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anno della fede La riflessione del vescovo sul Catechismo della Chiesa cattolica “Vorrei incontrarmi con Dio” Propongo questa piccola riflessione a chi vuol condividere una risonanza nell’«Anno della fede» sul testo del Catechismo della Chiesa cattolica (Sez. I c. I §1). Il desiderio Partiamo dal desiderio, o dai desideri, che sperimentiamo. Tentiamo di interpretarne la forza dirompente o propositiva che sprigionano. Sant’Agostino interpretava la vita tutta come «ginnastica del desiderio». Altri pensatori si sono spinti a riconoscere nel desiderio la natura stessa della persona umana che è progettante. O, detto in altri termini, il desiderio esprime la tristezza della mancanza di quanto si ama. Viviamo tentando sempre di «rompere la diga» che impedisce o ci trattiene dal riconoscere l’«unità della storia» e in noi stessi l’«unità del cuore». Certamente desiderare ci spinge a «sognare», ma anche a “cercare”. Il desiderio è la tensione più profonda del nostro io umano (del nostro “cuore”) che travalica ogni finitezza e si percepisce sempre inappagato. Siamo proiettati verso Chi, Persona, si presenta a noi: perfetto, infinito, pienezza, gioia piena. Buona ricerca Abbiamo imparato a esprimerci così: fa bene la domanda colui che già sa darsi una corretta e pertinente risposta. Nella vita storica di ognuno, così come si svolge giorno dopo giorno, in un’altalenare di gioie e dolori, angosce e soddisfazioni, piccole speranze e delusioni, in ogni età, il desiderio si fa ricerca dell’Uno, del Solo, del Sommo, del Vicinissimo, del Non Finito-Non Incompiuto, del totalmente diverso da me, della Persona (Dio). E intuiamo che c’è e ci cerca. Cercati Lo cerchiamo. Ci ha pensati, voluti, amati; ci sostiene nell’esserci, nel vivere; ci ha configurati capaci di relazione vitale con Lui e con ogni altra persona. Siamo per Lui: per amare Lui e con Lui chiunque è posto o si propone nel nostro cammino. Il nostro cercarLo è buono: se è corretto, assiduo, sapiente, leale, continuativo per tutta la vita. Orizzonte di senso All’ignoranza, alle soverchianti preoccupazioni, nella ribellione, e nonostante la malvagità e l’incoerenza di tanti, subentra con la possibilità (che è sempre dono) d’incontrare Lui o meglio di lasciarci incontrare: la gioia, il riposo, l’umile certezza. Il nostro esserci ha senso. - «Gioisca il cuore di chi cerca il Signore» (Sal 105,3). - «Il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te» (Sant’Agostino). - «In Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Incontro possibile Non è avvenimento di poco conto nella nostra vita, anzi, poter riconoscere che Dio c’è; che la nostra vita gli sta a cuore; e ha cura di ciascuno di noi. È realtà stupenda; dà senso a tutto quel che noi siamo, esperimentiamo, affrontiamo. Certamente non dobbiamo essere precipitosi nell’affermare con falsa sicurezza: Dio non c’è; Dio non può pensare o badare a me; non ho fondati motivi per ritenere che Dio ci sia. Mettiamoci per strada; ascoltiamo;

“Vorrei incontrarmi con Dio” · Possiamo ragionevolmente rispondere Dio c’è. Senza di Lui, non avrebbe senso, non si potrebbe capire, non si potrebbe rendere ragione di tutto

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anno della fede La riflessione del vescovo sul Catechismo della Chiesa cattolica

“Vorrei incontrarmi con Dio”

Propongo questa piccola riflessione a chi vuol condividere una risonanza nell’«Anno della fede» sul testo del Catechismo della Chiesa cattolica (Sez. I c. I §1). Il desiderio Partiamo dal desiderio, o dai desideri, che sperimentiamo. Tentiamo di interpretarne la forza dirompente o propositiva che sprigionano. Sant’Agostino interpretava la vita tutta come «ginnastica del desiderio». Altri pensatori si sono spinti a riconoscere nel desiderio la natura stessa della persona umana che è progettante. O, detto in altri termini, il desiderio esprime la tristezza della mancanza di quanto si ama. Viviamo tentando sempre di «rompere la diga» che impedisce o ci trattiene dal riconoscere l’«unità della storia» e in noi stessi l’«unità del cuore».

Certamente desiderare ci spinge a «sognare», ma anche a “cercare”. Il desiderio è la tensione più profonda del nostro io umano (del nostro “cuore”) che travalica ogni finitezza e si percepisce sempre inappagato. Siamo proiettati verso Chi, Persona, si presenta a noi: perfetto, infinito, pienezza, gioia piena. Buona ricerca Abbiamo imparato a esprimerci così: fa bene la domanda colui che già sa darsi una corretta e pertinente risposta. Nella vita storica di ognuno, così come si svolge giorno dopo giorno, in un’altalenare di gioie e dolori, angosce e soddisfazioni, piccole speranze e delusioni, in ogni età, il desiderio si fa ricerca dell’Uno, del Solo, del Sommo, del Vicinissimo, del Non Finito-Non Incompiuto, del totalmente diverso da me, della Persona (Dio). E intuiamo che c’è e ci cerca. Cercati Lo cerchiamo. Ci ha pensati, voluti, amati; ci sostiene nell’esserci, nel vivere; ci ha configurati capaci di relazione vitale con Lui e con ogni altra persona. Siamo per Lui: per amare Lui e con Lui chiunque è posto o si propone nel nostro cammino. Il nostro cercarLo è buono: se è corretto, assiduo, sapiente, leale, continuativo per tutta la vita. Orizzonte di senso All’ignoranza, alle soverchianti preoccupazioni, nella ribellione, e nonostante la malvagità e l’incoerenza di tanti, subentra con la possibilità (che è sempre dono) d’incontrare Lui o meglio di lasciarci incontrare: la gioia, il riposo, l’umile certezza. Il nostro esserci ha senso. - «Gioisca il cuore di chi cerca il Signore» (Sal 105,3). - «Il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te» (Sant’Agostino). - «In Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Incontro possibile Non è avvenimento di poco conto nella nostra vita, anzi, poter riconoscere che Dio c’è; che la nostra vita gli sta a cuore; e ha cura di ciascuno di noi. È realtà stupenda; dà senso a tutto quel che noi siamo, esperimentiamo, affrontiamo. Certamente non dobbiamo essere precipitosi nell’affermare con falsa sicurezza: Dio non c’è; Dio non può pensare o badare a me; non ho fondati motivi per ritenere che Dio ci sia. Mettiamoci per strada; ascoltiamo;

cerchiamo; dialoghiamo, ad una condizione: viviamo un’attesa buona, disponibile (Catechismo della Chiesa Cattolica Sez. I-c. I §2). Guardiamoci attorno Siamo aiutati da tanti a voler guardare (Paolo, Agostino) e c’è un modo di guardare la natura che ci circonda, le presenze che ci accompagnano, gli stessi spazi costruiti da noi che possiamo definire come superficiale, distratto, perfino ostile o per lo meno disinteressato. Ma si può «guardare» con attenzione, con intelligenza, con duttilità interpellati e aiutati a esprimere un grande interrogativo: chi ha fatto tutto questo? Chi lo ha voluto? Non rispondiamo affrettatamente. Lasciamo che l’interrogativo si riproponga frequentemente in noi, si sedimenti; non è contro noi, né contro alcun altro. Apriamoci all’esperienza di «gustare», di «gioire» di quel che vediamo. Attardiamoci a “contemplare”, chiudendo gli occhi per richiamare nella memoria, quasi fissare ciò che vediamo. Così possiamo ricordare tanti luoghi «belli», «accattivanti» che arricchiscono il nostro modo di essere al mondo. È possibile che Uno Solo, Vivo, Persona, abbia voluto e ideato tutto questo? Guardiamoci dentro Dobbiamo prendere sul serio quanto sentiamo profondamente e continuamente dentro di noi. Anche qui: non rifiutiamo subito o non sottovalutiamo. Anche i nostri disagi e la nostra tristezza sono preziosi e devono essere interpretati, spiegati, capiti. Il vivere ha una strada che ci porta a sentirci e percepirci un «io», distinto e affiancato a tanti altri «io». Uso un altro vocabolo: ognuno di noi, come persona si scopre «irriducibile». Non è qualcosa in noi, né di negativo (passioni e limiti), né di positivo (valori e virtù), che ci rende «irriducibile», ma è l’essere “qualcuno”, è l’essere persona, in quanto tale. La persona umana è infinitamente al di là di quel che possiede e di quel che anche da sola può operare. Anche se ci viene tolto tutto, restiamo persone: libere. La libertà non è casualmente vissuta; non ci sono epoche drammatiche ed epoche fortunate per chi si riconosce e sa porsi nella storia e nel mondo come persona, libera. C’è in noi un’indicazione e una possibile riuscita da scoprire: è determinante. Terra e cielo, corporeità e spirituale sono nella nostra identità di persona. Siamo pienamente “uomo” “donna” (persona) quindi percepiamo che nella nostra realizzazione ci “innalziamo” a Uno superiore, a Colui che è più in alto di noi. Questa eminente altezza non è inventata da un uomo, da me, è scoperta, è rivelata dall’esperienza stessa di vivere. I rischi che possiamo correre sono due. Negare Dio è negare l’uomo (la persona) nella sua dignità, e quindi identità. Inoltre, ulteriore rischio è poter senza Dio costruirsi un mondo disumano, senza speranza. La sola persona umana è radicata nell’infinito di Dio. Io sono così. Così sono tutte le persone umane, uomini e donne, di ogni età, di ogni cultura, di ogni estrazione sociale. L’esigenza del Dono «L’esistenza di Dio non è la negazione della grandezza e della libertà dell’uomo, ma è piuttosto la carta della libertà dell’uomo: fatto a immagine dell’infinito, l’uomo non può essere schiavo di nulla di finito» (Berdjaev N.A.). Incamminiamoci per le “vie” che guardandoci attorno e guardandoci dentro con crescente libertà ci fanno incontrare Lui. Ognuno di noi può cercare, attendere e chiedere il Dono (Rivelazione) che Dio fa di sé. Ed essere per sempre grato. * * * «Il mondo e l’uomo attestano che essi non hanno in se stessi né il loro primo principio né il loro fine ultimo, ma che partecipano all’Essere che, in sé, non ha né origine né fine» (CCC). Lo posso conoscere (Catechismo Chiesa cattolica sez. I. c. I §3). Non devo lasciarmi imprigionare da ciò che vedo, che gusto, che tocco, che mi si presenta e si impone a me. Riconosco che c’è; che mi si propone. Ma ognuna di queste cose non può avere la pretesa di essere la sola, l’unica; non può arrogarsi il diritto di priorità, di assolutezza. Non può causare in me né il blocco della ricerca, né il freno di ogni altro desiderio di attesa, né la impossibilità di andare oltre e di riconoscere il di più e il diverso da tutto ciò che di fatto vedo, gusto e tocco.

L’invisibile (ciò che non vedo), l’impalpabile (ciò che non tocco), il non fruibile e non godibile nell’immediatezza, può essere altrettanto reale, concreto, presenza e persona dotatissima di intelligenza, libertà pienamente libera di amare? Invisibile non significa di per sé inesistente. Impalpabile di per sé non significa non oggettivo. Né non piacevole al gusto e al nostro «sentire» non significa contro ogni possibilità di gioia. Lo conosco Anche il nostro pensare, riflettere, intuire e argomentare, può ragionevolmente porsi l’interrogativo: chi ha fatto tutto questo (natura, cosmo, le circa mille galassie note)? E avere come risposta: - lo ha fatto (creato) la Presenza, presente in ogni cosa esistente (onnipresente); l’Infinito senza limitazioni e incompiutezze; l’Agente-Amante (onnipotente) collaborativo e in sinergia con ogni persona capace di libertà rettamente orientata e decidente; quindi la Libertà liberante che non si pone contro nessuno e aiuta tutti; la Verità (onnisciente) che ci fa essere quel che siamo e ci fa riconoscere come identità distinte e in relazione (ci fa cioè «dare un nome a ogni vivente e ad ogni cosa»); la Gioia come unica fonte di ogni nostra risonanza di gioia: il rapportarsi all’altro, l’operare il buono (il bene), il godere senza disarmonie, lacerazioni, tristezze, ambiguità, sdoppiamenti. Possiamo ragionevolmente rispondere Dio c’è. Senza di Lui, non avrebbe senso, non si potrebbe capire, non si potrebbe rendere ragione di tutto quello che è attorno a noi; non potremmo capire noi stessi; non potremmo accettare la presenza degli altri. Aggiungiamo subito: è diverso da noi; è molto diverso; è totalmente diverso; anche se vicinissimo, «più intimo a noi che noi stessi». Lo accolgo Ma in che modo è Dio? Come agisce di fatto? Ciò che non piace a noi e ciò che è contro di noi e contro la nostra vita, è opera Sua? Solo Lui potrebbe dircelo, manifestarlo, rivelarlo; ma il dircelo, da Dio, può farlo solo per amore, donandocelo per il nostro bene, per la nostra gioia; soprattutto donandoci se stesso e abilitandoci, in crescendo, qui nella storia e poi in pienezza nella definitività, a vivere di Lui, per amore e con efficace capacità di amare tutti. Il pensare umano (la ragione) si apre alla fede (dono che Dio fa di Se stesso); alla rivelazione (espressa in gesti e parole) con una centralità, fontalità, vertice, in «Gesù di Nazareth». L’Assoluto nel frammento: un brandello di storia, un lembo di terra, il vivere con alcuni, può essere «Tutto in tutti». * * * «…Perché cerchino Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi» (At 17, 27); «…Pensati dal Signore con bontà d’animo, cercatelo con cuore semplice. Egli infatti si fa trovare da quanti non lo mettono alla prova, si manifesta a quelli che non diffidano di lui» (Sap 1, 1-2). «La Santa Chiesa, nostra madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create». Senza questa capacità l’uomo non potrebbe accogliere la Rivelazione di Dio. L’uomo ha questa capacità perché è creato a “immagine di Dio” (Concilio Vaticano I. Concilio Vaticano II - Dei Verbum § 6). Non ci si può ritrarre da Dio (CCC Sez. I, c. I § IV nn. 39-43) Scrive San Clemente I papa: «Poiché dunque tutto è aperto ai suoi occhi e alle sue orecchie, rigettiamo ogni torbida fantasia ed evitiamo i sentieri del male per meritare il sostegno della sua misericordia di fronte al giudizio futuro. Dove infatti potremmo sfuggire alla sua mano potente? Quale altro mondo potrebbe accogliere uno fuggiasco da lui?… Accostiamoci invece a lui nella santità dell’anima, leviamo a lui le mani pure e senza macchia, amiamo il nostro Padre, buono e misericordioso, che ha fatto di noi la sua eredità» (Lettera ai Corinzi 27, 10-29). Ricercati da Lui, l’abbiamo cercato. Cercatolo, l’abbiamo «a tentoni» conosciuto. La conoscenza che abbiamo di Lui è «mano potente», «sostegno», «misericordia» infinita. Si presenta onnipotente, onnipresente, in rapporto d’amore con ognuno e con tutti, che dà vita ed è sostegno sempre. Vede ognuno e tutto; ascolta ognuno e tutti nelle loro richieste, desideri, aspirazioni: buone e non rette.

Che cosa possiamo dire di Lui? Due affermazioni possiamo fare con sicurezza. Dio è presenza che «crea» (fa essere nella sua totalità l’esistente) e che «sostiene» tutto e ogni cosa. Si pone oltre, al di là, di ogni realtà limitata, relativa, di durata prevedibile, di non autonoma consistenza, quindi dipendente. In secondo luogo, possiamo dire di Lui ciò che non è: non limitato, non relativo allo spazio e al tempo, non imperfetto, non incompiuto. Come dunque parlare di Dio? Partiamo pure da ciò che vediamo, constatiamo, esperimentiamo. Tutto ciò che riconosciamo di bello, di buono, di vero in noi, nelle persone che vivono con noi, nelle cose che vediamo e di cui beneficiamo, possono essere dette di Dio in modo eminente. Ma le nostre parole umane sono indicative; orientano alla descrizione dell’essere e dell’agire di Dio, che «trascende (è ben oltre; è diversissimo) da ogni creatura». Quindi, da un lato, dobbiamo sempre purificare il nostro linguaggio (il nostro buon tentativo di parlare) su e di Dio; dall’altro, dobbiamo sempre meglio riconoscere il legame e la somiglianza che ognuno di noi e ogni realtà esistente (creatura) ha con Dio; infine dobbiamo aprirci alla conoscenza d’amore che Dio ci dona, introducendoci in Lui. Egli infatti ci dona la possibilità di accoglierlo e condividere con Lui pensieri, parole, amore: Lui che è «ineffabile, incomprensibile, invisibile, inafferrabile». * * * «Di fatto dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro Autore» (Sap 13,5). Dove andrò e dove mi occulterò dalla tua presenza? «Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra. Se dici: “Almeno le tenebre mi avvolgano e la loro luce intorno a me sia notte; nemmeno le tenebre per te sono tenebre e la notte è luminosa come il giorno» (Sal 139, 7-12). «La Chiesa esprime la sua fiducia nella possibilità di parlare di Dio a tutti gli uomini e con tutti gli uomini» (CCC Sez. I. c. 1, 31). Dio ci incontra (CCC Sez I – c. 2. art. 1 § 50-53) È la novità assoluta. Evento sempre nuovo e rinnovantesi, è che Dio stesso vuole venirci incontro. E più precisamente: Dio si dona a noi, si manifesta (rivela). Ci abilita a rispondergli, a corrispondere, a condividere la Sua vita. Incontrare dunque Dio non è solo possibile attraverso la nostra ragione (riflessione attenta, retta, benevola, accogliente); ma è soprattutto possibile attraverso il dono; e concretamente il dono per eccellenza che Dio fa di Se stesso a ciascuno di noi e a tutti. Nella vita l’unico vero primato non è quello del piacere, del tornaconto, del diritto o del dovere, ma quello del dono. Come, dove, Dio si dona? Le due vie attraverso le quali Dio si dona e si manifesta a noi (si rivela) sono complementari e interagenti: la storia in avvenimenti carichi di significato benefico (salvifico) per noi e attraverso le parole «profeticamente» proclamate e poi attestate in modo fisso e definitivo anche per iscritto. Sembra incredibile, eppure è stato e continua ad essere così: la storia tutta ha un senso. Quel che è accaduto e sta accadendo si può davvero presentare come un disegno divino, un avverarsi pieno di benevolenza e di amore per tutti e per ciascuno. E questo ridiciamolo «con eventi e parole». La «Rivelazione» Tutto questo è chiamato con un termine astratto «la Rivelazione». E significa il Dono che Dio fa di Sè; la manifestazione reale, vera e riconoscibile, che Dio esprime di Sé, coinvolgendo vitalmente chiunque liberamente lo accolga. Vera pedagogia divina. * * * «Dio che “abita una luce inaccessibile” (1Tim 6, 16) vuole comunicare la propria vita divina agli uomini da Lui liberamente creati, per farne figli adottivi nel suo unico figlio (Ef 1, 4-5). Rivelando Se stesso, Dio vuole rendere gli uomini capaci di rispondergli; di conoscerlo e di amarlo ben più di quanto sarebbero capaci da se stessi» (CCC Sez. I. c. 2 art. 1 § 52). «Questa Parola è dunque viva nel cuore del Padre, viva sulla bocca del predicatore, viva nel cuore di chi crede e di chi ama… Non c’è dubbio che sia anche efficace. È efficace nella creazione, è efficace nel

governo del mondo, è efficace nella redenzione… È efficace quando opera ed efficace quando viene predicata» (Baldovino di Canterbury, Trattato 6). Il dono, la rivelazione L’incontro con Dio, non solo è possibile, ma di fatto si avvera: si avvicina (si fa prossimo), ci tocca, proprio nella storia, negli eventi. Dio stesso è evento, presenza vivificante e dialogante con noi, con ciascuno di noi. Il Dono che fa di Sé, la capacità che ci dà di accoglierlo e quindi di conoscerlo, di amarlo, insomma di vivere di Lui, si attesta attraverso avvenimenti concreti, rinarrabili e ancora ora “nuovi”, orientativi, trasformanti la vita anche di questa generazione. Per questo possiamo parlare della storia come storia della salvezza. Possiamo riconoscere l’inizio, il rapporto che diviene progetto, la presenza generativa (paternità storica) che amato ama, la rete di rapporti. Sono vere «tappe della Rivelazione» (CCC Sez I, c. 2, nn. 54-64). All’inizio C’è un disegno di benevolenza «creativa» da parte di Dio. Nei primi due capitoli della Genesi e in tanti Salmi, oltre ai grandi profeti soprattutto dell’esilio, Dio si presenta come Colui che è unica presenza di attuazione e di inizio dell’universo (ora arriviamo a conoscere un migliaio di Galassie) e della storia. Tutto è presentato tramite la potenza della Sua parola (Gn 1, così è attestata la Sua trascendenza), o come capace di fare tutti i mestieri dell’uomo (Gn 2, così è espresso il Suo intervento efficace e condiscendente: condiscendenza). Neppure la ribellione o l’arroganza autosufficiente dell’uomo annullano la portata di questo inizio che perdura tuttora. Rapporto, vero progetto Anche con un linguaggio, tipico delle antiche letterature (mito-leggenda), ci viene narrato uno straordinario rapporto tra Dio e gli uomini, che con linguaggio giuridico è chiamato «alleanza» (patto). Grazie a questa interpretazione, Dio si rivela fedele, anche di fronte a tutte le possibili infedeltà delle persone umane. Parlando di Noè, ci è insegnato il disegno di salvezza per tutti i popoli di ogni tempo: chiamati all’unità, convocati per vivere e testimoniare la pace. Per questo Noè fa da presenza qualificante il vivere quotidiano con attesa paziente e operosa; seguito e preceduto da tanti altri personaggi: Abele, Melchisedech, Giobbe, Daniele. Amato, amante: Abramo Una figura importante e cardine di questa nostra storia, che riconosciamo per gli interventi di Dio, storia di salvezza, è Abramo «amico/amante di Dio», così è definito. In realtà egli è ricordato, non solo nel ciclo narrativo di Genesi (cc. 12-25), ma dai profeti, dai Salmi, in Paolo (Rm 4; Gal 3), da Giovanni (Gv 8), perché con lui la storia umana vive un salto qualitativo: Dio gli parla come a un amico. Quindi orienta la sua vita familiare, sociale, geografica. Questo «parlargli» di Dio è ricordato nelle diverse «tradizioni», in secoli successivi (Gn 12.15.17). Questo dialogo è determinante nel fargli vivere tutti i rapporti interpersonali: con le donne, con i re del tempo, con i parenti (Lot), con i drammi e i peccati delle città del tempo, con il figlio unico. Abramo è il «credente» in Dio. Una rete di rapporti La storia si apre a una serie di presenze. Dagli antichi padri (i patriarchi), ai giudici, ai re di Israele (nord) e di Giuda (sud) con la loro tormentata successione. Dai profeti non scrittori, ai profeti scrittori, maggiori e minori, ai sapienti tra cui si annoverano gli estensori delle preghiere: i Salmi. Si costituisce un popolo con la sua storia; all’origine Mosè con il cammino dell’esodo; la conferma dell’alleanza con la quale è adombrata una «nuova» definitiva alleanza con Dio. Questa storia salvifica propone tante donne e accanto a loro «i poveri» e gli «umili di Dio», che rendono questa storia, nonostante drammi, conflitti e miserie, un vero cammino di speranza. Siamo di fronte a una divina guida, che qualifica questa storia «vera pedagogia di Dio». * * * «Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr. Gv 1,3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cfr. Rm 1,19-20); inoltre, volendo aprire la via di una salvezza superiore, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la promessa della

redenzione, li risollevò alla speranza della salvezza (cfr. Gn 3,15), ed ebbe assidua cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene (cfr. Rm 2,6-7). A suo tempo chiamò Abramo, per fare di lui un gran popolo (cfr. Gn 12,2); dopo i patriarchi ammaestrò questo popolo per mezzo di Mosè e dei profeti, affinché lo riconoscesse come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e stesse in attesa del Salvatore promesso, preparando in tal modo lungo i secoli la via all’Evangelo» (DV 3). Ci siamo guardati attorno, ci siamo guardati dentro, abbiamo intravisto «vie» attraverso le quali poter giungere a Dio; poi prendendo sul serio la storia nel suo divenire, quasi fluire, di decennio in decennio, di secolo in secolo, abbiamo accolto il Dono che Dio fa di Sé nelle sue azioni e nel dialogo che a mano a mano ha instaurato con un crescendo di comunicazione (Rivelazione) con gli uomini nelle diverse generazioni che sono salite alla ribalta della storia (CCC Sez. I, c. 2 art. 3, nn. 65 -67). Pienezza del tempo È singolare poter attribuire la qualifica di «pienezza» a quanto consideriamo un processo di «divenire», «scorrere», esperienzialmente perenne. Eppure, citiamo solo due testi biblici e ci diamo una importante chiave di lettura di tutta la storia e di tutta la Scrittura (v. Origene) per riconoscere una Presenza, Dio stesso, rivelato e rivelantesi in un «frammento di storia», come definitività, come pienezza (escaton) che segna e qualifica in modo unico il tempo e in un vero senso lo trascende: non ne è bloccato, né imprigionato. Il Figlio Accoglieremo e rifletteremo a uno a uno su quelli che abitualmente chiamiamo gli «articoli» (enunciati fondamentali di insegnamento definito) del Credo. Ma fin da ora fissiamo lo sguardo sulla Presenza centrale, definitivamente donata, una volta per sempre, che finalizza e qualifica tutta la storia: il prima e dopo il suo “presentarsi”. Con il termine Figlio ci è rivelato definitivamente Dio come relazione, come dono, come amore amato e amante. Tutto questo è approfondito lungo tutti i secoli; con espressioni sempre nuove e proclamabili in ogni nuova generazione e in ogni cultura. Ebrei 1, 1-2: «1Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, 2ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo”. Galati 4, 4: «4Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge». Questo ci è subito chiarissimo: parlare del cristianesimo, parlare di fede cristiana, della «nostra» fede, implica notoriamente parlare di Lui, Gesù, il Figlio, e quindi di ciò che Egli ha fatto per noi e di Chi è Lui per noi. Ora e per sempre Confermiamo il riconoscere Gesù come centro vivo illuminante la storia e vivificante ciascuno di noi con l’insegnamento di San Giovanni della Croce (Salita al monte Carmelo 2, 22). «Dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola…Infatti quello che un giorno diceva parzialmente ai profeti, l’ha detto tutto nel suo Figlio, donandoci questo tutto che è il suo Figlio. Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni e rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse e novità». * * * Così l’insegnamento del Concilio Vaticano II. «L’economia cristiana, in quanto è Alleanza Nuova e definitiva, non passerà mai e non è da aspettarsi alcuna nuova Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo» (Dei Verbum 4).

Trasmissione (Sez. I, c. 2, art. 2, nn. 74-79) Parlare di trasmissione significa riflettere sul valore della storia: il fluire, per alcuni qualificato «inesorabile» del tempo, che ci riempie emozionalmente spesso di rimpianti e di struggenti nostalgie; e per altri di serena accoglienza e di viva speranza. Il tempo diventa storia quando l’uomo (le persone) fanno memoria e, scrivendo o raffigurando nel proprio tempo, lasciano documentazioni, in modo da far ricordare ai posteri e far crescere il senso e la portata costruttiva, formativa, del passato. Il nostro presente è sempre provvidenzialmente debitore al passato. Ripropongo l’espressione classica: Historia magistra vitae (la storia è maestra di vita: Cicerone, De oratore 2, 9, 36). Tradizione A livello poi di storia della salvezza, per cui prendiamo viva coscienza che la trasmissione dei ricordi, di avvenimenti e di parole (dialogo) ha come vero soggetto interveniente e coagente effettivamente Dio, riconosciamo che il passato, la storia, con questa straordinaria sinergia umano-divina, diviene e veicola la Presenza sorreggente e accompagnatrice, i segni permanenti e fonti di vita, memoria affidabilissima e normativa, in una parola diviene Tradizione ed è denominata Tradizione apostolica. La Tradizione ha origine nella divina volontà salvatrice universale di Dio che «vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tim 2, 4). La Tradizione è trasmessa innanzitutto inizialmente con la predicazione orale degli Apostoli e «con gli esempi e le istituzioni» (Dei Verbum 7). Inoltre è stata trasmessa con gli scritti, opera degli Apostoli e da «uomini della loro cerchia, i quali sotto l’ispirazione misero per iscritto l’annuncio della salvezza» (ibid. Dei Verbum 7). Tradizione nei secoli Nel tempo la Tradizione ha una continuità, scorre come linfa vitale, come fiume irrigante e nutritivo del terreno, nel costituire la Chiesa di tutti i tempi, attraverso il ministero dei Vescovi, successori degli Apostoli, e «le ricchezze trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega» (Dei Verbum 8). Sottolineo l’espressione: «I Santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione». * * * In tal modo la comunicazione, che il Padre ha fatto di sé mediante il suo Verbo nello Spirito Santo, rimane presente e operante nella Chiesa: «Dio il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce del Vangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo del quale nel mondo introduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la Parola di Cristo» (Dei Verbum 8). Nella Tradizione Nella Tradizione, in questo fluire di storia di salvezza (eventi e parole); “scorrono” anche gli “scritti”: parole fissate per iscritto; in questo modo nella trasmissione c’è una vera forma (realtà presente) di consistenza e definitività, perdurante e perennemente riproponibile (Sez. I, c. 2, art. 2. II, nn. 80-83). La Scrittura sono libri confluenti, integranti, vitalmente interagenti con e nella Tradizione. Questo eccezionale «fenomeno» (la bibliotechina) si presenta ancora oggi alla ribalta della nostra storia con la ragionevole pretesa di essere libri di autori umani, storici, ma attestanti una incredibile collaborazione: Dio è loro autore. Sono stati scritti in sinergia con Dio, qualificabile “autore principale”; mentre ogni singolo autore umano, collaboratore di Dio, è “autore secondario”. Detto in altri termini a «ispirare», cioè a lievitare pensieri e parole, non è semplicemente l’estro artistico letterario del singolo autore umano e tanto meno un qualche motivo ispiratore contemporaneo a lui o contestuale, ma è «ispirato dallo Spirito Santo». I libri di Dio Abitualmente con il termine Bibbia (= tà Biblia = i libretti) o più teologicamente la Scrittura o la Sacra Scrittura siamo posti di fronte a un evento del passato, «di mano in mano giunto fino a noi» (Concilio di

Trento, sessione IV), che mantiene intatta la sua straordinarietà, la sua sempre sorprendente pretesa, la sua contemporaneità a ogni persona umana. Elaborato come buon frutto nella e della storia (13 secoli di produzione letteraria; 73 libricini: 46 dell’Antico Testamento e 27 del Nuovo Testamento) questi libretti si pongono davanti a noi, anzi ci sono proposti, come Parola di Dio scritta per noi. La loro attualità e la loro efficacia ci interpellano: poliglotti, scritti almeno in tre lingue diverse (ebraico, aramaico, greco); in scenari geografici che vanno dalla storica Mesopotamia (terra dei fiumi Tigri ed Eufrate) all’Egitto, con al centro la Palestina, antico Israele. Parola di Dio (scritta) Il rapporto tra Dio, Gesù il Figlio, e lo Spirito Santo, e questi libri è interpretato così. Innanzitutto è Parola di Dio, cioè è Presenza operante e dialogante efficacemente di Dio: è Parola pensata, detta, voluta da Lui, per tutte le persone di tutte le generazioni; cultura per ciascuno di noi. È presenza di Gesù, il crocifisso Risorto, il Signore che nella Parola scritta si dona, ci insegna, ci interpella, ci vivifica. È azione illuminante e corroborante dello Spirito Santo; questi libri sono in verità detti: «ispirati» dallo Spirito Santo. * * * Dei Verbum 9 «La Sacra Tradizione dunque e la Sacra Scrittura sono strettamente tra loro congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la Sacra Scrittura è parola di Dio in quanto scritta per ispirazione dello Spirito di Dio; la parola di Dio, affidata da Cristo e dallo Spirito Santo agli Apostoli, viene trasmessa integralmente dalla Sacra Tradizione». Via maestra Una “via” maestra, accessibile e donata, per incontrarci con Dio, e quindi con Gesù, nella storia concreta di ogni giorno, nella nostra solitudine e nel rapporto interpersonale, nel tempo e spazio vitale (nel nostro cantuccio o nei nostri viaggi), è aprire I libri di Dio. È ascoltare la loro Lettura; è leggerli; è richiamare (ricordare) la loro Parola; è lasciarla penetrare nel nostro «cuore» (io); è annunciarla agli altri, fratelli e sorelle. Per questo possiamo e dobbiamo attardarci a riconoscere la portata e il valore della Sacra Scrittura. Fin d’ora, cominciando dalla unicità e unitarietà della Parola di Dio, viviamo i successivi quindici appuntamenti (leggiamo le successive quindici proposte a tema) riconoscendo il botta risposta, divino umano: Dio ci parla (Parola e Scrittura) e io (noi) accolgo e credo (accogliamo e crediamo) (Fede) (cfr. CCC Sez. I, art. 2, nn. 73-74. Parola unica Sinteticamente il CCC ci propone al n. 73: «Dio si è rivelato pienamente mandando il suo proprio Figlio, nel quale ha stabilito la Sua Alleanza per sempre. Egli è la Parola definitiva del Padre, così che, dopo di lui, non vi sarà un’altra Rivelazione». Propongo tre annotazioni importantissime. Dio si rivela, si manifesta come Papà: un Padre che non ha limitazioni in sé e ci conosce totalmente e pienamente. Vero Dio ci dona, ci propone, il Figlio, il Suo proprio Figlio (Dio unico come e con Lui, il Padre). In secondo luogo: è donando il Figlio che Dio si rivela nostro alleato. Stabilisce un patto irrevocabile d’amore. Il Figlio sta sempre dalla nostra parte; è nostro avvocato, difensore, intercedente (Rom 8; Ebrei 10); è l’allerta per eccellenza; amico impareggiabile, sorreggente, amabile e forte, fedele. In terzo luogo: Dio, il Padre, dice (opera) in Gesù, il Figlio, la Parola definitiva: il definitivo evento rivelativo. Questa è la strada maestra, unica percorribile; è la verità perenne. Non dobbiamo attendere alcuna «altra Rivelazione». Nel Figlio, in Gesù, tutto è stato donato; tutto è stato detto; tutto è stato rivelato.

Il cammino che ci attende Accogliamo un’altra affermazione biblica determinante per l’umanità di tutti i tempi e quindi anche per la nostra generazione: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). Sono necessarie, possibili, doverose tre scelte, da parte di tutti. Vivere la vita che ci è donata e continua restarci da vivere, in un crescendo di ricerca, di approfondimento, di interpretazione, di ascolto, di comprensione di Gesù, e in Lui dei rapporti interpersonali e della storia. Accogliere Lui, Gesù, condividendo un rapporto vitale sempre più profondo e coinvolgente. Riconoscere e collaborare a una pressante esigenza e al forte e irrinunciabile «mandato» di Gesù: annunciare Lui, il Signore, a tutti. * * * «E’ necessario perciò che il Cristo sia annunciato a tutti i popoli e a tutti gli uomini e che la rivelazione arrivi fino ai confini del mondo: “Dio, con la stessa somma benignità, dispose che quanto Egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni”» (Dei Verbum n. 7). Parole di Dio in linguaggi umani (art. 3, nn. 101-104) L’evento straordinario e umanissimo che è riconosciuto dai credenti di ogni tempo (Chiesa), confessato, proclamato, vissuto, potremmo chiamarlo incarnazione: il vocabolo è in primo luogo qualificante l’avvenimento centrale, fonte e vertice della storia e della fede, cioè «il Verbo si fece carne» (Gv 1,14), Gesù vero Dio è vero uomo. In secondo luogo, analogicamente e fondatamente, possiamo dire che la Parola di Dio scritta, libri/parole di Dio, si esprime in linguaggi di fatto, veramente, umani. Parola di Dio È fondamentale riannunciarci ciò che un’importante esortazione apostolica di Papa Benedetto XVI ci ha insegnato e ribadito sui diversi e interagenti significati di ciò che fondatamente chiamiamo «Parola di Dio» (Verbum Domini n. 7). «Pertanto Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, è realmente il Verbo di Dio fattosi consustanziale a noi. Dunque l’espressione “Parola di Dio” viene qui ad indicare la persona di Gesù Cristo, eterno Figlio del Padre, fatto uomo. Inoltre, se al centro della Rivelazione divina c’è l’evento di Cristo, occorre anche riconoscere che la stessa creazione, il liber naturae, è anche essenzialmente parte di questa sinfonia a più voci in cui l’unico Verbo si esprime. Allo stesso modo confessiamo che Dio ha comunicato la sua Parola nella storia della salvezza, ha fatto udire la sua voce; con la potenza del suo Spirito “ha parlato per mezzo dei profeti”. La divina Parola, pertanto, si esprime lungo tutta la storia della salvezza ed ha la sua pienezza nel mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio. E ancora, Parola di Dio è quella predicata dagli Apostoli, in obbedienza al comando di Gesù Risorto: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15). Pertanto, la Parola di Dio è trasmessa nella Tradizione viva della Chiesa. Infine, la Parola di Dio attestata e divinamente ispirata è la sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento. Tutto questo ci fa comprendere perché nella Chiesa veneriamo grandemente le sacre Scritture, pur non essendo la fede cristiana una “religione del Libro”: il cristianesimo è la “religione della Parola di Dio”, non di “una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente”. Pertanto la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile». Linguaggi umani È avvincente inoltrarsi con attenzione e capacità di adattamento ed elevazione a leggere la Bibbia, in quel suo linguaggio umano, testimone di culture che si sono succedute in diversi secoli, pur in un ambito geografico che coinvolge Egitto e vicino Mediooriente. È un segno della condiscendenza di Dio, di dare al Suo Pensare il corpo della parola scritta, nelle lingue concrete di questo mondo: ebraico, aramaico, greco.

* * * Tre sono i punti fermi da tenere presenti: 1. «Dio attraverso tutte le parole della Sacra Scrittura non dice che una sola Parola, il suo unico Verbo, nel quale dice se stesso interamente» (Cfr. Eb 1, 1-3) (n. 102). 2. «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come venera il Corpo stesso del Signore. Essa non cessa di porgere ai fedeli il Pane della vita preso dalla mensa della Parola di Dio e del Corpo di Cristo» (Dei Verbum, 21). 3. La Chiesa (i credenti di tutti i tempi) trova nelle Sacre Scritture nutrimento e vigore; è pienamente cosciente e annunciante che accoglie questi scritti non soltanto come parola umana, ma come sono vera Parola di Dio (cfr. 1Ts 2,13). la Sacra Scrittura è divinamente ispirata e vera (CCC nn. 105-108) Il vero, la verità Parlare del vero e della verità implica il poter riflettere e interpretare il rapporto con se stessi e con tutto ciò che ci circonda. Da un lato constatiamo l’evento-esperienza della nostra autocoscienza, cioè di quel che possiamo percepire e dire della nostra identità, del nostro esserci, del nostro “io”; e così rileviamo la possibile relazione con tutto ciò che è, quindi anche con Dio. In secondo luogo cogliamo la relazione di corrispondenza tra quel che esperimentiamo, quel che intuiamo, quel che conosciamo, e ciò che è, ciò che c’è di fatto. Questa corrispondenza è contemporaneamente la verità e criterio di verità. La verità è analogica e progressiva Due sono le caratteristiche che emergono e che dobbiamo sempre tenere presenti. La verità è analogica, mai univoca, e tanto meno equivoca; cioè un conto è la verità storica, la verità delle scienze esatte, la verità della matematica, la verità delle scienze dell’uomo, la verità letteraria (anche di un romanzo, di una fiaba…); la verità della filosofia, la verità della fantasia, la verità dell’amore. Ogni disciplina e ogni approccio possibile con il reale ha un modo di essere vero, non assimilabile totalmente all’altro; il vero in ogni relazione (interpretazione, conoscenza del reale) è in parte eguale e in parte dissimile dalle altre relazioni possibili; per questo lo qualifichiamo analogo. Una seconda caratteristica è che la verità è progressiva, cioè è sempre approfondibile; comprensibile in crescendo non solo lungo la nostra vita personale, ma lungo tutta la storia dell’umanità. Si può conoscere sempre meglio, sempre di più. La verità della Scrittura In che senso si deve parlare di verità della Sacra Scrittura? In che senso la Bibbia è vera? Usiamo la stessa espressione della Dei Verbum n. 21: «Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono, è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre lettere». La verità della Scrittura è la verità utile ed efficace «per la nostra salvezza»: cioè perché possiamo riconoscere e vivere in Dio, con Dio e per Dio; e questo modo di essere e di vivere lo chiamiamo globalmente «grazia»; essere «in grazia di Dio», vivere «in grazia di Dio»; cioè con il Dono di Sé a noi, della Sua stessa Vita in noi, testimoniata dal nostro poter conoscere (come ci percepiamo in noi stessi) e dal nostro agire (opere della fede). Verità ispirata Si comprende perché, con il costante e perenne insegnamento della Chiesa, dai primi Padri fino al Concilio Vaticano II, la Sacra Scrittura o Bibbia è stata sempre denominata «ispirata», cioè frutto dell’azione dello Spirito Santo, detta in altri termini, come già è stato ricordato, «ha come autore Dio», vero autore principale, avente come collaboratori, pure «veri autori», gli scrittori sacri o agiografi. * * * «La Santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché, scritti sotto ispirazione dello Spirito santo, hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa» (DV 11).

«La verità infatti viene diversamente proposta e espressa in testi in vario modo storici, o profetici o poetici o anche in altri generi di espressione» (DV 12). La Scrittura deve essere interpretata (ccc nn. 109-119) Complessità Per la Sacra Scrittura (o Bibbia) si può affermare ciò che si può dire di ciascuno di noi, e anche del mondo che ci circonda: sono, siamo, è «realtà complessa». Certamente ci possono essere dati criteri sintetici, unificanti, anche semplificanti (evitando alterazioni e semplicismi), ma non possiamo non riconoscerci nella complessità. Così è anche dell’attività produttiva scrittoria di ogni persona. La Bibbia è complessa. Lo riscriviamo: è un’intera biblioteca scritta da tanti autori umani, almeno in tredici secoli di storia, e anche più, se si considerano le tradizioni orali. Interpretazione Testi scritti, di ogni epoca, tanto più nell’antichità, hanno necessità di essere non solo letti, ma interpretati per essere capiti e, se è opportuno, memorizzati e insegnati. Anche per quanto riguarda la Bibbia ci si deve attenere alle regole dell’interpretazione che, grazie a studiosi e ricercatori, culturalmente e fondatamente ci si è dati nei secoli. Sono le attenzioni da avere quando si parla di «generi letterari», di «tradizioni», di «redazione», di nuove acquisizioni e scienze del linguaggio e della comunicazione. Sarebbe distorcente e disorientante leggere le cose così come le si capiscono di primo acchito o come alcuni acriticamente le interpretano (fondamentalismo). Come pure non possiamo abbandonarci a una personale autoispirazione così come il nostro estro e la nostra cultura ci suggerisce (rischieremmo un’autosuggestione). L’interpretazione implica fatica, diligenza, pazienza e tempo: vogliamo rispondere in modo probante a questo interrogativo: «Che cosa intendeva dirci e insegnarci l’autore umano concreto?». Con la Chiesa Leggere la Scrittura in solitudine, non significa leggerla isolati, senza riconoscere che sono Libri di Dio scritti con il contributo di tanti autori e con la precisa finalità: illuminare noi tutti in tutto il succedersi delle generazioni della storia dell’umanità. La Scrittura sono libri «scritti» da Dio; e Dio si impegna con tutti noi, e con ciascuno di noi, ad aiutarci a interpretarli. Siamo in questo educati a tenere presenti tre criteri interpretativi, che sono conformi «allo Spirito Santo che ha ispirata» la Sacra Scrittura. 1. Porre attenzione «al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura». 2. Leggere la Scrittura nella “Tradizione vivente di tutta la Chiesa”. 3. Essere attenti «all’analogia della fede». Li commentiamo di seguito così con il CCC (nn. 112-114). * * * «Infatti per quanto siano differenti i libri che la compongono, la Scrittura è una in forza dell’unità del disegno di Dio, del quale Cristo Gesù è il centro e il cuore, aperto dopo la Pasqua». «La Sacra Scrittura è scritta nel cuore della Chiesa, prima che su strumenti materiali». Infatti la Chiesa porta nella sua Tradizione la memoria viva della Parola di Dio ed è lo Spirito Santo che le dona l’interpretazione di essa secondo il senso spirituale. Per «analogia della fede» intendiamo la coesione delle verità della fede tra loro e nella totalità del progetto della Rivelazione.

La Scrittura dà vita Religione della “Parola” vivente È importante ricordarci (n. 108) che la fede cristiana non è religione del libro o dei libri, ma è religione della «Parola» di Dio; non di una parola scritta e morta, ma della Parola (Verbum) incarnata e vivente. Siamo infatti ammaestrati a non lasciare che le parole dei libri di Dio restino morte, ma è necessario sapere e riconoscere che queste parole sono sacramento della presenza di Gesù (Parola eterna del Dio vivente) che per mezzo dello Spirito Santo (inspirante) ci «apre la mente all’intelligenza delle Scritture» (Lc 24,45). La Parola di Dio è sostegno e vigore Dobbiamo riproporci con gioia e tutta la potenza possibile l’insegnamento conciliare della «Dei Verbum» al n. 21: «Nella Parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale». Di qui tutta una pedagogia da proporre e incrementare, che ha come scopo (per un verso) e come messa in guardia (per un altro), la famosissima espressione di San Girolamo (ripresa dal Concilio Vaticano II nella «Dei Verbum» n. 24): «L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo». Che cosa significa «servire la Parola di Dio»? Riprendiamo e riannunciamo l’insegnamento del Concilio ultimo. La Chiesa «esorta con forza e insistenza tutti i fedeli… ad apprendere “la sublime scienza di Gesù Cristo” (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture» (CCC n. 133; DV 24). «Lo studio della Sacra Scrittura sia dunque come l’anima della sacra teologia» (CCC n. 132). «Anche il ministero della Parola, cioè la predicazione pastorale, la catechesi e tutta l’istruzione cristiana, nella quale l’omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, si nutre con profitto e santamente vi gareggia con la Parola della Scrittura» (CCC n. 132; DV 24). * * * Conclusivamente (CCC n. 131): «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso del Signore» (DV 21). In ambedue le realtà, tutta la vita cristiana trova il proprio nutrimento e la propria regola. «Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino» (Sal 119, 105). Il Canone L’elenco dei Libri di Dio Fin dal II e III secolo dopo Cristo, la Chiesa, e quindi i credenti in Gesù, hanno sentito l’esigenza «di fede» di precisare l’elenco (dal greco: canone) dei Libri Sacri o Sacra Scrittura o Bibbia. Precisiamo ulteriormente la terminologia. Canone deriva dal greco «kanôn» che significava “canna” a fusto, o ogni bastone diritto idoneo o adatto a prendere misure. In modo derivato significò poi «misura» e anche «regola»; da cui la qualifica di Canone come elenco normativo dei Libri di Dio. Ci dobbiamo poi interrogare su due problemi: chi ha avuto l’autorità competente per fissare questo elenco? In secondo luogo: come è da intendersi la «fissazione del Canone» nel rapporto Chiesa (credenti) e Scrittura? Il codificatore dell’elenco Al primo interrogativo possiamo così rispondere. È frutto della Tradizione apostolica il «far discernere» quali scritti devono essere compresi nell’elenco. Non è identificato un singolo soggetto (Padre della Chiesa o singolo autore) come codificatore di questo elenco, ma la Chiesa tutta (la Traditio apostolica) attraverso i suoi iniziali Concili e poi nei grandi Concili ecumenici. Distinzione tra «Vangelo», Scrittura, Chiesa Rispetto al secondo interrogativo dobbiamo andare per gradi, facendo una duplice importante distinzione. La Sacra Scrittura non è «il Vangelo»; tutta però, e in tutte le sue parti, è la più autorevole e normativa trasmissione del Vangelo.

«Vangelo» (prima che San Giustino a. 150 d.C. chiamasse Vangeli, i quattro libretti del Nuovo Testamento che narravano i fatti e i detti di Gesù) è sempre stato riconosciuto la Parola di Dio come eventi, atti salvifici, attestata da «avvenimenti e parole» e trasmessi oralmente nella Chiesa. Vangelo è in forma definitiva, vertice e fontale, Gesù (La Parola, Verbum). La Sacra Scrittura è la forma storica concreta, in cui la Chiesa apostolica ha presente il suo inizio apostolico.La Chiesa ha visto dunque nella Scrittura la testimonianza del suo inizio apostolico normativo (non superabile); nell’atto di fissazione del Canone (determinare l’elenco definitivo irriformabile dei libri biblici) ha fatto l’atto di obbedienza al suo inizio apostolico. La Chiesa riconoscendo la Sacra Scrittura come canone, riconosce di sottostare alla Scrittura canonica, cioè normativa. * * * L’obbedienza della Chiesa alla Scrittura è la forma concreta della sua obbedienza al Vangelo. Dalla Scrittura si spiega entro la storia che il Vangelo è superiore alla Chiesa, che la Chiesa non è mai norma a se stessa, ma che la Parola di Dio le è anteriore (W. Kasper). «È stata la Tradizione apostolica a far discernere alla Chiesa quali scritti dovessero essere compresi nell’elenco dei Libri Sacri. Questo elenco completo è chiamato «Canone» delle Scritture. Comprende per l’Antico Testamento 46 libri e 27 per il Nuovo Testamento» (CCC n. 120). Il vocabolo «Testamento» È importante riandare alle due grandi parti di cui è composta l’intera Bibbia. Cominciamo con l’Antico Testamento, denominato anche Primo Testamento, che annovera ben 47 libretti scritti tra il XIII sec. a. C. e il I sec. sempre a. C. Il vocabolo ebraico b’rith che significa alleanza, patto tra due contraenti, fu tradotto in greco dai cosiddetti LXX (i Settanta traduttori di Alessandria d’Egitto, fine del III secolo a. C. e inizio II secolo) col termine diathëke che significa ultima disposizione dei propri beni e testamento – sottolineando un impegno piuttosto unilaterale – anziché col termine synthëke che sarebbe stata una traduzione più fedele al concetto ebraico. Per quanto improprio, il termine Testamento ha una motivazione nella Bibbia, esprime un messaggio salvifico: siamo veri eredi dell’alleanza (per la morte di Gesù, il Signore) prefigurata nell’AT (cf. Eb 9, 15-20). Il termine Antico, riprecisato in Primo Testamento, ci aiuta a cogliere da un lato la priorità temporale con cui è stato scritto (prima di Gesù); dall’altro indica anche la sua perennità e il suo valore permanente anche in presenza del Nuovo Testamento. Egualmente importante è subito sottolineare come già la rivelazione dell’AT ha il suo contenuto storico. La storia è la dimensione nella quale come credenti incontriamo Dio. Unità, Unitarietà, Perennità Ci facciamo pienamente discepoli del Catechismo della Chiesa Cattolica, ma pienamente fedeli andiamo anche oltre, solo con lo scopo di aiutarci a gustare e a nutrirci della Parola di Dio scritta. - L’Antico Testamento ha una sua vera unità, e unitarietà. Ricitando la “Dei Verbum” (n. 15) scriviamo: «L’economia dell’AT era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente e a significare… l’avvento di Cristo redentore dell’universo e del Regno messianico». Per questo giustamente un biblista presente nel Concilio (P. Grelot) scriveva: «La Bibbia è come una foresta vergine. Per uscire dall’altra parte dobbiamo avere una guida che ci aiuti… in ogni pagina l’altra parte è Gesù Cristo». - Contemporaneamente dobbiamo sempre tenere presente la complessità, che diventa convergente e complementare grazie al criterio unico e centrale di lettura e di interpretazione. «I libri dell’AT contengono anche cose imperfette e temporanee, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina… esprimono un vivo senso di Dio… una sapienza salutare per la vita dell’uomo e mirabili tesori di preghiere». - Inoltre hanno una portata e valore veritativo perenne, mai smentito dalla Chiesa in tutti questi ventun secoli di storia. È stupenda la citazione di Paolo (Rm 15,4): «Quanto fu scritto, per nostro ammaestramento fu scritto, affinché mediante quella pazienza e quel conforto che vengono dalle Scritture possiamo ottenere la speranza». Rapporto tra i due «Testamenti»

Significativo è richiamare la classica tripartizione all’interno dell’AT: libri storici, libri profetici, scritti dei saggi; e rilevare contemporaneamente come il buon Dio e la sua azione salvifica nella storia sono riconosciuti da più prospettive; inoltre ogni libro storico ha all’interno profezia e preghiera, così altrettanto ogni libro profetico e ogni testo sapienziale, si apre alla storia e alla preghiera. Così, a seguito di Sant’Agostino e a P. Grelot possiamo riconoscere il rapporto tra AT e NT con queste tre caratteristiche e criteri interpretativi: continuità, compimento e superamento. Si noti che superamento non è annullamento, azzeramento, obliterazione, come ci insegna Gesù (cfr. Mt 5, 17-19). * * * Dio ha disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio diventasse chiaro nel Nuovo (cfr. S. Agostino, Quaest. in Hept. 2, 73). Nuovo Testamento (CCC nn. 125 - 127) L’aggettivo “Nuovo” Faccio subito rilevare che non si tratta di semplice valutazione cronologica. Riprendo una suggestiva riflessione di W. Kasper: «Il cristiano ha sempre a che fare con ciò che è nuovo… contro ogni immobilismo, indice di poca fede, il cristiano deve essere sempre un segno di speranza in un mondo angosciato che va in cerca di sicurezza. Se è vero che Dio è il più giovane di tutti noi, allora il cristiano deve sempre rimanere giovane e mobile, per riconoscere i “segni del tempo” e affrontarli nella fede». Tanto più che il qualificativo «nuovo» è dai Vangeli Sinottici all’Apocalisse utilizzato per indicare: la presenza, il rapporto, l’azione di Gesù. Pienezza e definitività Il Nuovo Testamento interpreta l’evento di Gesù come «pienezza» e conseguentemente il tempo storico con una «pienezza» (cfr. Gal 4,4): un avvenimento che come presenza di Persona, come frammento di storia, come azioni, attesta «pienezza», pieno «compimento», evento «ultimo, «definitivo» (escatologico). È la tipica visione cristiana della storia. Fare spazio a Gesù nella nostra vita, «vivere di Lui» (Gal 2,20) significa dare valore di pienezza e di perennità alla nostra piccolezza e alle nostre povere irrilevanti azioni e rapporti. Coi Libri del Nuovo Testamento, 26, siamo di fronte alle narrazioni e interpretazioni apostoliche e normative del «credere cristiano». Il Vangelo «quadriforme» Già abbiamo parlato del Vangelo e dei quattro Vangeli (chiamati tali fin da 2 secoli d. C. da San Giustino) che la Dei Verbum (n. 18) così presenta: «Meritamente eccellono in quanto costituiscono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro Salvatore». Inoltre è insegnato «ciò che gli apostoli per mandato di Cristo predicarono, dopo, per ispirazione dello Spirito Santo, fu dagli stessi e da uomini della loro cerchia tramandato in iscritti, come fondamento della fede». L’epistolario Molte volte la Sacra Scrittura è stata chiamata: lettera di Dio. In modo specifico buona parte dei libretti del N.T. (tranne Atti e Apocalisse) sono davvero lettere; in genere espresse proprio con i destinatari e con insegnamenti prolungati che sono autentiche interpretazioni «canoniche» normative del vivere e credere credente. Sono elencabili le 14 lettere attribuite a Paolo; le tre a Giovanni, le due a Pietro; e poi una rispettivamente a Giacomo e a Giuda. In questi doni divini-umani, scritti del NT, la “Dei Verbum” (n. 20) insegna: «È confermato tutto ciò che riguarda Cristo Signore, è ulteriormente spiegata la sua autentica dottrina, è predicata la potenza salvifica dell’opera divina di Cristo, sono narrati gli inizi della Chiesa e la sua mirabile diffusione nel mondo ed è annunziata la sua gloriosa consumazione». * * * Nella formazione dei Vangeli si possono distinguere tre tappe: 1. la vita e l’insegnamento di Gesù

2. la tradizione orale 3. i vangeli scritti.

Il dono che Dio fa di sé La fede in Gesù(CCC c.3, nn. 142-143.153) Riproponiamo il capitolo terzo del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) dal titolo «La risposta dell’uomo a Dio», rileggendolo con l’aiuto anche di quanto ci ha insegnato il Papa Benedetto XVI in questi anni, soprattutto con il documento con cui ha aperto l’anno in corso: «Porta Fidei». La Fede è dono rivelazione e grazia Dono come rivelazione - Riandiamo subito a interpretare la realtà che è abitualmente chiamata «Rivelazione». I suoi contenuti sono così precisabili: Dio invisibile (Gv 1, 18 «Nessuno ha mai visto Dio») parla, cioè si fa interlocutore dell’uomo, in tutte le forme con cui può comunicare: persone (i personaggi e i ministri di tutta la storia della salvezza), gli avvenimenti (ci parla con eventi e parole), gli scritti (Sacra Scrittura). Il suo perché nel parlare è solo motivato dal «suo immenso amore» e si rivolge a noi, alle persone umane «come ad amici». Si rilevi inoltre che il Suo comunicare non è alla sola nostra comprensione, intelligenza, capacità di ascolto, ma è un rapporto, di cui Lui solo ha l’iniziativa ed è continuativo, e si apre a una chiamata, invito nell’aumentarli nella sua stessa vita, alla comunione con Lui (questo è la salvezza). Quindi la rivelazione (comunicazione di Dio con noi) è dono che ci abilita a vivere la comunione con Dio. * * * Così la Dei Verbum n. 2 «Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ad ammetterli alla comunione con sé». Dono come grazia - Parlando della fede il CCC ci insegna che è una condizione abituale della persona credente: per questo parla di «virtù» e poi aggiunge «soprannaturale»; non è semplicemente un atto umano di sola libera adesione e di intelligente sottomissione e assenso. Così è colto il dinamismo di questa «grazia di Dio che previene e soccorre». È un reale intervento e aiuto dello Spirito Santo • muove il cuore e lo rivolge a Dio, • apre gli occhi della mente, • e dà a tutti (Dei Verbum, n. 5) «dolcezza nel consentire e nel credere alla verità». Dono per un modo di vivere la nostra storia personale - Per questo è opportuno passare dalla presa di coscienza iniziale della Fede come Dono divino, come Dio che si dona a noi, alla realtà che dal nostro punto di vista viviamo storicamente come «risposta a Dio». La Fede è incontro, è rapporto (o relazione vitale) in crescendo, è compagnia, è gioia. Inoltre coinvolge la nostra intelligenza, la nostra libertà (nulla può avvenire per costrizione), la nostra emozionalità, le nostre azioni. * * * «Con tutto il suo essere l’uomo dà il proprio assenso a Dio rivelatore. La Sacra Scrittura chiama «obbedienza della fede» questa risposta dell’uomo a Dio che si rivela» (Rm 1,5.16. 26). Credere in Dio Padre, in Gesù il figlio, nello Spirito Santo (CCC c. 3, nn 150-151-152) La Parola di Dio accolta, ascoltata, liberamente obbedita (alla quale quindi ci si sottomette e la si attua) ci orienta ad affidarci e a fidarci pienamente di Dio, così come Egli è e come si manifesta e si dona a noi. Credo in Dio, unico e solo Ora in modo sintetico e poi in esposizione più particolareggiata, come scelta, come adesione, come affidamento e, accogliamo il Buon Dio, che riconosciamo unico, il solo Dio, e buono nel suo essere e nel

suo esprimersi verso di noi. Diamo il nostro assenso pieno e viviamo in crescendo verso la pienezza di Lui. Egli è autore di tutto ciò che esiste (creatore) ed è Padre, dona vita. Credo in Gesù Cristo, Figlio di Dio Non è credere a un altro. Ma è riconoscere che Dio, in modo solo umanamente impensabile, è Unico, solo: e contemporaneamente è comunione e presenza di tre persone che amano amando tutto ciò che esiste. Il Padre è tale perché ha il Figlio che invia per la nostra salvezza; ed è Figlio «amatissimo» (prediletto: Mc 1,11.9,7). In Lui, nella sua storia umana, nelle sue scelte e nelle sue parole conosciamo davvero Dio, il Padre. L’evangelista Giovanni ci indica in Gesù l’unica strada, l’unico modo e possibilità per conoscere, accogliere, vivere di Dio e dare senso e pienezza al nostro esistere storico povero e limitato (Gv 1,13; 6,46; 14,1.26: «Chi vede me, vede il Padre»). Credo nello Spirito Santo Spirito significa alito di vita, presenza vivificante, sorgente vitale. Il Padre che dona il Figlio: Padre e Figlio donano Dio Spirito vivo e consolatore. Noi, grazie a Dio Spirito Santo, riconosciamo Gesù Signore. Grazie allo Spirito Santo, possiamo «scrutare le profondità di Dio» e «conoscere i suoi segreti» (1Cor 12,3) e vivere di Lui: Padre, Figlio, Spirito. Un solo Dio. Comunione. * * * - La Chiesa non cessa di confessare la sua fede in un solo Dio, Padre Figlio e Spirito Santo. - Così nella S. Messa, così in ogni segno della Croce, così alla conclusione di ogni Salmo, così rivolgendosi abitualmente a Dio con la breve preghiera: «Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo….». La risposta libera e intelligente: l’obbedienza della fede (CCC c. 3, nn 144-145. 154-160) La fede è relazione vitale fondamentale per ogni persona umana. I due soggetti costitutivi di questo rapporto: sono Dio (Padre, Figlio e Spirito) ed io. Il Buon Dio è donantesi e generante nei nostri riguardi (la fede: dono, opera di Dio). Ciascuno poi di noi (il nostro «io»), vive tutti i dinamismi della corrispondenza e della possibile risposta: incontro, relazione in crescendo, compagnia, confronto arricchente e sempre più motivato. Tale risposta è proposta come vero atto umano: cioè libero e intelligente. Obbedienza della fede È chiaro che dal latino ob=audire è ascolto, sottomissione, obbedienza pienamente libera e ragionevole. Due figure in particolare attuano, come perfezione, questo modo di «obbedire». All’inizio della Bibbia (Genesi 12 . 15 . 17): Abramo; nel Nuovo Testamento a partire da Gal 4,4 e poi Mt 1 e Lc 1: Maria, per la quale richiamiamo l’espressione che rivolge al divino messaggero: «Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38); la cugina Elisabetta poi saluta Maria: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45). È atto intelligente Credere a e in Dio è in verità non contro la ragione, ma è secondo ragione; è riconoscere e comprendere i segni (miracoli, profezie, diffusione, santità di vita) e le motivazioni. Credere è ragionevole, sensato, illuminante. Credere è dono divino, ma contemporaneamente libero atto della nostra intelligenza sempre più protesa e aiutata a conoscere, a capire, a penetrare che Dio c’è; chi è Dio, a riconoscerlo in Gesù; a collaborare con il Santo Spirito. La fede è certa e dà certezze. Non per nulla credere è piena disponibilità, sapendo che Dio stesso agisce nel nostro pensare, volere, nella nostra emozionalità, in modo che, quale Spirito d’intelligenza e di vita, Spirito Santo, aiuti coi suoi doni a riconoscere sempre più e sempre meglio Gesù, il Figlio, rivelato dal Padre. È atto di libertà Dio invita ad aderire a Lui, a dare l’assenso a ciò che insegna, ad accogliere ciò che dona. Credere è dono divino, ma è atto umano, umanissimo, volontario e pienamente libero. * * *

- «Nessuno quindi può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti l’atto di fede è volontario per sua stessa natura» (Dignitatis humanae, 10). - «Dio chiama certo gli uomini a servire Lui in spirito e verità, per cui sono vincolati in coscienza, ma non coartati…» (Dignitatis humanae, 11). - «Cristo ha reso testimonianza alla verità, ma non ha voluto imporlo con la forza a coloro che lo respingevano» (ibid.). Crescere ed essere provati: ma testimoni della fede (CCC c. 3, nn 162-165) Papa Paolo VI ci ha educati a riconoscere il vero contributo che possiamo avere dalle persone della storia: «Abbiamo bisogno soprattutto di testimoni». Questo è il vero più alto ed efficace magistero. Perseveranza della Fede Dobbiamo riconoscere il cammino che altri con noi e noi stessi dobbiamo vivere, esperimentare, nella fede. La fede infatti come rapporto vivo, in cui siamo da Dio generati, deve poter crescere, in essa dobbiamo perseverare; la fede dono deve essere sempre richiesta, implorata, domandata con fiducia: «Signore, aumenta la mia fede» (Mc 9, 24). Fortificata la Fede Certamente la fede ha una sua luminosità: frutto della Parola accolta, è «lampada per i nostri passi»; è orizzonte di senso; è luce nelle tenebre più oscure. Ma, come ogni rapporto vitale, è messa alla prova: da ogni forma di limite, dal soffrire, dal dolore soprattutto ingiusto-immotivato-innocente, dal morire. Grazie alla prova, la fede si irrobustisce, si fortifica; rivela la sua specifica identità di vita, è «vita eterna» (1Gv, 3, 2). Gioia della Fede, come inizio di vita «eterna» La fede coinvolgente tutte le dimensioni del vivere personale (intelligenza, volontà, emotività, attività) è soprattutto gioia. Ha senso avere la Fede; è il vero fondamentale, sensato, cammino del vivere umano. Si rivela il Dono, la Chiamata di Dio, il frutto dello Spirito. Ma proprio perché è vita: vita nel limite, nell’altalenare della storia (gioie, dolori), vita nell’attesa, nella speranza, nell’amore; ha in sé una alba, un bagliore, un vero annuncio - promessa - profezia di «eternità». Ci fa pregustare la pienezza di vita, ci pone non solo nella struggente nostalgia del desiderio, ma ci fa già «gustare» quel che desideriamo, cerchiamo e attendiamo. * * * Tanti lo hanno vissuto. Noi possiamo unirci con loro «Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti,2tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio» (Eb 12, 1-2). La fede in Gesù, noi crediamo (CCC c. 3, nn 166-175. Seconda sezione 185-197) La fede dono e atto personale Riconfermiamolo: la fede è opera e dono del buon Dio. Contemporaneamente è risposta e collaborazione della persona umana: atto intelligente (secondo ragione) e libero; con la possibilità di crescere, attraverso le prove, per tutta la vita. Fede della Chiesa e nella Chiesa Si ponga poi bene attenzione. Se la fede (e quindi la salvezza) viene solo da Dio, noi «riceviamo la vita della fede attraverso la Chiesa, questa è nostra Madre». Ridiciamolo con le belle espressioni di Fausto di Riez:

«Noi crediamo la Chiesa come madre della nostra nuova nascita, e non nella Chiesa come se essa fosse l’autrice della nostra salvezza» (Fausto di Riez, De Spiritu Sancto, 1, 2: GSEL 21,104). - Nessuno come non si dà l’esistenza da se stesso, così non si dà la fede da se stesso. - Il credente riceve la fede con l’annuncio della Parola e la testimonianza di vita di altri. Questi altri sorreggono la mia fede; come il mio credere sorregge la fede degli altri. - «In realtà, è la Chiesa che…avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede… conserva questa predicazione e questa fede con cura, e… vi crede in uno stesso identico modo… e predica la verità della fede, le insegna e le trasmette (il contenuto della Tradizione è unico e identico) con voce unanime, come se avesse una bocca sola» (Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, I, 10,1-2). - Per questo posso proclamare: «Credo». Contemporaneamente con tutti gli altri credenti (con la Chiesa) dico: «Noi crediamo». La fede «tocca la realtà» È molto importante che lo sottolineiamo in modo particolare. La fede non propone dei pensieri, non ci fa elaborare dei concetti veritativi, ma – scrive S. Tommaso d’Aquino –: «L’atto del credente non si ferma all’enunciato, ma raggiunge la realtà (enunciata)» (S. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae II, II 1,2, ad 3). Tocca, ci fa toccare, la realtà. Il «simbolo» della fede Fin dalle origini, la Chiesa apostolica ha espresso e trasmesso la propria fede in formule brevi e normative per tutti. - Si noti che il termine greco «symbolum» indicava la metà di un oggetto spezzato (per esempio un sigillo) che veniva presentato come segno di riconoscimento; le due parti rotte venivano ricomposte per verificare l’identità di chi le portava. Il «Simbolo della fede» è la raccolta delle principali verità di fede. Così in modo chiaro e illuminante, scrive san Cirillo di Gerusalemme: «Il simbolo della fede non fu composto secondo opinioni umane, ma consiste nella raccolta dei punti salienti, scelti da tutta la Scrittura, così da dare una dottrina completa della fede. E come il seme della senape racchiude in un granellino molti semi, così questo compendio della fede racchiude tutta la conoscenza della vera pietà contenuta nell’Antico e nel Nuovo Testamento» (Catecheses illuminandorum 5,12; PG 33, 521-524). * * * Di qui la fede creduta e trasmessa (il Credo), la fede celebrata e pregata (i Sacramenti e la Preghiera cristiana), la fede vissuta e testimoniata (i Comandamenti).

Credo in Dio (23) CCC / 1 art. 1, nn 209-131 Tre parole Centelliniamo queste tre parole: io credo in Dio. È fatto che ci accade. È evento che viviamo. È accadimento che ci coinvolge. È esperienza che testimoniamo. È interpellanza che ci impegna. È grazia donata. È vita per ciascuno di noi: intelligenza, volontà, memoria, affettività, azioni, rapporti (il mio «io», il mio «esserci») sono attivati totalmente, radicalmente. Credo: e credo con altri che credono; credo con tante persone. Persone che vivono, ma non più nella storia; le persone che mi sono contemporanee in tutti i continenti della terra. Credo e crediamo.

Credere Credere è evento che pone ciascuno di noi in un rapporto vitale. L’Uno (Dio) dà vita, rigenera; io accolgo, corrispondo, cresco lungo tutta la mia esistenza. Da Dio sono vivificato, sorretto, accompagnato; io voglio vivere di Lui, voglio accoglierLo pienamente, e agire correttamente, coerentemente come mi insegna nel “cuore” (coscienza), negli scritti, nelle presenze fraterne (Sacra Scrittura - Chiesa), ma devo fare i conti con la mia fragilità e educare la mia affettività per tutta la vita. Posso seguire e vivere la preghiera, come sforzo-fatica e come orizzonte di senso e esperienza di gioia. Dio Dio si dona, si dice a me: rivela «il suo nome», mi fa capire e sentire (nel modo fluttuante della mia emotività) la Sua presenza e il Suo cercato, voluto, donato rapporto con me. Non è un problema di lingua, di vocabolo: posso chiamarlo in tutte le lingue e attribuirgli tutte le caratteristiche buone e belle. È l’unico, il solo: è comunione, «famiglia» fondante e costitutiva di ogni famiglia e rapporto d’amore (Padre, Figlio, Spirito). Dio è: Verità, Amore. Io E io sono da Lui spinto, aiutato, chiamato liberamente, per e con amore, a credere: affidarmi totalmente e fidarmi serenamente e sicuramente. * * * - «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo…» (Dt 6, 4; Mc 12, 29). «L’essere supremo deve necessariamente essere unico, cioè senza uguali… Se Dio non è unico, non è Dio» (Tertulliano, Adversus Marcionem, I, 3). - Dio mentre si rivela (si dona), rimane un Mistero ineffabile. «Se lo comprendessi non sarebbe Dio» (sant’Agostino, Sermones, 52, 6, 16: PL 38, 360). - Il Dio della nostra fede si è rivelato come colui che è; si è fatto conoscere «ricco di grazia e di misericordia» (Es 34, 6). Il suo essere stesso è Verità e Amore. Padre, CCC / 2 nn 232-248 Il Padre Dall’Antico Testamento ci sono testi in cui l’unico Dio è chiamato Padre. Richiamiamo quelli stessi citati dal Catechismo della Chiesa Cattolica. «Allora tu dirai al faraone: “Così dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito» (Es 4, 22). «Così tu ripaghi il Signore, popolo stolto e privo di saggezza? Non è lui il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito?» (Dt 32, 6). «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. Se farà il male, lo colpirò con verga d’uomo e con percosse di figli d’uomo» (2 Sam 7, 14). «Padre degli orfani e difensore delle vedove è Dio nella sua santa dimora» (Sal 68, 6). Ma è nel Nuovo Testamento in cui Gesù, l’uomo di Nazaret che «si è fatto Dio» (Gv 5, 18), rivela l’identità distinta da Sé, ma in uno straordinario, unico, intimassimo rapporto, con il Padre Dio. «Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11, 27). «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3, 16-17). «I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate?

Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro» (Lc 2, 41-50). Dio è papà Dio è papà: Paolo lo pone sulle labbra, meglio nel “cuore”, di ogni credente. Dio è conosciuto così sorgivamente, grazie all’azione dello Spirito Santo a noi donato. «Sappiatelo: il Signore fa prodigi per il suo fedele; il Signore mi ascolta quando lo invoco. Tremate e più non peccate, nel silenzio, sul vostro letto, esaminate il vostro cuore» (Sal 4, 4-5). «Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (Gv 7, 39). «Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio» (Rm 8, 16). Noi e il Padre Il nostro essere, pregare, il nostro pensare, il nostro volere, il nostro agire, lo stesso nostro relazionarci, ha senso, ha valore, è possibile, perché originato, orientato, vissuto per Dio Padre e con il Padre. «Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6, 8). «Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!» (Mt 7, 11). «Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”» (Mt 6, 30-31). «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 5, 43-44). Divenire ed essere cristiani suppone e implica accogliere il dono-rivelazione del Padre: «Pietro, né carne, né sangue, ma il Padre mio te lo ha rivelato» (Mt 16, 17). E postula il riconoscere tutti, donne e uomini di ogni età, figli e fratelli. * * * San Gregorio Nazianzeno (Orationes 40,41: PG 36, 417) ci propone una sintesi della fede trinitaria (CCC n. 256). «Innanzitutto conservatemi questo prezioso deposito, per il quale io vivo e combatto, con il quale voglio morire che mi rende capace di sopportare ogni male e di disprezzare tutti i piaceri: intendo dire la professione di fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Io oggi ve la affido. Con essa fra poco vi immergerò nell’acqua e da essa vi trarrò. Ve la dono, questa professione, come compagna e patrona di tutta la vostra vita. Vi do una sola Divinità e Potenza, che è Uno in Tre, e contiene i Tre in modo distinto. Divinità senza differenza di sostanza o di natura, senza grado superiore che eleva, o inferiore che abbassa… Di tre infiniti è l’infinita connaturalità. Ciascuno considerato in sé è Dio tutto intiero… Dio le Tre Persone considerate insieme… Ho appena appena incominciato a pensare all’Unità ed eccomi immerso nello splendore della Trinità. Ho appena incominciato a pensare alla Trinità ed ecco che l’Unità mi sazia…». Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra CCC c.1 / nn. 268-305 Onnipotente Tutto ciò che esiste e tutto ciò che esisterà è «opera» del Padre. Onnipotente è qualifica di unica volontà che ama. Non c’è in Dio la preminenza, la superiorità sfottente e arrivistica, l’arroganza del dominio. Dio non deve competere con nessuno; non deve farsi vedere da nessuno o farlo sapere a chicchessia. È Dio, il solo con il Figlio e lo Spirito Santo. Può far tutto ciò che è buono. Può dar senso al limite: a ciò che non è Dio (quindi a ciò che non è unico, non è perfetto, non è pieno, non è completo). Può finalizzare anche il dolore e la morte; e far vivere nella gioia anche ciò che senza Dio è solo terribile e indesiderabile. Creatore Creatore «del cielo e della terra» è come dire che è autore, operatore, della totalità, di tutto ciò che esiste: come molteplicità, varietà, irriducibilità degli esseri, di tutti i viventi. Nulla è «prima», «antecedente»,

«superiore» a Lui. Nulla è per caso. Ogni piccolo o grande essere, dal pulviscolo alle galassie, è da Lui voluto e attuato. Creatore, riproponiamolo, è fare la totalità del reale. Detto in termini apparentemente negativi: è fare dal nulla tutte le cose (Gn 1-2). Alla radice, a monte, di tutto ciò che è, c’è Dio. Immenso: diverso e prossimo Immenso non è concetto spaziale: Dio non è un dione. È presente a ciascun esistente (piccolo, grande o grandissimo). Diverso da ciascuno di noi; diverso da qualsiasi esistente; è «totalmente altro»: è Dio. Giacché è origine, fonte, radice di tutto ciò che esiste, è «vicinissimo»; ma la sua vicinanza è «prossimità»: lo è solo per amore, con amore. * * * «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri. Senza dubbio il Creatore dell’universo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro e la vita, poiché voi ora per le sue leggi non vi preoccupate di voi stessi. Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano» (2Mac 7,2b.23.28). «Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta? Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza? Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita» (Sap 11, 24-26).

Dio e il male CCC c.1 / nn. 302-324 Drammi e disastri In ogni generazione e in ogni storia umana, a cominciare da ciascuno di noi, non possiamo non prendere sul serio il problema del male. Bussa alla nostra porta; entra nelle nostre famiglie; coinvolge tante persone umane che conosciamo. E attraverso i giornali e la TV siamo costantemente informati del dramma di intere nazioni, in tutti i continenti. Il male si presenta come lancinante dolore fisico; come terribili lacerazioni e conflitti psicologici-affettivi; come cattiverie l’uno contro l’altro; come omicidi. Si presenta anche con portata cosmica, ecologicamente distruttiva e annientante anche persone, come alluvioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, maremoti. Solo Dio è uno, perfetto, semplice e amore; natura e persone sono piene di limiti, pericolosi reciprocamente. Peccato, male morale Ma c’è nel cuore dell’uomo una propensione a farsi il centro di tutto ciò che esiste; a concentrarsi sui propri bisogni e pulsioni soprattutto e sopra tutti. Il più delle volte la persona umana si attesta competitiva nei riguardi di Dio, autoidolatra. Non fare spazio a Dio, quale Egli è, è peccato. Ogni forma di peccato è l’insorgere di idolatria: non si riconosce la propria dipendenza d’amore e la propria missione a donarsi, a offrire, ad amare. Che cosa c’entra Dio? Dio è Signore del mondo e della storia. È Provvidenza. Ha creato le persone umane libere, capaci di scegliere e collaborare. Ha creato anche spazi e cose limitate, perfettibili, in cammino verso il perfezionamento. Esiste il male fisico; nella storia è entrato il male morale.

Tutto l’agire anche storico di Dio non è causa né diretta né indiretta di alcun male morale anzi dalla creazione all’invio e uccisione del Figlio di Dio tutto è a fin di bene, a nostra redenzione. Tre cose sono chiare. - La nostra conoscenza è imperfetta; e le “vie” di Dio rimangono sconosciute. - La Provvidenza di Dio è così grande che anche dalle conseguenze di un male può trarre un bene. - «Tutto viene dall’amore, tutto è ordinato alla salvezza dell’uomo. Dio non fa niente se non a questo fine» (Santa Caterina da Siena, Dialoghi 4, 138). Parola definitiva di Gesù Gesù ci esorta all’abbandono filiale alla Provvidenza del nostro Padre celeste. «Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6,26-34).

Dio e gli angeli (27) CCC c.1 / nn. 328-354 Sogno? Ci sono forme culturali che si esprimono con richiamo continuo a presenze «spirituali», personali non corporee, che intervengono continuamente ad aiutare, a proteggere, a illuminare sul presente e sul futuro la vita delle persone umane. Sembra un bel sogno. Un modo di parlare e incoraggiare i bambini nelle paure e nelle sofferenze, proclamando a loro il bello e il bene. Realtà Di fatto è fede della Chiesa, e quindi dei credenti in Gesù. - L’Antico Testamento ci parla continuamente di «angeli», da Abramo ai libri sapienziali: guidano, assistono, annunciano. - Il Nuovo Testamento ci propone la presenza dell’Angelo Gabriele che annuncia la nascita del Battista e poi quella di Gesù (Lc 1, 11.26). Poi tutta la storia di Gesù è accompagnata dal loro annunziare (evangelizzare), proteggere, confortare. - Di fatto le «professioni di fede della Chiesa», in vari secoli, ci insegnano che Dio «fin dal principio del tempo, creò dal nulla l’uno e l’altro ordine di creature, quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo terrestre…» (Concilio Lateranense IV, DS 800; Concilio Vaticano I, DS 3002; Paolo VI, Credo del Popolo di Dio, 8). - La liturgia cattolica celebra la festa degli Arcangeli il 29 settembre e la memoria degli Angeli custodi il 2 ottobre. Chi sono gli angeli Così scrive Agostino (Enarratio in Psalmos, 103, 1, 15): «La parola angelo designa l’ufficio, non la natura. Se si chiede il nome di questa natura si risponde che è spirito; se si chiede l’ufficio, si risponde che è angelo (messaggero); è spirito per quello che è, mentre per quello che compie è angelo». * * *

«Benedite il Signore, angeli suoi, potenti esecutori dei suoi comandi, attenti alla voce della sua parola» (Sal 103, 20). «Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18, 10). «Non sono forse tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati a servire coloro che erediteranno la salvezza?» (Eb 1, 14).

Dio crea l’uomo e la donna Grandezza e creaturalità (CCC c. 1 § 6 nn. 355-361) L’uomo (la donna) è persona Ci imbattiamo subito in una affermazione fondamentale: «L’individuo umano ha la dignità di persona: non è soltanto qualcosa ma è qualcuno». Ogni persona umana è identità: individuale e irripetibile, «capace di conoscersi, di possedersi». È inoltre presenza relazionale nello spazio e nel tempo: «Capace di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone». «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò (Gn 1, 27)». La persona umana è «creata» da Dio. Nella Gaudium et Spes 12,1; 24,3; 39,1 leggiamo «Dio ha creato tutto per l’uomo». C’è in ogni persona umana il vertice della creazione; il vertice di tutto ciò che esiste. Aggiungiamo subito, sempre con la Gaudium et Spes 12, 3: «È la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa». In questo riconosciamo l’identità radicale e la vitale fondamentale relazionalità della persona umana: «È stata creata per servire e amare Dio e offrirgli tutta la creazione». Chiamata alla vita (ad esistere) a condividere nella conoscenza e nell’amore la vita di Dio. Per questa sua struttura vitale e relazionalità all’inizio della Bibbia (Gn 1,27) è scritto: «Dio creò l’uomo a immagine di Dio». E con altro linguaggio il Catechismo ci insegna: «L’individuo umano è chiamato, per grazia (e non più soltanto creaturalmente), ad una alleanza con il suo Creatore, a dargli una risposta di fede e di amore che nessun altro può dare in sua sostituzione». Tutte le persone umane vivono in una unità e solidarietà - Per l’origine comune «il genere umano forma una unità». Negli Atti (At 17,26) leggiamo: «Dio creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini». - Tenendo presente la varietà delle persone, delle culture e dei popoli, tutte le persone umane sono veramente fratelli e sorelle: è «legge di solidarietà umana e di carità» (Concilio Ecumenico Vaticano II, Nostra aetate, 1). - Troviamo l’interpretazione della persona umana, accogliendo e riconoscendo la presenza nella storia e la contemporaneità viva di Gesù, vero uomo e vero Dio: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (GS 22, 1). * * * S. Giovanni Crisostomo, nei suoi Sermones in Genesim 2,1, ci propone una vibrante riflessione conclusiva «Qual è dunque l’essere che deve venire all’esistenza circondato di una tale considerazione? È l’uomo, grande e meravigliosa figura vivente, più prezioso agli occhi di Dio dell’intera creazione: è l’uomo, è per lui che esistono il cielo e la terra e il mare e la totalità della creazione, ed è alla sua salvezza che Dio ha dato tanta importanza da non risparmiare, per lui, neppure il suo Figlio Unigenito. Dio infatti non ha mai cessato di tutto mettere in atto per far salire l’uomo fino a sé e farlo sedere alla sua destra».

Unità di anima e di corpo (CCC c. 1 § 6 nn. 362-368) Voluta (creata) dal Buon Dio, la persona umana (uomo e donna) si esprime in una unità, ma a livelli vitali convergenti e differenti. Abitualmente usiamo così qualificarli: corpo e anima. «Dio, plasmò l’uomo con polvere dal suolo e soffiò (alitò - animò) nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gn 2,7). Corpo È molto importante apprezzare, stimare, avvalorare il nostro essere corpo. È la possibilità connaturale a noi per riconoscerci ed essere conosciuti, per comunicare, per «lasciare l’orma» del nostro esserci: nel mondo e nella storia. «La persona intera, come corpo animato dall’anima spirituale, è destinata a diventare nel Corpo di Cristo il tempio dello Spirito» (1 Cor 6; 19-20; 15, 44-45). Anima Premettiamo una piccola riflessione terminologica. Teniamo soprattutto presente il vocabolo cuore che corrisponde, in senso biblico, non all’organo fisiologico, ma alla «profondità dell’essere», al dove e come la persona si decide per Dio (pensa, vuole, ama) e cioè al nostro «io», al chiamarci e identificarci come «io» a tutte le età e nella continuità del nostro esistere (cfr. Ger 31,33; Dt 6,5; 29, 3; Is 29,13; Ez 36,26 ; Mt 6, 21; Lc 8,15; Rm 5,5). Il secondo vocabolo è spirito che S. Paolo utilizza in un suo famoso testo: «Spirito, anima e corpo si conservi irreprensibile per la venuta del Signore» (1 Is 5,23). Spirito significa l’«anima» della persona umana che «è capace di essere gratuitamente elevata alla comunione con Dio»; in altre parole «sin dalla creazione l’uomo è ordinato al suo fine soprannaturale». Infine il vocabolo anima, che ci fa riconoscere nel nostro esserci, come persona, davvero corpo ma non riducibile alla sola corporeità (consistenza fisica, spessore, quantità, peso), ma percepentesi ed esprimentesi in una libertà di pensare, scegliere, decidere, agire, che trascende ogni possibilità di natura soltanto corporea, fisiologica. L’anima è l’io pensante e decidente, quindi responsabile e perenne; è la vita animante la corporeità; è l’alito vivificante di Dio. Rilevante è che l’insegnamento della Chiesa, a nostro orientamento e illuminazione, abbia, nel Concilio Lateranense V (1513), seguito dall’insegnamento di Papa Pio XII (Lett. Enc. Humani generis) e di Papa Paolo VI (Credo del popolo di Dio 8), così scritto: «Ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio – non è “prodotta” dai genitori – ed è immortale». Anima e corpo Conclusivamente: «Lo spirito e la materia – nella persona umana – non sono due nature congiunte, ma la loro unione forma un’unica natura»; è un corpo umano e vivente; l’unità dell’anima e del corpo è così profonda (costitutiva). «Maschio e femmina li creò, Gn 1, 27 (CCC c. 1 § 6 nn. 369-379) Opera della sapienza di Dio Accogliamo con gioia e gratitudine l’insegnamento sulla creazione dell’uomo – persona umana «maschio e femmina». Alcune espressioni sono immediatamente orientative e punti fermi. • Dio creatore ha fatto (creato) l’uomo e la donna: opera della Sua Sapienza. • Li ha costituiti nella dignità di persona. • Li ha resi uguali, nella differenza di sesso. • L’uomo e la donna sono l’uno per l’altro. La donna è un altro «io», della stessa umanità. Il testo biblico fondamentale (Gen 2, 15-24) «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della

conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire”. E il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta”. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne». Sono insegnate due altre «verità» chiavi per chi crede in Dio Creatore. • Uomo e donna sono una comunione di persone, creazione di Dio Comunione (Padre, Figlio, Spirito Santo). • Hanno un dono, grande possibilità missione di trasmettere la vita, vivendo generativamente l’amore. Progetto di Dio Riconosciamo una condizione «originaria» dell’uomo e della donna: vivono un’armonia in ciascuno di loro e tra loro, una padronanza di sé, una collaborazione reciproca, una libera possibilità di amare. Tutto questo è chiamato «santità e giustizia originale». Anche rispetto al mondo, a tutto ciò che esiste, vive uno straordinario affidamento da parte di Dio. Possiamo con il Catechismo esprimerci così: uomo e donna sono partecipi e collaboratori della Divina Provvidenza e sono «amministratori» del creato. Durerà così nella storia? Avvengono da parte dell’uomo e della donna scelte dirompenti e sconquassanti questa armonia e questa provvidente collaborazione? Lo scadimento originale (CCC I § 7 nn. 385-412) Debolezza e fragilità C’è in tutti noi una esperienza di fatto, in tutte le età: di debolezza, di fragilità, di interna conflittualità. È contemporaneamente di tipo psicologico, e anche fisico, ma soprattutto morale. Coinvolge tutto il nostro esistere e vivere; tutta la nostra persona, in tutte le sue dimensioni. S. Paolo l’ha diagnosticata bene: «Infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,19). Anche ciò che ci circonda, il mondo intero, attesta una sofferenza, che inevitabilmente postula una liberazione e una novità di esistenza: «Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8, 22). Scadimento originale Paolo stesso reinterpreta l’antico testo di Genesi 3, in cui la prima coppia umana (Adam ed Eva) è insidiata dal tentatore: vorrebbe essere Dio e si nutre del frutto dell’albero proibito. Si noti: è una tentazione quotidiana ritornante in ogni piccola scelta; il perenne bivio della vita. Paolo ci insegna che nella scelta di Adamo, in lui tutti abbiamo peccato: ponendoci contro la legge ed aprendoci all’esperienza della morte. In Gesù siamo rigenerati e con la Vita nuova, siamo vincitori sul peccato, sulla morte, sulla legge. Dio, in Gesù, nostra salvezza Anche Gesù ci aiuta a riconoscere la nostra identità profonda: «E diceva: “Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7, 20-22). Ma contemporaneamente si dona (rivela) a noi autopresentandosi: «Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 6). Dal peccato originale

Questo nostro modo di essere, di percepirsi, di attestarci, è riconosciuto dalla Scrittura e dall’autorevole insegnamento della Chiesa come scadimento originale (il peccato originale), definito così dal Concilio di Trento: «Perché proviene dal peccato e inclina al peccato» (Sessione IV). Al senso del vivere, alla salvezza «Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato... Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti» (Rm 5, 12-15). Grazie alla Parola rivelata di Dio per tutta l’umanità e per ogni persona umana, possiamo conoscere noi stessi, evidenziare anche il nostro dramma interiore, che può rendere conflittuale ogni nostro rapporto interpersonale e ogni relazione con il mondo circostante. Il tutto però, per il disegno di Dio, in Gesù ha una radicale apertura alla salvezza e al senso. «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi [...]. La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo» (Sap 1,13; 2,24). «Satana o il diavolo e gli altri demoni sono angeli decaduti per avere liberamente rifiutato di servire Dio e il suo disegno. La loro scelta contro Dio è definitiva. Essi tentano di associare l’uomo alla loro ribellione contro Dio». «Per il suo peccato, Adamo, in quanto primo uomo, ha perso la santità e la giustizia originali che aveva ricevuto da Dio non soltanto per sé, ma per tutti gli esseri umani. Adamo ed Eva alla loro discendenza hanno trasmesso la natura umana ferita dal loro primo peccato, privata, quindi, della santità e della giustizia originali. Questa privazione è chiamata “peccato originale”». «In conseguenza del peccato originale, la natura umana è indebolita nelle sue forze, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte, e inclinata al peccato (inclinazione che è chiamata “concupiscenza”)». «La vittoria sul peccato riportata da Cristo ci ha donato beni migliori di quelli che il peccato ci aveva tolto: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20)».

Credo in Gesù (32) Il suo nome, «Cristo», «Figlio di Dio», «Signore» (CCC c. 2 art. 1-2, nn. 422-455) Il Vangelo: «La buona novella» C’è un disegno divino da sempre. Dio «manda» il suo Figlio: è invio d’amore, per amore delle persone umane tutte. È l’evento per eccellenza. Segna il tempo a metà: prima di questo invio, dopo questo “io”. È pienezza: giacché ormai con questo invio del Figlio, se accolto nel tempo di ciascuno di noi, il tempo da noi vissuto con Lui, ha un valore perenne; è compimento. La fede in Gesù «via, verità e vita» (Gv 16), nostro «tutto» (Col 3, 1) Al centro di ogni annunzio cristiano (quindi di ogni servizio della Parola di Dio, di ogni catechesi) troviamo una persona: quella di Gesù di Nazaret. Si svela nella persona di Gesù l’intero disegno di Dio. Si pone ogni singola persona in comunione di vita con Lui. Tutto il resto (nella storia di tutti i tempi, nell’intera Sacra Scrittura) è in riferimento a Lui (cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Catechesi tradendae, 5.6.). «Mossi dalla Grazia dello Spirito Santo e attirati dal Padre, noi, riguardo a Gesù, crediamo e confessiamo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16)» (n. 424). La storia è «pienezza del tempo» nell’evento che ha il nome: Gesù Rifletteremo sul suo concepimento e sulla sua nascita (incarnazione), ma soffermiamoci prima sul suo nome. Si tenga presente che il nome permette di cogliere l’identità e la missione della persona. Nome significativo: Gesù in ebraico significa «Dio che salva».

Nel nome di Gesù è ricapitolata tutta la storia, come storia di salvezza. Dalla liberazione dalla schiavitù d’Egitto dell’antico popolo d’Israele, alla liberazione di ogni schiavitù insorgente in ogni tempo, fino agli irretimenti in cui ciascuno di noi può incappare. Gesù salva dal peccato: rifiuto di Dio e contrasto-stacco radicale da Dio. Salvatore: Gesù è il nome divino che, unico e solo, reca salvezza. «Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,2, 9,14; Gc 2,7). Gesù è «Cristo», «Figlio di Dio», «Signore» (nn. 453-454). “Il nome «Cristo» dal greco significa «Unto», in ebraico «Messia». Gesù è il Cristo perché Dio lo «consacrò in Spirito Santo e potenza» (At 10,38). Egli era colui che doveva venire, l’oggetto «della speranza d’Israele» (At 28,30)”. “Il nome «Figlio di Dio» indica la relazione unica ed eterna di Gesù Cristo con Dio suo Padre, egli è il Figlio unigenito del Padre e Dio egli stesso. Per essere cristiani, si deve credere che Gesù Cristo è il Figlio di Dio”. “Il nome «Signore» (latino: Dominus) indica la sovranità divina. Confessare o invocare Gesù come Signore, è credere nella sua divinità. «Nessuno può dire “Gesù è il Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1 Cor 12,9)”. Inizio della storia (CCC c. 2 art. 3 §, nn. 456-511) Abbiamo riconosciuto il suo nome profeticamente preparato e da proclamare come nome-presenza salvatrice: Gesù. Siamo poi aiutati a prendere sul serio la sua storia, quindi non solo a confessare il suo nome, ma a «riconoscere il suo volto»: il volto di un vero uomo, che è Dio. Gesù fu concepito per opera di Spirito Santo L’annuncio cristiano (= il dono della fede con cui Dio si comunica a noi e ci chiede di accoglierlo nell’ascolto e ci fa vivere di Lui) è questo: Gesù «si è fatto carne». È l’espressione coniata dall’evangelista Giovanni che presenta Gesù come la Parola definitiva e vivificante di Dio: «il Verbo (Parola) si fece carne e venne ad abitare (si attendò) in mezzo a noi» (Gv 1,14). È come un fortissimo squillo di tromba che rompe il silenzio incomprensibile e, per un altro verso, assordante della storia: ha iniziato la sua storia, determinante per tutti. Si è fatto carne: il piccolo grumo di carne con cui si presenta ogni persona concepita. Per questo evento il Catechismo della Chiesa cattolica usa parole eccezionali: è evento per la nostra salvezza, per riconciliarci con Dio; perché conoscessimo l’amore di Dio e avessimo un vero modello di santità. Incarnazione: vero Dio e vero uomo Tutto il Nuovo Testamento (con Gv 1,14; Fil 2,5-8; Ebrei 10,5-7; 1Gv 4,2) ribadisce in modo ricco e variegato di espressioni l’affermazione: «Gesù è venuto nella carne…. si manifestò nella carne» (1Tm 3,16). E il vocabolo «incarnazione» è usato ormai inequivocabilmente sia per indicare il momento puntuale del concepimento di Gesù, sia il suo essere uomo con una storia della breve durata di un frammento nei millenni della storia umana. Ma questo «frammento» ha definitivamente segnato il prima e il poi di tutta l’umanità. I Concili commenteranno, insegneranno e debelleranno tutte le eresie che tentavano di interpretare riduttivamente o alterare la fede della Chiesa: «Gesù è inscindibilmente vero Dio e vero uomo. Egli è veramente il Figlio di Dio che si è fatto uomo, nostro fratello, senza con ciò cessare d’essere Dio, nostro Signore» (n. 46). Così il Concilio di Nicea I (a. 325 d.C. rispetto all’eresia di Ario); così il Concilio di Efeso (a. 431 d.C. rispetto all’eresia di Nestorio); e poi un momento di sintesi con il Concilio di Calcedonia (a. 451 d.C. contro il monofisismo che annulla la natura umana di Gesù). Nato da Maria Vergine Subito l’articolo del Credo al concepimento (opera diretta dello Spirito Santo) unisce la proclamazione della Nascita «da una donna» (Sal 4,3), da Maria Vergine. Rileviamo che Gesù nasce da una mamma, con un preciso nome e con una storia profeticamente preannunciata e preparata, come ogni bambino. Il papà, Giuseppe, non offre il contributo e concorso fisiologico grazie al quale ogni bimbo è concepito e poi nasce; ma vive la stessa esperienza di Maria, grazie

all’azione dello Spirito: ascoltano e accolgono la Parola del Signore. L’efficacia della Parola è diversa: cioè è «mistero», opera di Dio; azione che solo Dio compie. Di fronte all’annuncio del messaggio divino, Maria disse: «Ecco la serva del Signore avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,39). Per questo la Chiesa afferma e riconosce, in questa umilissima e irrilevante donna, la massima consistenza di creatura umana, possibile: concepita immacolata (senza alcuno scadimento originale), sempre vergine, candidata a condividere subito con la morte la vita divina piena del Figlio. E Giuseppe ripetutamente per la Parola di Dio accoglie la madre e il Figlio (Mt 1,24-25). * * * «Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, nell’unità della sua Persona divina; per questo motivo è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini» (n. 480). Maria è veramente «Madre di Dio» perché è la Madre del Figlio eterno di Dio fatto uomo. Dio lui stesso (n. 509). Inizio della storia (CCC c. 2 art. 3 §, 3 nn. 513-534) «Mistero, Misteri» Riscriviamolo per la terza volta: la storia di Gesù è «mistero», come sono «misteri» tutti gli eventi della sua santissima vita. Riannotiamo: mistero, non è nel linguaggio biblico-teologico soltanto «realtà non comprensibile a ogni intelligenza creata», ma la tipica opera di Dio, l’azione salvatrice di Dio. Per questo il «simbolo della fede» parla dei Misteri dell’Incarnazione (concezione e nascita) e della Pasqua (passione, crocifissione, morte, sepoltura, discesa agli inferi, risurrezione, ascensione). Gesù ha vissuto tutta la sua vita non per Se stesso ma per noi. Egli ci è modello; viviamo di Lui ed Egli vive in noi. «Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e completare gli stati e i misteri di Gesù» (S. Giovanni Eudes, Tractatus de regno Iesu, cfr. L.H. IV venerdì 33ª settimana). Dalla Giudea alla Galilea Sono i primi due capitoli dei vangeli di Matteo e di Luca che ci trasmettono e ci raccontano gli eventi dell’immediata preparazione del concepimento-nascita di Gesù, soprattutto presentando la figura di San Giovanni Battista (il battezzatore) precursore, annunciatore, amico di Gesù. Tutto questo liturgicamente è rivissuto in ogni anno cristiano nell’Avvento: educando il desiderio dell’attesa e ravvivando la speranza cristiana. Proprio in Giudea (Betlehem, Gerusalemme) è raccontata la nascita in umiltà, povertà e «gloria celeste» (Lc 2, 1-7), e l’esprimersi di Gesù bambino, aiutando tutti a «diventare come bambini» (Mt 18,3-4). Così pure gli eventi successivi tradizionali-cultuali: la circoncisione, l’epifania (manifestazione ai «magi»); la presentazione al tempio, con il riconoscimento di Gesù (Messia) segno efficace di salvezza e causa di rovina, unitamente alla mamma straordinaria collaboratrice nel soffrire offerto; infine la fuga in Egitto, con la quale, fin dei primi passi di vita di Gesù, è attestato, attraverso il comportamento di Erode, che Gesù «venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11). Il quotidiano come «vita nascosta» Teniamo presente che Gesù trascorre più di trent’anni a Nazaret; storicamente, culturalmente, geograficamente in modo irrilevante «senza apparente grandezza». La annotazione sintetica di Luca (2,51-52) afferma «sottomesso ai genitori cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini». Questa sottomissione e questo vivere quotidiano, ripetitivo e ordinario permette al Papa Paolo VI di insegnarci la «vita di Gesù, la scuola del vangelo… il silenzio… il vivere in famiglia… lezione di lavoro… fatica umana» (discorso del 5 gennaio 1964 a Nazaret, cfr. L.H. - festa della Santa Famiglia). Il solo “ritrovamento di Gesù al Tempio”, dialogante coi dottori della Legge, permette di riconoscere il «mistero» di Gesù, in piena obbedienza al Padre e in piena amante sottomissione a Giuseppe e a Maria: fondamentale dono-esempio datoci per vivere i rapporti in un’armonia bella, faticosa, promovente. * * *

«Pastori o magi, non si può incontrare Dio quaggiù che inginocchiandosi davanti alla mangiatoia di Betlemme e adorandolo nascosto nella debolezza di un bambino» (n. 563). «Con la sottomissione a Maria e a Giuseppe, come pure con il suo umile lavoro, durante i lunghi anni di Nazaret, Gesù ci dà l’esempio della santità nella vita quotidiana della famiglia e del lavoro» (n. 564). Si è fatto prossimo in tutte le necessità (CCC c. 2 art. 3 III 535-553) Battesimo e tentazioni La vita pubblica (itinerante, annunziatrice, operante) di Gesù si inaugura con il Battesimo. È contemporaneamente la grande testimonianza data da Gesù ai suoi, alla storia dell’umanità tutta: ha scelto di essere il «servo sofferente», l’«agnello immolato»; evento di abbassamento e di condivisione coi peccatori. Ma è anche rivelazione del Suo pieno ascolto e obbedienza del Padre e dell’azione dello Spirito Santo (Lc 2, 41-52; Mt 3, 10-16). La narrazione della vita di Gesù continua con il racconto delle tentazioni. Tale racconto richiama il cammino del popolo nel deserto; attesta la condizione di tutti gli uomini provati e in lotta con il diavolo; manifesta la messianicità vittoriosa di Gesù che contrappone, alla tentazione, la potenza della Parola e dello Spirito Santo (Mc 1, 12-13; Lc 4, 13). I segni del Regno Riferiamoci all’insegnamento del Concilio Vaticano II: «Cristo per adempiere la volontà del Padre ha inaugurato in terra il Regno dei cieli» (LG 3). I destinatari e i beneficiari di questo Regno sono: i poveri, i «piccoli», i peccatori (Mt 5-7; Lc 15). Questi segni di bontà, di misericordia, di sanazione e di sfamazione, perfino di tre (figlia di Giairo, figlio della vedova di Naim, Lazzaro amico di Gesù) richiami in vita, sono insegnati attraverso numerose e bellissime parabole (Mt 13. 21-24). Diventa chiaro che l’agire salvifico di Gesù è presenza del Regno. Tutto questo agire e insegnare implica e sollecita a credere in Gesù, figlio di Dio. Questi segni e parole attestano che la schiavitù del peccato è eliminata e che la liberazione è piena, con la sconfitta di Satana e del suo regno. Discepoli di Gesù Gesù vive per noi e tra noi; sceglie chi partecipa della sua autorità operativa, chi vive il Suo servizio di annunciare il Regno e guarire dalle infermità, chi attesta continuità nella Sua missione di donare se stesso. Così Gesù sceglie i dodici. Dà a Pietro un potere specifico, rendendolo «pastore» di tutto il gregge (la Chiesa), capace di confermare nella fede i fratelli (Lc 9,2; Mt 16,19; 6-21, 15-17); a loro e a Pietro in particolare sono affidate le chiavi del Regno. *** - Dall’inizio della sua vita pubblica al momento del suo battesimo, Gesù è il «Servo» totalmente consacrato all’opera redentrice che avrà il compimento nel «battesimo» della sua passione (n. 565). - La tentazione nel deserto mostra Gesù, Messia umile che trionfa su Satana in forza della sua piena adesione al disegno di salvezza voluto dal Padre (n. 566). - Il Regno dei cieli è stato inaugurato in terra da Cristo. «Si manifesta chiaramente agli uomini nelle parole, nelle opere, nella persona di Cristo». La Chiesa è il germe e l’inizio di questo Regno. Le sue chiavi sono affidate a Pietro (n. 567). Dalla Galilea a Gerusalemme (CCC c. 2 art. 3 § III - nn. 554-570) La «salita» Gli evangelisti inquadrano diversamente gli itinerari dal nord (Galilea) al sud (Gerusalemme) di Gesù nella sua terra. Sia che sia rilevato come unico ideale viaggio pedagogico (Luca), sia che sia riconosciuto ripetuto e scadenzato in prossimità della Pasqua (Giovanni), per tutti e quattro gli evangelisti c’è un’importantissima definitiva «salita» a Gerusalemme di Gesù. Gli occhi dei credenti, degli storici, dei ricercatori di senso, di tutti i tempi, si sono confrontati con questa «ascesa» a Gerusalemme, che ci riannuncia, ci attesta, ci

coinvolge nel rapporto con Dio: così come è, così come si è attestato, così come si rapporta a ciascuno di noi. Trasfigurazione Evento, di primo acchito, fantasioso, «teofanico», è contemporaneamente: punto di partenza, avvenimento emblematico, profezia e rivelazione, di chi è Gesù. Conosciamo il racconto. È presentato con linguaggio ricco di simboli, richiamati costantemente nell’Antico Testamento per raccontare la presenza di Dio: luce, fuoco, colori, nube. Ed è una riproposta di chi è Gesù, nella storia, dal punto di vista del passato fondativo (Mosè) e dall’azione profetica interpretativa (Elia); è annunciata la sua scelta determinante di fronte a scelti testimoni: «parlavano del suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme» (Lc 9, 31). Gesù l’aveva già detto apertamente, dopo la confessione di Pietro «doveva andare a Gerusalemme, e soffrire molto… e venire ucciso e risuscitare al terzo giorno» (Mt 16, 21). La Trasfigurazione è «seconda ricreazione» (Tommaso d’Aquino), secondo battesimo; è presenza di Dio Padre nella voce, di Gesù Figlio dell’uomo, dello Spirito nella nube luminosa. Luca ancora scrive «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme» (Lc 9, 51). La salita-uscita da Gerico con l’emblematica guarigione del cieco, la conversione di Zaccheo, attesta vere chiamate: al senso della vita, al vivere il rapporto con Dio, a essere discepoli. Ci prepariamo a vivere con Gesù la sua «entrata» in Gerusalemme, trionfale e umile, osannato dai fanciulli: vera premessa all’evento-mistero di Pasqua (morte e vita). * * * • La Trasfigurazione di Gesù ha come fine di consolidare la fede degli Apostoli in vista della passione: la salita sull’«alto monte» prepara la salita al Calvario. Cristo, Capo della Chiesa, manifesta ciò che il suo Corpo contiene e irradia nei sacramenti: «la speranza della gloria» (Col 1, 27) (n. 568). • Gesù è salito a Gerusalemme volontariamente, pur sapendo che vi sarebbe morto di morte violenta a causa della grande ostilità dei peccatori (n. 569). • L’ingresso di Gesù a Gerusalemme è la manifestazione dell’avvento del Regno che il Re-Messia, accolto nella sua città dai fanciulli e dagli umili di cuore, si accinge a realizzare con la Pasqua della sua morte e Risurrezione (n. 570). Prospettiva sull’”evento” dal finale soffrire e morire (CCC c. 2 art. 4 nn. 571-573-595-609) Credere all’evento Riproponiamo il testo dell’”articolo” del Credo, sul quale ci attarderemo per esprimere il nostro credere (conoscere, accogliere, contemplare, sperare, amare): «Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì, fu sepolto». È importante sottolinearlo. Non è semplicemente una conoscenza storica: affermare cioè con fondatezza che tutto questo è avvenuto, è documentato, è pienamente attendibile. Credere significa vivere, questo evento che è un frammento di storia sia della vita di Gesù, sia tanto più un frammento di tutta la storia dell’umanità, come evento centrale, vitale-vivificante per le persone di tutti i tempi. Questo evento è dunque la realtà più determinante e significativa per l’esistere mio e di ciascuno dei miei contemporanei. Credere nel soffrire e morire di Gesù è aprirsi al Dono della novità di vita. Finalità e prospetticità Il soffrire e il morire di Gesù deve essere considerato da diversi punti di vista. (1) Cominciamo dal punto di vista storico-culturale; riconosciamo quindi la portata delle presenze, delle istituzioni, delle tradizioni che hanno preceduto e preparato l’evento. (2) Dal punto di vista della sua valenza futura; della possibile efficace “ricaduta” (rinnovamento) nella storia, nelle esigenze e drammi umani di tutti i tempi (v. Eucaristia); (3) dal punto di vista della concreta e rivelante successione dei fatti (v. storia della passione), con la loro pedagogia e interpretazione finalizzatrice della nostra vita. (4) Così è possibile accogliere, conoscere, vivere la portata luminosa (rivelativa), coinvolgente e trasformante (grazia-miracolo) della risurrezione.

Ci si ricordi che, con espressioni codificate fin dal Concilio di Trento, si presentarono così i due “misteri” principali della fede: (1) Unità e Trinità di Dio; (2) passione, morte, risurrezione di Gesù. Il soffrire e il morire di Gesù Con questi avvenimenti storici, è definitivamente reinterpretato il rapporto possibile e imprescindibile della persona umana singola e dell’umanità tutta con Dio. È annunciato e compiutamente dato il significato del «sacrificio» e il valore sommo (vertice) dell’offrire il soffrire per e con amore. Il dono e la volontà di Dio, come Amore, sono proposti in modo pieno a chiunque si rende disponibile ad accoglierli. Riceviamo come finale annuncio sintetico e precomprensivo i seguenti insegnamenti. • «Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture» (1 Cor 15,3) (619). • La nostra salvezza proviene dall’iniziativa d’amore di Dio per noi poiché «è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,10). «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2 Cor 5,19) (620). • Gesù si è liberamente offerto per la nostra salvezza (621). • In questo consiste la redenzione di Cristo: egli «è venuto per… dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28), cioè ad amare «i suoi sino alla fine» (Gv 13,1) perché essi siano «liberati dalla» loro «vuota condotta ereditata dai» loro «padri» (1 Pt 1,18) (622). • Mediante la sua obbedienza di amore al Padre «fino alla morte di croce» (Fil 2, 8), Gesù compie la missione espiatrice del Servo sofferente che giustifica molti addossandosi la loro iniquità. Eventi finali storici (CCC. I sez. 2. c. 2 art. 4, nn. 571-594) La storia Gesù si è incarnato veramente. Non solo attesta un’umanità piena: con limiti e valori; ma con capacità di soffrire e di gioire, eminenti, vero modello, come doni efficaci, per il nostro vivere umanamente sensato e finalizzato. Tutto questo conseguentemente lo ha reso vero uomo inserito nella storia, in una cultura concreta, fatta di tradizioni e di istituzioni, rispetto alle quali ha vissuto quella relazionalità “ideale” (affidabile e proposta a ciascuno di noi) configurantesi in: continuità, compimento, superamento. Abbiamo ben conosciuto Gesù nella sua storia quotidiana, nella sua vita “profetica”, itinerante, piena di conflittualità. E questi rapporti erano coi sadducei, coi farisei, con gli erodiani, con i suoi discepoli, coi suoi familiari, con sacerdoti, con gli scribi. Di essi alcuni «tennero consiglio contro di lui per farlo morire» (Mc 3,9). La legge La legge era vissuta, da molti, soprattutto farisei, all’insegna del “principio dell’integralità” dell’osservanza; cioè era o doveva essere praticata nella sua integralità fin nei minimi precetti. Comprendiamo come tale principio poteva da un lato portare a un estremo zelo o a coltivare una vera forma di ipocrisia. Gesù si propone come chi «non è venuto ad abolire la Legge o i Profeti», anzi raccomanda ad «osservare e a insegnare anche i minimi precetti», ma «dà compimento» (Mt 5,17-19). Gesù compie la Legge in quanto è Divino Legislatore: «nato sotto la legge» (Gal 4,4), si fa «maledizione della legge» (Gal 3,3), con la sua morte interviene «per la redenzione delle colpe commesse nella prima alleanza» (Ebr 9,15). Gesù ne è anche l’interprete: pedagogico e definitivo; insegnava «come uno che ha autorità» (Mc 7,7.29). per questo si scontra con altri interpreti, ipocriti e manipolanti la legge, soprattutto sull’interpretazione del tempo (sabato), sull’uso dei beni e sul servizio del prossimo. Il Tempio Gesù ha attestato il più profondo rispetto per il Tempio di Gerusalemme – luogo privilegiato dell’incontro con Dio –. Lo ritiene «dimora del Padre e casa di preghiera» (Mt 21,13). Identifica se stesso con il tempio: presenza definitiva e permanente di Dio (Gv 2,21; Mt 12,6). Rivela così come profezie, tradizioni e culto in Israele hanno il loro compimento: «E’ giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adoreranno il Padre» (Gv 4,21).

La fede di Israele Anche per la fede non c’è cambiamento, ma identificazione e compimento (pienezza). Gesù identifica l’atteggiamento unico di Dio con il proprio comportamento misericordioso verso i peccatori. Mangia con loro e dichiara: «Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Lc 5,32). Solo Dio può perdonare (rimettere) i peccati e Gesù lo fa (Gv 5,18; 10,33). Gesù chiede anche alle autorità religiose di Gerusalemme di credere a lui, proprio per le opere del Padre che operava (Gv 10,36-38). Comprendiamo da un lato il «tragico disprezzo del Sinedrio» e contemporaneamente la necessità di passare «attraverso una misteriosa morte a se stessi per una rinascita – dall’alto –» (cfr. Gv 6,43). Eventi storici, continuamente rinnovati (CCC. I sez. 2. c. 2 art. 4, § 2 II nn. 599-611) Coscientizzazione Prima ancora di rinarrarci, con il linguaggio dei Vangeli, i singoli momenti della «storia della passione di Gesù», poniamoci di nuovo questi interrogativi: che valore hanno? Sono una bella testimonianza d’amore altruista del passato? Sono definitivamente legati a una vicenda personale (di Gesù) ormai conclusa, lontana, archiviata? Sono soltanto un buon esempio, con notevole valore pedagogico, che ci insegna come sono le costanti della storia e quale esito può essere imparato e attuato? Disegno di Dio (il Padre) Non è stato solo l’agire omicida, crudele, ubriacato di volontà di potere e di sterminio, di persone contemporanee di Gesù; e tanto meno, solo opera di convergenza responsabile delle malvagità della umanità di tutti i tempi (i peccati di ognuno e di tutti); ma è prima di tutto disegno di Dio; sono Sua opera; il Suo mistero (nell’accezione interpretata più volte). È evento che Dio ha voluto, previsto, lasciato attuare dai responsabili di turno e di ogni tempo. È stato profeticamente annunziato (Antico Testamento) ed è stato confessato per fede (Paolo) «trasmetto ciò che ho ricevuto. Cristo morì per il nostro peccato secondo le Scritture» (1 Cor 15,3). Gesù offre se stesso Ci sono tre fuochi interagenti da tenere presenti: il Padre (con il Figlio e lo Spirito), Gesù uomo e Signore, noi in una condizione umana, creaturale, peccatrice. Gesù è colui che soffre e muore: versa il suo sangue, è trattato da peccato (2 Cor 5,15), ma per noi. Assume «la nostra separazione da Dio» vivendo l’incredibile solidarietà salvatrice nei nostri riguardi. In forma lapidaria con Paolo possiamo proclamare: «riconciliati con Lui per mezzo della morte del Figlio suo» (Rm 5,10). OFFRIRE il proprio soffrire per amore da parte di Gesù è l’unico sacrificio vero ed efficace, capace di aprire a ogni uomo e a ogni donna il rapporto vivo con Dio (cioè il rapporto di salvezza) e dare senso a ogni tipo di esistenza umana, in qualsiasi età, condizioni, limiti, si trovi. L’Eucaristia L’ultima cena di Gesù (e prima Messa o Eucaristia) è contemporaneamente memoriale della Pasqua ebraica, della Pasqua cristiana e cioè della totale esistenza di Gesù, in modo particolare anticipa e poi rinnova per sempre la passione, morte e risurrezione di Gesù. Ci è data così una risposta agli interrogativi iniziali. L’evento di Pasqua di Gesù (passione, morte, risurrezione) è atto libero ed è offerta d’amore di Gesù al Padre per tutti noi: «Accogliendo nel suo cuore umano l’amore del Padre agli uomini “li amò sino alla fine” (Gv 13,1)». Nell’Eucaristia pertanto perpetua questo gesto-intenzione, rendendolo perennemente: nuova e definitiva alleanza. Il Signore si dona ed è con noi, per sempre, e per tutti e per ognuno. Arrestato, processato, torturato, ucciso, sepolto (CCC. I sez. 2. art. 4 § 2; nn. 595-596, 399-612-617; § 3 nn. 624-630)

Un biblista protestante (M. Kähler) ha interpretato i quattro Vangeli come «lunga introduzione alla storia della passione di Gesù». Letterariamente già il penultimo capitolo dei Vangeli è storicamente il più antico; ed è anche narrato, con sfumature proprie per ogni evangelista, in modo pedissequo, da tutti e quattro. Agonia e arresto Con l’arresto inizia la storia della passione. In certo vero senso ha la sua conclusione un “processo” avviatosi fin dall’incarnazione di Gesù: «Venne tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1, 11). Farisei, scribi, sommi sacerdoti orientano a conclusione quelle forme di conflitto e di controversie che hanno coinvolto e “messo alle corde” Gesù. Nel Vangelo di Giovanni, gli avversari di Gesù sono abitualmente chiamati «giudei». Premessa all’arresto è l’agonia nel Getsemani. L’evento ha il suo senso teologico e fattuale nella obbedienza del volere umano di Gesù alla volontà del Padre (che è il Suo – di Gesù – volere divino), facendo di Sé offerta del suo soffrire e morire innocente, per la nostra «salvezza». È richiamato con due accezioni convergenti il «calice»: dell’Eucarestia e quello battesimale di immersione nella sofferenza «provvidente». Processo giudaico e romano Rileggiamo anche solo come espressione sintetica e altamente teologica il testo di Atti (4, 27-29): «Davvero in questa città Erode e Ponzio Pilato, con le nazioni e i popoli d’Israele, si sono alleati contro il tuo santo servo Gesù, che tu hai consacrato, per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano deciso che avvenisse. E ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola». Vilipendi e morte in croce Il soffrire e il morire di Gesù sono stati, da più prospettive, insegnati e interpretati dai Vangeli e dalla Sacra Scrittura. Innanzitutto Gesù ha amato i suoi «fino alla fine (compimento-pienezza)» (Gv 13, 1). Paolo interpreta la morte di Gesù, riconoscendo la reale condizione “di morte” di tutti noi. Gesù è salvatore, giacché ha portato noi dalla condizione di distanza-separazione da Dio, alla condizione di comunione-salvezza. «L’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti» (2 Cor 5, 11). È unico, infinito, sacrificio (il soffrire e morire di Gesù), quale dono di Sé, dono della vita, offerta del proprio soffrire e morire per amore. Il Concilio ci insegna: «Ma poiché nella Sua Persona divina incarnata “si è unito in certo modo ad ogni uomo”, egli offre a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce al mistero pasquale» (GS 22, 2.5), così chiama (tutti noi nella nostra vita storica piena di limiti e sofferenze) a prendere la croce e a seguirlo, «poiché patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le sue orme » (cfr. 1Pt 2, 21). Sepolto La storia della passione di Gesù è la successione dei «misteri» di Gesù che ci aiutano nei nostri limiti e impotenze (l’arresto), nella nostra continua esperienza di conflitti e di essere avversati (i processi), in ogni tipo di sofferenza fisica e morale (flagellazione - incoronazione di spine), nel nostro morire, a volte anche in modo drammatico (crocifissione e morte). L’essere sepolto è l’ulteriore «mistero»; quello ricordato e rinnovato il sabato santo (il silenzio, una quiete piena di ricordi e orientante alla attesa). È l’attuazione del testo profetico che ci dona la parola di Gesù: «Se il chicco di grano caduto per terra non muore, rimane solo, se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24). Il Vivente, il Risorto (CCC. II sez. 2 art. 5 § 2; 1-2 nn. 631-640) Discese agli inferi Questa espressione «inferi, shéol in ebraico, ade nella lingua greca» ci orienta a comprendere e a vivere l’annuncio di questo atto di fede «Credo che Gesù discese agli inferi» in due direzioni. Innanzitutto Gesù, sepolto, ha dimorato nel soggiorno dei morti, privati della visione di Dio, cioè “è disceso nelle profondità della morte” attuando il dato biblico «la Buona Novella è stata annunciata anche ai morti…» (1 Pt 4,6).

In secondo luogo Gesù è stato tra i morti come Salvatore («Autore della vita» At 3,15) ha ridotto «all’impotenza mediante la morte, colui che della morte ha il potere cioè il diavolo», liberando «così tutti quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2, 14-15). È risorto È la verità culminante, centrale, fondamentale, della nostra fede in Gesù, Cristo, Salvatore, vero uomo è vero Dio. Tutto il Nuovo Testamento lo attesta e lo proclama. «E noi vi annunciamo che la promessa fatta ai padri si è realizzata, perché Dio l’ha compiuta per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel Salmo secondo: Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato» (At 13,32-33). «E il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi» (Ap 1,18). «Perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra» (Fil 2,10). Evento storico Certamente dobbiamo accogliere con gioia e piena tranquillità l’affermazione del Catechismo: «La Risurrezione è un avvenimento reale che ha avuto manifestazioni storicamente constatate, come attesta il Nuovo Testamento». Aggiungiamo però subito che è mistero, cioè, come abbiamo più volte spiegato il termine mistero, è unicamente opera di Dio, quindi se è storico non è riducibile alla storia. Teniamo presente che già Paolo nel 56 d.C. scriveva ai cristiani di Corinto: «A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto» (1Cor 15,3-8). Il sepolcro vuoto Il fatto che le donne e poi gli apostoli abbiano constatato che inspiegabilmente il sepolcro fosse vuoto, non può essere presentato come prova storica, ma è una condizione, e quindi un segnale essenziale che ha interpellato i testimoni diretti e ha posto l’interrogativo a cui il dono della fede e le «apparizioni del Risorto» hanno dato una risposta con l’esperienza della Presenza di Gesù il Vivente. Avvio di interpretazione È opportuno precisare.. Gesù è vivo in modo straordinario, ma non come Lazzaro (Gv 11), come la figlia di Giairo (Mc 5), come il figlio della vedova di Naim (Lc 7) ritornati in vita per poi morire successivamente. I due verbi che attestano la novità di Gesù, vivente in pienezza e per sempre, sono: il termine ègheiro (aoristo passivo: «fu svegliato», «è risorto» dai morti) e anístemi (“essere, stare in piedi”; è ritto; quindi, vive). Accogliamo la proposta del Catechismo e facciamoci gioiosi ascoltatori e discepoli per apprendere il «senso e la portata salvifica della Risurrezione». Senso e portata salvifica della Risurrezione (CCC. I sez. 2. art. 5 § 30 nn. 64195-658) Le apparizioni del Risorto Ci sono attestate le prime esperienze del «vedere», dell’«incontrare», del «riconoscere», del risuonare di «gioia» nel rapporto vero, sensoriale, coinvolgente, con Gesù Vivo da parte delle donne, degli apostoli, di molti altri testimoni (come ci ha annunciato Paolo 1Cor 15 e l’ultimo capitolo di tutti e quattro i vangeli). Ma un evento totalmente simile, esperienziale, coinvolgente la totalità del nostro esserci, avendo ascoltato l’annuncio di Gesù Risorto, accade a ogni persona che crede. La Fede che ci è donata (il Dono che Dio in Gesù fa di sé) attraverso la Parola, il Sacramento, l’atto (gesto) d’Amore, ci pone in rapporto vitale, rigenerante, con Gesù, il Vivente, il Risorto. Evento e qualità Come «apparizioni del Risorto», veri incontri che instaurano il rapporto “nuovo”; per sempre, sono ricordati dal Catechismo:

l’incontro di Maria di Magdala (Mt 28,1-10; Gv 20,1-18) e tutte le donne al sepolcro (Mc 16,1; Lc 24,1); poi Pietro (Lc 24,34; cfr. 22,31-32) e tutti gli apostoli (Lc 24,9-10; Gv 20,19-26; Mt 28,11-18); Paolo per primo scrive di più di cinquecento persone (1Cor 15,4-8). È importante e opportuno richiamare come si vive questo incontro rigenerante e “nuovo”. -È rapporto diretto, con contatto fisico e condivisione di pasti. -Suscita «gioia», «ardore del cuore», che vince «incredulità e durezza di cuore» (Mc 16,14), abilita a «riconoscerlo»: i due discepoli di Emmaus (Lc 24,13-31); Maria di Magdala (Gv 20,11-17). -I primi testimoni «constatavano che il corpo risuscitato con il quale si presenta è il medesimo che è stato martoriato e crocifisso; porta ancora i segni della passione». -Gesù risorto si presenta dove e come vuole, non legato allo spazio e al tempo; pienamente libero e “glorioso” (condizione divina), suscitatore di fede (crea, in chi si rende disponibile, il “nuovo” e perenne rapporto vitale con Lui). Senso salvifico Non si constata semplicemente; non lo si conosce solo storicamente per fondata documentazione. Si crede in Gesù Risorto, si crede alla Risurrezione di Gesù: questo è l’intervento trascendente di Dio; è potenza di Dio; è opera di Spirito Santo. Gesù risorto è la prova divina della Presenza divina nella storia umana; è la conferma di tutto ciò che Gesù ha fatto e insegnato. Gesù Risorto è Vita per ciascuno di noi: per il nostro cammino storico è fonte del nostro essere “figli di Dio”in Lui Figlio (Rm 8,9); come compimento di tutte le Parole-promesse della Scrittura è «principio e sorgente della nostra risurrezione futura» (1Cor 15,20-22). Due Parole di Dio sono per noi orientative e forti «Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per Colui che è morto e risorto per loro» (2Cor 5,15). «Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime» (1Pt 1,6-9). «Il terzo giorno risuscitò da morte, salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre Onnipotente» (CCC I sez. 2. art. 6 nn. 659-667) Siamo quasi alla conclusione del nostro riflettere sulla nostra «fede» in Gesù. Ricordiamo che Fede è dono e risposta; grazie ad essa, tutto il nostro esistere è illuminato, orientato, impegnato, gioioso. Se lo vogliamo. Prendiamo in considerazione attentamente la testimonianza del “Vangelo” e del Nuovo Testamento. Dalla morte alla vita Dopo la morte e sepoltura, Gesù «è risorto»; vive in una pienezza di vita, perenne e definitiva con noi e per noi. «Durante i quaranta giorni nei quali mangia e beve familiarmente con i suoi discepoli e li istruisce sul Regno (Lc 24,31; Gv 19,26; At 10,41), la sua gloria resta ancora velata sotto i tratti di una umanità ordinaria». È significativo distinguere tra il manifestarsi di Gesù risorto e confessare la fede in Gesù «esaltato alla destra del Padre», che pure resta per sempre con noi «tra noi». L’ascensione segue il passaggio dalla gloria di Cristo risorto alla gloria di Cristo esaltato: avvenimento ad un tempo storico e trascendente. Possiamo coglierlo nelle parole di Gesù a Maria di Magdala: «Non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai fratelli e dì loro: io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv 20,17). L’ascensione Gesù ha annunziato profeticamente l’evento: «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me». L’elevarsi, cambiare luogo-condizione-vita, è frutto dell’attrazione (fede-dono) di Gesù elevato sulla croce; ma annunzia e significa l’elevazione dell’Ascensione, grazie alla quale Gesù è contemporaneamente

-«alla destra del Padre» (uguale come Dio al Padre nella divinità, onnipotenza, amore; come avveniva nella storia di Israele per il figlio del re intronizzato accanto al re padre), -«resta per sempre con noi», «vivo per intercedere a favore di quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio» (Eb 9, 11). Solo Gesù, vero uomo e vero Dio, incarnandosi e poi ascendendo «al cielo» (al Padre) poteva aprirci la strada e l’accesso al Padre «per darci la serena fiducia che dove è Lui, Capo e Primogenito, siamo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria» (Messale romano, prefazio dell’Ascensione I). Segni, simboli e condivisione salvifica Il cielo ove Gesù «siede alla destra di Dio» e la nube segno della presenza e velamento di Dio (v. Esodo: AT) sono i simboli dell’«entrata irreversibile dell’umanità di Gesù nella gloria divina». Così scrive san Giovanni Damasceno (De fide ortodoxa 4,2,2,: PG 94, 1104 D): «Per destra del Padre intendiamo la gloria e l’onore della divinità, ove colui che esisteva come Figlio di Dio prima di tutti i secoli come Dio e consustanziale al Padre, si è assiso corporalmente dopo che si è incarnato e la sua carne è stata glorificata». Concludiamo con l’espressione citata di Gv 3, 13: «Nessuno è mai salito al cielo fuorché il figlio dell’uomo che è disceso dal cielo». È l’insegnamento finale di Mt 28,20: «Io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo». «Verrà a giudicare i vivi e i morti» (CCC I sez. art. 7 nn. 668-682) Facciamoci ancora una volta discepoli dell’insegnamento del Concilio Vaticano II: «Già dunque è arrivata a noi l’ultima fase dei tempi e la rinnovazione del mondo è stata irrevocabilmente fissata e in un certo modo è realmente anticipata in questo mondo, difatti la Chiesa è adornata di una santità vera, anche se imperfetta» (Lumen Gentium 3,5). La presenza di Gesù Gesù, Signore e Cristo, nella sua umanità, partecipa pienamente alla potenza e autorità di Dio. È Signore dell’intero cosmo e della storia; cioè in Lui storia e creazione hanno il loro compimento, «ricapitolazione» (Ef 1, 10). Con l’ascensione al “cielo”, rivelandosi Signore con il Padre e con lo Spirito e al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e «dominazione» (Ef 4, 10), permane sulla terra nella sua Chiesa, suo Corpo di cui è il Capo (Ef 1, 22). L’azione “redentrice” di Gesù è per opera dello Spirito Santo continuamente esercitata, per questo la Chiesa è germe e inizio del “Regno”. La “buona” attesa Il tempo presente, in cui tutte le generazioni susseguendosi vivono, è tempo dello Spirito, segnato dall’espletamento della missione e testimonianza di ciascuno di noi, anche nella prova e perfino tra le malvagità (1Cor 7, 26; 1Pt 4, 17). I credenti devono esprimersi in crescendo nella fede che spera e che ama, soprattutto nella preghiera che si attua sempre, non solo nell’Eucaristia, ma anche nella “carità” come rinnovamento della Pasqua; in una buona attesa, affrettando il ritorno di Gesù Cristo, nel quale «tutto sarà sottomesso a Lui» (1Cor 15, 28). Il tempo presente è tempo di attesa e di vigilanza (Mt 25, 1-13). Gesù, giudice Certamente tutta la storia, non escluso anzi, compreso il tempo del ritorno finale di Gesù, è segnato da prove e da persecuzioni. Ma, poniamo bene attenzione: -Gesù che non è vissuto né per giudicare, né per condannare, non per promuovere il Regno con un trionfo della Chiesa, ma con la vittoria di Dio sul male. -Potremo arrivare alla “piena maturità di Cristo” (Ef 4, 13) e «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15, 22). -Se da un lato «conoscere i tempi e i momenti» sono riservati al Padre (At 1, 7) dall’altro la venuta finale di Gesù può compiersi in qualsiasi momento (1Ts 5, 2). -È nel divenire e soggiacere all’anticristo (cioè chiunque glorifica se stesso al posto di Dio) e nel rifiutare il Dono (la Grazia) del Signore che ognuno si giudica da sé e si condanna con le sue scelte, le sue opere. Lasciamoci aiutare e trasformare dallo Spirito e non rifiutiamo l’Amore che è sempre misericordia.

Credo nello Spirito Santo (CCC I parte I sez. II cap. 3 nn. 683-686) Con questa espressione del nostro “credere” avviamo di fatto il nuovo anno pastorale che nella lettera pastorale «Nelle fragilità e nella debolezza, la fede che spera e che ama» ho voluto fosse dedicato come reale impegno al coraggio della speranza. L’azione dello Spirito Due citazioni bibliche aiutano a riconoscere quale è la potente azione dello Spirito Santo. «Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: “Gesù è anàtema!”; e nessuno può dire: “Gesù è Signore!”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1Cor 12,3). «E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”» (Gal 4,6). Per essere attratti e venire in rapporto vivo con Gesù bisogna avere l’azione, il dono, la spinta dello Spirito. Così pure per riconoscere la nostra condizione di figli e pregare Dio come Padre, attraverso il Battesimo, dobbiamo ricevere la “comunicazione intima e personale” dello Spirito Santo. Ridiciamolo con lo speciale linguaggio e l’insegnamento di S. Ireneo di Lione (Demonstratio apostolica 7): «…senza lo Spirito non è possibile vedere il Figlio di Dio, e, senza il Figlio nessuno può avvicinarsi al Padre, perché la conoscenza del Padre è il Figlio e la conoscenza del Figlio di Dio avviene per mezzo dello Spirito Santo». Suscitatore della fede È significativo che conosciamo il «volto di Dio» attraverso Gesù, il Figlio, giacché in Giovanni (14, 8) Gesù ci insegna, interloquendo con l’apostolo Filippo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre». Mentre dello Spirito Santo si parla di Dio che «non ha volto». Ma di Lui (CCC 684) ci è insegnato: lo Spirito Santo con la sua grazia è il primo nel destare la nostra fede e nel suscitare la vita nuova che consiste nel conoscere il Padre e colui che ha mandato Gesù Cristo (Gv 17,3). Professiamo lo Spirito Santo Dio Due espressioni del credere nello Spirito Santo dobbiamo particolarmente sottolineare. La prima. Credere nello Spirito significa professare che lo Spirito Santo è una delle persone della Santa Trinità «con il Padre e il Figlio adorato e glorificato» (Simbolo di Nicea-Costantinopoli). La seconda. C’è un divino disegno che si attua in Gesù Cristo «primogenito di ogni creatura… dei risorti dai morti» (cfr. Col 1) con l’ «effusione dello Spirito Santo» (cfr. Rm 5,5). (CCC parte I sez. II cap. 3 nn. 689-701) Scrivere di e su Dio, Spirito Santo, è come parlare di ciascuno di noi e del contesto vitale in cui viviamo. Lo Spirito Santo è Presenza di Dio in noi, nei rapporti che viviamo d’amore o di grave disagio; è Dio più intimo a noi di noi stessi. È Dio prossimo. È vivificante il nostro vivere. Gesù stesso ce lo rivela e ce lo rammenta attraverso tutti gli scritti biblici apostolici. Spirito e unzione Richiamiamo che «Cristo» dal greco, in italiano significa «unto»; così pure «messia» dall’ebraico ha lo stesso significato di «unto». Il che rende chiaro il rapporto tra Gesù, vero uomo, immagine per eccellenza visibile di Dio (Gv 14, 9), e lo Spirito Santo Unzione. Dall’incarnazione fino alla risurrezione con l’invio dello Spirito Santo, ciò che è operato in Gesù uomo è azione di Spirito Santo. Missione poi dello Spirito Santo, nei nostri riguardi, è unirci a Gesù, configurarci in Lui, farci vivere di Lui. Il nome e gli appellativi

Spirito in ebraico è detto «Ruah», in greco «Pneuma», e significa soffio vitale, aria, vento. Vocabolo che esprime l’azione potente, coinvolgente, promotrice dello Spirito, ma sempre rispettosa della nostra libertà e liberante la nostra stessa libertà. Santo, perché Dio, che adoriamo con il Padre e il Figlio, Gesù. Come appellativi che troviamo nella Sacra Scrittura, soprattutto nel Nuovo Testamento, citiamo il primo espresso come aggettivo «paraclito» cioè colui che è «chiamato (“calèo”) vicino (“parà”)», e anche «consolatore», «consigliere efficace». Poi aggiungiamo tutte le espressioni di relazione e appartenenza: «Spirito di verità», Spirito della promessa, Spirito di adozione, Spirito di Cristo, Spirito del Signore, Spirito di Dio, Spirito della Gloria. I simboli che richiamano la presenza dello Spirito L’acqua significa la nascita o la fecondità della Vita donata nello Spirito Santo (l’acqua battesimale). L’unzione è sinonimo dello Spirito. Ricordiamo che Gesù è l’Unto di Dio; e i cristiani sono «santi» nella loro unione all’umanità del Figlio di Dio (Crismazione - Cresima). Il fuoco simboleggia l’energia trasformante degli atti dello Spirito Santo (“Non spegnete lo Spirito” 1Ts 5, 19). La nube e la luce, simboli inseparabili, della presenza di Dio, già nell’Antico Testamento, oscura e luminosa ad un tempo: si sottrae allo sguardo e si rivela. Il sigillo simbolo che indica l’effetto indelebile dell’Unzione dello Spirito Santo. La mano: imponendo le mani viene donato lo Spirito Santo (gli apostoli o i loro ministri successori nelle “epiclesi” sacramentali). Il dito con cui Dio Spirito Santo scrive nei cuori; e con cui Gesù scaccia i demoni (Lc 11, 20) e il Padre opera sempre. La colomba (da Noè dopo il diluvio al Battesimo di Gesù) diviene il segno tradizionale dello Spirito Santo nell’iconografia cristiana. (CCC parte I sez. II cap. 3 nn. 702-716) Da un preciso punto di vista e prospettiva possiamo riconoscere, fare esperienza, dare buona testimonianza della presenza e azione dello Spirito Santo. Ripercorriamo e facciamoci discepoli della storia riletta «con lo sguardo e gli occhi di Dio»: la storia narrata dalla Bibbia, storia di salvezza, che fa vivere il passato come «tempo della promessa». Riscopriamo le “profezie”, il servizio dei “profeti” quale cammino e parola detta da Gesù e su Gesù, nello Spirito Santo. Nel tempo della Promessa 1. Le Sacre Scritture (Antico Testamento) sono opere di Spirito Santo. Da Lui «ispirate». 2. All’origine di tutto ciò che esiste (creazione) c’è egualmente l’azione della Parola e dello Spirito (il Soffio di vita). 3. Tutta la storia si snoda animata dalla Parola di Promessa: la persona umana anche nello scadimento resta sempre e comunque «immagine di Dio». E in Abramo, contro ogni speranza umana, è promessa e attua una discendenza; è promossa un’attesa fiduciosa; è nella fede data la benedizione a lui e in lui a tutti i popoli. 4. Con la successione delle persone dai Patriarchi a Giosuè, Mosè e i profeti, viene illuminato il senso di un cammino che fa udire la Parola (Verbo) di Dio, «adombrati» dallo Spirito. Specialmente nel “pedagogo” della Legge si riscontrano il desiderio e l’esigenza di un intervento più potente del peccato che possiamo fare: lo Spirito. I Salmi veicolano questo gemito e affidamento. 5. Le istituzioni dovrebbero essere l’espressione della Promessa e dell’Alleanza. Così poteva avvenire nella successione dei re, con la monarchia. L’esilio attesta l’infedeltà del popolo: di fronte al reiterato peccato, si profila sempre più chiaramente l’esigenza di senso di fronte al soffrire; la grandezza dei «poveri in spirito»; l’urgenza della presenza di Chi con il suo soffrire può dare salvezza, per opera dello Spirito. L’oscura e potente azione storica dello Spirito 6. C’è un agire permanente, vero e nascosto dello Spirito. È Lui in azione attraverso le profezie del Messia, dell’Emmanuele, del Servo innocente sofferente glorificato, nella promessa del «cuore nuovo», degli “ultimi

tempi” che diverranno «pienezza del tempo», dei veri privilegiati quali gli umili - miti in attesa buona, fiduciosi nel disegno di Dio. Il cuore di costoro, illuminato e purificato dallo Spirito, attesta il cammino, la preparazione efficace della «cosa nuova», del nuovo popolo «ben disposto», della Presenza di Chi «promulga l’anno di misericordia del Signore» e l’abitare di Dio con gli uomini nella pace. Giovanni, figura della pienezza del tempo (CCC parte I sez. II cap. 3 nn. 717-720) Disegno divino e missione In Giovanni il Battista si compie e riapre la storia dei veri capolavori dello Spirito Santo. È l’uomo credente che ci è annunziato in ogni nuovo anno liturgico-cristiano (nell’Avvento). In Giovanni si attua e giunge a compimento il piano-progetto di Dio. È figura da ammirare, in cui riconoscere le costanti e le meraviglie che il Buon Dio opera in ogni sua creatura. - «Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni» (Gv 1,11). Questa sua missione (“mandato”) inizia dal suo concepimento: - «pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre» (Lc 1, 15.41). Con Giovanni, lo Spirito Santo porta a compimento una singolare preparazione: - «preparare al Signore un popolo ben disposto». Giovanni, più che un profeta Da un lato in Giovanni si chiude il dono dato ai profeti dell’Antico Testamento a partire da Elia (sec. 8° a. C.). Come è scritto nel «Benedictus»: lo Spirito cessa di «parlare per mezzo dei profeti» (cfr. Mt 11, 13-14). Dall’altra con Giovanni lo Spirito propone ben più di un profeta. Giovanni è per eccellenza testimone credente: «Viene come testimone per rendere testimonianza alla luce» (Gv 5, 33; 15, 26). È la voce, grazie alla quale è donata, a tutta l’umanità, in modo permanente e definitivo la Parola:�annunzia la consolazione; e diviene voce del Consolatore (cfr. 1Pt, 1-10.12). Lo Spirito santo compie tutto quanto è stato annunziato dai profeti e che gli angeli stessi desiderano vedere. «L’uomo nel quale vedere scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questo è il Figlio di Dio… Ecco l’agnello di Dio» (Gv 1, 33-36). Precursore e prefiguratore Giovanni solo, proprio lui, è «quell’Elia che deve venire» (Mt 7, 10-13). Giovanni è il precursore di Gesù. Lo Spirito lo fa «correre avanti» al Signore. Inoltre, per il ministero di Giovanni, lo Spirito attua una vera prefigurazione dell’uomo nuovo, ridonando in Cristo l’umana somiglianza con Dio. Per questo, il battesimo dato da Giovanni era per la conversione, quello dato da Gesù è per una nuova nascita (cfr. dialogo di Gesù con Nicodemo Gv 3). Maria, figura della pienezza del tempo (CCC parte I sez. II cap. 3 nn. 721-726) Senso alla storia Passato, presente e futuro in Maria, grazie alla relazione fondamentale che ella vive con Dio e per Dio, assume il suo senso pieno. È lo Spirito che prepara, attua, e continua a proporre, per sempre, Maria come suo capolavoro (la persona umana più significativa). È madre di Gesù, il Figlio di Dio. Quindi Dio è in una straordinaria, unica, comunione con lei. Il Padre trova in lei la “Dimora del Figlio” e attraverso di lei, nel Figlio, lo Spirito Santo è all’opera tra le persone (uomini) di tutti i tempi. In questo preciso senso, la storia, con Maria che concepisce e genera Gesù, ha la sua pienezza. Pienezza che si avvera, quando ogni persona umana vive il rapporto trasformante con Gesù «in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2, 9).

Identità di Maria Lo Spirito Santo, relazionandosi e coinvolgendo Maria, - attua il disegno di amore misericordioso del Padre; - rende «piena di Grazia» Maria, rendendola in modo unico, straordinario, materno, corporalmente “abitazione” del Figlio; - è ella stessa concepita senza peccato. Non ha, non può, non potrà avere alcun rapporto con qualunque evento o scelta che separa da Dio. Donna di Dio, di Comunione Già nella stessa vita storica, attua la comunione di Dio, con il suo Figlio, coi pastori, i magi, Simeone e Anna, gli sposi di Cana, i discepoli. Poi, con Gesù Risorto, insieme ai Dodici e ai parenti, discepoli, Maria costituisce e rivela la Chiesa di tutti i tempi: con lei «assidui e concordi nella preghiera», Maria è il segno vivo efficace di ogni Pentecoste. Gesù attua la sua missione, con lo Spirito Santo (CCC parte I sez. II cap. 3 nn. 727-730) È importante e significativo il dire e il credere che Gesù, il Figlio, Dio con il Padre e lo Spirito Santo, è naturalmente concepito, nasce e opera nella storia, fino alla sua morte e poi risurrezione, come vero uomo, solo e sempre per opera dello Spirito Santo. Storia di Gesù Possiamo soprattutto tenere presenti due linee teologiche: prima di tutto l’insegnamento dell’evangelista Luca e poi l’insegnamento dell’evangelista Giovanni. Luca coglie l’azione dello Spirito lungo tutta la vita personale storica di Gesù. Nell’annuncio a Maria il concepimento è per opera dello Spirito Santo (Lc 1, 35). Il ministero di Gesù, nella presentazione solenne e programmatica, attesta che «lo Spirito del Signore è sopra» di Lui (Lc 4, 18 ss). Lo Spirito lo conduce nel deserto (Lc 4, 11) e poi «con la potenza dello Spirito» (Lc 4, 14) vi è la sua missione in Galilea. Prima della beatitudine dei discepoli Gesù «esultò di gioia nello Spirito Santo» (Lc 10, 21). Il Padre promette lo Spirito per tutti coloro che dovranno dare testimonianza degli eventi pasquali (Lc 24, 49). Annuncio e promessa dello Spirito Santo Nel Vangelo di Giovanni, tutta l’azione di Gesù prepara al dono dello Spirito partecipato proprio da parte di Gesù glorificato; e la promessa dello Spirito è enunciata ripetutamente da parte di Gesù, alla vigilia della sua passione. Così: nel dialogo di Gesù con Nicodemo (Gv 3, 5-8); egualmente con la Samaritana (Gv 4, 10.14.23-26); nell’insegnamento alla folla sulla «sua vita come cibo per la vita del mondo» (Gv 6, 27.51.62-63); nella partecipazione alla festa delle Capanne (Gv 7, 37-39). Poi nell’ ”ora” della glorificazione, Gesù nei “discorsi d’addio”, per ben cinque volte, esprime il suo solenne insegnamento, promettendo lo Spirito che insegnerà e ricorderà tutto quanto Gesù ha detto e fatto: Gv 14, 16-17.26; 15,26; 16,7-15; 17,26. Il compimento Con la morte e risurrezione, Gesù rivela e dona in pienezza lo Spirito Santo ed è attuata come compimento la promessa fatta ai padri. Con la sua morte vince la morte: Gesù consegna il suo Spirito al Padre (Lc 23, 45; Gv 19, 30). Risorto infine, rendendosi presente ai suoi, dona subito lo Spirito Santo «alitando» sui discepoli (Gv 20, 22). Conclusivamente con il CCC possiamo affermare: ora la missione di Cristo e dello Spirito diviene la missione della Chiesa: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20, 21)

Nella storia concreta, «ultimi tempi» (CCC parte I sez. II cap. 3 art. 8 nn. 731-732) Ringraziamo il Signore che ci aiuta a concludere l’anno della Fede, confessando l’unico Dio, Trinità Santa: riconoscendo meglio il dono e “mistero” della singola Persona e la meraviglia della possibilità della relazione vitale nella unicità d’Amore. Evento del passato Pentecoste è festa ed evento del passato. In greco “pentecoste” significa “cinquantesimo” giorno, che si compie al termine delle sette settimane. Nel Nuovo Testamento sette settimane pasquali dopo l’evento della risurrezione di Gesù. Nell’Antico Testamento (nell’antico Israele) chiamata «festa delle settimane» o «festa del pellegrinaggio», giacché gli israeliti ritornavano al tempio, dopo 7x7 giorni dopo la Pasqua, per offrire le primizie come ringraziamento dopo il raccolto. L’evento cristiano è il riconoscimento della esperienza, venuta (discesa) dello Spirito Santo che ci rende in novità di vita (rinascita, rigenerazione, figli, vita nuova) e ci costituisce come «noi»: credenti in “mirabile” cammino comune, compagnia, comunione (cfr. At 2,37-41). Evento permanente Già negli Atti degli Apostoli, per tre volte, è attestata la «discesa», la «effusione», la presenza-dono dello Spirito Santo. A cominciare dal racconto di Atti 2,1-12 dove gli effetti di questo divino dono sono: il parlare tutte le lingue e comunicare facendosi capire; il coraggio della testimonianza pubblica; l’esperienza della Presenza divina come luce, come fuoco che riscalda e cambia radicalmente. Altri due testi: sono l’effusione su tutta l’assemblea orante (Atti 4,31) e poi su tutta la famiglia pagana del centurione Cornelio (At 10,44-47). Da questi primi passi della Chiesa apostolica in poi, ogni giorno, ogni domenica, ogni anno, la Pasqua di Gesù «si compie nell’effusione dello Spirito Santo, che è manifestato, donato, comunicato come Persona divina»: dalla pienezza di Gesù è «effuso a profusione lo Spirito». Siamo negli «ultimi tempi» Il buon Dio, l’unico Dio, è con il dono dello Spirito «pienamente rivelato» come Trinità santa. Rivelare è sinonimo di donarsi. Per questo credere in Gesù; credere in Dio, vuol dire vivere la comunione della Trinità santa. Tutto questo avviene «nell’umiltà della carne e nella fede». Lo Spirito Santo storicamente ci introduce nel tempo nuovo, negli «ultimi tempi», il tempo in cui il Regno è tra noi, è terminato «non compiuto»: il tempo della Chiesa. Dono di Dio è la Chiesa (CCC parte I sez. II cap. 3 art. 8 nn. 733-747) Amore, frutto dello Spirito Santo Ripartiamo da Dio. «Dio è Amore» (1Gv 4, 8.16). «L’amore è riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato» (Rm 5, 5). Si rilevi in successione: l’Amore è il primo dono, quello che contiene tutti gli altri; la vita divina in noi (Rm 8, 23; 2Cor 1, 21; 1Gv 4, 11-12), «la vita stessa della Trinità Santa consiste nell’amare come egli ci ha amati»; la comunione dello Spirito Santo (2Cor 13, 13); infatti questo amore è il principio della vita nuova in Cristo, giacché abbiamo forza dallo Spirito Santo (At 1, 8); come figli di Dio, innestati nella vera vita, portiamo il frutto dello Spirito: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5, 22); effetto del dono dell’Amore è la remissione dei nostri peccati. Noi, «credenti», Chiesa È solo grazie all’azione e alla missione di Gesù e del Santo Spirito che noi, persone umane, con il “guazzabuglio” del nostro cuore, in tanta precarietà, povertà, divisione ci riconosciamo un “noi”: luogo dove Dio viene e abita. Si compie la Chiesa: Corpo di Cristo, Tempio dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è divina presenza reale, trasformante, vivificante. Proprio con Gesù e rispetto a Lui, lo Spirito Santo:

ci previene, ci prepara, ci manifesta il Signore, ci ricorda le Sue parole, rende il nostro tempo un rapporto con la presenza viva e operante (nell’Eucaristia, nella Parola). Noi, Chiesa di Gesù, abbiamo una missione che non si aggiunge e tanto meno si pone soltanto accanto, ma è sacramento (segno efficace) della missione di Gesù e del Santo Spirito. La nostra missione Così avviene concretamente per ciascuno di noi: nei singoli momenti della nostra vita, nei singoli gesti, in ogni rapporto interpersonale. Proprio coi singoli sacramenti di Gesù e nello straordinario rapporto della comunione dei Santi, Gesù opera in noi e con noi per mezzo dello Spirito Santo e nello Spirito ci abilita così ad essere con Lui offerta al Padre e a intercedere per il mondo intero.

Credo la Chiesa (CCC parte I sez. II cap. 3 art. 9 nn 748-750) Parliamo di “noi” Nel Catechismo, seguendo il Credo, si cambia particella: non più «in» o «nel»; ma semplicemente «la». Non è più proclamato il rapporto inter-personale con Dio, ma dobbiamo partire da quel «noi», «io», che riconosciamo fragile, debole, nel limite e in ogni forma di povertà, ma amato, sorretto, vivificato, in compagnia della Trinità: Padre, Figlio, Spirito. Gesù e la Chiesa Iniziamo la nostra riflessione e risonanza su «Credo la santa Chiesa cattolica». Riproponiamo le stesse parole con cui il Concilio Vaticano II inizia il suo autorevolissimo insegnamento con la «Costituzione dogmatica sulla Chiesa» Lumen gentium: la Chiesa non ha altra luce che quella di Cristo. «Cristo è la luce delle genti, e questo sacro Concilio adunato nello Spirito Santo, ardentemente desidera che la luce di Cristo, riflessa sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini, annunziando il Vangelo a ogni creatura» (LG 1). Lo Spirito Santo e la Chiesa La Chiesa è il luogo «dove fiorisce lo Spirito» (così citando i Padri si esprimeva il Catechismo Romano I, 10, 22 redatto dopo il Concilio di Trento). E collegando con l’articolo di fede – Credo nello Spirito – così insegnava: «In quello (articolo), infatti, lo Spirito Santo ci appare come la fonte totale di ogni santità; in questo, il Divino Spirito ci appare come la sorgente della santità della Chiesa» (ibid. I, 10, 1). Credere la Chiesa Ritorneremo puntualmente sulle qualità della Chiesa: «una», «santa», «cattolica». È subito importante ribadire che parlando di «noi», dopo aver confessato l’unico Dio, Signore (il Padre, il Figlio, lo Spirito) non ci esprimiamo più come chi ha la fede «nella Chiesa», ma crediamo la Chiesa: «per non confondere Dio e le sue opere e per attribuire chiaramente alla bontà di Dio tutti i doni che egli ha riversato nella sua Chiesa» (CCC n. 750 c).

(CCC parte I sez. II cap. 3 art. 9 nn 751-752) «Noi», Chiesa Parlando della Chiesa ci apriamo a voler riconoscere l’operato di Dio nella storia e tra (con) le persone umane. Se trattando della Chiesa vogliamo spostarci da Dio a noi, dobbiamo precisare che, il «noi» di chi è Chiesa di Gesù, è proprio questo concreto «noi» che deve il suo esserci come volontà e azione di Dio (Padre, Gesù il Figlio, lo Spirito). Riandiamo ai vocaboli - Chiesa deriva dal greco: «ek-klesia» (convocazione) giacché «ek-kalein» (verbo) significa proprio «chiamare fuori», «convocare». È l’assemblea del popolo di Dio. - Altro aggettivo significativo di «ekklesia» è «kyriaké». Da questo aggettivo derivano i vocaboli utilizzati nelle diverse lingue europee: in inglese «Church», in tedesco «Kirche»; significa: «Colei che appartiene al Signore». Continuità tra Antico e Nuovo Testamento Convocazione di fatto già nell’Antico Testamento si riconosce come assemblea del popolo di Dio, da Lui e davanti a Lui, riunita al Sinai per ricevere la legge e riconoscere che da Dio è costituito suo popolo santo. Nel Nuovo Testamento, con la presenza e la parola di Gesù: Chiesa è la prima comunità di coloro che credono in Gesù. Dio convoca questo Suo popolo da tutti i confini della Terra: e si riconosce erede dell’assemblea del Sinai. Analogia sul termine: Chiesa Chiesa è l’assemblea liturgica orante. Chiesa è la comunità locale con il suo vescovo. Chiesa è la comunità universale dei credenti. Si rilevi che i tre significati sono inseparabili e tali devono essere conosciuti e vissuti. Bisogna rendere ragione del perché si può credere in Dio, e contemporaneamente si deve credere la Chiesa. Non ha senso separare l’artefice dalla sua opera. Ma è opportuno capirla, accoglierla, viverci e saper aiutare tutti, collaborando. (CCC parte I sez. II cap. 3 art. 9 nn 753-757) Teniamo presente che il simbolo è il linguaggio dell’ineffabile (v. Chiesa mistero insondabile). Simbolo relazionale Il modo per interpretare l’esserci delle persone, come persone e non come cose o come intruppamento di animali, riguarda il come si pongono in rapporto ad altri. Per questo ha senso subito il parlare del «mistero insondabile» che è la Chiesa. Ridiciamolo: «mistero» è solo ciò che Dio fa e solo Lui può operare. Quindi l’essere Chiesa si qualifica simbolicamente subito in un triplice rapporto (ricca trama di rapporti): - con Dio, come «mistero» da Lui voluto e attuato; - come «Popolo di Dio», giacché non è rapporto soltanto cuore a cuore, a tu per tu, ma è un rapporto comunitario, di grande portata sociale; - con Gesù, il Cristo, quale capo del Popolo di Dio, che sostenta e vivifica il Corpo. Simboli familiari Tra i rapporti relazionali sono da privilegiare i rapporti familiari. Di qui una ricca simbologia con cui sovente è qualificata la Chiesa. Così «famiglia» di Dio, «madre nostra» (Gal 4, 26), «sposa» dell’Agnello (Ef 5, 25-26.29). Simboli agricoli A livello sempre di simboli e immagini, la Chiesa viene descritta da immagini della «vita pastorale o agricola».

Di qui il simbolo dell’«ovile» e della sua «porta». Il referente è sempre Gesù. È poi opportuno subito parlare dell’immagine del «gregge», delle «pecore», e conseguentemente dell’attività del «Buon pastore». Si noti che nel Nuovo Testamento si parla anche del Principe dei pastori (cfr. Gv 10,11; 1Pt 5,4). Sempre, in ambito agricolo, la Chiesa è simboleggiata dal «campo di Dio», dalla «vite e i tralci». Di qui, con espressioni allegoriche, si individuano il divino agricoltore, gli interventi controindicativi del nemico e dei cattivi vignaioli; l’azione di potatura e coltivazione da fare sui tralci. Simboli sponsali Come immagini e simboli riguardanti gli edifici, possiamo richiamare: «l’edificio di Dio», la «dimora» (di Dio, dello Spirito Santo), il «tempio». Se ne può precisare il fondamento: Cristo, gli apostoli. Si può poi aggiungere passando dalla fredda simbologia costruttoria, a evocazioni più vitali e quindi relazionali: pietre, sì, ma «pietre vive». Questo permette di cogliere che l’edificio è costituito da persone che possono e debbono instaurare dei rapporti con Dio e con gli altri. Ecco la portata e l’efficacia della «preghiera» espressa sia personalmente, sia comunitariamente. Infine anche la città storica di «Gerusalemme» può assurgere a simbolo della Chiesa, città di Dio, nuova e perenne Gerusalemme (anche celeste). Una realtà viva: nasce per amore; è coltivata - nutrita - educata, e cresce dando testimonianza di sé. Così e tanto più è la Chiesa (CCC parte I sez. II cap. 3 art. 9 nn 758-766) Origine C’è un disegno-progetto del Padre che ha voluto da sempre «elevare gli uomini alla partecipazione della sua vita divina» nel suo Figlio (n. 759). In altre parole: Dio ha creato il mondo in vista della comunione alla sua vita divina. Comunione che si attua mediante la «convocazione degli uomini in Cristo»: questa «convocazione» è la Chiesa (n. 760). Configurazione Pensata e voluta dalla SS. Trinità, il nostro unico Dio, la Chiesa si è progressivamente attuata nella storia. E quando diciamo storia, possiamo affermare che già nella «caduta degli angeli» e nel «peccato dell’uomo», abbiamo le promesse: la precarietà e la fragilità che da un lato sono proprie di ogni creatura, ma dall’altro per il buon Dio sono solo e sempre occasione per esprimere l’immensità del suo amore. Non sono impedimenti e tanto meno annullamento del suo originario e perenne disegno di salvezza. a. Preparazione Con tutte le «iniziali» forme di rifiuto e di scadimento possibili, da sempre, subito Dio vuole riunificare, sanare, riordinare tutto quanto le creature distruggono. In tutte le epoche e in tutti i popoli, si attua il Suo disegno: «Chi teme Dio e pratica la giustizia a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (At 10, 35). Una remota preparazione in modo, umile e vero, nascosto ed efficacissimo, inizia con Abramo; continua con l’elezione del popolo di Israele, segno e condizione per la riunione di tutte le nazioni; si esprime con il servizio di annuncio (buona notizia e accusa) dei profeti che profetizzano l’alleanza nuova e eterna. b. Attuazione E’ Gesù che attua (suo compito) nella pienezza dei tempi il piano di salvezza del Padre. La Chiesa è «il Regno di Cristo già presente nel mistero» (Lumen Gentium 3). La Chiesa, quale «Regno di Dio», si esprime come germe, seme, nelle parole, opere, presenza storica di Gesù. L’accogliere la parola, Gesù nel suo esserci e agire, costituisce la Chiesa: la famiglia di Gesù. Tutti, in mezzo a limiti e fragilità, facciamo esperienza viva, vera, di questa «nuova» famiglia che è Gesù, con tutti «coloro che ha così radunati attorno a sé» ed a loro «ha insegnato un modo nuovo di comportarsi, ma anche una preghiera loro propria» (cfr. Mt 5-6). Ha voluto, nella sua storia di missionario del Padre, donare delle persone di servizio e di riferimento: i Dodici, Pietro. Ma questo nascere della Chiesa, si rivela in pienezza (ha il suo compimento) nel dono totale che Gesù fa di sé: nell’Eucaristia e nella sua morte in croce. c. Simboli importanti. crescita

Avendo colto antecedentemente tanti simboli che non solo lumeggiano ma illustrano prospetticamente la Chiesa, vale la pena soffermarci su tre affermazioni che dal Concilio a sant’Ambrogio, attestano l’inizio e la crescita della Chiesa. «Sono simboleggiati dal sangue e dall’acqua che uscirono dal costato aperto di Gesù crocifisso» (LG 3). «Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa» (SC 5). Come Eva è stata formata dal costato di Adamo addormentato, così la Chiesa è nata dal cuore trafitto di Cristo morto sulla croce (v. sant’Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca, 2, 25-29). Compimento per opera dello Spirito Santo (CCC parte I sez. II cap. 3 art. 9 nn 767-769) Parlare della Chiesa implica prima di tutto accoglierla e riconoscerla come voluta da Gesù, per la volontà del Padre, che con il Figlio (Gesù) invia lo Spirito Santo, il quale «santifica continuamente la Chiesa» (LG 4). Dove storicamente c’è la Chiesa, è perché sono in azione salvatrice il Padre, Gesù il Figlio, lo Spirito Santo. Inizio La Chiesa ebbe (ed, in ogni nuova attuazione, ha) inizio «attraverso la predicazione, la diffusione del Vangelo» (AG 4). Si è quindi manifestata pubblicamente alla moltitudine con gli effetti della prima Pentecoste. E Pentecoste si rinnova ad ogni nuovo annunzio ed ascolto efficace del Vangelo. Per questo riparliamo dell’invio permanente dello Spirito santificatore. Missione La Chiesa è per sua natura missionaria: cioè inviata da Gesù a tutti i popoli, per farli discepoli (Mt 28,19-20). Ma proprio per attuare questa missione, «fornita dei doni del suo fondatore, osservando fedelmente i suoi precetti di carità, di umiltà, di abnegazione» (LG 5), lo Spirito Santo alla Chiesa «provvede i diversi doni gerarchici e carismatici, con i quali la dirige» (LG 4). «Missione [è] annunziare in tutte le genti il Regno di Cristo e di Dio, e di questo Regno [la Chiesa] costituisce il germe e l’inizio» (LG 5). Nella storia Prendiamo ben coscienza. L’oggi storico della Chiesa, il nostro modo di essere credenti nella storia, è «sentirsi in esilio, lontano dal Signore» (LG 6). «Con tutte le sue forze spera e brama di unirsi al suo Re nella gloria» (LG 5). Pertanto nella storia: «la Chiesa prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio» (LG 8). Non c’è alternativa. La vita vera storica attesta questa perenne altalena: prove ed esperienza salvatrice. Compimento Si dà una fine, come compimento. Il CCC rifacendosi all’insegnamento del Concilio Vaticano II ci insegna la strada e il quando ci sarà il compimento. Il compimento della Chiesa – e per suo mezzo del mondo – non avverrà se non attraverso molte prove «dal giusto Abele fino all’ultimo eletto» (LG 2). «La Chiesa... non avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo» (LG 48) al momento del ritorno glorioso di Cristo.

La Chiesa è sacramento e mistero (CCC parte I sez. II cap 3 art. 9 nn. 770-780) Terminologia Il vocabolo «sacramento» (dal latino) esprime l’aspetto visibile della realtà vera e nascosta della salvezza, denominata «misterion» (dal greco). Cristo è il mistero di salvezza Così si esprimeva sant’Agostino (Epistolae 187, 11,34. PL, 33,845). «Non vi è altro mistero di Dio se non in Cristo». Paolo, parlando dei cristiani di Colossi così proclama: «Cristo in voi, speranza della gloria». Riscriviamolo: mistero è solo ciò che può essere opera di Dio. Chiesa è «mistero» dell’unione delle persone con Dio La Lumen Gentium ci offre una splendida definizione della Chiesa (n. 8): «E’ realtà complessa umana e divina, visibile e invisibile…». E la Sacrosanctum Concilium (n. 2) precisa: «La Chiesa ha la caratteristica di essere allo stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e pellegrina…(verso) la città futura verso la quale siamo incamminati». Quindi è nella Chiesa che Cristo compie e rivela il proprio Mistero come il fine del disegno di Dio: «ricapitolare in Cristo tutte le cose» (Ef 1,10). Visibile e invisibile La Chiesa ha una prima dimensione che è quella «mariana». Maria precede tutti «sulla via verso la santità», quasi proponendo la Chiesa come «sposa senza macchia e ruga» (Ef 5,27). La seconda dimensione della Chiesa è quella «petrina». Pietro, i dodici, la «gerarchia» nel popolo di Dio. Ma l’aspetto invisibile, fondante la comunione degli uomini con Dio è l’azione permanente dello Spirito che opera la «carità-agape» che «non avrà mai fine». Ed è agape che crede e spera, espressa nella gioia, nella pace, nell’umiltà e nel discernimento (cfr. 1Cor 13; Gal 5,22). Sacramento e sacramenti L’opera salvifica della umanità santa e santificante di Gesù (Cristo e Signore) è il sacramento di salvezza che si manifesta e agisce nei sacramenti della Chiesa, chiamati nella Chiesa d’Oriente «i santi Misteri». Lo Spirito Santo diffonde la Grazia di Cristo attraverso proprio i sacramenti, segni e strumenti nella Chiesa. Così la Chiesa è analogamente chiamata «sacramento universale di salvezza» (LG 1) e attraverso di lei Gesù «svela e insieme realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo» (GS 45,1). Compimento per opera dello Spirito Santo (CCC parte I sez. II cap. 3 art. 9 nn 781-786) Profezia Dio ha da sempre voluto la salvezza di tutte le persone umane. Ma, altrettanto da sempre, ha voluto scegliere un popolo che fosse figura, preparazione, del Popolo di Dio tra tutti i popoli. Per questo popolo ha stretto un’alleanza fedele, nonostante infedeltà e peccati, per preparare in Cristo la nuova e perfetta alleanza. Pienezza Il Popolo di Dio della Alleanza nuova nel sangue di Gesù non appartiene a nessun preciso popolo (razza, cultura, tempo particolare); era non-popolo ora Dio l’ha acquistato come «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa» (1Pt 2,9). Si è membri di questo popolo per «nascita dall’alto», «dall’acqua e dallo Spirito» (Gv 3,3-5), grazie cioè alla fede in Gesù e al Battesimo. Ha per capo Gesù il Messia (l’Unto) la cui unzione – Spirito Santo – scorre dal capo al corpo (popolo messianico). Ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cui «cuore» abita lo Spirito Santo. Ha per legge: amare come Cristo ha amato (legge «nuova» dello Spirito Santo). Ha per missione l’essere per tutta l’umanità germe efficace di unità, di speranza, di salvezza («sale della terra, luce del mondo»).

Ha per fine il «Regno di Dio» iniziato dal buon Dio stesso, continuato nel dilatarlo grazie a ogni membro nei secoli, fino al compimento. Come Gesù: dimensione sacerdotale, profetica, regale Grazie a Gesù, con il dono della fede e del battesimo, ogni membro del Popolo di Dio è consacrato e diviene «dimora dello Spirito» ed esprime un «sacerdozio» santo. Questo Popolo ha una vera dimensione profetica, in quanto ha «il senso soprannaturale della fede»; ne approfondisce la comprensione ed è testimone di Cristo nel mondo. Infine come Gesù si è fatto servo, così questo Popolo di Dio ha una funzione regale. Per il cristiano «regnare» è «servire» Cristo, nei poveri e sofferenti. La Chiesa riconosce in essi la presenza del suo Fondatore «povero e sofferente»; la sua vocazione è dunque servire con Cristo. Corpo di Cristo (CCC parte I sez. II cap. 3 art. 9 nn 787-795) Legame unico: comunione All’inizio, Gesù ha voluto legare a Sé i suoi discepoli; li ha «associati alla sua vita». Richiamiamo due parole importanti di Gesù: «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4); «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6, 56). Nel tempo Gesù, dopo che non fu più visibile ai suoi discepoli, non li lasciò orfani ma li assicurò della sua presenza fino alla fine dei tempi (Mt 28, 20) e mandò loro lo Spirito Santo (At 2, 23). Il rapporto con Gesù fu crescente e ben più intenso. Corpo a corpo Il legame di Gesù con la Chiesa non è come chi si pone al centro e gli altri sono «attorno a Lui»; bensì la Chiesa è «unificata in Lui», nel suo corpo. Richiamiamo tre aspetti di questa unione “corporea”: tutte le membra unite tra loro; il capo del corpo è Cristo; Cristo ha come sposa la Chiesa. Diversità: nell’amore È straordinario quel che avviene e può essere constatato e testimoniato. Si diventa membra vive del Corpo di Cristo - rispondendo alla Parola di Dio, - la vita di Cristo li permea attraverso i sacramenti del Battesimo; dell’Eucaristia; - superando ogni diversità (razza, lingua, religione, sesso) che rimangono, ma vengono trafigurate grazie all’amore-carità (cfr. Gal 3, 27-28). Gesù: il Suo corpo Un evento iniziale, pienamente efficace. Tutto in Gesù parla di inizio e di primato. È il principio della creazione e della redenzione. Ha «il primato su tutte le cose» (Col 1, 18). È «il capo del Corpo, cioè della Chiesa» (ibid), per mezzo della quale estende il suo regno (servizio efficace) in tutto. Nella storia, siamo in particolare a Lui uniti nella sua Pasqua. Riproponiamoci il bell’insegnamento della Lumen Gentium (n. 7): «Per ciò siamo assunti ai misteri della sua vita… Come il corpo al Capo veniamo associati alle sue sofferenze e soffriamo con Lui per essere con lui glorificati». Cristo totale. È Lui che «provvede alla nostra crescita», grazie ai suoi doni e ai ministeri. Con tanti maestri (S. Agostino, S. Tommaso d’Aquino) dobbiamo rilevare: «Il nostro Redentore presentò se stesso come unica persona unita alla santa Chiesa, da lui assunta» (S. Gregorio Magno, Moralia in Job, PL 95, 5254). Relazione sponsale Ci facciamo infine discepoli di uno splendido insegnamento di Sant’Agostino che, cogliendo la distinzione di Cristo e Chiesa in una relazione sponsale, ripropone l’immagine utilizzata da Gesù di essere sposo (Mc 2,19) e dell’apostolo Paolo riguardo alla Chiesa (Cristo totale), di essere sposa (Ef 5,27).

«E Cristo stesso nel Vangelo (insegna): “Non sono più due, ma una sola carne” (Mt 19, 6). Difatti ben sapete, queste persone sono si due, ma diventano una sola nell’unione sponsale…[Cristo] dice di essere “sposo” in quanto capo, e “sposa” in quanto corpo» (Sant’Agostino, Ennaratio in Psalmos, 74,4). Tempio della Spirito Santo (CCC parte I sez. II cap. 3 art. 9 nn 797-810) Il «Dono di Dio» Lo Spirito Santo è per eccellenza «Dono di Dio», principio vitale nascosto dell’unità di tutte le membra del Corpo di Cristo, «il tempio del Dio vivente». Magistralmente così ci insegna Sant’Ireneo: «È alla Chiesa che è stato affidato il “Dono di Dio”… In essa è stata posta la comunione con Cristo, cioè lo Spirito Santo, caparra dell’incorruttibilità, confermazione della nostra fede, scala per ascendere a Dio… Infatti dove è la Chiesa, ivi è anche lo Spirito di Dio e dove è lo Spirito di Dio, ivi è la Chiesa e ogni grazia» (sant’Ireneo, Adversus haereses 3,24,1). Principio salvifico onnipotente Lo Spirito Santo è dunque il principio di ogni azione utile. Opera in molti modi edificando l’intero Corpo di Cristo nella Carità (Ef 4,16): - mediante la Parola (At 20,32), - mediante il Battesimo (1Cor 12,13), - mediante tutti i Sacramenti (LG 7), - mediante gli Apostoli (ibid), - mediante le virtù e le grazie (carismi) speciali (1Cor 13), utili al rinnovamento della Chiesa e suo sviluppo. Grazie umili e straordinarie Vale la pena ritornare in modo più particolareggiato sui «carismi», vere grazie dello Spirito Santo, per un verso umili e semplici, per altro verso straordinari. Ribadiamolo. I «carismi» sono ordinati all’edificazione della Chiesa, quindi all’utilità ecclesiale, al bene degli uomini, alle necessità del mondo. Il criterio di verifica che i carismi provengono veramente dallo Spirito Santo è il fatto che sempre, comunque e dovunque, sono esercitati secondo la carità. Conseguentemente possono e debbono essere riconosciuti come «una meravigliosa ricchezza di grazia»; come tali devono essere accolti con riconoscenza sia da chi li riceve e li esercita, sia da tutti i credenti (membri di Chiesa); operano di fatto «per la vitalità apostolica e per la santità di tutto il Corpo di Cristo». Discernimento dei “carismi” Riflettiamo ulteriormente. Sempre è da coniugare e promuovere il corretto rapporto tra dono, libertà, verità e gioia; anche e soprattutto per i carismi è necessario il discernimento. Nessun carisma è dispensato dal «riferirsi e sottomettersi ai pastori della Chiesa». Ricordiamo, come ci insegna il Concilio (Lumen Gentium 12) che ai pastori «spetta specialmente, non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono». Concludiamo con l’insegnamento paolino che risottolinea come tutti i carismi, nella loro diversità e complementarietà, cooperano all’«utilità comune» (1Cor 12,7).

Una, e sempre da unificare (CCC parte I sez II cap. 3 art 9 § 3 nn. 750 – 822) Quattro attributi Gesù riconosciuto Signore Dio e «capo» fondatore e costitutivo della comunità dei credenti, per opera del suo Santo Spirito, rende la Chiesa con quattro attributi: una, santa, cattolica, apostolica. Sono i tratti essenziali tra loro inseparabili e interagenti. «Questa è l’unica Chiesa di Cristo che nel Simbolo professiamo [appunto] una, santa, cattolica e apostolica» (LG 8). Una: per la sua origine L’unità della Chiesa è originata e fondata dall’unità di Dio; Dio Trinità: Padre, Figlio, Spirito. Il fondatore è Gesù, il Figlio; lo Spirito Santo è l’«anima» vivificante della Chiesa: opera in tutti i credenti e unisce radicalmente a Gesù. Proponiamo la bella espressione di San Clemente Alessandrino (Paedagogus 1, 6): «Che stupendo mistero! Vi è un solo Padre dell’universo, un solo logos dell’universo, e anche un solo Spirito Santo, ovunque identico; vi è anche una sola vergine divenuta madre, e io amo chiamarla Chiesa». Diversità: vincoli di unità Unità non è contrapposta a molteplicità e complessità. Ma la Chiesa esprime l’unità proprio riconoscendo la convergenza e la collaborazione credente di molti popoli, di tante culture, di diversi doni e di diverse condizioni di vita. Nella Chiesa «una» ci sono tante Chiese particolari (con la nostra diocesi di Mondovì) che vivono della sua lunga storia e di tradizioni particolari. Tanto più emerge nella varie Chiese cristiane con diverse espressioni liturgiche e giuridiche. Per esprimere l’unità dobbiamo riconoscere i «vincoli», i veri legami che uniscono e permettono a tutti i credenti, in ogni età, di camminare e crescere: al di sopra di tutto il vincolo dell’amore-carità (Col 3, 14); la professione dell’unica fede apostolica; la celebrazione dei sacramenti, come culto divino; la presenza della successione apostolica (attraverso il sacramento dell’Ordine) che favorisce e custodisce la fraternità; la costituzione organizzata che, in modo storicamente riconoscibile, sussiste nella Chiesa cattolica, la quale continua a partecipare i doni della Nuova Alleanza affidati al Collegio Apostolico con a capo Pietro. Lacerazioni dell’unità La Chiesa vive nella storia che attesta continui conati di divisione, di scelte autoreferenziali e contrastanti, di lacerazioni: da qui le eresie, gli scismi, le diverse confessioni di fede cristiana. E con radicalità di controversie, fino alle persecuzioni. Tutto questo è opera non solo di criticità motivata, ma dissensi e scissioni sono causati dai «peccati», sia all’interno della Chiesa stessa sia nelle mille forme di controversie e di attacchi esterni. Si rilevi, però, che anche nelle «comunità cristiane» storicamente sorte da scissioni della Chiesa cattolica dobbiamo riconoscere in loro le grandi ricchezze cristiane come la Parola di Dio scritta, la vita di fede che spera e che ama, i doni dello Spirito Santo. Queste Chiese e comunità ecclesiali sono risorsa e ci «spingono verso l’unità della Chiesa» (LG 8). Continuo cammino verso l’unità La Chiesa è una, e sempre da unificare. Gesù ha pagato perché siamo «nel Padre e in Lui una cosa sola» (Gv 17, 21). Il fondato desiderio di ritrovare e costituire l’unità dei cristiani è dono del Signore e chiamata dello Spirito. Il CCC ci propone un cammino adeguato e possibile che fa vivere e testimoniare la speranza. • Rinnovamento permanente della Chiesa. • La conversione del cuore. • La preghiera in comune. • La reciproca conoscenza fraterna. • Il dialogo e la cooperazione, con formazione ecumenica.

Santa e peccatrice (CCC parte I sez II cap. 3 art 9 § 3 nn. 823 – 829) Indefettibilmente santa Qualificando come secondo attributo la Chiesa santa, pur riandando al significato dell’ebraico qadosh e del greco aghios che significano etimologicamente «separato», «diverso», già nel nostro farci discepoli in vari articoli del Credo, abbiamo rilevato che solo Dio è santo; che chi è amato, scelto ed è opera sua è santo; così Gesù, il Figlio e lo Spirito Santo sono operatori di santità; è solo quindi il rapporto vivo con Gesù, dono suo, che ci rende santi; e i santi rendono credibile la fede e sono i veri testimoni delle meravigliose opere di Dio; solo il peccato ci rende collaboratori dell’uccisione di Gesù e ci pone come competitivi di Dio, distruggendo noi stessi e distaccandoci mortalmente dal rapporto di amore con Lui. Così si può parlare con la prima lettera di Pietro (1Pt) della Chiesa, giacché la divina salvezza si esprime comunitariamente, di popolo di Dio, e di nazione, santa. Riandando a questo insegnamento possiamo fondatamente riproporre la seconda caratteristica: la Chiesa è santa. Con i mezzi della salvezza È, quella della Chiesa, «una santità vera, anche se imperfetta» (LG 48). Grazie all’insegnamento del Concilio Vaticano II, possiamo ribadire che nella Chiesa c’è «tutta la pienezza dei mezzi di salvezza» (UR 3), i fedeli sono «muniti di tanti e così mirabili mezzi di salvezza». Dobbiamo incamminarci con fiducia e sentirci corroborati dalla presenza vivificante di Gesù e del suo Santo Spirito, fruttificando un insieme di doni, pur nella nostra pochezza e nel nostro limite. Santa e peccatrice Riprendiamo l’importante insegnamento proposto dal CCC al n. 857, e ribadito da Papa Francesco anche per la sua persona: «Tutti i membri della Chiesa, compresi i suoi ministri, devono riconoscersi peccatori». È sempre possibile essere raggiunti dal Dono del Signore, ma attraverso un continuo cammino di purificazione, ben consci che siamo «chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste» (LG 11). I Santi e Maria Santissima Rileviamo, con gioia, che anche noi, ancora nella storia, abbiamo avuto a che fare con dei santi «canonizzati». Abbiamo potuto coi nostri occhi riconoscere la potenza del buon Dio, dello Spirito Santo. I santi ci sono modello nella loro storia, sono nella pienezza di vita (piena comunione con Dio), amano nel Signore, senza più i loro limiti storici, ognuno di noi, aiutandoci, intercedendo. Possiamo riconoscere in Maria Santissima, benedetta, che in Lei la Chiesa è già tutta Santa. Santità e agàpe-carità L’anima della santità è in ciascuno di noi e nella Chiesa tutta la carità, l’amore cristiano. Riproponiamo la riflessione di Teresina di Lisieux (Manoscritti autobiografici, B 3v): «Compresi che la Chiesa aveva un corpo, composto di varie membra, e non mancava il membro più nobile e più necessario. Compresi che la Chiesa aveva un cuore, un cuore ardente d’Amore. Capii che solo l’Amore spingeva all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo Amore, gli Apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i Martiri non avrebbero più versato il loro sangue… Compresi che l’Amore abbracciava in sé tutte le vocazioni, che l’Amore era tutto, che si estendeva a tutti i tempi e a tutti i luoghi… in una parola, che l’Amore è eterno!». Cattolica (CCC parte I sez II cap. 3 art 9 § 3 nn. 8230 – 843) Senso di “cattolica” Il termine “cattolico” dal greco significa universale. Questa universalità è riconoscibile in due sensi o da una duplice prospettiva. 1. La Chiesa è cattolica, perché è dovunque conpresente Gesù. «Là dove è Cristo Gesù, ivi è la Chiesa cattolica» (Sant’Ignazio d’Antiochia. Epistula ad Smyrnaeos, 8, 2). 2. La Chiesa è cattolica perché inviata (missione) da Gesù alla totalità delle persone umane (Mt 28, 19). Chiesa cattolica in ogni Chiesa particolare

Noi siamo Chiesa monregalese, cioè diocesi di Mondovì. Per piccola e povera che sia, qui è presente Gesù; pertanto qui si raccoglie la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica (cfr. Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 3, 2). Ci sono dei cristiani «in comunione nella fede, nei sacramenti, con il loro vescovo ordinato nella successione apostolica» (n. 833). Anche questa nostra Chiesa particolare monregalese è in comunione, insieme a tutte le altre, alla Chiesa di Roma «che presiede alla carità» (Sant’Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 1,1) «in forza del suo sacro primato» (Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 3, 2). Notiamo che le Chiese particolari (diocesi o i diversi riti) non formano una federazione di Chiese, ma la loro concordia e convergenza attestano «la cattolicità della Chiesa indivisa» (LG 23). Vari modi di appartenere alla Chiesa Chiamati dal Buon Dio tutti gli uomini a essere un Popolo di Dio vi appartengono i cattolici, i credenti in Gesù; e sono ad esso in rapporto, chiamati e orientati, tutti anche non cristiani. Elenchiamoli. I cattolici sono pienamente incorporati: accettano tutti i doni, mezzi di salvezza. Gesù ci salva se incorporati col «corpo» e con il «cuore» (liberamente scegliendo). I cristiani (delle varie confessioni di fede) sono uniti anche se non professano la fede integrale o non conoscono la piena comunione con il successore di Pietro. Sono permanentemente, in provvidente attesa, chiamati: il popolo ebraico che è l’erede della «promessa» e da esso proviene Gesù; i musulmani credenti in un Dio unico; e partecipi alle altre religioni, posta la comune origine e il fine comune di tutte le persone (Dio). Chiesa “necessaria” e “in missione” Dire che «fuori della Chiesa non c’è salvezza», significa (1) che solo Gesù (con il suo corpo che è la Chiesa) è l’unico nostro salvatore (dà senso e forza di vivere con la novità di Lui, Dono); anche chi non è credente, ma cerca sinceramente Dio, può conseguire la salvezza. (2). La Chiesa ha da Gesù la missione di evangelizzare gli uomini; e per questo è inviata nella storia ed è suo compito e dovere. La Chiesa per lo Spirito Santo, nella verità e con pazienza, comincia con l’annuncio ai popoli, ai gruppi, ai singoli; prosegue con il costituire le comunità cristiane; avvia con sforzo, in dialogo rispettoso, l’inculturazione del Vangelo, non temendo gli insuccessi; fonda le Chiese locali, così gradatamente li «assume nella pienezza cattolica» (Ad Gentes 6). Apostolica (CCC parte I sez II cap. 3 art 9 § 3 nn. 8257 – 870) Fondata sugli apostoli Per tre ragioni possiamo riconoscere la Chiesa fondata sugli Apostoli: (1) si è costruita su testimoni scelti e inviati da Gesù (Ef 2, 20); (2) custodisce e trasmette l’insegnamento degli Apostoli, frutto delle parole udite e dei fatti attestati, con l’aiuto dello Spirito Santo; (3) continua fino alla finale venuta di Cristo a essere «istruita, santificata e guidata dagli Apostoli» grazie ai loro successori il collegio dei vescovi, unito al successore di Pietro, coadiuvato dai sacerdoti (cfr. AG 9). Missione e successione Fondamento della missione (quale cascata salvifica) è - Gesù, il Figlio, che ha ricevuto dal Padre e «il Figlio da sé non può fare nulla» (Gv 5, 19-30); - Gesù invia gli apostoli che non possono fare nulla senza di Lui (Gv 15, 5). «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20, 21). I dodici sono esplicitamente più volte ricordati: «Gesù chiamò a sé quelli che egli volle… Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare» (Mc 3, 13-14). Il ministero dei primi apostoli è continuazione della sua missione: «Chi accoglie voi, accoglie me» (Mt 10,40). C’è nella loro missione un aspetto tipico non trasmissibile: sono testimoni scelti della Risurrezione del Signore e fondamenta della Chiesa.

Qualificati da Paolo - «Ministri adatti di una Nuova alleanza» (2Cor 3, 6), - «ministri di Dio» (2Cor 6,4), - «ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (1Cor 4, 1), - «ambasciatori per Cristo» (2Cor 5, 20). I vescovi rendono possibile l’aspetto permanente della missione degli Apostoli, perché a loro Gesù ha promesso di rimanere fino alla fine del mondo (Mt 28, 20). Essi completano e consolidano l’opera iniziata dagli Apostoli, i quali danno disposizioni che, quando fossero morti, altri uomini provati prendessero la successione del loro ministero (cfr. LG 20). Attività apostolica e apostolato Tutta la Chiesa è apostolica, in quanto è «inviata» in tutto il mondo e tutti i membri della Chiesa, sia pure in modi diversi, partecipano a questa missione. Si chiama «apostolato» tutta la attività del «Corpo mistico» (la Chiesa). La fecondità (efficacia) dell’apostolato, sia dei ministri ordinati, sia dei laici, dipende - dalla loro unione con Gesù, - dall’azione e dai doni dello Spirito Santo - dalla Carità (amore-agape) attinta soprattutto nell’Eucaristia. Nella persona di Gesù è venuto «il Regno», quindi nella Chiesa è già presente ma deve ancora compiersi fino alla fine dei tempi e misteriosamente in verità cresce nel cuore dei credenti. Costituzione gerarchica (CCC parte I sez II cap. 3 art 9 § 4 nn. 871 – 887) Uguaglianza e differenza Tutti i credenti, per essere stati rigenerati in Gesù, mediante il Battesimo, trovano una vera uguaglianza nella dignità e nel loro agire. Tutti cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo e sono costituiti Popolo di Dio. Ciascuno ha una missione secondo la condizione e i compiti che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo. Così il Signore ha stabilito le differenze in funzione dell’unità e della missione della Chiesa: gli apostoli e i loro successori, i laici, i consacrati. Il ministero È Gesù l’origine del ministero nella Chiesa: ha istituito vari ministeri dotati di potestà «sacra» a servizio dei fratelli. A riguardo del ministero: nessuno può darsi da sé il mandato e la missione di annunziare la Parola, il Vangelo; come nessuno può parlare e agire per propria autorità; infine nessuno può darsi da sé la grazia. Gli inviati di Cristo Gesù dànno e compiono segni e gesti per dono di Dio «in persona di Cristo Capo». «La fede… dipende dalla predicazione… e come lo annunzieranno senza essere stati prima inviati?» (Rm 10,15.17). Il ministero della Chiesa è conferito mediante uno specifico sacramento. Tre sono le caratteristiche del ministero. -È servizio: «servi di Cristo» (Rm 1,1), servi di tutti (cfr. 1Cor 9,19); Gesù è venuto tra noi per servire; ha assunto liberamente «la condizione di servo» (Fil 2,7). -È collegiale: così gli apostoli scelti insieme, inviati insieme, testimonianti l’unione fraterna al servizio della comunione fraterna, sono dono delle persone divine (la Trinità); così i vescovi in comunione tra loro e col Vescovo di Roma; così i sacerdoti e i diaconi nelle diocesi sotto la direzione del loro vescovo. -È personale: chiamato personalmente («Tu seguimi» Gv 21,22) e personalmente responsabile davanti a Chi nel Suo nome agisce («Io ti battezzo… Io ti assolvo...»). Gerarchia: un capo e un collegio episcopale Gesù ha avuto una precisa volontà rispetto alla sua Chiesa: e lo ha espresso con una chiamata di persone scelte e nominate «a servire». -I Dodici con a capo Pietro, che lo «ha fatto la pietra della sua Chiesa»; con lui gli apostoli sono stati abilitati «a legare e a sciogliere» -L’ufficio degli Apostoli uniti a Pietro, uno dei fondamenti della Chiesa, è continuato nei vescovi sotto il primato del Papa, vescovo di Roma e successore di Pietro.

-Il Papa, a cui sono uniti i vescovi, esprime l’unità del popolo di Cristo e ogni vescovo è «fondamento dell’unità» nella Chiesa particolare, coadiuvato dai presbiteri e dai diaconi. -Questa collegialità del Papa e dei vescovi si esprime in modo solenne con potestà nel Concilio ecumenico; i vescovi possono riunirsi in Sinodi o Concili provinciali; abitualmente lo «spirito collegiale» è espresso nelle attuali Conferenze episcopali, nazionali o regionali. Compiti della gerarchia o ministri ordinati (CCC parte I sez II cap. 3 art 9 § 4 nn. 888 – 896) Insegnare Il primo compito o ufficio di chi ha dal Signore il dono del «ministero ordinato» e fa parte della «gerarchia» (ha quindi una potestà-autorità che si esprime in autorevolezza salvifica in nome e con la potenza di Gesù) è quello di insegnare: annunziare a tutti il Vangelo di Dio. Questo compito si configura in espressioni umili, vere, ma umanamente straordinarie, non riducibili a competenza culturale, a eloquio o scrittura convincente, a esemplarità morale ineccepibile. Queste qualità possono aiutare, ma non sono condizioni esclusive per «annunziare il Vangelo». La Chiesa, attraverso il servizio del Papa in primis, il servizio dei vescovi uniti a lui, gode della capacità di un «magistero infallibile»: carisma di verità e di infallibilità in materia di fede e di costumi. Il magistero È dono (carisma) e servizio, che trasmette nella purezza la fede già avuta dagli Apostoli; garantisce di professare l’autentica fede senza deviazioni o cedimenti, vigila perché il popolo di Dio rimanga nella verità che libera. Riproponiamolo. Il «magistero» - è dono divino dall’Alto, che non annulla la libertà, anzi la rafforza rendendola capace di accogliere, riconoscere, testimoniare la VERITA’, che è Gesù, la sua storia, il suo insegnamento, il dono che fa di Sé a tutti; - si esprime in assistenza dello Spirito Santo, «luce della mente», «amore dei cuori»; - abilita chi credente aderisce «grazie al senso soprannaturale della fede», che non è sopra la ragione e tanto meno contro la ragione; fa invece riconoscere la ragionevolezza «del carattere definitivo dell’Alleanza che Dio in Cristo ha stretto con il suo popolo». Il magistero del Papa esprime pronunciamenti «definitivi infallibili» e insegnamenti di «magistero ordinario». L’infallibilità non è sicumera trinciante; tanto meno arroganza culturale. È la massima espressione di dialogo che salva, che si è aperto con fiducioso abbandono in Dio e può donare serena, fraterna sicurezza a fratelli e sorelle a loro vantaggio. Così il Concilio ci insegna che «l’infallibilità promessa alla Chiesa risiede pure nel corpo episcopale, quando questo esercita il supremo magistero col successore di Pietro» (DV 10). Santificare Prendendo in considerazione il servizio del vescovo (e il Papa è vescovo di Roma) e i presbiteri e i diaconi (con il sacramento ricevuto sono, con diversi doni, cooperatori dell’ordine episcopale) santificano la Chiesa, con la loro preghiera, con il loro lavoro, con il ministero della Parola e dei sacramenti, con il loro esempio. Soprattutto, in primis, è l’Eucaristia fonte e centro della vita della Chiesa; attraverso l’offrire l’Eucaristia, vescovo e presbiteri sono «dispensatori della grazia del supremo sacerdozio» (LG 26). Guidare (governare) Ci si può esprimere con il linguaggio del Concilio: «I vescovi reggono le loro Chiese particolari, come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà» (LG 27). Si sottolinei: tutto avviene e deve esprimersi come servizio, come ascolto, come incoraggiamento, come partecipazione e condivisione di fortezza, allo scopo di edificare. La “sacra potestà” si attua tra dedizione pastorale del vescovo e rispetto cristiano dei credenti.

I fedeli (laici) (CCC parte I sez II cap. 3 art 9 § 4 nn. 897 – 913) Laici. Perché questo nome? Il termine «laici» (dal greco: laòs, popolo; laikòs, appartiene al popolo) indica i credenti in Gesù Dio, i fedeli battezzati, espressione viva della Chiesa Popolo di Dio, che compiono nella storia e nel mondo la missione di cristiani. La loro «vocazione» è cercare «il Regno di Dio», cioè seguire Gesù, accogliendolo nella loro vita e ascoltando-praticando la Sua parola, illuminando e ordinando le cose temporali. In altre parole: promuovere iniziative e mezzi per suscitare le esigenze dell’insegnamento e del vivere cristiano nella realtà sociale, politica ed economica. I laici sono la Chiesa; accolgono il servizio guida del Papa e dei vescovi in comunione con lui; vivono apostolicamente il dovere e il diritto, sia singolarmente, sia riuniti in associazioni, di annunciare e diffondere il Vangelo di Gesù a tutti gli uomini e in tutta la terra. Si colga, in questa luce, la portata dell’essere genitori. Compito sacerdotale Essere sacerdoti, del sacerdozio comune fondamentale, è specifico di chi è credente in Gesù; e per azione dello Spirito Santo sa fare offerta gradita a Dio di se stesso, della sua storia e impegno quotidiano, delle sue gioie e fatiche, sofferenze e buoni successi. I laici hanno un vero compito sacerdotale quando vivono corporalmente-spiritualmente tutto con e nello Spirito Santo, perfino ogni forma di disagio o molestia della vita, attuando con Gesù-Eucaristia, la propria offerta al Padre, divenendo veri adoratori: sono i «sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo» (1Pt 2,5). I laici possono essere anche lettori, accoliti, ma in ogni caso possono esercitare il ministero della Parola, animare preghiere comuni, distribuire l’Eucaristia, impegnarsi in tutte le opere di misericordia e della fede, testimoniando fraternità. Ufficio profetico Profeta è chi interpreta fatti, eventi, rapporti alla luce della Parola e la testimonia con la sua vita. Per questo ogni laico è vero evangelizzatore nel suo lavoro e in ogni forma di comunicazione che non si esime dal parlare di Gesù e del suo essere senso e forza vitale per tutti. Ci possono essere tante forme collaborative nell’evangelizzare: collaborare nella catechesi, consigliare al bene, prestarsi per l’insegnamento teologico ai vari livelli, prestarsi per la comunicazione sociale. Operatori efficaci per un mondo nuovo Il laico scopre e testimonia la libertà. Come e grazie a Gesù che ha comunicato ai suoi il dono della «libertà regale»: padrone di sé; libero da ogni forma di schiavitù, indipendente perché, come Lui, obbediente al Padre. Da un lato collaborando insieme, «risanano le istituzioni e le condizioni di vita nel mondo», favoriscono l’esercizio delle virtù e il rinnovamento etico, operativo, culturale. Dall’altra sono presenze vive in tutte le forme con cui ecclesialmente ci si può impegnare: Consigli pastorali, collaborazioni parrocchiali, partecipazione alle istituzioni economiche e giuridiche, a bene di tutti, come espressione di Chiesa di Gesù. I più prossimi a Gesù: la vita consacrata (CCC parte I sez II cap. 3 art 9 § 4 nn. 914 – 924) Persone «chiamate» da Gesù C’è un modo eccellente di essere credenti in Gesù (battezzati) nella storia umana: opera di Spirito Santo. Ad un tempo è seguire Gesù, con un legame unico, indissolubile, per tutta la vita: è espressione dell’esperienza-virtù inglobante dell’amore cristiano (agàpe-carità). È un legame a Gesù vivendo in un modo liberissimo e pieno di amore-carità: il primato dell’adesione al suo insegnamento - Parola di vita (obbedienza); la libertà piena d’amore rispetto alle esigenze del nostro corpo e del nostro affetto (castità); la scelta della povertà, unica ricchezza, che ci fa utilizzare tempo, lavoro e beni, solo per aiutare gli altri e promuovere la fede in

Gesù. Questo si chiama: «vita consacrata» o «stato religioso». È essere i più prossimi a Gesù e contemporaneamente a servizio dei nostri fratelli e sorelle di ogni età e condizione. Albero fruttifero con molti rami Dai primi secoli del cristianesimo, dopo il periodo apostolico, fin dal III secolo, ebbero inizio bellissime esperienze. La vita eremitica. Con Sant’Antonio abate, iniziò l’esperienza della solitudine piena d’amore, della preghiera, del deserto, della povertà libera, capace di rinunciare, con ogni forma di digiuno, al male e al superfluo. È la ricerca e l’esperienza di Dio. La vita cenobitica. Con S. Pacomio in Egitto, e in oriente S. Basilio e poi in occidente S. Benedetto. Alle scelte fatte dagli eremiti subentra, come forma di vita, a tanti possibile, vivere in comunità di fratelli e di sorelle, in aiuto reciproco. Vergini consacrate sono quelle donne che nel mondo e nel lavoro abituale o in vita comune associata, nella loro femminilità e coi loro specifici carismi, attestano le “scelte evangeliche” attuate dai cenobiti e poi dagli Ordini mendicanti (Domenicani - Francescani del XIII sec. d. C.). E sorgono in ogni tempo della Chiesa. Vita consacrata Nella Chiesa, dal suo stesso mistero, sgorga come dono del Signore la vita religiosa consacrata, quale stato di vita stabile. Abbiamo rilevato i doni: la testimonianza fondamentale (canonicamente eretta) della carità, l’impegno nei Consigli evangelici, espressioni di grande libertà e di decisa donazione (obbedienza, castità, povertà), vita fraterna, promozione della fede (evangelizzazione). Concludiamo con il sintetico insegnamento di Giovanni Paolo II: «La storia attesta i grandi meriti delle famiglie religiose nella propagazione della fede e nella formazione di nuove Chiese, dalle antiche istituzioni monastiche e dagli Ordini medioevali fino alle moderne Congregazioni» (enciclica Redemptoris missio, 69). Prossimi a Gesù: immersi nel mondo (CCC parte I sez II cap. 3 art 9 § 4 nn. 925 – 945) Immersi nel “mondo” C’è un modo di essere “consacrati”, distanziandosi nell’isolamento e nella solitudine, soli, o con fratelli, o con sorelle, evidenziando, nei comportamenti e nello stile di vita, la diversità (santità) e il rifiuto (scelta fondamentale alternativa) del male e del «mondo». Questa è la scelta delle persone «in clausura», delle persone che vivono in convento, quelle che vivono in comunità con una “regola di vita” (in obbedienza, castità, povertà). C’è un modo di vivere la vita consacrata nel “mondo” inteso in altro significato: non come condizionamenti a fare il male, ma come contesto vitale degli uomini. Mondo che «il Padre ha tanto amato da dare il suo Figlio Unigenito» (Gv 3, 16). Istituti secolari Gli Istituti secolari sono espressioni di vita consacrata nel mondo, operando al suo interno «come un fermento». Tendendo alla perfezione della “carità”, vivono i consigli evangelici, custodiscono la vita fraterna possibile nella vita secolare, partecipano pienamente alla funzione santificatrice ed evangelizzatrice della Chiesa. Una ulteriore forma, assimilata alla “vita consacrata” sono le società di vita apostolica: tendono alla vita di carità conducendo vita fraterna in comunità secondo le loro Costituzioni approvate dalla Chiesa. Tra queste società ci sono anche membri che si impegnano nei consigli evangelici (obbedienza, castità, povertà). Fede, contemporaneità, consacrazione Conclusivamente, riconosciamo che la persona consacrata sa di essere amata da Dio, scelta per donarsi e appartenergli totalmente (consegnata). In essa si manifesta Gesù e l’opera del Suo Santo Spirito, così è dedita al servizio divino e al bene della Chiesa e dell’umanità. È una «via stretta», grazie alla quale la persona consacrata si trova «più profondamente» presente nel cuore di Cristo ai propri contemporanei; testimonia, in modo pubblico, e in forma discreta, o in forma segreta, che la ‘venuta di Cristo’ è l’origine e l’orientamento della sua vita.

Credo la comunione dei santi

Comunione alle cose sante (CCC parte I sez II cap. 3 art 9 § 5 nn. 946 – 953) Cristo e lo Spirito Come sottolinea lo stesso CCC è un riesplorare e riannunciare la Chiesa. Essa stessa è comunione alle cose sante e ai santi. Dove il termine comunione dice l’azione di Dio che pone in relazione viva e operante a Sé: tanto gli eventi, i segni, le cose, quanto le persone incorporee, i defunti, e i pellegrini nella storia. Riproponiamo l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino (Espositio in symbolum apostolicum, 10): «Poiché tutti i credenti formano un solo corpo, il bene degli uni è comunicato agli altri… Allo stesso modo, bisogna credere che esista una comunione di beni nella Chiesa. Ma il membro più importante è Cristo, poiché è il Capo… Pertanto il bene di Cristo è comunicato a tutte le membra: ciò avviene mediante i sacramenti della Chiesa». E con il Catechismo romano (I, 10,24) completiamo: «L’unità dello Spirito, da cui la Chiesa è animata e retta, fa che tutto quanto essa possiede sia comune a tutti coloro che vi appartengono». Beni spirituali Il sommario di Luca (At 2,42) è come il seme e il riassunto della comunione di doni e di beni attestata fin dall’origine della Chiesa, nella comunità di Gerusalemme. «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli, nell’unione (comunione) fraterna, nella frazione del pane, nelle preghiere». Così possiamo riconoscere i «beni» nella -comunione nella fede, -comunione nei sacramenti, -comunione nei carismi. La fede, che è fede dei credenti, fede della Chiesa, fede degli apostoli, è «tesoro di vita che si accresce mentre viene condiviso». I Sacramenti in particolare operano l’unione che chiamiamo la comunione dei Santi: «Il nome comunione conviene a tutti i sacramenti in quanto ci uniscono a Dio … più propriamente però esso si addice all’Eucaristia» (Catechismo romano I, 10,24). I carismi sono i doni opera dello Spirito Santo che «dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali» per l’edificazione della Chiesa (Lumen Gentium 12). Comunione dei beni e carità A livello fenomenico e constatativo, la comunione è visibilissima quando i beni materiali sono posti in comune. Così già insegnava il Catechismo romano (I, 10,27): «Il cristiano veramente tale nulla possiede di così strettamente suo che non lo debba ritenere in comunione con gli altri, pronto quindi a sollevare la miseria dei fratelli più poveri». A livello inglobante e fondativo dobbiamo richiamare la comunione della carità (agape, amore cristiano). Citiamo due testi biblici: - «Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso» (Rm 14,7). - «La carità non cerca il suo interesse» (1Cor 13,5). “Il più piccolo dei nostri atti compiuti nella carità ha ripercussioni benefiche per tutti”: solidarietà con tutti gli uomini vivi o morti, si fonda sulla comunione dei santi. «Ogni peccato nuoce a questa comunione».

Comunione tra le persone sante (CCC parte I sez II cap. 3 art 9 § 5 nn. 954 – 962) Con tutti, con tanti Siamo invitati a prendere viva coscienza delle relazioni vere che possiamo vivere e nelle quali gioiosamente possiamo crescere. Così ci insegna il Concilio Vaticano II: «Fino a che il Signore verrà nella sua gloria e - tutti gli angeli con Lui e, distrutta la morte, non gli saranno sottomesse tutte le cose, - alcuni suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, - altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria» (Lumen Gentium, 49). Poniamo attenzione. Tutti, sebbene in grado e modo diverso, comunichiamo nella stessa carità di Dio e del prossimo. «…Tutti quelli che sono di Cristo, infatti avendo il suo Spirito formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in Lui» (cfr. Lumen Gentium, 49). Coi santi «Come la cristiana comunione tra coloro che sono in cammino ci porta più vicini a Cristo, così la Comunione coi santi ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla fonte e dal capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso popolo di Dio» (Lumen Gentium, 50). I santi sono di esempio, esprimono l’unione di tutta la Chiesa nello Spirito, consolidata dalla fraterna carità, non cessano di intercedere per noi presso il Padre; la nostra debolezza è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine (cfr. Lumen Gentium, 49). Coi defunti Confermiamoci nella forte e fondata certezza che «l’unione… coi fratelli morti non è minimamente spezzata… è consolidata dalla comunione coi beni spirituali» (Lumen Gentium, 49). La Chiesa «ha coltivato con una grande pietà la memoria dei defunti… e ha offerto per loro anche i suoi suffragi» (Lumen Gentium, 50). La nostra preghiera per i defunti da un lato è loro d’aiuto, dall’altro lato rende efficace la loro intercessione in nostro favore (CCC n. 958b).

Credo la remissione dei peccati

Azione delle Spirito, ministero della Chiesa (CCC parte I sez II cap. 3 art 10 § 5 nn. 976– 979) Parola di Gesù La Parola di Gesù è la porta aperta a una grande possibilità continua: essere riconciliati con Dio. «Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23). Dobbiamo richiamare con forza e con crescente convinzione ciò che Papa Francesco ripete incessantemente: «Noi ci stanchiamo di domandare perdono, ma Dio non si stanca mai di perdonarci». Il Battesimo Proprio il Battesimo è il primo e principale sacramento con il quale sono perdonati i peccati. Anche se ci attarderemo, nel prossimo anno, commentando i sacramenti dell’Iniziazione Cristiana (Battesimo, Cresima, Eucaristia), già fin d’ora, risuonando a questo articolo del Credo, raccogliamo i testi biblici con cui è commentato dal CCC. -«Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo» (Mc 16.15-16). -«Cristo messo a morte per i nostri peccati è… risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). -«Anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). Insegnamento del Catechismo Romano (1,11,3). Quindi già dal tempo del Concilio di Trento, la Chiesa ha insegnato questo sul Battesimo. -«La remissione dei peccati avviene innanzitutto quando l’anima professa per la prima volta la fede». -«Con l’acqua battesimale infine viene concesso un perdono talmente ampio che non rimane più alcuna colpa e viene rimessa ogni pena da scontare». «La grazia del Battesimo non libera la nostra natura dalla debolezza; e non c’è chi non debba lottare contro la concupiscenza, fonte continua del peccato». Il perdono per mezzo degli altri sacramenti Questo avviene grazie alla certezza che -«Cristo consegnò alla Chiesa le chiavi del Regno dei cieli, in virtù delle quali potesse perdonare a qualunque peccatore pentito i peccati commessi dopo il Battesimo, fino all’ultimo giorno della vita» (1,11,4). -Il perdono dei peccati avviene anche «specialmente» (spiegheremo questo avverbio) per mezzo dell’Eucaristia. In questo anno in particolare siamo stati sollecitati a partecipare vitalmente e a prendere coscienza dell’ “atto penitenziale” che esprimiamo all’inizio di ogni Messa: «Confesso…», «Signore pietà». Riconciliazione, penitenza, confessione dei peccati (CCC parte I sez II cap. 3 art 10 § 5 nn. 980– 987) Il perdono dei peccati Riscriviamo quel che già dopo il Concilio di Trento insegnava il Catechismo romano: «Non si può ammettere che ci sia un uomo, per quanto infame e scellerato, che non possa avere con il pentimento la certezza del perdono» (1,11,5). E il nostro CCC ci insegna: «Non c’è nessuna colpa per grave che sia, che non possa essere perdonata dalla Santa Chiesa». Con tanti nomi è stato chiamato il Sacramento con cui Gesù ha annunciato e attua in verità il perdono dei peccati. Cristo dopo la sua Risurrezione ha inviato i suoi apostoli a predicare «nel suo nome… a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24,47). Denominazione del Sacramento Cristo, che è morto per tutti gli uomini, vuole che nella sua Chiesa le porte del perdono siano sempre aperte a chiunque si allontana dal peccato (Mt 18, 21-22). Questo avviene, come per il Battesimo, così con il Sacramento della Riconciliazione: Dio stesso riconcilia; Gesù opera con lo Spirito la riconciliazione (cfr. 2Cor 5, 18), per questo Paolo ci annuncia il «mistero della riconciliazione». Gli apostoli e i loro successori

riconciliano con Dio e con la Chiesa grazie al potere delle chiavi ricevuto da Cristo. Questo Sacramento è chiamato anche della Penitenza, in quanto dal punto di vista della persona umana implica un cambiamento di mentalità e di comportamento e attesta una disponibilità a offrire il proprio soffrire, grazie al dono del Signore. Sempre, dal punto di vista della persona umana, rileviamo che è celebrato, con l’innegabile disagio di riconoscere le proprie colpe-peccati davanti al “ministro del Sacramento”, uomo come lui, è chiamato Confessione. Sacramento della speranza Ci scrive Sant’Agostino: «Se nella Chiesa non ci fosse la remissione dei peccati, non ci sarebbe nessuna speranza di una vita eterna e di una liberazione eterna. Rendiamo grazie a Dio che ha fatto alla Chiesa un tale dono» (Sermones 213, 8). Così, a sua volta, scrive San Giovanni Crisostomo: «I sacerdoti hanno ricevuto un potere che Dio non ha concesso né agli angeli, né agli arcangeli… Quello che i sacerdoti compiono quaggiù, Dio lo conferma lassù» (De Sacerdotio 3, 5).

Credo la resurrezione della carne Morire in Cristo (CCC parte I sez II cap. 3 art 10 § 5 nn. 980– 987) Interrogativi È la storia quotidiana che attesta che la persona umana (uomo-donna) muore. Siamo nella nostra identità: corpo, materia organica, elementi chimici, animati da un “io” (anima, spirito vitale). Ma comunque corporeità che invecchia, si deteriora, soggiace al deperimento e con la malattia all’annullamento: la morte. C’è una lettura realistica riduttiva: con la morte tutto è finito. C’è una possibile lettura aperta, per lo meno interrogantesi: può tutto finire nell’annichilimento? Il mio “cuore” (io mi ribello a un tale pensiero) e quel che soffro per la morte delle persone care mi fa porre continuamente gli interrogativi: perché? Ci sarà qualcosa, qualcuno che pensa a noi, ora, e dopo? e può provvedere? Lettura cristiana della morte C’è una lettura della morte possibile e perfino buona che dà senso alla vita anche più tribolata e sofferente. Ci è annunciata da tanti testi biblici (rivelazione cristiana). Bisogna però riconoscere e vivere il rapporto con Gesù: guardando a Lui e accogliendo il primo dono di Gesù ai credenti, il Suo Santo Spirito. La parola di Paolo (Rm 8,11) ci svela il senso del nostro vivere mortale: «Se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Gesù dai morti darà la vita ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi». Questa è la speranza cristiana radicata nella fede (rapporto vitale, dono) in Gesù e nella potenza della Sua Parola di vita. Aprirci a Lui, al suo insegnamento, alla sua vita a noi partecipata, ci dà un sereno luminoso orizzonte di senso, infonde certezza umile e forte, ci rinvigorisce vieppiù nella nostra vita storica. Credere nella risurrezione È «elemento essenziale della fede cristiana fin dalle origini». Riportiamo l’espressione di Tertulliano (tra i padri della Chiesa): «La risurrezione dei morti è la fede dei cristiani: credendo in essa siamo tali» (De resurrectione carnis 1,1). «Se la carne designa l’uomo nella sua condizione di debolezza e di mortalità, la “risurrezione della carne” significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita dell’anima (io) immortale, ma che anche i nostri “corpi mortali” riprenderanno vita» (n. 364). Ridiciamo conclusivamente con l’insegnamento della Sacra Scrittura, in particolare il famosissimo interrogativo esclamazione di Paolo (1Cor 15,12-14.20) «Ora, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede… Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti».

Risorgere: annuncio e divina promessa (CCC parte I sez II cap. 3 art 11 § nn. 992– 996) La difficoltà Cominciamo da ciò che di fatto fa problema. Sant’Agostino così si esprime: «In nessun argomento la fede cristiana incontra tanta opposizione come a proposito della risurrezione della carne» (Enarratio in Psalmos 88,2.5). Alcuni facilmente accettano l’immortalità dell’anima (dell’io spirituale di ciascuno di noi) dopo la morte; ma la fede cristiana mette proprio a prova quando annuncia che il nostro corpo deperibile e mortale «risorgerà per la vita eterna». Rivelazione progressiva Gradualmente è stato nell’Antico Testamento rivelato dal Buon Dio l’evento che i morti risorgeranno: è una vera pedagogia per la comprensione della verità, e della globalità del dono che ci coinvolge. Importante è riconoscere che l’evento della risurrezione corporea è direttamente legato ed è conseguenza della fede in Dio creatore di ogni e di tutta la persona umana: anima e corpo. Dio creatore è anche Dio fedele che mantiene l’alleanza (il patto), e quindi la parola di promessa fatta ad Abramo e a tutta la sua discendenza. Così comincia ad essere adombrato l’annuncio della risurrezione nella preghiera dei Salmi e con l’esilio nell’annuncio delle ossa aride del profeta Ezechiele (c. 37); così nel libro apocalittico di Daniele (12,1-13). In modo più esplicito abbiamo la testimonianza dei martiri Maccabei, nei due testi seguenti: «Giunto all’ultimo respiro, disse: “Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna”» (2Mac 7,9). «Non temere questo carnefice, ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia”» (2Mac 7,29). Insegnamento di Gesù con fermezza Gesù con chiarezza dissente dalla cultura dei Sadducei che negano che i morti risorgono con il corpo: «Rispose loro Gesù: “Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio?» (Mc 12,24). Si rilevi che tale fede è confermata dalla viva coscienza che Dio «non è Dio dei morti, ma dei viventi» (Mt 12,27). Gesù si autopresenta così: «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25) legando alla sua persona la fede nella risurrezione. Questo fondativo e affidabilissimo legame è confermato dai segni che opera, dal dono di Sé che propone, dagli incontri con Lui risorto. - Come segni, quasi caparra, fa ritornare in vita alcuni morti (la figlia di Giairo Mc 5, 21-42; il figlio della vedova di Nain Lc 7,11-17; l’amico Lazzaro Gv 11). - Come dono di Sé: dona la fede di credere in Lui e nutrirsi del suo corpo (pane-carne) e bere del suo sangue (vino) che dà la vita e grazie al quale risuscitare nell’ultimo giorno. - Gesù Risorto (la cui risurrezione è da Lui più volte annunziata) è evento senza uguale, di altro ordine rispetto al vivere storico: «segno di Giona» (Mt 12,39), segno del tempio (Gv 2,19-22). E risorto rende gli apostoli testimoni di Lui «cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione”» (At 1,22), proponendoli come coloro che hanno «mangiato e bevuto con lui dopo la sua Risurrezione» (At 10,41). La speranza cristiana nella risurrezione è contrassegnata dagli incontri con Cristo risorto. Noi risusciteremo come Lui, con Lui, per mezzo di Lui (CCC 995b). Risorgere in cristo (CCC parte I sez II cap. 3 art 11 nn. 997– 1004) Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica ci pone quattro importanti interrogativi: Che cosa significa risuscitare? Chi ci risusciterà? Come avviene? Quando avviene? Che cosa significa? Dovremo opportunamente riflettere e attardarci sul senso e sulla certezza del nostro morire. Ora è opportuno riconoscerlo nella sua constatabile globalità di avvenimento conclusivo del nostro vivere storico: il corpo si corrompe e resta senza vita; c’è una separazione dell’io (anima) dalla corporeità.

Chi? Non è l’uomo da sé che può risuscitarsi e risuscitare. Certamente l’io umano (l’anima) non si corrompe come il corpo, ma «va incontro a Dio, pur restando in attesa di essere riunita al suo corpo glorificato». Riaffermiamolo nella fede cristiana: «Dio nella sua onnipotenza restituirà definitivamente la vita incorruttibile ai nostri corpi riunendoli alle nostre anime in forza della Risurrezione di Gesù» (n. 997). Così ci insegna Gesù nel vangelo di Giovanni: «E usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» (Gv 5,29). Come? Il come ci è manifestato dallo stesso Gesù: il risorto. Gesù è «risorto» con il proprio corpo («Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io» Lc 24,39), non perché è ritornato in vita come la figlia di Giairo, come il figlio della vedova di Naim, come Lazzaro, ma «ad una vita eterna»: totalmente diversa, piena, perfetta, perenne. Allo stesso modo, in Lui «tutti risorgeranno con i corpi di cui ora sono rivestiti» (Concilio Lateranense IV, DS 801), ma come ci insegna Paolo: «Ma qualcuno dirà: “Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?”. Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere… Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale… È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d’incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d’immortalità» (1Cor 15,35-37.42-44.53). Quando? Definitivamente «nell’ultimo giorno», «alla fine del mondo» (Gv 6,39-40.44.54; cfr.LG 48). La nostra risurrezione è legata alla venuta finale di Gesù (Parusia). «Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti. Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo» (1Ts 4,14-16). Dio, Spirito Santo operante Rifacciamoci ascoltatori devoti della Parola di Dio. Col 2,12;3,1 «Con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti… Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio». 1Cor 6,13-15.19-20 «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi! Dio però distruggerà questo e quelli. Il corpo non è per l’impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai!... Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!». Già, nel Battesimo e nell’Eucaristia Così ci insegna il CCC «Mediante il Battesimo, partecipiamo già realmente alla vita celeste di Cristo Risorto» (n. 1003) «con lui sepolti nel Battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti…. Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!» (Col 2,12;3,1-3). «Nutriti del Corpo nell’Eucaristia, apparteniamo già al Corpo di Cristo» (n. 1003). «Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria» (Col 3,4).

Come risorgeremo? Il morire cristiano (CCC parte I sez II cap. 3 art 11 nn. 1005– 1019) Gli apostoli, così attestano i quattro vangeli, “folgorati dalla gloriosa presenza di Gesù risorto”, sentirono l’esigenza di fare pedissequa memoria degli eventi della passione e morte di Gesù, realtà che da un lato li aveva scioccati, e dall’altro avrebbe aiutato tutti a interpretare diversamente l’esistenza e la storia umana di ciascuno. Di fatto la storia della passione e morte di Gesù è la parte più antica dei vangeli, quasi cronistoria degli eventi, che però annuncia e attesta che la morte è l’ultima drammatica esperienza della storia di ogni uomo, ma non l’ultima parola di Dio. La morte Ridiciamo con l’insegnamento del Concilio Vaticano II: «In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo» (GS 18). Da un lato «la morte corporale è naturale»; ma S. Paolo lega la realtà della morte al peccato e la chiama «salario del peccato» (Rm 6, 23). Per questo, per un verso, leggiamo nel Qohelet: «Ricordati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i giorni tristi e giungano gli anni di cui dovrai dire: ‘Non ci provo alcun gusto’;… e ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e il soffio vitale ritorni a Dio che lo ha dato» (Qo 12, 1.7). La nostra vita è segnata dal tempo. Invecchiamo. E il morire è la fine normale della vita. Abbiamo un tempo limitato per attuare la nostra esistenza. Dall’altra apprendiamo dall’insegnamento biblico e della Chiesa (per fede) che la morte è contraria al disegno di Dio creatore ed entra nel mondo per conseguenza del peccato. «Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono» (Sap 2,23-24). L’ultimo quindi «nemico» dell’uomo che deve essere vinto è la morte: «L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte» (1Cor 15, 26). Morire in Cristo Gesù Educati dal desiderio di S. Paolo «essere sciolto dal corpo per essere con Cristo» (Fil 1, 23) trasforma il nostro morire in un atto di obbedienza e di amore verso il Padre, sull’esempio di Gesù (Lc 23,46). Gesù, vero uomo, angosciato (Mc 14, 33-34; Eb 5, 7-8) assunse, in un atto di totale e libera sottomissione alla volontà del Padre, la morte: così la Sua obbedienza ha trasformato la maledizione della morte in benedizione. Morire in Cristo è «andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore» (2Cor 5,8); è «essere sciolto» (Fil 1, 23); è infine partecipare alla morte del Signore per poter partecipare alla sua Risurrezione. «O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. Lo sappiamo: l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è liberato dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui» (Rm 6, 3-9). Liturgia e preghiera cristiana La Liturgia della Chiesa (Prefazio dei defunti I) esprime in modo impareggiabile la visione cristiana della morte: «Ai tuoi fedeli, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo». Ogni credente, con l’invocazione intercedente, conclude l’”Ave Maria”: «Prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte». Non c’è “reincarnazione”. Viviamo e moriamo una sola volta (Eb 9, 27). Con San Francesco siamo tutti invitati a pregare: «Laudato si’, mi Signore, per sora nostra Morte corporale».

Credo la vita eterna

Il giudizio particolare (CCC parte I sez II cap. 3 art 12 nn. 1020– 1022) Orizzonte futuro Abbiamo la possibilità e il dono di annunciarci l’ultimo articolo del Credo cristiano cattolico che ci spinge a «vedere» che cosa è il nostro dopo storia, oltre la nostra morte fisica. Ci è proposto il disegno del Signore, una promessa sicura fondata sulla Sua Parola, un orizzonte di vita, che risponde agli interrogativi fondamentali di ogni persona umana, ci interpella in modo chiaro, ci impegna a fare scelte coerenti. Risposte-proposte Le successive realtà insegnate e che annunceremo particolareggiatamente sono: il paradiso, il purgatorio, l’inferno, il giudizio finale, cieli nuovi e terra nuova. Commenteremo poi la portata e il valore di preghiera dei due vocaboli ebraici che anche come cristiani siamo chiamati frequentemente a proclamare: amen; alleluia. Infine grazie all’insegnamento del CCC (Catechismo della Chiesa Cattolica) concluderemo con l’insegnamento su Maria Santissima, madre di Gesù, madre di tutti noi. Prevediamo con il mese di agosto di terminare con la riflessione mariana. Il viatico Ci fa bene riandare alle parole affidate al sacerdote dal Rituale romano, Rito delle esequie, Raccomandazione dell’anima: «Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi… Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno». L’ultimo discernimento San Giovanni della Croce (Parole di luce e di amore, 57) scriveva: «Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore». Questa «nostra sera» ultima è contemporaneamente l’ultimo atto di grande libertà e l’ultimo discernimento: possiamo con la morte (prevedibile fin d’ora non come momento cronologico, ma come evento di fatto) vivere l’accoglienza di Gesù «nostro tutto» (Col 3, 11) o rifiutarlo erigendo noi stessi e i nostri desideri a criterio unico: ripiegandoci idolatricamente su di noi. In questa scelta finale, previsionabile nella libertà, dobbiamo farci aiutare dai testi biblici del Nuovo Testamento, incoraggianti, pedagogicamente orientanti, sia sul senso del nostro soffrire nel bisogno, sia sul munifico sempre pronto perdono del Signore: la parabola del povero Lazzaro (Lc 16, 22); la parola di Gesù al «buon» ladrone morente con lui (Lc 23, 43). Giudizio particolare È il riconoscere come fondamentale insegnamento cristiano che, subito con la nostra morte, prima della seconda venuta di Gesù giudice di tutti, avremo «l’immediata retribuzione» per quel che abbiamo operato in vita, nella nostra storia mortale. Saremo posti nella condizione perenne («eterna») di vita, a seconda del nostro rapporto con il Signore.

Il cielo Il futuro dopo la morte ha una straordinaria possibilità, l’unica voluta dal buon Dio che ci «predestina ad essere figli nel Figlio» (Rm 8, 29). Elenchiamo i nomi con cui questa finale e definitiva condizione è chiamata: - con la sua morte e la sua Risurrezione Gesù ci ha «aperto» il cielo; - comunione di vita e di amore con la SS. Trinità, con la Vergine Maria, gli angeli e tutti i beati; - comunione beata con Dio è descritta: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso. - visione beatifica è il dono di Dio all’uomo di contemplare il suo Mistero. «Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione piena delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva» (CCC n. 1024). Essere con Cristo Leggiamo il testo di s. Paolo: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano» (1 Cor 2, 9). Siamo ben coscienti che «a motivo della sua trascendenza Dio non può essere visto quale è». Già il Vangelo di Giovanni, il prologo, ce lo annuncia (Gv 1, 18). Vivere in cielo è «essere con Cristo». Ci insegna Sant’Ambrogio (Espositio Evangelii secundum Lucam, 10, 121): «La vita infatti è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo, c’è la vita, c’è il Regno». Il Catechismo precisa: «Gli eletti vivono “in lui”, ma conservando, anzi, trovando la loro vera identità, il proprio nome» (cfr. Ap 2, 17). A vantaggio di tutti Vivere sempre con Cristo ci conferma che per sempre siamo simili a Dio perché lo vediamo «come egli è» (1 Gv 3, 2), faccia a faccia. Rilevante è fare nostro questo finale insegnamento: «Nella gloria del cielo i beati continuano a compiere con gioia la volontà di Dio in rapporto agli altri uomini e all’intera creazione» (CCC n. 1024). Ameremo sempre, efficacemente, tutti. Dio sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15, 28). Questa è «la vita eterna». + Luciano Pacomio vescovo