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Università di Caserta – Dipartimento di Psicologia – CFU MODULO - PEDAGOGIA SOCIALE Pietro Boccia 1 Università di Caserta - Dipartimento di Psicologia - Modulo ( 6 CFU)– Pedagogia sociale (docente: Pietro Boccia) Struttura del MODULO Lezione 1 Unità di apprendimento/1 Legge n. 107/2015, riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale sia d’istruzione sia di formazione (D.Lgs n. 59/2017) e modalità per l’acquisizione dei 24 CFU (D.M. n. 616/2017) Unità didattica/1 Analisi della Legge n. 107/2015 Unità didattica/2 Il riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale sia d‟istruzione sia di formazione (D.Lgs n. 59/2017) Unità didattica/3 Le modalità per l‟acquisizione dei 24 CFU (D.M. n. 616/2017) Lezione 2 Unità di apprendimento/2 Il processo di globalizzazione, la secolarizzazione, la pedagogia sociale e la teoria della società complessa Unità didattica/1 Il processo di globalizzazione e la secolarizzazione Unità didattica/2 La pedagogia sociale Unità didattica/3 La teoria della società complessa Lezione 3 Unità di apprendimento/3

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Pietro Boccia

1

Università di Caserta - Dipartimento di Psicologia - Modulo ( 6 CFU)– Pedagogia sociale

(docente: Pietro Boccia)

Struttura del MODULO

Lezione 1

Unità di apprendimento/1

Legge n. 107/2015, riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale sia

d’istruzione sia di formazione (D.Lgs n. 59/2017) e modalità per l’acquisizione dei 24 CFU (D.M.

n. 616/2017)

Unità didattica/1 Analisi della Legge n. 107/2015

Unità didattica/2 Il riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale sia

d‟istruzione sia di formazione (D.Lgs n. 59/2017)

Unità didattica/3 Le modalità per l‟acquisizione dei 24 CFU (D.M. n. 616/2017)

Lezione 2

Unità di apprendimento/2

Il processo di globalizzazione, la secolarizzazione, la pedagogia sociale e la teoria della società

complessa

Unità didattica/1 Il processo di globalizzazione e la secolarizzazione

Unità didattica/2 La pedagogia sociale

Unità didattica/3 La teoria della società complessa

Lezione 3

Unità di apprendimento/3

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2

La complessità e l‟autonomia delle istituzioni (famiglia e scuola)

Unità didattica/1 La complessità

Unità didattica/2 L‟autonomia delle istituzioni: la famiglia

Unità didattica/3 L‟autonomia delle istituzioni: la scuola

Lezione 4

Unità di apprendimento/4

La pedagogia, la pedagogia sociale e dimensioni sociali dei modelli educativi nella storia della

civiltà occidentale

Unità didattica/1 La pedagogia e le scienze dell‟educazione

Unità didattica/2 La pedagogia sociale: analisi e commento dei capitoli primo e secondo del libro

Pedagogia sociale di Sergio Tramma

Unità didattica/3 Le dimensioni sociali dei modelli educativi nella storia della civiltà occidentale

Lezione 5

Unità di apprendimento/5

Cultura e territorio, socializzazione, dinamiche di esclusione/inclusione

Unità didattica/1 La cultura e il territorio: analisi e commento del capitolo terzo del libro

Pedagogia sociale di Sergio Tramma

Unità didattica/2 La socializzazione

Unità didattica/3 Le dinamiche di esclusione/inclusione

Lezione 6

La pedagogia sociale e la progettazione educativa territoriale come argine alle devianze (bullismo

e cyberbullismo)

Unità didattica/1 La pedagogia sociale e la progettazione educativa territoriale come argine alle

devianze: analisi e commento dei capitoli quarto e quinto del libro Pedagogia sociale di Sergio

Tramma

Unità didattica/2 La pedagogia sociale come argine alle devianze (bullismo)

Unità didattica/3 La pedagogia sociale come argine alle devianze (cyberbullismo)

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3

LEZIONE 4

La pedagogia, la pedagogia sociale (analisi e

commento e dei capitoli primo e secondo del libro

Pedagogia sociale di Sergio Tramma) e dimensioni

sociali dei modelli educativi nella storia della civiltà

occidentale

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La pedagogia generale e la didattica

La pedagogia è lo studio sistematico del problema

educativo, in un gruppo sociale o in una determinata

società, ed è anche un‟elaborazione di metodologie e di

tecniche, per risolverlo razionalmente.

La pedagogia è la scienza dell‟educazione; l‟educare (da

ex ducere) deve, nella società globale, significare il

prendere per mano un soggetto e aiutarlo a svilupparsi in

maniera equilibrata, affinché possa inserirsi, integrarsi e

includersi nella vita sociale, già pronto per affrontare e

risolvere i problemi della vita.

Jerome S. Bruner ha sostenuto che l‟educare è

“un‟invenzione umana che conduce chi apprende al di là

del puro apprendimento”.

Oggi, il problema educativo, ha, invece, assunto una

connotazione scientifica. Si sono, così, diffuse le scienze

dell‟educazione e la pedagogia, che, attraverso

l‟epistemologia, hanno cercato di acquisire una valenza

teorica e di caratterizzarsi scientificamente.

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Il problema epistemologico della pedagogia, come branca

della teoria educativa, esamina i rapporti fra le diverse

discipline che sono la parte costitutiva della scienza

dell‟educazione e, nello stesso tempo, rappresentano

l‟intelaiatura teorica e metodologica, che ne costituisce il

punto di partenza e il risultato finale.

Non si può datare la nascita di una scienza, ma la

pedagogia o scienza dell‟educazione, secondo alcuni

studiosi, coincide con la pubblicazione, nel 1909,

dell‟opera, Psicologia del fanciullo e pedagogia

sperimentale, di E. Claparéde.

In tale contesto, si teorizza che la scienza dell‟educazione

è, da un lato, lo studio sistematico del problema

educativo, in un gruppo sociale o in una determinata

società, e, dall‟altro, l‟elaborazione di metodologie e di

tecniche, per risolverlo razionalmente.

Il pedagogista è un operatore teorico.

Egli si dedica, avvalendosi della conoscenza nel campo

delle scienze umane e sociali, allo studio, all‟analisi e

all‟elaborazione delle teorie pedagogiche e dei principi

educativi.

Non mette quasi mai in pratica l‟insegnamento.

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A quest‟ultimo si dedica l‟educatore.

Si possono, però, incontrare, nella realtà, anche

pedagogisti-educatori e educatori-pedagogisti.

Nelle società industrialmente avanzate, il sapere è esploso

e, di conseguenza, ha prodotto l‟esigenza di dover

conoscere, in modo approfondito, non solo le peculiarità

dello sviluppo teorico dell‟insegnamento e

dell‟apprendimento, ma anche le loro applicazioni

pratiche.

La nostra civiltà, tecnologicamente avanzata, ha

rivoluzionato il significato dell‟educazione e il metodo per

attuarla.

Oggi, tutti hanno diritto a essere educati.

L‟educazione non è più un‟invenzione sovrastrutturale,

ma un bisogno individuale e un‟esigenza collettiva e di

massa per costruire una società democratica e per

governarne la complessità.

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Fino a poco tempo fa, l‟educatore fondava la sua

preparazione sulla capacità di trasmettere saperi;

attualmente, dovrebbe orientarsi e proiettarsi verso il

futuro.

L‟educatore dovrebbe, dunque, essere: orientato al

futuro, verso ciò che cambia e si trasforma; capace di

valutare, in maniera positiva, le novità e di produrre,

adattandosi a situazioni nuove, ipotesi di soluzioni

future; proiettato, pur relazionandosi ai problemi umani e

sociali, verso la costruzione di una società ideale.

La capacità professionale del docente è strettamente

collegata alla stessa personalità dell‟educatore:

competenza cognitiva, maturità emotiva, equilibrio

morale, apertura mentale, capacità di interagire e di

comunicare in modo efficace con gli altri.

Ogni educatore dovrebbe, infine, avere, come attitudine

basilare, la disponibilità pedagogica, per valutare gli

alunni come persone, dotate di uguali diritti e di

differenti bisogni.

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Nei compiti dell‟istituzione scolastica rientra anche quello

di orientare i giovani tanto nelle attività educative e

didattiche quando nella scelta dell‟inserimento nel mondo

del lavoro.

L‟orientamento scolastico e professionale ha un‟unica

finalità (orientare, a proseguire gli studi, dopo la scuola di

base, è anch‟essa una scelta di tipo professionale come

fare il geometra, il ragioniere o il medico e così via).

Oggi, i sociologi sostengono che l‟istruzione sia un fattore

di allocazione di status.

La società tecnologicamente avanzata, soggetta a

continue trasformazioni, è, di conseguenza, indotta a fare

in modo che le vecchie professioni siano sostituite da

nuove e altamente qualificate mansioni occupazionali,

soprattutto nel settore del terziario (servizi,

informazione, sperimentazione e ricerca).

La scuola dovrebbe diventare, in modo permanente e

ricorrente, luogo di orientamento e di sperimentazione.

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Le nuove professioni dovrebbero richiedere soggetti

capaci di adattarsi continuamente ai cambiamenti delle

nuove condizioni di lavoro.

La formazione generale dovrebbe, dunque, far acquisire

metodi di lavoro e di ricerca e non soltanto conoscenze

specifiche.

Solo in seguito, l‟orientamento dovrebbe far acquisire a

ogni soggetto la specializzazione sia rispondente alle

disposizioni individuali sia confacente alle esigenze del

mondo del lavoro e della società.

Oggi, la ricerca, come studio dei fattori che concorrono a

far acquisire nuovi elementi conoscitivi, ha investito

numerosi settori e campi del sapere.

Un elevato livello di conoscenze essa l‟ha acquisito, ad

esempio, nel campo educativo.

La ricerca, come dimensione educativa, non può, quindi,

affidarsi all‟improvvisazione e all‟arbitrarietà, ma deve

essere caratterizzata da un accurato impegno

metodologico e tecnico.

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La ricerca si compone di alcune fasi:

- individuare l‟oggetto della ricerca;

- delimitare il campo d‟indagine, stabilendo, in modo

preciso e puntuale, l‟aspetto dell‟oggetto da analizzare;

- verificare e stabilire se tutte le caratteristiche del

fenomeno rientrino nell‟oggetto della ricerca;

- organizzare i dati, dopo aver raccolte tutte le

informazioni, e registrarli secondo i criteri che derivano

dall‟oggetto;

- interpretare ed elaborare i dati;

- stendere una relazione finale (tale relazione costituisce il

“documento ufficiale” del lavoro realizzato);

- rendere pubblici i risultati, per farne valutare la portata

e per poterli utilizzare nelle successive ricerche.

Tali operazioni richiedono, oltre un‟acuta capacità nel

valutare adeguatamente i dati acquisiti, la conoscenza

degli elementi fondamentali della statistica.

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La ricerca educativa dovrebbe, infine, caratterizzare

tutto il lavoro scolastico e non essere soltanto un‟attività

aggiuntiva. Anzi, dovrebbe connotare la stessa

formazione dei docenti.

Il problema educativo, fino alle soglie dell‟Ottocento, non

è stato mai oggetto di un‟approfondita ricerca.

Esso si va, durante l‟Ottocento, gradualmente chiarendo

e delimitando, fino a diventare uno specifico oggetto di

studio sistematico e razionale, quando nasce la pedagogia

come scienza.

Solo da un centinaio di anni, l‟educazione si è, dunque,

trasformata in una scienza e ha incominciato a impiegare

le metodologie e le tecniche per la sua ricerca.

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Si può teorizzare che la scienza dell‟educazione è, da un

lato, lo studio sistematico del problema educativo, in un

gruppo sociale o in una determinata società, e, dall‟altro,

l‟elaborazione di metodologie e di tecniche, per risolverlo

razionalmente.

Nel mondo contemporaneo è, in verità, ancora

un‟impresa alquanto difficile definire il significato e il

contenuto dell‟educazione.

Le società, soggette a continue e veloci trasformazioni,

non facilitano l‟approccio a una scienza dell‟educazione

chiara, perché tali cambiamenti producono, negli

individui, ansie e insicurezze.

L‟educazione dovrebbe, dunque, immaginare una società

composita e aperta, con strutture dinamiche e

democratiche, fondate su gruppi sociali interagenti e su

un potere rappresentativo e non autoritario.

La scienza della formazione e la pedagogia generale non

dovrebbero più farsi guidare soltanto dalla prospettiva di

costruire un solo modello o di avere un punto di

riferimento statico per tutti i componenti di una società.

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L‟una e l‟altra, considerando che il pluralismo culturale,

sociale ed etnico è, nei paesi democratici, ormai un fatto

acclarato, dovrebbero trasformarsi in un‟indicazione di

approccio educativo, che, in un processo dinamico e

aperto, riesca a educare e a formare un uomo

completamente libero.

La pedagogia deve, oggi, essere interconnessa con la

didattica per assolvere un‟efficace pratica educativa e

formativa.

La didattica ha, come oggetto specifico, lo studio della

pratica d'insegnamento/apprendimento.

Essa è una pratica educativa che riguarda le modalità con

cui chi educa, servendosi delle teorie pedagogiche, agisce

e opera, per favorire l‟apprendimento del discente.

Un insegnante, attraverso la didattica, impiega le sue

conoscenze, abilità e competenze e, con strategie

adeguate, facilita il processo formativo di chi apprende.

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La didattica è una continua contaminazione di teoria e di

pratica,

La prima è fornita dal pedagogista, come operatore teorico, che,

impiegando le sue conoscenze, si dedica allo studio, all‟analisi e

all‟elaborazione dei principi educativi. Il pedagogista non

sempre fa pratica educativa, vale a dire didattica.

A quest‟ultima si dedica l‟educatore.

Si possono, però, incontrare, nella vita pratica, anche

pedagogisti/educatori ed educatori/pedagogisti.

Nelle società avanzate e complesse la cultura si è ramificata

diffusamente e, di conseguenza, ha prodotto l‟esigenza di dover

conoscere in maniera approfondita non solo le caratteristiche

dello sviluppo teorico dell‟insegnamento/apprendimento ma

anche le specificità delle applicazioni pratiche e delle strategie

didattiche.

La didattica è, come arte e come criterio della semplificazione,

un congruo metodo per fare sperimentazione e ricerca

educativa.

Apprendere con l‟impiego della didattica è un‟acquisizione

consapevole delle conoscenze, delle abilità e delle competenze.

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La sociologia dell’educazione, la pedagogia interculturale e

la didattica speciale

I modelli sociali e culturali, nella società della

globalizzazione, possono aiutare maggiormente lo

sviluppo della sociologia dell‟educazione e, di

conseguenza, di una pedagogia dell‟intercultura.

Negli ultimi decenni, il fenomeno dell‟immigrazione nella

società italiana, ormai interculturale, non solo induce la

politica a intervenire con specifiche norme legislative per

regolamentarlo nell‟ambito socio-lavorativo e scolastico,

ma spinge anche gli operatori scolastici a promuovere

l‟educazione interculturale e a ricorrere ai più interessanti

apporti che provengono dalla pedagogia interculturale e

dalla sociologia dell‟educazione.

I fenomeni interculturali, anzi, le condizioni che

permettono di attuare l‟incontro con l‟altro, non sono

nuovi.

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Il problema del diverso è stato presente in tutte le culture

e in tutti i tempi anche se affrontato con modelli

d‟integrazione, di inclusione o di esclusione molto diversi

tra loro e prodotto dalle differenti motivazioni

economiche, politiche, culturali e sociali.

Ha nella tematica della pedagogia interculturale, un

rilievo fondamentale il documento, che suggerisco,

scaricandolo gratuitamente da Google, di leggere

integralmente, del Ministero della pubblica istruzione,

pubblicato nell‟ottobre del 2007, dal titolo:

“La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione

degli alunni stranieri - Osservatorio nazionale per

l‟integrazione degli alunni stranieri e per l‟educazione

interculturale”.

Oggi, lo studente speciale non è più soltanto quello in

situazione di disabilità originata da deficienze fisiche e/o

psichiche, oggettivamente “certificabili”, ma è anche

quello che, per particolari condizioni familiari e

ambientali, si trova in una posizione stabile o

momentanea di bisogno e che, di conseguenza, richiede

interventi specifici o specialistici.

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La nozione di “bisogno educativo speciale” si accosta

molto alla difficoltà di apprendimento, categoria

diagnostica con cui ci si riferisce a qualsiasi

problematicità rilevata in alunni durante la loro carriera

scolastica e “ricollegabile‟‟ – come sostiene Cesare

Cornoldi – „„a un complesso variegato di cause individuali

e contestuali, pur senza riferirsi ancora al modello I.C.F.

dell‟O.M.S”.

Gli alunni con bisogni educativi speciali possono essere

portatori di una lesione cerebrale grave, di sindrome di

Down, di una lieve disfunzionalità cerebrale e percettiva

oppure di gravi conflitti familiari, di background sociale e

culturale, diverso o deprivato, di reazioni emotive e/o

comportamentali disturbate e così via.

La didattica speciale, perciò, interviene là dove il

percorso educativo è intralciato da difficoltà o resistenze

specifiche causate da deficit personali oppure da

condizioni di svantaggio sociale che impediscono o

limitano i processi d‟integrazione.

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Ne consegue che la scuola, da istituzione che accoglie al

suo interno anche l‟alunno con disabilità, riconoscendogli

prerogative uguali a quelle degli scolari “normodotati”,

deve riorganizzarsi come sistema capace d‟individuare i

bisogni educativi speciali di tutti gli alunni, non solo di

quelli disabili, per intervenire con azioni mirate a

promuovere le capacità e lo sviluppo umano.

Il fine non è quello d‟integrare all‟interno della comunità

scolastica le categorie “svantaggiate” di alunni, ma è

piuttosto quello di far crescere, all‟interno del sistema

“scuola”, delle comunità capaci di rispondere ai bisogni di

“speciale normalità” di tutti gli alunni, perché tutti

hanno il diritto a essere riconosciuti come soggetti dotati

di proprie peculiarità.

La massima espressione di questo cambiamento è il Piano

educativo individualizzato (PEI), attraverso il quale si

programmano annualmente gli interventi e i sostegni

finalizzati al perseguimento di specifici obiettivi in

relazione ai bisogni individuati.

Gli insegnanti, specialmente quelli di sostegno, devono

dare un contributo che è fondamentale per il successo

dell‟intervento educativo speciale.

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I processi d‟integrazione possono attuarsi soltanto se

tutti i docenti ne sono coinvolti.

Il fatto poi che le situazioni di handicap, soprattutto

mentali, siano spesso riconosciute con ritardo attribuisce

agli operatori scolastici un “ruolo non secondario in

quell‟alleanza diagnostica-terapeutica-riabilitativa” che

deve sostenere e sviluppare nel disabile le potenzialità

residue, evitandone il deterioramento e favorendo allo

stesso tempo evoluzioni positive verso il superamento

dello specifico deficit.

La capacità di riconoscere e segnalare le tendenze alla

disabilità in soggetti al limite della normalità o di cogliere

i segnali di un disagio legato a fattori personali o di

contesto, è decisiva per rispondere nel miglior modo

possibile ai bisogni differenziati di tutti gli allievi.

La specialità di un bisogno non va confusa con la sua

specificità.

Tutti hanno bisogni speciali, ma non tutti hanno bisogni

educativi speciali.

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Per altro verso anche i soggetti con bisogni educativi

speciali hanno bisogni comuni.

E c‟è di più.

Le persone possiedono risorse non solo espresse ma anche

potenziali e residue.

Perciò, non è mai opportuno assegnare certe “etichette”

(svantaggiato, lento, pigro, indolente), che possono

introdurre distorsioni nella relazione educativa, ma

occorre piuttosto che si compia uno sforzo di

“comprensione”, per poi disegnare un percorso di crescita

e di accompagnamento.

Per poter adeguatamente lavorare in questa direzione, il

docente deve avere competenze e risorse altrettanto

“speciali”: deve conoscere, cioè, le condizioni che

generano difficoltà e i loro effetti sui normali processi di

sviluppo.

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Ecco allora che rispondere ai bisogni speciali non significa

costruire categorie separate, ma piuttosto formare

insegnanti, dirigenti e operatori educativi che facciano

proprie, oltre che una cultura della diversità, conoscenze

e competenze adeguate.

Non meno importante è la risorsa rappresentata

dall‟extrascuola perché, non diversamente dall‟individuo

“normale”, chi vive situazioni di particolare difficoltà

deve poter condividere con gli altri gli spazi e i tempi,

deve poter convivere, stare insieme e fare insieme.

L‟esperienza extra-scolastica, come pure quella extra-

familiare, è un fondamentale elemento di crescita.

All‟interno del gruppo dei pari, l‟individuo si sperimenta

in relazioni e contesti diversamente strutturati rispetto

alla scuola e alla famiglia e diversamente connotati

affettivamente.

Ciò è ancora più vero per i disabili, spesso trattenuti nel

grembo materno e familiare.

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L‟intervento educativo individualizzato, il lavoro

scolastico, la famiglia e il raccordo tra tutte le risorse

territoriali extra-scolastiche rappresentano i quattro

ambiti operativi per una linea d‟intervento valida per

tutte quelle situazioni di disagio, di difficoltà o di

“bisogno educativo speciale” che necessitano di percorsi

di presa in carico più o meno duraturi o strutturati.

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La pedagogia sociale

La pedagogia sociale, secondo Paul Gerhard Natorp, si

attua in primo luogo come riflessione filosofica.

Natorp formalizza l‟identità culturale della pedagogia

sociale sul piano teoretico-epistemologico.

Il problema fondamentale - ha scritto in La pedagogia

sociale – è quello non solo di “fare incontrare due scienze

- sociologia e pedagogia, solitamente esteriormente

separate - ma anche di dimostrare la loro reciproca unità

e inseparabilità fin nelle loro più profonde radici”.

Paul Natorp interpreta, dunque, la pedagogia sociale

come un sapere pedagogico in stretto rapporto con la

filosofia.

“L‟educazione dell‟individuo – continua - è socialmente

condizionata come una formazione umana della vita

sociale ed è essenzialmente condizionata da

un‟educazione, dagli individui che a essa devono prendere

parte e che a essa devono conformarsi”.

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La pedagogia sociale

La pedagogia sociale è soprattutto una disciplina che si

occupa dei contenuti e delle metodologie per formare

soggetti rivolgendo l‟attenzione ai contesti sociali.

Si contraddistingue dalla pedagogia generale perché, pur

avendo in comune la struttura teorica, evidenzia e vaglia

quelle problematiche che si connettono con l‟attività

educativa all‟interno della vita sociale.

L‟unicità e la peculiarità di tale disciplina scaturiscono, a

livello epistemologico, dalla relazione che ha, in

definitiva, il processo educativo con le reciproche

influenze dell‟uomo all‟interno della società.

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La pedagogia sociale

Le origini della pedagogia sociale sono antiche ma il

padre putativo è stato sicuramente Pestalozzi, che,

lavorando presso istituti per bambini svantaggiati e

descrivendo tali esperienze in alcuni libri, come ad

esempio “Leonardo e Gertrude” e “Come Gertrude

educa i suo figli”, abbozza le caratteristiche di una

pedagogia che rappresentano gli indizi di una concreta

attività sociale e, pertanto, della pedagogia sociale, vale a

dire l‟importanza dell‟influenza ambientale nella

formazione umana e il bisogno delle attività intenzionali

per uno sviluppo positivo del bambino, corrispondenti

alle finalità e ai traguardi del lavoro educativo sociale.

La pedagogia sociale è molto giovane; si può certamente

affermare che essa nasce dopo i profondi cambiamenti

apportati dalla prima rivoluzione industriale e dai

processi di urbanizzazione, di proletarizzazione dei

contadini, di crisi dei vincoli familiari e della povertà.

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Pietro Boccia

26

La pedagogia sociale

L‟intervento della pedagogia sociale nasce per

fronteggiare le necessità di un intervento socio-educativo

in una società fortemente in crisi.

L‟obiettivo dei primi teorici della pedagogia sociale

doveva essere quello della ricerca di restituire agli esseri

umani il controllo delle conseguenze che il progresso

tecnico aveva prodotto negli stili di vita.

Una tale pedagogia sembrava puntare a ridare un valore

al proletariato urbano, che veniva cacciato negli strati

più bassi della società, con la formazione al lavoro come

attività assunta consapevolmente e non come una

condizione subita.

Essa aveva, pertanto, il compito di riproporre il valore

dell‟ appartenenza alla comunità sociale come input di un

miglioramento della dignità umana.

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27

La pedagogia sociale

Émile Durkheim (nato ad Épinal-Lorena, morto a Parigi) e

l‟educazione

L‟impegno di Durkheim, nel campo dell‟educazione, è quello di

demolire l‟opinione che, nella società, vi possa essere

“un‟educazione ideale perfetta, valida istintivamente per tutti

gli uomini”.

Ciò non è possibile, perché “analizzando la storia …

l‟educazione ha variato infinitamente, secondo i tempi e

secondo i paesi”.

Durkheim il primo problema che ha affrontato nella sua

tesi di laurea, La divisione del lavoro sociale, è stato quello

della relazione tra l‟individuo e la società.

Un soggetto offre, attraverso l‟educazione, consenso alla

collettività, quando si formano due tipi di solidarietà.

La prima forma di solidarietà è meccanica; essa nasce per i ruoli

di indifferenziazione degli uomini ed è tipica delle comunità

primitive.

La seconda è organica ed è tipica delle società differenziate e

complesse, nelle quali ogni individuo assume un determinato

ruolo ed assolve una precisa funzione.

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28

La pedagogia sociale

Piero Bertolini e l‟educazione intenzionale

Per Bertolini gli adulti e i genitori orientano la crescita

dei giovani e dei figli attraverso contenuti esperienziali e

tavole di valori.

L'intenzionalità, per Bertolini, da un lato esprime una

relazione necessaria in ambito educativo, come un

inevitabile bisogno per i soggetti umani nei rapporti

educativi, e, dall‟altro, si esprime nella trascendenza.

Il rapporto educativo si realizza nella temporalità perché

ogni azione pedagogica si trascende ininterrottamente

verso il futuro, secondo un fine (telos) che si radica

sempre nella vita vissuta.

La dimensione educativa prospettata da Bertolini

implica di continuo un atto di decisione, di scelta, di

impegno e di rischio.

L‟esperienza educativa fondata sull‟intenzionalità si

ricollega al senso originario che emerge dalla struttura

stessa dell‟educazione.

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29

La pedagogia sociale

Sergio Tramma, nel 2008, parte dalle considerazioni di

Bertolini e parla di livelli di intenzionalità, ovvero di:

- esperienze intenzionali (proposito consapevole a

incoraggiare l‟apprendimento, anche omettendo di

prendere in considerazione le metodologie specifiche, e a

predisporre gli ambienti idonei allo scopo – famiglia,

scuola, corsi di guida, conferenze e così via -);

- esperienze non intenzionali (apprendimenti che si

realizzano senza una chiara esplicitazione intenzionale);

- esperienze non dichiaratamente intenzionali

(intenzionalità non dichiarata, ma presente).

Definizione della pedagogia sociale

La pedagogia sociale è la scienza della realtà sociale che

educa e forma direttamente (apprendimento formale) e

indirettamente (apprendimenti non formali e informali).

Essa ha lo scopo di promuovere nelle istituzioni sociali e

nei gruppi la conoscenza attraverso la progettualità

educante e l'azione necessaria per sviluppare gli

apprendimenti.

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Pietro Boccia

30

Analisi e commento del capitolo primo (La pedagogia

sociale) del libro Pedagogia sociale di Sergio Tramma

La necessità di una definizione

Asserire che cos‟è la pedagogia sociale è un‟operazione

preliminare tanto logicamente necessaria quanto densa di

difficoltà, non priva di dubbi e dalle conclusioni

necessariamente provvisorie.

Sono difficoltà che scaturiscono dalla stessa associazione tra un

concetto regolarmente sottoposto ad analisi e i ripensamenti

come il termine pedagogia (il sapere dell‟educazione) e il termine

sociale, termine largamente polisemico (dal greco polysemos -

molti significati) e spesso impiegato in ambiti specialistici e nel

linguaggio della quotidianità.

La pedagogia sociale è un sapere collegato al rapporto tra

educazione e società.

Essa è uno spazio di riflessione, incentrato sull‟incertezza per

disposizione naturale, perché i contenuti e i confini della

pedagogia sociale sono immancabilmente e stabilmente

interessati da riadattamenti e verifiche sia a causa dei processi

di mutamento delle variabili, a livello economico, politico e

culturale, che sono presenti nella società, sia per l‟influenza che

gli obiettivi e gli assetti dell‟educazione hanno sui soggetti.

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31

La dipendenza della pedagogia sociale dalle trasformazioni, appunto,

sociali, obbliga a evidenziare subito alcuni degli elementi dello scenario

in cui si colloca, cioè a chiarire le ricadute educative delle trasformazioni

che, più di altre, hanno contribuito negli ultimi anni a riformulare i

contenuti e i confini.

In particolare:

- l‟emergere di nuovi bisogni e l‟esplicitarsi di nuove domande

educative da parte dei soggetti;

- l‟affacciarsi di nuovi soggetti sociali che rivendicano

direttamente il diritto ad essere coinvolti o che sono ritenuti

coinvolgibili da tradizionali o innovative azioni educative, come

il caso degli anziani o dei migranti;

- l‟ampliarsi o il ridursi del livello di benessere ritenuto

opportuno e auspicabile per i soggetti individuali e collettivi e la

qualità e la quantità dei beni e dei servizi, anche a carattere

educativo, ritenuti essenziali per raggiungere il livello minimo di

benessere entrato a far parte della dote dei diritti di

cittadinanza;

- la variazione dei compiti affidati alle tradizionali agenzie

formative/educative (la scuola in primo luogo), sia in quanto

attribuzione di nuovi, sia come revisione o eliminazione di quelli

storicamente loro attribuiti.

- il riformularsi continuo delle finalità, degli spazi e delle

possibilità delle azioni educative.

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32

La pedagogia sociale quindi riflette e risente del

movimento presente in qualsiasi assetto sociale in cui

deve esplicitare la propria azione e questa dinamicità è

considerata una sua proprietà costitutiva e permanente.

La necessità e le difficoltà insite nel tentativo di definire

la pedagogia sociale non derivano solo dalla velocità e

dall‟intensità delle trasformazioni, ma anche da un limite

tutto interno alla riflessione pedagogica: la distanza

tuttora esistente tra la qualità e la varietà di esperienze

educative cosiddette extrascolastiche, cioè quelle che, a

una prima approssimazione, sono maggiormente

riconducibili all‟area di interesse della pedagogia sociale, e

il livello di elaborazione e convinzione pedagogica attorno

a tali esperienze.

La ricerca sulla pedagogia sociale deve quindi individuare

alcuni capisaldi che ne giustifichino l‟esistenza in qualità

di area di interesse definita, riconoscibile e attuale e

necessaria.

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33

Una pedagogia in grado di produrre orientamenti teorici,

metodologici e operativi per quell‟educazione diffusa

esterna alle tradizionali agenzie educative che tende ad

acquisire sempre maggiore rilevanza e a diventare sempre

più decisiva nella formazione delle persone e della

collettività.

Per tentare di definire i caratteri connotanti della

pedagogia sociale è necessario partire dalle difficoltà e

dalle prospettive che derivano dall‟associare termini quali

pedagogia ed educazione con un termine poliedrico quale

sociale.

Con educazione si fa riferimento a tutte le pratiche che

influiscono sul modo di essere dell‟individuo, intenzionali

o no che siano, considerate nei loro risvolti tecnici,

materiali, prescrittivi, ideologici, valoriali, colti nella loro

attuazione.

La pedagogia riguarda invece: riflessioni, progetti, saperi,

teorie che vengono a situarsi a livello di ripensamento,

testimonianza, analisi, critica, consiglio, proposta, regola

operativa riguardo a un aspetto particolare dell‟educare.

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34

La pedagogia è quindi la teorizzazione di quei processi

sociali, culturali e individuali che producono

inculturazione, apprendimento e formazione personale,

presenti in tutte le culture e società; è la disciplina che ha

assunto il ruolo di riferimento per ogni discorso rigoroso

sull‟educazione.

La pedagogia va dunque pensata come un sapere

poliedrico e plurale.

Se l‟educazione rappresenta il piano dell‟azione pratica, la

pedagogia rappresenta il piano dell‟azione teorica.

La pedagogia è sì un sapere sull‟educazione, ma non

semplicemente un sapere che vuole sapere qualcosa

sull‟evento educativo, ma un sapere pratico che vuole che

avvenga qualche cosa, un sapere per la prassi che è legato

all‟intervento trasformativo e al risultato da realizzare.

Per il pedagogista, collocarsi in una prospettiva non solo

conoscitiva, bensì trasformativa, comporta l‟onere di

produrre un pensiero valoriale, contenutistico,

metodologico, e il compito di prefigurare e quindi di

architettare i luoghi, le situazioni, le opportunità

mediante le quali il bambino, l‟adulto e l‟anziano possano

continuare a crescere.

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35

La pedagogia è proiettata verso il futuro e l‟educazione

che la sostanzia ha come caratteristica dominante quella

di presentarsi sempre come un‟attività modificatrice,

volta al cambiamento, cioè al superamento di uno stato

di cose esistente verso una differente situazione futura. .

Bisogna quindi passare ad un‟idea di educazione allargata

che assorbe tutta la problematicità del contesto sociale

nel quale si struttura e agisce.

Negli ultimi decenni si sono consolidate convinzioni

teoriche, servizi, progetti e prassi, che considerano

l‟educazione come una dimensione relazionale e

intenzionale tra i soggetti, nella quale la modificazione

della situazione presente e la proiezione verso il futuro si

connotano in termini di costruzione e crescita della

personalità dell‟educando e in termini di trasmissione del

patrimonio culturale.

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36

Dall’educazione diffusa all’educazione extrascolastica,

dall’educazione extrascolastica all’educazione diffusa

Ogni società per consolidarsi e sopravvivere attiva

processi educativi finalizzati alla costruzione e al

mantenimento del consenso verso i valori, le regole, i

procedimenti che connotano l‟organizzazione e

consentono il controllo dell‟ambiente.

La rivoluzione neolitica, cioè il passaggio dal nomadismo,

caccia e raccolta, a organizzazioni umane stanziali,

prevalentemente coltivatrici e allevatrici, è stata anche

una rivoluzione educativa.

Ha sviluppato una divisione educativa tra maschi e

femmine e tra addetti alla difesa, alle pratiche sacrali e

alla produzione.

La famiglia ha assunto un ruolo chiave nella riproduzione

delle principali infrastrutture culturali: ruoli sessuali,

ruoli sociali, competenze elementari, introiezione

all‟autorità.

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L‟educazione e l‟apprendimento avvenivano tramite la

partecipazione diretta alle manifestazioni di vita

collettiva funzionali a rinsaldare gli ideali comuni e a

confermare i valori umani condivisi e la partecipazione

alle attività pratiche della vita tribale e familiare.

L‟educazione si svolgeva su modelli semplici e immutati, i

genitori provvedevano all‟istruzione professionale e

contemporaneamente alla formazione della personalità

dei loro figli entro modelli non diversificati e molto fissi

nel tempo.

I cambiamenti e gli sviluppi di questo periodo:

economico, di divisione del lavoro, di stratificazione

sociale, dei sistemi di descrizione e interpretazione

dell‟umano, portarono a mutamenti nella pratica

educativa.

E‟ una pratica che si lega sempre più al linguaggio,

perché sempre più si fa trasmissione di pratiche

discorsive, e non solo di procedure operative, e reclama

una istituzionalizzazione di questo apprendimento in un

luogo deputato a trasmettere la tradizione nella sua

articolazione di saperi diversi: la scuola.

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38

Alla scuola è stato progressivamente attribuito un ruolo

sempre più importante nella formazione degli individui,

ma, se intesa come diritto-dovere universale, può essere

ritenuto prodotto relativamente recente.

Tuttavia la scuola, pur essendo stata ed essendo un

fondamentale agente educativo, non ha mai racchiuso e

non racchiude in sé tutta l‟esperienza socializzante.

L‟esperienza socializzante deve continuamente

conquistarsi e preservare il proprio ruolo nella formazione

dei soggetti.

Si può quindi asserire che all‟interno di qualsiasi contesto

sociale si è verificata e si verifica la presenza di più ambiti

educativi che concorrono alla formazione dei soggetti per

tutta la durata della loro esistenza.

Sono ambiti ritenuti primari o secondari, naturali o

artificiali, governabili o meno.

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Un difficile ordine

Nel quadro della complessità, è del tutto comprensibile e

ovvia l‟intenzione di organizzare e suddividere in

categorie relativamente omogenee le molteplici e

differenti esperienze educative, cioè tentare di

individuarne un ordine descrittivo (chi/cosa) e

interpretativo (come/ perché).

E‟ possibile suddividere le differenti esperienze educative

ricorrendo ad alcune coppie concettuali che, più di altre,

sono funzionali all‟individuazione e definizione dei

contorni, dei contenuti e dei metodi della pedagogia

sociale.

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Le esperienze educative possono essere suddivise in:

- auspicate/non auspicate: in dipendenza della corrispondenza o meno

dei processi educativi agli auspici sociali derivanti dal sistema di valori

al quale una società nel suo complesso, o i gruppi e le culture che la

dirigono, fa riferimento;

- individuali/collettive: le esperienze coinvolgono le persone

isolatamente o in quanto appartenenti ad una collettività, vale a dire da

una parte ci sono le relazioni dell‟individuo con una qualsiasi figura

educativa, dall‟altra le esperienze che si svolgono per es. in associazioni,

squadre, gruppi;

- professionali/non professionali: dove nell‟una si collocano esperienze

che vedono protagonisti operatori opportunamente formati allo scopo

(educatori, maestri, insegnanti, preti, allenatori) in luoghi/tempi

dedicati intenzionalmente e professionalmente all‟educazione, nell‟altra

figure educative che non agiscono sulla base di un contratto e di

competenze di tipo professionale;

- intra/istituzionali/exta/istituzionali: si differenziano esperienze che

si collocano in luoghi deputati allo scopo (scuola, caserme, residenze e

così via) e come tali riconosciute e legittimate, ed esperienze che non si

realizzano all‟interno di tali luoghi, ma nel diffuso ambiente di vita dei

soggetti, poggiandosi su più luoghi, tempi e occasioni;

- strutturate/destrutturate: si differenziano esperienze che possiedono

organizzazione, setting, procedure, figure professionali, vincoli, ecc.

ampiamente previsti e attuati e dall‟altra esperienze che non le

possiedono o le possiedono in quantità inferiore, in cui l‟intervento

educativo è flessibile e tiene conto degli elementi di variabilità che

caratterizzano il contesto di intervento stesso.

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41

Segmentare la realtà educativa in altre categorie che sono

diventate dei costanti elementi di riferimento ai quali si

ricorre spesso per posizionare una qualsivoglia esperienza

oggetto di analisi, è funzionale.

La formazione e l‟intenzionalità.

Per quanto riguarda la formalizzazione, l‟educazione è

ripartibile in formale, non formale e informale.

L‟educazione formale riguarda il sistema formativo

riconducibile all‟istituzione scolastica, cioè quella gamma

di azioni intenzionali il cui esito ricercato è certificato dal

rilascio di un titolo di studio riconoscibile e spendibile sia

per proseguire nell‟iter scolastico, sia per accedere

all‟attività professionale.

L‟educazione non formale riguarda le azioni formative

realizzate all‟esterno dell‟istituzione scolastica, ma sono

anch‟esse dotate di progetto, d‟intenzionalità e di

contratto, in cui la distinzione tra formatore e soggetto in

formazione è chiara ed esplicitata; non si rilasciano, con

tale educazione, titoli di studio, anche se le competenze

acquisite possono contribuire a riposizionare il soggetto

rispetto alla propria carriera e aspirazioni professionali.

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L‟educazione informale riguarda l‟insieme di esperienze

formative che non sono riconducibili a luoghi, tempi e

azioni dichiarati ma concernenti la complessiva e

quotidiana esperienza di vita del soggetto.

Le esperienze formative possono essere ripartite in:

intenzionali, non dichiaratamente intenzionali e non

intenzionali.

Le esperienze intenzionali sono quelle che, ovviamente,

come tali si dichiarano, indipendentemente dal

conseguimento di una certificazione finale.

Le esperienze educative non dichiaratamente intenzionali

sono quelle che tendono a modificare o a modellare

atteggiamenti, comportamenti, abitudini e opinioni dei

destinatari senza essere dichiarate tali e senza sottostare a

una diretta o indiretta negoziazione rispetto agli

obiettivi, agli esiti e ai procedimenti da parte dei soggetti

in formazione.

Le esperienze non intenzionali riguardano gli esiti

formativi che non sono riconosciuti, previsti e ricercati in

quanto tali né dai produttori né dai destinatari: dai

rapporti amicali agli effetti di uno spettacolo televisivo,

dagli eventi sportivi alle catastrofi naturali.

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La pedagogia sociale come scoperta, invenzione e

organizzazione

La pedagogia generale tende sempre più a configurarsi sia

come pedagogia (longitudinale) del corso della vita che

come pedagogia (trasversale) della totalità dell‟esistenza

dei soggetti individuali e collettivi.

All‟interno della pedagogia si è assistito e si assiste ad un

progressivo delinearsi di aree e problematiche riguardanti

oggetti specifici che si presentano come grumi di

riflessione e di azione differenziati.

Questo è il caso della pedagogia speciale (ora delle

disabilità e dell‟integrazione) e della pedagogia

interculturale.

In entrambi i casi, stante un‟accentuazione

dell‟attenzione educativa nel primo, e la necessità di

affrontare anche pedagogicamente i percorsi migratori nel

secondo, si sono costituite due aree d‟interesse pedagogico

distinte, che si configurano come specializzazioni della

pedagogia generale e che hanno dato luogo a proprie

teorie intermedie di riferimento, prassi di ricerca,

atteggiamenti scientifici, percorsi di formazioni e modelli

operativi.

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Per quanto riguarda la pedagogia sociale, la sempre

maggiore complessità e la frammentazione della società

contemporanea, il peso crescente che assumono le

esperienze educative diffuse, il loro incrementarsi in

sempre più dilatati luoghi e tempi, hanno reso necessario

ritagliare uno spazio di approfondimento specifico

rispetto alla socializzazione extrascolastica in tutta la sua

svariata fenomenologia.

L‟ambito della pedagogia sociale non ha univoca

interpretazione per quanto attiene la definizione del

campo di ricerca e dei settori d‟intervento.

A rivelarsi problematico è proprio il tentativo di trovare

il nesso stabile tra educazione e società, cioè la loro

possibile correlazione chiarificatrice.

L'incertezza che aleggia attorno alla pedagogia sociale

non ha impedito e non impedisce la ricerca di

sistematizzazioni concettuali attorno alla sua identità e ai

suoi caratteri distintivi.

Alcuni di questi tentativi di sistematizzazione possono

essere individuati ricorrendo ad autori che hanno negli

ultimi decenni affrontato il tema.

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Secondo Aldo Agazzi, la pedagogia sociale potrebbe

essere intesa, per un verso, come pedagogia dell'ambiente

sociale e storico-culturale e, per un altro verso, come

ambito in cui si definiscono i compiti educativi di una

società e i conseguenti modi per soddisfarli.

Questo richiamerebbe l'attenzione verso alcune

problematiche: l'educazione dell'uomo alla società, intesa

come processo di promozione della sua connaturata

socialità, e i compiti della società in vista dell'educazione

della persona.

In altri termini, seguendo Agazzi, si tratta del problema

di ciò che l'uomo e la donna devono essere e fare per la

società, e di ciò che la società deve essere e fare per loro.

Quello che emerge è la prospettiva di una società come

educatrice, come soggetto educante e a questa

prospettiva deve essere ricondotta la pedagogia sociale.

In questo senso, la pedagogia sociale si definisce

nell'attenzione che rivolge alla società intesa come

operatrice e soggetto attivo dell'educazione delle persone

che la costituiscono nel loro valore intrinseco e nella loro

dimensione comunitaria.

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L'accento può dunque essere posto sulla società che

educa, sul programma educativo che qualsiasi società

deve porsi, ma può essere posto anche sul discorso

orientato all'educazione sociale, intesa come promozione

della persona nella dimensione sociale.

Ovviamente, in questo caso, la pedagogia sociale non può

limitarsi a registrare e studiare i fenomeni in questione,

ma deve configurare modelli di intervento tendenti a

migliorare il comportamento umano sul piano

interpersonale e collettivo.

È il nesso tra educazione e società che costituisce

comunque lo sfondo per l'individuazione degli elementi

distintivi della pedagogia sociale, ma uno sfondo molto

ampio sul quale è necessario individuare dei filoni

specifici di interesse e approfondimento.

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A ciò contribuisce Domenico Izzo, secondo il quale la

pedagogia sociale si delinea in quattro stadi o indirizzi: il

primo si configura come riflessione sull'educazione in

genere, con il compito di elaborare il concetto di

educazione in chiave sociale e di contribuire a connotare e

integrare le finalità espresse dalle varie situazioni sociali,

il secondo è quello di educare nella società,

mediante la società, e per la società; il terzo intende la

pedagogia sociale come pedagogia per i casi di necessità,

nel senso sia del soccorso che della prevenzione e prevede

l'incontro con le politiche sociali, anzi la stessa educazione

è considerata una politica sociale; il quarto riguarda

un'educazione intesa come aiuto alla vita, una pedagogia

dell'impegno nei confronti del rischio di degrado sociale

connesso agli aspetti economici, sociali e attuali.

In tempi più recenti, in particolare in questo ultimo

decennio, sono state prodotte ulteriori rilevanti riflessioni

dedicate alla pedagogia sociale, nelle quali è stata

affrontata la questione della sua definibilità e

legittimazione in quanto regione pedagogica distinta, in

connessione con l'individuazione dei suoi principali

orientamenti metodologici e delle sue principali aree di

competenze.

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Secondo Vincenzo Sarracino, la pedagogia sociale non è

solo un'area pedagogica al cui interno sono rintracciabili e

analizzabili contenuti e metodi distinti e propri, ma

diventa anche un ambito di produzione valoriale rispetto

all'umano da formare e al mondo da immaginare, e, in tal

senso, si pone anche come un faro per gli operatori

dell'educazione.

Alessandrini sottolinea che la pedagogia sociale può

essere definita lo studio della formazione dell'uomo nei

vari contesti sociali attraverso i quali si attua la

partecipazione alla vita, un contenitore disciplinare di

estrema ampiezza che individua numerosi filoni di

ricerca, diversi impianti valoriali e logiche organizzative

multiple.

Per Antonino Mangano la pedagogia sociale si occupa del

rapporto educazione-società in due direzioni

fondamentali, il primo: "l'influenza o azione della società

sulla crescita umana", il secondo: "l'azione

dell'educazione, nei suoi aspetti sia formali che non

formali e informali, sulla società.

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Franco Blezza intende per pedagogia sociale quella

disciplina o scienza pedagogica, quella branca della

pedagogia generale, che si occupa dell'educazione non

istituzionalizzata in quanto tale e avrà sede in tutti quei

luoghi che sono educativi in quanto sociali, e non

viceversa: la famiglia e, prima, la coppia; le aggregazioni

sociali; e quelle entità che prendono luogo in tutto o in

parte dell'una o delle altre.

La pedagogia sociale può essere considerata un'area di

interesse interna alla pedagogia, storicamente situata, le

cui caratteristiche risentono del contesto (economico,

culturale, politico) in cui "si pensa" ed è pensata.

Un'area il cui oggetto di attenzione è rappresentato da

quella gamma di azioni educative che muovono dal

considerare i soggetti come portatori, in potenza e in atto,

di alcuni, pur storicamente mutevoli, diritti di

cittadinanza acquisibili mediante azioni formative

collocate nell'ampia dimensione e nelle molteplici

articolazioni della vita quotidiana.

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Le attenzioni sono dunque rivolte ad alcune dimensioni

esistenziali degli individui che si suole ricondurre al

cosiddetto sociale, cioè all'ambiente in cui si svolge la

propria vita.

In questo senso, la pedagogia sociale ha come proprio

oggetto di interesse l'intervento nel sistema delle macro-

relazioni sociali che condizionano o possono condizionare,

gruppi particolari di popolazione, comunità, nuclei

familiari ecc. in rapporto a situazioni che ne limitino la

potenzialità, l'accesso alle risorse economiche, culturali e

informative e l'esercizio dei più elementari diritti.

La pedagogia sociale si configura come un'attenzione

teorica e operativa tendente a scoprire e a inventare

alcune dimensioni dell'educazione dei soggetti e a renderli

intenzionalmente educativi attraverso il rafforzamento,

la modifica o l'eliminazione di alcuni elementi costitutivi.

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51

Nello specifico, la pedagogia sociale può essere intesa

come tentativo di:

- rintracciare educazione là dove questa non si mostra

esplicitamente e non è riconosciuta dai soggetti che vi

sono coinvolti;

- organizzare educazione nelle molteplici dimensioni

dell'ambiente di vita, in direzione del conseguimento di

obiettivi, e con contenuti e strumenti ritenuti legittimi;

- dilatare nel tempo e nello spazio luoghi occasioni

educative;

- preservare o ampliare le pari opportunità formative per

l'insieme dei soggetti.

In ogni caso, la pedagogia sociale non può essere

considerata disciplina contemplativa, bensì

trasformativa, non è solo studio dell'educazione, ma

studio finalizzato alla trasformazione, al cambiamento

nelle sue differenti declinazioni metodologiche e

contenutistiche.

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52

È dunque evidente quanto il campo privilegiato d'analisi

e di intervento della pedagogia sociale sia l'educazione

informale e la possibilità di trasformare parti di

educazione non intenzionale, o non dichiaratamente

intenzionale, in educazione intenzionale.

Per trasformazione in educazione intenzionale deve essere

inteso, nello specifico, il processo di disvelamento,

decodifica ed esplicitazione della formatività delle

esperienze individuali e collettive e l'ampliamento dei

margini di negoziazione tra coloro che devono formarsi e

formatori rispetto alla definizione di un progetto

condiviso.

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53

In sintesi, la pedagogia sociale, nella sua configurazione

teorica e negli orientamenti che genera, si pone come

risultato di mediazioni e negoziazioni tra:

- parti del generale sapere pedagogico prodotto in una

data società, cioè di un sapere che esprime, rielaborandole

nel proprio campo di produzione e di applicazione,

culture e visioni del mondo più o meno organiche e

convinte presenti in un dato periodo storico;

- le dinamiche tra problemi/ bisogni/domande dei soggetti

individuali e collettivi e le politiche/i servizi/gli interventi

sociali ed educativi a loro rivolti o non rivolti;

- uno specifico sapere sociale che non si nutre

esclusivamente di un presunto/reale unitario e distinto

sapere pedagogico, ma anche di riflessione afferenti ad

altre aree di ricerca quali quella sociologica,

antropologica, delle politiche sociali, del governo dei

territori.

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54

Il territorio educante

Per non rimanere vago e imprecisabile riferimento, la

dimensione sociale e l'educazione a essa riferita non

possono rimanere astrazioni concettuali generali, ma

devono trovare ed essere collocate su un piano di

riferimento, e tale piano può essere individuato nel

territorio, inteso come luogo materiale e immateriale

densamente abitato da esperienze educative e da soggetti

individuali e collettivi portatori di quei problemi, bisogni,

domande, verso cui s‟indirizzano, o non si indirizzano,

risposte educative.

È quindi proprio nel territorio che il discorso generale

astratto, teorico, ideale attorno al rapporto tra

educazione e società si trasforma in discorso particolare

osservabile e costruibile, cioè in un insieme di fatti in cui

si intrecciano, articolate e contestualizzate, tutte le

problematiche e tutte le contraddizioni proprie della

pedagogia sociale.

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55

Il territorio, nella forma che storicamente assume, si

presenta in sé, nell'organizzazione e nel suo governo,

come luogo formativo generale.

E‟ molteplicità di spazi relazionali in atto o in potenza, in

cui avviene un incontro educativo, spazi innumerevoli e

che non consistono solo in quelli in cui la relazione

educativa è riconoscibile, dichiarata e governata.

Non esistono cioè spazi di per sé educativi e spazi per sé

un educativi: tutti sono da considerarsi potenzialmente

educativi perché i processi di formazione e crescita

avvengono ovunque, anche se non tutti i luoghi in cui

sono ospitati hanno lo stesso spessore e gli stessi esiti.

Esistono spazi attrezzati allo scopo, cioè luoghi

identificati e riconosciuti come educativi perché creati e

strutturati intenzionalmente in funzione di uno scopo

educativo, con una destinazione che permane nel tempo,

tuttavia l'educazione è diffusa in tutto il territorio, in

ambiti privati, quali quelli familiari, quelli pubblici quali

oratori, biblioteche, palestre e così via.

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56

Ambiti nei quali le finalità e le prassi educative possono

essere rintracciate, anche se tali esperienze educative non

si dichiarano o come tali non sono riconosciute, ma

ricondotte alle categorie dell'aggregazione, dell'utilizzo

del tempo libero, della cura di sé e degli altri, della

cultura e così via.

Inoltre, altri pezzi di territorio possono diventare luoghi

in cui si rilevano relazioni educative, occasionali o

permanenti, esplicite o inconsapevoli: la strada, il cortile,

il giardinetto, il centro commerciale, il bar e altro, luoghi

questi che, non a caso, il lavoro educativo territoriale

considera come importanti e metaforiche “aule” per

sviluppare la propria azione.

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57

I diritti e l’autonomia

Il territorio, nella sua complessità, costituisce il campo di

azione della pedagogia sociale, il piano cioè dove si

evidenziano gli obiettivi e le mobilità del lavoro

educativo territoriale.

Obiettivi e mobilità che emergono nel qui e ora a seguito

dell'intreccio tra alcuni fattori:

- le idee generali e particolari di società ed educazione

proprie dei soggetti coinvolti, cioè quello che è

considerato auspicabile e opportuno per la generalità, o

per una parte, degli individui in termini di

caratteristiche, comportamenti, valori, saperi acquisibili

o recuperabili;

- le negoziazioni tra i vari attori presenti in un contesto;

- la verifica dell'efficacia delle agenzie formative

tradizionali e del loro rivendicare a sé, o delegare ad altri,

alcuni compiti educativi.

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58

In questo senso, l'educazione deve essere sempre

indagata, e la pedagogia non può che essere critica

dell'educazione interessata da una gamma di ineludibili

domande: educazione da chi e per chi, educazione perché

e per cosa, e questo per tutti livelli di formalizzazione e

intenzionalità.

Le finalità della pedagogia sociale sono cioè riconoscibili

sostanzialmente nel rafforzamento e nella diffusione della

vita democratica intesa come attività e costante difesa,

tutela e promozione di diritti umani.

Quella che si configura è quindi una tradizione

pedagogica- sociale collegata a quel filone democratico,

progressista ed emancipativo che molto spazio e ruolo ha

avuto nella pedagogia degli ultimi anni.

I compiti attuali della pedagogia sociale sono ricavabili

dal riconoscimento di alcuni diritti di cittadinanza così

come sono stati progressivamente definiti, pur non

essendovi nulla di più storicamente situato e incerto

quanto il tipo e la quantità dei diritti

riconosciuti/posseduti/rivendicati/praticati in un dato

contesto sociale.

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59

Anche in questo caso però è necessario individuare un

minimo comune denominatore che, lungi dal collocarsi sul

piano del valore eterno e assoluto, possieda una qualche

utilità per il proseguimento della riflessione, e a tal fine, il

concetto di autonomia si presenta come sufficientemente

e utilmente ordinatore.

L'autonomia può essere considerata come connaturata

all'essere umano, quasi una dotazione genetica che deve

essere solo disvelata ed educata, oppure può, all'estremo

opposto, essere considerata come culturalmente concepita

e prodotta; può essere ritenuta il lineare e meccanico

frutto del condizionamento ambientale o, in netta

antitesi, come lo sguardo del soggetto che costruisce il

proprio ambiente.

È concepibile come un diritto dell'individuo, una

molteplicità di emancipazioni e, nello stesso tempo, come

un dovere connesso all'acquisizione progressiva dei ruoli

sociali e familiari.

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Pietro Boccia

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L'autonomia come concetto qualitativo ordinatore delle

finalità del lavoro educativo territoriale rappresenta

altresì il concetto quantitativo ordinatore degli obiettivi

che dalle finalità discendono: il lavoro educativo tende a

far sì che il soggetto raggiunga una certa autonomia, la

ampli, la mantenga o che la riduca.

L'autonomia necessita dell'apprendimento, di

informazioni, strumentazione e capacità riguardanti

diverse dimensioni del soggetto: fisica, psichica,

relazionale.

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Analisi e commento del capitolo secondo (Alla ricerca di

origini e prospettive della pedagogia sociale) del libro

Pedagogia sociale di Sergio Tramma

Alcune decisioni per la ricerca

Molti tra le autrici e gli autori che si sono occupati di

pedagogia sociale hanno ritenuto opportuno includere

nella loro ricerca il tentativo di ricostruire la genesi e lo

sviluppo, a proposito sia del suo formarsi come distinta

area di riflessione pedagogica, sia della progressiva

inclusione al suo interno di quelle componenti teoriche ed

esperienziali non strettamente pedagogiche, che hanno

comunque contribuito a determinare le diverse sfumature

d‟identità.

L‟origine della pedagogia sociale è rintracciabile in tutte

quelle ricerche, maturate all‟interno di più ambiti

disciplinari ed esperienziali, in cui si è posto il problema

di affrontare teoricamente i nessi tra le pratiche

educative e l‟assetto della società esistente o auspicata.

L‟ampia discrezionalità presente nei tentativi di

definizione della pedagogia sociale, si riversa

nell‟individuazione delle sue origini fondative e nella

storia che da tali origini si è poi sviluppata.

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62

E‟ una discrezionalità, anche in questo caso, connaturata

dall‟oggetto di studio: mancando infatti univocità e

condivisione per la definizione di tale oggetto di studio, se

non il troppo vago rapporto tra educazione e società, le

origini e la storia della pedagogia sociale potrebbero

arrivare a coincidere, da una parte, con le origini e la

storia dell‟educazione tutta (qualsiasi manifestazione di

essa) e, dall‟altra, con l‟origine e la storia della società ,

ovverosia con le origini e la storia del rapporto tra

educazione e società, non potendovi essere l‟una senza

l‟altra.

La ricerca delle origini e dello sviluppo della pedagogia

sociale è aperta e discrezionale, vive il destino di ogni

ricerca attorno a un oggetto complesso, in qualsiasi

campo del sapere si collochi.

Sulla base delle precedenti considerazioni, si rivela di

conseguenza opportuno esplicitare le

motivazioni che hanno determinato la scelta di alcune

aree di origine e di sviluppo.

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63

La pedagogia sociale non può ridursi alla ricerca relativa

all‟azione educativa tendente a formare gli individui alla

socialità, alla comunità o altro, intese come categorie

connaturate alla natura umana o a qualche componente

di essa.

Se il campo d‟indagine della pedagogia sociale è costituito

dal passaggio all‟intenzionale, al consapevole, al

progettuale, delle esperienze e dei progetti educativi che,

in un dato periodo storico e in un dato contesto socio-

culturale, coinvolgono i soggetti all‟interno delle

principali esperienze formative socialmente concordate e

istituzionalmente preposte, allora la ricerca si configura

innanzitutto come tentativo minimalista di individuare

l‟origine e lo sviluppo di alcune delle parole che hanno

contribuito a determinare gli attuali discorsi sulla

pedagogia sociale.

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64

Le origini moderne possono essere rintracciate dentro i

movimenti, le attenzioni politiche, culturali e

pedagogiche degli anni Sessanta-Settanta, che hanno

affrontato temi quali:

- la critica all‟istituzione scolastica considerata

insufficiente e nociva;

- l‟attenzione alle condizioni di vita complessiva dei

soggetti individuali e collettivi, nel tentativo di superare

la riduzione disciplinare e amministrativa dei servizi alla

persona;

- l‟educazione come pratica di emancipazione e

liberazione;

- la valorizzazione del territorio come ambito privilegiato

di partecipazione, autogoverno e formazione.

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65

L‟individuazione di questi nuclei è un‟operazione attuale

influenzata dalle ipotesi di sviluppo future, quasi una ricerca

delle radici in vista degli impegni cui è chiamata o potrebbe

essere chiamata l‟attenzione pedagogico-sociale in relazione a

processi quali:

- accentuazione della ridistribuzione dei carichi e degli effetti

formativi tra le varie esperienze ed esigenze che coinvolgono gli

individui nel corso della loro esistenza;

- la crisi del welfare state con i tentativi di attribuire compiti d

tutela, cura e autopromozione e, in parallelo, con le strategie

tendenti a privatizzare e managerializzare i servizi alla persona;

- i cambiamenti riguardanti la situazione etnica e culturale,

l‟identità di genere, il senso di appartenenza, l‟associazione tra

progresso e sviluppo economico;

- il crearsi di nuovi paradigmi informali per l‟analisi della realtà

e l‟azione nei suoi confronti, il venir meno delle grandi

narrazioni a cui fare riferimento per inquadrare la realtà.

La decisione è dunque di collocare la nascita della pedagogia

sociale nel secondo dopoguerra fino alla fine degli anni Settanta.

Le origini della pedagogia sociale si collocano quindi nel

cosiddetto trentennio d‟oro e nei contraddittori processi che lo

hanno caratterizzato: sviluppo economico, prima omologazione

culturale, unificazione linguistica, consolidamento e rotture

epistemologiche, nuove forme di partecipazione e così via.

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66

La complessità del soggetto

La necessità di individuare un campo di specifiche azioni

e teorie riconducibili alla pedagogia sociale è una

necessità determinata anche dall‟accentuazione della

complessità delle condizioni, delle aspirazioni e dei disagi

degli individui e della collettività, cioè dal tentativo di

restituire ai soggetti quella complessità che spesso non si

è riscontrata e non si riscontra nelle tradizionali

segmentazioni delle politiche e degli interventi rivolti alle

persone.

La necessità di una pedagogia sociale nasce quindi anche

dal moltiplicarsi di progetti e interventi che hanno avuto

come oggetto di attenzione i bisogni complessivi di

soggetti ritenuti deboli e hanno restituito alle azioni

assistenziali, culturali ed educative la loro dimensione

sociale più ampia.

In questi anni sono emersi nuovi luoghi educativi, nuovi

soggetti educabili, nuovi educatori.

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67

La produttiva contaminazione tra culture differenti ha

aperto nuovi campi di ricerca e di azione (dagli interventi

preventivi e promozionali, all‟estensione di opportunità

educative extrascolastiche normali a soggetti deboli,

precedentemente interessati da percorsi educativi

differenziali o speciali, dal valutare essenziale l‟apporto

autonomo dei soggetti nell‟individuazione e costruzione

di percorsi finalizzati alla fuoriuscita da situazioni

problematiche, al ritenere, per esempio, che la salute,

nella sua dimensione individuale e collettiva, possa essere

preservata o riacquisita anche attraverso azioni

educative).

Alla figura dell‟insegnante delle scuole di ogni ordine e

grado, si affiancano nuove figure che, in relazione alle

tradizioni da cui derivano, al contesto in cui operano e

alle didattiche che utilizzano, vengono definite educatori,

formatori, facilitatori, animatori e così via.

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68

Tra antiche, attuali e future descolarizzazioni

Un fattore significativo nella ricerca sulle origini della

pedagogia sociale riguarda l‟insieme di quei fenomeni

riconducibili, seppure con qualche forzatura, all‟interno

del processo di descolarizzazione della società.

La descolarizzazione può essere considerata un

contenitore al cui interno si trovano differenti modi di

intendere le funzioni, i limiti e le possibilità della scuola.

Sono rintracciabili posizioni radicalmente critiche nei

confronti dell‟istituzione poiché ritenuta incapace di

emancipare/liberare i soggetti; altre posizioni che la

giudicano insufficiente, seppur intenzionata ad assolvere i

suoi compiti, altre ancora in cui sembra che la

preoccupazione principale rispetto alla scuola non

sarebbe tanto la formazione complessiva dei soggetti, ma

l‟incapacità a prepararli per le esigenze degli attuali

assetti organizzativi e produttivi del lavoro.

Un elemento comune a tutte è la convinzione della

conclamata e irreversibile crisi della scuola che è guardata

con preoccupazione per gli effetti negativi che potrebbe

avere.

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La descolarizzazione estrema e l‟educazione all‟incertezza

La descolarizzazione trova uno dei suoi principali

esponenti in Ivan Illich.

La sua posizione è esplicita e netta: per la maggior parte

delle persone l‟obbligo della frequenza scolastica è un

impedimento al diritto di apprendere, l‟aspirazione

all‟istruzione universale non è obiettivo raggiungibile

attraverso l‟istituzione scolastica, e ciò vale anche in

presenza di eventuali radicali cambiamenti riguardanti la

didattica, le risorse e l‟atteggiamento degli educatori.

Per Illich la scuola è un‟istituzione insufficiente, non

riformabile neppure con interventi drastici, un ostacolo

insormontabile posto davanti ai diffusi bisogni di

apprendimento.

Secondo l‟autore la scuola esercita sulla società un reale e

diffuso effetto antieducativo, in quanto viene considerata

la sola istituzione specializzata nell‟istruzione e ciò a

causa di un‟illusione di cui si alimenta e con la quale si

rappresenta ed è vissuta.

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L‟illusione su cui si fonda il sistema scolastico consiste

nella convinzione che la maggior parte

dell‟apprendimento derivi dall‟insegnamento, mentre

Illich sostiene che quasi tutto ciò che si impara “lo si

apprende casualmente” e che anche l‟apprendimento più

intenzionale non è il risultato di un‟istruzione

programmata.

Ogni tentativo di indirizzare interventi di protezione

istituzionale non produce una diminuzione dello

svantaggio, ma determina una sua nuova riformulazione.

Quella che si attiva, per Illich, è una concatenazione

perversa.

Il coinvolgimento delle nuove generazioni nel sistema

scolastico rappresenta non un moto anticipatorio nei loro

confronti, ma un processo di socializzazione forzata per

inserirle in una società la quale ha bisogno della

specializzazione disciplinata tanto dei suoi produttori

quanto dei suoi consumatori, e anche della loro adesione

totale a un‟ideologia che pone al primo posto la crescita

economica.

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71

Si pone la questione di applicare logiche e concepire

progetti formativi radicalmente differenti da quelli in cui

la scuola assume una posizione centrale.

L‟alternativa alla scuola è rappresentata da una rete

formativa immediatamente fruibile, in grado di offrire ad

ognuno la stessa possibilità di mettere in comune ciò che

lo interessa in quel momento, con altri che condividono il

suo stesso interesse, una rete in grado di stabilire

un‟alleanza diversa tra i soggetti coinvolti e di poter

assicurare universali possibilità di apprendimento e di

insegnamento.

Quella di Illich è la proposta di un‟educazione che fa a

meno delle mediazioni istituzionali e si rivolge alla trama

delle interazioni sociali, a reti di servizi disponibili per

un‟effettiva reciprocità dello scambio educativo e a

itinerari individuali di formazione.

Alle istituzioni scolastiche, che servono agli scopi

dell‟insegnante, devono sostituirsi strutture relazionali

che permettano a ognuno di definire se stesso

apprendendo e contribuendo all‟apprendimento degli

altri.

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72

Illich propone un sistema alternativo i cui principali

obiettivi sono:

- assicurare a tutti coloro che sono portatori di una

domanda di apprendimento di accedere alle risorse

disponibili in qualsiasi momento della loro vita;

- consentire a tutti coloro che sono portatori di un‟offerta

formativa di poter entrare con coloro che si possano

avvantaggiare di tale offerta;

- offrire la possibilità a tutti quelli che vogliono

sottoporre a pubblica discussione un determinato

problema di poter fruire di canali informativi in grado di

comunicare a tutti tale intento.

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73

Per potere raggiungere questi obiettivi lo studente deve poter

accedere a un insieme organico di risorse didattiche, in

particolare:

- servizi per la consultazione di oggetti didattici, intesi come

luoghi in cui siano reperibili risorse, materiali e processi,

utilizzabili per l‟apprendimento. Tali risorse dovrebbero esser

rintracciabili in parte nei luoghi formali (biblioteche, musei,

laboratori, teatri) e in parte nei luoghi della vita quotidiana

(fabbriche, aeroporti, fattorie), sia da coloro che frequentano

questi luoghi per motivi professionali, sia da coloro che

manifestano l‟interesse ad apprendere;

- centrali delle capacità, intesi come luoghi in cui i possessori di

sapere di sapere fare possono esporre i loro prodotti ad altri, a

coloro cioè che ritengono le capacità esposte dai produttori

funzionali al loro percorso autonomo di apprendimento;

- assortimento degli eguali, inteso come rete di comunicazione volta alla

ricerca e all‟attivazione di una dimensione collettiva

dell‟apprendimento, in cui la domanda dell‟apprendimento possa essere

esplicitata, con l‟intento di verificarne la condivisione con altri e la

possibilità di intraprendere percorsi comuni;

- servizi per la consultazione di educatori, consistenti in una sorta di

pagine gialle intelligenti, all‟interno delle quali sarebbero compresi tutti

gli elementi utili a descrivere le offerte formative di coloro che si

pongono nella posizione di nuovi formatori.

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74

La descolarizzazione di Illich, la critica radicale all‟istituzione

scolastica e l‟illusorietà attribuita agli effetti delle

discriminazioni positive verso i soggetti penalizzati, sembrano

assomigliare, per quanto riguarda le proposte alternative, a un

libero mercato dell‟incontro tra la domanda e l‟offerta, una

sorta di liberismo.

Le posizioni dei descolarizzatori sono state sottoposte a critiche

e hanno aperto un controverso dibattito tra i teorici della

società educante e i teorici delle istituzioni educanti.

Per i primi è la vita che educa, non le istituzioni, le quali sono

considerate gabbie, quasi sempre terreno di manipolazione,

inquinamento e sterilizzazione degli autentici linguaggi che si

utilizzano nella vita di tutti i giorni.

In posizione opposta si trovano coloro che mettono in dubbio

qualità e democraticità educative della società perché questa

oltre che della sfera economica, è padrona anche di ogni altra

dimensione della vita civile e culturale.

Oggi, in un momento storico nel quale la società ci appare

descolarizzata, la descolarizzazione pare riemergere,

riformulandosi in orientamenti coerenti con le esigenze

formative del modello di sviluppo attuale economico-sociale.

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Pietro Boccia

75

Il territorio gentilmente formativo

Non vi sono solo posizioni estreme alla Illich, vi sono

anche posizioni che pur non potendo essere definite tali in

senso stretto, sottolineano l‟importanza del territorio, e di

ciò che esso può ospitare, nella formazione complessiva

dei soggetti, soprattutto di coloro che hanno raggiunto

l‟età adulta, cioè un‟età della vita tradizionalmente

considerata post-scolare, se non del tutto post-formativa.

Si pensa che l‟educazione non dovrebbe avvenire a scuola

o nei college, ma attraverso la predisposizione e

l‟attivazione di un consorzio di tutte le risorse di

apprendimento presenti nella comunità, rivolto a tutte le

età della vita.

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In particolare, Knowles indica le principali componenti di

tale sistema:

- istituzioni: istituzioni educative specializzate, servizi

sanitari e sociali, musei, biblioteche e così via;

- organizzazioni private: sindacati, cooperative di

produttori e di consumatori, organizzazioni politiche,

sociali, culturali e così via;

- imprese economiche: società e associazioni di società di

tutti i settori produttivi;

- media;

- eventi episodici: dalle mostre alle gite, dalle fiere alle

celebrazioni collettive;

- risorse ambientali: parchi, riserve e così via;

- persone: specialisti, vicinato, famiglie, anziani.

Quello che è interessante sottolineare della posizione di

Knowles è la convinzione che la scuola, in termini di

obiettivi di socializzazione, stili didattici ed efficacia

formativa, non possa più essere considerata come

principale luogo deputato alla formazione del cittadino.

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Pietro Boccia

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E la scuola?

Secondo Gianni Balduzzi e Vittorio Telmon, l‟istituzione

è in crisi evidente, è circondata da sentimenti sempre più

marcati di sfiducia e, malgrado gli sviluppi di questi

ultimi decenni, l‟alone positivo che la circondava è

svanito.

Tra i molti aspetti che caratterizzano la crisi della scuola,

alcuni interessano direttamente chi è impegnato nel

lavoro educativo territoriale, ad es. la frattura fra i

messaggi, anche dal profondo significato etico (pace,

ambiente, legalità) che la scuola propone e che la

quotidianità contraddice apertamente.

La scuola rischia dunque di essere accusata di

autoreferenzialità, cioè di porsi come un sistema chiuso,

autosufficiente e isolato.

Nei confronti della presunta chiusura della scuola, sono

maturati inviti all‟apertura nei confronti del territorio, di

ciò che materialmente e immaterialmente la circonda.

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Pietro Boccia

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La scuola dovrebbe cioè accogliere e rielaborare “bisogni,

aspirazioni e stimolazioni, predisponendo strategie idonee

per offrire risposte adeguate”.

Riemerge l‟obiettivo del “sistema formativo integrato”:

la costruzione di un quadro concettuale e istituzionale, in

cui le risorse economiche e le competenze presenti nei

diversi sistemi territoriali concorrano intenzionalmente a

disegnare un quadro formativo in cui si definiscano con

chiarezza le funzioni della scuola, senza caricarla dei

compiti che si tende a delegarle per le difficoltà e le

carenze di chi dovrebbe svolgerli, ma che da sola non è in

grado di affrontare.

Si assiste, infatti, da una parte, al ridimensionamento

della scuola come istituzione principe della formazione

dell‟individuo a fronte di una maggiore flessibilità di

occasioni formative; dall‟altra, si assiste al moltiplicarsi

dei messaggi di aumento della responsabilità educativa

della scuola verso le giovani generazioni attraverso

operazioni sostitutive o compensative degli

apprendimenti prodotti da famiglia, mass media, gruppi

di pari e così via.

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79

Secondo le considerazioni di Balduzzi e Telmon la scuola si

presenta come un ambiente artificiale, finalizzato a sviluppare

l‟apprendimento e quindi come spazio all‟interno del quale

vengono costruiti e vissuti percorsi formativi intenzionali e

razionali.

La scuola dovrebbe rimanere un presidio educativo consapevole

della propria essenzialità e dei modi e dei tempi opportuni per la

formazione degli individui e dovrebbe esserlo proprio nei

confronti del suo territorio di riferimento.

La scuola quindi rivendica la propria essenzialità nella

formazione dei soggetti e la rivendica non tanto in termini

quantitativi o di occupazione degli spazi di educabilità degli

individui, quanto in termini di erogazione di saperi e di

competenze per orientarsi nella complessità di una realtà in

costante trasformazione.

In conclusione, ai descolarizzatori va dato merito di avere

sottolineato e riproposto con forza il riconoscimento dello

spessore antropologico e culturale dell‟exstrascolastico e delle

possibilità di definire il territorio naturale e sociale come aula

decentrata, come luogo in cui si rintracciano, stimolano e

producono molteplici esperienze aggregative, culturali e

formative.

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L’educazione permanente

La riflessione sulla descolarizzazione si connette

strettamente a quella sull‟educazione permanente, perché

condivide medesimi oggetti di attenzione e perché

entrambe hanno in comune una notevole carica

riformatrice relativamente al senso della formazione delle

persone e agli assetti sociali entro i quali si svolge.

Se la prima rappresenta una strategia tendente a

ridiscutere la gerarchia dei luoghi educativi, la seconda

rappresenta un profondo ripensamento dei tempi

educativi, pur, a differenza di alcune posizioni

descolarizzatrici, non considerando il tempo della scuola

come nocivo in sé, bensì come un tempo che deve essere

valorizzato, ampliato e del quale deve poterne fruire la

maggior parte delle persone, soprattutto quelle fragili e

deprivate.

L‟educazione permanente e la descolarizzazione

rappresentano una concezione diversa dell‟educazione

rispetto a quella che si posiziona prevalentemente

nell‟incrocio tra le prime fasi della vita e scuola.

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L‟educazione permanente e la descolarizzazione si

collocano nella prospettiva della continuità

dell‟educazione e della dilatazione dei luoghi formativi,

prospettando il superamento di un sistema chiuso di

insegnamento (fondato sul sistema formale) verso un

sistema aperto di apprendimento che dovrà proseguire

per tutta la vita e in cui la scuola sarà soltanto uno dei

canali possibili.

In questo senso è opportuno sottolineare i principi

identitari della pratica educativa democratica, ispirata

dall‟educazione permanente: eguaglianza, globalità e

partecipazione.

L‟eguaglianza rappresenta il requisito indispensabile delle

azioni educative ispirate dalla visione permanente

dell‟educazione: questa deve essere estesa a tutti i

cittadini indipendentemente dall‟età, dal ceto e dalla

professione e deve prolungarsi per tutto l‟arco della vita e

non per un periodo più o meno lungo di essa.

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Pietro Boccia

82

A ciascuno devono essere offerte opportunità, anche

tramite una strategia di discriminazione positiva cioè una

strategia inegualitaria per l‟eguaglianza che indirizzi

maggiori risorse verso chi è collocato in una condizioni di

svantaggio sociale e culturale.

Eguaglianza, pari opportunità e discriminazione positiva

devono tendere allo sviluppo della globalità del soggetto.

Alle persone impegnate nelle esperienze formative deve

essere consentito di collegare i molteplici aspetti e i

diversi itinerari della propria vita, al fine di meglio

comprenderli e di mobilitare il proprio potenziale

individuale.

Le azioni educative devono quindi consentire lo sviluppo

globale della personalità dei soggetti e non riferirsi a uno

dei possibili ruoli interpretati sullo scenario sociale.

L‟educazione permanente è quindi anche educazione alla

partecipazione e al cambiamento della collettività, e

modalità essa stessa di partecipazione e cambiamento.

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83

Le pratiche formative ispirate dall‟educazione

permanente non sono contemplative o semplicemente

connesse a una dimensione trasformativa individuale e

collettiva.

La partecipazione è intesa come esercizio della

responsabilità e dell‟autogoverno, in particolare per

quanto riguarda la presa in carico da parte del soggetto

delle attività di formazione che lo riguardano, ma è intesa

anche come presenza del soggetto nelle dinamiche sociali

e culturali di una società in profonda trasformazione.

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L’animazione

A differenza della scolarizzazione e dell‟educazione

permanente, per l‟animazione non si è raggiunta

un‟attribuzione minima e condivisa di significato, a

partire da ciò che si intende con tale termine.

L‟animazione può essere, molto limitatamente, un

insieme di tecniche operative tendenti a stimolare i

soggetti con metodi attivi e partecipativi, oppure,

allargando la concezione, come uno stile di vita o un

modo di rapportarsi con l‟esistenza.

Una possibilità di collegamento tra educazione

permanente e animazione è fornita da Bertin, che ritiene

che per animazione debba intendersi il complesso di

attività socioculturali necessarie per attuare, all‟interno

di un centro di tempo libero, l‟educazione permanente,

cioè il complesso delle operazioni indispensabili per la sua

organizzazione e i l suo funzionamento.

L‟animazione diventa una pratica sociale finalizzata alla

presa di coscienza e allo sviluppo del potenziale grezzo,

rimosso e latente di individui, piccoli gruppi e comunità.

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Secondo alcuni, non è possibile in Italia delinearne una

sola storia unitaria, essendo gli ambiti da cui trae origine

almeno tre: teatro, cultura popolare, la pedagogia attiva.

Il contesto nel quale origina l'animazione è identificato

invece in modo tendenzialmente univoco: il periodo di

profondi cambiamenti che hanno investito l'istituzione

scolastica negli anni Sessanta del Novecento.

L‟animazione come attività e metodo di lavoro legato

alla scuola comincia a definirsi e a dare i primi risultati

parallelamente alla messa in crisi delle didattiche

tradizionali.

Si tratta, in particolare, di esperienze ispirate a quelle

nuove concezioni e pratiche del teatro, che lo hanno

investito in quegli anni, e che tendono, da una parte a

rivedere il rapporto da teatro e società, dall'altra a

investire temi interni alla forma teatrale.

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Le innovazioni non vengono solo dal teatro e non si

realizzano sono in pratiche di animazione teatrale.

Sono innovazioni che toccano ogni attività portatrice di

linguaggi, tecniche, strumenti non tradizionali,

inserendole nel curricolo e nel lavoro scolastico (cinema,

attività grafico pittoriche) che assorbono altri umori

culturali, in particolare quelli provenienti dalla tradizione

orientale e fanno proprie alcune sollecitazioni provenienti

dalla cosiddetta contestazione studentesca.

Dalla scuola e dell'infanzia l'animazione estende

gradualmente il suo campo d'azione.

In concomitanza con il decentramento dei servizi sociali e

sanitari e con il diffondersi delle esperienze formative e

culturali riguardanti adulti e non studenti, affronta altre

utenze, diventa tendenzialmente universalistica, si pone

come strumento terapeutico a disposizione dei progetti

riabilitativi e di risocializzanti riguardanti soggetti

interessati da fenomeni o da rischi di marginalità e

devianza.

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87

La comunità problematica

Per la pedagogia sociale, tutto ciò che può essere

ricondotto al concetto/idea/prassi di comunità si presenta

oggi come un campo denso di rilevanti, seppure

contraddittori, prospettive di lavoro educativo

territoriale.

Individuare nel tema della comunità dei tratti di origine

della pedagogia sociale attuale diventa, una scelta

obbligata: l'ambito di ricerca più che riferirsi alla

tradizione neo/comunitarista, o alle posizioni

antimodernisti, si riferisce con movimenti, figure, episodi,

produzioni metodologiche e culturali, in parte presenti o

interagenti con le altre aree di ricerca, che hanno tutte,

pur con differenti non trascurabili, come loro

caratteristica distintiva la promozione della

partecipazione democratica e attiva dei soggetti alla

cultura, alla vita, alla costruzione delle decisioni del loro

territorio.

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88

Sicuramente, in questi ultimi tempi, i richiami alla

comunità, sia come valorizzazione e ripristino di alcuni

tratti di sue antiche espressioni, sia come tentativi di

svilupparne nuove e mai sperimentate forme, sono

notevolmente aumentati in tutte le dimensioni della vita

sociale:

- la comunità compare come categoria per descrivere e

interpretare alcune peculiarità dell'organizzazione

produttiva dei territori italiani attraverso la categoria del

distretto industriale definito come una comunità di

persone e di imprese che operano su un territorio limitato,

un'unità socio-economica a base territoriale locale, dove

interagiscono una comunità di persone e un certo numero

di imprese medio-piccole che prendono parte a uno stesso

processo produttivo;

- il richiamo a una dimensione comunitaria strettamente

legata a un territorio (confini naturali, miti, eroi,

tradizioni, addirittura divinità pagane ecc.) ha fornito

materiali per la ricerca di identità e la legittimazione

storico-culturale di originalità e distinzioni in grado di

supportare e giustificare strategie politiche

accentuatamente localiste, se non del tutto separatiste;

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- un'organizzazione sociale con tratti di tipo comunitario

sembrerebbe prospettarsi come una sorta di terza via a

fronte dell'esaurimento delle grandi narrazioni e del forte

senso di appartenenza connesso, cui non sembrano

sostituirsene altre sufficientemente solide: la comunità

potrebbe costituire un riferimento dopo che dal

fallimento dei comunismi si è passati alle miserie dei

nuovi individualismi;

- l'accentuarsi del richiamo a identità comunitarie

territoriali e non appare evidente in occasioni di tensioni

interne alle nazioni, tra nazioni diverse, e di vere e

proprie contrapposizioni ideologiche e religiose nazionali

sovranazionali, tutto ciò quasi a costituire un'inaspettata

controtendenza rispetto a quello che è stato considerato

un inarrestabile processo di omologazione planetaria tra

le genti;

- la comunità è uno dei concetti col quale, in molti

territori, si razionalizzano e si denominano alcune

dinamiche inclusive o espulsive tra autoctoni e immigrati.

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90

Ma esiste un ulteriore aspetto della questione comunitaria

che deve essere considerato, ed è quello riguardante la

tutela che la comunità sarebbe in grado di esprimere nei

confronti di se stessa e dei propri componenti relazione

alla crisi del Welfare State, diventata, quest'ultima, un

costante elemento di riflessione in qualsiasi dibattito che

riguardi i diritti e le condizioni di vita delle persone.

In generale, le cause della crisi sono ricondotte al divario

tra bisogni previdenziali, sanitari, assistenziali, educativi

e le risorse disponibili per soddisfarli.

Le soluzioni individuate per fare fronte a tale crisi sono

diverse, ma si prospetta di fatto più importante per il

lavoro educativo territoriale quella che si costruisce a

partire dalla convinzione dell'inadeguatezza di Welfare a

totale impronta pubblica a predisporre un soddisfacente

sistema di garanzie per i cittadini.

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Secondo queste posizioni, il Welfare, si sarebbe rivelato

inadeguato, da una parte, perché non avrebbe

sufficientemente protetto i ceti realmente emarginati,

bensì i ceti medi, dall'altra perché avrebbe attivato e

accentuato meccanismi di delega eccessiva a servizi e

operatori, espropriando i soggetti dalle intenzioni e dalla

pratica di cura del proprio dell'altro e dell'altrui

benessere.

Queste posizioni si basano sul principio che il benessere

sociale deve essere riscoperto e riconsegnato alla

dimensione comunitaria della società.

Da qui, la sollecitazione di processi di Welfare mix, con

l'esplicita attenzione alla solidarietà sociale e alla

costruzione di reti formali e informali di aiuto, all'interno

delle quali gli erogatori di cura quali familiari, amici,

vicini, volontari ecc., possono integrarsi tra loro e con i

servizi.

La comunità è pensabile infatti come un insieme di

persone che hanno legami sociali e valori condivisi e

agiscono per il complesso collettivo che esse stesse

costituiscono.

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Una situazione relazionale può dunque definirsi

comunitaria quando la disposizione ad agire poggia su

una comune appartenenza soggettivamente sentita dagli

individui che vi partecipano, quando è caratterizzata

dall'interdipendenza dei sistemi relazionali tra le persone,

dal forte grado di omogeneità rispetto ad alcuni valori e

ad alcune norme condivise, dal manifestarsi di queste

caratteristiche come elementi intensamente interiorizzati,

dalla presenza di un senso del noi molto più forte rispetto

a ciò che circonda il gruppo.

Le forme comunitarie territoriali vere originarie, semmai

siano effettivamente esistite, sono state superate dalla

modernizzazione e dal costruito progressivo di società

sempre più complesse, industriali, centralizzate.

La comunità a base territoriale viene dunque superata

dai processi di urbanizzazione, che rappresentano il segno

diretto e la determinante della modernizzazione.

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93

Ovviamente, nei confronti di questo tipo di concezione si

sviluppano anche delle reazioni dai toni decisamente

critici e disincantati.

Da questo vertice, la comunità appare in termini di netto

declino, di possibile, progressiva o già avvenuta

scomparsa, di irrazionalismo dominante, di forme legate a

modelli di convivenza ormai obsoleti che non avrebbero

più ragion d'essere in un'era di informatizzazione e

postmodernità.

Il concetto di comunità è dunque circondato da dubbi

riguardanti sia la sua effettiva possibilità di realizzazione,

sia le qualità da cui potrebbe essere connotata.

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Svolta antropologica

L‟ingresso in un‟epoca caratterizzata da quella che si

potrebbe definire la svolta antropologica del Novecento

caratterizzata dalla fine delle grandi narrazioni e dallo

sviluppo dell‟individualismo, unitamente alle spinte

filosofiche del relativismo e del pensiero debole, la

pedagogia sociale deve assumere un ruolo critico.

Di fronte ai caratteristici movimenti di massa e la messa

in discussione generalizzata delle istituzioni in tutte le

loro forme, la pedagogia sociale si attribuisce un ruolo

critico, nei confronti di un progresso che non tiene conto

delle conseguenze sulle categorie minoritarie e solleva

questioni che riguardano l‟attenzione agli individui come

tali come prevenzione dai rischi di riproduzione

dell‟esclusione sociale all‟interno delle scuole denunciati

da Lorenzo Milani.

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Inizio dell’era della globalizzazione economica (1989)

L‟ingresso nella cosiddetta era della globalizzazione si

colloca convenzionalmente alla fine degli anni Ottanta a

seguito della caduta del muro di Berlino nel 1989.

L‟effetto più evidente della globalizzazione è

l‟interdipendenza sempre più forte, tra piani diversi della

realtà sociale, economico–finanziaria, politica e

ambientale in differenti contesti del mondo.

I processi di globalizzazione, pur determinando effetti

positivi, tendono ad aggravare gli squilibri

socioeconomici e a rendere la politica subalterna

all‟economia

L’ingresso nel Terzo Millennio

Gli anni a cavallo della svolta del secolo coinvolsero il mondo

pedagogico a tirare le fila della ricerca compiuta al fine di

tracciare i possibili orizzonti per sviluppo sociale nel suo insieme

e dello sviluppo teoretico della disciplina

Quella del terzo millennio sarà probabilmente una società

consensuale al cui interno i pochi specialisti e tecnocrati che

lavoreranno conteranno di più, ma tutti gli altri svolgeranno

compiti più opportunamente adeguati a se stessi, al loro modo

di essere quindi al loro tempo storico.

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96

L‟otium sarà considerato fulcro dell‟esistenza e

consisterà in un insieme di attività ludiche e ricreative, in

grado di coprire proficuamente il tempo liberato dalle

attività lavorative e dal peso della sopravvivenza per far

durare le istituzioni della società.

Libro adottato

Sergio Tramma, Pedagogia sociale, Guerini scientifica,

Milano 2010

Riferimenti teorici e normativi

- Pietro Boccia, La “Buona Scuola”, Anicia edizioni,

Roma, 2015

- Pietro Boccia, Sostegno didattico nelle scuole di ogni

ordine e grado, Maggioli editore, Rimini 2017

- Pietro Boccia, Competenze, metodologie e tecnologie

didattiche, Maggioli editore, Rimini 2018

Pietro Boccia, Lezioni simulate alla prova orale, Maggioli

editore, Rimini 2018

- Legge n. 107/2015 - Riforma del sistema nazionale

d’istruzione e formazione

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Pietro Boccia

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- D. lgs n. 59/2017 - Riordino, adeguamento e

semplificazione del sistema di formazione iniziale e di

accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria per

renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale

della professione, a norma dell'art. 1, commi 180 e 181, lett.

b), della legge 13 luglio 2015, n. 107

- D. M. n. 616/2016 - Modalità per il conseguimento dei 24

crediti formativi universitari (nei settori

antropo/psico/pedagogici, nonché nelle metodologie e

tecnologie didattiche) indispensabili per la partecipazione al

concorso

Sitografia

http://ec.europa.eu/italia/documents/attualita/futuro_ue/

europa2020_it.pdf

http://www.editlab.it/2017/07/29/corsi-di-formazione-su-

progettazione-e-curricolo

GRAZIE per la cortese attenzione