticare che siamo tut-ti responsabili, tutti chiamati ad es-sere operatori di pace, nessuno e-scluso. È qui sulla terra ed è questoil momento di scegliere di che spi-rito essere», dice sicura Pamela, 16anni. Il 31 luglio, a piedi fin sottoil Monte Palmar, alla ricerca dellasperanza. E, infine, il primo ago-sto, sul monte Avena, per dire unaltro sì: alla gioia. «È la virtù pelle-grina della strada: per vivere deveandare, mai stare ferma, perché èdono che cammina».Domenica, Aldo e i giovani sonosaliti alla casera Cornelio, sul mon-te Avena, per falciare i prati. Unaquattordicenne brasiliana, da pocoaccolta in comunità, chiede di fareuna passeggiata. Aldo accetta e lespiega: «La montagna dopo i rigo-ri dell’inverno va pulita, lavata, pet-tinata, accarezzata, vestita a nuovo.Per salirci dobbiamo imparare ilverbo togliere, quello degli scala-tori più genuini, gli alpinisti chesanno accarezzare la vetta del lorosogno. In montagna bisogna an-darci leggeri ed essenziali». Vuoti,quindi, per riempirsi di essenzia-lità: del creato e del Creatore.Sul Grappa, ad esempio, i ragazziporteranno in bisaccia un pugnodi fagioli nascosti sotto un pavi-mento di legno a Facen durante laGrande Guerra e lì dimenticati. «Lisemineremo dopo cento anni las-sù, dove un "concime ternario" maitestato, quello del sangue donato eversato anche da migliaia di ragaz-zi del ’99, potrà forse aiutare il mi-racolo della memoria a farli nasce-re e crescere per la fame di giusti-zia e verità di tutti gli uomini delmondo», anticipa Nadia,18 anni.La Genesi, con il sacrificio di Isac-co: questa la guida biblica per sali-re la montagna. Ma anche per scen-derla, un percorso ancora più «in-trigante». «L’uomo sale per incon-trare Dio e Dio scende per incon-trare l’uomo», quasi sussurra al lo-ro rientro dalla montagna ai ragazzistanchi e contenti Francesca Avan-zo, educatrice in comunità.

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TRIESTE

«Io 25ennealpinosempre lassù»

l primo amore, perla montagna, non si

scorda mai. Per Mat-tia, triestino di 25 an-ni, è così. Un amorenato molto presto. «A-vevo un anno e mez-zo quando ho fatto laprima camminata sulMonte Peralba». Daquel momento il lega-me con la montagna ècresciuto.Escursioni e campi-scuola lo avvicinanoalla natura ma anchea se stesso. «Lì riuscivoad isolarmi dalla quo-tidianità e a guardar-mi dentro in modo deltutto speciale. Il fattostesso di "elevarmi"salendo di altitudine,mi permetteva di far-lo anche interiormen-te», continua Mattia.Poi la giovinezza, conalcune esperienze for-ti, la maturità e, dopodue anni di università,la scelta di arruolarsinegli Alpini. Nelle lun-ghe marce è la pre-ghiera a dargli soste-gno, ma è fondamen-tale anche la forza delgruppo. «In montagnasi va insieme. Pensaredi andarci per fare u-na prova con se stessisarebbe come dire chenoi siamo più forti dilei. È una palestra perla vita e una grande le-zione di umiltà e ri-spetto». E ancora oggi,a cima raggiunta, dalcuore di Mattia sgorgauna preghiera.

Luisa Pozzar

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DI STEFANIA CAREDDU

e Grigne, le Alpi Orobie, le Prealpibresciane, ma anche l’AppenninoLigure, il Gran Sasso e altre vette.

Per Matteo Bertolotti, bergamasco di 33anni, responsabile della programma-zione delle sale della comunità di Ber-gamo e Mantova, la montagna, con learrampicate, non è semplicemente si-nonimo di sport. È piuttosto uno spec-chio che permette di vedere i propri li-miti e trovare la forza di proseguire.Guardando in alto e sapendo di potercontare sui compagni di cordata. Come nasce la passione per la mon-tagna?Casualmente, dopo alcune camminate.Inizialmente raggiungevo i rifugi, poi lameta sono diventate le vette. Nel 2003è scoppiato l’interesse per le arrampicate e dal 2005 sono i-struttore di una scuola di alpinismo. Esco ogni settimana, èun appuntamento fisso che condivido con quattro amici. Cisono diversi modi di vivere la montagna e le attività ad essacollegate. Il personaggio che ci ha guidato è stato don Ago-stino Butturini, un sacerdote di Lecco che tra la fine degli an-ni ’70 e l’inizio degli anni ’80 fondò il gruppo Condor, co-minciando a parlare di arrampicata come strumento educa-tivo, cioè di un’esperienza con valori da trasmettere e da met-tere in pratica. Abbiamo abbracciato la sua visione e provatoa riproporla. Educazione, valori: sembrano termini insoliti per questotipo di esperienza.Quando fai le scalate, sei legato con una corda che ti arre-sta la caduta se chi è con te la tiene. Nell’arrampicata c’è lamassima fiducia nel compagno nelle cui mani consegni latua vita.

LChe cosa significa arrampicare?Nella scalata c’è l’incertezza del cammi-no, non sai quali difficoltà incontreraie se saprai superarle. Ti isoli dal mondoesterno, raggiungi uno stato in cui staisolo con te stesso, ti ascolti e valuti sepuoi metterti in gioco. Sei concentrato,tutto ciò che hai intorno passa in se-condo piano. In quei momenti, sei tu eciò che la montagna ti offre. Conosci testesso, hai la consapevolezza dei tuoi li-miti e valuti se fermarti o proseguire. Delresto, c’è un detto che recita: non è im-portante raggiungere la vetta, ma torna-re a casa. Come nella vita ti rimbocchile maniche e vai avanti. A me poi ridàl’energia dopo una settimana di lavoro. Giovanni Paolo II diceva che le cimesuscitano nel cuore il senso dell’infi-nito. A te che cosa dà la montagna?

Mi permette di respirare, di camminare lentamente e assa-porare ciò che ho intorno a me. Ma anche di isolarmi, gusta-re l’infinito, prendermi una pausa e riflettere. Questo è quel-lo che mi consentono le scalate, ma a volte è sufficiente sem-plicemente una camminata in quota sotto la pioggia, comela settimana scorsa quando le condizioni meteo erano proi-bitive. Certamente, nelle scalate Dio c’è. In definitiva, la montagna rappresenta più un’esperienzadi vita o uno sport?Se cerchi la semplicità bastano anche quattro passi su un sen-tiero per raggiungere un paese abbandonato, se invece ti po-ni degli obiettivi rischi di diventare schiavo dell’agonismo.Questa è l’altra faccia dell’alpinismo che a me però non in-teressa. Preferisco una scalata semplice con un compagno i-deale di cordata piuttosto che una scalata difficile che finiscacon un podio.

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Un gruppo di giovani al Passo della Fedaia nel Gruppo della Marmolada

«Dalla parrocchia alle cime delle AlpiLe arrampicate? Passione che mi educa»

Mettervi in gioco nella vita come nello sport. Metterviin gioco nella ricerca del bene, nella Chiesa e nellasocietà, senza paura, con coraggio ed entusiasmo.Papa Francesco, discorso al Centro sportivo italiano 7 giugno 2014

APPUNTI

Matteo Bertolotti

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«Con il rifugio in quota sostieniamo i più poveri»DI PAOLA FUMAGALLI

n ferie dal lavoro per donare e-nergie e tempo libero. È questolo spirito che accomuna i gio-

vani volontari che gestiscono il Ri-fugio degli Angeli a quasi 3.000metri a Valgrisenche, in Valle d’Ao-sta. Sono cento i ragazzi che si al-ternano ogni settimana in gruppida 10. Sono un gruppo di amici a-derenti all’Operazione Mato Gros-so, il movimento che grazie al la-voro gratuito, raccoglie fondi perle missioni in America Latina. Nel1990 il Rifugio degli Angeli è sta-to distrutto da un incendio e nel2002 un volontario propose di ac-quistare all’asta il lotto di terrenoin Val d’Aosta, a quasi 3.000 me-

tri, per ricostruirlo. Così senza pen-sare alle difficoltà diventano pro-prietari del pezzo di terra e di unmucchietto di sassi in cima allamontagna. L’estate successiva ini-zia la costruzione grazie a mate-riali donati, professionisti volon-tari e tante ore di lavoro gratuito.Ognuno ha contribuito come po-teva, i materiali sono stati portatia spalla, alcuni si sono occupatidella cucina, altri alla progettazio-ne e così a settembre 2005 hannofesteggiato la fine dei lavori. Mal’avventura non è conclusa. Dall’e-state 2006 il rifugio è gestito incompleta autonomia dai volonta-ri dell’Operazione Mato Grosso, etutti i proventi che superano i50mila euro annui, sono destina-

ti alle missioni in America Latinaper poter aiutare chi ha bisogno.Marco Berga, volontario al rifugio,racconta: «Ognuno di noi donaquello che può, nessuno viene rim-borsato neanche delle spese diviaggio e anzi c’è una cassettinadove possiamo lasciare le offerte inbase a quanto consumato. Al rifu-gio viviamo un’esperienza di con-divisione e comunione che cer-chiamo di proporre anche a chi o-spitiamo». Come in tutti rifugi legiornate iniziano presto alla mat-tina, ma qui lo spirito è differen-te. I «gestori» spiegano ai turisti l’o-biettivo del Rifugio degli Angeli ei fini dell’Operazione Mato Gros-so. Prosegue Berga: «Proponiamoa chi passa di aderire all’Associa-

zione Rifugio degli Angeli, quasitutti si iscrivono e spesso tornanoa darci una mano o a contribuirecome possono. Nascono così nuo-ve amicizie che si fondano anchesu momenti di riflessione. Propriola montagna e il rifugio ci aiutanoa meditare e collaborare. A voltequando il tempo è avverso, rima-niamo isolati e sfruttiamo queimomenti per lavorare insieme». Ilgiovane volontario conclude:«L’impegno è notevole. Offro ilmio tempo perché non penso siasufficiente dimostrare che credopregando. Dobbiamo far cono-scere l’Operazione Mato Grosso e"lavorare" per donare soldi e spe-ranze a fratelli più bisognosi».

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In Valle d’Aosta un centinaio di ragazzidell’Operazione Mato Grosso, a rotazione, durante le ferie gestiscono la struttura a 3mila metri

Il Rifugio degli Angeli

l’iniziativa. Domenica la festacon la reliquia del beato Frassati

esta al Rifugio Pier Giorgio Frassati a Saint Rhémyen Bosses, in Valle d’Aosta, domenica prossima,in occasione dell’accoglienza della reliquia del

beato. Luciano Bonino, giovane promotore dell’ini-ziativa, precisa: «Questo è l’unico Rifugio Frassati almondo, costruito e gestito dai giovani dell’Operazio-ne Mato Grosso, dopo che ho tracciato il sentiero Fras-sati». Il rifugio viene utilizzato anche per campi scuo-la e cammini di spiritualità. Il giovane continua: «Allafesta sarà presente la famiglia del beato, che ci doneràuna ciaspola. Un oggetto simbolico che ci aiuterà a se-guire le "impronte" leggere e sicure di Frassati e a sca-lare le montagne della vita». Infatti la famiglia l’ha do-nata perché rimanga nelle montagne da lui amate in-sieme con la fede e l’attenzione per i bisognosi che locontraddistinguevano. La giornata si concluderà alle 16con la celebrazione dell’Eucarestia presieduta dal ve-scovo di Aosta, Franco Lovignana. Saranno presenti «Itipi loschi» del Belgio e della Polonia, il Cai, l’AzioneCattolica e il gruppo Giovane Montagna. (P.Fum.)

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Le «strade» dell’Agescilcuni clan raggiungeranno i 3 mi-la metri del monte Giovi, in Pie-

monte, altri la ferrata del gruppo al-toatesino delle Odle o i sentieri impervidell’Alto Aspromonte. La spiritualitàdella montagna, essenziale nel meto-do dell’Agesci, segna molte delle 456route locali che dal primo al 6 agostoporteranno 30 mila rover e scolte (gio-vani dai 16 ai 21 anni) al campo fissodella route nazionale di San Rossore(Pisa), dove dal 6 al 10 agosto riflette-ranno sul tema «Strade di coraggio».(D.And.)

Auasi un’escursione al mese:d’inverno con le ciaspole o iramponi, d’estate con quel cheserve per contemplare il crea-

to in sicurezza. Da oltre 10 anni il gruppo della dio-cesi di Trento «Montagna giovani» per-feziona la cura degli itinerari (ogni gi-ta viene prima «testata») e la propo-sta spirituale. «Momento centrale del-le nostre camminate è la preghiera, inprossimità di una chiesetta o di unacroce, in cui si valorizza un salmo, il

Vangelo domenicale e una parola dipapa Francesco», raccontano SergioFrisinghelli, Francesca Avanzo, Ric-cardo Pertile ed Enrico Emanuelli, pro-motori insieme a Elena Barberi, SaraPedrini e Anna Boratti - perché i ven-tenni, e non solo, che vengono connoi possano cogliere il parallelismofra l’ascensione e il nostro camminoincontro al Signore, che sempre ci a-spetta». Talvolta l’escursione è arric-chita dal dialogo con qualche testi-mone di questo rapporto, talvolta dal

pernottamento in rifugio che prolun-ga il clima di comunità. «Abbiamo ac-compagnato quest’esperienza - sotto-linea don Tiziano Telch, responsabi-le per la pastorale giovanile della dio-cesi - anche per la sua capacità di coin-volgere giovani non già stra-impegnatiin altre iniziative». Che non restano in-differenti alla suggestione spirituale:«La salita, non solo nell’esperienza bi-blica, ti aiuta nella tua ricerca di Dio.Anche la fatica, quando è fatta insie-me, ti libera, ti rende più raggiungibi-

le da Dio e dagli altri. È come se colsudore ci si sciogliesse un po’, si riu-scisse a far cadere certe maschere. Cisi ritrova più veri». Don Telch, un pas-sato da scout ed un futuro prossimoche in settembre lo vedrà guidare asoli 35 anni il seminario diocesanocome rettore, conclude: «L’andare inmontagna ti regala anche la gioia del-la meta, un momento che sa parlareai giovani di oggi. È la gioia che deri-va dal percorso fatto, dal superamen-to delle difficoltà incontrate, perché è

ben diverso arrivare ad un rifugio sa-lendoci a piedi con lo zaino bello ca-rico oppure prendendo la funivia…».

Diego Andreatta© RIPRODUZIONE RISERVATA

QQuelle camminate in salita alla ricerca di una vetta più grande

Crocifisso di Latzfons in Alto Adige

26 Mercoledì2 Luglio 2014

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