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FF ABRIZIO ABRIZIO CC ORSELLIORSELLI
SS A T Y R O SA T Y R O S
VV I A G G I O A R C A D I C OI A G G I O A R C A D I C O
D I U N S A T I R O D A N Z A N TD I U N S A T I R O D A N Z A N T EE
CC E L E B R A Z I O N E M I T I C A DE L E B R A Z I O N E M I T I C A D E L E L MM A R A R MM E D I T E R R A N E OE D I T E R R A N E O
EE D I Z I O N I D I Z I O N I MM O N D O G R E C OO N D O G R E C O 2 0 0 72 0 0 7
LL I B R O I B R O II
Il Mito, il Canto e il Sogno mortale
Satyros – Fabrizio Corselli Copyright©2007
Tutti i diritti riservati, vietata la riproduzione anche parziale del testo. Opera senza fini di lucro.
I diritti delle immagini appartengono ai relativi artisti. Edizioni Mondogreco 2007.
II L L CC A N T O D I A N T O D I TT Y C H EY C H E
“ I“ I L T E S T O P O E T I C O L T E S T O P O E T I C O C O M E V I A G G I O A R G O N A UC O M E V I A G G I O A R G O N A U T I C OT I C O ””
II N T R O D U Z I O N E A L T E S T ON T R O D U Z I O N E A L T E S T O D E L D E L SS A T Y R O SA T Y R O S
PP O E S I A O E S I A II S A G O G I C AS A G O G I C A
La virtù e la dignità poetica
I testi dell’opera sono coperti da copyright©
Opera senza fini di lucro. 2007
II L L CC ANTO DI ANTO DI TT YCHEYCHE
OO DE DE FF EBEA EBEA XX
Dall’ambiguo tributo
di colei che la gola accerchia,
libero si scioglie, l’enigma e l’incanto,
finché il fregio della corinzia cetra
al cielo innalza le sue auree corde.
Così il responso invocando
la stinfalide sibilla
ai numi il passo concede:
tutta quanta la pleiade divina
eccetto Démeter,
di Apollo Delphinios
ancella e carceriera,
poiché essa con eburnea spalla
di Pelope il ratto alimenta;
orsù, Athena Promachos
la cui bronzea lancia gl’altari infiamma,
in argiva veduta, l’empio fato
al cielo Uranio avvinto,
diluisce con pitica efflorescenza.
II
Codesto l’insigne responso
di epillica discendenza,
laddove tonante sgorga la voce
di Tetide e Temi al mar sedotte:
Dal bell’arco d’argento
ossia Apollo Archegete,
le bionde chiome si spargono
dall’oracolo di Delfi
alla casa di un semplice fiore
che il fato non teme,
poiché, lei, le sue dita schiera
in simmetrica falange,
dispari e pari,
sul levigato crine di un cervo calidonio,
finché parimpari divenga
la membrana scossa
dai riflessi di un tempo diffratto.
Allor dal duplice sguardo
ma ancor più triplice in natura,
lo strale incocca
colei che di Artemide Trivia,
il patto di castità vestale
assottiglia in lacere vesti,
finché di un reo mortale
il cuore non spossa.
Così nell’aria riverbera
l’affilata sentenza,
il cui filo tesse ancor l’empio tragitto
allorché tace di quella colpa
ogni sospiro e perituro assenso.
Voluto hai, del tuo nemico
il petto percosso
dalla lega di fiammeggiante oricalco,
d’Atlantide il metallo più duro
per gioia e per vanto,
confitto nel cuore
altresì nell’anima
come scaglia di un Kraken
che al sorger dell’alba
di Andromeda, ne ferisce il cremisi riflesso.
E così è, dalla divina Nemesis
degl’olimpi la dea più truce
per gioia ed incanto,
che la freccia avvolta ai rami,
al gareggiar con la lega sommersa,
nelle ossa, frastornata s’incunea e s’incorna.
Si schiudono i due occhi
delle vergini guerriere all’arco servili
mostrando dei propri intarsi le verità nascoste,
nascoste al pover uomo
che della città di Atene
ne fa sua eterna dimora e ciclica tomba,
donde un bacio ricurvo
sulla sua testa addossata,
di ogni dolore mortale
lenisce le sconfitte e gl’allori.
III
Perigliosi sono i versi,
altresì gl’eventi
nei quali un lettore naufraga
come Argonauti in terre avverse;
non un vello dall’aurea lanugine
a destar di Morfeo il dolce letargo,
non un pomo dal fuoco atlantideo
a sedurre di un’Esperide l’attenta custodia
ma dalla cesta adorna del monte Parnaso
si leva un serafico canto, ad accarezzar
delle ninfe cacciatrici, ambiti trofei d’amore.
Chi allora potrà di Calypso, ninfa eterna,
che di Odisseo il fato tenne lontano
dalla Itaca patria, ai venti sommessa,
e della ciclica ruota d’Issione,
arrestar della duplice Tyche l’atempore gesto?
Nessuno può, d’altronde,
come olimpio in veste mortale,
vincer di Ade l’acherontea foce,
così l’uomo che di un fiore ne porta il peso,
avvince in possenti radici di vanità superba
della propria linfa una sola lacrima.
IV
Enosigeo il fato la terra scuote
fino ad inondar dei mortali
il proprio senno… ma,
alata e stanca
una livrea si posa
sul viso di Eros adorno,
e di Ramnusia la rabbia acquieta,
poiché simile per dispetto
lo strale, in egual modo i cuori infrange,
la carena così tonando di codesta nave
al lato sinistro
la cui meta l’approdo non conobbe per sorte contraria.
Allora cede il passo al fianco destro
colei che sulla piega del manto la sentenza sputa
mentre, impervia la libra,
i timoni sgancia sul piatto opposto.
Salva è adesso la nave come dell’uomo la sua ragione,
versando allo scoglio la piangente polena,
finché dell’intera flotta, dall’aurea tinta obliata,
non rimembri Giasone la via del ritorno.
SS A T Y R O SA T Y R O S
AA N T E F A T T ON T E F A T T O
In una pacata e quieta giornata estiva, tra le boscose selve della fertile Arcadia,
Himeros, incarnazione del desiderio amoroso, incontra negl'anfratti d'una
caverna sita presso la catena montuosa della Nonacride, Pan, dio dei boschi. In
codesto antro buio, mentre il vecchio sileno è adagiato sulla nuda roccia, rapito
da una profonda e placida dormienza che solo il dio del sonno può donare a un
essere immortale, Himeros dispettosamente instilla e infonde tra i sogni di Pan
l'ardente desiderio della mortalità umana. Così con gran prodigio, durante il
sonno ristoratore, quei sogni ora corrotti dall'infido erote plasmano nelle forme il corpo dell'ignara
divinità dei boschi, rivelandosi al prematuro risveglio nella diretta figura di un satiro danzante che
adesso reca il nome di Chelide... un capripede in veste mortale, i cui ricordi divini sono stati
offuscati dall'incanto di metamorfosi; ma un solo quesito rimane nella sua mente e s'agita
nervosamente come le creste infuocate originatesi nella fucina di Efesto: la ricerca del senso
dell'esistenza mortale e ancor più di quella forza cosmica che è l'Amore. Tutto ciò indurrà il povero
satiro a lasciare le amate terre arcadiche, salpando dalle coste dell'Elide con la propria barca.
II N N AA R C A D I AR C A D I A
PP R E L U D I OR E L U D I O : :
PP A R T E U N I C AA R T E U N I C A : “ I: “ I L L DD I O I O AA R C A DR C A D EE ””
Pan, il grande Dio arcade, abbandona la sua veste divina per condividere il destino della razza
umana (longevo e solingo si leva / un peplo d’argento); egli lascia la sua patria Arcadia per
intraprendere un lungo viaggio, sotto le sembianze di Chelide, un satiro mortale, alla ricerca del
senso del vivere eterno e della comprensione dell’esistenza terrena, ma ancor più di quella forza
cosmica che trova il suo paradiso iperboreo nell’Amore.
II L L DD IO IO AA RCADERCADE
EE LEGIACA LEGIACA FF ORMAORMA
Del grande dio arcade
longevo e solingo si leva
un peplo d’argento
fino ai cicli del meriggio,
cosicché, del ferace drappeggio
ogni piega per terra si posa,
mentre giù cade
del capripede affranto
la natura incolta.
Accolto, è il vello ellenico
da Démetra rabbiosa,
che di Persefone
i primi fior non colse,
mentre ai boschi per secondi sparge
il seme della lignea siringa;
ai pascoli, alle selvatiche fiere
ed infine ai raminghi pastori, altro non spetta
che fuggir per i sentieri sviati al tramonto.
Allorché, Driope, ninfa dal bel viso,
i suoi sensi aggioga in un semplice fior
la cui nomea di un Loto, le parole stilla,
dall’odio forgiate di Egipan, suo figlio,
lungo gli stessi sentieri in cui Lotide
al vento gettò i semi dell’oblio.
Cinta di mirto e apio al devoto serto
la trama, fulgida un giro percorre,
finché, promiscue le forme
il timor e il panico, l’infinito rincorri.
Ambigua e fallace in viso, è l’arte
di cambiar crisalide ad ogni filamento
come elegiache note sulle labbra di un morto,
ma ancor più feroce in corpo
è l’attesa del materno abbandono,
mentre colui che del petaso porta l’insegna,
l’Etere sprona con fugace manto
ove congiunti sono gli dèi in turgido simposio.
LL A G R A N D E Z Z A D I A G R A N D E Z Z A D I OO L I M P I AL I M P I A
CC I C L O O L I M P I C OI C L O O L I M P I C O
“ E“ E S O R T A Z I O N E D I U N P O ES O R T A Z I O N E D I U N P O E T A A G O N A L ET A A G O N A L E ””
“ D“ D A U NA U N ’’ A N F O R A P A N A T E N A I C AA N F O R A P A N A T E N A I C A ””
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“ O“ O L I M P I C O F U O C OL I M P I C O F U O C O ””
“ I“ I N V O C A Z I O N E D I N V O C A Z I O N E D I MM I R T I L O E I R T I L O E GG L A U C OL A U C O ””
“ D“ D O D E K A D R O M O SO D E K A D R O M O S ””
“ I“ I N T R O D U Z I O N E A I N T R O D U Z I O N E A I GG I O C H I I O C H I EE R E IR E I ””
EE SORTAZIONE DI UN POESORTAZIONE DI UN POE TA AGONALETA AGONALE
A tutti voi poeti, io mi rivolgo, tra aurei serti
ed elogi di bianco oleastro, come ben s'addice
il tono ai cori ordinati e monodici plausi;
ai soli intenditori io mi espongo, umile o forse
cordiale, più di quanto manifestarlo possa
un solo citaredo o auleta in tutta la patria,
perché a lungo si conservi della gloria di Olimpia
un solo stadio o metro di qualsivoglia specie,
sia esso nel semplice conoscer il morso quadrigo
dei furenti cavalli prossimi alla meta agognata,
sia esso nel duro morder la polvere ed il gloios
lucente di un pugile elleno dal robusto braccio,
nella figura di Diagoras o Acusilao suo figlio.
Del resto, miei valorosi opliti dall'ingegno armato,
la cui cadente panoplia soggiace al proprio polso
d'impavido astante in una guerra dalla falsa tregua,
compito d'obliata sorte è il nostro canto agonale,
perché dello sconfitto o del vile, mai s'accinga
il digiuno tra le pieghe di un disonore agl'olimpi sì caro.
DD A UNA UN'A'A NFORA NFORA PP ANATENAICAANATENAICA
Elogio della pittura vascolare
Con il caduceo in mano, il fiero artista elleno
del ciglio e del colore avvince i sensibili tratti
all'arancione e al nero, in un'anfora tinte sì forti,
poiché adesso il tenace Hermes, dal vello albino,
nudo e con candore alato, liberi la tela
da una prigionia che l'infinito ancor tiene in vita.
Allorché, tra i bianchi rivi di un orizzonte
che la lode disconosce ed ancor più sublima
tra le fasce vermiglie e gli sconfinati flutti,
come spume d'Afrodite, lievi disciolte,
s'incunea la fertile macchia in un porto sicuro.
Del resto, Castore la tempesta non acquieta
in fasci cromatici o ali d'iridato manto,
ove la singola e diafana vela ivi si squarcia
con ira funesta di olimpio decreto,
mentre Morfeo, sonnambulo altresì pago
asperge sulla fatica e sul capo di ogni atleta
fiori odorosi e chiome di aureo intreccio.
OO LIMPICO SERTOLIMPICO SERTO
Aulica e ancor più ellenica una foglia
il proprio petalo, pasciuto e sazio,
alla sponda dirompe, il gambo armonioso,
fregiato e percosso con chiome di aurei crini
poiché in trecce e grovigli sciolte cadendo,
più non avvinca la mia quiete alla lira
di natur tetracorde, altresì di solinga speme.
Così come strale di olimpica vetta
s’innalza il calice intinto al proprio trionfo
di colui che il cuor fu ratto per virtù eterna,
e giunge per man e oltre l’estremo
d’un canto e di un serto di complice lode,
una cresta di fuoco che al dimandar di una battaglia
il diverbio, algido, corrode d’un maestro e giudice eletto
dall’empia e divin natura di un superbo diniego.
Così di Olimpia la virtù mai conobbe
l’oblio e la disfatta, sì, gl’allori e non gl’affanni
tali da inchiodar di ogni umana creatura,
il giogo immortale.
O O LIMPICO LIMPICO FF UOCOUOCO
Di un bianco oleastro, armonioso il gambo
dei cavalli spartani il nitrito infiamma
al pari di Prometeo dall’adusta fiaccola
quando il ratto fu carpito per virtù olimpia
tra catene e livori di una tortura indigesta.
Cenere e ancora polvere lente si spargono
lungo i sentieri di un dorico ippodròmo
altresì nel raggiungere di caotiche mete
i mirabili e sempiterni confini,
poiché in tali distanze, colui che da lontano
scaglia frecce d’argento ed aurei canti,
di ogni atleta annida il viso tra i duri laterizi
d’indomita e friabile roccia sabbiosa.
Da quell’orizzonte che la disfatta separa
dalla gloria e che l’oblio sottrae alla veglia,
sua sorella Eos, incantevole tal si desta,
spargendo del proprio periplo vermiglio
il sonno e la fatica in un auriga valente.
Così, arde e si consuma l’animo olimpio
all’approssimarsi dell’alba, la cui luce
gloriosa, dalle rosee dita e dal manto solare
s’innalza sul podio e trainata sul cocchio
dai nitrìdi Lampo altresì Fetonte mordace,
poiché,
in Emera ed Espera ella non si trasforma
quando il mattino risveglia in codesti atleti
l’ardore e la febbre di un’adorna vittoria.
II NVOCAZIONE DI NVOCAZIONE DI MM IRTILO E IRTILO E GG LAUCOLAUCO
Di Mirtilo, l’ombra più non calpesti
i floridi campi di un’antica città
gloriosa, che di un fiume ora separa
luci e tenebre, amori e vecchi affanni
al pari di Persefone furente e rabbiosa,
altresì collerica, quando al di sotto
di un caliginoso alveo, insieme a colui
che le bestie aggioga alla nodosa cetra,
la visibile meta condanna di Euridice.
Allorché il bel Glauco, anch’egli terrore
dei cavalli, col sottile bacio di Afrodite
adorno, laceri nitriti infuria ed alimenta
come fiamma d’odio che la carne, lenta,
sì morde tra le fucine dell’orrido Efésto.
Così tuona lo zoccolo e la roboante asta
di un olimpico atleta, mentre di Atena
osserva lo scuoter della pròmaca lancia,
poiché sull’altro piatto disgiunto di Lybra
s’insinui il vanto della misura e della forma;
ma si flette e s’attorcia l’inquieta briglia
sul lato destro d’un polveroso vallo,
finché si rovescia e s’inclina la sottile ruota
di un agile carro quadrigo, da Arcesilao
trainato altresì ammansito con tremor di polso.
Così, alla pari, funesto saetta il crine adonio
lungo la lira tetracorde di un poeta corale,
a frenar con egìoco carme ed elegia mesta
l’impeto e il fuoco di bestie dal divino ingegno,
poiché come di Enomao, il puledro è avvinto
a colui che l’animo guerriero sempre desta
tra i campi d’insigne ed infuocata battaglia.
Il cuoio morde l’abile Psaumis di Camarina
e ancora Hàgesias dal vaticinio celeste,
perché al di sopra della meta elevando
criniere e imbracature dal vello lucente,
il trionfo si consegni ad un solo vincitore.
Per molto tempo nell’aria, la polvere s’attarda
come profuso incenso tra le solide mura di Delfi
quando la Pizia sé interroga sul potere dell’onfalo
perché il fato si disveli tra le membra dei cavalli
achei, ancor più ellenici nell’amor di patria.
Chi allora potrà del nero e ardente Bucefalo
il cui nome, furioso impera in una terra lontana,
del bianco Pegaso alla fonte Ippòcrene devoto,
e ancora di Areion dal possente eroe al galoppo,
domarne il fervore oltre i fasci del tramonto?
Del resto, alla curva, improvviso il terrore
s’aggira oltre le ombre della fossa dell’Ade,
giacché degli stessi aurighi, Mirtilo e Glauco,
mai più si risvegli il ricordo di un inganno
voluto ed ancor più tessuto dall’olimpica sorte.
DD ODEKADROMOSODEKADROMOS
Tardo, suo aggioga il sereno drappeggio
l'auriga valente, oltre una meta lontana
d'acuto terrore ancor più d'ammansita gloria,
ogniqualvolta, sciolte le briglie, all'aere dona
sudore, polvere e tenera sabbia altresì morsa
tra i docili ed indomiti spalti di un ippodromo
ove funesti, gli spiriti maligni tutti avvelenano
di Mirtilo, nobile automedonte, l'eredità crudele.
Tarassippo, dei cavalli più che temibile orrore,
egli è invocato tra lodi e canti di poeti agonali
perché la propria terra mai si volga e si desti
nel lasciare impuniti coloro che aspra contesa
ad Enomao mossero per man della propria figlia.
Ora, circonfuso dall'onda, il temibile scoglio
con dodici giri avvinto altresì di bava circuìto
dai prodi ippocampi nella sua più tetra tempesta
al pari di spumeggianti creste di nero corallo,
benevolo, scuote le placide membra e la veglia
dei cavalli spartani finanche provati nel corpo
e nell'amor di patria, tra fiere lusinghe ed elogi
di coloro che il non oblio, sì a lungo venerano
con auree parole e casti doni di muse eliconie,
perché di ogni singolo atleta, lento si sfami
il glorioso digiuno tra i fasti di un complice serto
d'olivo, di apio forse ancor di mirto più audace.
Con me non si accanisca allora, il divo Castore,
di tempeste superbo paciere, a volte più vorace
nell'innalzar tra polverosi turbini e pietre rosse
i timori di ogni città greca, quando sul podio
il proprio campione o alcuna bestia s'azzoppa,
perché più nero ancora, il vessillo di una gara
al di sopra si erge del garrese del fulvo Areion
d'Heracles cavalcatura fidata altresì compagno
di guerra, o di Xanto, devota guida d'Achille.
Contratto è il muscolo e la mandibola possente
del cavallo di Pelopion, dal vittorioso passato,
quando la meta da vicino agogna come un dio
greco, geloso e d'invidia ricolmo, contro ciò
che ogni mortale, nemico eterno, reo possiede
più d'ogni altra cosa splenda sulle alte cime.
Contratta è la redine che lungamente avesti
da Poseidon, di tutti gl'olimpi fiero scuotitor
di terre e di rivi tra i bianchi recinti di Teti;
così, a lungo del dio del mare l'ira non si placa
tra piedi di bronzo ed auree criniere, più folte,
dei propri destrieri, quando all'onda sussurra
di ogni creatura marina il concitato passo.
E a tal richiamo come alito di oscura tenebra
emerge e s'innalza lungo quei campi ossidati
dall'odor di arrugginiti scudi e solide lance,
lo spirito di Seio, alquanto temibile creatura
di mole mai udita, con incedere fiero e truce,
e manto purpureo altresì splendida criniera,
nel morder ferace dell'eroe imbelle i fianchi.
Sotto gli sferzanti colpi di un morso ben reso,
dapprima, levasi la cinghia da sotto il carro
finché della propria ruota il distacco fugace
presto, s'insinui e si elevi tra i solchi della terra
come aratro avvinto allo sguardo di un'aquila,
perché mai di Gordia, il nodo sempre stretto
si disciolga attraverso profezie ed illusioni
nell’acclamare l’atleta, re per un solo giorno.
Per un solo attimo, il muso al dolore si torce
e quantunque lo zoccolo, adusto s'infiammi
nel doppiare una meta che il volo non assicura
con chiara tenacia a chi le ali troppo innalza
come Icaro sperduto tra gl'ampi fasci radiosi
di una gloria a lui sempiterna convulsa,
così con grande coraggio, tra mito e leggenda,
al pari di Antiloco, e di Nestore suo padre,
maneggia l'esperto auriga i suoi tre campioni
nell'aggirar l'ultima sponda di codesto fiume
in piena, nel ricordo di Crisopelea arcade.
Ma, al volgere di un ultimo stadio equestre
ove limpido si disvela il fato avverso,
alla sinistra del carro, bifida la verga furente
presto s'abbatte sul dorso reclino come saetta
del cavallo udendo i sordi scalpitii e muti nitriti,
mentre al vallo, il fuoco di un'olimpica vittoria
erutta e fluido s'incendia come fiume fluendo
nelle fosse del buio Tartaro, ciclico nel ravvivar
dei morti l'insperato ritorno a quella luce fioca
che i cantori all'ombra, come Orfeo condanna;
Del resto, al solenne atleta più nulla è dovuto
quand'egli sul campo di guerra per sempre giace
disteso, con il cimiero da un fil di lama trafitto,
poiché dopo la caduta, ineluttabile s'appresta il sole
a sparir dal volto di colui che l’eccessiva vergogna
consuma tra i fantasmi di una vile sconfitta.
PP ARTENIOARTENIO
C C ANTO ANTO VV IRGINALEIRGINALE
Tra le ampie fasce di fiori odorosi
e ghirlande dal bianco serto,
s'apre come strale d'olimpica vetta
l'ira funesta e la gioia di Era madre
altresì regina di tutti gli dèi avversi
nell'osservar di una nascita il deliquio
ferace, dalle proprie virginali ancelle
sparso e conteso tra giardini d’oro
e boscosi germogli dei Campi Elisi.
Ora, colei che in Stinfalo alcun passo
concede se non in profferto dono
e sì dall'aureo seggio forgia vendette
tra l'egìoca fiamma di aspre contese,
come punta d'oplitica lancia nello scudo
di bronzo infitto e nel corpo morente,
di Zeus le fughe amorose non condanni
al pari della dura roccia di Sisifo, reo,
la cui morsa in eterno l'infamia alimenta.
Ilizia, anch'essa onorata, le proprie figlie
addestra alla cura e al nudo rispetto
dei circoli fioriti, quand'ella le nascite
approva con profumo di asperso miele
e rivi ambrati dalle indomite sponde;
allorché di ogni madre, tale nume tuteli
il fertile seme e l'amor di un primogenito
figlio, la cui vita agli dèi tutti, l'invidia,
sempre desta in ricordo di Crono vorace.
VV E R S O LE R S O L ’ E’ E U R O P AU R O P A
SS E Z I O N E E Z I O N E I I I I
PP A R T E U N I C AA R T E U N I C A : “ E: “ E U R O P AU R O P A ””
Lasciate le fertili terre di Arcadia e la festosa Olimpia, il satiro danzante decide di salpare con la
sua nave Laocoonte verso l’Europa, alla quale dedica un grande elogio sulle sue origini; ma il
futuro del viaggio è incerto come del resto lo sono i suoi molteplici dubbi sulla natura divina che lo
lega al proprio destino.
EE UROPAUROPA
Su di una riva ferace
tanto bianca di pelle fosti
da comparar di Era,
dea di tutte le dee,
il vile ornamento;
così di un toro
le false sembianze
alla mandria ogni crine accorda,
allorché sul dorso tonando,
di un olimpico disio
il giogo s’arresta.
Stride e riverbera
la dura roccia,
sotto il passo di Europa,
tenue ed esile custode,
alla fatua caduta
di colei che alla deriva
ogni terra emersa congegna.
Emerge dalla cresta del nulla
e dai sentieri ombrosi
della volta celeste,
laddove i fuochi notturni
vanno alla deriva,
lo splendore e l’incanto
della sempiterna Selene
che di Era l’ira funesta offese,
ancor più ripudiata
per non avere concesso
di Endymion, suo mite pastore,
la veglia mortale.
Così anche Europa,
del fato serva e divin coppiera,
sul dorso dell’egìoca bestia
i suoi sensi avvince
in un sonno perpetuo
pari all’ardor di Eleusi.
E volge il passo
l’olimpia creatura
al fianco destro del mondo,
ove enosigei gl’eventi
della terra le colonne scosse.
Il sonno diviene veglia
e la veglia diviene sogno,
mentre parti e anfratti
s’incontrano agl’estremi di due continenti,
di cui uno solo al pié confitto
di Europa forgia la sua nomea.
Levitano i corpi,
in quel mar
di fiammeggiante pietra,
decaduti e vetusti,
mentre collidono tra loro
in questo eterno scambio,
ove antiche razze e città
rinascono con nuove vesti.
Vanno giù,
sempre più giù,
graffiando
come fronde
le rocce d’indomita movenza
finché in ere alterne
dell’animo di ogni uomo
le maree acquieta.
II NVOCAZIONE DI NVOCAZIONE DI AA NANKENANKE
Trasale al di là degl’elegi raggi
la mesta polvere
d’un auriga dal serto disgiunto,
poiché mai avvinca la propria gloria
tra i fitti ed euforici tralci
di colui che si nutre d’erica.
Siano d’alloro, di mirto ed ancor più di apio
le nefaste corone d’una sconfitta
aspersa dagl’aliti di colui che le pieghe del vento
scuote oltre i confini di una colonia greca.
Così di Zankle e di Akragas,
il mio cuore di mesto marinaio
volle decantare le tinte profonde
in quell’incavo baratro
che di Lighea il pianto, sempiterno, accolse
in cerulea ed abissale stretta.
KK E L E U S T E SE L E U S T E S
SS E Z I O N E E Z I O N E I I I I I I
“ L“ L A A PP A R T E N Z AA R T E N Z A ””
“ D“ D U P L I C EU P L I C E DD E S T I N OE S T I N O ””
“ I“ I N V O C A Z I O N E D I N V O C A Z I O N E D I CC A S T O R EA S T O R E ””
“ L“ L A P O L E N A E I S E R P E N TA P O L E N A E I S E R P E N T I DI D ’’ A C Q U AA C Q U A ””
“ L ’ E“ L ’ E L E M E N T A L E DL E M E N T A L E D ’’ A C Q U AA C Q U A ” ”
“ L“ L A A TT E M P E S T AE M P E S T A ””
“ L ’“ L ’ A P P R O D OA P P R O D O ””
Il mite keleustes (termine dato al protagonista per indicare colui che tiene il ritmo dei rematori con
la lira), viene trasportato dalle correnti verso lo stretto di Scylla e Cariddi, trasportato proprio
come l’ardore di Alfeo (personificazione del relativo fiume del Peloponneso) che inseguì la sua
Aretusa fino ad Ortigia; ma “per zampillo infausto…” così “…cade la chiglia e la lira mortale”,
arenandosi presso Cariddi, nulla potendo l’invocazione di Castore perché egli possa placare la
tempesta. Ma il fenomeno atmosferico cela, in verità, un pericolo ben maggiore…
LL A A PP ARTENZAARTENZA PP ARTE ARTE UU NONO
Colui che di un’onda egea
il flutto cadenza sul limite
sabbioso di coste straniere,
alle sponde iridate di Argo volge
il carro quadrigo dai possenti cavalli,
trainato col vigor dell’aureo crine
ed il passo di bronzo;
e ancora per zampillo infausto,
colui che di un semplice fiotto
l’odore dello Ionio osserva iracondo,
le dune ambrate solca con quel taurico ardore
che i confini non tace di un’isola,
fin quando di un giovane acheo, il fato perdura.
Sedurla puoi, la nave,
dal prosperoso ed ebbro manto
con il sudore e con la cetra
con l’ardore e l’incanto,
finché la tenera Lighea,
ninfa dalle piume iperboree,
alle sue corde vocali annoda il mesto silenzio.
DD UPLICE UPLICE DD ESTINOESTINO PP ARTE ARTE DD UEUE
Così come Odisseo,
all’albero maestro vien cinto
l’orgoglio d’ogni singolo marinaio
da coloro i quali di una comune patria
condivisero il nudo germoglio,
mentre giù cade la chiglia e la lira mortale
nello sperduto riflesso di un’orfica spuma;
nelle loro orecchie
adesso il tuono frastorna,
adagiate su di un lembo di terra
ove Artemide Agrotéra
la solitaria Delo consola,
poiché di Latona la disfatta avversa
per non aver di due gemelli
concesso il cammino alato.
I I NVOCAZIONE DI NVOCAZIONE DI CC ASTOREASTORE
P P ARTE ARTE TT RERE
Altrettanto, il pingue soffio di Zefiro gentile
sospinge del domito legno e di quel marmo
di duplice e sofferta prole, l'ostinata audacia;
E benché Eolo, i mille volti inciti della tempesta
fecondando dei suoi cari figli le enfie gote,
e ancora allenti d'ogni prua i rami nervosi,
al cieco Castore, un elegiaco canto invoca
il fiero keleustes dalle monodiche corde
stringate appena, perché naufraghi l'ultima vela
in un lungimirante mar ove Scylla e Cariddi,
aspersero ad uno stretto il loro eterno amore.
S'innalzano, così, strane serpi all'albero maestro
di Chelide cocendo l'impetuosa furia nel tacer
d'ogni velo, lievemente ferito, il muto sospiro.
LL A POLENA E I SERPENTA POLENA E I SERPENTI DI D’’ ACQUAACQUA
Chiusa di Laocoonte la trepida bocca ormeggia
al discinto scoglio di mare altresì spietato in corpo
tra profondi declivi e buie strette abissali,
poiché d'ogni lacera vela Egea finanche si plachi
la cavità rigonfia e le sommità distorte.
Più in alto ancora dello stesso cielo blu, la prua
con travi ossute, la prima di codeste sei spire,
egli scorge, tra lunghe e robuste braccia nude;
svuotansi ora di codesta polena i fragili polmoni
d'acqua ricolmi, finché nodose le perfide serpi
avvinte ai propri pugni in triplice morsa,
gravide, si quietino al rotear dell'ultima spira.
Chi potrà allora dell'ingenua e vile Andromeda
per la quale l'odio di Teti la sua vita tanto sotterra
nei meandri di una spiaggia della nomea di Ioppe,
e di Acantìllide spinosa i cui vasti campi incolti
glorificano tuttora fiori dalle pieghe corinzie,
arrestar di Tìmbreo ed Antifate l'atteso destino?
Così, fronteggia il muscolo e di marmo l'addome
gli zampilli di venefica fiamma, da Ares radiati
come tenui stelle al sorger della prossima alba,
mentre consola d'ogni mortale le vane illusioni
di un ritorno che più non udrà le grida paterne.
Dei suoi due figli il tetro ricordo, ora s'arresta
fra indomiti flutti grigi, intrepidi e, sì, ritorti
nelle sciolte figure eteree di Caribea e Porcete,
infauste creature altresì acquatiche chimere.
Stretto è il loro morso e gelido il cappio al collo
presto rappresosi come ardente crosta di sale
su di una ferita aperta appena con cinico odio
quando d’un nemico la morte, celere, s’agogna.
Cingesi al suo lato destro e al sinistro ancora
al volto la serpe, poiché ratto è di ogni tendine
ed osso, a lungo l'impareggiabile suo torpore.
LL A POLENA E I SERPENTA POLENA E I SERPENTI DI D’’ ACQUAACQUA
S S ECONDA PARTEECONDA PARTE
Ma ahimè, una scultorea polena, con la sua bocca
quasi socchiusa a vincer dell'odio e del tormento
l’insalubre colpa, al proprio destino, lento, sì piega.
Ancor più inarca e finanche volge della quinta spira
il caudato aculeo codesta idra di tritogena tempra,
finché di un satiro iracondo vacilli l'adusto zoccolo
oltre il timone che ramingo, ivi, squassa l'arcadica
speranza nel ritrovar, presto, l'inattesa terraferma.
Proprio oltre quelle assi di fradicio legno, consunto
tra l'amara ruggine di storte viti, sospese sul mare
come gabbiani alla ricerca di un'isola molto lontana,
ecco che bifida la lingua, tra nivee e funeste scintille
innalzatesi dalla furia di colui il quale con egìoca ira
sentenzia di tutti i mari profondi, la placida quiete,
tempestiva altresì collerica fomenta i venti nemici
nel diretto squarcio d'una vela maestra, adagiata
adesso sul ceruleo peplo di quel mar senza nome
ove s'appresta il longilineo torso dalle dure scaglie
a infiammar della carena le tenaci e strette briglie.
Così la quarta e la seconda testa di roboanti spire,
anelano con alito uggioso di Chelide l'irsuta pelle,
nel divellere la cima e ancor più i drappi minori,
allorquando di Ermete, l'impavido figlio nell'acqua
giace, perplesso, col viso canuto altresì stanco.
LL A A TT EMPESTAEMPESTA PP ARTE ARTE QQ UATTROUATTRO
E d'ira forse malversa, ogni nembo si nutre
mentre Zeus l'egida rivolta tra le ampie sale
di un monte che sì tutti gl'olimpi accomuna,
ora che d'acqua marina e vile odio sono enfie
nel rincorrer di uno sperduto marinaio
le rotte inquiete e la veglia dal sonno profondo.
S'eleva ancor più in alto l'estremo orizzonte
e con esso i grigi gabbiani dalle ampie ali
ogniqualvolta s'attorcia la stretta e il nodo
si scioglie nel mostrar dell’altissima poppa
i profondi declivi, mutati all’incitar delle onde;
ma poi la vista tra i bianchi flutti s'annebbia
allorché di Poseidon, che la terra tutta scuote,
l'aureo tridente, tra le sabbie fermo s'arresta.
L L A A TT EMPESTAEMPESTA PP ARTE ARTE QQ UATTROUATTRO
Così, come di Penelope tessuto il filo
sì tardo, ancora disfatto tra le proprie dita
di offesa regina, nell'accoglier di stranieri
i doni non voluti e gl'elogi nel disonore intinti,
l’indugio affoga e s'arena tra le onde cerulee
di un mar in tempesta, da uno strale acceso
nelle orride fucine dell'olimpico Efesto,
poiché fra i bianchi tralci di spume ostili
la prua s'incunea e si flette all'eolico moto
quando di ogni arcadica vela, si squarcia
la speranza nei sottili lembi di un chitone egeo;
e come ogni fluida piega di tale indumento
il mare, a tratti impetuoso al di là di ornati
nembi dai fasci vermigli e lingue di fuoco,
incalzano di una dura polena le curve febee
a condur lungo la scia di tormentata pioggia
ambra, cenere e odor di bruma fluente.
Ma delle nere onde, il proprio volteggio ferino
i remi, esili scuote e all'albero un colpo assesta
tra i continui lamenti sparsi e le trenodiche ire
di coloro il cui fato ancor più lento s'avversa
lungo le coste di una siffatta terra, a me ignota.
L L A A TT EMPESTAEMPESTA
P P ARTE ARTE QQ UATTROUATTRO
Adesso, oh Castore dal responso tardivo,
che il canto ai numi dell’aria, grigio non si volga
in elegia funesta al pari di sirene dalla muta voce,
perché io, di codesta terra possa ancora calpestar
la morsa sabbiosa e quell'infelice amore
che tale creatura condanna a mirar due volte
l'estremo orizzonte nel riflesso di chiome purpuree.
Cariddi è il nome della sperduta costa nella quale
io naufrago, mordo l'umida terra e le selve ferali,
codesto il nome della terra nella quale il mio fato
si consuma come faro tra le ombre disperso
in un colle ove Aidoneo stesso pose eterna dimora.
L' L' APPRODOAPPRODO
Ceruleo di un libero stormo è il battito d'ali
quando ancora alta in cielo l'ira si placa
delle tiepide brezze del Sud, scaldate appena
dai timidi raggi dell'Alba, con le sue falci d'oro
e argentee spighe di accecante luce riflessa.
Così d'Icaro il tetro ricordo più non naufraga,
disceso come empio volo tra oscure ombre,
al di là di quelle incantevoli coste sicanie
ove d'un amor beato, memore è il pianto
d'Alfeo e Aretusa, nel condividere una fonte
le cui acque celano dei loro cuori distanti
virtù altresì segreti fra gl'alvéi del Peloponneso.
Ma nero lo scoglio, di Chelide presto saluta
l'approdo finanche i muscoli contratti
di Laocoonte, oh eterna e gloriosa polena,
poiché, adesso, solamente sabbia e salsedine
nutrono di quella bocca cheta, l'inatteso digiuno.
II L L RR I S V E G L I O D I I S V E G L I O D I PP E R S E F O N EE R S E F O N E
SS E Z I O N E E Z I O N E I V I V
AA V V I O V E R S O I L M O N T E V V I O V E R S O I L M O N T E AA E T N AE T N A
II L M O N T E L M O N T E AA E T N AE T N A
PP A R TA R T E U N OE U N O : “ D: “ D I V E N I R S E N S I B I L E U N I V E N I R S E N S I B I L E U N F I O R EF I O R E ””
PP A R T E D U EA R T E D U E : “ S: “ S C A N D I T O È I L T E M P O DC A N D I T O È I L T E M P O D E L L A C A D U T A D I U N F RE L L A C A D U T A D I U N F R U T T OU T T O ””
L’avvento di Chelide presso il monte Etna e la rievocazione dell’amore di Alfeo ed Aretusa (ripresa
nella terza parte), risvegliano l’istinto di Persefone, la quale si presenta agl’occhi del nostro
cantore sottoforma di un fiore dai petali di fuoco; molti del resto sono stati gli esempi di
trasformazione di alcuni personaggi in fiori. Anche Aretusa divenne un fiume, insieme alla ninfa
Ciane per la scomparsa della loro compagna. Ma Chelide, sedotto dall’avvenenza di quel fiore,
ancor più da un suo frutto appena fruito da un esile colibrì, come attirato da un mistico evento, ne
mastica un sol petalo, cadendo per terra privo di sensi…
AA VVIO VERSO LVVIO VERSO L ’E’E TNATNA
Ancora coi denti saturi
di salsedine e alghe amare
percorro vie e sentieri
morsi dal timido fuoco,
nel ricordo tacendo
del povero Laocoonte,
ormeggiato al proprio destino.
Scorgo, sempre più, alla base
il nero volto d’una montagna
la cui luce color della porpora
ardimenta l’altissima vetta,
mentre zampilli di dura pietra
bruciano tutti quei campi
oramai di cenere adorni.
Molteplici le vene rigonfie
che in essa fluiscono
come linfa che sgorga
dal gambo appena ferito
da un fulgido strale
quale è codesto dardo
fabbricato dall’orrido Efesto,
laddove nelle sue fondamenta
la propria infelicità incatena.
Aetna, il nome di quel monte
il cui rigurgito color del tramonto
presto lambisce il mio irsuto vello.
Ma dalle sue tenebre, un lamento
ben peggiore dello stesso rombo
di fragoroso martello
scaturisce al mio solo pensiero,
poiché di Persefone Averna
si dice che esso sia il tempio,
rapita da Aidoneo suo sposo
e così invisa dall’ambiguo tributo
che ogni semestre la pena rinnova.
SS ULLULL ’E’E TNATNA
Come sui colli dell’Ade
altrettante note cineree
di un’elegia funesta
s’effondono ancor più chete
tra i suoi grigi rivi.
Tagliente come una lama
tale canto sferza del torrido vento
i muti e fulgidi sospiri,
mentre riscalda del cuore
d’un satiro arcade
gli uggiosi guaiti.
Risuonano come trenodie
moleste, tali nenie
al mio sordo orecchio
di stolto marinaio,
ogniqualvolta la spuma sospira
alla brezza, il suo maledetto nome:
Persefone, la rabbiosa!
Codesta l’eco che s’infrange
tra le consunte schegge
di lavica pietra,
ora piegate al peso
della sua iraconda vendetta.
Per un solo attimo, e uno solo,
ancora ritrae quello specchio
di tetra stretta abissale
d’una fanciulla il nudo volto
colta appena da un carro quadrigo
trainato con lo stesso vigor di un re di Grecia.
Tale suono parea d’una fanciulla
un’invocazione appena,
mentre i fantasmi errano
danzando su quella livida coltre
di roccia ancor più funerea,
intonando alla propria regina
un elogio così candido
da far invidia allo stesso cantore
che di Tracia fece sua eterna tomba.
Che io, sia già un’anima perduta,
erta sulla fosse dell’Ade?
Ma è lì, che fra tanto grigiore,
osservo ciò che solo un olimpio
è in grado di mostrare
ai miei occhi di comune mortale.
DD IVENIR SENSIBILE UN IVENIR SENSIBILE UN FIOREFIORE PP ARTE ARTE UU NONO
E proprio divenir sensibile un fiore
vidi all’ombra di quel nero orizzonte,
come cenere sparsa al vento
dal languido manto di una piccola bocca;
tanto fiorito ed acaule, in ellenico fregio
d’ardor di volto ed apollinea volta
sanguina il gambo offeso
da colui che l’alma ai cavalli aggioga,
mentre scorre fluente e casto
lungo i fiumi di Aretusa,
il corso dal cieco guado
ove popoli dalle gote istoriate
del monte Etna, abbeverano il proprio viso
lambito sulle sponde di un’ardente forgia.
Solleva la sua florida piega
dal cuore estinto di una fiamma,
allorché un’era immortale il petalo rimembra
arso dal pianto di Persefone,
creatura e vanto dalla cremisi livrea.
SS CANDITO È IL TECANDITO È IL TE MPO DELLA CADUTA DI MPO DELLA CADUTA DI UN FRUTTOUN FRUTTO PP ARTE ARTE DD UEUE
Sferza il vento, del volo di un uccello
la limpida e spumeggiante rotta,
come del prode keleustes
l’alito della brezza
dei monti ogni cima inneva.
Sugge il piccolo ed esile colibrì
dalle profondità dell’ardente scorza,
i nettari di porpora al calice stretto,
finché riemerge dal passato
della madre terra l’antica memoria.
Scandito è il tempo della caduta di un frutto
la cui mesta caducità i miei sensi percuote,
ove di adusta passione la singola fiamma
alimenta il ratto materno.
Di codesto frutto, il fuoco più non s’arresta
tra le mie cieche pupille di stolto marinaio
poiché al pari di fosche onde, le sue lingue
anelano della mia carne le tinte profonde.
Un solo morso, e giù precipita la mia anima
agl’Inferi, ricordando appena
lungo la sua discesa, di quel colibrì il perpetuo volo
nel percorrere di un fiume sotterraneo
l’oscuro cammino come in duplice stretta.
Proprio adesso, Caronte, obliato traghettatore
del mio senno, s’impossessa col far di chi
d’un loto, incauto i sui petali presto consuma.
EE N K O I M E T E R I O NN K O I M E T E R I O N
SS E Z I O N E E Z I O N E V V
PP A R T E U N OA R T E U N O : “ A: “ A L F E OL F E O ””
PP A R T E D U EA R T E D U E : “ O: “ O S S E R V AS S E R V A , , M I A D O L C E M I A D O L C E AA R E T U S AR E T U S A ””
Il nostro satiro, in preda al delirio dello stato di incubazione prodotto dal fiore di fuoco, inizia ad
evocare l’eterno amore di Alfeo ed Aretusa, rinforzato dalle parole della stessa Persefone nelle
profondità dell’Ade con la quale è in diretto contatto, finché quel lamento non sarà da lei condotto
in maniera completa; qui è adesso Persefone a decantare l’amore dei due amanti, un amore che a
lei fu precluso, un amore che conobbe soltanto la virtù del giogo e della prepotenza (“…il gambo
offeso”) ma che in ragione della sua essenza rimase casto ed inviolato (“mentre scorre fluente e
casto”). Compara il dolore di Alfeo al suo, poiché condividono lo stesso destino, ovvero quello di
vedere sia la luce che le tenebre (Alfeo è anche un fiume sotterraneo: “Sorridi a colei che ti è par
di natura”).
AA LFEOLFEO PP ARTE ARTE UU NONO
Tu, che con fiero ardore
le diuturne pareti, discendi,
di un mondo nascosto alla luce del sole,
dalle falde del monte, col viso pudico,
sorridi a colei che ti è par di natura:
Alfeo, tale è la nomea di colui il solo
che di una ninfa le onde spumeggia,
finché ricongiunti, siano alla deriva
i due olimpi in vesti mortali.
Questo è il dolore, che io canto,
tra i grani sabbiosi
di un’isola il cui nido il passo non cede;
Questo è il sapore, che io vanto,
tra gl’alvei di un mare luttuoso
per aver di due giovani amanti
schiuso il tenero bocciolo,
della loro beltà vile.
OO SSERVASSERVA, , MIA DOLCE MIA DOLCE AA RETUSARETUSA PP ARTE ARTE DD UEUE
Osserva, mia dolce Aretusa,
dai crespi ed irti capelli
donde una corda la tempesta
non ultimo acquieta;
così volteggia di un sospiro l’anima inerte,
quando feroce in un alito divampa
di spine e foglie agresti,
finché ammutolisca quel lavico nettare
disperso in una notte dagl’affluenti
di cinerea estate, quando il fuoco
i desideri, tenui ognun appaga.
Questo è il dolore, che io canto,
tra i grani sabbiosi
di un’isola il cui nido il passo non cede;
Questo è il sapore, che io vanto,
tra gl’alvei di un mare luttuoso
per aver di due giovani amanti
schiuso il tenero bocciolo,
della loro beltà vile.
VV I S I O N E D I U N A M O R E DI S I O N E D I U N A M O R E D A N N A T OA N N A T O
SS E Z I O N E E Z I O N E V I : V I :
PP A R T E U N OA R T E U N O : “ O: “ O R F E O E D R F E O E D EE U R I D I C EU R I D I C E ””
PP A R T E D U EA R T E D U E : “ B: “ B R U C I A A L LR U C I A A L L ’ I’ I N F E R N O C O D E S T O A M O R EN F E R N O C O D E S T O A M O R E ””
PP A R T E T R EA R T E T R E : “ L: “ L A M E N T O D I A M E N T O D I OO R F E OR F E O ””
Come una finestra sul mondo, la scena si apre con Persefone che, impietosita per il destino dei due
giovani amanti, discende i regni dell’Ade per osservare di persona l’amor più controverso di tutto
il mito, ovvero l’amore impossibile per eccellenza: Orfeo ed Euridice. Recatasi sul posto, Persefone
è testimone della struggente consumazione di Orfeo nei confronti della propria amata… un canto
dedicatole che fiammeggia in tutto il suo pathos fino alle estreme estensioni!
OO RFEO ED RFEO ED EE URIDICEURIDICE
“All’inferno, ogni amore proibito è eterno”
PP ARTE ARTE UU NONO
Dalle fiamme degl’Inferi
bifide le lingue della Valle di Tempe,
irte e adagiate su di un campo fiorito,
spodestano della propria chioma
il trono di Regina fregnante.
Così affondano, le anime neglette
i loro sospiri con voluttà incallita
tra il frastagliato corallo,
e s’impigliano
come in reti di pescatori erranti,
per esser ripescati
dal mio ardore
di giovane supplicante.
BB RUCIA ALLRUCIA ALL’I’I NFERNO CODESTONFERNO CODESTO AA MOREMORE PP ARTE ARTE DD UEUE
Di un solo traghettatore
le turchesi e fluenti acque
obliano i residui ricordi,
mentre flagellan della mia mente
l’innumere castigo;
Rimane perpetua e viva
la fiamma che sulla tua testa
di crinale corona
la forma, per sempre, adombra:
Brucia all’Inferno codesto amore,
e dall’alto di una granitica roccia
erompe il tuo peccato, mentre io, giù,
la tua immagine nel nulla contemplo.
LL AMENTO DI AMENTO DI OO RFEORFEO
Di Euridice, l'illusione più non s'attarda
tra le nere e oscure fosse al di là dell'Ade
altresì obliata foce d'Averno profondo,
poiché della mite Valle di Tempe, regina,
tu fosti un tempo, in un dì non molto tardo
nell'esser stata più volte sì cieca e stolta
a non osservare tra i tuoi celeri passi
la morsa e le fauci di un vile serpente,
o ancor più di Aristeo lo sguardo feroce
cieco pastore, del dono di Eros digiuno;
Condanni me, per infausta sorte avversa,
nel criticare un amore ch'io in eterno provo
per una luce fioca, dispersa tra i primi raggi
del sole, quali tetre e livide ombre grigie,
paghe dell'attonito silenzio di una loro sorella
maggiore che la vita quasi sempre oltraggia
tra i nembi e i fasci di luminosa speranza.
Altro non può che dannarsi, codesto cantore
di tutti gli dèi sempiterni avversi, e forse ancora
come uomo, al di sopra dello stesso satiro Marsia,
il cui vello è ancor più dimentico per diletta sorte,
e non ultimo, mi tacci il cielo, del divin Musagete,
delle ninfe sommo patrono e di muse alate reo olimpio.
L ’ IL ’ I R A D I R A D I PP E R S E F O N EE R S E F O N E
SS E Z I O N E E Z I O N E V I I : V I I :
PP A R T E U N OA R T E U N O : “: “ T A L E È I L L A M E N T O C HT A L E È I L L A M E N T O C H E I O L O D OE I O L O D O ””
PP A R T E D U EA R T E D U E : “ D: “ D A L D O L O R L A B R A M A N OA L D O L O R L A B R A M A N O N R I F U G G EN R I F U G G E ””
Persefone però non si commuove più di tanto, alla visione di tale struggimento, bensì si altera e
diviene furiosa come la più temibile delle Erinni, da lei stessa generate. Il suo canto trabocca di
cruda meditazione, di parole che solo una lama può arrestarne il taglio affilato. Rinnega la sua
esistenza, il suo esilio condannato da una semplice melagrana (…“il tenero seme d’indigesta
violenza”).
TT ALE È IL LAMENTO CHEALE È IL LAMENTO CHE IO LODO IO LODO
Divenir umana carne, adesso io scruto
codesto inferno tra fiotti di sangue e di larve,
tra ombrose fosse di cinereo digiuno
la cui gioia nell’illusione si confonde,
perché di due giovani amanti, la virtù,
mai più si liberi tra i fasci del crepuscolo;
Così, che come lacera e divelta membrana,
con forza un notturno manto appiani, ogni resistenza,
ogni barbiglio di piacevole e cinica luce; poiché…
tale è il dolore che io vanto tra i lembi di carne
di un corpo il cui nido la quiete non dona,
tale è il lamento che io lodo
tra gl’alvéi di un cuore di tenebra,
per aver dischiuso del male
il tenero seme d’indigesta violenza.
DD AL DOLOR LA BRAMAL DOLOR LA BRAM A NON RIFUGGEA NON RIFUGGE
Cresce nel proprio utero materno
come rigurgito che dal vuoto si riversa
mentre ogni anello contratto ed adunco
la carne, palpitante stride
nutrendo di un unico vagito, il crudo pasto.
Del mio stesso sangue, nelle tenebre riverso,
si sfama e si nutre, il necrotico infante
altresì propenso ad un fato impervio
d’egoistica e torrida sete,
d’ogni stilla avido in un osseo calice intinto.
Da quel dolor la brama non rifugge
lungo i sentieri di un livido vuoto
poiché estroverso, per virtù disincanta
colei che di un destino l’alma soggioga.
PP E R S E F O N E E E R S E F O N E E AA D ED E
CC O R N I C EO R N I C E : :
PP A R T E U N OA R T E U N O : “ P: “ P E R S E F O N E E E R S E F O N E E AA D ED E ””
PP A R T E D U EA R T E D U E : “ M: “ M O L T E P L I C I E U N I C I S OO L T E P L I C I E U N I C I S O N O G L I S G U A R D IN O G L I S G U A R D I ””
Persefone si rassegna e concede ad Ade un grande elogio, così accettando il suo destino ed
intessendo una serafica lode a colui che ha il potere sui morti. Un ardore questo che riesce a lenire
la fiammeggiante ruota d’Issione, fermata soltanto da Orfeo durante la ricerca della propria
amata.
PP EE RSEFONE E RSEFONE E AA DEDE
Di colore grigio e virido smeraldo,
suadente e brumosa, fregiata
di anime leggiadre, quatta quatta,
scivoli via tra i sogni dei tuoi fratelli
come fantasma errante.
Come spirito dei venti,
sfumi dietro le loro spalle:
come fluenti capelli
sfiorati dal sottile tocco della morte,
sul mio petto dipinta
come donna dai cinerei fronzoli,
acconciati e tessuti dalle sue stesse figlie
d’adorna e defunta beltà.
Coperto da un diafano velo,
parea il tuo corpo magro
mostrar ai dannati le ossa frantumate,
per sfamare di quell’illusorio banchetto,
le rimestiate suppliche
che in cuor mio le ferite non placa;
Colui che toglie la vita
intonar, odi le anime perdute,
perdute in codesto colle dell’Ade
ove cianotici i lamenti, tengono
compagnia alla mia mesta solitudine
pari solo alla sua arte d’immortal cantore.
MM OLTEPLICI E UNICI SOOLTEPLICI E UNICI SO NONO ……
Molteplici e unici sono gli sguardi
che di lance confitte traversano il mio viso,
di antichi e vicini peccati immemore.
Nel vederti giungere carponi, in silenzio,
tra le anime tue disperse,
come gatto sornione tra i lividi cuscini,
un manto di cerulea nebbia, scorgo,
avvolgere con dolce abbraccio
i miei desideri, fino a lenire
della fiammeggiante ruota d’Issione
cui mite cantore eterno, pose idillio,
i ciclici spasmi.
Nel vuoto cado per sempre,
a donar di rimando un lieve riso,
Codesta, è la Morte… e con lei
ogni destino è condiviso!
MM E D U S A E E D U S A E TT I S I F O N EI S I F O N E
II N F E R N A L I AN F E R N A L I A : :
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Placatasi del tutto e finanche stemperatasi nello sperticato elogio ad Aidoneo, suo sposo, proprio
ad una delle furie Persefone si rivolge con parole che traboccano di grande umiltà e commozione
ma non prima di aver in maniera esemplare traversata la guardia della Gorgone Medusa, da lei
stessa destinata alla custodia degli Inferi. La furiosa reazione della Principessa dell'Ade allo
struggimento dimostrato dal cantore di Tracia si affievolisce adesso in cuor suo, una volta per
tutte, fino a scaturirne un'accorata richiesta a Tisifone perché la condanna dei due "innamorati"
abbia finalmente termine... Cruda è l'invocazione di Kore che, con tono tagliente, accusa la stessa
Tisifone della tortura propinata ad Oreste per la morte della madre Clitemnestra e ancora della
morte di Citerone per l'amor non corrisposto nei suoi confronti.
MM EDUSAEDUSA
Epica Forma
Figlia di Ceto e finanche di Forco,
delle Gorgoni tu sei dunque mortale
a dispetto delle due sorelle, Steno,
ed Euriale dalle ali d'oro; con artigli
di bronzo e ampie zanne di cinghiale;
fra tutte, Regina tu sei, per crudeltà
e forza, sì, meritando da Persefone
Averna, la gran custodia degl'Inferi.
Come grappoli scendono sul volto,
adunque, miriadi di venefiche serpi,
poiché un dì nel cogliere di Poseidone
l'amor corrisposto, audace svelasti
di Atena Promachos la focosa rabbia:
Impietrito, è, il cuore al solo sguardo
di quel granitico incanto, laddove, tu,
quale crudele maga al pari di Circe,
gli animi muti in pietra; un solo morso
agogna tale ofidio nel profondere, sì,
cauto, il proprio veleno, cosicché sia
intorpidito il muscolo, orsù più tetro
nel suo violento ed infausto incedere.
Ebbene, altri ancora i viscidi serpenti
che anelano di quell'ansimante carne
i tendini distorti per l'ipnotico sforzo,
altresì contratti perché l'inclita paura
come bruma, fosca s'effonda sempre
più densa tra le fluide vene del marmo.
Tu sei, or più truce delle due Forcidi
nel vendicarti d'un torto che ratto fu
nel pieno fiorir di un amore giovanile.
Per colpa dell'aurigeno Perseo, orsù,
figlio di Zeus e della dolce Acrisione,
agitato nel riflesso d'un lucente scudo,
per sempre decretò l'odio la tua fine.
Così tu fosti, anche, a un'egida avvinta
con lieto garbo da colei che una lancia
vibra oltre le teste degl'imperituri eroi
e lo scudo bensì assesta nello scuoterlo
su quei campi di guerra le cui vittorie
son note solo ad aedi e famosi cantori,
dunque scolpite nei loro versi marmorei
quale ignudo e granitico scalpello eolio.
Oh, mia Medusa, che vengano disciolti
una volta per tutte, i vili nodi della tua
triste colpa, lungo quel freddo bronzo
che la sempiterna gloria alla pari adombra
nel trasformare in statua ogni creatura.
II NVOCAZIONE DI NVOCAZIONE DI TT ISIFONEISIFONE
Spargono, a Tisifone dai sanguigni occhi
mandrie di velli neri altresì sbiadito miele
sopra i divini altari, quali semplici offerte
a lei dovute in ragion del proprio terrore,
poiché tu, Figlia mia, fosti sì tanto crudele
nel torturare di due amanti vane promesse
fin dalla loro gioventù mite e spensierata.
Dal buio Tartaro, io Persefone, t'invoco
perchè di codesto peccato, venga lenito
ogni dolore parimenti superba condanna.
L'essere "benevola" ancor più l'ostentasti
un tempo, quali malefiche serpi disciolte
tra i crespi capelli, nel cui oscuro riflesso
finanche l'odio ritrova il proprio vile seme.
Delle altre due sorelle, tu sei, sì, più truce
quando famelica quell'artiglio insanguinato
torci fra le buie tenebre del cuore umano
finché del reo, ogni dubbia attesa, confusa
si dissolva al balenar di una nuova colpa.
Proprio tu, nessuna pietà avesti nel rigirare
ampie e vivide fiaccole, ancor più tremule,
lungo il turbato volto del giovane Oreste,
il cui rimorso, folle, nutristi con gran invidia
come quando una lama al pari di un artiglio,
la ferita finanche trafigge con empio potere.
Proprio tu, che del bel Citerione, cangiasti
un suo duttile crine in quel velenoso ofidio
che ora diviene della tua vittoria gran trofeo.
Così, di Orfeo ed Euridice, siano dissolte
le dure catene di quell'oblio, a te ben noto.
Questo, è ciò che io principessa dell'Ade
chiedo, con umiltà di serva, in loro vece.
EE P I L O G OP I L O G O
SS E Z I O N E E Z I O N E I I I I I I -- I X : I X :
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Lasciati i colli dell’Ade, ancora nello stato di incubazione, Chelide si ritrova nello stesso punto in
cui si era addormentato, a causa del petalo di fuoco. Grazie al velato intervento di Hermes, il
satiro danzante avverte, in cuor suo, il silenzio della polena della propria imbarcazione gridargli la
giusta rotta, indirizzandolo verso il porto di Akragas. Qui, egli ritrova ormeggiata la sua
Laocoonte, e così decide di salpare dalle coste della Sicilia facendo ritorno in Grecia, mentre
intona un ultimo canto a Persefone.
II L L RR ISVEGLIO DAL ISVEGLIO DAL SS OGNOOGNO
Della Laocoonte, l’intorpidito silenzio
annoda alle mie stanche orecchie
di dormiente, fili d’argento e corde di cetra,
cosicché, pago, il mio senno sperduto
tra i profondi rivi del regno dei morti
si libri oltre i confini di una città
che di Pindaro colse i leggiadri versi
qual “più bella di tutte le città mortali”:
Akragas è il suo nome solenne.
Ben lungi dal mostrar le bianche vele
impettito e fiero, sta lì ancor più ritto
l’albero maestro quale statua marmorea
appena avvinta alla gloria di Fidia poiétes.
Che tali coste sicanie, lasci io per sempre
nel ricordo di cinerei lutti e amori eterni
più non destando di Persefone Averna
quell’implacabile ira furente che tutti gl’Inferi
scuote e ancor più tuona nel tetro rimpianto
d’una gioventù sfiorita per mano del suo sposo.
FF INE DI UN VIAGGIOINE DI UN VIAGGIO Epilogo
Allorché di quella nave, i rami
i timoni e la prua, mai più
toccheranno l’acherontea sponda,
ove beati a lamentar di un grido
si congiungono le anime dei defunti.
Tuona del carro quadrigo
il nodoso ed infausto pianto,
mentre dai ciclici raggi
di una ruota che la pietà mai conobbe
si diparte di Persefone l’ultimo addio,
saluto codesto alla terra madre
da cui il seme del mondo fu partorito
in duplice discordia.
Osserva, oh mia dolce Persefone
di quel mar senz’orizzonte
il nudo giaciglio, ove la morte
ti colse a piè mosso
sul sentiero di un’isola
che il ciel a metà non ti rivela.