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UNIVERSITA’ DI PISA
FACOLTA’ di Giurisprudenza
Titolo
“Il pensiero filosofico-giuridico del
primo Dworkin
Il Candidato
Carlo Grandi
Il
Relatore
Franco
Bonsignori
a.a. 2008 / 2009
INDICE:
INTRODUZIONE……………………………………………..pag. 3
CAPITOLO PRIMO : CONCETTO DI DIRITTO E SISTEMA DWORKINIANO…………………………………………….pag. 7
CAPITOLO SECONDO : LA JURISPRUDENCE E IL SISTEMA GIURISPRUDENZIALE IN DWORKIN………………………pag. 17
CAPITOLO TERZO: GLI “HARD CASES”…………………pag.
25
CAPITOLO QUARTO: IL COSTITUZIONALISMO DI DWORKIN E IL CONCETTO DI “PRENDERE I DIRITTI SUL SERIO”……….pag. 36
CAPITOLO QUINTO: I DIRITTI POSSONO ESSERE CONTROVERSI. IL GIUDICE ERCOLE………………………………………..pag. 53
CONCLUSIONE………………………………………………pag. 62
BIBLIOGRAFIA………………………………………………..pag. 70
INTRODUZIONE
Nella presente trattazione verrà affrontata l’articolata e
stimolante teoria politica di Ronald Dworkin partendo dal
libro che in primis ha rivelato il pensiero del giurista-
filosofo americano,ovvero TAKING RIGHTS SERIOUSLY (-i
diritti presi sul serio-) uscito nel 1977.
Attorno alle tesi del giurista statunitense si sono
intrecciate le più varie valutazioni, e tutto ciò non ha fatto
altro che dare ampia risonanza all’opera , considerata una
delle più significative all’interno della jurisprudence anglo-
americana.
Ma l’interesse, prima ancora che sul dibattito giuridico-
filosofico che è scaturito, va concentrato sulle tesi che
Dworkin sostiene, tesi che portano una forte innovazione
all’interno del pensiero giuridico anglo-americano.
Il pensiero di Dworkin nasce dal tentativo, secondo
molti, di mostrare l’insufficienza del positivismo e del
realismo giuridico; una critica volta a scardinare una
corrente filosofico-giuridica facente capo a John Rawls e
Herbert Hart. L’obiettivo è quello di mostrare che sia il
realismo che il positivismo giuridico presentano un vizio
utilitaristico di fondo che non permette un’adeguata
politica di sostegno delle garanzie individuali. Ma in realtà
la critica di Dworkin sarà molto concentrata sulle
debolezze del positivismo, che comunque non risultano
mai del tutto evidenziate (addirittura in alcuni casi si
scorge nelle sue tesi da un lato una sorta di filo
conduttore positivista che segna un distacco non
definitivo dalla corrente filosofica criticata, e dall’altro lato
una flebile critica al giusrealismo mai del tutto compiuta e
limitata solo ad aspetti generali della questione).
Ciò che in questa tesi verrà messo in luce sarà
esclusivamente la teoria filosofica dworkiniana come
emerge dallo scritto del 1977. Inizialmente verrà
affrontata la questione relativa al concetto di diritto e a
tutto ciò che per Dworkin significa “sistema giuridico”;
dunque si discuterà della completezza del sistema, dei tipi
di norme di cui esso è composto (Dworkin parla di
“principi” e “norme” attribuendo ai due termini una
varietà di significati). A prova della validità del sistema,
Dworkin porta alcuni esempi significativi: anch’essi
verranno esaminati alla luce del suo pensiero
complessivo.
La trattazione seguirà analizzando un altro aspetto,forse
primario (ma su questo la critica è discordante) della
teoria giuridico-filosofica di Ronald Dworkin; la
Giurisprudenza. In primo luogo consci che il giurista vive e
opera all’interno di un sistema di common law, verrà
affrontata la questione del precedente giuridico e la sua
importanza nel sistema anglo-americano.
Successivamente e conseguentemente emergerà
all’interno della tesi l’analisi del potere di cui i giudici
dispongono e – elemento comune dell’esposizione
dell’autore del libro TAKING RIGHTS SERIOUSLY –
seguiranno anche qui alcuni esempi significativi. Infine
seguirà un’analisi del sistema americano e della sua
Jurisprudence (così la definisce Dworkin), riportando alcuni
precedenti significativi.
Dopo gli aspetti basilari della filosofia giuridica
dworkiniana si passerà a ciò che intende il giurista per
HARD CASE, ovvero quando il sistema va oltre la sua
naturale chiusura ponendosi nuove questioni di diritto. Da
qui nascerà il dibattito su come risolvere gli Hard cases,
su cui Dworkin propone due soluzioni: gli argomenti di
principio e gli argomenti di politica. Si passa così a
sviscerare la natura dei diritti all’interno di un sistema
complesso di leggi come quello di common law: in merito
Dworkin sostiene che esistano due tipi di diritti, i diritti
Istituzionali e i diritti legali.
Infine, affrontando momentaneamente ma non in
maniera definitiva la questione dell’importanza del
precedente giuridico nella cosiddetta Rights Thesis (teoria
dei diritti),verrà affrontato a titolo esemplificativo il caso
Nixon e le direttive giuridico-politiche che a suo tempo la
corte Suprema americana presieduta dal giudice Warren
ebbe ad assurgere per il sistema americano di allora.
Da questo punto parte la teoria dworkiniana in merito al
TAKING RIGHTS SERIOUSLY, ovvero al “prendere i diritti
sul serio” alla luce di una linea teorica coerente e
univoca; il giurista vuole così evidenziare il problema del
common law di essere troppo spesso vincolato al
precedente ma svincolato in merito alle questioni morali
insite in ogni singolo caso. Da qui verrà affrontato
l’argomento inerente ai diritti controversi e se può
esistere un “diritto di infrangere la legge” quando essa
calpesti i diritti morali dei cittadini. Si passa così ad
affrontare un argomento d’attualità all’interno del
sistema giuridico americano quale quello inerente alle
“discriminazioni alla rovescia” e il connesso concetto
d’uguaglianza (con casi esemplificativi della questione),
per affrontare infine il concetto di “diritto morale” riferito
al cittadino.
Nell’ultimo capitolo, alla luce delle teorie emerse, verrà
affrontata la questione della Controversia dei diritti, vale
a dire se esiste una risposta univoca a tutte le domande
di moralità politica o piuttosto se il giudice deve operare
una scelta tra più risposte giuste. Da qui l’esempio forse
principale della trattazione, inerente ad un giudice
capace di interpretare i casi alla luce di tutte le possibili
posizioni, giudice definito (per l’abilità presunta
impossibile da Dworkin) “Ercole”. Alcuni esempi
proveranno a mostrare come Ercole potrebbe affrontare
dei casi in rapporto ad un filosofo giuridico o ad un
diverso sistema normativo.
Seguirà una conclusione riassuntiva dell’elaborato.
La volontà di non affrontare l’ampia pagina della critica
a Dworkin nasce da una logica di compiutezza
dell’elaborato,che altrimenti avrebbe perso un senso di
finitezza e avrebbe potuto finire per perdersi in questioni
dispersive trattando altri autori o altre correnti filosofiche
che ben poco hanno a che fare col pensiero del giurista
laureato ad Harvard. Inoltre la centralità dell’argomento
permette già di per se alcuni possibili confronti,che
seppur in minima parte,verranno affrontati durante
l’elaborato.
In conclusione non si deve tralasciare il fatto che lo stesso
Dworkin nella sua esposizione affronta delle critiche
sviscerandole alla luce del suo pensiero,ma allo stesso
tempo condividendo alcuni contenuti che risultano
funzionali a tutto il suo sistema.
CAPITOLO PRIMO : CONCETTO DI DIRITTO E
SISTEMA DWORKINIANO
Per cominciare è necessario fare una puntualizzazione:
Dworkin non usa mai il termine “sistema” né vede il
diritto come un sistema di regole. Questa premessa
dovrebbe di fatto far cadere quanto detto finora a
proposito di un concetto di diritto nella filosofia giuridica
di Dworkin. La realtà però è ben diversa.
Dworkin pone la questione sotto un altro aspetto,non
tanto riguardante la classificazione del diritto positivo,ma
piuttosto concernente la questione del “SE” il diritto sia
un sistema di “REGOLE”. La questione si sposta da un
piano sistematico ad un piano prettamente normativo (o
meglio concernente la semantica del termine “Regole”).
Dworkin afferma che “I giuristi danno molta importanza ai
concetti,tra di loro connessi, di diritto soggettivo e di
obbligo giuridico. Noi diciamo che qualcuno ha un diritto
soggettivo o un dovere giuridico, e sulla base di questa
asserzione fondiamo azioni e pretese, e critichiamo gli
atti dei pubblici funzionari. Ma la nostra comprensione di
questi concetti è assai fragile,e ci troviamo nei guai
allorché cerchiamo di dire che cosa i diritti e gli obblighi
giuridici siano.Diciamo magari che è l’applicazione del
“diritto” ad un caso particolare a determinare se
qualcuno abbia un obbligo giuridico; ma la risposta non
aiuta molto, perché poi ci troviamo di fronte alle stesse
difficoltà con il concetto di diritto”1 . In poche parole
secondo Dworkin spesso i giuristi deducono le regole
dalle applicazioni ai casi concreti. Questo porta spesso ad
una minimizzazione dei concetti giuridici in quanto tali,
considerati alla stregua di miti inventati per motivi consci
e inconsci. Ma la realtà secondo Dworkin sta nella
mancanza di una vera identificazione di questi concetti,
di una definizione esaustiva di concetti che stanno alla
base del diritto. Questo principio ha portato,sempre
secondo Dworkin, a pensare che si possa fare a meno di
tali concetti e così facendo non si è fatto altro che
aumentare quello che chiama “lo spettro del
positivismo”, ovvero un sistema dove esistono regole
particolari che la società usa allo scopo di disciplinare
determinati comportamenti e che alla fine risulta un
sistema “chiuso” in quanto l’insieme delle regole valide
esaurisce il diritto. In questo sistema dunque non c’è
spazio per i concetti generici come quello di “obbligo
giuridico”, perché dire ad esempio che un cittadino ha un
obbligo giuridico equivale a dire che lo stesso deve
rispettare una norma giuridica valida2. Dalla critica ai 1 R. Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,editrice Il Mulino,Bologna 1982 “Lawyers lean heavily on the connected concepts of legal right and legal obligation. We say that someone has a legal right or duty,and we take that statement as a sound basis for making claims and demands,and for criticizing the acts of public officials.But our understanding of these concepts is remarkably fragile,and we fall into trouble when we try to say what legal rights and obligations are. We say glibly that wether someone has a legal obligation is determined by applying “the law” to the particular facts of his case, but this is not a helpful answer,because we have the same difficulties with the concept of law.”2 vedi J.Austin,The province of Jurisprudence determined,1832 nel commento di Dworkin “I diritti presi sul serio”,cit. pag.84
concetti generali nasce la teoria del diritto di Dworkin,che
si basa su un’omissione dei positivisti (in particolare di
Hart); il giurista intende far capire che anche i positivisti
quando usano termini come “obbligo giuridico” si
riferiscono a degli standards che non funzionano come
regole, ma operano in maniera differente. E per
“standard” Dworkin intende una serie imprecisata di
termini, regole ma anche modelli,principi ma anche
politiche.
Per praticità viene adottata una distinzione fra Rules (=
regole) e Principles (=principi) che in realtà non è una
vera e propria distinzione, ma un’opposizione all’idea che
il diritto sia un insieme fisso di norme di qualsiasi sorta3.
A tal proposito il sistema giuridico si presenta come un
“mèlange” di regole e principi e non è un insieme
prestabilito di norme,ma piuttosto un insieme indefinito
dai contorni vaghi di standards normativi, sia morali che
giuridici,in continuo mutamento4.5 La differenza
3 R. Dworkin,I diritti presi sul serio, cit. p.764 R.Guastini,Dworkin rivisitato,in R.Guastini,Distinguendo,studi di teoria e metateoria del diritto,Torino,Giappichelli,19965 A tal proposito Dworkin cita l’esempio del caso 32 N.J. 358,161 A.2d 69 (1960) Henningsen vs. Bloomfield motors inc. che stabilì se e quanto un fabbricante di automobili avesse potuto trovare limiti alla sua responsabilità nel caso in cui l’automobile sia difettosa; Henningsen aveva firmato un contratto da cui emergeva una limitazione di responsabilità da parte della casa automobilista per danni al di fuori della riparazione di parti difettose.La corte diede ragione a Henningsen sulla base delle seguenti motivazioni: 1-“Dobbiamo tenere presente il principio generale che in assenza di frode chi sceglie di non leggere un contratto prima di firmarlo non può in seguito liberarsi dagli oneri in esso previsti”; 2- “Nell’applicare questo principio il dogma base della libertà di parti consapevoli di contrattare è un fattore rilevante”; 3- “La libertà di contratto non è una dottrina così immutabile da non ammettere nessuna riserva nell’area nella quale siamo interessati”; 4- “In una società come la nostra in cui l’automobile è un mezzo comune e necessario alla vita quotidiana e dove il suo uso è così carico di pericoli per il guidatore,i passeggeri e il pubblico,il fabbricante è tenuto ad obblighi speciali in relazione alla costruzione,promozione e vendita delle sua macchine.Di conseguenza,le Corti devono esaminare i contratti di acquisto molto
sostanziale fra principi e regole sta nella modalità di
applicazione e conseguentemente nel contesto in cui si
presuppone che esse stesse vengano usate. Per quanto
riguarda le regole vale il concetto del “TUTTO O NIENTE” 6
, cioè l’ambito di applicazione delle stesse è limitato ai
fatti stabiliti dalla regola. E’ la validità della regola stessa
a decidere il caso. Se è valida andrà rispettata e si dovrà
accettare ciò che prescrive; viceversa non influirà
minimamente sulla decisione. Si possono prospettare
eccezioni alle regole,ma esse stesse sono previste nella
regola7.
Sotto un altro punto di vista,secondo Dworkin, le regole
non hanno tutte la stessa importanza (e per importanza si
intende una dimensione sia a livello funzionale che a
livello della disciplina); ciò è importante ai fini della
gerarchia fra le stesse,nel senso che se due regole
confliggono una prevale sull’altra in virtù del suo peso
maggiore.
La decisione relativa a quale delle regole sia valida e
quale debba essere rimaneggiata o abbandonata deve
essere presa riferendosi ad altri standards, di natura
politica(l’autorità superiore ha emanato la legge che in
caso di conflitto dovrà prevalere) o di principio (lo stesso
attentamente per vedere se gli interessi del consumatore e del pubblico sono trattati correttamente”; 5- “c’è qualche principio che sia più familiare e più fermamente cementato nella storia del diritto anglo-americano della dottrina secondo cui le Corti non permetteranno di essere usate come strumentini iniquità e di ingiustizia?”;6- “Più specificatamente le Corti rifiutano in generale di prestarsi al sanzionamento di un “contratto” nel quale una parte ha ingiustamente tratto vantaggio dalle necessità economiche dell’altra.“
6 Vedi Dworkin trad. It. Di F.Oriana “I diritti presi sul serio”,cit. pag.937 Vedi l’es. citato dal giurista dell’arbitro di baseball che decide che un battitore non è fuori dopo aver avuto tre colpi per un’eccezione, “I diritti presi sul serio”,cit.vedi supra
principio stabilisce quale delle due regole conflittuali
debba prevalere). Ma cosa sono dunque i principi?
I principi si pongono su un piano superiore alle regole
tanto da determinarle e completarle sul piano del
significante. La caratteristica principale di questo tipo di
“Standard” è la mancanza di conseguenze giuridiche,
anche per i principi che più formalmente somigliano alle
regole. Il principio permette per la sua natura astratta un
minimo di discussione e si presta sempre
all’interpretazione; questo elemento di elasticità lo rende
il terreno adatto su cui instaurare una regola. E’ il peso il
fattore che contraddistingue un principio e la
conseguente dimensione della sua Importanza8.
L’importanza dei principi deriva dunque dal fatto che
essi costituiscono i fondamenti morali dell’intero
ordinamento giuridico, ed è per questo motivo che i
giudici li utilizzano per risolvere i casi difficili. Si apre così
un dibattito sul ruolo che i principi hanno all’interno del
sistema: semplici norme alla stregua di regole o non
trattabili come diritto e da seguire FACOLTATIVAMENTE
perché come si è detto in precedenza sprovvisti di
sanzione?
Dworkin spiega il dilemma in un primo momento senza
considerare i principi come diritto e mettendo in ballo una
critica al positivismo e alla sua teoria della
8 “When principles intersect –the police of protecting automobile consumers intersecting with principles of freedom of contract, for example - ,one who must resolve the conflict has to take into account the relative weigh to each.This cannot be,of course,an exact measurement,and the judgement that a particular principle or policy is more important than another will often be a controversial one. Neverless,it is an integral part of the concept of a principle that it has this dimension,that it makes sense to ask how important or how weighty it is.” R.Dworkin, The model of rules p.14
discrezionalità. Cosa vuol dire DISCREZIONALITA’? Il
giurista ne dà 3 significati possibili:
1- Senso Forte: Un uomo (es. giudice) ha
discrezionalità quando la sua decisione è definitiva
nel senso che nessuna autorità più alta può
rivedere la decisione o annullarla
2- Senso Debole: quando una certa classe di
standards che imponga degli obblighi ad un giudice
di fatto non implichi alcun dovere circa una
particolare decisione.
3- Senso Debole: Un uomo ha discrezionalità quando il
suo dovere è definito da standards che uomini
ragionevoli posso interpretare in diversi modi (ad
esempio un ordine impartito da un generale ) .
La realtà è che Dworkin sceglie il senso forte per
contrastare l’affermazione dei positivisti in merito,ovvero
che “un giudice non ha discrezionalità quando è possibile
una regola chiara e prestabilita”: dire che la
discrezionalità si usa in mancanza di norme è Tautologia,
perché se è di per sé un criterio per giudicare non si vede
il motivo per cui non possa essere usata in altri frangenti.
E neppure ci può essere discernimento fra principi
obbligatori e facoltativi. Secondo Dworkin, il giudice ha
l’obbligo Istituzionale e per questioni di rito di applicare i
principi, un obbligo che gli deriva da standards
extragiuridici che i giudici tipicamente usano; inoltre uno
standard non può determinare un risultato perché non
prevede regole né sanzioni; può soltanto indirizzare verso
una decisione ma in modo non conclusivo.
E’ la prassi che regola i principi,e i principi si regolano fra
loro riferendosi a criteri particolari,che rendono gli stessi
vincolanti o meno a seconda del contesto di riferimento.
Così anche i principi possono essere disattesi
purché tale cambiamento sia determinato da
un’applicazione di più principi che nessuna corte è libera
di ignorare; quindi va abbandonato il positivismo sotto
questo profilo,per non evitare di ridurre la discrezionalità
ad una banalità e il sistema giuridico ad un vuoto
complesso di norme soggetto alla discrezione dei giudici.
Ma se invece i principi fossero considerati come
norme?9 Se ciò fosse vero,ci dovrebbe essere un test per
verificare la loro consistenza. Lo stesso confronto con le
teorie positiviste porta alla conclusione che i principi sono
Norme di riconoscimento del sistema facenti parte della
consuetudine; una conclusione che stride con i canoni
positivisti del diritto, perché implica un riconoscimento
della consuetudine e del fatto che essa sia una fonte
primaria (anzi,la fonte principale) del diritto positivo. Si
arriverebbe alla conclusione paradossale che è il diritto
non scritto la chiave del positivismo. Dunque non sono
possibili test per riconoscere i principi.
Quello che Dworkin vuol far capire è che bisogna
superare il positivismo per raggiungere un modello più
simile a quello anglosassone,in quanto la dottrina di Hart
e Austin crolla sulla questione dei principi tanto da non
ammetterli nemmeno fra le cause che impongono
obblighi giuridici agli individui. Si prospetta quindi la
necessità di un cambio di vedute all’interno del sistema
per poter renderlo più adatto alle esigenze della common
9 Vedi supra
law. Dice lo stesso Dworkin: ” ho affermato che la tesi
che vi sia una prova riconosciuta comunemente per
stabilire ciò che è diritto è plausibile se consideriamo
semplicemente le norme giuridiche che appaiono nelle
leggi o che sono esposte a chiare lettere nei libri di testo.
Ma giuristi e giudici,nel discutere e decidere le cause, si
appellano non soltanto a tali norme scritte in neretto, ma
anche ad altri tipi di standards che ho chiamato principi
giuridici come, per esempio, il principio che nessun uomo
possa trarre profitto da un proprio illecito. Questo fatto
mette il positivista di fronte ad una difficile scelta. Egli
potrebbe mostrare che i giudici,quando si appellano a
principi di questo genere,non si richiamano a standards
giuridici, ma stanno solamente esercitando la loro
discrezionalità. Oppure potrebbe cercare di mostrare
che,contrariamente ai miei dubbi qualche test
comunemente riconosciuto identifica sempre i principi
che i giudici considerano come diritto e li distingue da
quei principi che essi non considerano tali. Ho dimostrato
che l’una né l’altra teoria possono avere successo.“10.
Dworkin continua sulla falsariga della teoria dei principi
per scardinare il sistema positivista,e ancora, per
dimostrare l’asserto che il diritto è una questione di diritti
e doveri e non una discrezionalità di funzioni,
argomenterà la tesi dell’impossibilità di effettuare test
per stabilire cos’è diritto nella forma di una pratica
sociale uniforme. Ragion per cui si ha da parte sua un
altro attacco al positivismo sul terreno dell’effettività
delle norme. Ci si avvale di un altro canone (non di un
Test univoco) per identificare l’effettività delle regole,
10 Dworkin,I diritti presi sul serio,trad.It. di F.Oriana,cit.p.123
ovvero del contenuto delle stesse. Dworkin attua una
importante distinzione fra concetti,ovvero fra concetti di
“dovere” e concetti di “obbligo”. Accanto a questa
distinzione egli ne aggiunge un’altra non meno
importante, ovvero la distinzione fra concetti di “fare” e
concetti di “non fare”. Tutti questi concetti si intersecano
e da questi nascono le decisioni dei giudici; decisioni
adottate grazie all’utilizzo degli Standards
(principi,politiche,ecc.) a cui si accennava in precedenza.
Tuttavia è il perché i giudici adottino questi standards il
motivo del dissidio dworkiniano. Secondo il giurista il
punto sta nell’accettazione della regola valida da parte
della comunità,perché anch’essa è una fase della vita
della regola sociale11. Successivamente Dworkin anticipa
una possibile risposta in merito al mutamento di concetto
di regola sociale, parlando di particolare formulazione dei
propri doveri e di uso di tali doveri come guida di
comportamenti; ma anche questa tesi dà troppo rilievo
alla circostanza che i membri siano in grado di esprimere 11 Spiegazione della “teoria della regola sociale” e conseguente confutazione –Dworkin distingue due versioni della teoria della regola sociale,una “forte” che si ha ogni volta che qualcuno asserendo un obbligo lo interpreta come se ci fosse dentro una regola sociale, e una “debole” che avviene quando chi asserisce l’esistenza di un dovere venga interpretato come se si presupponesse una regola sociale che presupponesse l’esistenza di quel dovere. Le due teorie portano: quella forte a non ammettere che possano esistere regole sociali che richiamano le regole normative,il che risulta paradossale alla luce di ciò che si intende per dovere e per accettazione uniforme di una regola da parte della comunità; quella debole a non considerare ciò che Dworkin definisce moralità sociale,distinta in “moralità in conflitto” –quando i suoi membri sono d’accordo nell’asserire la regola ma non riconoscono quest’accordo come una parte essenziale dei loro motivi per asserire quella regola- e “moralità convenzionale – quando viceversa i membri riconoscono i motivi per asserire che l’accordo è essenziale per la regola- con la prima nemmeno contemplata dai positivisti e la seconda neppure riscontrata adeguatamente visto che non può spiegare l’eventualità fondamentale in cui le persone d’accordo sulla necessarietà della pratica siano viceversa in disaccordo sullo scopo del dovere (emblematico l’esempio concernente l’usanza di portare il cappello in sinagoga)
i reciproci dissensi per quanto riguarda i doveri di
interpretazione. Secondo Dworkin, in conclusione, la
teoria della regola sociale fallisce perché insiste sulla
considerazione che una pratica sociale deve in un modo o
nell’altro avere lo stesso contenuto della regola che gli
individui sostengono in suo nome. Oltre all’effettività
cade anche la tesi positivista della norma di
riconoscimento, o meglio “del sostegno istituzionale” la
quale sostiene che un principio giuridico è tale se figura
nella più valida teoria del diritto che può essere fornita
come giustificazione per le norme sostanziali e
istituzionali della giurisdizione in questione. Ma tutto ciò
secondo Dworkin porterebbe a spiegare le norme come
uno storico del diritto senza nessuna base storica o
moralmente neutra per porre una teoria del diritto come
la più valida;si ridurrebbe ad una elencazione di principi
giuridici senza alcun costrutto.
Dworkin sostiene che i principi sono in conflitto fra loro
e che al tempo stesso interagiscano cosicché ciascun
principio fornisce un argomento a favore di una soluzione,
ma non la determina. Affinché si arrivi ad una
determinazione della decisione sono necessari altri fattori
non meno importanti, fra cui l’elaborazione
giurisprudenziale. Come è stato accennato in precedenza,
Dworkin in quanto figlio del sistema di Common Law vede
nella giurisprudenza un fattore fondamentale per la
creazione e l’elaborazione del diritto, e come tale degno
di essere considerato fra le fonti normative.
Ma come si vedrà nel prossimo capitolo, spesso
l’elaborazione giurisprudenziale prevede l’utilizzo di
principi a volte molto discordanti fra loro, e fra questi la
stessa volontà del giudice risulta decisiva ai fine della
soluzione di un caso concreto.
CAPITOLO SECONDO : LA JURISPRUDENCE E IL
SISTEMA GIURISPRUDENZIALE IN DWORKIN
Per inquadrare appieno il modo in cui Ronald Dworkin
sviluppa le sue teorie è necessario innanzitutto avere ben
chiaro cosa si intenda per sistema di common law e
soprattutto le particolarità del mondo giuridico
americano.
Il sistema del Common law è un modello di
ordinamento giuridico di matrice anglosassone, fondato
su leggi non scritte e sviluppatosi attraverso i precedenti
delle decisioni giurisprudenziali. Il Common law si è
sviluppato differentemente dal Civil law per una serie di
ragioni strutturali.
1. formazione pratica del giurista di Common law
-formazione universitaria del giurista di Civil law-;
2. selezione dei giudici fra i migliori avvocati superiori,
i barrister -selezione burocratica dei giudici di civil
law-;
3. precoce centralizzazione ed elevato prestigio delle
Corti superiori inglesi -frammentazione delle Corti
continentali fino all'assolutismo-;
4. ridotto ruolo della dottrina giuridica universitaria
nella formazione del diritto -elevato ruolo della
dottrina continentale-;
5. assenza della recezione del diritto romano, salvo
influenze su opere dottrinali;
6. giurisprudenza è la principale fonte del diritto, con
un ridotto intervento del diritto legislativo -il diritto
legislativo è prevalente nei paesi di Civil law-;
7. mancanza delle codificazioni;
8. antica affermazione della Rule of Law -principio di
legalità-;
9. obbligatorietà del principio dello stare decisis;
10. mancanza del notariato di tipo latino, le cui
funzioni sono svolte dagli avvocati.
E’ necessario precisare anche che il termine di common
law può assumere diversi significati secondo il contesto.
Oltre alla distinzione appena citata rispetto al civil
law, nei paesi di diritto anglosassone il termine Common
law designa una delle branche nelle quali si articola il
diritto positivo, contrapponendosi quindi a Statute law. In
tale accezione Common law designa il complesso di
norme di formazione giurisprudenziale che storicamente
costituiscono il cardine fondamentale del diritto inglese,
mentre Statute law indica il complesso di norme emesse
dal legislatore in senso proprio. In tal senso Common law
può essere utilizzato quale sinonimo di Case law.
All'interno del Common law come sopra descritto, vale
a dire del diritto di formazione giurisprudenziale, esiste
un'ulteriore bipartizione tra Common law (o
semplicemente Law) ed Equity. Tale bipartizione riflette
la struttura del sistema di corti inglesi e delle rispettive
competenze; si tratta di una bipartizione che ha dato
luogo a due filoni giuridici ben separati sino al 19° secolo,
allorquando le due gerarchie di corti sono state unificate.
Ciononostante la distinzione tra Law ed Equity rimane
tuttora fondamentale sia nel diritto sia sostanziale che
processuale: la differenza è di ordine non logico ma
procedurale: le azioni e i relativi diritti discendenti dal
sistema di Common law (ad es. l'azione di responsabilità
per danni) sono detti in law, mentre gli altri diritti e azioni
(es. l'azione di risoluzione contrattuale) sono detti in
equity1.
Per quanto concerne il diritto statunitense esso deriva
da quattro fonti. Che sono il diritto costituzionale, il diritto
amministrativo, le leggi ed il common law (che include il
case law). La fonte più importante è la Costituzione degli
Stati Uniti, cui è subordinato il resto dell'ordinamento.
Anche se gli Stati Uniti sono tributari, come molte altre
nazioni del Commonwealth, della tradizione inglese del
common law, il diritto statunitense è, sotto molti aspetti,
unico. Il sistema legale del paese, infatti, è stato separato
da quello britannico dalla Rivoluzione e in seguito ha
avuto un'evoluzione autonoma. Le corti statunitensi,
quindi, quando cercano di ricostruire lo sviluppo dei pochi
principi elaborati dal classico common law non ancora
sostituiti dal "nuovo diritto", esaminano le decisioni
giurisprudenziali britanniche solo fino all'inizio del XIX
secolo2.
E’ questo il contesto in cui Dworkin si trova a operare e a
sviluppare le sue teorie,soprattutto in un periodo in cui si
sono affermate le teorie positiviste che egli intende
smentire. Dworkin sviluppa così una diversa teoria che
cerca di fornire una risposta sia al problema della
definizione del diritto, sia a quello del ruolo e dei risultati
dell'interpretazione giuridica.
Egli parte da una considerazione di fondo: quali sono i
presupposti fondanti una decisione dei giudici3? La 1 Voce Common Law, in Wikipedia,www.wikipedia.com.2 Voce Diritto americano, in Wikipedia,www.wikipedia.com.3 “Quando i giuristi discutono dei casi o danno consigli ai loro clienti o redigono leggi volte a raggiungere determinati obiettivi sociali,si trovano di fronte a problemi “tecnici” nel senso che vi è un generale accordo all’interno
risposta può spesso apparire ovvia,ma la legge non
sempre può risolvere chiaramente un caso; spesso i
problemi che avvolgono un caso non sono tecnici e i
concetti con cui si tenta di spiegarli non sono chiari.
Secondo Dworkin questi problemi sono stati da sempre
affrontati con un approccio poco professionale,e spesso si
è preferito ignorare questa serie di problemi piuttosto che
affrontarli4. A suo avviso la Costituzione americana ha
fatto divenire questioni giuridiche problemi che in altri
paesi di common law erano solo questioni politiche, e
questo avvenne grazie all’influenza che ebbe il realismo e
la giurisprudenza sociologica sulla Jurisprudence
statunitense. Sulla base di questo errore di fondo sono
fallite molte teorie,come il post realismo. Secondo
Dworkin se la Jurisprudence vuole avere successo deve
evidenziare i problemi sotto un punto di vista diverso:
deve capire che alcune questioni (come ad es. il fatto se
la questione sul salario minimo sia giusta o meno) sono
problemi di natura non legislativa, ma morale. Dunque il
diritto è prima di tutto una questione morale,sottoposta ai
giudizi dell’uomo comune come preliminare necessario
alla valutazione critica del diritto.La giurisprudenza non
deve semplicemente limitarsi a mostrare i legami fra la
pratica giuridica e quella sociale, ma deve esaminare e
criticare la pratica sociale alla luce di standards5
indipendenti, dotati di coerenza e di senso. E’ necessario
della loro professione su quale tipo di argomento sia,nella fattispecie rilevante.” Dworkin,I diritti presi sul serio,trad.It. di F.Oriana,cit.,p.14 Dworkin parla di 3 attitudini dei giuristi nell’affrontare i problemi tecnici: 1-analizzare le leggi e le opinioni dei giudici per poi estrarre la dottrina da queste fonti ufficiali; 2-Analizzare complesse situazioni reali per riassumere accuratamente i fatti essenziali. 3- Pensare in termini tattici,proporre leggi e istituzioni tendenti a specifici cambiamenti sociali,decisi in precedenza.5 Vedi Supra
pertanto,secondo Dworkin, un approccio più filosofico ai
problemi di diritto, più vicino alle condizioni morali del
cittadino. In questo senso egli si scopre vicino alle
posizioni di Hart, di cui ne condivide alcune conclusioni,
come ad esempio l’Equal concern and Respect6, ma sono
poi le premesse (come ho accennato nel capitolo
precedente) a far divergere le riflessioni dei due giuristi .
Il discorso ci riporta giocoforza alla discussione sui
principi. Quindi due giudici nel caso concreto posso
trovarsi in disaccordo per quanto concerne l’applicazione
di una norma; e la fonte di questo disaccordo è appunto
la discussione sull’applicazione di un principio (e
conseguentemente l’esercizio del potere di
discrezionalità7 . Quando un giudice si trova di fronte ad
un caso deve sempre guardare alle 3 definizioni di
discrezionalità; queste definizioni gli permettono di
decidere sulla base del diritto e dei materiali giuridici in
suo possesso. Il giurista in questo modo sviluppa una
teoria che cerca di fornire una risposta sia al problema
della definizione del diritto, sia a quello del ruolo e dei
risultati dell'interpretazione giuridica.
La sua costruzione può essere focalizzata intorno a
tre punti: in primo luogo, in contrapposizione alla visione
"oggettualista"8, l'idea che il diritto è una pratica sociale
che si caratterizza per la sua natura interpretativa e
perciò può essere inteso solo come "concetto
6 “lo stato deve trattare i cittadini con il rispetto e la dignità che i membri adulti esigono. Le limitazioni vanno fatte sulla base di un comportamento che va giudicato secondo intenzioni,motivi e capacità”vedi capitolo 4 pres.tratt. 7 Vedi supra 8 Visione "oggettualista" e "semantica" del diritto, riduce l'attività dell'interprete alla ricerca della corrispondenza tra la sua argomentazione e il significato "proprio e naturale" dei termini contenuti nelle norme
interpretativo". A partire da una diversa visione della
costruzione del significato delle pratiche sociali, questa
idea si traduce in una identificazione del diritto che ha
quale punto di partenza la determinazione dei suoi
contenuti (individuazione del concetto), e che richiede,
poi, l'interpretazione "costruttiva" dei suoi valori di
riferimento. In questa prospettiva, la determinazione del
diritto richiede l'elaborazione e la scelta tra diverse
concezioni che rinviino a diverse impostazioni politico-
morali. In secondo luogo, a livello metodologico,
l'individuazione del concetto di diritto richiede l'adozione
di un punto di vista "interno" volto a determinare non
solo le "basi" ma anche la "forza" del diritto: ciò comporta
l'adozione di un approccio "comprendente" complessivo
rispetto alla pratica. Inoltre, la raffigurazione del diritto a
partire dalla coppia concetto/concezioni implica il
superamento della distinzione tra giudizi di fatto e giudizi
di valore (e di quella parallela tra descrivere e
prescrivere): comprendere e definire il diritto comporta
necessariamente l'adozione di una posizione valutativa e
la scelta della concezione "migliore". In terzo luogo, in
relazione all'interpretazione, la considerazione
dworkiniana del diritto sottolinea fortemente la sua
natura argomentativa e la necessità che l'interpretazione
non sia lasciata alla discrezionalità del giudice ma si
sviluppi all'interno di precisi vincoli. Ciò pone il problema
della possibilità di individuazione della "right answer"
rispetto al caso e la necessità di individuare dei criteri
attraverso i quali questo compito può essere realizzato.
CAPITOLO TERZO: GLI “HARD CASES”
Arrivati a questo punto, viene spontaneo dedurre come
il “sistema”1elaborato dal “primo” Dworkin (così come
viene definito il suo pensiero alla luce di “ Taking rights
seriously”) risulti perfetto e intoccabile alla luce della
teoria della “One-Right-answer” (ovvero il problema di
come sia possibile individuare, nonostante le diverse
interpretazioni, una risposta "corretta" e non
discrezionale nell'interpretazione del diritto di una
comunità). Spesso l’interpretazione giurisprudenziale
correlata con l’elasticità giuridica dei principi garantisce
una soluzione univoca dei casi. In realtà Dworkin
racchiude quanto detto finora sotto la voce “easy cases”
(casi facili),che costituiscono la maggioranza delle
questioni giuridiche ma che non sono l’unica specie di
casi legati al diritto e all’interpretazione. Ci sono
situazioni in cui nessuna norma stabilita può decidere un
caso, il quale però nonostante tutto deve essere risolto
senza che il giudice si permetta di creare nuovo diritto.
Queste situazioni peculiari sono dette “HARD CASES”,
casi difficili,e per sviscerare la questione il giurista parte
come di consueto da una critica al positivismo,e alla
maniera corrispondente di affrontare i casi difficili.
Rielaborando la teoria del diritto espressa nel lavoro di
H.L.A. Hart2,3 egli attribuisce al positivismo giuridico
alcune tesi teoriche, tra le quali consideriamo, solo le
seguenti:
1) Esistono casi difficili, ai quali si collegano
formulazioni vaghe e lacunose;
2) Per i casi difficili non esiste nessuna soluzione
giuridica univoca: il diritto, cioè, non prevede
nessuna risposta corretta (right answer) per
decidere tali casi;
3) La soluzione di un caso difficile non può essere
trovata all’interno dell’ordinamento giuridico di
riferimento, ma sta al di fuori di esso: nei casi
difficili, quindi, il giudice ha discrezionalità e con la
sua attività decisionale crea “nuovo” diritto;
4) Il giudice, per decidere un caso difficile, non ha
altra possibilità che scegliere la soluzione che
assicura nel modo migliore il benessere collettivo.
Come abbiamo accennato, la teoria di Dworkin rigetta il
nucleo centrale di queste tesi, risolvendo il problema
della (supposta) discrezionalità del giudice grazie alla tesi
dell’unica risposta corretta1. Il nodo problematico della
posizione di Dworkin concerne la possibilità o meno di
spiegare come il giudice operi il discernimento tra principi
e come tale operazione possa garantire il raggiungimento
di una sola risposta corretta per la maggior parte dei casi
giuridici. In altre parole: come è possibile scegliere tra le
diverse opzioni interpretative disponibili? Nell’eventualità
che il diritto preveda diverse soluzioni, magari configgenti
(antinomie) per la medesima questione di diritto, oppure
nell’eventualità in cui il diritto non preveda la soluzione
per il caso in questione (lacune), come può il giudice
pervenire alla giusta e unica soluzione giuridica? Dworkin
risponde così: ricostruendo, grazie ai principi, il sistema
giuridico (o almeno una sua partizione rilevante per il
caso da decidere) per fornirne la sua migliore
interpretazione possibile4.
Per affrontare la questione egli ritorna sulla distinzione
fra principi e politiche affrontata sommariamente nel
saggio Model of Rules (I)5 per una più accurata
distinzione. Partendo dall’affermazione che i giudici nel
11 vedi supra capitolo primo2 H.L.A. Hart, trad. It. Di M.A.Cattaneo , Il Concetto di diritto, Torino, Einaudi, 20023 Vedi supra,capitolo secondo
common law possono creare nuovo diritto,in quanto le
leggi nella pratica risultano spesso vaghe e controverse e
necessitano di essere reinterpretate,Dworkin afferma che
per quest’opera di innovazione del diritto i giudici si
servano di due tipi di direttive (che egli nel saggio chiama
Argomenti):
1- Argomenti di Principio: giustificano una decisione
politica mostrando che la decisione rispetta o
assicura i diritti di un individuo o di un gruppo;
2- Argomenti di Politica: giustificano una decisione
politica mostrando che la decisione promuove o
tutela alcuni obiettivi collettivi della comunità nel
suo insieme.
Tuttavia questi due tipi di argomentazioni non
esauriscono il novero delle direttive politiche possibili e
soprattutto sembrano indirizzarsi verso obiettivi diversi;
le argomentazioni di principio sembrano adattarsi
maggiormente alle decisioni dei giudici nel singolo
caso,viceversa le argomentazioni politiche si mostrano
più confacenti alle esigenze del legislatore di emanare
nuove leggi a tutela della comunità6. Questa è la tesi dei
64 G.B. Ratti, Sistema giuridico e sistemazione del diritto nella teoria di Ronald Dworkin, Ragion Pratica, 26, 2006; pp. 227-2635 Il saggio The Model of Rules,pubblicato nel 1967 nella “University of Chicago Law Review” fu dapprima ripubblicato con il titolo “Law is a sistem of Rules? Nel volume di R.Dworkin (ed.),The Philosophy of Law,Oxford University Press,1977,e infine inserito,con il titolo The Model of Rules I,nel volume di R.Dworkin,Taking Rights Seriously,Cambridge (Mass.) Harvard University Press,1977,di cui costituisce il secondo capitolo.6 Emblematico a tal proposito il caso Spartan Steel & Alloys ltd. Vs. Martin & Co. citato dall’autore: nel caso si affronta la questione di un risarcimento danni dovuto all’attore (che aveva subito un danno ad un cavo elettrico durante un lavoro effettuato dai dipendenti del convenuto ed era per questo stato costretto a chiudere l’impresa conseguente ad un danneggiamento colposo alla proprietà di un altro).Dworkin afferma :“La corte avrebbe potuto pervenire alla decisione o chiedendosi se una ditta nella posizione di attore aveva diritto ad un risarcimento,.che è una questione di principio,o se sarebbe stato
diritti,ovvero quella tesi per cui le decisioni giudiziali
applicano diritti politici esistenti,senza offrire la possibilità
tramite l’interpretazione di creare nuovo diritto dopo lo
svolgimento dei fatti.In questo modo il giudice decide
attuando un compromesso fra storia e giustizia
politica,sottomette i giudici alla responsabilità politica e
assegna un ruolo diverso ai politici,ovvero la sola
assunzione di quelle decisioni che possono giustificare
all’interno di una teoria politica che giustifichi anche le
altre decisioni che essi si propongono di prendere. In
tutto questo sistema si rende necessaria un’applicazione
del principio consona al caso.
Dworkin però sviluppa la sua teoria in due direzioni7,
affrontando e sviscerando i problemi relativi
all’interpretazione giurisprudenziale in modo da
rafforzare il suo assunto teorico.
• La prima direzione è quella di rendere la distinzione
generale fra diritti individuali e scopi sociali più
chiara e farla in qualche modo combaciare con la
distinzione fra argomenti di principio e argomenti di
politica, mantenendola però all’interno
dell’argomentazione giuridica. Dworkin ripropone
così le distinzioni fra argomenti di principio e
argomenti di politica in chiave per così dire
“legislativa”, parlando di fine collettivo per gli
argomenti di politica e di fine individuale per gli
economicamente saggio attribuire la responsabilità per gli incidenti nel modo che l’attore suggeriva,che è una questione di politica.” R.Dworkin, R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag 175 7 in realtà parla di tre problemi,salvo aver già affrontato il terzo -relativo al fatto che i giudici possano dare giudizi di morale politica nel decidere quali sono i diritti soggettivi dei contendenti- durante l’esposizione della teoria dei diritti;la questione verrà tuttavia riaffrontata in chiave critica
argomenti di principio. Il giurista si sofferma sui
possibili contenuti di una teoria politica adeguata
per sostenere la tesi dei diritti, parlando di diritti
come fini politici individuati in contrapposizione a
scopi (intendendo per scopo “un fine politico non
individuato”) collettivi che incoraggiano gli scambi
di benefici ed oneri all’interno della comunità in
nome di benefici globali; Tali scopi sono assoluti,e
la comunità può perseguirli o comprometterli per
salvarne un altro. Da questo emerge un’altra
distinzione,quella fra Diritti Assoluti (che non posso
cedere ad altri diritti), diritti meno che assoluti (che
possono cedere ai diritti assoluti), e diritti non
assoluti; distinzione che si basa, come è
palese,sulla capacità di opposizione da parte di un
diritto ad un potenziale conflitto, ove dalla
definizione del diritto emerge che questo non possa
essere superato in valore da tutti gli scopi sociali.
Sempre da un punto di vista politico, ogni teoria
distinguerà tra diritti retrostanti (ovvero diritti che
formano una giustificazione alle decisioni politiche)
e diritti istituzionali (ovvero diritti che forniscono
una decisione da parte di qualche specifica
istituzione politica), e fra diritti astratti (o principi
astratti, fini politici generali la cui formulazione non
indica quanto quel fine debba essere valutato o
fatto oggetto di compromessi in particolari
circostanze nei confronti di altri fini politici) e diritti
concreti (o principi concreti che sono fini politici
definiti più precisamente così da esprimere il peso
che assumono nei confronti di fini politici in
occasioni particolari). Inoltre secondo Dworkin una
teoria completa deve individuare anche altre 2
distinzioni; la prima riguarda diritti contro lo Stato (i
quali giustificano una decisione politica che richiede
la mediazione del governo per agire) e i diritti
contro i cittadini (che giustifica una decisione di
forzare individui particolari); la seconda invece
riguarda diritti universali (che una teoria politica
fornisce a tutti gli individui) e diritti speciali (che
invece sono riferiti solo ad una parte della
comunità). Tutte queste distinzioni servono a che
una teoria politica possa riconoscere al suo interno i
principi cardine della stessa e al contempo
permettere ai giudici di utilizzare gli stessi principi
per una decisione politica più congrua. In questo
senso Dworkin respinge le teorie economiche di
Hand e Poster sul valore della politica economica
all’interno delle decisioni dei giudici,ritenendo che
tale pensiero non possa dare spazio ai costi o ai
vantaggi della comunità,salvo per il fatto che questi
vantaggi si riflettano sul benessere di coloro i cui
diritti sono in gioco7.
• La seconda direzione si muove verso un
approfondimento del ruolo del precedente e della
storia istituzionale nella decisione dei casi difficili.
Secondo Dworkin,la tesi che viene di volta in volta
7 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana, cit.pag.195 “le conclusioni di Hand potrebbero permettere nel caso in cui qualcuno argomenti che il principio che il salvataggio con il minimo rischio dovrebbe essere emendato in modo da determinare una decisione non funzionale all’utilità collettiva della vittima e del soccorritore ma all’utilità marginale della comunità nel suo insieme,cosicché il soccorritore debba tenere in considerazione consolo i rischi relativi per se stesso e per la vittima ma la relativa importanza sociale dei due”.
sostenuta dai giudici è influenzata da due tipi di
diritti: i diritti istituzionali e i diritti giuridici
(considerati quest’ultimi come una qualità dei diritti
istituzionali). Una volta riconosciuti i principi
cardine della teoria e i diritti concreti a cui essi
fanno riferimento, Dworkin sostiene che tali diritti
debbano essere istituzionali più che retrostanti e
diritti giuridici più che istituzionali8; ma
sull’istituzionalità dei diritti si può discutere perché
essa si trova in qualunque istituzione (emblematico
in tal proposito è ad esempio il giocatore di scacchi
che non può rivendicare un diritto istituzionale
tramite un appello diretto alla morale generale) ma
poco può verso l’autonomia di cui gode la morale.
In questo senso esistono come si vede regole
costitutive e prescrittive che non determinano se
un cittadino abbia il diritto all’applicazione di una
legge;ma non tutte queste leggi possono essere
retrostanti all’istituzione. Ragion per cui l’arbitro nel
decidere dovrà tener conto di queste regole senza
lasciar spazio alle sue convinzioni, ma tenendo
conto delle convenzioni riscontrabili attraverso
atteggiamenti e abitudini consolidate. Ma tutto
questo decade quando si tratta di decidere un caso
difficile; allora il giudice dovrà risolvere la questione
prima individuando le concezioni e il carattere
dell’istituzione, poi dovrà addurre i diritti delle parti
e dovrà addurre quella ragione che giustifica il
riconoscimento o la negazione di un diritto. Ma
come sostiene Dworkin “questo procedimento da
8 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. p.197
parte del giudice richiede una totale fiducia da
parte del cittadino in merito a tutte le regole e le
iniziative prese da chi è in possesso dell’autorità
per prenderle”9.
Per quanto riguarda i diritti legali, il giurista parla di
2 tipi di concetti rilevanti ai fini dell’argomentazione
giuridica; in primo luogo abbiamo l’idea di
intenzione o scopo di una legge particolare, ovvero
la connessione tra la giustificazione politica
dell’idea che le leggi creino i diritti e i casi difficili
che chiedono quali diritti abbia creato una legge
particolare; secondariamente si può parlare di
concetti che sottostanno o che sono inseriti nelle
regole di diritto positivo (ovvero concetti che
forniscono una relazione tra la giustificazione
politica della dottrina in merito alla decisione di casi
simili e quei casi difficili nei quali non sia chiaro
cosa richieda la dottrina generale). Questi tipi di
concetti influenzano l’operato del giudice, e se usati
correttamente gli permettono di sviluppare teorie
adeguate su cosa richiedano lo scopo e i principi
giuridici; ma per fare ciò occorre un giudice dotato
di ingegno e capacità sovraumane,che riesca a
interpretare le leggi come farebbe un filosofo del
diritto10. Le questioni verrebbero affrontate
all’apice, ovvero considerando innanzitutto la
validità o meno dei principi e scegliendo la politica
più adatta al caso sulla base del materiale a
disposizione. Si giunge così alla conclusione che ai
9 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. p.20210 In merito al giudice Ercole e alla sua interpretazione dei casi difficili,vedi capitolo V.
fini dell’interpretazione dei diritti è necessario
considerare da un lato la storia istituzionale e i
programmi politici che il governo si propone di
sviluppare nel futuro (in merito si affronterà fra
poco la questione dei casi costituzionali), e
dall’altro lato che la coerenza legislativa non è il
solo argomento della giustizia al quale debba
guardare il governo in generale.
• Il terzo problema, come si è detto, è relativo al fatto
che un giudice possa inserire le sue convinzioni
all’interno del processo decisionale; il che implica
che possa anche inserire giudizi di morale politica
in base alle proprie idee. Come si vedrà nell’ultimo
capitolo, l’esempio che Dworkin utilizzerà per
spiegare la questione sarà quello di un giudice
incorruttibile e che non si basa sulle proprie
convinzioni, definitivo per tale capacità “Ercole”. In
questo caso,il giudice spiegherà le sue convinzioni
integrandole con il diritto e userà il giudizio per
interpretare quali diritti abbiano le parti in
questione e per rendere tale decisione completa ed
esaustiva11. Questo giudice si servirà delle morali
per fissare il diritto legale scegliendo la soluzione
più liberale. Tuttavia anche Ercole partirà da
premesse che saranno fondate sulla base di morali
comuni,sulla cui validità si potrebbe discutere. Con
questo esempio Dworkin intende mostrare la
possibilità che i giudici possano essere fallibili di
fronte al diritto,e in questo senso dovrebbero
11 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.229
essere le tecniche giurisprudenziali a ridurre il
numero complessivo di errori12.
Si noti, tuttavia, che la teoria di Dworkin non si configura
come un semplice accertamento dello svolgimento del
compito dei giudici: i principi giuridici ai quali Dworkin si
richiama, infatti, sembrano incarnare modelli di
comportamento giudiziale, piuttosto che essere
generalizzazioni (compiute dal giurista-osservatore)
descriventi ciò che i giudici fanno, oppure dicono, o
credono di fare.
Dworkin lega la tesi della risposta corretta alla distinzione
tra regole e principi nell'applicazione giudiziaria: nei casi
difficili si avrà una tale risposta attraverso il ricorso al
principio che può essere individuato al di là della regola
(o delle regole) che disciplinano il caso. Il riferimento
polemico di Dworkin è la tesi della "discrezionalità" del
giudice propria del positivismo a cui viene opposta quella
del vincolo rispetto ai principi impliciti o espliciti
dell'ordinamento13.
12 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.23613 Sotto questo punto di vista la teoria di Dworkin subirà un’evoluzione col passare del tempo,a partire dal libro Law ’s Empire (1989). In Law 's Empire, la tesi della "risposta corretta" non figura più quale argomento autonomo ma appare piuttosto una conseguenza della concezione della integrità: la right answer sottolinea i vincoli del giudice ma contemporaneamente afferma che essa deriva dalla "migliore interpretazione" dei principi di una comunità e dalla scelta tra principi diversi e tra loro in conflitto di modo che "la coerenza avrà bisogno di un ordine non arbitrario di priorità, di valutazione o di compromesso" tra di essi "che rifletta le loro rispettive fonti a un più profondo livello della moralità politica" (Dworkin 1989, 252). In questa prospettiva, la risposta corretta viene posta quale problema che emerge al livello della "giustificazione" e di quella che Dworkin chiama integrità "pura" cioè di quella che richiede il ricorso alla "moralità politica astratta" e alle esigenze di "giustizia" della comunità: a questo livello però "i giudizi giuridici sono profondamente contestabili". L'idea della risposta corretta è perciò relativa a quella di integrità in quanto richiede che il giudice valuti l'"adeguatezza" delle diverse risposte e "giustifichi" la sua decisione alla luce della "migliore" teoria
In seguito a queste conclusioni si pone in Dworkin il
problema di come possono emergere i principi, e come i
giudici si debbano muovere nella scelta corrispondente.
In questo senso si cambia ambito,passando da un profilo
prettamente giuridico a una vera e propria questione di
filosofia del diritto. E nella riflessione contemporanea la
costruzione teorico-giuridica di R. Dworkin ha dato luogo
a valutazioni discordanti della sua rilevanza teorica e a
notevoli differenze interpretative legate alla difficoltà di
inserirlo nelle tradizionali categorie di analisi del pensiero
giuridico14. In questo scritto, la sua teoria viene vista
quale teoria "costituzionalistica"15 del diritto e, sotto
questo profilo, come una tra le più importanti teorie post-
positivistiche del diritto.
politica dei valori della comunità: quest'ultimo compito lascia però aperto lo spazio della critica e richiede lo sviluppo di quella che Dworkin chiama un'"attitudine protestante" verso le decisioni politiche e giudiziarie. Questa diversa impostazione permette di valutare le critiche che sono state rivolte alla "right answer thesis": in particolare, quella per cui essa necessita di un giudice “ideale” (Ercole) per essere possibile e quella secondo cui tale tesi avrebbe alla sua base l’idea di completezza dell'ordinamento. Dal primo punto di vista, si può dire che in Law 's Empire la figura di Ercole non appare fondamentale e si riduce ad un semplice "modello" per l'interpretazione. Dal secondo punto di vista, va invece segnalato, che l'idea di risposta corretta basata sull'integrità fa soprattutto riferimento al metodo che il giudice deve seguire e lascia spazio al confronto tra principi e teorie "politiche" diverse.14 Per l'interpretazione della teoria dworkiniana come terzo "genus" non inseribile né nel positivismo, né nel giusnaturalismo, Mackie 1984, 161ss.15 Per l'individuazione di questa categoria, Alexy 1987, che distingue tra un approccio "costituzionalistico" ed uno "legalistico" al sistema giuridico; Prieto Sanchiz 1996.
CAPITOLO QUARTO: IL COSTITUZIONALISMO DI
DWORKIN E IL CONCETTO DI “PRENDERE I
DIRITTI SUL SERIO”.
La nozione di teoria "costituzionalistica" del diritto è
stata proposta solo recentemente quale categoria
interpretativa dei sistemi giuridici contemporanei. Essa
può essere caratterizzata secondo due aspetti principali1:
il primo di teoria del diritto, il secondo di tipo politico-
costituzionale. Dal primo punto di vista, le teorie
"costituzionalistiche" negano che il diritto sia riducibile,
secondo il modello positivistico, al solo diritto
formalmente valido e affermano, al contrario, che esso
deve includere valutazioni di correttezza "morale" basate
sui principi inclusi nel sistema costituzionale che
esprimono primariamente una serie di diritti "inviolabili"
degli individui2. Dal secondo punto di vista, il
costituzionalismo sottolinea, a livello di organizzazione
costituzionale, il vincolo del legislatore di fronte a questi
principi di "giustizia" e il parallelo ampio ruolo del giudice
per la loro applicazione e concretizzazione anche in
contrapposizione al legislatore e alla legge.
L'assunto che caratterizza le teorie
"costituzionalistiche" è perciò il ruolo assegnato ai
principi che stanno alla base del sistema costituzionale:
da essi dipende sia l'individuazione del diritto di una
1 Si tratta di una sintesi dei quattro lineamenti individuati da Alexy 1987.2 Per l’analisi di tale aspetto nel primo Dworkin (quello di Taking Rights Seriously),vedere i precedenti capitoli supra
determinata comunità, sia l'interpretazione della sua
struttura politico-costituzionale. In relazione al primo
aspetto, ciò significa che la "determinazione" di "cosa è"
il diritto di una comunità fondata su principi richiede la
loro interpretazione e attualizzazione. Ciò si traduce nella
consapevolezza della "apertura" dei principi: questo vuole
dire sia che la loro "interpretazione" rinvia a un quadro
più generale di valori etico-politici, sia che i diritti degli
individui vanno visti in relazione alla loro dimensione
"morale". In questa prospettiva, l'individuazione del
diritto implica, inoltre, la considerazione dei diversi
principi che possono emergere nelle diverse situazioni e
nei diversi casi e la necessità della loro valutazione e
"bilanciamento". In relazione al secondo aspetto,
l'approccio "costituzionalistico" sottolinea la rilevanza
della "attività" interpretativa, soprattutto giurisdizionale e
in particolare di quella delle Corti costituzionali e
Supreme, per l'individuazione del diritto: in questo senso,
propone una visione del sistema politico-costituzionale
che vede la presenza contemporanea di soggetti diversi
della "attuazione" del diritto e dei principi di una
comunità.
La considerazione dell'analisi dworkiniana quale
teoria "costituzionalistica" del diritto si fonda
principalmente su due aspetti centrali della sua opera: in
primo luogo, sul fatto che essa si pone quale teoria della
"constitutional democracy" (Dworkin 1996a) e, in
secondo luogo, sul presupposto teorico che ciò è possibile
solo attraverso l'elaborazione di una prospettiva giuridica
"rights based". La teoria dworkiniana intende essere
un'analisi del significato e delle implicazioni giuridiche
della democrazia costituzionale e della conseguente
necessità della costruzione di una concezione del diritto
che abbia alla sua base l'individuazione di un nucleo di
diritti "inviolabili". La "constitutional democracy"
rappresenta un sistema giuridico-politico il cui
presupposto è il vincolo del volere delle maggioranze
politiche rispetto a un nucleo di diritti contenuto nei
principi costituzionali. Ciò rende necessaria una
considerazione del diritto che renda conto del significato,
dell'origine e dell'evoluzione dei diritti in tutti i settori
della "pratica" giuridica.
Tale teorizzazione viene poi concretizzata
nell'individuazione del contenuto normativo del nucleo di
diritti che stanno alla base dell'idea di democrazia
costituzionale. Questo nucleo viene individuato nel
concetto di eguaglianza visto quale diritto di tutti gli
individui all' "equal concern and respect" nelle decisioni
politiche e giudiziarie . Il Principio di eguaglianza
costituisce il cardine della moderna civiltà giuridica e il
frutto di una lunga evoluzione storica. La “non
discriminazione”tra gli esseri umani, sia come singoli, sia
in quanto gruppi sociali (minoranze etniche), è divenuto -
giustamente - imperativo etico - civile fondamentale. Tale
ideale può essere fatto risalire alla Rivoluzione americana
e a quella francese3. Dworkin costruisce tutte le sue
riflessioni, di filosofia politica e giuridica, partendo proprio
da questo concetto4, equiparandolo al principio di equal
3 Pizzorusso indica come esempi paradigmatici di disposizioni legislative in cui viene delineato il principio di eguaglianza, a) la dichiarazione dei diritti della Virginia del 1776 ; b) il primo e il sesto articolo della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Vedi più in dettaglio A. PIZZORUSSO, Che cos’è l’eguaglianza, Editori Riuniti, Roma, 1983, p. 27.
concern and respect5, che, proprio per la sua genericità è
facilmente accettabile da chiunque si riconosca nella
tradizione liberale6. Si tratta infatti di una rielaborazione
del principio liberale classico7 che assegna
un’importanza prioritaria e eguale a ciascun individuo in
quanto tale, e non considera quindi ammissibile
4 Circa l’individuazione di un unico concetto di eguaglianza, vedi : P.COMANDUCCI, “Uguaglianza” : una proposta neo-illuminista, Analisi e diritto, 1992, p. 89, che lo definisce “una relazione comparativa tra due o più soggetti od oggetti, che possiedono almeno una caratteristica rilevante in comune” ; P. WESTEN, The Concept of Equal Opportunity, “Ethics”, 95, 1985, p. 837-850, che, riflettendo sul concetto di equal opportunity, sostiene che l’aggettivo equal non varia a seconda dei diversi usi che se ne fanno, quindi esso non aggiunge nulla al sostantivo opportunity ; N. BOBBIO, voce Eguaglianza, in Enciclopedia del Novecento, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1977, vol. II, p. 355, il quale afferma che l’eguaglianza, diversamente dalla libertà, non è una qualità o proprietà della persona tant’è che affermare “X è uguale” non ha, di per sé, alcun senso, mentre dire “X è libero” lo ha. Ciò dipende dal fatto che l’eguaglianza indica sempre una relazione tra enti e in merito a qualcosa. Il significato descrittivo dell’ eguaglianza presuppone quindi sempre la risposta a due domande :a) “eguaglianza tra chi ?” , e b) “eguaglianza in che cosa ? “. W.B.GALLIE, Essentially Contested Concepts, Procedings of the Aristotelian Society, vol. LVI, 1956 , definisce il concetto unico di eguaglianza come essentially contested, in quanto è passibile di diverse concezioni. Altri autori, invece, sottolineano come sia possibile individuare più concetti del termine uguaglianza. Schiavello, ad esempio, è del parere che esistano più concetti di eguaglianza a seconda dei contesti in cui tale termine viene utilizzato. Infatti egli afferma che si può distinguere il concetto di eguaglianza in sistemi formalizzati (come per esempio la matematica) e il concetto di eguaglianza in sistemi non formalizzati (il diritto o una teoria politica). Nel primo caso, la parola “eguaglianza” può essere sostituita dalla parola “identità”, e consiste in un’ espressione assolutamente neutra. Quindi nei sistemi formalizzati il concetto di eguaglianza non è contestato. Schiavello poi continua, sostenendo che il concetto di eguaglianza si differenzia all’interno degli stessi sistemi non formalizzati in : 1) concetto neutro (o in senso debole) e 2) concetto valutativo (in senso forte). Nel primo caso, essa consiste in una relazione comparativa, al fine di determinare l’appartenenza di un elemento a una classe di eguaglianza (es. : l’appartenenza alla classe di chi ha 30 anni). Nel secondo caso il concetto di eguaglianza rappresenta anche un ideale , che riguarda l’ambito etico -politico, per questo spesso si confonde con il concetto di giustizia. Per Schiavello, Il termine di eguaglianza utilizzato da Dworkin per le sue riflessioni è il concetto di eguaglianza in sistemi non formalizzati valutato in senso forte, econsidera tale ideale esplicitato nel nostro ordinamento giuridico attraverso l’ art. 3 Cost., che indica a chiare lettere quali sono le caratteristiche che vanno prese in considerazione per trattare i cittadini in modo eguale. Cfr. A.
sacrificare gli interessi fondamentali degli individui per
soddisfare interessi diversi (ad esempio,quelli della
comunità intesa come un tutto indiviso, ovvero quelli
della maggioranza, o ancora quelli di qualche lobby8 ).
Dworkin in questo modo prende un concetto a suo avviso
SCHIAVELLO, op. cit., p. 28 ss. Per una recente e originale interpretazione dell’art. 3 Cost., si veda L. GIANFORMAGGIO, L’interpretazione della Costituzione tra applicazione di regole e argomentazione basata sui principi, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 62,1985. Vedi anche F. E. OPPENHEIM,Political Concepts: A Reconstruction, Blackwell, Oxford,1981, cap. 6, tr. It., Concetti politici: una ricostruzione, Il Mulino, Bologna 1985, il quale propone una definizione puramente descrittiva di “egualitarismo” ,sostenendo che l’eguaglianza rimane un concetto interessante a prescindere dalle valutazioni che se ne fanno.5 Dworkin infatti sostiene che : “[...] L’equal concern and respect consiste nella più familiare idea di eguaglianza politica. Questo presuppone che i membri di una comunità politica godano dello stessa considerazione e rispetto di cui godano i membri del loro governo”. Vedi R. DWORKIN, TRS, pp. 198-199. Sul concetto di equal concern and respect analizzato da Dworkin vedi anche : ID., EW4, p. 1, in cui il filosofo americano sottolinea il suo intento di studiare l’ideale dell’eguaglianza partendo da un principio astratto egualitario, in base al quale il governo ha il dovere di rendere la vita dei cittadini migliore, agendo quindi con equal concern and respect verso ogni suo membro ; ID., LD, p. 130, in cui Dworkin sottolinea che la disposizione dell’eguale protezione contenuta nel Quarto Emendamento crei un diritto costituzionale di equal concern and respect, da cui segue che le donne sono tutelate contro certe discriminazioni basate sul sesso, se tali discriminazioni non sono giustificate da importanti interessi dello stato ; ID., FL, pp. 7-8, in cui Dworkin afferma che, in base ai principi contenuti nel Bill of Rights, il governo debba trattare tutti gli individui con equal concern, rispettando libertà individuali (espresse o meno nel documento costituzionale) indispensabili a questi fini.6 Caratteri comuni individuabili nelle nuove teorie liberali sono : 1) marcato antiutilitarismo, in quanto l’utilitarismo è in contrasto con qualunque forma di individualismo politico, dato che non rispetta gli individui come singoli, ma solo in quanto appartenenti a una entità sovraindividuale. 2) La neutralità dello stato nella vita dei cittadini. Anche Kymlicka sostiene che una caratteristica delle teorie liberali contemporanee sia quella di enfatizzare la neutralità, nel senso che lo stato non dovrebbe premiare o penalizzare particolari concezioni della “good life”, ma dovrebbe mantenere una posizione neutrale. Vedi W. KYMLICKA, Liberal Individualism and Liberal Neutrality, in Ethics, 99, 1989, p. 833. Dato che le teorie liberali si fondano oggi sull’eguaglianza (vedi ad esempio la teoria di Rawls) o sulla libertà (come la teoria di Nozick), è utile rilevare come il concetto di equal concern and respect dworkiniano sia accettabile come punto di partenza per le loro teorie solo dalle dottrine liberali basate sull’eguaglianza. Può essere utile inoltre ricordare una tripartizione delle
accettato da tutti9, ovvero l’eguaglianza, e ne critica
alcune possibili accezioni, per poi presentare e
argomentare la propria concezione del concetto (in
questo caso l’eguaglianza di risorse). Si potrebbe dire che
“il suo modo di procedere è come quello del prestigiatore
che estrae dal mazzo di carte proprio la carta scelta dallo
spettatore. Dworkin chiede: ” c’è qualcuno che ha
teorie liberali basate sull’eguaglianza, proposta da D.MCKERLIE, Equality and Time, Ethics,99, 1989. Egli individua a) una concezione egualitaria che non intende disconoscere o annullare le differenze tra le persone e che, a questo scopo, indica un’unità di misura dell’eguaglianza, cercando di ridurre l’ineguaglianza valutata in base a quell’unità di misura ; b) una concezione che si preoccupa di migliorare le condizione di vita di coloro che stanno peggio e infine c) una concezione che ritiene opportuno distribuire una minima quantità uguale di vantaggi o benefici. L’eguaglianza di risorse proposta da Dworkin è assimilabile, per McKerlie, alla concezione del primo tipo.7 Per Dworkin (vedi TRS, p.127 ) il principio di equal concern and respect risalirebbe a Kant che lo esprime nella nota formula : “agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro,sempre anche come scopo, e mai come semplice mezzo”, vedi I. KANT, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, Hartknoch, Riga, 1785. trad. it. di P. Chiodi, Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza, Roma- Bari, 1980, p. 61. Mill, invece, fa risalire il principio di eguaglianza nell’ harm principle, in base al quale si è giustificati a intervenire sulla libertà d’azione di un individuo solo al fine di proteggersi, e quindi per evitare danno agli altri. Quindi non si può costringere un soggetto a fare o non fare qualcosa per il suo bene,o perché è giusto per l’opinione di qualcuno. Vedi J. S. MILL, On Liberty, Parker, London, 1859. trad. it. di S. Magistretti, Saggio sulla libertà, Il Saggiatore, Milano, 1981, pp. 12-13.8 “lobby” è un termine inglese che designa in politica, ogni organizzazione volta a condizionare dall’esterno le scelte di un governo, o di un parlamento, in favore di interessi particolari.9 In verità, tale unanimità presunta, nella realtà, non esiste. Critiche a questo principio astratto sono state esposte da Nozick , per il quale “la vita non deve essere equiparata a una corsa a premi in cui è necessario partire da un’eguale possibilità di vittoria”, v. R.NOZICK, Anarchy, State, and Utopia, Basic Books, New York, 1974, tra. It. di E. Bona, G.Bona, Anarchia, stato e utopia, Le Monnier, Firenze, 1981, p. 250-253 ; anche Sadurski rifiuta l’equal concern and respect, perché sostiene si tratti di un principio troppo astratto per poter giocare un qualche ruolo nella costruzione di una teoria ; inoltre, sempre per Sadursky, l’equal concern presuppone un intervento dello stato per alleviare le sofferenze dei più svantaggiati, mentre l’equal respectrispecchia l™idea per cui lo stato deve essere neutrale nei confronti delle situazioni individuali. Per Sadursky le due esigenze si escludono a vicenda, v. W.SADURSKY, The Right, the Good and the Jurisprude, Law and Philosophy, 7, 1988, p. 53.
qualcosa da obiettare contro l’equal concern and respect
(come concetto)? “ Bene,visto che nessuno ha
parlato,significa che tutti “dovete” convenire con questo
e quest’altro”10.
In Taking rights Seriously egli distingue tra trattare gli
individui as equals e trattarli equally 11. Considerare le
persone equally, significa distribuire indistintamente a
tutti gli individui le stesse risorse e opportunità, mentre
trattare le persone as equals significa trattarle con equal
concern and respect12. Al proposito Dworkin porta come
esempio la situazione del caso Nixon e della corte
Warren; Nixon nominò alla Corte Suprema persone che
potessero rappresentare la filosofia giuridica del periodo,
perché a suo parere la precedente formazione aveva
violato gli standards della Corte Suprema. Il sistema
legislativo americano si fonda su una serie di Moral rights
fra cui quello che prevede che gli uomini abbiano diritti
morali verso lo Stato e che su di essi una corte deve
essere pronta formulare e rispondere a questioni di
moralità politica; questo tipo di atteggiamento è definito
10 Vedi ad A. SCHIAVELLO, Diritto come integrità : incubo o nobile sogno ? Saggio su Ronald Dworkin,Giappichelli, 1998 ,pag.611 Schiavello cerca di distinguere queste due concezioni dell’eguaglianza proponendo un esempio : supponendo che lo stato disponga di un numero di mele uguale al numero dei cittadini, esso le distribuisce equally se,senza una preventiva valutazione dell’opportunità politica, decide di darne una ciascuno. Se invece il governo si interroga sulla distribuzione più opportuna e giunge alla conclusione di escludere chi supera un reddito medio determinato, allora tratta i cittadini as equals . Quindi, in questo secondo caso, la distribuzione di qualcosa segue una particolare concezione dell’eguaglianza. Cfr. A. SCHIAVELLO , op. cit., p. 44.12 Dworkin , nell’enunciare tali due concezioni dell’eguaglianza, cita quanto ha sostenuto Rawls nelle sue elaborazioni. La citazione di Rawls, tratta da A Theory of Justice, cit., è a pag. 180 di TRS. Dworkin confermaanche nella sua ultima opera come l’eguaglianza sia l’indispensabile virtù della democrazia, e conseguentemente, come il governo abbia il dovere di trattare tutti i cittadini as equals, ovvero con equal concern and respect.
“attivistico” e si basa su un’accettazione delle indicazioni
delle “vaghe” previsioni Costituzionali per trarre da esse i
principi di legalità, eguaglianza e tutto il resto13 . Secondo
Nixon è necessario scendere a compromessi da questo
atteggiamento attivistico, o addirittura esso va
abbandonato perché consente alla maggioranza di
giudicare se stessa e perché si fonda su uno scetticismo
sui diritti morali. La realtà è che Nixon non voleva
esprimere una vera e propria teoria, ma al contrario
intendeva separare i cosiddetti Moral Rights dalla
competenza esclusiva della Corte per sottoporli
direttamente all’attività politica. La motivazione di questa
scelta è dovuta alla possibilità di errore che i giudici
possono avere nel decidere su un caso; tuttavia secondo
Dworkin,” le scelte impopolari saranno erose perché
mancherà il consenso pubblico e perché i vecchi giudici
moriranno o si ritireranno e saranno sostituiti da nuovi
giudici nominati in quanto d’accordo con un presidente
che è stato eletto dal popolo”14. L’ esempio posto dal
giurista serve a introdurre una questione ben più spinosa,
quella di riuscire a ridurre il margine di errore da parte
13 In Dworkin si contrappone all’atteggiamento attivistico un programma cosiddetto di “Restrizione giudiziale” secondo cui le corti dovrebbero permettere il mantenimento delle decisioni degli altri settori nell’apparato statale anche quando questi offendono il sentimento degli stessi giudici riguardo ai principi previsti dalla dottrina costituzionale. Questo tipo di programma si divide in altre 2 forme: la prima,detta Teoria dello scetticismo politico sostiene che gli individui non abbiano alcun diritto morale verso lo stato ,ma solo quei diritti legali che lo stato gli garantisce,ovvero le semplici e non controverse violazioni della moralità pubblica che gli estensori della costituzione avevano effettivamente in mente o che sono stati consolidati da una serie di decisioni giurisprudenziali. La seconda forma è detta Teoria della deferenza giudiziale e assume che i cittadini abbiano diritti morali contro lo stato (oltre a quelli garantiti dal sistema) che sono discutibili perché di diversa posizione rispetto a quella della corte. Vedi R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag. 249.14 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.262
dei giudici nei giudizi; questione che per essere risolta
implica giocoforza un’individuazione dei Diritti Morali
(Moral Rights) necessari a ridurre il margine di errore. In
questo caso Dworkin agisce da filosofo del diritto, e indica
nella filosofia una possibile soluzione al problema dei
diritti morali. Egli sostiene che i cittadini godono di diritti
morali che vanno al di là di possibili interpretazioni
legislative,ma che stia agli organi legislativi riconoscere e
garantire questi diritti. Il che pone due problemi: il primo
sull’effettiva capacità da parte degli organi legislativi
(Dworkin in quanto esponente del sistema americano cita
la Corte Suprema) di individuare i diritti, e il secondo che
pone l’accento sul fatto che la costituzione non dice se i
cittadini debbano obbedire ad una legge che calpesta i
loro diritti15.
Data l’innata tendenza dei giudici a mantenere le loro
posizioni particolari per quanto concerne i diritti
morali,senza tener conto il più delle volte del principio
dello “Stare decisis”, Dworkin sposta la fase di controllo
sull’applicazione del diritto nelle mani della politica,e in
ultima battuta (laddove il dibattito politico non permetta
di assumere una decisione congrua) della cosiddetta
Saggezza tradizionale. Secondo Dworkin “lo stato deve
prendere i diritti sul serio e seguire una coerente teoria di
ciò che questi diritti sono,e agire coerentemente con le
sue dichiarazioni”16. A suo avviso sussiste un
fraintendimento di fondo nella comprensione dei diritti;
per questo motivo in Taking rights Seriously si distingue
fra 2 significati della parola “Rights”:
15 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.26416 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.268
• Un significato Forte, che intende il diritto come
incapacità di interferire sulla decisioni dell’individuo
a prescindere dal fatto che queste decisioni siano
giuste o sbagliate;
• Un significato Debole, che intende il diritto come
l’opinione della legge su cosa essa consideri giusto
o sbagliato nelle azioni dei singoli individui.
Questa distinzione permette anzitutto di distinguere fra i
diritti sotto il punto di vista dell’obbedienza agli stessi.
Ad esempio per quanto concerne i diritti fondamentali
della Costituzione, Dworkin parla di diritti nel senso forte
della parola17 ; e fra questi diritti nel senso forte della
parola viene contemplata anche la disobbedienza alla
legge. Il giurista dimostra di accogliere il principio della
disobbedienza non solo in relazione alla sua valenza
politica, come strumento di pressione volto al
miglioramento della sfera istituzionale, ma come
espressione di un vero e proprio diritto individuale.
Il termine di riferimento, chiamato a giustificare la
disobbedienza, è sempre una violazione operata dalla
legge. La resistenza in tanto è diritto, in quanto sia
reazione a una infrazione del diritto messa in opera dalla
legge. Ma l’ambito di estensione del diritto agito e del
diritto violato, la cornice nella quale entrambi trovano
posto, è più ampia. Dworkin rivendica l’estensione extra-
ordinamentale dei concetti di giusto e ingiusto, e la
primazia dei diritti individuali, che restano tali
indipendentemente dal riconoscimento che l’ordinamento
17 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.274
giuridico è disposto ad accordare loro. In questa primazia
trova le sue radici la legittimità della disobbedienza.
Nella nostra società - scrive Dworkin - un uomo ha talvolta il
diritto, nel significato forte, di disobbedire alla legge. Egli ha questo
diritto ogni qual volta la legge erroneamente si intromette nei suoi
diritti contro lo Stato18.
La disobbedienza è dunque pensabile come diritto in quanto sia
risposta a una violazione di diritti (legali o morali) operata dalla
legge: il suo presupposto è che la legge non può mai legittimamente
violare i diritti. Non può violare neppure il diritto alla disobbedienza,
senza per ciò stesso minare anche gli altri diritti. La disobbedienza è
intesa infatti partecipe del medesimo statuto degli altri diritti, è
anch’essa, scrive Dworkin, un diritto verso lo Stato, «semplicemente
un altro diritto verso lo Stato».
Tuttavia sta all’apparato giudiziale limitare la
disobbedienza individuando i diritti morali del cittadino e
tutelandoli, cercando di contemperare sia gli obiettivi
della legge sia le esigenze dei cittadini. Secondo Dworkin
“lo stato non può pretendere che i cittadini non
18 I diritti presi sul serio (1977) trad. it. a cura di F.Oriana, Il Mulino, Bologna 1982, p. 275. La tematica della protezione dei diritti “contro lo Stato” si radicalizza in quegli indirizzi del pensiero liberale che a vario titolo si richiamano alla teoria dello Stato minimo di ascendenza smithiana e spenceriana. Cfr. in particolare R. Nozick, (Anarchy State and utopia, 1974 ), la cui teoria dello Stato ultraminimo risolve l’obbligo politico in istituto di diritto privato, e M. Rothbard (For a new liberty, 1973) che, coniugando elementi propri dell’individualismo anarchico di fine ‘800 con le istanze individualistiche tipiche della logica di mercato, rovescia il rapporto tra resistenza e obbligazione, giungendo a sottolineare l’intrinseca “immoralità” e illegittimità dell’obbligo politico. Più complessa la posizione di von Hayek, che nel quadro di una ridefinizione del giuridico che fa leva sul concetto di ordine spontaneo mette in discussione il tradizionale modo di intendere l’obbligo politico a partire dal concetto di legittimità della legge. «Non vi è contraddizione - scrive - nell’esistenza di un’opinione la quale richiede una implicita obbedienza al legislatore fintanto che egli si limita a regole generali, ma che gli rifiuta obbedienza quando egli ordina delle azioni particolari», Regole e ordine (1973) in Legge, legislazione e libertà (1982), trad. it. a cura di A. Petroni e S. Monti Bragadin, il Saggiatore, Milano 1986, p. 118.
infrangano la legge, ma neppure deve definire i diritti dei
cittadini in modo da non considerarli, per ragioni che
minacciano il benessere generale”19. Questo deve
permettere allo Stato di creare diritto nella maggior parte
dei casi sulla base dell’opinione della maggioranza, ma
allo stesso tempo deve istituire dei diritti in modo tale da
promettere alla minoranza che la sua dignità e
eguaglianza sarà rispettata. In questo modo secondo
Dworkin, il diritto si distingue dalla brutalità, e ci deve
essere anche un atto di fede da parte delle minoranze
perché la portata dei diritti può essere sempre
controversa per la quantità degli interessi in gioco.
Con questa analisi Dworkin si mostra vicino alle
cosiddette “Azioni positive”, ovvero a quelle tipologie di
leggi tendenti a privilegiare le minoranze in alcune
situazioni in modo da veder loro garantiti i diritti
costituzionali. Egli segnala che bisogna distinguere due
tipologie di argomentazione nella controversia: 1) le
misure di discriminazione non sono effettive,cioè non
sono efficaci per quanto riguarda la soluzione delle
disuguaglianze sociali, e 2) anche se la discriminazione
inversa potesse nel lungo periodo giovare a quei gruppi
sociali oggetto di discriminazione sarebbe comunque
negativa, perché le distinzioni basate su criteri particolari
sono ugualmente ingiuste in quanto potrebbero violare i
diritti individuali dei membri dei gruppi sociali esclusi
dalla normativa. Dworkin rifiuta categoricamente questa
seconda linea, ritenendo che debba essere la prima
tipologia “a costituire il centro del dibattito dei
programmi di ammissione. Ma non dobbiamo inquinare il
19 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.291
dibattito supponendo che questi programmi siano ingiusti
anche se efficaci; dobbiamo aver cura di non usare
l’equal protection clause per ingannare noi stessi su cos’è
l’uguaglianza”20. Dworkin paragona due casi: il “caso
Sweatt21” e il “caso De Funis22”. Nel primo caso, a Sweatt
fu negato l’accesso all’università del Texas perché la
legge dello Stato prevedeva che solamente i bianchi
potessero iscriversi ( e Sweatt era nero). Il tribunale
supremo degli Stati Uniti annullò la legge che
discriminava la razza nera e riconobbe il diritto di Sweatt
ad essere ammesso, appellandosi l Quattordicesimo
emendamento della Costituzione americana che prevede
che nessuno stato negherà ad un individuo uguale
protezione delle sue leggi (l’equal protection clause). Nel
secondo caso, un ebreo di nome De Funis, fece domanda
alla Law School dell’università di Washington; anche lui
non fu ammesso sebbene il suo punteggio e i voti del
College fossero tali che sarebbe stato ammesso se fosse
stato un nero, un filippino, un messicano o un indiano.
Allo stesso modo di Sweatt, De Funis richiese alla Corte
Suprema di dichiarare che la prassi di Washington, la
quale esigeva delle votazioni meno alte per gli
appartenenti a minoranze, violava il suo diritto stabilito
dall’equal protection clause.
Dworkin in primo luogo cerca di affrontare e risolvere
secondo i suoi canoni il caso De Funis, e in secondo luogo
spiega le differenze esistenti col caso Sweatt. Egli
considera il caso De Funis un “Hard Case”23, in quanto
20 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.31421 Sweatt vs. Painter,339 U.S. 629,70 S. Ct. 84822 De Funis vs. Odegaard,94 S. Ct. 1704,197423 Vedi supra,capitolo terzo.
non è possibile risolverlo né attraverso la Costituzione,né
tantomeno con l’ausilio della giurisprudenza della Corte
Suprema. De Funis insisteva sul fatto che non si dovesse
considerare l’appartenenza ad una razza come un fattore
determinante per l’ammissione all’Università,in ragione
del diritto riconosciuto dal Quattordicesimo
emendamento. Dworkin si chiede: ”Quali diritti
all’uguaglianza hanno i cittadini come individui che
possano sconfiggere i programmi volti a importanti
politiche economiche e sociali,inclusa la politica sociale di
migliorare l’eguaglianza complessiva?”25 Così Dworkin
introduce una distinzione all’interno del Diritto ad un
uguale trattamento:
• Un diritto ad un uguale trattamento, cioè “il diritto
ad una uguale distribuzione di alcune opportunità,
o risorse o gravami”;
• Un diritto ad un trattamento egualitario,cioè “il
diritto non solo a ricevere la stessa distribuzione di
benefici, ma ad essere trattato con lo stesso
rispetto e considerazione di ciascun altro”
Secondo Dworkin,a De Funis spetta un trattamento
egualitario (del secondo tipo), per il semplice fatto che
non poteva pretendere di essere ammesso per un diritto
che a lui non è stato dato. “Il diritto ad essere trattato
come uguale significa – afferma Dworkin - che la sua
potenziale perdita deve essere trattata con la dovuta
considerazione, ma che quella perdita non può non di
meno essere superata dal vantaggio per la
comunità(…)ovvero un sistema di ammissione può
25 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.298
nondimeno essere giustificato se sembra che il vantaggio
complessivo della comunità superi lo svantaggio
complessivo e se nessun altro sistema,che privo di
svantaggi paragonabili, producesse anche
sommariamente lo stesso risultato “26 . A ciò subentra la
tesi che “in certe circostanze,una politica che pone molti
individui in svantaggio molte persone è nondimeno
giustificata perché migliora la comunità”27.
Come si può giustificare una politica discriminatoria ?
Dworkin distingue due tipi di giustificazioni: una basata
su argomenti utilitaristi e un’altra su un argomento
idealista. Quest’ultima è quella che sostiene l’utilizzo di
una politica di contemperamento degli interessi in gioco
perché solo in questo modo si potrà ottenere una
comunità più equilibrata e per questo più giusta. La
differenza fra il caso De Funis e quello Sweatt sta nel
fatto che da un lato l’Università di Washington si può
appellare sia all’argomento utilitarista che a quello
idealista,mentre l’Università del Texas ha dalla sua parte
soltanto l’argomento utilitarista. Infatti tutte le possibili
giustificazioni che Dworkin riconduce all’università del
Texas sono riconducibili ad argomenti basati su
preferenze esterne,pregiudizi sociali, fattori che possono
far diventare alcuni gruppi sociali oggetto di
discriminazione da parte della maggioranza per il loro
eccessivo trattamento di favore.
Per finire, ”il criterio razziale – dice Dworkin – non è
necessariamente lo standard giusto per decidere quali
candidati dovranno essere accettati in una Law School
26 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.29927 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.304
ma non lo sono né il criterio intellettuale né in effetti ogni
altro tipo di criterio. La giustizia e la costituzionalità di
ogni programma di ammissione deve essere provata nello
stesso modo. Sarà giustificato se serve un sistema
appropriato che rispetti i diritti di tutti i membri della
comunità ad essere trattati “come uguali” e non
altrimenti”28.
Per concludere, a Dworkin interessa confutare la
posizione di coloro che sostengono che sia illegittima la
discriminazione inversa in uno stato costituzionale, come
possono essere gli Stati Uniti o le maggiori democrazie
europee. Risolta questa prima obiezione resta da
affrontare la discussione in merito al fatto che le politiche
egualitarie possano aver successo. Una conclusione da
trarre dalle teorie di Dworkin è che se i cittadini hanno
diritto ad esser “trattati come uguali”, se hanno diritto
che i loro “interessi vengano trattati con la stessa
considerazione degli interessi di qualsiasi altro individuo”,
allora si dovrà prestare speciale attenzione alle modalità
con cui verranno proposti programmi di discriminazione
inversa, e in pratica si dovrà porre l’accento sulle
modalità di scelta dei candidati, perché proprio lì si potrà
vedere se gli interessi dei soggetti discriminati verranno
presi sul serio. Dworkin sostiene che il maggior problema
della discriminazione inversa sia l’identificazione con il
concetto tradizionale di discriminazione. Il che pone
sempre l’accento su quella forte carica emotiva che
suscita il termine “discriminazione”29, anche se magari
adottata per obiettivi diversi.
28 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.31429 Ruiz Miguel,A. “la discriminaciòn inversa y el caso Kalanke“,p.129
CAPITOLO QUINTO: I DIRITTI POSSONO ESSERE
CONTROVERSI. IL GIUDICE ERCOLE.
Dopo aver sviscerato anche tutti gli aspetti della teoria
politica di Dworkin, o almeno di quanto del giurista
emerge alla luce di Taking Rights Seriously, è necessario
affrontare quello che si può definire “il risvolto pratico del
pensiero dworkiniano”, ovvero il giudice Ercole e
l’identificazione dei Moral Rights spettanti a ciascun
individuo
In quest’ultimo capitolo si cercheranno di affrontare gli
aspetti pratici della teoria Dworkiniana, e più in generale
come un giudice dovrebbe affrontare il caso singolo
nell’ottica da lui proposta.
Dopo aver affrontato tutti gli aspetti teorici, Dworkin
giunge alla conclusione che “esiste una sola risposta
giusta a domande di moralità politica”, abbandonando
tutti i pensieri moderati; a partire da “The model of Rules
” in cui confuta la teoria secondo cui i giudici decidono i
casi difficili con l’aiuto della discrezionalità1, per
proseguire con la Rights Thesis affrontata in “Hard
Cases”, in cui Dworkin sostiene un processo di decisione
che dà sostanza alla tesi dell’unica risposta giusta, ma
che nonostante tutto non permette una produzione
univoca di decisioni nei casi difficili. Al processo
decisionale argomentato in precedenza Dworkin
aggiunge altri due argomenti a sostegno della sua tesi: il
primo è di natura pratica, ovvero alla critica che sostiene
“che per deduzione ci può essere una sola risposta
giusta, ma è inutile sostenere che le parti abbiano diritto
a tale risposta o che un giudice abbia il dovere di
trovarla,dato che nessuno sa qual è la risposta giusta
(anzi, il giudice ci offrirà una sua terza opinione personale
e tale opinione non sarebbe adatta a convincere le parti
della correttezza o meno delle loro risposte)2” risponde
argomentando che è necessario considerare 3 domande:
1 Vedi Supra,capitolo terzo2 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag. 332
1- I giuristi ragionevoli continuerebbero ad essere in
disaccordo nell’affermare che una delle parti in
un caso difficile ha diritto a vincere anche dopo
che su tutti i fatti,inclusi i fatti di storia
istituzionale,ci si trovasse d’accordo?
2- E’ possibile che una delle parti possa avere
diritto a vincere un caso difficile se i giuristi
ragionevoli sono in disaccordo dopo che tutti i
fatti sono stati concordemente definiti?
3- E’ ragionevole o giusto per lo stato applicare la
decisione di un gruppo particolare di giudici in un
caso difficile anche se un gruppo differente,
ugualmente ragionevole e competente, avrebbe
raggiunto una decisione diversa?
La risposta di Dworkin è la seguente:
“se le parti di un caso difficile non hanno alcun diritto ad
una decisione particolare,è inutile ed ingiusto lasciare che
il caso venga risolto da una decisione controversa
riguardante i loro diritti. E’ anche necessario essere
convinti che,sebbene la decisione di un gruppo
particolare di giudici sia fallibile e la sua giustezza non
possa mai essere provata con piena soddisfazione degli
altri giuristi, sia tuttavia meglio mantenere tale decisione
piuttosto che trasferirla a qualche istituzione o chiedere
ai giudici di decidere sulla base di argomenti di politica o
in qualche altro modo dove non è necessario il loro
giudizio sui diritti delle parti. (…) Ci sono molte ragioni
per chiedere ai giudici di decidere i casi difficili sulla base
del loro giudizio sui diritti, anche quando la verità di quel
giudizio non può essere dimostrata con la soddisfazione
di tutti (anche perché tale giudizio può essere
sbagliato3”.
Mentre la prima e la terza domanda riguardano
l’argomento pratico della critica, la seconda domanda
guarda ad un aspetto più teorico. Questa domanda,
secondo la critica a Dworkin, deve avere risposta
negativa.
Per confutare questo asserto il giurista fa l’esempio
dell’arbitro degli scacchi invitato ad applicare la regola
per la quale i giocatori non possono infastidirsi senza
ragione. In tal caso l’arbitro dovrà decidere sulla base del
carattere del gioco degli scacchi, ben consapevole che la
sua decisione potrà vedere in disaccordo altri arbitri e che
nessun test sarà in grado di dimostrare quale delle
opinioni possa essere la più adatta a risolvere il caso. La
sua scelta sarà il suo pensiero, ciò che l’arbitro avrà
dedotto sulla base della sua conoscenza del regolamento;
e gli altri arbitri ne dedurranno che nel caso in esame non
esiste nessuna risposta giusta. E una eventuale risposta
negativa a questa domanda lascerebbe spesso il caso
irrisolto e ciò farebbe venir meno gli arbitri dal loro
dovere professionale.
Ecco perché Dworkin si inventa una figura esemplare per
dare un aspetto più concreto alle sue teorie,un
personaggio di fantasia e impossibile da trasportare nella
realtà. Egli si immagina un giudice filosofo che sviluppi le
teorie legislative e formi il carattere del sistema
normativo. Un soggetto dotato di
ingegno,capacità,cultura e pazienza sovraumani
chiamato Ercole. “Ercole è un giudice che accetta le
3 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag. 334
principali regole costitutive e prescrittive non
controverse,cioè che le leggi abbiano il potere di creare e
di estinguere i diritti legali e che i giudici abbiano il
dovere generale di decidere in conformità dei precedenti
della loro giurisdizione o di giurisdizioni superiori il cui
fondamento logico si estende al caso in oggetto”.4 Ercole
assume che per ogni branca generale del diritto sia
possibile individuare un insieme di principi
ragionevolmente plausibili il quale fornisce
un'interpretazione idonea di tale branca. La premessa
che soggiace a questa metafora è l’idea di diritto come
una “rete”, lungo la quale il giudice Ercole deve
ricostruire la teoria che meglio si adatta e meglio
giustifica il diritto nella sua interezza (questo significa
"law as integrity"), al fine di decidere ogni singolo caso.
Attraverso questo processo Ercole giunge sempre
all’unica risposta corretta. Dworkin sa bene che spesso
abili avvocati e giuristi prepararti sono in disaccordo circa
la corretta soluzione di un caso giuridico, ma vede in tale
disaccordo una discussione sostanziale circa l’unica
risposta corretta per il caso in questione. Dworkin inoltre
sa bene che è sempre possibile trovare altre regole o
principi per risolvere i conflitti. Ercole nella fattispecie ha
anche tempo illimitato per decidere le controversie,
perché Dworkin sa bene che il diritto è un “tessuto senza
cuciture”; ragion per cui a Ercole si richiede di formulare
quella decisione che si adatti e che giustifichi tutto il
sistema giuridico (Law as Integrity) per decidere il caso di
specie. E secondo il filosofo, Ercole giunge sempre ad
ottenere la Right-Answer. Dworkin,come si è detto in
4 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag. 204
precedenza, non nega che anche i giudici più esperti
possano spesso trovarsi in disaccordo in merito a quale
sia la giusta soluzione ad un caso di specie. Al contrario,
ritiene che costoro manchino sull’individuazione della
“Right-Answer”, soluzione che spetta ad Ercole trovare.
Ma come opera il giudice Ercole?
In primo luogo Ercole deve esaminare tutto il diritto
positivo; poi deve chiedersi quali principi saldino tutto il
diritto insieme. Dopo ciò, in ogni Hard Case Ercole
applicherà la teoria che riterrà più verosimile al caso. In
questo modo Ercole ha solo interpretato la legge, la quale
però emetterà le sue risposte. Tutto quello che ha fatto
Ercole è stato usare il suo potere sovraumano per trovare
ciò che era già previsto dalla legge, come un ipotetico
Oracolo di Delfi che emette le sue risposte, risposte le
quali però necessitano di un’interpretazione da parte dei
sacerdoti. Ma come si fa a sapere se l’interpretazione di
Ercole è quella giusta? Secondo Dworkin l’insieme di
norme costituzionali,leggi e decisioni giudiziarie creano
un unico ideale di moralità che un giudice non deve mai
dimenticare mentre decide un caso concreto; con quella
storia Ercole costruirà la più corretta teoria legislativa in
nostro possesso. Ma perché un giudice deve ricostruire la
teoria giuridica in questo modo? Dworkin ne dà 3 motivi:
1- RETROATTIVITA’. Dworkin sostiene che gli errori
dei giudici possono far diventare il diritto
retroattivo. Afferma che se la legge ha delle lacune
e i giudici per colmarle devono creare diritto, allora
molte leggi dovranno per forza di cose essere
emanate dopo l’avvenimento dei fatti,a volte in un
periodo anche molto successivo all’accadimento.
Secondo Dworkin, questo sistema di creazione di
diritto giurisprudenziale può potenzialmente ledere
i diritti di molte persone5. Aggiunge che i giudici
che creano diritto lo applicano al caso concreto in
maniera retroattiva; il che fa emergere l’errore di
fondo che avviene ogniqualvolta sussista questa
pratica, su cui è necessario che i giudici si limitino
nelle loro decisioni a consultare esclusivamente il
diritto preesistente che emerge dalle fonti.
2- CONCETTO DI IMPARZIALITA’. conseguentemente
al concetto di retroattività Dworkin inserisce il
concetto di imparzialità che impone di considerare
i casi simili allo stesso modo, e secondo cui i
giudici sono istituzionalmente costretti a non
eccedere nell’uso dell’interpretazione e in cui
hanno limitata discrezionalità. In altre parole,
come una volta i giudici di un sistema legale
dovevano decidere un caso secondo determinati
canoni, l’idea dworkiniana di imparzialità richiede
che anche nel futuro a casi simili corrispondano
giudizi simili. E’ questa l’idea che muove Ercole nel
cercare e giustificare la massa dei precedenti
giudiziari per ricostruire la migliore teoria
giudiziaria.
3- AUTONOMIA DEI SISTEMI LEGALI. Dworkin sostiene
l’autonomia dei sistemi legali in modo tale da
vincolare i giudici a decidere i casi secondo una
teoria che giustifichi tutto l’apparato legislativo
preesistente. Questo fattore dovrebbe portare le
5 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.212
sentenze ad essere il meno originali possibile. In
altre parole i giudici devono accettare le teorie
politiche che evidenzino l’importanza della linea di
giudizio adottata nelle precedenti decisioni.
Dopo aver riassunto e proposto il modo in cui il
fantomatico giudice Ercole lavora, si rende necessario un
esempio per comprendere al meglio il metodo di analisi e
interpretazione giuridica proprio del “superuomo”
dworkiniano.
Per far questo si riproporrà il caso Spartan Steel citato
in Taking Rights Seriously6. Nella fattispecie si affronta la
questione di un risarcimento danni dovuto all’attore (che
aveva subito un danno ad un cavo elettrico durante un
lavoro effettuato dai dipendenti del convenuto ed era per
questo stato costretto a chiudere l’impresa conseguente
ad un danneggiamento colposo alla proprietà di un altro).
Il caso in questione non rappresenta riferimenti legislativi
chiari, perché da una parte le precedenti decisioni in
merito indicavano in maniera univoca il convenuto, e
dall’altra l’attore aveva indicato altre decisioni per altri
tipi di danno e argomentava che il principio alla base di
questi casi richiedeva una decisione anche per il suo
caso. Ercole inizia chiedendosi perché argomenti di tale
forma siano,anche in principio, sempre validi. Ma viene
anzitutto fermato da un fattore: le prove portate dalle
due parti a discarico sono solo regole generali,non leggi:
ragion per cui molte delle opinioni che le parti in causa
citano come precedenti non contengono alcuna formula
6 Spartan Steel & Alloys ltd. Vs. Martin & Co.,in Taking Rights Seriously,Trad. It. Di F.Oriana,pag.209
che possa rappresentare la formulazione canonica della
regola che il caso enuncia. Ercole usa la Rights Thesis7, e
quando interpreta le leggi stabilisce per qualche
linguaggio legislativo argomenti di principio o di politica
che forniscono la giustificazione migliore di tale
linguaggio sotto l’aspetto delle responsabilità del corpo
legislativo. Il suo resta un argomento di principio:egli usa
la politica per definire quali diritti ha già creato il corpo
legislativo. Ma quando egli “interpreta” le decisioni
giudiziali stabilirà sul linguaggio relativo solo argomenti di
principio perché la tesi dei diritti sostiene che solo tali
argomenti assolvono la responsabilità della corte8. Nel
caso Spartan Steel Ercole dovrà accettare la forza
gravitazionale del precedente, ovvero che il valore
promulgativi del precedente giudiziario non si limitano al
linguaggio,ma alla lealtà di trattare i casi simili allo stesso
modo9.” Un precedente è una citazione di una decisione
politica precedente; e il semplice fatto di tale
decisione,come aspetto della storia politica,stabilisce
qualche ragione per decidere altri casi allo stesso modo
in futuro”10.
Solo la dottrina della lealtà offre la spiegazione
adeguata al rispetto del precedente nel caso Spartan
Steel; ma questa conclusione porterà ad altre
affermazioni. Una di queste consisterà nella doverosa
riduzione della forza gravitazionale delle decisioni
precedenti agli argomenti di principio necessari a
giustificare tali decisioni. Il precedente si forma qualora la
7 Vedi Supra,capitolo terzo.8 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.2119 Vedi Supra,Concetto di Imparzialità10 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.213
decisioni non risulti fondata su un qualche argomento di
politica, e quindi su un valore che ne limiti l’ambito di
promulgazione. Nel caso Spartan Steel manca una
disciplina a tutela dell’attore e l’estensione di una
disciplina prevista per casi differenti potrebbe non
giovare alla decisione. “Non ci può essere alcun
argomento generale di giustizia che stabilisca che un
governo che favorisce uno scopo collettivo in un certo
modo in una data occasione,debba favorire lo stesso
scopo nello stesso modo quando sorga una situazione
equivalente.(..) Il governo deve essere razionale e giusto;
deve prendere delle decisioni che servano soprattutto un
insieme giustificabile di scopi collettivi e nondimeno deve
rispettare qualunque diritto del cittadino.”11.
Così Ercole prenderà in considerazione gli argomenti di
principio che giustifichino quel precedente, nella
fattispecie il caso Spartan Steel, considerando sia la
possibilità che l’attore abbia il diritto astratto al
risarcimento,sia che il convenuto non abbia il dovere
astratto al risarcimento. Egli dovrà costruire uno schema
di principi astratti e concreti che fornisca una
giustificazione coerente a tutti i precedenti giudiziari e ,
per quanto questi debbano essere giustificati su principi,
anche agli articoli costituzionali e legali. Dopo aver
elaborato ciò,passerà al vaglio tutti i principi, valutando
l’importanza di ciascuno all’interno del sistema sulla base
della loro storia istituzionale. “qualsiasi insieme di leggi e
decisioni può essere spiegato storicamente,
psicologicamente o sociologicamente, ma la coerenza
richiede una giustificazione plausibile e non fittizia. Se la
11 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.215
giustificazione che egli costruisce opera distinzioni che
sono arbitrarie e spiega principi che non sono richiamabili
non può assolutamente essere considerata una
giustificazione”12. Ercole svilupperà una teoria degli errori
istituzionali su due fronti: in primo luogo distinguerà fra
autorità specifica di qualche evento istituzionale e la sua
forza gravitazionale,e giudicando errato un evento
distinguerà fra errori assimilati ed errori ancora
correggibili; in secondo luogo dovrà dimostrare che la sua
risoluzione del caso non ammette errori o ammette un
diverso insieme di errori,considerando la storia
istituzionale e la coerenza (in rapporto all’ordinamento)
dei principi in esame.
E il giudice Ercole risolverà il caso Spartan Steel
facendo ricorso alla teoria più coerente presente
nell’ordinamento,senza innovare né inventare nulla.
CONCLUSIONE
Quanto descritto finora rappresenta il pensiero del
“primo Dworkin”, se così si può dire,ovvero le teorie
filosofico-giuridiche espresse in Taking Rights Seriously e
il loro impatto sul pensiero giuridico del tempo. Tuttavia il
lavoro del giurista non si è fermato qui, ma anzi ha
proseguito tracciando linee a volte anche discordanti
dalle precedenti.
12 R.Dworkin,I diritti presi sul serio,trad. It. Di F.Oriana,cit. pag.222
A partire dal suo scritto successivo, Law ’s Empire,
insiste sulla critica al positivismo e si pone quale punto di
riferimento, in un quadro di sostanziale continuità con le
tesi precedenti, anche gli aspetti conoscitivo-metodologici
di esso. Nella ricostruzione sviluppata in Law 's Empire, il
positivismo è caratterizzato da quella che Dworkin
chiama "plain fact view" (prospettiva del dato di fatto):
essa consiste in una precisa immagine del diritto che
viene visto come "un dato oggettivo". Rispetto a questo
dato si specifica sia il compito conoscitivo della teoria del
diritto che diviene principalmente quello della sua
descrizione, sia l'interpretazione che viene identificato
con quello dell'attribuzione di significato a questo dato. A
partire dalla critica della "plain fact view" e del
positivismo, Dworkin sviluppa una diversa teoria che
cerca di fornire una risposta sia al problema della
definizione del diritto, sia a quello del ruolo e dei risultati
dell'interpretazione giuridica1. Definendo il diritto come
pratica sociale, Dworkin sostiene che esso è un fenomeno
sociale che è possibile distinguere da altre attività sociali
per la sua natura interpretativa. Questo aspetto è legato
alla individuazione degli aspetti di una attività retta da
regole. Una pratica sociale contiene quantomeno due
elementi fondamentali: un insieme di regolarità di
comportamento che permettono di evidenziare che in
una data comunità vengono seguite determinate regole,
e il fatto che tali regole hanno quale punto di riferimento
la realizzazione di uno scopo o di un valore. Identificare
una pratica sociale, definirla cioè come unitaria, è
possibile solo se si può mettere in evidenza qual è lo
1 Per un accenno di tale teoria,vedi capitolo secondo.
scopo o il valore di riferimento delle regole di una
comunità. La conseguenza più diretta che deriva da
questa ricostruzione è quella della “complessificazione”
strutturale del diritto. A partire da Taking Rights
Seriously, Dworkin pone in evidenza come il diritto
contemporaneo sia composto non solo di "regole" ma
anche di principi. Se inizialmente questa visione viene
utilizzata per segnalare l'utilizzo da parte dei giudici di
standard giuridici non limitati alle regole espressamente
formulate, in Law 's Empire il ruolo di principi diventa
ancora più pervasivo. Ciò corrisponde a un
approfondimento del loro peso nel pensiero dworkiniano:
i principi, da standard principalmente giurisprudenziali,
diventano il fondamento della comunità politica e della
esigenza di integrità. Non cambia però la loro
caratterizzazione dal punto di vista formale: rispetto alle
"regole", i principi si caratterizzano in relazione sia al
fatto che essi esprimono i valori supremi dell'ordinamento
di una comunità 2 e riguardano perciò i diritti dei suoi
membri, sia al fatto per cui la loro applicazione richiede la
loro ponderazione e il loro bilanciamento. Altro elemento
del suo pensiero che Dworkin modifica col tempo
riguarda la teoria della Right Answer. Essa subisce
un'evoluzione, seppure all'interno di un'intenzione che
resta unitaria, nel passaggio da Taking Rights Seriously e
A Matter of Principles a Law 's Empire, che stempera
alcune assunzioni iniziali. Si può dire che mentre nella
riflessione iniziale il tema della right answer ha una
dimensione più "sostantiva", nella seconda essa si
2 (Atienza & Ruiz Manero 1993) Su questa distinzione, in ambito italiano, A. Pintore 1982; G. Pastore 1985; R. Guastini 1990; G. Zagrebelsky 1992
identifica con il "modo corretto (right way) ... di decidere
un caso difficile" e ha perciò fondamentalmente una
dimensione di tipo "procedurale". Nella prima fase infatti,
Dworkin lega la tesi della risposta corretta alla distinzione
tra regole e principi nell'applicazione giudiziaria: nei casi
difficili si avrà una tale risposta attraverso il ricorso al
principio che può essere individuato al di là della regola
(o delle regole) che disciplinano il caso. In Law 's Empire,
la tesi della "risposta corretta" non figura più quale
argomento autonomo ma appare piuttosto una
conseguenza della concezione della integrità: la right
answer sottolinea i vincoli del giudice ma
contemporaneamente afferma che essa deriva dalla
"migliore interpretazione" dei principi di una comunità e
dalla scelta tra principi diversi e tra loro in conflitto di
modo che "la coerenza avrà bisogno di un ordine non
arbitrario di priorità, di valutazione o di compromesso" tra
di essi "che rifletta le loro rispettive fonti a un più
profondo livello della moralità politica"3. In questa
prospettiva, la risposta corretta viene posta quale
problema che emerge al livello della "giustificazione" e di
quella che Dworkin chiama integrità "pura" cioè che
richiede il ricorso alla "moralità politica astratta" e alle
esigenze di "giustizia" della comunità: a questo livello
però "i giudizi giuridici sono profondamente contestabili".
L'idea della risposta corretta è perciò relativa a quella di
integrità in quanto richiede che il giudice valuti
l'"adeguatezza" delle diverse risposte e "giustifichi" la sua
decisione alla luce della "migliore" teoria politica dei
valori della comunità: quest'ultimo compito lascia però
3 R. Dworkin, Law's Empire, Belknap Press, Cambridge, Mass.; 1986, 252
aperto lo spazio della critica e richiede lo sviluppo di
quella che Dworkin chiama un'"attitudine protestante"
verso le decisioni politiche e giudiziarie. Questa diversa
impostazione permette di valutare le critiche che sono
state rivolte alla "right answer thesis": in particolare,
quella per cui essa necessita di un giudice “ideale”
(Ercole) per essere possibile e quella secondo cui tale tesi
avrebbe alla sua base l’idea di completezza
dell'ordinamento. Dal primo punto di vista, si può dire che
in Law 's Empire la figura di Ercole non appare
fondamentale e si riduce ad un semplice "modello" per
l'interpretazione. Dal secondo punto di vista, va invece
segnalato che l'idea di risposta corretta basata
sull'integrità fa soprattutto riferimento al metodo che il
giudice deve seguire e lascia spazio al confronto tra
principi e teorie "politiche" diverse.
Infine, queste derive porteranno Dworkin ad
un’attenzione sempre maggiore verso il costituzionalismo
e le politiche di Welfare state. Dworkin sintetizza nell'idea
di comunità di principio l'aspetto "costituzionalistico"
dell'esperienza giuridica contemporanea, cioè il dato per
cui "il diritto positivo ha dovuto storicamente assimilare
contenuti morali" che si specificano soprattutto quali
"contenuti teleologici e principi morali". La comprensione
del diritto a partire non solo dalle sue "basi" ma anche
dalla sua "forza" ha perciò una valenza "descrittiva": essa
vuole essere una teoria dell'"autocomprensione
normativa e costituzionale di tutti gli ordinamenti tipici di
uno stato di diritto". L'idea della comunità di principio
corrisponde perciò a quella di una società basata sopra
un "atto costituente di fondazione» che «presuppone che
i cittadini si riconoscano un sistema di diritti che
garantisca loro autonomia privata e autonomia
pubblica"4: essa corrisponde perciò a una "teoria"
generale del diritto degli stati "costituzionali" basati,
attraverso un atto costituente, su "principi comuni".
Questa caratterizzazione della riflessione dworkiniana ha
una serie di implicazioni rilevanti: in primo luogo,
consente di valutare la questione della valenza, generale
o particolare, della teoria del diritto dworkiniana; in
secondo luogo, permette di delineare gli elementi
"sostanziali" dell'organizzazione giuridica "costituzionale".
la riflessione dworkinana è direttamente in relazione con
il diritto degli "stati provvisti di costituzioni 'rigide' e
dunque di forme di giustizia costituzionale"5 o, come nel
caso inglese, legate a una "rule of law" dai contenuti
sostanziali. Essa ha perciò una valenza generale in
relazione a sistemi giuridici, quali quelli in senso ampio
"costituzionali", basati su principi e sulla sottoposizione
dei poteri dello stato non solo alla legge ma alla
costituzione. La distinzione tra diversi fondamenti della
comunità e tra le diverse concezioni del diritto e della
rule of law. Dworkin, distingue, in parallelo con le
concezioni della comunità, diverse idee del rule of law: la
prima del "libro delle regole" (rule book) che corrisponde
all'idea della semplice sottoposizione alla legge; la
seconda, rights-based che trova riscontro nella
preminenza dei principi e dei diritti degli individui.
Questa ricostruzione della dimensione contenutistica dei
sistemi costituzionali basata su un sistema di diritti che
4 Habermas 1996, 243, 246, 2565 La Torre 1998, 381
rappresentano le condizioni di esistenza della democrazia
ha una serie di ulteriori sviluppi,che portano Dworkin ad
interessarsi sempre più di questioni etiche6. La soluzione
liberal ai diversi problemi (dai limiti del diritto di parola,
all'aborto e all'eutanasia) si fonda in particolare sulla tesi
dei diritti degli individui, e sulla visione "discriminatoria"
della comunità e su un'argomentazione razionale alla
luce dei principi "morali" della costituzione. Nella
discussione del problema dell'aborto, ad esempio,
Dworkin difende la decisione della Corte suprema nel
caso Roe vs. Vade sulla base sia del diritto "che le donne
hanno…di tutelare il loro ruolo nella procreazione", sia su
quella che lo "Stato" non essendo "Autore dell’azione"
non può "scoraggiare i cittadini dall’esercitare i loro diritti
costituzionali quando non sussiste alcun dubbio sul loro
diritto di essere i principali responsabili ... di ciò che
fanno". In parallelo, il principio che "il feto non è un
soggetto costituzionale" su cui la Corte ha basato la sua
decisione, viene sostenuto sia perchè "ben si adatta
all’apparato normativo vigente", sia perché appare
fondabile argomentativamente "con la nostra concezione
circa gli altri argomenti e soprattutto si deve decidere se
questi sono più importanti di quanto lo siano altri principi
discordanti".
E questi sono soltanto alcuni cenni di quel vasto
contenuto che rappresenta il pensiero giuridico
dworkiniano,che tutt’ora è in divenire e di cui attendiamo
nuovi e interessanti sviluppi.
6 come ad esempio l’aborto,o i diritti umani –vedi a tal proposito un suo scritto in Ragion pratica 12/2007;Who are human rights? Trad.it. di G. Pino-.
BIBLIOGRAFIA
- R. DWORKIN: “I diritti presi sul serio”,trad .It . a cura di F.Oriana, editore Il Mulino,Bologna 1982
- R. DWORKIN: “Law ’s Empire”, Belknap Press, Cambridge, Mass. 1989
- R. DWORKIN: “cosa sono i diritti umani?”trad.It. di G. Pino,”Ragion Pratica” 29 Dicembre 2007
- Giovanni Battista Ratti “Sistema Giuridico e sistemazione del Diritto nella Teoria di R.Dworkin”, “Ragion Pratica” 26/Giugno 2006
- Ruiz Miguel,A. “la discriminaciòn inversa y el caso Kalanke“,Università degli studi di Pamplona, 2005
- Wikipedia, encyclopedia multimediale,www.wikipedia.com.
- H.L.A. Hart, The Concept of Law, Oxford University Press, 1994; trad. It. , Il Concetto di diritto, Torino, Einaudi, 2002
- A. PIZZORUSSO, Che cos’è l’eguaglianza, Editori Riuniti, Roma, 1983
- N. BOBBIO, voce Eguaglianza, in Enciclopedia del Novecento, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1977, vol. II
- R.NOZICK, Anarchia, stato e utopia trad. It. di E. Bona, G.Bona, , Le Monnier, Firenze, 1981
- A. SCHIAVELLO, Diritto come integrità : incubo o nobile sogno ? Saggio su Ronald Dworkin,Giappichelli,Torino 1998