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L aprima auto di serie con motore elettrico e benzina.Una rivoluzione, una svolta epocale, questa è Prius. Un’auto che,grazie al suo straordinario sistema ad energia combinata, segnal’inizio di una nuova era così come è stato un tempo per la macchinaa vapore e il motore a scoppio. Prius è un condensato di soluzionitecnologicamente all’avanguardia che racchiude in se tutta la filosofiacostruttiva Toyota: conciliare in un rapporto armonico macchina,uomo e ambiente.

La rivoluzione.Si chiama Hybrid Synergy Drive ed è il rivoluzionario sistema conmotore elettrico e benzina che combina perfettamente una tecnologiapulita e il piacere di stare al volante. Prius ha due anime: Un sofisticatomotore elettrico da 68 CV a emissioni zero, con batterie che siautoricaricano, ed un efficiente propulsore 1.5 a benzina da 78 CV.I due motori lavorano in sinergia per fornire le migliori prestazioni ei consumi più bassi, garantendo sempre il minimo impatto ambientalesenza però cambiare le normali abitudini di guida. Prius è un’esperienzaunica, che rende attuale il futuro, anticipando soluzioni che un giornodiventeranno standard de l set tore automobi l is t ico.

Le performance.Prius è rivoluzionaria, ha grandi dimensioni con molto spazio perpersone e bagagli e, allo stesso tempo, prestazioni straordinarie: da0 a 100 km/h in meno di 11 secondi e consumi più bassi di moltecity car. Prius concilia un grande rispetto per l’ambiente grazie aemissioni incredibilmente basse, con il massimo comfort. Prius èsemplice da guidare come un’auto tradizionale e non richiede nessuncambiamento.

La tecnologia.Prius presenta al suo interno tecnologie di derivazione aerospazialecome il sistema “Drive by Wire” che sostituisce i tradizionali sistemimeccanici e idraulici per l’azionamento dei dispositivi con un piùleggero ed efficiente sistema elettronico. Questa tecnologia assicuraun funzionamento rapido ed efficace del sistema di frenata, delcambio automatico, dell’accelleratore, del servosterzo e delcondizionatore. Inoltre garantisce l’intervento combinato dei dispositividi sicurezza: ABS con EBD, VSC+ e TRC.

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LUGLIO-AGOSTO 2004

EDITORIALE

A R I M I N V M5

SOMMARIO

Hanno collaboratoAlessandro Caprio, Adriano Cecchini,

Michela Cesarini, Federico Compatangelo (foto),

Gerardo Filiberto Dasi, Lara Fabbri, Angela Fontemaggi, Pier Giorgio Franchini, Marco Gennari, Ivo Gigli,

Alessandro Giovanardi, Silvana Giugli, Aldo Magnani, Arturo Menghi Sartorio, Arnaldo Pedrazzi,

Orietta Piolanti, Enzo Pirroni, Luigi Prioli (foto), Romano Ricciotti, Maria Antonietta Ricotti Sorrentino,

Rinaldo Ripa, Gaetano Rossi, Emiliana Stella, Emilia Maria Urbinati, Guido Zangheri

Direzione e SegreteriaVia Destra del Porto, 61/B - 47900 Rimini

Tel. 0541 52374 - E-mail: [email protected](Redazione: Park Hotel)

EditoreTipolitografia GarattoniAmministratore

Giampiero GarattoniRegistrazione

Tribunale di Rimini n. 12 del 16/6/1994Collaborazione

La collaborazione ad Ariminum è a titolo gratuito

Bimestrale di storia, arte e cultura della provincia di RiminiFondato dal Rotary Club Rimini

Anno XI - N. 4 (61) Luglio-Agosto 2004DIRETTOREManlio Masini

DiffusioneQuesto numero di Ariminumè stato stampato in 7.000 copie

e distribuito gratuitamente ai soci del Rotary, della Round Table, del Rotaract, dell’Inner Wheel, del Soroptimist, del Ladies Circle della Romagna

e di San Marino e ad un ampio ventaglio di categorie di professionisti della provincia di Rimini

Per il pubblicoAriminumè reperibile gratuitamente

presso il Museo Comunale di Rimini (Via Tonini) e la Libreria Luisè (Corso d’Augusto, 76, Antico palazzo Ferrari, ora Carli, Rimini)

PubblicitàPromozione & Comunicazione

Tel. 0541.28234 - Fax 0541.28555Stampa

Tipolitografia Garattoni, Via A. Grandi, 25,Viserba di RiminiTel. 0541.732112 - Fax 0541.732259

FotocomposizioneMagiComp - Tel. 0541.678872 Villa Verucchio

E-mail: [email protected] copertina: Fabio Rispoli

LA FRASE E LA BANDIERAQuando gli strascichi della polemica sugli italiani sequestrati in Iraq e liberati

dalle forze speciali americane con un fulmineo quanto oscuroblitz si saranno esauriti,mi auguro che riusciremo a trovare la serenità necessaria per riflettere su due episodiche hanno contrassegnato quella triste vicenda: la frase pronunciata da FabrizioQuattrocchi ai suoi carcerieri prima di essere ucciso con un colpo di pistola alla nuca -“Ora vi faccio vedere come muore un italiano”- e il tricolore abbracciato con rispetto-sa devozione per 56 giorni da Angelo Stefio, padre di uno degli ostaggi.

Due fatti anomali, che non avremmo mai immaginato che potessero accadere.Abituati come siamo a pensare ad un’Italia piagnona e calcolatrice, sempre pronta amutare casacca e a vendersi al migliore offerente, imbrigliata in una gabbia di risenti-menti dove ballonzolano litigiosi figuranti della politica in perenne crisi di nervi… ebbe-ne, abituati a tutto questo, perché è solo questo che trasuda quotidianamente dal nostroBelpaese, siamo rimasti veramente sorpresi da quei due “incidenti” di percorso.Abbiamo scoperto che esiste anche un’altra Italia, composta, coerente e obbediente, che-guarda caso- non è antiitaliana, anzi ha fiducia nello Stato e nelle sue istituzioni, al dilà delle diverse sfumature ideologiche di chi le rappresenta, e che al momento opportu-no è capace anche di stringere i denti e di accettare con dignità sacrifici e rinunce.

Un’Italia silenziosa e laboriosa, che prega e non impreca e che non ha niente ache fare con l’altra, sbracata e sfaccendata dei grandi fratellio delle piccole veline;un’Italia che non ha privilegi da difendere, ma solo ideali da sbandierare a volto sco-perto e a testa alta, saldamente radicata alla sua Storia e alla sua Cultura e per di piùcon un forte senso di appartenenza, che la ricollega a quanti hanno operato per la suaUnità e per la sua Libertà. Un’Italia forse démodé, senza dubbio inattuale, d’accordo,ma capace ancora di scaldare i cuori e di farci sentire orgogliosi di essere italiani,anche se non si vincono gli Europei della pedata.

M. M.

IN COPERTINA“La spiaggia e i suoi colori”di Federico Compatangelo

EVENTOLa XXV Edizione del Meeting

6-7ARTE

Il San Giovannino di Guido CagnacciGli affreschi della chiesa di San NicolòCuriosando tra le chiese del riminese

Novecento riminese / Addo CupiMeditazioni di Ivo Gigli

Graziano Lelli / Ugo Nespolo8-15

PRIMO PIANOAlberto Marvelli

16-19PAGINE DI STORIA

L’eccidio di Cefalonia20-23

TRA CRONACA E STORIARiminesi nella bufera / Giovanni

RavegnaniRiminesi contro / Decio MercantiNoterelle riminesi dell’Ottocento

24-32ROSA

La casa delle donne33

OSSERVATORIONel ricordo di Mons. Giovanni Locatelli

34-35STORIA E STORIE

Il passator cortese36-37

POLVERE DI STELLE“Era una mattina gelida”

39PERSONAGGILodovico Vincini

40-41MUSICA

Angelo Bartoli, tenore42-43

MUSEIIl Museo della pace di Trarivi

44TEATRO DIALETTALE

Hermanos47

ROTARY NEWSDi tutto un po’

48-52

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l nostro progresso nonconsiste nel presumere di

essere di arrivati, ma nel tende-re continuamente alla meta”. Iltitolo del 25° Meeting, checoincide con i 50 anni dallanascita di Comunione eLiberazione, sarà al centro del-l’intervento del Patriarca diVenezia S. Em. Angelo Scolavenerdì 27 agosto. La presun-zione di essere arrivato con-danna l’uomo a un immobili-smo soddisfatto, mentre la cer-tezza di una meta raggiungibi-le, ma di cui non è padrone, lorende capace di amicizia conchiunque condivide la suaricerca e la sua curiosità, anchese è diverso da lui.La suggestione del titolo è par-ticolarmente adatta per festeg-giare un’edizione significativacome la 25ª, che avrà ancheun’inaugurazione del tutto spe-ciale, in collaborazione con lacollana di musica classica“Spirto Gentil” diretta da LuigiGiussani. Saranno due inter-preti d’eccezione, JoséCarreras e Franco Branciaroli,i protagonisti de “La notadominante”, il concerto che“riproporrà i brani più signifi-cativi attraverso i quali è stataaccompagnata in questi anni lanostra educazione”, secondo leparole del presidente delMeeting Emilia Guarnieri. Ilgrande tenore di Barcellonainterpreterà “Una furtiva lagri-ma” da “L’elisir d’amore” e“Spirto Gentil” da “La favori-ta” di Gaetano Donizetti, unbrano di Giuseppe Verdi,“Brindisi”, e la “Dolenteimmagine” di VincenzoBellini. Non mancherà la gran-de canzone napoletana, moltoamata da Carreras: a partire da“Na sera ‘e maggio”,“Passione” e “Torna aSurriento”. Lo spettacolo pre-

dio alle nostre miserie”.Presenta la mostra, tra gli altri,l’Abate di Hauterive, MauroGiuseppe Lepori.S’ispira ai temi del progresso edell’attesa anche “Passeggiandosu un raggio di luna”, la mostradi Russia Cristiana dedicata aMichail Bulgakov, uno dei piùgrandi scrittori russi delNovecento. Di solito considera-to estraneo alla tradizione reli-giosa, ne è invece profonda-mente affascinato, comedimostrano le sue opere e lasua drammatica biografia.Progresso e innovazione nonpossono essere disgiunte daun’educazione della persona.Questo uno dei temi dellamostra “...E l’Italia uscì dallacrisi. Innovazione, tecnologia esviluppo”, a cura dellaFondazione per la Sussidiarietàdella Compagnia delle Opere.Storie di idee innovative e dicreatività nel tessuto delleimprese medio-piccole italiane.Le immagini più suggestive diquesti 25 anni scorreranno suun muro video di 12 metri per6. “25 anni di Meeting. Unastoria di stra-ordinaria comuni-cazione”, è il titolo della videomostra curata da Carlo Cabassie Fiorenzo Tagliabue, che saràallestita nella hall centraleall’ingresso della Fiera. I gran-di eventi, gli incontri, i perso-naggi, il teatro, il cinema, lamusica che hanno dato vita alMeeting, saranno intrecciati aigrandi eventi della storia diquesti anni. Infine, i volti deivolontari che hanno costruitoquest’opera. Di un altro anni-versario, i 50 anni della musicarock, ci parla “Good rockin’tonight!”, la rassegna di testimusicali, foto, dischi originali,che ripercorre le tappe piùintense di un genere musicale

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EVENTO

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LA XXV EDIZIONE DEL MEETING PER L’AMICIZIA FRA I POPOLI

CULTURA, ARTE, STORIA E… INCONTRILE GRANDI MOSTRE NEI PADIGLIONI DELLA NUOVA FIERA

Alessandro Caprio

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I

vede anche alcune opere perpianoforte particolarmentesignificative. Sono “LaGoccia”, da “I 24 Preludi” diFryderic Chopin, il primomovimento della “Sonata n.5per pianoforte” di Ludwig vanBeethoven, il “Trio op. 100” diFranz Schubert, e il “TrioDumky” di Antonin Dvorak.Tutti i brani saranno introdottidai commenti di don LuigiGiussani, affidati alla voce diFranco Branciaroli. Due grandiritorni, quelli di Carreras eBranciaroli, che al Meetinghanno già regalato momentiindimenticabili. Tra i numerosispettacoli, va segnalata anche“La Traviata” di GiuseppeVerdi, che va in scena lunedi23 agosto: è la prima volta diuna grande opera lirica alMeeting.

Come ogni anno, molto spazio èriservato alle mostre, allestitenei padiglioni del NuovoQuartiere Fieristico. Quest’annosono 19. Esposizioni d’arte,scienza, economia, storia e natu-ra. Alcune prendono spunto daltema, come “San Bernardo,renovator seculi”, che ripercorrele vicende di una delle figure piùgrandi di tutto il Medioevo: unavita fatta di viaggi, incontri epredicazioni infaticabili. “Lanostra perfezione”, dice infatti ilsanto in un sermone, “consistenel non illuderci mai di esserearrivati, ma nel protenderci sem-pre in avanti: nell’aspirare senzasosta al meglio, fiduciosi nellamisericordia divina quale rime-

“Gli incontri, i personaggi, il teatro, il cinema,

la musica che hanno dato vita

ai 25 anni di Meeting,

intrecciati ai grandi eventi della storia

di questi anni.

E per la prima volta anche una grande opera lirica,

La Traviata di Giuseppe Verdi ”

Un’opera di “Cézanne. Al grande maestro dell’arte tra Ottocento e Novecento

il Meeting dedica una mostra.

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spesso sottovalutato.Quattro le mostre di pittura.Bruno Grassi, pittore piacenti-no, esporrà al Meeting le suestraordinarie opere di artesacra, quadri che parlano difatti accaduti duemila anni facon un linguaggio contempora-neo. “Bruno Grassi. La sfidadell’arte sacra” è il titolo dellarassegna. “Sono convinto, diceil pittore, che l’uomo di oggi,pur così apparentemente scetti-co, glaciale, cinico e disincan-tato, abbia bisogno, al pari del-l’uomo di ieri, di essere mossoe commosso. E per me dipinge-re è inanellare delle pennellatedi colore per fare dei gesti pienidi bellezza e di significato”.Saranno Pierluigi Magnaschi,direttore dell’Ansa, il direttoredel Tempo Franco Bechis eLuigi Amicone a presentare lamostra lunedì 23 agosto.Mentre Vittorio Sgarbi inter-verrà al Meeting a presentare“Percorso di Storia dell’arte”,il libro di Marco BonaCastellotti, edito da Einaudi.Di Andrea Mariconti eDomenico Casadei le altre duemostre di pittura contempora-nea. Mentre è dedicata a unodei maestri dell’arte traOttocento e Novecento,“Cézanne. L’espressione diquel che esiste è un compitoinfinito”. La pittura, secondo il

umana del genio che ha rivolu-zionato la scienza del ‘900. Dienergia parlerà anche il premioNobel Carlo Rubbia in unincontro dal titolo “Energia peril bene dell’uomo”, insieme, tragli altri, al ministro per leAttività Produttive AntonioMarzano. Il premio Templeton2004, George Ellis parleràinvece dello “Scopo dellascienza”, insieme all’astrofisi-co Marco Bersanelli.Molti gli appuntamenti di lette-ratura. “Il sugo della storia.Rileggendo I Promessi SposidiAlessandro Manzoni” è lamostra che sarà presentata, tragli altri, dal professor EzioRaimondi, Professore Emeritodell’Università di Bologna. DaManzoni a Dante: sarà lo stes-so Raimondi, insieme aGiuseppe Mazzotta, Professoredell’Università di Yale e alpoeta Davide Rondoni, a parla-re del passaggio epocale daDante a Petrarca. “Per Laura oper Beatrice? – Le due vocid’Europa”, che si terrà martedì24 agosto. Sempre di Danteparlerà la ProfessoressaChiavacci Leonardi. Mentre ilpoeta brasiliano BrunoTolentino interverrà per pre-sentare, insieme a JuliànCarron, l’ultimo libro di donLuigi Giussani.

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EVENTO

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maestro francese, deve farcigustare in eterno la bellezzadella natura, “deve darle ilrespiro della durata”. E a sco-prire il fascino della natura, ciinvita “Dolomiti. La spettaco-lare rinascita di un arcipelago”,una mostra di foto e filmatimozzafiato, campioni di roccee fossili, che ci faranno vederee toccare alcuni tra i paesaggipiù belli e misteriosi delmondo.Si annuncia davvero unica lamostra di Elisabetta Bianchetti,la famosa stilista del sacro, checi farà rivivere la bellezza el’unità dell’esperienza liturgi-ca. “La bellezza donata.Viaggio nello splendore dellaliturgia”, questo il titolo, saràallestita su uno spazio diversoda una normale esposizione,dove sarà possibile rivivere lagrande esperienza di popolodella liturgia, un tempo fatta di

gesti pieni di significato, “dovela gente era educata a vedere,sentire e toccare”, come diceGiorgio Vittadini, tra i curatoridella mostra che verrà presenta-ta al Meeting il 23 agosto dallastessa Bianchetti e dallo stilistaSanto Versace. Della vita diAlberto Marvelli, il giovaneriminese che diverrà beato ilprossimo 5 settembre, ci parlainvece “Vivere salendo.Incontro con Alberto Marvelli”,a cura di Bruno Biotti e FaustoLanfranchi.Due le mostre scientifiche.“Alle fonti dell’energia. Dallanatura risorse per il camminodell’uomo”, dedicata a un feno-meno che ci tocca da vicino eche conosciamo pochissimo, e“Einstein 1905. Il genio all’o-pera”, che a cent’anni dallapubblicazione delle tesi sullarelatività ristretta, ci accompa-gna a scoprire l’avventura

San Bernardo “renovator seculi”,una delle figure più grandi di tutto il Medioevo, spunto per alcune mostre.

Il manifesto della XXV edizione

del Meeting.

Il fascino delle Dolomiti in una spettacolare mostra

di foto e filmati.

Il grande tenore di Barcellona, José Carreras.

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a cultura del Rinascimentoha lasciato in eredità al

secolo XVII, un tema esisten-ziale d’importanza decisiva sucui affilare l’ingegno filosoficoe scientifico e su cui esercitarela riflessione religiosa e poeti-ca: la melanconia. Su questoprofondo stato d’animo si sonosoffermate soprattutto le artifigurative fra Manierismo eBarocco e così anche il giova-ne San Giovanni BattistadiGuido Cagnacci, recentementeacquistato (sul mercato parigi-no) dalla Fondazione Cassa diRisparmio di Rimini, puòessere considerato una raffina-ta interpretazione del tema. Ilpiccolo olio su tela (altomezzo metro e lungo 62 cm.),che è stato esposto fra i gioiel-li inediti della recente mostra“Seicento Inquieto. Arte e cul-tura a Rimini fra Cagnacci eGuercino” (Castel Sismondo,27 marzo-27giugno 2004),può ricordare, a prima vista,gli angioletti ritratti daRaffaello Sanzio ai piedi dellaMadonna Sistina(1512-13),ora custodita a Dresda.L’impressione sarebbe confer-mata dal fatto che il Battista,sia nel testo greco originaledel Nuovo Testamento, sianella traduzione latina, è chia-mato “angelo” per ben trevolte, in quanto “messaggero”di Cristo (Cfr. Mt. XI, 10; Mc.I, 2 e Lc. VII, 27). Tuttavia, aguardarlo meglio, questo SanGiovannino non conservanulla della noia scherzosa edel broncio infantile dei famo-sissimi putti raffaelleschi,dipinti per riequilibrare, conlieve ironia, il tono solenne edeloquente dell’apparizionedella Vergine. Nell’operettadel Cagnacci, piuttosto, ci tro-viamo di fronte ad un senti-mento più serio e doloroso,che fa trasparire qualcosa del-

l’intensa Melancolia diAlbrecht Dürer, la suggestivaincisione allegorica realizzatanel 1514. Un altro riferimento,per tornare a Raffaello,potrebbe essere il filosofoEraclito, raffigurato con i trat-ti del volto pensoso diMichelangelo Buonarroti, nelcelebre affresco romano della

creativo che, rapendo le animedegli artisti verso la contem-plazione del Bello eterno,lascia in loro una nostalgiacosì intensa per questa celestepienezza, da generare unachiara insoddisfazione dipintasui volti ritratti, annoiati dalmondo visibile ed innamorati(fino alla malattia) di quello

all’attività del pittore. IlCagnacci, come ha più volteripetuto impeccabilmente ilprof. Pier Giorgio Pasini, nonè estraneo ad un “romantici-smo”, ante litteram, moltopresente nella pittura delSeicento. Inoltre rispetto allasensibilità artistica e filosoficadel Rinascimento maturo, cosìconcentrata sulla stravaganzadelle grandi individualità d’ar-tista, il pennello del Cagnaccisa esprimere cose anche moltodiverse, rileggendo la “melan-conia divina” con un trattosensibilmente più dolce edevoto, temprato dalla fiammaascetica e contemplativa dellaRiforma cattolica e dando allasua concezione pittorica unospessore religioso più univer-sale ed oggettivo. Tutto ciòche qui si è detto del nostroAutore può essere ripetuto,con le opportune distinzionidel caso, per l’opera dei suoidue “numi ispiratori”, il divinoGuido Reni e MichelangeloMerisi, detto il Caravaggio. IlNostro, infatti, non ha maicessato del tutto di porre indialogo nelle sue opere, il rea-lismo luministico e peniten-ziale caravaggesco, con la ten-sione estatica e trasfigurantedi Reni (vero e proprio pittored’icone venerabili sulla sciadei grandi artisti platonizzantidel Rinascimento: il Perugino,Raffaello e Federico Barocci).In questo Cagnacci, nato aSantarcangelo di Romagna nel1601 e morto alla corte vien-nese del Sacro RomanoImpero nel 1663, si rivela per-fetto e consapevole interpretedel suo secolo e delle inquie-tudini spirituali che lo perva-dono: anche per tutto ciò lapiccola tela, destinata ad unuso privato e ora ritornatanella terra d’origine del pitto-

LUGLIO-AGOSTO 2004

ARTE

A R I M I N V M

UNA TESTIMONIANZA STORICA ED ESTETICA PARTICOLARMENTE PREGIATA

IL SAN GIOVANNINO DI GUIDO CAGNACCIIL TEMPERAMENTO MELANCONICO DELLA PICCOLATELA

Alessandro Giovanardi

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L

“Per le pennellate rapide e sapienti

che lo contraddistinguono

e per la felice tessitura di giochi di luce

e di accostamenti cromatici,

tanto variegati quanto impalpabili,

si può far risalire la piccola tela agli anni Trenta

del XVII secolo,

ovvero nella fase della prima maturità dell’artista”

Guido Cagnacci, San Giovanni Battista

(olio su tela, cm. 50x62)

invisibile. Tutta la tradizioneplatonica, pagana e cristiana,da Platone stesso fino aimoderni seguaci di MarsilioFicino, ha riflettuto su questaparticolare condizione spiri-tuale ed emotiva del poeta,estendendola di conseguenza

Stanza della Signatura dedica-to alla Scuola d’Atene(1509-1510). Queste figure di un tor-mento interiorizzato e radicalemettono in luce quel delicatoconfine che separa la “melan-conia clinica” (insomma ladepressione psicologica e lealtre forme di pazzia vera epropria) dalla “divina melan-conia”. Quest’ultima è unautentico furore poetico e

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re, risulta essere per noi unatestimonianza storica ed este-tica particolarmente pregiata.Difatti, anche se con un certogrado di approssimazione, ilSan Giovannino, proprio perle pennellate rapide e sapientiche lo contraddistinguono eper la felice tessitura di giochidi luce e di accostamenti cro-matici, tanto variegati quantoimpalpabili, si può far risalireagli anni Trenta del XVIIsecolo, ovvero nella fase dellaprima maturità dell’artista,quando Cagnacci sembraaccostarsi, anche se in modooriginalissimo, alla tavolozzadell’ultimo Guido Reni,impreziosita di tinte lievi,incorporee e liquide. Si trattadi una scelta comune a moltiartisti dell’epoca, come dimo-strano anche le opere diGiovanni Andrea Donducci(detto il Mastelletta) e diGiovanni Andrea Sirani, pre-sentate nella mostra di CastelSismondo. In questo periodovi è per il pittore diSantarcangelo la necessitàeconomica di produrre nume-rose opere, anche di formato ecosto molto contenuto, perpoter sopravvivere all’ostraci-smo dei committenti d’arte.Ciò si rende necessario perchéGuido Cagnacci, invaghitosidi una vedova aristocratica evolendola sposare (lei consen-ziente), si era inimicato lanobiltà riminese, che oltre adimpedire lo sposalizio avevafatto terra bruciata intornoall’artista. Il San Giovanninodella Fondazione, assieme allaMaria Maddalena di Urbania,e ad altre due opere espostenella mostra sul Seicento (laCleopatra dei MuseiComunali di Rimini e la Testadi Cristo Crocefisso, apparte-nente ad una collezione priva-ta pesarese), entra nel noverodi tale attività svincolata dacommittenze laiche e religioseufficiali. Questa difficile con-dizione di “pittore in proprio”e costretto a peregrinare esuleed alla ricerca di nuovi merca-ti e di possibili mecenati, può

aver accentuato il tempera-mento melanconico della pic-cola tela, ma credo che giusti-ficare lo “spleen” del Battistafanciullo con i soli eventi bio-grafici del suo Autore siaquanto mai fuorviante, seprima non ci s’interroga sulsignificato religioso dellasquisita manifattura cagnacce-sca, nel cui seno ogni aspettoemotivo ed esistenziale del-l’artista e della sua epoca,viene a risolversi e a trovare ilsuo senso. Il San Giovannino,vestito di povere pelli peniten-ziali, insolitamente rappresen-tato a mezzo busto, mentreregge la verga pastorale cruci-forme ed il cartiglio profeticocon la scritta “ecce AgnusDei”, è in questa prospettiva ilperfetto contrario dell’imma-gine “demitizzata” (e quindibanalizzata) del Precursore,forgiata dai polemisti luterani.Il Battezzatore del Cagnaccinon può identificarsi con ilbravo ragazzo borghese, stu-dioso di teologia, di cui parla-no i seguaci dell’ex-monacoagostiniano, ma è piuttosto,

come ha ben dimostrato l’illu-stre prof. Marc Fumaroli, ilprotagonista di un antichissi-mo e fascinoso raccontodell’Oriente cristiano, piena-mente accettato dallaTradizione della ChiesaUniversale. Della devota“fiaba” orientale restano con-sistenti testimonianze nelProtovangelo di san Giacomo(II sec.) e nella Vita di sanGiovanni Battista, scritta ingreco dal vescovo egizianoSerapione (III sec.): la leggen-da devota è stata ri-narrata dalfrancescano Giovanni da SanGimignano (XIII sec.) chel’ha introdotta nell’ambienteculturale italiano e toscano,diffondendo l’iconografia delBattista, fanciullo o adole-scente, precoce eremita dilande disabitate. IlPintoricchio e Leonardo,Caravaggio e Reni (per citarnepochissimi) ne traggono, attra-verso i decenni, una frescaispirazione. Anche nella teladel Cagnacci, come dimostrail cartiglio dell’Agnus Dei, ilBattista bambino è già la

“voce che grida nel deserto”(Cfr. Is.XL, 3; Mt. III, 3 e Gv.I, 23), riflesso del Verbo diDio. Egli è, nei versi liturgicidi Sant’Andrea di Creta, “ilProfeta più grande di tutti iProfeti”, la lampada che pre-corre e annuncia la “LuceVera” (Gv. I, 9). IlBattezzatore diviene così ilmodello perfetto dei Padri deldeserto, degli anacoreti, deimonaci, dei frati mendicantied un maestro per tutte leforme di ascetismo. In questosenso la sua melanconia è uninvito all’abbandono dellevanità mondane, alla ricerca diun “deserto” monastico, con-ventuale o semplicementeinteriore che sia piena accetta-zione ed adorazione dellaCroce (quella ricordata dallaverga che regge nella manodestra) e conquista della quie-te interiore. Solo in questosenso san Giovanni può essereparagonato ad un tenero ange-lo (quasi un putto), abitatore ecustode del deserto. Il fondogrigio, non spento, ma piutto-sto privo di forti contrasti, ècome un canto liturgico, fermoe delicato; è una luce altrettan-to silenziosa, dolce e quasisovrasensibile, simile ai fondioro delle icone e della primiti-va pittura italiana, paragonabi-le ad un’aureola da apparizio-ne celeste che non perde peròtracce di umana e consapevoletristezza. San GiovanniBattista, difatti, è festeggiatodalla Chiesa Cattolica e daquella Ortodossa il 24 di giu-gno, sei mesi prima dellaVigilia Natalizia, quando ilsole estivo, al suo apice,(ovvero lo stesso Precursore)inizia la sua lenta discesaverso il solstizio invernale, adannunciare l’altrettanto lentacrescita del sole di Cristo. IlBattezzatore stesso, sole feritoa morte prima della stessaPassione del Redentore, astromelanconico quindi, dice deldestino di Cristo e del suo:“Egli deve crescere e io invecediminuire” (Gv. III, 30).

LUGLIO-AGOSTO 2004

ARTE

A R I M I N V M9

“La sua melanconia è un invito

all’abbandono delle vanità mondane,

alla ricerca di un ‘deserto’ monastico,

conventuale o semplicemente interiore

che sia piena accettazione ed adorazione

della Croce (quella ricordata dalla verga

che regge nella mano destra)

e conquista della quiete interiore”

“Il fondo grigio, non spento,

ma piuttosto privo di forti contrasti,

è come un canto liturgico, fermo e delicato;

è una luce altrettanto silenziosa,

dolce e quasi sovrasensibile,

simile ai fondi oro delle icone

e della primitiva pittura italiana,

paragonabile ad un’aureola da apparizione celeste

che non perde però tracce di umana

e consapevole tristezza”

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o già scritto sulla storiadella chiesa di S. Nicolò

in Ariminum n.3/2003 e in “La Rimini che non c’è più”.Solo per collegarci al rinveni-mento degli affreschi, ricordobrevemente che questa chiesa,edificata dai monacidell’Ordine dei Celestini dopola loro venuta a Rimini nel1338, per le continue ed one-rose opere di manutenzionedovute anche ai frequenti dis-astrosi allagamenti, nel 1863fu rinnovata interamente e chein quella circostanza laCappella Maggiore dellacostruzione precedente fuinglobata nella canonica.Nel 1925 furono eseguitialcuni lavori di restauro e inquella occasione vennero sco-perti nella volta dell’anticoCappellone degli affreschi e idisegni degli abbozzi a san-guigna di quelli scomparsi,tutti giudicati pitture del ‘300o ‘400. Questa la notizia,apparsa su “Ariminum” del1928: In quella parte dellaprimitiva Chiesa di S. Nicolòsopravvissuta al totale rifaci-mento del ’62 e incorporataoggi nella canonica, eranogià visibili da qualche tempotracce di antichi affreschi chelo stile fa riconoscere operadella scuola riminese trecen-tesca; affreschi di cui l’anticaChiesa che si cominciò acostruire probabilmente nel-l’anno stesso della introdu-zione dei PP. Celestini, cioènel 1338, doveva avere dovi-zia. Della volta a crociera checostituisce la parte rimastadella fabbrica antica, unospicchio soltanto mostravaframmenti di affreschi; glialtri erano coperti da unostrato di calce…Il loro recu-pero fu affidato al prof. Nave,lo stesso che aveva operatonell’abside di S. Agostino, e ilrisultato fu lusinghiero anchese, così continua quella crona-

ca, …I costoloni della voltahanno decorazioni del solitotipo cosmatesco, ma in partesono andate perdute. Tutta lavolta è in condizioni piuttostotristi.Sebbene di non altissima qua-lità, i dipinti offrono un certointeresse dal punto di vistaiconografico. Guardando lefotografie scattate negli anni’30, su tre spicchi sono visibi-li storie del vecchio testamen-to: la Creazione dell’uomo, ilpeccato originale e la

Creazione del mondo, mentreil quarto purtroppo mostrasolamente l’arriccio con qual-che abbozzo a sanguignailleggibili. Nella creazione diAdamo e di Eva abbiamo ilCreatore in atto benedicentecon la figura di Adamo dor-miente dal cui fianco nasceEva e fra i due episodi c’è unalbero con grandi stelle neresullo sfondo; nel peccato ori-ginale abbiamo due episodi:la Tentazione del serpente conla testa umana che sta attorci-gliato all’albero del bene e delmale e l’espulsione dalParadiso terrestre, solo abboz-zata, con il Creatore che cac-cia i due peccatori; nel terzospicchio con la creazione delgiorno, della notte e delMondo, la scena allegoricamostra due monti conici adestra e a sinistra dove stannoper salire a destra una donnavestita di rosso scuro con lascritta “tenebris” e a sinistraun’altra donna vestita di bian-co con la parola “lux”, mentrein alto, visibile nello schizzo a

sanguigna, è l’Eterno e fra idue monti c’è un cerchio stel-lato in cui sta una croce grecacon al centro il volto di Dio.La chiesa cessò di esisteredopo il bombardamento del27 novembre 1943.Fortunosamente restò in piediil campanile e i pochi muririmasti a sostegno dellaCappella Maggiore trecente-sca con gli affreschi, oggiincorporata nella canonicadella nuova chiesa che si ini-ziò a costruire nel 1954 con lafacciata volta verso la stazio-ne. L’antica CappellaMaggiore con la sua voltagotica affrescata, chiamataSala Celestina, la si può oggivisitare, anche se stringe ilcuore osservare quanto leantiche pitture abbiano soffer-to in questi anni, soprattuttoconfrontandole con le foto-grafie scattate negli anniventi. E’ veramente auspicabi-le che si possa arrivare a unonuovo restauro, se non altroper evitare che scompaianodel tutto e anche se non si trat-ta di affreschi di grande valo-re artistico sono pur sempreun segno tangibile e il ricordodi un passato importante nellastoria della chiesa di SanNicolò e della nostra città.

LUGLIO-AGOSTO 2004

ARTE

A R I M I N V M

PITTURE DEL TRECENTO CHE NECESSITANO DI UN RESTAURO

GLI AFFRESCHI DELLACHIESADI SAN NICOLÒArnaldo Pedrazzi

10

H

Gli affreschi negli anni Trenta(a sx) e allo stato attuale (a dx).Dall’alto al basso:il Peccato originale; la Creazione dell’uomo;la Creazione del mondo.

La chiesa di San Nicolò; a sx: la volta

della sala Celestina.

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on la chiusura il 27 giu-gno scorso della mostra

Seicento inquieto. Arte e cul-tura a Rimini, numerose sonole opere d’arte ritornate nellechiese cittadine che abitual-mente le custodiscono e leespongono alla devozione deifedeli. Numerose sono adesempio quelle nuovamentevisibili nella chiesa di SanGiuliano, vero e proprio scri-gno di capolavori. L’edificionon merita attenzione infattisoltanto per il prezioso politti-co di Bitino da Faenza o lagrandiosa pala di PaoloVeronese, che narrano levicende del santo titolare, maanche per la tela con la conse-gna delle chiavi a San Pietrodi Pietro Ricchi, quelle con isanti Giorgio e LorenzoGiustiniani di PasqualeOttino, l’Annunciazione diGiovanni Andrea Sirani e lastatua lignea di SantaCaterina, come ha dimostratol’esposizione appena conclu-sa. Nei suggestivi ambienti diCastel Sismondo tali opere siimponevano non soltanto perla loro bellezza ma esemplifi-cavano, dialogando con leopere vicine, alcune caratteri-stiche dell’arte e della storia diRimini nel Seicento. Secondole intenzione dei curatori PierGiorgio Pasini e AngeloMazza, infatti, i primi tredipinti mostravano la presenzadi opere venete nel riminesenella prima metà del secolo,mentre l’Annunciazione eraindice del cambiamento delgusto in favore della pitturabolognese avvenuto a partiredagli anni quaranta.La scultura di Santa Caterinatestimoniava invece la presen-za in città dell’omonima con-fraternita, che aveva il propriooratorio in Borgo SanGiuliano, poco distante dallachiesa. Oggi l’edificio nonesiste più e al suo posto è pre-

sente un locale di ristorazione.Soppressa la confraternita conle leggi napoleoniche, la chie-sa fu trasformata in cappellamortuaria. Il ricordo dell’anti-ca presenza rimane però nelnome della piazza, intitolataalla martire egiziana.La confraternita di SantaCaterina d’Alessandria erauna delle tante dedicate ad unsanto, alla Vergine, al Rosarioe al Santissimo Sacramentoche esistevano in città e nelcontado. Fin dal medioevoesse hanno rappresentato unaspetto rilevante della societàcivile: composte da personelaiche legate ad una peculiaredevozione, svolgevano infattiopere di pietà e carità nei con-fronti di poveri, diseredati,carcerati ed altri indigenti.Nelle processioni religiose, incui sfilavano tutte insiemesecondo un ordine ben preci-so, gli appartenenti alle diver-se confraternite si distingueva-

no gli uni dagli altri dagli sten-dardi con i caratteristiciemblemi che portavano e dalcolore dell’abito indossato, lacappa.Da fonti secentesche impor-tanti, quali l’Adimari ed ilPedroni, sappiamo che quelladi Santa Caterina vestiva dibianco e che nel 1612 portò inprocessione con musica esuono di trombe “la novaimmagine” eseguita aVenezia. La commissione aduna bottega della città laguna-re si può spiegare con la vici-nanza della chiesa di SanGiuliano, retta dalla congrega-zione di San Giorgio in Alga,proprio della medesima città.Si tratta della statua ora nellaterza cappella destra dellachiesa, che, anche grazie alrestauro a cui è stata sottopo-sta prima dell’esposizione aCastel Sismondo, si dimostraessere un’opera di pregio,nonostante la mancanza fino

ad ora di attenzione da partedegli studiosi.Di grandezza naturale, la scul-tura policroma rappresenta lasanta in posizione stante, abbi-gliata con un’ampia vestedorata e con i fianchi ed unaspalla cinti da un drappoazzurro. Tali colori, unitamen-te alla corona sul capo, si addi-cono al suo status di regina. Lamano sul petto e l’espressionedel pallido volto, animato dalrosa delle gote, esprimono lasua devozione a Dio. L’altramano poggia su una granderuota spezzata. Allude alladistruzione, grazie ad un ful-mine, dello strumento di mar-tirio inventato dall’imperatoreMassenzio. Esso consisteva inquattro ruote provviste dipunte a cui la santa vennelegata; scampata miracolosa-mente alla barbara esecuzione,fu poi uccisa per decapitazio-ne. Assente è l’altro attributopeculiare di Caterina, ovveroil libro, che si riferisce alla suaproverbiale cultura e sapienza,doti per cui fu dichiaratapatrona degli studenti e dellacultura. A causa dell’incertaautenticità della figura storica,nel 1969 essa è stata eliminatadal calendario cattolico, non-ostante fosse molto veneratanei secoli passati, quasi quan-to Maria Maddalena.

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ARTE

A R I M I N V M11

CURIOSANDO TRA LE CHIESE DEL RIMINESE

LA STATUA DI S. CATERINA NELLA CHIESA DI S. GIULIANOMichela Cesarini

C

Ignoto scultore veneto, Santa Caterina, 1612,

legno policromo, cm. 155x55x35,

Chiesa di San Giuliano, già nel distrutto oratorio

di Santa Caterina in Borgo San Giuliano.

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nche Addo Cupi (Rimini1874 – Torino 1958) fu fra

i pochi pittori riminesi cheebbero l’opportunità di cono-scere realtà più complesse estimolanti di quella locale.Studiò infatti ingegneria edarchitettura al Politecnico diTorino, lavorò per alcuni annia Trieste e Gorizia e si dedicònel contempo alla pittura doveottenne buoni risultati parteci-pando a mostre importanti(Torino 1892, Firenze 1897,Padova 1898, Venezia 1909).A Rimini, dove si stabilì dopoil 1911, diede vita a varie ini-ziative in campo artistico,giornalistico e letterario ma,ciò nonostante, di lui ci resta-no poche cose a parte l’autori-tratto in Pinacoteca di cui si ègià scritto in queste pagine.Vorrei comunque segnalarequi un suo dipinto a pastelloche a me è sempre sembratobello ed originale, un dipintoapparso nella mostra “900Riminese” tenutasi nel ’97,intitolato “La monaca (nottur-no)”. In realtà il quadro rap-presenta uno scorcio urbano,anzi un angolo paesano domi-nato dal Duomo di Verucchiosu cui piove la luce lunare. Laripresa è fatta in modo da spo-stare il punto di fuga prospet-tica verso il basso, dove leombre si allungano o arretranoin un gioco grafico che si spin-ge sino alla sovrastante qua-dratura facciale di cornici elesene. Tuttavia occorre osser-vare che, al di là della elegan-za architettonica e dell’equili-brio compositivo, ciò che con-ferisce davvero forza e sugge-stione all’immagine, è soprat-tutto la luce.Il chiarore lunare che investele superfici disegnando evane-scenti dorature e pallidi vaporicontro il cielo color cobalto, leombre azzurrine addossatealle cornici e quelle aguzze,

ancor più cupe e verdastre,incombenti al suolo creano uneffetto magico assai più vicinoalla rappresentazione scenicae teatrale che non alla riprodu-zione pura e semplice dellarealtà.Grazie all’invenzione lumini-stica e all’inquadratura,

l’Autore riesce a trasfigurareuno scorcio paesistico in unaelaborazione grafica e visiona-ria, nel fotogramma di unsogno, dove anche la notazio-ne più dettagliata e realistica,come il corrimano sul murosbriciolato, sfuma, cedendo ilcampo alla percezione di unospazio talmente armonioso eordinato da sembrare senzatempo.Ed è ancora il tocco di lucegiallo aranciata, che si allungaa ventaglio dalla lanterna alselciato, a creare effetti oniri-ci, evocando ricordi di serateterse, dolci e silenziose persenei ricordi della nostra infan-zia. Ma non è un caso che que-sto profumo di strapaese esali

la sua squisita fragranza connote delicate di poesia in unquadro la cui cifra stilistica ètutt’altro che provinciale:Addo Cupi aveva conosciutola “Secessione” e noi sappia-mo che quel rivoluzionariomovimento di pittura mitteleu-ropea non si accontentava piùdi “far vedere” la realtà,volendo piuttosto esprimerla e“farla sentire”.

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ARTE

A R I M I N V M

NOVECENTO RIMINESE / ADDO CUPI

LO SCORCIO URBANOMarco Gennari

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“Un effetto magicoassai più vicino

alla rappresentazionescenica e teatrale

chenon alla riproduzionepura e semplice della realtà”

A

Addo Cupi, La monaca (notturno),

pastello, cm. 48x46

MEDITAZIONI di Ivo GigliGUIDO BALDINI

Medaglione chiaro, 1995E’ come se un vento turbinoso sconvolgesse con lesue spire e le sue volute il volto aspro e duro dellamateria, la animasse come un messaggio, o uncanto, per ridestarla nella forma; scorresse comelo spirito penetrato in essa per raccontare l’eternavicenda della creatività.

GIÒ URBINATICaminetto, ceramica e vetrificazioni

L’oggetto dorato, impreziosito da milleracconti intarsiati e vetrificati sta làcome un altare, come un’ara, come unasuppellettile o un focolare che inusitata-mente riverberi un’ambientazioneorientale, levantina, o un’aura lontanacretese di un sogno apparso in unanotte occidentale.

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Via Molo Levante Porto Canale - 47838 Riccione (Rn) - Tel. e Fax 0541.692674Cell. 335.5286413 - 338.9024650

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abato 5 giugno, in occa-sione del 1° Criterium

Ciclistico “Memorial MarcoPantani”, che si è disputato aCesenatico, organizzato dalPanathlon di Cesena e dalClub Magico Pantani che hanel presidente Vittorio Saviniil più fedele depositario dellamemoria storica dell’indimen-ticabile “Pirata”, GrazianoLelli, pittore cesenate, haesposto un suo quadro cheoltre ad essere un sinceroomaggio all’atleta scomparsoè una sorta di “summa” dellatravagliosa, angosciata, estre-ma esistenza del campione dicasa nostra. Il grande quadro èstato dipinto da Graziano Lellisull’onda emozionale provo-cata dalla tragica fine diMarco Pantani. L’attualità deicontenuti ed il mezzo comuni-cativo scelto dall’artista (unlinguaggio pittorico tra il sim-bolico ed il surreale), lancianomessaggi di immediata intel-leggibilità e le iconografietematiche: il Jolly Roger, labandiera con il teschio e leossa incrociate, il giallo ed ilrosa delle vele, l’ancora pen-zolante sostenuta da un sotti-lissimo sfilaccio, il portocanale luttuosamente nero, laTorre Eiffel, la chiesa stagliatanell’acre odore della notte, ein lontananza, la libertà sim-boleggiata da quei bianchi,irraggiungibili puledri cheliberamente scorrazzano su undolce, assolato arenile. E’ unapittura, quella di GrazianoLelli, di forte pulsione emoti-va che si risolve in una sorta dideformazione onirica. Di quiil senso di mistero, di inquie-tudine che aleggia nella com-posizione, che si insinua nelleombre, che pervade la lugubri-tà del paesaggio e che siamplifica nel rapporto estra-niante degli oggetti rappresen-tati. Pur avendo da tempo

oltrepassata la soglia delmezzo secolo, questo pittorecesenate, è sconosciuto ai più.Le sue opere, rare, sono sparsein qua e in là, senza ordine:talune appese alle pareti dellecase (solide case) degli amiciciclisti, altre abbandonate,quasi ripudiate dopo dispnòi-che fughe, quelle fughe checaratterizzano, da sempre,l’incongrua, vertiginosa, tor-mentata esistenza dell’artista.Nelle tele di Graziano Lelli,codeste instabilità, codesti“capricci” esistenziali si evi-denziano nelle incessanti, tali-smaniche trasposizioni delleforme, nelle deviazioniimprovvise delle traiettorie,nel senso di vertigine, di preci-pizio, di caduta che trasparedall’ordito pittorico di ogni suacomposizione. Generalmente

si dice che ognuno è il portato-re del proprio paesaggio. Sequesta affermazione dovessecorrispondere al vero, conGraziano Lelli, per quella suainsopprimibile esigenza difuggire da tutto ciò che è piat-to e banale, noi ci troveremmo,guardando le sue opere comese ci ponessimo davanti ad uncontinuo gioco teatrale, edammirando le incredibili evo-luzione degli icariani che, conla loro folle fragilità di cristal-lo, obbligano il pubblico a trat-tenere il respiro, per un attimo,“potremmo vincere il male,raccogliere gli uomini comescintille disperse, ridurre la

solitudine umana, mutare ildolore in tripudio”.Graziano Lelli è nato a Cesenanel 1946 da una famiglia pret-tamente romagnola. Il padre èstato, fino a pochi anni fa, unvalente liutaio. Dopo aver con-seguito il diploma di PeritoTecnico, Graziano Lelli haesercitato l’attività di disegna-tore. Negli anni giovanili hacorso in bicicletta ottenendoalcune vittorie nella categoriadei dilettanti. Si è trasferito avent’anni in Svizzera, aBasilea. In terra elvetica hapartecipato a diverse mostrecollettive. Rientrato in Italia,ha svolto svariati mestieri: ore-fice, albergatore, interprete.Attualmente vive e lavora aCesena.

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ARTE

A R I M I N V M

L’ARTE DI GRAZIANO LELLI

TRA IL SIMBOLICO E IL SURREALEEnzo Pirroni

15

S “Una pittura di forte

pulsione emotiva

che si risolve

in una sorta

di deformazione

onirica”

Graziano Lelli, Pensieri di libertà

(olio su tela)

AL GRAND HOTELLE OPERE DI UGO NESPOLO

Dal 30 luglio al 5 settembre Ugo Nespolo espone al GrandHotel DI Rimini. “Nespolo ha una radice pop che ha mante-nuto immune da aridità concettuali; ha una vena surrealecon cui ha fiancheggiato, e fiancheggia, la patafisica; tuttiriferimenti che l’artista non solo non sconfessa, ma ricono-sce come fondamentali. Tuttavia egli svolazza, come unospirito folletto, sin dagli anni Sessanta, quando era appenaventenne… . Se le opere degli anni Ottanta privilegiavanoin vari casi l’ironia, ora pare che egli si esprima con mag-gior spontaneità; e mentre i pupazzettismi e gli ingenuismi degli artisti attuali a lui affinicontengono per lo più una latente brutale ferocia, Nespolo ci aiuta a credere, mescolan-do artigianale e tecnologico, nei valori propositivi del futuro; conservando la memoria delpassato in un libero scorrere di immagini. Non per innocente candore, ma per vitale otti-mismo” (Rossana Bossaglia). La mostra è organizzata da Luigi Franceschini.

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iamo in guerra da ottomesi: questo momento

catastrofico della vita socialeci ha toccato ancora. Tutti gliuomini parlano di pace, desi-derano la pace, ma pochi sonoquelli che come il Papa lavo-rano per essa, per mantenerla,per farla ritornare. A me nonsembrava necessaria questaguerra; si poteva e si dovevaevitare. Quante vite che sisacrificano, quante giovinezzeversano il loro sangue, quantidolori che si rinnovano. E’ uncastigo per la nostra cattive-ria, per punire il nostro pocoamore per Dio e per gli uomi-ni. Manca lo spirito di caritànel mondo e perciò ci odiamocome nemici invece di amarcicome fratelli, tutti redenti inCristo.Servisse almeno, Gesù, a farcomprendere agli uomini cheè necessario ritornare a Dio,al Vangelo, che è indispensa-bile ascoltare la voce delPapa che è quella stessa diDio. Bisogna fondare il dirittonazionale ed internazionale subasi cristiane. Il Vangelo e leEncicliche pontificie devonoessere la norma di vita nonsolo dei singoli, ma dei popo-li, delle nazioni, dei governi,del mondo. Occorre umiliarenoi stessi, allontanare l’ambi-zione, l’orgoglio e la superbiache chiudono gli occhi ed ilcuore dell’uomo e gli fannocredere di servire ed aiutaregli altri, mentre non favorisceegoisticamente che il propriointeresse. Gesù proteggil’Italia, preservala da unarovina totale, e concedi chescenda presto la pace con giu-

stizia per tutti i popoli, che laguerra sparisca per sempredal mondo”.Così Alberto Marvelli allesoglie dei 23 anni, quinto annodi Ingegneria industrialeall’Università di Bologna,dirigente della Gioventù catto-lica diocesana e factotumdeisalesiani di piazza Tripoli,annota sul diario il 31 gennaio1941. Una riflessione amara,sofferta, ma che sintetizza il

pensiero di tanti cattolicidavanti alla tragedia dellaguerra, dibattuti dalla coscien-za di militanti di Cristo e difigli legittimi di una Patria chechiama al sacrificio supremo.Una Patria che ha già messoalla prova il coraggio, la lealtàe l’entusiasmo di molti giova-ni della generazione diAlberto.Si era cominciato con la guer-ra d’Africa. Una vittoria, quel-

la, che aveva dato la consape-volezza di avere liberato lepopolazioni dell’Etiopia dal-l’oppressione e dallo schiavi-smo. Con questo spirito di cro-ciata infatti tanti ragazzi rimi-nesi, alcuni anche dell’orato-rio dei salesiani, amici diAlberto, erano partiti volontaried erano ritornati orgogliosi diavere fatto il proprio dovere diitaliani e di cattolici. Sì, pro-prio di cattolici, come avevadichiarato il vescovoVincenzo Scozzoli benedicen-doli prima che partissero. Ecome avevano più volte sotto-lineato il Diario Cattolico,quindicinale della diocesiriminese e Lavoro e preghiera,bollettino della parrocchia diMaria Ausiliatrice che Albertoredigeva insieme con i padrisalesiani. Proprio su questosecondo giornale troviamoinserite le lettere che i “legio-nari” inviavano dal fronte ailoro amici dell’associazionecattolica. Per tutti valga quan-to scriveva Dante Bertozzi,presidente del Circolo DonBosco: “ ... Ora sento più chemai la grande missione civiliz-zatrice che il Duce ci ha addi-tato (...) ma sento però unaltro desiderio imperioso,quello di rivedere la mia caramamma, la mia cara famiglia,voi tutti per alcuni istantialmeno e pregare in ginocchiodavanti alla nostra caraMadonna...”(Lavoro ePreghiera, febbraio 1936).Oggi, disintossicati da certientusiasmi, ci riesce difficilecomprendere l’esaltazione diquelle parole, ma non possia-mo non sentirci vicini e parte-cipi della buona fede e dellacoerenza di quella generazio-ne cresciuta ed educata in que-gli ideali, disposta ad immola-re la propria giovinezza perattuare quelli che allora sidiceva fossero i valori sociali

LUGLIO-AGOSTO 2004

PRIMO PIANO

A R I M I N V M

ALBERTO MARVELLI / UNA VITA DI CORSAAL SERVIZIO DEGLI ALTRI (3)

TEMPO DI GUERRAManlio Masini

16

S“ “A me non sembrava necessaria questa guerra;

si poteva e si doveva evitare.

Quante vite che si sacrificano, quante giovinezze

versano il loro sangue,

quanti dolori che si rinnovano…

Gesù proteggi l’Italia, preservala da una rovina

totale, e concedi che scenda presto la pace

con giustizia per tutti i popoli,

che la guerra sparisca per sempre dal mondo”

In alto: Basovizza, 5 agosto 1941.

I Romagnoli della VICompagnia: Alberto al centro

del gruppo (segnato dalla freccia).

A destra: Trieste, ottobre 1941. Alberto (segnato con la freccia)

con i suoi compagni d’Arme.

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del fascismo. Alberto, era stu-dente del secondo anno diliceo classico quando l’Italia,per il suo intervento in Africa,fu soggetta alle sanzioni daparte delle Nazioni unite;ebbene davanti a quell’ “asse-dio economico” così si espri-meva: “In questo giorno, nelquale nazioni crudeli voglionosoffocare la fiorente vita dellanuova Italia con l’applicazio-ne delle sanzioni ingiusteprego il Signore, con tutto ilcuore che faccia trionfare,come sempre, la giustizia”. Epoi, dopo 30 giorni, il 18dicembre 1935: “E’ un mesedall’applicazione delle san-zioni, e prego con più fervoreGesù. W l’Italia, W Gesù”.Dopo l’Etiopia l’Italia, “prole-taria e fascista”, era andata acombattere in Spagna. Anchein questa circostanza, comenel precedente conflitto, moti-vazioni ideologiche di fortepresa sulle masse sollecitava-no i giovani a impugnare learmi. La propaganda del regi-me, in sintonia con quanto PioXI aveva scritto nell’EnciclicaDivini Redemptorisa proposi-to dei pericoli del marxismo,aveva incitato alla lotta controgli anticristo, i comunisti,responsabili sul territorio ibe-rico di orrendi delitti: chiesedevastate, suore violentate,preti uccisi, corpi e reliquie diSanti profanati. Come nonsentirsi mobilitati di fronte atanta efferatezza? E come sot-trarsi a certe parole d’ordineinculcate in famiglia, nellascuola, nella società? Allorabisognava credere, obbedire ecombattere. Pensiamo ancoraallo stato d’animo di Alberto,tutto proteso verso la santità;nell’aprile del ‘37 annotavasulla sua agenda: “In questoperiodo in cui la guerra spa-gnola infuria, in cui l’odiobolscevico si scatena furiosocontro quanti hanno la solacolpa di amare Cristo, pregopiù ardentemente il Signoreche conceda la sua protezionea tanti miseri abbandonati econceda la vittoria a coloro

che se ne sono resi degni”.E’ in questo incandescentescenario d’esasperazionepatriottica che crescono ematurano i giovani. Il fasci-smo del resto era ben visto daicattolici, soprattutto da quelliche andavano ad infoltire leschiere delle organizzazionisalesiane. Il regime non eraindifferente alla lungimiranza

del messaggio educativo del“Santo dei giovani” e seguivacon particolare simpatia ilgrandioso operato dei suoiFigli. In tutte le loro manife-stazioni spirituali e ricreativela rappresentanza littoria erasempre molto qualificata. Nondimentichiamo poi che pochianni prima c’era stata la

Conciliazione, il cattolicesimoera diventato la religione delloStato e il suo insegnamentoera stato reso obbligatorionella scuola pubblica. Non acaso Mussolini, per aver“pacificato l’anima cattolicadel popolo italiano”, era statochiamato da Papa AchilleRatti addirittura “l’Uomodella Provvidenza”. E tuttoquesto non poteva non esserepresente e condizionante nel-l’animo dei giovani di quell’e-poca. C’erano stati sì momen-ti di attrito e di accese rivalitàtra organizzazioni cattoliche efasciste, ma alla fine dell’esta-te del 1931 i rapporti eranoritornati sereni e s’intonavanoalla “collaborazione nelladistinzione”. Il che stava asignificare che ognuno dovevaattenersi scrupolosamente alleproprie competenze: religioseper le associazioni cattoliche,politiche per quelle fasciste.Ma torniamo al 31 gennaio1941. Il giorno prima cheAlberto scrivesse sul diario lasua riflessione sulla guerra ilCorriere padanoaveva divul-gato con grande risalto il testodel telegramma inviato aMussolini dal segretario delfascio riminese ValerioLancia, dal commissario pre-fettizio Eugenio Bianchini edal vescovo VincenzoScozzoli: “Titolari parrocchieComune di Rimini riuniti pres-so Casa Fascio riaffermanodevozione e promettono inten-sificare loro opera assistenzamorale e spirituale ben auspi-cando sollecita completa vit-toria delle armi combattentiper raggiungere pace con giu-stizia”. E questo per ribadire lacomunione di intenti tra Statoe Chiesa anche in quella dram-matica circostanza.Stampa e radio continuavanoad informare la gente sul buonandamento della guerra; parla-vano di sicura vittoria, esalta-vano gli atti di eroismo deisoldati italiani, chiedevanosacrifici e rinunzie. I bollettinisalesiani, da parte loro, in

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PRIMO PIANO

A R I M I N V M17

Trieste, 1 ottobre 1941. Alberto con gli amici Troisi e Baffoni.

Rimini, 1940. Il campanile della chiesa

di Maria Ausiliatrice in costruzione.

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linea con tutti i giornali nazio-nali, solidarizzavano con glisforzi militari dell’Italia edesortavano ad avere fiducia e asperare in una Nuova Era digiustizia sociale imponendo aicattolici di fare il propriodovere fino in fondo(Bollettino salesiano, ottobre1941).Il dovere per Alberto, in quelparticolare frangente, è studia-re ed essere fedele a se stessoe ai propri principi, in qualsia-si luogo si trovi. Fa la spola intreno Rimini-Bologna. Nellasessione di febbraio dà dueesami; alla fine di giugno silaurea a pieni voti inIngegneria industriale.L’agognata meta avrebbeappagato qualsiasi giovane,non Alberto. Lui continua adavere un unico scopo: “Voglioche la mia vita sia un continuoatto di amore. Amore che siaFede, Amore che sia Carità,apostolato, senso del dovere,desiderio di santificarmi”.Vorrebbe dedicarsi interamen-te ai bisognosi, ai sofferenti, aipoveri. Ma la guerra non loconsente. Dopo la disastrosacampagna di Grecia è iniziataquella di Russia che si riveleràancora più sciagurata. Il 5luglio il neo laureato è chia-mato al distretto militare diForlì e il 9 è già a Trieste per ilCorso allievi ufficiali di com-plemento. Tra i commilitoniAlberto porta il suo modello direttitudine e di integrità e lasua impronta salesiana e cri-stiana della vita. In dicembre,dopo cinque mesi di serviziomilitare, ottiene il congedo: hagià due fratelli sotto le armi, ilquarto, Lello, sta per esserechiamato. E’Alberto che devepensare alla famiglia, in que-sto momento assillata daristrettezze finanziarie.Il 22 dicembre si impiega allaFiat di Torino. La scelta lorammarica: “Ho fatto bene avenire a Torino, a Lasciare lamamma e i fratelli? Mamma

cara perdona questo mioabbandono, ma è per te chesono venuto lontano, che sof-fro di questa lontananza, piùdi quanto non soffra tu; per te,per poter ricavare tanto dapermetterci di sistemare gliinteressi e poterci riunire pre-sto, il più presto possibile; lodesidero tanto; essere vicinoalla tua bontà e alla tua sag-gezza, alla tua perfezione ealla tua amabilità, ricevereincitamento e forza, sostegnoe aiuto” (Diario, gennaio1942).Per la mamma Alberto hasempre nutrito una grandevenerazione. E poi ci sonoGiorgio, appena adolescente,la piccola Gede, gli amicidell’Associazione Don Bosco,i “suoi” aspiranti... . Proprionon ce la fa a stare lontanodalle persone amate.Nell’autunno del ‘42 è di

nuovo a casa. L’IstitutoTecnico Industriale ha accoltola sua domanda di insegna-mento e lui si adatta a fare ilprofessore di Meccanica. ARimini riprende con più lena icontatti, mai interrotti, con ilmondo associazionistico gio-vanile ed è nominato vicepre-sidente diocesano dell’Azionecattolica. Il suo attivismo, tut-tavia, lo esplica soprattutto daisalesiani, nella loro parrocchiaha la sua seconda casa. Moltidei suoi aspirantisono al fron-te, altri in procinto di partire.Li cerca, dialoga con loro:“Scrivetemi. Fatemi saperedove siete, penserò io allevostre famiglie”. Alberto èconsapevole che non bastaamare i giovani, ma comesosteneva don Bosco è neces-sario che i giovani sappianodi essere amatie lui trova iltempo e il modo per dimo-

strarlo: per tutti ha parolebuone e rassicuranti.Il 24 dicembre riesce ad otte-nere dalle autorità civili il per-messo di far celebrare laMessa di mezzanotte nellachiesa di Maria Ausiliatrice. Iltradizionale rito di Natale èabolito in tutte le parrocchiedal 1940 per l’oscuramentoimposto dalle norme di guerra.La messa si svolge solo inDuomo officiata dal vescovo.L’infrazione alla norma èmotivata dal gran numero disfollati che risiede sul lido:gente affluita a Rimini i primidi dicembre dopo i bombarda-menti su alcune città del nord.La chiesa di marina traboccadi fedeli. Alla cerimonia, chesi svolge in un’atmosferagreve e malinconica, prendonoparte molte personalità politi-che e militari. La loro presen-za è una testimonianza di soli-darietà verso chi ha dovutoforzatamente allontanarsidalla propria abitazione.Alberto di “servizio” tra lepanche dei fanciulli, le nuoveleve dell’associazione DonBosco, intona i canti e comesempre dà il via alle preghierecomuni.Il 24 gennaio 1943 spedisceuna lettera al fratello Lello,che è militare in Russia. Loincoraggia. Cerca di sollevar-gli il morale: “Il Signore vaservito in ogni momento e inogni luogo, con dedizionecompleta alla sua volontà econ animo pronto a tutte leprove che ci manda”. In fondoalla missiva c’è anche una pre-ghiera al “Signore IddioPadre” perché aiuti a soppor-tare la sofferenza e a far ritor-nate la “pace nel mondo inte-ro”. La lettera verrà rinviata almittente. Lello è morto da 4giorni. In Unione Sovietical’esercito italiano (Armir) haappena iniziato la tanto sven-turata quanto leggendaria riti-rata tra le sterminate landeghiacciate della steppa.Alla fine di gennaio Alberto èrichiamato sotto le armi: desti-

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1941. L’ingegnere Alberto Marvelli,

prima di partire per il militare.

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nazione Treviso. E’ in questacittà che gli viene comunicatala morte del fratello. Per alle-viare il dolore alla madre chie-de e ottiene una licenza. Lasofferenza in casa Marvelli èaccettata con cristiana rasse-gnazione, come già era avve-nuto nel 1933 per la scompar-sa del padre e prima ancora,nel 1928, per la morte del fra-tellino Giorgio investitodavanti a casa. Il 18 marzo1943, rispondendo alle condo-glianze di Marilena, una gio-vane amica di famiglia per laquale non nasconde di nutrireun’affettuosa simpatia,Alberto nella sua profondafede cristiana arriva a conside-

rare il patimento come viaticoindispensabile per raggiunge-re la salvezza. “Sento semprepiù -dice-che siamo fatti per ilCielo e che il nostro passag-gio sulla terra è una prepara-zione alla vita eterna ed alla

gloria celeste, alla quale sigiunge quasi sempre attraver-so il dolore e il sacrificio”.E il dolore e il sacrificiohanno la forza di far lievitare adismisura in Alberto l’attacca-mento verso i poveri e i giova-ni. Dai salesiani il 21 giugno siriunisce il Convegno diocesa-no degli aspiranti. Lui, inlicenza, si presenta sul palcocon il vestito borghese e ilnastro nero del lutto.L’applaudita relazione chetiene fa riferimento all’attuali-tà del metodo educativo di donBosco basato sulla ragione,sulla religionee sull’amorevo-lezza.(continua)

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ALBERTO MARVELLICENNI BIOGRAFICI

1940Il 10 giugno l’Italia entra in guerra. Dal 24 agosto al 30novembre Alberto, laureando in ingegneria, si impieganella Fonderia Bagnagatti a Cinisello Balsamo (Milano).L’industriale Bagnagatti testimonierà: “Trascorse presso dime alcuni mesi in fonderia. Notai, fin dai primi giorni, ilpronto affiatamento con tutti i dipendenti e particolarmentecon i più giovani e i più umili. S’interessò dei bisogni fami-liari degli operai e mi prospettò le particolari necessità diognuno, sollecitando gli aiuti che riteneva opportuni.Visitava gli ammalati, incitava gli apprendisti a frequentarele scuole serali. Infondeva in tutti un immediato e vivo sensodi simpatica cordialità”.1941Il 30 giugno Alberto si laurea in Ingegneria industriale.Pochi giorni dopo si reca a Forlì al Distretto militare e il 9luglio è a Trieste per il Corso Allievi Ufficiali presso il VAutocentro. Dal primo al 15 novembre è a Rimini in licen-za. I primi di dicembre ottiene il congedo dal servizio mili-tare; il 22 prende servizio come impiegato presso l’Ufficiotecnico della Fiat a Torino (sezione trazione ferroviaria).Nel capoluogo piemontese è ospite della famiglia del fra-tello Adolfo.1942A Torino Alberto frequenta l’Azione cattolica e laConferenza di San Vincenzo. Nell’autunno lascia la Fiatper tornare a Rimini dove insegna Meccanica all’Istituto tec-nico industriale ed è nominato vicepresidente diocesano diAzione Cattolica.1943All’inizio dell’anno Alberto è richiamato sotto le armi:destinazione Treviso. Il 20 gennaio muore sul fronte russo

Lello. A Treviso il sergente istruttore Alberto Marvelli dedicai momenti liberi, in caserma e fuori, a opere di apostolato.Intensifica i rapporti epistolari con gli iscritti dell’AzioneCattolica. Dopo l’8 settembre è di nuovo a casa. Col primonovembre hanno inizio i bombardamenti su Rimini; la gentecerca scampo in campagna. Alberto trasferisce la famigliaa Vergiano e dedica le sue giornate ai sinistrati.1944Rimini è martoriata da centinaia di incursioni aeree. Tra iprimi a correre in soccorso tra le macerie c’è sempreAlberto. Il 4 Settembre con l’avvicinarsi del fronte il giova-ne ingegnere trasferisce la famiglia a San Marino e nel ter-ritorio della piccola repubblica continua il suo apostolatotra gli sfollati.Con l’arrivo degli alleati a Rimini. Alberto ritorna in città,aderisce alla Democrazia cristiana e diviene assessore agli“Alloggi e ricostruzione”.1945Alberto, assessore comunale, ha il compito di alleviare idisagi di migliaia di senzatetto: il suo ufficio è un via vai digente che chiede aiuto. E’ presidente dei Laureati cattolici esvolge un grande lavoro per riorganizzare l’ambiente asso-ciazionistico. Partecipa a Firenze alla “Settimana socialedei cattolici”.1946Nella primavera Alberto lascia la carica di assessore comu-nale. Partecipa alla propaganda elettorale per l’elezionedei deputati all’Assemblea costituente. Nella Settimanasanta si reca a Rho per gli esercizi spirituali. In luglio tornadalla prigionia il fratello Carlo.Sabato 5 ottobre, urtato violentemente da un autocarro,Alberto muore sul ciglio della strada. L’8 ottobre i funerali,il 17 novembre la commemorazione al Teatro Italia.(continua)

“Il Signore va servito in ogni momento

e in ogni luogo,

con dedizione completa alla sua volontà

e con animo pronto a tutte le prove che ci manda”

Rimini, 28 maggio 1938, festa di Maria Ausiliatrice.

La processione lungo il vialeRegina Elena: in primo piano

Lello Marvelli; dietro il salesiano

don Giuseppe Gorgoglione.

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ualunque italiano visiti labella isola greca diCefalonia sentirà intorno

a sé un clima di affetto e sim-patia, quasi di tenerezza, supe-riore a quello che normalmen-te pervade il popolo greco neinostri confronti.Una ragione c’è. Sessantunanni fa, nel settembre del1943, in quell’isola che oggipare vivere di un’arcadicapace silente ed antica fu per-petrato da parte di un repartoregolare dell’esercito tedesco,la Prima Divisione alpina“Edelweiss” (“Stella alpina”,composta di austriaci, sudtiro-lesi e bavaresi), uno dei piùorrendi ed efferati massacriche la storia militare del XXsecolo ricordi: lo sterminio deisoldati italiani della DivisioneAcqui, colpevoli solo di avercompiuto il proprio doverecon coraggio ed eroismo nelnome dell’Italia. I Greci siricordano molto bene di queinostri ragazzi ed ancora neprovano una pena infinita.Il racconto, uno fra i più duri edrammatici di quelli che datempo vado raccogliendo perricostruire la memoria dellaSeconda Guerra Mondialeattraverso i ricordi dei nostricombattenti, me lo ha fattoClodoveo Crotti, uno deipochi superstiti di quell’ecci-dio, al quale ho pensato dirivolgermi, nonostante leinterviste già comparse sualcuni quotidiani, per cercaredi dare ai lettori che seguonoquesta rubrica il quadro piùpossibile completo, attraversoracconti emblematici, dei sen-timenti e delle vicissitudiniche passarono, in quel tragicoperiodo, intere generazioni diitaliani, perché se ne rinnoviin ogni occasione doverosamemoria, per anni pregiudica-ta da un colpevole ed omerto-

so manto di ingrato silenzio edanche perché di quella strage,di quegli eventi, dopo un dolo-so oblio durato più di cinquan-t’anni, sopravvive, inaspetta-tamente, qualche contrastanteversione.Mi viene a trovare in studio, ilsig. Clodoveo Crotti. E’ distin-to e di modi cortesi, come siconviene ad un signore di vec-chio stampo quale il sig.Clodoveo è; l’abito di un beltaglio, il fregio di Cavalieredella Repubblica all’occhiello,molto cordiale e disponibilefin dalle prime battute dellanostra conversazione adaddentrarsi con apparentecalma in particolari che nonpossono non turbare chi liascolti. Ha ricordi limpidissi-mi di episodi, di volti, di voci,di grida che si sono impressi -direi, incisi- nella memoria edancor più nell’animo; e rievo-ca con tale vigore queimomenti che pare viverliattraverso i lampi dei suoisguardi, di volta in volta indi-gnati o commossi, orgogliosio perduti in una momentaneafissità che tradisce un dram-matico, intimo replay.“Proveniente dal fronte occi-dentale, dove avevo combattu-to in un battaglione mitraglie-ri, fui aggregato, su mia scel-ta, alla costituenda DivisioneAcqui in partenza perl’Albania ed assegnato, per ilmio grado di SergenteMaggiore, come Capo plotonedella VI compagnia del IIBattaglione Agli inizi del 1941, imbarcatida Brindisi sulla nave “Cittàdi Marsala”, sbarcammo aValona dirigendoci subito

verso il fronte greco in rinfor-zo delle divisioni Siena e Juliache sottoposte ad un contrat-tacco di ben cinque divisionigreche stavano cedendo terre-no. Il nostro arrivo valse a fer-mare i greci –che temevanosoprattutto i tiri ben diretti deinostri mortai da 81- contenen-doli fino all’aprile, allorchéfummo noi a contrattaccarecostringendoli a ritirarsi finoad oltre Porto Santiquaranta,dove ci acquartierammo. Da lìfummo imbarcati con destina-zione Lefcada per dare il cam-bio ad un battaglione di CCNN. Dopo tre mesi in quell’i-sola, ormai pacificata, ci tra-sferirono dapprima a Corfù,dove rimase il 18° fanteria, epoi a Cefalonia, dove fummodestinati noi del 17° fin dalsettembre del 1941. Debbodire che per due anni, fino alsettembre del 1943, non vi fualcuna attività militare dirilievo. Avevamo instauratoottimi rapporti con la popola-zione che, tutto sommato, nonci considerava “nemici”. Nelcapoluogo dell’isola,Argostoli, dove eravamo distanza, frequentavo un con-vento di Suore per continuaregli studi e poter prendere ilbrevetto da sottotenente.Purtroppo gli eventi precipita-rono ben prima che questomio progetto si avverasse,anche se molto devo a quelconvento, per quanto poi ledirò.Nel frattempo, nel 1942, ini-ziarono a giungere anchetruppe tedesche (fanteria edalcuni semoventi) con le qualicredemmo di poter fraterniz-zare. Ma il loro comportamen-

to arrogante e superbo,soprattutto con i civili, ci per-suase che era meglio lasciarperdere la loro compagnia.Sta di fatto che il 9 settembresi diffuse, inaspettata edimpensabile, la notizia delcosiddetto armistizio con l’ag-giunta di quel contorto e nonmeglio chiarito accenno allaguerra che avrebbe dovutocontinuare, a quel punto sidoveva presumere contro laGermania. Come ben puòimmaginare, stante la conti-guità fra i due eserciti, nessu-no (e neppure i tedeschi, in unprimo tempo!) sapeva cosafare. Per i buoni rapporti cheavevo con i miei ufficiali -tuttebravissime persone, per inci-so- seppi che dall’Italia nonera pervenuta alcuna più spe-cifica direttiva circa il com-portamento da tenere con inostri ex alleati.Quanto ai nuovi nemici, all’i-nizio non furono particolar-mente aggressivi, anch’essievidentemente presi allasprovvista da quegli eventi.Per di più, in quei primimomenti, il rapporto di forzeera nettamente a nostro favo-re, visto che noi potevamocontare su quasi dodicimilauomini contro i duemila opoco più di cui potevano dis-porre loro, acquartierati sullapenisola di Lixuri, proprio difronte alla cittadina diArgostoli e da essa separatada una tranquilla e riparatabaia. Naturalmente sapemmosubito, anche noi, dei contattiche il Generale Gandin,comandante la Divisione,aveva preso con il comando dizona tedesco ed in particolarecon il Generale Lanz che dopole prime incertezze, per trami-te del tenente ColonnelloBarge ci chiese la consegna

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PER NON DIMENTICARE / L’ECCIDIO DI CEFALONIA

VENTI MINUTI D’INFERNO. POI IL SILENZIO DELLA MORTECLODOVEO CROTTI, SUPERSTITE DELLADIVISIONE ACQUI, RIEVOCA ILMASSACRO DELSETTEMBRE ’43

Gaetano Rossi

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“Rivedo ancora gli occhi

di quel giovane soldato che prima di morire

mi disse: Maggiore, l’Italia si ricorderà di noi?”

Q

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delle armi. In pratica la stessacosa l’avremmo potuta farenoi, se avessimo avuto ordiniprecisi. Il Generale Gandin,sempre per aspettare ordinidal nostro Comando (che ciaveva abbandonato al nostrodestino), cercò invece di pren-dere tempo giungendo a con-cedere ai tedeschi una posi-zione strategica assai impor-tante all’imbocco della peni-sola dove erano ammassatipur che ci lasciassero almenole armi leggere, visto che cieravamo dichiarati disposti aconsegnare senza opposizionequelle pesanti(l’artiglieria).Ma non ci fu nulla da fare. IlGenerale Lanz, chiesti ordinida Berlino confermò non solola richiesta della consegna ditutte le armi, anche quelle leg-gere, ma addirittura aggiunsela pretesa che fossero conse-gnate sulla piazza centrale diArgostoli. Lei capisce, caroavvocato, che questa sarebbestata un’umiliazione troppoforte per dei soldati.Portavamo una divisa, aveva-mo fatto un giuramento, ave-vamo un onore militare dadifendere e ci saremmo gioca-ti il rispetto della popolazione,che ci voleva bene. Non pote-vamo che rifiutare! Ne parlaicon il Maggiore Altavilla chie-dendo se a lui pareva giustoconsegnare le armi; ne par-lammo fra noi. Nessuno erafavorevole, se non qualchecappellano; sicché quando ilGenerale Gandin fece circola-re la voce dell’ultimatum tede-sco per sapere cosa ne pen-sassimo, fu un coro unanime,per l’Italia e per il nostroonore di soldati, e persino peril re, anche se in quel momen-to non sapevamo che per il re,per quel re, la nostra sortenon aveva alcuna importanza,impegnato come era a salvar-si con la fuga alle spalle dimigliaia e migliaia di uominiche morirono poi in quei com-battimenti gridando ancora“Savoia” al momento degliattacchi! (la stessa cosa d’al-tronde avvenne su tutti i fronti

di guerra, pur nella consape-volezza, da parte del sovrano edei suoi cortigiani, di quantosarebbe potuto accadere; e ciòfin dal 3 settembre, data nellaquale la resa incondizionata -eufemisticamente definitaarmistizio- era già stata sotto-scritta a Cassibile, nonostanteil proclama di Badoglio fossepoi diffuso solo nel tardopomeriggio dell’8 successivoper dar tempo alla Corte diorganizzare la fuga versoBrindisi)Così, intorno alle 13,30 del 14settembre del 1943,i primiStukas (i famosi caccia bom-bardieri tedeschi, dal caratteri-stico agghiacciante sibilo)ini-ziarono ad attaccarci. Eranoattacchi micidiali, ai qualipotevamo contrapporre pochemitragliere binate ed i canno-ni navali, che presto furonoridotti al silenzio. Sul campoperò, i tedeschi non se la vide-ro bene. Noi eravamo schiera-ti sulla collina che sta allespalle di Argostoli (quelladove oggi si erge il monumen-to ai caduti della Divisione).Dopo un primo loro attacco,durante il quale riportai unaferita di striscio alla guancia,contrattaccammo per tre ore,in un inferno di fuoco, finendoper costringerli a mare e cat-turando addirittura un interobattaglione. A quel punto -eraverso l’imbrunire e nonrischiavamo più attacchiaerei- vedemmo due grossipontoni galleggianti proveniredalla costa di Lixuri versoArgostoli in soccorso del bat-

taglione che avevamo appenamesso in grave difficoltà. Fu aquel momento che la nostraartiglieria li prese sotto tiroaffondandone uno, con nume-rose perdite dei tedeschi; l’al-tro invertì subito la rotta.Essendo la mia postazione inprima linea, posso affermareche non è quindi vero chefummo noi ad attaccare, comequalcuno ha sostenuto; cosìcome non è vero che decidem-mo di resistere ai tedeschi perobbedire al sibillino proclamadi Badoglio o per ribellionenei loro confronti o per unparticolare ideale antitede-sco: se a chiederci di conse-gnare le armi fossero statiinglesi o russi o americani cisaremmo comportati nell’i-dentico modo perché lo pre-tendeva il nostro onore, comeitaliani e come soldati e orgo-glio ed amor proprio ci impo-nevano di combattere. A talisentimenti si sovrappose, madel tutto tardivamente, l’ordi-ne pervenuto dal Comando,che dalla ben protetta e sicuraBrindisi ci ordinò di resisterepromettendo aiuti che poi noninviò, impedito dagli ordiniricevuti dai nuovi “alleati”Non credo invece che il nostrogenerale ci abbia denunciatoai tedeschi, come afferma unacerta recente versione di queifatti (Paolo Paoletti, “I traditidi Cefalonia”, Mursia ed.)perché, al di là di alcune ini-

ziali incertezze ben compren-sibili in una situazione tantoconfusa, se fosse veramenteandata così non lo avrebberofucilato, come invece fecero.Sta di fatto che il mattino del15 settembre fummo chiamatiin soccorso del primo batta-glione del 317°, attaccato daitedeschi nella zona di S,Eufemia, a ridosso di Sami,l’altra cittadina importantedell’isola. Quando arrivam-mo, il battaglione, che si erapericolosamente schierato inuna zona priva di riparo, eragià stato annientato e i tede-schi stavano ripiegando. Liinseguimmo per vendicarequei ragazzi, ma non riuscim-mo a raggiungerli perché ave-vano posizioni più forti e l’a-viazione nemica ci bersaglia-va impietosamente. Così cischierammo al centro dell’iso-la, in una zona montagnosafra Sami e Paulata. E qui ini-zia il racconto del nostro mar-tirio. I tedeschi avevano nelfrattempo potuto ricevere rin-forzi: tre battaglioni (apparte-nenti alla divisione alpinaEdelweiss, artiglierie e semo-venti) che in poco tempo cicircondarono e non avemmopiù scampo. La mattina del 21settembre si accese una batta-glia, breve ma sanguinosissi-ma. In quell’inferno di fuoco,attaccati da terra da forzesoverchianti e mitragliati ebombardati dal cielo nonpotemmo che soccombere. Alriparo dietro una roccia, viditanti ragazzi del mio repartoarrendersi ed essere immedia-tamente uccisi con un colpo dipistola alla testa pur se ormaidisarmati, e i corpi gettatinella scarpata sottostante. Iofui fra gli ultimi ad esser cat-turato; mi aspettavo che miavrebbero ucciso nello stessomodo. Invece risparmiaronome ed una decina di altri alsolo scopo di farci trasportarea valle le loro casse dellemunizioni ed alcuni proiettilida mortaio. Ci incolonnaronoe per la valle che scende verso

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Clodoveo Crotti, a sinistra, nel giugno del 1941, a Corfù;

carico di decorazioni.a destra, oggi, con il petto

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il Monastero di AghiosGherassimos passammo framucchi di corpi dei nostricommilitoni uccisi in combat-timento o assassinati in quelmodo. Nei pressi del monaste-ro, vicino al villaggio diFrangata, ci fecero fermare.Un anziano maresciallo presecon sé alcuni ragazzi e siallontanò; penso che sapesseche fine ci aspettava e volessesalvarne almeno qualcuno.Sta di fatto che fecero riunireal nostro gruppo una ventinadi ragazzi di un reparto disanità, certo incolpevoli dialcuna azione di guerra, emolti altri soldati che avevanoconcentrato in quel luogodalle località dei dintorni.Presto capimmo che ci stava-no per fucilare. Ci fecero dap-prima inquadrare e poi cischierarono in file multipledavanti al vecchio muro dellacasa del Pope. Uno di queigiovanissimi, disperato, sirivolse a me dicendomi:‘Maggiore, l’Italia si ricorde-rà di noi?’. Se penso a quelvolto, a quella frase e all’a-marezza di tutti questi anni,non posso trattenere le lacri-me. Nessuno ci ha ricordato;anzi, qualcuno ha perfino insi-nuato che noi superstitiavremmo raccontato il falso;in Germania, in una specie diprocesso burletta intentatonegli anni ’60 contro gli uffi-ciali responsabili del massa-cro finirono tutti assolti; ilgoverno italiano, per partesua, insabbiò deliberatamenteogni indagine per non… ‘dan-neggiare’ l’immagine dellaGermania quando, negli anni’50, occorse sostenerne ilriarmo in funzione antisovieti-ca. Per fortuna oggi se ne puòparlare. Speriamo serva aqualcosa”!Con il timore di sentir prose-guire il racconto, ma nellaconsapevolezza di volerlo e didoverlo fare, dopo una rispet-tosa pausa durante la qualepare anche a me di rivedere ifotogrammi di quella ango-sciosa e penosissima scena

(sapevo già, infatti, che solo aFrangata erano stati fucilaticirca 300 uomini) mi rivolgoal mio interlocutore, l’improv-visa fissità del cui sguardo,ora perso nel vuoto, tradisce ilripetersi di un incubo incan-cellabile.E a quel punto cosa fecero itedeschi?“Piazzarono una mitragliatri-ce a pochissimi metri da noi edue di loro, con i fucili mitra-gliatori, si misero ai capi delle

file, per impedire ogni tentati-vo di fuga. Tutte le nostre vite,i volti dei nostri cari, si affac-ciarono con prepotente nostal-gia nelle nostre menti; alcunisi raccomandavano a Dio avoce alta. Ma non ci lasciaro-no molto tempo per farlo.Qualche secondo ed iniziaro-no a sparare. Onestamentedebbo dire che mi parve lofacessero perché obbligati, macon una certa pena. Ricordosolo la secca cadenza della

prima scarica e le vampedalla volata dell’arma. Fragrida, spari, urla, sangue euomini che l’impietosa mitra-gliatrice maciullava da quellatanto breve distanza, io ebbi laprontezza di spirito di gettar-mi a terra. Su di me cadderocorpi martoriati di tanti, equelli non ancora colpiti ini-ziarono ad implorare i tede-schi: ‘Basta! Basta!Lasciateci vivere! ne avete giàammazzati tanti!’…. Questegrida disperate impietosironoil sottufficiale che comandavaquel plotone d’esecuzione, cheinaspettatamente ordinò dicessare il fuoco e mandò unastaffetta al Comando per sen-tire, evidentemente, se potevasmettere quel massacro. Lastaffetta tornò con un coman-do atroce : ‘Alles kaputt’. Tutticapimmo che era giunta lanostra ora. Il sottufficiale, dimalavoglia, abbassò l’ottura-tore, ricaricò l’arma e ripresea sparare. Nuovamente migettai a terra e fui nuovamen-te coperto da altri colpiti emoribondi.Quell’inferno durò diversiminuti, interminabili. Erorestato miracolosamente ille-so, paralizzato dal terrore,schiacciato sotto il peso ditanti corpi inerti; avevo ripor-tato solo una ferita di striscioad un polpaccio ma il caldosangue dei tanti uccisi miricopriva completamentecome se fossi morto e mi pro-tesse dallo sguardo di control-lo del soldato che passandofra i feriti rantolanti dava loroil colpo di grazia. Mentre itedeschi si allontanavanodopo aver portato a terminequel loro macabro ordine inci-vile, proprio sopra di me unpovero disgraziato si mise adurlare ‘camerati, cameratitedeschi, venite ad ammazzar-mi per favore, non fatemi sof-frire!!’ …. Sentii il sordorumore prodotto sul terrenodagli scarponi di un tedescoche, tornato sui propri passi,esaudì quella drammatica

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LA DIVISIONE ACQUILa Divisione Acqui contava 11.700 uomini e 525 ufficiali.Secondo notizie desunte da internet (dati ANPI) a Cefaloniafurono passati per le armi 5.000 soldati e 446 ufficiali; altri3.000 uomini morirono nell’affondamento delle navi che liconducevano in prigionia. A questi caduti devono aggiunger-si quelli morti in combattimento (1.350 circa). L’epigrafe delmonumento eretto ad Argostoli nel 1978 reca invece questidati: Morti in combattimento: ufficiali 26, sottufficiali e soldati1250. Fucilati: ufficiali 155, sottufficiali e soldati 5000; dis-persi in mare 3000.La riscoperta del caso “Cefalonia” prende avvio, sulla stampa,da un articolo di Mario Pirani apparso su “La Repubblica”, del15 settembre 1999. Da allora, si è di volta in volta parlato delprimo esempio di Resistenza antitedesca, di reazione sponta-nea ad un’intollerabile richiesta lesiva dell’onore militare, diobbedienza agli ordini del Comando Italiano in attesa dei soc-corsi assicurati e mai inviati, di repressione brutale per rea-zione al colpo di Stato di Badoglio, di punizione severa perl’insubordinazione delle truppe al proprio Generale e addirit-tura di denuncia di insubordinazione da parte dello stessoGandin, asseritamente disposto a cedere le armi, ma contra-stato da alcuni ufficiali politicizzati, agitatori e sobillatori deireparti, ai quali, stante la mancata dichiarazione di guerraalla Germania, non sarebbe stato riconosciuto lo status ditruppa di uno stato belligerante, declassandolo a quello difranchi tiratori (o banditi badogliani, come i nostri venivanochiamati), non protetti dalle convenzioni internazionali allapari dei partigiani, e quindi passibili della fucilazione imme-diata (episodio che, ad onor del vero, si verificò in tali abomi-nevoli proporzioni solo a Cefalonia). I tragici fatti di Cefaloniahanno costituito spunto per numerose e contrastanti pubblica-zioni e persino per alcuni processi da nessuno dei quali sonoperò emerse precise responsabilità nell’uno o nell’altro senso.Di quell’eccidio, indipendentemente dalle versioni che ne sonostate date, deve comunque restare a imperitura memoria l’or-rore per la ferocia con la quale furono uccisi, a migliaia –qua-lunque ne sia stato il motivo scatenante-, soldati ormai arresi edisarmati. E’ una macchia indelebile che pesa da sessant’annisull’onore dell’esercito tedesco e che potrà esser lavata solo sedal processo che si è riaperto a Dortmund nel 2001, verràresa finalmente giustizia anche se postuma.

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el commento al TerzoCanto dell’Inferno di

Dante, pubblicato sul Corrieredella sera (del 28 maggio2004) Sergio Romano si sof-ferma sui versi dedicati alleanime triste di coloro / chevisser sanza infamia e sanzalodo … delli angeli che nonfuron ribelli / ne pur fedeli aDio, ma per sé foro.Scrive Romano che questiversi possono essere bene rife-riti a coloro i quali, nel nostrotempo, non vollero fare la“scelta di campo”, come inve-ce fecero i “resistenti italiani efrancesi durante la secondaguerra mondiale … i ribelli diBerlino nel 1953, di Budapestnel 1956, di Praga nel 1968,ma anche i ‘ragazzi di Salò’ ”.Ho conosciuto, qualche setti-mana fa, un tranquillo signoredi ottantaquattro anni, seduto,con gli amici, a uno dei tavoliesterni di un caffè di Marina.E’ Giovanni Ravegnani. Negliultimi cinquant’anni del seco-lo trascorso egli ha lavoratoalla S.C.M., dove è pervenutoalla funzione di direttore gene-rale amministrativo, posizionedi rilievo nel mondo economi-co riminese.Di lui non si può dire che fufra coloro che visser sanzainfamia e sanza lodoe soloper sé foro.Il tranquillo signo-re la sua scelta di campo lafece.Nel 1942 fu chiamato allearmi. Poiché un servizio mili-tare qualsiasi non gli piaceva,frequentò la Scuola guastatoridi Civitavecchia, dove conse-guì il brevetto. Poi passò allaScuola allievi ufficiali diSpoleto. Il 30 agosto 1943 lasituazione disperata dellenostre armi non gli impedì dichiedere d’essere avviato alfronte in Sicilia, dov’eranosbarcati in forze gli Alleati. Sisarebbe anche accontentato diessere mandato a un

fronte qualsiasi, ma i superioriritennero di assegnare il gio-vane tenente al PrimoReggimento di Fanteria diCividale del Friuli.L’8 Settembre era in caserma,dove erano alloggiate 3.000reclute. Quasi tutti gli ufficialilasciarono i loro reparti ren-dendosi irreperibili. Giovanniriunì i 120 uomini della suaCompagnia, dispose che simettessero in borghese, e conl’ausilio di una cartina topo-grafica acquistata pochi giorniprima, li condusse, a piedi,percorrendo strade secondarie,prima a Palmanova, poi aCervignano. In quella stazioneferroviaria licenziò i suoi

uomini e, in divisa, salì su diun treno affollatissimo, diret-to a Ferrara. Durante il viag-gio, due sposi vecchietti glidissero: “Sieda qui tenente,accanto a noi”. Sceso daltreno si accorse che uno diloro gli aveva infilato in tascacinquanta lire.Giunto a Rimini seppe che aPavia era stato costituito unCentro raccolta Guastatori,comandato dal capitanoMorelli, reduce dalla Russia,medaglia d’argento. Vi si pre-cipitò.Di qui i Guastatori si trasferi-rono a La Spezia, dove laDecima Flottiglia Mas diJunio Valerio Borghese sistava organizzando comeCorpo di Fanteria di Marinadella Repubblica SocialeItaliana.Le truppe tedesche avevanointimato la resa a quei mari-nai, ma essi avevano mostratoloro le armi, costringendo icamerati germanici a una trat-tativa e a un accordo di noninterferenza. La Decima rima-

neva un corpo indipendenteper partecipare alla difesa delterritorio nazionale contro gliAlleati, come ad Anzio eNettuno, dove lasciò tanticaduti e guadagnò tante meda-glie al valore.Alla Spezia il tenente guasta-tore Ravegnani conobbe unasvolta decisiva, e non gradita,della sua vita militare.“C’erano file lunghissime digiovani che volevano arruolar-si. Vi erano lamentele perchéil rancio era cattivo. Qualcunofaceva la ‘cresta’ sulla spesa.Impiegati civili rubavano incucina. Fui incaricato di vede-re che cosa si poteva fare. Nelgiro di pochi giorni, risolsi ilproblema, recandomi perso-nalmente a fare la spesa eallontanando i civili dallacucina. Il risultato fu tale cheil Comandante Borghese michiamò e mi disse che di lì inavanti sarei stato (nonostantefossi un semplice tenente) ilresponsabile del ServizioVettovagliamento dell’interoCorpo. Protestai, dicendo cheero venuto per fare la guerra,ma non ci fu nulla da fare.Così ebbe inizio la mia vitamilitare da Intendente, che micostrinse a viaggiare per tuttal’Italia settentrionale, perchéla Decima non requisiva, maacquistava in contanti al mer-

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TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M

RIMINESI NELLA BUFERA / GIOVANNI RAVEGNANI

NELLADECIMAMAS PER L’ONORE DELLA BANDIERARomano Ricciotti

24

N “Non sono mai stato

fascista.

Mio padre era socialista

ed ebbe anche qualche

noia a opera dei fascisti.

Mi arruolai nella

Decima per reagire

allo sfacelo morale

dell’8 settembre”

Spoleto, primavera 1943.Giovanni Ravegnani

nella caserma “Enrico Cosenz”alla Scuola Allievi Ufficiali.

Anni Cinquanta. L’arbitro Ravegnani tra

i segnalinee Laureti e Antoni.

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cato più conveniente”.La Decima si trasferì a Ivrea. Irapporti con la popolazioneerano buoni. Il tenenteRavegnani trovò anche lafidanzata, la signorina GiannaGirodo che poi sposò, e gli fucompagna in tutti i trasferi-menti, e poi nella vita. Ilmatrimonio fu celebrato nelDuomo di Ivrea. Uno dei duetestimoni fu Ciro Merli, diri-gente dell’Olivetti, e compo-nente del Comitato di libera-zione nazionale, con il quale,nonostante le opposte militan-ze, Giovanni aveva instauratoun rapporto di amicizia. Coseche accadono in Italia.Avvenne purtroppo un fattodoloroso, che mutò l’atteggia-mento politico-militare dellaDecima. Ricorda Ravegnani:“Il Comandante UmbertoBardelli, con un gruppo dimarò, si recò a Ozegna, doveaveva appuntamento conesponenti del Comitato diliberazione, per concordareun’intesa di non aggressione,allo scopo di evitare lotte fra-tricide. Si presentò, invece, ilcapo di un reparto partigiano,detto Piero Piero. Mentre i dueparlavano, la piazza del paesesi gremì di partigiani armati ea un tratto Piero Piero si ritras-se e intimò a Bardelli:Arrendetevi, siete circondati.Bardelli gli rispose: Barbarigonon si arrende. Quelli spararo-no, uccidendo l’ufficiale enove o dieci marò. La Decima,per la prima volta, fece unrastrellamento di rappresa-glia”.Dopo di questo vennero altriagguati dei partigiani, altrimorti della Decima e altrirastrellamenti, in quella spira-le di “rappresaglie e contro-rappresaglie” di cui parla lostorico Claudio Pavone nelsuo libro Una guerra civile.“Verso la fine del 1944, rac-conta Giovanni, la Decima futrasferita al confine orientale.Fummo a Conegliano Veneto,a Maniago, a Udine, a Gorizia.Qui la Decima ebbe scontricon i tedeschi, che non ci sop-

portavano. Alla fine ci fu ordi-nato di ritirarci al di qua delTagliamento. Ricordo che sfi-lammo, in una giornatamemorabile, con tutta Goriziaimbandierata di tricolori. Lagente aveva capito bene checosa stavamo facendo e piùgrande era il timore degli slaviincombenti, tanto maggioreera la simpatia nei nostri con-fronti. I nostri l’avevano meri-tata, quella simpatia dei gori-ziani. Poche settimane prima,il 20 gennaio 1945, a Tarnovadella Selva, dopo due giorni di

combattimenti, anche all’armabianca, contro il IX Corpus diTito -duecento italiani contromille slavi- il battaglioneFulmine della Decima riuscì asganciarsi con l’aiuto di forzetedesche e italiane. Il repartolasciò sul campo 86 fra uffi-ciali e marò. I feriti e gli uomi-ni che non erano riusciti asganciarsi furono trucidati sulposto”.Venne la fine dell’aprile 1945.Il tenente Ravegnani, dopoavere versato viveri e materia-

le logistico al Podestà delluogo, trovò alloggio, con lamoglie, in una villa di campa-gna presso Thiene, in attesa digiorni migliori per intrapren-dere la strada del ritorno aRimini.Era, naturalmente in abiti bor-ghesi. Un drappello tedesco inritirata scambiò lui, e otto con-tadini, per partigiani.“Avevano già spianato learmi. Non sapendo che cosafare, corsi verso i tedeschi gri-dando: Ich bin offiziellDecima Mas. Il comandante

del reparto mi fece avvicinare.Esibii il mio tesserino. Il tede-sco disse qualcosa come: Gutsoldaten Decima Mas. Efummo liberi. Ebbi poi la visi-ta di due partigiani che miconvocarono davanti al lorocomandante. Vedendo i gradi,lo chiamai signor Colonnello.Mi rispose ridendo che lui era

sottotenente come me e che sitrovava lì perché non erariuscito a raggiungere il suopaese nell’Italia meridionale.Mi rifocillò e mi diede unlasciapassare dove scrisse checon il mio comportamento‘eroico’ avevo salvato ottopersone dai tedeschi. Ma, miavvertì, questo lasciapassarevale soltanto per il comune diGrumolo. Infatti, tornato allacasa dove ero stato prelevato,giunsero partigiani da Thiene,i quali, dopo avermi regolar-mente picchiato, mi condusse-ro in paese. Non essendociposto nel carcere, costrinserome e altri a vangare il giardinopubblico. La sera tornavo allacasa di campagna e il mattinodopo venivano a prendermi inmotocicletta. La cosa finìquando ci portarono allaCaserma ‘Chinotto’ diVicenza, dov’erano detenutialtri 3.000 compagni di sven-tura. Vi rimasi tre mesi. Il 10agosto 1945 fui scarcerato. Miandò bene, fui fortunato”.Chiedo a Giovanni se, in queltempo, fosse fascista. “Non loero, risponde. Mio padre erasocialista ed ebbe anche qual-che noia a opera dei fascisti.Mi arruolai nella Decima perreagire allo sfacelo moraledell’8 Settembre. Non riusci-vo a sopportare il tradimentoagli alleati tedeschi, la perditadell’onore, l’accusa che gliitaliani incominciano le guerreda una parte e le finiscono dal-l’altra.

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TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M25

“Il Comandante Borghese mi chiamò

e mi disse che di lì in avanti sarei stato

(nonostante fossi un semplice tenente)

il responsabile del Servizio vettovagliamento

dell’intero Corpo”

Anni Settanta, Stadio Comunale “Romeo Neri”.

Ravegnani, dirigente accompagnatore dell’arbitro

Pieri di Genova.

Anni Sessanta. Ravegnani, “giovane leone”,

sulla spiaggia.

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i potrebbe davvero defini-re una vita avventurosa,

vissuta sempre sul filo delrasoio del pericolo quella diDecio Mercanti; una vita ani-mata da una forte passionepolitica nutrita da un ideale diuguaglianza sociale e di riscat-to della classe lavoratrice. Unafigura di antifascista e com-battente nella Resistenza chel’opera di Sara Croce, la suaconsorte, ha evidenziato conuna folta documentazione cheha visto da due prospettive:quella dell’antifascista perse-guitato e quella dell’apparatodi polizia (non solo italiana)attraverso il fascicolo delCasellario Centrale di Stato, eciò non con la pretesa critica ostoriografica, ma solo per l’in-tento di offrire una testimo-nianza dell’attività della poli-zia di Stato e della poliziafascista, l’OVRA, i suoi tra-nelli, la sua violenza nelriguardo degli avversari politi-ci.

Si è voluto qui ricordarlo sullabase di un racconto autobio-grafico e le sue lettere, tuttocommentato dalla moglie Saranel volume “Nell’occhiodell’OVRA – Cronistoria diun comunista”, pubblicato nel1990 da La Pietra editore.Decio Mercanti nasce a Forlìnel 1902 in una famiglianumerosa. In casa, sin da pic-colo, udiva discutere con calo-re di politica: erano socialisti erepubblicani. Nel 1911 lafamiglia si trasferisce adAirole presso Ventimiglia;Decio fu messo come “boc-cia” accanto ai minatori chelavoravano in una galleria perla costruzione della ferroviaCuneo-Ventimiglia, sino alritorno a Forlì. Nel 1916,

durante la prima guerra mon-diale parte al fronte a lavorarecome civile con il GenioMilitare cominciando a piaz-zare i cavalli di frisia al rombodelle cannonate.Al ritorno a casa, lui e i suoiamici nutrono sentimenti diribellione nei confronti dicoloro che, a casa, esaltavanol’interventismo. Aumenta l’o-dio contro la guerra, mentre iprincipi del socialismo vengo-no sempre più evidenziandosi.L’euforia per la vittoria durapoco: la situazione sociale epolitica in Italia veniva sem-pre più aggravandosi per lacrescente disoccupazione el’aumento del costo della vitache provocano, nel 1920-21,uno spontaneo e violentomovimento popolare controgli arricchiti di guerra, i cosid-detti “pescicani”. La reazioneallora si organizza e, finanzia-te largamente dagli agrari edagli industriali, nascono le“squadre punitive” fasciste. E’in tale ambiente di violenza edi povertà che viene forman-dosi la coscienza sociale epolitica del giovane Decio,

mentre le violenze comincianoa dilagare anche in Romagnacon incendi alle sedi dei gior-nali di sinistra e dei sindacati,vicende che culminano nel1922 con la marcia su Roma.In questo clima politico surri-scaldato decide di allontanarsiper qualche tempo da Forlì aGenova dove lavora come bar-biere, e inizia l’attività politicanella sezione comunista, mapoiché anche in Liguria lasituazione diveniva semprepiù precaria decide di trasfe-rirsi in Francia. Siamo nel1922. Tra il 1922 e il 1930 sisposta da una regione all’altra:Nizza, Cannes, Vichy inNormandia e per soggiorniprolungati a Parigi.Parigi è il principale asilo deirifugiati politici, mentre icomunisti lavorano nella clan-destinità; sono anni di riunionipolitiche e organizzative, diaccesi dibattiti ideologici,mentre in Italia si consumavail delitto Matteotti. Vi sonoscontri con gruppi fascistifrancesi, tanto che la poliziacomincia a collaborare conquella italiana relativamente aDecio Mercanti come comuni-sta pericoloso. E la lunga odis-sea degli arresti, delle espul-sioni e delle percosse ha ini-zio. Dopo un mese di deten-zione nel carcere de La Santèsi trasferisce a Bruxelles, inBelgio. Il 1931 è un anno difitta corrispondenza dei servi-zi dell’OVRA e della poliziadi Stato per la sua ricerca. Nel1932 conosce l’esilio nelLussemburgo e in Svizzera. AGinevra c’è un tentativo d’in-cendio alla sede dell’OVRApresso il Consolato italianoper protestare contro le violen-ze perpetrate dai fascisti nelcarcere di Civitavecchia aidanni dei condannati dalTribunale Speciale, e Mercantiviene arrestato perché sospet-tato dell’incendio, ma poi pro-sciolto per aver presentato unalibi credibile; comunque èespulso dalla Svizzera e il par-tito lo sospende come misura

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TRA CRONACA E STORIA

A R I M I N V M

RIMINESI CONTRO / DECIO MERCANTI

IL COMUNISTA “JANNOT”Ivo Gigli

26

S

Parigi, giugno 1926.Decio Mercanti

(secondo da sinistra)coiffeur de dames.

“Una vita animata

da una forte

passione politica

nutrita da un ideale

di uguaglianza sociale

e di riscatto

della classe lavoratrice”

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disciplinare, in quanto non siammettevano iniziative indi-viduali al di fuori delle diretti-ve dello stesso. Così nel 1934è di nuovo a Parigi. Nel 1936con la vittoria in Francia delFronte Popolare riesce final-mente ad ottenere il permessodi soggiorno, ed è in questoperiodo che assume la respon-sabilità dell’organizzazionedella propaganda per il reclu-tamento dei volontari delleBrigate Internazionali in dife-sa della Repubblica spagnola.Mercanti ha assunto intanto lopseudonimo di Jannot, cheappare spesso nel carteggiodella polizia italiana. Nel 1937un crimine sconvolge ilmondo antifascista: l’assassi-nio di Carlo e Nello Rossellicompiuto dai cagoulards, settafrancese di destra. Nell’agostodel 1939, quando vi fu il pattodi non aggressione germano-sovietico, si accendono vio-lente polemiche nella sinistra,e la polizia francese iniziaancora a dare la caccia agli“stalinisti” (così definiti colo-ro che difendevano la posizio-ne dell’URSS), tra cuiMercanti. Questi decide di tor-nare in Italia per riprendere lalotta clandestina con altricompagni: “meglio la galerain Italia che in Francia”, scrivenel suo diario. A Milano, tra il1940 e il ’41 subisce tre arresti“preventivi”. Nella primaveradel 1943, proveniente daParigi, Galeffi lo informa chela sua posizione era stata chia-rita e poteva riprendere l’atti-vità politica nel partito.

Arriva l’8 settembre e conl’arrivo dei tedeschi e la nasci-ta della Repubblica di Salò sitorna alla clandestinità.Nonostante le grandi difficoltàè costituita la federazioneriminese del PCI e creatiGruppi di Azione Patriottica

(GAP) per iniziare una strettacollaborazione con le truppealleate. Il 1944 è l’anno piùdrammatico del periodo belli-co con bombardamenti a tap-

peto sulle città e una violentarepressione fascista e nazistacon rastrellamenti ed eccidi.Mercanti viene nuovamentearrestato e la polizia lo conse-

gna alla Gestapo di Forlì peressere interrogato, ma mentreviene portato al Comando(c’era un allarme aereo)cominciano a piovere le

bombe tutt’intorno e nel granfuggi fuggi generale di guar-die e civili riesce ad eclissarsifuggendo venturosamente inmontagna.Il 21 settembre Rimini vieneliberata dagli inglesi. QuandoMercanti rientra in città latrova deserta e distrutta, pienadi militari alleati. Nelle suememorie fa notare che l’atteg-giamento degli Alleati neiconfronti della Resistenza fusempre ambiguo e diffidente.Negli anni seguenti ha l’inca-rico di organizzare l’ANPI el’ANPPIAdelle quali sarà pre-sidente onorario. Muore nel1992.

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TRA CRONACA E STORIA

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Nizza, 1925. Mercanti (a destra)

con due amici italiani.

Rimini, 1948. Comizio di Pietro Nenni

per il Fronte popolare. Decio Mercanti

alla destra dell’oratore.

“Nel 1936

con la vittoria

in Francia

del Fronte Popolare,

Mercanti

riesce finalmente

ad ottenere

il permesso

di soggiorno....

... In questo periodo

è responsabile

del reclutamento

dei volontari

delle Brigate

Internazionali

in difesa

della Repubblica

spagnola”

“Il 21 settembre Rimini viene liberata dagli inglesi.Quando Mercanti rientra in città

la trova deserta e distrutta, piena di militari alleati.Nelle sue memorie fa notare

che l’atteggiamento degli Alleati nei confronti della Resistenza fu sempre ambiguo e diffidente”

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omenica 2 agosto 1874,festa del perdono

d’Assisi. In una villa sul colleCovignano è riunita una trenti-na di persone. La riunione èappena iniziata quando irrom-pono i Carabinieri Reali, sup-portati da una compagnia difanteria e sospendono i lavoriarrestando i convenuti. Questinon erano delinquenti comuni,ma i rappresentanti del mazzi-nianesimo italiano riunitisi aVilla Ruffi allo scopo dichia-rato di decidere dell’opportu-nità a meno di partecipare alleelezioni politiche previste perl’autunno.La convocazione, spedita daEugenio Valzania, recitava:“Caro amico il noto convegnoper decidere sulla condotta datenersi nelle prossime elezionipolitiche è fissato per il giornodi Domenica 2 agosto. Alleore 11 del mattino ci trovere-mo tutti allo stabilimento deiBagni in Rimini. Non manca-te. E. Valzania, Cesena 1874”.Era stato scelto lo stabilimen-to dei bagni perché per moltidi loro era luogo di abitualeritrovo estivo e forse anchenella speranza che l’afflussodi gente scesa a Rimini per lastagione balneare facesse pas-sare inosservato l’arrivo deidelegati non ancora presenti escongiurasse una loro even-tuale sorveglianza da partedella polizia.All’organizzazione dell’in-

contro fu incaricato il venti-treenne Domenico Francolini,ricco proprietario terriero,amico e vicino di casa delCav. Ercole Ruffi, presidentedella camera di commercio emoderato in politica, dal qualeottenne in prestito la villa perpoche ore, per adibirla e sededel convegno.I repubblicani riminesi, con acapo l’avvocato CaioRenzetti, non vedevano dibuon occhio una riunione delgenere da tenersi nella lorocittà, ma alla fine l’autoritàdel Francolini prevalse suogni altra considerazione e ilraduno si tenne.Dei riminesi a Villa Ruffi oltreal Francolini salironoDomenico Bilancioni, AchilleSerpieri, Antonio Borzatti,Camillo Ugolini, InnocenzoMartinini, il santarcangioleseconte Ludovico Marini e ilverucchiese Augusto Grassi.Per quale motivo gli arresti?Due anni prima sempre aRimini era nata la federazioneanarchica; i repubblicanierano divisi fra mazzinianiosservanti e seguaci diGaribaldi, quest’ultimo piùvicino alle posizioni interna-zionaliste; i socialisti andava-no rimestando nel torbido neltentativo di scalzare l’onnipo-tenza repubblicana inRomagna, accusando i suoiaddetti di essersi messi al ser-vizio della borghesia e di per-

seguire, per risolvere i malidella società, l’abbattimentodella monarchia, lasciandoimmutata per il resto l’orga-nizzazione statale. Secondo ilGoverno il raduno celava loscopo di decidere l’adesionead un disegno più vasto, diconcerto con gli internaziona-listi per dare vita ad un motoinsurrezionale che dallaRomagna doveva estendersi atutta Italia. Il moto infattiscoppiò l’8 agosto successivoa Bologna, con la partecipa-zione anche dei repubblicani,e fu un fiasco colossale.L’episodio di Villa Ruffi destòuna grande eco nella stampanazionale ed estera e nelParlamento nazionale. Riminiera diventata il centro dell’at-tenzione europea. Il 7 agostofu pubblicata una protesta fir-mata da più di duecento rimi-nesi di ogni credo.Nei giorni successivi corseroliberamente le voci su chiavesse informato le autoritàsul luogo del convegno. Nonsi seppe mai. Secondo alcunierano stati i socialisti per dis-trarre da loro stessi l’attenzio-ne della polizia; altri fecero ilnome dell’avvocato cesenatePietro Turchi, uno dei conve-nuti. Riscosse maggior credi-to, anche se sussurrata, quellache a far la soffiata fosse statoun tal Tosi detto Sbagioun,vicino del Ruffi col qualeaveva una ruggine per motivi

di confine. Se fosse vero omeno non è dato sapersi, quel-lo che è certo è che il Tosipensò bene di sparire daRimini e rifugiarsi inAmerica.Nel tentativo di trovare proveche giustificassero gli arresti,le autorità fecero perquisire lesedi repubblicane, chiuse poid’imperio senza alcun risulta-to.Gli arrestati dopo qualchemese di detenzione, furonoprosciolti dal Tribunale.L’assoluzione sollevò un puti-ferio in loro favore in ogni set-tore dell’opinione pubblica,anche in quelli che avevanopremuto in favore della lineadura da adottarsi nei confrontidei “sovversivi”.Le elezioni tenutesi l’8 ed il15 novembre successivi, vide-ro l’affermazione dei repub-blicani sull’onda dell’emozio-ni suscitata dalla loro vicenda,affermazione che fu più ilfrutto dell’azione di governovolta a contrastare le opposi-zioni, che dell’impegno profu-so dalle stesse per ottenerequel risultato.

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TRA CRONACA E STORIA

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NOTERELLE RIMINESI DELL’OTTOCENTO

IL CONVEGNO DI VILLA RUFFIArturo Menghi Sartorio

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D

Innocenzo Martinini.Sopra: Caio Renzetti

Da sinistra: Achille Serpieri,Domenico Francolini e Antonio Borzatti

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el cuore della Città,all’interno del complesso

dei palazzi comunali che siaffacciano su piazza Cavour,sul far della primavera si è dis-chiusa una nuova realtà, laCasa delle Donne, nata da unadecennale esperienza delloSportello Donna. Ad ospitarlaè la Torre Civica, per l’occa-sione recuperata e restituitaalla cittadinanza: eretta inrelazione al palazzodell’Arengo agli inizi del XIIIsecolo, la Torre, che si elevavaal di sopra delle costruzioniprivate, simboleggiava lasupremazia politica del liberoComune, assolvendo anche ilcompito di carcere e scanden-do per secoli, con il suonodella sua campana, i momentisalienti della vita pubblica. Unluogo affollato di memoriequello su cui si apre l’ingressodella Casa delle Donne, cheprospetta sul passaggio tra ilporticato del palazzodell’Arengo e la retrostantepiazzetta San Martino: qui,infissa alla parete, campeggiauna grande targa in pietra cheraccoglie le unità di misurariminesi in vigore alla metàdel Cinquecento.Questo angolo collocato inuna posizione centrale ma,nello stesso tempo, appartata,spesso attraversato nella fret-ta, è stato valorizzato e riqua-lificato dall’apertura delnuovo Servizio volutodall’Assessorato alle PariOpportunità del Comune diRimini: tornando a vivere haridato vita ai locali storicidella Torre, prima destinata amagazzino, e rinnovata atten-zione allo spazio circostante.La porta aperta della strutturaappena inaugurata introducead un ambiente ospitale, il cuiarredo, pur mantenendo unaefficace funzionalità, vuolecomunicare senso di acco-

glienza e disponibilità, conattenzione alle esigenze didonne e madri.Luogo di incontro e di scam-bio di esperienze al femmini-le, la Casa delle Donne si pro-pone, attraversol’Osservatorio Donna, unruolo sociale come punto diriferimento per l’orientamen-to, la tutela, l’analisi e la pro-gettazione del lavoro, di infor-mazione, di consulenza, direlazioni fra le diverse etnie.In parallelo all’impegno socia-le si sviluppa l’attività cultura-le che contempla mostre, con-vegni, presentazioni di libri,incontri, dibattiti, seminari…incentrati sulle problematichefemminili. La valenza cultura-le distingue anche il PortalePenelope, inserito in un siste-ma regionale di SportelliDonna, archivi e centri di dif-fusione del sapere.

Il Programma Culturale delCentro si è inaugurato con lamostra Venere altra. La forzageneratrice delle donne, attra-verso le opere del Museo delleCulture Extraeuropee DinzRialto, allestita dall’8 marzoal 2 maggio 2004 nella Saladegli Archi del Palazzodell’Arengo. Promossadall’Assessorato alle PariOpportunità-La Casa delleDonne e dall’Assessorato allaCultura-Museo delle CultureExtraeuropee “Dinz Rialto”,la mostra è stata ideata daPietro Leoni e Marcello DiBella.Il percorso ha visto protagoni-ste 12 opere provenienti dalContinente Americano,dall’Africa e dall’Oceania arappresentare la femminilitàcon il suo potenziale di forzageneratrice in culture lontanenel tempo e nello spazio: dallagrande “scultura in felce arbo-rea” distintiva dell’alto rangoraggiunto dal personaggiodatata al XX secolo e prove-niente dalle Nuove Ebridi, al“pendente in terracotta” conraffigurazione a rilievo dellamaternità riferibile alla culturaLa Tolita dell’Ecuador (500a.C.-500 d.C.), alla “bamboladella fertilità” in legno scolpi-ta nel secolo scorso in Ghana. Una piccola rassegna che benevidenzia l’immaginario col-

lettivo intorno al mondo delladonna, caratterizzata dagliattributi simbolo della fertilitàe della procreazione, resi informa stilizzata ed evocativa onaturalistica.“Per quanto diverse siano perla loro origine geografica, perle orme, il loro materiale e laloro unzione esplicita, questefigure hanno qualcosa incomune.La femminilità è per l’univer-so maschile…il mezzo di pen-sare l’impensabile. E’ al con-tempo il mistero (della ripro-duzione) e lo strumento delsuo svelamento.” Con questeparole Marc Augé, antropolo-go di fama internazionale ePresidente del ComitatoOrdinatore del Museo delleCulture Extraeuropee “DinzRialto” introduce la mostranella prefazione del piccolo,prezioso opuscolo che l’ac-compagna.Non a caso è stata proprio ladonna, portatrice di vita, adinaugurare l’attività culturaledella Casa delle Donne: unmessaggio di energia e di posi-tività che, come un raggio disole, penetra un mondo perva-so da sentimenti di odio e dimorte, sublimando l’immagi-ne femminile come simbolo diamore e di pace.

LUGLIO-AGOSTO 2004

ROSA

A R I M I N V M

NEL CUORE DELLA VECCHIA RIMINI

LA CASA DELLE DONNEAngela Fontemaggi e Orietta Piolanti

33

N “Luogo di incontro

e di scambio

di esperienze

al femminile;

punto di riferimento

per l’orientamento

sociale e l’attività

culturale

fra le diverse etnie”

Pendente in terracotta, Americasec. 500 a.C. – 500 d.C..

Felce arborea, Oceania (Isole Nuove Ebridi), sec. XX.

Legno con patina, Africa(Ghana), sec. XX.

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ella notte del 20 febbraio2004 cessava di respirare

mons. Giovanni Locatelli giàvescoso di Rimini dallaPasqua del 1977 al 4 dicembredel 1988. Era stato colpito dal-l’ictus, che lo riduceva incoma irreversibile, il 15 gen-naio del corrente anno. Il cal-vario fisico si è protratto ben35 giorni, esattamente sino al20 febbraio. I funerali, poichési tratta di più liturgie esequia-li, seguirono il percorso “postmortem” nei luoghi dell’in-fanzia e del ministero presbi-terale ed episcopale.Anzitutto nella cattedrale diBergamo (il 23 febbraio), dicui fu parroco e nella qualevenne consacrato vescovo il20 marzo 1977. La secondastazione funeraria si ebbe aRota Imaga, paese natale delcittadino Giovanni Locatelli.Alla concelebrazione presen-ziarono i sacerdoti della ValleImaga e una folta assemblea difedeli. Il 23 febbraio le spogliemortali del venerato presulefurono trasferitenell’Episcopato di Vigevano,che fu la seconda e ultimaresidenza di titolare dellaDiocesi dal 1988 al 2000. Alledieci del 26 febbraio l’estremosaluto funebre nel duomo diVigevano in quanto vescovoemerito e con il diritto acquisi-to di riposare assieme allapopolazione che aveva servitoe amato con eccellente servi-zio pastorale. La concelebra-zione era presieduta dal cardi-nale Dionigi Tettamanzi, arci-vescovo di Milano nella mae-stosa cornice di dodici vescovie un centinaio di sacerdoti, deiquali una ventina saliti daRimini e San Marino-Montefeltro.

Il 4 aprile 1977, domenicadelle Palme, mons. Giovanni

Locatelli faceva ingresso nellaDiocesi accolto da una follabenevola e festante. Ricorda ilvescovo novello: “Appena misono affacciato al balcone mi

si è presentato lo scenario fan-tastico di Piazza Cavour, gre-mita di folla che salutava conrami di olivo, ho faticato atrattenermi le lacrime: era unasensazione fisica e spiritualeinsieme”. Si sapeva da moltiche mons. Locatelli giungevaa Rimini con un corredocospicuo di esperienze pasto-rali acquisite mediante il mini-stero della parola al clero, aireligiosi e le religiose. Fortedella propria maturità eloquia-le, salutava l’assemblea deifedeli che gremiva il TempioMalatestiano con pensieri ela-borati interiormente e signifi-cativi: “Non vi dico molteparole. Il tempo d’insegnare cisarà poi. Avrò bisogno, del

resto, di ascoltare molto giac-ché la vera parola esce dalsilenzio. Vengo volentierianche se non mi manca un po’di paura”.Costruito sulla roccia delVangelo e temprato nelladisciplina ascetica, GiovanniLocatelli rendeva visibile egradita la fede in virtù del vis-suto personale. La primacaratteristica qualificante erala passione e il carisma dell’o-melia e della catechesi assimi-lata dai Padri della Chiesa.Esercitato nella pazienza del-l’ascolto, faceva uso del dialo-go contagiando l’interlocutorecon la fermezza delle convin-zioni, ma lasciando semprespazio rispettoso per le diver-sità, o magari il dissenso, deglialtri nelle rispettive condizioniesistenziali. Semplicità e con-vinzione, che sono la forzamagnetica del persuadere, losituavano nell’umiltà del ser-vizio. Lavoratore instancabile,oserei dire eccessivo, si ritro-vava incapace di negarsi aqualsivoglia richiesta e occa-sione di bene.Il suo habitat preferenzialeerano i gruppi, i movimenti, leassociazioni e aggregazionilaiche o religiose. Ciascunacomunità, minuta o numerosache fosse, lo rinveniva anima-tore di idealità e attivismoinfaticabile nelle potenzialitàcreative di sviluppo civile,umano e spirituale secondo lostile dell’apostolo Paolo che si

LUGLIO-AGOSTO 2004

OSSERVATORIO

A R I M I N V M

NEL RICORDO DI MONS. GIOVANNI LOCATELLI VESCOVO DI RIMINI DAL 1977 AL 1988

COME DANIELE NELLA FOSSA DEI LEONIAldo Magnani

34

N

Rimini, 29 agosto 1982.Il Vescovo Giovanni Locatelli e il Papa Giovanni Paolo II.

Mons. Giovanni Locatelli in un ritratto a china

di Giulio Cumo

“Nel salutarmi,

con quel sorriso patetico

e dolente che emana

da una sofferenza

diurna e notturna,

mi disse:

Non posso combattere

i miei preti.

Preferisco andarmene

per il bene che voglio

alla Chiesa di Rimini”

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faceva “tutto a tutti per guada-gnare qualcuno a Cristo”.

Lo zenit della fatica episcopa-le toccò il settimo cielo il 29agosto 1982 nella visita apo-stolica di Giovanni Paolo II aSan Marino, al Meeting e allacittà di Rimini con la messasolenne al mare. Nei giorniche seguirono, a scrutareattentamente le pupille e ilineamenti del volto che trasu-davano serenità da tutti i pori,sembrava un piccolo Mosècon la luce riflessa del Sinai ela beatitudine mistica chelasciava sorpresi e stupefatti.La seconda perla traslucidadella collana episcopale fu lachiamata a Rimini delle SuoreClarisse che sistemò sullasommità di Covignano a latodella Casa degli Esercizi. Duefari, le Clarisse e gli Esercizispirituali, che proiettavano ilcono di luce e di graziasoprannaturale sulla metropolidel turismo, dell’edonismo,della mondanità e della tra-sgressione.

Se questi erano i petali croma-tici e soavi della rosa, nonsarebbe possibile, e quanto-meno onesto e oggettivo,rimuovere o glissare gli aculeiche schizzavano discordia eveleno dai cespugli della con-testazione globale. Assegnatoda Roma alla Chiesa rimineseper ricucire strappi e contrap-

posizioni, con il susseguirsidegli anni e dei fatti mons.Locatelli prese atto di ritrovar-si prima circoscritto poi asse-diato dalla virulenza disgrega-trice di quella componente,attiva e invasiva, del clero cheaveva come punto di riferi-mento la dottrina del france-scano Leonardo Boff:“Chiesa, Carisma e potere”.Palestra di scontro si prestò lapastorale di base intrapresa,come fase di sperimentazione,da suor Antonietta Vassallinella parrocchia di San Savinodi Croce. Dove la religiosatravalicava l’ambito di azioneal segno di proporsi ai fedelinella mansione di “parroco-pastora”. Euforizzata dal suc-cesso effimero e di facciata,spediva una “Lettera ai cristia-ni di San Savino” per denun-ciare l’incomprensione e “l’o-stilità dei preti del Vicariato(di Coriano), nonché i limitiinaccettabili del vescovoLocatelli”. In altre parole,“Carisma (lei!) e potere (laCuria).Dalla cuspide del campanile diSan Savino la recriminazionemontava lo scandalo nelleagenzie di stampa con la fina-lizzazione di una Chiesa, quel-la locale, trasformista e pre-conciliare. A movimentare lemarionette nei settori strategi-ci del Presbiterio e degli ufficidiocesani provvedeva l’irre-quieto “burattinaio”, ovvero“il grande fratello” che occul-tamente ideava, materializza-va e presiedeva una fattispeciedi governo-ombra da contrap-porre al Consiglio presbitera-le, canonico e visibile, cheaffiancava il Vescovo nellescelte ministeriali.Informato dei fatti e misfattidecisi d’intervenire sulCarlino di Rimini facendomiportavoce dello sdegno dioce-sano. L’opinione pubblicadoveva sapere che la guerri-glia giornalistica, condotta inmaniera anonima e critica,veniva orchestrata da una P2ecclesiastica smaniosa diemergere e contare come negli

anni Settanta. Nei giorni cheseguirono mons. Locatellifece sapere dal Vicario chedesiderava incontrarmi.Memorizzo visivamente quelpomeriggio canicolare nellostudio episcopale. Il Presuleallineava, una di seguito l’al-tra, le doppiezze, i sotterfugi ele ostilità di persone e ufficiche gli remavano contro. Daultimo il soprassalto di dignitàpersonale: “Dieci anni diascolto, di tolleranza e di per-dono non sono serviti a nulla.Ora si volta pagina: il Vescovosono io”. Seguì una riflessionea 360 gradi dalla quale facevacapolino la rinuncia alla guidadella Diocesi: “Al vescovoche mi succederà dimostreròcon evidenza documentariache la tolleranza non serve conloro. Questi sono i documenti(il falcone in bella vista sullascrivania) coi nomi deiresponsabili della situazione”.Nel salutarmi, con quel sorrisopatetico e dolente che emanada una sofferenza diurna enotturna, motivava la decisio-ne in procinto di prendere:“Non posso combattere i mieipreti. Preferisco andarmeneper il bene che voglio allaChiesa di Rimini”.Il 4 dicembre 1988, congedan-dosi dal clero e dai fedeli chestipavano il Duomo e debor-davano nel sagrato, lasciava iltestamento spirituale delpastore che aveva guidato ilgregge nei pascoli dello spiri-to: “Ho molto amato le perso-ne a me affidate privilegian-do… tutti. Non credo di averequalcosa da perdonare perchénon mi sono sentito ferito”.Apparentemente se ne andavaemarginato e respinto, effetti-vamente apparteneva a quellacategoria eccelsa di personeche sanno perdere: la superio-rità del bene sul male; la gran-dezza morale costruita sullespine dell’ingratitudine e ichiodi della croce episcopale.

Grazie, vescovo Giovanni.Migliaia di cristiani riminesi tihanno ricordato e seguito spi-

ritualmente lungo la via delCalvario. Dapprima, allor-quando ti facesti violenzanella decisione di lasciarli pernon essere –dicevi tu– pietrad’inciampo nella Chiesa diCristo in Rimini. Ora sappia-mo che a scavare nel profondonon sono le belle parole altiso-nanti o le opere della legge, alcontrario la potenza dello spi-rito: “La carne non conta, è lospirito che dà la vita. Le paro-le che vi ho detto sono spiritoe vita”. Nella medesima vitache li hai fatti crescere sonorimasti a credere e operare.Personalmente so di non aver-ti chiesto alcunché. A gratifi-carmi bastava la tua amicizia econsiderazione. Appena ti hovisto respinto e sofferente hocercato di darti una mano con-sapevole che mi sarei guada-gnato avversari e nemici. Macom’era possibile restareestraneo o indifferente alvederti come Daniele nellafossa dei leoni? Nella vita diuna persona le cose che costa-no maggiormente sono quelleche contano e fanno maturare.Ora che tutto è compiuto econsumato, ti appartiene ilpremio dei giusti. Riposa inpace, uomo di Dio. Per sem-pre.

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OSSERVATORIO

A R I M I N V M35

Rimini, 1988.Mons. Giovanni Locatelli.

Rimini, 29 agosto 1982.Il Papa e il Vescovo.

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uello di Stefano Pelloni,detto il Passatore, è unmito che in Romagna si

mantiene vivo da centocin-quant’anni e continua tuttora arappresentare l’emblema dellanostra terra e della sua gentesanguigna e generosa. Fioritatra realtà e leggenda, l’affasci-nante figura del brigantePassatore non sfiorisce neicuori, nel folklore e nei vinidella gente di Romagna.Non c’è nessun romagnolod.o.c. (come i nostri vini cheportano l’etichetta con l’effi-gie di questo mitico personag-gio) che non conosca o nonabbia mai sentito nominare ilfamigerato ‘Passatore’, resocelebre da Pascoli come‘Passator cortese’, anche se inrealtà di cortese, il crudele,valoroso e scapestrato banditorisorgimentale, aveva benpoco.Stefano Pelloni, nato aBoncellino nel comune diBagnacavallo nel 1824 emorto nella campagna diRussi nel 1851, ambedue nellaprovincia di Ravenna, eraquello che ai tempi nostri sipotrebbe paragonare comepopolarità ad un eroe leggen-dario alla Robin Hood, ma ilPassatore non aveva nientedell’eroe buono e senza mac-chia che rubava ai ricchi perdare ai poveri. Stuvanè,così lochiamavano i suoi familiari,rubava per il piacere di arric-chirsi, seguendo il richiamo diuna naturale inclinazione adelinquere e una forte volontàdi emergere, unita ad un’intel-ligenza acuta e a notevoli dotidi stratega e organizzatore.Non c’era un particolare fuoriposto nei colpi messi a puntodalla banda del Passatore. Egliarrivava, colpiva e sparivacosì velocemente com’eraapparso e per alcuni anniregnò come primo brigante

incontrastato nelle terre diRomagna. Ogni tanto regalavaun po’ del suo bottino ai pove-ri, agli amici, a quelli che loaiutavano a nascondersi e rifo-cillarsi quando ne aveva biso-gno e questo contribuì voluta-mente a creare quella fama dibrigante gentiluomo con cuiera conosciuto e addiritturastimato da quelli che nonvedevano in lui una minaccia;ricchi e forze dell’ordine aparte.Siamo in pieno Risorgimentoe gli animi della gente sonofomentati da ideali di libertàed eroismo, i repubblicanivedono in lui un uomo indo-mito e insofferente al potere,una specie di simbolo dellalotta contro il governo nonvoluto e quindi lo ammirano elo approvano, anche se in real-tà al Passatore la politica noninteressa. Egli tenta in tutti imodi di diventare famoso e ciriesce. Tristemente famoso avolte, per alcuni atti d’efferatacrudeltà.Il Passatore, così soprannomi-nato perché figlio di un tra-ghettatore di fiume, uomocoraggioso e di maschia bel-lezza, compì imprese unichenella storia del banditismo ita-liano e inimitabili come labeffa di Forlimpopoli. Quandola sera del 25 gennaio 1851,con la sua famigerata orda dibanditi occupa il Teatro

Municipale durante una rap-presentazione, tiene in ostag-gio tutta la cittadinanza pre-sente e manda i suoi compari arapinare le case dei rispettivibenestanti, poi, raccolto un belbottino, saluta tutti molto cor-tesemente e se la fila impunitocon in sottofondo la musicadell’orchestra.Numerose e famose sono lesue invasioni d’interi paesi,come quelle di Cotignola,Brisighella, Longiano e altre,dove con piani ben organizza-ti nei minimi dettagli e l’aiutod’informatori, occupava inquattro e quattr’otto un paesee lo saccheggiava da cima afondo. Apprezzava il coraggioe l’astuzia, accettava la paura,ma non perdonava assoluta-mente il tradimento e la viltàche venivano puntualmentepuniti con morti orribili.Quest’uomo forte e imprendi-bile, amato dalle donne e daibambini, le prime soggiogatedal suo fascino e dal personag-gio valoroso, i secondi dall’e-roe da imitare; sapeva essere avolte di una spietatezza incre-dibile, temibile giustiziere dichi non era dalla sua parte otradiva la sua fiducia. Ebbesulla sua coscienza più diventi assassinii.Proprio da uno di questi inizia,si dice, ma sembra più chealtro leggenda, la sua carrierada fuorilegge. Si racconta cheappena giovincello partecipò auna festa di paese non lontanoda Faenza, dove come al soli-to, grazie a un bicchier di vinoin più e al sangue caldo deiromagnoli, scoppia una rissa eil nostro Stuvanènon ancorafamoso come bandito ma notoa tutti come Passatore, rimanecoinvolto in maniera tragica.Scaglia un grosso sasso controun avversario, questi lo schivae l’improvvisato proiettile va acolpire una donna incinta lì

nei pressi che a causa delcolpo ricevuto in pieno ventreabortisce dopo qualche ora emuore nei giorni successivi.Pelloni viene accusato di omi-cidio, tratto in arresto e rin-chiuso nel carcere diBagnacavallo da dove fuggiràper darsi alla macchia.Questa storia non fu mai nésmentita né confermata, certoè che il nostro Passatore iniziòpresto ad avere guai con lagiustizia. Il suo primo proces-so lo vede protagonista a quin-dici anni, guarda caso per averfatto male ad una ragazza conun sasso. Per questa volta lapasserà liscia, sarà solo ilpadre Girolamo a dover risar-cire i suoi danni, ma le altre...decreteranno la sua vera incli-nazione malandrina e glifaranno assaggiare il carcerepiù volte, da cui puntualmenteevaderà.La seconda e celebre fuga,all’età di vent’anni, avvieneproprio in quel di Cattolica,mentre il giovane viene con-dotto assieme ad alcuni com-plici di malefatte e altri galeot-ti a piedi fino al carcere diAncona, con la scusa di unbisognino, fugge dandosela agambe levate con un amico.La seconda impresa delPassatore avvenuta nellanostra provincia è l’assaltoalla pontificia diligenza neipressi di Santarcangelo. I bri-ganti, nascosti dietro le siepilungo la via Emilia dalla parteverso Cesena, bloccano la dili-genza diretta a Roma e la rapi-nano. Tra i passeggeri e la cas-saforte che trasporta, quel

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STORIA E STORIE

A R I M I N V M

ALLA SCOPERTA DI…

IL PASSATOR CORTESELara Fabbri

36

“Romagna solatia,

dolce paese

cui regnarono Guidi

e Malatesta,

cui tenne pure

il Passator cortese,

re della strada,

re della foresta.”

G. Pascoli

Q

➣“Il Passatore non aveva

niente dell’eroe buono

che rubava ai ricchi

per dare ai poveri,

rubava per il piacere

di arricchirsi, seguendo

il richiamo di una

naturale inclinazione

a delinquere”

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colpo frutta alla banda benduemila scudi che vengonoopportunamente suddivisi tra ibanditi e i loro protettori diturno, ovvero le famiglie cheli ospitano di volta in volta.Questa fitta rete d’omertàperò, non poteva durare alungo. Ogni tanto, qualcheappartenente alla numerosa efamigerata banda veniva cat-turato e sotto la minaccia delloschioppo... cantava, elargendoimportanti rivelazioni sul capoe i suoi nascondigli; ma se nonveniva fucilato dai gendarmi,ci pensava lo stesso Passatorea sistemarlo e qualcuno assi-cura che era meglio morirenella prima maniera. C’eranopoi le taglie messe sulla suatesta, anche se per quattro anninon convinsero nessuno a tra-dire quella forza d’uomo,tanto temuto, tanto ammirato.Quando però, la taglia arrivò atremila scudi (una bella cifraper allora), qualcuno cedette.Fu proprio la mano della mise-ria a colpire mortalmente die-tro le spalle il brigante ‘genti-luomo’.Così il re della strada e dellaforesta, finì la sua breve eintensa vita ammazzato a fuci-late dai gendarmi che da annigli davano la caccia, propriograzie ad uno di quei poverac-ci che egli aveva sempre cer-cato di rispettare e qualchevolta aiutare. Per intascare lagrossa taglia posta sulla testadel celebre e temuto bandito efinire una vita fatta di elemosi-ne, un povero disgraziatoconosciuto come Brusone,rivelò l’ubicazione del capan-no dove egli si nascondeva inquella primavera del 1851,braccato dalle forze dell’ordi-ne capitanate dal Zambelli,noto persecutore di banditi.Così, alle dieci di mattina del23 marzo, in mezzo alla cam-pagna romagnola da lui tantoamata, nei pressi di Russi, aneanche ventisette anni, finìviolentemente la vita diStefano Pelloni detto ilPassatore. Da allora la leggen-da continua.

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LIBRI

A R I M I N V M37

imini Museo Archeologico /Rimini imperiale II-III seco-

lo.Una bella guida bilingue, ita-liano e inglese, differenziataanche nei caratteri a stampa, neriper il primo e azzurri per ilsecondo, sicché anche il colpod’occhio invita favorevolmentealla lettura. Edita nel maggio del2003 da La Pieve Poligrafica diVilla Verucchio, in occasionedella riapertura di una parte delMuseo Archeologico cittadino,si presenta in formato elegan-te: carta patinata, ottime foto-grafie, ricchezza di notizie.Alla presentazione di StefanoPivato assessore alla cultura edi Luigi Malnati, soprinten-dente dei Beni Archeologicidell’Emilia-Romagna, segueun profilo storico della Riminipreromana e degl’insediamen-ti alla foce del Marecchia e intutto l’immediato entroterracome risulta dagli scavi, effet-tuati nel territorio diVerucchio e in quelli limitrofi,dove sono emersi reperti ante-cedenti l’espansione etrusca,perciò una zona abitata fin datempi remotissimi. Nei puntifavorevoli della costa appro-davano genti venute da lonta-no per mercanteggiare scam-biando i loro prodotti conquelli locali. Nel 268 a.C.,quando i Romani fondarono lacolonia, quel sito del litoraleera popolato e usato comescalo marittimo già da tempo eavrebbe costituito, per l’Urbe,un caposaldo strategico tranord e sud e tra Adriatico eTirreno.La via Flaminia, infatti, con-giungerà Roma con la nuovacolonia e da questa partirà lavia Emilia verso Mediolanum.Decadrà il tratturo carovanieroper via Maggio e Arezzo cheportava nell’internodell’Etruria.Il libro parla della Rimini

repubblicana e imperiale finoa toccare, per sommi capi, ilperiodo malatestiano. Dalpunto di vista archeologico,poi, cita con dovizia di parti-colari, epoca e provenienzadei reperti che sono stati situa-ti nelle sale e nel cortile delmuseo: cippi stele, mosaici,frammenti di affreschi, sta-tuette, bronzi monete, pedineda gioco e i ferri chirurgiciritrovati negli scavi dei giardi-ni Ferrari, anfore e vasellameper uso ornamentale e dome-stico: molti resti di forni permateriale fittile sono sparsi nelriminese e risalgono all’epocaromana. E ancora, manufattidi osso: aghi, pettini, spilloniper capelli, scatole perunguenti e altri oggetti da toi-lette e anche pesi da telaio.Rimini era un centro attivod’industria e di traffici. Sulle

stele funerarie ritrovate lungole vie consolari sono incisinomi e gradi dei cittadini,alcuni dei quali raggiunseroposizioni elevate nel governodella città e a Roma.E’ la vita quotidiana con leoccupazioni, gli svaghi, lecerimonie religiose e funebriche si ripropone attraverso lecose esposte. E’ un viaggio inun tempo così lontano cheacquisterebbe quasi il saporedel mito se la presenza di certioggetti, supportati dalle noti-zie della guida, non incitasse-ro l’immaginazione a rico-struire la città come si presen-tava nel periodo del suo mas-simo splendore: il porto inazione, le grandi e ricchedomus dove affluivano nume-rosi i clientes, il teatro con lerappresentazioni più in voga almomento, l’anfiteatro con glispettacoli gladiatori cheinfiammavano il pubblicocome, oggi, quello degli stadi.Una passeggiata in centro,seguendo un fantastico filod’Arianna. Allora, come ora,le strade piene di una folla ete-rogenea di lavoratori e mer-canti, di “famuli” e ancelledelle famiglie nobili o danaro-se, bambini che giocano, bot-teghe, taverne e l’assordanteacciottolìo dei carri. Nelle dueterme ai lati dell’Arcod’Augusto le persone si radu-navano per conoscere le novi-tà in arrivo da Roma. Un pul-lulare di vita intorno a tuttequeste cose morte che ilmuseo riminese accoglie eche, spesso, sono venute allaluce per caso durante l’esecu-zione di lavori o affiorate trale macerie dei bombardamentidell’ultima guerra. Come unapiacevole, valida compagnaquesta guida dà notizie utili etalvolta curiose, sempre accat-tivanti.

“RIMINI MUSEO ARCHEOLOGICO”RIMINI IMPERIALE II-III SECOLO

UN VIAGGIO NELLA MEMORIA DELLA CITTÀEmiliana Stella

R

“Il libro parla con dovizia di particolari

dei reperti che sono statisituati nelle sale e nel

cortile del museo: cippi,stele, mosaici,

frammenti di affreschi,statuette, bronzi,

monete, vasellame…”

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ra una mattina gelida. Oforse il freddo era dentro

di lei. Era stata condotta alreparto di Medicina Nucleareper sottoporsi a una scintigra-fia. Aveva oltrepassato porteblindate, vietate agli estranei,ed era penetrata nel regno diquelli che, come lei, avevanolo sguardo opaco e l’atteggia-mento di chi vive alla giorna-ta, aspettando ora per ora lesentenze emesse dagli esamiclinici.Le venne praticata l’endove-nosa che introduceva nelcorpo la sostanza radioattiva.Poi venne segregata insiemead altri compagni di venturanella stanzetta dei “radioatti-vi”, da cui le infermiere inti-mavano di non uscire per nonesporre i membri del persona-le a ulteriori rischi di contami-nazione. Era un ambiente pic-colo, tutto bianco, con le sediedisposte lungo le pareti e ungrande televisore acceso chenessuno guardava. Nel silen-zio attonito dei presenti, persiciascuno nei propri dolentipensieri, quel televisore erauna presenza grottesca, unadrammatica stonatura, non-ostante le buone intenzioni dichi lo aveva fatto installare.Immagini e voci di un’altrarealtà, di un mondo estraneo,che facevano da sfondo confu-so e indifferente ai drammipersonali che lì si andavanoconsumando.Quel giorno, all’improvviso,la sua forza d’animo vennemeno. Aveva reagito con spiri-to combattivo alla notiziadella malattia. Nei primi gior-ni la scarica di adrenalina, chel’impatto violento con laconoscenza del pericolo leaveva provocato, si era mani-festata in una forma strana elei si era ritrovata quasi alle-gra. Di un’allegria eccitata,innaturale, ma sincera. Era

come se la sua mente avessechiamato a raccolta tutte leforze del corpo e dello spiritoper reagire, per affrontare lalotta contro il nemico oscuro.Si era sentita carica di energiae di volontà, pronta a racco-gliere la sfida e a prendere inmano il suo destino per affer-mare le sue capacità di essereumano intelligente contro leinsidie maligne della natura.Poi si era assuefatta gradual-mente al suo stato di persona“segnata dal destino”, che lafaceva sentire diversa daglialtri, dalle persone “normali”,in un’accettazione dolorosama ferma del suo futuro incer-to, se di futuro si poteva parla-re. Non aveva mai volutomostrare il suo intimo sgo-mento: con tutti, familiari edamici, ostentava un atteggia-mento tranquillo e un voltosereno.Ma quel giorno, di colpo, siera sentita sola e disperata.Ogni sentimento si era pro-sciugato, avvertiva un pesomortale sul cuore che la stavatrascinando a fondo. In quellacomunità di infelici, che siguardavano spiando recipro-camente i segni della malattiasul corpo dei compagni, aleg-giava un clima di terrore silen-zioso. Volti sconosciuti, estra-nei, eppure tutti accomunatida uno stesso tormento che lirendeva uguali e li portava ariconoscersi tra loro. Ognunoteneva per sé i suoi timori, inuno stordimento doloroso,oppresso da quella solitudinedello spirito che prova solo chiè costretto a guardare in facciail proprio destino.Poi la vide: la cara amica disempre che già altre volte l’a-veva aiutata e soccorsa.Avanzava svelta lungo il corri-doio, con un’espressionecalma e rassicurante: gli occhiattenti e sereni dietro gli

occhiali, la pettinatura semprein ordine, il viso che comuni-cava ottimismo e determina-zione.Inesplicabilmente, era riuscitaa superare tutti i divieti d’in-gresso e a forzare il bloccodella Medicina Nucleare. Sololei ci riusciva: arrivava sempredove decideva di andare. Lavide comparire all’improvvisocol suo volto amico, in quellagelida realtà estranea.Giovanna sorrideva tranquilla,come fosse venuta per unavisita da salotto. Era forte esicura, come ostentava sempredi essere, anche quando non loera e celava ostinatamenteogni incertezza, ogni tensione,dietro l’espressione distesa elo sguardo fermo di chi sa ovuole affrontare la vita congrinta, a dispetto delle propriepaure. Quell’espressione sola-re, quella presenza solida eserena che riportava le cosealla “normalità”, attuarono ilmiracolo.Lei si sentì risalire da unpozzo profondo e le parve ditornare a respirare. L’accolsecon un sollievo e una gratitu-dine che, lo sapeva, non sareb-be mai riuscita a dimostrarlein modo adeguato. Cercò diconvincerla che non era unluogo da frequentare per unapersona sana e che dovevaandarsene subito: avrebbeassorbito troppe radiazioni.Ma fu inutile. L’amica vollerimanere con lei, con tuttiloro, per alcune ore in quellastanzetta bianca.Parlarono di cose comuni, cheriportarono l’atmosfera alluci-nata dell’ambiente a unadimensione normale e piùtranquilla. Parlarono di casa,di mariti, di figlie.Gradualmente si allentava latensione sua e dei compagni, ein lei tornava la forza d’animoche quel giorno aveva smarri-

to. Scomparvero le paretibianche e tornarono immaginidi mare, di montagna, dipomeriggi in salotto, di seratein giardino, di allegre collabo-razioni in cucina. Aria, nuvole,profumo di gelsomini, teporedi notti estive, conserve dipomodoro e raccolta delleolive, grappa fatta in casa, fio-ritura delle rose, corse dei canisul prato. Risuonarono nuova-mente risate e accalorate dis-cussioni, letture appassionanti,voci che cantavano, che parla-vano, che gridavano o sussur-ravano. Il mondo esterno tornòcon forza a vivere all’internodi quella stanza, volti di perso-ne care, nominate o rievocate,si affacciarono alla mentespezzando la fissità dei pen-sieri e dilatando lo spaziointorno a loro. Le note vibran-ti e melodiose della chitarra diRita e la voce allegra e squil-lante di Angela, tutti i libriancora da leggere e tutte lecose ancora da conoscere o dastudiare. Il canto del vento trale foglie e la musica, la grandemusica dei concerti… quelrinnovato dono della sofferen-za che era stata la musica: nonpiù e non solo un’arte amata eammirata, ma linguaggio del-l’armonia della vita, contattosublime e misterioso col cielo,con la terra, con tutto ciò cheesiste.E poi i ricordi: quel pranzodivertente in campagna, quellafesta di Natale con la recita deibambini, il cenone diCapodanno nella baita tra imonti, e poi le fiaccole sullaneve e i fuochi artificiali nellavalle. Cose belle di sempre.Viaggi, mostre, gite in barca epic nic sulla spiaggia. Maanche vicende difficili e supe-rate, tracce dolorose sul corpoo nell’anima, problemi difamiglia, impegni assolti oancora da assolvere, program-mi per i giorni futuri.Così, insieme, varcarono illimite ossessivo del presente eil tempo riacquistò le sue nor-mali dimensioni: la vita dove-

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POLVERE DI STELLE

A R I M I N V M

VOCI E VOLTI

ERA UNAMATTINA GELIDAMaria Antonietta Ricotti Sorrentino

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E

Segue a pag. 41

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a sempre il dibattito sugliaspetti storico-sociali

della medicina è uno dei piùanimati e vivi proprio perchévede coinvolte le grandi que-stioni circa il rapporto trascienza, tecnica e uomo. “Dalmomento che -come sostene-va Popper- la scienza non è unsistema di asserzioni certe, ostabilite una volta per tutte, enon è neppure un sistema cheavanzi costantemente versouno stato definitivo” è possi-bile riproporre in continuazio-ne problemi e cercare, nellostesso tempo le loro soluzioni.Stando a ciò che scrive,Giorgio Cosmacini, il piùimportante storico della medi-cina che abbia l’Italia: “Éufficiale, certificatodall’Organizzazione mondialedella sanità (Oms); la sanità inItalia è al secondo posto nelmondo. La speranza di vita insalute (aspettativa media, allanascita, degli anni da vivere) ècompresa, nel nostro paese, tra isettantuno ed i settantaquattroanni”. Tra i fattori di qualità,presi in considerazionedall’Oms nello stilare la gradua-toria, trova posto l’uguaglianzadi accesso al sistema sanitario.L’equità, cioè, nel tutelare lasalute di tutti i cittadini, dai piùfortunati ai meno forti social-mente. L’invidiabile piazza-mento attribuitoci dall’Oms ètanto gratificante quanto stimo-lante per intraprendere una pic-cola storia della medicina evedere come si è arrivati a code-sto stato di cose. Limitandocialla nostra città, Rimini, diremoche l’antico Collegio dellaCompagnia di Gesù, costruitonella metà del secolo XVIII,su progetto dell’architettobolognese Alfonso Torregiani,dal settembre del 1800, accol-se gratuitamente “nelle suedoloranti corsie gli infermipoveri della città e dei sobbor-

ghi”. Si concentrarono in dettosito e l’ospedale prese il nomedi Santa Maria dellaMisericordia, “verso tale isti-tuto, sin dal 1880, si rivolserole maggiori attenzioni ed il piùvivo interessamento di bene-meriti cittadini”. Alla finedell’800 le ammissioni nell’o-

spedale cittadino erano gratui-te per tutti i poveri che fosseronati a Rimini, o fossero quidomiciliati da almeno cinqueanni. Gli ammalati non vera-mente poveri pagavano unapiccola retta giornaliera, rettache veniva notevolmenteaumentata qualora l’ammalatofosse facoltoso e desiderasseuna camera singola. Dal 1889al 1915 a reggere il primariatodi chirurgia nel nostro nosoco-mio fu il dott. LodovicoVincini. Lodovico Vincini,nato a Lugagnago Val d’Arda,in provincia di Piacenza il 3settembre 1853, proveniva dauna famiglia di robuste tradi-

zioni borghesi. C’erano statimedici e giuristi tra i suoiantenati, per cui seguendo unasorte segnata ed inevitabile,aderendo al proprio destino, siiscrisse all’ateneo bolognesedove ebbe per maestri il prof.Loreta (famoso ancor oggi perla divulsione pilorica) ed ilprof. Murri. Nel 1877, a venti-quattro anni, si laureò a pienivoti e, dopo aver compiuto ilperiodo di assistentato aFaenza col prof. G. B. Sarti, sitrasferì in Germania, allaClinica Universitaria diHeidelberg, per perfezionarsinell’arte della chirurgia. Eraproprio in Germania che, inquel preciso periodo storico,un insieme di idee nuove, discoperte convergenti e di tec-niche chirurgiche molto piùefficaci di quelle del passato,modificavano profondamente,nella medicina, il sapere ed ilsaper fare. Qui poté raffinarsinella chirurgia addominaleassistendo agli interventi delcelebre prof. Theodor Billroth.Iniziò a praticare la resezioneintestinale, la colecistectomiae le operazioni sul rene. Fuuno dei primi chirurghi italia-ni ad effettuare resezioni pilo-riche e la gastroenterostomia.Se si volesse coniare una for-mula efficace per ridurre ad uncomune denominatore ilmondo e la cultura della civil-tà germanica prima che rovi-nasse nella guerra mondiale,verrebbe facile, usando un’e-spressione di Stefan Zweig,

parlare di quell’epoca comedell’ “età della sicurezza”. LaGermania, sosteneva KarlKraus, era “una stazione speri-mentale della fine del mondo”.Credo che l’esperienza diHeidelberg, ed in seguito quel-la berlinese, abbiano influitonon poco sul nostro dottore. ABerlino dove la tecnologiafesteggiava i grandi successi,dove l’ottimismo del presenteregnava assoluto ed incoscien-temente allegro, a Berlinopunto d’incontro di tutte le ari-stocrazie europee, luogo diritrovo privilegiato dei posses-sori di capitali, a Berlino, incui come funghi, crescevanole imponenti sedi delle azien-de internazionali, gli ufficidelle società per azioni, aBerlino dove i locali restavanoaperti tutta la notte, doveimperversava l’usanza delpasseggio, dove le elegantisignore, seguendo i dettamidella moda, maliziosamente,lasciavano intravedere deicorpi che non conoscevano lacompleta nudità; il chirurgoemiliano poté far conoscenza,lavorando nelle plebee corsiedegli ospedali pubblici, con ladegradazione, l’assoluta pover-tà, il dolore, la disperazione,l’abbandono in cui versavano leclassi popolari. Nei quartieriperiferici, nelle cliniche dellamiseria (Armenhauser), il gio-vane Lodovico Vincini, rafforzòla propria, antica fede socialisti-co-umanitaria.“Personalmente -scriveva nel1899, l’allora giovane medico,in una lettera indirizzata alprof. Giuseppe Tascapani diPalermo- auspico una medici-na libera da pregiudizi e dalimitazioni. Una medicina chesia fondamentalmente la stes-sa ovunque e comunque, poi-ché ritengo che il povero ed ilricco, allorché ammalati,

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PERSONAGGI

A R I M I N V M

LODOVICO VINCINI / PRIMARIO CHIRURGO DELL’OSPEDALE DI RIMINI DAL 1889 AL 1915

NON C’ERANO RICCHI O POVERI, MA SOLO PAZIENTI DA CURAREEnzo Pirroni

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“Cercò di prendersi cura delle sofferenze

di tutti i suoi pazienti e sapendo bene,

che la medicina non poteva guarire sempre

e ad ogni costo, si prodigò affinché anche coloro

che si trovavano in una fase terminale

dell’esistenza, potessero affrontare l’estremo passo,

nella più assoluta dignità”

D

Lodovico Vincini

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abbiano il sacrosanto diritto digiovarsi delle identiche cure”.Pertanto non si curò mai disapere, accingendosi ad entra-re nella sala operatoria, se ilpaziente che lo stava aspettan-do fosse un dozzinante benfornito di mezzi o un povero.La chirurgia che faticosamen-te, dopo tanto tempo si eraportata al livello della medici-na, in piena cultura positivista,stava acquistando addiritturala supremazia. Fu, in verità,grazie ai chirurghi di fine otto-cento, se per molte affezionigiudicate fino allora incurabi-li, vennero trovati i rimedi.Bisogna dar merito a questimedici se l’abuso, o l’esibizio-nismo imposto della sofferen-za, che da sempre si coniuga-va con l’infermità, in unavisione controriformisticanella quale troneggiava il prin-cipio accettato del calvario,quasi che ontologicamente ipatimenti avessero potutocondurre alla redenzione,

venne sconfitto. Dalla storicadata del 16 ottobre 1846,allorché Morton e Warren diBoston, attuarono con succes-so, la prima anestesia eterea, isuccessi nella lotta contro ildolore, furono innumerevolied imponenti. Accanto aimetodi d’anestesia generalecon etere, o col cloroformio,trovarono posto, e furonoprontamente applicate, l’ane-stesia locale e quella spinale.(Il primo ad eseguirla fu Biernel 1899, dopo che, otto anniprima, il dott. Quinke, avevasperimentato, con esiti, favo-revoli, la puntura lombare.)Con la sobrietà ed il rigore,che gli erano propri, LodovicoVincini, amava distinguere traproposizioni che stabilivano“relazioni di idee” e proposi-zioni che riguardavano “que-stioni di fatto e di reale esi-stenza”. Pertanto, attenendosialle questioni terrene e concre-tamente affrontabili, cercò diprendersi cura delle sofferenze

di tutti i suoi pazienti e sapen-do bene, che la medicina nonpoteva guarire sempre e adogni costo, si prodigò affinchéanche coloro che si trovavanoin una fase terminale dell’esi-stenza, potessero affrontarel’estremo passo, nella piùassoluta dignità. Importanti enumerose furono le pubblica-zioni che illustrarono gli attioperatori del primario chirur-go riminese. Si può ricordareche Lodovico Vincini, nellasua lunga carriera “eseguì -cosa assai rara per quei tempi-ben undici estirpazioni totalidella laringe, altri di milza”.Una delle operazioni piùimportanti riguardò l’amputa-zione della prostata per uncancro dell’ampolla rettale.Cosa rimane di lui?Un’epigrafe cosi` lo ricorda:15 Maggio 1889 - 15 Maggio1915 VENTISEI ANNI DIOPERA SCIENTIFICA -SVOLTA CON ZELO EPERIZIA PROFONDA –

DALL’ILLUSTRE CHIRUR-GO - LODOVICO VINCINI -QUI SI VOGLIONO RICOR-DATI - A TESTIMONIANZADI GRATITUDINE EDAFFETTO - IMPERITURI -DI AMMINISTRATORI ECITTADINI - LA CONGRE-GAZIONE DI CARITÀ.Tuttavia il ricordo più celebra-tivo e l’elogio più alto, a mioparere gli è stato fatto, alcunianni orsono, da un anzianogiocatore di bocce. Costui, untale “Malett” ex carrettaio,stava accingendosi, nel giocoall’aperto di una osteria, oggipurtroppo scomparsa, che erasituata subito dopo il ponte deiMille, a colpire di volo unaboccia assai lontana. Dopoaver a lungo pensato, “Malett”sconsolato, si volse al segna-punti e con grande rassegna-zione disse: Sta partida l’èandeda. Un la selva piò gnen-ca Vincini! Aveva ragione.

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PERSONAGGI

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va continuare e andare avanti.C’erano tante cose da fare,tante persone a cui pensare,tante situazioni da vivere,almeno finché fosse stato pos-sibile.Quando rimase sola, potéaffrontare senza drammi lalunga, lenta prova della scinti-grafia. E quando uscì, la gior-nata non era più gelida. Era ungiorno d’inverno ormai avan-zato e la primavera non eralontana: si sentiva già nell’a-ria, nell’odore fresco dellaterra bagnata, nella luce limpi-da che trascolorava nelle tintecalde della sera.Lei ripensò a quel voltoamico, che aveva avuto ilpotere di farla rinascere dalsuo stato di annientamento edi buio. Su quel volto, quelgiorno, aveva letto messaggidi serenità, di forza, di solida-rietà. Adesso sarebbe tornata asperare e a lottare.

da pag. 39ERA UNAMATTINA GELIDA

richiesta, forse neppure compresa, con un seccocolpo di pistola. Dopo, il silenzio. Un silenziofreddo e di morte. Non avevo il coraggio dimuovere un solo muscolo e stetti in quella posi-zione fino all’imbrunire. Quando fui sicuro cheil pericolo era passato, mi alzai da quell’am-masso informe di corpi guardandomi attornoancora incredulo sia della ferocia umana siadella mia fortuna e con un filo di voce azzardai:‘ragazzi, ragazzi, c’è qualcuno vivo?’; e cosìfacendo arrancavo fra corpi ormai freddi eprivi di vita… In due alzarono la testa: ‘Siamoqui, siamo vivi anche noi!’… ‘Potete scapparecon me?’. ‘Siamo feriti, non possiamo muover-ci’… Cercai di far loro coraggio e mi allonta-nai da quel posto d’infamia. Non mi rimanevaaltro da fare. Per quattro giorni e quattro nottivagai sulla montagna nascondendomi fra gliarbusti e bevendo rugiada. Poi la fame ebbe ilsopravvento e mi avvicinai ad una delle primecase del paesino di Troianata. ‘Psomì, nerò,parakalò’ (Pane, acqua, prego: conoscevo unpo’ il greco). Mi accolsero subito e mi detteroacqua pane e frittelle; ma non potevo restare;avrei messo a repentaglio la vita di tutta quellafamiglia. Dopo aver visto di cosa erano staticapaci i tedeschi non c’era da aspettarsi altro.Così mi dettero alcuni vestiti sdruciti e rotti: ma

era già tanto perché quella famiglia, come granparte dei greci dell’isola, era poverissima. Fattomi coraggio, mi avvicinai ad Argostoli,ormai devastata dai bombardamenti, facendomipassare per un isolano. Se un tedesco mi aves-se fermato avrei sempre potuto rifugiarmi in unsignificativo ‘den katalava’(non ho capito).Così mi presentai al collegio delle Suore cheavevo tanto frequentato per prendere il diplomasuperiore e diventare sottotenente (da quel miosogno sembrava passata una vita e, probabil-mente, passata lo era, e per più di una volta!).‘Ci metti in un bel pasticcio!’mi disse subito laMadre superiora, che però non ebbe l’animo direspingermi e mi nascose in un ricovero dianziani, dove nessuno probabilmente mi avreb-be rintracciato. Ci restai fino a che, probabil-mente per evitare alle suore un possibile rischio(dissero che i tedeschi avrebbero risparmiatosolo i cappellani, gli ufficiali medici ed i fasci-sti, anche se ricordo un tenente, fascista con-vinto, che già da prima li detestava e che fuucciso per aver loro sputato in faccia in segnodi disprezzo), un cappellano della Divisione mivenne a trovare per dirmi che non potevo piùrestare, che le fucilazioni erano finite ormai daqualche giorno e che avrei potuto consegnarmiaccompagnato da lui. Avrei così avuto salva lavita. Così facemmo e da lì iniziò un altro capi-tolo del calvario della divisione Acqui e mio.

da pag. 23CEFALONIA

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on il termine tenore nel-l’arte del canto si designa

sia la più acuta delle vocimaschili, sia il cantante che neè dotato. Come voce solista,nella musica colta occidentale,il tenore mantenne fino alsecolo XVIII un’estensionelimitata simile a quella dell’o-dierno baritono, e nel melo-dramma fu assegnata a parti dicarattere non protagonista,sempre in subordine rispettoalla voce dell’evirato.Solamente alla fine del ‘700 epoi sempre di più, col declinodell’evirato e l’avvento delromanticismo, assunse i ruolidell’amoroso e quindi dell’e-roe protagonista, ampliandoverso l’acuto la sua estensionee adottando come fondamen-tale l’impostazione di petto,basata sullo sfruttamento dellecavità di risonanza situate neltorace, in luogo del falsetto edel falsettone, basati sullecavità di risonanza della testa.In ordine alle facoltà persona-li ed alla caratterizzazionedrammatica si vennero cosìdistinguendo vari tipi di teno-re: il tenore leggero o di gra-zia, di tessitura acuta e dotatodi agilità, il tenore lirico, incli-ne ad una spiegata contabilitàche spazia dalla zona centralea quella acuta del registro, asua volta distinto in tenore liri-co di mezzo carattere, tenorelirico leggero, e tenore liricodrammatico o spinto; il tenoredrammatico, basato sulla zonacentrale del registro, e inclineagli accenti forti, con vocepotente dal timbro spesso bari-tonale, di cui il tenore di forza,ossia il wagnerianoHeldentenor, costituisce unaparticolare accezione.All’interno di questa classifi-cazione forzatamente schema-tica possono collocarsi le vocidei più celebri tenori della sto-ria del melodramma, daTamagno, da Caruso, a Gigli,

a Lauri-Volpi, a Del Monaco,a Carreras, a Domingo, aPavarotti. Così come trova unsuo preciso riferimento la bel-lissima voce di tenore liricospinto di Angelo Bartoli, unartista di canto riminese, tor-nato alla sua città di origine dauna quindicina d’anni, dopouna carriera ricca di soddisfa-zioni e di successi personali.La storia di Angelo Bartoliprende l’avvio all’inizio deglianni ’40 quando adolescentepartecipa al coro della Chiesaparrocchiale di Vergiano e lasua voce viene in qualchemodo scoperta dal cappellanodon Augusto Cappelli che lo

propone come voce solistanell’ “Et incarnatus est” dellaMessa Santa Cecilia di MatteoTosi. Il risultato è lusinghieroed il ragazzo continua adaffermarsi nel suo ambito,incoraggiato da Carlo CallistoMigani -padre dei fratelliMigani oggi eccellenti liutai-che lo segue, lo prepara e loistruisce e frequentemente loaccompagna all’organo connotevole perizia, e dallo stessoMatteo Tosi musicista e com-positore di vaglia, sacerdoteoriginario di Corpolò, assurtoall’incarico di maestro di cap-

pella nella basilica di SanMarco a Venezia.In breve, dopo alcuni anni,Angelo Bartoli decide di intra-prendere lo studio del cantopresso il Conservatorio dimusica “Santa Cecilia” diRoma su interessamento diuno zio che viveva nellaCapitale. Ad una prima fase dientusiasmo subentra un perio-do di delusione ed Angelodopo qualche tempo ritornanella sua Vergiano, trasferen-dosi successivamente comeallievo presso il Conservatorio“G. Rossini” di Pesaro. Maanche la nuova esperienza sirivela negativa al punto chenella mente del giovane simanifestano propositi diabbandono. Una diffusa insi-curezza tecnica, una serie diproblemi di emissione irrisol-ti, la consapevolezza di affron-tare senza basi solide un reper-torio affascinante ma al tempostesso terribilmente arduo,stanno per avere il sopravven-to. Ma la sorte a questo puntodiventa benevola ed AngeloBartoli viene a contatto nel-l’ambiente di Pesaro conArturo Melocchi, un maestrodi canto di livello eccezionale,con il quale dopo alcune diffi-coltà iniziali di “ambienta-mento”, instaura un rapportoartistico ed umano che si rive-lerà fondamentale. La perso-nalità austera e carismatica diMelocchi si impone: Angelo èmesso nella condizione di sco-prire il suo talento, di metterea frutto le sue enormi poten-zialità, si appassiona e siimmerge totalmente nello stu-dio. Pertanto alla fine deglianni ’50 è maturo per il debut-to che puntualmente si tiene alteatro Duse di Bologna nelruolo di Radames in Aida,salutato da vibranti consensi.E’ l’inizio di una folgoranteparabola artistica che in breve

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MUSICA

A R I M I N V M

ANGELO BARTOLI / TENORE

LA FOLGORANTE CARRIERAARTISTICA DEL CANTANTE DI VERGIANOGuido Zangheri

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“Alla fine degli anni ’50 il debutto

al teatro Duse di Bologna nel ruolo di Radames

in Aida, salutato da vibranti consensi.

E’ l’inizio di una folgorante parabola artistica

che in breve condurrà Bartoli ad affermarsi

con successo nei più famosi teatri europei a fianco

di artisti del calibro di Antonietta Stella,

Mirella Freni, Piero Cappuccilli… ”

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Il tenore Angelo Bartoli negli anni Sessanta.

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condurrà Bartoli ad affermarsial concorso lirico di Spoleto econseguentemente ad esibirsial Teatro Sperimentale dellacittà umbra nel ruolo di DesGrieux nella Manon Lescautdi Puccini. Seguirà una seriedi quattro recite sempre diManon Lescaut al Massimo diPalermo con Antonietta Stellae Renato Capecchi sotto ladirezione di Tullio Serafin. Gliimpegni del giovane tenore diVergiano si moltiplicano edeccolo applaudito ovunque:nella sua Rimini all’arena alle-stita a fianco del TempioMalatestiano in Tosca, quindiin Andrea Chenier all’ArenaFlegrea di Napoli, in Aida inun’arena a San Marino, inSimon Boccanegra e nellaPétite messe solennelle diRossini in una tournée inLussemburgo e Olanda conMirella Freni direttore ArrigoGuarnieri, e ancora in Aida inuna tournée irlandese aBelfast, nei Pagliacci inLussemburgo con PieroCappuccilli, in ManonLescaut a Monterrey inMessico con Antonietta Stella.Un autentico crescendo dioccasioni, di incontri, di emo-zioni, di pressanti sollecitazio-ni psico-fisiche culminate conil trionfo nell’Ode alla gioiadella IX Sinfonia diBeethoven all’AuditoriumSanta Cecilia in via della con-ciliazione a Roma. Nel frat-tempo però, poco alla volta siandava manifestando in

Teatro dell’Opera di Roma.Supera senza problemi il con-corso e assieme alla moglieSilvana Bazzoni, anch’essacantante lirica, per una trenti-na d’anni si attesta comepunto di forza della compagi-ne corale romana diretta dalm° Gianni Lazzari. E’ un tipodi attività tutto sommato varia,interessante, piacevole cheAngelo Bartoli vive serena-mente con grande impegno edignità, all’interno del circuitodel teatro e tuttavia lontanodalle luci della ribalta. Intantodal matrimonio nasce CeciliaBartoli, avviata dai genitoriallo studio del canto, oggi divaper eccellenza delMetropolitan di New York edell’Opernhaus di Zurigo,“artista di capacità e agilitàeccezionali, un mezzosopranocon un registro in grado dipassare dalla delicatezza quasiimpalpabile del soprano leg-gero alla gravità del contralto,dalla leggiadrìa primaverilealla tragedia più profonda”.Come sopra accennato, a con-clusione della sua carriera, ilrichiamo affettivo di Rimini èstato troppo forte: da buonromagnolo, personaggioschietto ma al tempo stessoschivo, Angelo Bartoli havoluto rientrare nella sua terrain punta di piedi, senza clamo-ri, mettendo anche a disposi-zione il suo straordinariobagaglio di arte e di culturalirica in una proficua funzionedidattica.

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MUSICA

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A MARGHERITA MARSCIANIIL PREMIO VITALE 2004

Il premio per la musica Vitale Vitale 2004, destinato almiglior allievo dell’Istituto musicale pareggiato “G.Lettimi”,è stato assegnato quest’anno a Margherita Marsciani delIX corso della classe di violino del prof. Domenico Colaci.La lodevole iniziativa del cav. Vitale inserita nei program-mi dell’anno sociale del Lions Club Malatesta, merita diessere sottolineata perché tende a mettere in luce e a valo-rizzare i giovani talenti della musica riminese attingendodirettamente dal Lettimi, la più antica e prestigiosa istitu-zione musicale della città.La cerimonia di consegna del premio si è tenuta martedì 8giugno nel salone dell’Hotel Holiday Inn. Il presidente delLions Club Malatesta, Mario Alvisi, dopo il saluto ai con-venuti, in particolare all’ospite testimonial della serata m°Riccardo Riccardi, ha introdotto la serata richiamandosi aivalori della musica e al suo linguaggio universale.Successivamente Guido Zangheri, direttore del Lettimi, hapresentato Margherita Marsciani al pubblico evidenzian-done le attitudini artistiche e la serietà nell’impegno. Lagiovane strumentista ha quindi eseguito, con la preziosacollaborazione pianistica del prof. Fabrizio Di Muro,pagine tratte da due capisaldi della letteratura violinistica:il primo movimento della sonata op. 100 di J. Brahms edil quarto tempo della sonata di C.Franck. L’interpretazionedi Margherita Marsciani, eccellente sia sul piano tecnicoche su quello espressivo ha pienamente conquistato l’udi-torio.A seguire, l’attore e regista Alvaro Venturini ha offerto unsaggio della sua qualificata esperienza professionale,attraverso la lettura di una poesia di Prevert con il com-mento musicale di Margherita Marsciani.Il m° Riccardo Riccardi, illustre compositore, docente pres-so il Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze, ha quinditracciato un significativo excursus storico sul ruolo dellamusica dal tempo dei Greci ad oggi ed ha risposto allenumerose domande dei soci soffermandosi su forme,modelli e contenuti dell’ “invenzione” musicale nel terzomillennio.Infine la premiazione: il presidente Mario Alvisi con la col-laborazione del cerimoniere Nevio Rossi, del cav. VitaleVitale e della signora Eugenia, ha consegnato aMargherita Marsciani l’ambito riconoscimento.

Angelo un senso di ripulsa,una sorta di diniego ad affron-tare il palcoscenico nelle vestidel protagonista. Un atteggia-mento molto probabilmente direazione agli stress, ad unaintensità di situazioni emotive,ad una esperienza professiona-

le che lo aveva portato ad unaeccessiva esposizione pubbli-ca. Subentra dunque la crisi, ilripiegamento in se stesso, l’e-sigenza di una vita tranquilla,senza scatti e senza sussulti:così nel ’60 sceglie di tagliarenetto, e di entrare nel Coro del

Bartoli-Radames in Aida.

Bartoli-Des Grieuxin Manon Lescaut.

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n uomo e un museo. Unsacerdote che, alle cure

pastorali per i fedeli, unisce lapassione per la cultura e laricerca storica.Mandato negli anni ottantacome parroco a Trarivi diMontescudo, Don MarioMolari è attratto da un impo-nente rudere, che sporge sul-l’amena collina, seminascostoda cumuli di macerie e da unafolta vegetazione. Il desideriodi vedere, di recuperare la set-tecentesca torre campanaria,adiacente alla facciata dell’an-tica chiesa di San Pietro interrivos, ricostruita nel 1775 suuna preesistente chiesa medie-vale e semidistrutta dalla guer-ra, lo porta a scoprire un patri-monio di testimonianze stori-che, religiose e architettoni-che.I lavori di bonifica portanoalla luce delle strutture mura-rie in pietra dell’anno mille:sono i resti di un’abbaziabenedettina che ingloba, a suavolta, le vestigia di un remototempietto dedicato agli idoli.Come valorizzare tutto questoe restituirlo alla comunitàlocale? Nelle travagliatevicende storiche, che si susse-guono e distruggono e trasfor-mano le civiltà precedenti, siaggiunge l’ultima tragicavicenda con le gravi distruzio-ni belliche.Di fronte a questi eventi l’in-tuizione del sacerdote è quella

di recuperare e trasformare ilsito in memoria storica conl’intento di fermare questoistinto di distruzione. Nasce,così, il Museo della Pace neirecuperati locali della canoni-ca ed in questo drammaticoscenario di rovine, da cui sileva potente il monito “Laguerra mai più”.Si rimane colpiti dai resti diquesta chiesa a cielo aperto,priva di abside, dalla grandecroce formata da due travaturedella volta crollate, dall’altarericostruito con due pietre scel-te dal cumulo delle macerie.I 35 giorni di guerra (25 ago-sto–29 settembre 1944), com-battuti lungo la Linea Goticadal Metauro al Rubicone, sonoraccontati attraverso un’ampiadocumentazione fotografica.

Sono circa 400 fotografie inbianco e nero, che Don MarioMolari ha reperito personal-mente presso il BritishMuseum di Londra.I soldati inglesi fotografatiavevano documentato l’avan-zata dell’VIII armata. Altrefoto provengono dagli archivimilitari di Freiburg e Koblenz;altre sono dono di veteranitedeschi e canadesi.Seguendo il percorso fotogra-fico, che si snoda dal porticodella canonica al piano terra eal piano superiore, si ha unapanoramica delle battagliecombattute da Fano a Cesenae Forlì. Sono rievocati i furio-si bombardamenti diGemmano, caposaldo impor-tante per la sua posizione stra-tegica, le due battaglie diCoriano, l’entrata della fante-ria greca nella città di Riminisquarciata dai bombardamen-ti. Sono i tragici giorni cheportano ad un nuovo assettodell’Europa divisa in dueblocchi.Accanto alle foto sono espostii giornali d’epoca delle princi-pali testate italiane; ci sonoanche giornali stranieri e fran-cobolli e cartoline. Numerosisono pure i reperti bellici, rac-

colti e custoditi in bacheche:bossoli di bombe, schegge,cassette per munizioni, fucili,moschetti, elmi, gavette….Passato e presente si intreccia-no e sono rappresentati da duesimboli: la campana dellapace, dono dei veterani italia-ni, inglesi, tedeschi, collocatanel finestrone della diroccatafacciata e un frammento delMuro di Berlino, segno inizia-le di un cammino, seppur fati-coso, verso l’unità dei popolieuropei. Un messaggio di spe-ranza contro le notizie e leimmagini cruente dei nostrigiorni.N.B. Le fasi di studio, ricercae realizzazione dell’operasono illustrate nel libro “Laguerra mai più” di Don MarioMolari, ed. Il Ponte. Il museoè aperto sabato e domenica. Laseconda domenica di settem-bre si celebra la festa dellaPace nella diroccata Chiesa.

LUGLIO-AGOSTO 2004

MUSEI

A R I M I N V M

IL MUSEO STORICO DELLA LINEA GOTICA DI TRARIVI DI MONTESCUDO

UN GRIDO DI PACE TRA LE ROVINE DEL TEMPIOEmilia Maria Urbinati

44

U

La sede del Museo della Pacenel drammatico scenario

delle rovine della chiesa medievale

di Trarivi. A sinistra e sotto:

l’arrivo degli Alleati a Rimini.

“I 35 giorni di guerra

(25 agosto

29 settembre 1944),

combattuti lungo

la Linea Gotica

dal Metauro

al Rubicone,

raccontati...

...da Don Mario Molari

attraverso un’ampia

documentazione

fotografica.

Accanto alle foto

sono esposti i giornali

d’epoca delle principali

testate italiane”

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a poesia di Miro Gorisembra scritta apposita-

mente per la compagnia tea-trale “Hermanos” (Fratelli) diLongiano. Formata da soligiovani, nasce nel 1978 ed èdiretta, prima da PadreCorrado Casadei, poi da DonMario Lucchi. Questi dopoaver portato alla ribalta tre atticomici in lingua italiana, siconvince che la gestualità ecapacità comunicativa delgruppo sono più vere ed effi-caci, se innestate nella realtàin cui vivono. E così gli“Hermanos” diventano registidei loro personaggi e delleloro vicende. L’équipe, cheesegue le prove in una vecchiacanonica, è composta da GiusiCanducci, Piero Coli, LucaOrlandi, Pio Rocchi, BarbaraPracucci, Mirco Pracucci,Maria Rosa Parini, MarioRonchi, Patrizia Ronchi,Fiorella Bencivenga, CristianCasadei, Massimo Mazzini,dal direttore artistico donMario Lucchi, dagli aiuti discena Pietro Brigliadori,Leonardo Orlandi e dallaPresidente Patrizia Bissoni.Negli anni la compagnia portaalla ribalta: “ E fiol adMinghein” (1981), “Girbin egat d’al sori”(1982) ambeduedi M. Montanari, “Azident acl’a mela” di E. Cola (1983),“E post dri l’urola” di I.Missiroli (1984), “So e zopr’al scheli” di E. Cola(1985), “I bragon” di E.Guberti (1986/87), “La vitoriad’Macaron” di E. Cola (1988).Nel 1988 Giusi Canducci, giàattrice del cast, si proponecome autrice e per festeggiareil decennale della fondazionedella compagnia debutta con“Se u i è da garavlè a vengenca me”. Dopo una pausa diqualche anno i Longianesi tor-nano sul palcoscenico con altriquattro testi della stessaCanducci: “La Franzeisa”

(1991), “Ah, l’amour!”(1992/93), “La suocera”(1995) (cavallo di battaglia siaper successo di pubblico chedi critica),“Fat vera maisuzest” (1998), quindi con“Una dona da Sunzen” di B.Gondoni (1999), “La lucandi-ra” di O. Zanotti, liberamentetratta da “La locandiera” di C.Goldoni (2001/02). L’anno2001 vede la compagnia orga-nizzare una rassegna a concor-so presso il Teatro Petrella:

“Rassegna teatrale dialettalededicata a Fausto daLongiano”, appuntamentoannuale al quale prendonoparte le migliori compagnieromagnole. Già vincitori nel1999 e nel 2000, rispettiva-mente a Forlimpopoli dellaMaschera d’argento e delprimo premio nella secondaRassegna teatrale di SanPietro in Vincoli, gliHermanos quest’anno sonosaliti sul gradino più alto delpodio a Savignano con lacommedia “Ah, l’amour!”,nella quarta rassegna di“Paroli, dialetto in palcosceni-co”, organizzata dalla Bancadi Credito CooperativoRomagna Est. Si racconta chedurante la rappresentazione di“So e zo pr’al scheli”, uno deidue suggeritori, per distrazio-ne, non rammentasse una bat-tuta alla coppia in scena.Questa, formata da marito emoglie, veri coniugi anchenella realtà, brancola primanel panico, poi nell’attesa delsuggerimento, l’uno si rendecomplice dell’altra in unimprovvisato dialogo che rac-coglie scrosci di applausi.Secondo la compagnia le bat-

tute pungenti e satiriche, sep-pur improvvisate, riescono inogni caso, a tenere desta ognisituazione, poiché si addiconoalla spontaneità, allo spiritocanzonatorio del romagnolo.Infatti nel teatro dialettale,sempre secondo l’équipe, ilcanovaccio, i personaggi, levicende, le battute, i dialoghi,vengono pensati con la mentevolta ad un particolare mondofatto di tradizioni, di usanze,di modi di dire che si spec-chiano nell’arguta indole “dinost vecc” (dei nostri vecchi).

LUGLIO-AGOSTO 2004

TEATRO DIALETTALE

A R I M I N V M

COMPAGNIE E PERSONAGGI DELLA RIBALTA RIMINESE

HERMANOSAdriano Cecchini

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I mi nòn i pansèvae i ciacarèva in dialet.

La mi ma e i mi bai pensa in dialet, mo sa mè

i a sémpra zcours in itaglién.E mè, ch’iò studié e dialet te cafè

pròima a ragiòun in itagliénpu a faz la traduziòun

cmè sl’inglòije e franzòis.Mo u i è una masa’d diferénza:sa quèli a chin pansè furistir

sa quèst l’è sa spicèm ti mi vecc.

I miei nonni pensavanoe chiacchieravano in dialetto.Mia mamma e mio babbo

pensavano in dialetto, ma con mehanno sempre parlato in italiano.

E io, che ho studiato il dialetto nel caffèprima ragiono in italianopoi faccio la traduzione

come in inglese e francese.Ma c’è molta differenza:

con quelle devo pensare straniero,con questo basta che mi specchi nei

miei vecchi.

L

Teatro Petrella di Longiano, 30 marzo 2003. “La suocera”;

da sx: Giusi Canducci, Luca Orlandi, Mariarosa Parinie Pio Rocchi (Viterbo Fotocine).

Sopra, da sx: Giusi Canducci,Mirco Procucci

e Mariarosa Parini (Viterbo Fotocine).

Presso la Libreria Luisè, Corsod'Augusto, 76 (Antico PalazzoFerrari, ora Carli) e il Museodella Città di Rimini (viaTonini) è possibile prenotaregratuitamente i numeri in usci-ta di Ariminum e gli arretratiancora disponibili

ARIMINUMDA LUISE' E PRESSO IL MUSEO

DELLA CITTÀ DI RIMINI

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li Attestati di benemerenza rotariana che il Rotary ClubRimini annualmente assegna sono la conferma tangibile

della costante attenzione che l’associazione riserva al mondo dellavoro ed in particolare a quanti hanno dimostrato una spiccatacapacità imprenditoriale e una manifesta e aggiornata conoscen-za del proprio lavoro e delle implicazioni che esso comporta.Un altro elemento di cui si tieneconto per l’assegnazione degliattestati di benemerenza è l’ori-ginalità dell’attività, sia nel casoin cui tale attività si riallaccia alfilo della tradizione, sia nel casoin cui è caratterizzata da pre-veggente intuizione nell’appli-cazione di nuove tecnologie. Sivaluta anche il merito degli ope-ratori nell’aver saputo, con l’e-sempio, coinvolgere i figli nel-l’attività, trasmettendo loro ildesiderio di continuarla, salva-guardando così il patrimonio di

esperienza acquisito con riflessi favorevoli anche sotto il profiloeconomico.Quest’anno, accomunati da queste caratteristiche oltre che da unprecocissimo approccio al mondo del lavoro, da una formazioneautodidatta e da uno spiccato entusiasmo per le rispettive attività,il Rotary Club Rimini nella figura del suo presidente Bruno

Vernocchi, ha assegnatol’Attestato di benemerenza rota-riana agli imprenditoriFernando Mancini e PierDomenico Mattani. Queste lemotivazioni del “premio”: AlSig. Fernando Mancini per illodevole esercizio dell’Attivitàdi Arrotino condotta nella tradi-zione di una antica arte. Al Sig.Pier Domenico Mattani per lalodevole Attività svolta nelcampo dei Sistemi di Sicurezzadimostrando grandi doti diinnovatore e di imprenditore.

LUGLIO-AGOSTO 2004

NEWS ROTARY NEWS

A R I M I N V M

A FERNANDO MANCINI E PIER DOMENICO MATTANI

GLI ATTESTATI DI BENEMERENZA ROTARIANAPier Giorgio Franchini

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G

FERNANDO MANCININella contrada dei “magnani” e più precisamente a metà circa divia Garibaldi una insegna stampata sulla tenda informa che esi-ste ancora in Rimini, in pieno centro-città, un arrotino. Le duevetrine sottostanti chiariscono che non è solo un laboratorio maanche un negozio specializzato, piene come sono di coltelli, col-tellini, forbici e utensili vari esposti con cura. Se entrate vi acco-glie un apparato di mole rotanti e di pareti tappezzate di vetrinet-te che espongono campionari di lame di ogni tipo, una teca con-tiene pezzi di antiquariato alcuni risalenti alla guerra ‘15–‘18, inun angolo fanno mostra di sé come riferimenti ad antica tradizio-ne una vecchia affilatrice e una sabbiatrice inglese dei primidell’800. E’ il negozio-laboratorio di Fernando Mancini arrotinoper passione.Fernando Mancini nasce in Abruzzo 59 anni fa, vive l’infanzia aSan Leo ma all’età di 14 anni è già a Rimini in via Garibaldi nelnegozio Massari come apprendista arrotino, la sua intraprenden-za fa si che diventi socio del titolare nel ‘63 e che nel ‘67 riescaa rilevare completamente l’attività. Nel ‘72 Fernando acquista ilocali attuali in via Garibaldi e vi si trasferisce incrementandol’aspetto commerciale del suo lavoro sempre comunque in con-comitanza con un efficace servizio di affilatura, un servizio que-st’ultimo rivolto ad ogni tipo di attrezzo da taglio compresi ferrichirurgici. Collaborano oggi con lui la moglie Adelina e il figlioGian Luca, già pronto a continuare il lavoro del padre.Gran conoscitore del suo mestiere e dei prodotti che commercia,nei suoi racconti Fernando Mancini ci fa ripercorrere il rapidosviluppo tecnologico degli ultimi tempi passando dalle antichetempre per forgiatura e raffreddamento ad acqua o a olio allenuove leghe al vanadio molibdeno e cromo per giungere ai pre-ziosi coltelli con lama in ceramica, ultimo grido della ricerca nelsettore. Trapela nel suo dire un malcelato desiderio di far risalta-

PIER DOMENICO MATTANIPier Domenico Mattani nasce a Rimini nel 34 e vive l’infanzianegli anni della guerra di cui ha nitidissimo il ricordo, è figlio diun padre che ha dedicato la sua vita al mare (medaglia d’oro dilunga navigazione e medaglia di bronzo al valore militare), mapur respirando l’aria del porto sulla cui riva era la sua casa, per-cepisce nella città distrutta, il vento della ricostruzione e da que-sto si lascia trascinare. A dodici anni, studente dell’Istituto tecni-co industriale, ma di fatto autodidatta, affascinato e nel contem-po ossessionato dal pensiero della innovazione tecnologica, siimprovvisa elettricista: il suo primo impianto fu quello di unapensione di 18 camere sulla destra del porto. Fu l’inizio, gliimpianti eseguiti furono via via sempre più importanti commis-sionati da una vasta e qualificata clientela. Aveva avvertito anzi-tempo l’importanza che l’elettronica veniva assumendo e nel1957 fondò la ditta “Mattani Sistemi di sicurezza”, e ben prestodecise di orientare la sua attività in modo preminente in questoramo lasciando la costruzione di impianti elettrici come attivitàcollaterale. Nell’azienda, che è una snc con sede operativa il viaLuigi Settembrini 9, sono impegnati i figli Gianfranco e Roberto,mentre Pier Domenico si è riservato l’attività di progettazione econsulenza, che svolge nella sede di via Flaminia 171.Nel 1989, per le innovazioni conseguite nel campo dell’elettroni-ca, a Pier Domenico Mattani è stata conferita la laurea HonorisCausain Ingegneria elettronica dalla Università Internazionale diAlbany–New York.Ha pubblicato relazioni su “Strategie ambientali e sviluppo indu-striale” e inoltre due libri a carattere autobiografico: “Il soldato dileva” e “Come creare un’azienda di successo”. Quest’ultimo,specie nella prima parte, è uno spaccato vivo degli anni di guer-ra e di quelli successivi della ricostruzione in cui si ritrovanoquanti quegli anni hanno vissuto e costituisce, per i più giovani,

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re la nobiltà di un mestiere antichissimo che coniuga la cono-scenza degli acciai con l’affilatura dei medesimi e che sa indica-re nelle forme gli usi appropriati di ogni attrezzo tagliante, pergiungere, come nel caso di un nuovo coltello per macelleria da luiideato, a creare nuovi modelli.La lama da taglio ha accompagnato in pace e in guerra da sempreil cammino dell’umanità: dalle schegge di ossidiana dell’uomoprimitivo, lo strumento da taglio ha seguito l’evoluzione dellaconoscenza, sempre presentecome elemento insostituibile ea volte decisivo delle fortuneumane, riuscendo persino aentrare nel mito col nome dispade famose e a rendere cele-bri località per la qualità degliacciai con cui le lame venivanoforgiate, basti pensare alla famanell’antichità degli acciai diToledo e di Damasco e a quellapiù recente degli acciai svedesi.Da questa sua duplice funzionedi arma e strumento essenzialee prezioso per il quotidianolavoro dell’uomo deriva, qualesunto di ancestrali sensazioni,l’attrazione congiunta a timoreche esercita su di noi il sottilefilo di una lama lucente.Il perpetuarsi da sempre delloro utilizzo rende un bel col-tello, una buona forbice, ogget-ti che rientrano tra gli elementiessenziali agli usi dell’ambien-te ereditato e da noi vissuto,oggetti pertanto che, oltre amantenere una loro validitàriconosciuta e indispensabile,ci fanno sentire partecipi diantiche gestualità nell’operare,offrendo sensazioni che di certonon si provano nell’uso di unqualsivoglia macchinario oelettrodomestico.Con la sua attività FernandoMancini contribuisce a rendereancora possibili tali sensazioni,egli infatti con grande passioneper il suo mestiere, ha saputomantenere vitale un settoreeconomico specialistico ormairaro nelle città, fornendo unservizio sempre aggiornato allenovità tecnologiche e ripropo-nendoci contemporaneamenteun sapore di antico attinto dauna tradizione che si perde neitempi e che ci gratifica di risve-gliati sensi della memoria.

una testimonianza storica su un periodo cruciale del nostro paese;nella seconda parte, il testo assume il valore di un trattato di orga-

nizzazione aziendale.Il campo di attività principale diPier Domenico Mattani restacomunque la progettazione e lacostruzione di sistemi di sicu-rezza in una accezione ampiadel termine che comprendesistemi antifurto, antirapina,antincendio, rilevatori di gassistemi di controllo degli acces-si e quant’altro possa su baseelettronica essere messo in attocome protezione dell’individuoe dei suoi beni. E’ una attivitàche asseconda l’atavico biso-gno dell’uomo di sentirsi difesoda azioni e da accadimenti osti-li, e che quindi contribuisce adaccrescere nel contesto socialesicurezza e qualità della convi-venza civile.Anche se la sicurezza assolutaresta una fata morgana che ponemiraggi su sempre rinnovatiorizzonti, noi abbiamo il diritto-dovere di realizzare condizioniambientali che ci offrano unaprotezione maggiore; pertantodobbiamo apprezzare il lavorodi chi come Mattani crea imezzi che, sfruttando tecnolo-gie d’avanguardia, ci aiutano arincorrere la visione di unmondo più sicuro e più organiz-zato.Vorrei sottolineare infine lagrande determinazione che haanimato l’azione di PierDomenico Mattani riportandouna considerazione tratta dalsuo libro che rivela il suo orgo-glio di imprenditore: “Tantedottrine filosofiche–economi-che, sono fallite portando ipaesi alla rovina, in quantohanno considerato il capitale e illavoro, dimenticando l’uomoimprenditore. Come diceva giu-stamente Abramo Lincoln laricchezza di una nazione è datadalla quantità dei suoi impren-ditori, sia grandi che piccoli”.

LUGLIO-AGOSTO 2004

NEWS ROTARY NEWS

A R I M I N V M49

INNER WHEEL MARIA CRISTINA PELLICCIONI

NUOVA GOVERNATRICE DEL DISTRETTO 209Il 28 e 29 maggio, ad Ascoli Piceno, nel corsodell’Assemblea del Distretto 209° dell’Inner Wheel club (ilpiù grande distretto italiano, che comprende i club di E.Romagna, Toscana, Marche, Abruzzo, Umbria, Molise) c’èstato il passaggio delle cariche tra la Past GovernatriceVera Amici e la nuova Governatrice Maria CristinaPelliccioni, del club di Rimini. Maria Cristina, nel suo dis-corso inaugurale, ha presentato il nuovo ComitatoDistrettuale (nel quale è presente la riminese MaddalenaPagliacci come Segretaria), ha comunicato il suo program-ma di lavoro e il motto dalla Presidente Internazionale:“Collaborate in unione e donate speranza”. Ed è in questadirezione che la neo-Governatrice ha indicato le possibilivie da seguire: “lavorare insieme per recuperare i valori,presentare alle nuove generazioni modelli di vita positivi,guardare al futuro con ottimismo e con l’intento di trovare,al di là degli oggettivi timori, le possibili prospettive di unmiglioramento della società”.

Rimini, 29 aprile 2004: Premio alle professioni. Pier Giorgio Franchini illustra le “benemerenze” di Fernando Mancini e Pier Domenico Mattani.

Il Presidente del RCR Bruno Vernocchi e il Procuratore della Repubblica di Venezia Carlo Nordio.

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La recente “Lettera allaDiocesi per la Quaresima2004” dell’Arcivescovo diMilano, Card. GiovanniTettamanzi, così inizia:“Carissimi, c’è una notizia checi riempie di gioia e che, conquesta mia lettera, vogliocomunicare ufficialmente atutta la nostra Chiesa diMilano: il prossimo 16 mag-gio, il Papa Giovanni Paolo IIproclamerà Santa, GiannaBerretta Molla, madre di fami-glia. E’ la prima canonizzazio-ne che riguarda direttamentela nostra Diocesi dopo SanCarlo Borromeo; è la primamadre di famiglia che, dopo iprimi tempi del cristianesimoe dopo il Medioevo, vienericonosciuta come santa datutta la Chiesa”.Oltre che per i fedeli dellaDiocesi Ambrosiana, tale noti-zia è molto importante e dirilievo per il Rotary italiano emondiale, perché, a quanto ciconsta, si tratta della primaSanta (ufficialmente dichiara-ta tale dalla Chiesa) dellafamiglia rotariana mondialenei suoi primi cento anni divita.Gianna Beretta Molla, giàbeatificata il 24 Aprile 1994 edichiarata Santa il 16 Maggio2004 in S. Pietro da PapaGiovanni Paolo II, era lamoglie di Pietro Molla, sociofondatore e primo presidentedel Rotary Club di Magenta(Milano) negli anni 1961/62 e1962/63, ed attuale SocioOnorario di tale Club.Gianna Beretta nasce aMagenta (Milano) il 4 Ottobre1922 da genitori profonda-mente religiosi e TerziariFrancescani, decima di tredicifigli (quattro medici, di cuidue religiosi, due ingegneri,un farmacista, un musicista ealtri morti in tenera età); silaurea a Milano in Medicina eChirurgia nel 1949 e si specia-

lizza in Pediatria. Dopo la lau-rea desidera seguire il fratellomissionario in Brasile, maviene dissuasa per le precariecondizioni di salute. Il padrespirituale le dice: “Forma latua famiglia. Vi è un granbisogno di mamme. Se si spo-sano solo le teste matte, comesi fa a formare famiglie cri-stiane?”.Alla fine del 1954 Giannaconosce il futuro marito, l’in-gegnere Pietro Molla, in occa-sione della prima Messa di unamico comune, padre LinoGaravaglia, attuale vescovo diCesena.“Mia moglie –dice PietroMolla- era una donna splendi-da, ma assolutamente norma-le. Una donna moderna, gui-dava la macchina. Amava lamontagna e sciava moltobene. Le piacevano i fiori e lamusica. E’ stata proprio lamusica a farci incontrare il 31dicembre 1954 ad un ballettoalla Scala…. Nove mesi dopoci siamo sposati. Ci sono indi-zi che ti fanno capire al voloquando una cosa è vera perte”.Una storia “normale” quelladella pediatra di Ponte Nuovodi Magenta e di suo marito,l’ingegnere Molla.Tre erano i punti cardine dellavita di Gianna: la preghiera, lafede, la fiducia nellaProvvidenza. Aveva scritto:“Si dice che il lavoro è pre-ghiera - chi lavora prega.Perché? In che modo? Il lavo-ro è preghiera quando noioffriamo al Signore le nostreazioni affinché esse servanoalla gloria di Dio. L’intenzioneiniziale al mattino è come l’in-dirizzo che poniamo sopra unalettera: essa continuerà a cam-minare verso Dio, anche senoi non ci pensiamo più”.Dopo le nozze Gianna conti-nua la sua professione dipediatra, diventando responsa-

bile dell’asilo nido del consul-torio di Ponte Nuovo diMagenta. Ma la maggior partedel suo tempo è per il marito ei figli che cominciano ad arri-vare: nel 56 Pierluigi, nel 57Maria Zita e nel 59 Laura.Proprio nel 1961, nel 1° annodi Presidenza rotariana delmarito, arriva la quarta gravi-danza e comincia il suo calva-rio. Racconta il marito: “A set-tembre eravamo aCourmayeur in vacanza,Gianna -al secondo mese digestazione- si accorse chequalcosa non andava.Riscontrò un gonfiore anor-male all’addome. Dalla visitaginecologica risultò trattarsi diun fibroma all’utero. Eranecessario operare urgente-mente. Gianna, ben consape-vole come medico della suasituazione, chiese che si salva-guardasse la vita del nascituro.L’operazione, ovviamente par-ziale, andò bene, anche se irischi di un possibile aborto,ma soprattutto per la vita diGianna, rimanevano. Durantei sette mesi successivi feceuna vita normale, continuandoad esercitare la professione.Era serena. Solo da alcuniaccenni mi accorsi della suapreoccupazione e della consa-pevolezza di quanto l’attende-va. Non una parola su quantol’attendeva. Solo alcuni giorniprima del parto, sulla soglia dicasa, avevo già il cappotto, mifermò con un braccio e midisse: ‘Se dovete scegliere frame e il bimbo, nessuna esita-zione: scegliete -e lo esigo- ilbimbo. Salvate lui’. Chiedevache fosse fatta la volontà delSignore. Nel dilemma dellascelta lei era la Provvidenzaper il bambino”.Il 21 Aprile 1962, sabatosanto, nacque GiannaEmanuela. Da quel momentoper una settimana comincianograndi sofferenze per una peri-

tonite settica che attraversofebbri e collasso irreversibileporta a morte la paziente il 28aprile, all’età di 39 anni,lasciando il marito vedovo e 4bambini orfani.Se avesse voluto, al momentodella prima diagnosi, una iste-rectomia totale le avrebbe cer-tamente salvato la vita maavrebbe provocato la mortecerta della bambina che porta-va in grembo. Nel dubbioGianna non ha esitazioni: sce-glie la vita della figlia che hain grembo, donando la propriae unendosi così al misterodella morte di Gesù.“Nessuno ha un amore piùgrande di colui che dona lapropria vita”, aveva dettoGesù agli Apostoli. SantaGianna Beretta Molla ha avutoil coraggio di mettersi per lavia di questo amore più gran-de, imitando da vicino il sacri-ficio del Redentore.Gianna, da giovane, primaancora di sposarsi aveva pro-feticamente scritto: “Amore esacrificio sono così intima-mente legati quanto il sole e laluce. Non si può amare senzasoffrire e soffrire senza amare.Guardate alle mamme cheveramente amano i loro figli,quanti sacrifici fanno! A tuttosono pronte, anche a dare ilproprio sangue. E Gesù non èforse morto in croce per noi,per amore nostro? E’ con ilsangue del sacrificio che siafferma e si conferma l’amo-re”.E il marito vedovo Pietro

LUGLIO-AGOSTO 2004

NEWS ROTARY NEWS

A R I M I N V M

GIANNA BERRETTAMOLLA

LA PRIMA SANTA DELLA FAMIGLIA ROTARIANARinaldo Ripa

51

Gianna Berretta Molla

Segue a pag. 52

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Molla scrive: “Quando con la morte di Gianna, il mistero del dolore si è abbattuto su dime e i miei figli e mi sono sentito crollare, mi sono aggrappato a Gesù crocefisso, allacertezza che Gianna viveva con Dio in Paradiso… Il vero mistero per l’uomo è il dolo-re… Lei pensi ai nostri Ospedali cui diamo, a volte solo uno sguardo distratto. Ma lì visono intere città di uomini e donne che soffrono, di bambini che muoiono. Che miste-ro grande”.Di fronte alla storia di amore e di completa dedizione di Santa Gianna Beretta e delrotariano Pietro Molla si resta edificati e confusi: in un periodo di nichilismo, di pen-siero debole, di grande permissivismo e lassismo morale con l’aborto ultrafacile e lapillola del giorno-dopo, questa storia di straordinaria santità, di amore e di rinuncia ciinfonde sicurezza e coraggio. E’ una ventata fresca che ci riporta agli orizzonti immu-tabili della Bellezza, della Verità, della Fede, della Santità. E ci colma di gioia il fattoche questa storia sia stata vissuta da una coppia di rotariani italiani.

LUGLIO-AGOSTO 2004A R I M I N V M 52

NEWS ROTARY NEWS

AGENDAGIUGNO

03/06Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15 n. 2505.Mauro Ioli: “Il decimo anniversario del Convention Bureau”.

10/06Conviviale con signore.Convento dei Capuccini di Verucchio,h. 20,15 n. 2506.Da Raffaella e Alfredo Aureli: “Musica e storia”.

16/06Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15 n. 2507.Carlo Nordio: “Prospettive di riforma del Codice Penale”.

24/06Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15 n. 2508.Cambio della presidenza.

Rotary Club Rimini(Fondato il 29 gennaio 1953)Anno Rotariano 2002/2003

Consiglio Direttivo

Presidente: Bruno VernocchiVicepresidente: Enzo PruccoliPast President: Paolo PasiniSegretario: Paolo SalvettiTesoriere: Duccio Morri

Consiglieri: Renzo Ticchi, Nevio Monaco, Gilberto Sarti e Gianluca Spigolon

Ufficio di Segreteria:Paolo Salvetti: Via Tripoli, 194

47900 RIMINI - Tel. 0541.389168

Ariminum: Via Destra del Porto, 61/B - 47900 RiminiTel. 0541.52374

ROTARY INTERNATIONALDistretto 2070

TOSCANA - EMILIA ROMAGNA - R.S.M.Governatore: Sante Canducci

LUGLIO01/07Conviviale con signore.

Grand Hotel, h. 20,15 n. 2509.Enzo Pruccoli: “Il programma 2004/05”.

08/07Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15 n. 2510.Serata rotariana

17/07Conviviale con signore.Pennabilli, h. 17,00 n. 2511.Interclub con Rotary Club Novafeltria.Visita alla mostra dell’antiquariato.

22/07Conviviale con signore.Grand Hotel, h. 20,15 n. 2512.Ryla: “Tanti protagonisti un solo regista:Franco Alberani”.

29/07Caminetto con signore.Museo Fellini, h. 19,30 n. 2513.Visita guidata: “Il cinema di carta: l’eredità di Fellini in mostra”.

(foto

di Lui

gi Pri

oli)

Gli ospiti del presidente

del Rotary ClubRimini,

Bruno Vernocchi

Raffaella e Alfredo Aureli

Carlo Nordio

da pag. 51LA PRIMA SANTA DELLA FAMIGLIA ROTARIANA

Cesare Palermi

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