La rigenerazione cardiaca: dal pesce zebra all ’uomo
Aaron Petruzzella 4A
Lavoro di maturità di biologia 2012:
Novità dalla ricerca in biologia marina e dal mondo subacqueo
Liceo cantonale di Mendrisio
Prof. Andreas Duij ts
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Indice
PREMESSA ................................................................................................................................................................... 3 INTRODUZIONE ......................................................................................................................................................... 4 PESCE ZEBRA (DANIO RERIO)........................................................................................................................................................ 4 RIGENERAZIONE NEGLI ANIMALI.................................................................................................................................................. 5 CUORE, MIOCARDIO E CARDIOMIOCITI ........................................................................................................................................ 6
RIGENERAZIONE DEL TESSUTO MUSCOLARE CARDIACO NEL PESCE ZEBRA........................................ 7 ANALISI ISTOLOGICA E PRIMI INDIZI SULL’ORIGINE DELLE NUOVE CELLULE ....................................................................... 7 I CARDIOMIOCITI RIGENERATI DERIVANO DA ALTRI CARDIOMIOCITI .................................................................................... 8 DEDIFFERENZIANDOSI I CARDIOMIOCITI SI SEPARANO E AL LORO INTERNO I SARCOMERI SI DISORGANIZZANO.......... 9 CAMBIAMENTI NELL’ESPRESSIONE GENICA ASSOCIATI AL PROCESSO RIGENERATIVO ....................................................... 9 RIFLESSIONE SUI METODI DELLA RICERCA ED ESPOSIZIONE DELLA TECNICA DI CRYOINJURY ........................................12
RIGENERAZIONE DEL TESSUTO MUSCOLARE CARDIACO NEI MAMMIFERI.........................................13 I CARDIOMIOCITI DI RATTUS NORVEGICUS COLTIVATI IN VITRO SI DEDIFFERENZIANO.....................................................13 ANALISI DELL’AVANZAMENTO DEI CARDIOMIOCITI ATTRAVERSO IL CICLO CELLULARE..................................................13 PROVE CHE LE CELLULE DERIVANTI DAI CARDIOMIOCITI SI DEDIFFERENZIANO E POI RI-‐DIFFERENZIANO .................14 STUDIO EX VIVO DI CARDIOMIOCITI DI R. NORVEGICUS MARCATI GRAZIE A MODIFICHE GENETICHE .............................15 IN CUORI UMANI CHE HANNO SUBITO UN INFARTO SONO PRESENTI CARDIOMIOCITI IN PROLIFERAZIONE .................16 NEI CUORI UMANI È PRESENTE UN CONTINUO TURNOVER DI CARDIOMIOCITI ..................................................................18
CONCLUSIONE ..........................................................................................................................................................20 APPENDICE – TECNICHE DI LABORATORIO ...................................................................................................21 1 -‐ BROMODEOSSIURIDINA COME MARCATORE DELLE CELLULE CHE SVOLGONO LA MITOSI ..........................................21 2 -‐ MICROARRAY ...........................................................................................................................................................................21 3 -‐ REVERSE TRANSCRIPTASE-‐POLYMERASE CHAIN REACTION (RT-‐PCR).......................................................................21 4 -‐ IBRIDAZIONE IN SITU ..............................................................................................................................................................21
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA.............................................................................................................................22 ARTICOLI SCIENTIFICI E LIBRI.....................................................................................................................................................22 PAGINE WEB...................................................................................................................................................................................23
Immagini in copertina da: -‐ Jopling et al. 2010 (Supplementary Material) -‐ Poss et al. 2002 (Supporting Online Material: http://www.sciencemag.org/content/suppl/2002/12/12/298.5601.2188.DC1.html) -‐ http://medic2010.webs.com/infarction.htm
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Premessa Scegliere il tema del mio LAM di biologia non è stato facile, dal momento che i fenomeni interessanti che si possono prendere in considerazione per sviluppare uno studio nel campo della biologia marina, o più in generale in quello del mondo subacqueo, sono talmente tanti che, volendo essere sicuro di scegliere il tema maggiormente stimolante e più capace di mantenere alto il mio impegno lungo i diversi mesi a disposizione per questo lavoro, ho preferito lasciar passare qualche settimana prima di decidere in maniera definitiva. Infine ho capito che il tema che mi affascinava maggiormente era la rigenerazione, e il mio primo pensiero è quindi stato di scegliere l’organismo per trattare questo soggetto fra gli echinodermi, probabilmente gli animali più famosi per le loro capacità rigenerative. Gli elementi di tale phylum animale che mostrano incredibili capacità di rigenerare vaste porzioni del proprio corpo sono molti, ma al momento di raccogliere e consultare il materiale a disposizione mi sono reso conto che negli articoli scientifici venivano analizzati fenomeni particolari in maniera molto specifica, e mentre notavo che collegare studi riguardanti specie differenti sarebbe stato difficile, mi accorgevo anche che sarebbe stato altrettanto arduo utilizzare tale materiale per tracciare un quadro complessivo del fenomeno rigenerativo così come si manifesta in uno di tali organismi. Capito questo, ho quindi scartato tale opzione e mi sono rimesso alla ricerca di altri organismi interessanti per le loro capacità rigenerative, ed è stato a quel punto che mi sono imbattuto in un recente articolo che analizza la capacità del pesce zebra di rigenerare parte del suo cuore, e che in particolare si occupa di stabilire quale sia l’origine delle nuove cellule che vanno a sostituire il tessuto danneggiato. Ho trovato tale articolo molto interessante e mi è subito apparsa la possibilità di collegare uno studio approfondito di tale fenomeno con quelle che sono invece le capacità dell’uomo di rispondere ad un danno all’organo cardiaco. Non appena ho scoperto fra gli articoli che citano tale studio un articolo nel quale si descrive un fenomeno analogo che si manifesta nei cardiomiociti di ratto coltivati in vitro ed ex vivo ed ho notato che al primo articolo sul pesce zebra se ne accompagnano molti altri che analizzano l’interessante capacità di tale pesce tanto a livello istologico quanto dal punto di vista genetico, ho capito che la decisione era definitiva. Per cui ciò che intendo approfondire nelle pagine di questo LAM è una ricerca che consenta una buona comprensione del fenomeno rigenerativo così come avviene nel pesce zebra quando tale organismo deve rigenerare parte del tessuto miocardico, nonché un analisi degli articoli che trattano di fenomeni analoghi osservati in condizioni particolari nei mammiferi e di quelli che cercano di comprendere se determinate caratteristiche di tali fenomeni sono osservabili anche nella risposta al danno cardiaco che si osserva nell’organismo umano, allo scopo di individuare eventuali corrispondenze fra i diversi meccanismi biologici che in specie differenti si attivano in risposta ad un problema analogo. Si tratta perciò anche di approfondire il legame esistente fra la ricerca condotta su specie anche molto lontane da quella umana e gli studi che mirano invece ad una migliore comprensione di come funziona il nostro organismo nonché alla risoluzione dei problemi che si sviluppano al suo interno all’insorgere di varie malattie. Lo studio della rigenerazione cardiaca nel pesce zebra ci è utile a comprendere meglio alcuni fenomeni biologici che osserviamo nell’uomo? Ci è d’aiuto per sviluppare nuove terapie per la cura di patologie cardiache quali l’infarto del miocardio? Nello sviluppare il mio LAM proverò a rispondere a queste domande attraverso l’analisi del contenuto di diversi articoli scientifici.
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Introduzione Prima di iniziare con lo studio vero e proprio del contenuto degli articoli scientifici che ho scelto per approfondire il tema di questo LAM, è utile una breve introduzione alla specie sulla quale tali studi (perlomeno i primi che prenderò in esame) sono stati condotti, nonché al processo rigenerativo, che poi analizzerò nei casi particolari, e alle caratteristiche del tessuto muscolare cardiaco, utili per avere dei riferimenti al momento dell’analisi dei fenomeni biologici che si svolgono all’interno di questo tipo di tessuto.
Pesce zebra (Danio rerio) Oltre a essere molto diffuso in acquariofilia, questo piccolo pesce d’acqua dolce membro della famiglia dei Ciprinidi è un organismo modello molto studiato in ambito scientifico, in particolare nel campo della biologia dello sviluppo e in quello genetico; è inoltre conosciuto per le sue capacità rigenerative. Descrizione
Il pesce zebra deve il suo nome alle cinque bande blu (fortemente contrastanti con la base chiara, argentea o dorata) che attraversano il suo corpo estendendosi fino alla pinna caudale. È lungo mediamente sei centimetri, ha un corpo fusiforme schiacciato lateralmente e la bocca rivolta verso l’alto. In cattività vive mediamente fra i due e i tre anni. Alimentazione Si tratta di una specie onnivora, che si nutre prevalentemente di insetti, zooplancton e fitoplancton, ma anche di vermi e piccoli crostacei. Habitat e comportamento Il pesce zebra è presente in Asia (più precisamente in India, Nepal, Pakistan e Bangladesh) dove popola acque correnti e ferme come corsi d'acqua, stagni e risaie; molto attivo, nuota normalmente in superficie e vive in banchi che solitamente superano la quindicina di esemplari. Dimorfismo sessuale e riproduzione Le femmine, generalmente meno snelle, un po’ meno colorate e più lunghe dei maschi, depongono fino a 400 uova da 3 a 4 volte all’anno, le quali saranno in seguito fecondate da un maschio per poi schiudersi 2-‐3 giorni più tardi.
Figura 1 – Esemplare di Danio rerio (http://it.wikipedia.org/wiki/File:Zebrafisch.jpg)
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Rigenerazione negli animali Con il termine “rigenerazione” si fa generalmente riferimento in biologia ad un processo di nuova generazione di una determinata forma e struttura corporea a sostituzione di quella originale che è stata in qualche modo danneggiata. La capacità di svolgere tale processo è l’emblema della plasticità fenotipica dei tessuti degli organismi pluricellulari e permette a tali organismi di ristabilire e mantenere il loro stato fisiologico e morfologico naturale. In tal modo quindi un organismo potrebbe per esempio essere in grado, nel rimediare a una ferita o agli effetti di una malattia, di riformare un arto o una porzione di un determinato organo e di ripristinarne l’originale funzionalità. Tale capacità è normalmente associata al regno animale, dove essa ci colpisce maggiormente, pur non essendo affatto un’esclusiva di tali organismi (anzi, nei vegetali è estremamente sviluppata e diffusa). Ad ogni modo, in funzione del contenuto delle pagine successive, le righe seguenti si limiteranno alla spiegazione del fenomeno così come avviene nelle specie animali. È possibile definire sostanzialmente due procedimenti attraverso i quali gli animali rigenerano una parte danneggiata del proprio corpo, uno dei quali si compie grazie all’impiego di tessuto indifferenziato, mentre l’altro ha luogo a partire dal tessuto differenziato adiacente a quello perso. Il primo, detto epimorfosi, coinvolge cellule staminali adulte capaci di differenziarsi nei tipi cellulari contenuti nel tessuto danneggiato, le quali raggiungono la parte danneggiata, proliferano, si differenziano e sostituiscono le cellule perse. Il secondo, chiamato morfallassi, prevede una riorganizzazione delle cellule adiacenti al tessuto danneggiato (le cellule residue), le quali dopo essersi dedifferenziate e magari moltiplicate (in questo processo la proliferazione è meno tipica e accentuata rispetto che nell’epimorfosi), ri-‐differenziano nei vari tipi cellulari che devono sostituire. La formazione del pattern (cioè l’acquisizione, da parte delle cellule che andranno a ricostruire il tessuto danneggiato, di forme e funzioni specifiche distinte) nella morfogenesi (ossia mentre l’insieme delle cellule sta acquisendo forma e struttura) durante il processo rigenerativo, così come durante lo sviluppo embrionale, è impostata e gestita da fattori che regolano l’attività genica, i quali quindi determinano l’attivazione di determinati geni, e di conseguenza il cambiamento dell’attività e del comportamento delle cellule; molti dei geni che vengono attivati sono gli stessi che erano attivi quando il tessuto si è originato durante lo sviluppo dell’embrione. Il processo di differenziazione cellulare porta una cellula a specializzarsi, acquisendo competenze e funzioni specifiche, e perdendo (in alcuni casi definitivamente) la capacità di trasformarsi in determinati altri tipi cellulari e quindi di svolgere altre funzioni specifiche. I cambiamenti di forma, dimensione, attività metabolica e risposta ai segnali che la cellula intraprende differenziandosi sono a loro volta dovuti a delle modifiche controllate che avvengono a livello di espressione genica. Viceversa, il processo di dedifferenziamento consiste nel ritorno ad uno stadio di sviluppo precedente da parte di una cellula completamente o parzialmente differenziata, la quale riacquista così la possibilità di proliferare e di differenziare in più tipi cellulari diversi.
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Cuore, miocardio e cardiomiociti Il cuore è l’organo cavo presente in ogni organismo animale possedente l’apparato circolatorio, che contraendosi ritmicamente funge da pompa facendo circolare il sangue attraverso i vasi sanguigni dell’organismo in questione. Esso è avvolto dal pericardio, una sottile membrana costituita da due strati (pericardio fibroso e sieroso) che protegge il cuore, lo mantiene fisso al suo posto e ne favorisce il corretto funzionamento concedendogli una certa mobilità. Le pareti cardiache sono formate da tre tonache: l’epicardio, più esterno, costituito da tessuto connettivo e ospitante fibre nervose nonché capillari sanguigni e linfatici; il miocardio, composto dalle fibre muscolari cardiache; l’endocardio, costituito da cellule endoteliali, che agevola lo scorrimento del sangue all’interno del cuore. Il miocardio è la tonaca che costituisce in maniera nettamente preponderante il cuore, ed è composto di cardiomiociti. Possiede delle proprietà intermedie rispetto a quelle dei tessuti muscolari scheletrico e liscio, in quanto presenta le striature tipiche del primo e come questo garantisce un’azione rapida e potente, ma, come il secondo, non è controllato volontariamente, è resistente allo sforzo prolungato e reagisce allo stimolo elettrico contraendosi come un’unica fibra (pur non essendolo anatomicamente). Le cellule del miocardio specifico formano il sistema di conduzione elettrica del cuore, che causa e conduce la stimolazione elettrica del miocardio. L’infarto del miocardio, normalmente dovuto all’ostruzione di un’arteria coronaria (che costituisce la via per il trasporto di sangue al cuore), porta alla necrosi (morte) di parte del tessuto miocardico causata dalla carenza di ossigeno. I cardiomiociti, ricoperti da una particolare membrana estensibile detta sarcolemma, contengono molti mitocondri, indispensabili per fornire alla cellula l’energia necessaria alla contrazione muscolare, come pure le catene molecolari che permettono tecnicamente la contrazione stessa, le miofibrille, la cui unità fondamentale è il sarcomero. Esse sono formate principalmente da due tipi di proteine, l’actina (costituisce i filamenti sottili) e la miosina (costituisce i filamenti spessi), le quali scorrono l’una sull’altra durante la contrazione muscolare, causando l’accorciamento delle miofibrille e quindi del muscolo stesso.
Figura 2 – Porzione di miofibrilla suddivisa in due sarcomeri delimitati dalle linee Z, rappresentata tridimensionalmente (in alto), mostrandone una sezione (in mezzo) e schematizzandone la catena molecolare che la costituisce (in basso) (http://www.physioweb.org/muscular/sk_muscle.html)
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Rigenerazione del tessuto muscolare cardiaco nel pesce zebra
Analisi istologica e primi indizi sull’origine delle nuove cellule
Studi che risalgono fino a quindici anni fa riportano della capacità del pesce zebra di rigenerare varie parti del suo corpo, mentre da almeno dieci anni si conosce la sua capacità di rigenerare fino ad un quinto del tessuto muscolare cardiaco. È perciò utile iniziare lo studio di questo fenomeno biologico riprendendo il contenuto dell’articolo del 2002 (Heart regeneration in Zebrafish, Poss et al.) nel quale si trova la prima descrizione di tutto il processo rigenerativo analizzato attraverso numerose osservazioni istologiche al microscopio, condotte su cuori di vari individui a diversi giorni di distanza dall’amputazione di parte (circa il 20%) del ventricolo. Tale esperimento è stato effettuato su esemplari di pesce zebra di uno o due anni (quindi relativamente vecchi e perciò già oltre la fase di crescita), ai quali è stato inciso l’addome e poi asportato circa un quinto del ventricolo, dopodiché i pesci sono stati rimessi in acqua senza suturare la ferita. Al momento di studiare gli sviluppi su un dato esemplare, si è proceduto a preparare l’organo all’analisi, e sono state poi effettuare diverse sezioni dell’intero ventricolo. Ad un giorno dall’amputazione si osserva un coagulo di eritrociti a chiusura della ferita, i quali nei giorni seguenti vengono gradualmente sostituiti da fibrina, che è massimamente presente attorno ai 7-‐9 giorni di distanza dall’amputazione. In questi primi giorni gli individui operati appaiono meno attivi e coordinati nel nuotare rispetto agli organismi di controllo, ma tali differenze scompaiono dopo una settimana di recupero. Fra il nono e il trentesimo giorno a seguito dell’amputazione si può notare invece come il coagulo di fibrina venga progressivamente sostituito da fibre muscolari, ed arrivi in molti casi a scomparire entro il sessantesimo giorno, mentre la grandezza e la forma del ventricolo raggiungono i livelli originali e il muscolo cardiaco nel suo complesso recupera completamente la sua normale capacità di contrarsi.
Nello stesso studio si indaga anche sull’origine delle cellule che vanno a sostituire il tessuto muscolare andato perso, e il risultato è che pare siano i cardiomiociti (cellule del cuore completamente differenziate) ad avere la straordinaria capacità di proliferare e quindi rigenerare il tessuto muscolare cardiaco. L’esperimento che in questo studio ha portato a tale risultato ha previsto l’utilizzo della bromodeossiuridina (BrdU) come marcatore della sintesi di DNA1 per verificare se i cardiomiociti fossero capaci di entrare nuovamente nel ciclo cellulare e fare la mitosi. È quindi apparso che in effetti, dopo sette giorni di trattamento, nei cuori in rigenerazione una percentuale più alta di cardiomiociti rispetto a quella (bassissima) registrata per gli individui di controllo incorpora BrdU nel proprio nucleo, dimostrando che tali cardiomiociti svolgono la mitosi (fatto verificato anche osservando la presenza di uno specifico marcatore della mitosi), e che quindi potrebbero proprio essere queste cellule all’origine del processo rigenerativo. 1 Vedi il primo punto dell’appendice “Tecniche di laboratorio” sulla BrdU come marcatore delle cellule in mitosi
Figura 3 – Sezione del cuore prima e dopo l’amputazione (Poss et al. 2002)
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Uno studio del 2010 (Zebrafish heart regeneration occurs by cardiomyocyte dedifferentiation and proliferation, Jopling et al.) sembra confermare in pieno tale ipotesi. La spiegazione del fenomeno a cui giungono gli autori prevede che le nuove cellule provengano da cardiomiociti che, in risposta al trauma subito, avrebbero la capacità di dedifferenziarsi, proliferare e poi ri-‐differenziarsi in cellule del tessuto muscolare cardiaco. Nei prossimi paragrafi mi riferirò a tale recente studio, che analizza diversi interessanti aspetti riguardanti il processo rigenerativo nel pesce zebra.
I cardiomiociti rigenerati derivano da altri cardiomiociti Con lo scopo di comprendere in quale misura i cardiomiociti completamente differenziati contribuiscano alla rigenerazione del tessuto andato perduto, sono stati effettuati degli esperimenti di amputazione su degli individui di Danio rerio nei quali i cardiomiociti erano stati marcati geneticamente, così da poter osservare se questi proliferino o meno (tali individui appartenevano a linee transgeniche nelle quali un complesso processo che portava alla ricombinazione genica era posto sotto il controllo di un promotore specifico dei cardiomiociti, e ciò faceva sì che solo tali cellule apparissero evidenziate dopo la ricombinazione genica). Dopo aver rimosso circa il 20 % del ventricolo, è stato verificato il procedere della rigenerazione cardiaca a 7, 14 e 30 giorni di distanza dall’amputazione: mentre dopo 7 giorni il tessuto rimosso appare sostituito da un coagulo di fibrina/collagene, a 14 giorni di distanza buona parte del processo rigenerativo ha avuto luogo e i nuovi cardiomiociti appaiono tutti marcati geneticamente; la stessa cosa la si osserva anche 30 giorni dopo l’amputazione, quando la rigenerazione è completa (Figura 4, tratteggio = taglio). Ciò sembra dimostrare che i nuovi cardiomiociti hanno tutti avuto origine da cardiomiociti già presenti e farebbe escludere altre fonti (cadono le ipotesi che facevano riferimento a cellule staminali); resta da comprendere in che modo questo processo avvenga. Per verificare tale risultato, anche in questo studio è stato effettuato un esperimento utilizzando la bromodeossiuridina, svolto in maniera ancora più efficace grazie al fatto di aver potuto marcare i cardiomiociti come nell’esperimento appena descritto: i pesci zebra i cui cardiomiociti erano stati marcati geneticamente sono stati trattati con bromodeossiuridina (BrdU) per 7 giorni dopo l’amputazione, e a 14 giorni dall’amputazione è stato osservato un notevole aumento dei cardiomiociti marcati geneticamente e contenenti BrdU rispetto che negli organismi di controllo non amputati. Questo dimostra che i cardiomiociti sono rientrati nel ciclo cellulare e svolgono la replicazione del DNA, e che quindi sono all’origine del processo rigenerativo. Inoltre si è osservato che i cardiomiociti marcati con BrdU, pur trovandosi principalmente attorno alla regione amputata, si possono ritrovare anche in altre aree del cuore, suggerendo che il processo rigenerativo potrebbe coinvolgere tale organo nel suo complesso.
Figura 4 - Anche i nuovi cardiomiociti sono marcati geneticamente (Jopling et al. 2010)
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Dedifferenziandosi i cardiomiociti si separano e al loro interno i sarcomeri si disorganizzano Un primo tentativo di comprendere il meccanismo di dedifferenziazione dei cardiomiociti (necessario perché questi possano poi proliferare e andare a ricostituire il tessuto danneggiato) è stato effettuato osservando il processo rigenerativo al microscopio elettronico. Mentre in situazioni normali (in cuori sani) i cardiomiociti mostrano una sistemazione ordinata di mitocondri e sarcomeri con linee Z ben visibili e definite, nei cardiomiociti dei cuori che si stanno rigenerando si osserva che le strutture dei sarcomeri si sono disorganizzate e non si possono più individuare le linee Z, inoltre gli stessi cardiomiociti si separano l’uno dall’altro e si rendono visibili ampi spazi intercellulari. In questo modo è stato anche possibile contare il numero di cardiomiociti nei quali avvenivano tali modifiche strutturali ed è stato constatato un picco attorno al settimo giorno a seguito del’amputazione. Inoltre la distribuzione dei cardiomiociti che stanno dedifferenziandosi assomiglia molto a quella dei cardiomiociti marcati con BrdU (cioè quelli che erano rientrati nel ciclo cellulare). Un altro esperimento nello stesso studio ha permesso di verificare definitivamente che nei cardiomiociti in duplicazione (cioè quelli che prolifereranno) le strutture sarcomeriche si disorganizzano. Ciò è stato osservato in due modi diversi: in un caso utilizzando un marcatore di cellule che intraprendono la mitosi e nell’altro un marcatore di cellule in proliferazione. In entrambi i casi le cellule marcate risultavano prive di strutture sarcomeriche organizzate.
Cambiamenti nell’espressione genica associati al processo rigenerativo L’ultimo ambito di ricerca esplorato nello studio di Jopling et al. è quello dell’espressione genica (la cui analisi permette generalmente di comprendere meglio ogni fenomeno biologico che avviene in un organismo). In particolare è stata analizzata l’espressione dell’enzima polo like kinase 1 (plk1), un regolatore del ciclo cellulare per il quale era già stato constatato un aumento dell’espressione durante il processo rigenerativo. Tale aumento dell’espressione è stato confermato da questo studio, il quale per determinare il ruolo di questo enzima durante la rigenerazione del cuore nel pesce zebra ha previsto ulteriori esperimenti. Tali esperimenti, svolti sia su embrioni nei quali erano stati eliminati tutti i cardiomiociti che su individui adulti di Danio rerio ai quali era stata asportata parte del cuore, hanno mostrato che questi organismi in presenza di un inibitore dell’enzima plk1 riescono a rigenerare normalmente il muscolo cardiaco danneggiato solamente nel 17% dei casi, contro un 67% risultante in assenza di tale inibitore (le cifre si riferiscono in particolare all’esperimento svolto sugli embrioni di pesce zebra). Questi risultati indicano che l’enzima plk1 ha un ruolo fondamentale durante la rigenerazione del cuore nel pesce zebra.
Figura 5 - La presenza nello stesso cardiomiocita di fibre di miosina che lo percorrono sia longitudinalmente che trasversalmente sono indice di disorganizzazione e mancanza di struttura (Jopling et al. 2010)
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Poiché altri studi hanno esaminato in maniera più ampia e sistematica i cambiamenti nell’espressione genica durante la rigenerazione del muscolo cardiaco nel pesce zebra, per avere un quadro più completo a riguardo di questo complicato processo, del quale molti aspetti devono ancora essere chiariti, riporto i risultati ottenuti da uno di questi studi in particolare, risalente al 2006 (Gene Expression Analysis of Zebrafish Heart Regeneration, Lien et al.). In tale studio è stata utilizzata la tecnica del microarray2 per ottenere i profili dell’espressione genica di cuori in rigenerazione a 3, 7 e 14 giorni di distanza dall’amputazione. Fra le migliaia di trascritti individuati, ne sono stati identificati 662 che venivano espressi in maniera diversa (cioè in modo maggiore o minore) in almeno uno dei tre momenti presi in esame. Successivamente questi 662 geni espressi in modo variabile sono stati suddivisi in base a quella che si crede essere la loro funzione ed al periodo nel quale vengono espressi, così da riassumere ed ordinare i vari meccanismi che compongono il processo rigenerativo.
Il quadro che ne risulta è il seguente: i geni responsabili della reazione al ferimento e della risposta infiammatoria vengono espressi presto durante il processo rigenerativo; l’espressione di una serie di proteine secrete si osserva già 3 giorni dopo l’amputazione e raggiunge il picco altri 4 giorni dopo; diversi geni che codificano per fattori di crescita e proteine secrete sono fortemente espressi a 3 giorni dall’amputazione e probabilmente sono collegati al processo di guarigione della ferita, e i dati che riguardano l’espressione di alcuni di essi ottenuti con l’analisi microarray sono stati confermati attraverso RT-‐PCR3, mettendo in evidenza in particolare la forte espressione dei geni apoEb, vegfc e granulin A a 3 giorni di distanza dall’amputazione; altri geni codificanti per molecole coinvolte nella regolazione della matrice extracellulare vengono espressi a partire da 7 giorni dopo l’amputazione e sono ancora espressi 7 giorni dopo, suggerendo che un rimodellamento estensivo del tessuto avviene in stadi più tardivi del processo rigenerativo.
2 Vedi il secondo punto dell’appendice “Tecniche di laboratorio” 3 Vedi il terzo punto dell’appendice “Tecniche di laboratorio”
Figura 6 – Raggruppamento di vari geni in base al modo in cui la loro espressione cambiava lungo il periodo rigenerativo (A, rosso e verde indicano rispettivamente forte e debole espressione); tendenza generale dell’evoluzione dell’espressione per i tre diversi gruppi (B); risultati di una RT-PCR per un sottogruppo di geni codificanti per fattori di crescita e proteine secrete, che confermano quelli ottenuti tramite analisi microarray (C) (Lien et al. 2006)
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È stato poi effettuato un confronto fra i profili dell’espressione genica della rigenerazione del cuore e della pinna nel pesce zebra per ricercare possibili meccanismi comuni ai due processi: 132 dei 662 geni espressi in maniera variabile durante la rigenerazione del muscolo cardiaco appaiono espressi ugualmente in modo variabile nel corso della rigenerazione della pinna (fra di essi c’è il gene mps1, che codifica per una proteina appartenente ad una famiglia di regolatori della mitosi, del quale durante entrambi i processi viene aumentata la trascrizione, cosa che conferma le precedenti osservazioni che vedevano degli organismi mutanti per questo gene fallire in ambedue i processi di rigenerazione); fra questi 132 geni, hanno un ruolo importante quelli che regolano la matrice extracellulare e quelli che codificano per molecole di adesione, indicando che il rimodellamento del tessuto e la migrazione cellulare sono meccanismi importanti in entrambi i processi rigenerativi; molto più numerosi sono invece i trascritti variabilmente espressi solamente durante uno dei due processi di rigenerazione, dato che, unito ai precedenti, fa pensare che oltre ad un insieme di molecole regolate similarmente durante i due processi rigenerativi e quindi comuni ad entrambi vi siano anche molti fattori tessuto-‐specifici che entrano in gioco solo nell’uno o nell’altro caso (fatto per nulla sorprendente, dato che i tipi di cellule coinvolti sono molto differenti e che, mentre a livello cardiaco la rigenerazione ha origine a partire da cardiomiociti differenziati, nella pinna è un ammasso di cellule staminali pluripotenti a dare il via a tale processo). Per investigare l’origine del processo rigenerativo sono stati individuati alcuni geni che codificano per proteine secrete e fattori di crescita che presentano un’aumentata espressione nei primi giorni seguenti l’amputazione e ne è stata studiata l’espressione spaziale attraverso l’ibridazione in situ4. Molti cardiomiociti in proliferazione sono osservabili attorno alla regione dell’amputazione, ed in effetti è proprio in questa zona che è stata osservata l’espressione di tali geni, i quali potrebbero quindi essere coinvolti nel meccanismo di iniziazione del processo rigenerativo (soprattutto vista la natura dei prodotti di tali geni, in quanto tale fase di inizio deve prevedere con ogni probabilità la produzione di fattori di crescita e proteine segnale atte alla comunicazione fra le cellule). Allo scopo di determinare la funzione di alcuni fattori secreti identificati attraverso l’analisi dell’espressione genica a livello cellulare si è lavorato anche su cardiomiociti coltivati in vitro, e si è osservato che essi in coltura attraversano una fase di dedifferenziamento caratterizzata dalla disorganizzazione delle strutture sarcomeriche al loro interno. È stato sperimentato per diversi fattori l’effetto che essi hanno nell’indurre sintesi di DNA nei cardiomiociti. L’unico di questi fattori a determinare un certo aumento nell’incorporazione di BrdU da parte dei cardiomiociti (fatto che indica appunto una maggiore sintesi di DNA) è stato il PDGF-‐BB (proteina che nell’uomo ha proprio il ruolo di fattore di crescita), anche se non è stata individuata attività mitotica fra i cardiomiociti trattati con tale proteina. Per comprendere il ruolo di tale fattore durante la rigenerazione del muscolo cardiaco in vivo è stato sperimentato l’effetto che l’AG1295, una molecola che inibisce selettivamente una particolare attività del PDGFR (recettore dei PDGF), ha sulla sintesi di DNA nei cardiomiociti. Individui trattati con tale inibitore a partire dal secondo giorno dopo l’amputazione per 12 giorni, mostrano il 16 % in meno di cellule BrdU positive rispetto agli organismi di controllo; quindi una buona porzione di cardiomiociti non ha potuto svolgere la sintesi del DNA a causa dell’inibizione del recettore dei PDGF. Ciò indica che la segnalazione attraverso PDGF è necessaria per la proliferazione di almeno una parte dei cardiomiociti durante la rigenerazione cardiaca.
4 Vedi il quarto punto dell’appendice “Tecniche di laboratorio”
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Riflessione sui metodi della ricerca ed esposizione della tecnica di cryoinjury Gli ultimi dati e relativi risultati, come un po’ tutta la parte riguardante i cambiamenti nell’espressione genica associati al processo rigenerativo, mostrano come la ricerca debba muoversi passo dopo passo, processando un’enorme quantità di dati ed eseguendo numerosi esperimenti per determinare per esempio il ruolo di ogni singola molecola. La formulazione di ipotesi intelligenti può consentire allo studio di avanzare più velocemente, ma la verifica di ognuna di queste ipotesi richiede comunque esperimenti specifici che devono dare risultati chiari (la cui interpretazione deve essere oggettiva e incontestabile), e data la loro numerosità, la loro esecuzione richiede molto tempo, oltre che mezzi tecnologici avanzati. A questo proposito è utile rilevare che una grande importanza in questo senso è rivestita dai metodi utilizzati negli studi biologici (e ovviamente non solo in questi). Rimanendo al caso specifico degli studi sulla capacità del pesce zebra di rigenerare parte del muscolo cardiaco, considerando come regola generale che gli esperimenti devono essere comparabili fra loro e riprodurre situazioni il più possibile simili a quelle che si creano in natura, è stato proposto da più parti di sostituire la tecnica dell’amputazione del ventricolo con quella di cryoinjury, e quindi di riprodurre in maniera più fedele le lesioni conseguenti ad un infarto del miocardio congelando e poi scongelando rapidamente la determinata porzione di ventricolo, ottenendo in tal modo risultati più significativi e facilmente comparabili con quelli ottenuti dagli studi sui mammiferi. In particolare, un articolo di quest’anno (2012) di due ricercatori dell’università di Friburgo (Induction of Myocardial Infarction in Adult Zebrafish Using Cryoinjury, Chablais and Jaźwińska) propone in maniera molto accurata delle precise modalità secondo le quali utilizzare tale tecnica, illustrando in seguito che tipi di studio possono essere effettuati sui cuori di pesce zebra danneggiati criogenicamente, e sostenendo per l’appunto che l’utilizzo di tale metodo porta a risultati sotto certi punti di vista più attendibili e più facilmente confrontabili con quelli che si hanno per gli esperimenti analoghi sui mammiferi. Gli stessi autori, parallelamente ad altri gruppi di ricercatori, avevano mostrato già un anno fa che anche i pesci zebra ai quali viene danneggiato il ventricolo criogenicamente riescono a rigenerare la parte danneggiata, dimostrando in maniera ancora più efficace che una rigenerazione del muscolo cardiaco a seguito di un fenomeno molto simile ad un infarto del miocardio è possibile nel pesce zebra. Ad ogni modo la ricerca dovrà procedere ancora a lungo perché si riesca a svelare ogni particolare riguardante il processo di rigenerazione del muscolo cardiaco nel pesce zebra e a ottenere così tutti i tasselli che compongono questo complesso mosaico, il quale potrebbe apparirci più chiaro in ogni sua parte solo una volta completo. Nonostante ciò, ho cercato di dare una visione d’insieme completa a grandi linee riguardo a ciò che si è scoperto finora, scendendo più nel dettaglio di tanto in tanto per mostrare la mole di lavoro necessaria ad arrivare a determinati risultati e caratterizzare un po’ meglio le modalità secondo le quali la ricerca viene condotta.
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Rigenerazione del tessuto muscolare cardiaco nei mammiferi Dopo aver presentato il contenuto di alcuni articoli scientifici che affrontano lo studio della capacità rigenerativa del pesce zebra, nella seconda parte di questo LAM descriverò i primi recenti studi condotti allo scopo di comprendere se in situazioni particolari anche nei mammiferi sia possibile che lo stesso fenomeno rigenerativo abbia luogo e se in qualche modo esso possa essere indotto. In particolare comincerò esponendo un esperimento condotto su cardiomiociti di Rattus norvegicus, contenuto in un articolo pubblicato nel 2010 (Dedifferentiation and Proliferation of Mammalian Cardiomyocytes, Zhang et al.) di poco successivo a quello di Jopling et al. che descrive la dedifferenziazione e seguente proliferazione dei cardiomiociti nel pesce zebra; quest’ultimo articolo viene infatti citato nell’introduzione e nella parte di discussione di quello che esporrò nei prossimi paragrafi.
I cardiomiociti di Rattus norvegicus coltivati in vitro si dedifferenziano Per poter studiare in vitro in maniera specifica lo sviluppo dei cardiomiociti di R. norvegicus senza influenze di altri tipi cellulari, la prima parte di questo esperimento ha previsto la purificazione dei campioni provenienti dai cuori di ratti di 5-‐8 settimane così da conservarne solamente i cardiomiociti. Tali campioni sono stati poi ulteriormente analizzati osservando l’espressione di determinati marcatori di tipo cellulare, in modo da accertarne la purezza. Tali cardiomiociti sono poi stati coltivati in un medio ricco di una sostanza mitogena (cioè capace di indurre la mitosi). Il primo risultato è stato che tali cellule hanno cambiato forma, appiattendosi, ed hanno perso le loro peculiari striature; inoltre entro 6-‐8 giorni hanno iniziato a dividersi, continuando nel frattempo a perdere le caratteristiche fenotipiche proprie dei cardiomiociti e procedendo quindi nel percorso di dedifferenziazione.
Analisi dell’avanzamento dei cardiomiociti attraverso il ciclo cellulare Studiando l’espressione dei marcatori Ki67 e istone H3 nonché l’incorporazione di BrdU è stato possibile seguire i cardiomiociti in coltura che hanno attraversato il ciclo cellulare. In particolare, dopo due giorni in coltura è stata osservata l’espressione della proteina Ki67 (marcatrice di cellule in proliferazione) nell’11% circa dei cardiomiociti atriali esaminati, contro un 6% in quelli ventricolari, per giungere ad un picco dell’80% e rispettivamente del 46% circa dopo 11 giorni in coltura. Per quanto riguarda l’istone H3, utile ad individuare cellule che attraversano la fase M (mitosi) del ciclo cellulare, e l’incorporazione di BrdU, indicante l’attraversamento della fase S (di duplicazione del DNA), è stato osservato un aumento progressivo delle cellule positive a questi due marcatori arrivando ad un picco dopo una settimana in coltura. Anche in questo caso, il rapporto fra cellule positive e totali è risultato più alto per i cardiomiociti atriali che per quelli ventricolari. Sono state inoltre osservate cellule in profase, anafase e telofase. Per comprendere più a fondo il fenomeno e le differenze fra cardiomiociti atriali e ventricolari, è stata esaminata l’espressione di diversi importanti regolatori del ciclo cellulare in cardiomiociti appena isolati e in altri in coltura da 5 giorni. In ognuno dei casi è risultato che l’espressione di inibitori del ciclo cellulare nei cardiomiociti atriali da poco isolati era più bassa che in quelli ventricolari, e che dopo 5 giorni in coltura era diminuita nettamente in tutte e due le specie cellulari. Tali dati spiegano il maggior numero di cardiomiociti atriali che attraversano il ciclo cellulare, come pure l’aumentare dei cardiomiociti in proliferazione con il procedere del processo di dedifferenziazione, giorno dopo giorno.
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Prove che le cellule derivanti dai cardiomiociti si dedifferenziano e poi ri-‐differenziano Dato che le cellule originate dai cardiomiociti in coltura proliferavano e assomigliavano in forma e dimensione a cellule cardiache progenitrici, si è cercato di capire se fosse possibile individuare in loro alcuni elementi caratteristici di tali cellule, ed infatti vari elementi in comune sono stati trovati. In particolare, si è osservato che le cellule derivate dai cardiomiociti non esprimono più la catena α-‐MHC, caratteristica dei cardiomiociti maturi, mentre esprimono trascritti di CD90, proprio delle cellule staminali mesenchimali e di altre specie di staminali. Inoltre, tali cellule sono risultate positive per il marcatore di cellule staminali c-‐kit, non presente in principio in alcuno dei cardiomiociti originali (era fra i presupposti perché il campione fosse definibile puro). Infine si è osservato che in una fase successiva le cellule esprimono nuovamente i trascritti per la catena proteica α-‐MHC, mentre cala nettamente l’espressione di c-‐kit; in tale fase, che sembra corrispondere a quella di ri-‐differenziazione delle cellule, molte di esse si raggruppano in sfere. In aggiunta, sono stati rilevati importanti cambiamenti per quanto riguarda certi microRNA regolatori, in quanto il livello di alcuni di essi, cardiospecifici oppure che reprimono la staminalità o il ciclo cellulare, si era ridotto di parecchio nelle cellule derivate dai cardiomiociti, mentre quello di altri, necessari alla proliferazione, è aumentato notevolmente. Tutto ciò sembra descrivere con linearità il percorso di queste cellule attraverso la dedifferenziazione, lo svolgimento del ciclo cellulare e la riacquisizione del fenotipo di una cellula progenitrice; in seguito, come già accennato, le cellule sembrano ri-‐differenziarsi spontaneamente mentre si raccolgono in sfere. Il passo seguente è stato lo studio più approfondito delle sfere nelle quali il 20-‐40% delle cellule derivate dai cardiomiociti si organizza dopo qualche giorno in coltura (7A). Spesso queste si contraggono ritmicamente, dimostrando capacità di accoppiamento eccito-‐contrattile. Inoltre è stata osservata l’espressione non solo di α-‐MHC (7B), ma anche della proteina Cx43, costituente le giunzioni gap cardiache, nonché del marcatore di cellule endoteliali CD31 (7C). È perciò rilevante notare come una fonte di soli cardiomiociti sia stata in grado di generare, in aggiunta a nuovi cardiomiociti, anche delle cellule endoteliali. Ciò testimonia il grande potenziale che le cellule derivate da cardiomiociti possiedono, perlomeno quando coltivate in vitro, anche se è importante rilevare che i cardiomiociti di partenza provengono da esemplari molto giovani, e che le loro caratteristiche potrebbero modificarsi negli individui adulti.
Figura 7 - Sfere di cellule derivate dai cardiomiociti e relative proteine espresse (Zhang et al. 2010)
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Studio ex vivo di cardiomiociti di R. norvegicus marcati grazie a modifiche genetiche Un ultimo esperimento, utile a confermare le ipotesi fatte fin qui togliendo ogni dubbio riguardo ad una possibile contaminazione dei campioni di cardiomiociti utilizzati nei precedenti esperimenti, ha previsto di osservare la dedifferenziazione dei cardiomiociti ex vivo (cioè sempre in coltura, ma assieme alle altre cellule appartenenti al tessuto muscolare cardiaco), coltivando del tessuto appartenente a ratti geneticamente modificati in modo da poterne riconoscere inequivocabilmente i cardiomiociti con tecniche di immunofluorescenza. È stato così possibile osservare che, nonostante le prime cellule che si sono viste proliferare dopo pochi giorni non fossero cardiomiociti, dopo 10 giorni in coltura anche le cellule marcate come cardiomiociti hanno iniziato a moltiplicarsi, e dopo 3 settimane in coltura molte di queste avevano originato cellule c-‐kit positive, cioè staminali. Allo stesso tempo si sono anche osservate nuove cellule c-‐kit + non marcate come cardiomiociti, a indicare che questi ultimi non sono l’unica fonte di nuove cellule staminali presente nel cuore.
Figura 8 - Cellule di origine cardiomiocitica (in verde); cellule c-kit+ (in rosso); cellule di origine cardiomiocitica c-kit+ (in giallo) (Zhang et al. 2010)
Tali esperimenti hanno quindi rivelato una capacità non conosciuta dei cardiomiociti di R. norvegicus, dimostrando come non sia valida la regola che voleva i mammiferi incapaci di intraprendere in nessun caso un processo rigenerativo a livello del tessuto muscolare cardiaco. Ovviamente in questi esperimenti tale risultato è stato ottenuto solo in condizioni artificiali su cellule in coltura e a partire da cardiomiociti appartenenti a individui molto giovani, ma è molto interessante notare la grande somiglianza fra il processo qui osservato e quello intrapreso dai cardiomiociti del pesce zebra a seguito dell’amputazione di parte del ventricolo, i quali pure si dedifferenziano, proliferano e poi si ri-‐differenziano, fatto che potrebbe far pensare che alcuni aspetti della capacità posseduta dal pesce zebra si siano conservati negli animali più complessi quali i mammiferi, anche se questi non appaiono in grado di svolgere il processo rigenerativo nella sua interezza. Questi risultati danno adito a speranze per quanto riguarda l’individuazione di possibili “capacità nascoste” possedute anche dai cardiomiociti umani, che potrebbero essere sfruttate per sviluppare nuove terapie per guarire i pazienti che hanno subito un infarto del miocardio. Nel prossimo paragrafo riporto i risultati di uno studio del 2001 (Evidence That Human Cardiac Myocytes Divide after Myocardial Infarction, Beltrami et al.) nel quale si è cercato di capire se dopo un infarto i cardiomiociti iniziano almeno in parte a moltiplicarsi.
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In cuori umani che hanno subito un infarto sono presenti cardiomiociti in proliferazione Per questo studio, condotto allo scopo di capire se nei cuori umani infartuati una porzione più alta di cardiomiociti rispetto al normale rientri nel ciclo cellulare per moltiplicarsi, sono stati utilizzati tredici cuori provenienti da pazienti morti pochi giorni dopo un infarto (sette appartenenti a uomini e sei a donne, la cui età media era 64 anni) e altri dieci provenienti da cinque donne e cinque uomini, la cui età media era 61 anni, morti non per malattie cardiovascolari, utilizzati come controllo. Nei cuori infartuati, i campioni di tessuto da analizzare sono stati prelevati sia da una zona prossima al tessuto miocardico necrotico che da una zona del ventricolo distante dalla regione danneggiata; nei cuori impiegati come controllo i campioni sono stati prelevati da regioni comparabili. La preparazione dei campioni prima dell’osservazione al microscopio ha previsto l’utilizzo di ioduro di propidio per evidenziare il DNA (e quindi i cromosomi) di ogni cellula, di anticorpi anti-‐actina α-‐sarcomerica per colorare in maniera specifica i cardiomiociti, di anticorpi anti-‐tubulina per l’individuazione del fuso mitotico e di anticorpi contro l’antigene Ki-‐67 per evidenziare le cellule Ki-‐67+. Ciò ha permesso di identificare i cardiomiociti, di osservare quanti di questi si trovavano in una delle fasi della mitosi (individuando i cardiomiociti nei quali vi era il fuso mitotico, il quale è presente nella cellula durante tutta la mitosi, oppure riconoscendo una delle fasi del processo mitotico dalla configurazione assunta dai cromosomi) e di contare le cellule esponenti l’antigene Ki-‐67, marcatore delle cellule in proliferazione. È stato così possibile osservare che nei cuori infartuati circa il 4% dei cardiomiociti prelevati al margine del tessuto miocardico deteriorato presentava l’antigene Ki-‐67, percentuale che scende attorno all’1,5% nei cardiomiociti prelevati da una zona del ventricolo distante dalla regione danneggiata; tali percentuali corrispondono a valori 84 e rispettivamente 28 volte maggiori a quello osservato per i cardiomiociti provenienti dai cuori non infartuati (per i quali si è provveduto a calcolare un valore unico, dal momento che le percentuali non variavano al variare della regione del ventricolo analizzata). Per quanto riguarda la conta dei cardiomiociti che svolgevano la mitosi, essi sono risultati essere quasi lo 0,08% di quelli provenienti dalla regione al margine del tessuto necrotico e circa lo 0,025% di quelli provenienti dalla zona più distante, valori che in questo caso corrispondono a 70 volte e rispettivamente 24 volte quello osservato nei cuori non infartuati.
Figura 9 - Cardiomiociti umani in duplicazione (cromosomi in verde) (Beltrami et al. 2001)
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Tali dati sono in contrasto con la diffusa teoria secondo la quale i cardiomiociti mammiferi, e nel caso specifico quelli dell’uomo, sarebbero incapaci di svolgere la mitosi, e sembrano invece indicare che il nostro cuore possieda una subpopolazione di cardiomiociti in grado di rientrare nel ciclo cellulare e quindi di moltiplicarsi (a questa conclusione giungono gli autori dello studio). Il fatto che la proporzione fra cellule Ki-‐67+ (in proliferazione) e cellule osservate in mitosi si mantenga attorno ad un rapporto di 50 a 1 sia nelle osservazioni fatte sui cuori infartuati che in quelle fatte sui cuori di controllo sembra provare la validità dei dati e può essere d’aiuto per stimare la lunghezza del ciclo cellulare dei cardiomiociti; infatti se consideriamo 30 minuti come tempo medio necessario ad una cellula per completare la mitosi, il fatto che ad un dato momento se ne osservino in mitosi un cinquantesimo di quelle marcate come in proliferazione indica che il tempo che passa fra l’inizio di un processo mitotico e l’inizio di quello successivo (nella stessa cellula) è di circa 50 x 30 min. = 25 h. Ma se almeno parte dei cardiomiociti umani è in grado di rientrare nel ciclo cellulare e poi proliferare, perché il nostro organismo non è in grado di rigenerare la parte del ventricolo danneggiata in seguito ad un infarto? L’ipotesi formulata dai ricercatori è abbastanza elementare, e spiega semplicemente che i cardiomiociti non sono in grado di ricostruire il tessuto andato danneggiato “da soli”, bensì sarebbe necessario che altri processi avvenissero contemporaneamente alla loro moltiplicazione, come la rimozione del tessuto morto o la creazione di strutture fondamentali quali nuovi vasi sanguigni. Rimane quindi da valutare se un indice mitotico pari a quello osservato nei cuori infartuati sia sufficientemente alto da permettere (in teoria) la ricreazione dei cardiomiociti andati perduti. Considerando che il ventricolo sinistro di un cuore sano è composto in media da 5,5 x 109 cardiomiociti e che mediamente in seguito ad un infarto ne rimangono 3,8 x 109, dato l’indice mitotico calcolato pari a circa 520 cardiomiociti in proliferazione su 106 totali (media fra i 775 su 106 trovati nella zona marginale e i 264 su 106 trovati nella zona più distante dalla ferita), è possibile stimare per estrapolazione che i cardiomiociti in proliferazione in un dato momento nel ventricolo sinistro infartuato siano 1˙976˙000, e che se tale tasso di replicazione rimane stabile gli 1,7 x 109 cardiomiociti persi possano essere rigenerati in 18 giorni, infatti:
1,98 x 106 x 48 x 18 = 1,7 x 109
(cardiomiociti in replicazione x numero di cicli mitotici al giorno x tot di giorni = cardiomiociti rigenerati). Tali risultati indicano quindi che da questo punto di vista non è così inverosimile pensare al nostro cuore che rigenera parte di sé stesso dopo aver subito un infarto, ma ciò non potrà comunque avvenire se parallelamente non si producono gli altri processi biologici necessari. Questo esperimento mostra anche come nel cuore umano sia presente un continuo, seppur poco pronunciato, turnover dei cardiomiociti, dato che si oppone a ciò che attualmente la comunità scientifica pensa al riguardo. A questo proposito, un altro interessante articolo scientifico del 2009 (Evidence for Cardiomyocyte Renewal in Humans, Bergmann et al.) porta una prova consistente di questo turnover, perciò ad esso dedicherò il prossimo paragrafo.
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Nei cuori umani è presente un continuo turnover di cardiomiociti In questo studio è stata sfruttata la concentrazione relativamente abbondante e piuttosto stabile di 14C (isotopo radioattivo del carbonio) nell’atmosfera durante la Guerra Fredda per stabilire la percentuale di nuovi cardiomiociti formatisi in quegli anni nei cuori di diverse persone di varia età. Ciò è stato possibile dal momento che il 14C che si disperse a quel tempo nell’atmosfera a causa delle esplosioni nucleari (al tempo furono testate molte bombe atomiche) reagì con l’ossigeno dell’aria per dare 14CO2, il quale venne incorporato dalle piante tramite la fotosintesi, e quindi dagli uomini, che si cibavano direttamente o indirettamente di questi vegetali. Il 14C è stato dunque incorporato anche nel DNA delle cellule umane, e quindi anche nei nuovi cardiomiociti che si sono formati in quel periodo nelle persone vissute allora, testimoniando con la sua presenza in tali cellule la capacità della popolazione dei cardiomiociti umani di rinnovarsi (in quanto un cardiomiocita, per contenere 14C in alto rapporto rispetto al 12C normalmente presente nel suo DNA, deve essersi formato durante il periodo nel quale tale isotopo del carbonio era presente in quella determinata abbondanza nell’atmosfera, visto che il materiale genetico di una cellula non viene più rinnovato a seguito della sua ultima duplicazione). Innanzitutto si è proceduto a datare campioni di cellule provenienti dal miocardio del ventricolo sinistro (quindi sono stati presi in considerazione altri tipi cellulari oltre ai cardiomiociti) attraverso l’estrazione del DNA dalle cellule e la determinazione della quantità di 14C contenuto attraverso la spettrometria di massa con acceleratore (tecnica che consente, a differenza degli altri tipi di spettrometria di massa, di separare tramite un’altissima accelerazione del campione un isotopo raro da quelli molto più abbondanti, per poi procedere all’analisi del campione potendo misurare in che quantità tale isotopo è presente). L’età delle cellule può essere dedotta con buona precisione ricercando in che periodo era presente nell’atmosfera lo stesso rapporto di 14C e 12C misurato nel campione. Tale rapporto negli individui nati attorno o dopo il periodo dei test di bombe nucleari corrisponde a quello presente nell’atmosfera diversi anni dopo la nascita di tali individui, indicando che almeno alcune delle cellule presenti nel campione sono frutto di una proliferazione posteriore alla nascita del soggetto. In tutti i casi studiati di individui nati fino a 22 anni prima dell’inizio dei test nucleari, la concentrazione di 14C nel campione era maggiore di quella misurabile nell’atmosfera nel periodo che precede tali test, e ciò indica chiaramente che ci sono cellule nel cuore umano che si rinnovano anche in età adulta. Si è voluta poi ottenere una datazione riguardante unicamente i cardiomiociti, e si è perciò proceduto a separare questi dagli altri tipi cellulari dopo averli identificati utilizzando degli anticorpi contro specifici marcatori dei nuclei dei cardiomiociti (le troponine cardiache T e I, proteine parte del complesso troponina, presente specialmente nel tessuto muscolare e fondamentale per la contrazione muscolare). Analizzando i campioni così ottenuti allo stesso modo dei campioni precedenti, si è potuto osservare anche in questo caso che il rapporto misurato in tali campioni fra i due diversi isotopi del carbonio corrisponde a quello presente nell’atmosfera diversi anni dopo la nascita dell’individuo da cui sono stati prelevati i cardiomiociti, indicando che anch’essi si rinnovano dopo la nascita. Tali valori sono stati corretti dove necessario considerando che durante l’infanzia ci può essere stata un’incorporazione di 14C dovuta alla poliploidizzazione del DNA dei cardiomiociti (legata all’ipertrofia, cioè alla crescita del volume delle cellule, che accompagna la crescita del cuore in quella fase), ed anche dopo tale correzione la datazione indica che almeno alcuni cardiomiociti sono stati in grado di duplicarsi in età adulta.
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Questi ultimi dati, riferiti ai cardiomiociti prelevati da individui nati sia prima che dopo l’inizio dei test nucleari e corretti per eliminare l’influenza della poliploidizzazione che avviene nella fase infantile, sono stati modellizzati matematicamente per ottenere una descrizione approssimativa della percentuale con la quale avviene annualmente il turnover dei cardiomiociti nei cuori umani a dipendenza dell’età dell’individuo. Il risultato, illustrato nella figura 10, è un grafico che mostra come tale percentuale passi da un 1% all’età di 20 anni, a uno 0,3% circa all’età di 75, descrivendo un turnover che non permette di rinnovare la totalità dei cardiomiociti nemmeno una volta lungo l’arco di tutta una vita.
Figura 10 - Percentuale di turnover annuale dei cardiomiociti (Bergmann et al. 2009)
Tali dati indicano una capacità sostanzialmente inferiore dei cardiomiociti di rinnovarsi rispetto a quella risultante per le altre cellule che formano il miocardio. Allo stesso tempo essi smentiscono chi, visti i risultati di esperimenti di altro tipo, asseriva che la capacità di turnover dei cardiomiociti era tale da permettere il loro totale rinnovamento ogni 5 anni (conclusione alla quale si poteva giungere osservando i risultati, in particolare quelli relativi ai campioni di controllo, dell’esperimento che ho riportato in precedenza riguardante i cardiomiociti in proliferazione nei cuori umani infartuati). Si tratta comunque di un’importante prova della capacità dei cardiomiociti di rinnovarsi, che modifica il modo in cui dobbiamo concepire l’organo cardiaco. Tale capacità, così come viene espressa, non è sufficiente da consentire la rigenerazione del cuore nel caso esso venga danneggiato, ma lascia sperare in nuove terapie che, potenziandola, potrebbero cambiare le cose in questo senso.
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Conclusione In questo LAM, attraverso lo studio di diversi articoli scientifici, ho avuto modo di analizzare i meccanismi biologici che si attivano nel pesce zebra (e in parte anche nell’uomo) in risposta ad un danneggiamento del tessuto muscolare cardiaco, nonché di indagare la presenza di un naturale ricambio dei cardiomiociti nel cuore umano, con lo scopo di comprendere se il nostro organo cardiaco è in grado di rinnovarsi. Ho inoltre potuto osservare quali sono le modifiche fenotipiche che i cardiomiociti di ratto incontrano quando coltivati in vitro o ex vivo, studiando un esperimento ideato per comprendere se processi analoghi a quelli osservabili nel pesce zebra possono avvenire anche nei mammiferi, il quale ha fornito indizi preziosi anche per lo studio della situazione nell’uomo, sul quale lo stesso esperimento non può essere svolto. Comparando tali studi ho potuto innanzitutto individuare un’analogia fra la risposta del pesce zebra all’asportazione di parte del ventricolo, nella quale la rigenerazione della parte asportata avviene tramite dedifferenziamento e seguente proliferazione dei cardiomiociti, i quali poi si ri-‐differenziano nei diversi tipi cellulari necessari alla ricostruzione del tessuto, e il percorso intrapreso dai cardiomiociti di ratto coltivati in vitro, i quali pure si dedifferenziano, proliferano e sembrano poi ri-‐differenziarsi quando si raggruppano in sfere, visto che esprimono nuovamente marcatori di cardiomiociti maturi (e non solo, in alcuni casi si è osservata la presenza di marcatori delle cellule endoteliali). Tale interessante somiglianza fra questi due processi potrebbe essere interpretata ipotizzando l’esistenza di una “parentela” fra tali fenomeni, e cioè sostenendo che derivino entrambi dal fatto che un antenato comune delle due specie possedeva una capacità simile, che si è poi conservata con l’evoluzione e si è sviluppata in modo diverso nei due organismi, ma non si manifesta comunque nel modo più efficace nel ratto, che di fatto non riesce a sfruttarla per rigenerare il tessuto muscolare cardiaco quando questo viene danneggiato. Ovviamente questa può essere al massimo un’ipotesi, in quanto nessun dato ci assicura che tali fenomeni (uno dei quali è osservabile solamente in situazioni artificiali) non si siano sviluppati indipendentemente. Tuttavia, nel caso in futuro la si scoprisse fondata, potrebbe dare ragione di pensare che anche nell’uomo si sia conservata qualche capacità rigenerativa nascosta che aspetta soltanto di essere individuata ed attivata con i giusti condizionamenti. L’osservazione di tale interessante parallelismo mi ha portato ad interrogarmi sulle capacità dei cardiomiociti umani, e sono quindi passato all’analisi di due studi che cercavano di capire se essi fossero in grado di moltiplicarsi, sia a seguito di un infarto che in condizioni normali. I risultati sono stati anche qui interessanti, infatti nei cuori umani infartuati sono stati osservati un buon numero di cardiomiociti che svolgevano la mitosi (lo 0,08% o lo 0,025%, a dipendenza della regione del ventricolo), mentre per quanto riguarda il calcolo del turnover dei cardiomiociti che avviene nel cuore umano, è stato possibile stabilire che in individui di 20 anni la percentuale di turnover annuale si aggira attorno all’1%, e che tale valore scende all’aumentare dell’età. Tali risultati contrastano con ciò che per lunghissimo tempo la comunità scientifica ha sostenuto, e cioè che il cuore fosse un organo statico incapace di rinnovare le proprie cellule, e per questo sono molto significativi, anche se indicano che le capacità effettive dei cardiomiociti umani sono comunque limitate. Essi fanno sperare in nuove terapie che potrebbero potenziare tali capacità ed implementarle in maniera da curare alcune gravi patologie cardiache, ma prima di arrivare a questo saranno certamente necessari molti altri studi. Posso concludere affermando che gli studi sul pesce zebra si sono rivelati utili anche per stimolare la ricerca a compiere nuovi studi sull’uomo in tale campo, i quali hanno portato a una migliore comprensione dei fenomeni che riguardano il nostro cuore e quindi a gettare nuove basi per un ulteriore sviluppo delle terapie mediche applicate a tale organo.
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Appendice – Tecniche di laboratorio In questa appendice si trovano le descrizioni di alcune tecniche di laboratorio citate nel testo. Ho preferito spostare tali descrizioni in fondo al lavoro per rendere più agevole la lettura. Per alcune di esse si trovano diversi riferimenti all’interno del testo, ma solo la prima volta è presente in nota il rimando a questa appendice.
1 -‐ Bromodeossiuridina come marcatore delle cellule che svolgono la mitosi La bromodeossiuridina è un nucleoside sintetico analogo alla timidina, che può sostituire quest’ultima nel DNA di una qualsiasi cellula nel momento in cui questa svolge la sintesi di nuovo DNA, marcando quindi le cellule in mitosi. Tali cellule possono poi essere individuate con tecniche di immunofluorescenza (cioè utilizzando anticorpi specifici che legano la BrdU e vengono resi visibili al microscopio grazie a sistemi di rivelazione enzimatici o fluorescenti).
2 -‐ Microarray È formato da un supporto sul quale vengono disposti in modo ordinato, come in una griglia, diversi brevi segmenti conosciuti di DNA, fissati in maniera che in ogni posizione della griglia si trovi unicamente, in molteplici copie, un dato segmento conosciuto. Una volta preparata questa griglia, la quale potrebbe ad esempio contenere i frammenti di tutto il genoma di un dato organismo, è possibile studiare l’espressione genica in una cellula di quell’organismo isolandone l’RNA, ottenendone i corrispondenti filamenti di DNA complementare (cDNA) utilizzando l’enzima trascrittasi inversa e dei nucleotidi marcati con coloranti fluorescenti, e lasciando infine che questi segmenti di cDNA possano ibridarsi con i corrispettivi segmenti di DNA contenuti nella griglia, andando quindi ad illuminare le celle contenenti i geni espressi nella cellula che si è voluta studiare.
3 -‐ Reverse transcriptase-‐polymerase chain reaction (RT-‐PCR) Tale tecnica aggiunge alla normale reazione a catena della polimerasi (PCR), che permette di amplificare una molecola di DNA ottenendone moltissime copie, un processo precedente che consente di ottenere la molecola di DNA di partenza (o meglio un singolo filamento detto cDNA) da una molecola di RNA utilizzando l’enzima trascrittasi inversa. Con tale tecnica è perciò possibile ottenere moltissime copie di DNA a partire da un segmento di RNA.
4 -‐ Ibridazione in situ L’ibridazione permette di determinare la presenza di specifiche sequenze di DNA o RNA attraverso l’appaiamento con un segmento di acido nucleico di sequenza complementare a quella che si vuole individuare (o ad una simile), che a sua volta è marcato in maniera da essere facilmente individuabile (per esempio tramite coloranti fluorescenti). La locuzione in situ si riferisce invece al fatto che tale tecnica viene applicata là dove si trova l’acido nucleico che vogliamo analizzare, senza rimuoverlo dalla sua posizione originale, così da poterne studiare l’espressione nelle cellule (se si trova l’mRNA, il gene è espresso).
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Bibliografia e sitografia
Articoli scientifici e libri Articoli scientifici: Beltrami, Antonio P., Konrad Urbanek, Jan Kajstura, Shao-‐Min Yan, Nicoletta Finato, Rossana Bussani, Bernardo Nadal-‐Ginard, Furio Silvestri, Annarosa Leri, C. Alberto Beltrami, and Piero Anversa. 2001. Evidence that human cardiac myocytes divide after myocardial infarction. New England Journal of Medicine 344, no. 23 (June): 1750-‐1757. Bergmann, Olaf, Ratan D. Bhardwaj, Samuel Bernard, Sofia Zdunek, Fanie Barnabé-‐Heider, Stuart Walsh, Joel Zupicich, Kanar Alkass, Bruce A. Buchholz, Henrik Druid, Stefan Jovinge, and Jonas Frisén. 2009. Evidence for cardiomyocyte renewal in humans. Science 324, no. 5923 (April): 98-‐102. Chablais, Fabian, and Anna Jaźwińska. 2012. Induction of Myocardial Infarction in Adult Zebrafish Using Cryoinjury. Journal of Visualized Experiments (62): e3666. Choi, Wen-‐Yee, and Kenneth D. Poss. 2012. Cardiac Regeneration. Current Topics in Developmental Biology 100:319-‐344. Jopling, Chris, Eduard Sleep, Marina Raya, Mercè Martí, Angel Raya, and Juan Carlos Izpisúa Belmonte. 2010. Zebrafish heart regeneration occurs by cardiomyocyte dedifferentiation and proliferation. Nature 468, no. 7288 (March): 606–609. Lien, Ching-‐Ling, Michael Schebesta, Shinji Makino, Gerhard J Weber, and Mark T Keating. 2006. Gene Expression Analysis of Zebrafish Heart Regeneration. PLoS Biology 4(8): e260. Poss, Kenneth D., Lindsay G. Wilson, Mark T. Keating. 2002. Heart Regeneration in Zebrafish. Science 338, no. 6103 (October): 101-‐105. Zhang, Yiqiang, Tao-‐Sheng Li, Shuo-‐Tsan Lee, Kolja A. Wawrowsky, Ke Cheng, Giselle Galang, Konstantinos Malliaras, M. Roselle Abraham, Charles Wang, and Eduardo Marbán. 2010. Dedifferentiation and Proliferation of Mammalian Cardiomyocytes. PLoS One 5(9): e12559. Libri: Curtis, Helena, and N. Sue Barnes. 2009. Invito alla biologia. Bologna: Zanichelli.
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