27
«Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21) Come discepoli autentici e apostoli appassionati portiamo il Vangelo ai giovani Giuseppe Casti – Luis A. Gallo

«Vogliamo vedere Gesù». Vogliamo vedere...Cristo, ma in certo senso di farlo loro ‘ve-dere’. E non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della

  • Upload
    others

  • View
    3

  • Download
    1

Embed Size (px)

Citation preview

«Vogliamo vedere Gesù»(Gv 12,21)

Come discepoli autentici e apostoli appassionati

portiamo il Vangelo ai giovani

Giuseppe Casti – Luis A. Gallo

Nella sua Lettera Apostolica NovoMillennio Ineunte papa Giovanni PaoloII fece una sorta di bilancio dell’anno giu-bilare che finiva raccogliendo le ricchezzeda esso fruttificate per la vita della chiesae del mondo. Quasi come condensando in una sola fra-se tutte quelle ricchezze, affermò: «Se vo-lessimo ricondurre al nucleo essenziale lagrande eredità che essa [l’esperienza delGiubileo] ci consegna, non esiterei ad in-dividuarlo nella contemplazione del vol-to di Cristo».Si potrebbe dire che il Papa si faceva ecodell’invito rivolto quasi duemila anni pri-ma dall’autore della Lettera agli Ebrei aconclusione del suo lungo discorso sullafede: «Anche noi dunque, circondati daun così gran nugolo di testimoni [...],corriamo con perseveranza nella corsa checi sta davanti, tenendo fisso lo sguardo suGesù, autore e perfezionatore della fede»(Eb 12,1-2). È quindi un invito che ha attraversato isecoli questo a tenere fissamente lo sguar-do su Gesù, e a diventare così permanen-ti contemplatori del suo volto, cercandodi scoprire le mille sfaccettature che esso,quale prezioso diamante, offre a chi loguarda. Una contemplazione che ha sì, una com-ponente di godimento estetico, perché of-fre la possibilità di dilettarsi con la suabellezza, ma che deve includerne ancheun’altra, di serio impegno, mirato a ripro-durre in se stessi e negli altri i suoi linea-menti. Un po’ come l’esperienza vissuta dai trediscepoli sul Tabor (Mt 17,1-9), che purcomprendendo un momento di intensocompiacimento («Signore, è bello per noirestare qui»), fu seguita da una discesa allavalle della vita ordinaria, richiesta dallostesso Gesù.Cercheremo di delucidare, nelle riflessio-ni che seguiranno, le dense ricchezze chequesta contemplazione del volto di Cristoracchiude.

IL DESIDERIO DI VEDERE CRISTONEL MONDO DI OGGI

C’è nel vangelo di Giovanni un raccontoche potrebbe assurgere a simbolo di una si-tuazione oggi molto diffusa: è quello deigreci, cioè dei pagani aderenti all’ebrai-smo, che a Gerusalemme, durante le festepasquali, volevano vedere Gesù, e si avvi-cinarono a Filippo e Andrea perché faces-sero loro da mediatori (Gv 12,21). È pro-babile che quegli uomini ne avessero senti-to parlare in giro, e che le informazioniavute avessero suscitato in loro una tale cu-riosità. Il «ponte» teso dai due discepoliservì certamente ad appagare il loro desi-derio, anche se il vangelo, preso da altri in-teressi, non si sofferma a dirlo.Giovanni Paolo II nella già citata LetteraApostolica dice:«Gli uomini del nostro tempo, magari nonsempre consapevolmente, chiedono ai cre-denti di oggi non solo di ‘parlareì diCristo, ma in certo senso di farlo loro ‘ve-dere’. E non è forse compito della Chiesariflettere la luce di Cristo in ogni epocadella storia, farne risplendere il volto anchedavanti alle generazioni del nuovo millen-nio? La nostra testimonianza sarebbe, tut-tavia, insopportabilmente povera, se noiper primi non fossimo contemplatori delsuo volto...» (n.16).Sono diversi in questo testo gli elementidegni di essere sottolineati.

Anzitutto, la constatazione che il deside-rio di vedere Gesù non è solo un fatto delpassato, ma lo è anche del presente. Queigreci a cui fa riferimento il vangelo diGiovanni, quel Zaccheo la cui esperienzaviene così simpaticamente narrata da Luca,quella Maria di Magdala che, ancora nelvangelo di Giovanni, corre al sepolcro delsuo Maestro spinta dallo struggente desi-derio di vederlo, rivivono oggi in tanti uo-mini e donne del mondo attuale. Magari,come precisa il papa, inconsapevolmente.Perché tale desiderio si può manifestare in38

Presentazione

mille modi differenti. Perfino, in certicasi, in modi che sconcertano o perfinoprovocano delle reazioni di sfiducia o diopposizione, perché non si adeguano aicanoni a cui si è abituati. Tra questi uomini e donne vi sono certa-mente anche i giovani che, proprio per-ché affamati di vita, sono anche implicita-mente affamati di Colui che disse: «Iosono... la Vita» (Gv 14,6).

Un secondo rilievo degno di attenzione èche il papa identifica in qualche modo «icredenti di oggi» con quei due apostoli –Andrea e Filippo – che facilitarono le coseperché i greci potessero vedere Gesù.Svolsero cioè un ruolo esattamente oppostoa quello esercitato da coloro che, ancora aGerico, volevano impedire l’avvicinarsi aGesù di Bartimeo, il cieco che voleva ricu-perare la vista e urlava chiedendo pietà (Mc10,46-52). Al desiderio di vedere Gesù chesperimentano gli uomini e le donne di oggi,devono venire incontro i credenti in lui,per aiutarli a raggiungere tale scopo. Giovanni Paolo II aggiunge per inciso un’os-servazione di rilievo: i credenti sono sollecita-ti non tanto a dire delle parole su Gesù,quanto a farlo in certo senso vedere. Cosìsembrano aver fatto Andrea e Filippo con igreci: non si sono profusi in discorsi su Gesù,

ma – lo possiamo desumere dal vangelo – liportarono per mano perché potessero vederecon i loro propri occhi quel Gesù che tantobramavano conoscere di persona. E una vol-ta portati fino a lui, li lasciarono – lo si puòanche supporre – a contemplare il suo volto.

Una terza cosa che emerge dal testo papalecitato è che per poter svolgere tale ruolo infavore degli uomini e delle donne di oggi, icredenti in lui devono a loro volta essere dei«contemplatori del suo volto». La cosa vie-ne detta con parole molto incisive, quasipungenti: «La nostra testimonianza sareb-be, tuttavia, insopportabilmente povera senoi per primi non fossimo contemplatoridel suo volto...». Non parla solo di povertà,ma anche di «insopportabile» povertà nelcaso che i testimoni fossero privi di con-templazione. Come a dire che è proprio lacontemplazione del volto di Cristo checonferisce consistenza e densità alla testi-monianza data di lui, e la libera perciò delrischio della vuotaggine.

Contemplando il volto di Gesù, come di-scepoli autentici e apostoli appassionativogliamo portare il Vangelo ai giovani.Il percorso formativo che proponiamo se-gue l’anno liturgico e si articola in questomodo:

39

Periodo Temi

INIZIO ANNO Volto di un appassionato per regno di DioImpariamo a volgere lo sguardo

AVVENTO – NATALE Volto di uomo sovranamente liberoL’avvicinarsi di Dio…

MESE SALESIANO Volto di buon pastoreDon Bosco… Lo sguardo di Dio in Don Bosco

QUARESIMA Volto pieno di misericordiaUno sguardo che libera perché ama

TEMPO PASQUALE Volto di splendore e di gloriaLa luce del Risorto genera testimonianza

MESE MARIANO Volto di Cristo, volto di figlio di MariaAffidati a Maria, raggio di Dio

DISCEPOLI AUTENTICI

Un’avvertenza previa

Possiamo paragonare la nostra esplorazio-ne alla ricerca di un volto amato in un albodi fotografie familiari. Gli occhi si vannofermando sulle diverse fotografie che sisusseguono, scoprendo in esse le millesfaccettature del volto ricercato. Su quale albo cercare il volto di GesùCristo? La risposta è tassativa e non può la-sciare spazio al dubbio per chi si dice cri-stiano: sui vangeli. Essi, infatti, sono la te-stimonianza della prima fede, della fede dicoloro che sono vissuti accanto a lui, chel’hanno visto agire, reagire, pregare, guari-re i malati, risuscitare i morti... morireignominiosamente sulla croce, e poi «han-no mangiato e bevuto con lui dopo la suarisurrezione» (At 10,41).

Primo dato della «fotografia» originale del volto di Gesù

A una lettura sufficientemente attenta deivangeli Gesù appare subito come un uomointensamente unificato attorno ad unpunto agglutinante. In lui tutto – le ener-gie corporali, psichiche, intellettuali, voli-tive...- appare come concentrato attorno aqualcosa che attira verso di sé tutto ciò cheegli ha, e tutto ciò che egli è. Il Gesù deivangeli non appare, quindi, come unuomo-farfalla, che si muove costantemen-te da un fiore all’altro, ma come un uomo-roccia, solidamente ancorato a un punto diradicamento.Inoltre, si coglie dai vangeli che questoqualcosa, questo punto unificante attornoal quale si concentra tutta la sua persona èun grande sogno, un progetto di vasto re-spiro, ciò che si potrebbe chiamare una

causa. Punto unificante che è diventato ilsuo tesoro. Tralasciare questo primo dato che salta su-bito alla vista nella lettura dei vangeli sa-rebbe falsare in partenza il suo volto.

Un secondo dato

I vangeli ci forniscono un secondo dato di-stintivo della figura di Gesù: egli vive conautentica passione la sua dedizione al so-gno che si porta nel cuore. La sua non èun’esistenza vissuta nel qualunquismo onell’indolenza, è invece un’esistenza vissutacon intensità e slancio incontenibile, irre-frenabile. Naturalmente, ci sono anche inessa dei momenti di allentamento, in cuil’intensità del suo entusiasmo conosce de-gli abbassamenti di tono. Basta pensare almomento che precede la sua morte, la not-te cioè passata nell’Orto degli Ulivi, nellaquale, secondo la testimonianza del vange-lo di Marco, egli sente paura e arriva a spe-rimentare nausea di tutto (Mc 14,33). Manell’insieme l’attestazione dei vangeli cipermette di cogliere la sua come una vitapiena di slancio e di dinamismo. Una sua frase riportata dal vangelo diLuca esprime bene ciò che stiamo eviden-ziando: «Sono venuto a portare il fuocosulla terra, e come vorrei che fosse già ac-ceso!» (Lc 12,49). L’immagine del fuoco èmolto espressiva, e dice dell’ardore concui egli persegue la causa che ha abbrac-ciato. E le parole «come vorrei che fosse già ac-ceso» traducono l’incontenibile desideriodella sua realizzazione. È questo fuoco ilmotore di tutta la sua instancabile atti-vità, attestata dai racconti evangelici. È daquesto fuoco che scaturiscono il suomodo di comportarsi, le sue azioni e isuoi discorsi.40

Volto di un appassionato per il Regno di Dio

INIZIO D’ANNO1

Un terzo dato decisivo

Quale è il centro unificante dell’esistenzapersonale e dell’attività di Gesù? La rispo-sta a questa domanda è il terzo dato, diestrema importanza, che ci forniscono ivangeli. Attualmente c’è una grande con-vergenza nel riconoscere che tale centro locostituisca ciò che, con un’espressione ti-pica del suo tempo, egli stesso chiama ilregno di Dio.

Gesù l’ha come «stampato» sul suo volto:egli è «l’uomo del regno di Dio», vive po-larizzato attorno ad esso, totalmente con-quistato dal progetto divino che esso rap-presenta. Appunto per ciò è così impor-tante capire come l’abbia inteso. Dal fatto che egli fosse un giudeo possia-mo dedurre con fondamento che la sua at-tenzione al regno di Dio o, forse in parolepiù chiare, alla venuta di Dio stesso a re-gnare in Israele e nel mondo intero, fu inparte in lui un’eredità della lunga espe-rienza di fede e di speranza del suo popo-lo. Ne deve aver individuato l’annunciosoprattutto negli scritti dei profeti cheegli, come ogni ragazzo ebreo, imparò aleggere da piccolo. Ma il modo in cui Gesù intese il regno diDio non coincideva pienamente con nes-suna delle attese del suo tempo. Era singo-lare, proprio e sconvolgente. Aveva inparte qualcosa di tutto ciò che pensavanogli altri, ma in parte prendeva distanza daessi tutti.Una strada che può portare a capire quelsuo modo di pensare è quella di ripercor-rere, nei vangeli, ciò che egli fa. Qualcunol’ha chiamato «la sua prassi del regno».Proprio perché si tratta di un semita, lacui cultura non è portata a esprimersi inmaniera rigorosamente concettuale, comequella occidentale, ma piuttosto in manie-ra operativa. Dice ciò che pensa più facen-do che definendo con rigore ciò che hanella mente.Ora, l’agire di Gesù si dispiega in due di-mensioni complementari: quella che hacome destinatari o beneficiari dei singoliindividui, e quella che prende di mira i

rapporti sociali. Tutte e due sono impor-tanti per capire ciò che egli pensi sul regnodi Dio che lo appassiona.Le guarigioni corporali, gli esorcismi e ilperdono accordato a dei singoli peccatorisono gli interventi più frequentemente at-testati nei racconti evangelici. Egli nonsolo li compie, ma ingiunge anche ai suoidiscepoli di farli (Mt 9,35-36; 10,1.7-8).Spesso tali eventi, certamente straordinarifino al punto di suscitare lo stupore dellefolle (Mt 9,33; 15,31; Mc 5,42; ecc.),sono stati interpretati teologicamentecome miracoli mirati a certificare la suacondizione divina o la sua missione mes-sianica; per Gesù, invece, da quel che sipuò cogliere, essi sono piuttosto dei segnidel regno di Dio che irrompe. Ne indica-no la presenza e la direzione. Stanno a sve-lare il suo senso. Fanno toccare cioè conmano che lo stabilirsi della sovranità bene-vola di Dio implica una restituzione degliuomini alla loro integralità in tutte ledimensioni, a cominciare da quella cor-porale. Significativo al riguardo è il raccontoevangelico della «crisi» di GiovanniBattista. Stando ormai in carcere, eglimanda i suoi discepoli a chiedergli: «Sei tucolui che deve venire o dobbiamo atten-derne un altro?». Come a dire: davvero staarrivando attraverso di te il regno di Dioche anch’io ho annunciato? Gesù rispon-de: «Andate e riferite a Giovanni ciò chevoi udite e vedete: i ciechi ricuperano lavista, gli storpi camminano, i lebbrosisono guariti, i sordi riacquistano l’udito, imorti risuscitano, ai poveri è predicata labuona novella...» (Mt 11,3-6). Sono i se-gni concreti attraverso i quali si rende visi-bile la venuta del regno. E sono tutti,come si vede, segni che riguardano gli uo-mini nella loro integralità.

La «prassi del regno» di Gesù ha però ancheuna dimensione sociale. Riguarda la convi-venza interpersonale e collettiva. Un aspet-to che forse non è stato sempre tenuto suf-ficientemente in conto dalla fede vissuta,data la minore sensibilità nei suoi confron-ti. Oggi ne siamo in genere molto più at-tenti. Essa ci permette di capire che per lui 41

i rapporti tra le persone e i gruppi hanno unpeso notevole nella loro esistenza.Risulta particolarmente illuminante, percapire il suo modo di intendere il regno diDio, vedere come egli reagisce davanti aidifferenti conflitti che attraversavano lasocietà del suo popolo. Tre ne spiccano tratanti: quelli esistenti tra i cosiddetti giustie i peccatori, tra i ricchi potenti e i pove-ri, tra gli uomini e le donne. Sono con-flitti in cui un gruppo forte e in situazionedi vantaggio emargina e perfino sfrutta unaltro gruppo debole e svantaggiato. Fonte,quindi, di acuto malessere per i secondi, edi ingiustizia, almeno oggettiva, per gli al-tri. Sono situazioni relazionali che si cri-stallizzano e acquistano consistenza instrutture di diverso genere: economico, so-ciale, politico, e perfino religioso.

Il modo di reagire di Gesù nei loro con-fronti è sostanzialmente uniforme: li de-nuncia smascherandoli, e propone il lorosuperamento tenendo presenti soprattuttoquelli o quelle che ne soffrono più pesan-temente le conseguenze: i peccatori, i po-veri, le donne. È da rilevare che la sua de-nuncia e la sua proposta non si esprimonoprincipalmente mediante discorsi, chepure fa, ma mediante il suo modo di com-portarsi: si mette sempre dalla parte deiperdenti.Anche questi suoi gesti «sociali» sono se-gni del regno di Dio. Anch’essi ne svelanoil significato. Fanno sapere che lo stabilirsidella sovranità di Dio implica un rovescia-mento di quei tipi di rapporti asimmetriciin cui alcuni stanno bene, escludendo, eperfino sfruttando, gli altri. Non è il tipodi convivenza che Dio ha pensato creandol’uomo, perché esso genera dolore, males-sere e frustrazione. In una parola, morte.Lo si potrebbe dire ancora in un altromodo: è il mondo «rifatto» secondo ilprogetto originario di Dio, quel progettoche rivelano le prime pagine della Bibbia(Gen 1-2), in cui tutto è armonia, gioia,benessere e felicità totale; perciò, il mondoricondotto alla sua totale conformità conil volere primigenio di Dio, un volere se-gnato indefettibilmente dalla bontà illimi-tata verso il mondo.

Il vangelo di Giovanni ne dà una traduzio-ne che è forse più vicina alla nostra sensi-bilità attuale. Lo fa riportando il discorsoin cui Gesù si paragona al buon pastore.Riferendosi alla sua missione nel mondo,egli dice: «Io sono venuto perché abbianola vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv10,10).Questa passione per la vita, e per la vitain abbondanza per tutti e ognuno, è in-dubbiamente il tratto decisivo che caratte-rizza il volto di Colui sul quale stiamo fis-sando il nostro sguardo.

APOSTOLI DEI GIOVANI

Essere uomini del regno come Gesù, mis-sionari dei giovani, significa essere presentinella realtà giovanile. Dalla lettura dei con-testi, dalla situazione giovanile e dalla col-locazione concreta dei giovani nei con-fronti della fede le comunità si sentono sfi-date a prendere posizione e ad impegnarsi.Ma in quale direzione?Alcune sfide per la loro gravità, urgenza eampiezza sembrano interpellare più diret-tamente e fortemente le comunità.Segnaliamo qui la fida della lontananza-estraneità e dell’irrilevanza della fede nellavita e cultura.

La sfida della «lontananza-estraneità»dei giovani dal mondo della fede

È il dato più universale che risulta dalleanalisi a disposizione. La si riscontra persi-no in coloro che hanno percorso le primetappe dell’iniziazione cristiana. I giovanilontani sono numerosi e sono una fortesfida alle comunità, che avverte di esserepiù volte lontana da essi, per mentalità emancanza di comunicazione.Come se fosse indiscutibile e accertato ap-pare che l’essere religioso è in antagonismocon le leggi e i dinamismi che muovonol’uomo di oggi nell’economia, nella politi-ca, nella gestione del potere. Per i giovani,specialmente per quelli che vivono in que-sto clima, la domanda su Dio non è rile-vante, e il linguaggio religioso (salvezza,42

peccato, fede, futuro) è svuotato del suosignificato. La proposta religiosa non trova

più spazio culturale per esprimersi inmodo comprensibile.

43

RIFLESSIONE COMUNITARIA

La risonanza di queste sfide coinvolge tutta l’esistenza della comunitàcredente, colpisce ogni aspetto della sua identità e l’obbliga a verifica-re e a valutare il suo essere e agire. Misurandosi su Gesù di Nazaret,

appassionato per il regno, essa verificherà se mai è al servizio della vita distrutta e mi-nacciata da tante morti, e dovrà ripensare il suo concetto di «salvezza cristiana»:«Educhiamo ed evangelizziamo secondo un progetto di promozione integrale dell’uo-mo, orientato a Cristo, uomo perfetto» (Cost. 31).

Come raggiungere i giovani superando le barriere fisiche, psicologiche e culturali checi separano dal loro mondo?

Come entrare in contatto con loro che, pur essendo nei nostri ambienti, sono lontani enon si interessano della fede?

La comunità vive davvero la fede come la dimensione che dà il sapore e l’orientamentoalla vita?

Quali sono le vie che la fanno apparire nel suo valore ai giovani di oggi e li aiutano aseguirla?

DISCEPOLI AUTENTICI

La sfaccettatura del volto di Cristo cheprendiamo come oggetto di contemplazio-ne, è forse uno dei tratti ai quali si è oggipiù sensibili, soprattutto da parte dei giova-ni, per l’accresciuta sensibilità verso di esso.Il Concilio Vaticano II riconobbe in esso ilnucleo fondamentale della dignità umana,come dichiarò nel suo documento intitola-to, precisamente, Dignitatis humanae.

Gesù si dimostra libero nei confronti dei lacci familiari

Senza dubbio i vincoli creati dal sanguesono spesso nell’esperienza umana i piùforti e i più stretti. Legano intimamentele persone e, in più di un’occasione, le co-stringono ad agire anche in modi che nondesidererebbero. Non mancano casi in cui si è talmente suc-cubi di essi che se ne resta soffocati.Ancora più stretti sono di solito i vincolicon la propria madre, con la quale si pos-sono avere rapporti che contribuisconoalla propria crescita, ma anche che impedi-scono la propria maturazione. Madri pos-sessive e immature mettono a repentagliol’autonomia dei figli, e li rendono infantilianche quando sono adulti.Al tempo di Gesù tali vincoli contavanomolto. Quelli della famiglia ristretta, inparte, ma anche e forse di più quelli dellafamiglia allargata, il clan familiare. Per ilbene e per il male si era legati ad esso, e uneventuale distacco poteva risultare disa-stroso per il singolo membro. Al suo inter-no vigeva una forte solidarietà tra tutti, inmodo tale che ciò che veniva fatto ad unodi essi era considerato come fatto a tutti. In tale quadro di riferimento acquista par-ticolare rilievo il modo di agire di Gesù.

Lo si vede prendere le distanze anzituttodal suo gruppo familiare allargato, provo-cando perfino delle logiche reazioni neisuoi membri. Facevano leva sui vincoli che lo legavano algruppo per interferire nella sua dedizionealla proclamazione del regno di Dio. Allacomunicazione che gli viene fatta: «Ecco,tua madre e i tuoi fratelli sono fuori e ticercano» (3,31), la reazione di Gesù non sifece attendere. E fu una reazione impres-sionante. Ergendosi sulla folla egli si rivol-se loro dicendo: «Chi è mia madre e chisono i miei fratelli? Girando lo sguardo suquelli che gli stavano seduti attorno, disse:Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi com-pie la volontà di Dio, costui è mio fratello,sorella e madre» (3,33-35). D’un colpo sono spezzate le catene deivincoli familiari: questi non potevanoavanzare pretese nei confronti della suamissione. Altri erano passati in primo pia-no, quelli che generava in lui la dedizioneall’adempimento del volere del Padre. CosìGesù si dimostra libero, non legato alle ca-tene che possono creare la carne e il san-gue. La sua passione per il regno di Diolo svincola da ogni legame naturale, an-che da quelli più stretti.Ed egli non si accontenta di vivere una talelibertà, ma la propone anche agli altri.Emblematica è al riguardo la risposta chedà, in un linguaggio che sa di paradossoorientale, a uno che gli dice di volerlo se-guire ma di permettergli di andar prima aseppellire suo padre: «Seguimi, e lascia imorti seppellire i loro morti» (Mt 8,21-22). Niente di più sacro, nell’antichità, deldare sepoltura ai morti, e in particolare aipropri morti. La storia mitologica diAntigone ha espresso in maniera esemplarele esigenze di un tale dovere. Gesù propo-ne una libertà ancora superiore a quella di44

Volto di un uomo sovranamente liberoTEMPO DI AVVENTO E NATALE

2

Antigone, che per dare sepoltura al fratel-lo sfida le leggi del regno e le infrange,poiché dice al discepolo di non occuparsidi seppellire il proprio padre, ma di se-guirlo. Per lui ci sono dei legami chestanno al di sopra di quelli della natu-ra: sono quelli creati dalla condivisionecon Gesù del suo grande progetto. Ed ètale condivisione che rende liberi.

La libertà di Gesù nei confronti dei vincoli della legge

Quasi tanto stringenti quanto i vincolidel sangue erano per un membro del po-polo d’Israele quelli creati dal rapportocon la Legge. Espressione per eccellenzadel volere divino, la Legge data a Mosèera la norma suprema della vita del po-polo, oggetto di venerazione e di amoreda parte di esso. Basta leggere i 176 ap-passionati versetti del Salmo 118 perconvincersene. Essa regolava l’intera esi-stenza del pio ebreo, individualmente esocialmente. Osservandola, si era sicuridi vivere secondo la volontà di Dio. Irabbini sostenevano che prendere su di séil regno di Dio significava adempiere fe-delmente la Legge. Ora, leggendo i vangeli si ha la netta sen-sazione che Gesù, pur seguendo ordinaria-mente le prescrizioni della Legge, si com-portasse con estrema libertà nei suoi con-fronti. Perfino, in alcuni casi, mettendosial di sopra di essa e del suo autore, Mosè. Uno dei casi in cui ciò si può vedere conmaggiore chiarezza è quello del suo mododi rapportarsi con il precetto del ripososabbatico, importante fino al punto chela sua violazione era stata punita con lapena di morte (Lev 15,33-36). Non sono pochi i racconti evangelici incui Gesù appare mentre infrange – alme-no secondo una certa interpretazione –tale legge. Spesso, infatti, opera delle gua-rigioni di sabato, provocando delle reazio-ni aspramente critiche da parte dei suoiavversari (Mt 12,10-14; Mc 3,1-6; ecc.).È molto rappresentativa al riguardo la suapresa di posizione nell’occasione in cui, disabato, i suoi discepoli raccolgono delle

spighe nei campi per sfamarsi. Era un’a-zione che da alcuni maestri della Legge eraritenuta un lavoro, e quindi vietata di sa-bato. «Vedi, perché essi fanno di sabatoquel che non è permesso?», gli rinfaccianoi farisei. Ed egli a rispondere: «Il sabato èstato fatto per l’uomo e non l’uomo per ilsabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signoreanche del sabato» (Mc 2,24.28). Questomettere l’uomo al di sopra di ogni legge,anche di quelle considerate più sacre, saràuno dei motivi che lo condurranno allamorte, come si vede nell’episodio dellaguarigione dell’uomo dalla mano inaridi-ta (Mc 3,1-6).È importante evidenziare quale sia la ra-dice ultima di questa estrema libertà diGesù, anche per coglierne il vero senso.La sua libertà non è, infatti, né capriccioné ricerca del proprio comodo; essa sgorgadalla sua totale dedizione alla causa dellavita in abbondanza per tutti abbracciatafino in fondo. Il fatto di essersi consacratototalmente ad essa lo libera da ogni altracosa. In realtà, quindi, egli non viola la Leggequando non agisce secondo le sue prescri-zioni letterali; ciò che egli fa è attuare lospirito della Legge, ciò per cui è stata datada Dio. Perché, come lascia intendere lastessa etimologia della parola ebraica concui viene designata (tora), essa è illumina-zione della strada che conduce alla vita(Dt 30,19-20), e solo se conduce alla vitaraggiunge il suo scopo. Quando, applicataletteralmente, anziché portare alla vitaporterebbe alla morte, non deve essere at-tuata perché contraddice ciò per cui è sta-ta data.

Gesù, libero davanti alle regole della purità-impurità

Come in tanti altri popoli antichi, anchein Israele era in vigore la distinzione traciò che era ritenuto puro e ciò che era im-puro. Si trattava non di una qualifica mo-rale, bensì di una qualifica «rituale». Perpoter partecipare al culto si richiedevanocerte condizioni, la cui assenza, anche seindipendente della propria volontà, inter-diva tale partecipazione. Il libro del 45

Levitico si diffonde ampiamente nel preci-sare tali condizioni. Costituivano un fittobosco di prescrizioni che finivano per crea-re una specie di «camicia di forza». Unaserie quasi smisurata di cose e di azioni fa-cevano parte del mondo dell’impuro, e di-ventavano dei tabù per la sensibilità popo-lare.Gesù si sentì totalmente libero davanti atali prescrizioni, come attestano unanime-mente i vangeli. Egli le trasgredì in manie-ra manifesta, fino a provocare lo scandalodei suoi avversari.

Più che l’enunciato «teorico» è il suomodo di agire che rivela la sua maniera dipensare su tali cose. In svariati momentiegli passa al di sopra delle prescrizioni ri-tuali, e non si interessa affatto di esse. Lo sivede chiaramente nel caso del lebbroso chegli chiede di essere guarito, e che egli toccasenza curarsi del fatto che quel contatto lorendeva automaticamente impuro (Mc1,41); o in quello della donna che pativaflussi di sangue, che piena di fede gli toccail mantello contagiandogli automatica-mente la sua impurità (Mc 5,25-34); o an-cora nei casi in cui prende per mano la fi-glia di Giairo morta, e quindi in stato ditotale impurità (Mc 5,41), o in cui si lascia

lavare i piedi con le lacrime e asciugarlicon i capelli di una peccatrice pubblica(Lc 7,37-38), ecc. In tutti questi racconti si tocca con manola grande libertà di Gesù che, anziché ba-dare a delle leggi create dagli uomini e di-venute con l’uso inviolabili, s’interessadella vita concreta delle persone che hadavanti. È proprio questo interessamentoche lo rende libero.

APOSTOLI DEI GIOVANI

L’assumere la sfida della lontananza-estra-neità e dell’irrilevanza della fede nella vitachiede agli educatori di accompagnare con-dividere l’esperienza dei giovani. «Amate lecose che amano i giovani» ripete Don Boscoanche nell’attuale situazione, «perché i giova-ni amino ciò che amate voi».Far crescer i giovani in pienezza «secondo lamisura di Cristo, uomo perfetto» è la meta diogni impegno apostolico. È un camminospirituale che segue il cammino di Dio cheviene incontro all’uomo.Il quotidiano ispirato a Gesù di Nazaret èil luogo in cui il giovane riconosce la pre-senza operosa di Dio e vive la sua realizza-zione personale.

46

RIFLESSIONE COMUNITARIA

È sintesi tra fede e vita

La sfida fondamentale per un credente e per una comunità è trasforma-re l’esperienza di vita, in forza della fede, in esperienza evangelica.

Nell’esperienza di don Bosco questa è un’intuizione gioiosa e fondamentale insieme:non c’è bisogno di staccarsi dalla vita ordinaria per cercare il Signore.

È riscoperta dell’Incarnazione

Alla base della valutazione positiva della vita quotidiana c’è la continua scoperta del-l’evento dell’Incarnazione. La condizione umana di Gesù rivela che Dio è presentenella vita, e di questo Dio afferma la trascendenza. Gesù-Uomo è il sacramento delPadre, la grande e definitiva mediazione che rende Dio vicino e presente: egli ci in-segna che il luogo per incontrare Dio è la realtà umana: la nostra e quella degli altri,l’odierna e quella storica. «Tutte le volte che avete fatto ciò a uno dei miei fratelli, loavete fat to a me» (Mt 25,40). È la vi ta umana che ci immette nel l ’eventodell’Incarnazione. La vita, allora, è primariamente «dono» offerto a tutti, dono «miste-rioso» per le attese che suscita.

47

È amore alla vita

Assumere con coerenza l’aspetto ordinario dell’esistenza; accettare le sfide, gli inter-rogativi, le tensioni della crescita; cercare la ricomposizione dei frammenti nell’unitàrealizzata dallo Spirito nel Battesimo; fermentare con l’amore ogni scelta: tutto ciò èpassaggio obbligato per scoprire e amare il quotidiano come una realtà nuova in cuiDio opera da padre.Nell’amorevolezza dell’educatore che con «bontà, rispetto e pazienza» accompagnala costruzione della loro personalità; nell’accoglienza incondizionata della comunitàche esprime la sua predilezione per loro, i giovani scoprono un segno di Dio che amae previene. Nonostante le esperienze negative, il cuore nuovo, che si stanno co-struendo, li aiuta a guardare il mondo in maniera diversa.Questo sguardo farà percepire che all’origine della nostra vita, così com’è, con le suepulsioni e aspirazioni, c’è una chiamata di Dio. Amare la vita non frammentata, maprogettata come vocazione, vuol dire ricevere l’appello ad impegnarsi come costrut-tori di umanità, di giustizia, di pace.

Siamo coscienti che il nostro servizio di educatori alla fede non può arrestarsi al li-vello della crescita umana, anche se cristianamente ispirata?

L’educazione alla fede chiede di proseguire verso il confronto e l’accettazione di unevento rivelato: attraverso quali cammini la comunità mette i giovani in contattoprofondo con Cristo?

Quali aspetti del suo mistero gli educatori in genere sottolineano?

DISCEPOLI AUTENTICI

Facciamo oggetto della nostra gioiosa con-templazione un tratto del volto di GesùCristo che tocca molto da vicino chi, in unmodo o nell’altro, s’impegna nell’azione dieducazione e salvezza dispiegata dallaChiesa: il suo è un volto di Pastore.

Dio Pastore nell’Antico Testamento

Negli scritti veterotestamentari la metafo-ra del pastore adoperata per parlare diDio risponde ad un’esperienza vissuta daIsraele sin dagli inizi della sua storia. I suoicapostipiti, come si sa, furono dei pastoriseminomadi che si aggiravano nella cosid-detta «mezzaluna fertile» spostandosi spes-so con i loro greggi da una regione all’altra.Essi sapevano bene cosa significasse pren-dersi cura delle loro pecore, portarle al pa-scolo e alle acque con cui dissetarsi, difen-derle dai pericoli. La loro vita errabondaaveva una delle sue principali ragioni nelbisogno di trovare pasti abbondanti concui nutrirle. Si capisce così come gli ebrei abbiano usa-to con naturalezza la similitudine del pa-store per riferirsi al loro Dio, e in partico-lare per indicare il rapporto reciproco vis-suto con Lui. Lo si può vedere in un’infi-nità di testi di ogni tipo: storici, profetici,sapienziali.

Gesù pastore

I vangeli attestano che la metafora del pa-store fu usata anche da Gesù stesso.Vi si trova, anzitutto, la parabola, da luiraccontata per giustificare il suo modo dicomportarsi con i peccatori (Lc 15,1), diquel pastore che va in cerca della pecorel-la smarrita e, trovatala, la mette in spal-la tutto contento, va a casa, chiama gliamici e i vicini dicendo: «Rallegratevi con

me, perché ho trovato la mia pecora cheera perduta» (Lc 15,2-6). Un pastore chepoi, nella seconda parabola della serie,trova l’equivalente metaforico nella don-na che ricerca con instancabile premura lamoneta persa, e fa festa con le amiche e levicine quando la ritrova (Lc 15,8-10) e,nella terza, nel padre premuroso che at-tende instancabilmente il figlio sbandato,e organizza anche lui una grande festaquando esso ritorna (Lc 15,12-24).Indubbiamente in tutte e tre le paraboleè raffigurato Dio, quel Dio buono e sol-lecito che Gesù rende presente con il suomodo di comportarsi con i peccatori e gliesclusi. Nel vangelo di Giovanni si ritrova poi illungo discorso del buon pastore, pro-nunciato da Gesù dopo la guarigione delcieco dalla nascita e gli ulteriori sviluppi(Gv 10,1-18). La figura del pastore vero,di quello cioè che vive con coerenza lasua identità, è abbozzata facendo leva sulsuo netto contrasto con il mercenario,colui «al quale le pecore non appartengo-no» e a cui «non gli importa delle peco-re». Il pastore vero si prende cura invecedelle sue pecore, le «chiama una per una»,«cammina innanzi a loro, e le pecore loseguono, perché conoscono la sua voce».Ma, soprattutto, egli, a differenza delmercenario, «offre la vita per le pecore».Nel momento più alto del discorso, Gesùdichiara con solennità: «Io sono il buonpastore» (Gv 10,14); e con non minoresolennità afferma: «Io sono venuto per-ché abbiano la vita e l’abbiano in ab-bondanza» (Gv 10,10), mettendo così inluce il senso ultimo della sua presenza nelmondo.

I tratti di Gesù pastore

Ripercorrendo i vangeli non è difficile in-dividuare i principali tratti che formano48

Volto di buon pastoreMESE SALESIANO3

l’identikit del pastore che è Gesù.Anzitutto, egli dimostra di avere un cuoredi pastore, ricolmo di una sola preoccu-pazione: «Che abbiano la vita in abbon-danza» (Gv 10,10). È infatti tale preoccupazione quella che,come si è già avuto occasione di rilevarepiù di una volta, occupa il centro più inti-mo del suo essere fino a diventare il suo«tesoro». È il fuoco che gli brucia nel petto e che lospinge a parlare e ad agire in un determi-nato modo. Se, come egli stesso ebbe adire, «l’uomo buono trae fuori il bene dalbuon tesoro del suo cuore» (Lc 6,45), è in-dubbiamente dal suo cuore che egli traevafuori la sua illimitata dedizione a Dio eagli uomini, e tra essi particolarmente aipiù deboli e bisognosi.Il suo cuore, lo si può dire con fonda-mento, era interamente modellato suquello del Dio Pastore era già stato ab-bozzato nell’Antico Testamento, e cheegli rivelò in pienezza nel corso della suavicenda. Non era, quindi, un cuore duroe insensibile, ripiegato su se stesso, né uncuore guidato dalla «simmetria» di unagiustizia che ama chi lo ama e aborriscechi non lo ama, ma viceversa un cuore te-nero ed estremamente sensibile, total-mente aperto verso gli altri, e segnato daquella «asimmetria» tipica dell’amoregratuito di alterità. Si potrebbe vederne un simbolo estrema-mente eloquente nel cuore trafitto, e per-ciò aperto e in qualche modo svuotato –«uno dei soldati gli colpì il fianco con lalancia e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv19,34) – che egli si trovò ad avere sulla cro-ce. La solennità con cui l’evangelista loenuncia – «Chi ha visto ne dà testimonian-za e la sua testimonianza è vera e egli sa chedice il vero» (Gv 19,35) – sembra confer-mare l’importanza del simbolo.Dal suo cuore di pastore sgorgano poi ilsuo sguardo, le sue reazioni, e soprattuttoil suo agire di pastore.Esistono indubbiamente molti tipi di sguar-di umani. Ci sono sguardi di curiosità, dimalignità, di avidità, di benevolenza, dicomprensione, di simpatia… Ognuno di

essi coglie nelle persone e nelle cose dei ri-svolti che gli altri non afferrano. I vangeliaccennano più di una volta allo sguardo diGesù (Mt 19,26; Mc 3,34; ... 10,23; Lc19,5; Gv 1,42; ecc.). È uno sguardo moltocaratteristico. Lo sguardo di un pastore pre-cisamente. Prendiamo solo in considerazio-ne, a modo di esempio, due testi evangeliciche lo mettono in chiara luce.

Il primo è quello che accenna allo sguar-do con cui egli guarda le folle: «Vedendole folle ne sentì compassione, perchéerano stanche e sfinite, come pecore sen-za pastore» (Mt 9,36). Si sa chi compone-va queste folle: erano i poveri e sempliciche andavano dietro a lui attendendo cheDio, tramite la sua azione, desse soluzio-ne ai molti problemi che rendevano diffi-cile e persino infelice la loro vita (Mt 8,1;8,18; 9,8.19; 12,23; 13,12; ecc.). Gesù liguarda e «ne sente compassione». Non ècieco o indifferente alla loro condizione.Fosse stato un aristocratico o uno stoicoli avrebbe guardati o con un senso supe-riorità e perfino di disprezzo, o con di-staccata indifferenza; viceversa, egli si la-scia commuovere visceralmente dalla lorosituazione. Li vede, appunto, «come pe-core senza pastore», alla mercé di lupiche minacciano la loro vita, e quindi bi-sognosi di accoglienza, comprensione eaiuto. E a tale visione corrisponde la suafattiva reazione.

Il secondo testo è quello che rende notoun dettaglio del processo che lo portò allacondanna e alla morte: «Allora il Signore,voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ri-cordò delle parole che il Signore gli avevadetto: ‘Prima che il gallo canti, oggi mirinnegherai tre volte’. E, uscito, pianseamaramente» (Lc 22,61-62). Si può intravedere l’intensità di quellosguardo, proveniente da uno che sta an-dando alla morte, rivolto a uno dei suoipiù intimi amici che l’ha appena tradito:non è certamente uno sguardo di condan-na, ma di amore comprensivo e accoglien-te. Gli effetti si vedono subito: Pietro, toc-cato nel più vivo, si scioglie in lacrime dipentimento. 49

Oltre a guardare con occhi di pastore,Gesù reagisce anche pastoralmente davan-ti alle persone e alle situazioni in cui esse sitrovano. Emblematica è, da questo puntodi vista, la sua maniera di comportarsi nelsuo incontro con la vedova di Nain:«Quando fu vicino alla porta della città,ecco che veniva portato al sepolcro unmorto, figlio unico di madre vedova; emolta gente della città era con lei.Vedendola, il Signore ne ebbe compassio-ne e le disse: Non piangere!» (Lc 7,12-13).Questo suo modo di comportarsi è espres-so dall’evangelista con lo stesso termine –«si sentì toccato nelle viscere» – con cuireagì alla vista delle folle. Anche qui allosguardo segue il coinvolgimento intimo,intenso, che lo fa vibrare con lo stesso do-lore della persona sofferente. E, quasicome un sospiro, gli esce dal petto l’invito:«Non piangere!».

Ma il suo sguardo e la sua reazione pasto-rali non sono meramente emozionali,sboccano anzi in un’azione concreta edefficace.Nel caso delle folle, egli risponde ai lorobisogni prima spartendo loro il pane dellasua parola e poi moltiplicando per loro ilpane materiale (Mc 5,34-43); in quellodella vedova di Naim, accompagna l’invitorivolto alla madre di non piangere con larestituzione del figlio richiamato alla vita(Lc 7,14-15). Nella stessa linea si potreb-bero vedere tanti altri suoi interventi rivol-ti a restituire salute ai malati e ai possedutida spiriti cattivi, perdono ai peccatori,amicizia agli esclusi, dignità ai disprezzati.Ma soprattutto la sua morte è veramentela morte di un pastore che, desideroso del-la vita e della felicità delle sue pecore, nonesita a «dare la vita» per esse (Gv10,11.15.17).

APOSTOLI DEI GIOVANI

Percezione salesiana del mistero di Cristo

Il volto di Gesù «buon pastore» fa da mo-tivo ispiratore di tutta la parte delle50

Costituzioni dedicata alla missione salesia-na e contemporaneamente – cosa da sotto-lineare – è pure ispiratore dell’autorità digoverno.

La missione salesiana dunque si autocom-prende come esercizio di «carità salvificadi Cristo», si dice espressamente all’art.41.Nel primo capitolo che tratta dei salesianinella chiesa apre l’oracolo ai pastori diEzechiele 34: «Io stesso cercherò le mie peco-re e ne avrò cura…Io susciterò per loro unpastore unico…Egli le condurrà al pascolo,sarà il loro pastore» (Ez 34,11.23).

Al seguito di Gesù viene irresistibile e fon-dato il richiamo a D. Bosco. Egli ci apparefin dagli inizi «pastorello» – come si dice-con un linguaggio simbolico che fa dasplendida cifra interpretativa di tutta la suaesistenza dedicata ai giovani poveri e ab-bandonati.Egli è uno che del Maestro non solo con-divide la compassione del pastore per lepecore sperdute, ma soprattutto l’azione li-beratrice.Gesù passa alla moltiplicazione del panedella parola (Marco evidenzia che la com-passione del maestro si fa parola illumi-nante) (cf Mc 6,34), ma anche del cibomateriale, «guarendo tutte le malattie e lesofferenze» (Mt 9,35);D. Bosco moltiplica il pane della promo-zione umana e cristiana con gli insegna-menti e i fatti. Efficacemente così si espri-mono le Costituzioni: «La promozione, acui ci dedichiamo in spirito evangelico, rea-lizza l’amore liberatore di Cristo e costituisceun segno della presenza del regno di Dio»(Cost. 33). Specificamente il richiamo al CristoPastore viene fatto per il salesiano sacerdo-te, «il segno di Cristo pastore» (Cost. 45).Viene percepito –per la nostra missione-come uno dei lineamenti della figura delSignore cui siamo sensibili nella lettura delvangelo al seguito di D. Bosco: il suo me-todo di Buon Pastore che conquista i cuo-ri con la mitezza e il dono di sé, il suo de-siderio di riunire i discepoli nell’unità del-la comunione fraterna.

51

RIFLESSIONE COMUNITARIA

Purtroppo «pastore, pastorale» sono o rischiano di essere paroleconsumate, prive di potenza simbolica. Così rischiano di arrivare alcuore della nostra identità come una rappresentazione vuota. Qui la

Bibbia attentamente studiata ha il potere di ridare vigore ad una realtà di estremovigore. Nella Scrittura, superando ogni sdolcinata riduzione sentimentale, il pasto-re è la figura del capo, del re, del padre di famiglia, dove fortezza coraggiosa ver-so i nemici esterni e verso ogni ostacolo si congiunge indissolubilmente con unarara cura di dare buoni pascoli al popolo. Al centro sta la cura del pastore comedice il secondo Isaia (ripreso da Gesù nel c. X di Giovanni), di venir incontro allepecore malate, sperdute, piccole.

La nostra presenza, i gesti umani e di fede delle persone che stanno vicine ai gio-vani costituiscono il primo richiamo alla fede?

Sull’esempio di Don Bosco, siamo sempre disponibili al dialogo e a prenderci curadei più poveri?

Le testimonianze di carità e di impegno traggono la loro motivazione e la loro for-za dall’amore di Cristo?

DISCEPOLI AUTENTICI

La nostra esplorazione contemplativa delvolto di Gesù Cristo fissa ora lo sguardo sudi un altro suo tratto, molto caratteristico,che lascia trasparire nitidamente il volto diDio, il Padre suo e di tutti: quello di essereun volto pieno di misericordia.

L’atteggiamento di Gesù verso i peccatori

Nell’Antico Testamento si può seguire unfilone abbastanza consistente che stabilisceuna netta separazione tra i giusti, colorocioè che compiono il volere di Dio mani-festato attraverso la Legge di Mosè, e gliingiusti o peccatori, ossia quelli che non siattengono a tale volere e conculcano laLegge. I primi sono visti come graditi aDio e da lui benedetti, i secondi come dalui aborriti e perfino odiati (Sal 10,5; Sir12,6). Con frasi abbastanza crude si arriva a direche «Dio spezza loro i denti» (Sal 3,8), eche «tutti i peccatori saranno distrutti, e ladiscendenza degli empi sarà sterminata»(Sal 36,38), e ancora che «se i peccatorigermogliano come l’erba e fioriscono tuttii malfattori, li attende una rovina eterna»(Sal 91,8). In questi termini il giusto espri-me il suo più vivo desiderio: «Scompaianoi peccatori dalla terra e più non esistano gliempi» (Sal 103,35); «Oh, se Dio soppri-messe i peccatori!» (Sal 138,19).Naturalmente, ciò si rifletteva sul modo dicomportarsi dei giusti nei confronti deipeccatori. «Non lasciare che il mio cuore sipieghi al male e compia azioni inique coni peccatori: che io non gusti i loro cibi de-liziosi» (Sal 140,4), è la supplica che fa ilSalmista, e che esprime chiaramente talecomportamento. Il peccatore, in quantoseparato da Dio, doveva venir evitato, e

con lui non ci si poteva condividere nulla,tanto meno la mensa, segno tipico di co-munione e di amicizia.Ai tempi di Gesù un simile modo di pen-sare e di agire era in pieno vigore. Così,nel vangelo di Giovanni si leggono questeparole dette dai farisei nel furore della loropolemica con Gesù: «Questa gente, chenon conosce la Legge, è maledetta!» (daDio, ovviamente) (Gv 7,39). L’atteg-giamento di disprezzo di coloro che si rite-nevano giusti, a posto davanti a Dio, versoi peccatori, quella categoria di persone checomprendeva una larga fascia di membridel popolo con a capo gli esattori delle tas-se e le prostitute, viene bene messo in evi-denza dalla parabola dei due uomini chesalgono al tempio a pregare. Nell’in-troduzione, l’evangelista avverte che Gesùraccontò tale parabola «per alcuni che pre-sumevano di esser giusti e disprezzavanogli altri» (Lc 18,9).

In tale contesto il modo di comportarsi diGesù si dimostra veramente sovvertitoredello statu quo vigente da secoli: egli ac-coglie i peccatori in maniera benevola ecompassionevole, offrendo loro compa-gnia e perdono da parte di Dio. Arriva per-fino a fare comunione di mensa con essi(Mt 9,10; Mc 2,15; Lc 5,29; 15,1-2), con-travvenendo in tal modo alle più radicateabitudini e provocando lo scandalo deigiusti (Lc 15,1-2).Anche davanti a questa situazione egli rea-gisce in linea di principio, ma principal-mente in modo operativo. Il principio, che esprime la sua presa di po-sizione «asimmetrica» e «sbilanciata» neiconfronti del conflitto tra giusti e peccato-ri, lo troviamo enunciato dai vangeli sinot-tici nel racconto della vocazione di Levi,egli pure ufficialmente un peccatore, dalmomento che era un esattore delle tasse.52

Volto pieno di misericordiaTEMPO DI QUARESIMA

4

Alla mormorazione dei farisei che lo vedo-no seduto a mensa con molti pubblicani epeccatori, egli risponde affermando nonsenza una certa solennità: «Non sono isani che hanno bisogno del medico, ma imalati. Andate dunque e imparate checosa significhi: ‘Misericordia io voglio enon sacrificio’. Infatti non sono venuto achiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt9,12-13; cf Mc 2,17; Lc 5,31-32). Appartiene ancora al piano del principiola serie delle tre parabole che egli raccon-ta per giustificare il suo modo di compor-tarsi criticato ancora dai suoi avversari,quelle della pecorella smarrita, della mo-neta perduta e del figlio sbandato (Lc15,4-32). La terza è indubbiamente la piùespressiva. Soprattutto se si tiene contodella contrapposizione evidenziata tra idue fratelli, che impersonano precisa-mente i peccatori (il figlio minore) e i giu-sti (il figlio maggiore). La sollecitudinesconfinata del padre nei confronti del pri-mo, che contraddice tutte le logiche in vi-gore nella religiosità d’Israele, riflette conchiarezza meridiana il pensiero di Gesù inquesto campo.Ma, come si diceva, è soprattutto il com-portamento di Gesù nei confronti dei pec-catori quello che rivela il suo pensiero. Cisono nei vangeli due casi particolarmenterappresentativi di esso: quello della pecca-trice che gli lava i piedi a casa del fariseoSimone (Lc 7,37-50), e quello della donnasorpresa in adulterio (Gv 8,1-11). In tutti e due i casi l’atteggiamento diGesù è sconvolgente. Egli non centra lasua attenzione sul peccato, ma piuttostosulla persona bisognosa di esserne libe-rata. Con una serenità e una sorta di mae-stà che stupiscono, egli avvolge le duedonne nel grande abbraccio della miseri-cordia sua e di Dio, e le strappa dal sepol-cro in cui sono rinchiuse restituendole allavita: «Ti sono perdonati i tuoi peccati»,dice con sconcertante sicurezza alla prima,irrimediabilmente incatenata al suo mododi vivere in prostituzione; «Neanch’io ticondanno; va’ e d’ora in poi non peccarepiù», annuncia alla seconda, che trema aisuoi piedi aspettando la lapidazione da lei

giustamente meritata secondo la Legge. Ea tutte e due dischiude orizzonti nuovi,pieni di possibilità di vita e di futuro.Anche nel momento finale della sua vi-cenda terrena egli, che si dibatte tra le an-gosce e le sofferenze sulla croce, oltre adire a Dio: «Padre, nelle tue mani conse-gno la mia vita» (Lc 23,46), dice pure:«Padre, perdonali, perché non sanno quel-lo che fanno» (Lc 23, 34).

La radice ultima: il Padre delle misericordie

Uno dei libri in cui questo volto di JHWHviene dipinto con maggior nitidezza èquello di Giona. In esso JHWH apparecome Dio di tutti i popoli, sollecito delbene e della salvezza perfino di quel popo-lo che un tempo era stato dominatore eoppressore d’Israele, e invia il suo messag-gero a richiamare a conversione Ninive, lacui malizia era salita fino a Dio (Gio 1,1),perché potesse scampare la distruzione.L’epilogo è l’effettiva conversione dellacittà e la conseguente «conversione» diDio: «Dio vide le loro opere, che cioè sierano convertiti dalla loro condotta mal-vagia, e Dio si impietosì riguardo al maleche aveva minacciato di fare loro e non lofece» (Gio 3,10). A dispetto del Profetache, in un dialogo elaborato con fina iro-nia da parte dell’autore, si lamenta consdegno: «Signore, non era forse questo chedicevo quand’ero nel mio paese? Per ciòmi affrettai a fuggire a Tarsis; perché soche tu sei un Dio misericordioso e cle-mente, longanime, di grande amore e cheti lasci impietosire riguardo al male mi-nacciato» (Gio 4,2). È questo il Padre buono e misericordiosoche Gesù rende presente con il suo com-portamento verso i «miseri», verso colorocioè che sono umanamente indegni diamore e di sollecitudine, perché per pro-pria colpa se ne sono resi tali.

Una parabola altamente eloquente

Forse non c’è nei vangeli un brano più elo-quente da questo punto di vista della para-bola del «figlio prodigo» o meglio, come 53

preferiscono chiamarla altri, del «Padre mi-sericordioso» (Lc 15,12-24). Al figlio che siè allontanato sbattendo insolentemente laporta in faccia al padre, dichiarandolo mor-to nel richiedergli la parte dell’eredità chegli spettava, e poi ancora dissipando i suoibeni in una vita dissoluta, il padre lo atten-de non come umanamente si aspetterebbe,ma in maniera totalmente sconvolgente:«Quando era ancora lontano il padre lo videe commosso gli corse incontro, gli si gettò alcollo e lo baciò» (15,20), e non contento diquesto «disse ai servi: ‘Presto, portate qui ilvestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’a-nello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vi-tello grasso, ammazzatelo, mangiamo e fac-ciamo festa’ « (15,22). Ha capito bene il senso profondo del rac-conto il pittore Rembrandt quando, comefanno notare i commentatori, nel rappre-sentare l’incontro tra padre e figlio, ad unadelle mani poste sulle spalle del figlio die-de un aspetto maschile e all’altra un aspet-to femminile. Il Dio della parabola è dav-vero il Dio del «seno materno» prefigura-to nella «misericordia» dell’AnticoTestamento.

Nella parabola si vede come Gesù abbia fat-to suo e portato al culmine quel filone vete-rotestamentario che delineava il volto diJHWH come il volto di un Dio «asimmetri-co», che non ama chi è buono e odia chi ècattivo, ma ama con amore di benevolenzatutti senza distinzione e senza condizione.Un Dio «gratuito», quindi, che «è benevoloverso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,36).

APOSTOLI DEI GIOVANI

Più che «educatori paterni», siamo «padrieducatori».Questa verità deve riflettersi nella nostraattività: oltre che dei buoni «maestri», igiovani devono poter vedere e sperimenta-re in noi dei «padri».È questa la prospettiva del giudizio finaleda parte di Gesù e del Padre. Non in basealle belle prediche o alle dotte lezioni,non per le eccellenti dinamiche di grup-po che abbiamo svolto con i nostri giova-ni, ma secondo la fedeltà alla nostra vo-cazione di «sacramenti» del suo amorepaterno.

54

RIFLESSIONE COMUNITARIA

Il sacramento della Riconciliazione

Il sacramento della Riconciliazione, che celebra l’amore di Dio piùforte del peccato, fu da Don Bosco presentato ai giovani come una

delle colonne fondamentali dell’edificio educativo.Per questo a Valdocco veniva celebrato frequentemente ed era circondato di parti-colari attenzioni.Lo si voleva orientato alla vita, cioè migliorare i rapporti interpersonali; creare lecondizioni per un impegno più manifesto nel compimento dei propri doveri; soste-nere la conversione e il rinnovamento del cuore. Si prolungava, poi, nella direzione spirituale, per rinforzare l’adesione al Signore,e nell’incontro fraterno con l’educatore attraverso la condivisione gioiosa della vita.I giovani sostenuti dall’amore che comprende e perdona trovano la forza per rico-noscere il proprio peccato e la propria debolezza, bisognosa di sostegno e di ac-compagnamento. Si educano al rispetto delle persone, si formano alla coscienzaretta e coerente.

Il sacramento dell’Eucaristia

Il sacramento dell’Eucaristia preparata attraverso un clima di solidarietà e di amici-zia è vissuta come un incontro festivo, pieno di simboli ed espressioni giovanili. È

55

celebrazione gioiosa della vita. Diventa così per i giovani un significativo momentodi crescita religiosa: la si chiama seconda colonna dell’edificio educativo nelSistema Preventivo. Dall’Eucaristia, infatti, il giovane apprende a riorganizzare lasua vita alla luce del mistero di Cristo che si dona per amore.Il giovane è portato a ricercare la donazione generosa di sé, aprendosi alle neces-sità dei compagni e impegnandosi nelle attività apostoliche, adeguate alla sua etàe maturazione cristiana.L’Eucaristia diventa, così, per lui una fonte di energie nuove per crescere nella gra-zia. L’educazione al vero amore passa attraverso l’Eucaristia.

Le celebrazioni liturgiche della Chiesa, i sacramenti della vita cristiana, costituisco-no i punti forza della vita personale, comunitaria e educativa?

Come è possibile vivere in maniera più consapevole e attiva le celebrazioni liturgiche?

Quale spazio occupala preghiera all’interno delle nostre giornate?

Ci sono momenti in cui condividete l’esperienza della preghiera assieme ai giovani?

DISCEPOLI AUTENTICI

Concludendo la contemplazione di alcunedelle molteplici sfaccettature di quel pre-zioso diamante che è il volto di GesùCristo, riteniamo importante fissare losguardo sullo splendore luminoso di cuilo riveste e lo riempie la risurrezione.

L’epilogo della vicenda storica di Gesù

Dai tetti in giù, come si sa, la vicenda sto-rica di Gesù, interamente centrata attornoall’annuncio gioioso dell’imminente ve-nuta del regno di Dio, finì nel più umi-liante fallimento. Non il trionfo, ma ilsupplizio della croce venne a incoronaretutti i suoi sforzi. Egli morì, secondo le te-stimonianze evangeliche, nel più dolorosoabbandono di tutti (Mt 26,56; Mc 14,50).Perfino, in certo qual senso, di Dio stesso(Mt 27,46; Mc 15,34). Ma la fede sa che il vero sbocco della suavicenda fu la risurrezione. I discepoli, chesi erano dispersi pieni di paura al momen-to della sua morte, si radunarono nuova-mente poco dopo come ridestati da un in-cubo. Essi vissero un’esperienza del tuttosingolare: quel Gesù che avevano abban-donato frettolosamente nell’Orto degliUlivi e della cui morte atroce erano certi,«si mostrò ad essi vivo, con molte prove,apparendo loro per quaranta giorni e par-lando del regno di Dio» (At 1,3). E furono«pieni di gioia» (Lc 24,41.52).

Naturalmente, la sua risurrezione non fucome quelle che essi presenziarono lungol’attività di Gesù, grazie alle quali la figliadi Giairo (Mc 5,36-42), il figlio della ve-dova di Nain (Lc 7,12-15) e il suo amicoLazzaro (Gv 11,32-44) ritornarono a«questa» vita, per poi ricadere nuovamen-te, dopo un tratto di tempo, nella morte.

La sua risurrezione fu un uscire da «que-sta» vita ma per entrare in quella di Dio,per sempre. Come ebbe a dire S. Paolo, daallora «la morte non ha più potere alcunosu di lui» (Rm 6,9).Da quel misterioso «oggi» in cui venne ge-nerato dal Padre a nuova vita (At 13,33), eda Lui costituito «Figlio di Dio con poten-za secondo lo Spirito di santificazione»(Rm 1,3), sul suo volto si riflette la gloriastessa di Dio (2 Cor 4,6; Ap 1,6). Egli è, diconseguenza, «il Signore della gloria» (Rm1,4; 1Cor 2,8).Tutto ciò vuol dire che ora egli ha il voltodi chi è nella pienezza della vita, quellapienezza a cui aspira dal più profondo ogniessere umano, pur senza sapere concreta-mente in che cosa consista. Egli è infatti«il Vivente» (Ap 1,18), «il Primogenito dicoloro che risuscitano dai morti» (Col1,18). Sul suo volto pieno di luce non c’èora la benché minima ombra di morte.

La gloria di Gesù è la gloria del crocifisso risorto

Il capitolo quinto dell’Apocalisse si apre conuna scena solenne: davanti al trono del Dioche guida la storia appare «ritto, in mezzo altrono circondato dai quattro esseri viventi edai vegliardi, un Agnello, come immolato»(Ap 5,6). A lui viene consegnato il libro chenessuno né in cielo, né in terra, né sotto ter-ra era in grado di aprire e di leggere. I sim-boli sono eloquenti: solo all’Agnello sonosvelati i destini della storia, e solo lui li puòportare a compimento. L’Agnello, come si sada altri testi neotestamenti, è Gesù (Gv1,29.36; 1 Pe 1,1).Non possono passare inavvertiti altri duetratti simbolici con cui l’Agnello viene pre-sentato: è «ritto... come immolato». Ritto, inpiedi, perché risorto, trionfatore della morte;immolato, perché porta in sé i segni della56

Volto di splendore e di gloriaTEMPO DI PASQUA5

sua passione. È un modo per dire che Coluiche è ora il Signore della storia, perché vin-citore della morte e di tutte le forze che laassecondano, è lo stesso che patì il suppliziodella croce. Il risorto è il crocifisso, ed è ri-sorto proprio perché è stato crocifisso.Come precisa l’inno cristologico di Fil 2,6-11, perché egli fu «obbediente fino allamorte, e alla morte di croce, per questo Diol’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al disopra di ogni altro nome». In questa luce si può dire che egli si con-quistò la gloria assecondando fino in fon-do i voleri del Padre suo

Dove contemplare oggi la gloria del Cristo risorto?

Spesso nell’ Anatico Testamento si diceche la gloria di Dio si rende presente emanifesta nel mondo. I luoghi della suamanifestazione luminosa sono certamenteanzitutto le opere della creazione (Sal18,2; 28,3), ma sono soprattutto i suoi in-terventi nella storia, come si legge in in-numerevoli testi storici e profetici. Il po-polo di Dio è convinto che le grandi gestadella sua storia, a cominciare da quella ini-ziale della liberazione dalla schiavitù diEgitto, siano dei segni palesi della sua glo-ria. Ed è anche convinto che ce ne saràuna straordinaria manifestazione nel futu-ro: «Fra le genti manifesterò la mia gloria»,promette solennemente lo stesso Dio perbocca del profeta Ezechiele (Ez 39,21). I credenti in Gesù sanno che tale promes-sa si è già avverata, e si è avverata precisa-mente nella sua risurrezione, la meravi-glia per eccellenza operata da Dio, nellaquale Egli si coprì di gloria trionfando de-finitivamente in lui sulla morte. Facendomorire la morte nel suo Figlio, che morì diuna morte feconda perché piena di frater-nità (Gv 15,13), egli trionfò dell’ultimo epiù radicale dei nemici dei suoi piani (1Cor 15,26; Ap 21,4). Ma ci chiediamo: dove si manifesta oggila gloria del Cristo risorto? dove la si puòscorgere e contemplare?La risposta più logica sembra essere questa:essa si manifesta lì dove, attraverso una

morte feconda, come la sua, si sbocca nel-la vita. E lì dove il Dio vivente fa conoscereattualmente «la potenza della sua risurrezio-ne», come dice S. Paolo (Fl 3,10). Il che avviene concretamente nella vitapersonale, allorché si verifica un supera-mento dell’egoismo ad opera dell’amore,del rancore ad opera del perdono, dell’ag-gressività ad opera dell’accoglienza ...Superare infatti l’egoismo, il rancore, l’ag-gressività, equivale a far morire nel pro-prio cuore ciò che produce la morte. Èattuare la parola di Gesù che dice: «Se ilchicco di frumento caduto in terra nonmuore, rimane solo; se invece muore, pro-duce molto frutto» (Gv 12,24).E ciò, sia nella vita dei credenti come inquella di quelli che credenti non sono.Anche ad essi, infatti, è data «dallo SpiritoSanto la possibilità di partecipare, nelmodo che Dio conosce, al mistero pasqua-le di Cristo» (Gaudium et Spes 22e). Avviene anche nella vita sociale, a corto oa lungo raggio, ogniqualvolta si produce ilsuperamento dell’accaparramento egoi-stico, sia economico che sociale, politicoo culturale, ad opera della condivisione, odella violenza ad opera del dialogo, o del-la indifferenza ad opera dell’interessamen-to fattivo e operoso... La condivisione, ildialogo, l’interessamento verso gli altrigruppi e verso gli altri popoli sono tutteforme di fecondità che generano vita, equindi sono nella direzione della logicapasquale che fa apparire nel mondo lagloria di Dio e di Cristo.

La missione del cristiano: far risplen-dere il volto glorioso di Gesù Cristo

Quando Pietro stava sul monte della tra-sfigurazione ed ebbe la fortuna di con-templare il volto del suo amato Signoresplendente «come il sole» (Mt 17,2),avrebbe voluto rimanervi per sempre a gu-stare tale visione. Disse, infatti, in un ec-cesso di entusiasmo, a Gesù: «Signore, èbello per noi restare qui; se vuoi, farò quitre tende, una per te, una per Mosè e unaper Elia» (Mt 17,4; Mc 9,5; Lc 9,33). È interessante il dialogo che S. Agostino,qualche secolo dopo, immagina di intavola- 57

re con Pietro dopo averlo ascoltato presenta-re tale richiesta: «Pietro, scendi, non stare las-sù – gli dice accoratamente -; guarda chequaggiù i tuoi fratelli ti attendono e hannobisogno di te». E di fatto Pietro dovettescendere. E scese per seguire ancora Gesùlungo tutto il resto della sua vicenda, fino allacroce e alla risurrezione, e ancora oltre. Sipuò supporre che il dolce ricordo dell’espe-rienza fatta sul monte l’abbia accompagnatotutta la vita, dando senso e forza al suo impe-gno di testimone del Risorto (At 2,32).Anche noi siamo stati sul monte, a contem-plare a lungo e con amore il volto di GesùCristo. Abbiamo goduto fissando intensa-mente gli occhi del cuore e della mente sul-le sue diverse sfaccettature. Ora si tratta discendere dalla contemplazione all’azionedi ogni giorno. Essa dovrebbe nutrirsi diciò che abbiamo attinto dalla visione diquella luce splendente. Particolarmente diquella della risurrezione.S. Ireneo di Lione condensa splendida-mente tutto il Vangelo in una frase: «Lagloria di Dio è l’uomo vivente». Essa tra-duce bene la «definizione» di Dio data, nelpunto più alto della rivelazione, dalla pri-ma lettera di Giovanni: «Dio è amore» (1Gv 4.8.16). Amore, secondo il termineoriginale utilizzato, di gratuità e benevo-lenza, che non mette al centro se stesso,ma la persona amata e il suo bene. Se, quindi, lo scopo ultimo dell’agire cristia-no è quello di dare gloria a Dio, e la gloria diDio-Amore è la pienezza di vita dell’essereumano, si capisce che, in definitiva, tale sco-po ultimo si traduce nello sforzo di far bril-lare la luce della risurrezione sul volto diogni uomo e ogni donna. È fare sì che essi,

anziché avere un volto adombrato dallamorte, ne abbiano uno splendente di vita,come quello di Gesù risorto. Il vescovo martire del Salvador, OscarRomero, che aveva consacrato la sua vita alservizio dei poveri della sua terra, amavaaggiungere una puntualizzazione alla frasedi S. Ireneo: «La gloria di Dio è il poverovivente». Perché sapeva per esperienza cheera sul volto dei poveri e dei piccoli di que-sto mondo che si proiettavano particolar-mente le ombre della morte in mille modidiversi. Erano essi «i nuovi crocifissi dellastoria». Bisognava «farli scendere dalla cro-ce» e portarli alla gloria.Solo facendo fattivamente proprio tale im-pegno si può dare un senso genuino allacontemplazione del volto di Colui che,nella parabola di Mt 25,31-46, disse: «Inverità vi dico: ogni volta che avete fattoqueste cose a uno solo di questi miei fra-telli più piccoli, l’avete fatto a me» (v. 40).

APOSTOLI DEI GIOVANI

Allo stato di uomo perfetto…alla piena maturità di Cristo (Ef 4,13)

È un testo senza dubbio molto salesiano perle evidenti implicazioni educative. Per questaragione il motivo dell’uomo nuovo, dell’uo-mo perfetto è stato posto nel cuore dellamissione salesiana (art 31): «Educhiamo edevangelizziamo secondo un progetto di promo-zione integrale dell’uomo orientato a Cristo,uomo perfetto. Fedeli alle intenzioni del nostroFondatore, miriamo a formare «onesti cittadi-ni e buoni cristiani»».

58

RIFLESSIONE COMUNITARIA

Incontro con Gesù Cristo Risorto

Vivere lo spirito delle beatitudini nello stile di Valdocco è realizzarelegami di stretta amicizia tra Gesù e il giovane.Non ci si contenta più del primo incontro e della simpatia verso il Signore. Si vo-gliono approfondire la conoscenza e l’adesione alla sua Persona e alla sua causa.Si cerca una risposta concreta al suo amore, ricambiato con impegno e generosità.

59

I giovani, quando sono giunti a questa relazione con Cristo Signore, si aprono allaradicalità evangelica.Amico, Maestro e Salvatore sono i termini che descrivono la centralità della perso-na di Gesù nell’esperienza spirituale dei giovani che vivono lo stile di Don Bosco.

Per edificare un cuore nuovo

Preoccupazione costante di don Bosco fu di educare alla fede, camminando «con igiovani per condurli alla persona del Signore risorto» affinché…crescessero «comeuomini nuovi».Don Bosco amava ripetere che «l’educazione è cosa di cuore» anche il camminodella spiritualità richiede un cuore nuovo. Se non si raggiunge questo centro chemuove la vita umana, non si realizzerà alcuna conversione profonda e duratura.A contatto con il Signore risorto i giovani rinnovano un amore più intenso per lavita. In amicizia con il Signore risorto si plasmano un «cuore oratoriano», che vibracon la irrequieta sensibilità giovanile e con la forza silenziosa ma efficace delloSpirito Santo.

Come il credere in Cristo morto e risorto rende possibile il passaggio dalla mortedel peccato alla riconciliazione con Dio e con i fratelli?

Come riusciamo a leggere nelle tante vicende della nostra storia i segni di speran-za e di vita già presenti in essa?

Con quali segni e con quali azioni la nostra comunità manifesta la vittoria pasqua-le della vita sulla morte?

DISCEPOLI AUTENTICI

Il titolo più bello, tra i tanti che la fede el’amore hanno attribuito a Maria diNazareth lungo i secoli, è indubbiamentequello con cui è insignita, sin dalle origini,nel libro degli Atti degli Apostoli: la «madredi Gesù» (At 1,14). Esso racchiude in sétutta la grandezza e tutta la gloria dell’u-mile «serva del Signore» (Lc 1,38). Ora, come spesso succede, i figli portanoimpressi sul volto, in maggior o minor mi-sura, i tratti del volto della propria madre.Sono, lo si può dire utilizzando una cele-bre frase biblica, «a sua immagine e somi-glianza» (Gen 1,26). Fisiologicamente, maanche spiritualmente. Si può supporre che fisiologicamente Gesùrassomigliasse molto a sua Madre; ma so-prattutto ci deve essere stata una grandesomiglianza spirituale e interiore tra luie lei. Contemplare, quindi, il suo volto, si-gnifica intravedere anche quello dellaMadre sua riflesso in esso.

Maria modellatrice del volto di Gesù

Non è molto ciò che sappiamo sull’infan-zia di Gesù. Come è risaputo, i cosiddetti«vangeli dell’infanzia» sono più delle con-fessioni di fede sull’identità messianica diGesù che delle informazioni storiche suisuoi primi anni.Se si vuole quindi sapere qualcosa su diessa, bisogna rivolgersi piuttosto agli studifatti sulla condizione della famiglia inIsraele a quei tempi. Da essi ricaviamo cheil bambino era affidato inizialmente allamadre per ciò che riguardava la cura mate-riale e la primissima formazione; succes-sivamente subentravano anzitutto il padree, un po’ più tardi, per i figli maschi, lascuola, dove imparavano a leggere ed

eventualmente a scrivere la Tôrah, espres-sione sacrosanta della volontà di JHWH.Una formazione che culminava verso i tre-dici anni con la celebrazione in cui veniva-no dichiarati «bar mitzvà» (figlio del pre-cetto) e maggiorenni. Si può pensare conragione che Gesù, come ogni altro bambi-no ebreo maschio, abbia ripercorso questoprocesso di formazione.Possiamo quindi pensare che sia stataMaria, la giovane madre del suo «figlio pri-mogenito» (Lc 2,7.23), a plasmare il vol-to interiore di Gesù, lei, che aveva primaplasmato fisiologicamente nel propriogrembo il suo volto corporale. Sulle sue gi-nocchia egli deve aver succhiato, insieme allatte che nutriva il suo corpo e lo facevacrescere «in età», l’altro latte, quello dellafede del suo popolo che nutriva il suo cuo-re e il suo spirito, e lo faceva crescere «insapienza e grazia davanti a Dio e agliuomini» (Lc 2,52). Non è da escludere poi, quando frequenta-va la scuola e andava assimilando i testi sa-cri, che Maria l’abbia anche accompagnatoe illuminato con le luci che le venivanodalla sua profonda esperienza di fede.Essa deve essere stata, di conseguenza, laprima e decisiva formatrice della fisiono-mia religiosa del suo figlio, segnandolaprofondamente con la sua impronta di don-na intensamente credente. Il volto interioredel figlio doveva portare impressi, sin dagliinizi, i tratti di quello di sua madre.

Un tratto di fondamentale importanza

Un apporto proveniente dalle attuali scien-ze umane, può aiutarci a cogliere e ad evi-denziare meglio ancora la somiglianza delvolto interiore, spirituale, di Gesù e disua Madre. In ambito psicologico c’è statoinfatti chi, analizzando le peculiarità delle60

Volto di Cristo, volto di figlio di Maria

MESE MARIANO6

differenti forme di amore che si ritrovanonell’arco dell’esperienza umana, ha attribui-to all’amore materno quella dell’amore perla vita (E. Fromm). Tipico di questo amo-re, proprio della donna che genera nel pro-prio grembo e dà la vita, a differenza di altrimodi di amare quali sono quello paterno,quello fraterno o quello sponsale o amicale,è appunto l’istillare nel cuore di colui o co-lei che essa genera l’amore per la vita. Perquella propria e per quella degli altri.È un contributo prezioso che può venirci inaiuto per illuminare ulteriormente il rap-porto tra Maria e Gesù, e la somiglianza delloro volto interiore. Come abbiamo avutooccasione di vedere più volte, Gesù apparenei vangeli come un uomo appassionatoper la vita concreta delle persone con cuiè a contatto. Tale passione lo spinge a resti-tuire agli ammalati la salute corporale o psi-chica, a liberare dalle loro catene quelli chesono posseduti da spiriti cattivi, a sgombe-rare i cuori dei peccatori dal peso dei lorodebiti nei confronti di Dio; lo muove an-che a cercar di cambiare quei rapporti tra lepersone e i gruppi che generano infelicità etristezza, specialmente nei più deboli e pic-coli; lo sprona inoltre a denunciare le falsesicurezze religiose o sociali che portano indefinitiva alla morte… È una passione chelo spinge perfino a strappare letteralmentealcuni dal regno della morte, per restituirlia quello della vita.Ora, tenendo presente l’apporto psicologi-co appena ricordato, possiamo supporreche questo modo di comportarsi di Gesùsi debba in gran parte all’intenso amorematerno con cui egli è stato accolto e cir-condato da Maria, e nei primi anni dellasua esistenza. Grazie a questa giovane ma-dre, quindi, al suo amore semplice ma in-tenso, Colui sul cui volto vogliamo fissarecontemplativamente gli occhi, fu quelloche fu.

Altri tratti del volto…

Oltre al tratto fondamentale e indubbia-mente collegati con esso, una serie di altritratti caratterizzano il volto della Madre eappaiono luminosi in quello del Figlio.

Certo, la figura di Maria che tramandanoi vangeli va intesa alla luce dello stesso cri-terio sopra enunciato per quella di Gesù:le cose che dicono di lei sono più delle af-fermazioni teologiche che delle informa-zioni storiche, perché mirano più a chiari-re l’identità messianica del Figlio che aerudirci sulla storia della Madre. Ma anche in questo caso, tra le righe ciforniscono dei dati altamente significativi.Vale la pena raccoglierne alcuni dei più ri-levanti.Anzitutto, Maria viene presentata dai van-geli come una donna di profonda fede. Ilsaluto con cui l’accoglie Elisabetta quandoarriva a casa sua, è molto espressivo al ri-guardo: «Beata colei che ha creduto nel-l’adempimento delle parole del Signore»(Lc 1,45). La sua fede, come quella di tutti i creden-ti biblici, è fondamentalmente fiducia ra-dicale nel Signore che parla dicendo paro-le di benedizione e di vita. È quindi ade-sione a Dio e adesione anche a ciò cheEgli dice. Di tale fede Maria dà una parti-colare testimonianza ai piedi della croce,assistendo, secondo la testimonianza diGiovanni, il Figlio morente (Gv 19,25).Quasi come sottolineando la fermezza diquesta sua fede l’evangelista dice che ella«stava in piedi» presso la croce. È unacredente che non indietreggia neanche da-vanti alle più estreme difficoltà.Che Gesù sia stato in questo senso unuomo di intensissima fede lo attestanotutti gli scritti neotestamentari. Basta legge-re i vangeli per coglierne subito la presenzanella sua vita. Come dice la lettera agliEbrei parlando di Mosè, egli visse sempre«come se vedesse l’invisibile» (Eb 11,27).Come se vedesse Dio, e quel mondo che lesue parole dischiudevano. Egli, come Maria e iniziato certamente dalei, credette intensamente «nell’adempi-mento delle parole del Signore». La stessalettera agli Ebrei dice di lui che è il «perfe-zionatore della fede» (Eb 12,2), colui cioèche la visse fino in fondo. Perciò fu, si po-trebbe dire, il più grande credente della sto-ria. E nel suo volto di credente si possonocogliere senza dubbio i tratti di quello del-la Madre. 61

Al centro della fede di Maria, giovane don-na del popolo d’Israele, c’era indiscutibil-mente Dio. Un Dio la cui immagine che siera andata chiarendo, purificando e arric-chendo lungo i secoli, attraverso le svariatevicende del popolo stesso. È nel Cantico delMagnificat, posto dall’evangelista sulle lab-bra di Maria nel suo incontro con Elisabetta,dove appare tratteggiato con particolare lu-minosità il volto di tale Dio. Non è difficile constatare l’affinità di taleimmagine con quella che presiedette l’interavita religiosa di Gesù. Anche da questo pun-to di vista Gesù è figlio di sua Madre. Eglideve aver succhiato con il latte materno que-sta figura di Dio che poi, a contatto con leScritture e nel cammino della sua personaleesperienza religiosa, si affermerà e andrà cre-scendo fino ad occupare l’intero suo cuore ead orientare l’intera sua azione. Il Dio del re-gno che egli annunciava come imminenteera, infatti, un Dio che aveva precisamente iconnotati enunciati dal Magnificat.Un ulteriore tratto del volto di Mariaemergente dai vangeli è quello della suainteriorità. Da ciò che racconta soprat-tutto il vangelo di Luca, il quale fa di leiil simbolo della comunità credente, sipuò desumere che Maria non viveva nellasuperficie delle cose, attratta dalla loroapparenza ed esteriorità, ma penetravanella loro profondità. Sapeva scenderenegli avvenimenti della vita scandaglian-do il loro senso ultimo, quello che aveva-no agli occhi di Dio. Per ben due voltenel suo «vangelo dell’infanzia» Luca diceche ella serbava «nel suo cuore» – il luo-go dell’interiorità – gli avvenimenti che lariguardavano e che riguardavano il suoFiglio (Lc 2,29.51), e in una di esse ag-giunge che le serbava «meditandole»

(v.29), e cioè, come suggerisce il termineoriginale, soppesando attentamente illoro significato. Nessuna leggerezza,quindi, in lei, ma viceversa saggezza eponderazione.

APOSTOLI DEI GIOVANI

Maria ci aiuta a verificare la maturità della nostra fede

«Contempliamo e imitiamo la sua fede,lasollecitudine per i bisognosi, la fedeltà nell’o-ra della croce e la gioia per le meraviglie ope-rate dal Padre» (Cost 92). Giovanni è la prova della capacità diMaria di educare figli che diventano au-tentici «padri». Il lavoro pedagogico diMaria nei confronti di Giovanni non fusolo informativo ma soprattutto efficace-mente trasformatore. Sappiamo cheGiovanni era chiamato «figlio del tuono»(Mc 3,17) perché aveva un temperamentoviolento. Faceva intrighi, attraverso suamadre, per ottenere che lui e suo fratelloGiacomo fossero anteposti a Pietro (CfrMt 20, 20-23) e adirato desiderava chescendesse fuoco dal cielo su coloro che nonsi aprivano alla sua predicazione. Eppure l’influsso di Maria lo convertì nel-l’apostolo per eccellenza del Dio di Amore,con un’immensa gioia davanti al misterodella nostra filiazione in Cristo, che lo faràesclamare: «Quale grande Amore ci ha datoil Padre per essere chiamati figli di Dio, e losiamo realmente!» (1Gv 3,1).«Guidato da Maria che gli fu Maestra, Don

Bosco visse nell’incontro con i giovani del primooratorio un’esperienza spirituale ed educativache chiamò» Sistema Preventivo»(Cost 20).

62

RIFLESSIONE COMUNITARIA

Maria, Madre e Aiuto della Chiesa

La spiritualità giovanile salesiana dà un posto privilegiato alla per-sona di Maria. Don Bosco fin dall’inizio della sua vocazione, nel sogno dei 9 anni,la ricevette come guida e sostegno. Con il suo materno aiuto compì il disegno che

63

il Signore aveva sulla sua vita. Al termine della sua fatica poté affermare con verità:«Tutto ha fatto Maria».A contatto con la comunità credente i giovani imparano a guardare a Maria comea colei che infonde speranza e suggerisce loro alcuni atteggiamenti tipicamenteevangelici: l’ascolto, la fedeltà, la purezza, la donazione, il servizio.I giovani vivono tutti certi tempi difficili di trasformazione ma anche di entusiasmo,per la novità che li attende e che desiderano con tutte le loro forze. Maria, invoca-ta e onorata con il titolo di «Ausiliatrice», è per loro «segno di certa speranza e diconsolazione» (cf Cost. 34).Quando giungono ad una devozione mariana motivata, i giovani scoprono gli oriz-zonti verso cui li sospinge l’Ausiliatrice: un ardente zelo apostolico che li fa diven-tare apostoli e missionari dei loro compagni. Il giovane credente, spinto dalloSpirito, è a servizio dell’uomo,come la Chiesa, esperta in umanità.

Sappiamo coinvolgere i giovani, come fece Don Bosco, e renderli protagonisti del-l’evangelizzazione degli altri giovani?

Dio chiama ancora oggi i giovani a seguirlo. Accompagniamo i giovani nell’ela-borazione del loro progetto di vita e sappiamo, al momento opportuno, fare la pro-posta vocazionale in modo esplicito?