LE FIABE
Abbiamo preso alcune fiabe della tradizione popolare e ci siamo divertiti a
raccontarle a modo nostro.
Prima che arrivasse quella racchia ero io la più bella del reame allora decisi di
uccidere la mia figliastra, Biancaneve. Che c’è di male? Non fanno forse così
tutte le matrigne delle fiabe? Comunque tutti i miei tentativi di ucciderla
andarono a vuoto per colpa del cacciatore traditore e di quei maledetti Sette
Nani che, al posto di ucciderla, la ospitarono e la salvarono: Biancaneve, senza di
loro, sarebbe sicuramente morta al primo colpo .
Tutti mi dicono che sono cattiva, ma non lo sarei stata se quello specchio avesse
detto la verità, cioè che ero io la più bella !
Poi, quando finalmente ce l’avevo fatta ad ucciderla con la mela infetta, arrivò
quel dannato principe che fece risputare a Biancaneve il boccone avvelenato.
Allora io già li vidi insieme: lui vanesio ed esibizionista; lei bellissima e
presuntuosa. Una coppia uccidi matrigna da Oscar!! Ma quello che proprio non mi
va giù è la fine : “Vissero tutti felici e contenti”. Pfui! Forse loro, ma io! Io non
sono stata contenta e non lo sono tuttora; anzi io morii proprio a causa loro: che
mi prepararono un bel paio di scarpette roventi apposta per me. Ma che lieto
fine è questo, senza il male che trionfa?
Alessio R.
C’era una volta una bambina con una mantellina rossa.
A quella bambina la mamma, un giorno, aveva consegnato un cestino da portare
alla nonna.
La mamma le aveva detto di non passare dal bosco ma lei, cocciuta, aveva deciso
di passare proprio nel bosco.
Appena entrò nel bosco incontrò un gatto, che aveva gli stivali e una spada e,
saltato giù da un albero, le piombò davanti e disse: “Ti aiuto io a superare il
bosco”.
La ragazzina lo ringraziò e cominciarono a camminare verso la casa della nonna.
In quel bosco videro molti curiosi personaggi.
Una fanciulla di nome cenerentola che puliva tutto il bosco, comandata dalla
matrigna.
Due bambini che mangiavano una casetta di panna e cioccolato.
Sette nani che cantavano “Andiam, andiam, andiam a lavorar”.
Delle molliche di pane che stavano in mezzo alla strada.
Due topi che si trasformavano in cavalli.
Il gatto con gli stivali diceva:” Ma che bosco è questo?”
Cappuccetto rosso gli spiegò: “E’ un bosco di fiabe”.
Quando erano a metà del tragitto, incontrarono un lupo che chiese loro dove
stessero andando con quel cestino.
Il gatto gli rispose che stavano andando dalla nonna di Cappuccetto rosso.
Il lupo corse via così velocemente che il gatto esclamò: ”Ma dove sta andando
così in fretta?”
Cappuccetto gli rispose che non lo sapeva.
Il lupo, uscito dal bosco, entrò nella prima casetta che vide. Dentro quella
casetta c’era una nonnetta, e tra sé e sé il lupo disse: “Ho azzeccato la casetta,
me ne papperò tre”
Allora , senza pensarci troppo, si mangiò la nonna, si mise i suoi vestiti e aspettò
Cappucceto rosso nel letto della nonna.
Quando entrò, Cappuccetto Rosso disse alla finta nonna: ”Che orecchie grandi
che hai!” E il lupo rispose: ”Mi servono per sentici meglio”.
Cappuccetto rosso disse ancora: ”Che occhi grandi che hai” E il lupo rispose : ”E’
per vederci meglio”.
La bambina disse ancora: ”Che bocca grande che hai!” E il lupo rispose: ”E’ per
mangiarti meglio”.
La bambina cominciò a urlare e scappò fuori dalla casa della nonna.
Un taglialegna, sentita urlare la bambina, si precipitò a vedere cosa stava
accadendo. Quando arrivò si ricordò della fiaba di Cappuccetto rosso: uccise
prontamente il lupo, che la inseguiva, e gli tagliò la pancia. Ne uscì la nonna.
Sul lupo c’era un incantesimo: se lui fosse morto, sarebbero morti tutti gli
antagonisti di tutte le fiabe e quindi Hansel e Gretel si salvarono dalla strega e
Cenerentola non lucidò più niente.
Vissero tutti, per sempre, felici e contenti.
Paolo
C’era una volta, tanto tempo fa, una bambina che viveva con la sua
mamma ai confini del bosco. Tutti la chiamavano Cappuccetto Rosso,
perché indossava sempre una mantellina con il cappuccio rosso.
Un giorno la mamma le chiese di portare
da mangiare alla nonna malata che viveva
oltre il bosco; lei ubbidì.
Durante il suo percorso sentì un rumore
tra gli alberi. Si girò e vide Geppetto
che stava tagliando un pezzo di ramo
per dare vita a Pinocchio.
Dopo aver tirato un sospiro di sollievo,
proseguì per la sua strada,
ma ad un certo punto vide Hansel e Gretel
che stavano piangendo,
perché avevano perso la strada di casa.
Cappuccetto, presa da compassione,
propose ai due ragazzi di accompagnarla
dalla nonna.
Arrivati a casa della nonna, bussarono alla porta, ma non rispondeva
nessuno.
Poi notarono che la porta era socchiusa, entrarono e videro la nonna
caduta in un sonno profondo perché, per errore, aveva mangiato la
mela che la matrigna di Biancaneve aveva
preparato per la sua figliastra.
Cappuccetto Rosso corse fuori e si mise ad
urlare.
Geppetto, sentite le sue urla, andò a vedere
che cosa era successo.
Vide la nonna e se ne innamorò, la baciò e così
la nonnina si risvegliò e abbracciò Geppetto.
I due si sposarono anche se non erano più dei
giovincelli e alle nozze invitarono Cappuccetto
Rosso e la mamma, Biancaneve e i Sette Nani, Hansel e Gretel e
Pinocchio che adesso era diventato un bellissimo bambino.
Vissero tutti felici e contenti e la matrigna venne punita per quello
che aveva fatto alla povera nonnina di Cappuccetto Rosso.
Andrea P.
C’era una volta una bambina che si chiamava Cappuccetto rosso e che, con un
cestino pieno di dolci, stava andando dalla nonna. Per andare a casa della nonna
doveva passare dal bosco e la mamma le aveva raccomandato di stare attenta
perché lì c’era il lupo. Quando Cappuccetto rosso arrivò a casa della nonna, vide sette nani che stavano
costruendo una casetta minuscola vicino a quella della nonna; incuriosita chiese
loro: “Perché costruite una casa così piccola vicino a quella della nonna?”. I nani
in coro risposero: “Perché ce l’hanno chiesto i topini”. E Cappuccetto chiese
ancora: “Che topini?”. I nani gentilmente spiegarono: “I topini di Cenerentola”.
Cappuccetto rosso non capì e allora entrò a casa della nonna senza pensarci più.
Dentro la casa c’era una gran confusione: tutti i vestiti erano sparsi ovunque.
Cappuccetto rosso, spaventata, andò nella stanza da letto e disse: “Ciao nonnina”.
E il lupo, che nel frattempo aveva divorato la vecchietta, rispose: “Ciao, tesoro
mio”. La bambina lo guardò e chiese: “Che orecchie grandi che hai”. E il lupo:
“Per ascoltarti meglio”. Cappuccetto lo guardò ancora meglio e disse: “Che occhi
grandi che hai”. E il lupo: “Per osservarti meglio”. Alla fine la bambina disse:
“Che bocca grande che hai”. E il lupo si tolse i vestiti e disse: “Per mangiarti
meglio”.
Cappuccetto scappò urlando, i nani videro il lupo e dissero con calma, perché
erano di origini inglesi: “Aiuto un lupo”. Il lupo saltò e si mangiò la bambina.
I topini, sentendo tutto quel frastuono, corsero dalla casetta fatta dai nani e
dissero: “Ehi, brutto lupaccio fatti sotto”. Il lupo si girò e andò loro incontro con
fare minaccioso, ma i topini scapparono con uno sberleffo: “Non ci prendi”.
Lì, nei paraggi, per fortuna c’era un cacciatore che sentì le urla, andò davanti a
casa della nonna col fucile e mirò al lupo. Stava per sparare quando i topi e i nani
gli dissero: “Ti aiutiamo anche noi. Quel lupaccio deve smetterla di dar fastidio
alle bambine”. E andarono vicino al cacciatore. I topi avevano le forchette e i
nani gli attrezzi da muratore. Il cacciatore sparò al lupo e lo colpì, i topi e i nani
gli tagliarono la pancia e tirarono fuori la nonna e Cappuccetto.
Da quel momento vissero tutti felici e contenti.
Davide N
Mio marito era sposato con una donna,da cui ebbe una figlia che venne
chiamata Biancaneve, però quando lei nacque la donna morì e io divenni
la sua matrigna. Io ero bella, forse un po’ prepotente e superba, lo so:
quando desideravo qualcosa dovevo ottenerla a tutti i costi. Avevo uno
specchio magico e ogni volta gli chiedevo chi era la più bella del reame,
lui naturalmente diceva sempre che ero io, ma Biancaneve, devo
ammettere, era una bambina molto carina, a sette anni era già
bellissima. Per mia tranquillità chiesi ancora una volta allo specchio chi
era la più bella del reame e lui disse che era Biancaneve.
Ero sconvolta e dovevo ucciderla, così sarei rimasta io la più bella. Il
giorno seguente dissi a un cacciatore di portarla nel bosco, ucciderla e
mostrarmi il suo fegato e i suoi polmoni come prova della sua morte. Il
cacciatore mi ascoltò ma, ammirato dalla sua bellezza non la uccise!
Quel maledetto traditore! Per di più mi ingannò: per molto tempo fui
convinta che quella odiosa ragazzina fosse morta. Solo più tardi
scoprii che andò a rifugiarsi nella casetta dei Sette Nani che la
ospitarono. Perché, mi chiedo, non potevano farla morire di fame nel
bosco? Comunque io mi travestii da una povera e dolorante vecchia e
arrivai alla casetta dei Sette Nani. In casa c’èra solo Biancaneve, così
ne approfittai per ucciderla: le legai alla vita una stringa molto stretta
e lei, contratta dal dolore, cadde a terra, quanto fui felice vederla
precipitare al suolo! Purtroppo i Sette Nani riuscirono a salvarla
slegandole la stringa dalla vita. Quando lo scoprii divenni viola dalla
rabbia, così decisi di riprovarci una seconda volta, ma di nuovo i Sette
Nani la salvarono: anche il pettine non aveva funzionato, eppure la
strega che me lo aveva venduto, mi aveva garantito che non aveva mai
fallito.
La terza volta ero sicura di riuscirci: infatti pensavo che i Sette Nani
non sarebbero riusciti a salvarla. Ma un bel giorno un principe,
guardando Biancaneve nella bara di cristallo, se ne innamorò e fece
portare al suo castello de alcuni servi la bara. Quei maldestri si
inciamparono e lo scossone fece cadere dalla bocca di Biancaneve il
pezzo di mela avvelenata, che avevo usato per ucciderla. Biancaneve si
risvegliò e si sposò con quel principe. Andai alle nozze e Biancaneve mi
porse due pantofole di ferro incandescenti, le calzai e morì bruciata.
Povera me, che brutta fine per una così bella, non è vero?
Elena C.
Un vedovo con una figlia cattivissima, di nome Cenepentola, si risposò con una
donna che aveva due figlie molto brave, ma di cui purtroppo da tempo non si
avevano più notizie. A Cenepentola piaceva molto cucinare e, se voleva,
preparava dei piatti squisiti e stupendi. Per dispetto, però, con due brave
padelle preparava i piatti più disgustosi che potessero esistere, perché,
sosteneva Cenepentola, loro due erano state responsabili di alcune ricette mal
riuscite.
Un brutto giorno, Cenepentola decise di cucinare gli spinaci, ma questa volta,
presa da un impeto di bontà, volle provare le sue padelle; peccato che non lo
disse loro e la sera si accorse che gli spinaci erano finiti. “Dove li avete messi??”
gridò incollerita Cenepentola alle due padelle “Sapete solo combinare guai!”
Continuò con tono arrabbiato. Le due padellastre risposero con voce flebile e
balbuziente: “Ma li hai mangiati tu“. Cenerentola, arrabbiata, si voltò e in
quell’istante ricordò di averli divorati lei, ma non volendo darla vinta alle due
padelle, pensò:
”Mmmhhh… e se cucinassi con loro la gramigna che c’è in giardino? Sì, buona
idea!”
Allora andò nell’orto, ne raccolse un po’, la cucinò, la mise sul tavolo e disse:”
Venite padelline mie, sono andata a comprare gli spinaci apposta per voi.” Le due
padellastre andarono e si abbuffarono, prendendo così la maledizione della
gramigna che le trasformò in due giovani fanciulle e, ahimè, le fece diventare
cattive. La matrigna di Cenepentola fu felicissima: era certa di aver ritrovato le
sue amate figlie. Se erano cattive, pazienza. Del resto la povera donna si
ricordava di una fiaba che diceva proprio così.
Qualche tempo prima, il papà di Cenepentola le aveva regalato un fornello su cui
si era posato un mestolino che le dava preziosi consigli ed esaudiva alcuni suoi
desideri.
Passarono mesi e mesi, finché Cenepentola si stufò della cattiveria delle padelle,
diventate sorelle, e chiese al suo mestolino:
“Oh mestolino mio, come fare?
Se le mie padelle bave non sano stare?”
E il mestolino rispose:
“Di certo io ti posso aiutare,
al ballo del principe dovranno andare,
lui sì che brave le farà ritornare! “
Era un principe speciale, non uno di quei soliti bellimbusti dei principi azzurri:
aveva capito che la cattiveria nel mondo era portata dalla gramigna, forse
perché il suo nome assomiglia al personaggio delle fiabe che spesso lo
perseguita : la matrigna.
Cenepentola decise così di portarle al ballo. Non fu così facile perché dovette
recarsi più volte dal mestolino magico offrendogli dell’ottimo brodiglio (brodo di
miglio che aveva cucinato per lui) in modo da ottenere tre vestiti adatti
all’occasione. Per fortuna, le due, dopo aver ballato con il principe, diventarono
come prima: buone e affettuose. Cenepentola tirò un sospiro di sollievo e decise
di diventare brava con tutti.
Subito dopo il ballo, che aveva guarito le sorelle, scappò verso casa insieme a
loro, ma, mentre scappavano, perse la forchetta che più le piaceva. Fu il principe
a trovarla. Quando Cenepentola lo seppe, prese il fornello e il mestolino e li donò
al principe, il quale le restituì la forchetta. Il principe, però, si era innamorato di
quella giovane che sapeva cucinare assai bene (se ne trovavano poche ormai),
perciò lui e Cenepentola si sposarono e le tre sorelle non si fecero più dispetti a
vicenda.
Fabio N.
Noi due siamo state molto unite e simpatiche con tutti ma, da quando è arrivata
una persona in famiglia, noi siamo cambiate del tutto.
Era una giornata come un’ altra, quando nostra madre ci fece conoscere un uomo;
era molto simpatico, ma aveva una figlia.
La figlia dell’uomo aveva pressappoco la nostra età ed era la bambina più bella e
gentile che avessimo mai visto e, quando ci giunse la notizia che lei e suo padre
sarebbero venuti ad abitare da noi, il nostro cuore si riempì di invidia, per la
bambina.
Ci potete capire: non abbiamo un padre e, quando sapemmo che ne sarebbe
arrivato uno, era normale che lo volessimo tutto per noi, e invece no! Perché
aveva già una figlia ed era molto, ma molto più bella di noi. Voi come vi sareste
sentiti? Beh, noi, non al settimo cielo; solo al primo.
Eravamo andate a parlare del nostro problema a nostra madre che ci capì, così
formulammo un piano: farla diventare nostra serva. Sinceramente, a noi fece
tantissima pena sia farla lavorare in continuazione sia chiamarla ”serva”, anche
perché lei non ci aveva fatto niente di male, così le assegnammo un nome vero e
un po’ meno cattivo: ”Cenerentola”, perché, dormendo vicino al camino, era
sempre sporca di cenere.
Cenerentola, poverina, doveva lavorare come una pazza e, se lei aveva appena
finito di pulire, noi sporcavamo; eravamo molto cattive: chissà come faceva a
sopportarci ?
Cenerentola, oltre a essere bellissima, aveva anche uno splendido carattere,
perché si accontentava di pochissimo. Infatti un giorno nostro “papà”, andò al
mercato e ci chiese cosa volevamo. Noi avevamo chiesto cose costose come
vestiti e perle; lei il ramo che gli avrebbe fatto cadere il cappello e tutti,
comprese noi, rimanemmo a bocca aperta. A volte, però, Cenerentola aveva un
carattere strano, anzi piuttosto bizzarro: lasciava lì quel che stava facendo,
saliva velocemente le scale e si chiudeva in una stanza.
Una volta decidemmo di seguirla e sentimmo che stava piangendo e parlando;
allora, curiosissime di sapere con chi stava parlando, guardammo dalla serratura,
ma rimanemmo deluse perché non c’era nessuno: poveretta! A forza di farla
lavorare le avevamo fatto venire addirittura dei problemi psicologici.
Siamo sempre e solo state noi a comandare, ma un giorno arrivò la vendetta di
Cenerentola. E fu molto particolare. Era una giornata come le altre, ma ci arrivò
un elettrizzante invito per andare a un ballo. Quell’invito era rivolto a tutte le
ragazze del reame: durante il ballo il principe avrebbe scelto la sua futura sposa.
Cenerentola desiderava andare a quel ballo più di qualsiasi altra cosa e non
potervi prendere parte sarebbe stato per lei un dolore immenso.
Noi però non volevamo che partecipasse anche Cenerentola, perché di fisso il
principe avrebbe scelto lei come sua futura sposa. Allora pregammo nostra
madre di proibirglielo.
Nostra madre ci ascoltò e disse a Cenerentola: ”Potrai andare a quel ballo solo
se supererari questa prova: io butterò nella cenere del camino spento queste
lenticchie e tu dovrai mettere in questa ciottola solo quelle buone e far sparire
le altre.” In poche parole era una prova impossibile da superare. Ancora adesso
non sappiamo come, ma Cenerentola riuscì a superarla.
Quando nostra madre vide il lavoro di Cenerentola, non seppe cosa dire, perché
aveva fatto perfettamente e velocemente ciò che le aveva chiesto, allora la
rimise alla prova raddoppiando il numero delle lenticchie. Di nuovo Cenerentola
fece il lavoro alla perfezione. Allora nostra madre fu costretta a dirle: ”Brava
mi congratulo con te, hai il permesso di partecipare al ballo, ma hai un’idea su
come ti vestirai?” E lei rispose tranquillamente: ”Sì, mi vorrei vestire …”. Non
riuscì neanche a finire la frase che nostra madre la interruppe dicendo: ”No! Tu
non puoi venire, tu sei solo una serva e se tu venissi ci faresti solo vergognare!”.
Cenerentola più veloce della luce salì le scale piangendo e si chiuse nella
misteriosa camera, mentre noi ci preparavamo per il grande evento. Eravamo
arrivate da poco alla festa, quando giunse una fanciulla bella come la luce del
sole che portava un abito lungo e bellissimo. La fanciulla aveva appena messo
piede nel salone, quando il principe la prese tra le sue braccia per farla ballare
e non la lasciò per tutta la sera, finché lei non scappò. Sì, scappò e lasciò il
principe lì, come un cucù. Quanto eravamo invidiose di quella misteriosa fanciulla.
Per due sere consecutive, la durata della festa, si ripeté la stessa scena:
Cenerentola rimaneva a casa a piangere, noi andavamo alla festa con la speranza
che il principe ci facesse ballare almeno una volta, la fanciulla si presentava con
un abito più bello dell’altro, il principe ballava con lei tutta la sera e lei
puntualmente scappava.
Il mattino dopo l’ultima serata del ballo arrivò una visita inaspettata: il principe
che aveva una scarpetta su un cuscino rosso. Nostra madre, velocemente,
nascose Cenerentola e ci presentò come se fossimo delle dee.
Il principe, con la sua stupenda voce, disse: ”Buongiorno a tutti, sono qui per
cercare la mia futura sposa, quella che riuscirà a calzare a pennello questa
scarpetta. Chi vuole provarla per prima?”.
Iniziai prima io e mi feci entrare quella scarpetta con moltissima fatica; il
principe appena vide che la scarpetta mi entrava esultò, mi caricò sul suo cavallo
e mi avrebbe portata al castello, se una pianta impicciona non si fosse messa a
canticchiare la sua stupida canzoncina che faceva:” Volgiti, volgiti, guarda: quella
non è la sua scarpetta. Strettina è la scarpetta, la vera sposa è ancor nella
casetta “.
Il principe mi guardò il piede e vide che veramente mi andava stretta la
scarpetta. Così mi riportò a casa e la stessa cosa accadde a mia sorella.
Il principe chiese a nostra madre se aveva un’altra figlia, perché la piantina
impicciona, finora, gli aveva detto la verità. Nostro “padre” disse che c’era
ancora una bambina e subito nostra madre intervenne dicendo che era troppo
sporca e che non poteva farsi vedere. Ma egli volle assolutamente vederla, allora
nostra madre mortificata dovette chiamare Cenerentola, alla quale la scarpetta
andò a pennello. ll principe esultò, perché la riconobbe. La fece salire sul suo
cavallo e la piantina impicciona non disse quello che aveva detto a noi ma
tutt’altra cosa:” Volgiti, volgiti, guarda: questa volta la scarpetta non è troppo
piccina. Portati a casa la vera sposina “.
In questo modo scoprimmo che Cenerentola era andata alla festa ed era quella
fanciulla bella come, se non più bella dei suoi vestiti; ma vi starete chiedendo
come si è fatta a procurare quegli abiti stupendi?
Be’ abbiamo scoperto chi glieli procurò: ricordate la stanza in cui si rifugiava
Cenerentola per sfogarsi? E, soprattutto, ricordate quel bizzarro dono che
Cenerentola aveva chiesto a suo padre? Ebbene, in quella stanza Cenerentola
aveva piantato il ramoscello che era diventato una bella piantina magica: la
piantina impicciona che parlò quando stavamo per diventare principesse. Ora si è
fatto tutto più chiaro?
Ma, in fondo, adesso siamo felici anche perché se non siamo diventate
principesse, abbiamo una famiglia e Cenerentola ha una sua vita.
Per fortuna Cenerentola non volle vendicarsi di tutto quello che le avevamo
fatto passare, se no non saremmo qui a raccontarvi la nostra strana storia.
Aurora Perino
Prima che la mamma si sposasse andava tutto bene, ma quando arrivò
Cenerentola cominciò il delirio: ci rubava i vestiti, i gioielli e le scarpe, così la
mamma la metteva in castigo facendole fare piccoli lavori domestici.
Un giorno abbiamo sentito delle voci che dicevano che il principe avrebbe dato
una festa, che sarebbe durata diversi giorni, per scegliere una moglie. Ma
proprio quel giorno Cenerentola ci strappò i vestiti e ci ruppe tre paia di scarpe,
così la mamma la mise in castigo, impedendole di andare alla festa.
Cenerentola, per farci un dispetto, prese il vestito del matrimonio di sua madre,
le nostre scarpette di cristallo e la borsa preferita di nostra madre e venne al
ballo. Ballò sempre con il principe, facendo sì che non la riconoscessimo e così fu.
Cenerentola si recò sempre alla festa a nostra insaputa e, accidenti a lei,
continuava a monopolizzare l’attenzione del principe.
Un giorno prese una delle nostre scarpette e il principe pazzo d’amore, poverino,
la fece provare a tutte le ragazze del paese. Quando la fece provare a noi, il
piede non ci entrava, così capimmo che Cenerentola aveva usato un incantesimo
per rimpicciolire la scarpa. Infatti, quando il principe la fece provare a lei, le
calzava perfettamente. Probabilmente a Cenerentola rimordeva un po’ la
coscienza: sapeva di averci giocato un brutto tiro. Infatti quando Cenerentola e
il principe si sposarono non ci invitarono neanche alle nozze. Cenerentola, in più,
dopo averci rubato il principe, raccontò tutt’altro di ciò che veramente era
accaduto, così adesso tutti i bambini pensano che noi siamo le sorellastre brutte
e maligne.
Giulia P.
Mettiamo subito in chiaro che io non ho maltrattato la mia sorellastra: era sempre quella
sciocca di mia sorella che le rendeva la vita impossibile. Era gelosa perché pensava che mia
madre preferisse lei (si vede che è proprio stordita mia sorella).
All’inizio era abbastanza divertente versare le lenticchie nella cenere e farle altri dispetti
assortiti, ma poi mia sorella iniziò ad esagerare. Iniziò ad attribuirle nomignoli.
In tempo record mia sorella trovò il peggior nome mai inventato e, inevitabilmente, si mise a
chiamarla così. Un giorno il mio patrigno decise di andare al mercato e ci chiese che cosa
volevamo. Io dissi che mi sarebbero piaciute perle e gemme (io vado pazza per le pietre
preziose: ne ho una bellissima collezione). Mia sorella chiese bei vestiti, ovviamente firmati e
confezionate con stoffe pregiate, (e poi lei sostiene che si accontenta sempre di poco).
Quando la mia sorellastra chiese un mediocre rametto, la presi da parte e le dissi: ”Senti cara,
puoi avere cose bellissime da tuo padre e tu chiedi un ramo?!” E la mia sorellastra
rispose: ”Non voglio nient’altro”. Eh sì! Mia sorella si accontenta di poco (Questa volta dico sul
serio).
Dopo un po’ di tempo il re diede una grande festa a cui invitò tutte le giovani del regno. Io
insistei affinché partecipasse anche la mia sorellastra, ma la mia spregevole madre con un
motivo o con un altro non la fece venire: ”Povera cara,” pensai. Io andai di malumore alla festa
(avrei voluto che venisse pure la mia sorellastra) e, arrivata a destinazione, vidi una bellissima
fanciulla.
Chissà chi era? La fanciulla ballò con il principe per tutta la sera, suscitando invidia in mia
madre e alla mia sorella, ma non a me. Alla fine della festa scappò, lasciando tutti senza
parole. Il terzo giorno della festa perse una scarpetta e il principe la raccolse. Spinto
dall’amore, provò la scarpetta a tutte le ragazze del reame (cosa non si fa per amore!).
Quando arrivò a casa nostra, mia sorella provò la scarpetta, ma non le entrava, allora strinse
il piede: che sleale! Per fortuna il principe in qualche modo lo capì. Quando la provai io, non
feci finta che mi stesse, ma nessuno lo sa, perché la mia sorellastra ha raccontato la storia in
modo assai diverso…ma torniamo ai fatti. Quando la mia sorellastra provò la scarpetta, notai
con immenso stupore (e mia sorella con immensa invidia) che era della sua stessa misura. Io,
contenta per lei, esultai, ma mia madre mi rimproverò duramente e mi fece un discorso di
un’ora, e non esagero. Io comunque non la ascoltai; feci finta. La storia finì come tutte le
fiabe: la mia sorellastra e il principe si sposarono. E io, solo io, ne fui felice. La cosa che mi
rende triste è il fatto che la ricompensa per averla consolata e aiutata è stata un mucchio di
bugie nei miei confronti.
Luca R.