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Stefano Arienti Vanessa Beecroft Joseph Beuys Maurizio Cattelan Enzo Cucchi Gino De Dominicis Giovanni De Lazzari Gianluca e Massimiliano De Serio Jan Fabre Brendan Lynch Steve McQueen Alessandro Mendini Maria Morganti Shirin Neshat Mimmo Paladino Gianni Pettena Michelangelo Pistoletto Luigi Presicce Julian Schnabel Ettore Spalletti Giuseppe Stampone Sam Taylor-Wood Rirkrit Tiravanija Patrick Tuttofuoco Valentina Vetturi Sandro Visca

VanessaBeecroft JosephBeuys MaurizioCattelanOHWOW di Miami, New York Minute al Garage Center for Contemporary Culture di Mosca (2011) e il Summer Group Show presso la galleria Peres

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Stefano ArientiVanessa BeecroftJoseph Beuys

Maurizio CattelanEnzo Cucchi

Gino De DominicisGiovanni De Lazzari

Gianluca e Massimiliano De SerioJan Fabre

Brendan LynchSteve McQueen

Alessandro MendiniMaria MorgantiShirin Neshat

Mimmo PaladinoGianni Pettena

Michelangelo PistolettoLuigi Presicce

Julian SchnabelEttore Spalletti

Giuseppe StamponeSam Taylor-WoodRirkrit TiravanijaPatrick TuttofuocoValentina Vetturi

Sandro Visca

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arte

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Stefano ArientiAsola (Mantova), 1961. Vive e lavora a Milano

Laureatosi alla facoltà di Agraria, Arienti decide di dedicarsi all’arte a partire dagli anniottanta, avvicinandosi alla dismessa fabbrica milanese Brown Boveri, luogo d’incontroe sperimentazione libera di molti giovani artisti. Fin dall’inizio la sua ricerca volgel’attenzione ai processi di analisi e manipolazione delle immagini e agli oggetti quotidiani.Invece che recuperare la tradizione tecnica e valorizzare l’espressività del gesto,Arientiaffronta in modo ironico il ready-made e la storia dell’arte. L’artista è stato invitatoa partecipare alla Biennale di Venezia (1990, 1993), alla Biennale di Istanbul (1992)e alla Biennale di Lubiana (1999). Il MAXXI e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengohanno presentato nel 2004-2005 le maggiori retrospettive dell’artista. Una personaleè stata recentemente realizzata dall’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston (2012).

Library, 2012La passione per il ready-made, la ricerca, i volumi e le enciclopedie d’epoca si ritrovanel lavoro in mostra, inizialmente commissionato nel 2007 dall’International Artist-in-Residence Program dell’ArtPace di San Antonio. Su un tavolo sono collocati novantanovelibri, volumi dalle infinite possibilità combinatorie. Molti di questi testi, come suggerisceil marchio stampato sulle copertine, provengono dai libri che, in disuso, vengono toltidalla collezione della Biblioteca di San Antonio. Dopo averli selezionati lasciandosi guidaresolo dalle copertine sorprendenti, l’artista le ha dapprima trapanate tutte, seguendomoltospesso i contorni delle immagini, e successivamente ha sommerso i libri nel grano, pertrasmettere l‘idea che “laLibraryè anche un paesaggio o una piantagione in continuamutazione e la materia del paesaggio entra nei libri”.

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installazione, opera prodotta da Artpace San Antonio, Texasphoto: Todd Johnson

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Vanessa BeecroftGenova, 1969. Vive e lavora a New York

Pittura, disegno, performance, scultura, fotografia, cinema, teatro,moda sono tuttecategorie che confluiscono nei complessi tableaux vivants di Vanessa Beecfroft edichiarano la sua visione dell’arte e del mondo a trecentosessanta gradi. Queste grandicomposizioni di figure si basano su concetti visivi che cercano di conciliare anticoe moderno conservando la staticità dell’immagine pittorica, la plasticità della sculturae la dinamicità della performance. Le modelle sono usate come unmateriale e, comein un dipinto, soggette a precise leggi di composizione. Le fotografie non sono unasemplice documentazione dell’evento: pur essendo un prodotto originato dalleperformance, hanno un valore autonomo rispetto ad esse, che sfrutta il potere evocativodell’immagine costruita e sottolinea la natura visiva del lavoro.Ha esposto presso importanti istituzioni nazionali e internazionali come la FondationCartier pour l’Art Contemporain di Parigi (1998), il GuggenheimMuseum di NewYork(1998), il Castello di Rivoli (2003), la GAMeC di Bergamo (2007) e il NewMuseumof Contemporary Art di NewYork (2009). Ha partecipato a prestigiosi eventi espositivicome La Biennale di Venezia (1997, 2001, 2007), la Biennale delWhitney (2000), quelladi Sydney (2000), di San Paolo (2002) e la XIV Biennale internazionale di sculturadi Carrara (2010).

Ritratto, 1996Vanessa Beecfroft non hamai abbandonato il disegno. Fin dai tempi della sua formazionepresso l’Accademia di Brera a Milano il disegno è per lei il mezzo attraverso cui leggerela realtà e la base su cui si innestano le varie tecniche che utilizza, dalla pittura allafotografia alla performance. L’artista, come gli antichi pittori, trae dalla realtà i modellie le modelle così come accadrà per le sue performance.Ma se in queste il corpo simanifesta nella sua più alta perfezione, nei disegni i corpi e i volti rappresentati sonospesso incompiuti, contorti, enfatizzando la dimensione della ricerca di una idealità.

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acrilico su tela, 90,5 � 90,5 cmCollezione Del Monte, Bergamo

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Joseph BeuysKrefeld (Germania), 1921 – Düsseldorf (Germania), 1986

Joseph Beuys è stato tra i più significativi protagonisti delle neoavanguardie degli annisessanta e settanta. Figura carismatica, ha fatto della sua vita un’opera d’arte e dell’arteuna“scultura sociale”, un atto quotidiano, un impegno di vita attraverso il quale realizzareun progetto totale in cui uomo, natura e società tendono a un superiore equilibrio.L’esperienza biografica vissuta all’età di diciannove anni, quando, arruolato nell’esercitotedesco, il suo aereo viene abbattuto in Crimea e Beuys viene salvato dai Tartari che locurano nelle loro tende di feltro cospargendolo di grasso animale e avvongendolo nel feltrostesso, avrà un’influenza determinante in tutta la sua produzione artistica. Nel 1961si trasferisce a Düsseldorf e qui ottiene la cattedra di Scultura Monumentale all’Accademiadi Belle Arti. Sono gli anni dell’avanguardia Fluxus e Beuys entra in rapporto con GeorgeMaciunas e NamJune Paik. È in questo contesto che nascono le sue“azioni”, complesseoperazioni comportamentali che lo portano in primo piano sulla scena artisticainternazionale. Nella secondametà degli anni sessanta il suo interesse per le questionisociali e politiche si accentua; fonda diverse organizzazioni tra cui la F.I.U. - FreeInternational University (1973) e contribuisce alla fondazione del movimento dei Verdiin Germania, partito nel quale viene eletto parlamentare. Le azioni, fatte soprattuttodi discorsi-dialoghi con il pubblico in cui vengono utilizzati oggetti e cose che rimangonoquali reperti alla fine delle azioni stesse, sono al centro dalla sua opera. Ha partecipatoa cinque edizioni di Documenta a Kassel tra il 1964 e il 1982. Nel 1979 il Guggenheimdi NewYork gli ha dedicato una grandemostra retrospettiva.Tra lemaggiori esposizioniricordiamo anche la personale al MoMAdi NewYork (2008) e la Biennale di Venezia(1976, 1980).

Tavolo, 1980Joseph Beuys ha realizzato questo lavoro-tavolo nel suo studio a Düsseldorf in DrakePlatz. I materiali che compongono l’opera (rame, feltro, legno e carta) sono ricorrentinelle opere di Beuys; in particolare il feltro è un richiamo costante alle tende dei Tartariin cui l’artista venne curato dopo che il suo aereo fu abbattuto dalla contraerea russain Crimea, durante la Seconda guerra mondiale. Il feltro diventa dunque simbolo di caloree protezionema rimanda anche, essendo costituito di fibre animali, alla dimensionedella natura e alla sua energia vitale. Il tavolo fu impiegato nelle sue azioni, complesseoperazioni comportamentali tese non solo a rompere i confini arte e vita,ma anchead accrescere il potere dell’arte su quotidiano.

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legno, feltro, rame e targhetta di carta bianca, 195 � 100 � 61 cmCollezione Vittoriano e Federica Spalletti, Pescara

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Maurizio CattelanPadova, 1960. Vive e lavora a New York e a Milano

Attore e regista di un teatro ricco di colpi di scena ed effetti speciali, Maurizio Cattelanda un ventennio diverte, sorprende e scandalizza il pubblico internazionale con le sueimmagini “incredibili” che prendono in prestito il reale e lo trasformano in qualcosa diinaspettato. L’artista non è più il depositario del sapere, e un’opera d’arte non soloè sempre “il risultato di una contrattazione tra l’artista e la società”,ma può nascere anchedal semplice gesto di prendere un’immagine e cambiarla di posto, o trasformandole proprie insicurezze in forza.Maurizio Cattelan ha esposto presso le più prestigioseistituzioni del mondo come il MoMAdi NewYork (1998), il Centre Pompidou di Parigi(2000), il Museum of Contemporary Art di Chicago (2001), il Museum of ContemporaryArt di Los Angeles (2003). Del 2012 è la grande retrospettiva All dedicataglidal GuggenheimMuseum di NewYork.

Untitled (Punizioni), 1991L’opera riprende e ripercorre alcuni momenti personali dell’infanzia, in cui l’artista,ripetutamente bocciato, ha vissuto come un castigo il dover andare a scuola.Cattelan sovverte il sistema con un semplice gesto: al foglio di carta a righe su cui è quasimeccanicamente ripetuta senza troppa convinzione la frase-punizione “Fare la lottain classe è pericoloso”, l’alunno, ora professore ribelle, traccia una semplice riga rossa chesradica il significato dal contesto scolastico e lo inserisce in quello storico e politico.La lotta in classe diventa lotta di classe, le zuffe tra studenti diventano rappresaglie sociali,il tutto trasmesso con una semplicità immediata e ironica che da semprecontraddistingue il lavoro dell’artista.

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fogli di quaderni, installazione, dimensioni variabiliCollezione Leggeri, Trescore Balneario (Bergamo)

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Enzo CucchiMorro d’Alba (Ancona), 1949. Vive e lavora tra Ancona e Roma

Enzo Cucchi è uno dei principali esponenti della Transavanguardia,movimento artisticoche ha costituito una svolta nel panorama dell’arte italiana degli anni ottanta,caratterizzato dal recupero di elementi tradizionali come la pittura, il disegno, la scultura,la grafica. Cucchi si forma nell’ambito del restauro e dipinge come autodidatta finoalla metà degli anni settanta, quando a Roma incontra il gallerista Mario Diaconocon il quale inizia a esporre in Italia e a NewYork. Partendo dalla pittura su tela, prestoapproda a installazioni in cui diversi materiali divengono supporto dell’immagine,come nel caso degli inserimenti di elementi ceramici nelle tele dipinte, a partire dall’operaLe case vanno indietro, del 1979.Accanto agli altri esponenti della Transavanguardia– Clemente, Chia, De Maria e Paladino – espone in molti musei internazionali comeil Gugghenheim di NewYork (1982) o la Tate Gallery di Londra (1983). Di rilievo le suepartecipazioni alla Biennale di Venezia (1980, 1986, 1988, 1993) e a Documenta di Kassel(1982, 1987). Sue personali nel passato sono state realizzate in importanti gallerieinternazionali e in prestigiosi musei tra cui il Pompidou di Parigi (1986) e laWienerSecession di Vienna (1988),mentre tra le ultime si ricordano quelle al Museo Correrdi Venezia (2007) e al MACRO di Roma (2010). Recentemente ha partecipato, tra le altre,alle collettive presso la Tate Modern di Londra (2008) e il Museum of Contemporary Artdi Chicago (2009).

Religione, 2012Nell’opera in mostra l’artista esprime la propria interiorità avvalendosi di una tecnicatradizionale che gli permette di garantire all’opera un’esistenza longeva: la sculturain bronzo, lavorata con vibrazione, fremito e un forte sensomaterico. Si trattadi un’immagine proveniente da una dimensione onirica e sacrale ma al contempo terrenae reale. Cucchi ci mostra il volto di Cristo coronato di spine,massima espressionedi sofferenza, ripetuto in unmoto a spirale più e più volte, spiralità ispirata dal confrontocon la cupola di Sant’Ivo alla Sapienza del Borromini. Ci troviamo di fronte al tentativoquasi ossessivo di voler presentare l’uomo-Cristo come solo mezzo di salvezzaa cui aggrapparsi all’interno del caotico percorso della vita umana. È proprio questacomponente di spiritualità cristiana e insieme pagana e preistorica che trasparenegli ultimi lavori scultorei dell’artista, coinvolgendo l’osservatore in unmondo in cuisi sovrappongono elementi cristologici e sacrali ad aspetti carnali, terreni e a tratti brutali.

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bronzo, � 80 cm, profondità 60 cmCollezione privata, Roma, courtesy MEKANE S.r.l., Romaphoto: Riccardo Buzzanca

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Gino De DominicisAncona, 1947 – Roma, 1998

Radicale, aristocratico, eccentrico, ironico, “tradizionale”, Gino De Dominicis è statouna delle figure più complesse e controverse della scena artistica di fine secolo:ha attraversato da protagonista, anche se in maniera del tutto singolare e autonoma,la storia delle neoavanguardie, lasciando in eredità una pittura che è sintesi straordinariadi tutto il suo lavoro.Tessendo la sua trama di paradossi, di discorsi straordinari e impossibili, Gino De Dominicisha fatto della sua arte un’investigazione sui grandi temi dell’esistenza e concepito l’operacome una sfida alle leggi fisiche della natura, in una tensione rivolta al superamentodel divenire lineare della storia e dell’immortalità. L’iconografia ruota sempre attornoalla morte e all’immortalità, alla sospensione del tempo e all’immobilità. De Dominicispartecipa più volte a importanti manifestazioni internazionali come la Biennale di Venezia(1972, 1978, 1980, 1990) e Documenta (1972, I982). Nel 2010, il MAXXI di Romagli ha dedicato una importante retrospettiva.

D’IO, 1971De Dominicis, artista che esplicitò la propria poetica attraverso le più diverse tecnicheespressive e con una totale indipendenza dalle correnti artistiche del momento, attraversoquest’opera non visiva segna una nuova tappa del suo percorso artistico. Nell’installazionesonora l’artista gioca sulla discrasia tra il titolo dell’opera, che sonoramente richiamaa Dio, e il contenuto della stessa: la risata satanica e carica d’odio dell’artistache si diffonde nell’ambiente attraverso un’incessante e ossessiva ripetizione creandouno stato di angoscia nell’uditore.

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installazione sonora

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D’IO

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Giovanni De LazzariLecco, 1977. Vive e lavora a Stezzano (Bergamo)

L’artista da sempre considera la realtà completa e digeribile solo se filtrata dall’arte e vivela sua ricerca come un intenso e perfettibile percorso volto alla ricerca di certezzeestetiche e concettuali e nel contempo di strategie per destabilizzare quelle stessecertezze. Le sue opere richiamano spesso schiavitù parziali, costrizioni che alludono a condizioni di libertà limitate, al rapporto di convivenza forzata che sussiste nellarelazione tra uomo e natura. Sebbene il disegno sia il mezzo principale da cui muove la sua ricerca, la scultura e l’installazione rappresentano un modello di appropriazionedello spazio, mentre i collage costituiscono la visione complessiva e unificante di elementiestranei che, se associati, alludono alla possibilità di una narrazione composta di segnieterogenei.Tra le mostre personali si ricordano quelle presso la galleria Francesca Kaufmann diMilano (2006) e La Veronica Arte Contemporanea (2011). Tra le collettive ricordiamoChosen places alla National Gallery of Art di Tirana, Thin Line a Viafarini (2005) eProfilod’arte presso il Museo della Permanente di Milano (2007).

Imago, 2011-2012Imago propone una riflessione sulla memoria individuale e collettiva. Come suggerisce il titolo, per l’artista è fondamentale la produzione di un immaginario caratterizzato dalla miniaturizzazione e dalla scelta di soggetti sempre in bilico fra una condizione di giocosa libertà e una di paradossale costrizione. Per Giovanni De Lazzari la piccolezzanon è frutto d’una scelta ma appartiene a un modo di operare istintivo, fondatosull’identità tra la forma e il contenuto dell’immagine che viene prodotta. L’installazione è composta da una serie di tavole di legno, che l’artista concepisce come strutturecomponibili in modo sempre differenziato, e da alcune fotografie prese dal vasto archiviocostruito dall’artista negli anni.

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legno e carta, 252 � 187 � 96 cmCollezione agiverona, Verona

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Jan FabreAnversa, 1958. Vive e lavora ad Anversa

Artista visivo, filmmaker, autore teatrale e scenografo, Fabre si definisce “Guerriero della bellezza” presentandosi come un moderno Giano per il quale vita e morte, passato e futuro, ordine e caos, fissità e metamorfosi, sono poli opposti di un continuum, terminiinterrelati e connessi, che si ricompongono nelle sue opere: sangue e sperma, elementivitali, si fanno strumenti di espressione artistica all’interno di un confronto con segnali di morte, come pistole e proiettili, o con citazioni di grandi artisti del passato – da Bruegela Bosch. Il frequente ricorso agli insetti rende palpabile questa polarità di concetti, in particolare gli scarabei, simbolo egiziano del dio Sole, della resurrezione e dell’immortalità. La performance, nell’inscindibile interrelazione tra il corpo, lo spazio e il tempo, si configura come una modalità privilegiata dell’espressione artistica e ritornaanche nei suoi film: le produzioni iniziali vedono l’artista impegnato in azioni semplicicome respirare o accedere un fiammifero, mentre quelle successive mostrano moltesimilitudini con i suoi lavori teatrali quali Body, body on the wall con il ballerino WinVandekeybus che danza con il corpo dipinto. Jan Fabre ha partecipato alle Biennali di Venezia, Istanbul e San Paolo e a Documenta di Kassel. Sue personali sono stateallestite allo Stedelijk Museum di Amsterdam, allo Spregel Museum di Hannover, alla Kunsthalle di Basilea, al MUHKA Museum di Anversa, alla Schirn Kunsthalle di Francoforte, alla GAMeC di Bergamo e al Louvre di Parigi.

De Schelde. Hé-wat-een-plezierige-zottigheid! (La Schelda, Questa pazzia è fantastica!), 1988“Il confine fra la vita e la morte è fluido. Solo che non vogliamo accettarlo” (Jan Fabre, 1988).Il film è in bianco e nero a eccezione del blu intenso delle parole realizzate in vetroveneziano che vengono calate a una a una nell’acqua con grande cura dall’artista stessosu una piccola barca. Sembra di assistere a una sorta di rituale ma, come spesso accadenei lavori dell’artista, la dimensione artificiale si intromette in quella che può sembrare una ripresa diretta: il video è inizialmente girato a colori e convertito in bianco e nero, a eccezione del blu, solo in un secondo momento e alcune azioni sono girate in slowmotion. La barca sulle acque della Schelda, in un bianco e nero dal sapore storico,richiama alla mente il Lete, il fiume che i vivi devono attraversare per incontrare l’eternità.

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35 mm (distribuito in 16 mm), bianco/nero e colore, durata: 10 minutiinterpreti: Jan Fabre, Tijs Visser, Paul Vervoort; camera: Mister Renson; assistente di Jan Fabre: Miet Martens; produttore: Ronny Van de Velde; location: Anversa, la Scheldaedizione 1/51 DVDCollezione GAMeC - Accademia Carrara, Bergamo© Angelos bvba

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Brendan LynchLos Angeles, 1985. Vive e lavora a New York

Sovrascrivere, coprire e nascondere sono le strategie che l’artista americano, membrodell’associazione di artisti Still House Group, adotta nelle sue opere. I lavori di BrendanLynch arrivano immediatamente alla percezione dell’osservatore, tutti i mezzi a disposizione sono utili per creare opere dal sapore underground: lo spray, con cuicontagia le pareti come grandi tele, la cenere di sigarette, materia di alcuni quadri, lo stucco, che come una colata lavica sovrasta e sommerge ogni cosa possibile, i cocci di vetro nascosti negli zaini dai colori stroboscopici o dalle chiazze maculate e zebrate, le patatine a rivestire il pavimento fino a formare monocromi marcescenti. Tra le recentimostre si ricorda la prima personale a cura di Stefano Raimondi tenutasi presso la galleriaThomas Brambilla di Bergamo (2011) e le collettive Still House presso la Rental Gallery di New York (2009), The Open presso Deitch Projects (2009), It Ain’t Fair presso la galleriaOHWOW di Miami, New York Minute al Garage Center for Contemporary Culture di Mosca(2011) e il Summer Group Show presso la galleria Peres Project di Berlino (2012).

Untitled, 2011Tre figure in posizione eretta sono quasi completamente ricoperte da un telo. Sembranoavanzare verso lo spettatore. Sono fantasmi piuttosto che manichini, le sneakers cheportano ai piedi e i jeans che indossano ci suggeriscono un’identità che viene negata dal lenzuolo che li sovrasta, ma che viene allo stesso tempo restituita dalla moltitudine di colori di cui il lenzuolo stesso è composto. Con la tecnica tied-up, tipica delle maglietteanni ottanta in cui venivano fusi insieme inchiostri dai colori diversi, l’artista crea figureimmobili ma vive, nascoste ma presenti.

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manichini, tecnica mista e tela tie-dyed, 180 � 50 � 50 cm ciascunocourtesy Galleria Thomas Brambilla, Bergamo

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Alessandro MendiniMilano, 1931. Vive e lavora a Milano

Alessandro Mendini è uno dei principali architetti e designer del panorama italiano e internazionale. A partire dagli anni settanta partecipa con grande impegno ai dibattititeorici attorno all’architettura e si avvicina al movimento del Radical Design, di cui divienel’esponente principale. Dirige riviste di grande rilievo, tra cui “Casabella”, “Domus” e “Modo”, da lui stesso fondata. Nelle sue opere è primario il recupero di elementitradizionali quali il decorativismo e la componente artigianale. Lavora con aziendeinternazionali tra cui Alessi, Cartier, Philips e viene insignito di premi importanti come il Compasso d’Oro per il design (1979) e l’onorificenza dell’Architectural League di NewYork (1981). Il culmine del suo lavoro è stato l’elaborazione del concetto di designesistenziale e di “progetto banale”: la componente decorativa viene applicata in chiaveironica e non sense sui prodotti e supporti più diversi, dal corpo umano all’oggetto,dall’abito all’automobile, creando una dimensione di gioco e di evasione dal reale. Mendini è presente in musei e rassegne artistiche internazionali, come la Triennale di Milano (2010, 2011), la Biennale di Venezia (1975, 1978, 1980, 1982, 1991, 1993, 2002), il Centre Pompidou di Parigi (1987, 1990) e Documenta di Kassel (1987).

Senza titolo, 1996Senza titolo, 1996Le opere in mostra fanno parte della sua produzione pittorica. Nei suoi lavori l’artista si avvale di un linguaggio “banale” e semplice, comune alle masse, quasi una rivisitazionedella Pop Art. Per Mendini dipingere significa dare libera espressione al pensierorendendolo visibile. A differenza di quanto realizza con i suoi progetti di design e di architettura, nella produzione dipinta non sono previste funzionalità o successiveapplicazioni industriali, ma la motivazione del dipinto non sta nella sua efficienza,la sua realtà consiste tutta nella bellezza con cui esso viene elaborato, nella poesia che contiene (e magari non trasmette). Attraverso uno stile eclettico, con colori accesi e contrastanti e forme giocose e geometriche, l’artista pratica un recupero delladecorazione e dell’artigianato creando una dimensione ludica e comune, contraddicendola retorica e l’accademismo e indagando gli aspetti del mondo con uno sguardopsicologico e molto acuto.

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dipinto in nitro su legno, 150 � 180 cm (con cornice 158 � 188 cm)dipinto in nitro su legno, 150 � 180 cm (con cornice 158 � 188 cm)

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Maria MorgantiMilano, 1965. Vive e lavora a Venezia

Dopo aver studiato alla New York Studio School si diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera. Da molti anni Maria Morganti si concentra su una pratica pittorica ben precisa:giorno per giorno, con cadenza ritmica e al limite dell’ossessione, stende un colore su unatela secondo un processo di campiture successive e stratificate, creando così una nuovatonalità che diviene traccia visiva della sua interiorità. Le numerose tele realizzate nel tempo possono essere lette come un lavoro organico, un unico interminabile quadrosviluppato con metodicità e rigore: ogni singola tela trae origine dalla precedente ed è seguita nella successiva, in un percorso che coincide, influenza e a sua volta derivadalla vita stessa dell’artista. Maria Morganti ha esposto in numerose mostre personali tra cui ricordiamo quelle presso la Florence Lynch Gallery di New York ( 1998, 2001, 2004,2008), la Galerie Arnaud Lefebvre di Parigi (1998, 2003), la Fondazione Querini Stampaliadi Venezia (2008) e la galleria Otto Zoo a Milano (2010).

Visione laterale, 2006, 2009, 2011, 2011Nel travertino, 2012L’opera esposta consta di una scultura in marmo di travertino, nei cui buchi naturalil’artista ha inserito pezzi di pongo colorati, una plastica del quotidiano in cui si incontranola scultura e la pittura, che affianca quattro quadri monocromi dipinti con tonalitàdifferenti. Questi lavori si inseriscono nella poetica dell’artista: dipinti minimali,all’apparenza semplicissimi, dietro cui tuttavia si cela una lunga genesi di gesti concentratie ritmati, attenti alle minime variazioni. È come se ognuno di questi quadri avesse una propria identità, non oggetti astratti ma opere viventi e aperte, in continuo divenire e mutamento. La pittura dell’artista si concretizza nella pratica ritmica dello spalmare un solo colore su una tela e nel ricoprirlo con successive campiture attraverso un lungoprocesso di stratificazione e riflessione.

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olio su tela, 50 � 100 cm ciascunopongo e travertino, 99 � 5,4 � 2 cm courtesy Caterina Tognon Arte Contemporanea, Venezia photo: Francesco Allegretto

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Gianni PettenaBolzano, 1946. Vive e lavora a Firenze

Fondatore insieme ad Archizoom, Superstudio e Ufo dell'architettura radicale italiana – movimento che si proponeva di operare “una riforma radicale di tutta la disciplinaarchitettonica” (Ugo La Pietra) –, Gianni Pettena esplora le relazioni tra natura e architettura avendo ben chiaro come l’architettura non si limiti per lui alla solacostruzione, ma faccia parte di una ricerca più ampia. Nell’ottica di una riflessione che abbatta i confini fra le discipline, Pettena adotta liberamente il linguaggio dell’arteconcettuale per indagare le trasformazioni dello spazio nel contesto urbano e ambientale.Nel 1971 inizia la sua esperienza americana dando avvio a un’intensa attività didattica e di critica che accompagnerà da ora in avanti la sua produzione, esercitando una forteinfluenza sulle ricerche nell’ambito dell’architettura, del design e dell’arte. La trilogia di Salt Lake City accosta e contamina architettura e natura così da 'rinaturalizzare’ luoghi e materiali: una casa piccolo borghese ricoperta di creta (Clay House, 1972), un grattacielodi cespugli costruito nel centro della città (Tumbleweeds Catcher, 1972), i confini cittadinitracciati con una vernice rossa (Red Line, 1972). I lavori più recenti proseguono nel desiderio di fondere l’architettura con la natura. Rappresentativi sono gli interventirealizzati per Manifesta 7 dove, per esempio, Grass Architecture, libera l’architetturaricorrendo all’utilizzo di materiali naturali per operare una simbiosi fra architettura e paesaggio. Il suo lavoro è stato presentato nei più prestigiosi musei, esposizionie istituzioni nazionali e internazionali, dalla Biennale di Venezia al Mori Museum di Tokyo,dal PAC di Milano al Barbican Center di Londra, al Centre Pompidou di Parigi, alla Biennaledi Berlino e al Padiglione Italia all'Expo 2010 di Shangai.

Grazia & Giustizia, 1968/2012Grazia & Giustizia, con Milite Ignoto e Carabinieri, fa parte di una trilogia di parolerealizzate nel 1968. Essa dialoga con l’ambiente in cui è collocata, è di grande dimensioneperché importante è il significato di monumento architettonico e dell’ideologia che l’istituzione rappresenta. La “&” commerciale fra le parole Grazia e Giustizia, nome fra l’altro di uno dei ministeri (misteri) italiani, conferisce al lavoro una sfumatura ironica e critica. Nella performance diGrazia & Giustizia realizzata nel 1968 e pensata in difesa del poeta e filosofo Braibanti condannato per plagio, le lettere furono portate con unalunga processione verso il mare e buttate in acqua provocandone la distruzione. In questo caso, nella fortezza di Civitella, luogo in cui nel passato veniva ancheamministrata la giustizia, assume la valenza di un potente dialogo tra attualità e memoria.

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performance, installazione ambientaleogni lettera 36 � 36 � 250 cm

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Michelangelo PistolettoBiella, 1933. Vive e lavora a Biella

Fra i protagonisti dell’Arte Povera, Michelangelo Pistoletto, ha da sempre indagato il ruoloche l’artista riveste nella società attraverso un linguaggio incisivo ed efficace. La suaesperienza artistica parte dalla pittura: precursori dei suoi famosi Quadri specchianti sonole serie di autoritratti e di soggetti rappresentati di spalle realizzati negli anni sessanta in cui è già presente la riflessione tra finzione e realtà che lo interesserà per tutta la vita. Lo specchio si sostituisce alla tela pittorica inglobando lo spettatore all’interno del quadrosecondo l’insegnamento dei Futuristi. Al 1965 risalgono gli Oggetti in meno, che ribadiscono e approfondiscono la volontà di interazione con il pubblico e sono una critica diretta agli “oggetti in più” della società dei consumi celebrati dalla Pop Art. Nel 1994 nasce Progetto Arte seguito poco dopo dalla fondazione Cittadellarte (1996); qui prendono corpo una serie di progetti tesi allo scambio creativo e all’intersoggettività.Ha partecipato a undici edizioni della Biennale di Venezia (1966, 1968, 1976, 1978, 1984,1986, 1993, 1995, 2003, 2005, 2009) e a quattro della Documenta di Kassel (1968, 1982,1992, 1997). Nel 2003 è insignito del Leone d’Oro alla Carriera alla 50a Biennale di Venezia,antologiche sul suo lavoro sono state presentate presso importanti istituzioni comePalazzo Grassi a Venezia (1976), Palacio de Cristal a Madrid (1983), Forte di Belvedere a Firenze (1984), la Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma (1990), il Museo d’ArteContemporanea di Barcellona (2000) e il Musée d’Art Moderne et d’Art Contemporain di Nizza (2007).

Chi sei tu?, 1976La scritta “Chi sei tu?” si alterna rapidamente, bianca su fondo nero e viceversa, per tuttala durata del video. La voce dell’artista fa da contraltare alla scritta elencando tutte le nazionalità a cui non appartiene: “Non sono nigeriano”, “Non sono argentino” e così via.La nazionalità è un concetto chiuso che contempla una ideale ma improbabileomogeneità: una lingua, un popolo, una cultura. Rispondendo alla domanda con unanegazione, l’artista, sembra voler minare la perentorietà di una definizione netta aprendola strada a una riflessione sul significato di identità e nazione.

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videotape bianco/nero, durata 22 minuti

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Luigi PresiccePorto Cesareo (Lecce), 1976. Vive e lavora a Milano

Presicce porta avanti un percorso artistico che non dimentica, ma anzi recupera e rivisita le sue origini e radici culturali, dando vita a un universo simbolico in cui tornacostantemente la memoria del Salento: santi e Madonne, processioni, il fascino perPitagora, culti massonici e spiritualità popolare. Presicce si è estraniato dal cosiddetto“sistema dell’arte”, compiendo le proprie scelte e decisioni in maniera del tuttoindipendente e senza sottostare alle esigenze del mercato. La sua pratica si basa sulla realizzazione di performance svolte di fronte a un pubblico selezionato, in cui gli aspetti del teatrale e del rituale si fondono dando luogo a un’atmosfera metafisica e irreale. Fondatore di Brown Project Space e vincitore del premio Talenti Emergenti,organizzato dal Centro di Cultura Contemporanea Strozzina (2011), con Giusy Checola e Salvatore Baldi dal 2011 dirige Archiviazioni (esercizi di indagine e discussione sul Sudcontemporaneo) a Lecce. Con Luigi Negro, Emilio Fantin, Giancarlo Norese e CesarePietroiusti partecipa al progetto Lu Cafausu, presente a Documenta 13 a Kassel.Attualmente Presicce è artist in residence presso il MACRO di Roma.

Allegoria astratta dell’atelier del pittore all’inferno tra le punte gemelle, 2011Il lavoro esposto in mostra è la documentazione di una performance che l’artista ha realizzato per la terza edizione della Biennale di Thessaloniki, in Grecia. Accanto al video viene presentato anche il quadro prodotto durante la performance. Come negli altri lavori l’azione riproduce una dimensione surreale, a cavallo tra la mitologia,la magia e la sacralità: una sorta di rituale purificatorio e primitivo e al tempo stessouna messa in scena di un racconto e di un luogo del passato – l’atelier del pittore – in cuiprotagonista assoluto è l’uomo, inteso non come essere sociale, ma simile all’animale e vicino all’essere divino.

Tradurre l’incanto agli uccelli, 2012In questa performance l’artista lavora su un’idea ispirata a Giotto e al film Uccellacci e uccellini (1966) di Pier Paolo Pasolini: una sorta di comizio elettorale o discorso al popoloin cui, tuttavia, quest’ultimo è sostituito da una folla di uccelli impagliati di varie specieposti sul pavimento di fronte a un palco ligneo. Dall’alto del palco un performer emette dei cinguettii ogni qualvolta uno spettatore entra nella stanza.

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performance per uno spettatore alla volta (accompagnato), Andreas Vautsinas Theater, Thessaloniki (Grecia)photo: Eleftheria Kalpenidou

Progetto per Tradurre l’incanto agli uccelli, collage digitale

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Ettore SpallettiCappelle sul Tavo (Pescara), 1940. Vive e lavora a Cappelle sul Tavo

Il lavoro di Ettore Spalletti è una sensibilissima sollecitazione dei sensi dello spettatore in cui pittura, scultura e installazione ambientale si incontrano in un terreno sospeso tra realtà e astrazione, tra figurazione e rarefazione formale. La sua ricerca artisticamatura negli anni settanta e da subito il colore nel suo rapporto con la luce emerge comel’elemento fondamentale che accompagnerà poi tutta la sua produzione. Il colore è usatocome materia, pigmento mescolato a gesso o impasto; l’artista lo stende sulle superfici,siano esse piani di legno che costituiscono i suoi dipinti, le pareti stesse degli ambienti o le forme pure delle sue sculture. I colori principali sono l’azzurro, il rosa e il grigio, coloriche non esistono in natura ma che rimandano al cielo e all’incarnato, e nel caso del grigioalla capacità di contenere tutti i colori. Tutta l’opera di Ettore Spalletti è caratterizzatadalla semplicità formale e dalla fusione tra volumi e colori, nella ricerca costante di armonia, di continuità del ritmo che nasce dalla perfezione della forma. A Spalletti sono state dedicate mostre personali da istituzioni prestigiose come lo S.M.A.K. di Gent (1983), Portikus a Francoforte (1989), De Appel ad Amsterdam (1989),il MUHKA di Anversa (1995), Henry Moore Institute a Leeds (2005), Villa Medici e la GNAM a Roma (2005 e 2009). Diverse le partecipazioni a mostre internazionali, tra cui Documenta a Kassel (1992 e 1982) e la Biennale di Venezia (1997, 1995 e 1997).

Colonne perse, 2006Colore e forme sono gli elementi con i quali Spalletti costruisce le sue opere e le fadialogare con lo spazio circostante. “Il colore che nutre la forma rompe la geometria” dice Spalletti. Il colore, così fortemente ricercato e imprevedibile nella sua relazione con la luce, libera il rigore della geometria che si apre così allo spazio. Il processo pittoricoè molto lungo e soltanto nell’ultima fase di elaborazione, quella dell’abrasione, i pigmentisi rompono sprigionando il colore. La superficie restituisce anche una leggera polverebianca che viene dall’interno. L’azzurro è certamente fra i colori prediletti dell’artista per la sua qualità atmosferica che lo rende quasi impalpabile. La forma della colonna,elemento cosmico e axis mundi, è scelta nel tentativo di contenere tutte le linee geometriche.

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impasto di colore su centina di legno, altezza 250 cm, � 32 cmphoto: Werner J. Hannappel

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Giuseppe StamponeCluses (Francia), 1972. Vive e lavora a Teramo

L’impegno artistico di Giuseppe Stampone scaturisce da un intento sociopolitico cherivela un forte valore estetico insito nelle relazioni tra oggetti e persone. Nei suoi lavori la fantasia è l’elemento principe: l’immaginazione carica il quotidiano dei valori simboliciche si stanno perdendo, sottolineando la necessità di riproporli e valorizzarli, nell’artecome nella vita. Lo spettatore si trova a interagire con l’opera d’arte, spesso presentatasotto forma di enigmi visivi, in un progetto aperto, predisposto a un susseguirsi di evoluzioni e dialoghi che mettono in discussione gli strumenti utilizzati dai mass media,attraverso veloci incursioni nel linguaggio poetico e culturale delle cose. Stamponeha partecipato alla Quadriennale di Roma (2003, 2006 e 2009), alla Triennale di Milano(2008), alla Biennale di Liverpool (2010) e ha esposto in importanti musei: Kunsthalle di Gwangju (2010), il Luigi Pecci di Prato (2011), il MACRO di Roma (2012). Nel 2010 ha preso parte alla mostra Il museo privato presso la GAMeC di Bergamo; la Prometeogallerydi Milano gli ha dedicato due personali: Giuseppe Stampone. The Rules of the Game (2010) e Global Education (2011). Nel 2012 ha partecipato alla XI Biennale dell’Havana e alla Biennale di Gwangiu.

Mappa. Global Dictature, 2012L’installazione realizzata da Stampone per la mostra approfondisce il discorso sullaglobalizzazione e sul concetto di nazione, identità territoriale e caratteristiche sociali che da sempre sono presenti nel suo lavoro. Utilizzando la penna Bic, una tecnica ormaicaratteristica dell’artista, e collage di diverse immagini egli riproduce una mappa del mondo globalizzato in cui alle diverse nazioni sono accostate immagini e scritte che si riferiscono alle caratteristiche peculiari e identificative del luogo medesimo. Così l’Afghanistan diventa la farmacia del mondo, la Colombia il supermercato, l’Italia è legata alla simbologia fascista e all’influenza ecclesiale. Passando poi a una dimensionepiù locale e intima, Stampone gioca con il simbolo dell’Aquila, emblematico sia di un regime di potere della storia italiana, che del presente drammatico di un paesedevastato dalle calamità naturali.

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tecnica mista su carta e legno, 300 � 400 cmwww.theglobaldictature.comcourtesy Prometeogallery, Milano

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uniformare colori fondo mappae eliminare zone ombra ai lati

prolungare fondo nero

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Patrick TuttofuocoMilano, 1974. Vive e lavora a Berlino

Dopo gli inizi nell’ambito dell’architettura decide di entrare all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, senza tuttavia portarla a termine. L’artista si ispira ad ambiti moltodiversi: dal design all’architettura, dalla musica alla cultura pop e giovanile, creandoambientazioni in stile neofuturista che circondano lo spettatore coinvolgendolo sia dal punto di vista visivo sia uditivo. Sculture coloratissime, installazioni luminose e videodigitali fanno parte del vasto repertorio dei suoi lavori, pensati e progettati per costruireun legame con lo spazio espositivo e il pubblico dei visitatori. Le sue opere vengono esposte in importanti spazi pubblici e privati in Belgio, Svizzera, Germania, Giappone,Spagna e Francia. Partecipa alle più prestigiose rassegne internazionali come la Biennaledi Venezia (2003), Manifesta (2004), la Biennale di Shanghai (2006) e la Triennaledi Milano (2010). Sue mostre personali si sono tenute presso lo Studio Guenzani di Milano (2000, 2002, 2005 e 2009) e Peres Project di Berlino (2011). Recentemente ha partecipato a mostre collettive in importanti istituzioni come il MACRO di Roma (2010)e il Magasin di Grenoble (2010).

Before your eyes, 2012Si tratta di un light box realizzato appositamente per questa mostra, e si inserisceall’interno della ricerca sugli aspetti del volto e della maschera iniziata a partire dalla suapersonale Dandelion alla Künstlerhaus Bethanien di Berlino (2008). L’artista è affascinatodal paesaggio urbano e lo reinventa in modo fantastico e del tutto personale, utilizzandola luce e i colori per creare un’atmosfera immaginifica e suggestiva. L’obiettivo è instaurareun rapporto di sguardi con l’osservatore e suscitare reazioni immediate che nasconodall’esperienza reale dell’opera. Il linguaggio utilizzato attinge alla comunicazionemediatica, in cui le immagini vengono utilizzate per attirare l’attenzione dell’osservatore su un messaggio o prodotto ben preciso. Il lavoro rappresenta il dettaglio di un volto, uno sguardo che ruota e si focalizza sull’osservatore creando un confine simbolico tra l’io e il mondo, barriera protettiva e al contempo strumento di connessione con il reale,egame tra spazio pubblico e privato e promemoria di una condizione di costantemonitoraggio dell’individuo posto in una società in cui tutto appare controllato e sotto osservazione.

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lightbox, 200 � 300 cm, installazione

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Valentina Vetturi Reggio Calabria, 1979. Vive e lavora tra Bari e Roma

La ricerca di Valentina Vetturi, che si concretizza principalmente attraverso performanceo interventi minimi, porta al limite la percezione del quotidiano tramite l’inserimento di elementi che ne scardinano il flusso abituale. Spesso le sue azioni mettono in relazione la sfera privata e quella pubblica e affondano le radici nelle storie e nelle mitologie di un territorio, cogliendone le tracce, le paure, i rapporti tra l’ambientee le persone. Vetturi è co-fondatrice del collettivo Radice Quadrata e ha preso parte a diverse residenze tra cui: FAAP- Fundaçao Armando Alvares Penteado (San Paolo,Brasile); Transiet Space Summer Camp by Uqbar (Palanga, Lituania); e Viafarini Artistin Residence (Milano). Tra i progetti recenti ricordiamo:Un Viaggio (Spazio NorbertSalenbauch, Venezia, 2011),The Playground(Premio LUM, Bari, 2011),La Funzione(Naba, Milano, 2011),La Macchina che produce il Tempo (Masseria Torre Coccaro,2010),La Pendolare (Living Layers/Wunderkammern and MACRO, Roma, 2010).

Marcia per un coro, 2012 L’installazione in mostra rientra in quel contesto di interventi minimi che innescano il loropotenziale direttamente sull’immaginario individuale e collettivo del fruitore. Attraversola riproduzione di alcune tracce audio viene infatti evocata la figura di una donna,una presenza che si delinea attraverso il racconto delle persone che hanno credutodi averla vista. Come un puzzle che si ricompone senza mai risolversi del tutto, la figuraaffascinante di questa donna dai capelli raccolti alleggia tra il mistero e l’inquietudine e si ricollega anche a una storia popolare che si è consumata nel bosco collocato nei pressi della fortezza.

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installazione sonora, durata 3:00 minuti, loop L’artista ringrazia Roberto Matarrese per la musica, Lino Sinibaldi e Alessio Pollice per averle raccontato della legenda

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Sandro ViscaL’Aquila, 1944. Vive e lavora a Pescara

Sandro Visca inizia a esporre giovanissimo, accanto ad artisti come Casorati, Capogrossi e Morandi, con lavori che rientrano nell’ambito del paesaggio e nei quali al colore accostasmalti e brandelli di stoffe. Durante il suo percorso entra in contatto con un grandemaestro, Alberto Burri, con cui presto stringe un forte legame di amicizia. A partire da questo momento il suo cammino è costellato di molti successi, che lo vedono esporrein parecchie principali città italiane, sino all’invito a partecipare alla XV Triennale di Milano(1973). Nel 1975 realizza il film, poi riproposto alla Biennale di Venezia (2011), Cuore rossosul Gran Sasso, mosso da un risentimento nei confronti della deturpazione ambientaledovuta all’apertura di una grande arteria di comunicazione. Tra le ultime personali di rilievo quella al Museo d’Arte Moderna Vittoria Colonna di Pescara nel 2008, antologica su tutta la produzione dell’artista dagli esordi sino agli ultimi lavori.

Paesaggio, 1978Pelle di Paesaggio, 1985Gli arazzi rientrano nelle produzioni più significative di Sandro Visca, seguite a sperimentazioni varie con lamiere, stracci, carte, iuta, nilon, collage di vernici e smalti,sculture in pezza o in terracotta, “reliquiari” lignei e “teatrini” inquietanti. Si tratta di assemblaggi di stoffe e materiali differenti, come pelli, fili dorati, perle, bottoni. Per l’artista il lavoro non assolve mai a una funzione puramente decorativa, ma ciò checonta è la ricerca di un nuovo linguaggio espressivo che possa creare un senso altro, da ottenersi mediante la sperimentazione di media differenti. Il viaggio tra forme, colori e consistenze spesso da fiaba appare come una sorta di ricognizione di un paesaggioemozionale, in perfetta sintonia con la passione che da sempre l’artista nutre versol’esplorazione dei territori più selvaggi e incontaminati del mondo, una volta a riscoprirnegli aspetti antropologici e poetici e a far emergere il rapporto dell’uomo con il luogo e i suoi costumi.

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arazzo cucito, 230 � 170 cmarazzo cucito, 200 � 145 cm

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scontornare senzaombra

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