16
La Chiesa tra relativismo e fondamentalismo Materiale per gli educatori "Missa pro eligendo Pontifice" del 18 aprile 2005. "Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. 'Adulta' non è una fede che segue le onde della moda e l'ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell'amicizia con Cristo". Card. Joseph Ratzinger Laicità non significa relativismo. L’aggettivo «laico», dalla parola «laòs» popolo, ci viene dalla Bibbia in lingua greca dove viene usato per contrapporre ciò che è destinato all’uso profano a ciò che è destinato al culto di Dio. All’interno del popolo di Dio, perciò, diciamo fedele laico il battezzato che non è destinato al ministero sacerdotale, mentre - trasportandosi nella società civile - laico è chi non si riconosce in una particolare fede o religione. Cosa ben diversa è il laicismo che nega l’apertura dell’uomo alla trascendenza e propugna l’esclusione sistematica della religiosità e delle sue espressioni dalla vita pubblica. In una società pluralista e multiculturale il terreno di incontro tra coloro che professano una fede e coloro che non la professano può essere soltanto la ragione, ciò che tutti condividiamo come esseri umani. Sotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte del modo di sentire dei cristiani riconoscere il valore della ragione, dono di Dio e segno della divina immagine impressa nell’uomo, e la legittima autonomia delle realtà terrestri, create da Dio con la loro propria consistenza e conoscibili con la luce

 · Web viewSotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte

  • Upload
    others

  • View
    2

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1:  · Web viewSotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte

La Chiesa tra relativismo e fondamentalismo Materiale per gli educatori

"Missa pro eligendo Pontifice" del 18 aprile 2005."Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. 'Adulta' non è una fede che segue le onde della moda e l'ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell'amicizia con Cristo".

Card. Joseph Ratzinger

Laicità non significa relativismo.L’aggettivo «laico», dalla parola «laòs» popolo, ci viene dalla Bibbia in lingua greca dove viene usato per contrapporre ciò che è destinato all’uso profano a ciò che è destinato al culto di Dio. All’interno del popolo di Dio, perciò, diciamo fedele laico il battezzato che non è destinato al ministero sacerdotale, mentre - trasportandosi nella società civile - laico è chi non si riconosce in una particolare fede o religione. Cosa ben diversa è il laicismo che nega l’apertura dell’uomo alla trascendenza e propugna l’esclusione sistematica della religiosità e delle sue espressioni dalla vita pubblica. In una società pluralista e multiculturale il terreno di incontro tra coloro che professano una fede e coloro che non la professano può essere soltanto la ragione, ciò che tutti condividiamo come esseri umani. Sotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte del modo di sentire dei cristiani riconoscere il valore della ragione, dono di Dio e segno della divina immagine impressa nell’uomo, e la legittima autonomia delle realtà terrestri, create da Dio con la loro propria consistenza e conoscibili con la luce dell’intelligenza (cfr. Gaudium et spes, 76). La ragione umana - secondo la nostra Tradizione teologica - ha la capacità di conoscere ciò che è bene per l’uomo e, per non essere autodistruttiva, deve ordinare la vita delle persone verso il loro bene autentico. L’incontro con Cristo non si sostituisce né si oppone alla ragione, ma svela al credente un ideale di compiuto di umanità e infonde in lui una energia nuova che lo sospinge verso la sua piena realizzazione. Un equivoco diffuso deriva dalla sfiducia nella ragione umana e nelle sue possibilità di conoscere che cosa sia veramente bene per l’uomo, per cui il relativismo morale rappresenta una condizione per il convivere pacifico e democratico (cfr. Evangelium vitae, 70). Ovviamente ognuno ha percezioni e convinzioni soggettive e ciascuno vede le situazioni dalla propria prospettiva, interessi e sensibilità, ma ci si deve chiedere se la ragione non abbia in sé la forza ci conoscere che cosa è davvero bene per l’uomo. Non può essere che, per uno stesso malato, sia egualmente bene sospendergli le cure per farlo morire o assisterlo per lunghi anni per rispettare la sua vita fragile o che per una stessa donna sia eticamente indifferente abortire o no. Affermando la sua dottrina sulla legge naturale la Chiesa non fa altro che affermare la possibilità per la ragione umana di

Page 2:  · Web viewSotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte

conoscere che cosa sia bene per le persone e, quindi, che per una società sia possibile legiferare secondo ragione. In un recente documento della Commissione Teologica Internazionale sulla legge naturale si afferma che «la legittima e sana laicità dello Stato consiste nella distinzione tra l’ordine soprannaturale della fede teologale e l’ordine politico. Quest’ultimo non si può mai confondere con l’ordine della grazia a cui gli uomini sono chiamati a aderire liberamente. È legato piuttosto all’etica umana universale inscritta nella natura umana» (96). La città secolare ha il compito di procurare alle persone che la compongono ciò che è necessario alla piena realizzazione della loro vita umana e di tutelare alcuni beni fondamentali quali il rispetto della vita umana, il legame fra sessualità e genealogia della persona, il bisogno di comunione, l’apertura all’Assoluto. Sulla base di questi valori colti dalla ragione è possibile il dialogo pluralista, ma non relativista.

Certamente i beni fondamentali sono colti nel contesto della storia umana e la loro percezione è spesso confusa e crepuscolare, così come cangiante e non univoca la loro attuazione attraverso norme e decisioni concrete. A volte la situazione contingente sembra suggerire che sia meglio tollerare un male che non reprimerlo, talvolta sarà possibile elaborare soltanto leggi imperfette dal punto di vista della tutela integrale di tali beni. Qui sta la fatica della comune ricerca della verità e del bene alla quale a pieno diritto i cristiani, forti della loro esperienza di vita, partecipano accanto a tutti gli altri uomini e donne con trasparenza e lealtà.

Maurizio Faggioni, docente di Teologia Morale

Continuare a credere nel dialogo.Chiamato al timone della barca di Pietro, Benedetto XVI si è trovato a navigare tra gli scogli: da un lato, il relativismo culturale ed etico che nega l'esistenza di verità e di norme morali obiettive e la capacità di conoscerle; dall'altro, il fondamentalismo, una degenerazione della coscienza religiosa, che giunge a giustificare la violenza e il terrorismo in nome di Dio. La denuncia di entrambi da parte della Chiesa non è nuova. Fin dai primi anni '90, Giovanni Paolo II aveva formulato una dura critica del relativismo: «Dopo la caduta, in molti Paesi, delle ideologie che legavano la politica a una concezione totalitaria del mondo - e prima fra esse il marxismo -, si profila oggi un rischio non meno grave per la negazione dei fondamentali diritti della persona umana e per il riassorbimento nella politica della stessa domanda religiosa che abita nel cuore di ogni essere umano: è il rischio dell'alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità» (enciclica Veritatis splendor [1993], n. 101). Dal canto suo, il cardinal Joseph Ratzinger, prima di divenire papa, era tornato più volte sul medesimo tema, denunciando il relativismo come «il problema più grande della nostra epoca» (Fede, verità, tolleranza, Cantagalli, Siena 2003, 78). Non meno decisa e forte era stata la condanna del fondamentalismo. Paolo VI non aveva esitato a prendere le distanze anche dal fondamentalismo cristiano, dalla presunzione cioè di «tanto avvicinarsi alla società profana da cercare di prendervi influsso preponderante o anche di esercitarvi un dominio teocratico» (enciclica Ecclesiam suam [1964], n. 195). Giovanni Paolo II con parole altrettanto chiare aveva respinto la tentazione di imporre agli altri la propria fede con le inevitabili conseguenze in campo sociopolitico. «Sia ben chiaro - disse - che non è di questo tipo la verità cristiana»; la Chiesa «non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà

Page 3:  · Web viewSotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte

sociopolitica», ma «riconosce che la vita dell'uomo si realizza nella storia in condizioni diverse» (enciclica Centesimus annus [1991], n. 46). Ora, la forte condanna da parte di Benedetto XVI della pretesa di imporre la fede con la violenza ha riportato clamorosamente alla ribalta il problema. Il 12 settembre 2006 il Papa, durante la visita in Baviera, ha tenuto una lezione all'Università di Ratisbona sul tema, a lui caro, del rapporto tra fede e ragione e, in quell'ambito, del rapporto tra coscienza religiosa e violenza (cfr L'Osservatore Romano, 14 settembre 2006, 6-7). In quel contesto, Benedetto XVI citava un documento del XIV secolo: il «settimo colloquio-controversia» tra l'imperatore cristiano bizantino Manuele II Paleologo e un dotto musulmano di Persia. L'imperatore, col pensiero rivolto alla «guerra santa» (jihad), sottopone al persiano una questione centrale sul rapporto tra religione e violenza: «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava». A questo punto, per chiarire il tema che intendeva trattare, il Papa proseguiva: «L'imperatore [...] spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. [...] Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia». Da qui la conclusione netta: «non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio». La citazione di questo documento antico da parte del Papa ha causato reazioni violente nel mondo islamico; cosicché Benedetto XVI, nell'edizione definitiva del suo discorso (resa pubblica il 9 ottobre 2006), ha aggiunto: «questa frase [di Manuele II Paleologo] non esprime la mia valutazione personale di fronte al Corano, verso il quale ho il rispetto che è dovuto al libro sacro di una grande religione. [...] intendevo unicamente evidenziare il rapporto essenziale tra fede e ragione. In questo punto sono d'accordo con Manuele II, senza però fare mia la sua polemica» (nota n. 3). Prescindendo dallo spiacevole equivoco, ormai chiarito, a noi interessa comprendere il messaggio contenuto nel discorso di Ratisbona, con il quale il Papa ribadisce la necessaria relazione tra fede e ragione e dimostra che religione e ragione vanno insieme, mai invece la religione con la violenza. L'intenzione del Papa, dunque, non era offendere l'Islam; al contrario, di fronte alle sfide del relativismo e del fondamentalismo, egli voleva cogliere un'occasione per incrementare il dialogo tra fede cristiana e mondo moderno, e tra tutte le culture e religioni. Vediamolo meglio.

1. Le sfide del relativismo Si può dire che il relativismo sia lo sbocco cui ha condotto la concezione illuministica della vita. Non si nega affatto che all'illuminismo - padre della cultura liberale e «laica» - vada il merito di aver generato la democrazia e di aver affermato la libertà e i diritti umani; nello stesso tempo, però, si deve riconoscere che il progetto illuministico di un'etica fondata sulla sola ragione, universalmente accettata da tutti, è fallito. Lo riconoscono oggi gli stessi laici. Scrive, per esempio, l'on. Giuliano Amato: la cultura laica ha dimostrato di non avere la capacità di «conformare ai propri canoni i comportamenti di milioni e milioni di persone. Se mai è stato davvero perseguito un progetto illuminista di etica universale, esso è fallito» («Dove nasce la società egoista», in la Repubblica, 9 dicembre 2004). In realtà, l'accettazione del legittimo pluralismo si è trasformata nella falsa concezione che tutte le posizioni si equivalgono, che tutto si riduce a mera opinione; perciò, l'uomo oggi «si accontenta di verità parziali e provvisorie, senza più tentare di porre domande radicali sul senso e sul

Page 4:  · Web viewSotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte

fondamento ultimo della vita umana, personale e sociale» (GIOVANNI PAOLO II, enciclica Fides et ratio [1998], n. 5). Il risultato più grave di questa frammentazione esistenziale è la drammatica e generalizzata «crisi di senso»: «I punti di vista, spesso di carattere scientifico, sulla vita e sul mondo si sono talmente moltiplicati che, di fatto, assistiamo all'affermarsi del fenomeno della frammentarietà del sapere. Proprio questo rende difficile e spesso vana la ricerca di un senso. Anzi [...], non pochi si chiedono se abbia ancora senso porsi una domanda sul senso» (ivi, n. 81). E l'uomo è disorientato. Gli effetti di questo relativismo appaiono più devastanti sul piano etico. Chi potrà mai stabilire che cosa è bene e che cosa è male? La bontà e la malvagità - si sostiene - si possono giudicare solo dalle conseguenze del comportamento libero dell'uomo. Quindi tutti i comportamenti, in linea di principio, si equivalgono, sono leciti: lo Stato non può certo imporre l'aborto, ma perché dovrebbe vietarlo alla donna che decide di farvi ricorso? Lo Stato non obbligherà mai due omosessuali a fare vita di coppia, ma perché dovrebbe impedirlo se essi lo desiderano? Certo, non si può obbligare uno a darsi la morte, ma perché non consentirlo a un malato terminale?La posta in gioco è molto alta. Si tratta di trovare il punto d'incontro e di equilibrio tra le esigenze della legittima laicità della democrazia e l'effettivo riconoscimento dell'influsso sociale della religione. «Solo Stati autenticamente laici - è stato detto molto bene -, in cui la laicità non sia una religione alternativa di Stato, ma uno spazio di libera espressione garantita a tutte le confessioni religiose, potranno favorire la convivenza e al tempo stesso l'apporto delle religioni all'arricchimento del tessuto etico della società. Si delinea un suggestivo intreccio: la laicità dello Stato garantisce la libera espressione e convivenza delle religioni, ma le libere espressioni dell'esperienza religiosa garantiscono il necessario apporto etico alla democrazia e la stessa laicità» (SCOPPOLA P., «La religione di noi moderni», in la Repubblica, 17 giugno 2005). In realtà, il vero limite del relativismo è che esso si presenta come una sorta di dogma, che va accettato senza possibilità di essere messo in discussione, aprendo così la strada a forme di «dittatura della maggioranza», che sono una gabbia per la libertà stessa. Il suo vero limite è di essere «un dogmatismo che si crede in possesso della definitiva conoscenza della ragione, e in diritto di considerare tutto il resto soltanto come uno stadio dell'umanità in fondo superato e che può essere adeguatamente relativizzato» (RATZINGER J., «L'Europa nella crisi delle culture», conferenza tenuta a Subiaco il 1° aprile 2005, in Il Regno-Documenti,9[2005]218). Ora, una libertà senza limiti e priva di valori conduce alla autodistruzione della stessa libertà. Lo rileva Giovanni Paolo II che, dopo aver bollato come dannosa e pericolosa l'«alleanza tra democrazia e relativismo etico», ribadisce: «Se non esiste nessuna verità ultima, la quale guida e orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (enciclica Centesimus annus [1991], n. 46). È vero - ammette il Papa - che storicamente si sono commessi molti crimini in nome della «verità» (e la Chiesa non esita a riconoscere le proprie responsabilità), ma è altrettanto certo che delitti e negazioni di libertà si commettono oggi in nome del relativismo etico: «Quando una maggioranza parlamentare o sociale decreta la legittimità della soppressione, pur a certe condizioni, della vita umana non ancora nata, non assume forse una decisione "tirannica" nei confronti dell'essere umano più debole e indifeso?» (enciclicaEvangelium vitae [1995], n. 70). Mentre da un lato è giusto riconoscere i meriti dell'illuminismo, d'altro lato, però, occorre ribadire che il sistema democratico è solo uno strumento: privo di ispirazione etica, finisce col trasformarsi paradossalmente in strumento di oppressione.

Page 5:  · Web viewSotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte

2. Le sfide del fondamentalismo Oggi anche la cultura laica ammette il rilievo sociale della religione. Come negarlo, dopo la parte che la coscienza religiosa ha avuto nella fine del comunismo, nella elaborazione dell'«intervento umanitario» di fronte ai genocidi in Africa e nella ex-Iugoslavia, nella difesa della pace e contro ogni «guerra preventiva»? Tuttavia, l'influsso può essere anche negativo, quando la coscienza religiosa degenera in forme patologiche, come nel caso del fondamentalismo islamico. Esso, dove la shari'a è legge di Stato, non accetta né tollera fedi diverse e riduce drasticamente le libertà fondamentali. Si comprende, perciò, perché oggi molti si chiedano se accogliere gli immigrati islamici senza alcuna misura preventiva non significhi creare nuovi ghetti o focolai di gravi tensioni, che potrebbero portare anche a forme violente di rigetto sociale.Eppure, di fronte alle insidie del relativismo culturale ed etico, i musulmani con il loro forte senso di Dio potranno essere di aiuto alla ripresa spirituale dell'Occidente. Sembra supporlo lo stesso Benedetto XVI, quando nell'omelia di domenica 10 settembre 2006 a Monaco di Baviera afferma che i musulmani «la vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà». Del resto, già il Concilio Vaticano II, parlando delle religioni non cristiane, aveva affermato che «la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni»; in particolare, per quanto riguarda l'Islam, la Chiesa guarda con stima i musulmani, «i quali adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, Creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini» e che «cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come a Dio si sottomise anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce» (decreto Nostra aetate, nn. 2-3). Il problema è capire come lo Stato laico, senza trasformarsi in Stato etico o confessionale, e senza scadere nel laicismo, possa garantire non solo la libertà religiosa, ma il contributo della religione alla formazione e al consolidamento del tessuto etico della società. Ovviamente la soluzione non dipende solo dall'atteggiamento dello Stato laico verso la religione, ma anche dalla maturità con cui la coscienza religiosa si pone nei confronti della democrazia laica. È questo l'aspetto approfondito da Benedetto XVI a Ratisbona. Sul tema era già intervenuto: «Il cristianesimo deve ricordarsi sempre che è la religione del logos [...]. Nel dialogo, così necessario, tra laici e cattolici, noi cristiani dobbiamo stare molto attenti a restar fedeli a questa linea di fondo: a vivere una fede che proviene dal logos, dalla ragione creatrice, e che è perciò anche aperta a tutto ciò che è veramente razionale» (RATZINGER J., «L'Europa nella crisi delle culture», cit., 218). A Ratisbona Benedetto XVI insiste: occorre che ragione e fede tornino a essere riunite in un modo nuovo, affinché sia possibile il dialogo tra le culture e le religioni, di cui oggi si avverte un urgente bisogno: «Nel mondo occidentale domina largamente l'opinione che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture» (L'Osservatore Romano, 14 settembre 2006, 7). Dunque l'intenzione di Benedetto XVI è chiara: invitare al dialogo tra fede e mondo moderno, tra tutte le culture e le religioni. Ma per fare questo - ribadisce - si esige che fede e ragione vadano insieme. Da qui l'invito al dialogo con l'Islam, affinché sia superata la versione violenta della diffusione della fede e si riscopra il logos quale terreno comune di confronto sulla verità.

Page 6:  · Web viewSotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte

3. Continuare a credere nel dialogo Ecco dunque perché la condanna del relativismo (come degenerazione della cultura moderna) e del fondamentalismo (come degenerazione della coscienza religiosa) non significa affatto - per Benedetto XVI - il rifiuto dell'illuminismo, della modernità e del dialogo interculturale e interreligioso. La Chiesa - spiega Giovanni Paolo II nell'enciclica Fides et ratio (1998) - non nega gli apporti positivi del pensiero moderno; questo «ha il grande merito di aver concentrato la sua attenzione sull'uomo», con il risultato di favorire lo sviluppo di vari ambiti del sapere: «l'antropologia, la logica, le scienze della natura, la storia, il linguaggio»; tuttavia, la Chiesa denuncia il fatto che «la ragione, sotto il peso di tanto sapere, si è curvata su se stessa diventando, giorno dopo giorno, incapace di sollevare lo sguardo verso l'alto per osare di raggiungere la verità dell'essere» (n. 5). Ciononostante, non mancano significativi punti di convergenza tra cristianesimo e modernità, a cominciare dal discorso sui valori fondamentali di libertà, uguaglianza e universalità dei diritti umani. La religione cristiana ha sempre cercato di difendere la propria libertà, in particolare rifiutandosi nei primi secoli di lasciarsi assorbire dall'ordinamento statale pagano, anche a costo del martirio; la fedeltà al messaggio universale di salvezza l'ha portata poi a rivolgersi indiscriminatamente a ogni popolo, di ogni lingua, razza e nazione, considerando gli uomini tutti fratelli e uguali nella dignità e nei diritti fondamentali. Sono i medesimi valori portati avanti, tradotti in termini laici, dall'illuminismo. «In questo senso l'illuminismo è di origine cristiana ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell'ambito della fede cristiana»; anzi ha contribuito a rimettere in luce la razionalità originaria della religione del logos, e ha concorso a liberare il cristianesimo da condizionamenti storici e politici che, in certe epoche e in certi contesti storici, avevano finito col trasformarlo in religione di Stato (cfr RATZINGER J., «L'Europa nella crisi delle culture», cit., 218). Bisognerà dunque proseguire nella riscoperta del rapporto tra fede e ragione, tra morale e ragione, che in passato era stato sottovalutato, collocando erroneamente la fede religiosa al di là (o al di sotto) della conoscenza scientifica, l'unica ritenuta valida. Pertanto, «è illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione. Alla stessa stregua, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell'essere» (enciclica Fides et ratio, n. 48). Ecco perché la Chiesa è profondamente convinta che «fede e ragione si recano un aiuto scambievole, esercitando l'una per l'altra una funzione sia di vaglio critico e purificatore, sia di stimolo a progredire nella ricerca e nell'approfondimento» (ivi, n. 100). Conclude, perciò, Benedetto XVI: «È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori» (L'Osservatore Romano, 14 settembre 2006, 7). Sta qui la vera «lezione» di Ratisbona: continuare a credere nel dialogo.

Bartolomeo Sorge S.I. Direttore di «Aggiornamenti Sociali»

Page 7:  · Web viewSotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte

Materiali per l’attività di confronto

Fondamentalismo

Maldive, sorpreso a leggere libri cristiani: cittadino bengalese incarcerato ed espulso.Orlato da spiagge bianchissime e accerchiato da un mare blu cobalto, l’arcipelago delle Maldive nasconde dietro le sue palme da cartolina una tra le realtà più intransigenti al mondo in materia religiosa. Qui la discriminazione contro i non musulmani è totale e sistematica. A garantire l’obiettivo di una popolazione al 100% islamica, ci sono leggi che proibiscono ogni chiesa o luogo di culto, preghiere in luogo pubblico e l’importazione e distribuzione di materiale di carattere religioso, incluse Bibbie, se non per uso personale. Dopo l’espulsione nel 1998 di tutti gli stranieri coinvolti in attività missionarie, ai visitatori è consentito una pratica di fede esclusivamente privata e individuale. Il solo sospetto di proselitismo porta all’espulsione, ma anche a periodi detentivi. Come quello dello scorso anno per l’insegnante indiano Shijo Kokkattu, denunciato da un collega per avere caricato l’immagine della Madonna e alcuni canti mariani nel computer della scuola; come quello del bengalese Jathish Biswas, dirigente di un’organizzazione con fini sociali fermato questo settembre all’arrivo all’aeroporto della capitale Malé per avere con sé libri di tema cristiano nella lingua locale, detenuto per 23 giorni ed espulso il 19 ottobre insieme a un cittadino statunitense a lui collegato dalle indagini. Nonostante le leggi e le pressioni degli ulema, la radicalizzazione religiosa è, nelle sue conseguenze pratiche, recente. Dopo l’attentato che il 12 settembre 2007 provocò 12 feriti stranieri rischiando di cancellare l’arcipelago dalle mappe del turismo internazionale, il governo decise che doveva in qualche modo risolvere la partita con il crescente integralismo, in parte di matrice straniera. Lo fece in due modi: smantellando i covi dei simpatizzanti di al-Qaeda che si erano impadroniti di fatto di alcuni degli atolli più esterni; con un giro di vite sul “proselitismo” visto come una minaccia all’identità maldiviana.

Page 8:  · Web viewSotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte

Pakistan, oppressione.Ieri, a quarantott’ore dall’arresto di Rimsha Masih, la ragazzina cristiana accusata di aver bruciato pagine del Corano, arrestata per blasfemia e quindi passibile di pena di morte, il presidente del Pakistan Asif Ali Zardari ha chiesto di essere informato sul caso, da lui stesso definito "grave". Nel frattempo, i contorni della vicenda si sono fatti un poco più chiari: Rimsha non ha 11 anni come si pensava ma "addirittura" 13; non è affetta da sindrome di Down ma da una forte disabilità mentale; e l’arresto magari le procurerà la pena capitale ma nel frattempo l’ha con ogni probabilità salvata dal linciaggio da parte di una folla inferocita di musulmani, che non avevano visto nulla ma erano più che disposti a regolare i conti, tanti contro una bambina disabile sola, sul posto. In più, non è chiaro a nessuno se Rimsha abbia dato fuoco a quelle carte (che altri, peraltro, avevano già gettato tra i rifiuti) o se si sia fatta incuriosire dalle fiamme. In ogni caso, non si trattava di pagine del Corano ma di una sorta di antologia del testo sacro dell’islam.

Page 9:  · Web viewSotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte

Relativismo

“Relatività”

In relatività Escher usa tre diversi punti di fuga per dare origine ad una raffigurazione unitaria che rappresenta, simultaneamente, tre mondi distinti. Se guardiamo la zona centrale, nella parte bassa del disegno, vediamo una creatura dalle sembianze umane che sale. Lungo una scala. Se la creatura volta a sinistra, potrà salire un'altra scala e trovare un giardino posto di fronte a sé e due nuove scale, l’una alla sua sinistra e l'altra alla sua destra. Ognuna di queste scale è usata da altre creature, collocate nel medesimo mondo in cui si trova la prima creatura.Se torniamo al punto di partenza, al centro inferiore del disegno e guardiamo in alto verso destra, vediamo qualcosa che non va. Vi è un altro umanoide: porta un vassoio con un bicchiere e una bottiglia e sembra esistere in uno spazio ruotato di 90 gradi rispetto quello in cui si colloca il precedente gruppo di creature. Numerosi altri esseri abitano in questo secondo mondo: uno è seduto di fianco una scala a leggere un libro, un altro sta salendo una scala e un terzo e un quarto pranzano sulla tavola collocata all'esterno. Un terzo gruppo di creature appare anch'esso ruotato di 90 gradi rispetto al primo gruppo ma, in questo caso, verso sinistra. Uno di questi umanoidi orientati a sinistra sta trasportando un cesto. Tra le altre creature orientate verso sinistra, una

Page 10:  · Web viewSotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte

porta un sacco, una sta scendendo una scala, una osserva la scena e una coppia passeggia all'esterno, in un giardino. Ogni gruppo di creature abita un mondo perfettamente coerente, nel quale appaiono strani gli umanoidi orientati nelle altre direzioni. Le porte, che per gli uni appaiono verticali, diventano invece botole per gli altri, le pareti divengono pavimenti, i soffitti diventano pareti, e così via. Si noti poi che delle due grandi scale poste al centro del disegno possono essere percorse su entrambi i lati. Poiché i punti di fuga giacciono all'esterno dello spazio raffigurato, Escher riesce a usare questi dettagli per presentare una visione unificata di questo mondo curioso, a cui possono servire come base tre piani differenti. Escher, nella sua composizione, ci induce a credere che tre diverse forze di gravità operino nel medesimo tempo. In “Relatività”, l’opera in analisi, Escher riesce a comunicarci un significato ancora più profondo: esistono più piani della realtà, di cui noi nemmeno possiamo accorgerci, ma di cui dobbiamo serenamente accettare l’esistenza. La litografia, infatti, è il risultato dell’intersezione di tre superfici terrestri, che determina l’impossibilità della convivenza tra gli uomini che giacciono sulle diverse superfici, poiché essi hanno un concetto diverso di ciò che è orizzontale o verticale, senza che ciò, peraltro, impedisca loro di usare le stesse scale, di compiere cioè lo stesso percorso: è tutta una questione di prospettiva e di punto di vista riguardo ad una stessa realtà. Uno sguardo superiore non può, quindi, dare ragione all’uno o all’altro, ma deve constatare la relatività delle loro posizioni, la piccolezza della loro esistenza in un hortus conclusus da cui non potranno mai uscire per incontrarsi. Escher sembra insomma dirci che il nostro concetto di ciò che è reale è sempre relativo, creato da noi stessi, e che una maggiore apertura potrebbe farci scoprire mondi finora inesplorati: la realtà, in quanto tale, non dovrebbe avere limite alcuno, includendo tutto ciò che in essa si presenta, avvicinandosi, in questo, moltissimo alla concezione della “surrealtà” dei surrealisti, appunto. Forse la nostra concezione del mondo è orientabile a piacimento, ma non già il mondo stesso.

Caorso, guerra per il presepio: la preside non lo vuole, il sindaco ne porta quattro.Cremona - Natale nuovamente senza pace lungo il Po. Nel 2009, la decisione della scuola elementare Manzoni, nel centro storico di Cremona, di sostituire la nascita di Gesù con la «Festa delle luci» era stata sommersa dalle critiche (e da una nevicata record che aveva impedito lo svolgersi della manifestazione). Ora le polemiche attraversano il vecchio ponte in ferro che unisce la provincia di Cremona a quella di Piacenza e fanno tappa alle materne di Caorso, dove la preside ha vietato di esporre il presepio.

L'istituto guidato da Manuela Bruschini, arrivata a settembre, è composto da 6 scuole di vario grado, dalle materne alle medie, divise nei Comuni di Caorso, Monticelli d'Ongina e San Nazzaro. La questione riguarda solo i 120 bambini (il 20 per cento stranieri) di Caorso. «Ho formulato un indirizzo ai docenti - spiega la preside nel lungo comunicato diffuso ieri - invitandoli a non connotare in un senso religioso univoco le feste e le attività organizzate in orario curriculare». E questo «a tutela di tutte le sensibilità, religiose e a-religiose, che hanno pari diritto di cittadinanza nella scuola pubblica. Credo nell'opportunità di trovare simboli non religiosi per caratterizzare le feste». La preside ricorda che solo un componente del collegio docenti ha espresso il suo dissenso.

Page 11:  · Web viewSotto questo punto di vista il cristianesimo - a differenza di altre fedi e religioni - non trova difficoltà a porre le basi per un dialogo costruttivo perché fa parte

Se i maestri sono d'accordo, le mamme insorgono. «Per un mese all'asilo - protesta una di loro - è stato celebrato Halloween e ora che arriva il Natale si vuole vietare il presepe? Nessuna famiglia di bambini stranieri si è mai lamentata. Rispettare le diversità non significa negare le differenze ma imparare a farle convivere». Dall'assemblea dell'Associazione dei genitori di Caorso, riunitasi martedì sera, è uscita una posizione netta: «Vogliamo - sottolinea la presidente, Pamela Negri - che il presepe venga esposto e che durante la recita ci siano anche canti tipici natalizi».

Di presepi il sindaco, Fabio Callori (Pdl), ne ha comprati di tasca sua quattro («Belli grandi: capanna, Gesù Bambino, Giuseppe e Maria, il bue e l'asinello») e li ha portati giovedì mattina a scuola «per regalarne uno a ognuna delle quattro sezioni. «I miei figli - dice - hanno frequentato l'asilo del paese e prima d'ora non c'erano mai stati problemi». La preside annuncia che, a dicembre, chiederà «di nuovo ai docenti di esprimersi liberamente sulla materia oggetto delle polemiche». Dove «la materia» è il presepe non gradito.