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Università di Caserta – Dipartimento di Psicologia – CFU MODULO - PEDAGOGIA SOCIALE
Pietro Boccia
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Università di Caserta - Dipartimento di Psicologia - Modulo ( 6 CFU)– Pedagogia sociale
(docente: Pietro Boccia)
Struttura del MODULO
Lezione 1
Unità di apprendimento/1
Legge n. 107/2015, riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale sia
d’istruzione sia di formazione (D.Lgs n. 59/2017) e modalità per l’acquisizione dei 24 CFU (D.M.
n. 616/2017)
Unità didattica/1 Analisi della Legge n. 107/2015
Unità didattica/2 Il riordino delle disposizioni normative in materia di sistema nazionale sia
d‟istruzione sia di formazione (D.Lgs n. 59/2017)
Unità didattica/3 Le modalità per l‟acquisizione dei 24 CFU (D.M. n. 616/2017)
Lezione 2
Unità di apprendimento/2
Il processo di globalizzazione, la secolarizzazione, la pedagogia sociale e la teoria della società
complessa
Unità didattica/1 Il processo di globalizzazione e la secolarizzazione
Unità didattica/2 La pedagogia sociale
Unità didattica/3 La teoria della società complessa
Lezione 3
Unità di apprendimento/3
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La complessità e l‟autonomia delle istituzioni (famiglia e scuola)
Unità didattica/1 La complessità
Unità didattica/2 L‟autonomia delle istituzioni: la famiglia
Unità didattica/3 L‟autonomia delle istituzioni: la scuola
Lezione 4
Unità di apprendimento/4
La pedagogia, la pedagogia sociale e dimensioni sociali dei modelli educativi nella storia della
civiltà occidentale
Unità didattica/1 La pedagogia e le scienze dell‟educazione
Unità didattica/2 La pedagogia sociale: analisi e commento dei capitoli primo e secondo del libro
Pedagogia sociale di Sergio Tramma
Unità didattica/3 Le dimensioni sociali dei modelli educativi nella storia della civiltà occidentale
Lezione 5
Unità di apprendimento/5
Cultura e territorio, socializzazione, dinamiche di esclusione/inclusione
Unità didattica/1 La cultura e il territorio: analisi e commento del capitolo terzo del libro
Pedagogia sociale di Sergio Tramma
Unità didattica/2 La socializzazione
Unità didattica/3 Le dinamiche di esclusione/inclusione
Lezione 6
La pedagogia sociale e la progettazione educativa territoriale come argine alle devianze (bullismo
e cyberbullismo)
Unità didattica/1 La pedagogia sociale e la progettazione educativa territoriale come argine alle
devianze: analisi e commento dei capitoli quarto e quinto del libro Pedagogia sociale di Sergio
Tramma
Unità didattica/2 La pedagogia sociale come argine alle devianze (bullismo)
Unità didattica/3 La pedagogia sociale come argine alle devianze (cyberbullismo)
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LEZIONE 4
La pedagogia, la pedagogia sociale (analisi e
commento e dei capitoli primo e secondo del libro
Pedagogia sociale di Sergio Tramma) e dimensioni
sociali dei modelli educativi nella storia della civiltà
occidentale
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La pedagogia generale e la didattica
La pedagogia è lo studio sistematico del problema
educativo, in un gruppo sociale o in una determinata
società, ed è anche un‟elaborazione di metodologie e di
tecniche, per risolverlo razionalmente.
La pedagogia è la scienza dell‟educazione; l‟educare (da
ex ducere) deve, nella società globale, significare il
prendere per mano un soggetto e aiutarlo a svilupparsi in
maniera equilibrata, affinché possa inserirsi, integrarsi e
includersi nella vita sociale, già pronto per affrontare e
risolvere i problemi della vita.
Jerome S. Bruner ha sostenuto che l‟educare è
“un‟invenzione umana che conduce chi apprende al di là
del puro apprendimento”.
Oggi, il problema educativo, ha, invece, assunto una
connotazione scientifica. Si sono, così, diffuse le scienze
dell‟educazione e la pedagogia, che, attraverso
l‟epistemologia, hanno cercato di acquisire una valenza
teorica e di caratterizzarsi scientificamente.
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Il problema epistemologico della pedagogia, come branca
della teoria educativa, esamina i rapporti fra le diverse
discipline che sono la parte costitutiva della scienza
dell‟educazione e, nello stesso tempo, rappresentano
l‟intelaiatura teorica e metodologica, che ne costituisce il
punto di partenza e il risultato finale.
Non si può datare la nascita di una scienza, ma la
pedagogia o scienza dell‟educazione, secondo alcuni
studiosi, coincide con la pubblicazione, nel 1909,
dell‟opera, Psicologia del fanciullo e pedagogia
sperimentale, di E. Claparéde.
In tale contesto, si teorizza che la scienza dell‟educazione
è, da un lato, lo studio sistematico del problema
educativo, in un gruppo sociale o in una determinata
società, e, dall‟altro, l‟elaborazione di metodologie e di
tecniche, per risolverlo razionalmente.
Il pedagogista è un operatore teorico.
Egli si dedica, avvalendosi della conoscenza nel campo
delle scienze umane e sociali, allo studio, all‟analisi e
all‟elaborazione delle teorie pedagogiche e dei principi
educativi.
Non mette quasi mai in pratica l‟insegnamento.
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A quest‟ultimo si dedica l‟educatore.
Si possono, però, incontrare, nella realtà, anche
pedagogisti-educatori e educatori-pedagogisti.
Nelle società industrialmente avanzate, il sapere è esploso
e, di conseguenza, ha prodotto l‟esigenza di dover
conoscere, in modo approfondito, non solo le peculiarità
dello sviluppo teorico dell‟insegnamento e
dell‟apprendimento, ma anche le loro applicazioni
pratiche.
La nostra civiltà, tecnologicamente avanzata, ha
rivoluzionato il significato dell‟educazione e il metodo per
attuarla.
Oggi, tutti hanno diritto a essere educati.
L‟educazione non è più un‟invenzione sovrastrutturale,
ma un bisogno individuale e un‟esigenza collettiva e di
massa per costruire una società democratica e per
governarne la complessità.
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Fino a poco tempo fa, l‟educatore fondava la sua
preparazione sulla capacità di trasmettere saperi;
attualmente, dovrebbe orientarsi e proiettarsi verso il
futuro.
L‟educatore dovrebbe, dunque, essere: orientato al
futuro, verso ciò che cambia e si trasforma; capace di
valutare, in maniera positiva, le novità e di produrre,
adattandosi a situazioni nuove, ipotesi di soluzioni
future; proiettato, pur relazionandosi ai problemi umani e
sociali, verso la costruzione di una società ideale.
La capacità professionale del docente è strettamente
collegata alla stessa personalità dell‟educatore:
competenza cognitiva, maturità emotiva, equilibrio
morale, apertura mentale, capacità di interagire e di
comunicare in modo efficace con gli altri.
Ogni educatore dovrebbe, infine, avere, come attitudine
basilare, la disponibilità pedagogica, per valutare gli
alunni come persone, dotate di uguali diritti e di
differenti bisogni.
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Nei compiti dell‟istituzione scolastica rientra anche quello
di orientare i giovani tanto nelle attività educative e
didattiche quando nella scelta dell‟inserimento nel mondo
del lavoro.
L‟orientamento scolastico e professionale ha un‟unica
finalità (orientare, a proseguire gli studi, dopo la scuola di
base, è anch‟essa una scelta di tipo professionale come
fare il geometra, il ragioniere o il medico e così via).
Oggi, i sociologi sostengono che l‟istruzione sia un fattore
di allocazione di status.
La società tecnologicamente avanzata, soggetta a
continue trasformazioni, è, di conseguenza, indotta a fare
in modo che le vecchie professioni siano sostituite da
nuove e altamente qualificate mansioni occupazionali,
soprattutto nel settore del terziario (servizi,
informazione, sperimentazione e ricerca).
La scuola dovrebbe diventare, in modo permanente e
ricorrente, luogo di orientamento e di sperimentazione.
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Le nuove professioni dovrebbero richiedere soggetti
capaci di adattarsi continuamente ai cambiamenti delle
nuove condizioni di lavoro.
La formazione generale dovrebbe, dunque, far acquisire
metodi di lavoro e di ricerca e non soltanto conoscenze
specifiche.
Solo in seguito, l‟orientamento dovrebbe far acquisire a
ogni soggetto la specializzazione sia rispondente alle
disposizioni individuali sia confacente alle esigenze del
mondo del lavoro e della società.
Oggi, la ricerca, come studio dei fattori che concorrono a
far acquisire nuovi elementi conoscitivi, ha investito
numerosi settori e campi del sapere.
Un elevato livello di conoscenze essa l‟ha acquisito, ad
esempio, nel campo educativo.
La ricerca, come dimensione educativa, non può, quindi,
affidarsi all‟improvvisazione e all‟arbitrarietà, ma deve
essere caratterizzata da un accurato impegno
metodologico e tecnico.
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La ricerca si compone di alcune fasi:
- individuare l‟oggetto della ricerca;
- delimitare il campo d‟indagine, stabilendo, in modo
preciso e puntuale, l‟aspetto dell‟oggetto da analizzare;
- verificare e stabilire se tutte le caratteristiche del
fenomeno rientrino nell‟oggetto della ricerca;
- organizzare i dati, dopo aver raccolte tutte le
informazioni, e registrarli secondo i criteri che derivano
dall‟oggetto;
- interpretare ed elaborare i dati;
- stendere una relazione finale (tale relazione costituisce il
“documento ufficiale” del lavoro realizzato);
- rendere pubblici i risultati, per farne valutare la portata
e per poterli utilizzare nelle successive ricerche.
Tali operazioni richiedono, oltre un‟acuta capacità nel
valutare adeguatamente i dati acquisiti, la conoscenza
degli elementi fondamentali della statistica.
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La ricerca educativa dovrebbe, infine, caratterizzare
tutto il lavoro scolastico e non essere soltanto un‟attività
aggiuntiva. Anzi, dovrebbe connotare la stessa
formazione dei docenti.
Il problema educativo, fino alle soglie dell‟Ottocento, non
è stato mai oggetto di un‟approfondita ricerca.
Esso si va, durante l‟Ottocento, gradualmente chiarendo
e delimitando, fino a diventare uno specifico oggetto di
studio sistematico e razionale, quando nasce la pedagogia
come scienza.
Solo da un centinaio di anni, l‟educazione si è, dunque,
trasformata in una scienza e ha incominciato a impiegare
le metodologie e le tecniche per la sua ricerca.
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Si può teorizzare che la scienza dell‟educazione è, da un
lato, lo studio sistematico del problema educativo, in un
gruppo sociale o in una determinata società, e, dall‟altro,
l‟elaborazione di metodologie e di tecniche, per risolverlo
razionalmente.
Nel mondo contemporaneo è, in verità, ancora
un‟impresa alquanto difficile definire il significato e il
contenuto dell‟educazione.
Le società, soggette a continue e veloci trasformazioni,
non facilitano l‟approccio a una scienza dell‟educazione
chiara, perché tali cambiamenti producono, negli
individui, ansie e insicurezze.
L‟educazione dovrebbe, dunque, immaginare una società
composita e aperta, con strutture dinamiche e
democratiche, fondate su gruppi sociali interagenti e su
un potere rappresentativo e non autoritario.
La scienza della formazione e la pedagogia generale non
dovrebbero più farsi guidare soltanto dalla prospettiva di
costruire un solo modello o di avere un punto di
riferimento statico per tutti i componenti di una società.
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L‟una e l‟altra, considerando che il pluralismo culturale,
sociale ed etnico è, nei paesi democratici, ormai un fatto
acclarato, dovrebbero trasformarsi in un‟indicazione di
approccio educativo, che, in un processo dinamico e
aperto, riesca a educare e a formare un uomo
completamente libero.
La pedagogia deve, oggi, essere interconnessa con la
didattica per assolvere un‟efficace pratica educativa e
formativa.
La didattica ha, come oggetto specifico, lo studio della
pratica d'insegnamento/apprendimento.
Essa è una pratica educativa che riguarda le modalità con
cui chi educa, servendosi delle teorie pedagogiche, agisce
e opera, per favorire l‟apprendimento del discente.
Un insegnante, attraverso la didattica, impiega le sue
conoscenze, abilità e competenze e, con strategie
adeguate, facilita il processo formativo di chi apprende.
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La didattica è una continua contaminazione di teoria e di
pratica,
La prima è fornita dal pedagogista, come operatore teorico, che,
impiegando le sue conoscenze, si dedica allo studio, all‟analisi e
all‟elaborazione dei principi educativi. Il pedagogista non
sempre fa pratica educativa, vale a dire didattica.
A quest‟ultima si dedica l‟educatore.
Si possono, però, incontrare, nella vita pratica, anche
pedagogisti/educatori ed educatori/pedagogisti.
Nelle società avanzate e complesse la cultura si è ramificata
diffusamente e, di conseguenza, ha prodotto l‟esigenza di dover
conoscere in maniera approfondita non solo le caratteristiche
dello sviluppo teorico dell‟insegnamento/apprendimento ma
anche le specificità delle applicazioni pratiche e delle strategie
didattiche.
La didattica è, come arte e come criterio della semplificazione,
un congruo metodo per fare sperimentazione e ricerca
educativa.
Apprendere con l‟impiego della didattica è un‟acquisizione
consapevole delle conoscenze, delle abilità e delle competenze.
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La sociologia dell’educazione, la pedagogia interculturale e
la didattica speciale
I modelli sociali e culturali, nella società della
globalizzazione, possono aiutare maggiormente lo
sviluppo della sociologia dell‟educazione e, di
conseguenza, di una pedagogia dell‟intercultura.
Negli ultimi decenni, il fenomeno dell‟immigrazione nella
società italiana, ormai interculturale, non solo induce la
politica a intervenire con specifiche norme legislative per
regolamentarlo nell‟ambito socio-lavorativo e scolastico,
ma spinge anche gli operatori scolastici a promuovere
l‟educazione interculturale e a ricorrere ai più interessanti
apporti che provengono dalla pedagogia interculturale e
dalla sociologia dell‟educazione.
I fenomeni interculturali, anzi, le condizioni che
permettono di attuare l‟incontro con l‟altro, non sono
nuovi.
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Il problema del diverso è stato presente in tutte le culture
e in tutti i tempi anche se affrontato con modelli
d‟integrazione, di inclusione o di esclusione molto diversi
tra loro e prodotto dalle differenti motivazioni
economiche, politiche, culturali e sociali.
Ha nella tematica della pedagogia interculturale, un
rilievo fondamentale il documento, che suggerisco,
scaricandolo gratuitamente da Google, di leggere
integralmente, del Ministero della pubblica istruzione,
pubblicato nell‟ottobre del 2007, dal titolo:
“La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione
degli alunni stranieri - Osservatorio nazionale per
l‟integrazione degli alunni stranieri e per l‟educazione
interculturale”.
Oggi, lo studente speciale non è più soltanto quello in
situazione di disabilità originata da deficienze fisiche e/o
psichiche, oggettivamente “certificabili”, ma è anche
quello che, per particolari condizioni familiari e
ambientali, si trova in una posizione stabile o
momentanea di bisogno e che, di conseguenza, richiede
interventi specifici o specialistici.
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La nozione di “bisogno educativo speciale” si accosta
molto alla difficoltà di apprendimento, categoria
diagnostica con cui ci si riferisce a qualsiasi
problematicità rilevata in alunni durante la loro carriera
scolastica e “ricollegabile‟‟ – come sostiene Cesare
Cornoldi – „„a un complesso variegato di cause individuali
e contestuali, pur senza riferirsi ancora al modello I.C.F.
dell‟O.M.S”.
Gli alunni con bisogni educativi speciali possono essere
portatori di una lesione cerebrale grave, di sindrome di
Down, di una lieve disfunzionalità cerebrale e percettiva
oppure di gravi conflitti familiari, di background sociale e
culturale, diverso o deprivato, di reazioni emotive e/o
comportamentali disturbate e così via.
La didattica speciale, perciò, interviene là dove il
percorso educativo è intralciato da difficoltà o resistenze
specifiche causate da deficit personali oppure da
condizioni di svantaggio sociale che impediscono o
limitano i processi d‟integrazione.
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Ne consegue che la scuola, da istituzione che accoglie al
suo interno anche l‟alunno con disabilità, riconoscendogli
prerogative uguali a quelle degli scolari “normodotati”,
deve riorganizzarsi come sistema capace d‟individuare i
bisogni educativi speciali di tutti gli alunni, non solo di
quelli disabili, per intervenire con azioni mirate a
promuovere le capacità e lo sviluppo umano.
Il fine non è quello d‟integrare all‟interno della comunità
scolastica le categorie “svantaggiate” di alunni, ma è
piuttosto quello di far crescere, all‟interno del sistema
“scuola”, delle comunità capaci di rispondere ai bisogni di
“speciale normalità” di tutti gli alunni, perché tutti
hanno il diritto a essere riconosciuti come soggetti dotati
di proprie peculiarità.
La massima espressione di questo cambiamento è il Piano
educativo individualizzato (PEI), attraverso il quale si
programmano annualmente gli interventi e i sostegni
finalizzati al perseguimento di specifici obiettivi in
relazione ai bisogni individuati.
Gli insegnanti, specialmente quelli di sostegno, devono
dare un contributo che è fondamentale per il successo
dell‟intervento educativo speciale.
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I processi d‟integrazione possono attuarsi soltanto se
tutti i docenti ne sono coinvolti.
Il fatto poi che le situazioni di handicap, soprattutto
mentali, siano spesso riconosciute con ritardo attribuisce
agli operatori scolastici un “ruolo non secondario in
quell‟alleanza diagnostica-terapeutica-riabilitativa” che
deve sostenere e sviluppare nel disabile le potenzialità
residue, evitandone il deterioramento e favorendo allo
stesso tempo evoluzioni positive verso il superamento
dello specifico deficit.
La capacità di riconoscere e segnalare le tendenze alla
disabilità in soggetti al limite della normalità o di cogliere
i segnali di un disagio legato a fattori personali o di
contesto, è decisiva per rispondere nel miglior modo
possibile ai bisogni differenziati di tutti gli allievi.
La specialità di un bisogno non va confusa con la sua
specificità.
Tutti hanno bisogni speciali, ma non tutti hanno bisogni
educativi speciali.
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Per altro verso anche i soggetti con bisogni educativi
speciali hanno bisogni comuni.
E c‟è di più.
Le persone possiedono risorse non solo espresse ma anche
potenziali e residue.
Perciò, non è mai opportuno assegnare certe “etichette”
(svantaggiato, lento, pigro, indolente), che possono
introdurre distorsioni nella relazione educativa, ma
occorre piuttosto che si compia uno sforzo di
“comprensione”, per poi disegnare un percorso di crescita
e di accompagnamento.
Per poter adeguatamente lavorare in questa direzione, il
docente deve avere competenze e risorse altrettanto
“speciali”: deve conoscere, cioè, le condizioni che
generano difficoltà e i loro effetti sui normali processi di
sviluppo.
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Ecco allora che rispondere ai bisogni speciali non significa
costruire categorie separate, ma piuttosto formare
insegnanti, dirigenti e operatori educativi che facciano
proprie, oltre che una cultura della diversità, conoscenze
e competenze adeguate.
Non meno importante è la risorsa rappresentata
dall‟extrascuola perché, non diversamente dall‟individuo
“normale”, chi vive situazioni di particolare difficoltà
deve poter condividere con gli altri gli spazi e i tempi,
deve poter convivere, stare insieme e fare insieme.
L‟esperienza extra-scolastica, come pure quella extra-
familiare, è un fondamentale elemento di crescita.
All‟interno del gruppo dei pari, l‟individuo si sperimenta
in relazioni e contesti diversamente strutturati rispetto
alla scuola e alla famiglia e diversamente connotati
affettivamente.
Ciò è ancora più vero per i disabili, spesso trattenuti nel
grembo materno e familiare.
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L‟intervento educativo individualizzato, il lavoro
scolastico, la famiglia e il raccordo tra tutte le risorse
territoriali extra-scolastiche rappresentano i quattro
ambiti operativi per una linea d‟intervento valida per
tutte quelle situazioni di disagio, di difficoltà o di
“bisogno educativo speciale” che necessitano di percorsi
di presa in carico più o meno duraturi o strutturati.
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La pedagogia sociale
La pedagogia sociale, secondo Paul Gerhard Natorp, si
attua in primo luogo come riflessione filosofica.
Natorp formalizza l‟identità culturale della pedagogia
sociale sul piano teoretico-epistemologico.
Il problema fondamentale - ha scritto in La pedagogia
sociale – è quello non solo di “fare incontrare due scienze
- sociologia e pedagogia, solitamente esteriormente
separate - ma anche di dimostrare la loro reciproca unità
e inseparabilità fin nelle loro più profonde radici”.
Paul Natorp interpreta, dunque, la pedagogia sociale
come un sapere pedagogico in stretto rapporto con la
filosofia.
“L‟educazione dell‟individuo – continua - è socialmente
condizionata come una formazione umana della vita
sociale ed è essenzialmente condizionata da
un‟educazione, dagli individui che a essa devono prendere
parte e che a essa devono conformarsi”.
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La pedagogia sociale
La pedagogia sociale è soprattutto una disciplina che si
occupa dei contenuti e delle metodologie per formare
soggetti rivolgendo l‟attenzione ai contesti sociali.
Si contraddistingue dalla pedagogia generale perché, pur
avendo in comune la struttura teorica, evidenzia e vaglia
quelle problematiche che si connettono con l‟attività
educativa all‟interno della vita sociale.
L‟unicità e la peculiarità di tale disciplina scaturiscono, a
livello epistemologico, dalla relazione che ha, in
definitiva, il processo educativo con le reciproche
influenze dell‟uomo all‟interno della società.
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La pedagogia sociale
Le origini della pedagogia sociale sono antiche ma il
padre putativo è stato sicuramente Pestalozzi, che,
lavorando presso istituti per bambini svantaggiati e
descrivendo tali esperienze in alcuni libri, come ad
esempio “Leonardo e Gertrude” e “Come Gertrude
educa i suo figli”, abbozza le caratteristiche di una
pedagogia che rappresentano gli indizi di una concreta
attività sociale e, pertanto, della pedagogia sociale, vale a
dire l‟importanza dell‟influenza ambientale nella
formazione umana e il bisogno delle attività intenzionali
per uno sviluppo positivo del bambino, corrispondenti
alle finalità e ai traguardi del lavoro educativo sociale.
La pedagogia sociale è molto giovane; si può certamente
affermare che essa nasce dopo i profondi cambiamenti
apportati dalla prima rivoluzione industriale e dai
processi di urbanizzazione, di proletarizzazione dei
contadini, di crisi dei vincoli familiari e della povertà.
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La pedagogia sociale
L‟intervento della pedagogia sociale nasce per
fronteggiare le necessità di un intervento socio-educativo
in una società fortemente in crisi.
L‟obiettivo dei primi teorici della pedagogia sociale
doveva essere quello della ricerca di restituire agli esseri
umani il controllo delle conseguenze che il progresso
tecnico aveva prodotto negli stili di vita.
Una tale pedagogia sembrava puntare a ridare un valore
al proletariato urbano, che veniva cacciato negli strati
più bassi della società, con la formazione al lavoro come
attività assunta consapevolmente e non come una
condizione subita.
Essa aveva, pertanto, il compito di riproporre il valore
dell‟ appartenenza alla comunità sociale come input di un
miglioramento della dignità umana.
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La pedagogia sociale
Émile Durkheim (nato ad Épinal-Lorena, morto a Parigi) e
l‟educazione
L‟impegno di Durkheim, nel campo dell‟educazione, è quello di
demolire l‟opinione che, nella società, vi possa essere
“un‟educazione ideale perfetta, valida istintivamente per tutti
gli uomini”.
Ciò non è possibile, perché “analizzando la storia …
l‟educazione ha variato infinitamente, secondo i tempi e
secondo i paesi”.
Durkheim il primo problema che ha affrontato nella sua
tesi di laurea, La divisione del lavoro sociale, è stato quello
della relazione tra l‟individuo e la società.
Un soggetto offre, attraverso l‟educazione, consenso alla
collettività, quando si formano due tipi di solidarietà.
La prima forma di solidarietà è meccanica; essa nasce per i ruoli
di indifferenziazione degli uomini ed è tipica delle comunità
primitive.
La seconda è organica ed è tipica delle società differenziate e
complesse, nelle quali ogni individuo assume un determinato
ruolo ed assolve una precisa funzione.
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La pedagogia sociale
Piero Bertolini e l‟educazione intenzionale
Per Bertolini gli adulti e i genitori orientano la crescita
dei giovani e dei figli attraverso contenuti esperienziali e
tavole di valori.
L'intenzionalità, per Bertolini, da un lato esprime una
relazione necessaria in ambito educativo, come un
inevitabile bisogno per i soggetti umani nei rapporti
educativi, e, dall‟altro, si esprime nella trascendenza.
Il rapporto educativo si realizza nella temporalità perché
ogni azione pedagogica si trascende ininterrottamente
verso il futuro, secondo un fine (telos) che si radica
sempre nella vita vissuta.
La dimensione educativa prospettata da Bertolini
implica di continuo un atto di decisione, di scelta, di
impegno e di rischio.
L‟esperienza educativa fondata sull‟intenzionalità si
ricollega al senso originario che emerge dalla struttura
stessa dell‟educazione.
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La pedagogia sociale
Sergio Tramma, nel 2008, parte dalle considerazioni di
Bertolini e parla di livelli di intenzionalità, ovvero di:
- esperienze intenzionali (proposito consapevole a
incoraggiare l‟apprendimento, anche omettendo di
prendere in considerazione le metodologie specifiche, e a
predisporre gli ambienti idonei allo scopo – famiglia,
scuola, corsi di guida, conferenze e così via -);
- esperienze non intenzionali (apprendimenti che si
realizzano senza una chiara esplicitazione intenzionale);
- esperienze non dichiaratamente intenzionali
(intenzionalità non dichiarata, ma presente).
Definizione della pedagogia sociale
La pedagogia sociale è la scienza della realtà sociale che
educa e forma direttamente (apprendimento formale) e
indirettamente (apprendimenti non formali e informali).
Essa ha lo scopo di promuovere nelle istituzioni sociali e
nei gruppi la conoscenza attraverso la progettualità
educante e l'azione necessaria per sviluppare gli
apprendimenti.
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Analisi e commento del capitolo primo (La pedagogia
sociale) del libro Pedagogia sociale di Sergio Tramma
La necessità di una definizione
Asserire che cos‟è la pedagogia sociale è un‟operazione
preliminare tanto logicamente necessaria quanto densa di
difficoltà, non priva di dubbi e dalle conclusioni
necessariamente provvisorie.
Sono difficoltà che scaturiscono dalla stessa associazione tra un
concetto regolarmente sottoposto ad analisi e i ripensamenti
come il termine pedagogia (il sapere dell‟educazione) e il termine
sociale, termine largamente polisemico (dal greco polysemos -
molti significati) e spesso impiegato in ambiti specialistici e nel
linguaggio della quotidianità.
La pedagogia sociale è un sapere collegato al rapporto tra
educazione e società.
Essa è uno spazio di riflessione, incentrato sull‟incertezza per
disposizione naturale, perché i contenuti e i confini della
pedagogia sociale sono immancabilmente e stabilmente
interessati da riadattamenti e verifiche sia a causa dei processi
di mutamento delle variabili, a livello economico, politico e
culturale, che sono presenti nella società, sia per l‟influenza che
gli obiettivi e gli assetti dell‟educazione hanno sui soggetti.
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La dipendenza della pedagogia sociale dalle trasformazioni, appunto,
sociali, obbliga a evidenziare subito alcuni degli elementi dello scenario
in cui si colloca, cioè a chiarire le ricadute educative delle trasformazioni
che, più di altre, hanno contribuito negli ultimi anni a riformulare i
contenuti e i confini.
In particolare:
- l‟emergere di nuovi bisogni e l‟esplicitarsi di nuove domande
educative da parte dei soggetti;
- l‟affacciarsi di nuovi soggetti sociali che rivendicano
direttamente il diritto ad essere coinvolti o che sono ritenuti
coinvolgibili da tradizionali o innovative azioni educative, come
il caso degli anziani o dei migranti;
- l‟ampliarsi o il ridursi del livello di benessere ritenuto
opportuno e auspicabile per i soggetti individuali e collettivi e la
qualità e la quantità dei beni e dei servizi, anche a carattere
educativo, ritenuti essenziali per raggiungere il livello minimo di
benessere entrato a far parte della dote dei diritti di
cittadinanza;
- la variazione dei compiti affidati alle tradizionali agenzie
formative/educative (la scuola in primo luogo), sia in quanto
attribuzione di nuovi, sia come revisione o eliminazione di quelli
storicamente loro attribuiti.
- il riformularsi continuo delle finalità, degli spazi e delle
possibilità delle azioni educative.
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La pedagogia sociale quindi riflette e risente del
movimento presente in qualsiasi assetto sociale in cui
deve esplicitare la propria azione e questa dinamicità è
considerata una sua proprietà costitutiva e permanente.
La necessità e le difficoltà insite nel tentativo di definire
la pedagogia sociale non derivano solo dalla velocità e
dall‟intensità delle trasformazioni, ma anche da un limite
tutto interno alla riflessione pedagogica: la distanza
tuttora esistente tra la qualità e la varietà di esperienze
educative cosiddette extrascolastiche, cioè quelle che, a
una prima approssimazione, sono maggiormente
riconducibili all‟area di interesse della pedagogia sociale, e
il livello di elaborazione e convinzione pedagogica attorno
a tali esperienze.
La ricerca sulla pedagogia sociale deve quindi individuare
alcuni capisaldi che ne giustifichino l‟esistenza in qualità
di area di interesse definita, riconoscibile e attuale e
necessaria.
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Una pedagogia in grado di produrre orientamenti teorici,
metodologici e operativi per quell‟educazione diffusa
esterna alle tradizionali agenzie educative che tende ad
acquisire sempre maggiore rilevanza e a diventare sempre
più decisiva nella formazione delle persone e della
collettività.
Per tentare di definire i caratteri connotanti della
pedagogia sociale è necessario partire dalle difficoltà e
dalle prospettive che derivano dall‟associare termini quali
pedagogia ed educazione con un termine poliedrico quale
sociale.
Con educazione si fa riferimento a tutte le pratiche che
influiscono sul modo di essere dell‟individuo, intenzionali
o no che siano, considerate nei loro risvolti tecnici,
materiali, prescrittivi, ideologici, valoriali, colti nella loro
attuazione.
La pedagogia riguarda invece: riflessioni, progetti, saperi,
teorie che vengono a situarsi a livello di ripensamento,
testimonianza, analisi, critica, consiglio, proposta, regola
operativa riguardo a un aspetto particolare dell‟educare.
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La pedagogia è quindi la teorizzazione di quei processi
sociali, culturali e individuali che producono
inculturazione, apprendimento e formazione personale,
presenti in tutte le culture e società; è la disciplina che ha
assunto il ruolo di riferimento per ogni discorso rigoroso
sull‟educazione.
La pedagogia va dunque pensata come un sapere
poliedrico e plurale.
Se l‟educazione rappresenta il piano dell‟azione pratica, la
pedagogia rappresenta il piano dell‟azione teorica.
La pedagogia è sì un sapere sull‟educazione, ma non
semplicemente un sapere che vuole sapere qualcosa
sull‟evento educativo, ma un sapere pratico che vuole che
avvenga qualche cosa, un sapere per la prassi che è legato
all‟intervento trasformativo e al risultato da realizzare.
Per il pedagogista, collocarsi in una prospettiva non solo
conoscitiva, bensì trasformativa, comporta l‟onere di
produrre un pensiero valoriale, contenutistico,
metodologico, e il compito di prefigurare e quindi di
architettare i luoghi, le situazioni, le opportunità
mediante le quali il bambino, l‟adulto e l‟anziano possano
continuare a crescere.
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La pedagogia è proiettata verso il futuro e l‟educazione
che la sostanzia ha come caratteristica dominante quella
di presentarsi sempre come un‟attività modificatrice,
volta al cambiamento, cioè al superamento di uno stato
di cose esistente verso una differente situazione futura. .
Bisogna quindi passare ad un‟idea di educazione allargata
che assorbe tutta la problematicità del contesto sociale
nel quale si struttura e agisce.
Negli ultimi decenni si sono consolidate convinzioni
teoriche, servizi, progetti e prassi, che considerano
l‟educazione come una dimensione relazionale e
intenzionale tra i soggetti, nella quale la modificazione
della situazione presente e la proiezione verso il futuro si
connotano in termini di costruzione e crescita della
personalità dell‟educando e in termini di trasmissione del
patrimonio culturale.
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Dall’educazione diffusa all’educazione extrascolastica,
dall’educazione extrascolastica all’educazione diffusa
Ogni società per consolidarsi e sopravvivere attiva
processi educativi finalizzati alla costruzione e al
mantenimento del consenso verso i valori, le regole, i
procedimenti che connotano l‟organizzazione e
consentono il controllo dell‟ambiente.
La rivoluzione neolitica, cioè il passaggio dal nomadismo,
caccia e raccolta, a organizzazioni umane stanziali,
prevalentemente coltivatrici e allevatrici, è stata anche
una rivoluzione educativa.
Ha sviluppato una divisione educativa tra maschi e
femmine e tra addetti alla difesa, alle pratiche sacrali e
alla produzione.
La famiglia ha assunto un ruolo chiave nella riproduzione
delle principali infrastrutture culturali: ruoli sessuali,
ruoli sociali, competenze elementari, introiezione
all‟autorità.
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L‟educazione e l‟apprendimento avvenivano tramite la
partecipazione diretta alle manifestazioni di vita
collettiva funzionali a rinsaldare gli ideali comuni e a
confermare i valori umani condivisi e la partecipazione
alle attività pratiche della vita tribale e familiare.
L‟educazione si svolgeva su modelli semplici e immutati, i
genitori provvedevano all‟istruzione professionale e
contemporaneamente alla formazione della personalità
dei loro figli entro modelli non diversificati e molto fissi
nel tempo.
I cambiamenti e gli sviluppi di questo periodo:
economico, di divisione del lavoro, di stratificazione
sociale, dei sistemi di descrizione e interpretazione
dell‟umano, portarono a mutamenti nella pratica
educativa.
E‟ una pratica che si lega sempre più al linguaggio,
perché sempre più si fa trasmissione di pratiche
discorsive, e non solo di procedure operative, e reclama
una istituzionalizzazione di questo apprendimento in un
luogo deputato a trasmettere la tradizione nella sua
articolazione di saperi diversi: la scuola.
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Alla scuola è stato progressivamente attribuito un ruolo
sempre più importante nella formazione degli individui,
ma, se intesa come diritto-dovere universale, può essere
ritenuto prodotto relativamente recente.
Tuttavia la scuola, pur essendo stata ed essendo un
fondamentale agente educativo, non ha mai racchiuso e
non racchiude in sé tutta l‟esperienza socializzante.
L‟esperienza socializzante deve continuamente
conquistarsi e preservare il proprio ruolo nella formazione
dei soggetti.
Si può quindi asserire che all‟interno di qualsiasi contesto
sociale si è verificata e si verifica la presenza di più ambiti
educativi che concorrono alla formazione dei soggetti per
tutta la durata della loro esistenza.
Sono ambiti ritenuti primari o secondari, naturali o
artificiali, governabili o meno.
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Un difficile ordine
Nel quadro della complessità, è del tutto comprensibile e
ovvia l‟intenzione di organizzare e suddividere in
categorie relativamente omogenee le molteplici e
differenti esperienze educative, cioè tentare di
individuarne un ordine descrittivo (chi/cosa) e
interpretativo (come/ perché).
E‟ possibile suddividere le differenti esperienze educative
ricorrendo ad alcune coppie concettuali che, più di altre,
sono funzionali all‟individuazione e definizione dei
contorni, dei contenuti e dei metodi della pedagogia
sociale.
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Le esperienze educative possono essere suddivise in:
- auspicate/non auspicate: in dipendenza della corrispondenza o meno
dei processi educativi agli auspici sociali derivanti dal sistema di valori
al quale una società nel suo complesso, o i gruppi e le culture che la
dirigono, fa riferimento;
- individuali/collettive: le esperienze coinvolgono le persone
isolatamente o in quanto appartenenti ad una collettività, vale a dire da
una parte ci sono le relazioni dell‟individuo con una qualsiasi figura
educativa, dall‟altra le esperienze che si svolgono per es. in associazioni,
squadre, gruppi;
- professionali/non professionali: dove nell‟una si collocano esperienze
che vedono protagonisti operatori opportunamente formati allo scopo
(educatori, maestri, insegnanti, preti, allenatori) in luoghi/tempi
dedicati intenzionalmente e professionalmente all‟educazione, nell‟altra
figure educative che non agiscono sulla base di un contratto e di
competenze di tipo professionale;
- intra/istituzionali/exta/istituzionali: si differenziano esperienze che
si collocano in luoghi deputati allo scopo (scuola, caserme, residenze e
così via) e come tali riconosciute e legittimate, ed esperienze che non si
realizzano all‟interno di tali luoghi, ma nel diffuso ambiente di vita dei
soggetti, poggiandosi su più luoghi, tempi e occasioni;
- strutturate/destrutturate: si differenziano esperienze che possiedono
organizzazione, setting, procedure, figure professionali, vincoli, ecc.
ampiamente previsti e attuati e dall‟altra esperienze che non le
possiedono o le possiedono in quantità inferiore, in cui l‟intervento
educativo è flessibile e tiene conto degli elementi di variabilità che
caratterizzano il contesto di intervento stesso.
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Segmentare la realtà educativa in altre categorie che sono
diventate dei costanti elementi di riferimento ai quali si
ricorre spesso per posizionare una qualsivoglia esperienza
oggetto di analisi, è funzionale.
La formazione e l‟intenzionalità.
Per quanto riguarda la formalizzazione, l‟educazione è
ripartibile in formale, non formale e informale.
L‟educazione formale riguarda il sistema formativo
riconducibile all‟istituzione scolastica, cioè quella gamma
di azioni intenzionali il cui esito ricercato è certificato dal
rilascio di un titolo di studio riconoscibile e spendibile sia
per proseguire nell‟iter scolastico, sia per accedere
all‟attività professionale.
L‟educazione non formale riguarda le azioni formative
realizzate all‟esterno dell‟istituzione scolastica, ma sono
anch‟esse dotate di progetto, d‟intenzionalità e di
contratto, in cui la distinzione tra formatore e soggetto in
formazione è chiara ed esplicitata; non si rilasciano, con
tale educazione, titoli di studio, anche se le competenze
acquisite possono contribuire a riposizionare il soggetto
rispetto alla propria carriera e aspirazioni professionali.
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L‟educazione informale riguarda l‟insieme di esperienze
formative che non sono riconducibili a luoghi, tempi e
azioni dichiarati ma concernenti la complessiva e
quotidiana esperienza di vita del soggetto.
Le esperienze formative possono essere ripartite in:
intenzionali, non dichiaratamente intenzionali e non
intenzionali.
Le esperienze intenzionali sono quelle che, ovviamente,
come tali si dichiarano, indipendentemente dal
conseguimento di una certificazione finale.
Le esperienze educative non dichiaratamente intenzionali
sono quelle che tendono a modificare o a modellare
atteggiamenti, comportamenti, abitudini e opinioni dei
destinatari senza essere dichiarate tali e senza sottostare a
una diretta o indiretta negoziazione rispetto agli
obiettivi, agli esiti e ai procedimenti da parte dei soggetti
in formazione.
Le esperienze non intenzionali riguardano gli esiti
formativi che non sono riconosciuti, previsti e ricercati in
quanto tali né dai produttori né dai destinatari: dai
rapporti amicali agli effetti di uno spettacolo televisivo,
dagli eventi sportivi alle catastrofi naturali.
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La pedagogia sociale come scoperta, invenzione e
organizzazione
La pedagogia generale tende sempre più a configurarsi sia
come pedagogia (longitudinale) del corso della vita che
come pedagogia (trasversale) della totalità dell‟esistenza
dei soggetti individuali e collettivi.
All‟interno della pedagogia si è assistito e si assiste ad un
progressivo delinearsi di aree e problematiche riguardanti
oggetti specifici che si presentano come grumi di
riflessione e di azione differenziati.
Questo è il caso della pedagogia speciale (ora delle
disabilità e dell‟integrazione) e della pedagogia
interculturale.
In entrambi i casi, stante un‟accentuazione
dell‟attenzione educativa nel primo, e la necessità di
affrontare anche pedagogicamente i percorsi migratori nel
secondo, si sono costituite due aree d‟interesse pedagogico
distinte, che si configurano come specializzazioni della
pedagogia generale e che hanno dato luogo a proprie
teorie intermedie di riferimento, prassi di ricerca,
atteggiamenti scientifici, percorsi di formazioni e modelli
operativi.
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Per quanto riguarda la pedagogia sociale, la sempre
maggiore complessità e la frammentazione della società
contemporanea, il peso crescente che assumono le
esperienze educative diffuse, il loro incrementarsi in
sempre più dilatati luoghi e tempi, hanno reso necessario
ritagliare uno spazio di approfondimento specifico
rispetto alla socializzazione extrascolastica in tutta la sua
svariata fenomenologia.
L‟ambito della pedagogia sociale non ha univoca
interpretazione per quanto attiene la definizione del
campo di ricerca e dei settori d‟intervento.
A rivelarsi problematico è proprio il tentativo di trovare
il nesso stabile tra educazione e società, cioè la loro
possibile correlazione chiarificatrice.
L'incertezza che aleggia attorno alla pedagogia sociale
non ha impedito e non impedisce la ricerca di
sistematizzazioni concettuali attorno alla sua identità e ai
suoi caratteri distintivi.
Alcuni di questi tentativi di sistematizzazione possono
essere individuati ricorrendo ad autori che hanno negli
ultimi decenni affrontato il tema.
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Secondo Aldo Agazzi, la pedagogia sociale potrebbe
essere intesa, per un verso, come pedagogia dell'ambiente
sociale e storico-culturale e, per un altro verso, come
ambito in cui si definiscono i compiti educativi di una
società e i conseguenti modi per soddisfarli.
Questo richiamerebbe l'attenzione verso alcune
problematiche: l'educazione dell'uomo alla società, intesa
come processo di promozione della sua connaturata
socialità, e i compiti della società in vista dell'educazione
della persona.
In altri termini, seguendo Agazzi, si tratta del problema
di ciò che l'uomo e la donna devono essere e fare per la
società, e di ciò che la società deve essere e fare per loro.
Quello che emerge è la prospettiva di una società come
educatrice, come soggetto educante e a questa
prospettiva deve essere ricondotta la pedagogia sociale.
In questo senso, la pedagogia sociale si definisce
nell'attenzione che rivolge alla società intesa come
operatrice e soggetto attivo dell'educazione delle persone
che la costituiscono nel loro valore intrinseco e nella loro
dimensione comunitaria.
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L'accento può dunque essere posto sulla società che
educa, sul programma educativo che qualsiasi società
deve porsi, ma può essere posto anche sul discorso
orientato all'educazione sociale, intesa come promozione
della persona nella dimensione sociale.
Ovviamente, in questo caso, la pedagogia sociale non può
limitarsi a registrare e studiare i fenomeni in questione,
ma deve configurare modelli di intervento tendenti a
migliorare il comportamento umano sul piano
interpersonale e collettivo.
È il nesso tra educazione e società che costituisce
comunque lo sfondo per l'individuazione degli elementi
distintivi della pedagogia sociale, ma uno sfondo molto
ampio sul quale è necessario individuare dei filoni
specifici di interesse e approfondimento.
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A ciò contribuisce Domenico Izzo, secondo il quale la
pedagogia sociale si delinea in quattro stadi o indirizzi: il
primo si configura come riflessione sull'educazione in
genere, con il compito di elaborare il concetto di
educazione in chiave sociale e di contribuire a connotare e
integrare le finalità espresse dalle varie situazioni sociali,
il secondo è quello di educare nella società,
mediante la società, e per la società; il terzo intende la
pedagogia sociale come pedagogia per i casi di necessità,
nel senso sia del soccorso che della prevenzione e prevede
l'incontro con le politiche sociali, anzi la stessa educazione
è considerata una politica sociale; il quarto riguarda
un'educazione intesa come aiuto alla vita, una pedagogia
dell'impegno nei confronti del rischio di degrado sociale
connesso agli aspetti economici, sociali e attuali.
In tempi più recenti, in particolare in questo ultimo
decennio, sono state prodotte ulteriori rilevanti riflessioni
dedicate alla pedagogia sociale, nelle quali è stata
affrontata la questione della sua definibilità e
legittimazione in quanto regione pedagogica distinta, in
connessione con l'individuazione dei suoi principali
orientamenti metodologici e delle sue principali aree di
competenze.
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Secondo Vincenzo Sarracino, la pedagogia sociale non è
solo un'area pedagogica al cui interno sono rintracciabili e
analizzabili contenuti e metodi distinti e propri, ma
diventa anche un ambito di produzione valoriale rispetto
all'umano da formare e al mondo da immaginare, e, in tal
senso, si pone anche come un faro per gli operatori
dell'educazione.
Alessandrini sottolinea che la pedagogia sociale può
essere definita lo studio della formazione dell'uomo nei
vari contesti sociali attraverso i quali si attua la
partecipazione alla vita, un contenitore disciplinare di
estrema ampiezza che individua numerosi filoni di
ricerca, diversi impianti valoriali e logiche organizzative
multiple.
Per Antonino Mangano la pedagogia sociale si occupa del
rapporto educazione-società in due direzioni
fondamentali, il primo: "l'influenza o azione della società
sulla crescita umana", il secondo: "l'azione
dell'educazione, nei suoi aspetti sia formali che non
formali e informali, sulla società.
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Franco Blezza intende per pedagogia sociale quella
disciplina o scienza pedagogica, quella branca della
pedagogia generale, che si occupa dell'educazione non
istituzionalizzata in quanto tale e avrà sede in tutti quei
luoghi che sono educativi in quanto sociali, e non
viceversa: la famiglia e, prima, la coppia; le aggregazioni
sociali; e quelle entità che prendono luogo in tutto o in
parte dell'una o delle altre.
La pedagogia sociale può essere considerata un'area di
interesse interna alla pedagogia, storicamente situata, le
cui caratteristiche risentono del contesto (economico,
culturale, politico) in cui "si pensa" ed è pensata.
Un'area il cui oggetto di attenzione è rappresentato da
quella gamma di azioni educative che muovono dal
considerare i soggetti come portatori, in potenza e in atto,
di alcuni, pur storicamente mutevoli, diritti di
cittadinanza acquisibili mediante azioni formative
collocate nell'ampia dimensione e nelle molteplici
articolazioni della vita quotidiana.
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Le attenzioni sono dunque rivolte ad alcune dimensioni
esistenziali degli individui che si suole ricondurre al
cosiddetto sociale, cioè all'ambiente in cui si svolge la
propria vita.
In questo senso, la pedagogia sociale ha come proprio
oggetto di interesse l'intervento nel sistema delle macro-
relazioni sociali che condizionano o possono condizionare,
gruppi particolari di popolazione, comunità, nuclei
familiari ecc. in rapporto a situazioni che ne limitino la
potenzialità, l'accesso alle risorse economiche, culturali e
informative e l'esercizio dei più elementari diritti.
La pedagogia sociale si configura come un'attenzione
teorica e operativa tendente a scoprire e a inventare
alcune dimensioni dell'educazione dei soggetti e a renderli
intenzionalmente educativi attraverso il rafforzamento,
la modifica o l'eliminazione di alcuni elementi costitutivi.
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Nello specifico, la pedagogia sociale può essere intesa
come tentativo di:
- rintracciare educazione là dove questa non si mostra
esplicitamente e non è riconosciuta dai soggetti che vi
sono coinvolti;
- organizzare educazione nelle molteplici dimensioni
dell'ambiente di vita, in direzione del conseguimento di
obiettivi, e con contenuti e strumenti ritenuti legittimi;
- dilatare nel tempo e nello spazio luoghi occasioni
educative;
- preservare o ampliare le pari opportunità formative per
l'insieme dei soggetti.
In ogni caso, la pedagogia sociale non può essere
considerata disciplina contemplativa, bensì
trasformativa, non è solo studio dell'educazione, ma
studio finalizzato alla trasformazione, al cambiamento
nelle sue differenti declinazioni metodologiche e
contenutistiche.
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È dunque evidente quanto il campo privilegiato d'analisi
e di intervento della pedagogia sociale sia l'educazione
informale e la possibilità di trasformare parti di
educazione non intenzionale, o non dichiaratamente
intenzionale, in educazione intenzionale.
Per trasformazione in educazione intenzionale deve essere
inteso, nello specifico, il processo di disvelamento,
decodifica ed esplicitazione della formatività delle
esperienze individuali e collettive e l'ampliamento dei
margini di negoziazione tra coloro che devono formarsi e
formatori rispetto alla definizione di un progetto
condiviso.
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In sintesi, la pedagogia sociale, nella sua configurazione
teorica e negli orientamenti che genera, si pone come
risultato di mediazioni e negoziazioni tra:
- parti del generale sapere pedagogico prodotto in una
data società, cioè di un sapere che esprime, rielaborandole
nel proprio campo di produzione e di applicazione,
culture e visioni del mondo più o meno organiche e
convinte presenti in un dato periodo storico;
- le dinamiche tra problemi/ bisogni/domande dei soggetti
individuali e collettivi e le politiche/i servizi/gli interventi
sociali ed educativi a loro rivolti o non rivolti;
- uno specifico sapere sociale che non si nutre
esclusivamente di un presunto/reale unitario e distinto
sapere pedagogico, ma anche di riflessione afferenti ad
altre aree di ricerca quali quella sociologica,
antropologica, delle politiche sociali, del governo dei
territori.
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Il territorio educante
Per non rimanere vago e imprecisabile riferimento, la
dimensione sociale e l'educazione a essa riferita non
possono rimanere astrazioni concettuali generali, ma
devono trovare ed essere collocate su un piano di
riferimento, e tale piano può essere individuato nel
territorio, inteso come luogo materiale e immateriale
densamente abitato da esperienze educative e da soggetti
individuali e collettivi portatori di quei problemi, bisogni,
domande, verso cui s‟indirizzano, o non si indirizzano,
risposte educative.
È quindi proprio nel territorio che il discorso generale
astratto, teorico, ideale attorno al rapporto tra
educazione e società si trasforma in discorso particolare
osservabile e costruibile, cioè in un insieme di fatti in cui
si intrecciano, articolate e contestualizzate, tutte le
problematiche e tutte le contraddizioni proprie della
pedagogia sociale.
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Il territorio, nella forma che storicamente assume, si
presenta in sé, nell'organizzazione e nel suo governo,
come luogo formativo generale.
E‟ molteplicità di spazi relazionali in atto o in potenza, in
cui avviene un incontro educativo, spazi innumerevoli e
che non consistono solo in quelli in cui la relazione
educativa è riconoscibile, dichiarata e governata.
Non esistono cioè spazi di per sé educativi e spazi per sé
un educativi: tutti sono da considerarsi potenzialmente
educativi perché i processi di formazione e crescita
avvengono ovunque, anche se non tutti i luoghi in cui
sono ospitati hanno lo stesso spessore e gli stessi esiti.
Esistono spazi attrezzati allo scopo, cioè luoghi
identificati e riconosciuti come educativi perché creati e
strutturati intenzionalmente in funzione di uno scopo
educativo, con una destinazione che permane nel tempo,
tuttavia l'educazione è diffusa in tutto il territorio, in
ambiti privati, quali quelli familiari, quelli pubblici quali
oratori, biblioteche, palestre e così via.
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Ambiti nei quali le finalità e le prassi educative possono
essere rintracciate, anche se tali esperienze educative non
si dichiarano o come tali non sono riconosciute, ma
ricondotte alle categorie dell'aggregazione, dell'utilizzo
del tempo libero, della cura di sé e degli altri, della
cultura e così via.
Inoltre, altri pezzi di territorio possono diventare luoghi
in cui si rilevano relazioni educative, occasionali o
permanenti, esplicite o inconsapevoli: la strada, il cortile,
il giardinetto, il centro commerciale, il bar e altro, luoghi
questi che, non a caso, il lavoro educativo territoriale
considera come importanti e metaforiche “aule” per
sviluppare la propria azione.
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I diritti e l’autonomia
Il territorio, nella sua complessità, costituisce il campo di
azione della pedagogia sociale, il piano cioè dove si
evidenziano gli obiettivi e le mobilità del lavoro
educativo territoriale.
Obiettivi e mobilità che emergono nel qui e ora a seguito
dell'intreccio tra alcuni fattori:
- le idee generali e particolari di società ed educazione
proprie dei soggetti coinvolti, cioè quello che è
considerato auspicabile e opportuno per la generalità, o
per una parte, degli individui in termini di
caratteristiche, comportamenti, valori, saperi acquisibili
o recuperabili;
- le negoziazioni tra i vari attori presenti in un contesto;
- la verifica dell'efficacia delle agenzie formative
tradizionali e del loro rivendicare a sé, o delegare ad altri,
alcuni compiti educativi.
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In questo senso, l'educazione deve essere sempre
indagata, e la pedagogia non può che essere critica
dell'educazione interessata da una gamma di ineludibili
domande: educazione da chi e per chi, educazione perché
e per cosa, e questo per tutti livelli di formalizzazione e
intenzionalità.
Le finalità della pedagogia sociale sono cioè riconoscibili
sostanzialmente nel rafforzamento e nella diffusione della
vita democratica intesa come attività e costante difesa,
tutela e promozione di diritti umani.
Quella che si configura è quindi una tradizione
pedagogica- sociale collegata a quel filone democratico,
progressista ed emancipativo che molto spazio e ruolo ha
avuto nella pedagogia degli ultimi anni.
I compiti attuali della pedagogia sociale sono ricavabili
dal riconoscimento di alcuni diritti di cittadinanza così
come sono stati progressivamente definiti, pur non
essendovi nulla di più storicamente situato e incerto
quanto il tipo e la quantità dei diritti
riconosciuti/posseduti/rivendicati/praticati in un dato
contesto sociale.
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Anche in questo caso però è necessario individuare un
minimo comune denominatore che, lungi dal collocarsi sul
piano del valore eterno e assoluto, possieda una qualche
utilità per il proseguimento della riflessione, e a tal fine, il
concetto di autonomia si presenta come sufficientemente
e utilmente ordinatore.
L'autonomia può essere considerata come connaturata
all'essere umano, quasi una dotazione genetica che deve
essere solo disvelata ed educata, oppure può, all'estremo
opposto, essere considerata come culturalmente concepita
e prodotta; può essere ritenuta il lineare e meccanico
frutto del condizionamento ambientale o, in netta
antitesi, come lo sguardo del soggetto che costruisce il
proprio ambiente.
È concepibile come un diritto dell'individuo, una
molteplicità di emancipazioni e, nello stesso tempo, come
un dovere connesso all'acquisizione progressiva dei ruoli
sociali e familiari.
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L'autonomia come concetto qualitativo ordinatore delle
finalità del lavoro educativo territoriale rappresenta
altresì il concetto quantitativo ordinatore degli obiettivi
che dalle finalità discendono: il lavoro educativo tende a
far sì che il soggetto raggiunga una certa autonomia, la
ampli, la mantenga o che la riduca.
L'autonomia necessita dell'apprendimento, di
informazioni, strumentazione e capacità riguardanti
diverse dimensioni del soggetto: fisica, psichica,
relazionale.
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Analisi e commento del capitolo secondo (Alla ricerca di
origini e prospettive della pedagogia sociale) del libro
Pedagogia sociale di Sergio Tramma
Alcune decisioni per la ricerca
Molti tra le autrici e gli autori che si sono occupati di
pedagogia sociale hanno ritenuto opportuno includere
nella loro ricerca il tentativo di ricostruire la genesi e lo
sviluppo, a proposito sia del suo formarsi come distinta
area di riflessione pedagogica, sia della progressiva
inclusione al suo interno di quelle componenti teoriche ed
esperienziali non strettamente pedagogiche, che hanno
comunque contribuito a determinare le diverse sfumature
d‟identità.
L‟origine della pedagogia sociale è rintracciabile in tutte
quelle ricerche, maturate all‟interno di più ambiti
disciplinari ed esperienziali, in cui si è posto il problema
di affrontare teoricamente i nessi tra le pratiche
educative e l‟assetto della società esistente o auspicata.
L‟ampia discrezionalità presente nei tentativi di
definizione della pedagogia sociale, si riversa
nell‟individuazione delle sue origini fondative e nella
storia che da tali origini si è poi sviluppata.
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E‟ una discrezionalità, anche in questo caso, connaturata
dall‟oggetto di studio: mancando infatti univocità e
condivisione per la definizione di tale oggetto di studio, se
non il troppo vago rapporto tra educazione e società, le
origini e la storia della pedagogia sociale potrebbero
arrivare a coincidere, da una parte, con le origini e la
storia dell‟educazione tutta (qualsiasi manifestazione di
essa) e, dall‟altra, con l‟origine e la storia della società ,
ovverosia con le origini e la storia del rapporto tra
educazione e società, non potendovi essere l‟una senza
l‟altra.
La ricerca delle origini e dello sviluppo della pedagogia
sociale è aperta e discrezionale, vive il destino di ogni
ricerca attorno a un oggetto complesso, in qualsiasi
campo del sapere si collochi.
Sulla base delle precedenti considerazioni, si rivela di
conseguenza opportuno esplicitare le
motivazioni che hanno determinato la scelta di alcune
aree di origine e di sviluppo.
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La pedagogia sociale non può ridursi alla ricerca relativa
all‟azione educativa tendente a formare gli individui alla
socialità, alla comunità o altro, intese come categorie
connaturate alla natura umana o a qualche componente
di essa.
Se il campo d‟indagine della pedagogia sociale è costituito
dal passaggio all‟intenzionale, al consapevole, al
progettuale, delle esperienze e dei progetti educativi che,
in un dato periodo storico e in un dato contesto socio-
culturale, coinvolgono i soggetti all‟interno delle
principali esperienze formative socialmente concordate e
istituzionalmente preposte, allora la ricerca si configura
innanzitutto come tentativo minimalista di individuare
l‟origine e lo sviluppo di alcune delle parole che hanno
contribuito a determinare gli attuali discorsi sulla
pedagogia sociale.
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Le origini moderne possono essere rintracciate dentro i
movimenti, le attenzioni politiche, culturali e
pedagogiche degli anni Sessanta-Settanta, che hanno
affrontato temi quali:
- la critica all‟istituzione scolastica considerata
insufficiente e nociva;
- l‟attenzione alle condizioni di vita complessiva dei
soggetti individuali e collettivi, nel tentativo di superare
la riduzione disciplinare e amministrativa dei servizi alla
persona;
- l‟educazione come pratica di emancipazione e
liberazione;
- la valorizzazione del territorio come ambito privilegiato
di partecipazione, autogoverno e formazione.
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L‟individuazione di questi nuclei è un‟operazione attuale
influenzata dalle ipotesi di sviluppo future, quasi una ricerca
delle radici in vista degli impegni cui è chiamata o potrebbe
essere chiamata l‟attenzione pedagogico-sociale in relazione a
processi quali:
- accentuazione della ridistribuzione dei carichi e degli effetti
formativi tra le varie esperienze ed esigenze che coinvolgono gli
individui nel corso della loro esistenza;
- la crisi del welfare state con i tentativi di attribuire compiti d
tutela, cura e autopromozione e, in parallelo, con le strategie
tendenti a privatizzare e managerializzare i servizi alla persona;
- i cambiamenti riguardanti la situazione etnica e culturale,
l‟identità di genere, il senso di appartenenza, l‟associazione tra
progresso e sviluppo economico;
- il crearsi di nuovi paradigmi informali per l‟analisi della realtà
e l‟azione nei suoi confronti, il venir meno delle grandi
narrazioni a cui fare riferimento per inquadrare la realtà.
La decisione è dunque di collocare la nascita della pedagogia
sociale nel secondo dopoguerra fino alla fine degli anni Settanta.
Le origini della pedagogia sociale si collocano quindi nel
cosiddetto trentennio d‟oro e nei contraddittori processi che lo
hanno caratterizzato: sviluppo economico, prima omologazione
culturale, unificazione linguistica, consolidamento e rotture
epistemologiche, nuove forme di partecipazione e così via.
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La complessità del soggetto
La necessità di individuare un campo di specifiche azioni
e teorie riconducibili alla pedagogia sociale è una
necessità determinata anche dall‟accentuazione della
complessità delle condizioni, delle aspirazioni e dei disagi
degli individui e della collettività, cioè dal tentativo di
restituire ai soggetti quella complessità che spesso non si
è riscontrata e non si riscontra nelle tradizionali
segmentazioni delle politiche e degli interventi rivolti alle
persone.
La necessità di una pedagogia sociale nasce quindi anche
dal moltiplicarsi di progetti e interventi che hanno avuto
come oggetto di attenzione i bisogni complessivi di
soggetti ritenuti deboli e hanno restituito alle azioni
assistenziali, culturali ed educative la loro dimensione
sociale più ampia.
In questi anni sono emersi nuovi luoghi educativi, nuovi
soggetti educabili, nuovi educatori.
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La produttiva contaminazione tra culture differenti ha
aperto nuovi campi di ricerca e di azione (dagli interventi
preventivi e promozionali, all‟estensione di opportunità
educative extrascolastiche normali a soggetti deboli,
precedentemente interessati da percorsi educativi
differenziali o speciali, dal valutare essenziale l‟apporto
autonomo dei soggetti nell‟individuazione e costruzione
di percorsi finalizzati alla fuoriuscita da situazioni
problematiche, al ritenere, per esempio, che la salute,
nella sua dimensione individuale e collettiva, possa essere
preservata o riacquisita anche attraverso azioni
educative).
Alla figura dell‟insegnante delle scuole di ogni ordine e
grado, si affiancano nuove figure che, in relazione alle
tradizioni da cui derivano, al contesto in cui operano e
alle didattiche che utilizzano, vengono definite educatori,
formatori, facilitatori, animatori e così via.
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Tra antiche, attuali e future descolarizzazioni
Un fattore significativo nella ricerca sulle origini della
pedagogia sociale riguarda l‟insieme di quei fenomeni
riconducibili, seppure con qualche forzatura, all‟interno
del processo di descolarizzazione della società.
La descolarizzazione può essere considerata un
contenitore al cui interno si trovano differenti modi di
intendere le funzioni, i limiti e le possibilità della scuola.
Sono rintracciabili posizioni radicalmente critiche nei
confronti dell‟istituzione poiché ritenuta incapace di
emancipare/liberare i soggetti; altre posizioni che la
giudicano insufficiente, seppur intenzionata ad assolvere i
suoi compiti, altre ancora in cui sembra che la
preoccupazione principale rispetto alla scuola non
sarebbe tanto la formazione complessiva dei soggetti, ma
l‟incapacità a prepararli per le esigenze degli attuali
assetti organizzativi e produttivi del lavoro.
Un elemento comune a tutte è la convinzione della
conclamata e irreversibile crisi della scuola che è guardata
con preoccupazione per gli effetti negativi che potrebbe
avere.
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La descolarizzazione estrema e l‟educazione all‟incertezza
La descolarizzazione trova uno dei suoi principali
esponenti in Ivan Illich.
La sua posizione è esplicita e netta: per la maggior parte
delle persone l‟obbligo della frequenza scolastica è un
impedimento al diritto di apprendere, l‟aspirazione
all‟istruzione universale non è obiettivo raggiungibile
attraverso l‟istituzione scolastica, e ciò vale anche in
presenza di eventuali radicali cambiamenti riguardanti la
didattica, le risorse e l‟atteggiamento degli educatori.
Per Illich la scuola è un‟istituzione insufficiente, non
riformabile neppure con interventi drastici, un ostacolo
insormontabile posto davanti ai diffusi bisogni di
apprendimento.
Secondo l‟autore la scuola esercita sulla società un reale e
diffuso effetto antieducativo, in quanto viene considerata
la sola istituzione specializzata nell‟istruzione e ciò a
causa di un‟illusione di cui si alimenta e con la quale si
rappresenta ed è vissuta.
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L‟illusione su cui si fonda il sistema scolastico consiste
nella convinzione che la maggior parte
dell‟apprendimento derivi dall‟insegnamento, mentre
Illich sostiene che quasi tutto ciò che si impara “lo si
apprende casualmente” e che anche l‟apprendimento più
intenzionale non è il risultato di un‟istruzione
programmata.
Ogni tentativo di indirizzare interventi di protezione
istituzionale non produce una diminuzione dello
svantaggio, ma determina una sua nuova riformulazione.
Quella che si attiva, per Illich, è una concatenazione
perversa.
Il coinvolgimento delle nuove generazioni nel sistema
scolastico rappresenta non un moto anticipatorio nei loro
confronti, ma un processo di socializzazione forzata per
inserirle in una società la quale ha bisogno della
specializzazione disciplinata tanto dei suoi produttori
quanto dei suoi consumatori, e anche della loro adesione
totale a un‟ideologia che pone al primo posto la crescita
economica.
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Si pone la questione di applicare logiche e concepire
progetti formativi radicalmente differenti da quelli in cui
la scuola assume una posizione centrale.
L‟alternativa alla scuola è rappresentata da una rete
formativa immediatamente fruibile, in grado di offrire ad
ognuno la stessa possibilità di mettere in comune ciò che
lo interessa in quel momento, con altri che condividono il
suo stesso interesse, una rete in grado di stabilire
un‟alleanza diversa tra i soggetti coinvolti e di poter
assicurare universali possibilità di apprendimento e di
insegnamento.
Quella di Illich è la proposta di un‟educazione che fa a
meno delle mediazioni istituzionali e si rivolge alla trama
delle interazioni sociali, a reti di servizi disponibili per
un‟effettiva reciprocità dello scambio educativo e a
itinerari individuali di formazione.
Alle istituzioni scolastiche, che servono agli scopi
dell‟insegnante, devono sostituirsi strutture relazionali
che permettano a ognuno di definire se stesso
apprendendo e contribuendo all‟apprendimento degli
altri.
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Illich propone un sistema alternativo i cui principali
obiettivi sono:
- assicurare a tutti coloro che sono portatori di una
domanda di apprendimento di accedere alle risorse
disponibili in qualsiasi momento della loro vita;
- consentire a tutti coloro che sono portatori di un‟offerta
formativa di poter entrare con coloro che si possano
avvantaggiare di tale offerta;
- offrire la possibilità a tutti quelli che vogliono
sottoporre a pubblica discussione un determinato
problema di poter fruire di canali informativi in grado di
comunicare a tutti tale intento.
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73
Per potere raggiungere questi obiettivi lo studente deve poter
accedere a un insieme organico di risorse didattiche, in
particolare:
- servizi per la consultazione di oggetti didattici, intesi come
luoghi in cui siano reperibili risorse, materiali e processi,
utilizzabili per l‟apprendimento. Tali risorse dovrebbero esser
rintracciabili in parte nei luoghi formali (biblioteche, musei,
laboratori, teatri) e in parte nei luoghi della vita quotidiana
(fabbriche, aeroporti, fattorie), sia da coloro che frequentano
questi luoghi per motivi professionali, sia da coloro che
manifestano l‟interesse ad apprendere;
- centrali delle capacità, intesi come luoghi in cui i possessori di
sapere di sapere fare possono esporre i loro prodotti ad altri, a
coloro cioè che ritengono le capacità esposte dai produttori
funzionali al loro percorso autonomo di apprendimento;
- assortimento degli eguali, inteso come rete di comunicazione volta alla
ricerca e all‟attivazione di una dimensione collettiva
dell‟apprendimento, in cui la domanda dell‟apprendimento possa essere
esplicitata, con l‟intento di verificarne la condivisione con altri e la
possibilità di intraprendere percorsi comuni;
- servizi per la consultazione di educatori, consistenti in una sorta di
pagine gialle intelligenti, all‟interno delle quali sarebbero compresi tutti
gli elementi utili a descrivere le offerte formative di coloro che si
pongono nella posizione di nuovi formatori.
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74
La descolarizzazione di Illich, la critica radicale all‟istituzione
scolastica e l‟illusorietà attribuita agli effetti delle
discriminazioni positive verso i soggetti penalizzati, sembrano
assomigliare, per quanto riguarda le proposte alternative, a un
libero mercato dell‟incontro tra la domanda e l‟offerta, una
sorta di liberismo.
Le posizioni dei descolarizzatori sono state sottoposte a critiche
e hanno aperto un controverso dibattito tra i teorici della
società educante e i teorici delle istituzioni educanti.
Per i primi è la vita che educa, non le istituzioni, le quali sono
considerate gabbie, quasi sempre terreno di manipolazione,
inquinamento e sterilizzazione degli autentici linguaggi che si
utilizzano nella vita di tutti i giorni.
In posizione opposta si trovano coloro che mettono in dubbio
qualità e democraticità educative della società perché questa
oltre che della sfera economica, è padrona anche di ogni altra
dimensione della vita civile e culturale.
Oggi, in un momento storico nel quale la società ci appare
descolarizzata, la descolarizzazione pare riemergere,
riformulandosi in orientamenti coerenti con le esigenze
formative del modello di sviluppo attuale economico-sociale.
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Il territorio gentilmente formativo
Non vi sono solo posizioni estreme alla Illich, vi sono
anche posizioni che pur non potendo essere definite tali in
senso stretto, sottolineano l‟importanza del territorio, e di
ciò che esso può ospitare, nella formazione complessiva
dei soggetti, soprattutto di coloro che hanno raggiunto
l‟età adulta, cioè un‟età della vita tradizionalmente
considerata post-scolare, se non del tutto post-formativa.
Si pensa che l‟educazione non dovrebbe avvenire a scuola
o nei college, ma attraverso la predisposizione e
l‟attivazione di un consorzio di tutte le risorse di
apprendimento presenti nella comunità, rivolto a tutte le
età della vita.
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76
In particolare, Knowles indica le principali componenti di
tale sistema:
- istituzioni: istituzioni educative specializzate, servizi
sanitari e sociali, musei, biblioteche e così via;
- organizzazioni private: sindacati, cooperative di
produttori e di consumatori, organizzazioni politiche,
sociali, culturali e così via;
- imprese economiche: società e associazioni di società di
tutti i settori produttivi;
- media;
- eventi episodici: dalle mostre alle gite, dalle fiere alle
celebrazioni collettive;
- risorse ambientali: parchi, riserve e così via;
- persone: specialisti, vicinato, famiglie, anziani.
Quello che è interessante sottolineare della posizione di
Knowles è la convinzione che la scuola, in termini di
obiettivi di socializzazione, stili didattici ed efficacia
formativa, non possa più essere considerata come
principale luogo deputato alla formazione del cittadino.
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E la scuola?
Secondo Gianni Balduzzi e Vittorio Telmon, l‟istituzione
è in crisi evidente, è circondata da sentimenti sempre più
marcati di sfiducia e, malgrado gli sviluppi di questi
ultimi decenni, l‟alone positivo che la circondava è
svanito.
Tra i molti aspetti che caratterizzano la crisi della scuola,
alcuni interessano direttamente chi è impegnato nel
lavoro educativo territoriale, ad es. la frattura fra i
messaggi, anche dal profondo significato etico (pace,
ambiente, legalità) che la scuola propone e che la
quotidianità contraddice apertamente.
La scuola rischia dunque di essere accusata di
autoreferenzialità, cioè di porsi come un sistema chiuso,
autosufficiente e isolato.
Nei confronti della presunta chiusura della scuola, sono
maturati inviti all‟apertura nei confronti del territorio, di
ciò che materialmente e immaterialmente la circonda.
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La scuola dovrebbe cioè accogliere e rielaborare “bisogni,
aspirazioni e stimolazioni, predisponendo strategie idonee
per offrire risposte adeguate”.
Riemerge l‟obiettivo del “sistema formativo integrato”:
la costruzione di un quadro concettuale e istituzionale, in
cui le risorse economiche e le competenze presenti nei
diversi sistemi territoriali concorrano intenzionalmente a
disegnare un quadro formativo in cui si definiscano con
chiarezza le funzioni della scuola, senza caricarla dei
compiti che si tende a delegarle per le difficoltà e le
carenze di chi dovrebbe svolgerli, ma che da sola non è in
grado di affrontare.
Si assiste, infatti, da una parte, al ridimensionamento
della scuola come istituzione principe della formazione
dell‟individuo a fronte di una maggiore flessibilità di
occasioni formative; dall‟altra, si assiste al moltiplicarsi
dei messaggi di aumento della responsabilità educativa
della scuola verso le giovani generazioni attraverso
operazioni sostitutive o compensative degli
apprendimenti prodotti da famiglia, mass media, gruppi
di pari e così via.
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Secondo le considerazioni di Balduzzi e Telmon la scuola si
presenta come un ambiente artificiale, finalizzato a sviluppare
l‟apprendimento e quindi come spazio all‟interno del quale
vengono costruiti e vissuti percorsi formativi intenzionali e
razionali.
La scuola dovrebbe rimanere un presidio educativo consapevole
della propria essenzialità e dei modi e dei tempi opportuni per la
formazione degli individui e dovrebbe esserlo proprio nei
confronti del suo territorio di riferimento.
La scuola quindi rivendica la propria essenzialità nella
formazione dei soggetti e la rivendica non tanto in termini
quantitativi o di occupazione degli spazi di educabilità degli
individui, quanto in termini di erogazione di saperi e di
competenze per orientarsi nella complessità di una realtà in
costante trasformazione.
In conclusione, ai descolarizzatori va dato merito di avere
sottolineato e riproposto con forza il riconoscimento dello
spessore antropologico e culturale dell‟exstrascolastico e delle
possibilità di definire il territorio naturale e sociale come aula
decentrata, come luogo in cui si rintracciano, stimolano e
producono molteplici esperienze aggregative, culturali e
formative.
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L’educazione permanente
La riflessione sulla descolarizzazione si connette
strettamente a quella sull‟educazione permanente, perché
condivide medesimi oggetti di attenzione e perché
entrambe hanno in comune una notevole carica
riformatrice relativamente al senso della formazione delle
persone e agli assetti sociali entro i quali si svolge.
Se la prima rappresenta una strategia tendente a
ridiscutere la gerarchia dei luoghi educativi, la seconda
rappresenta un profondo ripensamento dei tempi
educativi, pur, a differenza di alcune posizioni
descolarizzatrici, non considerando il tempo della scuola
come nocivo in sé, bensì come un tempo che deve essere
valorizzato, ampliato e del quale deve poterne fruire la
maggior parte delle persone, soprattutto quelle fragili e
deprivate.
L‟educazione permanente e la descolarizzazione
rappresentano una concezione diversa dell‟educazione
rispetto a quella che si posiziona prevalentemente
nell‟incrocio tra le prime fasi della vita e scuola.
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81
L‟educazione permanente e la descolarizzazione si
collocano nella prospettiva della continuità
dell‟educazione e della dilatazione dei luoghi formativi,
prospettando il superamento di un sistema chiuso di
insegnamento (fondato sul sistema formale) verso un
sistema aperto di apprendimento che dovrà proseguire
per tutta la vita e in cui la scuola sarà soltanto uno dei
canali possibili.
In questo senso è opportuno sottolineare i principi
identitari della pratica educativa democratica, ispirata
dall‟educazione permanente: eguaglianza, globalità e
partecipazione.
L‟eguaglianza rappresenta il requisito indispensabile delle
azioni educative ispirate dalla visione permanente
dell‟educazione: questa deve essere estesa a tutti i
cittadini indipendentemente dall‟età, dal ceto e dalla
professione e deve prolungarsi per tutto l‟arco della vita e
non per un periodo più o meno lungo di essa.
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82
A ciascuno devono essere offerte opportunità, anche
tramite una strategia di discriminazione positiva cioè una
strategia inegualitaria per l‟eguaglianza che indirizzi
maggiori risorse verso chi è collocato in una condizioni di
svantaggio sociale e culturale.
Eguaglianza, pari opportunità e discriminazione positiva
devono tendere allo sviluppo della globalità del soggetto.
Alle persone impegnate nelle esperienze formative deve
essere consentito di collegare i molteplici aspetti e i
diversi itinerari della propria vita, al fine di meglio
comprenderli e di mobilitare il proprio potenziale
individuale.
Le azioni educative devono quindi consentire lo sviluppo
globale della personalità dei soggetti e non riferirsi a uno
dei possibili ruoli interpretati sullo scenario sociale.
L‟educazione permanente è quindi anche educazione alla
partecipazione e al cambiamento della collettività, e
modalità essa stessa di partecipazione e cambiamento.
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83
Le pratiche formative ispirate dall‟educazione
permanente non sono contemplative o semplicemente
connesse a una dimensione trasformativa individuale e
collettiva.
La partecipazione è intesa come esercizio della
responsabilità e dell‟autogoverno, in particolare per
quanto riguarda la presa in carico da parte del soggetto
delle attività di formazione che lo riguardano, ma è intesa
anche come presenza del soggetto nelle dinamiche sociali
e culturali di una società in profonda trasformazione.
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84
L’animazione
A differenza della scolarizzazione e dell‟educazione
permanente, per l‟animazione non si è raggiunta
un‟attribuzione minima e condivisa di significato, a
partire da ciò che si intende con tale termine.
L‟animazione può essere, molto limitatamente, un
insieme di tecniche operative tendenti a stimolare i
soggetti con metodi attivi e partecipativi, oppure,
allargando la concezione, come uno stile di vita o un
modo di rapportarsi con l‟esistenza.
Una possibilità di collegamento tra educazione
permanente e animazione è fornita da Bertin, che ritiene
che per animazione debba intendersi il complesso di
attività socioculturali necessarie per attuare, all‟interno
di un centro di tempo libero, l‟educazione permanente,
cioè il complesso delle operazioni indispensabili per la sua
organizzazione e i l suo funzionamento.
L‟animazione diventa una pratica sociale finalizzata alla
presa di coscienza e allo sviluppo del potenziale grezzo,
rimosso e latente di individui, piccoli gruppi e comunità.
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85
Secondo alcuni, non è possibile in Italia delinearne una
sola storia unitaria, essendo gli ambiti da cui trae origine
almeno tre: teatro, cultura popolare, la pedagogia attiva.
Il contesto nel quale origina l'animazione è identificato
invece in modo tendenzialmente univoco: il periodo di
profondi cambiamenti che hanno investito l'istituzione
scolastica negli anni Sessanta del Novecento.
L‟animazione come attività e metodo di lavoro legato
alla scuola comincia a definirsi e a dare i primi risultati
parallelamente alla messa in crisi delle didattiche
tradizionali.
Si tratta, in particolare, di esperienze ispirate a quelle
nuove concezioni e pratiche del teatro, che lo hanno
investito in quegli anni, e che tendono, da una parte a
rivedere il rapporto da teatro e società, dall'altra a
investire temi interni alla forma teatrale.
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86
Le innovazioni non vengono solo dal teatro e non si
realizzano sono in pratiche di animazione teatrale.
Sono innovazioni che toccano ogni attività portatrice di
linguaggi, tecniche, strumenti non tradizionali,
inserendole nel curricolo e nel lavoro scolastico (cinema,
attività grafico pittoriche) che assorbono altri umori
culturali, in particolare quelli provenienti dalla tradizione
orientale e fanno proprie alcune sollecitazioni provenienti
dalla cosiddetta contestazione studentesca.
Dalla scuola e dell'infanzia l'animazione estende
gradualmente il suo campo d'azione.
In concomitanza con il decentramento dei servizi sociali e
sanitari e con il diffondersi delle esperienze formative e
culturali riguardanti adulti e non studenti, affronta altre
utenze, diventa tendenzialmente universalistica, si pone
come strumento terapeutico a disposizione dei progetti
riabilitativi e di risocializzanti riguardanti soggetti
interessati da fenomeni o da rischi di marginalità e
devianza.
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La comunità problematica
Per la pedagogia sociale, tutto ciò che può essere
ricondotto al concetto/idea/prassi di comunità si presenta
oggi come un campo denso di rilevanti, seppure
contraddittori, prospettive di lavoro educativo
territoriale.
Individuare nel tema della comunità dei tratti di origine
della pedagogia sociale attuale diventa, una scelta
obbligata: l'ambito di ricerca più che riferirsi alla
tradizione neo/comunitarista, o alle posizioni
antimodernisti, si riferisce con movimenti, figure, episodi,
produzioni metodologiche e culturali, in parte presenti o
interagenti con le altre aree di ricerca, che hanno tutte,
pur con differenti non trascurabili, come loro
caratteristica distintiva la promozione della
partecipazione democratica e attiva dei soggetti alla
cultura, alla vita, alla costruzione delle decisioni del loro
territorio.
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88
Sicuramente, in questi ultimi tempi, i richiami alla
comunità, sia come valorizzazione e ripristino di alcuni
tratti di sue antiche espressioni, sia come tentativi di
svilupparne nuove e mai sperimentate forme, sono
notevolmente aumentati in tutte le dimensioni della vita
sociale:
- la comunità compare come categoria per descrivere e
interpretare alcune peculiarità dell'organizzazione
produttiva dei territori italiani attraverso la categoria del
distretto industriale definito come una comunità di
persone e di imprese che operano su un territorio limitato,
un'unità socio-economica a base territoriale locale, dove
interagiscono una comunità di persone e un certo numero
di imprese medio-piccole che prendono parte a uno stesso
processo produttivo;
- il richiamo a una dimensione comunitaria strettamente
legata a un territorio (confini naturali, miti, eroi,
tradizioni, addirittura divinità pagane ecc.) ha fornito
materiali per la ricerca di identità e la legittimazione
storico-culturale di originalità e distinzioni in grado di
supportare e giustificare strategie politiche
accentuatamente localiste, se non del tutto separatiste;
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89
- un'organizzazione sociale con tratti di tipo comunitario
sembrerebbe prospettarsi come una sorta di terza via a
fronte dell'esaurimento delle grandi narrazioni e del forte
senso di appartenenza connesso, cui non sembrano
sostituirsene altre sufficientemente solide: la comunità
potrebbe costituire un riferimento dopo che dal
fallimento dei comunismi si è passati alle miserie dei
nuovi individualismi;
- l'accentuarsi del richiamo a identità comunitarie
territoriali e non appare evidente in occasioni di tensioni
interne alle nazioni, tra nazioni diverse, e di vere e
proprie contrapposizioni ideologiche e religiose nazionali
sovranazionali, tutto ciò quasi a costituire un'inaspettata
controtendenza rispetto a quello che è stato considerato
un inarrestabile processo di omologazione planetaria tra
le genti;
- la comunità è uno dei concetti col quale, in molti
territori, si razionalizzano e si denominano alcune
dinamiche inclusive o espulsive tra autoctoni e immigrati.
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90
Ma esiste un ulteriore aspetto della questione comunitaria
che deve essere considerato, ed è quello riguardante la
tutela che la comunità sarebbe in grado di esprimere nei
confronti di se stessa e dei propri componenti relazione
alla crisi del Welfare State, diventata, quest'ultima, un
costante elemento di riflessione in qualsiasi dibattito che
riguardi i diritti e le condizioni di vita delle persone.
In generale, le cause della crisi sono ricondotte al divario
tra bisogni previdenziali, sanitari, assistenziali, educativi
e le risorse disponibili per soddisfarli.
Le soluzioni individuate per fare fronte a tale crisi sono
diverse, ma si prospetta di fatto più importante per il
lavoro educativo territoriale quella che si costruisce a
partire dalla convinzione dell'inadeguatezza di Welfare a
totale impronta pubblica a predisporre un soddisfacente
sistema di garanzie per i cittadini.
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Secondo queste posizioni, il Welfare, si sarebbe rivelato
inadeguato, da una parte, perché non avrebbe
sufficientemente protetto i ceti realmente emarginati,
bensì i ceti medi, dall'altra perché avrebbe attivato e
accentuato meccanismi di delega eccessiva a servizi e
operatori, espropriando i soggetti dalle intenzioni e dalla
pratica di cura del proprio dell'altro e dell'altrui
benessere.
Queste posizioni si basano sul principio che il benessere
sociale deve essere riscoperto e riconsegnato alla
dimensione comunitaria della società.
Da qui, la sollecitazione di processi di Welfare mix, con
l'esplicita attenzione alla solidarietà sociale e alla
costruzione di reti formali e informali di aiuto, all'interno
delle quali gli erogatori di cura quali familiari, amici,
vicini, volontari ecc., possono integrarsi tra loro e con i
servizi.
La comunità è pensabile infatti come un insieme di
persone che hanno legami sociali e valori condivisi e
agiscono per il complesso collettivo che esse stesse
costituiscono.
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Una situazione relazionale può dunque definirsi
comunitaria quando la disposizione ad agire poggia su
una comune appartenenza soggettivamente sentita dagli
individui che vi partecipano, quando è caratterizzata
dall'interdipendenza dei sistemi relazionali tra le persone,
dal forte grado di omogeneità rispetto ad alcuni valori e
ad alcune norme condivise, dal manifestarsi di queste
caratteristiche come elementi intensamente interiorizzati,
dalla presenza di un senso del noi molto più forte rispetto
a ciò che circonda il gruppo.
Le forme comunitarie territoriali vere originarie, semmai
siano effettivamente esistite, sono state superate dalla
modernizzazione e dal costruito progressivo di società
sempre più complesse, industriali, centralizzate.
La comunità a base territoriale viene dunque superata
dai processi di urbanizzazione, che rappresentano il segno
diretto e la determinante della modernizzazione.
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Ovviamente, nei confronti di questo tipo di concezione si
sviluppano anche delle reazioni dai toni decisamente
critici e disincantati.
Da questo vertice, la comunità appare in termini di netto
declino, di possibile, progressiva o già avvenuta
scomparsa, di irrazionalismo dominante, di forme legate a
modelli di convivenza ormai obsoleti che non avrebbero
più ragion d'essere in un'era di informatizzazione e
postmodernità.
Il concetto di comunità è dunque circondato da dubbi
riguardanti sia la sua effettiva possibilità di realizzazione,
sia le qualità da cui potrebbe essere connotata.
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Svolta antropologica
L‟ingresso in un‟epoca caratterizzata da quella che si
potrebbe definire la svolta antropologica del Novecento
caratterizzata dalla fine delle grandi narrazioni e dallo
sviluppo dell‟individualismo, unitamente alle spinte
filosofiche del relativismo e del pensiero debole, la
pedagogia sociale deve assumere un ruolo critico.
Di fronte ai caratteristici movimenti di massa e la messa
in discussione generalizzata delle istituzioni in tutte le
loro forme, la pedagogia sociale si attribuisce un ruolo
critico, nei confronti di un progresso che non tiene conto
delle conseguenze sulle categorie minoritarie e solleva
questioni che riguardano l‟attenzione agli individui come
tali come prevenzione dai rischi di riproduzione
dell‟esclusione sociale all‟interno delle scuole denunciati
da Lorenzo Milani.
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Inizio dell’era della globalizzazione economica (1989)
L‟ingresso nella cosiddetta era della globalizzazione si
colloca convenzionalmente alla fine degli anni Ottanta a
seguito della caduta del muro di Berlino nel 1989.
L‟effetto più evidente della globalizzazione è
l‟interdipendenza sempre più forte, tra piani diversi della
realtà sociale, economico–finanziaria, politica e
ambientale in differenti contesti del mondo.
I processi di globalizzazione, pur determinando effetti
positivi, tendono ad aggravare gli squilibri
socioeconomici e a rendere la politica subalterna
all‟economia
L’ingresso nel Terzo Millennio
Gli anni a cavallo della svolta del secolo coinvolsero il mondo
pedagogico a tirare le fila della ricerca compiuta al fine di
tracciare i possibili orizzonti per sviluppo sociale nel suo insieme
e dello sviluppo teoretico della disciplina
Quella del terzo millennio sarà probabilmente una società
consensuale al cui interno i pochi specialisti e tecnocrati che
lavoreranno conteranno di più, ma tutti gli altri svolgeranno
compiti più opportunamente adeguati a se stessi, al loro modo
di essere quindi al loro tempo storico.
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L‟otium sarà considerato fulcro dell‟esistenza e
consisterà in un insieme di attività ludiche e ricreative, in
grado di coprire proficuamente il tempo liberato dalle
attività lavorative e dal peso della sopravvivenza per far
durare le istituzioni della società.
Libro adottato
Sergio Tramma, Pedagogia sociale, Guerini scientifica,
Milano 2010
Riferimenti teorici e normativi
- Pietro Boccia, La “Buona Scuola”, Anicia edizioni,
Roma, 2015
- Pietro Boccia, Sostegno didattico nelle scuole di ogni
ordine e grado, Maggioli editore, Rimini 2017
- Pietro Boccia, Competenze, metodologie e tecnologie
didattiche, Maggioli editore, Rimini 2018
Pietro Boccia, Lezioni simulate alla prova orale, Maggioli
editore, Rimini 2018
- Legge n. 107/2015 - Riforma del sistema nazionale
d’istruzione e formazione
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- D. lgs n. 59/2017 - Riordino, adeguamento e
semplificazione del sistema di formazione iniziale e di
accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria per
renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale
della professione, a norma dell'art. 1, commi 180 e 181, lett.
b), della legge 13 luglio 2015, n. 107
- D. M. n. 616/2016 - Modalità per il conseguimento dei 24
crediti formativi universitari (nei settori
antropo/psico/pedagogici, nonché nelle metodologie e
tecnologie didattiche) indispensabili per la partecipazione al
concorso
Sitografia
http://ec.europa.eu/italia/documents/attualita/futuro_ue/
europa2020_it.pdf
http://www.editlab.it/2017/07/29/corsi-di-formazione-su-
progettazione-e-curricolo
GRAZIE per la cortese attenzione