Transcript

1

BONIFACIO VIII

TRA STORIA

E LETTERATURA

2

Destinatario

Il percorso che si intende proporre è esemplificativo del modo in

cui si potrebbe affrontare in classe l’analisi e l’approfondimento di una

personalità decisiva nella Storia medievale, come quella di Bonifacio VIII.

Questo percorso afferisce alla programmazione di Storia e

Letteratura in una classe terza di un istituto tecnico, in cui entrambe le

materie sono svolte dal docente di Lettere.

La preparazione prevalentemente tecnica dei destinatari non

impedisce loro di poter approfondire aspetti storici e letterari. Tale

percorso si propone anzi, attraverso la sua interdisciplinarità e la messa a

fuoco di una personalità specifica, di rendere più accessibili le componenti

didattiche, che altrimenti risulterebbero difficili, noiose e staccate dal reale.

Lo svolgimento di tale progetto è da intendersi realizzabile nella

seconda metà dell’anno scolastico, all’inizio del secondo quadrimestre.

Bonifacio VIII

3

Contenuti

§1. Bonifacio VIII

Il punto di partenza dell’intero lavoro è costituito dall’analisi della

biografia del personaggio e degli eventi storici connessi.

Il 24 dicembre del 1294, dieci giorni dopo le dimissioni di colui che

fu Celestino V, secondo le disposizioni in vigore dal tempo di Gregorio X,

è riunito a Castelnuovo di Napoli un Conclave. Da esso, Benedetto Caetani

ne uscirà col nome di Bonifacio VIII. La cerimonia d'incoronazione

avvenne il 23 gennaio del 1295 nella basilica di S. Pietro a Roma alla

presenza della nobiltà romana, di Carlo II e di suo figlio Carlo Martello.

Esistono forti sospetti che le dimissioni di Celestino siano state

pilotate da quello che poi è diventato Bonifacio. Per prima cosa infatti il

nuovo pontefice fece rinchiudere il suo predecessore che morì in prigionia

il 19 maggio del 1296.

Benedetto Caetani era nato ad Anagni nel 1235, in provincia di

Frosinone. Studiò diritto a Bologna, e in seguito ottenne una serie di

incarichi nell'amministrazione pontificia. Fu ambasciatore dello Stato della

Chiesa in Francia e in Inghilterra; nel 1281 divenne Cardinale. Prima

ancora di diventare papa, intervenne nella disputa tra Angioini ed

Aragonesi, favorendo gli accordi del 1290 e 1291.

Anche da papa il suo primo intervento lo compie in relazione alla

disputa tra Francia e Spagna riguardo la Sicilia. Ratifica l'accordo siglato

sotto Celestino V da Carlo II e Giacomo II d'Aragona, secondo il quale la

Sicilia sarebbe passata agli Angioini. Questa decisione si scontrò col

malcontento della popolazione siciliana, (già ribellatasi nel 1282, la sera

del lunedì di Pasqua, dando inizio alla cosiddetta rivolta dei Vespri

siciliani) che nel 1296 scelse Federico, già governatore della Sicilia quando

suo fratello Giacomo era re d'Aragona).

Questo non è che il primo di una lunga serie di fallimentari tentativi

di riportare alla ribalta europea lo stato della Chiesa operati da Bonifacio.

Tra questi l'appoggio dato ai guelfi neri nella contesa fiorentina, o

4

l’intervento nelle lotte tra Genova e Venezia: con esiti, in entrambi i casi,

deludenti.

Bonifacio era pienamente convinto della plenitudo potestatis, cioè

che il suo potere aveva un'importanza determinante tanto nel campo

spirituale quanto in quello temporale, poiché gli derivava direttamente da

Dio. Il suo non era un semplice potere spirituale: grazie ad esso, riteneva di

poter intervenire a suo piacimento nelle questioni temporali, essendo

queste di ordine inferiore rispetto a quelle spirituali. In base a queste

convinzioni interverrà più e più volte nelle questioni europee, in particolar

modo si scontrerà ripetutamente col sovrano francese Filippo IV. Ma non

solo: in Italia entrò in contrasto con la famiglia dei Colonna, già avversaria

storica dei Caetani, e con i sostenitori di dottrine spiritualistiche.

Il legato di Alberto I d'Asburgo, re dei Romani (1298-1308),

conferma i diritti della Santa Sede a Bonifacio VIII (1295-1303)

5

In breve tempo gli Spirituali ed i Colonna si accordarono, ed il 10

maggio 1297 pubblicarono il Manifesto di Lunghezza, nel quale veniva

dichiarata illegittima l'elezione che aveva portato Bonifacio al seggio

papale. La reazione fu durissima: in una bolla il pontefice scomunicava i

due cardinali promotori dell'opera, Giacomo e Pietro Colonna, definendoli

"dannata stirpe del loro dannato sangue". I loro beni vennero confiscati, e

furono espulsi dallo Stato della Chiesa. Le rocche di Zagarolo e Palestrina

vennero distrutte, e i beni divisi tra i Caetani e i loro più grandi sostenitori,

la famiglia degli Orsini.

Sempre a causa della sua brama di intervenire nella politica, si

scontra nel 1296 con Filippo IV di Francia. Questi era in lotta col sovrano

inglese Edoardo I, che aveva dalla sua parte anche diversi feudatari

francesi, ed aveva bisogno di fondi per sostenere le operazioni belliche.

Decide così di ricorrere ad una tassa straordinaria, che dovrà essere pagata

anche dal clero. Dall'altra parte della Manica, Edoardo prende il medesimo

provvedimento.

Edoardo I d’Inghilterra

Dinanzi a decisioni così avventate, e dopo il rifiuto del clero

d'Aquitania di pagare l'imposta, Bonifacio perde la pazienza, e il 25

febbraio pubblica la bolla Clericis laicos. In essa egli vieta espressamente

ai laici di imporre tasse agli ecclesiali, pena la scomunica, e intima agli

6

ecclesiali stessi di non versare i contributi, qualora vengano ugualmente

richiesti. Edoardo si conforma, e rinuncia ai soldi provenienti dal clero.

Filippo però controbatte, forte anche dell'appoggio dei vescovi francesi, ed

il 17 agosto vieta la fuoriuscita di oro e argento dal suo Stato verso quello

pontificio. Il Papa replica con la bolla Ineffabilis amoris, ma temendo che

Edoardo segua la scia di Filippo, e vieti l'invio di oro alle sue casse, nel

1297, ritratta.

Non è la prima volta che Filippo e Bonifacio entrano in contrasto:

già nel 1291 si erano incontrati a Parigi per definire gli accordi tra

Aragonesi e Angioini: Bendetto Caetani era intenzionato a favorire gli

Angioini. Filippo era un loro sostenitore, ma non accettò di buon grado di

dover terminare gli attacchi contro la Spagna, che in quel momento

pendevano a suo favore. Siglò quindi il trattato di Tarrascona, nel

medesimo anno, ma la questione si risolse solo definitivamente nel 1295 in

un incontro svoltosi ad Anagni.

Filippo il Bello

7

La contesa con Filippo IV si riaccende nel 1301, quando Bernardo

di Saisset, vescovo di Pamiers e ambasciatore della Santa Sede viene

arrestato. E’ accusato di tradimento ai danni della corona, e di aver tramato

con gli Aragonesi ai danni della Francia. Filippo vuole farlo processare in

Francia da un tribunale civile. Bonifacio è contrario a questa scelta:

essendo Bernardo un membro del clero, ririene infatti che sia sotto la sua

autorità e non di quella di Filippo. Al fine di chiarire la questione,

Bonifacio convoca a Roma tutte le personalità più di spicco del clero

francese e il re.

Filippo rifiuta, e quando il 10 novembre il pontefice pubblica la

bolla che inizia con le parole Ausculta fili, ne diffonde una versione da lui

modificata, con una risposta durissima, nella quale afferma la sua assoluta

superiorità negli affari temporali. Nel 1302 convoca gli Stati Generali nella

Cattedrale di Notre Dame a Parigi (presenti il clero parigino, la nobiltà e la

borghesia). Si presentano anche 39 vescovi non invitati, e, oltre ad essere

rifiutati, i loro beni vengono confiscati. Filippo fa approvare dagli Stati

Generali un documento che attesta l'indipendenza della Francia e dei re al

cospetto del potere spirituale.

Bonifacio replica con la famosa bolla Unam sanctam (18 novembre

1302). In essa ribadisce il primato e la supremazia della Chiesa sul potere

civile. "Nella potestà della Chiesa sono distinte due spade, quella spirituale

e quella temporale; la prima viene condotta dalla Chiesa, la seconda per la

Chiesa, la prima per mano del sacerdote, l'altra per mano del re, ma dietro

indicazione del sacerdote. Il potere spirituale è superiore a quello

temporale".

Filippo temeva che potesse seguire una scomunica, ed invia in Italia

il suo fidato consigliere Guglielmo di Nogaret col compito di riportare in

Francia il papa prigioniero. Questi chiede aiuto in Italia alla famiglia

Colonna. Sciarra Colonna decide di accompagnare con alcuni dei suoi

uomini il francese; il 7 settembre del 1303 Nogaret e Sciarra entrano con la

forza nel palazzo di Bonifacio ad Anagni, e lo trovano seduto su un trono

con in dosso i paramenti sacri. La nobiltà di Anagni si era mobilitata quasi

immediatamente. Era quindi difficile riportare il papa prigioniero in

Francia. Si tentò quindi, con minacce, di convincere il pontefice ad

8

abdicare. A nulla valsero però le ingiurie e Guglielmo di Nogaret,

scontento per il risultato negativo dell'impresa, decise di rimediare tirando

uno schiaffo a Bonifacio col guanto di ferro.

Guillaume de Nogaret

Se non il più alto, questo è comunque uno dei più gravi oltraggi mai

subiti da un papa in tutta la storia della Chiesa. Bonifacio viene liberato

dalla popolazione, Nogaret torna in Francia, e il 20 settembre viene

pubblicata la scomunica ai danni di Filippo. Ma i giorni di prigionia hanno

segnato Bonifacio non solo nello spirito, ma anche nel corpo. Morirà l’11

ottobre 1303. A lui succederà il vecchio e più malleabile Benedetto XI.

Nel 1305 il neoeletto Clemente V, francese, sposta per prima cosa

la sede papale ad Avignone, anche se il trasferimento definitivo avverrà

solo nel 1309 . Inizia la Cattività Avignonese.

§2. La bolla Unam Sanctam

Ancora oggi Bonifacio VIII è considerato da molti un uomo

autoritario e cupido di governo, ultimo rappresentante di una concezione

ierocratica della Chiesa che pretenderebbe una assoluta supremazia da

parte del Papa nelle cose temporali. Il suo ultimo documento, la bolla

Unam Sanctam ne sarebbe la testimonianza.

9

La conclusione dogmatica della Unam Sanctam era la seguente:

"Noi dichiariamo, diciamo, pronunciamo e definiamo che ogni creatura

umana è in tutto e per tutto, per necessità di salvezza, sottomessa al

Pontefice romano".

Ciò significa che ogni uomo, compresi i principi e i re cristiani, se

vuole salvare la propria anima deve uniformare la sua condotta, pubblica e

privata, alle leggi della Chiesa e alla autorità spirituale e morale del

Sommo Pontefice. Il Papa, secondo Bonifacio, è per divina autorità al di

sopra di tutti Re e i regni, non perché eserciti su di essi un’autorità

temporale assoluta, ma solo nel senso di essere di essere investito di quella

superiorità relativa che conviene alle cose spirituali su quelle materiali,

all’ordine soprannaturale e divino rispetto all’ordine puramente naturale e

umano, secondo le parole di san Paolo: "Omnis anima potestatibus

sublimioribus subdita est". La concezione di Bonifacio VIII è la stessa

espressa da Papa Gelasio (492-496) nella celebre formula dei “duo

luminaria", secondo cui" vi sono due poteri principali mediante i quali il

mondo viene governato: l’autorità sacra dei pontefici e il potere regio"1.

Papa Gelasio

1 Gelasio I, Epistula ad Anastasium Imperatorem, in Patrologia Latina, vol. LIX, col. 42

10

Tra il potere spirituale proprio della Chiesa e il potere civile

simboleggiato dalla persona di Cesare, non vi è conflitto, ma distinzione,

poiché il Signore comanda di dare "a Cesare quello che appartiene a Cesare

e a Dio quello che appartiene a Dio"2.

Il grande storico di diritto canonico e di sociologia religiosa,

Gabriel Le Bras, nell’ultima conferenza tenuta poco prima di morire, in un

convegno ad Anagni (1967), si disse fiero di essere il difensore risoluto di

Bonifacio VIII, il più calunniato tra i quattro papi anagnini (Innocenzo III,

Gregorio IX, Alessandro IV, Bonifacio VIII). La visione di Bonifacio,

secondo lo studioso francese, era coerente con quella gelasiana, fondata sul

dualismo delle due potestà distinte, quella del Papa e quella del Re. Esse

devono collaborare per ottenere il bene sia spirituale sia temporale degli

uomini sottomessi ai due poteri, ma sono distinte e indipendenti tra di loro.

"Le parole di teocrazia e ierocrazia — concludeva Le Bras — sono da

mettere nel magazzino delle antichità non venerabili".

Il cardinale Alfonso Stickler, in un’altrettanto memorabile

conferenza pubblicata nel 1977, ebbe a ricordare le parole dello stesso

Bonifacio di fronte all’accusa a lui fatta da Filippo il Bello, di essersi

voluto intromettere nel campo temporale: "Quarant’anni sono —

esclamava il Pontefice — che siamo esperti in diritto e sappiamo che due

sono le potestà ordinate da Dio; chi ha dunque dovuto e potuto pensare che

sia stata o sia tanta fatuita e insipienza nella nostra testa"3 da credere cioè

che il Pontefice possa comandare al re in cose non sue, quali quelle dello

Stato .

Lo schiaffo di Anagni capovolge simbolicamente l’atto fondante

della civiltà cristiana: quella notte di Natale dell’anno 800 in cui in Carlo

Magno rende omaggio a san Leone III e riceve da lui la corona imperiale. li

gesto di Sciarra Colonna contiene tutto l’itinerario di secolarizzazione che

nel corso dei secoli avrebbe condotto da Marsilio da Padova a Machiavelli,

da Machiavelli a Hobbes e a Rousseau e da questi a Marx e al totalitarismo

del secolo XX. Questo itinerario nega la distinzione tra i due poteri

2 Mt22,21 3 Card. Alfonso Stickler, Il Giubileo di Bonifacio VIII. Aspetti giuridico-pastorali, Edizioni dell’Elefante, Roma 1977, p. 39

11

caratteristica della tradizione occidentale e cristiana per assorbire la sfera

spirituale e morale in quella politica, attraverso la sacralizzazione della

volontà popolare e della categoria di Rivoluzione.

§3. Il Giubileo dell’anno 1300

Il Giubileo del 1300, il primo giubileo cristiano della storia, nasce

dalla volontà pacificatrice di Bonifacio VIII, e dimostra come le scelte

politiche furono in lui sempre sottomesse alle esigenze di ordine spirituale

e temporale.

È ampiamente documentato dal racconto del cardinale Jacopo

Stefaneschi (1270 ca-1343), cronista del primo giubileo (De centesimo seu

jubileo anno liber), come da altre testimonianze contemporanee, che l’idea

del Giubileo non nacque nella mente del Pontefice e dei suoi consiglieri,

ma li colse anzi di sorpresa. Il fatto unico della retroattività del disposto

della Bolla di Indizione (dal 16-22 febbraio 1300 al 24-25 dicembre 1299)

conferma che non fu il Papa a suscitare il movimento del giubileo ma che,

al contrario, egli si adeguò ai desideri e alle aspettative del popolo

cristiano, dimostrando una sensibilità pastorale che smentisce

quell’immagine di uomo autoritario ed altero, animato solo dal culto del

potere, che ci è stata tramandata dall’oleografia storica.

Il Giubileo del 1300

12

Il Giubileo del 1300 rappresentò l’apogeo della Chiesa medioevale.

Dopo l’attentato di Anagni e la morte di Bonifacio VIII si aprì una delle

epoche più drammatiche per la Chiesa, che conobbe il trasferimento del

Papato ad Avignone e il grande scisma di Occidente, ma anche per

l’Europa cristiana, sconvolta dalla guerra dei cent’anni e da un succedersi

di sciagure che ne minarono il patrimonio demografico. La cristianità, che

contava settanta milioni di abitanti nell’anno del Giubileo, dopo un secolo

di guerre, epidemie e carestie, era ridotta a circa quaranta milioni. L’età

moderna albeggiava sulle "tenebre" del Medioevo.

Nello spazio di cinque secoli, fino a Bonifacio VIII, I Papi

esercitarono una influenza straordinaria sulla società. La cristianità è

guidata da due governi: l’auctoritas sacrata dei Pontefici, o Ecclesia, e la

regalis potestas dei sovrani, o Imperium. Il Papa e l’Imperatore sono i due

monarchi supremi — l’uno religioso l’altro temporale — della società

cristiana medievale. Essi esercitano entrambi una plena potestas che deriva,

sia all’uno che all’altro, direttamente o indirettamente, da Dio".

Bonifacio VIII indice il giubileo

13

§ 4. Bonifacio VIII nell’opera di Dante

a. Inferno XIX. I simoniaci

Per individuare e comprendere quanto la figura del papa Caetani ha

influenzato il lavoro poetico di Dante Alighieri, dobbiamo guardare l’opera

di maggior spicco dell’autore: la Commedia.

Da un’approfondita analisi testuale deve partire l’indagine relativa

alla considerazione che Dante tratteggia di avere rispetto all’operato e alla

personalità di Bonificio VIII.

Vediamo ora il giudizio, nettissimo, che Dante esprime rispetto

all’indebita commistione del potere spirituale con quello temporale:

Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo

due Soli aver, ch’e l’una e l’altra strada

facien vedere: e del mondo e di Deo.

L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada

col pasturale, e l’un con l’altro insieme

per viva forza mal convien che vada;

però che, giunti, l’un l’altro non teme […]4

Papa e imperatore collaboravano per la costituzione di un mondo

buono e i cui percorsi, mondani e oltremondani, erano indicati rettamente

dalle due “colonne” della civiltà umana.

Nella situazione contemporanea a Dante, però, c’è stato un

travalicamento di ruoli, un’indebita fusione di competenze ottenute con la

forza, con la mancanza di reciproco timore che porta a uno sviamento

dell’ecumene e infanga il ruolo santo della Chiesa di Roma.

Questo è il resoconto delle considerazioni generali proposte da

Dante riguardo agli effetti dell’operato del Caetani come pontefice.

Ovviamente, poiché nella finzione della Commedia tale

personaggio risulta ancora in vita, non lo troveremo mai rappresentato

4 Purgatorio XVI, 106 – 112.

14

direttamente, nemmeno relativamente al destino di esilio che aspetta il

poeta, previsto in più punti del poema.

Molto sono dunque i riferimenti a Bonifacio in tutta la Commedia,

ma l’analisi si limiterà agli episodi dell’Inferno per una questione di brevità

Alcuni di questi accenni al Caetani sono piuttosto incerti e frutto di

ipotesi, anche di illustri critici, come quello contenuto nel verso 69 del

canto VI dell’Inferno: con la forza di tal che testè piaggia.

La critica è sempre stata divisa sull’identificazione del personaggio

a cui Dante fa riferimento, ma sia il Compagni che Boccaccia indicano

questa figura con quella di Bonifacio VIII.

Quello che sia il cronista, sia il letterato vogliono sottolineare, è

dunque l’atteggiamento inizialmente cauto e nascosto di Bonifacio, per

destreggiarsi tra le due fazioni (i Guelfi Bianchi e quelli Neri) senza

mostrare aperte simpatie per l’una piuttosto che per l’altra.

A questo punto pare dunque molto probabile la presenza di un

primo, cauto accenno alla politica inizialmente “coperta” di Bonifacio, che

non solo aspetta di vedere l’evoluzione naturale delle diatribe fiorentine,

ma anche forse per il suo ruolo istituzionale non può permettersi di

assumere in modo scoperto un ruolo di aperta partigianeria.

Perché, una volta assunta come valida l’identificazione di “tal che

testè piaggia” con la figura di Bonifacio VIII, tale accenno diventa di

fondamentale importanza nell’economia del poema?

Proprio perché è questa la prima pennellata del quadro che si sta

progressivamente delineando nella creazione del “mito negativo” che si sta

costituendo, coerentemente, all’interno del percorso del pellegrino, che ne

rende poi conto in veste di narratore.

Detto questo si può passare dal probabile al certo, vale a dire

all’analisi del canto XIX dell’Inferno.

Il canto si apre con un’apostrofe che fa piazza pulita degli accenni

consueti alla fisica traslazione da un cerchio all’altro: segno evidente che al

poeta preme un diverso tipo d’informazione, tesa alla denuncia immediata

della tipologia viziosa con la quale era venuto a contatto.

Così irruente suona l’invettiva proemiale:

O Simon mago, o miseri seguaci,

15

che le cose di Dio, che di bontate

deon esser spos’, e voi rapaci

per oro e per argento avolterate,

or convien che per voi suoni la tromba,

però che nella terza bolgia state.5

La materia trattata è in sé di grande dignità: proprio per questo i

frodatori poi presentati, alla ricerca in vita del vantaggio personale o

familiare ottenuto sfruttando indebitamente beni e valori d’autorità

ecclesiastica, vengono così duramente marchiati.

A tale considerazione sulla confusione tra materialità e senso

spirituale il poeta aggiungerà la condanna del disordine sociale

conseguente a tale atteggiamento.

La prima denuncia è quella relativa alla miseria morale che

caratterizza i seguaci di Simon mago, prostitutori per oro e per argento

delle legittime spose della bontà divina: è atto dovuto che venga pubblicata

tale vergogna che ha fruttato il posizionamento della terza bolgia di tali

anime perverse.

Ai vv. 10 – 12 Dante narratore loda la Somma Sapienza e la sua arte

così grande in ogni dimensione del creato da fornire, per sua intima virtù,

la giusta distribuzione di beni o punizioni.

Si prosegue poi nella descrizione fisica della bolgia, così piena di

peccatori da richiedere la distribuzione dei fori deputati alla pena non solo

sul fondo, ma anche sulle coste.

Ogni foro è di uguale larghezza, e di uguale forma: non da questo

elemento relativo a forme e dimensioni il poeta potrà dedurre una diversa

gradazione di tormenti e di importanza dell’anima occupante, quindi; né

varia la collocazione dei dannati, ciascun con solo i piedi e le gambe infin

al grosso fuori dalla bocca delle buche, a rigore dei vv. 22 – 24.

Viene precisato, ai vv. 25 – 30, che le punte dei piedi erano colpite

dal fuoco e provocavano un tale dolore da agitare così tanto le gambe, che

avrebbero spezzato ogni tipo di legatura.

5 Inferno XIX, 1-6.

16

Dante chiede però nozione di uno solo dei peccatori che ancora più

degli altri dibatte gli arti inferiori perché una fiamma più vivace lo

colpisce.

Il poeta ricollega così con un maggior tormento la maggiore

importanza del tormentato: sarà così più grande l’esemplarità ai fini della

narrazione.

Virgilio ha capito il desiderio di ascoltare l’esperienza narrata dalla

viva voce del dannato, e consente a Dante di rapportarsi con esso.

Prima di passare a tale dialogo è bene riflettere sul contrapasso tra

peccato e pena per i simoniaci: essi sono collocati a testa in giù in un pozzo

infernale infuocato. Tale posizione è tesa ad indicare come venga ripagata

l’avidità di beni materiali in chi avrebbe dovuto rivolgersi ai beni celesti,

fornendo contemporaneamente un buon esempio per la comunità dei

cristiani.

All’atteggiamento morale tenuto in vita corrisponde adesso tale

postura e al posto dell’aureola di santità, ottenibile grazie alla Carità, c’è

ora una terribile fiamma che lambisce le piante dei piedi.

Dante, Virgilio e i simoniaci

17

Procedendo nella narrazione, il poeta propone poi il colloquio con il

dannato eccellente:

O qual che se’ che ‘l di su tien’ di sotto,

anima trista come pal commessa”

comincia’ io a dir, “se puoi, fa motto.6

Questi versi sottolineano l’inversione operata della postura che

caratterizza l’essere umano, che poggia i piedi sulla terra e protende la

parte superiore del corpo verso il cielo; questo è quanto ha ottenuto come

compenso ultraterreno il dannato.

Non senza malizia Dante mette in dubbio la possibilità di

applicazione di un’altra dote tipicamente umana: il dono della parola. Non

senza malizia, ancora, sottolinea la posizione assunta per provare a

saperne di più riguardo all’identità del conficcato.

Dante assume un ruolo paragonato a quello di un religioso che

confessa un perfido assassino: il poeta, ex-politico, esule anche per volontà

di Bonifacio, “confessa” un papa!

La risposta del dannato è un grido, davvero poco adatto, anche per

il contenuto sarcastico e per la forma dell’esposizione, all’autorità di un

pontefice:

[…] Se’ tu già costì ritto?

se’ tu già costì ritto, Bonifazio?

Di parecchi anni mi mentì lo scritto.

Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio

per lo qual non temesti tòrre a’nganno

la bella donna, e poi di farne strazio?7

Così viene introdotta la figura del papa che è atteso in futuro in tale

luogo a prendere per un tempo limitato il posto che attualmente compete a

Niccolò III Orsini.

6 Ibidem, 46 – 48. 7 Ibidem, 52-57.

18

Non c’è davvero male, come presentazione: tono concitato,

canzonatorio e plebeo; disappunto riguardo la visione menzognera avuta

del futuro avvento; acrimoniosa reprimenda relativamente all’aver per

l’ottenimento del quale Bonifacio non avrebbe avuto il timor di Dio

necessario a distoglierlo dall’uso dell’inganno perpetrato per acquisirne la

legittima sposa, la Chiesa, e poi per straziarla sottomettendola ai propri fini

dettati da avidità materialistica.

Vale la pena insistere su “torre a ‘nganno”: è un dato

incontrovertibile che denuncia come Dante avesse recepito e ritrasmesso la

leggenda del subdolo scavo psicologico attuato dal Caetani nei confronti di

Pietro dal Morrone, e anche forse con riferimenti ad oscure manovre

politiche in sede di conclave.

L’espediente per cui Niccolò III, tutto fisso col pensiero nell’attesa

del suo successore di pena, risponde in tal modo allo stimolo dell’autore

permette di evocare in questo particolare luogo di condanna ben tre papi

simoniaci: Clemente V, Bonifacio VIII e lo stesso Niccolò.

Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,

che tu abbi però la ripa corsa,

sappi ch’i’ fui vestito del gran manto;

e veramente fui figliuol de l’orsa,

cupido sì per avanzar li orsatti,

che sù l’aver e qui me misi in borsa.8

Denuncia quindi la propria identità, rivelando prima di tutto che in

vita fu papa; poi la propria appartenenza familiare; e su questa

dichiarazione insiste con un gioco etimologico tipico della cultura

medioevale.

Niccolò III Orsini era stato papa dal 1277 al 1280 e la fama di lui

rimasta non era certo positiva. Personaggio adattissimo, dunque, per

vibrare la dura condanna che coinvolge da dentro i papi simoniaci del

futuro; chi mette l’avere nelle sue tasche in vita sfruttando la dignità

8 Ibidem 67 – 72.

19

papale è giustamente destinato ad essere “imborsato” nell’aldilà, secondo

l’etica dantesca.

Ma non è solo una questione di pena e di punizione: c’è la volontà

di capire e descrivere le complesse componenti dell’animo umano, e il

valore esemplare che questi assumono nel loro costituire una persona come

l’Orsini, il Caetani e Bertrand de Got una volta che abbiano assunto, e

pervertito, la massima carica religiosa del tempo.

Bonifacio è figura centrale in questo tema; la profezia che Niccolò

aveva temuto menzognera, quanto ai tempi di realizzazione non lascia

scampo, in questo giudizio che risuonerà in eterno.

Nel giro di sette terzine vengono così coinvolti ben tre esponenti

della massima autorità ecclesiastica accomunati dalla medesima colpa e

nella medesima pena; la fama attribuita a loro è degno marchio nella

valutazione del loro operato non solo sovvertitore dell’ordine sociale,

politico e religioso, ma anche esempio esecrabile e massimamente

colpevole: se i primi a sviarsi gravemente sono i pastori, che potrà mai fare

il gregge?

William Blake, I simoniaci

20

Ecco quindi convenientemente collocato, con giudizio rivelatore

della colpa massima anche il papa da considerare tra i responsabili

dell’esilio dantesco.

Dopo la confessione della lordura simoniaca che insidia Chiesa e

civiltà, persino nella persona di alcune guide deviate e apportatrici di

deviazione, arriva quindi l’aspra invettiva di chi sta progressivamente

assurgendo a esempio di come si deve ricostruire la comunità cristiana una

volta analizzato punto per punto il livello di “infernalità” al quale si è

arrivati, e del quale Bonifacio VIII, visto il ruolo e le azioni, ha la sua bella

parte di responsabilità.

Vengono denunciati anche gli effetti sulla comunità cristiana di tale

disposizione malvagia, ma senza rinunciare ad un riverenziale timore

espresso, oltre che nel dubbio preposto all’invettiva, anche nella riverenza

alle “somme chiavi” per cui il poeta si astiene dall’usare parole ancora più

gravi, per non oltrepassare i limiti imposti dal rispetto per la dignità papale.

b. Guido da Montefeltro

Il giudizio sulla figura politica di questo papa e, allo stesso tempo,

d’indegno vicario di Cristo, verrà approfondito e arricchito nel corso del

XXVII canto dell’Inferno, attraverso la confessione di Guido da

Montefeltro.

Prima di passare all’analisi di tale esempio, vanno però sottolineati

due aspetti dell’intento accusatorio: da una parte ognuna di queste tappe

del percorso rappresenta l’indizio dell’accresciuta magnanimità da parte

dell’accusatore; dall’altra si evidenzia la sua volontà di distinguere con

chiarezza la validità delle istituzioni delle persone che le detengono: la

Prudenza si esplica, nel suo processo di acquisizione, anche distinguendo

tra la santità delle “cose” in sé e l’indegnità dei loro rappresentanti; così,

anche riguarda a Bonifacio, qui come altrove il ruolo papale, ufficialmente

riconosciuto, verrà indicato nel rispetto del valore istituzionale ma

accusando l’indegna amministrazione del ruolo da parte del papa

simoniaco.

21

Ben lo dimostra, appunto, l’episodio narrato all’interno di Inferno

XXVII: protagonista è l’anima del nobilissimo Guido da Montefeltro, che,

interrogato da Dante sulla sua identità, gli risponde sanza tema d’infamia

solo perché convinto che nessuno sei presenti nel mondo infernale possa

tornare nel mondo dei viventi.

Bartolomeo di Fruosino, Dante e Virgilio con Guido da Montefeltro tra i Falsi

consiglieri, 1420 ca., Biblioteque Nationale, Parigi

Prima uomo d’armi, poi cordelliero (frate francescano, cinto da una

corda) per fare ammenda dei propri peccati, il sottile politico è proprio la

persona più adatta per denunciare il subdolo comportamento tenuto da

Bonifacio nello sfruttare il proprio ruolo istituzionale per prevaricare i più

odiati nemici personali: i Colonna.

La conversione di Guido sarebbe stata realizzata se non fosse stato,

come denuncia:

[…] il gran prete, a cui mal prenda!

che mi rimise ne le prime colpe;9

Invece di essere pastore di anime verso il Bene, Bonifacio diventa

addirittura motivo di dannazione per queste: a tal punto è arrivato il

sovvertimento del suo ruolo.

9 Inferno XXVII, 70-71.

22

Il destino dell’anima di Guido, benché per propria responsabilità,

appare deciso dalla brama di potere del Caetani.

Guido (vv. 77 sgg.), in tarda età, si predispone a fare ammenda di

quell’uso distorto dell’intelletto che lo aveva reso famoso.Ma proprio tale

fama induce Bonifacio, lo principe d’i novi farisei (v. 85), a volerne un

consiglio per risolvere la guerra che lo impegna presso il Laterano, con

nemici tutti cristiani.

Tale pastore trasformato in tenebrosa figura, socialmente e

moralmente pericoloso, non ha remore e freni di nessun tipo, e ora Guido,

nello sfogo impotente della sua rabbia e del suo rancore lo dichiara a tutto

campo sostenendo che il papa:

né sommo officio né ordini sacri

guardò in sé, né in me quel capestro

che solea fare i suoi cinti più macri.10

Guido diventa quasi uno storico che contribuisce alla ricostruzione,

con il resoconto di questa esperienza personale, di un riservatissimo

colloquio con Bonifacio, della valenza assolutamente negativa assunta dal

capo spirituale dell’ecumene: un magnanimo del male, si può affermare

con certezza, e di un male diffuso ampiamente ai vertici della Chiesa,

perché viene disegnato proprio come principe di nuovi farisei.

E cosa pretendere da chi gli è immediatamente sotto nella gerarchia

ecclesiastica, se in tali condizioni è il vertice?

È la degenerazione generale della Chiesa, e quella particolare del

suo legittimo ma indegno capo, qui, che viene pienamente enunciata.

Il giudizio della persona e delle azioni del Caetani è anche la

denuncia del bisogno di risanare tutto il corpo della Chiesa, perché la

cupidigia materialistica e la smania di potere sono diventati sistema di vita,

tanto che, dimenticando le Crociate contro quelli che il Medioevo cristiano

giudicava i nemici della vera fede, Bonifacio muoveva per interessi

personali una crociata contro altri cristiani, i Colonnesi, asserragliati a

Palestrina.

23

Proprio in virtù dello sviamento e della corruzione generalizzati

Bonifacio può impunemente, finché vive, permettersi di non avere alcun

riguardo, nonostante il suo ruolo, per l’Ufficio pastorale e per la situazione

di chi gli sta davanti, come è nel caso esemplarmente ricordato in questo

canto, relativo ad un frate francescano in cerca di redenzione.

Alla richiesta papale di aiuto Guido tace, Bonifacio arriva dunque a

proporgli parole che rivelano quella che può senza dubbio definirsi una

“tentazione demoniaca”, che utilizza armi logiche tutte umane: sarebbe

errato vedere proiettata nel pontefice, nell’intento dantesco, la figura di un

diavolo; è piuttosto un prigioniero del diavolo, così ottuso nella sua vita

morale e spirituale da non considerare nemmeno la concezione del peccato

e delle sue conseguenze, legate alla individuale responsabilità, tanto più

pesante quanto più elevato è il ruolo ricoperto in vita.

Così, pur rendendo gigantesca la figura di Bonifacio, Dante toglie

in realtà ogni grandezza a questo personaggio: non un ribelle, ma un folle

superbo che è posto alla guida dell’ecumene e la martoria al punto di essere

capitale esempio di scandalo.

Dante fa parlare Bonifacio ed è l’unica volta che viene riferito,

nella testimonianza di Guido, un discorso diretto del pontefice:

[…] “Tuo cuor non sospetti;

finor t’assolvo, e tu m’insegna fare

sì come Penestrino in terra getti.

Lo ciel poss’io serrare e disserrare,

come tu sai; però son due le chiavi

che ‘l mio antecessor non ebbe care”.11

Con logica valida per chi fa conto solo della sua dimensione

terrena, Bonifacio invita, con fare tipico di chie è abituato a trattare con

diffidenza reciproca, a non sospettare.

Il peccato che induce nel neopenitente viene assolto già prima di

essere commesso, purché si abbia il consiglio necessario per abbattere gli

10 Ibidem, 90- 93. 11 Ibidem, 100-105

24

odiati Colonna: così forte pensa, il Caetani, che sia la sua autorità. Non sa

forse Guido che può aprire e chiudere, a proprio piacimento, la porta del

Paradiso? Non è forse questo il potere che il ruolo pontificale gli dà?

Si può perfino permettere, il papa in carica, di sbeffeggiare il suo

predecessore, trattato con sprezzo e scherno perché non tenne a mantenere

tutto quel potere che la carica gli conferiva, dato che era un mite asceta

(mentre per il Caetani l’autoaffermazione attraverso il mantenimento di

tale potere sarà ragione di vita).

L’atto di viltà di Guido è da degno deuteragonista di Bonifacio:

quest’ultimo ottunde la coscienza del francescano, distorce la concezione

di giustizia, offre un influsso nefasto a chi, per sua intima natura è pronto a

raccoglierlo.

Sarà poi il demonio, che entrambi li ha resi schiavi, a sbattere in

faccia a Guido la retta, incontrovertibile logica ultraterrena:

ch’assolver non si può chi non si pente,

né pentere e volere insieme puossi

per la contraddizion che nol consente”.12

Il giudizio assoluto al quale si è più volte accennato, non guarda

autorità e assoluzioni preventive, ma solo il pentimento dell’anima e della

ragione dell’uomo, che non può esistere se la volontà è pervertita verso

intenti malvagi.

Il potere tanto vantato da Bonifacio diventa allora nulla di fronte al

Giudizio divino che è la vera fonte dell’autorità papale sulle anime: se il

papa assolve un indegno sarà Dio a condannarlo, se il papa scomunica chi

in punto di morte si pente (Manfredi), sarà Dio a concedergli la vita eterna.

Già un predecessore nella simonia ha provveduto a segnalare quale

sorte spetti a coronamento dell’ottusità morale denunciata da Dante nel

Caetani.

Certo, invita Bonifacio mostra di avere ben care, nell’ottica

dantesca e nel suo modo di tratteggiare la personalità del pontefice, le

25

chiavi dell’autorità spirituale; ma l’uso anticristiano e antisociale che ne fa

fruttano tragiche conseguenze per i Cristiani, sulla Terra, e, per la sua

persona, nell’aldilà.

Questo non toglie legittimità all’assegnazione, né validità al ruolo

istituzionale di cui Bonifacio è rappresentante: ruolo più grande di lui

stesso e in sé sacro.

Il destino ultraterreno di questo papa è quello di essere precipitato e

sprofondato, come già affermato all’altezza di Inferno XIX, tra i simoniaci.

Il personaggio Caetani è in qualche modo artefice del proprio

fallimento terreno e, in conseguenza, di quello ben più grave, perché

bollato per l’eternità, ultraterrena.

Bonifacio VIII diventa per Dante un papa simoniaco, imponente ma

ottuso, energico ma prepotente, incapace di contenersi e di rispettare quel

ruolo sacro e legittimo che gli è stato assegnato.

12 Ibidem, 118-120.

26

§5. Jacopone da Todi e Bonifacio

Lo scontro scontro fra Jacopone e Bonifacio VIII ha origini nella

disputa interna all'ordine francescano sul carattere da dare alla vita dei

frati.

Jacopone da Todi

Alla fine del Duecento, le tensioni nell'ordine erano più che mai

accese: lo scontro tra "conventuali" e "spirituali" aveva ormai sancito una

netta divisione tra i frati, a cui era seguita la comparsa di movimenti ribelli

alla Chiesa che proponevano un'adesione fedele alla regola di Francesco.

Nel 1294, un gruppo di zelanti marchigiani chiese un

riconoscimento ufficiale al neoeletto papa Celestino V, l'ex eremita Pietro

del Morrone, visto dagli Spirituali francescani come la guida che avrebbe

dovuto purificare la Chiesa, inaugurando una nuova era.

Gli esponenti di massimo prestigio dell'ala spirituale diedero quindi

l'approvazione alla petizione dei marchigiani: tra i firmatari figura Jacobo

de Tuderto, identificabile come Jacopone, che pur non facendo parte dei

ribelli, comunque ne condivideva le motivazioni, e probabilmente vedeva

in essi la possibile salvezza dei francescani dalla corruzione.

Il nuovo papa offrì la soluzione al gruppo collocandolo in un nuovo

ordine: Pauperes heremitae Domini Celestini, destinato a una fine precoce.

27

Infatti, ben presto il papa si rivelò una grande delusione: la permanenza a

Napoli nelle mani di Carlo II, la mancanza di autonomia e l'inadeguatezza

al ruolo sfociarono nella rinuncia al pontificato, a soli cinque mesi

dall'elezione.

In alcuni ambienti degli Spirituali e nella storiografia successiva, si

diffuse la leggenda di un complotto contro il papa angelico, che sarebbe

stato forzato all'abdicazione e al silenzio: in effetti il papa successivo

Bonifacio VIII sembrò confermare queste ipotesi quando obbligò Celestino

alla permanenza presso la corte papale, per poi rinchiuderlo nel Castello di

Fumone in Ciociaria al fine di bloccarlo per sempre.

Al di là delle dicerie su un possibile complotto e sulle costrizioni

che l'ex eremita avrebbe subito, probabilmente l'atteggiamento del nuovo

papa Bonifacio era dettato dal solo timore che un personaggio come Pietro

Celestino, se in libera circolazione, potesse rappresentare un qualche

riferimento per gli oppositori alla Chiesa ufficiale; inoltre per quanto

riguarda l'atto della rinuncia al pontificato, l'inesperienza e le difficoltà

incontrate da Celestino furono forse l'unica giustificazione del suo rapido

dileguarsi dalla scena italiana.

[...] Lucifero novello a ssedere en papato,

lengua de blasfemìa, ch'el mondo ài 'nvenenato [...]13

Nel dicembre del 1294, a pochi giorni dalla rinuncia di Celestino V,

i cardinali elessero Bonifacio VIII, che suscitò subito l'antipatia degli

Spirituali francescani, come ritroviamo nelle laude dello stesso Jacopone

da Todi. Il nuovo papa era visto come colui che aveva cacciato il

precedente salvatore, usando pressioni e inganni: oggi questa costruzione

non ha fondamento, ma in effetti, oltre che dotato di grande esperienza

politico-diplomatica, egli aveva sicuramente posizioni radicalmente

opposte a quelle del predecessore Celestino, ed era un uomo molto sicuro

di sé, abile, spesso irruente e arrogante.

Saranno proprio i suoi tratti caratteriali, insieme alle decisioni

intraprese come pontefice, ad attirargli l'odio di tutti gli ambienti vicini allo

28

Spiritualismo e alle istanze di una riforma nella Chiesa. In particolare, nel

1295 emanò la bolla Olim Celestinus, che revocava o sospendeva i

provvedimenti presi dal precedente papa Celestino V: tra questi, fu sospeso

anche il provvedimento che aveva risolto la situazione dei francescani

ribelli delle Marche creandone un ordine autonomo. Le bolle successive,

come la Firma Cautela, condannavano le forme religiose non regolari,

come i bizzochi: in una della laude alla fine del secolo, Jacopone stesso si

definì bizzoco, per parlare della vita da libero penitente condotta per circa

un decennio dopo la conversione (1268 - 1278 circa).

Ma il rancore tra Jacopone e Bonifacio potrebbe avere anche

motivazioni che esulano l'area politica e religiosa. Infatti è certo che la

biografia dei due personaggi si sia incrociata anche prima dei fatti narrati

qui sopra.

Grazie alla documentazione storica, pare che Benedetto Caetani

fosse contemporaneo di Iacopo de Benedetti, o di poco più giovane, ed

inoltre avesse vissuto a lungo a Todi con lo zio Pietro, che ne era vescovo.

Prima dello scontro politico in occasione del Manifesto di

Lunghezza nel 1297, quindi, i due si conoscevano già molto

probabilmente: da un lato Jacopone, che sedeva nel consiglio di Todi e si

stava affermando come uomo di legge, d'altro lato Benedetto, giovane

canonico nipote del vescovo di città.

Jacopone da Todi

13 Dalla lauda O Papa Bonifazio, molt'ài iocato al mondo

29

Questa compresenza in Todi tra il futuro frate francescano e il

futuro papa non poteva non creare una serie di leggende locali. Secondo un

racconto tradizionale, durante una delle numerose liti e sassaiole tra

giovani ghibellini e guelfi, Benedetto sarebbe stato ferito alla testa, mentre

nel gruppo avversario figurava proprio l'intransigente e violento Jacopone.

Queste coincidenze biografiche peseranno sicuramente sui

successivi sviluppi dello scontro tra i due personaggi, che andò accuendosi

sempre più grazie alla spregiudicata azione politica di Bonifacio.

Gli Spirituali francescani non erano gli unici nemici di Bonifacio

VIII: negli ultimi anni del Duecento, anche i francesi e la nobiltà romana

legata alla potente famiglia dei Colonna erano apertamente ostili verso il

papa.

La disputa con i Colonna iniziò per un conflitto di interessi con la

famiglia Caetani, da cui proveniva lo stesso papa Bonifacio, e si accese

soprattutto per il possesso di alcune località, degenerando nel 1297 in

scontro frontale: i Colonna si riunirono quindi con i sostenitori francescani

nel castello di Lunghezza, vicino a Palestrina, e insieme dichiararono

l'illegittimità della nomina papale di Bonifacio.

Il testo firmato dalla famiglia romana aveva quindi l'appoggio di

una parte dell'ordine francescano: passato alla storia come il Manifesto di

Lunghezza, tra i firmatari contò anche Jacopone da Todi, probabilmente fin

dall'inizio uno tra i più intransigenti e attivi personaggi nel movimento

contro il papa Bonifacio VIII, e in generale contro la dilagante corruzione

della Chiesa.

[...] fusti al monte Pellestrina,

anno e mezzo en desciplina [...]14

Dopo il clamoroso episodio di Lunghezza, Bonifacio VIII reagì con

durezza: la scomunica per i Colonna e i loro sostenitori, e l'assedio alla loro

14 dalla lauda Que farai, fra Iacovone

30

sede di Palestrina. Inoltre, come se non bastasse, il papa promosse

addirittura una crociata contro la famiglia dei Colonna.

La crociata era in effetti il mezzo più efficace a disposizione di un

papa per annullare i suoi nemici politici; ma già all'epoca, una decisione

così grave e mossa da puri interessi patrimoniali, provocava grande

scandalo. Anche nella Divina Commedia ne sentiamo l'eco: Dante

sottolineò che Bonifacio stava conducendo una guerra nella sua stessa

Roma, non curandosi invece della più urgente lotta contro gli infedeli per

la liberazione della Terrasanta.

La rocca di Palestrina

In questi frangenti, Jacopone si trovava a Palestrina, prima

scomunicato insieme agli altri, poi messo a dura prova dall'assedio: "anno

e mezzo en desciplina" è una sua rapida definizione dei mesi di sofferenza

e preoccupazioni, durante i quali compose alcune delle più violente

invettive contro il papa diabolico che si era impadronito del vertice della

Chiesa, sul trono che spettava a Celestino V.

Nel settembre del 1298, la cittadina capitolò: i Colonna e i loro

sostenitori caddero in mano alle forze papali. Jacopone fu incarcerato e non

poté sfuggire alla dura punizione che gli spettava quale attivo oppositore

31

del papa. Il processo gli riservò la condanna a una prigionia conventuale

perpetua, forse proprio nel convento di San Fortunato a Todi.

Questa pena che mm'è data,

trent'agn'à ch'e' l'aio amata;

or è ionta la iornata

d'esta consolazione.15

La prigionia forzata fu ben tollerata da Jacopone, ma risultò

infruttuosa: i frugali pasti a base di pane e cipolla, il freddo umido,

l'isolamento totale dal resto del mondo non potevano portare al pentimento

un uomo abituato da trent'anni ad amare privazioni e sofferenze.

Ma l'avanzare dell'età iniziò presto a pesare su Jacopone, così come

la prospettiva di una prigionia senza fine e la lontananza dalla comunità

cristiana: nel componimento O papa Bonifazio, pur mostrando

esplicitamente di non aver mutato idea su Bonifacio VIII, Jacopone si

appellò a lui per lo scioglimento della scomunica.

Arnolfo di Cambio, Tomba di Bonifacio VIII

Questo era un momento favorevole al papa, data l'organizzazione di

un evento eccezionale: il grande giubileo del 1300. La data suggestiva del

cambio di secolo e la promessa di indulgenze contribuirono sia al successo

dell'iniziativa che a un nuovo favore popolare per il papa. Eppure, la

15 Ibidem.

32

grande perdonanza che Bonifacio elargì, non arrivò a Jacopone, che

doveva ancora restare fuori della Chiesa, in preda a patimenti e malattie in

una buia cella.

Un'altra lauda, stavolta priva di toni sarcastici o accuse, fu

composta dal poeta tuderte per chiedere nuovamente al papa la liberazione

dal carcere e una diversa punizione. Jacopone era ormai anziano, provato,

profondamente umiliato; ma Bonifacio rifiutò la concessione.

Nel 1303 Bonifacio VIII morì e fu sepolto nella tomba scolpita da

Arnolfo di Cambio. Solo adesso, per intervento del nuovo papa Benedetto

XI, Jacopone poté uscire dalla prigione: ormai settantenne e malato, si

ritirò in un convento francescano nei dintorni di Todi, forse il convento di

San Lorenzo a Collazzone. Questa fase fu probabilmente segnata dalla

creazione di laudi mistiche, ormai lontani i componimenti politico-satirici.

Nel dicembre del 1306, Jacopone si ammalò gravemente e presto si

spense nel convento di Collazzone: secondo la leggenda l'episodio finale

della sua esistenza sembrò essere legato a una visita particolare, quella di

Giovanni da Verna.

Proseguì la storia del corpo di Jacopone, che fu trasportato a Todi e

riposò per più di un secolo in un monastero francescano: forse quello delle

clarisse di Montecristo, o il convento di Montesanto.

33

FINALITA’ E OBIETTIVI

La creazione di un percorso pluridisciplinare presuppone che un

unico oggetto di indagine venga analizzato secondo diversi punti di vista e

che differenti siano gli strumenti metodologici utilizzati, corrispondenti

alle diverse materie; infatti, pur avendo in comune la tematica, le discipline

possiedono una propria natura e quindi una proposta specifica

metodologica.

Il fatto che le discipline coinvolte sono gestite da un solo

insegnante, facilita un’unitarietà del lavoro, anche se c’è il rischio che

questa differenza metodologica non sia percepita, proprio perché passa

attraverso un unico docente. Sarà perciò obiettivo specifico per

l’insegnante il saper ben differenziare le materie da lui trattate.

Per quanto riguarda l’alunno, tale percorso mira a portarlo ad essere

consapevole della profonda implicazione tra le discipline rispetto a uno

specifico argomento, senza però perdere di vista le finalità e la natura

propria di ciascuna disciplina: intende guidare l’alunno ad un’analisi e ad

un approccio critico della tematica affrontata e vuole favorire, mediante

lettura di opere letterarie la presa di coscienza dell’importanza del testo

come modalità di approccio diretto ai temi trattati.

Il lavoro è anche finalizzato al potenziamento delle capacità di

analisi e di sintesi: dapprima infatti il ragazzo è chiamato ad uno studio

analitico del personaggio secondo diverse prospettive, in seguito deve

operare una sintesi che coniughi quanto studiato.

A fianco degli obiettivi generali previsti dalle normali attività

curriculari proposte nell’insegnamento dell’italiano in terza, che, come

noto, è improntato anche allo sviluppo della capacità di comprendere un

testo in modo approfondito e consapevole, individuandone e

classificandone i nuclei concettuali , sapendo rintracciare in esso notizie,

dati, concetti, punti di vista, si intende con il lavoro proposto promuovere

l’utilizzo delle proprie conoscenze per mettere in relazione ed integrare le

informazioni con quelle desunte da altre fonti; si vuole inoltre favorire lo

sviluppo di capacità di lettura critica del testo letterario.

34

PREREQUISITI

Per potersi addentrare nell’analisi dell’opera di Dante è necessario

che i ragazzi siano al corrente delle vicende storiche connesse alla vita del

poeta e in particolare alle lotte tra la fazione dei Banchi e dei Neri a

Firenze e al conseguente esilio del guelfo fiorentino; è altrettanto

indispensabile che si siano già accostati alla lettura della Commedia e

abbiano ben presente i contenuti e la struttura dell’opera. È altresì

necessario che siano in grado di leggere e comprendere, con l’aiuto

dell’insegnante, il volgare fiorentino e siano a conoscenza dei procedimenti

stilistici utilizzati dall’autore.

METODOLOGIA

Dal punto di vista metodologico si intende procedere nel seguente

modo: è prevista una lezione frontale introduttiva finalizzata a mostrare i

temi da affrontare, mentre il lavoro sarà incentrato sull’analisi e il

commento del testo letterario: è bene che la lezione non abbia un carattere

esclusivamente fonologico, ma assuma piuttosto una valenza dialogica e

viva di continui momenti di richiamo dell’insegnante e di interventi da

parte degli allievi.

Sarà effettuata dall’insegnante la lettura del testo dantesco, con

attenzione al livello soprattutto contenutistico dei canti prescelti.

Per quanto riguarda i materiali e gli strumenti è opportuno l’utilizzo

della versione integrale dell’Inferno che dovrebbe rientrare tra i libri di

testo adottati dai ragazzi.

Questo lavoro sui Canti danteschi inizia in parallelo con il lavoro

svolto a livello storico. È importante che i ragazzi vedano, almeno

inizialmente i due lati della stessa vicenda.

Si prevedono però tempi più lunghi per questo tipo di lavoro.

Almeno due ore per ogni Canto trattato (il XIX e il XXVII dell’Inferno).

Anche in questo caso si dedicherà almeno un’ora alla verifica in

itinere, attraverso la modalità privilegiata dell’interrogazione orale.

35

Le metodologie didattiche applicate sono quelle della lezione

frontale, ma anche di una lezione partecipata e di una discussione guidata

su alcuni aspetti della figura del pontefice. Gli strumenti di cui ci si potrà

avvalere sono il manuale di storia ed eventuali appunti e fotocopie

integrative, sempre che il docente lo ritenga opportuno.

TEMPI

Il tempo previsto per lo sviluppo di questa parte del percorso è circa

di due settimane, comprese le verifiche in itinere del materiale studiato.

Esso sarà così distribuito:

- Presentazione del personaggio e del contesto in cui Bonifacio VIII si

trova inserito. Necessarie almeno due ore di spiegazione.

- La verifica in itinere dell’argomento trattato. Necessaria almeno

un’ora.

La verifica prevista sarà inerente all’argomento trattato e dovrà

chiarire se e in quale misura sono stati raggiunti gli obiettivi prefissati. La

modalità di verifica privilegiata sarà l’interrogazione orale.

PERCORSI DI RICERCA

Per quanto riguarda Dante e la Commedia, si suggerisce un

percorso di ricerca, forse un po’ più complesso rispetto a quello storico, ma

altrettanto affascinante. Scopo di questa ricerca è quella di verificare come

la figura di Bonifacio sia in realtà un elemento fondante e costante nella

Commedia.

L’analisi dei Canti infernali mostra la presenza del pontefice come

un protagonista negativo e assente. Attraverso il libro di Massimo

Seriacopi, Bonifacio VIII nella storia e nell’opera di Dante (Libreria Chiari

Firenzelibri, Firenze 2003), è possibile entrare ancora più a fondo nella

struttura della Commedia, individuando quei Canti di Purgatorio e

Paradiso che pongono la figura papale come tema.

36

La lettura del capitolo 5 della suddetta opera permette di scoprire

come l’istituzione papale non sia mai considerata indegna o corrotta di per

se; sono le figure che occupano tale corruzione ad essere criticate e

ammonite.

Per brevità si da solo un breve elenco dei canti dove tale tema è

trattato: XX, XXXII Purgatorio; XXVII, XXX Paradiso.

Non sarà compito dei ragazzi leggerli o comprenderli, ma,

attraverso la lettura guidata del Seriacopi, sarà loro possibile farsi un idea

più ampia di come il problema della corruzione della Chiesa e del papato

fosse un elemento cardine nella costruzione dell’intero poema.

Percorsi di ricerca teatrale

Trattando un autore tanto particolare, come Jacopone, viene quasi

naturale il passaggio a un altro elemento un po’ istrionico nel panorama

letterari italiano: Dario Fo.

Nel Mistero Buffo, Fo tratta espressamente la figura di Bonifacio e

quella di Jacopone. Nel suo spettacolo, di cui è disponibile una versione

video, si vede bene come il rapporto tra i due sia esemplificato. Ma oltre a

37

questo elemento, diventa importante la realizzazione scenica del monologo

sul pontefice.

Qui, attraverso la forza espressiva dell’attore, si possono vedere

estremizzate tutte quelle caratteristiche oscure e odiate del personaggio.

Bonifacio diventa la caricatura di tutto ciò che di negativo può esserci in un

papa.

Vedere questa realizzazione, comprendere l’effetto che tale parodia

poteva avere sulla popolazione, serve al ragazzo per interiorizzare proprio

quel sentimento di odio e di scandalo che il Caetani suscitò nei suoi

contemporanei, ma anche nei suoi posteri.

Poter confrontare questo con l’opera del De Mattei contro la

leggenda nera, può essere un utile spunto di riflessione e anche di

discussione. Domandarsi le ragioni di un odio così viscerale per un papa

che, può essere anche in alcuni casi riabilitato, è sicuramente un utile

percorso per far maturare il giudizio degli alunni.

VERIFICA FINALE E VALUTAZIONE

Calcolando bene i tempi sarà passato circa un mese dall’inizio del

percorso pluridisciplinare su Bonifacio. Gran parte del lavoro è gravato

sulla Letteratura, anche se la Storia ha avuta una parte importante nel

collocare la figura all’interno di un contesto preciso.

Tenendo conto di ciò la verifica finale sommativa non può che

passare attraverso l’Italiano. La proposta di lavoro è un tema, o saggio

breve, intorno alla figura di questo pontefice, alla luce di quanto studiato.

Compi un’analisi sufficientemente dettagliata sulla figura di

Bonifacio VIII, valutando l’influenza avuta da costui nelle opere di

scrittori come Dante e Jacopone.

Tale prova non può richiedere meno di tre ore per la composizione

la revisione del testo, secondo le normali regole di scrittura.

38

La valutazione delle verifiche in itinere è da intendersi sempre in

relazione diretta con gli obiettivi formativi. Pertanto esse devono essere

pensate in stretta dipendenza con gli obiettivi cognitivi.

In particolare durante il processo di apprendimento, l’attenzione

deve essere rivolta a verificare in modo analitico quali siano le difficoltà

degli studenti nel perseguire i suddetti obiettivi didattici e, allo stesso

tempo, quali conoscenze ed abilità vengano man mano acquisite.

Per quanto riguarda la verifica sommativi, oltre alle normali

capacità di esposizione e di scrittura, sarà valutata l’abilità di sintesi del

percorso compiuto durante le ore di lezione, e l’originalità con cui l’alunno

sa cogliere i motivi ricorrenti della figura del pontefice nelle opere

letterarie.

Mistero buffo

39

BIBLIOGRAFIA

- A. Ambrosiani, P. Zerbi, Problemi di storia medievale, Vita e

pensiero, Milano, 1995.

- R. Villari, Storia medievale, Laterza, Roma, 1983.

- G. Contini, Letteratura italiana delle origini, Sansoni Editore, Milano

1994.

- G. Segre, C. Martinioni, Testi nella storia, dalle origini al

quattrocento, Mondatori, Milano 1991.

- La Divina Commedia, canti scelti, a cura di M. Sarpi, N. Caridei, R.

Messina, A. Tocco, Marco Derva Editore, Napoli 1995.

- M. Seriacopi, Bonifacio VIII nella storia e nell’opera di Dante,

Libreria Chiari Firenzelibri, Firenze 2003.


Recommended