167
La flora e la fauna
La distribuzione e l'evoluzione della flora e della fauna sono indubbiamente influenzate
dalle condizioni climatiche. In particolar modo questo è vero per le specie vegetali, che sono
condizionate principalmente dalle temperature e dalle precipitazioni, ma anche alcuni
comportamenti animali, come i fenomeni migratori ed il letargo, sono da ricollegarsi agli stessi
parametri climatici.
Certo gli animali possono sfuggire ad un ambiente diventato troppo sfavorevole grazie alla
loro mobilità, ma come possono le piante vivere laddove le condizioni appaiano estremamente
sfavorevoli, ad esempio in alta montagna, dove il manto nevoso rimane al suolo per molto
tempo e il vento soffia ad alte velocità?
Spesso le strategie di sopravvivenza dei vegetali nei confronti degli agenti climatici si
traducono in adattamenti morfologici che ne permettono lo sviluppo anche in condizioni non
troppo favorevoli: tornando al nostro esempio, in alta montagna alcune piante assumono
spesso portamenti prostrati o striscianti per evitare di essere danneggiate dai venti e riducono il
periodo vegetativo a brevi periodi durante la stagione più calda. Così facendo riescono a
sfruttare degli spazi vitali dove il rischio di concorrenza da parte di altre specie è molto ridotto,
proprio per le condizioni climatiche avverse.
Ogni specie vegetale infatti si è adattata ad un certo habitat, determinato sia da fattori
climatici che pedologici. Anzi, il legame tra la vegetazione ed il clima è così stretto da
permettere una classificazione del territorio da un punto di vista climatico basandosi sul tipo di
formazioni vegetali presenti.
6.1 La genesi degli ecosistemi
Nel pleistocene superiore (120.000-10.000 anni da oggi) i quadri faunistici della penisola
italiana si erano ormai definiti, pur comprendendo, oltre a tutte le specie attuali, anche altre per
le quali nel frattempo si è verificata l’estinzione.(Masseti, 2002).
Una delle cause principali che hanno portato all’estinzione di molte specie prima presenti è
rappresentata soprattutto dagli incisivi cambiamenti climatici, che non hanno permesso
l’adattamento di molte di esse.
Le variazioni climatiche connesse alle alternanze di periodi glaciali e periodi interglaciali,
verificatesi nel Pleistocene, hanno avuto forti influenze sulla flora e sulla fauna; queste
variazioni hanno prodotto, infatti, un continuo slittamento dei biomi da Nord verso Sud e
viceversa. Molti animali, in conseguenza di tale alternanza, si sono estinti mentre altri si sono
spostati per raggiungere luoghi più adatti al loro sviluppo. Tra gli esempi più rappresentativi si
può citare la presenza delle renne e l’estensione della tundra fino alle rive del Mediterraneo, nei
168
periodi glaciali più freddi e, viceversa, la presenza del daino e la formazione della macchia
mediterranea in Danimarca, nei periodi interglaciali più caldi.
Inoltre, lo scioglimento o la formazione dei ghiacciai, durante ogni fase climatica, liberava o
imprigionava una grande quantità di acqua provocando rispettivamente un innalzamento
oppure un abbassamento del livello marino. Tale alternanza di trasgressioni e di regressioni
marine cambiava ogni volta la paleogeografia del Mediterraneo, facendo variare la linea di
costa e, quindi, l’estensione delle masse continentali ed insulari. Per questo stesso motivo,
durante i periodi glaciali, la macchia mediterranea costiera della Penisola poteva risultare
collegata con quella delle isole, mentre, durante gli interglaciali, queste ultime erano più piccole
e lontane dal continente. Molti animali poterono colonizzare le isole ed espandersi lungo la
macchia costiera italiana durante le regressioni marine approfittando dei ponti di terraferma che
emergevano in corrispondenza di fondali più bassi (G. Carpaneto, 2002).
Testimonianze relative alla fauna del Quaternario sono state recuperate nelle grotte e nei
depositi continentali lacustri. Da questi ultimi, assai diffusi in Toscana, sono stati recuperati
resti di numerosi mammiferi (proboscidati, cervi, rinoceronti, carnivori, ecc.), che hanno
consentito di definire una stratigrafia locale assai importante nelle ricostruzioni degli antichi
ambienti.
I grandi carnivori della fauna paleartica popolavano le foreste della parte settentrionale
della regione ancora nel XVIII secolo. A testimonianza di ciò si può citare l’affresco di
Bernardino Poccetti presente nella Grotta Grande nel Giardino di Boboli a Firenze, risalente al
1758, raffigurante in effetti, un Orso bruno (Ursus arctos). Il ritiro di gran parte dei ghiacciai,
causato dalla variazione del clima, provocò la scomparsa di questa specie da molte zone.
6.2 Vegetazione in Toscana
La Regione Toscana, oggi come ieri, appare ricca di foreste. Che lo fosse un tempo appare
evidente facendo riferimento alle opere del passato: lo stesso Dante Alighieri definisce il luogo
in cui ha inizio il suo viaggio ultramondano “selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier
rinnova la paura” riferendosi alle foreste che all’epoca ricoprivano le vaste aree collinari e
montane interne o del litorale toscano. E la conoscenza di quali specie fossero presenti è
ricavabile tramite i vecchi diari di viaggio, i dipinti, gli erbari, gli oggetti in legno realizzati dagli
artigiani del passato. Ma quanti sono i boschi oggi esistenti e da che specie sono formati?
Lo strumento che permette di conoscere l’estensione e la composizione della vegetazione
attuale è l’ Inventario Forestale: quello Toscano riporta una superficie boschiva di oltre un
milione di ettari (1.086.016 ha), pari al 47% dell’estensione territoriale della Regione,
includendo anche formazioni non prettamente forestali come i cespuglieti, la macchia
mediterranea e altre categorie.
169
Nella tabella seguente viene riportata la superficie forestale ripartita per categorie (Tab. 1),
in figura, invece, l’utilizzo del suolo (espresso in percentuale) per provincia.
Tabella 1- Superficie forestale totale della Regione Toscana ripartita per categorie
inventariali e per destinazione d'uso. (Superfici in ettari)
Regione Toscana Destinazione d'uso
conservativo - naturalistica protettiva produttiva totale
Boschi 5.984 82.672 646.528 735.184 Boschetti 6.528 0 0 6.528 Castagneti da frutto
0 1.872 30.464 32.336
Macchia mediterranea
41.728 1.584 67.12 110.432
Formazioni riparie 17.392 0 0 17.392
Aree in rinnovazione
32 5.136 107.152 112.32
Cespuglieti 5.696 0 0 5.696 Arbusteti 57.568 0 0 57.568 Gariga di ambiente mediterraneo
4.24 0 0 4.24
Aree transitoriamente prive di vegetazione
0 4.24 0 4.24
Aree danneggiate da inquinamento
0 80 0 80
Totale generale 139.168 95.584 851.264 1.086.016
170
In generale, per
l’inventario forestale
il termine bosco è
associato a
superfici più estese
di 0,5 ettari che
all’atto della
rilevazione erano
coperte da piante
arboree di altezza
media superiore a 5
metri. La
ripartizione dei
boschi in Toscana è
relativamente disforme, i maggiori
coefficienti di boscosità si trovano,
naturalmente, nelle province con maggior
estensione di territorio montano come Lucca
(51%) e Massa Carrara (56%); le province,
invece, che presentano valori percentuali più
bassi risultano Pisa e Grosseto,
rispettivamente con il 20% e il 19% di
territorio boscato (Figura 1) (L’inventario
Forestale, Regione Toscana, 1998).
Il 38% della superficie forestale è
occupata da boschi con prevalenza di specie
caducifoglie come Cerro (Quercus cerris) e
Roverella (Quercus pubescens) dei quali il
90% nelle province di Grosseto, Siena,
Arezzo e Firenze, dimostrando una distribuzione molto correlata agli ambienti
collinari (Figura 3).
Ad altitudini più elevate, invece, la specie più rappresentativa è il Castagno (Castanea
sativa) consociato ad altre specie come il Carpino nero (Ostrya carpinifolia) e la Robinia
(Robinia pseudoacacia).
Figura 1: Carta complessiva delle aree boscate della regione Toscana. Ogni punto di color verde rappresenta un quadrato di 400 m di lato pari a 16 ha (160000 m2 ). Nella carta i punti sono in scala. Fonte: Regione Toscana
Figura 2: Fonte ISTAT- Percentuale di utilizzo del suolo per provincia
171
I boschi di fisionomia montana coprono il
15% della superficie forestale (Tabella 2) e le
specie più rappresentative sono:
• Faggio (Fagus sylvatica),
maggiormente presente
sull’Appennino, specialmente
sulla catena del Pratomagno in
provincia di Firenze
• Abete bianco (Abies alba),
particolarmente presente nella
foresta di Vallombrosa e a
Campolino, nel comune di
Abetone
• Pino nero (Pinus laricio)
Tabella 2: Superfici Forestali (in migliaia di ettari) di fisionomia montana ripartite per provincia (I.F.N.)
Provincia Faggio Abete bianco e
Douglasia Pino nero
Firenze 19.6 3.9 5.0
Arezzo 13.6 4.3 7.1
Lucca 14.5 0.8 1.4
Pistoia 11.9 2.8 0.8
Massa Carrara 9.2 0.6 0.9
Prato 3.3 0.8 0.3
Altre 3.2 0.7 5.0
Figura 3: Distribuzione dei boschi di sclerofille sempreverdi mediterranee e dei boschi di latifoglie decidue. In rosso i boschi a dominanza di specie sempreverdi, in verde quelli a dominanza di specie decidue. Fonte: Regione Toscana -sezione Boschi e Foreste-.
172
Particolare importanza risiede nella vegetazione mediterranea che, da sola, occupa 22%
della superficie forestale.
Nella vegetazione mediterranea si possono distinguere due categorie fisionomiche:
• latifoglie sempreverdi, comprendente i boschi di Leccio, la macchia mediterranea e
la gariga
• conifere mediterranee
La vegetazione di latifoglie sempreverdi si trova essenzialmente (per l’85%) in 4 province:
Pisa, Livorno, Siena e Grosseto (Tabella 3). Il fatto che le province a Nord dell’Arno non siano
interessate da questo tipo di vegetazione è da ricercare sia nell’elevato livello di trasformazione
agricola ed edilizia della Versilia e della Lunigiana, sia nel clima più piovoso che permette così
la discesa delle latifoglie decidue.
Tabella 3: Superfici Forestali di fisionomia mediterranea ripartite per provincia (I.F.N.)
Provincia Ettari (in migliaia) Grosseto 69.1 Livorno 36.7 Siena 29.9 Pisa 29.1
Firenze 4.3 Altre 5.9
0
5
10
15
20
25
Firenze Arezzo Lucca Pistoia MassaCarrara
Prato Altre
Mig
liaia
di e
ttari
Faggio Abete bianco e Douglasia Pino nero
173
La conservazione della vegetazione di tipo mediterraneo in Toscana rispetto ad altre zone
in cui è presente sia in Italia (Sardegna) che in Europa (Spagna), è dovuta principalmente al
tipo di clima meno arido, al tipo di geomorfologia meno aspra e montuosa, a motivi storici e
sociali.
Le conifere mediterranee comprendono le seguenti specie: Pino marittimo (Pinus pinaster),
Pino domestico (Pinus pinea), Pino d’Aleppo (Pinus Halepensis)
La superficie in ettari coperta da queste specie è la seguente (Tabella 4)
Tabella 4: Superficie Forestale occupata da pini mediterranei (I.F.N.)
Specie Ettari (in migliaia)
Pino marittimo 41.984
Pino domestico 13.856
Pino d’Aleppo 2.464
TOTALE 58.304
Superfici forestali di fisionomia mediterranea ripartite per provincia (I. F. N.)
01020304050607080
Grosseto Livorno Siena Pisa Firenze Altre
Mig
liaia
di e
ttari
174
Superficie Forestale occupata da pini mediterranei (I.F.N.)
05
1015202530354045
Pino marittimo Pino domestico Pino d’Aleppo
Mig
liaia
di e
ttari
La maggior parte delle pinete
mediterranee si trova in provincia di
Pisa (23%), seguono poi Firenze (15%),
Lucca, Grosseto e Siena, tutte con il
12%.
L’influenza climatica e la tipologia di
suolo che si incontrano passando dal
litorale tirrenico ai crinali dell'Appennino
determinano un ricco panorama di
associazioni vegetali diverse. Una tra le
formazioni più caratteristiche è
rappresentata, come già accennato in precedenza, dalle colline del Chianti (Figura 4 e 5), nelle
quali vengono coltivate le tradizionali colture quali la vite, l’olivo.
Tipici soprattutto delle province di Firenze e Prato sono i boschi di Cipresso (Cupressus
sempervirens), introdotto dall’Oriente dai Romani, sulla base di chiare conoscenze sulle
possibilità di acclimatazione della specie, oggi adoperato per lo più per il rimboschimento dei
colli calcarei.
Grazie a questa ricca varietà di paesaggi, la Toscana ha ospitato grandi scienziati
naturalisti come il senese Pier Andrea Mattioli, vissuto nel ‘500, che usava raffigurare piante e
Figura 4: Panorama del Chianti. (Foto di C.Vagnoli)
Figura 5: panorama del Chianti (Foto:G.Brandani)
175
animali nelle sue illustrazioni; il fondatore della biologia sperimentale Francesco Redi, che nel
XVII secolo dette avvio a questa importante disciplina; Giovanni Targioni Tozzetti, esperto
ricercatore settecentesco che indagò sulle bellezze naturali della regione; Felice Fontana che,
nel 1775, fondò il Museo della Specola a Firenze.
A tanta varietà di ambienti (foreste, laghetti, torrenti, stagni costieri, lagune, spiagge, coste
rocciose, colline, piane fluviali, ecc.) corrisponde una altrettanto ricca varietà di forme di vita. Lo
sviluppo economico e sociale, verificatosi in Italia negli ultimi 50 anni, ha causato profonde
trasformazioni del settore sia agricolo che forestale. La concentrazione dell'agricoltura nelle
zone più fertili ed il continuo e progressivo abbandono di quelle più povere, in particolar modo
dei territori di montagna, hanno modificato in breve tempo l'intero paesaggio della nostra
penisola (Casanova, Cellini, Razzanelli, 1990).
6.3 Aree fitoclimatiche
Diverse sono le classificazioni climatiche ad oggi a disposizione: per l’inquadramento dei
tipi di clima italiani, utilizzando come riferimento i diversi tipi di vegetazione ad essi connessi,
viene normalmente impiegata la classificazione fitoclimatica del Pavari (1916). Tale
classificazione si basa su alcuni caratteri termici (temperatura media annua, temperatura media
del mese più freddo, temperatura media del mese più caldo, media delle temperature massime
estreme, media delle temperature minime estreme) e pluviometrici (precipitazioni annue,
precipitazioni del periodo estivo, umidità atmosferica relativa media); in questo modo si può
suddividere l’intero globo in aree con caratteri climatici assimilabili e quindi confrontare tra loro
aree fitoclimatiche italiane e di altri Paesi. Ciò consente, ad esempio, di stabilire se una pianta
alloctona (non indigena) può essere piantata in una zona italiana; in generale questo è
possibile naturalmente solo se le fasce fitoclimatiche sono simili.
Poiché questa suddivisione tiene conto del clima, la variazione è sia in senso altitudinale
che latitudinale, pertanto si potrà avere, ad esempio, la stessa zona fitoclimatica nell’alta
montagna dell’Appennino centrale e nella bassa collina delle Alpi austriache.
Ogni fascia altitudinale viene definita “zona”. Esistono 5 zone così denominate, dal basso
verso l’alto: Lauretum, Castanetum, Fagetum (descritte in seguito), Picetum, Alpinetum. I nomi
attribuiti alle zone sono tratti dalla specie che caratterizza la zona stessa. Di seguito si riportano
in tabella le principali caratteristiche della suddetta classificazione:
176
Zona Temperatura media annua
(°C) Zona
geografica
Limite inferiore (m s.l.m.)
Limite superiore (m s.l.m.)
Specie più rappresentativa
LAURETUM
1° tipo: pioggie uniformi
sottozona calda 15° a 23° 0 600 - 800
Alloro, olivo, leccio, pino
domestico, pino marittimo, cipresso.
2° tipo: con siccità estiva
sottozona media 14° a 18°
3° tipo: con piogge estive
sottozona fredda 12° a 17°
Italia centro - meridionale
CASTANETUM
sottozona calda
1° tipo (senza siccità estiva
600 - 800 1000 - 1300 Castagno, rovere, roverella, farnia,
cerro, pioppo
2° tipo (con
siccità estiva)
10° a 15° Italia centro -meridionale
1° tipo (piogge > 700 mm)
sottozona fredda 2° tipo
(piogge < 700 mm)
10° a 15° Italia settentrionale 0 800 - 900
FAGETUM
Sottozona calda 7° a 12° Italia centro -
meridionale 1000 – 1300 2000
Faggio, pioppo tremulo, pioppo bianco,pino nero
Sottozona fredda 6° a 12° Italia
settentrionale 800 - 900 1000 - 1300
PICETUM
Sottozona calda 3° a 6° 1000 –
1300 2000
Abete rosso, larice, pino
cembro, pino silvestre
Sottozona fredda 3° a 6°
Italia settentrionale
ALPINETUM
Anche < 2°C Italia settentrionale 2000 Limite della
vegetazione
Larice, pino cembro, pino
mugo, rododendro
Sugli Appennini la fascia fitoclimatica del Fagetum rappresenta il limite superiore della
vegetazione arborea. Sulle Alpi, invece, sono presenti altre due zone oltre il Fagetum: il
Picetum e l’Alpinetum, caratterizzate ambedue da un clima molto rigido, nelle quali la
177
temperatura rappresenta il fattore limitante, l’umidità è elevata e il manto nevoso permane al
suolo per molto tempo.
Dalla classificazione del Pavari se ne sviluppa una ulteriore, quella di De Philippis (1937),
che ha lo scopo di identificare i fattori che determinano la distribuzione geografica delle specie
e delle formazioni vegetali evidenziando, oltre al clima, l’importanza dei fattori storici (variazioni
del clima e della flora sia nel lungo che nel breve periodo) ritenendoli fondamentali
nell’interpretazione di eventuali anomalie nella distribuzione geografica (Piussi, 2004).
6.4 Aree fitoclimatiche della Toscana
Qui di seguito viene riportata la mappa della Toscana secondo la classificazione di Pavari
in base all’altitudine.
Il territorio della Toscana è caratterizzato da una grande varietà di ambienti, dai paesaggi
alpini delle Apuane, alle montagne dell’Appennino, alle coste rocciose e spiagge sabbiose.
Nonostante sia una regione prevalentemente collinare e caratterizzata da importanti
tradizioni agricole, vanta una elevata superficie coperta da boschi e vegetazione arbustiva
tanto da farla annoverare una fra le regioni più boscose d’Italia.
Assomma, infatti, sia specie tipiche dell'aree montana e alpina, che specie spiccatamente
mediterranee, dando luogo ad un panorama naturale assai vario. Nella regione, a suo tempo
Figura 6: Mappa della Toscana secondo la classificazione del Pavari. E’ stata considerata solo l’altitudine
178
definita il "granaio dell'Etruria", l'agricoltura ha sempre avuto una grande importanza. Tipici
della regione sono i vigneti (il Chianti e i suoi vini sono famosi in tutto il mondo) e gli oliveti, che
danno olio di alta qualità.
Figura 7: Colline di Greve in Chianti (Foto: G. Brandani)
Figura 8: uliveto (Monti della Calvana)
Foto di C.Vagnoli
Figura 9: Vigneti - Greve in Chianti (Fi)
Foto di G. Brandani
179
6.5 Vegetazione della zona costiera: la macchia mediterranea
La vegetazione predominante lungo la costa
toscana, dalla Versilia al grossetano, e le isole è quella
della macchia mediterranea. Si tratta di una formazione
vegetale in cui prevalgono arbusti, alberi di piccola e
media grandezza con specie che si adattano bene alla
siccità (specie xerofile) e alle alte temperature (specie
termofile). Secondo la classificazione fitoclimatica
precedentemente descritta, queste zone prendono il
nome da una pianta, l’alloro (foto), caratterizzando la
fascia del cosiddetto Lauretum.
Tra le specie più rappresentative si trovano il
Lentisco (Pistacia lentiscus), Corbezzolo (Arbutus
unedo), rosmarino (Rosmarinus officinalis) , ginepri
(Juniperus ssp.), olivastri (Oleastro ssp.); frequenti anche
Ginestra (Spartium junceum), Oleandro (Nerium
oleander) (foto), eriche (Erica ssp.), Agrifoglio (Ilex
aquifolium), Fillirea (Phillyrea angustifolia), Mirto (Myrtus
communis) e Alaterno (Rhamnus alaternus).
Figura 10: alloro (Foto:C.Vagnoli)
Figura 11: Fillirea (Foto:R.Magno) Figura 12: Lentisco (Foto: C. Vagnoli)
180
Oltre alle specie arbustive, ci sono le specie arboree quali: il Leccio (Quercus ilex); la
Sughera (Quercus suber), nell’area dell’oasi di Orbetello se ne possono ammirare magnifici
esemplari; il Pino domestico (Pinus pinea) e il Pino d’Aleppo (Pinus halepensis), quest’ultimo
particolarmente resistente alle alte temperature, all’ aridità e al vento.
La macchia ricopre aree estese della Maremma, delle Colline Metallifere, le propaggini del
Monte Amiata e le isole dell'Arcipelago Toscano.
6.6 Fauna della zona costiera Parte della macchia sempreverde è il risultato interventi diretti o indiretti dell’uomo sugli
ambienti della fascia costiera, attraverso l’incendio, il taglio e il pascolo, vedendo, inoltre,
l’introduzione di molte specie animali alloctone come il coniglio selvatico, il daino, il cinghiale e
la lepre.
La fauna che caratterizza la macchia mediterranea è povera di elementi esclusivi, cioè di
specie animali che vivono unicamente al suo interno. La spiegazione risiede probabilmente nel
fatto che, durante l’ultima glaciazione, la vegetazione costiera si era ridotta solamente a piccoli
Figura 13: Pino domestico (foto: C.Vagnoli)
Secondo Bernetti (1994) queste elencate sono le specie sclerofille della flora
italiana:
Quercus ilex, Phillyrea angustifolia, Pistacia lentisco, Quercus suber , Rhamnus
alaternus, Olea europea var. sylvestris, Quercus coccifera , Ceratonia siliqua, Myrtus
communis, Arbutus unedo, Smilax aspera, Phillyrea latifoglia
181
lembi isolati che si trovavano,
ovviamente, nelle zone più calde della
penisola e delle isole. Per tale motivo
non è stata possibile la conservazione
di popolazioni vitali di animali,
soprattutto i vertebrati terrestri, ma
anche molti insetti che necessitano di
risorse trofiche abbondanti e distribuite
su vasti territori.
Nonostante la scarsa quantità di
frutti commestibili, la fruttificazione
autunnale di alcune specie come il
mirto, il corbezzolo, il ginepro e la fillirea, garantisce
sostanza trofica disponibile per gli animali presenti, non
solo grandi mammiferi, ma anche molti uccelli che
trovano, all’interno della macchia, condizioni climatiche
idonee per svernare e trascorrere la stagione invernale
cibandosi dei numerosi insetti presenti anche in
inverno. Inoltre la densa copertura sempreverde
garantisce una protezione visiva nei confronti dei
predatori. Alcuni esempi sono le cinciarelle,
cinciallegre, codibugnoli, pettirossi, ecc.
Si potrebbe perciò affermare che il bosco
sempreverde, le zone ecotonali, i coltivi ed infine la
macchia, costituiscono un unico grande ecosistema
caratterizzato da un’elevata diversità biologica.
Figura 14: Leprotto (Foto: C.Vagnoli)
Figura 15: corbezzolo con frutti non del tutto
maturi (Foto:C.Vagnoli)
182
6.7 Flora delle aree collinari
Salendo di quota si incontra una tipologia di
vegetazione che contraddistingue invece le zone
più interne, collinari, ma sempre caratterizzate da
un clima temperato. Le specie più comuni sono
rappresentate dalle querce decidue e le due
specie prevalenti sono Cerro (Quercus cerris) e
Roverella (Quercus pubescens) consociate ad
aceri e carpini.
Figura 16: querceti in collina (Foto di L.
Massetti)
Figura 17: Cerro in Val di Sieve (foto: C.Vagnoli)
183
Le colline sono, per la maggior parte, caratterizzate da estesi appezzamenti di vigneti,
terrazzati e non, e oliveti. Ove possibile l’uomo ha cercato di impiantare queste colture per il
loro pregio economico. La vocazione vitivinicola delle colline Toscane ha fatto sì che
nascessero dei veri e propri itinerari, “Le strade del vino", lungo le quali si trovano cantine di
aziende agricole, agriturismi e attrattive paesaggistiche, culturali e storiche, altamente
organizzati per il turismo.
La vegetazione collinare, oltre che offrire un bellissimo paesaggio ricco di colture agrarie, è
rappresentata, come già accennato, da boschi di querce caducifoglie, formazioni che
maggiormente incidono sul paesaggio collinare toscano, in particolare nelle province di
Grosseto, Siena, Arezzo e Firenze. Tali querceti, quasi esclusivamente cedui1, sono
nettamente dominati dal Cerro e dalla Roverella, ma presentano in mescolanza anche altre
specie tipiche di queste altitudini tra cui l’Orniello, Carpino nero e bianco, l’Acero campestre, il
Pino marittimo, il Corbezzolo, ecc.
Cerro e Roverella partecipano al paesaggio toscano anche con boschetti che rivelano l’uso
delle querce caducifoglie anche come piante dei campi dove vengono disposte a gruppi, a filari
o a singole piante.
Altra tipica specie molto presente e quasi divenuta un simbolo per la Toscana è il cipresso,
presente dal litorale tirrenico alle zone collinari interne. Il cipresso nell’immaginario popolare è
un albero legato ai
cimiteri; per tale motivo è
stato da sempre
considerato sacro ma allo
steso tempo lugubre. In
Toscana questo
significato è stato perso
ed il cipresso è diventato
un elemento distintivo del
paesaggio per gli indubbi
effetti ornamentali nella
decorazione di viali,
colline e ville private.
1 Il bosco ceduo, e cioè a rinnovazione agamica tramite polloni, era una forma di governo molto apprezzata perché permetteva utilizzazioni frequenti e remunerative, dalle quali si ritraevano assortimenti molto utili quali la paleria ed il combustibile per il riscaldamento domestico e per l’industria. Inoltre, soprattutto il ceduo di querce, era utilizzato per il pascolo ovino e suino data l’appetibilità delle ghiande per gli animali.
Figura 18: viale di cipressi (foto:C.Vagnoli)
184
6.8 Fauna delle aree collinari La fauna selvatica presente nei boschi annovera specie come il cinghiale, che lascia un po’
ovunque il segno della sua presenza rappresentato in maggior parte dagli insogli e dai segni
sui tronchi degli alberi ai quali amano grattarsi. Numerosi anche caprioli, volpi, tassi ed istrici.
La fauna ha inoltre da sempre rivestito un’importanza rilevante per l’alimentazione. La
cacciagione comprendeva infatti starne, lepri, fagiani, cervi, cinghiale e caprioli, ed ancora,
tordi, merli, passerotti, beccafichi,
fringuelli ed allodole.
Il ghiro è stato cacciato per scopi
alimentari, infatti uno dei nomi inglesi
di questa specie è "Edible dormous",
letteralmente "dormiglione
commestibile".
Gli uccelletti allo spiedo,
intercalati con pane, salvia, alloro e
lardo di maiale, divennero un piatto
assai frequente anche sulle tavole
dei borghesi ed entrarono a pieno
titolo nel quadro della cultura gastronomica italiana grazie anche all’opera di Pellegrino Artusi
(“Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” pubblicata per la prima volta nel 1891 e tutt’oggi
ristampata).
Presenti anche rapaci diurni come Poiana e Biancone, oltre che numerosi passeriformi
che si odono nel bosco come capinera, sterpazzola, pettirosso, cinciarella e picchio verde.
Figura 19: beccafico (foto: David Nowell; fonte EBN Italia)
185
6.9 Le Zone Umide
Le zone umide odierne derivano dalle numerose aree paludose esistenti in passato (Figura
20) .
L’uomo ha sempre cercato di intervenire modificando questi ambienti per renderli sempre
più adatti al suo insediamento, apportando modifiche all’assetto naturale, sempre
garantendone la continuità. Grandi opere di ingegneria idraulica e regimazione delle acque
stagnanti furono ultimate già ai tempi degli Etruschi ed ampliate in seguito dai Romani.
Successivamente, per tutto il Medioevo, queste zone rappresentarono importanti vie di
comunicazione, i canali erano infatti navigabili e fonti di numerose attività redditizie come la
caccia e la pesca. In seguito, le opere di vera e propria bonifica sono state riprese, in modo
decisivo, dai Medici e, soprattutto, i Lorena.
Dopo gli interventi realizzati dai Medici si vennero a formare dei grandi appezzamenti
terrieri che dettero origine al sistema delle “Fattorie” (ne sono esempi il Padule di Fucecchio e
la Val di Chiana).
I Lorena intrapresero, invece, molte opere di bonifica vera e propria col fine di creare non
solo ampi spazi atti all’agricoltura, ma anche infrastrutture insediative che portarono alla
crescita economica e sociale di quel territorio. (Dal sito delle Zone Umide della Toscana).
Figura 20: dal sito delle Zone Umide Toscane Aree di colore celeste: Area del mare e delle acque interne del Pleistocene inferiore. Aree di colore verde: Ricostruzione delle aree paludose ottenuta sulla base della carta geografica del Granducato di Toscana dell'Ing. Ferdinando Morozzi del 1784 (fondo Lorena - Archivio Generale di Stato di Praga. Aree a righe rosse e bianche: Attuali Aree Umide.
186
Oggi come allora queste zone sono caratterizzate da un microclima particolare che ne
definisce la distribuzione sia vegetale che animale. Oltre ai parametri climatici ci sono da
considerare anche il grado di salinità dell'acqua e del terreno circostante, l’allagamento
temporaneo delle aree marginali in determinati periodi e la profondità delle acque.
Gli organismi che vivono nelle zone umide sono molto vulnerabili e risentono dei minimi
cambiamenti dell’habitat proprio perché hanno sviluppato una specializzazione tale da rendere
possibile la colonizzazione di ogni angolo dell’ambiente acquatico, capaci però di sviluppare le
proprie funzioni vitali solo in quella determinata posizione del biotopo palustre.
Le zone umide attuali sono state censite dal Centro Ornitologico Toscano essendo la
Toscana una delle regioni più ricche di aree
idonee alla sosta di uccelli acquatici. Tali
aree sono visualizzate in nella mappa
(Figura 21):
I siti censiti sono aree palustri, laghi,
fiumi e canali, bonifiche, tratti costieri poco
profondi, bacini artificiali e cave.
Il grado di copertura ottenuto è stato
reso possibile grazie alla collaborazione di
diverse decine di rilevatori ed all'aiuto ed al
sostegno fornito da Amministrazioni Locali,
Parchi e Riserve, Enti gestori ed
Associazioni Ambientaliste.
Riguardo alla flora, una specie che fino
a qualche decennio fa era presente in
Toscana è la Calta (Caltha palustris subsp.
Cornuta), una pianta perenne che si trovava
lungo le sponde dei corsi d’acqua, acquitrini
e stagni. Essa rappresenta un relitto
microtermico spintosi nelle zone di pianura durante le glaciazioni e che attualmente è, almeno
in Toscana, da considerarsi estinta. Altra specie presente fino al XIX secolo è il Trifoglio
d'acqua comune (Marsilea quadrifolia) pianta anch’essa estinta.
Una delle specie ancora presenti, ma in regressione, è la Felce florida (Osmunda regalis),
considerata un relitto termoigrofilo terziario, adatta ad un clima temperato-caldo, ben diverso da
quello attuale.
Gli ambienti delle zone umide sono caratterizzate da un elevato grado di biodiversità.
Figura 21: Zone umide della Toscana Fonte: C. O. T. Centro Ornitologico Toscano
187
Le tipologie di vegetazione più comuni in queste zone sono rappresentate da fragmiteti
(canneti), lamineti (piante con foglie galleggianti come le ninfee), prati umidi, sfagnete, cariceti
e boschi idrofili. Tutte queste tipologie di vegetazione comprendono, naturalmente, un elevato
numero di specie.
Tra la fauna presente numerose specie ornitiche, prevalentemente migratorie come le
specie di palmipedi e trampolieri che in autunno e primavera sostano in queste zone in cui
trovano l’alimentazione giusta per continuare il viaggio migratorio verso le zone di nidificazione
o di svernamento.
Figura 22: Golene del Tevere (Ar) Foto L. Massetti
188
Altri uccelli, migratori e non, che si trovano
numerosi, sono il Germano reale , la Gallinella
d’acqua, il Cavaliere d’Italia , la Folaga, il
Tuffetto, l’Airone cenerino, la Garzetta, la
Nitticora e molti altri. Riguardo agli aironi,
numerose erano in passato le “garzaie” (nome
dato ai siti di riproduzione occupati da
numerose colonie di aironi) presenti sul
territorio toscano.
Le garzaie attualmente presenti in Toscana
sono 14, ubicate in aree differenti per
caratteristiche ecologiche, tipo di utilizzo del
territorio da parte dell’uomo e grado di tutela. Si
tratta di siti frequentati per la nidificazione sia da una sola specie, sia da più specie
contemporaneamente (C. Scoccianti, R. Tinarelli, 1999). Dati relativi a studi effettuati da
Battaglia & Sacchetti (in Tellini Florenzano et al., 1997) sulla popolazione nidificante di
Nitticora, risulta un progressivo aumento
della presenza di questa specie negli
anni dal 1982 al 1995. In Toscana inoltre
la Nitticora appare la specie presente col
maggior numero di coppie nidificanti e,
dopo la Garzetta, quella presente nel
maggior numero di siti coloniali.
Le zone umide svolgono un
importante ruolo non solo per l’avifauna
acquatica, ma anche per l’esistenza dei
mammiferi, che specialmente durante i
lunghi periodi di siccità possono reperire
in esse il necessario per sopravvivere.
Legata specialmente agli ambienti fluviali
è la nutria o castorino, un animale da pelliccia originario del Sudamerica che, fuggito da
allevamenti artificiali, ha trovato nelle zone umide un ambiente idoneo alla sua sopravvivenza.
Figura 23: Germano reale
(Foto di L. Pini Università di Firenze)
Figura 24: Cavaliere d'Italia (Foto C.Vagnoli)
189
6.10 Flora e fauna della fascia appenninica e apuana
Le regioni appenniniche, localizzate lungo la dorsale che cinge la Toscana da sud-est a
nord-ovest e protetta dai venti freddi invernali provenienti dal continente asiatico e dal nord
Europa, costituiscono la parte montana della Regione Toscana, caratterizzata da vette e valli
che assumono una propria conformazione in funzione dei litotipi presenti e dei fiumi che
regolano il deflusso delle acque lungo il territorio.
I rilievi, con vette che spesso raggiungono i 1000 metri, divengono mano a mano più acclivi
e duri nei profili muovendosi verso le Alpi Apuane per effetto del substrato roccioso che diviene
in prevalenza calcareo-marnoso e quindi dotato di una maggiore resistenza all’azione erosiva
degli agenti atmosferici.
L’Appennino è caratterizzato da un’elevata varietà di paesaggi, sia per quanto attiene la
morfologia, piuttosto variabile, che per quanto riguarda il tipo di assetto colturale.
Il paesaggio ha subito, negli anni, molte modificazioni da parte dell’uomo, in seguito a
coltivazioni produttive. Le tracce dei passati utilizzi sono visibili e rappresentati da frequenti
arbusteti che ricolonizzano le superfici abbandonate dall’agricoltura e dalla pastorizia.
Garzaie: descrizione del Savi presente nel suo trattato Ornitologia Toscana (1827-31): “(...) sono socievoli, perciò emigrano in truppe, in compagnia vanno a pascolare, ed i nidi loro
veggonsi a centinaia riuniti nei medesimi luoghi. Son questi siti di difficile accesso, ove
supposero che la loro prole godrebbe tranquillità e sicurezza. Trovansene in varie parti
d’Europa, e diversi, anche molto cospicui, sono in Italia, ove han nome di Garzaje. Nella parte
orientale del vasto padule di Castiglion della Pescaja, non molto lontano dal chiaro della
Meloria, sonovi de’ boschetti di Tamarici, e Salci, che essendo da tutte le parti circondati da
foltissime Cannelle, vegetanti in una fanghiglia molle, profonda, e coperta di poca acqua, non
si può giungere ad essi con i barchetti, e solo vi si può penetrare camminando con gran fatica,
ed anche pericolo, in quell’acqua motosa, ingombra di radiche, e tronchi caduti. In questi
boschetti resi quasi inaccessibili all’uomo, non tanto dalla natura del suolo, quanto per l’aria
pestifera che vi regna in estate, un immenso numero d’Uccelli acquatici vi si propaga. Anatre,
Folaghe, Sciabiche, Gallinelle, ec. han stabilito il loro covo fra l’erbe ed i paglioni, alla
superficie dell’acqua: ma il numero più grande di que’ nidi è d’aironi, e Marangoni, che
riempono tutti i rami, le biforcature de’ fusti, la sommità delle ceppe. …”.
190
Nonostante questo conserva comprensori forestali di notevole valore naturalistico e boschi
con elevato grado di naturalità, basti ricordare la foresta di Vallombrosa, la Riserva Naturale
Integrale di Sasso Fratino e la Foresta di Campolino nel Comune di Abetone, nella quale Abete
rosso (Picea abies) e Abete bianco (Abies alba) (entrambi di sicuro indigenato) formano con il
Faggio (Fagus sylvatica) un bosco misto dalla struttura quasi prossima a quella di una foresta
Figura 25: Coltivo abbandonato (Foto: C. Vagnoli)
Figura 26: foresta di Vallombrosa (Foto P. Grassoni)
191
primaria.
Oltre alle abetine sono state introdotte anche altre specie frugali di resinose quali il Pino
laricio (Pinus nigra subsp. Laricio) e il Pino nero austriaco (Pinus nigra subsp. nigra),
impiantate sui terreni più poveri al posto delle latifoglie preesistenti.
Le fasce altitudinali che si succedono sono due:
• Castanetum (da 450 m s. l. m. a 900 m s. l. m.) e
• Fagetum (da 900 m s. l. m. a 1450 m s. l. m.).
Castanetum: dal nome della pianta che vi trova l’optimum ambientale per svilupparsi e
riprodursi, il Castagno (Castanea sativa) . Fascia altitudinale caratterizzata da scarsa siccità
estiva e temperature più favorevoli alla produzione di legname.
Oltre al Castagno, nelle esposizioni più soleggiate, si ritrovano cedui misti di latifoglie
caratterizzati da una notevole mescolanza di specie.
Figura 27: Castagno (Foto di L. Massetti)
192
Fagetum: dal nome della specie che
vi trova l’optimum ambientale per
svilupparsi e riprodursi, il Faggio (Fagus
sylvatica). Sugli Appennini rappresenta il
limite superiore della vegetazione
arborea.
Le zone che si trovano all’interno di
questa fascia altitudinale sono
caratterizzate da abbondanti piogge,
assenza di siccità estiva ed elevata
umidità atmosferica; il fattore limitante è
rappresentato dalle basse temperature rappresentando così un limite alla crescita di alcune
specie. In questa zona, pertanto, vegetano specie mesofile e igrofile come appunto il Faggio,
alcune querce e l’Abete bianco. Quest’ultimo vive anche in piccoli gruppi spontanei in alcuni
luoghi, come al Passo del Cerreto e in Val d’Ozola (versante emiliano), a testimoniare la
maggiore espansione che questa conifera ebbe nel passato, quando il clima le era più
favorevole e l’uomo non era ancora intervenuto con lo sfruttamento del suo ricercato legname.
Le faggete delle zone più prossime ai crinali hanno una funzione prevalentemente
protettiva date le sue caratteristiche di maggiore stabilità, rispetto ad altre specie, soprattutto
nei confronti dei venti, che spirano con particolare frequenza e intensità. Tali boschi, governati
a ceduo, accusano per lo più sofferenze acute dovute ad eventi climatici occasionali come le
gelate fuori stagione o come le annate molto siccitose, o ancora, il fenomeno della galaverna ,
particolarmente insidioso per il verificarsi. In generale, le zone in cui la
galaverna si verifica con maggiore frequenza sono le zone appenniniche ed alpine, in cui le
nubi basse fungono da serbatoio di umidità, in cui molto spesso si possono trovare giornate
nebbiose con temperatura inferiore allo zero. Un’evoluzione del clima, con una ulteriore
riduzione dell’innevamento, potrebbe
portare a fenomeni di ritiro della
specie.
Al di sotto dei 1.300 m, si trovano
specie tipiche quali l’Acero montano
(Acer pseudoplatanus), l’Acero riccio
(Acer platanoides), il Tiglio (Tilia
platyphyllos), l’Olmo montano (Ulmus
glabra) ed il Frassino maggiore
(Fraxinus excelsior).
Figura 28: foglie di Faggio (Foto:L. Massetti)
Figura 29: Galaverna su Rosa canina ( Foto:Francesco Ferreri; Fonte: www.bellappennino.net)
193
Alle quote inferiori ai 1.000 metri predominano i querceti con Cerro, molti dei quali sono
stati trasformati in castagneti da frutto, coltivati in parte ancora oggi.
La posizione del tratto di Appennino riparato dalle Alpi Apuane e dalle miti correnti
tirreniche, è esposto ai freddi venti continentali (nel versante emiliano) tali da creare condizioni
climatiche molto particolari, vicine a quelle alpine, che si riflettono sulla flora e sulla fauna delle
quote più alte (tratto dal portale della provincia di Massa-Carrara).
Al di sopra dei 1.700 metri di quota vegetano la brughiera e la prateria. Dalla brughiera a
mirtilli emerge sporadicamente il Sorbo alpino (Sorbus chamaemespilus), alberello poco più
alto di un metro, molto raro in Appennino. Sempre in quota, spesso nelle zone più fredde dove
la neve rimane per lungo tempo, il pascolo ripetuto nel tempo ha trasformato la brughiera in
nardeto, un’interessante prateria bassa composta principalmente dal nardo (Nardus stricta),
graminacea poco gradita alle pecore e ben adattabile anche a condizioni estreme. Sugli
ambienti di cresta battuti dai venti, si sviluppa un altro tipo di prateria tipicamente montana.
Questa volta la specie dominante non è una graminacea ma il piccolo Giunco delle creste
(Juncus trifidus), piantina filiforme alta appena una decina di centimetri, proprio per meglio
resistere alla forza dei venti.
La flora e, in minor misura, la fauna, comprendono numerosi “relitti glaciali”, specie che
hanno colonizzato l’Appennino settentrionale durante le glaciazioni e sono sopravvissute, dopo
la scomparsa dei ghiacci, solo nelle località più fredde dell’Appennino, come testimoni isolati
del clima passato. Un esempio è la Rana temporaria, anfibio distribuito principalmente nell’arco
alpino ed in alcune località appenniniche e presente nei ruscelli che scorrono nelle foreste di
Faggio e Abete bianco sopra i 1000 m di quota.
Le aree ancora coltivate e pascolate e gli arbusteti ospitano alcune delle pochissime
coppie di Zigolo giallo (Emberiza citrinella) ancora nidificanti in Toscana ed altri uccelli non
comuni quali l’Averla piccola (Lanius collurio), il Saltimpalo (Saxicola torquata) e lo Zigolo
muciatto (Emberiza cia).
I mirtilli costituiscono un cibo prelibato per
Arvicola delle nevi (Chionomys nivalis), giunta
nell’Appennino durante l’ultima glaciazione.
Tra i piccoli passeriformi si ricordano
l’Allodola (Alauda arvensis) e lo Spioncello
(Anthus spinoletta); ad essi si associa lo Stiaccino
(Saxicola rubetra), specie tipicamente alpina,
molto rara in Appennino.
Nei mesi primaverili ed estivi, i passeriformi
trovano risorse trofiche, come insetti e semi, nelle
le praterie di crinale ad erba bassa.
Figura 30: Zigolo giallo (Foto:E. Critelli
fonte:EBN Italia)
194
Tra i rapaci diurni, l’Aquila reale (Aquila chrysaetos), il Gheppio (Falco tinnunculus), la
Poiana (Buteo buteo) e, talvolta, il Falco pellegrino
(Falco peregrinus). Questi rapaci usano le praterie
come territori di caccia, preferendo per la
nidificazione luoghi più riparati e a quote più basse.
L’Aquila reale, in particolare, è presente con
diverse coppie nidificanti.
Tra i mammiferi, le due più comuni specie dì
ungulati oggi presenti su tutto l’arco appenninico,
anche se in modo discontinuo, sono: Capriolo
(Capreolus capreolus, 1758) (Foto) e Cinghiale
(Sus scrofa, 1758).
Entrambi hanno avuto
una fase di espansione
territoriale ed un
notevole incremento
numerico, dovuto allo
spopolamento delle
campagne, alla minore
utilizzazione delle
superfici boschive e alla
diminuita concorrenza
pabulare da parte del
bestiame domestico
allevato allo stato brado
(Casanova, Capaccioli,
Cellini, 1993).
Sui rilievi appenninici si possono segnalare specie autoctone come capriolo e cervo, quasi
estinti dal bracconaggio, oggi reintrodotti e numericamente elevati, tali da porre grossi problemi
per la rinnovazione naturale delle foreste e per i rimboschimenti. Altre introduzioni, a scopi
venatori hanno riguardato specie non autoctone sono il daino, il cinghiale ed il muflone.
Le foreste di querce e quelle di faggio sono popolate da cinghiali, caprioli e cervi che
frequentano le radure erbose e arbustive per alimentarsi, salendo di quota nei mesi più caldi.
Tra le specie più significative presenti è di estremo interesse la presenza del lupo. Lungo la
dorsale appenninica occupa solitamente un habitat compreso tra gli 800 e i 1.600 m s.l.m. in
Figura 31: Allodola
(Foto:Gabriella Motta Fonte:EBN Italia)
Figura 32: Poiana
(Foto: A. Battaglia fonte:EBN Italia)
195
cui prevalgono faggete e praterie. Oggi questo mammifero è presente in modo stabile grazie
alla protezione ed alla nuova disponibilità di prede, fra cui caprioli, cervi e mufloni.
Le praterie di alta quota sono infine l’ambiente favorito
dalla marmotta, introdotta alcuni decenni fa ed oggi preda
elettiva dell’Aquila reale. (Dal sito della Provincia di Massa
Carrara)
Altri mammiferi che valgono la pena di ricordare sono: il
gatto selvatico, relativamente frequente nelle formazioni
boschive, la Lontra (Lutra lutra), quasi estinta e soppiantata
dal castorino (Nutria) e numerose popolazioni di Lepre
(Lepus europaeus), Volpe (Vulpes vulpes) e Tasso (Meles
meles).
Nella parte nord ovest della regione si trovano le Alpi
Apuane: breve catena montuosa paragonata alle Prealpi
per il suo aspetto aspro e per le vette elevate.
Nel corso dell’evoluzione geologica si sono verificate molte mutazioni, come sommersioni e
riemersioni, che hanno dato un relativa complessità a queste zone.
Le condizioni di vita estremamente selettive, i particolari microclimi, le differenze esistenti
nel tipo di terreno, l’esposizione dei versanti ai venti marini e, non ultimo, l'intervento dell'uomo,
hanno reso gli ambienti delle Apuane assai vari, favorendo lo sviluppo di specie endemiche,
presenti cioè soltanto sulle Alpi Apuane, come il Fiordaliso del Borla (Centaurea montis-borlae)
e la Globularia delle Apuane (Globularia incanescens).
Le risorse di legname non sono state sfruttate molto nel corso della storia dalle popolazioni
locali e proprio per tale motivo in alcune zone la vegetazione è fitta e incontaminata.
La flora delle Apuane è rappresentata da boschi di querce, Carpino nero, faggi d'alta quota
e secolari Castagni da frutto (che un tempo fornivano agli abitanti delle montagne uno degli
alimenti principali del loro sostentamento) e dalle specie tipiche della Macchia Mediterranea.
Figura 33: Volpe (Foto:L. Massetti)
196
La particolare varietà di microclimi delle Apuane ha inoltre permesso ad un certo numero di
piante di diversificarsi dalle specie originarie. Nei prati di vetta si trovano primule, genziane,
crochi mentre più a valle felci, ciclamini, roseti, narcisi, orchidee, gigli ed altri fiori.
Al contrario di quanto avviene per la flora, la fauna apuana non sembra presentare
caratteristiche tali da conferirle un significato particolare. Più che dalla presenza di specificità
locali, o comunque particolarmente rare, l'interesse deriva dalla tipologia delle associazioni
animali presenti. Funzione sia della peculiare evoluzione dell'ambiente apuano sia delle
caratteristiche attuali dell'habitat naturale.
La fauna si compone, per quanto riguarda i volatili, principalmente da: Rondine montana
(Hirundo rupestris), Picchio rosso minore (Picoides minor), Picchio muraiolo (Tichodroma
muraria), Gheppio (falco tinnunculus), Falco pellegrino (Falco peregrinus), Gracchio alpino
(Pyrrhocorax graculus), Gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax) e Aquila reale (Aquila
Chrysaetos).
Figura 34: fioritura di crocus sulle Apuane(foto:F.Berretti)
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Ricca la presenza di specie anfibie,
tra le quali: la Salamandrina dagli occhiali,
il Tritone alpestre apuano, la Salamandra
pezzata, il Geotritone italico. Tra i
mammiferi troviamo: lo scoiattolo, la
martora, la donnola, la faina, la lontra, la
puzzola, la volpe, il ghiro, il capriolo e il
cervo.
6.11 Avifauna Le popolazioni ornitiche variano a seconda del tipo di associazioni vegetali presenti sul
territorio e, naturalmente se si tratta di migratori, a seconda della stagione considerata.
In inverno, la macchia mediterranea offre cibo e rifugio a molte specie di uccelli come ad
esempio, nei mesi più rigidi, a gruppi numerosi di passeriformi quali cinciallegre, cinciarelle,
codibugnoli e pettirossi, frequentatori della fascia inferiore della vegetazione.
Le colline, grazie alla vicinanza con il mare ed alla loro estesa copertura vegetale,
rivestono un ruolo importante per l'avifauna in migrazione, basti ricordare, ad esempio, la
Beccaccia (Scolopax rusticola),
legata all’ambiente boschivo e
che si rinviene, in Toscana,
solamente durante la stagione
autunno-invernale.
Tra gli uccelli, di passo o
stanziali, si annoverano anche
molti passeriformi appartenenti a
varie specie di Hirundinidae
come Rondine , Balestruccio e
Topino, ed ancora Tordi
(bottaccio e sassello), Cesena,
Fringuello, Verzellino,
Cardellino, Verdone, ecc.
Figura 35: Scoiattolo (Foto L. Massetti)
Figura 36: Rondine che porta il cibo ai nidiacei. Parco dell’Uccellina
(Foto: G. Brandani)
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La scomparsa e l'estrema rarefazione di ambienti boschivi determinano la distruzione di
habitat preziosi per lo sviluppo di molte specie di animali, da ricerche effettuate (Comune di
Livorno) risulta, ad esempio, una diminuzione di diverse specie di Strigiformi, rapaci notturni
(Gufo, Barbagianni, Allocco, Assiolo), che un tempo facevano echeggiare in forre e valli i loro
tenebrosi richiami e che, data la loro massiccia presenza, dettero il nome alla “Valle delle
Stregonie”.
La decadenza numerica di tali specie risiede nello sfruttamento elevato del bosco, soggetto
per decenni al taglio e agli incendi, che non è più in grado di offrire idonei spazi per la
riproduzione. Il decremento di queste specie ha portato ad uno squilibrio trofico negli
ecosistemi tanto da portare all’incremento di specie come ratti, topi campagnoli ed altri piccoli
roditori.