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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI ROMA "LA SAPIENZA"
FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA IN LETTERE
INDIRIZZO DEMO-ETNO-ANTROPOLOGICO
CATTEDRA DI ANTROPOLOGIA SOCIALE
TESI DI LAUREA
"LE COMUNITA' AGRICOLE DEL MONTE PEGLIA"
LAUREANDA:PAOLA POLIMENI
RELATORE:ROBERTO DE ANGELIS CORRELATRICE:FRANCA ROMANO
ANNO ACCADEMICO 1993/94
2
INDICE
PREMESSA P. 5
1 QUESTIONI DI METODO
1.1 LA REALIZZAZIONE DELLA RICERCA P. 8
1.2 L'OGGETTO DELLA RICERCA
P. 12
2 UN EXCURSUS STORICO NELL'ESPERIENZA
COMUNITARIA
2.1 GLI ANTECEDENTI
2.1.1 1649: L'ESPERIMENTO DI WINSTANLEY
E DEGLI "ZAPPATORI" INGLESI P. 14
2.1.2 LE COMUNITA' DELL'OTTOCENTO P. 19
2.2 L'UNDERGROUND P. 35
2.2.1 LA BEAT GENERATION P. 36
2.2.2 LA CULTURA UNDERGROUND P. 41
2.2.3 BEAT, GAMMLER, PROVO, FREAK,
CAPELLONE P. 51
2.2.4 I BEAT ITALIANI P. 55
2.3 LE COMUNITA' P. 61
2.3.1 LE COMUNI URBANE P. 64
2.3.2 LE COMUNI AGRICOLE P. 67
2.3.3 LE COMUNI FEMMINISTE P. 73
2.3.4 L'ESPERIENZA ITALIANA P. 76
3 IL MONTE PEGLIA: UN QUADRO D'INSIEME
3.1 COS'E' IL MONTE PEGLIA P. 82
3
3.2 UNA CRONISTORIA DELLE OCCUPAZIONI P. 90
4 GLI ABITANTI DEL MONTE PEGLIA
4.1 IL POPOLO DEGLI OCCUPANTI P.120
4.2 TRAIETTORIE BIOGRAFICHE
P.122
4.3 LA COSTRUZIONE DELL'ALTERNATIVA
4.3.1 UNO SGUARDO SU CIO' CHE ABBIAMO
LASCIATO ALLE SPALLE P.130
4.3.2 IMMAGINI DI UN'ALTERNATIVA P.134
5 LA VITA COMUNITARIA
5.1 LE RADICI POLITICHE E CULTURALI P.140
5.2 L'UNIVERSO DEI VALORI P.156
5.2.1 L'ESPERIENZA DEL PARTO IN CASA P.174
5.3 LA RETE DELLE RELAZIONI E
L'ORGANIZZAZIONE SOCIALE P.179
5.3.1 LA MOBILITA': COME SI VAGA DI
CASALE IN CASALE SPINTI DALL'AMORE
E DAI CONFLITTI P.183
5.3.2 I NUCLEI ABITATIVI: I GRUPPI E LE
"FAMIGLIE" P.191
5.3.3 LA FESTA E LE OCCASIONI D'INCONTRO P.196
5.4 L'ECONOMIA P.199
6 LA TRIBU' P.209
6.1 ALTRE ESPERIENZE COMUNITARIE AGRICOLE
IN ITALIA P.213
6.1.1 GLI ELFI P.217
4
6.2 IL BIOREGIONALISMO: UN'UTOPIA CHE ABBIAMO
INIZIATO A REALIZZARE?
P.220
APPENDICE:
Intervista a Giancarlo
P.230
Intervista a Pino P.233
Intervista a Giovanni P.239
Intervista a Rolando P.255
Intervista a Milena P.269
Intervista a Cicci e Sabina P.284
Intervista a Fabio P.310
Intervista a Sergio C.
P.334
Intervista a Barbara P.354
Intervista ad Angela e Angelo P.376
5
Intervista a Mario C. (prima intervista)
P.397
Intervista a Mario C. (seconda intervista) P.405
BIBLIOGRAFIA P.417
PREMESSA
Lo scopo di questo lavoro è di documentare e
analizzare un'esperienza di ripopolamento giovanile
della campagna, che ha avuto luogo a partire dal 1977 e
prosegue tuttora sulle pendici di una montagna umbra, il
Monte Peglia.
L'insediamento nelle terre abbandonate, avvenuta
attraverso l'occupazione di 18 poderi, ha assunto la
forma di una comunità, articolata al suo interno in
tanti gruppi e famiglie, in collegamento tra loro.
Questa esperienza testimonia, data la sua durata
ininterrotta negli anni, come non sia mai avvenuta la
scomparsa del movimento delle comuni agricole, ma
piuttosto si sia trattato di un suo voluto occultamento,
di un bisogno di divenire sotterranneo e passare
inosservato. Questo gli ha permesso di esistere senza
6
apparire agli occhi del potere e di sottrarsi quindi al
relativo pericolo di esserne schiacciato, annientato o
peggio ancora riassorbito.
Ma è indubbio che questa esperienza, sebbene abbia nel
tempo sviluppato caratteristiche nuove ed originali, sia
l'erede di quello che fu, negli anni a cavallo tra i '60
e i '70, il movimento delle comuni agricole.
Nel primo capitolo ho descritto lo svolgimento della
ricerca, esplicitando i vantaggi e gli svantaggi del mio
essere al tempo stesso ricercatrice e membro del gruppo
in esame.
Nel secondo capitolo sono andata a rintracciare le
origini del fenomeno, a partire dagli esempi più remoti,
un caso inglese del 1649 e poi l'esplosione degli
esperimenti comunitari americani del secolo XIX, per
saltare poi a tempi più recenti, alla beat generation,
genitrice spirituale del movimento giovanile
dell'underground al cui interno si svilupparono
numerosissimi gli esperimenti di vita comunitaria.
Nel terzo capitolo ho iniziato a mettere a fuoco
l'oggetto più specifico della mia ricerca, la realtà del
Monte Peglia, per presentarla al lettore ignaro,
delineandone le caratteristiche generali: la
7
collocazione geografica, il tipo d'insediamento, i
tratti fondamentali della cultura comunitaria e un
racconto della cronistoria delle occupazioni.
Il quarto capitolo descrive i soggetti della ricerca,
prima collocandoli dentro le coordinate più tipicamente
sociologiche (sesso, età, contesto socio-economico di
provenienza), poi seguendone i percorsi biografici e il
processo che li ha portati alla scelta di un nuovo stile
di vita.
Il quinto capitolo inizia con un'indagine
sull'identità politica e culturale comune ai componenti
del gruppo per passare poi ad analizzare come il gruppo
sia sostenuto da un universo di valori e di regole che
ne organizzano il funzionamento, gli scambi interni e
quelli con il mondo esterno.
8
CAPITOLO 1
QUESTIONI DI METODO
1.1 LA REALIZZAZIONE DELLA RICERCA
La peculiarità di questo lavoro sta nel fatto che la
mia indagine antropologica si è svolta su un campo che è
allo stesso tempo il mio spazio di vita. Io appartengo
completamente al gruppo che è divenuto il mio oggetto di
studio.
Questa particolarità mi ha portato ad assumere uno
sguardo contemporaneamente interno ed esterno, vivendo
il ruolo di osservatore e partecipante allo stesso
tempo.
9
Il mio sforzo è stato di direzione inversa a quello
tipico dell'antropologo che deve far divenire la sua
osservazione partecipante, superando la difficoltà di
inserirsi in un gruppo umano al quale è inizialmente
estraneo. Al contrario, la mia difficoltà è stata quella
di emergere dal flusso della vita di tutti i giorni e
fermarmi a guardare dall'alto, con un certo "distacco",
quello che mi apparteneva fin nell'intimità più
profonda. Ho dovuto indossare i panni dell'osservatore
un po' scomodi e inusuali sia per me che per i miei
compagni di vita. Devo ammettere di aver avuto notevoli
scrupoli nell'assumere questo singolare ruolo, che
sentivo così estraneo al contesto in cui mi trovavo e
spesso anche poco comprensibile a molti perchè
sconosciuto.
L'indagine si è basata, oltre che sulla mia esperienza
diretta e relazionale di questi tre anni, su dieci
interviste con gli attuali occupanti, due con ex-
occupanti e una con un abitante di un'altra comunità
agricola autosufficiente, per alcuni versi vicina alla
nostra. Ho cercato di intervistare un membro di ogni
casa, ma non ho coperto interamente il panorama dei
casali. Le mancanze sono, io credo, supplite dalla mia
10
frequentazione personale di tutte le case, con i cui
abitanti mantengo relazioni di conoscenza e di amicizia,
in alcuni casi anche profonda. Il mio punto di vista
interno mi ha permesso di conoscere questa esperienza
nelle sue pieghe più nascoste, e di avere con alcuni
sviluppato una comunicazione molto intima.
Nella scelta degli intervistati sono stata orientata
principalmente dai miei rapporti personali, per cui sono
stata portata a scegliere coloro con i quali esisteva
una maggiore comunicazione e che quindi accettavano più
facilmente l'instaurarsi di questo particolare tipo di
relazione ed erano in grado di comprenderne meglio il
significato. Ho riscontrato anche delle resistenze da
parte di alcuni, più volte sollecitati a sottoporsi
all'intervista. Non ho mai ricevuto un netto rifiuto,
piuttosto un più o meno velato negarsi o rimandare
all'infinito. Penso che ciò sia stato in parte dovuto
alla difficoltà di instaurare una nuova situazione
relazionale -quella formale dell'intervista- all'interno
di un rapporto quotidiano e consuetudinario. Alcuni
associavano la mia proposta d'intervista con un lavoro
di tipo giornalistico e forse per questo si mostravano
schivi e diffidenti.
11
Per quanto riguarda le interviste che sono riuscita ad
ottenere, dopo un'iniziale difficoltà ad inserirle nel
flusso della vita quotidiana, queste hanno poi trovato
un loro spazio e tempo di svolgimento protetto.
L'intervista, realizzata a partire da una minima
traccia, ha preso la forma di una storia di vita, dove
il narratore si è con facilità abbandonato al racconto
della sua esperienza passata, reinterpretandola alla
luce del presente, dandole una forma che avvalorasse il
senso dalla sua situazione attuale.
La voce degli intervistati si affaccia continuamente
nel mio testo per esprimere con la poeticità della forma
orale quello che ho cercato di descrivere in termini più
astratti e concettuali, e per fare da contrappunto alle
mie interpretazioni.
La mia stessa voce potrebbe confondersi in mezzo a
quelle degli intervistati, poichè anch'io, in quanto
parte di questo mondo, condivido i valori espressi dagli
altri.
12
1.2 L'OGGETTO DELLA RICERCA
Attualmente i casali occupati sono 17, per un totale
di circa 50 persone. La ricerca riguarda 15 casali su
17, che sono quelli più interrelati tra loro e tra i
quali esiste un effettivo rapporto di scambio e
amicizia. Gli altri due casali, invece, sono esterni al
circuito e i loro abitanti sono piuttosto fluttuanti,
nel senso che cambiano in continuazione. Non sono andata
a contattarli, perchè ho voluto che la ricerca
riguardasse esclusivamente quello che è il mio effettivo
ambiente sociale. Il mio oggetto di ricerca voleva
coincidere completamente con la mia esperienza vissuta e
13
non ho voluto estendere la ricerca etnografica a persone
con le quali non avessi mai avuto un rapporto diretto.
Non mi interessava andarle a conoscere motivata soltanto
dal bisogno di ulteriori dati per la mia ricerca.
Ma il gruppo degli abitanti del Peglia non si limita
solo alle case occupate e comprende un certo numero di
persone che vivono in case circostanti, in affitto o di
proprietà. Essi sono parte integrante dell'insieme
perchè condidividono gli stessi valori, sono inseriti
nella rete delle relazioni, partecipano alle feste e a
volte anche alle altre occasioni d'incontro. Ma quello
che soprattutto li rende interni al gruppo è il fatto
che anche loro hanno in passato abitato nelle case
occupate.
Infatti nel grafico che esemplifica i percorsi degli
spostamenti degli abitanti di casale in casale, ho
inserito anche queste case non occupate, per mostrare
come anche loro rientrino tra le tappe della continua
mobilità.
14
CAPITOLO 2
UN EXCURSUS STORICO NELL'ESPERIENZA COMUNITARIA
2.1 GLI ANTECEDENTI
2.1.1 1649: L'ESPERIMENTO DI WINSTANLEY E DEGLI
ZAPPATORI INGLESI.
"C'è un libro di Winstanley, il titolo era: "La terra
a chi la lavora", una cosa del genere, ed è il primo movimento comunista degli zappatori senza padrone che è nato nel 1650 in Inghilterra, vedi lo stesso scontro tra latifondo e questi movimenti in embrione, anche lì erano nudi, vivevano del loro lavoro, zappando la terra, senza chiedere niente a nessuno e andavano a occupare terreni marginali, di proprietà demaniale, ma che in effetti sono stati cacciati con l'esercito, però i dialoghi
15
erano gli stessi nostri che loro avevano con le istituzioni, gli stessi che noi abbiamo oggi. E quando abbiamo parlato con il presidente dell'Ente di Sviluppo, Maschiella, a quell'epoca cioè quando c'era ancora tanta tensione in corso, Maschiella ci ha detto: "Ma voi non siete contenti che non vi spariamo addosso?". Per dire che fino allora le occupazioni delle terre erano sempre... se te lo senti dire da un fascista o da un demoscristiano è un conto, se te lo senti dire da un comunista come lui si palesava è una cosa..." (Mario C., uno dei primi occupanti)
Dopo questa intervista con Mario, primo occupante
della casa dove abito, che incarna la memoria delle
occupazioni sul Monte Peglia, sono andata a cercare il
primo antecedente della nostra esperienza e ho
rintracciato la storia del movimento dei "Diggers", che
si sviluppò nel clima della rivoluzione inglese della
metà del XVII secolo.
Nell'ambito di una forte crisi economica, generata
dalla lotta civile tra la nascente borghesia commerciale
e la monarchia difesa dall'aristocrazia terriera, un
gruppo di contadini decise di rovesciare le proprie
sorti di miseria. Gli "Zappatori" iniziarono a dissodare
con le loro zappe il colle di S. Giorgio, vicino a
Walton-on-Surrey, uno dei fondi comunali destinato a
pascolo comune per gli abitanti del villaggio, ma che
ora i nuovi proprietari terrieri delle zone limitrofe
16
tentavano di recintare per trasformarlo in proprietà
privata.
Proprio contro la proprietà privata si scagliarono gli
Zappatori, che consideravano un tradimento della legge
divina, da loro definita "La legge della Ragione".
"E' il primo Adamo (...) l'iniziatore
dell'interesse privato, lui che compera e vende la terra dalle mani di un singolo a quelle di un altro, dicendo "questo è mio"; è lui che sostiene la proprietà privata come una legge fatta da lui stesso e che così impedisce alle creature a lui uguali di trarre nutrimento dalla madre terra (...). Così alcuni sono innalzati al trono della tirannia, ed altri calpestati sotto lo sgabello della miseria, come se la terra fosse stata fatta per alcuni e non per tutti (Winstanley, G., ed. italiana 1974:44).
Siamo di fronte a una prima formulazione teorica del
"comunismo", che nasce da un'esperienza di lotta
mescolata con elementi mistici e religiosi, che a quel
tempo non potevano non pervadere anche la teoria
politica.
"Che ognuno apra sacchi e granai, che tutti
possano nutrirsi del raccolto della terra, che il peso della povertà possa essere rimosso. Si abbandoni questo comprare e vendere la terra e i suoi frutti, la terra ritorni ad essere nella pratica quello che fu alla luce della Ragione al momento della Creazione: patrimonio comune di
17
tutti, senza che alcuno recinti più una parte di terra dicendo "questa è mia", il che costituisce ribellione ed alto tradimento contro il Re di Giustizia. Si metta in pratica tutti insieme la parola del Signore "lavorate insieme, mangiate insieme". (dagli Atti degli Apostoli, 4, 32). (...) Si abbandoni ogni signoria e ogni dominio dell'uno su di un altro, perché tutta intera l'umanità è un'unica terra vivente. Si smetta di imprigionare, di frustare, di impiccare che sono atti derivati dalla maledizione. Che quelli che finora non hanno avuto terra, e che per miseria sono stati costretti a rubare e a rapinare, da ora in poi possano godere della terra su cui lavorare. (Ibid.:63).
Animati da un grande ideale di vita comune, gli
Zappatori proclamarono la comunità dei beni:
"L'opera che stiamo iniziando è questa: dissodare
il colle di S. Giorgio e le terre incolte li intorno, seminarvi grano e mangiare il pane prodotto in comune col sudore della nostra fronte. Il motivo principale è questo: poter lavorare
nella giustizia, gettare le basi per fare della terra un patrimonio comune per tutti, ricchi e poveri, che chiunque sia nato nel paese possa essere nutrito dalla madre terra che l'ha generato secondo la Ragione che governa il creato. Senza recintare porzione alcuna per la proprietà di alcuno, ma come un unico uomo lavorando tutti insieme come figli di un solo padre e membri di una sola famiglia; senza che uno domini su di un altro, ma considerandoci l'uno con l'altro tutti uguali rispetto alla creazione (...)" (Ibid.:70).
18
Tutto questo doveva essere realizzato non espropriando
le terre dei padroni, ma occupando i terreni incolti, un
bene sprecato. Era necessario ricominciare a lavorare la
terra per sé, ciascuno secondo le proprie necessità,
smettendo di lavorare per salario. Su questo punto gli
Zappatori erano intransigenti: chi lavorava per un
salario andava contro le leggi divine e sarebbe incorso
in una pesante punizione:
"Se lavori la terra, faticando per gli altri che
vivono negli agi e approfittano delle tue fatiche per seguire le vie della carne, mangiando il pane guadagnato col tuo sudore, non col proprio: sappi questo, che la mano del signore scenderà pesante sul lavoratore che si vende per un salario, sappi che perirà insieme con l'avido ricco che ha tenuto e tiene il creato sotto la servitù della maledizione (Ibid.:60).
A partire dall'occupazione di S. Giorgio il movimento
si estese rapidamente, fino a diventare un partito. La
loro occupazione fu difesa attraverso la continua
pubblicazione di Manifesti e libretti nei quali
propagandavano le loro idee a tutto il popolo. Nella
colonia di S. Giorgio arrivarono ad abitare circa un
centinaio di famiglie che riuscirono, con grande
coesione, a resistere alle persecuzioni per un anno
intero. I proprietari della zona si erano infatti
19
coalizzati per cacciarli, utilizzando le forme di
violenza più brutale. Nell'aprile del 1650 la comunità
fu sciolta dall'intervento delle forze armate. Il
maggiore scrittore e animatore del movimento, Gerard
Winstanley, continuò la sua opera politica attraverso la
pubblicazione di numerosi altri scritti, correggendo
però in senso moderato la sua teoria sociale.
2.1.2 LE COMUNITA' DELL'OTTOCENTO.
Passiamo ad analizzare il secolo XIX, perchè è li che
si è avuto il pieno sviluppo del movimento comunitario.
Di fronte ai molti problemi causati
dall’industrializzazione e dalla relativa urbanizzazione
che impressero una profonda trasformazione, in senso
negativo, delle condizioni di vita di larghe fasce di
lavoratori, molti pensarono di risolvere tali problemi
20
attraverso la via comunitaria. Si tentò di creare
modelli di società impostati sulla cooperazione sociale,
in riposta ad un imbarbarimento delle proprie condizioni
di vita.
Fu il Nord America a fornire l'ambiente per queste
sperimentazioni. Gli Stati Uniti venivano percepiti come
una società giovane, in espansione economica, che
facilmente poteva prestarsi alla materializzazione delle
utopie, essendo così prodiga di ampi spazi da sfruttare
e di mille potenzialità; su ciò si fondò il mito
dell'Eden e divenne così meta di utoposti e avventurieri
di ogni tipo.
In realtà le sue stesse fondamenta contenevano una
contraddizione tra l'affermazione della proprietà
privata e quella del benessere della collettività. I
due termini della contraddizione furono tenuti insieme
con la formulazione della teoria dell'espansione, che
affermava l'esistenza di un territorio talmente vasto, e
che poteva ampliare le sue frontiere, in modo da
garantire a ciascun cittadino la possibilità di
diventare proprietario di terre.
In realtà permeneva la tensione tra questi due poli, e
continuamente emergeva la ricerca del bene comune, alla
21
cui edificazione aveva sempre garantito impulso lo
spirito religioso. Non a caso furono di ispirazione
religiosa le primissime comunità che si svilupparono
negli Stati Uniti verso la fine del '700, parecchie
delle quali fondate da membri di sette europee, sfuggiti
alle persecuzioni.
Queste comunità si fondavano su di una interpretazione
indipendente della Bibbia e si ispiravano alle forme
comunitarie della Chiesa arcaica.
Si proponevano come modello per l'intera società e
credevano che il regno di Dio si dovesse attuare sulla
Terra, attraverso un'esistenza ispirata ai principi
della Bibbia.
Comunità religiose di questo tipo ebbero una notevole
stabilità e durata, proprio perchè organizzate secondo
rigide leggi fatte discendere dal volere divino.
Il primo grande movimento millenaristico che raccolse
i suoi adepti in comunità fu quello degli "Shakers". La
sua fondatrice, Mother Ann Lee era fuggita
dall'Inghilterra in seguito alle persecuzioni e si era
rifuggiata negli Stati Uniti dove aveva dato vita alla
prima comunità che attendeva la seconda venuta di Cristo
ritenuta prossima e si preparava a riceverlo vivendo in
22
comunione e in armonia con i suoi membri, separati dalla
corruzione del mondo. A Mother Ann successe Father
Joseph che redasse uno statuto che doveva regolamentare
le comunità degli Shakers. Stabilì che tutti i membri
fossero uguali e come tali avessero tutti i medesimi
diritti di accesso tanto ai beni materiali quanto a
quelli spirituali; per frenare l'egoismo si istituì il
comunismo dei beni e la castità come risposta alla
lussuria. Gli abiti erano molto austeri, si viveva tutti
in una casa comune come fratelli e sorelle, e si
lavorava secondo il principio di uguaglianza, per
imparare l'amore, l'umiltà e la cooperazione. Gli
anziani rivestivano un ruolo di guida in campo
spirituale, come in quello temporale, fino alle sfere
più intime dell'esistenza.
Nel 1830 le comunità degli Shakers raggiunsero il
massimo della loro espansione contando fino a 5000
individui. La comunità più longeva fu New Lebanon;
fondata nel 1787, sopravvisse per ben 160 anni, fino al
1947.
Intorno alla metà del 1800 si ebbe non soltanto la
massima diffusione del movimento degli Shakers, ma un
più generale proliferare di comunità religiose.
23
Una fu quella dei Rappies, che presero il nome da
George Rapp, suo fondatore. Partito dalla Germania
arrivò in Pennsylvania per fondare Harmony, una comunità
che credeva nella necessità di ritirarsi da un mondo
divenuto irrimediabilmente malvagio per realizzare un
ritorno ai precetti biblici.
Un altro gruppo di pietisti tedeschi, gli
Ispirazionisti, sotto la guida del proprio capo,
Cristian Metz, emigrò in America. In Germania, la
formazione della loro cooperativa veniva ostacolata per
il fatto che si rifiutarono di prestare il servizio
militare. In America fondarono la colonia di Amana, le
cui regole per la vita quotidiana stabilivano: "Di obbedire, senza pensare, a Dio, e attraverso
Dio ai propri superiori, di abbandonare il proprio "io" con tutti i suoi desideri, conoscenze e potere, di non ricercare la loro società, di parlare poco con essi, e mai senza bisogno e anche allora non senza paura e tremore". (C. Nordoff, The Communistic Societies of United States, in Francescato, D. e G., 1974).
Anche questa comunità, grazie alla sua rigida
strutturazione gerarchica, ebbe una lunga durata, ma
agli inizi del secolo XX molti giovani iniziarono ad
allontanarsi.
24
La comunità fondata nel 1843, comunque rimase per più
di cinquant'anni stabilmente composta da circa 1400
membri.
Ma oltre alle comunità di tipo religioso, l'America,
alimentando la speranza di creare nuove istituzioni, di
poter partecipare al processo formativo di una nuova
società, diede spazio allo sviluppo di utopie
comunitarie di tipo laico.
Le idee di Owen, Brisbane e di tutti gli altri
utopisti del tempo ebbero larga eco nella società
civile: ebbero a disposizione per la propaganda le
pagine di autorevoli giornali e furono supportate da
membri del Congresso e della Corte Suprema.
Fino a quando il sistema americano riuscì a garantire
un diffuso arricchimento per la maggior parte degli
americani, e vinse la libera iniziativa ed il laissez-
faire, allora le comuni furono un fenomeno sporadico.
Ma con il progressivo esaurimento delle terre da
conquista, sempre più difficile diveniva l'espansione e
di conseguenza la giustizia sociale. Molti furono i
cittadini delusi dal sistema, che si riversarono nel
movimento comunitario, nel tentativo di perseguire così
il trascurato bene comune.
25
Le comunità laiche infatti ricercavano l'uguaglianza e
la cooperazione tra gli individui e organizzavano la
produzione ed il consumo di beni secondo forme
socialiste. Fu comunque difficile che i precetti teorici
degli utopisti, le loro sociatà modello, si riuscissero
a tradurre nella pratica, proprio per l'eccessiva
teorizzazione che pesava poi nelle esperienze dirette.
Questo tipo di comuni ebbero in genere vita difficile e
tormentata.
Robert Owen arrivò negli Stati Uniti nel 1824, con
l'ambizioso progetto di introdurre un sistema sociale
totalmente nuovo, e sostituire l'egoismo con l'unione
tra gli uomini. Dapprima pensò di poter intervenire
attraverso riforme legislative, poi scoraggiatosi pensò
piuttosto di ottenere la riforma tramite la formazione
di numerosi esperimenti fatti in piccola scala. La
comune doveva essere un esempio per il resto della
società.
Owen si appellò a tutti gli uomini volenterosi e
industriosi per dare vita alla comunità di New Harmony.
New Harmony Community of Equality fu fondata nel 1825
e nel corso di un anno già contava circa 1000 membri, al
cui controllo si era posto lo stesso Owen, oltre al
26
sostegno economico e politico di parecchie personalità
scientifiche e letterarie del tempo. Ma ben presto
sorsero i primi problemi, dovuti spesso al carattere
dello stesso Owen. Il primo dissenso riguardava la
materia religiosa, in quanto Owen non tollerava chi nel
gruppo manifestasse convinzioni religiose ortodosse.
Oltre a ciò riapparve ben presto la divisione di
classe che le teorie egualitarie non erano riuscite a
vincere; gli intellettuali dei ceti alti disdegnavano di
mescolarsi con gli appartenenti alla classe inferiore e
risentirono presto del faticoso lavoro manuale, al quale
non erano abituati. Un altro motivo di conflitto fu il
tema dell'educazione dei bambini: le idee di Owen
prevedevano una separazione tra genitori e figli per
lunghi periodi di tempo e molti genitori iniziarono a
risentirsene.
Nel 1827 Owen dichiarò sconfitta l'esperienza, passò
il controllo all'educatore Maclure; il quale continuò le
sue innovazioni pedagodiche fino al totale fallimento e
allo scioglimento che avvenne nel 1835.
Charles Fourier, pensatore socialista francese,
incentrò la sua teoria sociale sulla “Falange”, una
comunità di lavoro volontaria che avrebbe dovuto
27
sostituire la città e l'ordinamento socio-economico del
liberismo concorrenziale.
La falange provvede a se stessa con un lavoro agricolo
manifattuariero collettivo, non guidato dal profitto
individuale e cerca di realizzare un'armonica
soddisfazione di tutte le diverse esigenze e passioni
umane.
Falansterio si chiama il complesso di edifici previsto
per la vita di una comunità di 1800 persone. All'interno
vi sono appartamenti privati e sale comuni per la
cucina, la consumazione dei pasti e le attività
ricreative. Viene incoraggiata una forma di amore
libero, relazioni sessuali non vincolate da legami
duraturi.
L'allevamento e l'educazione dei bambini avviene
comunitariamente, secondo nuovi principi pedagogici
basati sull'assenza di costrizione e repressione,
sull'assecondamento dei diversi caratteri di ciascuno.
L'organizzazione economica avviene su un'elaborata
ripartizione dei beni che vengono prodotti col lavoro
della comunità. Tolto quanto serve ai vecchi, agli
invalidi e a ciascuno perchè sia garantito un livello
minimo di esistenza, il resto è ripartito tra coloro che
28
hanno operato nella produzione, il capitale e
l'intelligenza, costituita da dirigenti e progettisti.
Il lavoro è organizzato in squadre, gruppi dal carattere
affine, e l'attività è scelta liberamente da ciascuno,
secondo la propria inclinazione e può variare in tempi
prestabiliti.
Fourier, convinto che il suo sistema avrebbe garantito
la pace e l'armonia tra gli uomini, e conseguentemente
ne avrebbe favorito la felicità universale, propagandava
con convinzione le proprie teorie cercando di convincere
i ministri francesi.
Malgrado non fosse riuscito a realizzare in pratica la
sua visione utopica, convertì alla sua causa numerosi
intellettuali dell'epoca che si diedero da fare
costituendo comunità di stampo fuorierista.
I suoi discepoli Baudet-Dulary e Brisbane si
convinsero che l'America era la terra adatta alla
realizzazione di questo progetto e diedero qui un
notevole impulso alla diffusione di queste teorie. In
breve sorsero, intorno agli anni '50 del diciannovesimo
secolo, ben trentuno comunità fourieristiche.
Brook Farm ne fu un esempio. Fondata inizialmente non
come comunità fuorierista lo divenne in un secondo
29
momento grazie alla propaganda di Brisbane. Nel 1844 si
diede il nome di Brook Farm Phalanx.
Forte fu l'impulso e l'entusiasmo che vi misero due
intellettuali come Ralph Waldo Emerson e Nathaniel
Hawthorne.
A Brook Farm le strutture familiari rimasero invariate
ma l'allevamento dei bambini e la scuola erano comuni.
L'organizzazione del lavoro era il punto focale della
comunità. Era assente qualsiasi forma di autorità, di
padronato e il lavoro manuale era considerato dignitoso
al pari degli altri e come tale ricompensato.
Ma nonostante questo i conflitti non tardarono a
manifestarsi, dopo alcuni anni gli intellettuali
iniziarono a soffrire la fatica del lavoro manuale,
crebbero i problemi economici e iniziarono le defezioni.
Nel 1846 alcuni edifici presero fuoco e nell'anno
successivo la comunità si sciolse.
Altri gruppi fourieristi furono fondati e questi
ebbero maggior durata. Sempre da Brisbane fu fondata nel
New Yersey la North American Phalanx che durò per dodici
anni ed ebbe maggiore successo economico. In campo
religioso vigeva una assoluta libertà ed i rapporti tra
i sessi erano impostati sul principio di uguaglianza.
30
Anche in questo caso fu un incendio a segnare la fine
della falange.
Un'altra esperienza che segnò profondamente la storia
del movimento comunitario fu Oneida, fondata nel 1848 da
John Humphrey Noyes. In questa comunità si venivano ad
unire il desiderio di riforme sociali con una forte fede
religiosa. "Perfezionisti" si chiamarono i membri di
questo gruppo, che perseguiva la realizzazione in terra
del Regno di Dio attraverso l'organizzazione della vita
comunitaria secondo i precetti del cristianesimo
primitivo.
La comunità era considerata come una grande famiglia,
i beni di ciascuno che ne entrava a far parte divenivano
di proprietà della comunità, così come lo erano tutti
gli oggetti in uso.
Vi erano numerosi spazi comuni dedicati allo
svolgimento di attività ricreative che avevano lo scopo
principale di alimentare e sostenere lo spirito di
gruppo. A tal fine erano aboliti legami amorosi troppo
esclusivi e vincolanti, quindi visti come svianti della
coesione della comunità. Veniva piuttosto stimolato il
cosiddetto matrimonio complesso (group marriage), cioè
una forma di libero accesso a tutti i possibili partner,
31
laddove ovviamente le due parti lo desiderassero. Sulle
unioni sessuali vigilavano però gli anziani, e lo stesso
Noyes, con la possibilità di esprimere riserve laddove
il rapporto sembrasse loro non rafforzare la coesione di
tutti i membri. Anche nella sfera riproduttiva vi era
un’ampia normativa. Per un periodo i perfezionisti
scelsero di non avere bambini, poi si istituì una forma
di procreazione selettiva. Era semrpe Noyes a scegliere
il partner adatto per coloro le quali esprimevano il
desiderio di una gravidanza.
Anche il lavoro era inteso come rafforzante
l'ideologia comunitaria.
Grande enfasi veniva posta sullo sforzo collettivo che
era in grado di realizzare qualsiasi obiettivo, da
quello più difficile a quello di tipo più noioso e
ripetitivo. C'era un'assoluta parità tra uomini e donne,
entrambi svolgevano le medesime mansioni.
Il lavoro era organizzato secondo una rotazione
annuale dei compiti, considerati tutti di pari dignità.
I bambini venivano allevati in comune, vivevano
insieme nella Casa dei bambini, sotto il controllo dei
membri femminili della comunità che si alternavano in
questa responsabilità. Molto limitati erano i rapporti
32
con i genitori biologici, proprio perchè l'intero gruppo
era una famiglia allargata e a tale concetto dovevano
essere educati i bimbi.
A Oneida il controllo sociale era garantito dalla
pratica del mutuo criticismo, una sorta di pubblica
confessione dei propri peccati da parte di ogni
individuo del gruppo che veniva poi sottoposto alle
critiche di una commissione di giudizio, a volte,
dell'intera comunità. A Oneida "fare la spia" era
un'attività lodevole in quanto permetteva al peccatore
di ravvedersi dei propri errori. La critica reciproca
avveniva così in modo aperto e diretto evitando il
diffondersi della maldicenza.
Lo scopo della pratica del mutuo criticismo era
comunque sempre quella di rafforzare lo spirito di
gruppo, stroncando l'egoismo e qualsiasi tipo di
eccessivo interesse verso se stessi.
Grazie a questa ben concertata serie di regole e
pratiche per alimentare il sentimento comunitario Oneida
ebbe una forte coesione interna. I rapporti col mondo
esterno rimasero sempre molto limitati, sia perchè
questo era visto come possibilità di corruzione,
deviazione dal progetto di vita superiore che si
33
realizzava nella comunità, sia perchè l'esterno stesso
dimostrava forte ostilità verso l'esperimento di Oneida
accusandolo a proposito delle sue posizioni radicali sul
matrimonio, la sessualità e i rapporti tra i sessi.
Alla fine del diciannovesimo secolo iniziarono
profondi conflitti soprattutto tra le diverse
generazioni, che portarono allo scioglimento della
comunità nel 1881 e alla sua trasformazione in una
compagnia per azioni che ancora oggi produce posate
marchiate con lo stesso nome.
Con Oneida si chiuse l'esperienza comunitaria.
In un saggio del 1972 la sociologa americana Rosabeth
Moss Kanter (Cit. in D. e G. Francescato, 1974) ha
suggerito una spiegazione della diversa durata e del
diverso andamento che ebbero questi esperimenti.
Si può dire che ebbero maggior successo dal punto di
vista della funzionalità quelle comunità che
realizzarono l'impegno dei loro membri, nelle tre
articolazioni che ne definisce la Kanter: l'impegno
strumentale, cioè l'adesione cognitiva al sistema
sociale, che si verificò nei casi in cui l'individuo
veniva distaccato completamente dall'ambiente di
provenienza e reinserito nella comunità alla quale si
34
votava completamente, investendo su di essa tutte le
proprie risorse personali; l'impegno affettivo, quei
legami emozionali tra i membri del gruppo che
garantiscono la coesione, che si realizzava nell'attuare
forme di rinuncia a rapporti personali esclusivi in nome
della comunione col gruppo; l'impegno morale, l'adesione
ai valori del gruppo e l'ubbidienza alle norme
conseguenti, che nella maggioranza dei casi si realizzò
attraverso l'emergere di una figura carismatica, un
leader trascendente al quale venivano affidate tutte le
proprie scelte e attraverso la mortificazione del
singolo individuo, che era solo una parte della più
grande struttura che lo oltrepassava.
In questo modo però le comunità più longeve ricrearono
al proprio interno strutture di tipo gerarchico e
autoritario, nell'impianto molto simili a quelle del
mondo esterno al quale avevano voluto sottrarsi.
Ma a decretare il fallimento di queste esperienze
comunitarie fu anche il fatto che esse si ponevano come
modelli che la società avrebbe dovuto seguire e questo
diventava sempre più difficile in un sistema che si
andava progressivamente allontanando dalla ricerca del
"bene comune".
35
2.2 L'UNDERGROUND
Proseguendo nella ricerca delle radici storiche del
movimento comunitario, arriviamo in tempi più vicini a
noi, rispetto ai quali è più chiaro e diretto il
rapporto di filiazione delle comuni del Monte Peglia.
E’ necessario iniziare con un riferimento alla beat
generation americana degli anni cinquanta, che ha
influenzato direttamente il successivo movimento
36
controculturale, di cui il fenomeno comunitario è parte
integrante.
2.2.1 LA BEAT GENERATION
La matrice culturale del movimento underground degli
anni sessanta si deve rintracciare in quella che fu
definita la "beat generation" americana.
I beat, con la loro spiccata sensibilità alle vicende
del mondo esterno, furono i primi a manifestare
un'insofferenza verso lo sconfortante panorama americano
37
degli anni cinquanta, carico di malessere e di tensioni
sociali.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale era rimasto
il ricordo della bomba di Hiroshima e con essa il peso
incombente e minaccioso di una possibile distruzione
nucleare dell'intero pianeta. Usa e Urss dopo la
spartizione del mondo in sfere d'influenza politica e
militare si fronteggiavano come due blocchi, nella
strategia della guerra fredda.
Approfittando di tale clima all'interno degli Stati
Uniti Mac Carthy scatenò la "caccia alle streghe" contro
presunti comunisti al punto che, qualsiasi intellettuale
che si discostasse dal conformismo ufficiale, veniva
accusato di dedicarsi alla propaganda sovversiva. Si
instaurò una vera e propria pratica di inquisizione:
registi, scrittori, sceneggiatori sospetti di comunismo
per il contenuto delle loro opere dovevano presentarsi
di fronte ad una commissione d'indagine.
Si diffondevano sempre più i mass-media e si espandeva
il dominio della tecnologia. La classe media aspirava
unicamente alla realizzazione del "sogno americano", che
offriva uguali opportunità per ciascuno di ottenere
benessere materiale e successo personale, ma solo
38
mediante una feroce competizione, dato che tutti erano
consapevoli che i posti in cima alla piramide fossero
pochi.
Aggressività e spirito di competizione erano i valori
funzionali al sistema e chi non rispondeva ai criteri di
produttività ed efficienza veniva emarginato. Si
delineavano sempre più le tensioni razziali e la
prossima esplosione della rabbia dei ghetti.
Di fronte a tutto ciò la reazione della beat
generation fu quella di un profondo disgusto, di critica
globale al sistema e di ricerca di altre verità
interiori, di quell'umanità che appariva ormai
distrutta.
I mezzi con cui si attuava questa ricerca erano i più
diversi e andavano dalla provocazione
all'autodistruzione. "L'unica risposta vitale è accettare i termini
della morte, vivere con la morte come pericolo immediato, divorziare dalla società, esistere senza radici, imbarcarsi in un viaggio sconosciuto negli imperativi ribelli del proprio essere." (Norman Mailer, 1967:276-277).
Il beatnik rispose al conformismo con uno
sdradicamento totale dalla società, dalle sue ipocrisie,
39
professando libertà e libera espressione. Fu privo di
qualsiasi prospettiva di trasformazione globale, e
desiderava piuttosto voltare le spalle all'ufficialità
per chiudersi in se stesso e cercare la propria
soddisfazione in un altro mondo. Istintivamente si mosse
verso ciò che potesse essere per lui principio di
piacere e liberazione, vivendo al presente.
L'inquietudine fu la sua principale caratteristica: fu
in perenne movimento, sempre alla ricerca di nuove
esperienze, sempre in fuga dalle pressioni di
omologazione, imprendibile alle possibili influenze
della cultura ufficiale. La continua trasmigrazione
facilitava il rinnovamento spirituale, la liberazione di
sè.
"Tutto veniva fatto per raggiungere l'autonomia e
l'emancipazione - il viaggiare, il vagabondare, il parlare, il suonare, il danzare, il far festa, il fare all'amore, il dipingere o scrivere tutto doveva servire ai fini della liberazione di sè." (W. Hollstein, 1971:49).
Fu l'arte a offrirsi come migliore strumento di tale
ricerca, con il suo linguaggio informale e immediato e
fu nell'attività poetica di alcuni grandi scrittori che
si condensarono questi valori:
40
"... Tutto ciò portò all'urlo di Ginsberg e al
suo particolare misticismo tenero, al let's go di Kerouac e al suo vitalismo, alla poetica "bizzarria mentale" del ladro-poeta Gregory Corso, all'incerta e un po' distaccata adesione di Clellon Holmes, alla lucida e terrificante visione della disgregazione del mondo di William Burroughs." (M. Maffi, 1972:11).
La ricerca di questi scrittori puntava verso un'opera
non mediata dall'intelletto, una libera fluente
esplosione della propria sensibilità. L'opera artistica
era fuori dal controllo dell'intelletto, era piuttosto
qualcosa di urgente, incontrollato e impulsivo, che
procedeva per accumulazione e non per correzione, in
modo totalmente spontaneo.
La produzione letteraria di questi autori fu un grido
di disperazione e di denuncia sofferta, ma al tempo
stesso fu anche esplosione di gioia, volontà di amare e
vivere in modo umano e manifestazione di acuta
sensibilità. Come tale fu in grado di catalizzare il
malcontento di tutta una generazione, e all'inizio degli
anni sessanta la beat generation cessò di essere
un'esperienza poetica personale per divenire
un'esperienza esistenziale collettiva.
41
2.2.2 LA CULTURA UNDERGROUND
Negli anni sessanta negli Stati Uniti esplose la
rivolta nera, e dalle prime disperate insurrezioni,
brutalmente represse dalla polizia, acquisì poi forme
organizzate come il Black Power ed in seguito le Black
42
Panthers. Furono anche gli anni del movimento della non-
violenza di Martin Luther King, ucciso, come Malcom X e
altre decine di pantere con la connivenza di un governo
razzista. Aumentò la disoccupazione, che colpì
prevalentemente la popolazione di colore e i giovani,
andarono in crisi gli ideali americani di democrazia,
benessere e uguali opportunità per tutti i cittadini. Fu
in questa atmosfera che si sviluppò la cultura
underground.
Il termine underground si diffuse intorno al 1963 per
definire prima quella "nuova sensibilità" nata
originariamente negli anni cinquanta, poi quella forma
di contro-cultura o cultura alternativa che interessava
un ampio settore di giovani. Le Università furono i
luoghi dove nacque e crebbe la presa di coscienza
giovanile; è li che crollò l'illusione del mito
americano delle pari opportunità, perchè erano solo gli
studenti bianchi ad avere accesso ai privilegi
universitari e così abbiamo le prime manifestazioni di
dissenso incentrate sul problema dei neri.
Ma in un secondo momento la critica studentesca
investe l'intera struttura dell'università e le sue
funzioni, vengono svelate le sue componenti selettive ed
43
antidemocratiche, i suoi legami con le grosse
corporazioni economiche. Gli studenti rivendicano la
gestione degli atenei ed in seguito si organizzano delle
alternative attraverso la creazione di “contro-
università”.
Nella seconda metà degli anni settanta il movimento
cresce in seguito all'intensificarsi della guerra nel
Vietnam. Nasce un vero e proprio movimento contro la
guerra, la protesta si fa di massa, si moltiplicano gli
esempi di renitenza alla leva, si realizzano affollate
manifestazioni per la pace.
Proprio perchè è nata sotto l'impulso di molteplici
cause, la controcultura è un movimento dai contorni
fluidi, variegato, formato da diversi gruppi uniti però
dal comune rifiuto del sistema esistente. "Ciò che ora sta accadendo non è altro che
un'esplosione di energia in migliaia di direzioni, mentre gli uomini si dichiarano liberi: liberi dalle catene della proprietà, dalle tappe obbligate del successo, da tutto ciò che è posizione, titolo, notorietà, doveri, prescrizioni, regole, consuetudini." ("The East Village Others", EVO, New York, 2-8 febbraio 1968, giornale della controcultura, in W. Hollstein, 1971:15).
44
Il punto di partenza di questa nuova cultura è
l'individuo, la sua umanità. Per far riemergere
l'individuo bisogna liberarsi dall'accettazione
automatica degli imperativi della società, essere fedeli
a se stessi, essere integri, genuini, autentici,
allontanandosi dai valori ufficiali falsi e distorti.
Ogni individuo ha valore assoluto e tutti sono fratelli,
senza comparazioni di merito, senza giudizi, senza
competizione. Ognuno ha la propria personalità, di per
sè valida e non esistono modelli a cui uniformarsi. Non
devono esistere nemmeno ruoli comportamentali, obblighi,
che sono artificiosi, ma bisogna ricercare rapporti
onesti e genuini con gli altri.
A partire da questa premessa individualista, anche
l'impegno politico, per la trasformazione della società
esistente, viene a coincidere con l'impegno nella vita
personale, di tutti i giorni. La propria esistenza è
un'espressione politica. La ricerca della propria
felicità è già atto rivoluzionario. Si rifiuta la corsa
ascensionale, in competizione gli uni con gli altri e si
rifiuta il lavoro disponibile alla maggioranza degli
individui perchè sentito come degradante.
45
Lo sforzo principale da compiere è ampliare la
coscienza, la consapevolezza del proprio mondo e
affrancarsi dalla falsa coscienza indotta dalla società
ufficiale. Ribaltare tutta la scala di valori, per
recuperare le componenti soffocate dalla cultura
borghese: la solidarietà, l'interdipendenza tra gli
individui, la cooperazione, la partecipazione attiva,
l'impegno.
La controcultura è caratterizzata da una miriade di
sfaccettature. La prima distinzione che si sviluppa è
quella tra gli attivisti politici, legati alla
tradizione della sinistra ed i cosidetti hippy-figli dei
fiori più vicini all'esperienza beat, impegnati sul
fronte esistenziale piuttosto che su quello sociale.
I primi lavorano per la trasformazione delle strutture
sociali, gli altri per l'espansione della coscienza
individuale, attraverso un percorso interiore e
realizzano immediatamente la propria trasformazione,
mettendo in pratica uno stile di vita alternativo.
Ma il dissenso tra questi due settori della
controcultura tenderà a mitigarsi nel corso degli anni,
fino a giungere ad un processo di reciproca influenza ed
a realizzare, negli anni settanta, una piena osmosi.
46
Anche per i militanti della sinistra diventa importante
rivoluzionare il proprio stile di vita, come per gli
hippies cresce la sensibilità ai problemi di tipo
politico. Famoso è lo slogan "il personale è politico"
che indica l'avvenuta fusione tra gli aspetti quotidiani
dell'esistenza e le istanze più tradizionalmente
politiche.
Nel 1968 nasce infatti Yippie (Youth International
Party), un movimento che riunisce insieme hippies ed
attivisti, mescolando il bagaglio culturale di queste
due esperienze, portando come sintesi al rifiuto della
rivoluzione in senso tradizionale, per esaltare gli
elementi del divertimento piuttosto che il sacrificio di
se stessi per una nobile causa.
Cohn-Bendit, leader studentesco, affermò la necessità
di
"sbarazzarsi nella prassi, dell'etica giudaico-
cristiana, con la sua esigenza di rinuncia e sacrificio. C'è una sola ragione per essere rivoluzionario: è il miglior modo di vivere." (Cohn-Bendict, G. e D.,1969, Obsolete Communism, the Left Wing Alternative, Harmondsworth, Middlesex, Penguin Books, in A. Norman Klein, 1969).
47
Si teorizza la rivoluzione del "qui ed ora": viene
prima l'attuazione pratica e la teorizzazione ideologica
sta a posteriori.
"La rivoluzione non è quello che credete,
l'organizzazione cui appartenete o per cui votate: è quello che fate durante tutta la giornata, il vostro modo di vivere... Prima agite, poi analizzate. E' lo slancio, non la teoria, che fa fare grandi passi avanti..." (J.Rubin,1971:115)
E' avvenuto il collegamento tra il pubblico ed il
privato, la lotta sul fronte delle istituzioni procede
insieme alla lotta per la liberazione dai
condizionamenti psicologici che rinsaldano le
istituzioni: i pregiudizi sessisti, razzisti,
l'autoritarismo, la competizione. Tutti e due i livelli
hanno uguale importanza, fanno parte di un medesimo
percorso, la cui meta finale è il raggiungimento
dell'"essere umano" in senso pieno. Le organizzazioni
sono strutturate in modo informale, ognuno ha la
possibilità di esprimersi e nessuno ha un ruolo
esplicito di comando. Ogni azione è volontaria e
collettiva, e grande enfasi è posta sulla partecipazione
attiva ed entusiastica di tutti. La spontaneità domina
l'ambito della protesta politica quanto quello dei
rapporti interpersonali nella vita quotidiana.
48
All'interno della controcultura circolano le dottrine
e le teorie più diverse tra le quali ognuno è libero di
scegliere. Grande diffusione ha il misticismo orientale
in tutti i suoi culti, con la sua affermazione dell'a-
logicità, del non-senso, del non-ordine,
dell'imprevedibilità delle cose. Esso esprime la fusione
dell'individuo con gli altri, con la natura, con
l'intero universo, contrariamente a quanto avviene nella
cultura occidentale pervasa da rigide dicotomie. Il
misticismo soddisfa il bisogno di un approccio alla
realtà a-razionale, basato sulla spontaneità e sui
sentimenti, e il bisogno di religiosità, che regoli
rapporti più armonici e più rispettosi con ogni aspetto
della vita e del cosmo. In questo si esprime una
reazione di rifiuto della razionalità, della
categorizzazione intellettuale e del materialismo propri
della visione scientifica dell'Occidente.
La cultura underground fu un fermento di attività in
tutti i campi artistici:
"L'undergroun attaccò il teatro (ormai grigio e
squallido ripetitore di formule naturalistico-psicologiche); il cinema (vittima della magniloquenza e falsità dei vividi colori holliwoodiani); la letteratura (già moribonda e in attesa di un colpo di grazia); riscoprì la musica
49
popolare, il blues, il jazz, e su queste basi creò con la musica pop una nuova formula musicale-comunicativa; abbattè ogni settorialismo e ogni diaframma separante pittura, teatro e cinema..."(M.Maffi,1972:31,32).
Si diffuse una concezione ludica dell'arte, come
esperienza creativa ed espressiva di ogni individuo,
quindi sottratta dalle mani degli specialisti per
divenire vero patrimonio della collettività, componente
necessaria della vita di ciascuno, a prescindere dalla
qualificazione personale. In questo si ispirarono alla
cultura dei nativi d'America, che ebbe su di loro tanto
fascino, ed in genere alle civiltà distrutte dai bianchi
dove l'attività artistica è parte integrante dell'agire
quotidiano e l'artista è una persona comune, che ha
ancora intatto in sè il potenziale di creatività e
fantasia.
Anche i tabù borghesi del sesso, della promiscuità,
dell'omosessualità furono attaccati dalla controcultura.
Fu evidenziata l'ipocrisia di chi da una parte riprova e
condanna, dall'altra sfrutta a scopo di lucro. La
sessualità divenne espressione dell'io e delle sue
potenzialità, gioco e apertura agli altri.
50
Ma attraverso la spettacolarizzazione di queste forme
controculturali, la cultura dominante è riuscita a
riassorbire il fenomeno, metabolizzarlo, renderlo merce,
invischiarlo nelle sue reti.
La responsabilità del movimento nell'essersi reso
disponibile a questo processo di riassorbimento sta,
secondo Maffi, nell'essersi relegato in un piano
puramente sovra-struturale, che è per natura facilmente
mercificabile, senza aver affiancato a ciò alcuna lotta
al livello strutturale.
L'assunto dell'underground è stato quello di scatenare
una rivoluzione culturale con l'illusione di poter
svuotare il sistema dall'interno per instaurarne un
altro. La stessa critica di ambiguità viene rivolta
all'idea di creare società nella società, strutture
alternative organizzare autonomamente che rischiano di
divenire oasi di libertà, col conseguente pericolo di
circoscrivere l'attività politica a quest'ambito,
perdendo di incisività rivoluzionaria. (Maffi,1972).
Analogamente Norman Klein sostenne che la
controcultura fu parte integrante della cultura contro
cui era diretta e molti dei suoi caratteri, come il
51
pragmatismo e l'anti-intellettualismo, erano già
presenti nella tradizione americana.
Anzi il suo anticonformismo ebbe modo di esistere
proprio perchè figlio di una cultura opulenta
economicamente, che aveva soddisfatto i bisogni
materiali.
La forma e il contenuto della contestazione vennero
assimilati e mobilitati a propria difesa dalla cultura
egemone; e proprio perchè la contestazione non seppe
riconoscere il carattere di assimilazione e integrazione
della cultura che attaccava, contribuì al rafforzamento
di questa: "La contestazione giovanile degli anni '60 fu
priva di precedenti quanto a dimensioni e varietà di forme, ma anche la cultura dominante è senza precedenti nel suo processo di assorbimento: per la prima volta i messaggi di protesta stessi vennero trasformati in merce dalle vittime che intendevano colpire. Elementi del nuovo stile di vita vennero lanciati sul mercato quasi contemporaneamente alla loro apparizione. Furono i mass-media, sostenuti dallo stesso incentivo al profisso contro cui si rivolgevano i contestatori, a rendere possibile la diffusione del loro messaggio. (A. Norman Klein, Controcultura ed egemonia culturale. Alcune note sulla contestazione giovanile degli anni sessanta, in Antropologia radicale, a cura di Dell Hymes,1979)
52
2.2.3 BEAT, GAMMLER, PROVO, FREAK, CAPELLONE
Ogni paese europeo coniò un nome diverso per definire
questi giovani, uniti oltre i confini nazionali in una
ribellione dello stesso segno portata sulla strada. In
ognuna delle maggiori città europee c'era una piazza, un
luogo di raccolta dove questi giovani si incontravano
per vivere concretamente un nuovo stile di vita, libero
da ogni conformismo.
Il movimento era per natura nomade, i giovani giravano
alla ricerca di nuovi incontri e nuove esperienze. Non
avevano teorizzato alcun progetto di cambiamento
sociale, cercavano solo di ritrovare la semplicità
originaria dell'uomo, l'uguaglianza e la fratellanza, in
contrapposizione a tutti i valori che riproducono
l'esistenza borghese: laboriosità, denaro, consumo,
autorità.
Da un'indagine del 1967 sappiamo che essi erano 1200
in Svizzera, 2500 in Austria, 3000 in Belgio, 6000 nella
Germania Occidentale, 7000 in Italia, 18000 in
Inghilterra, 20000 in Olanda, 26000 in Francia, 30000
negli Stati Scandinavi. (W. Hollstein, 1971:53).
53
La loro protesta cominciava dal modo di presentarsi,
la loro trascuratezza già urtava il perbenismo borghese:
rifiuto dell'ordine e della pulizia, capelli lunghi e
vestiti dimessi. La loro esistenza tranquilla e
rilassata, dedita completamente ad attività piacevoli e
ludiche, prendere il sole, leggere, suonare della musica
o semplicemente stare insieme, tutto questo metteva in
discussione la società dedita affannosamente alla
produzione. In effetti il gammler si differenziava dal
borghese soprattutto nella sua concezione della vita, dal momento che conduceva un'esistenza libera da qualsiasi norma, che rifiutava di applicarsi a qualsiasi lavoro, e ignorava l'importanza e il valore del denaro. Il gammler viveva per il momento presente; (...) il gammler voleva semplicemente vivere come gli pareva. (W. Hollstein, 1971:55).
Avevano ridotto al minimo le loro esigenze materiali,
e il denaro per lo stretto necessario era guadagnato
attraverso lavori occasionali, in genere attività
artistiche di strada. Erano in genere molto giovani, in
media al di sotto dei venti anni e per lo più di
estrazione sociale medio-borghese.
Ci fu un momento in cui il loro atteggiamento
rivoluzionario si concretizzò in una prassi, in una
54
tattica per scuotere la cristallizzazione
dell'esistente: la provocazione. Furono i provos
olandesi a sperimentare e diffondere questa tecnica tra
tutti gli altri fratelli europei.
L'happening, che era stato già utilizzato nel teatro e
negli altri campi dell'arte, per sopprimere la deprecata
distanza tra artista e spettatore, per dare una scossa
violenta al gusto borghese, fu portato dai provos fuori
dalle sale, nelle strade.
Con le loro azioni anticonformiste, che venivano
automaticamente criminalizzate, essi mostravano che il
sistema non permetteva l'esistenza di niente che si
discostasse dalle abituali regole del gioco. Quando gli
happening si trasformarono in azioni di massa dei
giovani in rivolta, la polizia smise di tollerarli e
iniziò a reprimerli per mezzo di manganelli. I provos
picchiati, perseguitati e incarcerati mostrarono la
falsa liberalità, l'autoritarismo di uno stato
formalmente democratico.
Il movimento dei provos si autodefinì "provotariato",
"folla anonima di elementi sovversivi". Uno di loro,
Roel Van Duyn, scrisse:
55
"Nella società di oggi l'unico modo di agire ancora accettabile è di comportarsi da provo. Infatti, avere una posizione nella società, tentare la scalata al successo, significa per noi cooperare a far precipitare la catastrofe atomica, verosimilmente imminente; essere i puntelli del capitalismo, del militarismo, della burocrazia; collaborare con l'autorità ufficiale e col suo mezzo più crudele e raffinato per addormentare la coscienza: la televisione, concentrato di stupidità." (Roel Van Duyn, Provo, in W. Hollstein,1971:74).
Grazie alla diffusione delle tesi di questi pensatori
provo attraverso le numerose pubblicazioni, il movimento
ebbe una grossa popolarità e un suo esponente venne
eletto alle elezioni comunali ad Amsterdam. Nel '66 si
tenne un "congresso provo" dove si stabilì che
l'obbiettivo finale del provotariato internazionale era
quello di distruggere la struttura sociale autoritaria,
ma le tattiche ed i mezzi per attuare lo scopo erano
liberi e si differenziavano a secondo dei luoghi e dei
casi.
56
2.2.4 I BEAT ITALIANI
Anche in Italia si sviluppa il movimento beat a
partire dal 1965. All'inizio i contestatori sono solo
pochi esempi di giovani rinunciatari che decidono di
distaccarsi dagli avvenimenti esterni, nei quali non si
riconoscono, che cercano di costruire la loro strada dal
di dentro, mettendosi in ascolto delle loro vibrazioni
più profonde e sottraendosi alla determinazione
dell'esterno, delle strutture che hanno come fine non la
vita, ma la scalata al successo sociale. Allora si
diceva "non contate su di me" per esprimere questa
estraneità al sistema.
Poi crebbe un vero e proprio movimento e i
contestatari non furono più un fatto isolato. Anzi
iniziarono a moltiplicarsi ed incontrarsi per le strade.
A Milano fu aperto un locale (era uno scantinato) in Via
Montenero, che diventò subito punto di raccolta dei beat
di tutta la provincia. Chiunque avesse avuto bisogno di
un appoggio, lì poteva trovare ospitalità, fratellanza e
solidarietà. Fu lì che nacque e si concretizzò l'idea di
realizzare una pubblicazione: il 15 novembre 1966 uscì,
57
ciclostilato, "Mondo Beat", il primo periodico
dell'underground italiano.
I beat incentrarono la loro attività sui temi della
non-violenza e dell'anti-militarismo: Si ebbero i primi
casi di obiezione di coscienza a proposito della quale
un giornale beat scrive: "Una guerra presuppone sempre un bisogno di
possesso, o perlomeno la difesa di un possesso. A questo livello è logico che la facciano tutti coloro che vogliono possedere qualcosa di nuovo, o che hanno dei beni particolari da difendere, ed è altrettanto giusto che non la facciano coloro che, raggiunta una maggiore maturità storica, vogliono solo usare dei beni che la natura ha messo a disposizione dell'uomo. Il problema posto sotto questa luce, assume un significato diverso da quello che comunemente si vuole attribuirgli. E disubbidire non vuol più dire tradire, ma essere compiutamente coerenti con se medesimi. Solo così il rifiuto all'obbedienza assume un carattere rivoluzionario, la cui meta è quella di spezzare moralmente tutti quei circoli tendenti a circoscrivere la personalità umana, limitando il campo d'azione coscienziale ed esistenziale dell'individuo, giungendo fino a soffocare in esso il bisogno della libertà."(da un fascicolo ciclostilato senza titolo raccolto presso la sede di "Mondo Beat" a Milano, 1967)
I beat organizzarono una valanga di azioni
dimostrative contro l'esercito e la guerra, in
particolare quella al centro dell'attenzione
58
internazionale, il Vietnam. Qualunque dimostrazione
veniva repressa dalla polizia, che caricava i giovani,
li prendeva, li trascinava di peso sulle camionette, li
teneva alcune ore in stato di fermo e spesso li
espelleva con un foglio di via.
Fernanda Pivano lavorò nel '66 ad una pubblicazione
per Feltrinelli (che non fù mai edita), il "Numero Unico
di Protesta", sull'attività dei capelloni italiani. Un
capitolo raccoglieva i dati delle principali retate
subbite dai ragazzi e fatte per motivi politici. Nella
sua premessa scrive: "Qualunque cosa facciano i ragazzi se sono più di
cinque la polizia interviene per impedire, ad ogni buon conto, che lo facciano. L'Autorità interviene ovunque: nelle strade e sulle piazze, nei locali pubblici e nelle scuole. Ci proponiamo qui di evidenziare le iniziative dei giovani denunciando le calunnie e le ingiurie alle quali sono stati sottoposti da parte degli organi di stampa controllati dal potere economico e politico." (F. Pivano 1976:89).
E' la cronaca di una serie di repressioni poliziesche
e di aggressioni giornalistiche, dettagliatamente
documentate. "Era la metodologia della dimostrazione non-
violenta che cominciava in Italia. Da questo
59
momento in elenco degli arresti, dei fermi, dei fogli di via è così lungo che riferirlo sarebbe impossibile." (F. Pivano, 1976:90).
Questo è l'inizio del fenomeno comunitario, che si
sviluppa inizialmente sulla strada. Si esperimentò che
era possibile modificare il proprio habitat, intervenire
sulle strutture fisiche del potere, "riprendersi la
città". "Vivere agli angoli delle strade, nelle piazze,
assunse un significato rivoluzionario: la banalizzazione del territorio nemico, la città, per usarla in modo nuovo, umano. Quel che di mitico rimanda alla mente in nome di certe zone urbane: Brera, Campo dei Fiori, Village, Il Dam, Piccadilly, è legato ad ricordo di ciò, al fatto che esse furono le prime comunità alternative, le prime "zone liberate"... (Vivere insieme, 1974:85,86).
L'aspetto esteriore era un mezzo di comunicazione e di
riconoscimento, di definizione della propria identità.
Avere i capelli lunghi, i vestiti stracciati,
significava testimoniare il proprio rigetto per
l'ordine, la pulizia, il decoro borghese, significava
anche delimitare il proprio ambito di esistenza, uscendo
automaticamente dal circuito dell'ufficialità. Tale
aspetto esteriore a priori metteva nell'impossibilità di
60
frequentare i luoghi della borghesia o di ottenere un
lavoro.
A Roma si costituisce il gruppo Provo 1 e a Milano
nasce Onda Verde, sulla scia del provotariato olandese.
Ecco la metodologia dell'Onda Verde:
"La vecchia generazione, che detiene o sostiene o
subisce il controllo sociale e la repressione, deve morire prima di noi. Bisogna che i semifreddi (le loro ideologie, i loro apparati, i loro metodi) non sopravvivano dopo la morte naturale, che il passato non ritorni nel nostro futuro. L'inevitabile ricambio biologico deve diventare ricambio generale. A questo scopo abbiamo assunto il metodo della provocazione. Essa deve avere due prodotti: r) "staccare" dalla vecchia generazione. Essa deve venire disorientata, ridicolizzata, costretta ad esporre i panni sporchi e la violenza su cui si sostiene più o meno nascostamente. La scissione crea la provocazione, la provocazione allarga la scissione delle responsabilità; rr) costituire un tam-tam continuo, una trasmittente, un segnale visibile ovunque. (...). Operazioni programmate: a) manifestazioni di
massa mediante disobbedienza civile e resistenza passiva. Metodi di provocazione ironica o sarcastica diretta a dimostrare la reazione isterica o violenta. Basterà citare la "manifestazione dei fiori", in cui la polizia ha caricato giovani che offrivano omaggi floreali. b) manifestazioni permanenti, manifestazioni-spettacolo, come quella che avrà inizio fra pochi giorni. Il centro cittadino, nelle ore di punta, verrà percorso alla spicciolata da persone con scritte sugli abiti. Le scritte saranno di questo
61
tono: Correte a casa - fra poco c'è Carosello -- L'On. Moro è divertente e fa abbastanza bene alla salute -- Amico, la guerra è un buon affare - investi tuo figlio -- Il Presidente Johnson vi invita ad una vacanza gratuita nel Vietnam - emozioni garantite. (...) d) Si programma il sabotaggio mediante infiltrazione provocatoria all'interno delle associazioni giovanili scolastiche, confessionali, partitiche..." (in N. Balestrini, P. Moroni 1988:49,50).
I diversi gruppi trovano la propria unificazione nella
pubblicazione del periodico, la cui redazione dopo
alcuni numeri finirà per spaccarsi, a causa della
proposta di venire editi da Feltrinelli. La testata
"Mondo Beat" viene sostituita da "Urlo Beat" prima e
"Grido Beat" poi, ma ormai la pubblicazione di giornali
alternativi si moltiplica anche nelle altre città.
62
2.3 LE COMUNITA'
Rifiutando l'inserimento nel sistema, i giovani
dell'underground cercarono di dare vita a delle
soluzioni per una diversa vita quotidiana.
La comune era un modello di convivenza alternativa che
permetteva agli individui di sfuggire all'isolamento, di
eliminare la frammentazione, di sperimentare rapporti
nuovi. La ricerca di una vita in comune esprimeva il
rifiuto della famiglia nucleare, percepita come un luogo
di isolamento, come cellula riproduttiva del sistema
ufficiale; anche il pensiero femminista aveva maturato
una fondamentale critica verso la famiglia, per le donne
luogo di isolamento e di sfruttamento.
La soluzione comunitaria rispondeva inoltre al bisogno
espresso dai giovani della controcultura, di vivere in
modo globale, integrare ogni aspetto della propria
personalità e sperimentare in maniera diretta e concreta
la solidarietà e la cooperazione con coloro che
63
sentivano simili. La convivenza quotidiana dava
l'opportunità di realizzare la rivoluzione nel privato,
di applicare nella concretezza i nuovi valori elaborati
dal movimento underground, di attenuare la
contraddizione tra l'impegno rivoluzionario e
un'esistenza borghese.
La comune era il tentativo di abbandonare il mondo della
famiglia tradizionale con i suoi rapporti circoscritti e
vincolanti, regolati dalla regola della monogamia, del
vincolo duraturo, connesso al patrimonio.
Un primo nodo che venne rivoluzionato, nell'ambito
della convivenza, fu quello dell'allevamento dei figli.
In una comunità si ampliava enormemente l'universo
infantile: esistevano numerosi altri bambini con i quali
entrare in rapporto, per giocare, comunicare e crescere
insieme; non c'erano più solo i genitori biologici come
riferimento per il bambino, ma altri e diversi
individui, cosicchè le tipiche tensioni tra genitori e
figli si potevano sciogliere attraverso gli altri
adulti. Inoltre, il fatto che tutta la comunità si
prendesse cura dei bambini, rendeva i genitori molto più
autonomi, e soprattutto liberava le donne dallo
stereotipo di madre-casalinga.
64
Tutti quei compiti che erano tradizionalmente svolti
in solitudine, divenivano nella comune un problema
collettivo, con una conseguente ottimizzazione dei tempi
di lavoro, un accrescimento degli spazi di libertà e
un'ulteriore occasione di confronto e crescita comune.
Anche l'universo affettivo dell'adulto si apriva,
perchè aumentavano gli scambi ed i contatti profondi con
gli individui e non c'era più un solo punto di
riferimento. I rapporti non erano più necessariamente
monogami e si prendeva in considerazione la possibilità
che con gli altri conviventi le relazioni fossero di
vario tipo, quindi anche sessuali.
65
2.3.1 LE COMUNI URBANE
Il fenomeno comunitario si è sviluppato in genere prima
in contesto urbano, realizzando all'interno della città
una rete di strutture alternative, come liberi negozi o
libere scuole o ancora centri di assistenza medica e
solo in un secondo momento ha avuto luogo una
radicalizzazione che ha portato all'abbandono del
territorio urbano per cercare maggiori spazi di libertà
in una dimensione meno contaminata, quella dellla
campagna.
Inizialmente si tentò di "liberare" lo spazio urbano, di
strutturarlo a propria misura, riappropriandosene in
modo creativo, sovvertendo l'uso abituale di certi
luoghi, sconfiggendo la solitudine quotidiana e facendo
delle piazze le prime vere e proprie "comunità".
Nel 1966 a San Francisco, per esempio, i giovani, a
migliaia, invasero un vecchio ghetto nero di nome
"Haight Ashbury" e lì si insediarono le prime comunità
66
hippies. I Diggers, un gruppo che aveva preso il suo
nome dai comunardi inglesi del 1600, si occupò di creare
una rete a sostegno di queste esperienze. Nacque FREE
CITY, che consisteva di una free clinic, per risolvere i
problemi sanitari legati all'uso delle droghe o ai
problemi di tipo sessuale; di un free store, dove le
merci circolavano senza la mediazione del denaro ma
scambiate esclusivamente in base al bisogno, di un free
news, servizio di informazione tramite ciclostile che
produceva volantini appesi per le strade che trattavano
i più diversi argomenti. Inoltre furono create due
comunità che fungevano da ostello per ospitare
viaggiatori di passaggio o gente sfrattata.
I centri comunitari di assistenza e di comunicazione non
furono tipici solo della scena americana, ma si
svilupparono anche in europa. Erano servizi interni al
movimento stesso, cioè curati da persone che ne facevano
parte e per questo qualsiasi "fratello" poteva
usufruirne liberamente quando ne aveva bisogno. L'idea
della controcultura era infatti quella di supplire in
maniera autonoma e alternativa alle mancanze e alla
violenza del sistema borghese.
67
Le comuni urbane furono incentrate soprattutto sulla
creazione di un'alternativa alla struttura sociale
tradizionale -la famiglia-, dando luogo alla cosiddetta
famiglia aperta. Mantennero invece invariato l'aspetto
economico, lasciato alla risoluzione individuale,
costituendo solo la comunità dei consumi, ossia
condividendo i redditi che gli provenivano da attività
lavorative diverse. La condivisione totale del proprio
sostentamento economico si verificò piuttosto negli
esperimenti di tipo agricolo.
68
2.3.2 LE COMUNI AGRICOLE
Ci fu un momento in cui avvenne un esodo degli hippies
dalle città verso le campagne. Questo successe anche per
l'Height Hashbury di San Francisco, ormai divenuto
inabitabile a causa dei troppi curiosi e dei problemi
determinati dall'uso delle droghe. Gli hippies
lasciarono la città e se ne andarono verso zone di
campagna, dove sembrava più facile mettere in pratica
gli ideali comunitari, dove la natura riservava uno
spazio libero per disporre della propria vita.
In queste comuni rurali, che si pensa raggiunsero il
centinaio, maturò una vera e propria ostilità verso la
città; si tentò di mettersi in sintonia con i ritmi
naturali e questo approccio alla vita fu visto come
l'unica garanzia per sopravvivere in un mondo ormai così
vicino alla catastrofe ecologica.
69
La caratteristica principale di queste esperienze fu
di essere impostate sul principio della piena libertà
dei propri membri: non esistevano regole esplicite, ne
programmazione alcuna dei lavori della casa e nessuna
forma di costrizione; tutto era lasciato al contributo
spontaneo e al senso di responsabilità dei membri. Non
esisteva nemmeno un criterio di selezione dei membri,
poichè non veniva espresso un giudizio a priori sulle
qualità degli individui.
Questa assoluta liberalità portò come conseguenza una
costante instabilità, una continua riaggregazione dei
membri; ma la transitorietà non costituì un problema,
poichè quello che si cercava non era tanto la continuità
di un'esperienza, la sua sicurezza e stabilità, quanto
piuttosto la sua qualità e la sua capacità di soddisfare
i bisogni di quel determinato momento della vita. La
mobilità estrema che ne derivava era dunque pienamente
accettata.
Mornigstar Ranch, una comune anarchica a nord di San
Francisco, fu un esempio di comunità aperta: il concetto
basilare era che la terra dovesse essere disponibile a
chiunque, per cui tutti ne avevano libero accesso. Si
basava inoltre su quello che uno dei suoi fondatori
70
definì "primitivismo volontario": una vita semplice a
contatto con gli elementi fondamentali della natura, con
conseguente rinuncia a tutti i confort della società
consumistica e ritorno alle tecniche tradizionali e più
elementari di sostentamento. Nelle stagioni più calde il
numero dei visitatori diventava altissimo, causando non
pochi problemi organizzativi; inoltre lo stile di vita
scelto, a causa della sua irregolarità rispetto agli
standard ufficiali, provocò numerosi controlli da parte
delle autorità igenico-sanitarie ed una infinità di
problemi legali, che si trascinarono per anni.
"Drop city", nel Colorado, fu invece un famosissimo
esempio di comune rurale formata da artisti hippies che
avevano abbandonato l'università. Molto note furono le
cupole geodetiche (dal progetto dell'architetto
americano Buckminster Fuller), che caratterizzavano
l'insediamento. Erano realizzate esclusivamente con
materiali di recupero, utilizzando carrozzerie di auto
usate tagliate a triangoli, in segno di polemica col
consumismo dilagante che concepisce solo oggetti da
usare e poi buttare via rapidamente. La scelta di questa
forma costruttiva inusitata esprimeva il bisogno di
qualcosa di diverso dalle abitazioni della società, dove
71
"gli angoli costringono la mente", come afferma Bill
Voyd di Drop City.(in D. Hayden, 1980:326).
Un altro esperimento di cui abbiamo notizia fu quello
di cinque comuni rurali nel Vermont. A proposito di
queste esperienze mi interessa mettere in luce il parere
di Andrew Hopkind, un giornalista che visse per un lungo
periodo in queste comuni e che ci descrive uno dei più
spinosi problemi del vivere comunitario, quello
economico:
"...è vero che vivere in campagna costa meno, ma
le possibilità di lavoro sono scarse. Inoltre una fattoria dà molto da fare e le possibilità di mantenersi grazie al lavoro agricolo sono limitate.(...) Nessuna delle comuni rurali del Vermont è riuscita a raggiungere l'autosufficienza.(...) Chiunque abbia vissuto in una comune sa che le discussioni finanziarie sono all'ordine del giorno e che uno degli hobbies favoriti è quello di sedersi intorno al tavolo della cucina a redarre schemi e piani per far soldi. Quindi la comune rurale o rimane un lusso per figli di papà o rappresenta una difficoltà tremenda per quelli che devono farcela da soli finanziariamente. (in D. e G. Francescato,1974:94).
Le comuni agricole furono comunità di consumo e di
produzione: era la comunità nel suo insieme a produrre
il proprio reddito, creando così forme di indipendenza
72
dall'economia ufficiale. In campagna infatti si possono
soddisfare con l'autoproduzione un gran numero di
bisogni.
Lo sviluppo di ambiti lavorativi dentro la comune
diede inoltre la possibilità di modellare un ambiente di
lavoro a propria misura, cosi che ciascuno potesse
sviluppare il proprio potenziale umano. Le capacità di
ognuno potevano socializzare in modo da divenire
accessibili a tutti, abbattendo le tradizionali
disuguaglianze di potere e remunerazione e facendo sì
che il lavoro e l'apprendimento procedessero di pari
passo in un unico contesto, superando la tradizionale
divisione tra studio e lavoro.
Anche la barriera tra lavoro manuale e lavoro
intellettuale venne abbattuta, dal momento che tutti
coloro che vivevano in una comune rurale partecipavano
ai lavori pratici. Inoltre in una situazione lavorativa
autogestita, anche il modo in cui il lavoro veniva
realizzato acquisiva grande importanza: era il gruppo
stesso che creava le regole ed i rapporti
nell'organizzazione comunitaria.
Queste comuni si possono ricondurre al modello della
comune-microcosmo, dove tutti gli aspetti della vita
73
quotidiana, dal lavoro ai rapporti interpersonali, sono
risolti in chiave collettiva.
In alcuni casi si è corso il rischio di concepire la
comune, e quella agricola in special modo perchè più
distante dalla società ufficiale, come un rifugio, un
oasi, una sorta di pacificazione con il sistema. Ma non
in tutte le esperienze esiste il rifiuto di intervenire
nella realtà esterna; anzi alcuni hanno avvertito le
potenzialità radicali e dirompenti di questa forma
sociale. Ecco cosa scrive il gruppo olandese Morannon:
"All'inizio vedevamo la comune solo come un luogo
in cui essere felici e sereni gli uni con gli altri. Ora ci stiamo accorgendo delle implicazioni politiche della comune. Nella nostra vogliamo dunque trovare la sintesi tra tendenze introverse (felicità all'interno) ed estroverse (azione politica all'esterno)(...) Se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo lavorare su due piani: dobbiamo cambiare noi stessi e dobbiamo cambiare l'ambiente politico-economico. La comune è per noi l'ambiente ottimale in cui scoprire il nostro vero io e preparare azioni esterne. (in "Directory of Communes", n.3, agosto 1970, in M. Maffi, 1972:84).
74
2.3.3 LE COMUNITA' FEMMINISTE
Gli anni del movimento hippy furono gli stessi in cui
si sviluppò la presa di coscienza femminista.
Molte donne del movimento di liberazione paragonarono
la loro condizione a quella dei neri e così anche le
loro strutture organizzative si ispirarono alla
separazione dalla società bianca oppressiva che aveva
postulato una parte del movimento razziale.
Le donne iniziano a maturare la necessità di uno
scollamento dalla società maschile e di questo concetto
investirono anche l'esperienza comunitaria.
Nascquero e si diffusero le comuni create da donne per
sole donne. Uno di questi esperimenti si verificò
nell'Iowa, nel 1970:
"Se le donne debbono veramente unirsi, allora
necessitano di un posto dove possano andare sapendo che sempre le braccia aperte di una sorella le
75
aspetta.(...) In un collettivo di donne, le donne dovrebbero imparare a guardare, per l'approvazione alle loro sorelle, non agli uomini.(...) Le donne stanno dicendo che la nostra oppressione non sarà messa in disparte nella rivoluzione come è stato in qualsiasi altro posto. Imparare a smettere di competere con le nostre sorelle e cominciare ad aver fiducia in loro sarà un importante lezione dalla comune. ("Women's Collective", in Everywoman, New York, Luglio 1970, in Vivere insieme, 1974:228).
Le donne decisero dunque di non subordinare più
l'emancipazione femminile all'emancipazione della
società, anche perchè troppo spesso rintracciavano
esempi di maschilismo all'interno delle strutture della
sinistra o del movimento antagonista. Le relazioni uomo-
donna all'interno del movimento finivano per replicare
quelle stesse dell'esterno contro cui si combatteva. I
collettivi intrapresero la strada del separatismo per
lottare contro l'oppressione delle donne sia nella
società ufficiale che dentro il movimento stesso.
Spesso anche le comuni hippies caddero nella stessa
divisione sessuale del lavoro, in cui le donne cucinano,
lavano e fanno le cose da "donne" e gli uomini lavorano
all'esterno, nei campi o negli orti e fanno in generale
lavori da "uomini".
Organizzarsi autonomamente come donne divenne anche
dividere il proprio quotidiano, sperimentare nella
76
pratica ciò in cui si credeva, soprattutto il fatto di
sentirsi tutte sorelle. Le comunità per sole donne
garantirono, oltre alla condivisione di tutti gli oneri
tipici della vita quotidiana, anche l'oppportunità di
avere più tempo a disposizione per l'attività militante
femminista.
77
2.3.4 L'ESPERIENZA ITALIANA
In Italia il movimento delle comuni conobbe un
percorso molto simile a quello che ebbe negli Stati
Uniti o nel resto dell'Europa. Anzi in alcuni casi ne
ricalcò le orme al punto tale che in un testo sulle
comuni trovo riportato un volantino attribuito ad una
comunità del Monferrato che altro non è che una
traduzione di un scritto dei diggers inglesi. Ecco
alcuni dei "Punti sulla libertà e la partecipazione
nella comune fondata sull'amore in piena fioritura",
fatti propri dai comunardi di Monferrato:
"La comune fondata sull'amore è una organizzazione
anarchica priva di complicazioni di tipo autoritario.(...) Nei limiti del possibile, ogni lavoro è distribuito tra tutti. Non c'è nessuna truffa come una divisione permanente del lavoro che porta inevitabilmente alla divisione della gente in classi diverse. Tutte le cognizioni e le illuminazioni sono patrimonio comune, disponibile gratis per tutti.(...) Ognuno è libero di fare
78
quello che vuole a condizione che questo non significhi la castrazione della libertà altrui. (...) Non ci sono nè restrizioni come leggi, clausole o regolamenti, nè presunzioni come rispettabilità e moralità. (...) Il modo di vita dei freak è sempre materia di amore e comprensione." (da Fuoco, Casale Monferrato, Maggio 1973, Documento ciclostilato, in Vivere Insieme, 1974:1799.
Le esperienze in Italia sono molte ed hanno
soprattutto in questa prima fase dei toni molto
idilliaci, come quelli del testo sopra citato.
Di tono molto incoraggiante è un altro intervento a
riguardo, del 1972:
"Tante comuni e subito. In campagna, in città,
sul mare, in Italia e all'estero. Dovunque purchè si viva insieme, si cambi insieme, ci si ami insieme, si distruggano insieme le nostre repressioni, le nostre paure, di noi e degli altri, paure che ci fanno cadere e ricadere angosciati nella coppia, la prima fase di quella polvero ragnatela che si chiama famiglia: mamma-papà-rispetto-non-toccare-il-pipì-ubbidisci-prima-i-compiti-dopo-giocherai-i-nostri-sacrifici-impiego-sicuro-una-brava-ragazza-un-bravo-lavoratore-bla-bla-bla-basta!!!!. (...) E allora troviamoci, trovatevi, uniamoci, riuniamo i nostri soldi, la nostra povertà, la nostra voglia di avere subito quello che agli altri fa più paura di ogni altra cosa: una vita diversa, avere intorno della gente diversa, più libera, con la mente aperta, che lotta contro i tabù avuti in eredità e non con le cambiali del centoventisette, Dove? In una comune,
79
naturalmente. (da Pow Wow, Milano 1972, in Vivere Insieme, 1974:159,160).
Ma negli anni seguenti si sviluppò anche una maggiore
consapevolezza di quelli che erano i limiti e le
difficoltà di queste esperienze.
"Un centinaio di compagne e compagni" collaborano alla
stesura di un libro pubblicato nella collana
Controcultura da Stampa Alternativa, intitolato "Comune
Agricola -un manuale d'uso per vivere in campagna-".
Questo testo vuole essere appunto un manuale sia dal
punto di vista pratico, nell'esporre i mille consigli
tecnici su come e dove trovare un luogo da abitare o
sulle più svariate attività agricole, ma soprattuto dal
punto di vista politico, nell'esaminare tutti i pericoli
e tutti i rischi che sono stati corsi fino a quel
momento.
Era proprio un patrimonio di esperienze quello che si
voleva comunicare e insieme ai grossi pregi del vivere
in comune anche i grossi rischi, quelli di ricreare la
famiglia o di ripetere i ruoli storici: leader, padre,
madre, maschio, femmina. Oppure quello
dell'assimilazione da parte del sistema:
80
"Mai come in questo periodo le comuni hanno avuto il loro boom quotidiano. Ed è proprio per questa sua importanza numerica che la comune così come la stanno in concreto vivendo molti compagni e compagne corre oggi il rischio di divenire l'area di parcheggio, limitata e controllata dal capitale, degli emarginati(...), a meno che il movimento delle comuni trovi in se stesso la forza e la capacità di uscire fuori dal ghetto, di porsi in linea di attacco contro il capitale ampliando e destendendo le proprie tematiche(...) pensate a due milioni di persone assestate nelle comuni in linea d'attacco, che producono generi alimentari e vestiti e prodotti artigianali e tutto l'occorrente per vivere, insomma sottraendo al capitale una forza lavoro, ma soprattutto una quantità di consumatori.(...) Creare questo movimento, ampliarlo, difenderlo, mantenerlo vivo e inserirlo nel movimento reale in lotta per il comunismo: è la parola d'ordine che lanciamo con questo libro." (Comune agricola, 1978:18).
Ecco una testimonianza della politicizzazione che
aveva investito il mondo comunitario, inserito, una tra
le tante forme, nel blocco di coloro che lottano per
l'abbattimento della società della violenza e dello
sfruttamento.
I compagni delle comuni, autori di questo testo
collettivo, affermano che sono molti gli errori da
rileggere ed oltrepassare: innanzitutto rendersi conto
di essere incorsi in una forma di banalizzazione delle
proprie battaglie e dei propri traguardi, attraverso un
81
recupero operato dal potere, che si è rivenduto la
macrobiotica, come l'artigianato e come pure
l'agricoltura naturale. E l'attacco esterno non è solo
quello del potere ma anche le invasioni dei comunardi
della domenica o di coloro che vogliono soltanto vivere
alle spalle degli altri.
Poi bisogna fare attenzione agli errori interni e
mettere in atto una serrata autocritica. Troppo spesso
ci si è abbandonati alla spontaneità, in nome di una
utopistica armonia tra gli individui e questo ha fatto
esplodere centinaia di convivenze. L'assenza di regole
presuppone un altissimo livello di coscienza che troppo
frequentemente è mancato. Invece la scelta di far
ruotare i compiti o di fare dei turni elastici è un modo
di riappropriarsi in modo comunitario e bilanciato dei
gesti che sono necessari alla vita quotidiana.
"La discussione sui piatti fa certo sorridere
qualsiasi borghese guardone o kompagno stalinista: in realtà è una contraddizione apparentemente ridicola ma che sintetizza in se la divisione dei ruoli uomo-donna, la schiavizzazione di chi è più debole o più disponibile, ripagata con un misto di affetto e di violenza (vedi famiglia). E comunque sta di fatto che lavare i piatti è spiacevole e fa un po' schifo, quindi l'incombenza viene lasciata (imposta) dalla borghesia e da tutta l'impostazione capitalistica alla classe sfruttata, alla donna-
82
moglie-madre-sfruttata.(...) E' chiaro che in una ipotesi di vita collettiva ci si scontri anche in questo." ( Comune agricola, 1978:15,16).
Di conseguenza viene ribadita l'importanza di riunioni
periodiche di autocritica, autocoscienza e verifica
costante dei problemi, avendo ben chiara l'importanza di
rispettarsi, di far girare la discussione in cerchio per
dare a tutti spazio e tempo di esprimersi ed evitare
l'emergere di figure leaderistiche.
83
CAPITOLO 3
IL MONTE PEGLIA: UN QUADRO D’INSIEME
3.1 COS'E' IL MONTE PEGLIA?
"Quando siamo arrivati noi i casali erano stati
abbandonati nel 1950, grossomodo venti o trenta anni prima, quando c'è stato il boom dell'industrializzazione e sembrava che le città dessero denaro con poca fatica e il divertimento; la gente è stata cacciata via dalla terra ed è andata a lavorare in città come Roma, o nell'industria a fare altri lavori; questi poderi prima erano del conte Faina, altri marchesi, sempre con titoli nobiliari, sempre grossi latifondisti, che trovandosi alle strette, che non avevano più reddito dal terreno agricolo, erano disposti a venderlo e lo Stato li ha acquistati con i soldi destinati alla piccola impresa contadina, quindi soldi che sarebbero stati destinati ai contadini lo Stato li intascava lui stesso comprandosi questi poderi qua, che poi
84
rimenevano abbandonati" (Mario C., uno dei primi occupanti del '77)
Il Monte Peglia è un rilievo di 850 mt. di altitudine
che si innalza tra i due grandi centri abitati di
Orvieto e Marsciano. Vaste porzioni del suo territorio
furono abbandonate dalle popolazioni rurali circa un
trentennio fa, quando lo sviluppo industriale sembrò
offrire loro nuove possibilità di lavoro e di reddito
tali da liberarli dalle difficili condizioni impostegli
dal rapporto di mezzadria con i possidenti della zona.
Durante i primi anni sessanta l'Azienda di Stato per
le Foreste Demaniali, acquistò dai proprietari terrieri
gran parte dei loro possedimenti, che divennero così
patrimonio pubblico.
Nel 1975 lo Stato trasferì gran parte dei suoi beni
demaniali alle Regioni ed di concerto con loro istituì
le Comunità Montane, enti che hanno il compito di
gestire porzioni di territorio (anche facenti parte di
diversi comuni) ricadenti in zone montane definite
85
svantaggiate alla vita residente agricola. Tra i fini di
questo ente c'è quello di ripopolare tali zone, anche
attraverso la creazione di strutture che rendano più
remunerative le attività legate alla terra.
Alla "Comunità Montana Monte Peglia e Selva di Meana"
vennero assegnati 13.000 ha. di patrimonio boschivo,
seminativo, arborato e di pascolo, e 124 casali in gran
parte esistenti al momento del trasferimento.
La Comunità Montana Monte Peglia e Selva di Meana è
formata dai comuni di San Venanzo, dove ricade gran
parte del suo territorio, di Orvieto, Ficulle e
Allerona. Ogni comune ha dei rappresentanti riuniti in
un consiglio, che elegge il presidente e la giunta.
Per quel che riguarda la gestione della cosa pubblica
in questa zona, ed in Umbria in genere, il PCI (poi PDS)
ed il PSI rivestono la quasi totalità delle cariche
regionali, provinciali e comunali. Il primo presidente
Luciano Rotti (PSI), San Venanzese, figlio di un ex
Sindaco, è durato in carica quindici anni
86
ininterrottamente, ed ha lasciato il suo incarico nel
momento in cui è stato eletto alla Provincia.
Questa Comunità Montana dà lavoro a circa
centocinquanta dipendenti del circondario ed è palese la
sua importanza perlomeno nel territorio comunale di San
Venanzo che conta circa 2500 abitanti. I servizi offerti
alla popolazione residente consistono nell'opera di
lavorazione delle terre a pagamento e nella vendita di
legna da ardere. L'attività privilegiata, che ha quasi
totalmente impegnato la Comunità Montana, è stata il
rimboschimento, che ha in pratica condannato
all'abbandono decine e decine di poderi, privandoli del
terreno coltivabile. Infatti il rimboschimento
effettuato con "pino nero canadese", scelto per la sua
velocità di crescita e per la scarsa necessità di
manutenzione, ha sostituito ingenti porzioni di oliveti
e di terre seminative. La comunità Montana ha inoltre
realizzato alcuni esempi di tartufaie e di impianti di
nocciolicultura, due allevamenti di selvaggina, la
87
costruzione di quattro recinti, di cui una parte
destinata a parco, ed un'altra, più piccola, a verde
pubblico attrezzato.
E' in questo territorio, così composto di poderi e di
casali abbandonati, che ha avuto inizio, nel 1977, un
movimento migratorio di giovani metropolitani.
Nel giugno 1977 un gruppo di giovani disoccupati
provenienti dalla Liguria, dopo aver inutilmente cercato
terra in affitto da privati, decide di occupare alcuni
dei poderi in questione, per lavorarne le terre incolte.
I giovani occupanti costituirono una cooperativa con
un preciso e dettagliato progetto per l'avviamento di
attività agricole e di allevamento.
L'amministrazione locale reagì con lo sgombero dei
casali, denunce e fogli di via.
Malgrado tutto ciò i giovani ritornarono ad abitare i
casali e si ripeterono nel corso del tempo nuovi
sgomberi seguiti da rioccupazioni.
Tutto ciò proseguì ininterrottamente e senza notevoli
variazioni fino ad oggi. Cambiano solo gli occupanti,
che non sono più gli stessi del 1977 tranne alcune rare
eccezioni, ed oggi il Monte Peglia è abitato da
88
generazioni più giovani. Attulmente i casali occupati
sono 17.
Per quanto ho avuto modo di osservare direttamente,
l'esperienza di vita sul Monte Peglia è un tentativo di
trasformare direttamente il proprio contesto sociale a
partire dagli aspetti materiali dell'esistenza, per
creare un nuovo gruppo sociale su piccola scala; questo
stabilisce le proprie regole di vita e riduce al minimo
i legami con la società più grande di appartenenza,
verso la quale esprime un netto rifiuto.
Chi sceglie di abitare sul Monte Peglia, nella quasi
totalità dei casi, proviene da un’esperienza di vita
cittadina. Ha deciso di lasciarsi alle spalle il degrado
e l’inquinamento della città, un lavoro alienante, la
costrizione di un tempo di vita sfrenato, ritmato dalla
necessità dei soldi, e rapporti umani piuttosto
superficiali. Verso tutto ciò ha maturato un profondo
fastidio, una profonda insofferenza che lo ha portato a
costruire un'alternativa in campagna, a contatto con la
natura.
Questa alternativa non è però vissuta come un compiuto
progetto politico e sociale, ma piuttosto come il
89
desiderio di attuare dei cambiamenti al livello della
propria esperienza personale.
Gli abitanti del Monte Peglia hanno scelto e
realizzato una vita semplice, frugale, riducendo al
minimo i propri bisogni materiali e rifiutando molti
beni di consumo. Le case sono vissute in maniera molto
simile a come venivano vissute dai contadini di 40 anni
fa: è assente la corrente elettrica ed i relativi
oggetti di tecnologia domestica, il riscaldamento è a
legna, l’illuminazone a gas e candele, ed in alcune case
mancano i servizi igienici.
La semplificazione del proprio stile di vita permette
di realizzare un pieno controllo sul proprio mondo
materiale, di fare da se e solo per se, molto di ciò che
occorre per vivere. Infatti si tende all’autosufficienza
agricola, producendo gran parte dei beni alimentari sul
luogo, attraverso la coltivazione di orti e
l’allevamento di pochi capi di bestiame da latte
(mucche, pecore o capre).
L’economia è integrata da lavori stagionali o saltuari
che forniscono quella quantità di denaro necessario
all’acquisto di ciò che non si può autoprodurre.
90
Si riduce al minimo la prestazione lavorativa
salariata per dedicarsi piuttosto alle attività in
proprio che si possono realizzare sul proprio podere.
In alcuni casali si è scelto di vivere un’esperienza
comunitaria, dove i rapporti vadano in profondità,
coinvolgendo le proprie esistenze.
Negli altri casi invece, dopo un primo periodo di vita
comunitaria, si è desiso di restringere la convivenza al
solo nucleo familiare, che può consistere in una coppia,
o una coppia con figli, o ancora un solo genitore con
figli.
Le esperienze comunitarie non prevedono la presenza di
regole di vita rigide. All'interno del gruppo ogni
individuo è libero di determinare i propri modi e tempi
di vita. Ci sono delle minime attività comuni che
riguardano la pulizia della casa, la cura di un orto o
di piccoli animali che sono svolti collettivamente, ma
la cui gestione è affidata all’iniziativa spontanea di
ciascuno. Ogni casale forma un’esperienza a se stante,
distinta dalle altre soprattutto per quel che riguarda
il modo in cui ha costruito la sua economia. Ma
l’insieme dei casali è legato da alcuni vincoli di
solidarietà e di amicizia, e da una cultura comune, che
91
consiste nelle motivazioni di fondo di questa scelta di
vita, pur con tutte le sue diversificazioni.
3.2 UNA CRONISTORIA DELLE OCCUPAZIONI
La base documentaria che mi consente di scrivere a
proposito della storia delle occupazioni sul Monte
Peglia è un ampio materiale dattiloscritto e di ritagli
di giornale; è un piccolo archivio, che è stato
arricchito di nuove pagine nel corso degli anni ed è
passato di mano in mano tra gli occupanti che si sono
susseguiti nel corso del tempo.
La composizione dell'archivio appare assai
sproporzionata; esiste una grande quantità di
documentazione relativa ai primi anni (1977-1978-1979),
92
mentre è molto più scarsa quella che riguarda gli anni
successivi.
Mi sembra dunque che la quantità dei materiali
documentari dei primi anni già attesti la tenacia, la
meticolosità e l'organizzazione con cui furono portate
avanti le prime occupazioni.
Questa documentazione, molto dettagliata e curata,
consiste in volantini, articoli di giornale, una
cronistoria degli avvenimenti di maggiore importanza,
alcune pagine di riflessione sull'arrivo dei primi
occupanti, lo statuto della cooperativa che fu
costituita, il progetto dettagliato di questa, il
carteggio tra un senatore comunista, che appoggiò gli
occupanti ed il responsabile politico del PCI di Terni,
che invece li osteggiò con accanimento.
Il primo gruppo di occupanti proveniva dalla Liguria;
erano giovani nati e cresciuti in città, che avevano
maturato e poi deciso di realizzare il progetto di
vivere in campagna, traendo i mezzi della sussistenza
dal lavoro agricolo, svolto con metodi cooperativistici.
93
In Umbria avevano cercato poderi da affittare, ma
nell'impossibilità di ottenere un contratto d'affitto
agricolo dai privati, si erano alla fine rivolti alle
amministrazioni locali. Nessuna aveva offerto loro la
propria disponibilità.
Avevano dunque presentato all'amministrazione
regionale dell'Umbria, proprietaria di numerosi terreni
incolti, una domanda di concessione di un ampio podere,
allegando un progetto di attività agro-pastorale. Anche
in questo caso non avevano ottenuto alcuna risposta.
Nel giugno del 1977 si decisero a terminare queste
peripezie burocratiche e diedero il via alle occupazioni
di alcuni casolari sul territorio gestito dalla Comunità
Montana Monte Peglia e Selva di Meana, nel comune di San
Venanzo.
Iniziarono un lavoro di ristrutturazione dei casali
che erano abbandonati da alcuni anni e lavori di
recupero delle terre incolte.
94
Il Comune di San Venanzo si affrettò a dichiarare
pericolanti alcuni casolari rendendo così automatico lo
sgombero degli stessi ad opera dei Carabinieri e ritardò
con mille complicazioni la concessione delle residenze
ai nuovi abitanti.
Immediatamente dopo le prime occupazioni, una società
di allevamento di bovini, la "Colli Verdi", di cui era
amministratore il Sindaco di San Venanzo, ottenne
l'affitto di una discreta parte dei poderi in questione,
con un contratto che prevedeva una pigione irrisoria.
Nell'ottobre dello stesso anno gli occupanti si
costituirono in cooperativa agricola, creando un
progetto di attività economica che metteva in contatto
tutti i casali occupanti per una gestione collettiva
delle risorse presenti sul territorio.
Nello Statuto della Cooperativa leggiamo come
intendevano recuperare le terre incolte e abbandonate
per impiegare giovani disoccupati in attività agricole
95
da svolgersi collettivamente, nel rispetto degli
equilibri naturali, secondo tecniche non inquinanti:
"La cooperativa, senza scopo di lucro, si propone
di: a) consentire alla propria base sociale
l'occupazione permanente in agricoltura, la massima creatività del lavoro, e la migliore produttività della terra, mediante un rapporto non di sfruttamento ma di cooperazione tra i consociati così come con l'ambiente naturale. b) Favorire il ripopolamento da parte dei giovani
dei poderi abbandonati e la coltivazione dei terreni incolti e malcoltivati. Promuovere metodi culturali che trattino la terra
come un organismo vivente avente i propri equilibri energetici ed esperienze di agricoltura biologica e biodinamica. Proporre cioè un'alternativa alla disoccupazione
giovanile, alla degradazione e alla rapina del paesaggio rurale italiano, all'avvelenamento continuo e progressivo dei corpi e delle menti perpetuato dall'inquinamento alimentare ed ambientale, alla miseria del vissuto urbano".
I membri della cooperativa, essendo a conoscenza di
tutta la normativa nazionale e regionale che avrebbe
potuto favorirli, chiesero per il loro progetto i
finanziamenti che gli sarebbero stati dovuti. Infatti,
nel giugno del 1977, per far fronte al grande problema
96
della disoccupazione giovanile, era stata varata la
Legge n. 285 "Provvedimenti per l'occupazione
giovanile".
Al titolo III della citata Legge n. 285: DISPOSIZIONI
IN MATERIA AGRARIA (art. 18), si può leggere:
"Le regioni assumono iniziative dirette a
favorire nel settore agricolo la promozione e l'incremento della cooperazione a prevalente presenza dei giovani: a) Per la rimessa a coltura di terre incolte... b) Per la trasformazione dei terreni demaniali a
patrimoniali a tal fine concessi dai comuni, dalle Comunità Montane e dalle Regioni; c) Per la trasformazione dei prodotti agricoli; d) Per la gestione di servizi tecnici per
l'agricoltura".
Ma questa legge dello Stato venne di fatto affossata
dalla Regione Umbria che continuava a respingere le
richieste e i progetti di questa cooperativa. Nel
complesso la reazione istituzionale fu assai dura: si
replicò attraverso il corpo di polizia con denuncie,
perquisizioni e fogli di via.
97
Anche con il Partito Comunista avvenne lo scontro
diretto: i membri di questo partito, che da anni
governava il territorio, avevano fino ad allora gestito
indisturbati le risorse del luogo. Riguardo ai terreni
abitati dagli occupanti, il PCI difendeva la Cooperativa
"Colli Verdi", di cui facevano parte i suoi iscritti,
come unica possiblità di utilizzo dei terreni demaniali.
La presenza degli occupanti era avversata poichè questi
giovani mostravano una particolare intraprendenza che
poco sottostava alle leggi di potere, e volevano
rimanere una piccola cooperativa autosufficiente ed
indipendente. Avevano inoltre smascherato la politica
del Partito Comunista e dei suoi iscritti, che
ricoprivano la maggior parte delle cariche nel Consiglio
Comunale e nella Comunità Montana, come si può leggere
nel testo di alcuni volantini:
"Ci hanno mandato lo sfratto perchè quando si
tratta di parlare del lavoro ai giovani sono tutti d'accordo, ma quando i giovani il lavoro se lo prendono, li cacciano via. Il Sindaco, amministratore della cooperativa "Colli Verdi" che
98
occupa più di 270 ha. e ne vuole altri, ha ottenuto prestiti per chissà quanti milioni e da lavoro solo a quattro salariati; non ci vuole perchè preferisce che solo le pecore e le mucche siano gli abitanti della montagna (....) noi siamo tanti e vogliamo lavorare per vivere in queste case che ora sono solo stalle utilizzate venti giorni l'anno. Noi siamo più forti del Sindaco (e della forestale) perchè lottiamo per riprenderci la vita. Faremo di San Venanzo un posto che si ripopola e non un posto da dove tutti scappano". "Riteniamo che l'ostacolo principale per avere la
concessione di quei terreni sia la Comunità Montana che li ha in gestione dalla Regione, vede in noi degli antagonisti alla realizzazione dei loro progetti economici e politici in quanto viviamo su quei terreni, non accettiamo la regola del "io ti do, tu mi dai!"... in quanto non siamo controllabili politicamente col ricatto del lavoro o dei servizi che ti spettano di diritto ma che ti danno solo per piacere in cambio della tua subordinazione, in quanto anche noi avremmo diritto ad una fetta dei congrui finanziamenti piovuti sulla Comunità Montana da parte della CEE. (...) Questi sono i motivi di fondo al di la di tutte le chiacchiere ed i pretesti che la Comunità Montana adduce per ostacolare la nostra presenza: sulla terra non ci si può vivere perchè è povera, togliamo il lavoro alla gente di San Venanzo, quelle terre servono alla "Colli Verdi" perchè quella che ha è insufficiente. Noi siamo fermamente convinti a continuare perchè siamo dalla parte della ragione umana e del diritto di vivere del nostro lavoro, sotto ad un tetto di proprietà pubblica che prima del nostro insediamento era abbandonato; oltre alla ragione sociale di far rispettare la democrazia basata sulla partecipazione e sul consenso popolare, che, in questo caso (e quanti altri?!!!) si scontra con
99
l'ottusità e l'arroganza di chi detiene il potere". "Ora, un ritorno all'agricoltura con metodi
corporativistici, mette in crisi l'attuale sistema capitalista di industrializzazione delle campagne, e di riorganizzazione del latifondo, oggi apertamente appoggiati dal PCI; contrasta la volontà di creare grandi aziende intensive (s.p.a., multinazionali o cooperative di copertura) che richiede grandi investimenti statali, dati clientelarmente e che per andare avanti hanno bisogno di pochi salariati agricoli, assicurando grosse rendite per i "padroni".
La sezione del PCI di San Venanzo costruì una campagna
denigratoria affinchè questi giovani venissero
scacciati.
Vennero compiute indagini sulla vita che svolgevano
nei paesi di origine, sulla professione dei loro
genitori, sulla loro condizione economica, per poterli
etichettare come "borghesi", "falso proletariato",
trovando in questo modo una copertura ideologica che
motivasse l'avversione. In particolare il responsabile
politico della Federazione del PCI di Terni per la zona
di San Venanzo, Ennio Navonni, infierì contro di loro,
esprimendo la sua ostilità sia pubblicamente nelle
100
assemblee che gli occupanti indicevano per discutere con
la popolazione locale, sia in via privata come abbiamo
nota grazie ad un carteggio di cui, non si sa come, gli
occupanti riuscirono ad impossessarsi.
Il Navonni scrisse alcune lettere ad un illustre
compagno di partito, il senatore Branca. Obbligato dal
rispetto delle gerarchie interne al partito, moderò i
toni di rimprovero con i quali avvrebbe voluto investire
il senatore, reo di avere pubblicamente difeso gli
occupanti, e, secondo lui, assai poco informato della
situazione. Da una lettera di Navonni a Branca:
"... non ci sono terreni disponibili e le idee
che i giovani in questione manifestano sono del tutto sballate: vanno parlando di biodinamica, macrobiotica e via fantasticando, in una località a 800/850 mt. sul livello del mare. (...) Ma è pensabile che la popolazione di San Venanzo possa prendere sul serio questi giovani quando si sente raccontare storielle sulla biodinamica, sulla macrobiotica, sull'apicoltura, sul fatto che questi giovani, malgrado l'evidenza dei fatti, teorizzino il ritorno ad una vita agreste pre-arca di Noè? (...). Io so per certo che fra i giovani della Raccolta vi sono dei figli di papà... posso credere o far finta di credere che questi siano soggetti credibili per il lavoro del campi? (...)
101
credo che detti giovani, riuscendo ad aggregare a loro qualche povero diavolo veramente in cerca di lavoro, non siano altro che alla ricerca di posti tranquilli per farsi le loro "fumate".
Gli occupanti cercarono un confronto pubblico il più
possibile aperto, convocarono assemblee sul loro caso,
per stimolare l'appoggio della popolazione, alle quali
invitarono tutte le forze politiche e sindacali.
Uno dei primi volantini distribuiti nel titolo si
rivolge alla popolazione appellandola "lavoratori di
Ospedaletto, San Venanzo, Prodo!". In un altro ci si
appella alla solidarietà popolare:
"Chiediamo a tutti di contribuire, con la
sottoscrizione, se avete attrezzi agricoli usati da rimettere a posto, aratri, motofalce, motozappa, erpice, ripper... che non vi servono li rimetteremo in funzione. Se avete semenze di avena, orzo, fave, ceci, cipolle che vi sono avanzate li semineremo. Se non potere sottoscrivere manifestate la vostra solidarietà ponendo il vostro nome sul libro delle firme".
Produssero molto frequentemente volantini dove
esprimevano i loro bisogni, illustravano la propria
attività e il prorpio stile di vita. Si difesero da chi
102
li attaccava attribuendogli l'etichetta di "drogati",
ammettendo che alcuni di loro facevano uso di hashish e
marjuana, ma spiegando la differenza tra queste e le
droghe pesanti, verso le quali anzi espressero ferma
critica. Affermarono il principio di indipendenza delle
donne, il loro desiderio di convivere senza contratti di
matrimonio, dove la scelta sessuale fosse libera e fonte
di conoscenza. Espressero la cultura della non violenza,
negando la possibilità di reazioni violente ai soprusi o
alle minacce.
Dalla lettura dei volantini emerge chiaramente la loro
fiducia nella possibilità di comunicare con gli abitanti
del luogo, o comunque il loro sforzo di rendere
manifesta e comprensibile la loro diversità culturale,
soprattutto riguardo agli aspetti come la droga, la
sensibilità o la convivenza in gruppo, argomenti
generalmente censurati perchè riguardano quei
comportamenti percepiti dalla comunità locale come
particolarmente devianti. Nei loro volantini non si
103
toccano infatti solamente il tema più facilmente
accettabili del ritorno alla terra, ma si parla
apertamente anche di aspetti come l'uso della droga, la
sessualità...
"Siamo contrari alle tossicopendenze, all'uso di
tutte quelle droghe che danno assuefazione (compreso l'alcool, il caffè, i tranquillanti). Qualcuno di noi ha fumato sigarette all'hashish o alla marjuana, anche i signori notabili lo fanno, o molti politici che siedono in parlamento. Non danno assuefazione, creano un'ebbrezza simile a quella del vino solo che mietono meno vittime e distruggono meno cervelli (a detta delle statistiche ufficiali). Assai peggiore è l'alcolismo. BISOGNA STRONCARE LA DROGA PESANTE ( MORFINA, EROINA ). Bisogna fermare gli spacciatori. Il grosso del commercio è controllato dalla mafia per gli enormi proventi che da; la stessa mafia che si è infiltrata nel potere. Perchè? Perchè oltre al guadagno essa stronca tanta gente, giovani che potrebbero scaricare la loro rabbia contro il sistema, contro lo Stato. Per questo la combattono a parole, nei fatti... sono ben felici che ci sia quando non sono loro stessi che la commerciano(vedi gli innumerevoli casi, uomini della narcotici che riciclano il materiale sequestrato, etc.). COME VIVIAMO. Ognuno ha il diritto di vivere come vuole, ci
sono famiglie con figli, ci sono convivenze senza contratti di matrimonio, vorremmo vivere in pace con tutti e formare un'unica famiglia. Un progetto troppo grande ed ambizioso però tra noi lo si può
104
costruire. Marx già parlava del superamento della famiglia unicellulare. Le comunanze contadine erano già dei nuclei allargati. Noi vogliamo percorrere la stessa strada, formare una comunità aperta dove tutto è di tutti. La donna è di se stessa. Rispettare la volontà delle donne e dei più deboli, la loro autodeterminazione. La volontà del bambino di fare le proprie scelte. Il sesso è una cosa bella; occorre essere maturi per viverlo. Maturi non lo si è nemmeno a 60 anni quando non si vive in pace con sè stessi. E' normale come il bere o il mangiare ed è altrettanto semplice. Non è vero che siamo "scopatori folli" e pratichiamo l'amore libero. Tra di noi c'è chi non fa l'amore da diverso tempo. Ognuno pratica la propria sessualità reprimendo gli impulsi perversi che gli derivano dall'educazione precedente. Per noi la sessualità e la famiglia non sono alla
base dei nostri rapporti ne sono una conseguenza dei rapporti economici. Sono solo fonte d'amore e di conoscenza. Da quando siamo qui non abbiamo molestato nessuno, non abbiamo storto un capello ad una mosca, eppure ce ne sarebbe stato il motivo. Abusi e soprusi ne abbiamo ricevuti di ogni sorta. Intimidazioni, minacce pure. Non abbiamo reagito perchè non è nel nostro linguaggio. Non ci mettiamo sullo stesso terreno dei padroni e dei prepotenti. La nostra risposta è una, ferma, pacata, di critica e di confronto democratico; è stata di isolamento nei confronti del rifiuto e della tracotanza."
La quantità e la qualità dei loro scritti dimostrano
una chiara politicizzazione.
105
Viene espressa frequentemente una lettura politica
della loro esperienza di vita, che è perfettamente
inserita nella realtà di movimento giovanile che li
circondava.
Esplicativi in questo senso sono gli spazi e i
commenti che a loro dedicano giornali di movimento come
"Re Nudo" e "Lotta Continua".
In un intervento firmato "i compagni della cooperativa
"La Raccolta" Ospedaletto San Venanzo (Terni)"
pubblicato nel '77 dal quotidiano Lotta Continua,
leggiamo:
"E' chiaro che chi va in campagna oggi opera una
scelta non solo esistenziale, lasciandosi alle spalle sicurezza, comodità e facili guadagni (...). Chi va in campagna rifiuta la logica del consumismo che lo inchioda al lavoro alienato, alla produzione in funzione dei bisogni fittizzi creati dalle classi più abbienti che sull'estensione di questi bisogni mediante la pubblicità e lo sfruttamento in fabbrica degli operai destinati poi a consumare loro stessi quei prodotti che creano inutilmente, hanno fatto la loro fortuna. Chi va in campagna cerca altresì un rapporto nuovo e diverso con il lavoro, con la natura e con gli altri (...) noi vogliamo lavorare per vivere e procurarci le cose che ci sono
106
indispensabili vendendo direttamente al consumatore a prezzo di costo, senza una rete di indermediari parassiti e comprando direttamente dal produttore a prezzo di costo. Così la merce avrebbe un valore reale etc.".
I documenti si fermano probabilmente al 1979, dopo di
che abbiamo un vuoto per molti anni, sicuramente
riconducibile ad una stasi della vertenza con le
amministrazioni locali e ad una sospensione
dell'attività politica.
Le istituzioni, di fronte alla difficoltà di cacciare
gli occupanti, sospesero ogni attività intimidatoria nei
loro confronti. Gli occupanti giunsero alla
consapevolezza dell'impossibilità di ottenere un
riconoscimento, una leggittimazione istituzionale e, non
dovendo più fronteggiare alcun attacco delle forze
dell'ordine, persero quella coesione e quell'unità dei
primi anni, che da tale bisogno era scaturita.
A ciò si aggiunsero anche le prime difficoltà che si
iniziarono a manifestare all'interno delle comuni che
erano sorte. Una volta venuto meno il nemico comune
107
contro cui scaricare le colpe, contro cui combattere
uniti, si faceva sempre più forte, più importante il
nemico interno, la lotta per la proprietà, per il
possesso di cose e persone. Iniziò il disfacimento dei
primi gruppi.
In uno scritto di un occupante dei primi anni
leggiamo:
"Dopo un periodo prolungato di silenzio eccomi di
nuovo a scrivere. Questa volta non è per i carabinieri, per l'ennesimo foglio di via, per una denuncia o per l'occupazione...; è per il nemico interno, quello che è dentro ad ognuno di noi e ad ogni gruppo. E' l'incompatibilità, l'incapacità collettiva di riuscire con amore a raggiungere gli ideali comuni, è la sete di sapienza, di potere, di onnipotenza che ognuno ha, la presunzione o l'amore per se stessi, il concetto di proprietà o l'egoismo, la competitività o l'invidia, o qualsiasi altra cosa di questo genere che fa si che gli individui entrino in collisione tra loro invece di convivere pacificamente e di amarsi. Non è pessimismo la mia visione, invito chiunque vi sia riuscito (senza regole, senza interporre barriere), ad uscire allo scoperto, a comunicare la propria esperienza agli altri. La mia esperienza nelle comuni agricole mi dice che la strada è questa ma che il cammino è ancora lungo e difficile. Ad una ad una ho visto entrare in crisi e sgretolarsi, poi ricostruirsi, risorgere e poi sgretolarsi di nuovo tante comuni e anche tante
108
"sacre" famiglie che però vivevano fuori dai canoni della famiglia tradizionale, vivevano a nostro fianco, lavorando assieme, mangiando assieme, socializzando solo gli aspetti esteriori del vivere insieme. La crisi è arrivata per tutti, sembra quasi che
si possa stare assieme solo attraverso regole economiche, vincoli matrimoniali o religiosi, figli e che non esista altra alternativa. Io non credo così; credo che il nostro è solo un
momento particolare, una fase di transizione tra un sistema di vita ad un'altro."
Sappiamo comunque che, dopo un lungo periodo di non
belligeranza tra le parti in causa, nell'84 la Comunità
Montana formulò agli occupanti una proposta di
affitto.Il contratto proposto presentava però notevoli
punti critici.
Innanzitutto la durata era di un anno non rinnovabile
automaticamente alla scadenza. Questo è logicamente
incompatibile con qualsiasi progetto di insediamento con
relativi investimenti di denaro ed energie, e di
sviluppo anche non agricolo di chi abita i poderi.
Un altro punto di controversia era che l'affitto
riguardava le terre circostanti i casali in soli tre
109
casi su quindici; per gli altri si limitava ad
interessare la sola casa.
E ancor più, il contratto non fu frutto di un dialogo,
nè fu oggetto di alcuna trattativa: fu presentato come
qualcosa da prendere o lasciare.
Gli occupanti dei casali furono chiamati singolarmente
a firmare, e coloro che rifiutarono furono
immediatamente denunciati per occupazione abusiva.
Dei tre casi che prevedevano l'affitto con la terra,
due non firmarono il contratto per solidarietà con gli
altri occupanti; il terzo (podere Pergolla, scollegato
dal resto del gruppo) firmò ed in seguito l'intestatario
impugnò il contratto in pretura e ne ottenne
l'equiparazione ad altri contratti agricoli.
Questa strada non fu seguita dagli altri occupanti in
primo luogo per l'assenza di un idoneo supporto di
consulenza legale, poi per la giovane età degli
occupanti e per la forte insofferenza verso la
burocrazia che impedì alla maggioranza di seguire la
110
strada di questa difficile vertenza che li avrebbe visti
alla fine vittoriosi.
La proposta rifiutata fu demagogicamente sbandierata
da parte dell'ente come segno della sua buona volontà a
risolvere la questione, e come cattiva fede degli
occupanti che mostravano sempre più la loro indole al
parassitismo, al nomadismo e all'ozio.
La Comunità Montana potè così procedere
all'allontamento, tramite denuncia, di quella porzione
di popolazione che non voleva integrarsi. Gli occupanti
che rifiutarono di firmare il contratto furono citati in
giudizio.
Di fronte a questo nuovo attacco istituzionale, gli
occupanti ritrovarono una forma di coesione capace di
produrre una risposta politica.
In un volantino di questi anni, leggiamo una chiara
denuncia all'amministrazione locale e l'affermazione del
valore culturale della loro proposta di vita:
111
"Di fronte ad una tale incapacità da parte degli amministratori locali di affrontare in modo costruttivo una vicenda che, al di là degli interessi individuali, acquista un valore simbolico per la nostra epoca, non si può fare a meno di chiedersi quali sono i criteri che guidano le scelte di questi amministratori della cosa pubblica. Il primo sospetto è che essi soffrano di quel
male tipicamemte italiano che va sotto il nome di "lottizzazione degli enti pubblici", per cui l'amministratore non agisce nell'unico, sovrano interesse della collettività, ma compie delle scelte atte a favorire una parte politica. In questa ottica le tentazioni di creare
esclusivamente clientele di dipendenti pubblici, invece di favorire lo sviluppo di un tessuto socio-economico indipendente dai partiti, è più che comprensibile. La seconda ipotesi è che essi, prigionieri di un
conflitto culturale e generazionale, non sappiano compiere opera di mediazione tra due mentalità contrapposte. Da una parte una popolazione da poco uscita da
una civiltà contadina; popolazione che, comprensibilmente, insegue ancora i miti tipici della civiltà industriale e, là dove non è possibile, l'industrializzazione, concepisce come uniche risorse economiche possibili, la creazione di servizi (quali quello turistico) in funzione esclusiva delle popolazioni urbane. Dall'altra parte un gruppo di giovani provenienti
per lo più da città industriali, portatori di una cultura (...) che assume già connotazioni post-industriali, per i quali "il male umano si identifica, nella nostra epoca, con male urbano". Essi sono disposti a grandi sacrifici, pur di poter vivere sulla terra; non chiedono di meglio che rimettere a coltura terre abbandonate da
112
decenni, pur sapendo che con tali attività il loro reddito non potrà mai raggiungere quello medio italiano. Ritengono che così facendo, salverebbero un
patrimonio di risorse naturali e culturali destinato altrimenti ad andare perduto".
Anche i giornali dedicarono alcuni articoli al
problema, in alcuni casi prendendo apertamente le parti
degli occupanti.
Si crearono di nuovo forme di mobilitazione, gli
occupanti vanno a manifestare sotto il palazzo della
Regione a Perugia, chiedendo un interessamento di questa
per aprire un confronto chiaro, che la Comunità Montana
aveva fino ad allora negato.
Di nuovo non si ottenne nessuna risposta precisa.
Ci fu un altro lungo periodo di silenzio pubblico,
dove gli occupanti si richiusero nel loro mondo privato.
All'inizio del '91 si ha un mutamento nei vertici
della Comunità Montana e allora sembra che qualcosa
inizi a cambiare, anche se non in senso positivo.
113
All'improvviso, nell'ottobre del '91, appare
sull'inserto umbro della "La Nazione" un articolo di
mezza pagina su presunte coltivazioni di papavero da
oppio e marijuana ad opera degli occupanti, con agganci
al mercato internazionale e giri di miliardi.
L'articolista, Manunzio Conticelli, utilizzava la
notizia del ritrovamento di alcune piante, sostenendo
però che fossero almeno 10.000, e oltretutto omettendo
il piccolo particolare che il ritrovamento era avvenuto
circa quindici anni prima, quando la quasi totalità
degli attuali occupanti neanche abitava lì.
L'articolo, decisamente screditante, era seguito
alcuni giorni dopo da una risposta pubblica all'accaduto
di alcuni abitanti del Monte, che non avrebbero permesso
ai "capelloni" di infangare il buon nome del posto e che
comunque a salvare il posto a dargli prosperità e
sviluppo era sorta una s.p.a., la "Mareverde", con la
partecipazione di privati e Comunità Montana.
114
Non è quindi solo l'attacco dell'articolista a
spaventare gli occupanti, ma piuttosto il legame con la
nascita di questa società per azioni e la nuova ondata
di denunce, questa volta penali nei confronti di vecchie
e nuove occupazioni.
Gli occupanti ritrovano la compattezza per reagire, si
riapre il confronto e si moltiplicano gli incontri tra
gli abitanti di un pò tutti i casolari.
Da queste riunioni scaturisce la decisione di riaprire
la vertenza con l'ente e viene costituita
un'associazione culturale , "La Spinosa", attraverso la
quale proporsi nel confronto istituzionale.
Si prendono contatti con giornali e TV locali,che
vengono invitate a visitare le loro case.
C'è una trasmissione ad una rete locale e alcuni
articoli che iniziano a considerare la questione degli
occupanti sotto una luce diversa e che permettono a
questi di farsi conoscere dalla popolazione locale ed
115
informare sul loro modo di vita e conseguentemente far
cadere molti pregiudizi.
Gli occupanti partecipano anche, nell'aprile del '92
alla festa del Palio dell'Oca, una delle più importanti
per Orvieto; sono presenti alla fiera che si svolge in
quella occasione nelle vie del centro, con ciqnue
banchetti di vendita di prodotti alimentari e di
artigianato e con alcune azioni teatrali.
Fu questa l'occasione di un primo sondaggio della
popolarità degli occupanti nel comprensorio e la
possibilità di un incontro e di confronto con tutti
coloro che si avvicinarono ai banchi, lessero la loro
mostra informativa e, non pochi, acquistarono i loro
prodotti.
Gli occupanti riescono ad ottenere un primo incontro
col nuovo Presidente della Comunità Montana, Piccini,
del PSI, che afferma di non avere pregiudiziali a
risolvere il problema delle occupazioni, e chiede tempo
per conoscere meglio la questione.
116
Ad un secondo incontro, dopo un discreto lasso di
tempo, il Presidente, pur continuando a dirsi
possibilista sul caso, declina sulla Regione ogni
responsabilità, citando a tal proposito una circolare di
quest'ultima che diffida le Comunità Montane a stipulare
nuovi contratti per manifeste incapacità gestionali del
patrimonio demaniale regionale.
Il vice-presidente Sarri (PDS) più esplicitamente
afferma, senza mezzi termini, che l'unica condizione per
iniziare una trattativa è quella che le case vengano
restituite.
Prima di andarsene il presidente Piccini avvicina
l'avvocato degli occupanti e gli illustra, senza
testimoni, la sua proprosta (poi negata in altre
occasioni): in cambio delle case attualmente occupate
l'ente sarebbe disposto a darne altre più marginali e
semidistrutte.
117
Gli occupanti restano molto delusi, anche perchè il
presidente Piccini prima delle elezioni si era
presentato in vari casali dicendosi disponibile e amico.
Gli occupanti si rivolgono allora alla Regione, loro
reale interlocutrice in quanto proprietaria: organizzano
una conferenza stampa nella sala della partecipazione
alla Regione, invitando ad uno ad uno tutti i componenti
della Giunta Regionale, della Comunità Montana, dei
partiti politici, degli organi d'informazione.
Al primo incontro la Regione e la Comunità Montana,
che sono gli invitati principali, si presentano solo con
alcuni tecnici senza nemmeno uno dei componenti la
Giunta.
L'associazione però arriva ad essere conosciuta a
livello regionale grazie alla presenza di tre TV locali,
di tre giornali e un'agenzia stampa.
Riceve inoltre la solidarietà dei gruppi politici dei
Verdi e di Rifondazione Comunista e, nonostante
l'assenza di un interlocutore qualificato che possa
118
rispondere ai quesiti, riescono ad ottenere un'incontro
per la settimana successiva con il Presidente della
Regione Ghirelli (PDS) e il vice-presidente, nonchè
assessore all'agricoltura e foreste, Gubbini (PSI).
Gli attestati di solidarietà che la Spinosa riceve da
Verdi e Rifondazione rappresentano un passo
importantissimo, anche se questo appoggio può apparire
logico dato che sono gruppi all'opposizione e
interessati alle tematiche della vertenza: ambientalismo
e giustizia sociale.
Essi sono però i primi alleati all'interno delle
istituzioni e in quanto tali consentono alla questione
delle occupazioni di uscire dal piano della marginalità
per divenire di piena attualità.
La Storia degli occupanti accede alla stampa regionale
senza che essi vengano più percepiti come ladri. La loro
vita non è più strana, ma, agli occhi di alcuni, è un
mondo civile e addirittura additato come esempio perchè
119
non inquinante, autosufficiente, a basso tenore di
consumo e di vigilanza dell'ambiente di residenza.
La battaglia, da locale e ignorata, acquista in più il
significato di difesa del patrimonio demaniale dalla
alienazione dei privati.
L'incontro con il presidente della Regione apre nuove
prospettive: Ghirelli afferma la piena disponibilità ad
una soluzione positiva della vertenza e assicura
l'interesse a discutere la questione riconoscendo agli
stessi occupanti il ruolo di interlocutori. La Giunta
Regionale si impegnò inoltre ad adoperansi affinchè le
procedure giudiziarie di sgombro venissero sospese.
Malgrado l'impegno delle più alte cariche della
Regione, la Comunità Montana alcuni giorni dopo consente
l'esecuzione dello sgombro di due casolari, apponendo
sigilli in uno dei due e costringendo gruppi e famiglie,
con i loro relativi animali, all'abbandono forzato delle
case in cui risiedevano.
Gli occupanti tornano ad appellarsi alla Regione.
120
Il Presidente Ghirelli ritiene incomprensibile la
decisione della Comunità Montana di procedere agli
sgombri senza informare preventivamente la Giunta
Regionale, con la quale pure avevano trovato un'intesa
al fine di scongiurare questa eventualità.
Gli occupanti decidono allora di manifestare
apertamente l'urgenza della soluzione del loro caso ed
iniziano uno sciopero della fame ed un presidio
permanente nella piazza antistante il Palazzo della
Regione che durerà finchè non avranno ottenuto un
intervento concreto.
Dopo cinque giorni di sciopero della fame vengono
informati che la Giunta Regionale e la Comunità Montana
hanno firmato un protocollo d'intesa per il
raggiungimento della stipula di un contratto d'affitto
per i poderi occupanti.
Siddisfatti del risultato ottenuto gli occupanti
terminano la loro mobilitazione.
121
Da due anni, dal luglio del 1992, aspettano che si
muovano i primi passi per la concretizzazione di questo
contratto.
Un anno fa, attraverso vie legali, hanno ripetutamente
richiesto alla Comunità Montana l'attuazione
dell'accordo sui contratti d'affitto.
Gli è stato risposto che la Comunità Montana è
impossibilitata a procedere per scarsità di personale.
Nel timore di una diffida da parte del legale degli
occupanti, qualcosa ultimamente si sta muovendo: da
quattro mesi architetti della Regione stanno compiendo i
rilevamenti degli stabili occupati al fine di giungere
alla concessione del contratto d'affitto.
122
CAPITOLO 4
GLI ABITANTI DEL MONTE PEGLIA
4.1 IL POPOLO DEGLI OCCUPANTI
Per quanto riguarda gli abitanti stabili del Monte
Peglia essi sono 15 bambini e 40 adulti, di cui 17 donne
e 23 uomini.
Dividendo gli occupanti in fasce di età, alla fascia
tra i 25 e i 30 anni appartengono 15 persone, 20 persone
sono tra i 30 e i 35 anni, 4 persone tra i 35 e i 40, e
solo una persona è nella fascia di età oltre i 40 anni.
L'incontro con l'esperienza del Monte Peglia è
avvenuta per 24 persone in un'età compresa tra i 20 e i
25 anni, per 16 persone oltre i 25 anni di età.
Per quanto riguarda il livello scolastico 1 persona ha
conseguito la licenza elementare, 19 persone quella
media inferiore, e 20 persone la licenza media
superiore.
Le origini sociali sono piuttosto varie: 1 persona
proviene da un contesto sottoproletario, 17 persone sono
123
di ceto medio-basso, 13 persone di ceto medio e 9 di
ceto medio-alto.
Rispetto alle attività svolte in precedenza all'arrivo
sul Monte Peglia, 7 persone lavoravano stabilmente come
operai meccanici o edili, 6 persone svolgevano attività
nel basso terziario (come facchini, baristi, camerieri,
bidelli o commessi), 4 persone erano impiegate nel
terziario, 2 persone lavoravano come venditori
ambulanti, e 8 persone erano saltuariamente impegnati in
lavori precari (domestiche a ore, pittori edili,
venditori porta a porta). Le 12 persone rimanenti non
avevano svolto nessuna attività lavorativa.
124
4.2 LE TRAIETTORIE BIOGRAFICHE
Per alcuni l'esperienza che precede il Monte Peglia è
un mondo lavorativo di sfruttamento e alienazione.
Alcuni hanno peregrinato da un'attività all'altra, in
una inquieta ricerca di migliorare le proprie condizioni
di lavoro, senza riuscirci affatto.
"Lavoravo a scaricare i camion e la sera andavo
alla scuola serale." (Angelo) "Siamo andati a vivere nell'hinterland, che è
squallido perchè sono tutti paesini attaccati, ogni paese ha la sua zona industriale, per lavorare si va per forza di cose in fabbrica. Ho lavorato per parecchio tempo in nero. (...) Ho lavorato per sei, otto mesi in un pollaio intensivo, poi mi sottopagavano, allora ho accannato. Ho trovato un altro lavoro in una trinceria di alluminio. Poi mi sono infortunato, quasi ci rimetto un dito, e tanto per finire la mia carriera in bellezza, ho lavorato due anni in una carrozzeria industriale." (Pino) "Ho fatto dall'età di 16 anni il cameriere,
metallurgico, venditore porta a porta, pubblicitario, pulitore, ancora barista, impiegato e per ultimo ambulante di fiori..." (Giancarlo)
125
Altri, invece, hanno vissuto di lavori saltuari,
rifiutando fin da subito l'inserimento nel mondo del
lavoro: "Prima di arrivare sul Peglia ho fatto dieci anni
di strada, vendendo collanine, robe così. (...) Avevo smesso di studiare perchè avevo i capelli lunghi, perchè mi han fregato, a quei tempi avere i capelli lunghi non era una cosa comune (...) però è stato meglio così, perchè è stato lì che ho cominciato a fare una scelta diversa. Era il '64. Da lì ho sempre lavorato saltuariamente." (Giovanni)
Per molti vi fu una sorta di fase liminale, un periodo
di passaggio dall'inserimento nella società ufficiale
all'acquisizione del nuovo status di occupante. Questo
momento di passaggio fu in genere un viaggio, vissuto
come una forma di liberazione dalle regole e dalle
costrizioni che regolano di norma l'agire sociale. Per
molti questo si verificò nel passaggio dall'adolescenza
all'età adulta, proprio quando si sente più forte la
pressione ad una strutturazione della prorpia esistenza.
A questo si risponde con una rottura con i legami del
passato e la negazione di qualsiasi programmazione del
futuro, lasciando invece largo spazio alla casualità,
alla libertà, agli incontri, per esplorare una pluralità
di esperienze.
126
Il viaggio viene impostato in modo da lasciare ampio
spazio all'imprevedibile:
"Infatti partivi senza itinerari, senza conoscere
neanche un minimo il posto che ti aspettava, non sapevi mai per quanto tempo" (Angela)
Il viaggio diventa una ricerca del proprio sé più
autentico, una ridefinizione di se stessi.
"Era per cercare se stessi, il viaggio ti portava
ad una conoscenza di te, di quello che volevi fare. Era un'esperienza propria della nostra generazione, che adesso non c'è più. (...)Comunque la cultura del viaggio che c'era in quegli anni lì serviva pure a capire un po' il tuo passato. Io quando a mia madre gli raccontavo le cose che facevo in Sud America, mi diceva che era come quando dopo la guerra loro, che erano giovani, perchè le cose son molto simili, ti ritrovi anche il tuo passato, quello dei tuoi genitori, può essere inteso come un viaggio nel passato. Il viaggio era un modo di sperimentare se stessi,
forse oggi no, ma prima c'era il bisogno di viverselo in prima persona. (Angelo)
Il viaggio può avere come motivazione il desiderio di
incontrare l' alterità, culture e mondi radicalmente
diversi da quello dell'occidente industrializzato. Tra
questi itinerari l'India col suo misticismo, la sua
religiosità, occupa un posto di rilievo. L'alterità che
127
affascina non è tutttavia solo quella religiosa. Tra le
strade più battute troviamo anche quelle che conducono
all'Africa e al Sud America, che vengono esplorati alla
ricerca di un contatto con culture e stili di vita
altri, preindustriali.
"la cosa che mi piaceva era gira', conosce la
gente, e che ne so, me sentivo de sta in mezzo ar mondo, pure se stavo a duecento chilometri da casa, però me sentivo che potevo e dovevo conosce tutto" (Rolando) "Appena finita la scuola, appena preso il diploma
delle superiori, il mese dopo ero già... non sapevo neanche il risultato, proprio perchè non ne potevo più di quella situazione, è stata proprio una fuga, cioè avevo tanta energia compressa a star lì (...)io sono partita per un viaggio, sono andata in India...(...) Il modo in cui ho deciso di andare in India è
stato abbastanza comico, perché io e questa mia amica quando stavamo a Portici, sulle panchine, avevamo letto Castaneda ed eravamo addirittura indecise se andare in Messico o in India, cioè eravamo totalmente digiune di cosa fosse l'India, di cosa potessi aspettarmi: tribù, come erano vestiti, non avevo neanche mai visto un cylum, senonchè questo ragazzo pensava non all'India ma al Nepal e allora ho detto: "vabbè tanto per me è uguale", quindi non è stata per me una scelta cosciente, vado in India a cercare questo, volevo fare un viaggio grosso, in un posto che fosse proprio diverso, non c'è dubbio che tutti i paesi del terzo mondo sono diversi e anche parlando con persone che sono state in altri posti -questo a
128
proposito di quello che ti lascia- anche se i posti sono diversi c'è un filo comune, c'è qualcosa di comune tra tutti questi tipi di viaggi. (...) Comunque il valore fondamentale di questi viaggi è che ti aprono, secondo me ti allargano la mente per forza, soprattutto se ci stai un tot, ti fan perdere i tuoi riferimenti, le categorie a cui sei abituato." (Angela)
Dunque il viaggio come mezzo per spogliarsi dei codici
culturali ufficiali, bagno purificatorio dalle
incrostazione inscritte nei nostri corpi di una cultura
che si rigetta. Ma non solo. Il viaggio come
apprendimento di una nuova arte di vivere:
"...poi quando ho cominciato a viaggiare così,
nel '72, ho iniziato a vedere che si poteva campare anche senza lavorare come richiedevano gli altri. (...) Dall'India ho imparato a star bene fuori, in campagna, senza avere tanti bisogni" (Giovanni)
L'inizio del viaggio può essere marcato anche da un
gesto eccezionale che vuole rendere marcatamente
visibile la rottura con proprio passato, come in questo
caso:
"...verso i diciannove anni ho deciso proprio de
butta' tutto, patente... Infatti ho buttato tutto da un treno, stavo anda' a Fabriano, ho prorpio
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gettato tutto dal finestrino, ho detto "io me so' rotto er cazzo, non voglio sape'..." Ho buttato tutto, si, si tutto, patente, carta
d'identità, documenti, i sordi no! Era simbolica la cosa (...) non volevo ave' più niente a che fa' co' qualsiasi forma che ti offre, come si può dire, la società, lo stato ?, e così me so' incominciato a girà l'Italia, a fare il fricchettone, ho preso la chitarra in mano, ho preso i fili in mano, facevo i cylum e me so' fatto il primo viaggio, (...) vendendo braccialetti." (Rolando)
L'approdo al Monte Peglia avviene secondo percorsi
diversi. Per quelli che hanno vissuto una militanza
politica in città, il cambiamento è percepito come una
continuazione del proprio impegno, una sua attuazione
pratica. si è attuata quindi una ricerca consapevole di
un nuovo ambito in cui esplicare la propria azione
antagonista:
"Diciamo che è stata una rottura in tutto con il
passato (ritmi, rapporti di produzione, sociali, affettivi) meno che con le aspirazioni che si rivolgono a un'idea di società equa, solidale, libera. Mi sono scelto con la campagna un terreno più
comodo e umano dove continuare a cercare di mangiarmi un'idea di vivere insieme in "comune a molti" comunista, si credo la parola sia ancora quella." (Giancarlo)
130
Per chi invece non ha vissuto nel percorso precedente
un'esperienza politica, l’incontro con la realtà del
Monte Peglia viene descritto come un avvenimento
determinato dalla casualità. Giovanni, uno degli
occupanti, nel definire come avvenne la scelta, usa
l'espressione "poi la storia è saltata là", per
esprimere l'improvviso, inaspettato manifestarsi di
questa occasione.
Per alcune persone, dopo la rottura con la situazione
di provenienza, si è verificato un vagabondare alla
ricerca di un’ alternativa fino all’approdo sul Peglia.
"...sono scappato con Gianni. Avevo voglia di
vivermi nuove esperienze. L'esperienza in fabbrica mi incancreniva i pensieri, non mi bastava aspettare la pensione e quindi siamo partiti per l'Umbria in autostop; (...) dopo molto girovagare ci ritroviamo ad Umbria Jazz, lì abbiamo conosciuto gente del Peglia e ci siamo fiondati in questo mare verde." (Pino)
In questo caso, il riconoscimento, nella nuova
esperienza, del proprio ideale di vita avviene solo in
seguito ad un approdo casuale:
"Da qui iniziò a cambiare tutta la mia vita. Il
mio piccolo cervellino realizzava che le fabbriche di Milano non erano per me. Qui si può vivere come
131
si vuole e come si pensa. Mi son fermato..." (Pino)
Sempre nell'ambito degli approdi casuali, la scelta a
volte avvennne in modo totalmente incosciente:
"...poi con Angelo ho conosciuto Jerry e Rosanna
che vivevano al Cerquosino. Praticamente è stata lei a dirmi "perchè non vieni sul Peglia, in Umbria ?". Io ho detto di si, poi neanche tanto coscientemente, nel senso con la coscienza di fare una scelta. (...) ero andata per curiosità, non è che è stata proprio una scelta rispetto alla campagna (...) diciamo che sono state più le cose che mi hanno portato" (Angela)
Oppure in seguito ad una fascinazione subita con i
racconti di un amica:
"mi ha affascinato una mia amica di Milano che
parlava di un posto dove c'era un sacco di gente" (Cicci) "Sono venuta sul Peglia perchè era venuta una mia
amica prima di me (...) avevo paura di venire giù (sul Peglia, nda), però io sentivo tutti questi racconti che erano un pò la realizzazione di tutti i miei pensieri" (Barbara)
132
4.3 LA COSTRUZIONE DELL'ALTERNATIVA
4.3.1 UNO SGUARDO SU CIO' CHE ABBIAMO LASCIATO ALLE
NOSTRE SPALLE
Continuando a leggere le storie di vita, alla ricerca
degli elementi comuni, arrivo a ricostruire
l'immaginario di ciò che ognuno ha lasciato nel compiere
la scelta di abitare in campagna, sul Monte Peglia.
Tutti manifestano nelle loro storie di vita un senso di
fastidio, a volte di disgusto per le condizioni di
esistenza proposte dalla "società ufficiale".
A volte può essere una forma di fastidio fisico per le
condizioni ambientali di vita, un senso di soffocamento
provocato dalla ristrettezza degli spazi di agibilità
materiale, dal degrado cittadino dovuto all'inquinamento
atmosferico e acustico:
133
"... mi pesavano molto di più le paranoie della
città, il traffico, il rumore, mi mancava lo spazio, mi pesava farmi due ore di autobus per arrivare in uno spazio verde, dove, che ne so, uscire di casa, leggere un libro; stare un po' al sole a Roma è un'impresa (...) mi incominciava molto a pesare questa cosa qui della puzza della città che non la senti, invece quando stai in un posto come questo, quando tornavo a Roma dopo un mese che ero stata qui, mi capitava che ero proprio terrorizzata, passava un'ambulanza, scattava l'allarme di una macchina, tutto il traffico, la puzza, il casino..." (Sabina)
L'insofferenza può esser invece generata da una
costrizione più consistente, può essere la gabbia di un
ambiente che non ti offre alcun tipo di stimoli o di
ricchezze e dove le giornate si ripetono uguali e
noiose:
"...Portici era un posto in cui non c'erano
possibilità, non avevamo mai una lira, non avevamo neanche la possibilità di viaggiare, un minimo anche all'interno dell'Italia, di frequentare corsi o scuole particolari, c'erano le giornate passate sulle panchine, niente." (Angela)
Tutti avvertono in città il dominio del denaro, che
sembra non bastare mai, al punto di diventarne schiavo,
di non saper pensare a niente altro:
134
"Lasciamo questo mondo perché fa cacare, fa
proprio schifo, non è che perchè io sono qui non mi beccherò la destra che riprende piede, me la beccherò pure io perchè vivo in Italia, però...se io vado ancora a vivere a Casilino d'Erba (suo paese di nascita, nda) è così difficile non entrare dentro quel giro lì, di ricerca di benessere, mito del superfluo, d'aver tante cose (...) il fatto di mettere via i soldi per comprare una macchina da cinquanta milioni, poi tirarla fuori il sabato e la domenica." (Barbara)
La conseguenza più immediata di questa corsa ai soldi,
per rispondere a questa infinità di bisogni superflui, è
l'ineluttabilità dell'inserimento nel mondo del lavoro.
L'esperienza lavorativa domina completamente il proprio
tempo di vita:
"Quello che rifiuto io è proprio il fatto
d'incastrarsi in quel sistema lavorativo che poi ti spegne anche la mente, perchè tutte le energie che hai si concentrano tutte sul lavoro che fai, arrivi a casa e sei una corteccia, con nulla dentro, non c'è più niente. Io quando lavoro mi succede così, poi non c'ho più l'energia per fare le cose che vorrei fare." (Sabina) "Non mi piaceva il modo di vivere che esisteva in
città, anche se non era città, era un paese, cioè la vita impostata sul lavoro e basta" (Giovanni)
135
Il lavoro è percepito come un universo di sfruttamento
e di perdita di sè:
"...in città devi per forza, -a meno che non sei
un genio (...) e vivi leggero sopra la struttura sociale- (...) per vivere devi...vendi il tuo corpo." (Milena)
Anche i rapporti umani risultano deteriorati da questi
ritmi di vita. Spesso si vive in solitudine o c'è giusto
lo spazio per dei rapporti che rimangono ad un piano di
superficialità. Ognuno ha la sua vita e sono pochi i
momenti da dividere insieme agli altri.
"In città c'è solo la chiusura. Ci sono
pochissime realtà di convivenza plurifamiliare. Per una questione di zero interessi in comune, come la vedo io.(...) E' la solita cosa di quando stai in città, e la sera, lo svago, e oltre l'impegno politico per alcuni. Non c'è però il progetto comune. (...) a me non soddisfaceva neanche un po', il fatto che vanno a lavorare, si vedono la sera ogni tanto, le cose che si fanno insieme son solo gli svaghi, che poi bisogna vedere certe volte son pesanti anche gli svaghi" (Barbara)
136
4.3.2 IMMAGINI DI UN'ALTERNATIVA
Tutti hanno dato, ognuno a suo modo, una risposta
entusiastica alla domanda che ponevo sulle ragioni che
li hanno portati a scegliere il Monte Peglia come nuovo
ambito di vita.
Emerge chiaramente la radicale diversità di questo
nuovo ambiente rispetto al panorama offerto dalla
società ufficiale, la possibilità, che questo posto ha
dato, di esprimere molto di ciò che in precedenza era
rimasto inesprimibile, castrato, contratto, represso.
Per tutti il Monte Peglia è un grande spazio di
libertà, di libera espessività corporea. Ci siamo
finalmente liberati dalla castrazione che obbligava i
137
nostri corpi in relazioni umane limitate nei tempi e
negli spazi e rigidamente codificate nei modi. Qui si
realizza il proprio bisogno immenso di libertà, di
libera espressione:
"Qui si può vivere come si vuole e come si pensa"
(Pino) "Quest'aria selvaggia (...) l'aria di libertà che
si respirava sul Peglia, mi sembrava veramente una favola, penso che a tutti fa quell'effetto appena arrivati, se arrivi in estate poi, che vedi la gente girare nuda sui prati!, dici "dove sono arrivata?!" (...) Al Nord non ti conoscevi mai fino alla nudità, non c'era questa intimità e questa cosa a me m'ha dato proprio un senso di libertà, di star proprio bene e di poter fare e dire e essere quello che sono, senza dover mettere su il fondotinta o il reggiseno" (Barbara)
Qui si possono realizzare relazioni umane fatte di
calore, continiutà, profondità:
"... alla fine averci un contatto diretto ti dà
una forza, in città sei più... non perchè sei diverso, però ci stanno troppe cose che ti possono un attimo allontanare, invece il fatto di averci dei nuclei che vivono nello stesso posto a me mi ha sempre affascinato, che stai a parla' e parli veramente una sera, non è che suona il telefono oppure vai fuori (...) tu parli con una persona e stai lì, non parli dentro una birreria, dentro un
138
circolo arci, sempre con questo movimento; mi piaceva molto, mi catturava molto l'idea di poterci vivere con queste persone, di potersi confrontare proprio in maniera diretta, come crescita (..) m'ha catturato... un senso di libertà, la possibilità di conoscere..." (Cicci) "La cosa che mi ha strabiliato del Peglia erano i
rapporti umani calienti, non erano freddi come in città, dove alla sera esisteva sempre la fissa di "dove andiamo, che facciamo...". Qui era diverso. Al solo calore di un fuocherello si poteva parlare tranquillamente dei propri problemi, saltavano fuori subito, dopo qualche giorno, perchè qui non scappi. A Milano invece potevi conoscere una persona da molto tempo senza mai sapere fino a che punto arrivava l'amore, l'amicizia. (...) il rapporto umano che puoi scambiare con una persona è molto diverso, molto più caldo, cioè potevi confrontarti con una persona sapendo che il giorno dopo ci parlavi ancora e questo non succedeva in città perchè era tutto molto freddo, tutto era relativo perchè poi ognuno tornava in casa propria e finiva il contatto. Invece qui dovevi stare qui a viverti la cosa, dovevi mandarla avanti (...)i rapporti di amicizia riuscivi ad affrontarli molto più in profondità" (Pino)
Oltre all'aspetto della convivialità, si dà molta
importanza anche al benessere fisico che deriva dal
trovarsi in campagna. Il contatto profondo con la natura
è un fattore di ristoro per la propria mente e per il
proprio corpo. I ritmi della vita non sono più dettati
dalla produzione, perdono la loro sfrenatezza, la loro
139
obbligatorietà. Ora rallentano e si accompagnano con
quelli della natura.
"...Qui è tutto più lento e comunque è anche più
lento l'invecchiamento, anche fisico. (...) non c'è lo stress che c'è negli altri posti." (Barbara) "Quello che mi piace qui, a parte i contatti
umani, è anche la natura, è anche aver riscoperto un ritmo naturale, il ritmo delle stagioni (...) entri proprio nel ritmo della natura, cioè tu per vivere devi andare dentro a sto' ritmo, quando tu in città non ce l'hai sto ritmo, cioè vedi cadere le foglie e dici "ah è autunno", però quando sei dentro il ritmo della natura aspetti proprio che cadono le castagne, che cadono le meline, oggi son pronte le meline, domani c'è da seminare questo o quello, cioè c'è tutto un giro che alla fine ti ritorna, cioè se semini raccogli." (Pino) "Ho incontrato Silvano a Roma a casa mia e lui mi
aveva detto "sai c'ho una casetta in campagna, vuoi venire?" ed io non conoscevo nessuna storia quassù del Peglia, però quello che sapevo era che non mi andava de sta' in clinica che ce stavo mele, in città non è posto per me, perchè se me voglio andà a piglià un gelato ce stanno tutte le ...(intende le barriere architettoniche, lui è sulla sedia a rotelle, nda) allora ho detto vabbè vado in campagna, meglio de niente, meglio de conosce' la natura, meglio de alzasse e vede' er tramonto e l'orizzonte, meglio di vede' che te nasce un fiore. E niente so' partito" (Rolando)
140
L'incontro con la maestà della natura, col suo fluire
imperturbabile, insegna ad essere più umili, ad
accettare le differenze più facilmente, ad accettare che
esiste un corso degli eventi sul quale non è sempre
possibile intervenire, che non tutto risponde alla
volontà umana.
Ma allo stesso tempo la natura, con le sue infinite
sfaccettature, con i suoi mille particolari, con la sua
plasmabilità, dà un ampio spazio all'autorealizzazione
degli individui. E' uno stile di vita regolato dalla
natura, quindi estremamente semplificato rispetto allo
standard della società post-industriale, i cui orizzonti
ricadono sotto il controllo di ciascun individuo, per
cui è possibile intervenire sul proprio mondo materiale.
Il proprio spazio sociale perde le caratteristiche di
fissità proprie di uno spazio urbano e diventa simile ad
un blocco d'argilla da modellare. Si prende possesso con
la manualità dello spazio intorno a sè, lo si
caratterizza con la propria impronta. Non si è più
costretti a percorre dei canali obbligati che ci rendono
impotenti nell'uso del corpo; la creatività entra nella
vita quotidiana.
141
"Ho acquistato il mio corpo (sembra una frase fatta per chi va in campagna), settanta chili di manualità e di uso quotidiano, che mi danno la gioia di fabbricare e non finire mai" (Giancarlo)
Nel parlare della propria scelta c'è un senso di
meraviglia per aver scoperto un mondo di cui prima non
si aveva la minima immaginazione, come aver alzato un
velo dietro il quale scopri che è possibile
l'alternativa. Questo tipo di approccio è stato quello
con cui io ed il mio gruppo ci siamo avvicinati
all'esperienza del Monte Peglia. La scoperta è stata del
tutto casuale; ci ha destato una piacevole incredulità
lo scoprire che esistessero ancora delle reltà che noi
pensavamo ormai appartenere soltanto al passato. Lo
stupore nasce nello scoprire che c'è ancora qualcuno
capace di rovesciare il proprio destino e di costruirlo
a partire da zero, dalle fondamenta, non solo in senso
figurato.
"Quello che m'ha impressionato è stato il fatto
che c'era della gente giovane che è tornata a vivere in campagna e poi che c'era proprio tanta gente che ha occupato dei casali bellissimi, li ha ristrutturati in un modo... cose che proprio io non ci pensavo che uno può essere capace a ristrutturare una casa, a portare l'acqua in casa dalla fonte, cercare la fonte, poi pompare l'acqua, tenere gli animali, tutte cose che io non
142
avevo mai visto, che mi hanno impressionato molto e il fatto di vivere in campagna e di autogestirsi (...) per me era una storia bellissima, che non avevo mai sentito prima" (Sabina)
CAPITOLO 5
LA VITA COMUNITARIA
5.1 LE RADICI POLITICHE E CULTURALI
"Vado a caccia del cervo dorato. Potete sorridere, amici miei, ma inseguo questa visione che mi evita. Corro attraverso pianure e montagne, mi perdo in terre sconosciute, perchè vado a caccia del cervo dorato. Voi andate a far compere nel mercato e tornate a casa vostra carichi di spese, ma l'incatesimo del vento nomade mi ha colpito, non so quando né dove.
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Non ho pensieri in cuore;ho lasciato dietro di me tutto ciò che avevo. Corro attraverso pianure e montagne, mi perdo in terre sconosciute, perchè vado a caccia del cervo dorato." Rabindranath Tagore da "Il canto della vita"
Per iniziare un discorso sulle esperienze politiche e
culturali che hanno formato l'identità attuale degli
abitanti del Monte Peglia, bisogna evidenziare la
diversità delle provenienze, e come queste si siano
potute amalgamare tra loro una volta trovatesi insieme
sul Peglia, punto che è stato messo in luce da alcuni
intervistati:
"Certo c'è da dire che qui siamo venuti con
esperienze diversissime, chi lavorava in città, chi era punk, chi era sconvolta mistica, chi si faceva le pere, c'erano tantissime esperienze diverse, forse è già notevole che con queste esperienze diverse comunque riesci a rapportarti" (Angela, Fontanelle) "L'occupazione del Peglia è un posto unico:
miscela di provenienze diverse, sembra il prototipo del villaggio globale dove ogni diversità che entra in contatto ne esce rafforzata dall'esperienza altrui. (...)è stupendo (a volte) che si confrontino la visione peace and love, quella borgatara teppistica, quella pragmatica comunista, quella buddista, quella
144
istituzionalista, quella ribelle, ecc.ecc." (Giancarlo, Cerquosino)
Proverò a rendere conto di queste differenze, che
comunque possono essere considerate come le diverse
sfaccettature del movimento giovanile di rivolta degli
anni settanta e ottanta.
Per alcuni c'è stata una iniziale esperienza politica
nelle organizzazioni della sinistra extraparlamentare,
seguita poi da un distacco per orientarsi verso
esperienze meno propriamente politiche e più
esistenziali: "a scuola stavo in Avanguardia Operaia. Una cosa
m'ha spinto ad andar via, è stato quando ho visto i servizi d'ordine di Milano che si scazzvano tra di loro, han cominciato a menarsi tra compagni...lì ho capito che non era la strada quella lì" (Angelo, Fontanelle) "io a partire da quattordici anni, quindici ho
iniziato ad inserirmi in quel movimento culturale e politico della fine degli anni '70, fra l'Autonomia Operaia e i fricchettoni. Partendo dall'autonomia operaia e continuando coi fricchettoni" (Sergio C., Colonnetta) "avevo fatto il sessantotto, un po' in maniera
passiva se vuoi, ero nel movimento studentesco, tramite quella prima esperienza avevo incominciato a interessarmi un po' di politica, avevo militato con il movimento di Stella Rossa nel '70, '71 e
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anche lì ero entrato nello scontro politico, c'ero entrato fino a occuparmi a tempo pieno di politica e lascir perdere la mia attività...studiavo, mi ero iscritto all'università, poi ho piantato lì e ho deciso di ritirami in campagna perchè era l'unica soluzione possibile" (Mario, uno dei primi occupanti)
Altre invece vissero esperienze politiche non in senso
tradizionale, ma comunque con una ampia base di
movimento:
"l'unica esperienza politica, anche se mi sembra
strano chiamarla politica, che ho avuto è stata il femminismo, forse nel tempo è durata solo un paio d'anni però è stata una cosa intensissima, fortissima (...) mi ricordo che eravamo tante" (Angela, Fontanelle)
Era la fine degli anni settanta, anni in cui il
movimento aveva ancora una estensione numerica piuttosto
ampia, poco prima che venisse stroncato dall'immissione
in commercio dell'eroina, come ci confermano diversi
intervistati:
"c'era la piazza di Canzo, piazza frequentata da
tutta gente di sinistra e venivan tutti lì e li ho conosciuti. Era gente che faceva politica inserita e altri più tendenti al fricchettone. C'era per esempio la branca di Lecco che erano militanti proprio, erano anche organizzati, però non eran
146
tanti, poi vabbè il movimento non è andato avanti più di tanto lì, l'eroina è arrivata subito, ti parlo di vent'anni fà." (Barbara, Ischia) "Io quando sono tornata a Portici dopo il mio
viaggio, l'eroina c'era già da prima che partissi, però sono tornata, nel giro di sei mesi tutti, tutti gli amici con cui dividevo la vita, tutti erano finiti nell'eroina, era il '79, anche quella era una cosa che ti portava ad andare via, era impressionante." (Angela, Fontanelle) "L'eroina è una cosa di Stato, quella è stata
messa in mezzo quando proprio il movimento era forte, pronto per...è arrivata l'eroina e gli scazzi tra i gruppi, guarda caso...una parte s'è fatta le pere e l'altra s'è messa a picchiarsi." (Angelo, Fontanelle) "Dal settanta al settantasei era bello secondo
me, poi è iniziata ad arrivare l'eroina, e quello è stato una cosa molto disgregante. (...) Nel settantaquattro diciamo è arrivata, nel settantatre non c'era ancora, è arrivata ed era completamente diverso, la stessa gente già era mezza distrutta, non faceva più niente, distruggeva più che costruiva le cose, e poi lì la polizia ha incominciato ad essere stronza" (Giovanni, Cartufolo)
Quelli un po' più giovani, cresciuti negli anni
ottanta, dopo che il movimento era stato azzerato
dall'eroina e dalla repressione poliziesca, faticarono
147
di più a costruirsi delle esperienze di vita
alternativa. Singolare fù l'esperienza di un gruppo di
miei coetanei, che approdarono al Peglia poco più che
diciottenni, ma che si crearono un'insolita alternativa
durante la loro adolescenza vissuta nell'ambiente ostile
dell'hinterland milanese:
"Allora abbiamo costruito una micro-alternativa.
Abbiamo lavorato per costrurci una capanna nei boschi, per avere un posto nostro, che non era il solito muretto, o il bar, o la discoteca, o la birreria. Iniziava a nascere la vera amicizia tra i compagni, lavorando inseme il legno, la terra e rispettando la natura circostante, per forza di cose ci affiatava sempre di più. Eravamo diventati un nucleo, un gruppo. La cosa che mi piaceva di più e che andava crescendo era il contatto tra le persone. Alla sera ci si recava là per stare insieme, per accendere un fuoco e suonando e cantando la nostra amicizia si faceva sempre più intima. (...)Era fumando che tutto questo aveva un senso e ci dava questo senso di affiatamento. (...) I giovani che vivevano nel paese realizzavano anche loro il valore di un'altenativa. Alla gente questo faceva paura, era invidiosa, perchè loro erano repressi. Ce l'hanno bruciata tre volte. La "Kaya" era il nome che avevamo dato alla nostra casetta di legno, dopo vari incendi. (...) La cosa più stralunata era che quello che ci teneva insieme era la marijuana.(...) Ci sensibilizzava il nostro io" (Pino, Rota)
148
Per quanto riguarda gli altri abitanti che non ho
intervistato, so comunque che un gruppo di quattro
persone proveniva da anni di militanza politica nei
gruppi dell'autonomia operaia, mentre altri più giovani,
tra cui io e il mio gruppo di teatro, provenivamo
dall'esperienza nei centri sociali occupati di Roma.
Mi sembra comunque di poter affermare che la maggior
parte degli occupanti, soprattutto quelli intorno ai
trenta anni di età, che sono poi la classe di età più
numerosa, provenga da quell'ambiente che possiamo
definire "fricchettone", che in un certo modo ha
ereditato i tratti culturali di quelli che furono i
padri fondatori del movimento comunitario, i cosiddetti
figli dei fiori.
Alcuni hanno espressamente affermato di riconoscersi
in questa figura:
"non sono un fricchettone, però questo retroterra
dei fricchettoni mi appartiene" (Cicci, Sant'Antilietta) "anch'io mi riconosco fricchettona" (Sabina,
Sant'Antilietta)
149
Mi è risultato piuttosto difficile riuscire a
sintetizzare le caratteristiche che connotano la
categoria dei "fricchettoni", essendone io estranea per
mia esperienza, così quando è emerso nel corso delle
interviste questo riferimento culturale, ho inziato a
chiedere agli intervistati di definire questo termine
"i fricchettoni più che altro stavano in piazza,
e in piazza suonavano la chitarra, si facevano le canne, parlavano de idee, de...facevano esperienze. Andavano in giro, si andava al lago, fai conto, se faceva il bagno, se stava in mezzo alla natura, se parlava de cose...è difficile da dire quali erano i valori, perchè da un punto di vista esprimibile in senso verbale, i valori si possono dì soltanto in senso negativo. Nel senso che c'erano una serie de cose che non andavano bene e il valore era quello di stare lontani da questa serie di cose. Questa serie di cose era quello che valeva nel mondo cosiddetto normale, che poteva esse' la regolarità, la rispettabilità, il posto fisso, la sicurezza e così via. (...) C'erano dei valori positivi, ma non erano espressi a parole. (...) C'era un senso del rifiuto di tutto, in modo veramente assoluto. (...)i fricchettoni...portavano a livelli molto radicali la verità del fatto che poi i problemi sui quali noi veramente ci sentivamo a disagio non erano risolvibili sul piano della lotta politica, degli scontri di classe o tra gruppi, ma bisognava proprio cambiare dentro di sé, cambiare proprio l'impostazione della vita." (Sergio C., Colonnetta)
150
"tutti quei valori di amicizia, di stare bene insieme, di solidarietà, di gente che vuole certe cose, che combatte l'ingiustizia, che vuole la pace..." (Cicci, Sant'Antilietta) "Fumare...come posso spiegarti...più che altro
era una maniera di vivere alternativamente senza però militare, costruire qualcosa, con l'idea di cambiare, la vivevano abbastanza passivamente del tipo facciamo le storie tranquilli, il fare le storie tranquilli voleva dire riempirsi di hascish fino a qui e poi dopo essere in coma, quindi dopo non fare più un cazzo, trovarsi così...poche idee concrete, tanta utopia, su che cosa? sull'amore, sulla pace, la fratellanza, il non odiarsi (...) la cosa più importante era quella che siamo tutti uguali, non ci facciamo del male, siamo fratelli, ci vogliamo bene e ci aiutiamo." (Barbara, Ischia) "la parola fricchettone è legata molto
all'esperienza del viaggio, chi è stato capace in certi periodi della sua vita di viaggiare e contemporaneamente di rinunciare a tutte le comodità, che sono tipiche della società occidentale, valori come la casa, il letto, cioè Giorgio ( suo convivente, nda) è vissuto sotto un albero per dieci anni, uno si chiede come ha fatto, è un fricchettone! E' uno che molla tutto e che sostituisce a tutti i bisogni materiali quello che per lui è il bisogno principale, viversi la sua interiorità" (Milena, Siano)
La parola fricchettone nel corso degli anni ha assunto
connotati sempre più ironici , addirittura denigranti.
E' stata mistificata dalla cultura ufficiale, ma spesso
151
anche dalle controculture di movimento. Direi che anche
all'inteno del Monte Peglia la parola viaggia carica di
contenuti anche molto negativi:
"C'è il fricchettonaggio passivo, che è quello
che è stato la degradazione penso di certi movimenti culturali giovanili, all'interno di questa libertà poi è facile che uno si lascia andare completamente, e non c'è più rispetto per il proprio corpo, quindi non ti lavi, oppure non fai niente della tua vita, non fai niente dalla mattina alla sera (...) io penso che anche tra di noi ci sono questi due piani, fricchettone in senso positivo e negativo. Sul Peglia c'è un casolare...io quelli non li posso vedere, non ci posso fare niente, non si lavano mai, bevono il vino, praticamente quello che fanno è bere il vino" (Milena, Siano)
Questo commento dimostra come anche tra di noi sia
diffusa un'accezione negativa del termine, al punto che
viene usato nel comporre l'appellativo dispregiativo che
alcuni di noi hanno coniato per definire quegli
abitatanti del Peglia che fanno gruppo a sé, di cui
sopra parlava Milena. Sono quei ragazzi che abitano
alcuni casali del Peglia che sono rimasti esclusi dalla
mia ricerca proprio perché tra loro ed il gruppo più
grande non intercorre alcun tipo di relazione, se non
quella di tenerli in considerazione come occupanti nella
152
vertenza con l'amministrazione locale. A questa
particolare "specie" di occupanti alcuni di noi ha
attributo il soprannome di "freak a bestia".
Anche questo appellativo, qui caricato del
peggiorativo "a bestia", è un segnale di quanto il
termine fricchettone sia divenuto attributo di
suferficialità, falsa ingenuità che portano a scelte non
problematizzate e assunte acriticamente, per
svogliatezza e mancanza di serietà.
Ma è possibile uscire da questo stereotipo, per
svelare la profondità dei valori ai quali la parola
fricchettone si può ricollegare.
"I fricchettoni più che altro stavano in piazza..." e
questo esprime il bisogno profondo di riappropriarsi
dello spazio esterno alle mura domestiche, per renderlo
luogo di incontro, di espressione, di festa, per
liberarlo dal passaggio mortale delle macchine.
Da un giorno all'altro il fricchettone parte anche a
piedi e senza soldi per l'India, dove magari si mette a
vivere sotto un albero, esprimendo la capacità di
lasciare tutto ciò che di materiale lo lega al posto che
lascia, di spogliarsi di qualsiasi resistenza
psicologica per dar spazio al proprio desiderio, alle
153
intime spinte alla conoscienza di sé e del mondo. La non
problematicità allusa si trasforma cosi in analisi
profonda dei propri malesseri, in ricerca di spazi
vitali. L'acriticità diviene critica radicale,
esistenziale al mondo a i valori introiettati, diviene
una lotta su se stessi per abbattere i propri limiti.
Questo è un po' del senso ideale che va visto dietro a
questa parola, se si vuole comprenderne la forza
evocativa che assunse e che torna ad assumere in una
buona parte degli occupanti del Monte Peglia.
Sembra che i fricchettoni di oggi abbiano ereditato
molti dei valori propri di quella figura che ho
descritto nel primo capitolo, il giovane beat degli anni
sessanta, come se una parte dei rifluiti dall'esperienza
di movimento degli anni settanta sia tornata ad
incarnare quei valori meno aggressivi e dirompenti, con
lo sguardo puntato più a cambiare se stessi che il mondo
circostante.
Questo percorso storico si può rintracciare
nell'evoluzione che si è verificata nello stile di vita
degli occupanti e nella loro autovalutazione in termini
politici, durante questi diciotto anni di occupazione
sul Peglia. Ho chiesto agli intervistati di ricostruire
154
per me, che ero relativamente "giovane" quanto ad
esperienza di vita sul Peglia, la memoria del passato di
queste occupazioni.
E' emersa da loro discorsi la descrizione di un
cammino, un percorso dai primi anni in cui la campagna
era avvertita come un modo di vita radicalmente
alternativo e combattivo, per arrivare agli anni più
recenti in cui da molti è avvertita più come
un'esperienza interiore, che cambia solo la propria
esistenza individuale e non influenza il resto del
mondo.
I racconti dei primi anni di questa esperienza parlano
di una grande determinazione nel mettere in pratica i
propri ideali politici:
"I primi avevano fatto il '68 o lotte politiche,
queste persone poi hanno deciso...si è creata questa voce che su un monte dell'Umbria c'era tanta gente che viveva in campagna, era interessante perchè non era la solita famiglia tradizionale di campagna(...) SUSANNA: gli occupanti all'inizio erano venuti qua rifiutando a priori la città, un certo tipo di vita, per cui l'alternativa reale per opporsi al "sistema" era essere autosufficienti, non dipendere più, per cui non vado più a lavorare, non faccio più la spesa al supermercato, eccetera(...) CICCI:erano molto tosti, molto rigidi, determinati, non avevano i soldi ma andavano avanti lo stesso, al limite
155
mangiavano la pasta per i cani." (Cicci, Sant'Antilietta) "Io so che l'affluenza sul Monte Peglia è
cominciata da degli articoli su "Lotta Continua", che dicevano che c'erano delle case da occupare in Umbria in questa zona. Però tu devi pure considerare che quello era un periodo in cui l'aspetto fricchettone e quello compagno, che poi intorno agli anni '80 quando col sequestro Moro la cosa è diventata più dura e quindi queste due cose se so' separate, non c'era questa frattura, specialmente al Nord e la maggior parte della gente che veniva qui era del Nord, i compagni e i fricchettoni erano una cosa unica." (Sergio C., Colonnetta) "La cosa più radicale era che non si doveva
lavorare fuori perchè noi dovevamo essere autosufficienti,(...)però di quelli lì non è rimasto più nessuno." (Giovanni, Cartufolo)
Erano anni in cui i propri principi venivano difesi
con atteggiamenti anche molto radicali, estremi:
"Uno voleva distrugge' tutto, la gente che
trovavi qua era dell'idea che chi c'ha qualcosina minima più de te deve esse' espropriato. Questa era la realtà delle cose, che non è più quella di adesso, eh!" (Sergio C., Colonnetta)
Sembra che in seguito con l'arrivo di altre persone,
provenienti da diverse esperienze politiche, lo stile di
156
vita in confronto a quello dei primi tempi si sia come
ammorbidito, abbia ceduto, anche se molto parzialmente,
ad alcune delle lusinghe del denaro e della comodità.
L'esperienza dei primi anni viene descritta come un
periodo di grande povertà (più di uno mi ha riportato
l'aneddoto dei tempi in cui si mangiava la pasta dei
cani, cui faceva riferimento più sopra l'intervista di
Cicci), e la differenza con i tempi più recenti è
infatti spesso rintracciata nell'attuale maggiore
disponibilità (o necessità) di denaro:
"all'inizio è stata veramente tosta perchè
eravamo veramente poveri, non avevamo un cazzo, non avevamo la macchina per esempio(...)è cambiato perchè siamo diventati tutti...forse non c'entra tanto, però io sento che...abbiamo tutti i soldi, girano più soldi. Beh, da una parte se penso a come era dieci anni fa sono contenta che girano più soldi, perchè io provavo a passare le mesate senza veder la gente(...) era un isolamento incredibile, troppo. Anche perchè non era volontario, era proprio impedito, perchè stavi a piedi.(...)Però una volta eravamo più... GIANNI: solidali! BARBARA: ci capivamo di più, ce le dividevamo di più le cose. Adesso col fatto che ci sono più soldi(...) ognuno pensa ai cazzi della sua casa" (Barbara, Ischia) "i primi tempi dai racconti che ho sentito era
pieno, un via vai mostruoso, centinaia di persone...dice che quando hanno sgomberato il
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Cartufolo, che è arrivato l'esercito, c'erano più di cento persone, poi le feste(...)c'era sempre qualcuno che si spogliava nudo a quelle feste, era un'usanza proprio a capodanno perchè faceva già freddo, che hanno fatto lo scontro sul fuoco...ehhh! Eran periodi più caotici (...)però ti rendi pure conto che non poteva continuare così, senza una lira a spararsi, è bello pure che hai passato quei periodi lì, belli, solo che a lungo andare non poteva durare" (Angelo, Fontanelle)
Oggi molti attribuscono l'aumento dell'esigenza di
denaro all'arrivo dei figli, e nel complesso alla
difficoltà di sottrarsi alle pressioni del mondo
esterno, che spesso appunto si esprime proprio mediante
i bambini che ne sono maggiormente a contatto attraverso
la scuola.
"c'erano meno esigenze, non c'erano i
bambini(...)Oggi si consuma molto di più, ci si sposta molto di più, per me la spesa maggiore è la benzina" (Giovanni, Cartufolo)
Se è vero che esistono delle differenze
nell'abbracciare con maggiore o minore determinazione e
radicalità un determinato stile di vita, che è quello
dell'autosufficienza, comunque si mantiene volutamente
una notevole distanza dal tenore di un'esistenza
cittadina:
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"Io penso che non si è del tutto spento il
discorso dell'autosufficienza, magari adesso si arriva a fare i compromessi, non c'è però nessuno che va a lavorare tutti giorni otto ore. L'altro anno ho lavorato due mesi per tutto l'anno e mi basta proprio bene, rinunciando a... poi non mi sembra che sto rinciando a chissà che." (Sabina, Sant'Antilietta)
5.2 L'UNIVERSO DEI VALORI
Per tutti i casi che mi è stato dato di conoscere,
direttamente o indirettamente, sul Monte Peglia, passati
e presenti, non è mai esistita una forma di
organizzazione strutturata, di vincolo preciso che
unisse i componenti di un determinato gruppo.
Non esiste una normativa esplicita, un ordine che
regoli la riproduzione della vita quotidiana. La
strutturazione del vivere comunitario non avviene
attraverso alcun tipo di istituzione o regolamento
scritto.
159
Piuttosto si sceglie di rifiutare qualsiasi
organizzazione regolamentata di tipo costrittivo, che
richieda un comportamento obbligato e questo rifiuto è
percepito come valore fondante la cultura del gruppo.
La partecipazione alle attività quotidiane richiesta è
esclusivamente quella mossa da libere adesioni, da uno
spontaneo desiderio di partecipazione. Lo svolgimento
del lavoro minimo necessario al funzionamento del gruppo
è affidato all'iniziativa volontaria di chi ne riconosce
la necessità e soprattutto si sente motivato
nell'attuare una determinata attività. Periodicamente
ognuno conduce una certa attività, se ne fa promotore,
ma non esiste nessun accordo stabile a priori, si crea
una successione spontanea, una rotazione delle mansioni
non organizzata. Un esempio potrebbere essere quello
della preparazione dei pasti, come ho avuto modo di
sperimentare io direttamente nei collettivi dove ho
vissuto. Ogni giorno avviene che qualche tempo prima
dell'ora di pranzo uno di noi inizi a preparare da
mangiare, mosso da una particolare ispirazione
culinaria, cosi come può avvenire che nessuno sia
ispirato e allora si arriva all'ora di pranzo con niente
di cucinato. A quel punto qualcuno si accorge che
160
nessun'altro a provveduto e allora spinto più che
dall'estro, dai morsi della fame, inizia a preparare. O
ancora delle rare volte può avvenire che nessuno, nè
prima, nè poi, si sia occupato di preparare il pasto e
allora ha luogo quello che tra noi è stato definito il
"pranzo anarchico", in cui il più affamato inizia ad
affettarsi del pane e a mangiarlo accompagnato con
qualcosa di freddo come formaggio o pomodori sott'olio o
qualche altra conserva pronta o si cucina un uovo al
tegamino, e spinti dal suo esempio anche gli altri, uno
alla volta si uniscono al disordinato banchetto.
L'assenza di regole esplicite, se non quella di
dire:"non vogliamo regole!", mi è stata confermata da
alcune interviste:
"La cosa è spontanea, non ci sono grossi impegni
da seguire" (Barbara, Ischia) "Mi sembra che delle regole implicite ci sono
però in linea generale ti posso dire che...che ne so la casa più o meno deve essere pulita e a questo in linea generale partecipano tutti, questo non è neanche troppo difficile perchè siamo in tre, mi immagino nei casali dove sono in undici peersone che questo diventi un po' un problema. In linea generale è affidato alla spontaneità di ognuno (...). La regola implicita generale è forse
161
qusta: ai lavori più grandi partecipano tutti." (Milena, Siano) "LE COSE CHE FATE INSIEME SONO GESTITE
LIBERAMENTE OPPURE SONO IN QUALCHE MODO ORGANIZZATE? Se ne parla, ad esempio per le cose che ci legano
tutti e tre, tipo il momento della semina dell'orto o come impiegare il pezzetto di terra dell'orto, se ne parla per capire cosa è migliore, cosa è peggiore" (Cicci, Sant'Antilietta)
Tutto si basa sul senso di responsabilità di ciascuno
ed è facile che la valutazione della necessaria
partecipazione sia differente da individuo a individuo.
Spesso i conflitti si innescano proprio a partire da
questo tipo di incomprensioni. Mi sembra che raramente
si sia affrontato direttamente il tema della
partecipazione anche nei casi in cui questo era causa di
tensione. Per quel che ho avuto modo di verificare
direttamente, nelle convivenze si è raramente sviluppata
la capacità di affrontare un conflitto nell'immediato
suo manifestarsi. Molti sono venuti in questo luogo alla
ricerca di uno spazio di tranquillità e questo ha come
conseguenza un certo approccio alla vita che consiste in
un atteggiamento di accettazone di ciò che accade, di
162
senso della ineluttabilità, di scarso intervento sulla
realtà e quindi anche nei rapporti umani.
Mi sembra che le relazioni tra degli individui siano
segnate dal principio del "lascia correre"; ciò
significa non intervenire in un contrasto, non prendere
posizione tra due parti in conflitto, non esprimere
apertamente le proprie posizioni, cercare piuttosto di
restare tranquillo, "shanti" come si dice in lingua
indiana, ai limiti della indifferenza verso ciò che
accade intorno a sé.
Questa etica del "let it be" entra in funzione anche
nel caso vengano infrante delle regole forti all'interno
del gruppo, come la lealtà o la pacifica convivenza.
Infatti il gruppo intero non ha mai espresso una forma
di sanzionamento diretto nei casi che si sono verificati
di comportamento evidentemente scorretto di alcuni suoi
membri. Si ritiene infatti che i comportamenti
relazionali siano complicati e difficili da valutare
come osservatori esterni al casale, per cui non si
inteviene se non si è toccati direttamente. Si condanna
solo in linea teorica e non si giunge mai ad un tipo di
sanzione "forte" come l'espulsione dal Monte Peglia, ma
semmai si verifica un forma di marginalizzazione.
163
Ad esempio mi ricordo di aver sentito parlare di un
caso avvenuto quando io ancora non abitavo sul Peglia,
in cui un ragazzo picchiava ripetutamente la sua
compagna. So che solo alcuni intervenirono direttamente
criticando il suo comportamento, ma il gruppo nel suo
insieme non agì in alcun modo nei suoi confronti, perchè
non se la sentiva di intromettersi in ciò che avveniva
dietro le mura domestiche.
Durante la mia esperienza sul Peglia si è verificato
il caso di un ragazzo che abitava in un casale,
sospettato un po' da tutti di essere il responsabile di
piccoli furti che erano avvenuti in alcune case durante
le sue visite. Il furto non è considerato un' attività
riprovevole in sé, ma è ritenuto offensivo quando
avvenga tra di noi e quindi infranga la lealtà tra gli
abitanti del Peglia. Quando i sospetti di coloro che
aveva subito le sottrazioni, di soldi o di materiali,
confluirono sul ragazzo, si iniziò a vociferare contro
di lui di casa in casa e a desiderare di dargli una
"lezione". Ma un simile problema non fu mai affrontato
collettivamente, in forma assembleare, perchè non era
proprio prevista nella mentalità del gruppo la
possibilità di esplicare un'azione punitiva collettiva.
164
Così avvenne che i più continuarono a lamentarsi alle
sue spalle, mentre un piccolo gruppo di più audaci lo
affrontò direttamente con le maniere forti e lo intimorì
al punto che non si fece più vedere in giro per un po'
di tempo. La sanzione collettiva quindi fu
esclusivamente un'azione indiretta che si esplicò
nell'escluderlo dal circuito degli inviti, delle feste e
degli scambi di favori che si verificano all'interno del
gruppo.
Nella ricerca della spontaneità, l'organizzazione dei
casali sul Peglia non si differenzia minimamente da
quella che fu l'esperienza comunitaria dei primi anni
settanta, anzi sembra aver ereditato totalmente i
principi ideologici in merito all'organizzazione
sociale. Riporto un commento delle Francescato sulle
comuni hippie rurali dell'America a cavallo tra i '60 e
i '70, che potrebbe essere facilmente attribuito
all'esperienza del Peglia:
"L'integrazione globale dell'io viene intesa come
ricerca individuale che permette ad ognuno di esprimersi nel modo che sceglie ( l'etica del "fa ciò che ti pare"). Lo schema ideale della comune rurale risponde quindi al concetto di una comunità caratterizzata da una completa asssenza di regole, costrizioni, programmi. La gestione del potere è un fatto spontaneo, nasce dalla genuina
165
collaborazione e dallo spirito di fraternità che unisce i membri. Il lavoro necessario al funzionamento sia pure minimale della comune non viene imposto: si fa assegnamento sul senso di responsabilità dei membri, sul contributo volontario. La medesima non strutturazione sta alla base dei rapporti interpersonali, che sono un fatto di scelta individuale. Manca inoltre nella comune anarchica rurale il momento della selezione dei membri. (D. e G.Francescato,1974:82,83)
Le Francescato nella loro analisi aggiungono che
questo schema ideale iniziale subì ovviamente, per le
comuni degli anni settanta, grosse modifiche a contatto
con la realtà dei fatti e chi sopravvisse rinunciò alla
non organizzazione totale e si diede alcune regole.
Nel caso del Monte Peglia mi sembra invece che la
reazione alle difficoltà organizzative e ai conflitti
che ne scaturiscono, sia piuttosto quella del continuo
cambiamento della composizione dei gruppi al fine del
conseguimento del ricercato equilibrio, che comunque
sembra non raggiungersi mai; oppure di tendeziale
ripiegamento, dopo una serie di esperienze collettive
poco riuscite, verso convivenze di tipo più
tradizionalmente familiare.
Un'altro valore comune degli occupanti è la ricerca
della libertà dai condizionamenti.
166
Questo bisogno ha portato alla scelta della campagna
che è uno spazio aperto ma al tempo stesso isolato, dove
è possibile sottrarsi agli sguardi della gente, cosa
peraltro piuttosto difficile in città.
Questo tipo di spazio permette una maggiore libertà di
comportamenti, senza il rischio di incorrere in continui
sanzionamenti o giudizi di tipo morale.
Si è più liberi di essere ciò che si vuole, di
manifestare la propria diversità senza il continuo
confronto con la norma. Ci si confronta di meno con ciò
che è estraneo a sé, si ha la possibilità materiale di
negarlo, liberandosene la vista.
Nessun padrone che ti obblighi ad un rendimento sul
lavoro, nessun vicino di casa che ti scruti e giudichi
la tua intimità, il modo in cui spendi il tuo tempo, i
tuoi orari, le tue compagnie, i vestiti che indossi, i
suoni o rumori che emetti.
In campagna trovi uno spazio privato.
O forse una sorta di ghetto, di luogo che racchiude i
diversi, simili tra loro, per sottrarli alla vista di
coloro che sono "normali", che però alla fine consente a
chi vi abita la possibilità di sviluppare senza
turbamenti, in libertà, il proprio stile di vita.
167
Coloro che nella società "ufficiale" sembravano
asociali, nel "ghetto" riescono a creare altri modelli
di socialità
E' una micro-cultura quella che si sviluppa nel
"ghetto", che riesce a forzare il recinto
dell'emarginazione e che realizza, libera dalla
discriminazione sociale, una forma di socialità senza
che siano accettate le norme della morale riconosciuta
ufficialmente.
In proposito Eugenio Barba, fondatore del Terzo
Teatro, (la tradizione culturale che ha ispirato gran
parte del lavoro della compagnia teatrale che vive con
me sul Peglia), ha scritto:
"Quale può essere l'immagine di un sognatore? Una
persona che si allontana dalla terra e va sull'acqua. Ma non lo fa per scoprire o raggiungere altre regioni. Alcuni che sembrano isolarsi in mezzo all'acqua, vogliono restare uniti tra loro. E provano a costruire sul lago dei frammenti di terra. Sono le isole galleggianti. Le isole galleggianti non sono un progetto per
rendere utili e fertili le distese d'acqua del Texcoco e del Titicaca. Sono un mezzo per sopravvivere. Il possesso delle terre galleggianti non si può
tramandare ai propri figli: appena smetti di costruirtelo, il tuo campo non c'è più. E' un piccolo orto malfermo che dà frutti, ma la cui
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dimensione e la cui esistenza è condizionata dalle correnti. Esso nasce dall'esigenza di mettere radici. Ma in
una realtà stradicata" (Eugenio Barba,1985:231).
Tirarsi fuori dalla società, per creare altre
condizioni di vita e di lavoro, per creare un esempio
contrario a quello che reputi ingiusto, per non essere
impigliato nelle regole del gioco che non accetti, per
trovare un'altro spazio, altre relazioni, per realizzare
il proprio possibile.
Il rifiuto del lavoro e delle regole sociali ufficiali
che porta a costruirsi un'altra esperienza, carica di
maggiori incertezze, perchè priva della sicurezza di una
strada segnata, è un altro principio comune. E' un modo
di vivere che appartiene all'insieme del gruppo:
"Ci sono delle affinità, un modo di vivere, non
puoi dire non stressato perchè poi ti stressi per altre cose qua, però di non essere obbligato ad andare tutti i giorni a lavorare, non sfruttare troppo il progresso, ma secondo me neanche rifiutarlo" (Giovanni, Cartufolo)
Da questa intervista emerge un altro valore comune che
è quello di non legarsi in maniera totale ai beni di
consumo tecnologici, comportamento del resto favorito
169
dall'assenza di corrente elettrica all'interno delle
case che esclude la possibilità di usufruire di
determinati comfort alimentati dall'elettricità. Infatti
la conformazione stessa di questi casolari, il loro
relativo isolamento, la distanza dai centri abitati e di
conseguenza dai negozi, l'avere a propria disposizione
le ricchezze dell'ambiente naturale, porta più
facilmente a rispondere ai propri bisogni materiali
attraverso il costruire con le proprie mani tutto ciò
che è possibile, ricorrendo alle risorse disponibili in
natura e alla propria inventività. A questo tipo di
attivtà viene attribuito anche un forte connotato
politico, in senso anticonsumistico:
"Noi cercamo de...pei popoli del Terzo Mondo, de
consuma' de meno (...) noi diamo fastido perchè autoproducemo, non spendiamo niente, non li famo diventà ricchi" (Rolando, Renzina) "qui sai che hai a fianco a te della gente che
porta avanti un discorso sociale molto importante, alternativo e profondo, per esempio la riscoperta di certi valori culturali, che vanno dall'agricoltura all'artigianato, all'arte e alla musica, roba che qui tutti hanno abbandonato e adesso noi praticamente siamo come pazzi che abbiamo ripreso quello che i vecchi di una volta hanno lasciato, sotto forma diversa" (Pino, Rota)
170
"per me il risparmio, l'attaccamento alla povertà
delle cose, non ad una povertà ascetica che non considera nulla, anche a considerà quel poco che c'è e deve esse' considerato, quello è un riconosce' il fatto che io devo esse' un piccolo granello de sabbia dentro un pianeta che è popolato da un casino d'altra gente e devono tutti magna'" (Sergio C., Colonnetta)
Quando ho domandato quali sono i valori che ci
accomunano come gruppo, tutti mi hanno parlato della
sfida che si lancia alla città, della ricerca di
un'alternativa alla vita "ufficiale" sulla base
dell'autoproduzione:
"Io direi che gli occupanti qua stanno più o meno
sulla stessa onda, che comunque stanno alla ricerca di qualcosa di diverso, di un'alternativa. Poi quasi tutti quelli che vivono qua vengono dalla città, quindi c'è anche questo fatto in comune che comunque stanno alla ricerca di un'altra vita da quella cittadina" (Sabina, Sant'Antilietta)
Una radicale differenza con il modello di vita
"ufficiale" riguarda la relazione che si stabilisce con
la propria abitazione. Sul Monte Peglia si è sviluppata
una particolare arte di abitare. Le nostre case sono
autorestaurate e in questo modo sottratte alla sorte di
171
diventare dei ruderi, sorte che è toccata
inevitabilmente a tutte le altre case del demanio che
non sono state occupate.
Occupare una casa abbandonata significa quasi sempre
dover ricostruire parti del tetto e dei pavimenti,
significa riaprire campi incolti e sentieri, ripulire
sorgenti o riportare in vita frutteti. Ricostruire con
le proprie mani e con i propri mezzi, determinare
secondo il proprio gusto, lo spazio abitativo che ci
circonda, che non si limita all'ambiente interno di una
casa, ma anche alla sua struttura esterna e al terreno
che lo circonda, un'intero podere di alcuni ettari.
Quanto questo rapporto creativo con la propria
abitazione possa avere una carica dirompente ce lo
sottolinea Ivan Illic in suo saggio dove affronta la
questione dell'abitare, mettendo in relazione la
prospettiva occidentale dominante e le forme attuali di
resistenza ad essa (Ivan Illich,1992).
Il modello abitativo attuale si è sviluppato in
seguito ad una serie di necessità: 1- controllo
poliziesco della popolazione (nomi e numeri civici a
strade e abitazioni per risalire alla residenza e al
domicilio della popolazione); 2- organizzazione del
172
trasporto della forza lavoro (maggiore fuzionalità nel
raccogliere persone già ammassate piuttosto che sparse
sul territorio); 3- diritto di monopolio edilizio per le
grandi società di costruzione; 4- uso di materiali
funzionali alla produzione. Tutte queste ragioni
concorrono alla costruzione di una visione dell'abitare
nella quale non è prevista la partecipazione
dell'individuo.
"Il residente vive in un mondo fabbricato. Non
può tracciare il proprio cammino sulla strada che percorre più di quanto non possa fare un buco nel muro. Attraversa la vita senza lasciare tracce. I segni che lascia sono considerati deterioramento, usura. Ciò che si lascia dietro verrà asportato come immondizia.(Ivan Illic,1992:55)
Le case occupate su Monte Peglia sono invece il
risulatato dei graduali interventi degli abitanti
che si sono succeduti nel corso degli anni, a
partire da chi pose la prima pietra più di un
centinaio di anni fa fino a chi le fa rivivere
oggi. E costuendo nuove stanze, aprendo finestre,
tirando su muretti, piantando nuovi alberi,
scegliendo la posizione dell'orto, costruendo
fontanili, ognuno ha lasciato il segno della sua
particolare energia, ha espresso la sua personale
173
arte di abitare. Tutto ciò ha reso ogni casa
diversa dalle altre nello spazio e da se stessa nel
tempo.
Ovviamente da diversi decenni tutto ciò è
illegale perchè le case sono occupate abusivamente
e i lavori di ristrutturazione non vengono svolti
dalle apposite ditte specializzate con regolare
autorizzazione. Le case sono addirittura dichiarate
inabitabili perchè prive di collegamenti con
l'acquedotto comunale e con l'Enel.
"Sia i non modernizzati, sia i post-moderni si
oppongono al divieto della società all'autodetermionazione spaziale, e dovranno fare i conti con la repressione poliziesca del disturbo che creano. (...)Saranno tutti sloggiati, non tanto per il danno che arrecano al proprietario del terreno o perchè rappresentino una minaccia per la pace o per la salute dei vicini, ma per la sfida che lanciano all'assioma sociale che definisce il cittadino come unità che ha bisogno di un garage standard."(Ivan Illic,1992:56)
Ecco la nostra prima forma di autogestione,
quella che riguarda la nostra abitazione, nella
quale lasciamo che la vita quotidiana inscriva la
trama della nostra biografia.
174
Ma il valore dell'autogestione viene affermato in
diversi altri ambiti della propria attività: molte cose
sono costruite con le proprie mani, decise seguendo
esclusivamente la propria responsabilità. Il proprio
percorso di vita viene costruito giorno per giorno
facendo affidamento solo sulle proprie forze e su quelle
di coloro con i quali lo si condivide.
Il percorrere una strada non segnata permette di
creare, progettare il proprio destino e il progetto
viene continuamente riveduto e modificato da avvenimenti
imprevedibili. E' un percorso da inventare costantemente
rispetto a quello di chi procede lungo i binari della
società "ufficiale", che non consentono un ampio margine
d'azione e di scelta.
Quindi si tratta di una "vita alla giornata", dove
giorno per giorno si creano le proprie attività, si
trovano soluzioni ai problemi sempre nuovi.
La sensazione è quella di non sapere mai bene che cosa
succederà domani e che tutto sia piuttosto imprevedibile
o comunque ancora da forgiare.
Come ci si procureranno i prossimi soldi, attraverso
quale lavoro, come saranno i raccolti, come sarà la
175
stagione, quanto ancora si potrà restare dentro queste
case?
Dalla precarietà scaturisce una particolare capacità
di adattamento alle situazioni difficili, una sorta di
scuola di vita.
E nella precarietà è forte il senso di vicinanza con
gli altri e il valore della solidarietà che si manifesta
proprio nei momenti più difficili:
"I valori sono gli stessi, ma anche le
difficoltà, nessuno naviga nell'oro...becchi le stesse bastonate, puntuali. Poi piano piano si sta andando avanti tutti insieme. (...) Lo senti che ci sono delle altre persone vicine, che se sei in merda le vai a trovare" (Angelo, Fontanelle) "questa è una cosa classica del Peglia e che mi è
piaciuta proprio tanto, è che non ti senti, o almeno io non mi sono mai sentita da sola, esperienza personale eh, non sapevo dove andare, nel giro di dieci giorni potevo andare in dieci case diverse, tutti che dicevano:"vieni qui, vieni qui, se vuoi star qui", tutti pronti a darti una mano, questo lo sento ancora adesso (...) io ho sempre trovato tanta solidarietà" (Barbara, Ischia).
176
5.2.1 L'ESPERIENZA DEL PARTO IN CASA
C'è un altro tratto culturale importante che lega gli
abitanti del monte Peglia, un valore che si inserisce
nel percorso di autogestione che abbiamo visto investire
diversi ambiti dell'esistenza: è la scelta delle donne
di gestire in prima persona l'evento del parto.
Fin dalle prime occupazioni è sempre stata ricorrente
l'esperienza del parto in casa, fatta eccezione
ovviamente per i casi difficili che necessitavano di
177
ospedalizzazione. Tutte le donne che hanno vissuto una
gravidanza in buono stato di salute hanno deciso di
portarla a compimento partorendo nel proprio ambiente di
vita, nella cornice della propria comunità, con l'aiuto
dell'ostetrica Diana che ha visto venire alla luce
(quando è riuscita ad arrivare in tempo!) tutti i
bambini del Peglia.
Nelle campagne dove viviamo, come del resto in tutte
le altre zone rurali italiane, fino alla fine degli anni
cinquanta la stragrande maggioranza delle donne
partoriva in casa. Questi quaranta anni che ci separano
da allora sono bastati a cancellare nella memoria dei
più un'esperienza secolare come quella del parto a
domicilio. Questo sicuramente grazie al disfacimento
delle strutture comunitarie di un tempo, le grandi
famiglie allargate, tipiche dalle società contadina, che
garantivano alla partoriente la vicinanza di altre donne
e il loro aiuto prima, durante e dopo il parto. Con la
perdita delle vecchie tradizioni si è instaurata una
nuova fede, quella nella scienza e nella tecnica. Il
parto è stato allontanato dalla vita quotidiana, dalla
casa, dalla comunità per diventare un evento medico,
confinato nell'istituzione ospedaliera.
178
Ma per le donne del Monte Peglia un diverso stile di
vita ha ridato loro il coraggio di riprendere l'antica
usanza facendola diventare un valore portante della
nostra cultura.
Oggi quando una giovane donna del Peglia sceglie di
partorire in casa sente di avere alle spalle viva e
radicata una tradizione, l'esperienza delle altre donne
che l'hanno preceduta, e ne ricava tutta la forza che
deriva dal riconoscersi in un percorso d'identità
gestito dalle donne.
"Pertorire in casa può significare realizzare 'qui e
ora' il proprio desiderio di un parto 'a misura di
donna', in cui sia permesso cogliere nella sua pienezza
il rapporto con il nuovo essere venuto al mondo, far
partecipi gli altri della propria gioia, gestire in
prima persona un evento fondamentale nella vita umana
senza allontanarsi dalla cornice della propria storia,
la casa."(Cavaglieri,1983:14,15)
Le possibilità di autogestione in un parto in casa
sono infinite, è possibile sperimentare i propri ritmi e
le proprie posizioni nel travaglio e nel parto, vivendo
pienamente le potenzialità del proprio corpo, senza
interventi di controllo o regolamentazione esterni.
179
Inoltre la figura dell'ostetrica è ben diversa da quella
del medico, perchè assiste al parto intervenendo il meno
possibile, nel rispetto e nell'assecondamento dei ritmi
naturali. Al contrario in ospedale la donna viene
spostata durante le varie fasi in ambienti diversi, è
assistita da personale diverso che non conosce, il
bambino le viene tolto e reso inaccessibile, e spesso le
vengono praticati interventi senza che sia messa a
conoscenza del loro scopo.
"l'esperienza del parto ospedalizzato, il mio
primo parto, non è stata affatto bella(...) io non sono riuscita proprio a viverlo naturalmente, perchè ho partorito di notte e non dovevo far rumore, le infermiere mi dicevano di star zitta, non dovevo far rumore, ho partorito alle tre del mattino e dovevo star buona, avevo diciannove anni ed ero fuori di testa, ho cacciato tante di quelle madonne, che io mi ricordo solo delle gran bestemmie quella notte lì, niente di bello. (...) Il fatto di fare il parto in casa è di vivere tutto, anche l'ultima lancinante contrazione fino in fondo, sapendo coscienziosamente che questo è un dolore mirato a qualcosa, che serve a qualcosa.(...) Io vorrei che ci fosse proprio tanta gente, non mi interessa di fare un parto con il mio compagno e basta. Un parto come quello che ha fatto Manuela... poter condividere e far vivere a tutti gli altri questa emozione."(Barbara, Ischia)
180
Personalmente mi sto preparando a vivere il mio parto
in casa, grata alle altre donne del Peglia per il
coraggio che mi è derivato dall'assistere ai loro parti,
eventi eccezionali.
Per coloro che come me vi hanno partecipato è stata
una occasione di intensissima emozione e di gioia
incredibile; adulti e bambini abbiamo potuto stringerci
intorno a una donna e fare esperienza insieme a lei che
affrontava l'evento della nascita della propria creatura
consapevole di sè, della propria forza e della propria
sensibilità.
"Che cosa significa partorire in casa?
Anzitutto non doversi difendere dall'ambiente, dagli altri, da se stessi per poter concentrare tutte le proprie energie fisiche e psichiche su quello che si sta facendo. Sapersi muovere nel luogo in cui ci si trova,
avevere punti di riferimento sicuri negli oggetti e nelle persone. Agire con forte consapevolezza interiore della
perfezione che sta dietro al meccanismo fisiologico, collaudato da milioni di anni, che porterà alla nascita il proprio figlio. Riconoscere il desiderio di nascere e di vivere
di questi e offrirgli le condizioni perchè possa iniziare nel modo migliore la propria esistenza. Conoscere le risorse che si hanno a
disposizione, che consistono non solo negli strumenti e nelle capacità tecniche
181
dell'ostetrica, ma anche nell'aiuto pratico e psicologico che danno le altre persone presenti. In questo modo il parto diventa un lavoro in
certo senso collettivo, nel quale ciascuno (grande e piccolo, esperto e non) dà per un arricchimento comune. Se ne esce con grandi energie fisiche e
spirituali, il senso di aver offerto una possibilità di espressione e di creatività a se stessi e agli altri, il che crea un contrasto stridente con le esperienze che si hanno normalmente nella vita. Per questo il parto in casa lascia un'impronta
profonda in tutti coloro che vi hanno partecipato. Conseguenza, ma più spesso punto di partenza di una ricerca di autogestione nei confronti del prorpio corpo (ma anche della mente) che investirà anche altri aspetti dell'esistenza."(AA.VV. Le culture del parto,1985:146,147).
5.3 LA RETE DELLE RELAZIONI E L'ORGANIZZAZIONE
SOCIALE
Nel capitolo precedente ho evidenziato un'uniformità
di tratti nelle risposte degli intervistati alle domande
riguardanti le motivazioni della scelta di venire a
vivere sul Peglia. Le autorappresentazioni rese dagli
occupanti riguardo ai bisogni che la loro nuova vita
182
soddisfa, appaiono piuttosto simili e possono costituire
un primo elememto accomunante le diverse esperienze.
Immaginiamo di trovarci di fronte ad un gruppo sociale
(gli occupanti del Monte Peglia), che manifesta una sua
identità culturale, ma che si articola in sottogruppi (i
casali), tanto indipendenti e diversi tra loro, al punto
di poter essere paragonate a delle cellule che non
sempre arrivano a formare un tessuto.
Il mio tentativo in questo capitolo è di analizzare il
funzionamento di questa articolazione, come si è
organizzata la rete delle relazioni tra i casali e quali
sono le regole e i valori che vigono all'interno di
ciascun casale
La struttura di questa comunità, articolata in cellule
autonome tra loro ma con alcune caratteristiche comuni
tali da renderle in alcuni casi coese come un unico
gruppo, mi suggerisce un parallelo con quei grupppi
umani classificati dall'etnologia come società
segmentarie. Queste società sono costitutite da villagi
indipendenti tra di loro, che vivono in contiguità. Il
raggruppamento di tutti i villagi viene definito
"tribù", ma agisce come corpo politico sovrano solo di
fronte ad altre tribù; infatti "la coesione tribale è
183
una proprietà emergente che si realizza solo in caso di
conflitto inter-tribale" (I. M Lewis,1987:308).
Analogamente si può dire per il Monte Peglia, i cui
casali ritrovano la loro coesione nel momento in cui
vanno a confrontarsi con l'esterno, per esempio nel caso
del rapporto-scontro con l'amministrazione locale.
"Il Peglia come gruppo è valido quando ci sono
dei casini, cioè ci ritroviamo tutti quando c'è da difendere queste occupazioni" (Giovanni)
Infatti l'altro dato importante che fa di queste case
un corpo unico è che gli abitanti del Monte Peglia si
sentono accumunati dal fatto di vivere in case occupate:
"Che cosa ci accomuna? Un po' te lo posso dire, è
il fatto che sono tutte case occupate, bene o male devi stare unito, sennò ti buttano fuori, come han già provato" (Angelo, Fontanelle)
Questo significa che non si crea un vincolo preciso,
definito dalla legge, che lega un individuo determinato
ad una determinata casa, ma che anzi sia diffusa l'idea
che le case non appartengano a nessuno, o che quanto
meno appartengano all'insieme, alla più larga famiglia
degli occupanti.
184
Il principio per cui le case appartengono a tutto il
gruppo e anche oltre, a chiunque si voglia aggiungere al
gruppo, visto che non esistono limitazioni di alcuna
sorta all'apertura del gruppo stesso, non è poi sempre
nella pratica applicato.
Nel senso che resta un principio generale, che sono
poi i singoli a sentirlo come realmente fondante la
propria esperienza quotidiana oppure come pura
affermazione di natura teorica.
Di fatto in alcuni casi la permanenza prolungata di
alcuni in una determinata abitazione fa si che si crei
un rapporto che, seppure al di fuori della legalità,
assomiglia molto alla proprietà.
Questo rapporto è dovuto sicuramente alla quantità di
investimenti materiali e psicologici che sono stati
fatti su quel luogo, e che rendono quindi il rapporto di
una natura molto simile a quelli ufficialmente
esistenti.
E' la natura stessa dell'abitare in campagna che
spinge a creare un legame solido e duraturo con un
podere. L'attività agricola richiede infatti particolare
stabilità e perseveranza, essendo in molti casi i
185
risultati ottenibili non immediatamente, ma solo dopo
diversi anni di lavoro.
Questo tipo di legame interessa però solo un'esigua
parte dei casi.
Infatti la stabilità che necessita l'agricoltura è
solo una delle tante variabili in gioco.
5.3.1 LA MOBILITA': COME SI VAGA DI CASALE IN CASALE
SPINTI DALL'AMORE E DAI CONFLITTI
186
L'altra variabile altrettanto determinante è quella
della instabilità intrinseca al vivere collettivamente.
Infatti il percepirsi come un gruppo unico che
esercita una sorta di "proprietà collettiva"
sull'insieme delle case occupate, ha reso possibile, nel
corso di questi diciotto anni, il verificarsi di
numerosi e frequenti spostamenti all'interno di queste
case. Io che scrivo, ad esempio, ne ho cambiate quattro
nel corso di questi tre anni che ho passato sul Monte
Peglia.
Da un'analisi degli spostamenti avvenuti in questi
ulitimi tre anni emergono due motivazioni principali che
danno luogo alla mobilità: i conflitti e le relazioni
amorose. Una terza motivazione interessa un numero
esiguo di casi e si potrebbe definire come la ricerca di
migliori condizioni di vita, come ad esempio lo
spostarsi in una casa più grande o meglio ubicata per le
attività agricole oppure che dispone di maggiori
quantità d'acqua.
Per quanto riguarda il conflitto, questo è molto
frequente in qualsiasi tipo di convivenza, ma ancor di
più in quelle che non sono determinate da nessun tipo di
vincolo duraturo. I gruppi che convivono sul Monte
187
Peglia sono composti da persone che non sono legate da
rapporti matrimoniali o di parentela, per cui si
condivide il proprio percorso di vita fino a quando
questo risulti un'esperienza piacevole; quando il
conflitto tra conviventi raggiunge livelli di scontro
elevati viene risolto attraverso la separazione dei
contendenti. Spesso l'emergere di un conflitto
scaturisce, oltre che dalle normali diversità di
carattere, da una mancanza di principi organizzativi
nello svolgimento delle attività che si compiono nel
casale; questo pone sotto il continuo sguardo giudicante
degli altri il comportamento e l'adesione ai lavori di
ciascun membro. In alcuni casi che ho avuto modo di
osservare direttamente il conflitto e la conseguente
separazione traeva spunto da una contestazione circa la
partecipazione più o meno assidua alle attività
agricole. In quegli stessi casi si era infatti
implicitamente stabilito che ognuno aderisse
spontaneamente al lavoro, senza alcuna modalità
prestabilita, ad esempio ogni mattina bisogna governare
gli animali e mungere le mucche, chi si alza per primo
lo fa, senza che lo si debba stabilire la sera prima o
che esistano dei turni fissi a riguardo. Questa
188
organizzazione così elastica però facilmente origina dei
malcontenti, per cui uno arriva a ritenere di essere o
realmente è, sproporzionatamente impegnato in una
determinata attività rispetto agli altri con i
conseguenti rancori. In uno dei casi in questione questi
rancori non riuscirono ad emergere fino al piano della
comunicazione e del chiarimento, ma si accumularono
inespressi fino a dare luogo ad un certo momento a uno
scontro così intenso da determinare la rottura e il
distacco.
La mia diretta esperienza mi porta a concludere che
sia abbastanza difficile trovare in un'organizzazione
spontaneistica della gestione della casa un equilibrio
duraturo. In un clima di libertà assoluta, dove non
sempre esistono un gran numero di attività comuni, è
facile che prima o poi intervengano delle dinamiche nei
rapporti personali a rompere l'armonia e il legame tra i
membri del gruppo.
La separazione spesso segue una regola implicita per
cui colui che abita la casa da più tempo, e quindi ha
investito maggiori energie nella sua risistemazione
rispetto a quelli che sono venuti dopo di lui, si
ritiene abbia maggiore "diritti" su di essa, tra i quali
189
il diritto di rimanervi in caso di conflitto. Questa
ipotesi mi è stata confermata da un'intervista:
"All'interno del gruppo i conflitti non sono mai
stati risolti, o ha prevalso una tesi, o l'altra, però il conflitto non è stato risolto. Ognuno ha le sue idee e, te l'ho detto, è difficile che cambiamo idea. Quando mi è capitato che dentro casa c'erano delle persone con le quali ero in conflitto, allora ci si divideva. Quando ne parli e vedi che... c'è sempre una componente più forte che schiaccia l'altra, come in tutte le cose. Io ero arrivato prima, non è che mi ritenevo il padrone, però è chiaro che hai fatto delle cose che le senti tue in un certo senso" (Giovanni, Cartufolo)
L'elemento singolare e caratteristico del Monte Peglia
è il fatto che in genere la separazione conseguente ad
un conflitto dà luogo allo spostamento di uno ( o più,
se lo scontro ha interessato più di due persone) dei due
in un altro casale. La possibilità di spostarsi in un
altro casale fa si che lo scontro possa risolversi senza
una lacerazione profonda nè del rapporto, nè della
propria esperienza di vita, che può continuare analoga
in un'altra situazione, poichè si resta all'interno del
gruppo più ampio del Peglia.
190
"un'altra cosa valida è la possibilità di scazzarti, di passare questi momenti che non ti vedi e poi di poterti ritrovare, io penso che da un'altra parte se avessi litigato sarebbe finita, invece qui mi è capitato con diverse persone... invece per esempio con Lucio, la lite quasi ci ha cementato di più, tu hai questa solidità che magari una volta ce la potevi avere solo in famiglia, che potevi scazzare però c'era quel legame che comunque va oltre." (Angela)
La mobilità, l'andare in una casa limitrofa, in un
caso come questo ha garantito la risoluzione di un
conflitto, mantenendo una realtiva stabilità nel gruppo
d'insieme, la "grande famiglia" del Peglia.
Altre volte invece a determinare lo spostamento è il
nascere o il terminare di una relazione d'amore, per cui
si è portati ad andare incontro al proprio nuovo
compagno o a separarsi da quello vecchio. Questo tipo di
cambiamento avviene con una certa frequenza. Un rapporto
amoroso, privo della contrattualità matrimoniale,
contratto al di fuori della regola legale, è molto più
instabile e fragile e quindi come tale influenzerà
l'equilibrio del gruppo che lo contiene, generando una
forte instabilità. Sono molti i casi in cui, non solo lo
spostamento di un singolo individuo, ma addirittura lo
191
sgretolamento del gruppo abbia avuto luogo a partire dal
termine di una relazione di coppia.
In un caso una coppia si è spostata in un casale che
si era da poco svuotato, alla ricerca di una maggiore
intimità familiare.
La continua mutevolezza dei gruppi porta con sè una
continua mobilità degli individui da una casa all'altra,
nella ricerca di una sempre migliore aggregazione, che
pare comunque non raggiungersi mai.
E' questa mobilità, sintomo di irrequietezza e
continua ricerca, l'elemento di spiccata diversità con i
modelli culturali locali.
E' il dato che più tormenta e infastidisce le autorità
pubbliche, che crea le maggiori difficoltà nella stipula
di una soluzione regolamentare della vicenda, proprio
per la sua irriducibilità alla regola.
Ed è proprio la mobilità alla fine a far si che per
una casa sia difficile indicare un ideale
"proprietario".
Ma il discorso può essere affrontato anche nella
direzione opposta.
Le case non hanno un proprietario (intendo una figura
che abbia i connotati di un proprietario) perchè ci si
192
muove da una casa all'altra, ma anche: ci si muove
proprio perchè le case non hanno proprietario.
Il fatto di non sentire come proprio un determinato
luogo rende più facile il distacco da questo.
Ognuno sa che tutto quello che investe in energie per
rendere accogliente una casa, un podere è a favore
certamente di se stesso che ne sta godendo in quel
momento, ma anche degli altri che verranno dopo di lui.
Le case sono un bene comune, dunque anche tutto quello
che si fa dentro le case è per il bene comune. In questa
prospettiva è meno traumatico abbandonare un posto per
trovarne un altro, dove comunque si potrà godere di ciò
che hanno fatto gli altri prima di noi.
Inoltre la caratteristica di essere case occupate le
ha rese aperte, nel senso che viene accettato con
facilità l'ingresso di un nuovo individuo.
Esiste una grande disponibilità verso chi sia
interessato a fare ingresso in questo tipo di vita e
ancor più ad accogliere un membro del Monte Peglia che,
in difficoltà nella precedente esperienza di convivenza,
abbia bisogno di sperimentarne una nuova.
Questa riflessione mi è stata suggerita dall'esempio
di una casa occupata in principio insieme alle altre,
193
che ottenne nel 1985 il contratto d'affitto; da quel
momento quella casa ha smesso di essere aperta, non ha
fatto più parte del gruppo degli abitanti del Peglia ed
è diventata una casa con la porta chiusa, simile alle
mille altre sparse un pò dovunque nei diversi angoli
della campagna. Su di essa è calato il comune senso di
proprietà.
D'altra parte l'assenza di questo rapporto di
proprietà ha una enorme coseguenza in termini economici
per chi abita queste case.
Per quanto la situazione sia rimasta praticamente
immutata nel corso di questi anni, poichè anche nel caso
di sgomberi si è quasi immediatamente rientrati nelle
case evaquate, permane tra gli occupanti un forte senso
di precarietà nei confronti del posto.
Anche coloro che sono rimasti ad abitare nello stesso
podere per dieci, quindici o diciotto anni,
difficilmente riescono ad attuare grandi investimenti
sul podere, proprio perchè rimane sempre presente il
timore di perderlo da un momento all'altro.
Questo ha indubbiamente bloccato i progetti economici
degli occupanti e di conseguenza limitato lo sviluppo di
194
risorse che altrimenti questi stessi luoghi avrebbero
potuto offrire.
5.3.2 I NUCLEI ABITATIVI: I GRUPPI E LE "FAMIGLIE"
Analizzando l'organizzazione sociale dei casali del
Peglia non si può dire che ci troviamo propriamente di
fronte a delle comuni.
Il maggiore criterio di differenziazione infatti
riguarda la struttura del nucleo abitativo. I casali si
possono dividere in due tipi: quelli abitati da un
gruppo e quelli abitati da una coppia o da una famiglia.
Sebbene io finora abbia parlato facendo riferimento a
gruppi di convivenza, pochi tra i nuclei abitativi del
Peglia costituiscono gruppi di persone legati da vincoli
di amicizia e di altra natura. Per lo più siamo di
fronte a coppie, famiglie con figli o addirittura
singoli.
Quello che richiama l'idea delle comuni sono forse le
interrelazioni tra questo insieme di abitazioni, e il
fatto che tutti, nel corso della loro permanenza sul
Monte Peglia, abbiano fatto esperienze di vita
195
comunitaria. Come dicevo prima, mi sembra che molti
siano passati alla scelta di vita familiare dopo aver
accumulato una serie di tentativi, valutati a posteriori
negativamente, nell'ambito collettivo.
Invece coloro che scelgono di vivere una convivenza
con un gruppo di persone, con i propri amici, oltre che
con i propri compagni e/o figli, vogliono sperimentare
un approfondimento dei rapporti umani, arrivare a delle
forme di conoscenza e relazione più intime, più
complesse.
"Saremo anche più sputtanati tra di noi, nel
senso che conosci proprio tutto, e sei anche più criticabile, perchè quello che fai qua lo fai davanti a tutti. Sei qui, davanti a tutti, nel bene o nel male, fai il bene o fai il male, lo fai davanti a tutti, è qua che lo fai, non ci sono doppie vite, doppi giri di persone, ti conosci proprio...sei anche più criticabile, più attaccabile però almeno sei quello che sei, ma criticami pure, siamo così, siamo più veri sicuramente." (Barbara)
La convivenza ti espone al contatto più diretto,
quindi al giudizio di chi sta vicino a te e ti conosce
nella tua nudità, al di sotto di qualsiasi maschera
sociale; di conseguenza sei più esposto alle critiche,
sei costretto a metterti più frequentemente in
196
discussione, devi essere più elastico, più aperto.
Impari a sviluppare la tolleranza, a sforzarti nella
comprensione degli altri e in una maggiore
comunicatività del tuo modo di essere. In una convivenza
non hai modo di sottrarti al confronto con gli altri.
"...con tutti i pregi, i difetti, le debolezze,
chiaro che sei più vulnerabile, più attaccabile (...) guarda che quando ti conosci così a fondo ti puoi dire anche le cose pesanti, però... sono reali, riesci anche a capire di più, te stesso e gli altri." (Barbara)
Coloro che hanno scelto di condividere l'abitazione
esclusivamente con il proprio compagno hanno deciso di
mettere un freno all'inarrestabile mutevolezza delle
convivenze di gruppo, di rendere la propria vita in
qualche misura più stabile, riducendo il numero dei
rapporti in gioco e con essi le possibilita di
condizionamento della propria esistenza. Ci sono alcuni
che rifiutano l'esperienza della convivenza, perchè la
ritengono un dispendio di energie non proficuo:
"non credo molto alla convivenza, cioè l'ho fatta
anche fuori, in Danimarca un mesetto, però poi scattan sempre dei meccanismi, delle tensioni, e secondo me non vale la pena di spendere delle energie per cercare di risolvere delle cose che
197
non sono mai andate avanti, almeno nei casi in cui l'ho vissute io, cioè meglio che ognuno si faccia le storie sue e poi mette in comune" (Giovanni, Cartufolo)
Questa riduzione dell'ambito relazionale intimo non
offre comunque cautele totali. In assenza del vincolo
matrimoniale, anche i rapporti di coppia sono
caratterizzati da una maggiore instabilità rispetto al
codice comune di comportamento, in quanto la loro durata
è strettamente correlata alla durata effettiva del
sentimento e del desiderio. Quando questi due elementi
vengono meno, non esistendo alcuna formalità a mantenere
il vincolo, questo decade.
Le relazioni di coppia sembrano non aver subito
affatto gli influssi delle teorie degli anni '70
sull'amore libero. Quello che in quegli anni sembrava
essere diventato un imperativo morale, oggi resta una
possibilità poco seguita:
"Io penso che noi seguiamo il modello culturale
prestabilito, cioè la coppia, per cui uno dei valori fondamentali diventa l'esclusività, la fedeltà, i figli addirittura adesso, che alla fin fine sono cose belle io penso; la difficoltà più grande che hanno dovuto attraversare le persone che hanno vissuto appunto il sessantotto oppure questi momenti in cui si è arrivati a teorizzare, a farle diventare delle idee con la cornice intorno, cose che invece sono legate all'intimità,
198
alla soggettività e lì è stata la contraddizione e la schizofrenia perchè una persona perchè era un compagno, siccome viveva una certa tensione verso l'ideologia, (...) questa persona pur di viversi questa situazione era capace di accettare delle cose che dentro di sé non accettava, non le viveva come una cosa serena e io penso che questa è stata la motivazione per cui molte cose sono fallite, io penso che le persone sono diverse e ci sono persone che riescono a gestirsi più rapporti d'amore in cui ci sia anche rapporto sessuale, per cui per queste persone l'amore libero è una cosa reale semplicemente perchè fa parte della loro natura, altre persone invece non sono così, intimamente, non hanno questa capacità o semplicemente sono diverse e quindi si vivono il rapporto d'amore con l'esclusività, con valori di tipo tradizionale." (Milena, Siano)
Sebbene ci siano differenze che riguardano le
diversità personali degli individui, la regola generale
riguardo ai rapporti intimi è che essi siano piuttosto
chiusi, di natura esclusiva.
E' solo all'interno del rapporto di coppia che si vive
l'esperienza della sessualità e anche qualora si
verifichi la possibilità di rapporti sessuali al di
fuori della coppia, questo genera non pochi problemi. Il
sentimento della gelosia è molto frequente.
199
5.3.3 LA FESTA E LE OCCASIONI D'INCONTRO
Il sentimento di gruppo si rinnova e si rinforza negli
incontri periodici di tutti gli occupanti del Monte
Peglia e in più di tutti gli altri giovani che vivono
nelle vicinanze. Sono delle feste legate al calendario
convenzionale, che si svolgono in genere per festeggiare
i compleanni o altre ricorrenze, come nascite,
anniversari di occupazione, Natale, Capodanno, Pasqua.
E' un momento molto atteso e vissuto intensamente da
tutti. Gli si dà una grande rilevanza: coloro che
organizzano spendono grandi energie nella preparazione,
viene ammazzato e cucinato un animale o preparata la
pasta in casa per tutti, dolci e pane cotti nel grande
forno a legna. Ci si procura vino in abbondanza, che non
manchi neanche alla fine della serata. Chi suona porta
il proprio strumento; il gruppo dei suonatori ad un
certo punto della serata inizia a suonare il repertorio
che ormai tutti conoscono e che possono cantare e
ballare.
200
E' un momento di grande effervescenza, di abbandono
totale ai propri impulsi senza alcun controllo, di
esaltazione di canti e danze che sfociano in una libertà
assoluta dalle forme prestabilite fino a divenire grida
e gesti liberatori. E' il rituale dell'abbandono alla
parte più istintuale di sé, al quale nessuno oppone
resistenza alcuna, aiutati anche dal tanto cibo a ancor
di più dal vino. Si conclude spesso all'alba quando si
cade sfiniti dalla generale ubriacatura.
La festa è un valore culturale per il gruppo perchè è
vissuta come il più alto momento di socialità, al punto
di riuscire a coinvolgere la comunità nella sua
totalità. Le uniche altre occasioni di incontro
collettivo sono le riunioni degli occupanti, dove ci
incontra per discutere della vertenza con le istituzioni
per ottenere gli affitti; queste però, oltre ad essere
meno partecipate, sono assai meno frequenti e con
scadenze meno regolari delle feste. Possono passare
anche degli anni in cui non si svolgono riunioni, ma non
trascorre mese in cui non si faccia festa.
Oltre alle feste, i vincoli di amicizia sono rinnovati
attraverso incontri serali, visite che qualcuno compie
in qualche altra casa, per una cena insieme ed una
201
chiaccherata. In genere ci si frequenta più spesso con
quelle persone che abitano i casali più vicini; questo
perchè si sviluppano maggiori contatti tra coloro tra i
quali intercorre meno distanza, proprio per una facilità
di frequentazione. Inoltre tra questi piccoli
sottogruppi è facile che si creino forme di
collaborazione, anche in termini lavorativi. Ci sono
casi in cui si gestiscono degli orti in comune, oppure
delle forme di comproprietà di mezzi agricoli, oppure
degli scambi di manodopera nell'attuare dei lavori
agricoli o edili piuttosto impegnativi.
202
5.4 L'ECONOMIA
Sebbene tutti siano sulla via dell'autosufficienza
agricola, è chiaro come questo obiettivo non sia di
facile raggiungimento e quindi è necessario ricorrere a
delle soluzioni alternative. Ogni casale ha sperimentato
una propria originale soluzione per il problema
economico.
Le esperienze spaziano da casi in cui l'economia è
quasi completamente autosufficiente a quelli in cui il
reddito è ricavato da lavori svolti all'esterno del
podere ed il rapporto economico con la campagna è
limitato alla coltivazione di un piccolo orto e
all'allevamento di polli e galline.
"C'è chi punta proprio su una vita di
autosufficienza, c'è chi invece dice che non gli interessa questo perchè tanto lo sa che non sarà possibile oppure non gli va di assumersi la responsabilità della terra coltivata, di avere tanti animali, che è sempre un peso, preferisco piuttosto farmi l'orto, così, piccolo, magari tenermi un maiale, qualche gallina, però accanto
203
vado anche a lavorare. Invece c'è altra gente che cerca un po' di uscire fuori dal sistema, dalla società come è composta, che proprio non vuole andare a lavorare perchè proprio rifiuta il sistema come è fatto, cioè lo sfruttamento sul posto del lavoro, che cerca l'indipendenza ed è venuta qua apposta per trovare questo. Poi c'è gente che c'ha altri interessi, non gli interessa nemmeno di tenere gli animali, che sta qua perchè il posto è bello, perchè si sta meglio che in città, però non gli interessa l'agricoltura, le bestie, c'è genet che gli interessa il teatro, il lavoro fisso pur stando qua. (Sabina, Sant'Antilietta)
Esistono infatti due persone che nel passaggio dalla
città alla campagna hanno deciso di non recidere
completamente le esperienze precedenti e hanno mantenuto
il loro posto di lavoro come impiegate statali. Questo
ha risposto al loro bisogno di maggiori sicurezze
economiche, senza comunque togliere loro le opportunità
di vivere anche l'esperienza della campagna.
"Il primo motivo per cui mi sono tenuta il lavoro
è che questo lavoro mi impegna pochissimo, sei ore al giorno, dalle otto alle due del pomeriggio. Io arrivo a casa e ho ancora la giornata davanti perchè vuoi che una mattina te la dormi tutta e ti scappa via oppure...insomma tempo per far le cose che ti vanno ce l'hai con questo lavoro qui, sei ore al giorno. E' una bella sicurezza, sono soldi. Iacopo (su figlio, nda) per mandarlo a scuola quest'anno ci sono volute 600.000 lire di libri,
204
poi il pulmini sono 45.000 lire al mese, la mensa e poi pure per me e pure per gli altri che stanno con me, perchè vabbè adesso noi non abbiamo niente. (Barbara)
Si può quindi accettare una forma di conpromesso tra
il proprio passato ed il proprio presente, senza
doversi per forza spingere verso forme di
radicalizzazione della propria esperienza esistenziale.
Un altro esempio in questo senso siamo stati noi
studenti universitari, del gruppo teatrale, che nel
trasferirci sul Monte Peglia non abbiamo però lasciato
completamente gli studi, a differenza dei nostri
colleghi statunitensi di vent'anni fa che nel fondare
la comune di Drop City avevano abbandonato l'Università
"Drop City (...) era popolata da artisti hippy
che avevano abbandonato l'università del Colorado (in inglese drop-out, da cui il nome della comune stessa" (D e G.Francescato,1974:87).
Tornando al discorso del reddito, si può dire che
prevale un tipo di economia mista che unisce le due
forme di sostentamento.
"Per me il modo per vivere meglio questi posti è
così, cercare un'autosufficienza, proprio con quello che hai, la casa, la terra, l'artigianato.
205
E' chiero che per me funziona l'economia mista (...) mista come vuoi, vai a fare la stagione, fai l'artigianato, vai a vendere quello che produci" (Barbara) "io ho sempre pensato che l'attività mista era
una realtà del Monte" (Cicci)
Bisogna però precisare che nella maggior parte dei
casali dove si convive in gruppo, ognuno risolve
autonomamente il problema del reddito ed in seguito una
parte dei proventi di lavori individuali viene condivisa
con gli altri coabitanti per affrontare le spese
collettive.
"non c'è per esempio una cassa comune, una cassa
con tutti i soldi che entrano, quando va a lavorare Rossella lei guadagna, quando lavoro io guadagno io, Cicci c'ha i suoi soldi che guadagna lui, ognuno si tiene i suoi e se c'è da affrontare una spesa per la casa si divide e ognuno mette i suoi soldi" (Sabina) "per quanto riguarda i soldi è vero che ognuno
c'ha la sua attività, i suoi soldi, però in un certo senso, almeno personalmente, la cassa comune non è molto importante, perchè ad esempio, io vado a fare la spesa, non ci penso che devo dividere i soldi della spesa, per me è una cosa molto naturale, non chiedo i due terzi di quello che ho speso" (Cicci)
206
I rapporti di amicizia e di affetto, l'armonia che in
genere regna in una convivenza ben riuscita, permette
anche di non essere così fiscali per quanto riguarda la
spartizione delle spese economiche.
Ho conosciuto solo due casi in cui l'economia è stata
gestita collettivamente, nel senso che il gruppo traesse
sostentamento da una forma di attività comune; il primo
di questi due casi era un gruppo formato da individui
altamente politicizzati, che cercavano di realizzare una
forma di comunismo all'interno del loro collettivo:
tutti i soldi che avevano venivano messi in una scatola
alla quale ognuno aveva libero accesso e che venivano
utilizzati per le attività della casa in base a progetti
stabiliti collettivamente. Si cercava inoltre di trarre
un reddito dalle attività di allevamento e di
agricoltura che venivano svolte collettivamente e la
partecipazione ai lavori della casa seguiva il principio
della spontaneità e della libera adesione.
L'altro caso di attività economica gestita
collettivamente era il gruppo di teatro di cui faccio
parte; il nostro sostentamento principale erano gli
spettacoli di strada ai quali partecipavano tutti gli
attori, cioè tutti i coabitanti. La nostra fu l'unica
207
situazione in cui vigevano delle regole precise
nell'attività lavorativa, che chiamavano ciascun
individuo ad una precisa responsabilità, pari a quella
di ogni altro, dalla quale non si poteva sottrarre. Ma
il nostro gruppo teatrale ,si può considerare anche per
questo una realtà a sè stante.
Nei restanti casi l'economia comune si concretizza,
come ho prima detto, solo in forme di comunione del
denaro, guadagnato quasi esclusivamnete da ciascuno in
forme autonome dal resto del gruppo.
Esistono comunque delle attività della casa che
vengono condivise da tutti e che sono minimamente
redditizie, come la gestione dell'orto e del pollaio.
L'aspetto economico è percepito da alcuni come un
elemento problematico di questa esperienza proprio
perchè è un punto sul quale è difficile essere coerenti
fino in fondo; rimangono infatti forti elementi di
collegamento con un mondo che ideologicamnete si afferma
di rifiutare. Ci sono anche casi, in alcuni momenti è
accaduto anche a me, in cui permane un tipo di legame
economico con le famiglie d'origine, malgrado il loro
modello di vita sia oggetto di contestazione.
208
"una delle differenze fondamentali è la gestione del problema economico e lo definisco un problema in quanto non si è mai risolto, è rimasto un problema per tutti, (...) la maggior parte delle persone che vivono qui (...) hanno degli animali, chi ha le mucche, chi ha le capre, fanno il formaggio, però questo non basta per vivere e quindi molte persone son in un certo senso costrette a cercare altre fonti di guadagno che si collocano a volte paradossalmente nella città. (...) Secondo me noi proponiamo un diverso modo di vivere e secondo me questo diverso modo di vivere si riscontra nel rapporto umano, però non produciamo un diverso sistema economico. Non siamo un'alternativa reale, perchè questo posto non ci dà la possibilità di vivere se non spostandoci in altri luoghi. (Milena)
Alcuni affermano che questa contraddizione emerge
perchè non si impiegaano sufficienti energie per
risolverla.
"una cosa che comincia a darmi fastidio sul
Peglia è che la parola più usata è "non ho una lira", eh Cristo!, eppure vivon tutti, mi sembra quasi un modo di presentarsi "come stai?" "non ho una lira", eh Cristo, poi c'è tanta gente che non fa niente per averli, e allora..." (Giovanni)
La contraddizione è tanto più forte dal momento che,
dal punto di vista ideologico, un'altra caratteristica
che accomuna gli abitanti dei casali tra loro è il netto
rifiuto del lavoro dipendente.
209
Infatti la scelta di lasciare la città è stata per
molti collegata al rifiuto del lavoro, ha significato
l'abbandono di quel luogo che, proprio per il suo tenore
di vita, obbliga al lavoro continuativo.
La campagna, dall'altra parte, rappresenta
effettivamente la possibilità di attuare un tipo di vita
con delle spese più contenute, di creare con le proprie
mani ciò che occorre per bisogni quotidiani.
Questo rifiuto è parte di quella serie di valori
culturali espressi da vasti strati di giovani a partire
dalla fine degli anni '60.
No al lavoro significa svincolarsi dalle regole, dagli
obblighi della sottomissione ad un padrone.
Si smette di occupare il proprio tempo in un'attività
ripetitiva e poco interessante, di contibuire col
proprio lavoro all'esistenza di un sistema nel quale non
ci si riconosce.
Il Monte Peglia ha offerto l'opportunità a molti
giovani di organizzare la propria economia in maniera
più autonoma, perchè la terra permette di realizzare in
parte una forma di autosufficienza, di uscire
parzialmente dal circolo del denaro, e quindi ridurre al
210
minimo il ricorso al lavoro salariato per il proprio
sostentamento.
"Era un periodo che avevamo raggiunto
l'autosufficienza tranquillamente, avevamo quattro mucche e quaranta pecore" (Giovanni) "l'alternativa che tu puoi dare a questo sistema
sociale è proprio quello di minimizzare certe cose, anche il lavoro in se stesso, cioè non c'è tutto questo bisogno di lavorare, cioè lavorare si però per te, è inutile che vai a produrre tipo...che cazzo ne so...macchinine, macchine o pezzi industriali, ma ti coltivi due carote, e stai a posto, stai benissimo, e si per me è importante il valore della natura, il sapersi anche accontentare, di quello che le tue mani riescono a produrre, ma non produrre ferro, produrre monnezza, no, produrre qualcosa che ci credi, che ci credi veramente nel tuo spirito, è proprio questo che ti rende molto più forte, e lì inizia la cultura" (Pino)
Non tutti si esprimono in toni così ottimisti nella
valutazione di questo aspetto della loro esperienza.
In effetti il tenore di vita che si ottiene con una
tale soluzione economica è piuttosto diverso da quello
risultante da una scelta di integrazione nel modello
cittadino. Questo a volte può risultare duro, ma resta
211
la consapevolezza di ciò a cui si va incontro in questo
tipo di vita.
"secondo me c'è un eccesso di lavoro, io sento
che è molto faticoso qui (...) è un po' un'alchimia continua devi stare ogni volta a inventar la giornata, in effetti questa è una libertà, anche coi soldi, come con cinquantamila lire puoi far uscire tutte le spese, in effetti delle volte ti pesa, delle volte dici: "Pensa avere...ah, andiamo al cinema", però dall'altra parte ti dà pure un gusto, piuttosto che magari l'orario fisso, lo stipendio fisso che poi magari ti porta ad avere il divertimento fisso!" (Angela) "non è così semplice, mancan delle cose che in
città non ci sono, che uno a volte ha voglia di vederle, uno qua deve fare delle rinunce" (Giovanni)
Per alcuni è stato l'arrivo dei figli a spingere verso
il lavoro dipendente. I bambini portano ad un
accrescimento notevole delle necessità economiche, anche
perchè essi sono, molto più dei genitori, in contatto
con il mondo esterno, il mondo del consumismo ed
esprimono la necessità di non essere diversi dagli altri
bambini.
"la grossa spesa per me qua sono i bambini che
vanno a scuola (...) se poi calcoli tutte le
212
storielle, la colazione che è assurdo negargliela, li ghettizzeresti già da piccoli, queste sono scelte che devono fare loro coscientemente, non imporgliele, e perciò devo lavorare più spesso fuori" (Giovanni) "se tu vieni qui a vent'anni sei responsabile
solo per te stesso e basta, lo fai anche più facilmente di tirare avanti perchè se ti va male non ti succede niente. Invece poi diventi più grande, vuoi fare un figlio, fai un figlio, che cresce, va a scuola, devi comprare i libri, devi comprare questo e quello, anche il figlio poi ha altre esigenze perchè vuole essere uguale agli altri bimbi e lì diventa più difficile." (Sabina)
CAPITOLO 6
LA TRIBU'
Tribù è un termine che a volte abbiamo usato per
autodefinirci così come lo fece la controcultura
americana degli anni sessanta, volendo indicare con
questa parola un nuovo tipo di comunità che aveva il suo
ideale riferimento nella cultura degli Indiani
d'America, e più in generale nei popoli cosiddetti
primitivi. Ecco come ci presenta la tribù Gary Snyder,
poeta beat negli anni sessanta, oggi bioregionalista, in
un suo saggio del '67 intitolato "Perchè tribù":
"Usiamo il termine tribù perchè è un termine
che indica bene il tipo di nuova comunità che sta
213
oggi emergendo nei paesi industriali.(...)La tribù propone uno stile di vita completamente diverso: basato su abitazioni comunitarie, villaggi ed ashram; aziende agricole, laboratori, imprese gestite dalla tribù stessa; grandi famiglie aperte(...)Come si riconoscono fra loro? Non sempre dalle barbe, dai capelli lunghi, dai piedi nudi o dalle perline che portano addosso. Il segnale è uno sguardo vivo e tenero, un modo di fare tranquillo, spontaneo e amabile. Uomini, donne e bambini che, tutti insieme, sperano di battere il cammino senza tempo dell'amore e della sapienza, in affezionata compagnia di nuvole, cielo, venti, alberi, acque, erbe e animali. Questa è la tribù."(Snyder,1987:103,106)
Sicuramente chi partecipò alle prime occupazioni sul
Monte Peglia negli anni settanta, doveva sentire un
simile senso di appartenenza ad una più vasta comunità,
forse più caratterizzata dalla rabbia e meno dal
sentimentalismo del clima hippy degli anni sessanta.
Oggi invece per noi si è trattato di una vera e
propria scoperta quella di essere parte di un universo,
seppure sommerso, di un popolo sprofondato tra valli e
colline, che solo a tratti emerge, si apre, si incontra.
Censire questa strana comunità è piuttosto difficile,
dato il suo mimetismo e la difficoltà di stabilire ponti
tra luoghi spesso non raggiunti da i mezzi tecnologigci
di comunicazione veloce. Non esiste una effettiva rete
di collegamento tra queste realtà, che comunque sono
214
molto diverse tra loro ed esprimono le tante
sfaccettature del fenomeno del "ritorno alla terra".
Malgrado la frammentarietà, esiste però una
particolare forma di incontro, partecipata solo da
alcuni gruppi italiani, che coinvolge questo tipo di
movimento a livello internazionale: sono le feste della
famiglia Rainbow Arcobaleno.
"La famiglia Rainbow è nata in America con
Woodstock nel '68, dopo che c'è stato questo grande concerto a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone, c'è stata l'esigenza di incontrarsi insieme e dare uno sbocco continuativo ad una storia che aveva entusiasmato gli animi di tutte quelle persone. Allora si sono incontrate sempre in posti di campagna ed hanno cominciato il discorso ecologico e di tribù." (Mario C.)
La "tribù" Arcobaleno si ricongiunge a livello
europeo due volte l'anno in grandi feste che durano
alcuni giorni e si celebrano in larghi spazi verdi, che
possano accogliere il radunarsi di una popolazione che
vuole mantenere anche nell'incontro il proprio modo di
essere e di vivere in contatto con la natura e nello
spirito comunitario.
"Le famiglie arcobaleno si incontrano, fanno
dei raduni dove vivono secondo le indicazioni
215
degli indiani d'America, facendo un villaggio sempre esistito, un villaggio di Tepee dove la vita scorre tranquillamente, beatamente e vedi che si potrebbe vivere sempre così. C'è un grande cerchio centrale, si sono tutti i Tepee che gravitano intorno a questo cerchio, in forma circolare. Il cerchio centrale serve per gli incontri, le feste, i consigli tribali; il cerchio individuale, cioè dei singoli Tepee, della tua famiglia, quando stai in intimità. Però la cucina è comune a tutte le persone; c'è la cucina dei bambini e la cucina agli adulti, la cucina dei bambini ha bisogno di tempi regolari, la cucina degli adulti avviene... quando avviene, e si dà da mangiare a tutte le persone che ci sono, sempre disponendoci nella forma circolare, intonando un "Om", alzando le mani in saluto, e dopo distribuendo il cibo. Per l'autofinanziamento si ricorre al cappello magico, danno quel che possono e tutto funziona, con stage di qualsiasi tipo che ognuno vuole proporre." (Mario C,)
Questo tipo di incontri coinvolge solo parzialmente le
esperienze comunitarie agricole, e raccoglie anche
persone che vivono di artigianato ambulante, artisti di
strada e musicisti.
216
6.1 ALTRE ESPERIENZE COMUNITARIE AGRICOLE IN ITALIA
Esistono centinaia di esperienze sparse sul territorio
nazionale, più o meno in ciascuna regione, ma la loro
più elevata concentrazione è in Umbria e Toscana.
Il loro comune denominatore è la scelta che tutti
hanno compiuto di lasciare una precedente esperienza di
tipo urbano, ammassati in una grande città, con un
lavoro spesso alienante, per andare a ricostruire la
propria identità e il proprio equilibrio in un podere di
campagna. A questo si associa la comune tensione a
realizzare l'autosufficienza, in un rapporto di rispetto
con il nuovo ambiente di vita.
217
Partendo da questi presupposti comuni, si sono
sviluppate una miriade di esperimenti di diversa natura,
che vanno dai piccoli nuclei familiari fino ai gruppi di
oltre cinquanta membri, dalle comunità di tipo
intenzionale, nate cioè dall'intenzione di un fondatore
e poi di suoi seguaci, da una visione fondativa, in
genere di tipo religioso, (le numerose comunità degli
Hare Krisna, Aurobindo, Sai Baba, Babaji, la comunità
Damanhur ispirata alla New Age, i neodiani di Realpa, i
cristiani evangelici di Poggio Antico) oppure di tipo
non religioso ma comunque influenzate da una particolare
risposta al problema della morale, fino alle comunità di
tipo non intenzionale, nate da aggregazioni spontanee
(di struttura simile al Monte Peglia) o ancora quelle
sorte intorno ad un preciso progetto di recupero di un
territorio marginale o abbandonato, attraverso
inserzioni su riviste e raccolte di fondi o ricerca di
finanziamenti pubblici (come l'esperienza di Torri,
vicino Ventimiglia o quella di Upacchi, vicino Arezzo).
La difficoltà a creare reti di scambio deriva, per le
esperienze di piccole dimensioni, dal loro stretto
legame con la terra e con gli animali che richiede una
notevole costanza, riducendo di molto le possibilità di
218
movimento e di contatto con l'esterno; in secondo luogo
dipende dalla profonda disomogeneità di questi
esperimenti che rende difficile l'elaborazione di
un'unità di azione. Un'attività di coordinamento è stata
svolta negli anni passati dal giornale Aam-Terra Nuova,
che fungeva da punto di riferimento e promuoveva
incontri, pubblicizzava le attività rivolte all'esterno
dei vari gruppi. Attualmente la rivista si è orientata
verso i problemi specifici dell'istituzionalizzazione
dell'agricoltura biologica, perdendo la qualità di
rivista di "movimento". Si è venuta così a creare una
linea di demarcazione tra chi ha scelto di diventare
produttore biologico ufficiale e chi invece ha preferito
restare estraneo al mercato.
Esemplificativo a riguardo è stato il discorso che mi
ha fatto un abitante della Valle dei Burroni:
"La demarcazione può essere anche riassumibile
in questi termini: chi privilegia l'autosufficienza, il contatto con la natura e il rispetto dei cicli della terra è avulso dalle leggi di mercato e ha bisogno di commerciare solo poche eccedenze, e chi invece fa un discorso più di business, più produttivo e di conseguenza è legato alla catena di commercializzazione del prodotto" (Mario C.)
219
Esistono altre due esperienze, più simili al Monte
Peglia, e con le quali abbiamo sviluppato un rapporto di
amicizia e quindi di periodica frequentazione, di
autosufficenza agricola, organizzate in forma
comunitaria. La prima è l'esperienza dell'Acqua Cheta,
un insieme di casali in Toscana, raggruppati in un'area
montana e collegati tra loro da una rete di sentieri di
alcuni chilometri percorribili solo a piedi. Alcuni
casali sono stati occupati, altri ottenuti in donazione
dai precedenti proprietari, altri ancora acquistati, e
sono tutti più o meno sorti parallelamente
all'esperienza del Monte Peglia, nel 1977. Inizialmente
si sono costituiti come associazione culturale col nome
di "Zappatori senza padroni" (in riferimento
all'esperienza degli Zappatori inglesi del 1600) con
l'intento di costruire una comunità; al pari del Peglia
anche questo gruppo ha avuto alterne vicende, ora
disgregandosi ora ricompattandosi, ma tuttora esiste e
rappresenta un esempio conosciuto anche al di fuori del
circuito delle esperienze agricole.
L'altra situazione è la comunità della Valle dei
Burroni , con la quale abbiamo stabilito una calorosa
amicizia.
220
6.1.1 Gli Elfi
"Elfi" si sono soprannominati gli abitanti di un
gruppo di quattro villaggi sull'appennino tosco-
emiliano. La Valle degli Elfi, o Valle dei Burroni è
stata occupata a partire dal 1980 e alcuni di loro
provenivano dall'esperienza del Peglia. I presupposti
del nostro stile di vita qui sono stati radicalizzati,
anche sotto lo stimolo di un ambiente naturale
particolare.
A differenza del Peglia dove i casali sono distribuiti
su un territorio piuttosto vasto (un'area di diversi
221
chilometri quadrati) e ubicati a una certa distanza tra
loro, nella valle degli Elfi le case sono raggruppate in
villaggi. Questa caratterizzazione ambientale ha fatto
sì che il gruppo costituisca realmente una comunità
poichè gli abitanti di ciascun villaggio condividono la
loro esperienza quotidiana.
I villaggi sono situati in luoghi inaccessibili alle
automobili e sono raggiungibili solo a piedi. Questa
particolarità rispetto al Peglia, riduce notevolmente i
contatti con l'ambiente esterno, soprattutto gli scambi
commerciali (gli acquisti di merci) stimolando una
notevole autonomia economica della comunità, ed
un'indipendenza dai beni di consumo prodotti da sistema
tecnologico industriale.
Qui la ricerca dell'autosufficienza ha raggiunto
risultati notevoli, perchè gli Elfi riescono ad
autoprodurre quasi tutti i beni alimentari necessari e
numerosi prodotti in alcuni settori dell'artigianato
(lavorazione del cuoio, del legno e della lana).
Oltre all'aspetto materiale della cultura, gli Elfi
hanno talmente sviluppato il concetto di autoproduzione
culturale da giungere alla realizzazione di un proprio
sistema educativo: hanno organizzato la scuola
222
elementare all'interno della comunità, e un gruppo di
adulti segue i bambini insegnando loro non solo le
materie scolastiche ma anche come lavorare il legno o
coltivare un orto.
Lo spirito che regge la vita nei villaggi è di tipo
collaborativo e solidaristico; tutta la vita all'interno
di un villaggio è impostata collettivamente, nel
rispetto e nell'umiltà. Il senso di comunità si estende
oltre il singolo villaggio, coinvolgendoli tutti e
quattro nel loro insieme, cosicchè esiste un senso di
appartenenza alla vallata. Infatti i villaggi pur
essendo dislocati ad una certa distanza tra loro (fino a
tre ore di cammino a piedi) mantengono in comune le
grosse e impegnative attività agricole, come il taglio
del fieno, le colture di grandi estensioni (cereali,
legumi, aglio, cipolle), la raccolta e la trasformazione
delle castagne.
All'interno della comunità non vi è uso del denaro, la
Valle stessa con la vendita del surplus produce i soldi
necessari alle spese collettive che deve sostenere e
garantisce a tutti la sopravvivenza all'interno del
villaggio.
223
Anche la proprietà degli animali o delle attrezzature
è sentita come collettiva, non del singolo villaggio, ma
dell'intera Valle degli Elfi.
Esplicativo dello spirito che regna da queste parti è
il richiamo al romanzo di Tolkien "Lo Hobbit", che ha
fornito loro i nomi che si sono attribuiti:
"Gran Burrone (il nome che hanno dato ad uno
dei villaggi, nda) è stata chiamata così perchè nell'Hobbit Gran Burrone viene descritta come l'ultima casa ospitale prima delle terre selvagge. Lo spirito doveva essere quello di una casa
ospitale, per cui accettava tutto, accettava il tossico, l'ubriacone, accettava tutti, quello in gamba, volenteroso senza fare discriminazioni". (Fabio della Valle dei Burroni)
6.2 IL BIOREGIONALISMO: UN'UTOPIA CHE ABBIAMO
INIZIATO A REALIZZARE?
"Re-inabitare significa imparare a vivere in un
posto, in un'area che è stata degradata e danneggiata da antichi sfruttamenti. Significa diventare nativi di un posto, consci
delle particolari relazioni ecologiche che arricchiscono la vita di quel posto, ripristinando il suo sistema di auto-sostentamento e istituire un modello d'esistenza ecologicamente e socialmente sostenibile. In
224
poche parole, diventare pienamente vivi nel e con il posto, cioè significa impegnarsi per essere membri della comunità biotica e cessare di essere il suo sfruttatore." ( Peter Berg, Cos'è il Bioregionalismo, in Lato selvatico n.1)
Per quanto nessuno degli abitanti del Monte Peglia
abbia esplicitamente riferito la propria esperienza di
vita ad una particolare filosofia politica e si sia
sentito di appartenere a qualcosa di più di un
genericamente definito "movimento alternativo" (ad
escclusione di coloro che ancora si riconoscono nei
gruppi della sinistra rivoluzionaria metropolitani), a
me pare interessante suggerire un collegamento, che mi
sembra piuttosto marcato, con il Bioregionalismo.
La filosofia bioregionalista è stata articolata per la
prima volta nella seconda metà degli anni settanta da
Peter Berg (uno degli attivisti della controcultura
americana degli anni sessanta) e dai membri della
fondazione da lui diretta "Planet Drum" (Il tamburo del
pianeta).
Il movimento bioregionalista si è sviluppato nel Nord
America e principalmente in California all'interno della
prospettiva ecologista, ma con una posizione innovativa
rispetto al cosiddetto "catastrofismo ecologista", cioè
225
al suo approccio al problema ambientale soltanto sotto
forma di risposta a delle emergenze e non piuttosto di
trasformazione radicale della struttura capitalistica
della società.
Il bioregionalismo ha costituito anche una risposta
alla banalizzazione del problema ecologico, al suo
diventare di moda, quindi totalmente metabolizzato dalla
società dei consumi, attivo solo alla superficie dei
problemi, le "emergenze" appunto, e del tutto funzionale
a chi comanda.
In risposta a ciò, la filosofia bioregionalista ci
invita a divenire noi stessi custodi del luogo in cui
viviamo:
"Il modo migliore di pensare a se stessi è
quello di far attenzione a ciò che ci riguarda, di proteggere e, assieme, recuperare la nostra regione. Il bioregionalismo riconosce, nutre sostiene e
celebra i legami locali: Terra Piante e Animali Fonti, fiumi, laghi, acque
sotterranee, oceani Aria Famiglia, amici, vicini Comunità Tradizioni native Sistemi
indigeni di
226
produzione e commercio Il Bioregionalismo afferma che è venuto il
tempo di conoscere le potenzialità del luogo. Di prestare piena attenzione alla sua natura ed
alla sua storia, (...) di sostenerci facendo ricorso a fonti rinnovabili di cibo e di energia. (...) Il bioregionalismo assicura la soddisfazione dei bisogni primari attraverso le risorse locali". (Benvenuti a casa!, documento di apertura del 1° congresso Bioregionale del Nord America, in Bioregione, 1994)
I bioregionalisti incoraggiano l'abbandono della
società industriale per tornare a popolare la terra:
"Tornare ad abitare è oggi qualcosa che
riguarda un piccolo numero di persone, che "ritornano" dalla società industriale alla terra, al luogo."(Ibidem, 1994:24)
E in questi luoghi dobbiamo tornare alla pratica
dell'autosufficienza, con una progressiva riduzione
dell'acquisto di merci esterne, e allo scambio non
monetario, al baratto con le altre bioregioni:
"Dobbiamo in qualche modo vivere il più
possibile a contatto con il luogo, con il suolo, con le acque, con i suoi venti; dobbiamo imparare a conoscerne i modi, i limiti, le capacità; dobbiamo basare la nostra vita sui suoi ritmi,
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fare delle sue leggi la nostra guida, dei suoi frutti la nostra ricompensa.(...) L'economia bioregionalista, in termini pratici,
riduce al minimo l'uso delle risorse, enfatizza la conservazione ed il riciclaggio, evita l'inquinamento e lo spreco; adatta i suoi sistemi produttivi alle risorse locali, utilizzando ad esempio l'energia del vento, se è possibile, o il legno, dove ciò sia appropriato, o, per quel che riguarda il cibo, si rivolge a ciò che la regione stessa è in grado di produrre. Questo a partire dal più elegante ed elementare tra i principi della natura: quello dell'autosufficienza. La natura, che non prevede il "commercio", non
crea elaborate reti di interdipendenza su scala continentale; perciò la bioregione deve trovare tutte le risorse di cui necessita per energia, cibo, abitazioni, vestiario, utensili, manufatti e via dicendo, entro i propri confini.(...) Anche i principi politici richiamati dalla
scala bioregionale sono fondati sulle indicazioni della natura, per la quale ciò che ha sempre avuto valore non sono gli imperativi del gigantismo, della centralizzazione, della gerarchia e del monolitismo, ma -e la contrapposizione è netta- quelli della decentralizzazione, della suddivisione, della diversità.(Sale, Un nuovo modo di intendere e trattare la terra, in Bioregione 1994:30,31,32) "le ricchezze della natura sono ricchezze di
tutti ( la gente non potrebbe possedere la terra, i suoi minerali o i suoi alberi, non più di quanto possa possedere il cielo o le nuvole) e quanto può essere ricavato dal regno di Gea non può essere accumulato e usato a vantaggio personale, ma distribuito ed usato a beneficio di tutta la regione."(Sale, 1991)
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Il bioregionalismo è la rivisitazione moderna delle
più antiche concezioni del mondo proprie di tutte le
civiltà preletterarie.
Risponde alla tendenza all'autonomia nei confronti
della centralizzazione, alla frammentazione e al
separatismo che si manifesta nelle società umane:
"Qui dove la gente si conosce e condivide le
condizioni ambientali, dove le informazioni elementari per risolvere i problemi sono note o facilmente reperibili, proprio qui dovrebbe collocarsi la gestione comunitaria.(...) E' questo il tipo di governo stabilito dalle popolazioni primitive su tutto il globo." (Sale, 1991)
La via da intraprendere che ci viene suggerita è
quella delle ritribalizzazione, del tornare ad essere
nativi, indigenizzarsi, poichè è proprio dai nativi, che
hanno tradizioni antichissime di rapporto con il luogo,
che potremo apprendere il modo in cui sottrarci da una
monocultura globale e stabilire una relazione profonda
con la terra.
"Le genti indigene di tutto il pianeta (...)
sono di fatto bioregionalisti. Lo sono da
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migliaia di anni."(intervista a Peter Berg, in Lato Selvatico n.6, equinozio di primavera 1995)
Come ci suggerisce La Cleca nel suo intervento al
convegno dei bioregionalisti italiani, la fiolosofia
bioregionalista americana rigetta il carattere più
tipico della società americana, la mobilità tanto
esaltata dalla stassa controcultura (l'esempio massimo è
Kerouac e l'avventura dell'essere perennemente sulla
strada) per rivalutare invece il bisogno di costruirsi
una identità attraverso il radicamento, il "mettere
radici" in un luogo. Per far questo ci si riferisce agli
Indiani d'America evidenziando il concetto
dell'indigenità.
"I movimenti indigeni sono un modello
importantissimo in questo momento per noi, si stanno battendo nel mondo per il riconoscimento del fatto che esista un'appartenza alla terra e -per il solo fatto dell'appartenenza- al suo uso."(La Cleca, in Bioregionalismo e ritorno alla terra, 1988)
Tornare al luogo significa tornare a ridare importanza
anche alle piccole cose della nostra esistenza
quotidiana, alla materialità della nostra vita,
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assumendo la coscienza di quello che ci circonda,
entrando in una relazione di rispetto e di reciprocità:
"Dobbiamo imparare a concepire i cicli naturali
-il ciclo delle acque, il ciclo dell'aria, il ciclo nutritivo- come sacri. (...)L'espressione di questo senso del sacro è assai semplice: gratitudine al tutto, assunzione di responsabilità per i nostri atti. Presa di contatto cosciente con le fonti dell'energia che fluisce nella nostra vita: acqua, carne, prodotti della degradazione biologica."(Snyder, in Bioregione 1994:23)
Ricostruire un rapporto manuale con ciò che ci
circonda significa imparare anche come procurarci ciò di
cui abbiamo bisogno, sapendo anche dove va a finire una
volta che è stato utilizzato. Scoprendo che possiamo
essere parte di un perfetto ciclo che scorre sotto i
nostri occhi.
"Un altro carattere fondamentale dell'uomo
bioregionale, che lo contrappone all'abitante della metropoli industriale, è la sua capacità di "fare a meno", di contentarsi di poco e di essrene orgoglioso. Il suo orgoglio è non avere bisogno. Non si considera tanto più ricco quanto più possiede, ma quanto più è capace di far senza."("Abelardo", in Aam-Terra Nuova n.44)
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La questione molto importante messa in luce da Sale
nel suo "Le regioni della natura" è quella della scala,
cioè della dimensione all'interno della quale
affrontiamo un determinato problema. I bioregionalisti,
come gli abitanti del Monte Peglia, hanno individuato
che è possibile effettivamente incidere sulla realtà ad
un livello che sia alla nostra diretta portata.
La scelta di venire sul Peglia è stata per molti di
noi un cambiamento di scala, l'aver deciso di dirigere
la nostra azione verso obbiettivi più limitati,
rispondendo concretamente ai problemi che direttamente
ci si ponevano di fronte.
Abbiamo scelto di vivere in una dimensione di piccola
comunità, convinti come i bioregionalisti che la piccola
comunità, il più possibile autosufficiente, dovrebbe
essere l'unità di base della società. La piccola
comunità ci può permettere di vivere rapporti più intimi
tra gli individui e ci da' un effettivo controllo degli
esiti delle nostre azioni, in modo da creare una
realzione d'identità con ciò che ci circonda.
E in questa piccola comunità noi abbiamo forse, ad
occhi esterni, abbassato il nostro livello di vita,
tornando quasi alla "primitività". In realtà la scelta
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di poverta volontaria, o meglio di uno stile di vita
semplice, ha innalzato il nostro livello di vita, se
guardiamo alla qualità dei nostri beni piuttosto che
alla quantità, al nostro rapporto con il lavoro e con il
tempo libero e più in generale alla relazione che
intercorre tra noi e l'ambiente che ci circonda in
termini di impatto ambientale e rinnovabilità delle
risorse. Il nostro livello di vita può essere
considerato basso agli occhi di un sistema socio-
economico che si fonda sullo sfruttamento del 40% delle
risorse del pianeta a vantaggio del 6% della popolazione
mondiale. Così la crescita del tenore di vita della
società industriale si fonda su una profonda
ingiustizia.
Noi siamo voluti diventare i nuovi abitanti di terre
abbandonate a causa della distruzione della cultura
nativa locale, la cultura contadina, ad opera della
società industriale capitalistica. Noi abbiamo deciso di
ridare dignità all'azione di cambiamento che possiamo
svolgere a cominciare dalle più piccole cose della
nostra esistenza, quelle materiali, apparentemente
banali, come il cibo, l'energia, gli utensili, che sono
però le prime a garantirci l'autonomia dal sistema
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produttivo di potere. Noi abbiano riconosciuto a noi
stessi la nostra capacità di autodeterminazione, di
autocostruzione, di autogestione.
Noi siamo inconsapevolmente i primi attori della
filosofia bioregionalista.
Ad una domanda su cosa ne pensava del bioregionalismo,
un abitante della Valle dei Burroni mi ha risposto:
"E' utopia. E' bello il seme, è bello il
germoglio, però prima che venga realizzata una coscienza bioregionale... è un processo nel tempo a venire, ci vorranno anni e anni (...) noi lo stiamo cercando di attuare in pratica."(Mario C.)
APPENDICE
INTERVISTA A GIANCARLO DEL CERQUOSINO (Si è svolta senza l’ausilio del registratore; ho
preso degli appunti, che poi lui stesso ha rielaborato e mi ha restituito sotto forma di racconto della sua esperienza.) Mi chiamo Giancarlo e ho 30 anni. Sono nato a Roma
dove ho vissuto fino a 25 anni. Ho la terza media. Ho fatto dall’età di 16 anni il cameriere, metallurgico, venditore porta a porta, pubblicitario, pulitore, ancora barista, impiegato e per ultimo ambulante di fiori; ora si tenta di fare il contadino (prova e riprova...). Vivo da quasi 5 anni in zona, da quasi due sul Peglia
in un casale, il Cerquosino, rioccupato per l’occasione con una coppia di adulti e una bambina. Da Babilonia (Roma) mi ha spinto fuori la voglia di
stare meglio con me e con gli altri continuando a cercare di cambiare le cose che non vanno; diciamo che è stata una rottura con tuuto il passato (ritmi, rapporti di produzione, sociali, affettivi), meno che con le aspirazioni che si rivolgono a un’idea di società equua,solidale,libera. Mi sono scelto con la campagna un terreno più comodo e
umano dove continuare a cercare di mangiarmi un’idea di vivere insieme in “comune a molti”, comunista, si credo che la parola sia ancora quella. Mi sono portato dietro la provenienza: l’onda montante dei centri sociali occupati nella periferia romana e la voglia di affermare, tolti i grandi discorsi, le cose più semplici: possibilità di dividere con gli altri una casa, un reddito, una diversità. L’occupazione del Peglia è un posto unico: miscela di
provenienze diverse, sembra il prototipo del villaggio globale dove ogni diversità che entra in contatto ne esce rafforzata dall’esperienza altrui. Prendi ad esempio la storia della vertenza degli affitti. Lì sono a confronto 30-40 abitanti dei casali su come portare avanti la lotta, ne escono fuori delle riunioni pallosissime (a volte) ma è stupendo (sempre a volte) che si confrontino la visione peace and love, quella
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borgatara teppistica, quella pragmatica comunista, quella buddista, quella istituzionalista, quella ribelle,ecc.ecc.. Il segreto della bellezza sta nel tenere alta la soglia di rispetto tra tutti e nello scoprire che io cambio in ricchezza acquisendo dall’altro; siamo tutte figure poste e che si pongono ai margini della società; quando ci capiamo si sente il bello che c’è nei movimenti, l’eterogeneità e l’occasione di baratto tra culture non ostili. Il bello dell’occupazione del Peglia è questo: che
esiste ed esistendo ha dato e darà la possibilità a migliaia di persone di visitarla e a centinaia di approfondire abitandoci. La difendo per questo principale motivo: nella ricerca infinita che è la vita di ognuno, ci dovrebbe essere anche questo posto. L’importanza di questa cosa l’ho capita quando è
iniziata la lotta degli affitti, apparentemente piccolina e marginale, ma invece grandissima e centrale se applicata a tutto il demanio dello stato; esso non va venduto ai privati, non va gestito come un museo com'è adesso, ma per difenderlo, l'ambiente deve essere abitato, colonizzato. Da chi? Da chi ha la fantasia e la voglia, e anche l'indispensabile gioia, di campare di quel poco che la montagna ti offre. Sapessi quanti ce ne sarebbero di questi strani contadini. Il richiamo alla nazione indiana è troppo forte, spero che non faremo la stessa fine, mi onora considerarmi un indiano, un frikkettone ribelle, un figlio dei nativi. Amche questo l'ho notato non da molto: sono figlio di
contadini (da sempre) dell'appennino marchigiano. Trentacinque anni fa vennero a Roma spinti dalla fame e dal miraggio facile del guadagno e come loro milioni, in tutto il paese; non ho timore a dire che questa terra è mia anche per questo: per risanare quell'antico conto. Sarà un po' mistica come idea ma qui non guasta, anzi... L'antica discriminante è attuale e sensata: la terra è
di chi (a modo suo) la lavora, la protegge ( forse questo è il punto più importante), la mette in relazione al villaggio; qui ci sono teste per 100mq di orto e teste per 10ha di seminativo, la cosa incredibile è che c'è spazio per tutte le esigenze e fantasie agricole, visto l'abbandono dei latifondi ognuno può approcciarsi alla sua quantità di agricoltura necessaria: gli unici doveri irrinunciabili sono a) di non snaturare il posto che si abita, b) di mantenere intatte le potenzialità (anche se non usati, i campi vanno tenuti aperti e puliti), c) chi vuol far soldi vada altrove (agrituriamo, riserve di caccia, ecc.).
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Vorrei parlare ora di quello che ho lasciato e di quello che ho trovato venendo qui (in campagna). Ho lasciato la busta paghetta, quando ce la passiamo male un lamento va a questo, qui il denaro vale il triplo ma ancora non sono riuscito a guadagnare un terzo di quello che guadagnavo, ho lasciato un movimento traballante che qualche volta (come con la pantera del '90) mi ha fatto rimpiangere di non essere lì. Ho acquistato il mio corpo (sembra una frase fatta per
chi va in campagna), settanta chili di manualità e di uso quotidiano, che mi danno la gioia di fabbricare e non finire mai. Ho acquistato il mio rispetto, ho lasciato l'ansia di
migliorare, ho imparato a volermi bene per quello che sono e a volere bene a coloro che mi rispettano.
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INTERVISTA A PINO DELLA ROTA (Intervista parziale per errore di registrazione) Ho venticinque anni. Fino a dieci anni ho vissuto a
Milano città. La mia era una famiglia operaia. I miei genitori si sono separati quando avevo dieci anni. Dopo la separazione siamo andati a vivere nell'hinterland, che è squallido perché sono tutti paesini attaccati, ogni paese ha la sua zona industriale, per lavorare si va per forza di cose in fabbrica. Ho lavorato per parecchio tempo in nero. Uscendo dalla scuola media, ho proseguito a studiare
elettronica industriale, forzato da mio padre. Io volevo fare il liceo d'arte, ma era lui che mi manteneva; mi sono ritirato a sedici anni, e ho iniziato a lavorare, prima nel pomeriggio dopo la scuola, ho lavorato per sei-otto mesi in un pollaio intensivo, poi mi sottopagavano, allora ho accannato. Ho trovato un'altro lavoro in una tranceria di alluminio: poi mi sono infortunato, quasi ci rimetto un dito, e tanto per finire la mia carriera lavorativa in bellezza, ho lavorato due anni in una carrozzeria industriale. Dopo di che quando ho iniziato a capire che mi stavo intossicando è partita la mia rivolta. Oltre al lavoro che non mi piaceva si sovrapponevano problemi familiari. Si ricattavano, litigavano tutte le volte che si
vedevano, ma non riuscivano a capire quello che provavamo noi nei loro confronti. Era molto umiliante perché non potevi fare affidamento su nessuno dei due. Li ho iniziato ad attaccarmi al movimento ed ho iniziato a capire il valore delle cose che potevano servirmi dal punto di vista emotivo. Dopo un lungo periodo di caos ho realizzato che non potevano impormi le cose, sia i padroni che i miei genitori. Allora abbiamo costruito una micro-alternativa. Abbiamo lavorato per costruirci una capanna nei boschi, per avere un posto nostro, che non era il solito muretto, o il bar, o la discoteca, o
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la birreria. Iniziava a nascere la vera amicizia tra i compagni, lavorando insieme il legno, la terra e rispettando la natura circostante, per forza di cose ci si affiatava sempre di più. Eravamo diventati un nucleo, un gruppo. La cosa che mi piaceva di più e che andava crescendo era il contatto tra le persone. Alla sera ci si recava la per stare insieme, per accendere un fuoco e suonando e cantando la nostra amicizia si faceva sempre più intima. Bastava che ci guardavamo negli occhi e molte cose si intuivano da sole. Era fumando che tutto questo aveva un senso e ci dava questo senso di affiatamento. Lo si vedeva nel come facevamo le cose, parlando e
ascoltando, sempre nel rispetto di ognuno di noi. Ci stavamo affermando come gruppo e quindi il cerchio si stava allargando. I giovani che vivevano in paese realizzavano anche loro il valore di un alternativa. Alla gente questo faceva paura, era invidiosa, perché loro erano repressi. Ce l'hanno bruciata tre volte. La "Kaya" era il nome che avevamo dato alla nostra casetta di legno, dopo vari incendi. Abbiamo riscoperto il valore che aveva la natura. Era nato in noi un senso di difesa per lei, era come
un riaprire gli occhi dopo tanti anni di fumo in fabbrica, pensa arrivare a diciassette anni e riscoprire piante, funghi, alberi, animali in genere era una cosa quasi stralunata per un operaio. La cosa più stralunata ancora era che quello che ci teneva insieme era la marijuana. Passavamo le ore al muretto aspettandola, poi ci
fiondavamo subito alla nostra capanna. I nostri stati d'animo ci univano. Ci sensibilizzava il nostro "io" e quindi molti dei nostri problemi, sia familiari che lavorativi, passavano in secondo piano; era bello capirci col solo pensiero. HAI AVUTO DELLE ESPERIENZE POLITICHE? No, ho frequentato il movimento solo a livello
aggregativo, ma quando ero già in campagna. Mi dava forza sapere che c'era della gente che lottava per dei diritti essenziali. In quegli anni si affermava dentro di me la voglia, il
desiderio di viaggiare. L'unica cosa che mi bloccava era la chiamata al servizio militare. Ho aspettato ansiosamente il congedo militare, e quando me lo sono ritrovato in mano, dopo essere stato scartato ai tre giorni per esuberanza di reclute, sono scappato con
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Gianni. Avevo voglia di vivermi nuove esperienze. L'esperienza in fabbrica mi incancreniva i pensieri, non mi bastava aspettare la pensione e quindi siamo partiti per l'Umbria in autostop; è stato bello il primo impatto, le colline avevano un senso molto più confortante dell'immensa pianura. Sembrava di ritornare indietro nel tempo e rivedere i contadini che lavoravano la terra molto più artigianalmente che al Nord. C'era un senso molto più medievale ed eravamo molto
attratti da questo. Iniziava a nascere in noi il sogno di poter vivere in queste colline. Dopo molto girovagare ci ritroviamo ad Umbria Jazz, lì abbiamo conosciuto gente del Peglia e ci siamo fiondati in questo mare verde. Era un casale molto grande e caldo di esperienze. Ci siamo fermati per un mese e mezzo. Faceva caldo e l'uva iniziava a maturare. I rapporti con i nuovi conosciuti si facevano più difficili. Non sapevamo come rapportarci perché noi avevamo delle esperienze totalmente diverse. Era troppo forte lo sbalzo. Le cose più elementari erano le più difficili. Dentro una casa di quelle dimensioni e impostata sull'autosufficienza ci perdevamo continuamente; abbiamo dedotto amaramente che non potevamo pesare su di loro e quindi abbiamo pensato di cercare un altro posto. Ma i nostri sogni a quel punto li vedevamo frantumarsi dentro di noi. Ma con un colpo di coda i nostri sogni si raccapezzavano con l'occupazione di una casa sotto Orvieto. A questo punto abbiamo cercato per vari giorni, camminando a piedi per campi, un lavoro come braccianti agricoli ma non lo abbiamo trovato. Ci siamo demoralizzati ancora e quindi Gianni decide
di ripartire per Milano. Però la forza in me ha persistito ancora e dopo due giorni passo al collocamento di Orvieto e casualmente, tra il mucchione di gente in cerca di lavoro, vedo arrivare due goffe figure con una moto più goffa ancora di loro. Dopo che si son tolti il casco è bastata un'occhiata e ci siamo capiti subito. Parlando mi hanno offerto di andare con loro sul Monte
Peglia; loro potevano offrirmi un tetto sicuro e un mezzo per poter fare la vendemmia. Appena arrivato su è stato un flash, non avevo mai visto niente di simile nella mia giovane esperienza. Qui si viveva ancora in sintonia con la natura e con quello che ti dava. Non puoi capire quanto è stata grande la gioia di vedere degli animali e soprattutto di vivere dagli animali. Ho visto fare il formaggio, il pane, la pasta, le conserve e l'orto ed era molto emozionante. Ho lavorato con loro
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alla vendemmia, alle olive, mentre il mio datore di lavoro della carrozzeria ancora aspettava dopo sei mesi che non mi facevo sentire. Da qui iniziò a cambiare tutta la mia vita. Il mio piccolo cervellino realizzava che le fabbriche di Milano non erano per me. Qui si può vivere quasi come si vuole e come si pensa. Mi son fermato sei mesi in queste candide valli, profumate d'autunno. A primavera si sono convinti anche Gianni e Porfi, però a Fontanelle non ci si poteva stare tutti quanti, e quindi avevamo bisogno di crearci finalmente una storia nostra, un casale dove poter sviluppare i nostri ideali e subito abbiamo occupato Siano. PERCHÉ HAI SCELTO DI VENIRE A VIVERE SUL PEGLIA? La cosa che mi ha strabiliato del Peglia erano i
rapporti umani calienti, non erano freddi come in città, dove alla sera esisteva la fissa sempre di "dove andiamo, che facciamo...". Qui era diverso. Al solo calore di un fuocherello si poteva parlare tranquillamente dei propri problemi, saltavano fuori subito, dopo qualche giorno, perché qui non scappi. A Milano invece potevi conoscere una persona da molto
tempo senza mai sapere fino a che punto arrivava l'amore e l'amicizia. CHE COSA TI PIACE DI QUESTO POSTO? Ho capito i valori umani che erano diversi, il
rapporto umano che puoi scambiare con una persona è molto diverso, molto più caldo, cioè potevi confrontarti con una persona sapendo che il giorno dopo ci riparlavi ancora e questo non succedeva in città perché era tutto molto freddo, tutto era relativo perché poi ognuno tornava in casa propria e finiva il contatto, invece qui dovevi stare qui a viverti la cosa, dovevi mandarla avanti, ed era tutto più bello riuscivi a viverti la cosa più serenamente, rapporti di lavoro innanzi tutto, rapporti di amicizia, riuscivi ad affondarli molto più in profondità, riuscivi a capire sia gli errori che si fanno in città tuttora e di come poterli cambiare in campagna, l'alternativa che tu puoi dare a questo sistema sociale che è proprio quello di minimizzare certe cose anche il lavoro in se stesso, cioè non c'è tutto questo bisogno di lavorare, cioè lavorare si però per te, inutile che vai a produrre tipo che cazzo ne so macchine, macchine, o pezzi industriali, ma ti coltivi due carote, e stai a posto, stai benissimo, e si per me
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è importante il valore della natura, il sapersi anche accontentare, di quello che le tue mani riescono a produrre, ma non produrre ferro, produrre monnezza, produrre qualcosa che ci credi, che ci credi veramente nel tuo spirito, è proprio questo che ti rende molto più forte, e li inizia la cultura, tralasci il lavoro e inizia la cultura cioè per cui riesci a compensarti i rapporti con le tue mani. PUOI DIRE QUALI SONO GLI ASPETTI POSITIVI DI QUESTA
VITA? Quello che mi piace di qui, a parte i rapporti umani,
è anche la natura è anche aver riscoperto un ritmo naturale, il ritmo delle stagioni che questo neanche il primo anno che vivevo qui sono riuscito a capirlo, sono riuscito a capirlo al secondo anno di Peglia sono riuscito ad entrare nel ritmo, perché ogni mese ogni giorno, ogni settimana c'ha la sua e se tu non rispetti quei giorni, quella settimana, quel mese non riesci a seminare e quindi non riesci a raccogliere e quindi ti accorgi proprio che devi seguire un ritmo, e li entri proprio nel ritmo della natura cioè che tu per vivere devi andare dentro a 'sto ritmo quando tu in città non ce l'hai questo ritmo, cioè vedi cader le foglie e dici ah! è autunno, però quando sei dentro il ritmo della natura aspetti proprio che cadano le castagne, che cadano le meline, oggi son pronte le meline, domani c'è da seminare questo o quello, cioè c'è tutto un giro che alla fine ti ritorna, cioè se semini raccogli. A parte questo ci sono anche altre cose che mi piacciono qui, mi piace anche la cultura, che si fa qui, cioè per cultura intendo anche quella artistica, agricola e tutte quelle forme alternative che non riesci a fare in città, che è molto bello riscoprire il lavoro del legno, riscoprire la musica, riscoprire il disegno, riscoprire anche la comunicazione, la comunicazione vera e sentimentale che puoi avere con una persona è sincera, è vera perché stai tutti i giorni a contatto con questa persona quindi per forza di cose riesci a conoscerla anche intimamente, roba che in città non mi succedeva, magari su venti conoscenti uno ti è veramente amico, cioè che sai di conoscerlo, gli altri sono conoscenti puri e propri, tanto è vero che quando sono andati via da Milano li ho persi tutti e qui invece c'è sta cosa al di la che poi magari siamo tutti diversi, però ti ci confronti giorno per giorno, anche ogni casale qui è diverso, però sono i pensieri, le forme di pensiero, che sono diversi e ti
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impostano praticamente la cosa, cioè qui sai che hai a fianco a te della gente che porta avanti un discorso sociale molto importante, alternativo e profondo, per esempio la riscoperta di certi valori culturali, che va dall'agricoltura all'artigianato, all'arte e alla musica, roba che tutti hanno abbandonato e che adesso noi praticamente siamo come pazzi che abbiamo riacceso quello che i vecchi di una volta hanno lasciato, sotto forma diversa. UNA FORMA MIGLIORATA? A parte migliorata perché anche allora i contadini si
vivevano una bella esperienza però erano sfruttati, ed alla fine non se la vivevano bene, perché c'erano i nobili che li sfruttavano, noi a differenza di loro siamo più liberi, cioè possiamo pensarla molto diversamente. Adesso siamo più liberi di pensare ma non di fare totalmente quello che pensiamo. Anche se le istituzioni ci mettono i bastoni tra le ruote il nostro istinto difensivo ci dice di fare quel cazzo ci pare anche perché ormai abbiam messo delle radici, ci va anche di difenderci, tipo se ci sgombrano, e quindi ci sentiamo attaccati politicamente, significa la distruzione della nostra cultura e quindi la distruzione di valori umani molto importanti. Credo che in Italia ci sia un casino di gente che farebbe questa scelta è solo perché è abituata e gli è stato imposto sin da piccoli una cultura forzata, quella di sfruttamento, di lavoro, di produrre, produrre, che cosa, produrre un qualcosa che adesso c'è sovrapproduzione, la disoccupazione, c'è un casino di menate politiche e sociali che non si sanno risolvere, mentre qua non ci sono questi problemi, qua ci si basa sull'autosufficienza e non produrre chissà cosa per chissà chi, produci per quello che t'abbasta, crei per quello che t'abbasta, fai spettacoli per divertirti o per creare una tua cultura forte.
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INTERVISTA A GIOVANNI DOVE VIVEVI PRIMA DI VENIRE SUL PEGLIA? Prima di arrivare sul Peglia ho fatto dieci anni di
strada, vendendo collanine, robe così, praticamente facevo sei, sette, otto mesi fuori dalla primavera fino a novembre, quasi sempre in Europa comunque, tra Germania, Olanda, Paesi Scandinavi, poi ritornavo e l'inverno lo facevo a Bergamo, poi di solito facevo, dipendeva dai momenti, o l'autista, partendo non so dai venticinque anni in poi, prima avevo fatto esperienza di lavoro come elettronico, son sempre state esperienze molto brevi, cinque o sei mesi, sono sempre stato sbattuto fuori per ragioni, diciamo politiche. QUANDO HAI SMESSO DI STUDIARE? Ho smesso di studiare perché mi han fregato, ho fatto
ragioneria, a quei tempi avere i capelli lunghi non era una cosa comune, anche il mio atteggiamento verso i professori forse, insomma mi han fregato in quinta una
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prima volta, perché già lo sapevo, c'era un membro interno il professore di italiano che non c'eravamo mai presi tanto bene, e la seconda volta non ho capito perché son stato fregato, però è stato meglio così, perché è stato li che ho cominciato a fare una scelta diversa. QUANTI ANNI HAI? Quarantasette. Era il '64. Da li ho sempre lavorato saltuariamente,
due o tre mesi, nel '71 sono partito, sono andato in Inghilterra a fare un giro con altri due amici, lì abbiam visto dei ragazzi che lavoravano in strada, con i chiodi di cavallo, e da lì è partita la cosa, cioè prima son rimasto quasi un anno a Londra, facevo il cuoco, non l'avevo mai fatto, comunque andava bene, poi quando ho cominciato a viaggiare così, ho iniziato a vedere che si poteva campare anche senza lavorare come richiedevano gli altri, poi cos'è successo di strano... nel '74 sono andato in India, nel '73 avevo conosciuto Gundel, anche lei stava partendo per l'India e siamo stati insieme per due o tre mesi in un casolare vicino Bergamo, poi lei è dovuta tornare in Austria ed io sono andato in India e ritornando dall'India mi son preso un furgone e ho continuato a viaggiare per l'Europa con le collane e nel '78 stavo andando al mare con una ragazza che conosceva degli amici in Umbria, un gruppo di anarchici che avevan comprato una casa qua in Umbria ed io mi son fermato lì, sono andato in Austria, nel frattempo Gundel si era rimessa in contatto e siamo venuti giù insieme, ci siamo fermati lì tre o quattro mesi, poi la storia è saltata li, nel frattempo avevamo conosciuto Baglioni che conosceva questi tipi qui e allora siamo venuti a conoscenza del Peglia e quando è saltata la storia li, ci avevan proposto a me e a lei di stare lì comunque, prima eravamo in dodici, di stare lì in quattro, si era creata una situazione non di padronanza, ma loro erano i padroni, poi abbiamo fatto un giro in Spagna per un paio di settimane e al ritorno siamo venuti su qua, c'era questa casa che era momentaneamente vuota, c'erano due possibilità, qua ed il Corno, però il Corno era stato prenotato da un altro che stava lavorando a Milano per tirar giù due soldi e venire qua, alchè ci siamo messi qua e abbiam detto quando ritornano... perché uno si era imbarcato e l'altra ragazza era andata su a lavorare, faceva l'insegnante di educazione fisica, ci siam messi qua, all'inizio eravamo in due, per un mesetto, poi sono
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arrivati altri tre, dei quali due si facevano, perciò dopo un mese loro hanno cercato un'altra casa, non potevamo stare insieme e con l'altro è durata sei o sette mesi, perché dal marzo del '79 fino al novembre, avevamo preso quattro cinque maiali, una decina di coniglie, volevamo fare un allevamento di conigli oltre che l'orto naturalmente, questa casa e comunque era affittata alla Kronos 1991 e nel novembre quando siamo arrivati dopo cinque o sei mesi è scaduto il contratto e sono andato in Comunità Montana a chiedere la continuazione del contratto e mi è stato rifiutato da quel momento sono diventato occupante, non da prima, era il '79. QUANDO SEI ARRIVATO QUA QUANTE CASE ERANO OCCUPATE? C'era Sant'Antilia, Sant'Antilietta, Fontanelle,
Torricelle, c'era quella di fronte come si chiama dove stava Mario Cecchi... Pergolla, poi c'era Ischia, poi c'era Fulignano, il Cerquosino, e dall'altra parte c'era il Corno e basta perché poi le altre sono state occupate dopo, la Renzina, la Bianchina, dopo un paio d'anni e anche di qua per un paio d'anni era l'unica casa occupata, poi infatti quei due che erano andati via di qua sono andati ad occupare Siano e un altro ha occupato le Sorbare e nel frattempo Peppo è andato alla Rota. I primi anni c'eran i conigli ed i maiali, poi i conigli han preso subito la malattia e li abbiamo lasciati liberi; quando abbiamo venduto i maiali abbiam comprato una mucca e si è andati avanti tranquillamente, nell'82 è nato Benni, avevano già due o tre mucche e avevo comprato le pecore, nell'84 c'era un po' di casino tra noi, ci eravamo un po' stancati di questa situazione un po' precaria, non si sapeva mai non si capiva mai se si poteva restare, o no, perché gli affitti li rifiutavano, ogni primavera c'era voci di sgombero e però non sono mai avvenuti, poi nell'84 siamo andati in India tre mesi e qua erano venuti due ragazzi a guardare le pecore e le mucche e quando siamo tornati volevamo cambiare, infatti siamo andati in Val Topina a vedere una casa, dove ci stava già un'altra coppia con un bambino perché qua non c'era nessuno, però anche lì non è che c'eran grandi prospettive comunque, si a parole ce n'era tante, si voleva portar su i nostri animali, però lì era già più alto e era già più difficile mantenere tanti animali e poi loro erano proprietari, cioè sempre la solita storia, vai in una storia che conoscendo me e Gundel e sapendo che chi va a vivere in campagna ha la testa
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piuttosto zuccona, dove non è facile mediare, abbiam preferito fermarci qua. Era un periodo che avevamo raggiunto l'autosufficienza tranquillamente, avevamo quattro mucche e quaranta pecore, avevo fatto un paio di volte la vendemmia più che altro perché avevamo comprato la lavatrice e l'avevamo portata alla Rota, eravamo stanchi di lavar pannolini a mano d'inverno, che son tutte belle idee quelle li, poi quando ci vivi e ti metti a lavare dieci pannolini al giorno con l'acqua ghiacciata e le mani rosse, cominci a pensare che si può cambiare; poi nell'85 è nata Martina e anche li stavamo ancora bene economicamente, avevamo queste quattro mucche e quaranta pecore, poi è stato che ci siamo divisi nell'87 e nell'88 son tornato in India perché avevo bisogno di andare in India, son andato con un'altra ragazza che avevo conosciuto e al ritorno dovevamo venire, c'era da risolvere la storia, infatti abbiamo vissuto un paio di mesi insieme poi è successo un casino e Gundel ha preso le Sorbare, li abbiam diviso gli animali, lei ha preso le mucche, tutte e tre, che una l'avevo venduta per comprare sto furgone e io mi son tenuto le pecore, e già economicamente ti trovi tagliato fuori, però c'era la ragazza che aveva un po' di soldi, quindi siamo andati avanti fino al '90; poi tutte queste storie mi hanno un po' scombussolato, non è che riuscivo più a seguire bene le storie di campagna, era il '91 e ho cominciato pure a lavorare un po' fuori, un paio di mesi l'anno sempre e gli unici lavori che trovi qui sono di muratura oppure i lavori stagionali, che però avendo ancora degli animali non puoi pretendere di fare tanto... e poi nel '91 abbiam comprato le capre con Giorgio, avevo venduto le pecore nel frattempo per tornare in India e poi abbiam preso le capre insieme, il che mi permette già di lavorare più fuori perché con due bambini le spese... un milione al mese quasi ci vogliono, io non so come facciano gli altri a dire che vivono di... niente, io non ci sono mai riuscito cioè all'inizio si, eravamo in tre, eran trecento mila lire al mese, però se calcoli che eran dodici anni fa, tredici, rapportati adesso è un milione, e poi la grossa spesa per me qua sono i bambini che vanno a scuola, perché essendo divisi non vanno a scuola qua ma prima andavano a Todi e adesso vanno ad Orvieto e calcola che partono duecentocinquantamilalire al mese di benzina, se poi calcoli tutte le storielle, la colazione che è assurdo negargliela, li ghettizzeresti già da piccoli, queste son scelte che devono fare loro coscientemente non imporgliele, e perciò devo lavorare più spesso
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fuori, anche perché le capre da ottanta che erano sono diventate cinquanta, tra malattie, animali vari, cani vari. Penso che piano piano se si riforma un bel branco non avrò più bisogno di lavorare fuori o se vado a lavorare fuori sia, non dico un piacere, ma per degli amici e basta, non che sei costretto a lavorar fuori ma se c'è qualcuno che ti chiede "oh devo far questo" gli dai una mano, lo puoi far tu e lo fai, cioè è una cosa molto più tranquilla. I rapporti con la gente del luogo sono molto difficili
secondo me, a parte che con i bambini sono migliorati molto, ti vedono molto più normale, vedono che i bambini non sono anormali come i padri, sperano che aiutino a cambiare i padri, però io non sono uno che va tanto al bar, che parla, non mi interessa il Peppo, lui che era sempre li, che conosceva tutti, però non sono mica tutti cattivi quei pochi rapporti che ho, col fabbro, con quello della posta, o anche la stessa Tilde del bar adesso s'è addolcita un po', non è più scontrosa come prima. La storia di questa casa è che aveva raggiunto
un'autosufficienza, poi le storie l'han portata... ERAVATE QUASI SEMPRE TE GUNDEL ED I BAMBINI. Prima eravamo in cinque ma è durata sei o sette mesi,
non credo molto alla convivenza, cioè l'ho fatta anche fuori, in Danimarca un mesetto, però poi scattano sempre dei meccanismi, delle tensioni, e secondo me non val la pena di spendere delle energie per cercare di risolvere delle cose che non son mai andate avanti, almeno nei casi in cui l'ho vissute io, cioè meglio che ognuno si faccia le storie sue e poi mette in comune, come qua col cavallo a tirarlo su, però anche la distanza ti tagliava molto, cioè spostarsi costa, le distanze non solo molto brevi spostarsi quattro o cinque giorni di fila per andare li a lavorare, perché se hai gli animali qua non puoi andar via quattro giorni e mollarli, devi andare al mattino poi tornare alla sera, poi c'è il problema dell'acqua, devi sempre pomparla, poi la cosa principale per cui non si è riusciti è che uno veramente ha una testa... è convinto di avere dentro di se la verità, di sapere far meglio degli altri, anche se a volte dici si, poi alla fine fai come hai deciso parlo anche di gente con cui abbiamo fatto dei lavori insieme, anche con Peppo si son fatte delle cose insieme, però arrivi sempre a... o perché le situazioni son diverse, anche prima di avere dei bambini, se stai con una donna vuoi
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stare un attimo di più con lei, che non passi in secondo piano col lavoro comune e poi da li sorgono i primi scazzi, è meglio secondo me interrompere prima che si arrivi ad una rottura e mantenere un rapporto di amicizia, senza arrivare a scazzare al punto di mandarsi a 'fanculo, non ha senso, perché qua vivendo isolati se ti mandi a 'fanculo poi resti isolato del tutto. COM'È NATA LA SCELTA DI VENIRE QUI? CHE SIGNIFICA PER
TE? Non mi piaceva il modo di vivere che esisteva in
città, anche se non era città, era un paese, cioè la vita impostata sul lavoro e basta e poi chiaramente, dall'India ho imparato a star bene fuori, in campagna, senza avere tanti bisogni; tornato dall'India sono stato un anno in Francia da un cugino in un paesino sui pirenei e lì ho imparato a far qualcosa con la terra, a fare l'orto, anche se lì hanno il trattore e tutto, avevan le mucche che mi piacevano. CHE RAPPORTI CI SONO TRA LE VARIE CASE? CHE DIFFERENZE
CI SONO? Il Monte Peglia è un gruppo, però è anche buono che è
fatto di individui, cioè ti ho detto poi la gente che è qua non è gente normale che è capitata qua, che ha un carattere forte come debole, e perciò sia i forti che son forti, sia i deboli che per difendersi fanno i forti porta sempre dei contrasti e poi c'è un'altra ragione che le distanze ti portano ad un costo elevato per fare lavori insieme, e poi ci vuole più tempo a mettersi d'accordo per fare una cosa che a farla, questo l'ho notato parecchie volte; se per fare il lavoro di una giornata bisogna vedersi tre volte e per decidere quando farlo e poi c'è sempre qualcuno che quel giorno non può e poi quell'altro un altro, io son convinto che è meglio farlo, non dico farlo dal solo, ma in due con la persona con cui hai più affinità che la conosci meglio e mi sembra anche normale una cosa così, che non perché uno arriva sul Peglia deve essere per forza il meglio, sono passati anche tanti stronzi, come posso essere stronzo io per gli altri, ultimamente ce n'è perché son spariti dei soldi, con sparite delle cose, son successe anche dieci anni fa ma c'era gente che si faceva e perciò sapevi già chi era e li tolleravi fino ad un certo punto poi se ne sono andati perché han capito che gli si era creato un vuoto intorno. E poi fondamentalmente non è
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che mi piace riunirmi in tanti, non sopporto più tanta gente insieme perché non riesci a parlare di ciò di cui vorresti effettivamente parlare, si divaga troppo e spendi più energie per organizzare una cosa che per farla, cioè è piacevole lavorare insieme ma secondo me è sbagliata l'idea di fare le cose tutte insieme, a parte per le simpatie o meglio affinità che uno ha o meno, per un lavoro, ma per tutte le lungaggini per la preparazione di queste cose, che poi finora sentendo le esperienze degli altri c'è sempre qualcuno che si lamenta "eh ma quello non viene mai, ma quello a questo punto tanto vale, non dico fare ognuno per se ma a gruppi piccoli che sono omogenei che non voler fare le cose tutti insieme non ci credo a questo tipo di organizzazione, cioè puoi farlo se hai una mentalità diversa da quella che abbiamo, cioè molto stacanovista, uno si prende un impegno e lo fa, alle otto deve esser lì non deve arrivare alle nove perché non deve, per una mancanza di rispetto verso gli altri che lo fanno, poi tutte 'ste storie di amore ti portano che in certi momenti non hai ne voglia ne energia per fare... questo per me ma penso che anche per gli altri quando uno c'ha i suoi cazzi per la testa non è facile e poi queste storie svolgendosi all'interno creano conflitti, che se c'è uno l'altro non c'è, è inutile ignorarli o far finta dire passiamo sopra. SECONDO TE NON C'E' L'AMORE LIBERO? NON C'E' STATO
MAI? No. E' stato... ma io mi ricordo anche a Milano c'eran
due coppie di amici miei, certo che lo predicavano loro, lo facevano anche però quando non so Sergio andava via con la Maura e restava lì Teresa non era mica allegra "oh che bello Sergio è andato con Maura!", dopo abbiam dormito nello stesso letto ed io "no Teresa son tornato dall'India sono casto e puro e voglio restarlo" non è che era vissuta... beh si mangiava insieme a casa sua, poi loro andavano via, poi ritornavano, non è che quando lei andava via con qualcun altro lui era contento, evidentemente o i sentimenti ci fregano o noi biologicamente siamo fatti così. Il Peglia come gruppo è valido quando ci sono dei
casini, cioè ci ritroviamo tutti quando c'è da difendere queste occupazioni, cioè anch'io che non ci vado mai a 'ste storie perché t'ho detto trenta persone che parlano o bevono o fumano, poi arrivi alla fine e dici:"Cosa abbiamo detto?", non mi attirano più, però se succede un
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casino allora ci siamo ritrovati ed io non è che son mancato. QUINDI L'UNICO PUNTO SECONDO TE E' CHE SI E' TUTTI
OCCUPANTI IN RAPPORTO CON LA LEGGE? No, poi è chiaro che ci sono delle affinità, un modo
di vivere, non puoi dire non stressato perché poi ti stressi per altre cose qua, però di non essere obbligato ad andare tutti i giorni a lavorare, non sfruttare troppo quello che è stato il progresso, ma secondo me neanche di rifiutarlo, perché se io non avessi una macchina sarei tagliato fuori sia io che i bambini, oppure avere una lavatrice per lavare mi fa piacere oltre che comodo, non è che dico che bello lavare a mano; e poi è chiaro un tipo di vita che ti ritrovi, fai delle feste, ci sono degli scambi, anche se magari le feste son troppo frequenti secondo me, a volte secondo me hai più scambi se sei due o tre persone e fai delle piccole cose o ti trovi a mangiare due tre per dire, dieci e non trenta, e anche se son tagliato fuori qua perché non è che... però so praticamente tutto di tutti comunque, dovrebbero andare su Novella 2000, avrebbero molto da scrivere piuttosto che andare a cercare i principi lontani e questo non mi piace, ci sono dei pettegolezzi che non me l'aspettavo, che però rispecchiano la società contadina, io mi ricordo lì in Francia in quel paese che eran cinque o sei case, e veniva quella a prendere il latte e ti raccontava, anche lì c'eran delle feste e allora "hai visto quella che ballava..." forse anche fa parte della mentalità contadina che il mondo è ristretto e le notizie son quelle, è anche assurdo interessarsi di problemi che non possiamo risolvere e se ne parlerebbe solo per parlarne. QUINDI E' POCO CHE TIENE UNITO QUESTO GRUPPO, I
RAPPORTI DI AMICIZIA, LE FESTE, LE OCCASIONI DI INCONTRO... Si ma anche perché se vuoi vivere di animali non è che
ti lasciano poi tantissimo spazio, e poi adesso ci siete voi che avete altre attività che son completamente diverse e son piacevoli, a me fa piacere quando passo a Orvieto e sento che suonano, mi fermo, però no so quanto sarebbe valido se ci mettessimo a lavorare insieme perché sono attività molto diverse e che è giusto che ognuno sviluppa le sue attitudini, è assurdo che tutti sappiano fare tutto, perchè sai fare tutto ma male o
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poco bene diciamo, mentre se ognuno sviluppa le sue attitudini è diverso, prima di tutto si diverte di più a farlo e poi apporta di più perché se uno si applica a quello che sa fare lo fa meglio, anche rispetto agli altri negli incontri è meglio. Una cosa che non m'è piaciuta tanto specialmente per
il gruppo romani, è stata quella di voler trasportare un tipo di lotta metropolitano qua, devi usare in ogni tipo di contesto un modo diverso, tipo quando si è deciso di fare lo sciopero della fame, loro dicevano no, ci mettiamo sul tetto, ci leghiamo, secondo me era assurdo, però ci sono stati contrasti molto forti, sono passati quei tempi che andiamo nel palazzo della Regione e spacchiamo tutto, dopo mezz'ora sei in galera, mentre se ti metti lì e non mangi dopo un po' di giorni qualcuno ti chiede perché sei lì e lo fai, anche se non si è arrivati ancor a niente e a me sta bene così non pago l'affitto e non ho voglia perché nell'economia che c'è qua già anche un milione l'anno vuol dire due mesi in più di lavoro fuori, perciò... per me finché va avanti così mi sta benissimo, non ho paura che ci mandino via, loro han capito che nei momenti di casino ci ritroviamo tutti e abbiam trovato anche degli appoggi bene o male; potranno riprovarci magari tra due anni a vedere se... ma lo sanno anche loro che non è facile. SECONDO TE QUALI SONO LE DIFFERENZE TRA I CASALI PIÙ
MARCATE? Dipende appunto dalle attitudini, c'è chi è più
portato a dei lavori più artistici, cioè si dedica meno all'allevamento o altre cose, e poi ognuno ha un modo suo di vivere anche se hai delle cose in comune, c'è chi è più socievole, chi è meno socievole, chi è più trasgressivo, chi meno, però a volte la trasgressività nasconde una debolezza, trasgredisci per... che poi son trasgressioni che io ho vissuto tanti anni fa perciò adesso non le sento più come una trasgressione e c'è anche molta paranoia qui, che ci mandano via, che c'è il golpe, non ho io questa visione molto negativa della vita, della situazione, è un modo di non vivere bene secondo me, tutte queste paure. SARA' CHE TU CONOSCI QUESTA SITUAZIONE DA MOLTI ANNI
QUINDI SEI PIÙ TRANQUILLO. Poi non è che possono avere molti obiettivi economici
su questa montagna, è una montagna molto povera, senza
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acqua, senza collegamenti e possono far tanti progetti ma non so se riusciranno a realizzarli anche loro, anche la storia che hanno fatto adesso non so quanto durerà, solo che c'è gente che ci lavora dentro e gente che mira ai finanziamenti e basta, e poi un posto per renderlo turistico ci deve esser come prima cosa l'acqua e qui manca, la gente del posto dovrebbe essere socievole e qui non lo sono, se vai al bar già ti fanno un piacere se ti danno un caffè e le sigarette, uno che ci viene una volta non ci ritorna, non ha una vocazione turistica questo posto e noi diamo fastidio a pochi, a chi vuol fare degli investimenti o anzi delle speculazioni strane e ce ne sarà sempre meno se ripuliscono l'ambiente politico, ne arriveranno degli altri peggio, però per un po' ci sarà un po' di calma. QUANDO VIVEVI QUA CON GUNDEL COME VI DIVIDEVATE IL
LAVORO, COME ERA ORGANIZZATA LA VITA QUI? Era abbastanza spartana ma abbastanza organizzata, se
hai gli animali la mattina devi alzarti alle sette per mungere. AVEVATE I COMPITI DIVISI? No, non troppo perché lei è una femminista, di quelle
di una volta, infatti c'erano scazzi su queste cose, a me non piaceva lavare i piatti anche se lo faccio, così lei mi accusava di essere maschilista, perché preferivo lavorar fuori, però anche lei lavorava fuori, questo forse sarà anche vero, secondo me è solo un'idea sua, che ero così maschilista che la trattavo come una donna di casa, queste son cose che è difficile stabilire, in un rapporto non esiste mai l'equilibrio, per lo meno non sempre, in certi momenti può esistere però in certi momenti non esiste, uno fa più una cosa, uno un'altra, uno fa di più, uno di meno, però funzionava abbastanza bene, lei si dedicava soprattutto all'orto, io più agli animali, la legna si faceva insieme E I BAMBINI? Sono un buon padre!!! A me piacciano i bambini, perciò
anche nei casini che ho avuto di testa tutte le mie energie le ho sempre dedicate a loro, gli animali li ho mollati, sono arrivato a venderli, perché mi servivano quelle energie per loro, non penso di avergli fatto mancare tanto, sono andato via tre mesi in India una
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volta, altri due mesi dopo, però eran dei momenti, poi anche sulla scuola, sul fatto di tenere i bambini... a me piace, ci sto bene, infatti adesso faremo una settimana ciascuno, appena riesco ad organizzarmi meglio, non ci sono molti contrasti sui bambini tra me e lei, perché nel momento che devo lavorar fuori a lei va bene tenerli, o quando lei dice "questa settimana devi tenerli" anche se io ho un lavoro non lo faccio, eran più cose caratteriali che ci han portato a dividerci. Poi vedo che anche ai bambini piace stare qua, considerano questa la loro casa anche se ci vivono meno, anche perché lei ha cambiato tre o quattro case allora non ne hanno mai avuta una da dire si è casa loro, invece qua ci sono nati, il Catufolo c'è sempre stato, per loro è importante, Benni ha detto "io voglio morire al Cartufolo", gli ho detto "aspetta un po' almeno", anche quando gli danno i temi a scuola tipo descrivi la casa, descrivono questa, con lei hanno cambiato, prima erano alle Sorbare, poi sono andati a Titignano, poi sono andati a Prato e adesso sono ad Osa e già pensava di cambiare, invece adesso pare che abbia cambiato idea perché si è messa a fare ceramica e lì ha lo spazio sotto, allora sarebbe anche buono che stanno lì per un po'. NON AVETE MAI PENSATO DI NON MANDARLI A SCUOLA? Qua nell'80 si parlava di creare delle scuole, un
asilo, alle Sorbare c'era un'insegnante d'asilo e si pensava di sistemare la parte di qua per fare... però ti scontri sempre col fattore economico, ci sarebbe voluta una macchina o un qualcosa che andava a prendere tutti i bambini e poi per riportarli, lei se lavorava lì evidentemente qualcosa bisognava dargliela, ma già solo andare a raccogliere i bambini, portarli lì e riportarli, a quei tempi poi i soldi... già sistemare lì... C'era l'idea di non mandarli a scuola, di fare scuola nostra, oggi secondo me è molto sbagliato, li ghettizzi veramente, gli fai vedere solo un tipo di vita, invece è giusto che anche loro vengano a contatto con gli altri e poi decideranno se gli piace più questa o quella, sarà una storia completamente loro, se così li tieni proprio ingabbiati è chiaro che magari si fermano però non penso che sarebbero contenti, perché non avrebbero avuto la possibilità di confrontarsi con, non dico con altre culture ma modi di vivere che magari gli piacevan di più. E' buono che abbiano amici al di fuori del Peglia, lo trovo positivo, il fatto che vadano a
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Orvieto è un sacrificio economico e anche di tempo, prima andavano a Todi, però vedono anche dei bambini diversi; perché anche quà che vanno tutti a San Venanzo io credo che facciano gruppo tra loro e su questo ci sono anche dei contrasti enormi, vogliono far vivere i figli alternativi poi però ci hanno video qua video la, giochini elettronici, cose che io... forse non me l'hanno mai chiesti neanche, non mi sentirei di comprargli un videogame perché me lo chiede, un videoregistratore, non è perché è viziarli, però penso che qua ti puoi divertire ancora senza quelle cose la. Io vedo Benni e Martina, va bè che sono ancora bambini ed è buono che restino ancora un po' così, c'è tanto di quel ferraccio li, prendono un pezzo dell'Ape e mi piace vederli giocare con cose così e non davanti una scatolina che schiacciano. E li è appunto una contraddizione enorme di molta gente del Peglia che predica, che parla e poi vedi che nelle case ci sono certe cose che secondo me non son utili, o perlomeno non sono conformi con quello che dicono; tante cose, dal macrobiotico a fare il pane, ci sono tante contraddizioni, non dico non devono esserci perché qua nessuno è completamente coerente con quello che dice, è impossibile, però a volte vedi delle cose che non sono tanto forti. E poi una cosa che comincia a darmi fastidio sul Peglia è che la parola più usata è "non ho una lira". Eh Cristo!, eppure vivono tutti, mi sembra quasi un modo di presentarsi "come stai?" "non ho una lira" eh Cristo, poi c'è tanta gente che non fa niente per averli, e allora... è quello che mi da fastidio a volte, fastidio, anch'io non ho una lira se non vado a lavorare fuori e non è che lo faccio solo per i bambini, lo faccio anche per me, se ho voglia di fumare e devo andare a piedi da qua a Ospedaletto mi scapperebbe la voglia di fumare e magari smetterei, però preferisco avere i soldi per la benzina e la macchina per andarli a prendere. C'è un po' di autocommiserazione e non porta a niente, come lo trovo io qualcosa da far fuori lo possono trovare... per lo meno ti sta bene quella situazione non farlo pesare cioè "oh che bello non ho una lira" di, e allora mi sta bene. Forse uno dopo tanti anni capisce che non avere una lire non è bello in questi posti, perché se sei in città bene o male ti sposti, incontri gente, prendi il pullman senza pagare, è più facile, qua magari d'inverno ti piace d'andare a una festa devi fare quindici chilometri a piedi perché non hai i soldi della benzina, non è divertente.
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ERA DIVERSO QUANDO SEI VENUTO A VIVERE QUI? La cosa più radicale era che non si doveva lavorare
fuori perché noi dovevamo essere autosufficienti, infatti c'era Adelio che lavorava fuori ed era visto un po'... ma lui tra l'altro gli piaceva lavorare, era uno di quelli che non riesce a star fermo mai; "eh ma quello lì lavora!" Eh Cristo, a parte che cominciava ad aspettare un figlio e poi se non hai una lira dopo un anno che mangi pasta, pasta e pasta e un po' di verdura, magari un po' di vino mi piacerebbe, e poi spostarti senza fare i chilometri a piedi sempre. C'era quell'idea di arrivare all'autosufficienza però di quelli non è rimasto quasi nessuno. INFATTI MI SEMBRANO POCHE LE CASE IN CUI SI TENTA DI
REALIZZARE L'AUTOSUFFICIENZA, LA MAGGIOR PARTE DELLE PERSONE LAVORA FUORI. L'autosufficienza la raggiungi se parti con un
capitale, secondo me, oggi come oggi. A quei tempi forse c'erano meno esigenze anche, partivi con una mucca, l'anno dopo erano due, c'erano meno esigenze, non c'erano i bambini. Dal '79 all'84 avevamo quattro mucche e trenta pecore, avevamo comprato, mi avevano prestato i soldi per prendere la prima mucca mio padre, poi non li ha rivoluti, però c'erano meno esigenze. Oggi si consuma molto di più, ci si sposta molto di
più, per me la spesa maggiore è la benzina. Forse si ritrovano più spesso, io avevo rapporti con Sant'Antilia, Sant'Antilietta e Torricelle più che altro, poi è venuto Peppo di qua si era più vicini, poi c'è stato Michele che si è convertito allo steinerianesimo ed è saltato un casino, tutta un'amicizia di anni, è una setta piuttosto rimbambita quella, se porta a cambiare... cioè lui aveva fatto l'obiettore di coscienza e qua si lavorava insieme, era un tipo tosto, non so come mai si sono avvicinati a quella filosofia li... c'era stata la festa di Martina o di Benni, è venuta qua anche la figlia, aveva quattro anni, Benni cinque o sei, han detto "Uscite a giocare", ho detto:"Va bè uscite", e lui ha detto:"No, da soli non possono stare", "Come non possono stare?", "Beh perché l'altro giorno ho visto Benni... Benni è un vizioso", "A sei anni un vizioso? Cosa c'entra il vizio con un bambino di sei anni? Fortunatamente non è stato ancora condizionato". Poi non ci siamo più visti. E' arrivato a dei livelli, da Michele non me l'aspettavo; uno che si
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fa un'anno e mezzo di galera perché fa l'obiettore di coscienza vent'anni fa, ti aspetti che non si faccia intrappolare da cose del genere. "Coi bambini deve esserci sempre un adulto". Poi anche lui è andato via, a stare vicino una scuola steineriana, lo stesso anche Adelio. CREDI NEL VOTO? CHE PREFERENZE ELETTORALI HAI? Non ci ho mai creduto, infatti ho sempre annullato la
scheda, quando ci andavo, con delle frasi un po'... Non credo che chi mira a far politica lo faccia per te, lo fa per lui stesso, per ambizione o per arrivare a rubare meglio. Son convinto che se mettessero in galera tutto il Parlamento, sono due o tre che sbagli, non è che metti in galera degli innocenti. Ce ne saranno tre, fai cinque, ma tutti gli altri è solo ambizione che spinge uno a buttare via tutta una vita, a negarsi tutti gli affetti; è gente che una sera è qui, una sera è la, non ha una vita nè affettiva nè di famiglia. O sono vocazioni come i preti, ma non ci credo molto perché poi vedi che alla fine tutti rubano, evidentemente quando cominciano hanno il loro obiettivo bene in testa da raggiungere "mi va bene, mi siedo la e posso diventare miliardario quando voglio". Io non ho mai dato il voto, anzi gli ho dato una volta
sola il voto al P.C.I., qua perché quelli della cooperativa che sono del P.C.I., avevano il fieno qua e son venuti a pressarlo, senza chiedere niente, c'era il presidente della cooperativa che aveva il seggio qua, è venuto giù la domenica mattina "non vieni su a votare?" ed io gli ho detto "se mi pressate il fieno vi do il voto", così per scherzo e son stato di parola, l'unica volta che ho votato un partito e mi sono ritrovato le presse fatte, mi sono venduto anch'io. Anche i partiti nuovi, Rifondazione, i Verdi... c'è stato un periodo che votavo Democrazia Proletaria, anche i radicali non mi han convinto poi più di tanto, è gente che lavora per se stessa più che per gli altri e che poi facciano qualcosa per gli altri può succedere però non è che è la loro scelta, sono obbligati, perderebbero anche quei quattro voti che hanno. Anche se non sono anti-americano, l'unica cosa che accomuna tutti qua, tutti meno io, che tutto quello che succede nel mondo è colpa dell'America. Anche se succede il terremoto è colpa dell'America. E li forse non capisco. E' che sono passato attraverso altre
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esperienze. Come puoi dare la colpa... non dico gli americani sono degli stinchi di santi, non può l'America decidere sempre tutto, mi sentirei deficiente se quello decide tutto, se fossi convinto che lui decide tutto; è chiaro che hanno una potenza economico-militare però non sono loro che muovono tutto, sono interessi economici molto più forti. Hai visto la guerra del Golfo non l'hanno fatta per i kuwaitiani, lì c'è da difendere la sopravvivenza del mondo, tutto il mondo industriale va col petrolio, noi stessi andiamo col petrolio e infatti adesso in Iugoslavia se ne sbattono tutti perché non hanno niente a parte le braccia e anche questo mi ha un po' colpito, quando c'è stato il Kuwait molti del Peglia sono andati a fare la marcia a Roma, non penso che qualcuno abbia fatto qualcosa per la Jugoslavia. Se veramente credi che una guerra è una cosa distruttiva e non è giusta come la fai la che ci sono gli americani cioè la fai anche qua che non ci sono, o non ci sono ancora, e scommetto se arriva l'America ci sarebbe un'altra... secondo me sono rimasti un po' fermi, anch'io avevo quello schema politico li, è chiaro, quando c'era il Vietnam e tutto; però mi sono reso conto che non è solo l'America che fa girare il mondo, le armi si producono in Europa, c'è il Belgio produttore di armi, la Svizzera, l'Italia, allora perché solo per l'America ti muovi, muoviti anche quando si muovono gli altri. QUANDO SEI VENUTO QUA, ALLA FINE DEGLI ANNI SETTANTA,
ERA UN FENOMENO PIÙ DIFFUSO IL FATTO DI VENIRE A VIVERE IN CAMPAGNA? PENSI CHE ERI PARTE DI UN MOVIMENTO? No, noi eravamo partiti per cercare una casa, senza
una lira, si andava al mare e poi, cioè, volevo andar via da quel tipo di vita, di dover lavorare, poi mi ero anche rotto i coglioni di vivere per strada, perché cominciava la polizia a rompere le palle, ti tiravano via tutto, ti sequestravano il tappeto, 'ste storie. Dal settanta al settantasei era bello secondo me, poi è iniziata ad arrivare l'eroina, e quello è stato una cosa molto disgregante, infatti s'era amici quasi tutti, poi parecchi hanno cominciato a farsi, e sempre quando passavo a Copenaghen tutti gli anni, ci stavo un mese, un mesetto e mezzo, a Cristiania prima non esisteva l'eroina. Nel settantaquattro diciamo è arrivata, nel settantatré non c'era ancora, è arrivata ed era completamente diverso; la stessa gente già era mezza distrutta, non faceva più niente, distruggeva più che
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costruiva le cose, e poi, li la polizia ha cominciato ad essere stronza, gente come noi, che viveva così, vendendo le cose in strada, c'erano retate, non puoi vivere così, stressato, li, a guardarti sempre in giro; avevamo organizzato in cima alla strada la gente che riconosceva tutti quelli in borghese, che poi li riconosceva perché camminavano a fianco, precisi, e allora li tutti a tirar su le cose e scappare. E poi l'eroina aveva disgregato molto perché prima eravamo in tanti, si andava a fumare dietro l'angolo in un parco, quando è arrivata l'eroina c'è stato un modo diverso di vendere, volevano fare sempre di più, perché avevano sempre più bisogno di soldi. Io non ho mai avuto rapporti, con la roba, con la gente che si faceva si, fin troppi, difatti, quando sono arrivato qua, sono arrivati questi due, poi, dopo un mese, non era più possibile, non ha senso, non ho la forza per farti smettere, non sono preparato a farlo, e questo porta casino fra di noi. C'ERA ALTRA GENTE COME TE, CHE DECIDEVA DI ANDARSENE,
DI TRASFERIRSI IN CAMPAGNA? ERA UNA TENDENZA? Si, c'era parecchia gente, c'è stato un periodo, nel
settantadue, settantacinque, settantasette, c'erano degli amici miei di Milano che s'erano riuniti una volta, "adesso ci mettiamo a lavorare tutti, per un anno, loro lavoravano già, e ci compriamo una casa in campagna". "Io non me la sento, guarda". Non me la sentivo... e io in campagna ci sono arrivato, loro stanno ancora a Milano. Li, poi, è una cosa che riguarda le attitudini, se senti che una cosa ti piace farla... se però è solo un'idea "Che bello, andiamo a vivere in campagna", non è così semplice, mancano le cose che in città ci sono, che uno a volte ha voglia di vederle, uno qua deve fare delle rinunce, se vuoi andare a vedere un concerto a Roma, non hai sempre le cinquantamila lire in tasca per andarci, se ce l'hai dici:"Val la pena di spenderli li e non in un altro modo?". E' chiaro che c'è chi ha ancora l'esigenza molto forte e lo fa, io non ce l'ho più. COME RISOLVI I CONFLITTI? Esterni alla casa? SI, NEL CASO TUO SI, MI RIFERISCO AL GRUPPO PIÙ AMPIO.
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All'interno del gruppo i conflitti non sono mai stati risolti, o ha prevalso una tesi, o l'altra, però il conflitto non è stato risolto. Ognuno ha le sue idee e, te l'ho detto, è difficile che cambiano idea. E QUANDO TI E' CAPITATO DENTRO CASA CHE C'ERANO DELLE
PERSONE CON LE QUALI ERI IN CONFLITTO? La storia è che ci si divideva. Quando ne parli e vedi
che... c'è sempre una componente più forte che schiaccia l'altra, come in tutte le cose. Io ero arrivato prima, non è che mi ritengo il padrone, però è chiaro che hai fatto delle cose che le senti tue in un certo senso, e poi se non riesci a stare insieme, è chiaro che uno deve andarsene, a me è successo così ed è successo in tutte le altre case; è difficile quando arrivi a certi livelli ricompattare le cose secondo me, in tutte le case è successo. Gli unici che resistono sono gli Angeli, con tutti i loro cazzi, come tutti, non penso siano Angeli nel vero senso della parola!
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INTERVISTA A ROLANDO Ho ventinove anni e sono di Roma. QUANDO HAI SMESSO DI ANDARE A SCUOLA? Ho fatto la scuola alberghiera e poi ho lavorato in un
albergo per due anni, ma non mi piaceva perché io lavoravo mentre i miei amici si riposavano, cioè io lavoravo la domenica o sotto le feste, o durante le vacanze estive e allora poi i soldi che guadagnavo, che me li spendevo da solo? Dopo sono andato a fare il servizio militare e da li è cambiato tutto. Intanto lì conosci un sacco di gente diversa, poi anche lì si formano dei gruppi, stai con la gente più simile a te... Da dopo il militare ho cominciato a provarle tutte,
non mi andava di ritornare ad essere sfruttato. Da dopo il militare ho preso con questo amichetto mio, tutte e due venivamo dalle stesse borgate, o andavi a lavorare sotto un padrone che te stressava in qualsiasi maniera o dovevi andare a rubà, così è, per forza e così se semo messi insieme, amo aperto 'sta pompa de benzina a Tor di Quinto, però se semo trovati, tipo... semo stati 'na mezza annata a lavorare proprio come matti, però eravamo seguiti dal socero de 'sto amichetto mio, seguiti... però sulla pompa ce lavoravamo noi e poi 'na massacrata tra... tutte cose normali, dovevamo aprì la partita iva,
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dovevamo pagà le tasse, pure li se trovavamo che, perché poi qual'era l'obiettivo? l'obiettivo non è che lo sapevamo tanto, però l'obiettivo era di vive bene, tranquilli, non certo diventà ricchi, però manco sprecasse... se mi volevo fa 'na macchina in poco tempo la volevo risolvere 'sta cosa, invece niente pure li è andata male perché le cose legali in Italia non le puoi fa', cioè è proprio una convinzione mia questa, capito, e quindi 'se semo trovati proprio impicciati de buffi, incasinati, pareva che più lavoravamo e meno guadagnavamo, mo quelle so' cose da commercialista, magari non ce capivamo niente noi, capito, però se semo sempre trovati che era uguale, o andavo alla scuola alberghiera, o andavo sotto padrone o lavoravo in proprio mi so' sempre trovato che... stressato, nervoso, non me no... posso di le parolacce?, no non me inculavo più, se ti metti sotto una cosa sei pure costretto a sorpassare l'amico tuo, magari non gli dai nessun tipo d'affetto, gli dici "oh devo pensare prima alla pompa mia poi se te serve 'na mano se vede" e questo pure te divide dalla gente. E quindi niente, verso i diciannove anni, ho deciso proprio de buttà tutto, patente. Infatti ho buttato tutto da un treno, stavo andà a Fabriano ho proprio gettato tutto dal finestrino, ho detto io me so' rotto er cazzo, non voglio capì... E CHE HAI BUTTATO IL PORTAFOGLIO COI DOCUMENTI? Si, si tutto, patente, carta d'identità, documenti, i
soldi no! Era simbolica la cosa, perché poi mi rimaneva tutto,
la patente mi rimaneva sempre, se vai a chiedere il duplicato, però non volevo avè più niente a che fare co' qualsiasi forma che ti offre, come si può dire, la società, lo Stato? e così me so' incominciato a girà l'Italia, a fare il fricchettone, ho preso la chitarra in mano, ho preso i fili in mano, facevo i cylum e me so fatto er primo viaggio, Roma, Bologna... DI CHE VIVEVI? DEL FUMO O...? No, no, vendendo braccialetti, stavo co' un ragazzo de
Grottaglie, l'avevo conosciuto, lui suonava la chitarra e me stavo a imparà a suonà la chitarra e in più facevamo 'ste cosette da strada, capito, non sempre professioniste, 'ste cose che se possono fa' così con le mani, pipe, cylum, braccialetti quelli fini, un pò de pelle, de cuoio lavoravamo e me so' fatto svariate feste
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che se fanno qua in Italia, tipo Sant'Arcangelo, tipo Umbria Jazz, tipo... e la cosa che mi piaceva era girà, conosce la gente, e che ne so, me sentivo de sta' in mezzo ar mondo, pure se stavo a duecento chilometri da casa, però me sentivo che potevo e dovevo conosce' tutto. E da li ho cominciato proprio... non so più tornato a Roma per tipo... da Bologna, Sant'Arcangelo, tutti i paesini qui intorno Italia, Pistoia, Pistoia Blues, siamo andati... non a piedi, tipo... prendevamo il treno, scendevamo tipo... tre paesi dopo, vendevamo qualcosa, eh, e so' arrivato così fino in Spagna, fino a Granada; a Granada invece ho trovato una situazione tipo..., no tipo qua, però ce stavano delle grotte che c'erano ragazzi di tutta Europa, e c'erano una cifra de ragazzi tedeschi che... questi erano pe' non fa' il militare, erano scappati capito, non era una comunità, erano tutte grotte e ognuno se sistemava la grottina sua, ce stava gente che faceva i pomodori, ce stavano dei ragazzi francesi che c'avevano due mucche da latte e... gagliardo è stato e questi erano sempre loro però normale il latte, un litro, le portavi a pascolà un giorno te, un girono un altro... E lì in Spagna ce so' rimasto tipo un annetto, lì a Granada svariati mesi, e poi me so' messo a girà pure la Spagna, perché non cercavo mica una cosa per impiantammece, volevo conosce' e dovevo conosce', dovevo girà. Mentre a casa però coi mia non gli avevo fatto sapè niente, co' mi' padre specialmente e pe' faglielo sapè gli ho scritto una letterona, che gli ho proprio sparato tutte le cose che mi sentivo dentro, da che mi andava de fumà, che m'andava de conosce', come vivevamo, e lui niente ha accettato tranquillamente, m'ha riscritto, m'ha detto: "Rolà tu le sai le paure che ce stanno su 'sto mondo", ai tempi nostri era l'eroina, e poi io de quello so' stato sempre tranquillo fuori, capito, cioè gli ho spiegato" papà, guarda io lo so che li ce sta una buca, non è che ce vado a finì dentro, ce passo, ce giro intorno; insomma ho calmato pure loro, e pure loro, mi' madre, mi' padre m'hanno capito" vabbè Rolà sta' attento te, se me dici così, se sei sicuro". Poi lui m'aveva scritto 'sta lettera ma non c'aveva messo proprio le paure sue, c'aveva girato un pò intorno "ah, i ragazzi oggi, i delinquenti, rubano, de qua, de la" io invece gli aveva sparato proprio dritto" papà se tu c'hai paura che me vado a drogà oppure me vado a diventà un ladro normale, un delinquente, non è quello che sto a cercà". E poi gli avevo spiegato "non è che 'sto a cercà un posto fisso lontano da casa, lo so che un giorno
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ritorno, me lo sento dentro da me, però mo' me va de conosce' ". E non so' andato fuori l'Europa perché quando ero
partito ancora non m'ero fatto il passaporto, sinnò m'era capitata pure l'occasione da Cadiz de partì per il Sud America, tipo che ce stavano... però non c'avevo il passaporto, non c'ho nemmeno pensato. Poi niente ho continuato a rigirà, ho fatto tutta la costa orientale della Spagna, poi so' andato verso il Portogallo, Bilbao, i Paesi Baschi, poi me so' fatto la Francia e poi so' tornato in Italia, perché è normale mi andava pure un po' de bene, non pentimento, però pure de fa' conosce' a 'sta amico mio, il benzinaio, quello che avevo scoperto; perché quando ho buttato i documenti, quel giorno, non so più tornato a Roma e quella fidanzata che era rimasta a casa glielo ho detto un anno dopo che ero andato via, e mi' madre dopo quattro mesi e a 'sta amico gli ho detto "a Massimo io non so più quello che devo fa', perché de sta' qui nun me va, de tornà a fa' l'elettricista tanto meno, la scuola alberghiera me so' scordato... perché avevo conosciuto 'sto ragazzo de Grottaglie e ero andato in fissa, mo vado a vedè ste feste, poi dalle feste in Italia so' andato in Spagna e poi eh... e pure pe' faje sapè a 'sti amici mia er mondo che avevo scoperto, perché io non lo sapevo che ce stava tutto 'sto mondo intorno che girava, ai margini. Poi so' rimasto un po' a Roma, so' andato a vivere
dentro una roulotte a Ponte Mammolo, ah ecco quello che ho perso subito, no l'affiatamento con la famiglia ma l'organizzazione familiare, l'ho persa proprio non è che non m'è andata mai bene perché il padre non mi piace che devi fa' le cose... e quindi sempre d'accordo coi mia glielo ho detto "sentite io non ci sto più bene dentro casa vostra, c'ho le cose mia, mica sto a spiegà tanto bene... allora gli ho detto che ormai avevo preso la scelta mia, non me importa niente de fa' nessun tipo de carriera, mio padre perché lavorava all'Atac c'aveva pure la possibilità de famme entra all'Atac, però a me non me ne importava perché come tutte le cose magari lo farò per cinque o sei mesi, poi mi stancherò perché voglio cambiare, perché so' fatto così, quindi non me interessava niente, volevo vive alla giornata, come se po' di'. Però quello che a me m'emporta e che m'è sempre importato è il rapporto colla gente, cioè metto come prima cosa il volesse bene e basta, poi non ce sta più niente che po' andà oltre, ne finanziariamente, niente, il primo principio, il primo argomento del carattere mio
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è 'sto fatto de sta' bene co' la gente e de conosce' tutte 'ste piccole cose che vengono dal resto del mondo; e nun me piace manco tanto il progresso, come se po' chiamà, non il progresso, il progresso sarebbe giusto, però il ferro e il metallo m'è sempre stato antipatico, lavatrice, televisione, macchine, motori, e poi che altro ce sta, penso che so' distrazioni che te fanno perde', no tempo perché acquisto tempo però la voja de fallo manualmente, de vive', capito. E poi a Roma ho iniziato a incontramme cò a gente che la pensava come me, a organizzà viaggi, ho cercato pure de coinvorge le persone che conoscevo da ragazzino, la mia ex ragazza, e infatti avevamo fatto un gruppetto e semo partiti pe' Londra, perché già c'era stata gente che conoscevo e m'avevano detto del sussidio, a Londra se sta tranquilli, poi rimedia' qualsiasi tipo de lavoro e poi ce sta un funzionamento diverso, poi si occupano delle case, io subito me so' ficcato e sempre co' gli amici del quartiere perché mica me volevo isolà o estraneà da le cose di dov'è che so' nato. E quindi so' rimasto un annetto a Londra, ho lavorato
solamente du giorni, poi ho chiesto il sussidio, ho occupato una casa, ho fatto pure... li ce sta tipo un sindacato degli squatters, e andavo dentro 'sto circolo, davo delle indicazioni, aiutavamo la gente nova che arrivava e magari gli davamo le dritte "ah, andate a comprà subito la serratura" e specialmente tra italiani. Poi so' rimasto un poco lì a Londra e so' tornato in Italia, c'avevo ventiquattro anni. E L'INCIDENTE QUANDO L'HAI FATTO? C'avevo ventiquattro anni, l'anno dopo che so' tornato
da Londra, so' tornato a febbraio, poi è passata l'estate, poi ad Aprile c'ho avuto l'incidente. Me so' fermato un attimo a Roma, no che me so' fermato ma me volevo creà 'na cosa qui a Roma, na cosa fissa pè tirà su due sordi per compramme il biglietto pè qualsiasi tipo de aereo e poi girammela, capito? UNA COSA FISSA VUOL DIRE UN LAVORO? No, no, creamme magari, c'è stato un periodo che
facevo una bancarella con una ragazzetta che lavorava l'argento a Piazza de Spagna, io facevo sempre i cylum, le pipette. In più c'è stato un ragazzo che... questo qui un bravo compagno, che je serviva, no, na' mano, lui
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s'era trovato una situazione che, siccome era elettricista, tanta gente diceva "viemme a lavora', viemme a lavora' de qua" e questo pure dentro gli uffici, e lui m'aveva chiesto se andavo con lui, senza na cosa, pe' n'anno, pe' due anni come m'andava a me, lui lo sapeva che tipo ero io, sapeva che magari dopo un po' m'ero stancato e me ne andavo. Insomma andavo a vendere un po' a Piazza di Spagna e poi facevo 'sto lavoro da elettricista. Ho fatto svariati mesi e poi niente, ho fatto st'incidente con la moto, proprio il lunedì che dovevo andare a lavorare, invece di andare a lavorare me so ito a fare sto giretto in moto, pensa che scoionato. Dopo qua m'è crollato tutto, perché come se può dì? Mo voglio arrivà a punto, perché non me lo so mai
chiesto dentro di me che è cambiato dall'incidente in poi, allora forse è questo, che... adesso con l'incidente so' costretto, no' a chiede' aiuto, però certe cose adesso le devo fa', no' perché anche prima le volevo fa' insieme all'altra gente, come te posso spiegà... SI, SEI COSTRETTO ALMENO PER CERTI SPOSTAMENTI A
CHIEDERE AIUTO ALLA GENTE; Esatto. Magari se non me capitava l'incidente il
futuro mio quale sarebbe stato? Pure di capità qua sul Peglia, no, però... lo sai è difficile perché dentro di me ce 'sta una certa differenza, è solo che non la riesco a riportare in parole, niente, ero sicuro che prima dell'incidente quello che volevo fare era girare, conosce gente, andà, siccome l'Europa l'avevo scoperta abbastanza, sta' in fissa andà in Oriente, andà in Sud America, andà in Africa pure, e quindi l'obiettivo era: me creo un po' de sordi, faccio il biglietto, parto, sto un po' de mesi fuori, poi ritorno, finchè non me stancherò de fa' così, poi io non me so' fatto mai i programmi, ho sempre pensato che le cose vengono fuori da sole, no, d'istinto, sbagliando, pure creando vengono fuori da sole per forza, se poi riesci a leggere dentro meglio ancora. Invece con l'incidente che m'è successo, che me so'
sentito... ah ecco, ecco, allora dopo l'incidente tu calcola che so' stato in una clinica che è proprio una delle meglio d'Italia e forse d'Europa, perché mio padre e mio fratello quando ho avuto l'incidente erano partiti in Francia con le lastre mie, in Germania a cercarme de fa' riabilitazione, però loro non me l'avevano detto,
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invece dentro la capoccia mia, non lo so a me mi so' sempre stati antipatici i dottori e in poche parole l'ho fatta da sola la riabilitazione, tipo la clinica se faceva scherma, subito dopo l'incidente ho fatto scherma ed ho fatto i campionati italiani, so' arrivato sesto, poi tiro con l'arco e pure la i campionati italiani, e ormai stavo in carrozzella e non ci volevo credere, non c'ho capito un cavolo, m'è cascato il mondo addosso e facevo "beh, mo qua gli altri con la carrozzella fanno arco e lo dovrei fare pure io", però a me lo sport mi serve e la fisioterapia la dovrei fare tutti i giorni, però non me posso rinchiudere a far il malato, non il malato perché loro non sono malati, però a me me sembrava che se me rinchiudevo dentro quella clinica... in clinica facevo un sacco di cose, perché facevo piscina, scherma, arco, pallacanestro, però dentro la capoccia c'era che è come se me sto ad abbandonà, pure se fai mille cose, conosci mille persone, però so' un po' costrette perché non è che in carrozzina vengono gli amici miei fricchettoni. Pure li dopo l'incidente me so' messo a cercà qualcosa che me facesse sentì vivo perché ero proprio abbattuto, a tanti gli puoi di' che fai l'incidente e te viene la voglia de morì, forse invece a me me l'ha aumentata, (la voglia di vivere) capito, perché tu calcola che ho fatto l'incidente, so' entrato all'ospedale che ero in coma, so' stato tre o quattro giorni in coma e in più c'avevo tutti i tubicini, c'avevo i polmoni pieni de sangue, in sala de rianimazione e secondo mi' madre dice che no che non so' morto, che non so' voluto morì. Però dovevo scoprì la vita e allora so' andato subito subito, dopo un pò di mesi mi so' fatto il primo viaggio con amici proprio intimi, intimi che gli puoi chiedere proprio tutto, me so' fatto il primo viaggio in Messico che già lo volevo fare. Allora sono andato in Messico, poi so' andato in
Marocco, poi in Tailandia, e non ci so' rimasto come volevo io, conosce' tutto il Messico, stacce un po' di mesi, invece ho fatto un po' una cosa turistica, perché dovevo sta' appoggiato a dei ragazzi che avevano i soldi limitati, magari a loro non je va de fa la vita de andà in giro a scollettà, de andà a suona' sulla strada oppure de conosce' e quindi ce so' rimasto un mese, un mese, un mese in tutte e tre le parti, però non so' stato bene, c'avevo sempre voglia de vive' però i primi due anni so' stato sempre male, male, malissimo perché non me sentivo ne realizzato, non me sentivo...
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Poi niente, un inverno ho conosciuto Silvano; Silvano era un ragazzo dello stesso quartiere però non eravamo amici, frequentavamo due comitive diverse che ogni tanto se incontravano in qualche birreria, a qualche concerto a Roma, "Ciao, ciao". Ho incontrato lui a Roma a casa mia e lui mi aveva detto "sai, c'ho una casetta in campagna, vuoi venire?" ed io non conoscevo nessuna storia quassù del Peglia, però quello che sapevo era che non mi andava de sta' in clinica che ce stavo male, in città non è posto per me, perché se me voglio andà a piglià un gelato ce stanno tutte le... e allora ho detto vabbè vado in campagna, meglio de niente, meglio de conosce' la natura, meglio de alzasse e vedè er tramonto e l'orizzonte, meglio di vedè che te nasce un fiore. E niente so' partito, ho fatto tutti bagagli da Roma, de notte e so' andato giù alla Renzina dove sto tuttora. Mo so' due anni, questo è il terzo inverno che sto qui sul Peglia, non è che per ditte le faccio io le cose, però... pure questo è difficile da spiegare. Dopo che ho scoperto che ce stavano tutte queste storie sul Peglia me viene da istinto ringrazia' tutti voi perché tutte le cose che fate voi... la madonna oh! TU TI SENTI PARTECIPE PURE SE CERTE COSE NON LE FAI?
VUOI DIRE QUESTO? Si certamente; non è la forma che tu lo fai, basta che
esiste, come so che per un comunista è esistito un Che Guervara o per un Cristiano Gesù Cristo anche se a tremila chilometri, e pe' me è normale sapè che sto alla Renzina però su alla Rota fanno il formaggio, quell'altri... questo qui non m'ha fatto più pensà al male, non, no' al male, però i primi anni d'incidente pensavo "C'è qualcosa che non va devo cercà, devo trovà" CHE HAI TROVATO SUL PEGLIA? Allora ho trovato tutto quello che me so' portato da
quando te cresci da ragazzino che dici perché sto annà a scola, perché, percome, perché quello li me sta a sfruttà e sto annà a lavorà pe' lui, perché quelli li sprecano il tempo, cioè non sanno che fa', magari in mezz'ora fanno la lavatrice e poi... la lavatrice poi... CE L'ABBIAMO PURE NOI! COMUNQUE INTENDI COSE DI QUESTO
GENERE...
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E niente forse ho trovato di tutte le cose del mondo che qui vengono riportate, ecco, ecco, esatto... a me quello che mi piaceva quando ero giovane, no che giovane...! A me quello che mi importava, una volta erano venuti dei ragazzi sudamericani che facevano 'sti braccialetti, e io me so' rimesso a falli e magari mo' tutte le cose che succedono nel mondo, può esse' così? si, e vedo che qua, no, che vengono a ricopiare, ma a ognuno, tutti i ragazzi che stanno qua riesce spontaneo esse così, non è che ho scritto il contratto e sto alla Rota a fa' le mucche, Pino, fa conto, gli è venuto d'istinto la mucca, il latte, il formaggio, il burro, capito... VUOI DIRE CHE QUI UNO FA LE COSE CHE SI SENTE DI FARE?
CHE NON C'E' L'OBBLIGO? Esatto. E mi pare, ma poi non so se è così veramente,
ma a me non mi importa niente perché a me mi importa quello che penso io, a me mi pare che tutte le cose del mondo le posso trovare benissimo qui, e questo non è che mi esclude de viaggiare, perché a me conosce' i posti mi è sempre piaciuto, però tutti sti due anni, i primi due anni che non conoscevo il Peglia, facevo sport e qualsiasi cosa a Roma, però c'avevo quella mosca che dice "c'è qualcosa che no' va, stai bene però non sei realizzato", mo' questo non lo so spiegare ma mi è sparito, non ce l'ho più, non m'importa più... cioè ancora non mi sono pentito, mo' so' passati tre anni, questa è... l'unica cosa che so di vero è che tutte le cose che ho fatto in vita mia so' durate pochi mesi per la voglia di cambiare, e invece questa è la prima volta che dopo tre anni, beh so' scoglionato tante volte a sta giù alla Renzina, però non è che voglio andà a cambià sistema de vita, capito, magari giù da Renzina vorrebbe rimanere qui alla Rota o vorrebbe andare e... vabbè giù a Renzina perché so' scoglionato, perché è normale vivi con un ragazzo, siamo solo in due, non è che lui è cattivo, io buono, io cattivo, lui buono, è il fatto è da metterlo così, due ragazzi che si amano c'hanno delle discussioni, giusto, ragazza e ragazzo, due fidanzati e quindi è normale pure che due persone con due capocce diverse, due modi da fa' diversi ogni tanto se scojonano e c'hanno bisogno d'andà a parlà, a fa', a cercà o a vedere un'altro giro de gente, no un'altro giro, lo stesso giro, però... la prima crisi ce l'ho avuta quest'anno, no una crisi, non mi volevo spostà dal Peglia, però siccome ero talmente scojonato de sta' con
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Silvano che pensavo che me ne dovevo andà e invece so' bastati quattro o cinque giorni qui alla Rota, m'è cambiato l'umore e mo' so' un'altra volta pronto a tornà a vive co' la stessa persona perché non è che quella persona è cattiva... infatti penso che l'unica soluzione è di andarsi a fare un giretto, poi sei pronto a ricominciare di nuovo. COM'È LA VITA QUOTIDIANA ALLA RENZINA? Io non è che sono un professionista, cioè a me non mi
piacerebbe andà in fissa solo per il cuoio oppure... allora cerco de prende' le cose dagli altri ragazzi che vivono sul Peglia, che ne so, te fai il cappelletto allora cerco de fa' i cappelletti, e ne ho fatto uno però mi basta, forse ecco l'unica cosa... c'ho la pensione e allora un po' mi ci appoggio al fatto che ogni due mesi prendo la pensione e allora non cerco qualcosa per tirare su l'altri soldi, me soddisfa solo quello che ti piace a te e me lo riporto io, quello che gli piace a Sergio e me lo riporto io... e diciamo che ogni tanto lavoro la pelle, ogni tanto non faccio niente, ogni tanto suono la chitarra, ogni tanto non faccio niente, poi un altro po' rifaccio il cuoio, poi non rifaccio niente, poi mi piace sta' con la gente e sto con la gente, l'unica fortuna tra tutti quanti voi che non lo fate è che me giro i casali, so' stato una volta al Cerquosino, una volta a Siano, ce dormo, vedo quello che fanno loro, me piace che Giorgio fa le capre, quando eravamo per strada Giorgio ha fatto le bisacce per il cavallo, e poi qua ho scoperto sta storia del cavallo che potrebbe esse' le gambe mia, perché la cosa brutta che c'era all'inizio che ancora non c'era il cavallo e stavo sul Peglia, è che se io volevo andà di fronte alla collinetta o me dovevo fa' spinge, però non mi andava de famme spinge, invece mo' ho scoperto che posso andà pure a cavallo quindi manco più 'sto problema de di' "non posso andà manco in porcilaia", ora maggiormente m'è entrata questa forma de vita de fa' le cose in casa e de fa'... non cambierò vita mai, magari posso cambiare posto, posso cambià zona però sempre sta cosa ristretta de fa' il feltro... perché tanto ce stanno milioni e milioni de cosa da imparare.
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IL MONTE PEGLIA E' UN GRUPPO; ESISTONO SECONDO TE DELLE DIFFERENZE? CHE COSA CI TIENE UNITI E COSA CI DIVIDE? Allora... che ci separa da come lo vedo io possono
esse' gli obiettivi... oddio... l'obiettivo può essere pure un fatto de separazione o di unione, perché come la vedo io o come dovrebbe esse', proprio riorganizzasse a cercà de... perché qua me viene in mente, non è che sono un politico però qua me viene in mente il consumismo, noi cercamo de... pei popoli del Terzo Mondo de consumà de meno, e quindi potrebbe esse' sto fatto politico che ce tiene uniti, in finale poi non è vero perché magari tante persone non è che... un Lopez magari non gliene importa tanto della politica, però quello che ce po' mantené insieme è il fatto de lavorare la terra, de creà, perché è bello che tu pianti un seme e tu sprechi l'energie, l'anima il sudore per sta' dietro 'sto seme, che poi diventa fiore, albero o grano, così pure per gli animali, potrebbe essere pure un fatto che... a ritornà a 'na vita contadina, come una volta, però... perché allora come la vedo io, dovremmo esse ancora un po' più uniti, pe' ditte che la dove sto io ce stanno 800 piante di ulivo e allora perché io so' riuscito a parlarci e a mantenere un equilibrio con Silvano, mentre tanti ragazzi... ogni stagione c'ha il frutto, l'albero, la cosa sua quindi pure pe' mantenesse, l'unione potrebbe esse... ecco mo' hanno piantato giù il grano e l'orzo a Frascarelle, e ce deve esse proprio d'istinto... però dopo vengono tutti i problemi... perché Angelo e Angela non ci vanno? Perché magari se devono seguì gli animali loro, il campo loro, però pure Angelo fa il fieno, gli potrebbe servì pure a lui 'sta cosa del fieno... dovrebbe esse così, ogni stagione c'ha il frutto e l'albero suo e no' per darse man forte, proprio perché è bello la socialità della campagna che ti metti il fiasco de vino, il formaggio e vai due giorni a fa' il grano oppure a fa' l'olive, poi che ce sta... tutto, tutto, tanto ogni mese ce sta una cosa da fare, e non è così, e penso che non è così perché poi su 'sta montagna non è che semo in tanti, perché poi a fare 'sta scelta non è che ce devi avere le palle quadrate, insomma devi fare una bella scalinata per partire dalla città e arrivare a provare di vivere in campagna, e tanti casali perché stanno da soli e c'hanno magari i problemi dei ragazzini, c'hanno i problemi...
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Perché hanno scelto poi di stare da soli non lo so, perché io so' il tipo che non ci potrò mai stare con una ragazza fissa... PARLAMI DELL'AMORE. L'amore è importante però io sono il tipo che magari
cerco l'amore in tutti... in minuti, in tempi, io posso esse' innamorato di Gianni e di Manuela allo stesso modo perché Gianni me da un tipo de amore e Manuela me ne da un altro, perché il carattere mio è che non me riesco a compensà tutto... non posso vedè che tu me dai tutto l'amore, non lo so me viene fuori da solo 'sta cosa, cerco de trovà le cose belle in ogni persona e pure così io vado avanti, ogni persona me da una cosa diversa uno stimolo diverso. QUINDI NON TI LEGHI AD UNA DONNA. Diciamo di si, poi non si sa mai nella vita! Io so'
stato innamorato solo una volta nella vita e poi non me so' riuscito più ad innamorare. Ce sta un cerchio che se creamo noi, allora dentro a
'sto cerchio noi ce sentiamo bene e camminiamo bene, però fuori dal cerchio, io parlo proprio di confini geografici, se 'sto qua no vi devo ripagare se voi me date er formaggio, se ripagamo nel bene, capito, nel rapporto d'amore, invece se uscimo dal cerchio e andiamo a Marsciano a comprà la farina, che ce serve perché ancora non abbiamo fatto in tempo a fa' il grano, oppure andiamo a prendè la frutta per gli animali, se non troviamo qualcuno che ce le regala, tocca sborsa' i soldi, quindi questo è... non dico una fregatura, è un fatto che... costringe ognuno de noi a guardare un po' all'entrate, perché come sarebbe bello "oh, me serve il grano, dove lo andiamo a fa' quest'anno e c'hai il grano per la farina, per gli animali e per tutto, ce serve il vino e c'hai il vino, l'olio ce l'avemo e quindi nun dovemo annà a comprà più niente", invece semo costretti perché la società non c'aiuta, perché noi diamo fastidio perché autoproducemo, non spendiamo niente, non li famo diventà ricchi, questo è pure il fatto per cui ce vonno buttà fuori, perché fa conto se noi facevamo i funghi e mettevamo su un mercato e vendevamo i funghi, se compensavamo pure con la società, invece io penso che noi prima ci compensiamo tra di noi, poi amo scartato de
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vive' con la società, però semo costretti a prendere da loro. Questo fa che ogni casale se deve guardà un pò alle entrate, quindi è pe' questo che Angelo e Angela non vengono a fare il grano, perché devono fa' il prosciutto per vendelo così comprano da mangià pe... perché non ce lo ponno vende a noi, perché noi in cambio gli diamo il formaggio. Forse non riusciamo ad essere tanto uniti proprio pe' questo, perché se ne potevamo fa' tutti gli scambi tra di noi avevamo fondato... lo Stato. PRIMA HAI DETTO DI AVERE FATTO DELLE ESPERIENZE
POLITICHE, STAVI IN QUALCHE GRUPPO O IN QUALCHE ORGANIZZAZIONE? Si. Allora nella scuola non è che studi i partiti, la
politica oppure qualche ideologia, però m'è nata perché so' nato in un quartiere proletario, Casalbruciato era la periferia de Roma e poi la Tiburtina è la zona dove ce stanno più fabbriche in tutta Roma, zona operaia. PURE I TUOI GENITORI ERANO OPERAI? No, mio padre lavorava all'Atac e mia madre casalinga.
So' cresciuto praticamente in mezzo alla politica, c'erano tante parole d'ordine, quando tutti dicevano che era giusto che non ci stava nè il ricco, nè il povero, che ci dobbiamo svegliare tutti la mattina ed avere le stesse possibilità de arrivà in qualsiasi cosa che ce pare e quindi la politica mia s'è basata su quello, capito, e poi ho visto che c'è stata sempre la classe padronale che c'ha i soldi, la borghesia è unitissima, i padroni possono essere più uniti del proletariato perché da quando è nata la terra è sempre stato al potere chi aveva i mezzi per sfruttare gli altri, io non capisco come magari la gente, come fa a prendere da esempio Berlusconi, che se ne parla tanto in questi ultimi tempi, perché lui sicuramente o era ricco di famiglia, o è diventato ricco sfruttando gli operai, lui ha detto "io gli davo un milione e mezzo al mese de stipendio", però come quando io ero piccoletto e lavoravo come cameriere e dicevo "perché mi dai un milione e mezzo se io penso che valgo di più?". Quindi penso che a Berlusconi, non è che lo voglio più povero di me, però posso mette in pratica la violenza mia pe' levaje quello che lui avrà levato sicuramente, perché se è ricco de famiglia il nonno glieli ha levati a qualcheduno, se invece è stato lui che ha sfruttato... vabbè dicono che
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un milione e mezzo è uno stipendio regolare, ma chi è stato a valutare lo stipendio, ma che glielo ha fatto valutare all'operaio? No, avranno valutato i padroni o il sindacato che poi... E quindi l'ideologia mia è levaje quel tanto pe' fa' sta' bene l'altri. ALL'INTERNO DELLA CASA O ANCHE DEL GRUPPO PIÙ GRANDE
CHE COSA E' SOLAMENTE TUO E CHE COSA RITIENI INVECE SIA COLLETTIVO? No, niente è solamente mio e tutto è di tutti, non ci
sta niente che rosicherebbe, il cavallo, la chitarra. IL LETTO? Neanche il letto, me addormenterebbe pure... andò sto
comodo però! Aspetta, fammece pensà bene... no, no, niente. Mio c'ho soltanto, sai che?, ecco sta visione che... questo è il rapporto coi soldi, non gli do nessun peso ai soldi come tutti ce potremmo ave' il modo pe' fa' i soldi, io ero legato a un ambiente che fai un paio de mosse de fumo e riesci a racimolà i soldi pe' un camper, pe' quello che te pare, poi ho rimediato i soldi per la macchina, venticinque milioni così, proprio al volo, in tre o quattro mesi, perché stavo in fissa con la macchina, però mo mi so' levato pure 'ste fisse, capito, mi so' scocciato. Penso che il rapporto coi soldi dovrebbe esse'... se non c'avessi la pensione farei di tutto per tirare avanti, in un caso come il nostro, a noi oggi ci servirebbe de comprà la pompa, allora tiri su i soldi per comprare la pompa e niente di più. QUANDO VAI A VOTARE CHE FAI? VOTI OPPURE NO? Mo' votà è un casino... perché pe' ditte semo
diventati troppi su sta terra, io so nato dentro 'sto quartiere proletario, quando la politica se faceva per strada, quando i nemici e gli amici se vedevano, cioè ce stava la gente in mezzo alla strada e fa' volantinaggio e a parlà, da me ce stavano i capipopolo, che poi erano comunisti, sempre sull'ala de sinistra e io ho sempre votato comunista, però mo' pare che... da come so' andate le cose pare che... non che se so' venduti
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però... cioè o te fanno crede che la differenza de classe non esiste più... fra poco diranno pure che non esiste più il razzismo, per farti un esempio, invece tuttora esiste e peggio che negli anni de quand'ero piccoletto. Secondo me c'hanno messo in testa 'sta gara che magari
su cento persone che so' nate in uno stesso quartiere, dalla stessa madre, magari hanno fatto arrivare qualcuno de loro ai vertici, a falli sta bene, in modo che magari con l'ignoranza qualcuno dicesse "però qualcuno è arrivato, ce posso arrivà pure io" e questo comporta che devi fa' del male alle persone che concorrono insieme a te, che invece de svegliacce e di' "oggi siamo tutti uguali, sia io che te potemo fa le stesse cose, non c'è invidia" invece non è così, te fanno fa una guerra tra poveri, perché il padronato ce l'ha la potenza economica per essere uniti e per fa disunì quegli altri, tipo conosco ragazzi dello stesso quartiere che uno se sveglia bene, tranquillo, e c'ha il padre che è arrivato, ha messo su il negozio, non è ricco, però fa crede che può avecce er telefonino, può cambià macchina ogni mese, può andà in vacanza tre o quattro volte l'anno e alla porta accanto c'abita magari quello che deve andà a rubà perché la madre o il padre non riesce a trovà lavoro o sta in cassa integrazione. Per me ce so' proprio riusciti bene a fa divide il popolo su 'sti stessi ideali, e mo ritornamo pure a Berlusconi che centra un cifra e... io parlo de Berlusconi perché i veri nomi dei potenti non è che te li vengono a dire, pure Berlusconi sarà manovrato, mettemola li, dalle multinazionali, questi so' discorsi grossi, proprio politiconi... però so' tutte cose che me faccio in testa io, però questa è la mia ideologia. Il sogno mio, te l'ho detto è che ci svegliamo la mattina e c'abbiamo tutti le stesse possibilità. DENTRO CASA I SOLDI SONO IN COMUNE, TU METTI QUELLO
CHE HAI, GLI ALTRI METTONO QUELLO CHE HANNO? Si, tipo un fondo cassa per le spese per casa, se poi
vado in fissa che me voglio fa un cortellino, una cosa che me piace a me, è normale che li tiro fuori io, non è che li vado a chiedere a Silvano, perché non è una cosa vitale. Quello che c'ho de mio... allora so' tranquillo, placato. Voglio dire un'ultima cosa come conclusione, che ho lavorato sotto padrone, ho lavorato in proprio, sotto una ditta, ho rubato, ho fatto l'illegale, ma se
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non conoscevo la gente del Peglia me ne ero rimasto apatico a fare una di queste cose. Secondo me dovresti sempre chiedere alla gente che
cosa avrebbe fatto se non fosse venuta qui. INTERVISTA A MILENA ALLORA, LA PRIMA DOMANDA E': QUALE E' LA SITUAZIONE
DALLA QUALE PROVIENI? Dove vivevo prima di venire sul Peglia? Allora ho
vissuto dai sette anni ai ventidue ad Aprilia, in un grande paese di provincia con tutti i difetti della provincia e gli svantaggi della città, e questo è un posto che si può considerare una città dormitorio, nel senso che lì la gente ci vive soltanto perché ci sono le fabbriche e si poteva lavorare; poi ho frequentato le scuole ad Albano, vicino Aprilia, e poi soltanto quando ho iniziato l'università mi sono spostata e per un anno sono andata a vivere a Roma. I TUOI CHE LAVORO FACEVANO? Mio padre ha lavorato come operaio per la stragrande
maggioranza della sua esistenza e poi ad un certo punto è stato licenziato e questa cosa in casa è stata presa come una tragedia, all'inizio, perché mancava lo stipendio di papà, ma poi mio padre ha detto:"sapete che vi dico? Che io fuori della fabbrica sto meglio!". E ha incominciato ad organizzarsi nel senso che faceva lavori di falegnameria, oppure di muratura, tutte cose che gli capitavano e che si gestiva lui da solo, quindi era un lavoro che non risultava da nessuna parte perché era come se risultasse disoccupato, però contemporaneamente
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aveva un'esistenza più tranquilla e portava un po' di soldi a casa. Mia madre invece ha sempre lavorato in un laboratorio di sartoria, praticamente cucivano delle cose per case di moda, oppure per ditte che producevano abiti da lavoro, insomma lavorava in questo posto che era una società di fatto, non so che vuol dire... mio fratello ha lasciato la scuola quando aveva sedici, diciassette anni e poi ha finito per non diplomarsi mai, invece mia sorella ha studiato fino all'università. COME HAI SCELTO DI VENIRE A VIVERE SUL PEGLIA? MI VUOI DESCRIVERE LE MOTIVAZIONI? La motivazione principale per cui sono venuta è legata
al lavoro che facevo con... te!!!, con le persone che avevo conosciuto all'università e con cui avevamo iniziato un'attività teatrale, che per un anno abbiamo svolto a Roma e poi abbiamo deciso di venire a vivere sul Peglia, perché ci piaceva il posto, perché c'era la natura e poi perché questo ci risolveva molti problemi pratici, penso, perché Roma era una città talmente grande che per incontrarci ci mettevamo talmente tanto... Forse due mesi, com'era la storia?, due mesi all'anno
noi li passavamo sui mezzi di trasporto! Quindi abbiamo deciso di venire a vivere sul Peglia,
ma io penso che io il motivo fondamentale per cui sono venuta è perché volevamo continuare a fare teatro sul Peglia, però penso anche che per noi allontanarci dalla città significava approfondire l'esperienza, cioè io almeno sentivo come se stessi andando più in profondità, che la città non mi offriva la possibilità concreta di fare questo lavoro insieme agli altri e di viverla completamente anche nel rapporto umano, questa possibilità non ce la dava perché non potevamo vivere insieme innanzi tutto. Invece sul Peglia avevamo una casa dove vivevamo insieme, lavoravamo insieme, stavamo tutti insieme e quindi l'esperienza del rapporto umano è stata un approfondimento anche della ricerca. SE TU DOVESSI DESCRIVERE AD UNO CHE NON LO CONOSCE CHE
COSA E' IL PEGLIA, FARNE UNA DESCRIZIONE, COSA DIRESTI? Che probabilmente sul Peglia ci sono... la cosa che ho
notato io fondamentale è che non è una realtà omogenea, le persone che vivono sul Peglia non provengono dalla stessa realtà, si può dire in generale che provengono tutti dalla città e che per tutti la motivazione
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principale è stata quella di lasciare la città che in qualche modo non gli piaceva più però le storie sento che sono molto diverse, sono diverse tra il gruppo con cui mi sono inserita io e con cui mi sono io spostata dalla città per arrivare in campagna e le altre persone che vivevano qui. Noi più o meno appartenevamo ad un gruppo per cui facevamo un certo discorso politico, frequentavamo gli ambienti dell'università, eravamo legati all'esperienza del teatro, mentre la maggior parte della gente che vive qui ha fatto tutt'altre esperienze, magari ha lavorato in fabbrica, ha fatto lavori di vario tipo in città, era legato ad altri ambienti, questo mi sembra che da la visione di una realtà non omogenea, però la cosa bella è stata forse questo incontro con persone diverse da te che hanno avuto una storia diversa e che però hanno una cosa che li unisce a te, sono venuti in questo posto. SECONDO TE QUESTA DISOMOGENEITA' SI PUÒ CLASSIFICARE?
PUOI FARE UNA TIPOLOGIA DELLE DIFFERENZE? SU CHE COSA SI DIFFERENZIANO MATERIALMENTE LE VARIE CASE? E' POSSIBILE ELENCARE PROPRIO DELLE DIFFERENZE? Si, secondo me le differenze... una delle differenze
fondamentali è la gestione del problema economico e lo definisco problema in quanto non si è mai risolto, è rimasto un problema per tutti, però la cosa che avevo notato è che, vivendo il primo anno sul Peglia col gruppo di teatro, noi cercavamo di risolvere il problema economico in questo modo: per noi rientrava nell'autoproduzione, nell'autogestione della nostra esistenza, e quindi noi siamo venuti sul Peglia per fare teatro, per fare gli spettacoli e gli spettacoli erano la fonte principale dei soldi che entravano in casa. Invece la maggior parte delle persone che vivono qui non ha trovato un'attività che possa equivalere a quella che facevamo noi degli spettacoli nel senso che, hanno gli animali, chi ha le mucche, chi ha le capre, fanno il formaggio, però questo non basta per vivere e quindi molte persone sono in un certo senso costrette a cercare altre fonti di guadagno che si collocano a volte paradossalmente nella città e quindi per periodi anche brevi dell'anno si recano in città per fare lavori
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saltuari oppure nelle zone vicine al Monte Peglia per fare vari lavori di raccolta. E questa secondo me è una delle differenze fondamentali; ci sono alcune persone che vivono sul Peglia che sono completamente diverse da me, che fanno delle cose che io non vorrei fare, come per esempio andare a lavorare in un ristorante a fare la cameriera per guadagnare un milione al mese per vivere sul Peglia, queste cose qui avevo la possibilità di farle in città e probabilmente non mi erano piaciute, per questo me ne sono andata. Quindi noto in questo una grande differenza, almeno tra me e queste persone. Poi c'è sicuramente una differenza che è nella
formazione proprio culturale delle persone, chi ha vissuto che ne so... che hanno esperienze completamente diverse di vita, magari hanno avuto storie di tossicodipendenza, hanno fatto lavori alienati per tantissimi anni, che hanno vissuto situazioni familiari piuttosto complicate, invece io penso che più o meno le persone che appartenevano al mio gruppo provenivano da una classe sociale privilegiata tra virgolette e comunque pur essendo i miei genitori alla fine proletari, io comunque ho studiato, sono andata all'università e ho frequentato un certo tipo di persone diverse, per me la mia e quella delle persone con cui sono venuta a vivere sul Peglia, mi sembra una realtà comunque protetta. SECONDO TE LA VITA SUL PEGLIA E' UNA PROPOSTA DI VITA
RISPETTO A CHI E' RIMASTO IN CITTÀ? NOI PROPONIAMO QUALCOSA? Secondo me noi proponiamo un diverso modo di vivere e
secondo me questo diverso modo di vivere si riscontra nel rapporto umano, però non produciamo un diverso sistema economico. Non siamo un'alternativa reale, perché questo posto non ci da la possibilità di vivere se non spostandoci in altri luoghi. QUESTO E' MOLTO IMPORTANTE. QUINDI SECONDO TE
L'ALTERNATIVA NON E' ECONOMICA, SPIEGATI MEGLIO IN CHE SENSO E' UN'ALTERNATIVA NEI RAPPORTI. Perché secondo me c'è una differenza fondamentale tra
chi vive in campagna e chi vive in città perché chi vive in campagna sviluppa un diverso rapporto umano. In questi casolari vivono gruppi che vanno da due a tre persone fino a dieci persone, e queste persone che vivono in queste case si confrontano con una gestione del quotidiano che è diversa da quella esistente in
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città e in questo quotidiano rientra quasi sempre il rapporto con la natura, con gli animali e di conseguenza secondo me modifica il rapporto umano che tu hai, in un certo senso... non so come dire... ad esempio c'è una cosa che in città non avviene quasi mai e che in campagna è questo rapporto continuo con il corpo. Noi quando facevamo teatro avevamo questo teatro perché in qualche modo noi dovevamo portare avanti un certo allenamento perché il corpo allenato ci serviva per fare gli spettacoli di strada, però effettivamente questo rapporto continuo con il corpo ce l'hanno tutte le persone che vivono qui, perché fare la legna, o curare gli animali, o zappare la terra, sono cose che ti mettono il corpo in una situazione di energia continua, che invece in città è quasi totalmente negata. Secondo me sono molto buffe le situazioni di
mobilitazione del corpo che vivono le persone in città, perché spendono trentamila lire al mese per andare in palestra; perché fanno questo, perché si rendono conto che il loro corpo non lo muovono mai e quindi hanno bisogno di fare questo, di spendere i soldi perché... PERCHÉ SONO FLACCIDI! Perché sennò loro stanno sempre in una situazione di
degradazione. Secondo me questa è una delle cose che mi piace di più perché sento che non mi abbandono, non sono alienata, perché poi l'alienazione fisica, del corpo probabilmente è anche quella che ti porta ad un'alienazione mentale, una persona che vive in città e che esce alle otto della mattina per andarsi a chiudere in un ufficio o in una fabbrica, vive un'alienazione totale del corpo e che si trasferisce secondo me anche a quella che è la sfera spirituale, psicologica della persona. PASSIAMO INVECE ALLA VITA DENTRO QUESTA CASA DOVE
VIVETE, QUANTI SIETE, CHE FATE INSIEME, COME SI SVOLGE LA GIORNATA, QUALI SONO, SE CI SONO, DEI LAVORI CHE RIGUARDANO TUTTI, COME VENGONO SVOLTI, SE SONO LASCIATI ALLA LIBERA INIZIATIVA, SE SONO ORGANIZZATI, QUALI SONO PROPRIO I RAPPORTI DI VITA DENTRO LA CASA? Dunque noi viviamo in questa casa in tre: io, Giorgio
e Olindo, e il motivo per cui sono venuta a vivere in questa casa è che mi sono innamorata di Olindo, perché sennò penso che non ci venivo!! Probabilmente ho vissuto quasi un trauma perché nell'altra casa in cui vivevo la
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gestione delle cose era caratterizzata dal fatto che tutti potevano fare tutto e quindi la donna faceva praticamente gli stessi lavori che faceva l'uomo, la differenza è che la donna aveva forse più tempo a disposizione per fare dei lavori pesanti, quindi se una persona come Aleksandar che è alto 1,80 e c'ha una forza fisica non indifferente era capace di portare un tronco di albero da solo dal bosco fino alla legnaia, Milena e Paola si organizzavano insieme, magari ci mettevano un attimino di più, però lo facevano anche loro, invece ho notato che nelle altre case del Peglia c'è una tendenza a far fare alle donne i lavori che... per cui loro sono facilitate anche dal punto di vista fisico, e quindi ahimè si risolvono nella gestione della cucina. NELLE "FACCENDE DOMESTICHE"! Si, nelle faccende domestiche oppure, che ne so, nel
dare da mangiare agli animali, per cui io ad un certo punto mi sono messa in testa che io dovevo fare le cose che facevano loro, ne più ne meno e quindi nei lavori che mi sembravano i più pesanti e che richiedevano un dispendio di energie molto grande, a quei lavori li ho voluto partecipare per forza, come è stata la pulizia delle stalle delle capre, oppure vangare l'orto per piantare l'aglio e la cipolla, o anche letamare l'orto. Tutti lavori in cui mi rendevo conto che io mi stavo sforzando molto più di Giorgio che ha una forza fisica diversa dalla mia, però ero contenta di partecipare a questa cosa, mi sentivo che ero partecipe dei lavori di questa casa. Poi c'è una divisione secondo me nella casa che riguarda... c'è questo discorso di fondo che Giorgio ha le capre e questa storia delle capre lui la gestisce da solo, quindi esiste una cassa comune per cui certe spese vengono divise insieme, ma tutto quello che lui può ricavare vendendo i formaggi del latte delle capre è suo, e quindi lo stesso discorso vale per me e per Olindo, quindi tutto quello che noi riusciamo a ricavare al di fuori dei soldi che servono per fare la spesa insieme, quelli sono soldi che noi gestiamo per conto nostro. QUINDI LA CASA NON PRODUCE DEI SOLDI No, no però questo è diventato un po' il problema e la
cosa che più mi affligge, perché sento che io in questa casa, in questo posto non ho la possibilità di trovare un'attività che mi piaccia e che mi dia i soldi
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necessari per vivere in questo posto. Quindi è diventata un po'... anche la discussione che c'è stata tra di noi in questi giorni per cui l'intenzione mi sembra adesso è quella di creare qualcosa insieme che ci dia la possibilità di gestirla insieme innanzi tutto, cioè che questa gestione rientri nel quotidiano di tutti e che faccia in un certo senso felici tutti, che ognuno, abbia qualcosa da fare dentro casa e che contemporaneamente sia per noi una fonte di guadagno. Concretamente ancora non abbiamo capito che cosa
potrebbe essere questa cosa, perché poi hai dei modelli su cui ti puoi confrontare, hai dei... vedi gli altri casali, che ne so, le persone che hanno le mucche, se hanno le mucche riescono a vivere del guadagno che fanno vendendo il formaggio e più o meno ti rendi conto che tutti, anche quelli che hanno messo un forte impegno in queste cose, chi... ci sono persone che creano degli orti molto grandi di modo da vendere i prodotti, eppure queste persone che vivono in questa casa sono una famiglia, quindi non sono ragazzi come noi e c'è di più questa cosa dei figli, i soldi che devono rientrare, eppure queste persone per un periodo dell'anno vanno a fare la raccolta del tabacco, il muratore, quel qualcosa che comunque ti allontana dal posto in cui vuoi vivere perché ti deve dare i soldi per vivere appunto. E quindi questo è uno dei motivi per cui quando tu vivi in una casa sul Peglia ti domandi sempre:"Ma io ci rimarrò qui per sempre?" Perché forse a me questo posto non mi da la possibilità di vivere, non mi da la possibilità di fare qualcosa che mi piaccia e che contemporaneamente sia la mia fonte di vita, perché avere gli animali è una cosa molto bella però fatta così come viene fatta sul Peglia non ti da la possibilità di vivere. Penso che anche in questa casa il problema di fondo è quello, oltre che ci possono essere rapporti umani, siamo diversi, ci conosciamo di meno, tutte queste cose hanno bisogno di tempo, però anche se tu vuoi fare questo qualcosa insieme, come lo fai? dove prendi i soldi per investirli?, se ti vuoi comprare le mucche minimo devi avere un po' di soldi per comprarle, oppure se vuoi fare un orto grande devi avere il trattore per arare la terra, devi avere molta terra a disposizione, devi avere, tra parentesi, la licenza per vendere questi prodotti, devi essere iscritto a... come si chiama... e quindi questo a volte ti fa pensare che questa non è un'esperienza che tu puoi fare per lunghissimo tempo, a meno che non fai qualcosa per avere i soldi per vivere.
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MA TU PENSI CHE QUESTO POSTO POSSA DARLA QUESTA POSSIBILITÀ? C'E' SPERANZA DI TROVARLA OPPURE NO? No, secondo me questo è possibile, però è possibile se
si entra in una visione per cui le cose cominciano ad essere gestite insieme non solo all'interno delle case ma all'interno di tutti i casolari, cioè tutte le persone che vivono sul Peglia investono energia affinché tutte le cose che fanno possono diventare una fonte di guadagno, per cui ad esempio ci si impegna davvero a produrre formaggio, prodotti dell'orto, e ci si impegna a venderli e quindi il discorso del rapporto tra gli spazi autogestiti in campagna e gli spazi autogestiti in città diventa qualcosa di serio, per cui il formaggio che io produco sul Peglia lo vendo al centro sociale che c'è in città e creo un circuito di compravendita che a me mi permette di vivere. Soltanto che io mi chiedo perché pur essendo questa situazione di occupazione una situazione che si protrae nel tempo, ci sono persone che qui vivono da quindici anni, come mai questo fino ad adesso non è mai avvenuto; e io credo che la difficoltà non è tanto nell'organizzazione o nella possibilità di creare attività che ti danno da vivere, io penso che ci sono le possibilità, si potrebbe fare artigianato, agricoltura, teatro, si potrebbe creare altri spazi oltre a quelli esistenti, ma io credo che non si faccia perché non c'è una gestione del rapporto umano tra le persone tale da, perché è quello il punto, avere l'energia per fare questo, la fiducia e mi sembra che questo non c'è, forse proprio per la disomogeneità di cui parlavamo prima. CI SONO DELLE REGOLE SU COME GESTIRE IL QUOTIDIANO
OPPURE TUTTO E' LASCIATO ALLA SPONTANEITÀ? O MEGLIO ANCORA, PUOI INDIVIDUARE DELLE REGOLE
IMPLICITE, COME PRIMA HAI DETTO DELLA DIVISIONE SESSUALE DEL LAVORO? A volte si, mi sembra che delle regole implicite ci
sono però in linea generale ti posso dire che... che ne so la casa più o meno deve essere sempre pulita e a questo in linea generale partecipano tutti, questo non è neanche troppo difficile perché siamo solo in tre persone, mi immagino nei casali dove sono in undici
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persone che questo diventi un po' un problema. In linea generale è affidato alla spontaneità di ognuno, sai quando non si fa una cosa insieme, quando tu non fai un'attività con un'altra persona, non hai bisogno poi di così tante regole, la cosa è invece se te con queste persone ti gestisci il rapporto con gli animali o ti gestisci come facevamo noi prima un lavoro teatrale, per cui tu queste regole le devi trovare per forza, qui questo non c'è. VOI VI GESTITE SOLO LA PULIZIA DELLA CASA, IL CIBO E
L'ORTO. Si. La regola implicita generale forse è questa: ai
lavori più grandi partecipano tutti. UN'ALTRA COSA INTERESSANTE HAI DETTO, E RITORNO AL
RAPPORTO UOMO-DONNA. RISPETTO ALLA CITTÀ, ALLE COSE CHE FACEVI IN CITTÀ, SENTI CHE QUI SUL PEGLIA I RUOLI FEMMINILI E MASCHILI SONO DIVERSI? TU PRIMA HAI ACCENNATO AL FATTO CHE SECONDO TE LE DONNE QUI SI OCCUPANO DI DELLE COSE E GLI UOMINI DI DELLE ALTRE. PENSI CHE CI SIA UN MODELLO DI RELAZIONI UOMO-DONNA CHE IN CITTÀ NON C'ERA? Io penso di si. Penso però che anche qui bisogna
riallacciarsi al discorso della disomogeneità; dipende molto dalle realtà che si vivono nelle varie case, per esempio questa era una cosa che io mi vivevo diversamente quando vivevo a Case Bianche, lì sentivo che davvero non ci era differenza tra quello che si attribuiva alle capacità dell'uomo e quello che si attribuiva alle capacità della donna e invece delle volte sento che nelle altre case c'è questa separazione, magari è solo un'impressione, magari sono io che mi vivo una situazione particolare in questa casa, non che sia... che a me mi impedisce di fare delle cose ma mi sembra che così in generale c'è una tendenza... non lo so, bisogna fare il pollaio, è un lavoro di muratura, è come se questa cosa viene gestita da chi l'ha già fatta, questo potrebbe essere naturale perché tu hai già fatto il muratore, però io non l'ho fatto e oltre tutto sono una donna e quindi è come se... hai capito? VIENI COME AUTOMATICAMENTE ESCLUSA. E quindi sento che devo fare sempre io uno sforzo per
inserirmi all'interno di queste cose che per alcune
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persone spontaneamente vengono riservate agli uomini, no. Poi confrontandomi con altre donne che vivono sul Peglia ho notato che anche per loro è così, cioè che anche in altri casolari queste donne vivono questa realtà per cui possono ritrovarsi una settimana intera soltanto a cucinare ed a lavare i piatti, per cui ad un certo punto dicono:"Mah, com'è che mi succede questo?" ANCH'IO LA PENSO COSI'. E' COME SE QUI EMERGONO PIÙ
VIVE LE CONTRADDIZIONI DEL RAPPORTO UOMO-DONNA, COME SE LA CONDIZIONE AMBIENTALE CHE ABBIAMO INTORNO LE FA USCIRE FUORI CON PIÙ FORZA. QUESTO VUOL DIRE CHE PURE TRA DI NOI C'E' UN PO' LA CULTURA DEL MASCHILISMO O COMUNQUE LA DIVISIONE SESSUALE DEI RUOLI. Secondo me si, non in un modo assoluto e non radicata
al punto tale che questo poi non possa diventare punto di discussione tra le persone che vivono dentro una casa o comunque anche uno stimolo per cambiare. I nostri schemi culturali io credo che possano essere
modificati e tutto questo può diventare lo stimolo per discuterne con gli altri e per farmi vedere diversa, perché poi comunque vivi con delle persone che sono disponibili, sono persone che alla fine in qualche modo hai scelto, con cui vivi perché ti piacciono pure. HAI FATTO DELLE ESPERIENZE POLITICHE PRIMA DI VENIRE
QUI? Si, mi ricordo quando andavo a scuola che frequentavo
un collettivo di compagni che si trovava proprio vicino alla mia scuola, quindi spesso e volentieri quando uscivo da scuola invece di andare a casa, saltavo pure il pranzo e andavo da questi compagni; la cosa buffa è che queste persone le ho conosciute quando avevo quattordici, quindici anni per poi rincontrarle dieci anni dopo sul Peglia, per cui mi sembra che i circuiti abbiano dei canali di comunicazione che ti portano un po' negli stessi luoghi, nelle stesse situazioni. Questo collettivo era di compagni, studenti e anche persone che lavoravano, che svolgevano attività a vari livelli, nelle scuole, nel centro sociale, poi si lavorava nella città stessa, in particolare sul discorso del nucleare. CHE PREFERENZE ELETTORALI HAI? Per ora mi sembra di non aver mai votato, però quando
c'è stato il ballottaggio a Roma tra Rutelli e Fini sono
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stata due giorni che pensavo che se Fini andava al potere era la fine e quindi... non la residenza a Roma ma in quel caso avrei votato per il candidato definito dai giornali "progressista", che a me 'sta parola me faceva sempre ridere, poi voglio dire che a me non è che Rutelli mi sia così simpatico, anzi mi sembra un deficiente come un altro, è un politico, però avrei preferito lui che Fini. Non c'ho un rapporto con le istituzioni di nessun tipo, magari è un rifiuto, probabilmente è che non ho nessuna fiducia nel sistema politico vigente, non penso che contribuisce alla mia serenità e quindi meno partecipo a questa cosa e più probabilmente mi sento pulita. HAI UN'IDEA ALTERNATIVA? QUESTO POSTO DOVE VIVI
RAPPRESENTA UN'ALTERNATIVA? VEDI UNA POSSIBILITÀ DI VITA DIVERSA DA QUELLO CHE TU HAI DEFINITO SISTEMA VIGENTE? No, io penso che noi non siamo nè quelli del
sessantotto, nè quelli del settantasette, la differenza secondo me tra il movimento politico degli anni precedenti e quello che secondo me ha caratterizzato gli anni novanta, cioè l'occupazione dell'università, per lo più specificatamente del gruppo a cui io sono appartenuta, è che noi non avevamo mai questo forte referente ideologico e ne eravamo legati ad esso, se c'era era una cosa più legata alla parola ricerca, ricerca di una socialità diversa, di un rapporto umano diverso, era come se dentro di noi queste ideologie, forse lo stesso comunismo ci avessero dato un po' alla nausea più una paura, penso che dentro di noi ci fosse la paura di quell'attaccamento forte che c'era nelle persone del settantasette che poi sono arrivate pure a creare organizzazioni armate, questi pensavano veramente di cambiare la società e noi siamo arrivati dopo e ci siamo vissuti i risultati anche disastrosi di questo, la forte repressione, l'omologazione, come la chiamavano e quindi era come se da parte nostra ci fosse una pretesa di partire dal semplice, cioè partiamo da noi, noi stessi, cosa siamo in grado di fare, cosa ci piace fare, se in fondo ci va di divertirci, cosa ci fa divertire, ci fa divertire lo spettacolo, la comunicazione con la gente, ci fa divertire il viver insieme, il confronto continuo, ci fa crescere, sentiamo che questa è una cosa importante, ci fa sentire meglio il fatto che siamo noi a decidere della nostra esistenza e non che sono gli altri a decidere di noi. E probabilmente a me la cosa che mi ha sempre incuriosito di tutto questo è che le
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persone che sono fortemente convinte di una certa idea politica, che c'hanno poi questo forte referente ideologico, sono poi quelle persone che molto più difficilmente riescono a cambiare la propria esistenza radicalmente che restano legate a un sistema di vita per cui lavorano per avere i soldi, per poi avere il tempo per fare quella attività politica, che vivono in città e seguono comunque degli schemi culturali, tipo mettono su famiglia e che di fronte all'alternativa, per esempio quella che abbiamo scelto noi, sono sempre un po' scettici, ci dicono la classica affermazione:"Voi vi siete isolati, vi siete creati il vostro mondo bello e ovattato e per voi è semplice, invece io sto qui e combatto continuamente con la realtà", invece magari tu in quella realtà ci sei completamente inserito, neanche te ne rendi conto ma sei completamente inserito perché non puoi non esserlo, in città devi per forza, a meno che non sei un genio e scrivi libri di poesie e questo ti da un sacco di soldi e quindi te con quei soldi continui a produrre arte, vivi leggero sopra la struttura sociale, fregandone di tutto, oppure sei uno che... sei una persona intelligente, sensibile, capisci tutto però per vivere devi... vendi il tuo corpo. SECONDO TE LA GENTE CHE VIVE SUL PEGLIA MANCA DI UNA
PROGETTUALITA' POLITICA GENERALE, PERO' AL TEMPO STESSO REALIZZA UN'ALTERNATIVA POLITICA NEL FATTO CHE VIENE QUI E SI PUÒ AUTODETERMINARE, PUÒ VIVERE IN UN AMBIENTE PIÙ LIBERO. QUESTA PUÒ ESSERE LA PROPOSTA CHE DICEVO PRIMA. Per me è un'alternativa di vita perché io faccio delle
cose che mi sganciano, nel senso che tento di liberarmi da quel sistema, e quindi nel contempo cerco di non sentire gli stessi bisogni, poi magari questa cosa ti viene naturale, però il bisogno dell'energia elettrica, il bisogno del vestito nuovo, il bisogno di mangiarti che ne so io, le cose preconfezionate, incelofanate, come dice Sergio, certe cose che uno cerca di liberarsene, già questo mi sembra qualcosa, però è vero che non è secondo me un'alternativa reale, concreta è quella che ti offre la possibilità di autogestirti tutto e di autoprodurre tutto e quindi tu sei veramente una realtà altra, una realtà che non ha bisogno di continue fughe nell'altra realtà che invece ha un sistema economico che è quello capitalistico, per cui tu... questo invece non c'è sul Peglia, tu comunque vai fuori, cerchi qualcosa da fuori.
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TI CHIEDO UNA DEFINIZIONE. SPESSO QUI VIENE FUORI LA PAROLA FRICCHETTONE TI CHIEDO, PERCHÉ ME LO CHIEDO PURE IO, SECONDO TE CHE SIGNIFICA? CHI SONO I FRICCHETTONI? Mo, te lo spiego. Fricchettone è una parola che
Giorgio usa spesso, e per esempio lui l'altra volta mi descriveva una persona che aveva conosciuto in città, a Torino, e lui mi diceva "lei è una come noi, una fricchettona" e io ho pensato " io mica lo so se sono fricchettona! Magari te sei fricchettone, ma io non lo so!". Comunque io in linea generale penso che la parola fricchettone viene usata perché ci si riferisce a quelle persone che tendono ad avere molta più libertà di altre rispetto a certe cose, cioè fanno un uso diverso del corpo, boh... la parola fricchettone è legata molto all'esperienza del viaggio, chi è stato capace in certi periodi della sua vita di viaggiare e contemporaneamente di rinunciare a tutte le comodità, che sono tipiche della società occidentale, valori come la casa, il letto, cioè Giorgio è vissuto sotto un albero per dieci anni, uno si chiede come ha fatto, è un fricchettone! E' uno che molla tutto e che sostituisce a tutti i bisogni materiali quella che per lui è il bisogno principale, viversi la sua interiorità, io penso che per Giorgio questo poteva significare che in India poteva rinunciare a tutto, ad avere i soldi, avere una casa, perché a lui piaceva stare sull'Himalaya, con la natura, con quelle persone e quindi per lui quella era la libertà probabilmente. ALLORA E' UN PO' COME SE NOI SIAMO DEI FRICCHETTONI A
META', GENTE CHE POI ALLA FINE, VIAGGIA VIAGGIA... SI E' FERMATA SENZA TROPPE COMODITÀ. Si poi c'è il vero fricchettone che è come Giorgio che
pensa sempre di ripartire e di riandare in India e poi c'è invece il fricchettone fasullo che viene sl Peglia e la sua casa diventa piano piano sempre più comoda, che ne so, le finestre c'hanno il doppio vetro, poi c'è l'impianto di riscaldamento che parte si dal fuoco ma c'ha i termosifoni che si spandono per tutta casa, poi c'ha la lavatrice, poi piano piano fa i figli, insomma alla fine non sei più un fricchettone secondo me. QUESTA DOMANDA PER ME E' IMPORTANTE PERCHÉ MI
INTERESSA COLLEGARE NOI CON QUELLE CHE ERANO LE REALTÀ DEL PASSATO, IN CUI I FRICCHETTONI ERANO UNA REALTÀ SOCIALE DI UNA CERTA ESTENSIONE. TU PERSONALMENTE NON TI
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SENTI DI FARE RIFERIMENTO A QUESTO MODELLO CULTURALE? DEL VIAGGIO, DELLA RICERCA SPIRITUALE? Del viaggio si. Però noi abbiamo parlato solo degli
aspetti positivi, ma c'è il fricchettonaggio passivo, che è quello che è stato la degradazione penso di certi movimenti culturali giovanili, all'interno di questa libertà poi è facile che uno si lasci andare completamente, e non c'è più rispetto del proprio corpo, quindi non ti lavi, oppure non fai niente della tua vita, non fai niente dalla mattina alla sera, stai solo la a suonare, a fumare e a chiedere i soldi a chi passa, per cui a me spesso quando mi si dice sei una fricchettona... perché per la gente c'è pure questo aspetto negativo. FRICCHETTONE COME DISPREGIATIVO. MA NELLA GENTE FUORI
DI NOI O ANCHE TRA DI NOI? Io penso anche tra di noi ci sono questi due piani,
fricchettone in senso positivo e negativo. Sul Peglia c'è un casolare... io quelli non li posso vedere, non ci posso fare niente, non si lavano mai, bevono vino, praticamente quello che fanno è bere il vino, quando non c'hanno proprio una lira vanno in piazza a suonare per fare un po' di soldi, il niente, il nulla a me mi spaventa in tutti i sensi, in tutti i campi, pure tra le persone che mi vivono vicine, magari questi c'hanno una casa che io per arrivarci ci metto dieci minuti di macchina però non ci andrò mai, perché a me non mi interessano come persone; invece, che ne so, Giorgio è un fricchettone, però lui si sveglia la mattina, ha la passione proprio di fare le cose, ha la passione di lavorare la terra, ha la passione di tenere le cose in ordine, del proprio corpo in qualche modo e qui c'è una differenza. SEMPRE PER CHIARIRE IL RAPPORTO COI VALORI DEL
PASSATO, CHE COSA SIGNIFICA PER TE L'AMORE, IL RAPPORTO DI COPPIA, PURE PERCHÉ IN QUESTO MONDO DEI FRICCHETTONI CUI NOI FACCIAMO RIFERIMENTO C'ERA L'IDEA, PER QUELLO CHE PER ORA NE CONOSCO, C'ERA IL VALORE DELL'AMORE LIBERO E DELLA LIBERTÀ SESSUALE. PER TE COM'È' IL RAPPORTO D'AMORE? Dopo aver fatto varie esperienze...!!!
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SIA PER QUANTO RIGUARDA TE, SIA PER QUELLO CHE RIGUARDA TUTTO IL PEGLIA. Io penso che noi seguiamo il modello culturale
prestabilito, cioè la coppia, per cui uno dei valori fondamentali diventa l'esclusività, la fedeltà, i figli addirittura adesso, che alla fine sono cose belle io penso; la difficoltà più grande che hanno dovuto attraversare le persone che hanno vissuto appunto il sessantotto oppure questi momenti in cui si è arrivati a teorizzare, a farle diventare delle idee con la cornice intorno, cose che invece sono legate all'intimità, alla soggettività e li è stata la contraddizione e la schizofrenia perché una persona siccome era compagno, siccome viveva una certa tensione verso l'ideologia, verso questa teoria di cambiare il mondo, di cambiare le cose, magari, che ne so, questa persona pur di viversi questa situazione era capace di accettare delle cose che dentro di se non accettava, non le viveva come una cosa serena ed io penso che questa è stata la motivazione per cui molte cose sono fallite, io penso che le persone sono diverse e ci sono persone che riescono a gestirsi più rapporti di amore in cui ci sia anche rapporto sessuale, per cui per queste persone l'amore libero è una cosa reale semplicemente perché fa parte della loro natura, altre persone invece non sono così, intimamente, non hanno questa capacità o semplicemente sono diverse e quindi si vivono il rapporto d'amore con l'esclusività, con valori di tipo tradizionali. Comunque sul Peglia c'è molto più movimento di quello
che potrebbe accadere, che ne so... nelle famiglie tipicamente borghesi, ci sono scambi di persone, di situazioni, di intrighi, che tu certe volte rimani li ad ascoltare... e la cosa più incredibile di tutte queste storie di coppia sul Peglia è che quando due persone vivono insieme nello stesso casolare e si lasciano, uno dei due se ne deve andare dalla casa; questa è stata la cosa che più mi ha afflitto, cioè che i rapporti di coppia hanno condizionato per molte persone tutta la loro esistenza, organizzata intorno a quella casa e spesso è la donna che gli tocca abbandonare la casa per cercarsene un'altra. Poi c'è un'altra cosa che volevo dire rispetto al rapporto d'amore: c'è una differenza fondamentale tra quello che io ho vissuto e Case Bianche, quando vivevo con il gruppo con cui facevo teatro insieme e poi quanto ci siamo staccati e ho iniziato a vivere qui, e la differenza è che lì il rapporto d'amore non riguardava soltanto il sesso, i
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rapporti di coppia, ma era una cosa che in modo incredibile si estendeva alle altre persone, non era solo un amore di coppia, ma un amore per quello che facevi, e tanto era forte l'amore per quello che facevi che riuscivi a subordinare tutti i problemi e le sofferenze che ti potevano derivare dall'amore di coppia e questo era molto bello, io di questo parlo spesso con il mitico Giovanni che sta sul Peglia da quindici anni e lui dice sempre che no, le esperienze di vita comunitaria sono fallimentari, l'amore libero ti fa soffrire, ma si, è vero che uno soffre, però è vero pure che è una esperienza che ti modifica e ti fa pure crescere. VAI AL CINEMA O AL TEATRO? Guarda, il cinema e il teatro sono una tragedia!! Non
ci vado mai, e mi manca, ma ora non c'avrei neanche i soldi per andarci; però leggo un sacco di libri, addirittura leggo libri già letti. CHE LEGGI? Leggo di tutto, ah... ultimamente ho letto un saggio
"La storia di Serena Cruz", un libro sull'adozione, ma in genere leggo romanzi di letteratura contemporanea, siccome sto studiando... ho riletto per la quarta volta "Il giovane Holden" che ritengo sia il capolavoro della letteratura contemporanea, ho speso pure lo stipendio di due ore di lavoro per comprarmelo!!!
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INTERVISTA A SABINA E CICCI DI SANT'ANTILIETTA PARLAMI, ANCHE BREVEMENTE, DI DOVE VIVEVI PRIMA DI
VENIRE QUI SUL PEGLIA. SABINA: Io sono venuta a Roma per studiare l'italiano,
poi ho conosciuto un gruppo di ragazzi che facevano teatro, siamo diventati amici, a me Roma mi piaceva, io venivo da un paese, una cittadina molto provinciale della Svizzera, Roma era per me un'altra esperienza, poi ero anche attiva in un centro sociale, mi piaceva la vita nei centri sociali e poi questi amici miei venivano qua sul Peglia ed io andai a trovarli, sabato e domenica, mi fermai di più, una settimana, due settimane, al che dopo un po' ho cominciato a fare avanti indietro tra Roma e l'Umbria, che mi aveva preso la dimensione della campagna, di uscire dalla porta e stare in mezzo ai boschi, avere tutto quello spazio... Roma mi piaceva sempre di meno, non aveva più quel fascino che aveva all'inizio per me, perchè mi pesavano molto di più le paranoie della città, il traffico, il rumore, mi mancava lo spazio, mi pesava farmi due ore di autobus per arrivare in uno spazio verde, dove, che ne so, uscire di casa, leggere un libro; stare un po' al sole a Roma è un impresa e ti scoraggia già pensare a tutti gli autobus che devi prendere per arrivare in un posto dove ti puoi rilassare un pò, alla fine non lo fai mai. Per cui mi cominciava a pesare molto questa cosa della puzza della città che non la senti, invece quando stai in un posto come questo, quando tornavo a Roma dopo un mese che ero stata qua mi capitava che ero proprio terrorizzata, passava un ambulanza, scattava l'allarme di una macchina, tutto il traffico, la puzza, il casino...
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CHE COSA TI E' PIACIUTO DI QUA? COME E' SCATTATA LA SCELTA? Quello che m'ha impressionato è il fatto che c'era
della gente giovane che è tornata a vivere in campagna e poi che c'era proprio tanta gente che faceva la vita in comune, che ha occupato dei casali bellissimi, li ha ristrutturati in un modo... cose che proprio io non ci pensavo che uno può essere capace a ristrutturare una casa, a portare l'acqua in casa dalla fonte, cercare la fonte, poi pompare l'acqua, tenere gli animali, tutte cose nuove che io non avevo mai visto, che m'hanno impressionato molto e il fatto di vivere in campagna e di autogestirsi. Poi all'inizio io pensavo che tutti quanti erano autosufficienti, praticamente facevano la vita contadina e gli bastava per vivere, poi vivendo in cinque, sei, sette in una casa, dividendosi tutti i compiti, i lavori che c'erano da fare, che poi sembra meno pesante, stai in cinque a gestirti le mucche e tutti i lavori che ci sono da fare, sembra meno pesante, io all'inizio ho visto tutto più facile, non più bello, ma facile e mi ha attirato tanto. Poi il fatto che della gente era arrivata qua a ristrutturare le case per me era una storia bellissima, che non avevo mai sentito prima, non conoscevo nessuno che ha occupato un casolare in campagna, poi il paesaggio è bellissimo qua. SECONDO TE CHE COSA CI TIENE UNITI COME GRUPPO? ESISTE
UNA CULTURA COMUNE TRA TUTTI QUELLI CHE VIVONO QUA' SUL PEGLIA OPPURE CI SONO DELLE DIFFERENZE? Io penso che c'è...che la gente che è venuta quà, che
ha occupato i casali sono molto uniti proprio per il fatto che sono occupanti, è sempre diverso se te sei occupante oppure affitti una casa in campagna, perché ti confronti anche di più con la gente del posto, arrivi da fuori da Milano, da Roma, dall'estero, conosci la gente dei paesi che è molto diversa, è tutta chiusa qua, è difficile stabilire un rapporto di amicizia con la gente del posto e per cui io penso che gli occupanti sono molto uniti. Però chiaramente ci sono delle differenze... QUALI TI SEMBRANO LE DIFFERENZE PIÙ GROSSE? A me sembrano le esigenze della gente che sta qua,
perché c'è chi punta proprio su una vita di autosufficienza, c'è chi invece dice che non gli
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interessa questo perché tanto lo sa che non sarà possibile oppure non gli va di assumersi la responsabilità della terra coltivata, di avere tanti animali, che poi sono responsabile io di questi animali, che è sempre un peso, preferisco piuttosto farmi l'orto, così, piccolo, magari tenermi un maiale, qualche gallina, però accanto vado anche a lavorare. Invece c'è altra gente che cerca un pò di uscire fuori dal sistema, dalla società come è composta, che proprio non vuole andare a lavorare perché proprio rifiuta il sistema come è fatto, cioè lo sfruttamento sul posto di lavoro, che cerca l'indipendenza ed è venuta qua apposta per trovare questo. E poi c'è gente che c'ha altri interessi, non gli interessa nemmeno di tenere animali, che sta qua perché il posto è bello, perché si sta meglio che in città, però non gli interessa l'agricoltura, le bestie, c'è gente che gli interessa il teatro, il lavoro fisso pur stando qua. QUINDI DI COMUNE SEMBRA CI SIA SOLO IL LASCIARE LA
CITTÀ PER TORNARE IN CAMPAGNA. No, chiaramente c'è il rapporto di amicizia. IL RAPPORTO DI AMICIZIA SI CREA PERCHÉ CI DOVREBBE
ESSERE UNO SFONDO CULTURALE COMUNE. C'E' SECONDO TE QUESTO SFONDO CULTURALE COMUNE? Si, c'è. Io direi che gli occupanti qua stanno più o
meno sulla stessa onda, che comunque stanno alla ricerca di qualcosa di diverso, di un'alternativa. Poi quasi tutti quelli che vivono qua vengono dalla città, quindi c'è anche questo fatto in comune che comunque stanno alla ricerca di un'altra vita di quella cittadina. SECONDO TE QUESTA E' UNA PROPOSTA CONCRETA DI VITA
ALTERNATIVA ANCHE DAL PUNTO DI VISTA POLITICO? Si perché prima di tutto c'è il fatto che siamo
occupanti e già diventa politica la cosa, perché l'occupazione di un casolare in campagna per me è anche un messaggio; ci stanno le città che si allargano, che diventano sempre più invivibili, non ci stanno spazi, non ci stanno case e invece a 100 km. dalla città ci stanno spazi enormi, ci stanno casolari che cascano a pezzi, non gliene frega niente a nessuno di tenerli, di curarli, di aggiustarli, per me dal punto di vista politico è un messaggio che tu vieni qua, poi ti scontri
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anche con la gente, ti scontri con la legge, ci stanno gli sgombri, poi si rioccupano i casali, poi adesso c'è tutta una lotta per ottenere l'affitto, gli incontri con la Comunità Montana che gestisce le case e le terre, c'è una comunicazione con la Regione, ci stanno delle proposte, è una proposta il modo di vivere degli occupanti qua, concreta, pratica, come si possono sfruttare le terre e le case qua che non sono usate. IN CHE RAPPORTO TI SENTI CON LA REALTÀ ANTAGONISTA CHE
C'E' IN CITTA', LI DA DOVE VENIVAMO NOI PRIMA? Io mi sento in collegamento, anche perché ho dei
rapporti ancora con la gente che sta in città... IO DICEVO COLLEGAMENTO IN SENSO IDEOLOGICO, CIOE' SE
TU SENTI CHE, ANCHE STANDO QUI, FAI PARTE DEL DISCORSO CHE SI FA DENTRO LE REALTÀ AUTOGESTITE METROPOLITANE. Si, io penso che il fatto di stare qua e di
autogestirsi è anche molto più concreto del discorso che fanno quelli di sinistra che stanno in città, che in fin dei conti rimangono sempre teorici, perché loro fanno assemblee, propongono questo e quell'altro, chiedono nuovi spazi, magari loro sono più missionari, nel senso di fare assemblee e di parlare e invece qua fai proprio una dimostrazione pratica, lo metti in pratica, che poi secondo me è molto più significativo, anche perché scuoti di più la gente. In città io ho visto molti gruppi di sinistra, i centri sociali per esempio stanno spesso tra di loro, fanno tante belle cose tra di loro, fanno tante proposte, tante assemblee e invece non escono fuori, non entrano in contatto con la gente del quartiere, io vedo mancare un po' questo; invece qua il contatto con la gente che sta qua c'è per forza perché ti conoscono tutti, poi ne parlano i giornali col fatto che sei occupante, illegale, poi stai in paese, sei uno conosciuto, viene più notata la cosa, vai a fare la spesa e la signora ti conosce, sa chi sei, che sei occupante, magari sa anche che sei una brava ragazza e magari riesci anche a cambiare dei pregiudizi che aveva, è possibile. PASSIAMO ALLA STORIA DELLA CASA; QUANTI SIETE, COME
VIVETE, COME SI SVOLGE LA GIORNATA. CONDIVIDETE SOLO LO SPAZIO O AVETE ANCHE UN ATTIVITA' ECONOMICA COMUNE?
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Noi adesso siamo in tre, Rossella, Cicci ed io e fino ad ora non ci siamo mai vissuti la casa insieme perché c'era sempre qualcuno che mancava, qualcuno che va a lavorare fuori, che va via per un mese e per cui non c'è molta vita in comune degli abitanti di Sant'Antilietta, cioè tra me e Cicci si, perché facciamo le stesse cose, ci alziamo insieme, andiamo a dormire insieme, poi per quello che riguarda l'economia si divide, invece con Rossella...vabbè si divide tutto in tre, perché se si va a fare la spesa si fa in tre, se si compra qualcosa che serve per la casa si compra tutti, non c'è per esempio una cassa comune, una cassa con tutti i soldi che entrano, quando va a lavorare Rossella lei guadagna, quando lavoro io guadagno io, Cicci c'ha i suoi soldi che guadagna lui, non vengono messi insieme, ognuno si tiene i suoi e se c'è da affrontare una spesa per la casa si divide e ognuno mette i suoi soldi. CICCI: l'economia è propria però per affrontare le
spese sono tutti presenti, poi ci sono le spese...se io vado a comprare tre bistecche, non è che torno e chiedo un terzo !! No, lo faccio liberamente perché mi va che ci mangiamo le bistecche, così fa lei, così fa Rossella, una cosa un po' elastica, l'economia è propria, però c'è questo contributo di tutti. CHE COSA DIVIDETE OLTRE ALLA CASA? QUALI SONO LE
ATTIVITA' COMUNI? SABINA: l'orto è una attività comune CICCI: l'orto è
la cosa che ci lega di più, a parte le attività della casa tipo cucinare, lavare i piatti, dar da mangiare alle galline, queste cose qua. Poi Rossella c'ha i suoi lavori per tenere l'economia sua, ogni tanto lavora ad un ristorante oppure fa tipi di attività che gli danno una resa in termini di soldi, invece io e lei insieme teniamo gli animali, per cui mungiamo, facciamo i formaggi e poi ognuno di noi c'ha i suoi lavori, per cui lei ogni tanto va a lavorare fuori, io lavoro al frantoio, ogni tanto si integra, con una sorta di attività mista, che secondo me è utile pure per averci un po' più di soldi, per poi fare delle migliorie alla casa, mi fa piacere anche avere un po' di soldi, i liquidi non sono necessari però insomma sono abbastanza importanti per fare qualcosa, che so comprare materiale, allora gli animali non bastano.
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NON C'E' MAI STATA L'INTENZIONE DI CREARE UNA ATTIVITA' CHE VI GARANTISSE UNA ECONOMIA COMUNE PROPRIO A PARTIRE DAL POSTO, DALLA CASA? Innanzi tutto questa casa non è strutturata cosi da un
sacco di tempo per cui si potevano fare dei progetti, anche perché prima abitavano altre persone , poi sono cambiate un po' le situazioni, gente che se ne è andata, per cui negli ultimi anni questa casa è sempre stata strutturata in una maniera...comunitaria buona, perché io ritengo che con le persone che vivono qua adesso e con quelle che vivevano in precedenza abbiamo sempre avuto dei buoni rapporti, ci siamo sempre trovati bene, però un attività mista...per esempio io vivo qua da nove anni, e degli animali me ne sono sempre occupato solo io personalmente, tranne le poche volte che andavo via e allora quelli che rimanevano aprivano le pecore, chiudevano le pecore. Questo chiaramente fa parte di una scelta, per cui tu dici: "io per vivere qui ho bisogno di qualcosa", per cui gli animali e allora da lì trai una parte del tuo sostentamento, alcuni invece vanno a lavorare fuori e questo è sempre successo negli ultimi anni, poi gli interessi comuni al di fuori dell'ordinario ci sono chiaramente, stiamo bene insieme, è chiaro ci sono anche le tensioni, gli scazzi, una persona che ha più bisogno di prendersi un po' d'aria, però nel bene o nel male ci sono anche una serie di attività pratiche che ci legano, appunto l'orto e tutto il resto delle ore che ci tengono in casa, che sono importanti lo stesso, per dire mangiare insieme, fare delle cose all'interno, parlare, confrontarsi, fare i progetti. Però penso che la cosa migliore è l'armonia, poi ognuno è libero di esercitare qualsiasi attività propria, anzi secondo me da una parte è buono quando tu c'hai delle possibilità; per quanto riguarda gli animali che stanno lì, , devono bere, devono mangiare, li devi mungere, ci fossero state più persone a dedicarsi a questa cosa, questo però a titolo personale, perché mi sono sempre trovato un po' legato rispetto agli animali, però dall'altra parte quando ci sono state delle persone che facevano altre cose, altre attività, anche a livello artistico...per esempio ho vissuto quasi dieci anni con Enrico che faceva maschere o altre attività pratiche però era lo stesso, oppure Maria Grazia che andava a lavorare, partiva la mattina e tornava la sera perché andava a lavorare a Roma, però i momenti importanti sono quelli che c'hai con le persone, a parte l'aspetto comunitario del lavoro, anche questo feeling, perché qua
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vivi ventiquattro ore su ventiquattro, in città c'hai il ricambio, questa possibilità di prendere la macchina, o addirittura a piedi o in bicicletta raggiungere altra gente, e di avere anche questo ricambio immediato, invece qua il rapporto è molto più diretto, intenso, questa secondo me è la cosa più importante che si deve creare, poi le attività...è anche bello che all'interno di una casa avere diverse esperienze per poterle confrontare. LE COSE CHE FATE INSIEME SONO GESTITE LIBERAMENTE
OPPURE SONO IN QUALCHE MODO ORGANIZZATE ? Se ne parla, ad esempio per le cose che ci legano
tutti e tre, tipo il momento della semina dell'orto o come impiegare il pezzetto di terra dell'orto, se ne per capire cosa è migliore, cosa è peggiore...per quanto riguarda gli animali che siamo io e lei a fare la mungitura, a fare i formaggi, nasce abbastanza spontaneo, perché insomma ti devi alzare la mattina, devi mungere, fare il formaggio, diciamo mettersi d'accordo un sacco di volte, però in generale si sa. DENTRO LA CASA CHE COSA E' PERSONALE E CHE COSA E'
COLLETTIVO ? QUI OGNUNO DARÀ LA SUA RISPOSTA, VOGLIO DIRE CHE COSA PERCEPISCI NELLA CASA COME SOLO TUO, NEL SENSO CHE SE VAI VIA TE LO PORTI APPRESSO E CHE COSA E' DI TUTTI, QUINDI RIMANE, AL DI LA' DI TE ? CICCI. per me dal momento che vivi in una casa, tutto
diventa di tutti, cioè chiaramente vivi nello stesso ambiente, usi le stesse cose, cioè se io voglio regalare un barattolo di pomodori a Tizio glielo regalo, idem fanno gli altri, cioè questa cosa qui secondo me è fondamentale perché se arrivi veramente ad avere una separazione diventa impossibile, poi per quanto riguarda i soldi, è vero che ognuno c'ha le sue attività, i suoi soldi, però in un certo senso, almeno personalmente, la cassa comune non è molto importante, perché ad esempio, io vado a fare la spesa, non ci penso che devo dividere i soldi della spesa, per me è una cosa molto naturale, non chiedo i due terzi di quello che ho speso, chiaramente se sono le ultime cinquantamila lire e poi ho finito i soldi e mi servono le diecimila lire per andare a telefonare o per comprarmi le sigarette alla fine è chiaro che li chiedo. Secondo me deve essere gestita così una situazione comunitaria; se devi affrontare una grossa spesa è chiaro unisci gli sforzi,
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però se c'ho la possibilità di comprare qualcosa lo faccio, poi...l'importante è capire insieme quali sono le cose importanti da fare, per quanto riguarda la casa, poi gli spazi vengono divisi in maniera uguale per tutti, cioè libero accesso a tutto. C'E' UN'ALTRA COSA CHE ERA VENUTA FUORI PARLANDO CON
MILENA, LEI VEDE QUI IN CONFRONTO ALLA CITTA' UNA FORTE DIVISIONE SESSUALE DEL LAVORO, LA SUA ESPERIENZA A SIANO E' CHE LEI COME DONNA PIÙ FACILMENTE RIMANE ALL'INTERNO DELLA CASA A SVOLGERE QUELLE FUNZIONI TIPO PREPARARE DA MANGIARE, FARE LE FACCENDE DOMESTICHE, -LEI E' UNA DONNA INSIEME A DUE UOMINI QUINDI E' PIÙ FACILE CHE SI CREI QUESTO SQUILIBRIO-, E GLI UOMINI INVECE SONO APERTI PIÙ VERSO L'ESTERNO, VERSO ALTRI TIPI DI LAVORO. LEI DICEVA CHE SE NON SI IMPONEVA, RISCHIAVA DI RIMANERE TAGLIATA FUORI DA UN CERTO TIPO DI LAVORO CHE COINVOLGE LA FORZA FISICA. LA DOMANDA E' SE INDIVIDUATE PURE VOI QUESTA SORTA DI DIVISIONE SESSUALE DEI RUOLI OPPURE NO, E INTENDO SIA DAL PUNTO DI VISTA PERSONALE, CIOÈ' LA VOSTRA ESPERIENZA, SIA COME VEDETE GLI ALTRI. SABINA. io penso che c'è qualche eccezione, però se
c'è da spostare la sabbia da qui a Torricelle, anche se io mi offro per aiutare, non interessa, perché viene qui Enrico a chiedere se c'è Cicci e se non c'è, ciao core!, un altra volta! Anche se qua in casa anzi, io non sono una brava casalinga, non cucino tanto, qua si divide più o meno, però certe cose gli uomini delle case preferiscono farlo tra uomini, sennò una si deve imporre ed io mi impongo spesso, perché poi a me piace più fare questi lavori, spaccare la legna, gli animali, stare fuori, mi piace molto di più che fare le cose a casa, pulire, preparare da mangiare non mi piace tanto. CICCI: l'importante è che non ti senti relegata ad un ruolo. SABINA: no, non mi sento relegata ad un ruolo, però vedo questa diversità dei ruoli legata al sesso. TI SEMBRA UNA COSA NATURALE, CHE VA BENE COSI'? SABINA: no, non mi va bene. CICCI: io penso che faccio
tutti i miei sforzi per renderla partecipe di tutto. Io ad esempio con lei a volte c'ho la preoccupazione che la considero...a parte che è tozza, cioè c'ha forza, con lei non mi creo questo problema...bene o male è una donna però allo stesso tempo c'ho piacere che facciamo le cose insieme, la legna, anche i lavori pesanti. SABINA: però lui preferisce andare a fare la legna con
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Lucio, Walterone, è chiaro... CICCI: non nel senso culturale...nel senso che a me a volte fa piacere trovarmi con amici uomini, non mi capita spesso, come penso che a te può far piacere fare delle cose con delle donne che non ti capita spesso, ti capita più di me perché c'è Rossella, però questo non ti esclude a priori, non trova in te un...ostacolo, assolutamente no. QUINDI TU DICI CHE LA DIVISIONE SESSUALE DEI COMPITI
E' PURE BELLA PERCHÉ TI DA LA POSSIBILITÀ DI TROVARTI UOMINI CON UOMINI E DONNE CON DONNE. CICCI.: per certe volte è buono, non lo so siccome non
mi capita spesso, come pure a lei credo, però queste cose qui sono al di fuori di una differenza dei ruoli, per quanto riguarda la casa facciamo tutti indistintamente le stesse cose, io mi ritrovo con lei a fare le stesse cose, a lavare i piatti e lei magari spacca la legna in quel momento lì, oppure lei sta nell'orto ed io faccio da mangiare, io vedo molto interscambio...SABINA: ma anche io! Ma io noto tra tutti, anche tra le altre case, queste cose. ECCO SECONDO VOI, VALUTANDO ANCHE TUTTI GLI ALTRI CI
STA QUESTA COSA? SABINA. si, penso di si. CICCI: io non lo so perché
dovresti viverci. SABINA: ma c'è l'esempio della sabbia da portare a Torricelle, c'era Enrico col Pasqualino, è venuto qua, ha detto: "c'è Cicci?", no, non c'è, "cazzarola!", se n'è andato e ha fatto da solo, io ho detto "vabbè ti aiuto io", lui "ma no, è una cosa un po' grezza, poi si tratta di spingere, di cosa, e poi intanto viene Angelo...", cioè Angela neanche è presa in considerazione, Angelo e Cicci, non dico positivo o negativo, ognuno poi ha delle preferenze. MARIA: magari gli andava di lavorare con Cicci. ENRICO: spinge il pasqualino io non ce l'ho fatta! SABINA: io non mi sento mica offesa, lei mi ha fatto una domanda, secondo me c'è la divisione dei lavori tra uomini e donne...ENRICO: e secondo me c'è, e certo, per forza. MA E' UN BENE O UN MALE ? ENRICO: secondo me è un bene perché è naturale, perché
voglio dì, se tu ti fai un bucio de culo così per spaccare tre ciocchetti e ce metti sette ore oppure per portare su il troncone così dalla macchia...QUALCUNO:
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vabbè! ENRICO: che vabbè, quella sta a morì la e io magari sto a lavà i piattini, se non torna io vado là e dico...DANILO: è una questione di tempo. ENRICO: si, tempo...sei giovane! DANILO: sono femmina... ENRICO: lei zappa, vanga, semina, fa...MARIA: non sono handicappata, però come fa lo sformato di pasta...ENRICO: porta su una cofana de cemento, Maria fa così CICCI: se ci sono degli automatismi va bene perché partono in maniera naturale, senza forzature, cioè senza bisogno di dire" no, vado io perché" si crea ed è uguale, non ci deve essere poi il problema che tu fai sempre le stesse cose e l'altra persona fa tutte le altre cose, l'automatismo scatta così, l'importante è che c'è coinvolgimento iniziale, questa volontà di dire "allora cosa c'hai voglia di fare, facciamo questo, facciamo quest'altro?". Quando vedo che lei sta facendo una cosa fuori, a me automaticamente mi viene...siccome lei è più regolare di me, a un certo punto gli scatta una fame mostruosa, io mi trovo magari a casa a pulire e faccio da magna', è automatico, lei parte prima a fare una cosa nell'orto o dietro casa...e viceversa. Quelli sono automatismi, cioè cose che si creano al momento, poi il discorso che facevi tu prima, te lo ripeto, si creano questi gruppi, però...tu secondo me sei pure un caso particolare perché sei una donna forte, la forza ce l'hai, alzi i ciocchi come li alzo io. Io me li creo dei problemi rispetto a te perché quando c'è da fare dei lavori mostruosi, dico ce la fai, sforzi troppo, però, quando vedo che c'hai voglia, andiamo avanti insieme a fare quella cosa lì...ENRICO: l'altra volta abbiamo provato ad alzare un travone io e Maria, tu lo alzi e vedi Maria che fa "Ohh", fai no, quando sono venuti lui e Angelo abbiamo tirato su il travone. VA BENE, CI SONO DELLE COSE CHE RIGUARDANO PROPRIO LA
NATURA FISICA E MICA GLI PUOI ANDARE CONTRO. ENRICO: io per dirti faccio da mangiare e mi
accontento, magari faccio il troiaio, lei c'ha la fantasiona che magari ce so tre cose, se mette là...MARIA: per me la cosa più bella è fare le cose spontaneamente, i ruoli trovarli spontaneamente, se si può parlare di ruoli, poi fandamentalmente riuscire a fare le cose che ti piacciono di più in armonia con gli altri, poi è chiaro che se sei costretta fai anche delle cose che ti piacciono di meno, un sacco di cose, non riesci a fare solo le cose che ti piacciono, però secondo me è bello muoversi in armonia, che ognuno trova
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il suo posto dove si riesce ad esprimere senza guardare se è femminile o maschile, senza cadere negli schemi. SPESSO PERO' TI RITROVI A FARE UNA COSA PERCHÉ SEI
DONNA, NON COSI' SPONTANEAMENTE, MA PERCHÉ C'E' LA CULTURA ALLE TUE SPALLE. MARIA: si, questo è vero, però se io sto bene non mi
devo preoccupare, capito, l'importante è una tranquillità, neanche farsi troppo condizionare dagli schemi, da quello che è stato imposto o invece da quello che scegli veramente, se io poi so che la cultura c'è perché io non posso cancellare tante cose, certo ci posso lavorare, poi però le basi sono quelle, però mi sento bene, riesco ad esprimermi, mi va bene, non mi posso stare a fare le seghe, capito?, su sto fatto che è un ruolo imposto, è un ruolo che mi trascino culturalmente,. questo è vero perché magari tante cose le fai automaticamente, forse non te ne rendi nemmeno conto, però io credo che anche un metro, perché non è facile poi misurare quanto lo fai perché ti va, quanto perché sei già in uno schema, forse il metro è anche sentire quanto ti da piacere fare una cosa, quanto ti da tranquillità, senza stare lì a dire "oddio questo è il femminile oppure io non vengo inserita nei discorsi maschili", cioè voglio dire se stai bene... VOGLIO DIRE CHE IL DISCORSO ERA PARTITO DA UN PROBLEMA
CONCRETO CHE SENTIVA MILENA A SIANO, LEI MI DICEVA "IO MI SENTO ESCLUSA DA DEI LAVORI, DELLE COSE CHE GLI UOMINI FANNO MEGLIO E CHE E' NORMALE CHE LE FANNO SEMPRE LORO ED IO MI RITROVO A RIPRODURRE IL QUOTIDIANO, CUCINO, SPAZZO..." MARIA: ma lei quanto fa per inserirsi? LEI DICE "IO DEVO SFORZARMI", INFATTI VENIVA FUORI
QUESTA COSA, DI UNA PERSONA CHE SI RENDE CONTO CHE NON GLI PIACE TANTO QUELLO CHE FA E DEVE FARE UNO SFORZO MOLTO GRANDE PER RIUSCIRE AD IMPORSI, A PASSARE IN DEGLI AMBITI DAI QUALI NATURALMENTE VERREBBE ESCLUSA SE NON FACESSE QUESTO SFORZO DI RIFLESSIONE ED IMPOSIZIONE, NO IMPOSIZIONE ,MA PRESENTAZIONE, OFFERTA DELLA PROPRIA CAPACITA'. QUINDI GIA' PARTIVAMO DA UN LIVELLO DI DISAGIO. POI E' CHIARO, SE UNO STA BENE DOVE STA... ENRICO: infatti la cosa fica qual'era, quando sono
venuti i genitori di Maria, che è capitato, andiamo a
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potare gli ulivi, al chè siamo partiti io, Maria, il padre e la madre e lì vai tutti quanti, il padre che mi diceva:" taglia quello lassù", io salivo, tagliavo, lui tagliava quelli bassi e loro raccattavano le fascine, poi tutti a portare le fascine a casa, poi arrivati a casa, allora io che preparavo la tavola, Maria che lavava i piatti, la madre che impastava la pasta per fare le fettuccine, il padre che cucinava il pollo arrosto, però generazioni diverse che non è che se parlava de femminismo, no, loro proprio normale, però ce vole l'apertura, tu fai le fettuccine, io penso al pollo, te cucini, io lavo i piatti, te scopi, io passo lo straccio, spaccamo la legna e portamo su pure il cioccone, però tranquilli, non è che recludi, no allora questo tu non lo fai, no se ti va di farlo lo fai , quello va bene; però quando vedi che te stai a distruggere, dici "io non ce la faccio", magari fai un altra cosa che ti viene meglio, io per dire mi metto a rammendare le calze faccio i blocchettoni che quando te metti la scarpa sembra che c'hai un sasso dentro...magari lei fa za, za, Za fatto, al che dici "te va de farlo?". poi "no, non mi va, te lo fai" o se a lei gli piace fa quello...(tutti ridono, Maria soprattutto) MARIA: sembro una grandissima rammendatrice!! ENRICO: però se ce da spinge la macchina che non parte, non è che me metto dentro e dico" Maria spingi"!!. MARIA: poi è anche un fatto di relazione con le
persone , per esempio se io fossi con mia sorella, in un ruolo paritario di donne, come sesso, mi piacerebbe offrire un aiuto a lei perché ci tengo, c'è anche questo discorso affettivo a volte, se tieni ad una persona, a volte ti carichi anche di una cosa per fare un gesto, non so, magari è un altro discorso. ENRICO: la superiorità è "no, non lo fai perché non sei buono", invece c'è anche il discorso che dici lo faccio io, non perché sono più forte ma per risparmiarti una cosa, come quando vai a piglia' un amico alla stazione, gli levi la valigia e gli dici "la porto io" ,quello non ti fa" no, ce la faccio!". Soprattutto quando abiti insieme e c'è un certo affetto, per esempio lei cerca di farmi trovare il caffè pronto ma non nel senso io ruolo donna, te sacro uomo ...oppure io cerco di fargli le sorpresine tipo cambio la finestra, metto apposto il tetto, fai trovare la legna tagliata...poi quando nascono quelle cose che si diceva prima, lì te scazzi, litighi e fai "oh, famme spacca' la legna", e vai, lei ha imparato ad accendere il motorino dell'acqua, all'inizio fai ah, ah, ah, però se capita che io non ci sto e stai sola...
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MARIA: a noi c'era preso qua, questo fatto col motorino dell'acqua, con quello in particolare ma anche con tante altre cose, perché dici, qui va a fuoco qualcosa e te magari devi spegne l'incendio, sono quelle situazioni estreme e non puoi perché il motorino, no lo devo superare sto fatto, perché sto motorino qua è inguastito, e tante volte , per dirti poi quanto la cosa è andata avanti, viene Rossella e mi dice che è riuscita ad accenderlo, invece io magari sono andata di là, un motorino più morbido e mi riesce meglio, proprio perché su certe cose c'hai l'esigenza di avere un'autonomia, però su altre che proprio non ti risulta, è anche una scelta, non ti ci avvicini se non sono indispensabili, oppure necessariamente non ti ci relazioni, delle cose che fanno parte dell'autonomia, non è che su tutto io mi sono rapportata, mi rendo conto, c'è anche a volte un adagiarsi; magari su certe cose ti senti che necessariamente vuoi raggiungere un risultato, uno scopo, in altre forse...ti piacciono di meno, te stanno meno simpatiche, tanti motivi per cui ti adagi sul fatto che lo sanno fare altri, pure questo mi capita, non c'ho questo fatto che necessariamente su ogni cosa devo essere autosufficiente, io per esempio questo non ce l'ho, su alcune cose si, su altre magari non mi creo nemmeno troppi problemi, me le vivo tranquillamente, anche perché se poi sento l'altro tranquillo... SENTI CHE NON E' UN ESERCIZIO DI POTERE... MARIA: infatti per me il problema è quando c'è la
competizione, che l'altro ti fa pesare il fatto che lui ci riesce e scattano sti meccanismi, allora a me non mi interessa, perché su sto campo le cose mi rimbalzano però non mi piace come situazione; se invece sto in una situazione tranquilla in cui non diventa appunto un esercizio di potere, mi sta bene, lo fai te, sto tranquilla, poi magari ti trovi in una situazione di difficoltà allora ti impegni per risolverla. IO FACEVO QUESTO DISCORSO PERCHÉ IO VENENDO QUI HO
SENTITO TANTISSIMO LA DIFFERENZA CON LA CITTÀ DOVE BENE O MALE GLI UOMINI E LE DONNE FACEVANO LE STESSE COSE, IL FATTO CHE NON SI METTESSE IN GIOCO LA FORZA TI RENDEVA MOLTO SIMILE, NON SI SENTIVA LA DIFFERENZA.. POI ARRIVATA QUI HO SENTITO IL BISOGNO DI SAPERE DI POTERE STARE QUI PURE DA SOLA, CHE POSSO ESSERE INDIPENDENTE, QUINDI HO IL DESIDERIO DI SAPERE FARE TUTTO, PURE LE COSE CHE MI SONO DIFFICILI FISICAMENTE...
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ENRICO: oggi parlavamo di Gabriella che ha abitato da sola per tre anni a Folignano... QUESTE SONO COSE CHE MI FANNO RIFLETTERE PERCHÉ SONO
ECCEZIONI, SONO DONNE ECCEZIONALI, CHE PERCEPISCO COME DONNE ECCEZIONALI... GIANMARIA: eccezionali, che sono di famiglia...lei è
bergamasca, sono già montanari, hanno già l'impostazione... CICCI: secondo me a parte il motorino dell'acqua che
in ogni caso se ci vai tre o quattro volte, qualsiasi donna sarebbe in grado di accendere il motorino, oppure ci sono delle cose tipo il pasqualino che sono complicate per tutti, però penso che ...io mi ricordo i primi tempi che stavo in Umbria, me sentivo un imbranato che veniva dalla città e che non sapeva e non conosceva niente, per esempio portavamo la cariola che era sbilanciata, che magari la forza ce l'hai più di una donna però ti cascava lo stesso la roba, perché tu non sapevi come portare la cariola, poi arrivava il contadino di sessanta anni, uno davanti ed uno di dietro con le cariole e lui "si fa così!", poi passa un anno, passa due anni, passa tre anni ,e alla fine ti rendi conto che certe cose anche con minimo sforzo le fai, anche tagliare un ciocchetto con l'accetta, i primi tempi...poi alla fine, tac...e poi mungere sanno mungere tutti, l'orto sono in grado di farlo tutti, piantare dei pali pure, poi non è che tutte le volte ti ritrovi ad alzare i cosi di cemento da cinquanta chili, per cui il fatto lo dimostra che le donne qua in campagna fanno molte più cose degli uomini, io ho lavorato il tabacco per un sacco di anni e loro facevano le stesse cose che facevano i mariti, più cucinavano e facevano ste cose qua. Sta grossa cosa dei ruoli poi nell'ambito della campagna, mi sembra anche un po' un'assurdità, poi magari l'uomo guida il trattore perché culturalmente è più portato ai mezzi meccanici, però anche lì la donna è in grado di portare il trattore, però poi è una cosa automatica che tutti e due accettano serenamente. L'altra volta mi sono trovato a parlare con Laura di macchine, e lei ad un certo punto mi ha detto " ti rendi conto che stai parlando con una donna?", ed io lì per lì ho detto " Boh!, la patente ce l'hai te, non ce l'ha il tu marito!". Senno' nella campagna vissuta nel senso tradizionale la donna fa gli stessi lavoro dell'uomo e sicuramente di più. Noi veniamo da situazioni diverse, siamo gente giovane, cresciuta...l'abbiamo anche
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criticati i nostri genitori, io non credo che tra noi tutti qua che viviamo sul Peglia ci sia gente inquadrata negli schemi, si forse le famiglie con tre figli, tre o quattro figli, però è vissuto serenamente. MI RACCONTI LA STORIA DELLA CASA, TU CHE STAI QUI DA
PARECCHI ANNI, COME SEI ARRIVATO QUI, COME HAI CONOSCIUTO QUESTO POSTO E COME ERA PRIMA. CICCI: io sono arrivato qui nell'83 e mi ha
affascinato una mia amica di Milano che parlava di un posto dove c'era un sacco di gente, che era più grande di me all'epoca, perché io quando sono venuto qua avevo ventuno anni e loro ce ne avevano almeno dieci più di me, i primi, avevano fatto il '68 o lotte politiche, queste persone che poi ad un certo punto hanno deciso...si è creata questa voce che su un monte dell'Umbria c'era tanta gente che viveva in campagna, era interessante perché non era la solita famiglia tradizionale di campagna, era gente come noi, poco più grande, che aveva fatto delle esperienze. Io a Pisa avevo studiato, avevo fatto una scuola di analista chimico-biologo, ho finito nell'80, ho fatto due domande di lavoro, erano anni in cui mi trovavo abbastanza bene, Pisa non è una città caotica, è tranquilla al contrario di Roma come diceva Sabina prima, non s'avverte questo flusso delle macchine, la non natura, pure da una parte c'è il mare, dall'altra i monti, per cui non era quello che m'ha spinto a venire qui. Quello che m'ha spinto era innanzi tutto che c'era una persona amica ed un'aggregazione di amici, per cui a me andava di vivere con Sergio, con Lori, con Susanna stessa: Siamo andati a vivere tutti insieme, a me piaceva molto questa dimensione di amici che vivevano in comune, in campagna, per cui questa cosa qua m'ha catturato. Poi un senso di libertà, la possibilità di conoscere...io la campagna la conoscevo perché c'ho degli zii dalla campagna, per cui m'è sempre piaciuta. E' stata una cosa che al contrario non m'era sconosciuta, e sono tutte componenti che si sono sommate, vivere in campagna mi piaceva tantissimo, con gli amici ancora di più e così è incominciata la nuova avventura. Poi da lì, piano piano, i primi tempi sei un po' imbranato, poi impari come si zappa, come si semina, questo c'è voluto un po' di tempo come ho detto prima e poi...sono rimasto qua! CHE T'E' PIACIUTO DI QUA?
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Il fatto che alla fine non sei isolato, ci sono gruppi di persone, che hanno la loro energia, tu hai la tua, avviene uno scambio quando ti vedi qua sul Peglia ognuno di noi è legato è legato alla situazione del Peglia delle case occupate, io penso che se un domani su 50 persone ne andassero via 45, le altre 5 che rimangono si troverebbero come... forse andrebbero via. A parte il fatto dell'amore per la campagna che rimane, secondo me questi sono posti molto difficili per viverci, devi lottare, a partire dall'acqua...anche se sei abituato ormai da anni, c'è un po' di isolamento, noi non viviamo isolati in realtà, viviamo abbastanza insieme, perché nel giro di queste quindici case c'è sempre qualcuno che va a trovare qualcun'altro nell'altra casa, per cui c'è sempre questo scambio, questo confronto, di mangiare insieme, di suonare insieme, comunque di creare qualcosa che è importante; se rimani da solo qui perde un po' il senso, io penso che noi culturalmente siamo portati a vedere continuamente gli altri, le altre situazioni, l'altra gente, non siamo fatti per vivere isolati, per cui c'è questa grossa forza, questa energia. COM'ERA QUANDO SEI ARRIVATO QUA ? CI SONO DELLE GRANDI
DIFFERENZE RISPETTO AD OGGI ? TU PRIMA DICEVI CHE LA GENTE CHE HAI TROVATO QUI ERA GENTE CHE PRIMA AVEVA FATTO DELLE ESPERIENZE POLITICHE E AVEVA UNA CERTA CONNOTAZIONE... Io sono arrivato un attimo dopo, diciamo, c'era gente
che veniva soprattutto dal nord Italia, Gianmaria è uno di questi per esempio; tutto è partito da Baglioni, era una fase critica, dal 77 son pure cambiate tante cose, c'era anche una sorta di stancamento, una sorta di controcultura rispetto a quello che si poteva prospettare nelle città, un cambiamento comunque sempre, perché la campagna non la ritengo un posto di isolamento, di abbandono. Qua le lotte ci stanno, politiche pure, per cui non lo vedo un rifugiarsi, ma anche una possibilità di aprire nuove porte, magari non direttamente facendo politica, ma la politica la puoi fare anche stando qui, la gente vede che ci sono delle possibilità di vita alternative, per cui...e questa gente ha fatto lo stesso e lo ha dimostrato sulle case, c'era gente che alzava proprio le case, i ruderi, questa casa è una dimostrazione, Torricelle c'abitava pure Adelio che era uno che lavorava giorno e notte, c'avevano una carica molto forte, era gente molto tosta, quelli che ho conosciuto. Comunque questa qua è stata
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una costante, anche la persone che sono venute dopo, fino ad adesso, giovani, giovanissimi...e secondo me è ancora più difficile rispetto a dieci anni fa, però totalmente convinti e determinati nel costruire e nel portare avanti certi discorsi, secondo me è rimasta costantemente questa determinazione. DIECI ANNI FA C'ERA MOLTA PIÙ GENTE DI ADESSO? Si, ce n'era di più, ma io mi ricordo che cinque o sei
anni fa c'è stata una curva in basso che eravamo rimasti proprio pochissimi, che ogni casa se ne contavano uno o due, tre e non erano tutte occupate. Invece poi c'è stata questa impennata, io penso perché le città negli ultimi anni sono diventate veramente caotiche. Però non penso che questa gente se l'è vissuto come un rifugio, secondo me il Monte Peglia non è un rifugio, perché è difficile viverci, la gente che ci sta l'ha presa nella maniera buona, ci vuole vivere, ci vuole stare e c'ha tanto da dire, sia al livello...sono belle queste cose del teatro che fate voi, la gente che suona, tutti questi messaggi che non sono tipici della campagna qua, però sono tutte dimostrazioni...la gente si diverte. Chi vive da un po' qui non se ne rende nemmeno conto, ma chi viene dall'esterno...c'è un amico di Enrico che è venuto, poi la settimana dopo è ritornato, ha detto " l'Umbria non è così lontana ", lui fa il fisioterapista ed è stato proprio catturato, ste cose qua se uno cerca di porsi dall'altra parte, magari tu che ci vivi giorno e notte con qualsiasi situazione di casa e la vedi in questa maniera, se però tu vedi che insomma ste cose che ti vengono dall'esterno sono positive, certe volte ti fanno pure pensare che c'è questa energia; però secondo me rispetto all'ultima domanda che facevi sia prima che c'era questa grossa impennata di gente che aveva fatto politica attiva in città, tanti anche che si vivevano esperienze...erano tossici pure, sono venuti qua e hanno proprio sbarrato la strada...sono diventati regolari, nel senso che hanno smesso, hanno trovato un motivo in più, bello. Questa cosa qua si è mantenuta costante nel corso degli anni, tranne appunto cinque o sei anni fa che proprio dovesse finire. DIECI ANNI FA QUESTO FENOMENO DI ANDARE A VIVERE IN
CAMPAGNA ERA PIÙ ESTESO, C'ERANO ALTRE ESPERIENZE SIMILI A QUESTA ? PER DIRTI IO SONO VENUTA A CONOSCERE IL MONTE PEGLIA PROPRIO PER CASO, NEL SENSO CHE A ROMA TRE ANNI FA NON SI SAPEVA PROPRIO CHE C'ERA GENTE CHE VIVEVA IN
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QUESTO MODO IN CAMPAGNA, IO PENSAVO CHE ERA UNA COSA CHE C'ERA STATA NEGLI ANNI SETTANTA E CHE POI ERA FINITA. ENRICO: quando sono venuto io era uguale, ciocchi la
cosa e fai "seh!!! là c'è tutta questa gente?!". CICCI: a me quando questa amica me ne ha parlato io me
lo sono immaginato, era una bella immagine, poi alla fine averci il contatto diretto ti da una forza, in città sei più... non perché sei diverso, però ci stanno troppe cose che ti possono un attimo allontanare, invece il fatto di averci dei nuclei che vivevano nello stesso posto a me mi ha affascinato, che stai a parla e parli veramente una sera, non è che suona il telefono oppure vai fuori...e a me questo mi affascinava e tuttora devo dire a distanza di anni mi affascina questa cosa. Poi chiaramente c'è pure la vita individuale... COME ERA QUESTA CASA ALL'INIZIO? In questa casa sono nove anni che vivo, allora era
così, sono stati fatti dei lavori, è stato fatto il bagno, sono state fatte le finestre. Prima di noi c'era Valerio, c'era Gianmaria e hanno fatto due stanze sopra, il camino, loro hanno fatto i lavori grossi... L'HANNO TROVATA CHE NON ERA UNA CASA Loro l'hanno trovata che era una stalla, c'era il
letame e loro...non so quanti anni fa, quattordici anni fa, eh Gianmaria.. GIANMARIA: era una stalla qua c'era la legna, il letame alto così, le mucche che dormivano di sopra, le chianine e per mandarle via!! CICCI: sono arrivati i capelloni ed hanno deciso di farci una casa! GIANMARIA: poi piano si sono ritirate e noi abbiamo cominciato... MA SANT'ANTILIA ERA GIA OCCUPATA? GIANMARIA: si era pieno, e pure qui era un centro, qui
c'era l'accettazione!, abbiamo vissuto pure in dodici, io, Gianmaria, gli Adams, Barbara, Jacopo, cinque bambini e sette adulti. ENRICO: prima c'erano proprio due squadre di calcio, Ospedaletto contro San Venanzo, maschili e femminili...CICCI: però potenzialmente questa cosa è possibile anche adesso, mentre cinque o sei anni fa, per farti capire si poteva essere in difficoltà a radunare undici persone per fare una partita contro, che ne so quelli di Marsciano, adesso è possibile di
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nuovo...e speriamo si faccia veramente, che ci sono sia le donne che gli uomini, c'è stato un periodo...adesso è bello che sono ritornate, ma allora non c'era più nessuno tranne Angela che era proprio disperata, a volte ci trovavamo a Fontanelle in dodici, quindici ed era sempre l'unica donna. SECONDO VOI PERCHÉ C'E' STATO QUESTO CALO ? ENRICO: sono cicliche le cose, tu arrivi, capisci come
è, te rendi conto, scegli o rimani o vai via, nel mentre arriva altra gente...CICCI: della gente che era storica, tipo Michele delle Sorbare o Adelio di Torricelle, dopo che hanno fatto famiglia hanno cominciato un po'..., no a sbarellare però un po'...Michele è un po' sbarellato, s'è trovato un attimo stressato nella nuova situazione familiare per cui non si ritrovava più alle Sorbare con la famiglia, con questa nuova identità, questa nuova vita, a gestirsela stando qua. ENRICO: ma poi sono diventati antroposofi, troppo dentro nella storia e allora per mandare i figli nelle scuole antroposofici, dicevano "la più vicina è ad Arezzo, allora vado ad Arezzo", Adelio, Michele, altri invece basta...CICCI: all'epoca è stata una cosa che ci ritrovavamo ad una festa in dodici ed eravamo tutte le case, eravamo proprio zero, quelli de coccio, il discorso che si faceva costantemente "certo siamo proprio in pochi" e tutte le volte si facevano i conti, al Cartufolo due, Messaie vuota, Siano mi sa che non c'era nessuno, perché Gianni e Pino sono arrivati che Fiorenzo era già andato via, sono arrivati un po' a cavallo di questa situazione, o forse un attimo dopo che già era arrivata un po' di gente. Comunque secondo me è stato un periodo che ha coinciso che un sacco di queste persone se ne sono andate e non c'è stato ricambio, non capisco perché. FORSE ERA FINITA LA COMUNICAZIONE CON LA CITTÀ ? ENRICO: e chi ha mai comunicato con la città? Non devi
comunicare con la città, ci sono quelli che cioccano...CIOCCANO SE VENGONO A SAPERE ENRICO: se glielo dici pare... vedi quando tu parli
con quelli di città, alcuni rimangono..." seh, una ficata!", oppure i politici allora però voi, la politica, alla fine te ne vai, quegli altri ti dicono che non ci potrebbero mai vivere, come fai, io vivo in città, ma che scherzi ,senza questo, senza quello... a
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parlare...all'inizio lasci tremila indirizzi, fai le mappe e non ti viene mai a trovare nessuno, però tu spontaneamente quando vai in giro "ciao come ti chiami, dove vivi, che fai...", però addirittura a portare...che poi è uscito più volte il discorso, bisogna portare le cose alla città, ma io vado a Roma e appiccico un manifesto La Spinosa...poi se mi metto a parlare, non so che dirgli, io sto in campagna...lì parte il casino. Tanto poi chi gli interessa...intorno ad Arezzo ce ne sta un altra di situazione, ce ne stanno un macello in Italia, però non lo sai, perché come fai, stai incasinato qua, dovresti pure andare la a dire... quando capita si, gli amici, poi gli amici, poi se frequenti un centro sociale, gia lo dici ad un po' di persone, certe cose poi come le fai a spiegare, le devi vedere, quando vengono qua rimangono flesciati, finché ne parli...c'è gente che ti dice io ti vengo a trovare, ti vengo a trovare, è arrivato alle sei, poi alle nove ti fa " senti io vado perché qua è un macello", poi invece quello che è venuto una volta tanti anni fa, poi ogni tanto tra, tra tra... TU AVEVI FATTO ESPERIENZE POLITICHE PRIMA DI VENIRE
QUA? CICCI: no, niente. Stavo in Piazza Garibaldi dove
c'erano tutti. Da una parte i tossici, dall'altra i politici. Io sono un po' piccolo rispetto alla gente che la faceva, però se non altro l'aria che respiravi era quella di sinistra, certo l'esperienza da cui vengo, le persone che conoscono appartengono a quell'aria. Io ho fatto la scuola come tutti i ragazzi, alla fine ti ritrovi a confrontarti dentro la scuola, cosa faccio, come tutti faccio il concorso, la domanda, in maniera un po' automatica, la fai ma poi non lo sai se andrai a lavorare per tutta la vita, non era certo quello che volevo io; Poi dopo due anni che ho finito la scuola... mi interessava un discorso alternativo in ogni caso alla città, io mi sono un pò stancato di vivere in città. SECONDO TE IN CHE COSA E' ALTERNATIVO ALLA CITTÀ? Adesso non te lo so dire, diciamo che ti parlo di
quando io sono venuto qua, l'alternativa poteva essere sti ritmi molto più rallentati, tu parli con una persona e stai lì, non parli dentro una birreria, dentro un circolo arci, sempre con questo movimento; mi piaceva molto, mi catturava molto l'idea di poterci vivere con
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queste persone, di potersi confrontare proprio in maniera diretta, come crescita, di crescere insieme con questa idea della comune, l'ho conservata dentro di me perché a me la gente mi piace, mi piacciono gli amici, mi piace confrontarmi, la spinta è stata questa unita alla campagna e poi unita anche, ti parlo di quando sono arrivato qui, al distacco dalla famiglia, la necessità di rendersi autonomi, di cercare dentro di se la via propria. Qui c'era questa nuova dimensione lontana dalla famiglia, perché ad un certo punto della nostra vita, uno è interessato a vedere come può vivere da solo, come se la cava; a parte che lo vuole proprio perché la famiglia normale un peso te lo dà, soprattutto quando ci vivi insieme, che non puoi fare tutto quello che vorresti. Questa è stata una delle tante componenti che m'ha spinto a venire in campagna, qua sapevo che c'erano delle persone con le quali mi interessava viverci, sapevo che la campagna mi piaceva, vivevo in un posto con degli amici, è stata tutta una spinta determinante. C'era anche Susanna. Tu Susanna quando sei venuta? Mi ricordo sei venuta due giorni prima di me, che io poi v'ho raggiunto in autostop e mi siete venuti a prendere. Sei partita il ventuno di Aprile. PERCHÉ TU SUSANNA POI SEI TORNATA A PISA? SUSANNA: per me la scelta non era città o campagna,
era semplicemente che volevo venir via da certe situazioni pesanti, oltre che la situazione familiare anche altre situazioni che avevo intorno, per cui ho colto la prima occasione che mi si è presentata, non sono stata lì a riflettere la campagna, la città...io ho conosciuto una persona che aveva comprato una casa qui, qui parlava di una bella situazione qua... CICCI: più o meno i motivi erano analoghi, perché io
non è che strippavo a Pisa...SUSANNA: beh, io strippavo a Pisa invece...CICCI; a me in famiglia non è che mi facevano strippare tanto, però vuoi cercare il tuo sito, il tuo posto. SUSANNA: io ho provato, non stavo bene, però per me non era fondamentale il fatto di essere in campagna bensì di trovarmi a vivere con altre persone e senza la famiglia alle spalle, che ero piccolina, avevo ventanni. Alla fine c'erano dinamiche strane nel gruppo, avevo i problemi in particolare con la coppia che si era creata, Lori e Sergio, per cui s'erano creati degli schieramenti, per cui anche gli altri non sapevano bene più che fare, se restare o andare; loro poi sono subentrati in una casa che era già occupata, che era in
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quel momento libera, io invece son tornata a Pisa pensando che era un periodo, poi invece ho trovato la mia dimensione lì. Comunque questo è sempre stato un punto di riferimento grosso, nel senso che ho dei rapporti molto grossi, mi sento a casa, mi si continua a presentare, ogni volta che vengo qua, il dilemma :" ma cosa faccio, torno qui?". E' un dilemma costante, non escludo che non lo faccia! Mi sento idealmente vicina a questo tipo di scelta, perché vivo in città ma con altre due persone, non ho mai vissuto da sola, ho sempre vissuto con altra gente e più o meno le modalità di condivisione sono le stesse che ci sono qua, anche se è chiaro che l'ambiente cittadino è diverso, faccio una minima attività politica anche in città, come si fa qua, poi sono di base una persona instabile per cui non riesco a star ferma in un posto, ho fatto le cose più svariate, però ecco, non è che mi sento distante da qui solo perché vivo in città, anzi idealmente penso non ci sia nessuna differenza tra me e gli occupanti del Peglia, come ideali, modelli di vita; in fin dei conti pure io mirerei all'autosufficienza. MI SEMBRA PERO' A QUESTO PUNTO CHE L'AUTOSUFFICIENZA
NON CONTRADDISTINGUA L'ESPERIENZA DEL PEGLIA.. CHE NE PENSATE? IN PASSATO ERA COSI'? CICCI: in passato si. Io penso all'origine del Monte
Peglia, si veniva da lotte politiche, tra i giovani della città c'era una grossa crisi di valori, per cui mirare all'autosufficienza era proprio...rimane secondo me un capitolo giusto. Come valore, uno che mira all'autosufficienza e va avanti in quella direzione è una persona che stimo veramente tantissimo. Io non ce la faccio, cioè ce la faccio anche perché per quanto vuoi spendere qui, non è che spendi chissà quanti soldi o che hai bisogno di chissà quanti liquidi, però da quando vivo in campagna, da dieci anni a questa parte ogni tanto qualche soldino l'ho dovuto recuperare. Comunque è difficile averci un'autosufficienza totale, devi vivere di agricoltura, di pastorizia, di quello che fai con le tue mani ed è difficile. Qualcuno penso che ci riesce uguale. SUSANNA: è che stando qui devi fare i conti con la realtà della città e di conseguenza l'autosufficienza diventa un obiettivo molto lontano...- E' CHIARO CHE L'AUTOSUFFICIENZA TOTALE NON LA
RAGGIUNGI COSI' FACILMENTE, PERO' UN CONTO E' SE LAVORI IN QUELLA DIREZIONE, UN CONTO E' SE POI NEMMENO TI
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INTERESSA, COME SI DICEVA PRIMA PARLANDO DELLE DIFFERENZE. ALLORA MI CHIEDO PERCHÉ PRIMA ERA UN OBIETTIVO COSI' FORTE, COME CI SI E' ALLONTANATI POI DA QUESTO TIPO DI PROGETTO? SONO CAMBIATE LE ESIGENZE? LA GENTE E' DIVENTATA PIÙ GRANDE, HA FATTO I FIGLI? SUSANNA: gli occupanti all'inizio erano venuti qua
rifiutando a priori la città, un certo tipo di vita, per cui l'alternativa reale per opporsi al sistema tra virgolette era essere autosufficienti, non dipendere più, per cui non vado più a lavorare, non faccio più la spesa al supermercato, eccetera. Le vecchie generazioni quasi tutte se ne sono andate, sono subentrati altri tipi di persone, è subentrata anche una visione più realistica della situazione, nel senso che s'è visto che l'autosufficienza non era possibile, c'era sempre un ricambio di persone, è proprio il retroterra che era diverso, penso che la persona di quaranta anni ha vissuto un altro tipo di esperienza rispetto a voi che, per esempio, venite dalla situazione dei centri sociali. La persona degli anni '70, il rifiuto della città, veniva qui, autosufficienza, adesso invece si cerca più una mediazione, penso sia una questione di retroterra culturale, di cambiamento dei tempi, della situazioni. CICCI: io penso che il mondo esterno spinge di più
adesso che un po' di anni fa. Questa grossa spinta si avverte dappertutto. A parte queste politiche che fanno le Regioni, oppure questa grossa pressione che si è creata attorno agli occupanti, all'inizio, tranne i primissimi tempi dell'occupazione che c'era il grosso scontro culturale tra chi aveva sempre vissuto qua e i "capelloni" che venivano qui e si sono creati i contrasti, poi s'è un po' ammorbidita la situazione, son state occupate altre case, è arrivata una marea di gente, tutta mirata all'autosufficienza, ad un certo modo di vivere, erano molto rigidi, molto tosti, determinati, non avevano i soldi ma andavano avanti lo stesso, al limite mangiavano la pasta per i cani. Poi passano gli anni, adesso come ti muovi sono soldi che spendi dappertutto. SABINA: io penso che sia anche una questione di età,
se tu vieni qui a vent'anni sei responsabile solo per te stesso e basta, lo fai anche più facilmente di tirare avanti perché se ti va male non ti succede niente. Invece poi diventi più grande, vuoi fare un figlio, fai un figlio, che cresce, va a scuola, devi comprare i libri, devi comprare questo e quello, anche il figlio poi ha altre esigenze perché vuole essere uguale agli
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altri bimbi e lì diventa più difficile. Io non penso che i contadini che vivevano prima in queste case con la vita contadina se ne sono andati non perché alla fine non gli piaceva più, perché si erano stufati della campagna, io penso che se ne sono andati perché era difficile vivere qua e campare di agricoltura, essere autosufficienti, non credo che se ne sarebbero andati in massa lasciando 150 casali vuoti se non gli piaceva più, io penso piuttosto che è difficile esser autosufficienti, magari ci riesci se sei giovane e ha meno esigenze, non vuol dire che quando cresci cambiano tutte le esigenze, però vuol dire molto se hai figli, penso io. CICCI: la scuola in dieci quindici anni è cambiata
molto, parlando con la gente che ha i figli a scuola. Il mondo scolastico, i valori esterni che passano attraverso il mondo scolastico, sono cambiati molto. Quando andavo a scuola io andavamo tutti col solito vestitino, eravamo tutti uguali, si c'era quello che aveva più soldi, io ero il figlio del carabiniere, poi del bidello, che ha cambiato mestiere mio padre!! Adesso è molto più marcata anche in un bimbo di sei anni l'idea del vestito, di queste cose qua; i figli spingono e i genitori di conseguenza tante volte si fanno dei problemi, cadono in contraddizione, si sentono in dovere di comprargli certe cose per rimanere socialmente integrati. QUESTA ERA LA PRESSIONE CHE DICEVI PRIMA, LA PRESSIONE
AL CONSUMISMO. CICCI: questa sembra che non ci riguarda, però secondo
me esiste nell'aria. Però cosa facciamo di strano, ogni tanto andiamo a lavorare, mangiamo ancora la pastasciutta, rispetto...abbiamo la fortuna di non pagare l'affitto! Questo non per nostro volere, perchè non ci vogliono regolarizzare ancora. Diciamo che siamo fortunati per certe cose però rinunciamo a certe comodità, per scelta comunque, a noi sta bene di vivere così. SABINA: io penso che non si è spento del tutto il
discorso dell'autosufficienza, magari adesso si arriva a fare i compromessi, non c'è però nessuno che c'ha il lavoro fisso che va a lavorare tutti i giorni otto ore. L'altro anno ho lavorato due mesi per tutto l'anno e mi basta proprio bene, rinunciando a... poi non mi sembra che sto rinunciando a chissà che. Quello che rifiuto io è proprio il fatto di incastrarsi in quel sistema
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lavorativo che poi ti spegne anche la mente, perché tutte le energie che hai si concentrano tutte sul lavoro che fai, arrivi a casa e sei una corteccia, con nulla dentro, non c'è più niente. Io quando lavoro mi succede così, poi non c'ho più l'energia per fare le cose che vorrei fare. CICCI. però all'inizio mi ricordo, io parlo di
giovani, non parlo di me, parlo anche dei ragazzi che hanno ventanni, quando sono venuti qua, anche a Spillonchia stessa che era una casa comprata, stavamo sempre in tanti, sei sette con una macchina sola, qua eravamo in dodici con una macchina sola, quella di Sandrocchio e quando andavamo a fare le partite o a mangiare una pizza, o c'erano degli spostamenti generali di tutte le case, le macchine erano di meno di adesso, non è che ci siamo arricchiti adesso però è cambiato qualcosa che ha spinto a pensare " la macchina è importante", perché pochi anni prima questo discorso non era importante, ce n'era una che andava poi tornava indietro, prendeva gli altri e li portava là, oppure un sacco di gente si muoveva a piedi, io non penso che adesso ci siamo "imborghesiti" rispetto ad un modello di vita, non siamo più in grado di essere autosufficienti, però c'è una grossa spinta, è cambiato qualcosa in questi ultimi anni, perché il mondo corre non ce lo scordiamo, noi non è che dobbiamo stare appresso al mondo, noi cerchiamo di essere noi stessi e tutto quanto, però un po' ti colpiscono queste cose. SEMBRA COME SE ALL'INIZIO UNO ERA PIÙ UTOPICO, CI
CREDEVA DI PIÙ NEGLI IDEALI... CICCI: no, no, non era utopia, potrebbe sembrare
adesso per altra gente, perché noi più passano gli anni, più vedi una lampada a gas così...la gente sbrocca, tanti, però nello stesso tempo affascina. Io per esempio rispetto alla corrente elettrica, ero proprio stufo di non avercela, dopo anni, poi adesso mi sono un po' raffreddato rispetto a questa cosa, ora che c'è la possibilità di pagarla relativamente poco, costa due milioni, non è che c'ho la frenesia, mi sembra...si la metteremo magari... Abbiamo vissuto pure in sei con cinque macchine!
Ognuno c'aveva la sua macchina, perché quello doveva lavorare, quell'altro c'aveva da fare le sue cose...però il discorso dell'autosufficienza è possibile farlo anche adesso, però sempre in parte; io ho sempre pensato che l'attività mista era una realtà del Monte, i liquidi
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servono sempre, per qualsiasi cosa, pure se sei la persona che proprio non c'hai i vizi, però...attività mista nel senso che fai quei due o tre lavoretti l'anno, per il resto se c'hai gli animali, l'agricoltura, però devi essere un tipo veramente forte. L'alternativa non è il lavoro fisso, al contrario, però insomma ti fai quei lavoretti l'anno, oppure ti inventi qualcosa da vendere o c'hai gli animali, ecco così puoi vivere, puoi vivere pure bene, normalmente, perché sostanzialmente non manca niente qua, quando hai la legna per scaldarti, la fonte di luce, il posto fresco per tenere la roba d'estate... IO CERCO DI METTERE IN RELAZIONE LA NOSTRA STORIA CON
QUALCHE PRECEDENTE. PENSO CHE NEGLI ANNI SETTANTA C'ERA UN MOVIMENTO PIÙ GRANDE DI ABBANDONO DELLA CITTÀ PER VENIRE IN CAMPAGNA. ALLORA VI CHIEDO SE SECONDO VOI C'E' UNA SORTA DI RETROTERRA CULTURALE AL QUALE NOI FACCIAMO RIFERIMENTO, TIPO LA CULTURA HIPPY, PERCHÉ' CI SONO STATI MOMENTI STORICI IN CUI QUESTA COSA CHE FACCIAMO NOI COINVOLGEVA PROPRIO TANTA GENTE. CHE COLLEGAMENTO C'E' TRA NOI E QUESTO PASSATO? LA CATEGORIA "FRICCHETTONI" CHE SIGNIFICA SECONDO VOI? VI CI RICONOSCETE ? CICCI: si, non sono un fricchettone però questo
retroterra culturale dei fricchettoni mi appartiene. IN CHE COSA CONSISTE? CHI E' IN FRICCHETTONE? CICCI: tutti quei valori di amicizia, di stare bene
insieme, di solidarietà, di gene che vuole certe cose, che combatte l'ingiustizia, che vuole la pace oppure...tutte queste cose qua secondo me ci appartengono, è il nostro retroterra culturale, a partire da quei movimenti politici, studenteschi, le varie religioni, i vari misticismi, l'India, anche se poi non sei uno che se li vive nella sua...che ne so, si immagina il fricchettone coi capelli lunghi , con la striscetta in testa, coi fiori in mano e il cylum e tutto quanto, però sono tutte componenti che io per lo meno mi riporto dietro. SONO QUINDI I VALORI DELLA SOLIDARIETÀ, L'AMORE PER
GLI ALTRI, IL DESIDERIO DI PACE E DI GIUSTIZIA....
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CICCI: il misticismo, tutte queste filosofie indiane che ci hanno sempre appassionato, io penso che queste cose rimangono, uno quando cresce in un momento...che ne so' mio padre ha fatto il carabiniere, anche se è una bravissima persona, ha fatto ventanni il carabiniere, secondo me...poi ha fatto il bidello, è stato a contatto con i giovani, però per certe cose è rimasto...il suo retroterra culturale è radicato in certe forme...per altro coi giovani è probabilmente più aperto di me a volte... Però, dicevo, secondo me ci appartengono, anche chi ha fatto movimento politico, che è stato attivo in queste cose qui tipo autonomia operaia, se le porta dietro nelle sue manifestazioni, nei suoi modi di essere, movimenti grossi, molto coivolgenti, molto anche rigidi, tosti... ANCHE QUANDO STAVI IN CITTÀ A PISA TI SENTIVI DENTRO
QUESTO AMBIENTE ? CICCI: Io a Pisa ero così, avevo un sacco di gruppi di
gente che andavano dagli studenti, ai tossici, ai politici pure, lì ti ritrovi nella piazza, per cui conosci tutti, te li vivi tutti. Non che non abbia conosciuto gente che stava dall'altra sponda, ho pure amici che erano fascisti, c'avevo gli scazzi però...forse c'avrei più scazzi adesso che vivo in campagna, pure perché mi tengo informato lo stesso, mi interessa documentarmi, mi interessa sapere, il mondo esterno mi interessa perché ci vivo, il mondo è uno, non è il mondo esterno e il mondo interno, il mondo è uno e anche se... la mia opinione me la faccio, se c'è da fare qualcosa, non solo per noi ma anche per il resto...mi interessa insomma. SABINA: anch'io mi riconosco fricchettona, però non ho
questo spirito provocativo, rivoluzionario, a me non me ne frega niente di... non, non posso dire che non me ne frega niente però non ci credo ad allargare un movimento, a fare una specie di rivoluzione, io sto qua perché ci sto bene io, non perché voglio fare la rivoluzione, come era nel '68, che proprio volevano cambiare il mondo, portare la pace nel mondo...io non ci credo! SONO VALORI CHE RIGUARDANO SOLO LA TUA ESISTENZA,
DICI? SABINA: si, è questa la differenza forse.
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INTERVISTA A FABIO DELLA VALLE DEI BURRONI (PI) RACCONTAMI COS'E' LA VALLE DEI BURRONI. Allora, io sono arrivato nella Valle nell'84, e
all'epoca in Valle era un'accozzaglia... si diciamo pure di ubriaconi, nel senso che la maggior parte, c'era una quarantina di persone solo a Gran Burrone e di queste quaranta almeno una trentina erano tutti ubriaconi, gente che beveva molto, ti posso dire che si sono fatti fuori cinquecento litri di vino in due mesi... e proprio cose assurde, che io era allucinato.
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E' stato proprio un periodo, cortissimo poi, da agosto a novembre, perché poi coi primi freddi, col fatto che l'84 era stato un anno brutto in agricoltura, c'era poca roba da mangiare, molta gente se n'è andata via ed è rimasto chi veramente voleva vivere. Si era arrivati ad avere tutta questa gente, questi ubriaconi perché chi ha occupato nell'80, i primi che hanno occupato gran Burroni, erano partiti dal presupposto... Gran Burrone è stata chiamata così perché nell'Hobbit Gran Burrone viene descritta come l'ultima casa ospitale prima delle terre Selvagge. Lo spirito doveva essere quello, di una casa ospitale, per cui accettava tutto, accettava il tossico, l'ubriacone, accettava tutti, quello in gamba, volenteroso, senza fare discriminazioni. Un pò il senso, lo è tuttora, era quello di dare la possibilità alla gente di uscire fuori da brutte strade in cui si possono ritrovare. I primi ad occupare sono stati Serge, Alberto che è di Bologna, Giovanni che è di Vignola vicino Bologna e una ragazza spagnola che non ho conosciuto e di cui non ricordo il nome. Dopo due anni, era ancora un solo villaggio, sono rimasti due anni in quattro. Poi si è aggiunto Paco, Roberto, piano piano è arrivata altra gente, fino ad arrivare all'84 che c'era occupato Gran Burrone, Piccolo Burrone, a Pastoraio ci vivevano due coppie di tedeschi e una coppia di ragazzi italiani ma così molto precariamente e Casa Santi era appena stata occupata, nel novembre dell'83. C'era una situazione così molto vaga... SPIEGAMI MEGLIO LO SPIRITO DI CHI HA COMINCIATO QUESTA
STORIA; OLTRE ALL'ELEMENTO DELL'ACCOGLIENZA CHE C'ERA? Lo spirito principale era la voglia di uscire dalla
città, di fare qualcosa di diverso da quello che ti proponeva, o ti propone, la società, per cui... per Alberto voleva dire non andare più a lavorare in fabbrica, per Giò, che era figlio di contadini, voleva dire avere un pezzo suo di terra da coltivare, coltivarlo bene, in maniera naturale, e via dicendo, non dover lavorare per i padroni. Infatti adesso a Vignola Giovanni fa parte di una cooperativa, "la falce" si chiama, hanno frutteti, lavorano la terra in maniera biodinamica e altre forme di agricoltura biologica. Lo spirito era quello di uscire dalla città, uscire da queste regole, che per forza se tu non avevi i soldi dovevi lavorare, come faccio a comprarmi la terra, io sono figlio di operai e voglio uscire dalla città, non posso, perché?, perché non ho i soldi per comprarmi la
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terra. Ora, di terra abbandonata in Italia ce n'è tantissima basta pensare che un quarto del territorio nazionale è demanio, terreno pubblico e questo quarto di territorio è abbandonato, o lasciato in mano a cooperative che fanno le peggio cose, tagli di quelli mostruosi, aziende faunistico-venatorie e via dicendo, speculandoci sopra, usando fondi pubblici per fare questo, neanche dico "vabbè, sono una cooperativa, ho mezzo miliardo, lo investo su questa cosa", no, prendono i soldi pubblici, per cui le tasse di tutti per farsi i loro guadagni, farsi le loro storie. E allora per uscire da questa storia han detto:" lo occupiamo, andiamo contro legge, però cerchiamo da poveracci di avere qualcosa". E hanno iniziato così ma non penso che nessuno di loro
si immaginava che questa storia potesse durare così tanto, era un pò un'avventura per loro all'epoca, anche perché del gruppo originario è rimasto solo Serge, che vive a Casa Sarti, gli altri non ci sono più. Poi, nell'84 dal Peglia è arrivato Mario con Rosanni e Jeff, che loro... Mario stava a Pergolla e Rosanna anche, Jeff invece stava a Sosselva, forse la più lontana di tutte, però sempre sul Peglia, nemmeno io sono mai stato lì, non l'ho mai vista e loro son venuti su perché Jeff perchè secondo lui Sosselva, poi parlerai con lui ti spiegherà meglio, si era incominciato da poco, poi avevano incominciato a prendere le capre, poi avevano cominciato tutti e sei a fare Porta Portese a Roma, a vendere formaggio, pane, prodotti biologici e da quando hanno cominciato a fare questa attività, han cominciato a fare dei soldi... Jeff mi aveva fatto un esempio, loro avevan fatto una buca dove buttavano la plastica e pensavano che quella buca sarebbero passati due o tre anni prima di riempirla, invece nel giro di cinque o sei mesi l'avevan fatta piena di plastica, perché coi soldi avevan cominciato a comprare plastica, schifezze, tutte ste cose qua che a Jeff non gli andava, almeno non era il suo spirito di vita di campagna. E allora avendo sentito parlare di quattro matti che se ne stavano in un posto sperdutissimo dell'Appennino Tosco-Emiliano è andato a trovarli, gli è piaciuto e ha deciso di fermarsi. La stessa cosa è successa a Mario e Rosanna. Per me e per molti anni la situazione è stata differente perché arrivavamo dalla città, loro erano gli unici tre che arrivavano da esperienze di occupazione, di vita in campagna, a parte Jeff che poi lui è figlio di contadini per cui lui la campagna la conosce da quando è nato. Per me è stato differente perché non solo io arrivavo dalla
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città, anche se ho vissuto parecchio in montagna sono nato a 1000 mt. d'altezza, si grandi camminate, vedevo i miei amici che avevano le mucche per cui non era così assurdo per me vedere delle mucche e delle capre però non è che ci sapevo fare. Infatti ho dovuto imparare tutto, per me c'era soprattutto il bisogno di uscire dalla città, non tanto da Torino, dove vivevo, che è una città per me bruttissima, molto deprimente, ma era proprio uscire da qualsiasi tipo di città, tutti gli amici che avevo si facevano, o di qua o di la, comunque non mi ritrovavo più da nessuna parte, io con le vecchie compagnie non mi ritrovavo più, stavo passando un periodo molto isolato a Torino, ed è bruttissimo perché in una città con un milione di abitanti sentirsi solo è peggio che stare in mezzo ad un bosco da solo, perché dici "son da solo", invece in città sei in mezzo a tanti però ti senti da solo. Allora ho smollato tutto, avevo finito l'accademia, ho
smollato il lavoro a Spoleto, al festival dei due mondi, ho smollato un sacco di cose e sono andato a vivere in mezzo a sti matti; diciamo che un pò la prerogativa di tutti era che eravamo attratti da sta gente che consideravamo un pò pazza a vivere in quella maniera, io personalmente ero attratto, poi parlando con gli altri ho scoperto che un pò tutti avevamo avuto sto approccio, questo i primi anni che non c'erano i bambini, c'era un gran caos, anarchia totale, ognuno faceva quello che voleva, nessuno era obbligato a fare niente se non quello che voleva, non c'era nessun tipo di regola, era molto libero, molto libero e così è passato il primo inverno che è stato abbastanza duro, che non ci avevamo praticamente un cazzo, non avevamo orto perché l'estate era stata disastrosa, abbiam mangiato praticamente per un inverno patate, farina di castagna e cipolle, questi gli alimenti base. QUANTI ERAVATE? Il primo inverno eravamo in cinque a Casa Sarti, poi
c'era Oco da solo a Casa Sarti, Piccolo Burrone era stato semi abbandonato, per tre o quattro mesi non c'era stato nessuno, son tornati a viverci in primavera. Mentre invece d'estate c'era tantissima gente che girava, non l'ho manco mai più vista, a parte qualcuno che poi è tornato negli anni, la maggior parte e chi l'ha mai vista? Però per me quell'inverno è stato molto importante, a me m'ha fatto vivere il posto, cioè prendere la responsabilità del posto, non ero io che
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arrivavo in un posto dove c'era della gente che sapeva fare le cose per cui dipendevo da queste persone, ma io arrivavo in un posto in cui tutti ne sapevano come me, per cui dipendeva da ognuno di noi far si che le cose continuassero, andassero avanti. E poi improvvisamente la primavera è cambiato tutto, perché sono arrivati due bambini e coi bambini è cambiato tutto. Ci siamo accorti che ci dovevamo dare un pò di regole, tipo fuma sotto il camino per la salute del bambino, tipo pulizia, igiene, pasti il più possibile regolari e poi proprio regole di lavoro, ci sono bambini quindi i tetti da mettere a posto, da aggiustare meglio perché l'inverno che verrà non dovranno esserci spifferi d'aria, tutte cose che l'anno prima proprio non ci pensava nessuno ci stava bene vivere tra gli spifferi, tra le correnti d'aria, come capitava capitava. E da li è stato sempre un crescendo. COM'E' QUESTO MODO DI VIVERE? COSA TI AVEVA
AFFASCINATO? Dei primi anni o di adesso? PURE DI ADESSO, O SE VUOI FARE UN CONFRONTO. E' stato proprio, dai primi anni ad adesso, una
crescita. Piano piano abbiam capito delle cose, ognuno di noi è maturato, è cambiato, tante volte... te lo dicevo pure l'altra sera, tante volte la gente ti dice:" meno male, mi dispiacerebbe essere come quattro, cinque anni fa" perché bene o male esperienze di vita, gioie, dolori, fregature, un minimo ti cambiamo, impari delle cose. Io in dieci anni che vivo in valle avrò visto dieci, quindicimila persone, quando l'ho detto mi ha guardato come per dire "fanfarone!", ed è vero, non lo dico più, te lo dico a te perché stiamo parlando, ma non lo dico più, perché mi fanno:" A chi la vuoi dare a bere..." Eppure mi son passate dieci, quindici mila davanti in dieci anni, e sono pare pochi, perché io faccio il calcolo che noi tutti della Valle in quattro villaggi, ospitiamo mille persone all'anno, per cui in dieci anni diecimila persone ci sono proprio tutte. Diecimila persone in dieci anni vuol dire che son passati di tutti i tipi, son passati i ladroni, sconvolti, ubriaconi, son passati genti bellissime, son passati geni musicisti, teatranti, gente di tutte le nazioni, Europa, America, Asia, gente dappertutto, da tutte le parti del mondo, così tanta gente che a volte a me viene da pensare di essere , in valle, al centro del
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mondo, nel senso che non ho bisogno di girare per conoscere la gente, basta che sto li, e continuo questa mia maniera di vivere con le porte aperte, per cui accogliendo la gente, facendo si che la gente arrivi... mi sono perso, da dove eravamo partiti? TI AVEVO CHIESTO IL MODO DI VIVERE Si, vedendo così tante persone, impari a conoscere la
gente al punto che a me basta, non dico un'occhiata, ma passarci mezza giornata per capire se di una persona mi posso fidare o non mi posso fidare, se è uno che quello che dice lo fa veramente, se è un fanfarone, un ladrone, se è uno che si fa le pere... e questo mi serve vivendo là, perché ho evitato tante volte che ci rubassero dei soldi, delle cose, perché tieni conto che la regola principale della valle, e questa qua è una regola molto dura, ma chi vive ci tiene che venga rispettata, soprattutto chi ci vive da tanto tempo, come me al punto tale che Paco, che ha vissuto in Valle per otto anni, non riuscendo più ad accettare quella regola, se ne è andato, non è andato lontano, è al Trebbio che è lì vicino, però è uscito dalla Valle, allora la regola è le porte aperte, dare la possibilità a tutti, come l'abbiamo avuta noi, di cambiare vita, se hai dei problemi di risolverli; la Valle è stato anche un punto di partenza per molta gente, che ha imparato a fare delle cose restandoci un anno, un anno e mezzo, poi è andato ad occupare, a comprare altre case, in Liguria, in Toscana, per cui una scuola, per certe cose. Quello che a me piace di questo è il fatto che conosci la gente e impari a capire la gente, è la cosa proprio più importante, anche se succedono cose che... come è successo in questi ultimi due anni, che un tot di gente di vecchi se n'è andata per vari motivi, chi per un motivo, chi per un'altro è uscita dalla Valle ed è arrivata un sacco di gente nuova e giovane, io ho trentuno anni e sono il più giovane dei vecchi, chi ne ha trentotto, quaranta, quarantacinque, tutta gente che ha avuto un sacco di esperienza, sia in Valle, sia fuori dalla Valle, ora invece c'è un sacco di gente che va dai diciotto ai ventuno anni, che viene dalla città come arrivavamo noi dalla città, e ha voglia di farsi queste esperienze, e il problema nostro come vecchi era di non castrare e allora si è risolto in questo modo semplice; fino a due anni fa ogni villaggio aveva la coppia o quattro anziani, gente che stava là da tanto tempo e in qualche maniera limitava queste persone perché se tu hai
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fatto degli errori non hai più voglia di ripeterli, li hai già fatti, per cui dici: "scusa, so che tu vuoi farti un'esperienza, però dai retta a me, si fa così". E allora succedeva che la gente non si sentiva libera di sperimentare, anche perché eravamo anche un pò ottusi, perché con la storia che sapevamo che così funzionava, non ci andava neanche di, non più non provare l'errore che avevamo fatto, ma neppure di provare la cosa nuova che non avevamo mai fatto; e questo si è risolto un pò da solo perché nel giro di un anno tutti i vecchi si sono trovati a Casa Sarti, perché c'è più lavoro li, c'era bisogno di gente con più esperienza, che facesse poche discussioni, poche parole, questo si fa così e basta e vai si va fare, senza riunioni, senza stare a discutere. Vivere dieci anni insieme ti conosci, a volte basta un'occhiata, mezza parola, senza dover stare a far quelle discussioni interminabili, che poi tante volte non risolvi niente proprio perché non ti conosci, e la discussione serve a conoscerti, per cui tu parli, parli, parli, così senza conoscerti. Allora c'era questa esigenza e ci siam ritrovati tutti i vecchi a Casa Sarti, lasciando i villaggi ai giovani, a quelli appena arrivati, che si stanno dando un sacco da fare, stanno portando le lor armonie e infatti a Piccolo Burrone, io ho abitato lì per quattro anni e adesso è due anni che sono a Casa Sarti, e adesso a Piccolo Burrone c'è un'armonia di villaggio completamente opposta a quella che c'era quando c'ero io, nè peggiore nè migliore, differente, la gente di Piccolo Burrone è gente molto precisa che gli va di darsi delle regole, si è data delle regole e le rispetta, io le trovo un pò rigide però se van bene a loro va benissimo; Gran Burrone invece è gente molto più... che mi ricorda molto quando avevo ventuno anni io, che sono arrivato, più pazzoidi, niente regole, però si danno tanto da fare, sono cinque ragazzi da neanche un anno però hanno già rimesso a posto un tetto, un sacco di muri, stanno facendo tanti lavori pieni di energia, che però non parlargli di farsi il bagno, di lavarsi, capito, lasciami libero, non mi dare regole, non mi dire niente faccio quello che mi va, ma va bene, c'è armonia, matureranno, cresceranno anche loro, cambieranno cominceranno a tornare a vivere i bambini anche a Gran Burrone, perché ci sono donne, ragazze che desiderano anche avere un figlio, penso che in un futuro ci sarà un cambiamento, saranno costretti a cambiare, perché dei bambini, poi te ne accorgi quando hai i bambini, cambi, non puoi più essere festaiolo, se vuoi bene alla tua compagna, non è che pigli vai alla
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festa, lasci la donna a casa col bambino, no stai con lei, o ti sposi con lei o stai con lei, perché ti dispiace andare a fare festa e lasciarla a casa, poi anche il bambino ti limita, vai fare solo quelle feste dove sai c'è un posto letto per dormire, per cui non è che parti più, vai a Bologna a fare una festa di piazza, tanto sai che poi è estate e ti buttavi a dormire in parco, col sacco a pelo, o c'è un furgone, un posto adibito per far dormire il bambino o non lo fai e così via. E questa qui è stata la crescita più bella della Valle, il fatto che non ci siamo fermati a noi vecchi, vecchi tra virgolette, che è tanto tempo che viviamo lì, ma che c'è proprio un cambio, arriva gente nuova, poi te ne parlavo proprio il giorno che sono arrivato, in macchina, di questa cosa qua. Poi per il metodo di vita... SI, SE DEVI DIRE COSA CARATTERIZZA LA VITA DI TUTTI I
VILLAGGI DELLA VALLE, POI MAGARI ANDIAMO A VEDERE IN PARTICOLARE CASA SARTI. Allora ogni villaggio ha le sue cose da fare, una sua
economia, dei suoi lavori, il suo orto, per cui la gente sta dietro queste cose, poi in più ci sono quelli che noi chiamiamo lavori di gruppo, di Valle, dove tutta la Valle converge a lavorare, la maggior parte delle volte a Casa Sarti perché c'è i campi, non è come qua che bene o male i campi ci sono dappertutto, là i campi ci sono solo a Casa Sarti, negli altri villaggi c'è orto e bosco, a parte a Pastoraio, che potresti fare degli orti un attimo più grandi però sono sempre orti, non campi, allora si converge tutti, ci sono questi momenti di aggregazioni. CHE COLTIVATE NEI CAMPI? Tutto ciò, che è possibile, il fieno è a parte, ognuno
c'ha i suoi campi di fieno, che comunque è considerato un lavoro di gruppo, perché si fa la squadra del fieno, che inizia a fare il fieno a Piccolo Burrone e a Pastoraio che sono i più bassi, i primi dove si fa il fieno, poi a Gran Burrone, che è il più difficile, però tutti insieme, sono venti, venticinque persone che si spostano, di queste ce ne sono cinque o sei da ogni villaggio. Chi più, chi meno, poi per ultimo Casa Sarti, che ci sono talmente tanti animali, tanto fieno da fare che abbiam comprato una motofalciatrice e si falcia con quella, per cui bastan due persone, però gli altri al
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mattino mentre si falcia, gli altri stanno zappando le patate che son per tutti, per cui patate, fagioli, mais, grano, segale, barbabietole da foraggio, barbabietole normali, rape tutto quello che hai bisogno di una grande estensione per coltivarlo, poi a volte la soja poi si fanno gli esperimenti, a volte metti questo, a volte quest'altro, un anno i ceci, poi abbiam visto che non rendono, fanno poca roba, allora non li abbiam più messi, cipolle, aglio per tutti. Poi a volte capita un gran lavoro di muratura, tipo un anno che ha piovuto tanto, a Gran Burrone è smottato un pezzo di montagna, ha tirato via metà casa, siamo andati lì in quaranta, in due settimane abbiam tirato su la casa, son venuti a Casa Sarti: "Ragazzi, c'è bisogno di una squadra muratori, non ce la facciamo soli", e siamo andati tutti li. A volte capita a Piccolo, a volte a Pastoraio. Poi abbiamo delle scadenze, per dire nei mesi invernali che non c'è qui grandi lavori, ah, un'altro lavoro in comune sono le castagne, la raccolta, che si fa a Gran Burrone, un momento che ti vivi molto la Valle, pensa inizi verso il dieci ottobre, così, fino a metà novembre raccogli e ci si sposta tutti a Gran Burrone, poi c'è il seccarle, poi la spellatura che dura un'altra settimana in dicembre, normalmente la settimana prima di Natale, per Natale abbiamo la prima farina e ci risposta tutti. E IN TUTTE LE CASE SI CERCA DI AUTOPRODURRE TUTTO DA
SOLI? Il più possibile. E LE COSE CHE SI COMPRANO ALL'ESTERNO? Vedi, per la maggior parte sono i vizi, sinceramente
l'olio, ce lo facciamo, quest'anno ce lo siamo dovuto comprare, perchè in Toscana è andata male, gli uliveti in cui di solito andiamo a raccogliere le olive per fare l'olio non hanno prodotto per cui siamo stati costretti a comprarlo, però normalmente lo facciamo e ci dura fino ad agosto, settembre, quindi se lo compri sono quei tre, quattro mesi prima della raccolta, poi il riso, perchè non cresce e il grano perchè non siamo ancora completamente autosufficienti, una volta per colpa nostra, una volta è colpa di cinghiali, però diciamo che non siamo ancora entrati nella mentalità di coltivare il grano, c'è bisogno di un certo tipo di lavoro, di un certo tipo di attenzione e non ci siamo a livello collettivo di Valle, perchè a Casa Sarti ci saremmo
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anche, solo che per noi a Casa Sarti ci basterebbe molta meno estensione di terreno per il grano, solo che noi vogliamo continuare questo discroso e allora pur di mantenere questo discorso azzardiamo, seminiamo tanto e poi diciamo:"Proviamo a raccogliere". Sono queste le tre spese maggiori, l'olio, il riso, il grano. Poi le spese di muratura, cemento, sabbia. Il legname neanche più, perchè abbiamo tanto bosco, per cui lo portiamo in segheria, lo tagliamo, per cui sono quelle cinquanta mila lire che ti fanno risparmiare un milione, un milione e mezzo, oppure per cose più piccole a Casa Sarti adesso abbiamo questo generatore con questa combinata, piallatrice, sega circolare e cominciamo a farci qualcosina noi, a livello piccolo, non a livello di tavole, perchè non è una circolare che ci tagli i tronchi a tavole, però una volta che hai la tavola tagliata con quella puoi fare porte, finestre, tavoli, mobili, tante cose. Poi i vizi, che sono sigarette, il vino, poi tutto il resto chi più ne ha più ne metta, dipende dai vizi di ognuno. Io per fortuna ho smesso le sigarette ed è stato come taglierti un'ancora addosso e buttarla, sei libero, proprio era un peso, come sei schiavo, sti soldi per comprarti le sigarette e stai lì talvotla ad ammattire per trovare i soldi per comprarti, non dico qualcosa da mangiare... ed ora che ci penso, ero assurdo, ero capace di stare due giorni senza mangiare ma non un'ora senza fumare, come una persona può coscientemente digiunare, e non smollarle per un'ora le sigarette, come pensavo così già mi veniva voglia di fumare, per cui per me smettere è stata una grossa conquista personale. Poi comunque c'è gente che fuma, per cui soldi per le sigarette si spendono lo stesso. POI CHE ALTRO? ALTRE COSE CHE VI LEGANO AL MONDO
ESTERNO? Per me la cosa che ci lega di più è l'illuminazione,
il fatto che noi non abbiamo la luce elettrica, la gente non vuole utilizzare la luce a gas... PER LE DIFFICOLTA' DEL TRASPORTO? No, no, semplicemente per ideologia, perchè di soldi
se ne spendono tanti per cazzate, una bombola non costa in paragone, una bombola non è una gran spesa e ti dura, io vedo che in cucina ti dura, non è che in tre giorni s'è consumata. Quindi principalmente per ideologia. E questo è il punto debole per me, dove io ho da discutere
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con i miei cari fratelloni a Casa Sarti, non vogliono il gas, non vogliono la luce elettrica... PERCHE' C'E' UN DISCORSO DI RIFIUTO TOTALE DELLA
TECNOLOGIA? Ma non lo so, per me è un grande mistero, sono anni
che penso al perchè, c'hanno regalato un pannello fotovoltaico ed è praticamente buttato su un tetto, per me il fatto di dover continuamente andare dai preti a chieder candele, per me è la più grande dipendenza che abbiamo, è anche il più grande controsenso, è assurdo che rifiutiamo tante cose, praticamente diciamo... i preti non gli stan bene a nessuno, però tutti vanno in chiesa a prendere le candele, servono, quindi si usa. MA VOI AVETE AFFRONTATO UN DISCORSO COLLETTIVO SUL
RAPPORTO CON LA TECNOLOGIA? Si, ma è questo è il grande mistero che vive insieme a
loro, che ancora non sono riuscito a capire... perchè io non dico allacciamoci all'Enel per cui dobbiamo pagare una bolletta, lasciamo perdere il discorso che l'Enel utilizza energia dalle centrali nucleari, perchè la candela è fatto col petrolio per cui inquina ugualmente, non ti puoi lavare le mani così facilmente... allora diciamo non voglio avere quel legame che tutti i mesi devo pagare la bolletta, per cui tutti i mesi tirate fuori quelle trenta, quaranta, cinquanta milalire, dipende da quanta energia consumi, va bene non mi allaccio all'Enel, però c'è la tecnologia per avere luce elettrica, magari la prima spesa di un milione, due, tre, però poi sei autonomo, hai solo la manutenzione. Ora loro rifiutano la luce elettrica, proprio la lampadina... PER UN GUSTO DELL'ANTICO? Gli piacciono le candele, la luce delle candele,
perchè poi capito la segheria la facciamo comminare con un generatore elettrico, per cui corrente, motore a scoppio, benzina, rumore, puzza, capito? elettricità, quando magari avendo un sistema ben fatto di pannelli... Certo quando funziona la segheria devi spegnere tutte le luci di casa, però che ti frega, la segheria la usi una volta alla settimana, per di più la usi di giorno, non di notte, quindi non hai neanche l'esigenza di tenere le luci accese...
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QUINDI E' COME SE SU CERTE COSE SI E' ACCETTATA
L'INNOVAZIONE TECNICA, TIPO LA COMBINATA COL GENERATORE MENTRE SU CERTE ALTRE C'E' UN PO' DI RESISTENZA A RAPPORTARSI CON QUALCOSA DI MODERNO. Si, diciamo che questo è il problema più grande, al
momento, non la luce elettrica, perchè ci sono dei legami sentimentali con Jeff, con tutti gli altri che son troppo grandi perchè possa una semplice lampadina distruggerli così, però io sento delle esigenze che non sono più le loro. Io incomincio a non vederci più e non ho voglia di mettere gli occhiali per cui voglio una luce migliore e tante altre cose... sento, per esempio, l'esigenza di trovare il modo di avere un piccolo stipendio mensile. COM'E' IL RAPPORTO CON I SOLDI? LE SPESE PERSONALI, UN
VIAGGIO AD ESEMPIO... Devi andare a lavorare fuori dalla Valle. LA VALLE PRODUCE DEI SOLDI PER SCELTA? No, non produce dei soldi per scelta, perchè... un
altro grande mistero! I soldi vengono prodotti dalla Valle, ma per la Valle, sono collettivi, sono di tutti, per cui vengono usati per le spese collettive, perchè in Valle le cose sono di tutti, gli animali, non c'è "Quella mucca è mia, perchè l'ho comprato io". E' di tutti, l'hai comprata tu ed è di tutti, fai un dono, che resta di tutti e bada bene, non di Casa Sarti, della Valle, capito, diciamo è in affidamento a Casa Sarti la mucca, il cavallo, quello o quell'altro, a Piccolo è in affidamento le capre, a Gran Burrone un'altra mucca, e così, però di tutti. Per cui i soldi che guadagni con queste cose son di tutti, poi è ovvio le capre a Piccolo fanno trenta capretti, di questi trenta, venti li vendono, bene, di questi soldi un tot li destinano a uso collettivo, pagare il grano, pagare il riso che è anche poi per Piccolo Burrone e un tot di soldi li usano per uso del villaggio, tipo sapone, cemento, questo che ti serve nella vita gironaliera del villaggio e uguale dalle altre parti. Però quando ti servono i soldi per fare un viaggio o per andare dal dentista, devi andare a lavorare fuori.
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MA QUESTO MI SEMBRA UN MODO DI NEGARE CHE ESISTONO DELLE SPESE PERSONALI CHE SONO EFFETTIVE, COME IL DENTISTA APPUNTO, SONO REALI. Si, sono reali. Infatti il mio problema adesso con un
figlio che ha quattro anni, per cui... non ho mai vissuto pensando al futuro, ho sempre pensato al presente, preoccupandomi del futuro prossimo, diciamo, se voglio mangiare quest'estate è meglio che comincio a fare l'orto adesso, per dire, se quest'inverno voglio mangiare è meglio che mi metto a fare le conserve, faccio questi programmi, del futuro prossimo, quello che mi serve sul momento. Però con Hopi, mio figlio, comincio anche a pensare che, vabbè, adesso noi facciamo la scuola, le elementari le fa in Valle, le medie andrà a farle a Pavona dove c'è la scuola media e poi, finite le medie, come ho avuto la possibilità io di fare il liceo artistico, ce la deve avere pure lui, però per fare questo io devo avere dei soldi almeno fino a che non ha diciotto anni o almeno la possibilità di fare qualcosa per mantenersi o gli studi o quello... io mi faccio questo problema come mia madre mi ha permesso di andare a scuola e di fare ciò che volevo fino a diciotto, diciannove anni, io ho lo stesso dovere nei confronti di mio figlio. Non tutti, praticamente nessuno, la pensa come me in Valle, su questo argomento e allora questo è uno di quei motivi per cui io personalmente vorrei iniziare un'altra storia con Roberto, una storia che ci permetta di avere un piccolo stipendio mensile, se siamo due famiglie tirare almeno su quelle trecento carte a testa, più le spese che ci sono per la casa... guadagnare dei soldi in qualche maniera. QUINDI ORGANIZZARE LA CASA IN MODO CHE TI DIA... Possono essere animali, può essere il taglio del
bosco, la vendita della legna, possono essere un sacco di cose, possono essere anche il teatro, la musica, capito... quello che è, comunque avere delle entrate che non sono appunto solo collettive, ma anche personali, tutte e due, i soldi per la casa e per la Valle, se c'è da comprare il riso ogni villaggio mette la sua, in più avere dei soldi. Perchè io per venire qui avevo dei soldi, centomila lire che avevo lasciato a mia madre, m'erano avanzati dalle spese del dentista quest'estate, gli ho telefonato, gli ho detto:"Mamma, mandami cento carte, che sono da degli amici, non ho una lira in tasca
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e non mi va di stare così". E sono stufo di essere così perennemente senza soldi, che poi le mie esigenze sono minime, a me cento carte, nel momento che sto in un posto come qua, dove partecipo alla vita di qua, questi soldi mi durano... cosa li spendo, in finale, può succedere che vado al bar una volta, o che metto quelle dieci, venti carte in una spesa, che siete andati a fare la spesa l'altra volta, ho messo venti carte, mi stava bene, ora non posso più farlo però almeno una volta l'ho fatto, per me è importante. MA IN VALLE C'E' L'IDEA CHE NON BISOGNEREBBE NEPPURE
AVERLE QUESTE SPESE, SEPPUR MINIME? Ma non è che non bisogna averle, è che la gente... a
parte la storia della scuola, l'esigenza mia personale su questo, è il fatto che, a volte uno per esempio dice:"perchè non vendete i formaggi?", perchè i formaggi ci bastano appena a noi, dovremmo tenere tante di quelle mucche che... è assurdo, quindi con la vendita dei formaggi non è possibile, quindi si fanno le fierucole, sti mercati biologici dove vendiamo i nostri prodotti e quelli sono soldi che rientrano anche a te, son per tutti, sono anche per te, cioè tu a Casa Sarti non hai bisogno di soldi... se vivi all'interno della Valle non hai bisogno di soldi, anche perchè se io mi faccio male o ho bisogno di cento carte per curarmi, vedi come si sbattono tutti, cioè c'è proprio fratellanza tra di noi, saltano fuori sti soldi, capito?, non so fai le corna, disgrazia, devo andare a Torino di corsa, saltano fuori i soldi per il biglietto, dalla cassa comune, neanche devo tornarli indietro, se li torno indietro è perchè ce h'ho, non è che sono costretto, e così via dicendo. Però io non sono una persona che ama essenzialmente vivere solo in Valle, a me piace vivere in Valle, ci vivo da dieci anni, però a me piace venire qua sul Peglia, mi piace andare sulle Alpi, mi piace... che ne so, andare così a Torino a trovare mia madre, giusto così, mi sveglio una mattina e dico:" domani vado a Torino" e mi piacerebbe avere di che mantenermi su queste cose. Ora io penso che in minima parte forse sto desiderio ce l'ha anche altra gente, in minima parte, però... NON SI LAVORA PER REALIZZARLO... No, non si lavora, anche perchè, si... più che altro
siamo così tanti a volte che veramente tutti i soldi che entrano a Casa Sarti bastano solo per Casa Sarti e per
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le spese della Valle. Per dire, io ricordo una volta son stato a Torino, ho lavorato, sono tornato a casa che mi avanzavano centocinquantamilalire, come sono arrivato a casa, capito, arriva Antonio e mi fa:"oh Fabio, ci servono centomilalire". Io gli ho dato le cento carte. Dopo una settimana era senza soldi, di nuovo, e non me fregava niente perchè sapevo che dovevo passarmi l'estate a Casa Sarti, cosa me ne faccio dei soldi, dal momento che quei soldi sono andati per il mangiare, per l'olio, per questo e quell'altro io sono a posto e però... va bene, come dicevamo prima, se stai sempre li, però coem vuoi uscire... sei chiuso, dovresti sempre stare li, a me non mi va, a me piace muovermi, passare dei periodi anche con altra gente, son più vagabondo. COM'E' UNA GIORNATA A CASA SARTI? Allora, la giornata a Casa Sarti... i primi a
svegliarsi sono i bambini, alle cinque e mezza. QUANTI SIETE? Quando ci sono tutti i bambini sono dodici, adesso
sono in nove, c'è Peico, Duende, Iawitat, che è l'ultimo nato, Eleanor, Elfo, Tao, Timsel, Inti e Sarim. Manca Hopi, manca Sanghita, manca Aila, e... Nicola. In tutto sono tredici. Sono i primi ad alzarsi, alle cinque e mezza, per le sei, sei e mezza, al massimo le sette sono tutti in piedi. Se i bambini sono svegli, fanno casino, si mettono a giocare, non riesci più a dormire. Ti svegli, chi va a fare le mucche, chi va a dare il fieno ai cavalli se è inverno, se è estate gli dai l'acqua, si fanno le galline, sti lavori qua... e poi c'è la colazione, si fa tutti insieme normalmente, a parte io, qualcun'altro che ci alziamo e beviamo un caffelatte e la fame ci viene verso le dieci e mezza, le undici, allora mangiamo qualcosa più tardi, invece tutti gli altri, la fanno insieme, più o meno hanno gli stessi orari, siam proprio due o tre, che proprio non ci vien fame a quell'ora. COMUNQUE C'E' IL FATTO DI SVEGLIARSI TUTTI INSIEME E
DI MANGIARE INSIEME.
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Si, anche perchè quando è pronto si suona il corno, per cui chi è ancora a letto si alza, sente la colazione. Poi quando è periodo scolastico, sono in tre ad insegnare, per cui si danno il turno, chi è in giornata di scuola prende i bambini che devono andare a scuola, c'è la stanza della scuola e da una parte loro fanno scuola fino all'una, che non si mangia, e poi ancora un paio di ore il pomeriggio e diciamo che la mattina è proprio scuola classica, quella del pomeriggio invece è più giochi, più lavoretti, molte volte è andare in falegnameria ad usare degli attrezzi o cose di questo genre, Jeff d'estate fa fare l'orto dei bambini, dove fan solo loro, zappano loro, seminano come vogliono loro, senza nessuna... cioè Jeff gli spiega come si fa, poi fanno loro, così capiscono, gli errori, perchè non è cresciuto, perchè è cresciuto meglio, con la pratica del piccolo orticello; poi il resto della giornata dipende dai lavori che c'è da fare, se c'è da fare la legna, se c'è da zappare, e comunque, come ti dicevo, c'è cosi tanta conoscenza di noi, tanti anni che si vive insieme, dieci anni, che non si parla molto, ci si intende e quando si parla, si parla di cose veramente importanti, si fanno le riunioni, ne verranno una al mese, spontanee, poi normalmente quando qualcuno c'ha da dire qualcosa si fa la sera, cioè la sera di sta intorno al camino, per cui:" Oh ragazzi io avrei questo problema", lo esponi, poi ognuno... parli, discuti, dialoghi, forse sei solo un pò giù di morale, per cui ti tirano su di morale, che ne sò, è solo un problema economico, o di lavoro, vuoi fare un lavoro, non sei sicuro, vuoi chiedere consiglio, un parere a tutti, vuoi fare una cosa nuova, dici:"io avrei in mente questo, vorrei cambiare questa situazione, che ne pensate, se vi sta bene a tutti". Però senza molte regole, perchè siamo partiti con l'assenza totale di regole, che le regole, almeno a Casa Sarti, ci rimangono un poco qua sul gozzo, cioè proprio il minimo essenziale, diciamo sono regole di convivenza civile, più che altro, son quelle regole non scritte. QUALI? Ognuno deve essere autosufficiente, non pesare sugli
altri, avere rispetto delle altre persone, per cui rispettare il pensioero, le maniere di fare, il carattere, che si parte dal principio che nessuno è perfetto, tutti possono sbagliare, per cui sapere accettare pure gli errori degli altri, di non sentirsi
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superiori, molto umili, cercare di essere più umili possibile, che quando tutti si comportano così si vive benissimo, cioè se la gente si comporta in maniera umile non c'è arroganza, non c'è prepotenza, si sta proprio bene. Poi regole di igiene, tipo fuma sotto il camino,
lavare i piatti, lavarsi le mani, così... I LAVORI QUOTIDIANI DI CUI PARLAVI PRIMA SONO
ORGANIZZATI O SONO LASCIATI ALLA SPONTANEITA'? Diciamo che con gli anni c'è chi si è specializzato,
per cui c'è chi gli va di più i cavalli, per cui quando c'è da lavorare coi cavalli, non c'è bisogno neanche di dirgli... già lo sa lui, che c'è da portare la legna, c'è da arare, magari si dice "questo è il mese dell'aratura, appena si asciuga la terra si inizia", allora magari stai tutti insieme a vangare e dici "domani, guarda, si può arare". Al mattino chi lavora coi cavalli è già pronto, gli sta dando la biada, l'avena per farli lavorare, capito, parte ad arare. Poi magari alla sera, quando è tutto arato, stai li tutti insieme a dire "questa parte di campo seminiamo questo, qui quell'altro", tutti insieme a seminare con gli altri villaggi... QUINDI C'E' UN PO DI SPECIALIZZAZIONE... Quella c'è perchè con gli animali è anche
necessario,nel senso che all'animale piace avere rapporto con una, due persone, con una cerchia ristretta di persone, non è un essere umano, ma è un essere intelligente secondo me un animale, sia un cavallo, capra, mucca e quindi riconosce la persona, una mucca si abitua ad essere munta da un paio di persone, poi lo vedi subito, quando una persona non munge mai, che magari sa anche mungere,la mucca da meno latte, e allora tutti bene o male sanno fare tutto, però c'è chi lo fa normalmente, poi va bene, può capitare la volta che manca chi munge sempre, allora mungo io, c'è quella libertà, io mungo sempre però posso star via una settimana, un mese. Coi cavalli c'è più gente che gli sta dietro, perchè è anche più faticoso arare, per cui c'è più gente, ti dai il cambio, magari mezza giornata erano due, l'altra mezza gli altri due, oppure si fa un giorno a testa, ci son due cavalli, che lavorano, tante volte lavorano contemporanei in quattro persone, poi vabbè non usano machine, trattore usandolo solo per i
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carichi super abbondanti, normalmente si attacca un carro e il carro lo sanno condurre quasi tutti, siamo una decina che sappiamo portare il carro tranquillamente con qualsiasi tipo di carico. E LE FACCENDE DOMESTICHE, FARE DA MANGIARE, PULIRE... Quello è il problema più grande!! ANCHE LI NON CI SONO REGOLE... Diciamo che normalmente lo fanno le mamme, nel senso
che, tipo che ha tre figli si puà permettere poco di andare in giro per i campi, magari ne ha due grandi, però ne ha uno piccolo, o dell'età di Pablo, o poco più grande, che ha bisogno della tua presenza, per cui molto spesso cioè da mangiare lo fa Imma, Pea, Pakita, no, poi c'è chi le piace farlo e chi, ad esempio tipo Pea dice... è una svizzera, abituata, ha vissuto in campagna tantissimi anni da sola, è la classica tipa che dice:" tu stai tutta la giornata fuori a lavorare, è giusto che quando torni trovi da mangiare pronto, io sto a fare da mangiare". Poi c'è anche chi questo discorso non gli sta bene, e ha anche ragione perchè non è detto che perchè sono un'uomo devo stare... io posso anche starmene una giornata in casa a guardare i figli degli altri, a fare da mangiare, capito, non è un problema, allora più o meno si cerca di mantenere una rotazione che però non è scritta, cioè lunedì faccio da mangiare io... diciamo che c'è chi normalmente fa da mangiare, perchè lo fa bene, gli piace, o poi quando non ce n'ha voglia al mattino lo dice, fa: "oh, io oggi non c'ho voglia di far da mangiare, chi è che fa da mangiare?" "ok, oggi lo facciamo noi tre, domani lo fanno...", più o meno c'è una rotazione anche se normalmente sono gli stessi. Poi il più grande problema era lavari i piatti, nessuno aveva mai voglia di lavare i piatti, perchè tra una cosa e l'altra erano sempre tanti, quando sei in trenta a mangiare sai quanti piatti, forchette, bicchieri... allora si è risolto che ognuno si lava il suo piatto, bicchiere, forchetta, coltello, cicchiaio ciò che usa quando mangia e chi cucina lava le pentole, subito dopo cucinato, poi se avanza quattro cazzate, chi rimate a casa a spazzare, a preparare da mangiare per la sera, finisce di lavarli lui. Questa è proprio la cosa più bella, che ci ha evitato
tante discussioni, cioè ognuno si lava il suo, infatti ogni tanto è da ridere, c'è la fila davanti al
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lavandino, col piatto che aspettano di lavare e allora io tante volte me la prendo comoda, mangio, per ultimo poi me ne sto a chiacchierare, poi quando vedo che è libero mi alzo e vado a lavarmi il piatto. C'E' UNA DIVISIONE DEI COMPITI TRA GLI UOMINI E LE
DONNE? Il lavoro non è diviso tra lavori da uomo e lavori da
donna, è ciò che uno ha voglia di fare, che si sente di fare. Allora ci sono donne come Bea che lavorano coi cavalli, perchè non hanno paura dei cavalli e ci lavorano, ci sono altre donne come Imma, o Cisca o che altro che hanno terrore dei cavalli, non ci si avvicinano neanche di cinque metri e per cui ci sta da lavorare coi cavalli, ci sono cinque uomini e tre donne o queste tre donne hanno paura di lavorare coi cavalli, i cinque uomini lavorano coi cavalli e le tre donne si occupano di qualcos'altro, capito. Comunque non è tanto una suddivisione dei lavori in
quel senso, perchè tante volte Claudia, altre donne vanno sui tetti, lavorano di muratura, quando Claudia va sui tetti io sto a casa a guardare Hopi e a fare da mangiare, capisci, magari questo succedeva i primi anni, che eravamo più maschilisti, che ancora c'avevamo l'eredità nostra, che è questa società, di questa cultura, per cui le donne fanno un certo tipo di cose e gli uomini un'altro tipo, che è duro uscire da questa mentalità, ce la propinano da quando siamo nati e anche prima, io ho una teoria che noi geneticamente non ci portiamo solo i caratteri fisici ma anche i caratteri mentali dei nostri avi, tutte le loro paranoie, anche la gelosia, ce le portiamo dietro geneticamente, ce le abbiamo stampate sul DNA, non so bene in che maniera però son convinto di questo, per cui è un lavoro molto duro uscire da quella mentalità in maniera... non che lo fai solo perchè pensi che è giusto, ma perchè ci credi, lo capisci, per cui lo porti avanti. Noi finalmente ci siamo riusciti. PERO' DA QUELLO CHE RACCONTAVI MI SEMBRA CHE
TENDENZIALMENTE LE DONNE RESTANO IN CASA AD OCCUPARSI DELLE FACCENDE DOMESTICHE, MENTRE GLI UOMINI FANNO PIU' I LAVORI ALL'ESTERNO. Ma il fatto non è che le donne fanno i lavori
domestici, è che la mamma ha la tetta, un periodo della vita del bambino in cui la mamma è previlegiata dal
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bambino, non è che il papà dice al bambino:" non tu stai con la mamma", ma è il bambino che cerca di più la mamma che il papà, poi cambia questo, allora diciamo che molte volte sta a noi uomini cercare di catturare l'attenzione del bambino, da lasciarlo libero. Parlo di un bambino che ha meno di due anni. Io, per esempio, quando stavo insieme a Claudia... Claudia è stata nove mesi con la pancia, un anno ad allattare, a me m'è sembrato proprio la cosa più normale di questo mondo, quando non doveva più allattare, dirle:" vai, vai..."; la Claudia è andata al Rainbow in Austria, io son stato, gli uomini in quel caso, tutti i papà sono stati a casa, al Rainbow son andate quasi tute le mamme e degli uomini gli scapoloni, che non avevano figli. O per dire,d'inverno a Bologna c'è un Teatro Tenda che
fa discoteca fino all'alba, Claudia, Anna, Katia gli piace ballare, tante volte io, Antonio, Rocco che facevamo? "Andate a ballare". Loro partivano al tramonto e tornavano all'alba...
questo vabbè, giusto per far capire che c'è questa tendenza a preoccuparsi di certe cose, non proprio di dare tutto per scontato, come se è così ed è così, no, non è così, puoi fare in maniera diversa se vuoi. Per i lavori, a volte è l'esperienza che ti porta a
dire:" lo faccio io, che lo so fare meglio", tante volte sono le donne che ti dicono:" lo voglio fare io", e alora lo fai fare tu, e tante volte c'è... capito proprio che il figlio ti costringe a stare intono a casa, per cui come donna che ha un bambino piccolo, stai dietro all'orto, fai cose più semplici, tra cui stare a casa a far da mangiare, però quello succede pure se hai un incidente, per dire hai dei punti o una gamba rotta che non ti permette di fare lavori pesanti, tu quella settimana, quei dieci giorni che sei infortunato sei sicuro che sei sempre lì a pelar patate e cipolle, cioè a far da mangiare. Diciamo che il principale è cercare di essere utile,
contribuire al benessere della comunità in qualche maniera. Al di fuori dei lavori, poi siamo esseri umani,
abbiamo gli alti e i bassi, delle giornate che uno è più allegro, delle giornate che è più triste, per cui non sempre al massimo delle energie, il brutto sono quelle giornate in cui c'è il calo genrale, allora c'è un pò troppi musi tristi, però son cose della vita, penso che ci siano un pò dappertutto, tante volte il tempo ti influenza, se sei costretto a stare dieci giorni in trenta in una casa, dopo dieci giorni siamo un pò tutti
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nervosini, allora vedi quello nervoso, però lo capisci, non è perchè quello è stronzo, no, è perchè sono abituato a vivere all'aperto, sempre attivo, son dieci giorni che sono semi attivo, sempre in casa e son nervoso per quello. Allora mi faccio un giro... PERO' SI TENDE A CONCILIARE I CONFLITTI CHE SI CREANO. Ecco brava, hai tirato fuori un punto di cui volevo
già parlare prima... ecco ci vogliamo molto bene e tante volte quando capitano i conflitti, che a volte capitano, il fatto che ci vogliamo così ben tendezialmente siamo portati a risolvere, per cui, mettiamo io e te bisticciamo per una cosa, o succede una cosa che ci pone in discordia, c'è la tendenza di evitare di non parlare, ma di parlare subito, dirlo subito in faccia:" guarda a me non mi va per qusto e quest'altro". Allora poichè ci vogliamo bene... è un pò come un fratello e una sorella che vivono nella stessa casa, quante volte avrai bisticciato, però il giorno dopo sei lì, che ne parli perchè hai bisticciato, perchè non vuoi rompere, vuoi continuare a vivere nella stessa casa e viverci bene avviamente, per cui cerchi di superarlo, te ne volevo parlare prima quando parlavo del villaggio, questo è un atteggiamento di umiltà. IO INFATTI SENTO CHE VOI, RISPETTO AL PEGLIA, AVETE
SVILUPPATO UN'ETICA UN MODO DI COMPORTARVI, CI SONO MOLTO FORTI I VALORI DELLA SOLIDARIETA' E DELL'AMORE CHE LEGA TUTTI, QUINDI DELLA DOLCEZZA, DELLA UMILTA', DEL RELAZIONARSI SENZA AGRESSIVITA'. E VERO QUESTO? Si, si cerca sempre di andare avanti su quel lato, la
disponibilità. Poi ti dico siamo in tanti, tante persone, non tutti è da tanto tempo che si vive insieme, con certa gente questa cosa viene semplice perchè sono dieci anni che ti conosci, per cui capita lo scazzo, ma a volte non capita neanche più lo scazzo perchè sai cosa ti da fastidio all'altro, allora eviti di dare fastidio di fare cose che danno fastidio, questo succede invece con gente che da poco che vive qui. Allora puoi succedere che da parte mia c'è l'atteggiamento di parlare, da parte di quello nuovo c'è l'atteggiamento tipico di questa società, portare rancore o fare finta di niente, capito, queste cose; allora sta a me fare capire che è buono parlarne, risolvere le cose con amicizia.
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Poi per dire ti faccio un esempio, un fatto isolato, mi è successo di avere una battaglia con una persona appena arrivata a Piccolo Burrone perchè a me mi sembrava che questa persona limitasse la libertà degli altri nel villaggio e cercasse di portare il villaggio fuori da una armonia di valle, allora ho avuto uno scontro grosso con questa persona, che però per quanto duro è stato in finale è servito perchè... anche se dopo un anno, un anno di non parlarsi, o quando si parlava ce ne dicevamo di cotte e di crude, capito, l'uno con l'altro, ognuno i suoi torti, i suoi pregi, a volte mi son comportato male io, a volte mi son comportato male io, a volte s'è comportato male lui, dopo un anno siamo riusiti a capirci, per cui adesso non è che ci vogliamo bene, però ci rispettiamo abbastanza, lui ha capito delle cose, io delle altre. Principalmente ho capito che un villaggio, all'interno... io ero così perchè avevo vissuto quattro anni impostando Piccolo Burrone in una certa maniera assieme a Rocco, Ure e altra gente e questa persona s'era fatta forte del suo carisma, dopo che io, Ure, Rocco e altra gente eravamo andati via dal villaggio, s'era fatta forte del suo carisma per imporre la sua volontà. Comunque è anche vero che se il resto delle persone del villaggio l'accettano sono affari loro, io non c'entro più dal momento in cui... però a me sembrava di aver buttato via quattro anni, perchè il lavoro di quattro anni lo vedevo disfatto, che poi non è vero perchè non butti mai via niente, tutto ciò che fai è un'esperienza che ti rimane, gli operai allora che dovrebbero dire?, dovrebbero suicidarsi, anche altri lavoratori che non vedono neanche quello che fa, non si rende neanche conto di a cosa serve il suo lavoro. SECONDO TE QUESTA NOSTRA ESPERIENZA DI VITA E'
UN'ALTERNATIVA PURE DAL PUNTO DI VISTA POLITICO? Si, si pricipalmente. Anche perchè in quello che noi
facciamo come valle non siamo isolati, anche se molta gente, in modo ignorante, ci dice:" voi siete isolati, lassù, vi fate la vostra isola felice". No, noi lassù ci stiamo facendo la nostra casa, il nostro posto dove viviamo però non siamo isolati perchè partecipiamo a feste, organizziamo feste dove arrivano dalle tre alle quattromila pesone, diamo da mangiare a un sacco di gente, almeno una volta al giorno, per cui da parte nostra c'è l'impegno sociale a stare con la gente, a capire la gente, perchè le nostre feste sono aperte a tutti, non solo a cappelloni, fricchettoni o gente di
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sinistra noi invitiamo democristiani, invitiamo tutti, a noi interessa avere un discorso con tutti quanti, per cui alla fine io dico che se parlo con uno di sinistra di sicuro mi darà ragione, la pensa come me. Io voglio parlare con chi non la pensa come me, fargli
capire certe cose di come vivo io, di perchè vivo così... allora il nostro impegno su questo è molto e in più quello che a noi interessa è di aprire questa enorme possibilità che c'è sul territorio nazionale, con tutte queste terre abbandonate, a chi vuole vivere in campagna e non ha i sodli per comprarsi una casa o comprarsi del terreno, e magari non ha meanche il coraggio di occupare, per tanti motivi, perchè non se lo può permettere familiarmente opppure proprio non sa dove cominciare, non c'ha quella pazzia, quell'intraprendenza di occupare; magari c'ha la intraprendenza di entrare in una casa a pezzi e metterla a posto però non di andare contro la legge, perchè non c'è abituato, solamente questo. Io in finale da quando ho quattordici anni vado contro la legge, ho avuto un sacco di denunce, per cui a dire il vero mi rimbalza proprio c'è invece chi, all'idea di avere una denuncia non esce di casa, magari una persona in gamba, che può avere grandi possibilità di vivere in campagna lo desidererebbe. LA GENTE CHE VIVE IN VALLE HA ALLE SPALLE ESPERIENZE
POLITICHE DI SINISTRA? CHE TIPO DI RIFERIMENTO HA ALLE SPALLE, QUALE RETROTERRA? LA MILITANZA NELLE ORGANIZZAZIONI DI SINISTRA? Siamo in pochi quelli che abbiamo avuto la militanza
politica, diciamo che ideologicamente siamo tutti di sinistra, però chi veramente ha fatto qualcosa siamo io, Mario, Lucio ma non credo nessun'altro. Rocco no, quando a lui racconto dei cortei, di queste cose casca dalle nuvole, Antonio neanche, Paco neppure, Lerg si, in Francia... lui ha quasi quarant'anni, per cui si è vissuto un periodo forte, sia francese che italiano, anche il teatro per strada, ha conosciuto il Living Theatre, ha avuto modo di partecipare a queste prime forme di teatro per strada. No, non siamo in molti ad avere avuto militanza
politica prima di andare a vivere lì, però tutti sono in un ideologia di sinistra, per lo meno per la libertà che concedi a te e al prossimo. NEGLI ANNI '60 ERA FORTE IL MOVIMENTO HIPPIE, AVEVA
SVIPULLATO PROPRIO UN MODO DI VIVERE ALTERNATIVO FONDATO
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SU NUOVI VALORI ALCUNI DEI QUALI FANNO PARTE ANCHE DEL VOSTRO DONO DI VITA, TI RICONOSCI IN QUELLO CHE SI CHIAMA FRICCHETTONE? No, non mi sono mai riconosciuto. SECONDO TE CHE VUOL DIRE "FRICCHETTONE"? Fricchettone è un'etichetta che ahnno dato...
normalmente è stata sempre dispregiativa, Io, per farti un esempio quando andavo al liceo artistico, per gli autonomi, per quelli di Lotta Continua, per gli intellettuali ero un fricchettone, un cane sciolto. E CHE VOLEVA DIRE? Fricchettone era quella persona che vive alla
giornata, non era neanche ben vista negli ambienti di sinistra. Infatti a Torino e non solo lì, c'era il termine "cane sciolto", io ero un cane sciolto perchè non accettavo nessun tipo di ideologia se non la mia, non rinoscevo nessun leader politico, neppure nell'area dell'estrema sinistra. Io son dovuto scappare da diverse assemblee dell'autonomia operaia perchè avevo dato del fascista a certi autonomi che secondo me avevamo delle idee fasciste, capito. Per cui io ho sempre rifiutato le etichette, anche al livello di arte. Adesso un pò di meno, adesso me ne frego, però quando
ero al liceo artistico, dell'Accademia, quando qualcuno provava ad etichettare il mio modo di dipingere me lo mangiavo vivo. Ho fatto delle bisticciate incredibili con i professori di storia dell'arte in Accademia che sono critici d'arte, non li sopportavo. Una volta ad un esame ad una professoressa gli ho dato
della puttana, non tanto perchè era una donna, ma perchè era una critica, i critici d'arte non sono nient'altro che le prostitute dei mercanti d'arte, cioè coloro che possono innalzare o abbassare un artista, per comodo di un gallerista. Ad esempio se un critico fa duemila recenzioni su un
pittore, è facile che quel gallerista vende qualche opera di quel pittore, poi magari è uno che non vale niente a livello pittorico, solo si lancia una moda. TU DICI DI NON RICONOSCERTI IN NESSUNA ETICHETTA.
PERO' POTRESTI DEFINIRE DELLE CARATTERISTICHE CHE CARATTERIZZANO QUESTO MODO DI VITA?
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Vabbè, il nostro modo di vita, per etichettarlo, l'etichetta che hanno dato è quella di figli dei fiori, neanche di fricchettoni; fricchettoni è quello che vive di espedienti, noi invece non siamo gente che vive di espedienti, ci organizziamo la nostra vita, i nostri lavori. Il figlio dei fiori era uno che si era stufato di
vivere in città ed è andato a vivere in campagna, per quello è figlio dei fiori, nel senso che amava la natura, non è ne il punk, ne il fricchettone, che è gente che vive nella società e gli piace vivere nella società, con tutta la tecnologia, tanto è vero che i punk se vengono su da noi stanno due giorni e scappano, non ce la fanno, non ce la fanno. NEI PRIMI ANNI '70 QUESTO MOVIMENTO ERA DIFFUSO, AVEVA
UNA CERTA CONSISTENZA... Quando sono nate le prime occupazioni qui sul Peglia,
era il 76, quel periodo là... Per me il nostro grande problema adesso esco un pò dal
seminato, il nostro grande problema, di questi movimenti è stato il terrorismo, ha cambiato un sacco di cose... infatti io ho odiato i comunisti, continuo ad odiarli, non sono d'accordo che gente come Renato Curcio debba farsi l'ergastolo a vita, comunque in galera ci sta proprio bene, crimini ne ha fatto tanti, ha istigato gente ad ammazzare, a ferire gente, ha rovinato un movimento bellissimo, pacifista, che stava nascendo, in pratica ci hanno consegnato nelle mani della polizia, della repressione, soprattutto a Torino dove c'era qualcosa di stupendo fino a che non sono uscite le Brigate, le prime storie di terrorismo. VUOI DIRE CHE QUESTO MOVIMENTO SI E' SPENTO CON LA
REPRESSIONE? Esatto, e adesso dall'80 in poi si sta riaccendendo. Nell'80 quando hanno occupato Gran Burrone, la prima
irruzione di polizia è stata la Digos perchè pensavano che era un covo di terroristi, si sono ritrovati quattro cappelloni con la zappa in mano. DALL'80 AD OGGI, IN QUESTI QUATTORDICI ANNI C'E' STATA
UNA CRESCITA. UN'ESPANSIONE DELLA VALLE?
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Si, il numero degli abitanti, le cose, le case... vivi, maturi, cresci, cambi, aggiungi esperienza, impari a fare cose nuove. VOLEVO DIRE NUMERICAMENTE C'E' STATA UN'ESPANSIONE? Si, si. Poi la cosa più importante è che c'è gente
giovane, nuova, o che non giovane comunque nuova, ogni anno arriva gente nuova, ed è sempre di più la gente in arrivo, al punto tale che a Casa Sarti non possiamo più dire:" fermati a vivere qua". Quando arriva gente che vuole fermarsi in Valle diciamo:"Volentieri. Stai un poco qua a Casa Sarti per capire c'è la storia, però se poi ti devi fermare vai a Gran Burrone o a Piccolo o a Pastoraio". Dovremmo costruire un'altra casa, e non è detto che non si faccia, però adesso ci sono altre cose da fare.
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INTERVISTA A SERGIO C. Definire, distillare alcuni elementi che da un punto
di vista statistico, diciamo applicabili ad una generalità di persone, possano essere tipici di quello che erano questi movimenti degli anni '60-'70 che sono una varietà molto fumosa alla fine di elementi culturali ed estrarre alcuni elementi che possano servire come parametri per verificare la vicinanza, l'appartenenza, la similitudine di alcune persone a quella storia la, valutata in base a questi parametri, perché in effetti tutti quanti hanno in qualche modo qualcosa a che fare, però alla fin fine è come quello che dice Benedetto Croce:"Non possiamo non dirci cristiani", nel senso che tutti quelli che sono giovani e si muovono in una certa area tipo gli anni '60, in qualche modo, qualcosa a che fare con gli hippy ce l'hanno, è evidente, però magari pure i punk, i punk gli hippy li considerano proprio uno schifo però in qualche modo se non c'erano gli hippy non c'erano manco i punk (...). FACCIAMO COSI': DIMMI LA TUA ETÀ', DA DOVE VIENI... Sono nato nel '63, ho trenta anni e mezzo. Sono nato a
Roma da una famiglia piccolo-borghese. Mio padre fa l'ingegnere, è andato in pensione come
dirigente dell'Acea, mia madre sarebbe in teoria insegnante elementare ma non ha mai esercitato, da quando è rimasta incinta e ha fatto i figli, ha fatto la casalinga (...qui descrizione troppo particolareggiata dei caratteri dei genitori). QUAL'E' IL TUO LIVELLO SCOLASTICO? Il mio livello scolastico è che io ho fatto, dopo il
liceo scientifico, ho fatto dodici esami della facoltà di lettere, con l'indirizzo demo - etno - antropologico che puntava un po' verso una tesi in religioni dei popoli primitivi. Ho passato sei anni di studio universitario, di cui metà ho dedicato allo studio intenso e metà al contatto sociale, le esperienze, i viaggi. RACCONTAMI LA TUA STORIA DI COME SEI ARRIVATO AL
PEGLIA O COMUNQUE AD UN'ESPERIENZA DI QUESTO TIPO,
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PERCHÉ SO CHE ALL'INIZIO STAVATE IN UNA CASA COMPRATA, DI UNA VOSTRA AMICA. Allora che è successo, io a partire dai quattordici
anni, quindici ho iniziato ad inserirmi in quel movimento culturale e politico della fine anni '70, fra l'autonomia operaia e i fricchettoni. Partendo dall'autonomia operaia e continuando coi fricchettoni, però... diciamo così io stavo ad Albano Laziale, all'inizio autonomia operaia andavano sempre a fare le riunioni politiche, organizzavano manifestazioni, volantinaggi, blocco degli autobus per l'autoriduzione dei biglietti, tutte 'ste cose qui, attacchinaggi, scritte sui muri, 'ste cose qua. I fricchettoni più che altro stavano in piazza, e in piazza suonavano la chitarra, si facevano le canne, parlavano de idee, de... facevano esperienze. Andavano in giro, si andava al lago, fai conto, se faceva il bagno, se stava in mezzo alla natura, se parlava de cose... QUALI ERANO I VALORI? I valori? Io direi... io direi... è difficile da dire,
perché da un punto di vista esprimibile in senso verbale, i valori, si possono di' soltanto in senso negativo. Nel senso che c'erano una serie de cose che nom
andavano bene e il valore era quello di stare lontani da questa serie de cose. Questa serie di cose era quello che valeva nel mondo cosiddètto normale, che poteva essere la regolarità, la rispettabilità, il posto fisso, la sicurezza e così via. Però io non credo che si possa dire che è solo questo, in realtà c'erano dei valori positivi, perché tu in qualche modo la persona positiva, brava, non brava, etc, la riconoscevi, per cui in qualche modo dei valori positivi ci stavano. Senonché questi valori positivi non erano espressi a parole, perché siccome c'era un senso di... bisogna considerare questo, io adesso sto parlando di anni tipo '78-'79-'80. C'era un senso del rifiuto di tutto, in modo veramente assoluto, neanche soltanto radicale, radicale sarebbe dire poco, assoluto, capito, il rifiuto totale. Arrivava proprio ai rapporti interpersonali da singolo a singolo, nelle minimissime cose. Arrivavi a discutere del fatto se una canna uno se la faceva col filtro o senza filtro, che c'aveva un valore, il fatto di farsela col filtro o senza filtro c'aveva tutto un altro senso, perché la carta si, la carta no, delle cose veramente assurde,
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paragonate poi alla realtà della vita quotidiana, che poi ognuno faceva nella realtà quando usciva fuori dalla piazza e tornava a casa. Però a questo livello qua i fricchettoni chi erano? Quelli che in qualche modo, pur estremizzando da questo punto di vista, portavano a livelli molto radicali la verità, e quella era una verità e tuttora, la verità del fatto che poi i problemi sui quali noi veramente ci sentivamo a disagio non erano risolvibili sul piano della lotta politica, degli scontri di classe o fra i gruppi, ma bisognava proprio cambiare dentro di se, cambiare proprio l'impostazione della propria vita. E allora, ecco la che quando uno era arrivato fino ad un certo punto sostenuto da certe lotte politiche, da certi movimenti politici e sociali che ti avevano dato un'onda sulla quale viaggiavi e poi tu ti accorgevi che si, eri fino a quel punto e bene era che fosse così, però tu ti accorgevi che i presupposti che spingevano queste onde non bastavano e in qualche modo tu volevi andare avanti lo stesso, nonostante più non ti bastasse la spinta che c'avevi... ecco la che tu stavi sospeso a mezz'aria, volevi andare avanti ma non c'avevi più la spinta. E li ti trovavi a sperimentare mille altre cose, ecco
li che nel momento in cui, tra l'altro per altre vicende storiche e anche repressione e tutte queste storie, il movimento politico veniva a cadere, tantissima di questa gente è cascata nell'eroina e in cose simili. In ogni caso eroina o non eroina che fosse, il punto era il rifiuto totale, radicale e assoluto. In pratica noi cosa facevamo, venivamo da un movimento che voleva veramente fare la rivoluzione, veramente perché veramente lo pensavamo, veramente da un punto di vista politico non era perché in realtà non c'erano... a vederlo quindici anni dopo, con una mentalità più matura e magari avendo vissuto veramente delle lotte politiche, come possono essere queste del Peglia, che per quanto marginali, sono veramente delle lotte politiche, secondo me, molto più di quelle che erano li, se non altro perché io c'avevo quindici anni e le facevano gli altri... m'accorgo che vissute con quella mentalità non c'aveva senso, e allora... il discorso qual'è? Se tu veramente vuoi fare una storia radicale proprio, totale, alternativa, non vuoi accettare compromessi, vuoi essere veramente ribelle fino in fondo, allora le cose sono due. O tu puoi farlo sul piano politico, e c'hai la forza ma ci devi avere la forza militare, non soltanto politica, per combattere questa battaglia e noi assolutamente non ce l'avevamo. In più oltre che non ce l'avevamo, avevamo
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pure l'utopia ideologica di dire che i metodi delle Brigate Rosse erano troppo violenti, quindi non solo non potevano fa' quello, ma manco eravamo d'accordo, figurati, era propria un'utopia totale. Però la radicalità della cosa uno la poteva trasferire sul piano personale. E sul piano personale c'avevi due vie o almeno due vie
io ho conosciuto e ho visto realizzare in pratica, perché le altre sono state chiacchiere, nel senso che chi cercava una via di mezzo io l'ho visto che alla fine cercava il posto, ha trovato il posto e ancora sta la, quindi ho visto due alternative una è quella autodistruttiva, quella che si estranea da tutto e rifiuta tutto e alla fine non c'ha una propositività a nessun livello, ne a livello personale, ne sociale, ne dentro, ne fuori, niente. E alla fine si sono fatti le pere e molti so' morti. Io all'inizio stavo in mezzo a sta gente qua, per un
po' di tempo, anche se io non sono mai arrivato a questi livelli, io qualche pera me la so' fatta, però al livello de dipendenza non ce so' mai arrivato, del tipo che magari me potevo fa' 'na pera a settimana, non ci so' mai entrato dentro a quel livello, ecco. Invece l'alternativa... dopo qualche anno che io non
sapevo bene più cosa fare, vivevo cose che m'andavano bene fino ad un certo punto, non ero per niente convinto e comunque mi lasciavano nella possibilità di una svolta così, se non altro perché io venendo da quella mentalità che cercava l'assoluto, l'alternativa assoluta in qualche modo non mi sarei mai sentito soddisfatto senza una cosa che mi dava la sensazione di un'alternativa assoluta... poi che è successo un po' perché viaggiavo, un po' perché essenzialmente per la voglia di viaggiare, so' entrato in contatto con altre storie. E la storia è successa così, che ad un certo momento m'era venuta voglia di viaggiare cosicché io appena compiuti diciotto anni me ne sono andato ad Amsterdam. E ad Amsterdam ho conosciuto Cicci, e abbiamo fatto un po' di giorni in giro ad Amsterdam e siamo tornati in Italia insieme. Lui era di Pisa, e io dopo qualche mese che so'
tornato in Italia, avevo voglia di fa' un giro e so' andato a Pisa a trovarlo. Da lì ho conosciuto tutto un'altra serie di gente, amici di Cicci e poi ci so' andato altre volte a Pisa. Fino a che ho trovato una ragazza che andava in Umbria a comprare una casa, aveva un posto fisso alle poste, lo abbandonava, aveva un appartamento suo a Milano ereditato dai genitori, lo
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vendeva e comprava un casolare in campagna; e allora via tutti quanti, una decina, ad abitare lì. VOI PRIMA DI VENIRE QUI SUL PEGLIA NON SAPEVATE
DELL'ESISTENZA DI QUESTO TIPO D'ESPERIENZE? Prima, no. Non lo sapevamo. Mentre abitavamo a
Spillonchia abbiamo saputo di questa cosa qua, del Monte Peglia. Però noi avevamo una storia diversa, cerco di dirti brevemente perché. Sul Monte Peglia erano per lo più veri e propri fricchettoni, non più nel senso di alternativi ai politici, agli autonomi, ma proprio nel senso di fricchettoni, di quelli che facevano le feste col fuoco, la festa della Luna e si parlava sempre di India, di cylum e vibrazioni. Questi erano quelli del Monte Peglia a quel tempo. Ed io, sebbene ho visto alcuni pregiudizi che avevo allora su quelli del Monte Peglia, dopo pian piano mi son ricreduto, io direi che almeno apparentemente, almeno superficialmente l'atmosfera che c'era sul Monte Peglia almeno in quel periodo la, e ti parlo dell'82, secondo me, era questa. Allora noi l'abbiamo conosciuti molto marginalmente, a noi ce chiamavano:"I fighetti", diciamo così, non perché poi fossimo effettivamente fighetti ma perché conservavamo in quel modo un'atmosfera di città, sia perché magari ci sconvolgevamo un po' più... loro pure si sconvolgevano, ma noi non ci sconvolgevamo in quel modo tanto mistico e col cylum. Come la differenza che uno preferisce farsi un cylum e uno una canna con le cartine, capito? Io magari facevo un giro e andavo a Berlino, andavo a Berlino a comprà degli acidi fai conto e li vendevo alla gente del paesino la intorno, quelli del Monte Peglia no, a quelli gli arrivava il tipo dall'India e fumavano i cylum tra di loro, non facevano le storie così. Però poi quando ci andavi un po' più dentro, t'accorgevi che anche tra quelli del Monte Peglia c'era chi si faceva le pere, però un po' più di nascosto. Comunque sia c'era una rigidezza ideologica all'interno de sto mondo fricchettone del Monte Peglia ed era una rigidezza ideologica che era comune a tutta quella storia degli anni '70. Senonché sul Monte Peglia, essendo un posto isolato e isolato proprio per una radicalizzazione volontaria della situazione, si è conservata 'sta radicalità e stò settarismo s'è conservato più a lungo.
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TU HAI DETTO "LORO ERANO PIÙ FRICCHETTONI", POI HAI DETTO "INDIA, CYLUM, VIBRAZIONI". ME LO PUOI ESPLICITARE MEGLIO IL CONCETTO? Come la leggo io, era un po' un rifiuto di una fase
che aveva attraversato il movimento precedentemente da un punto di vista che tutto passava attraverso l'ideologia. A quel punto tutto passava attraverso la vibrazione,
solo che 'sta vibrazione passava attraverso particolari parametri che facevano capì 'sta vibrazione, nel senso che se una persona sul quotidiano tu immediatamente la vedevi che faceva una cosa o faceva un'altra, ma a livello minimo quotidiano come può essere che si faceva 'na canna invece che un cylum, eppure che se magna il riso integrale invece che la pasta, oppure che usa la cenere per lavare i piatti invece che il detersivo, oppure cose così, fino ad arrivare ai livelli proprio paranoici, che uno passa il cylum a destra invece che a sinistra, ma arrivavano anche a chiedersi il perché storico, culturale delle cose, e li c'era il rifiuto proprio totale de 'ste cose, nel senso che quasi quasi l'ignoranza... come per gli Illuministi la ragione era una dea, l'ignoranza diventava una dea per sti fricchettoni qua. Il discorso è questo: ci si basava sull'impressione
immediata che veniva chiamata vibrazione, soltanto che questo funzionava senza capì quanto di personale, quanto portato dal proprio passato psicologico e quanto di sclerotizzato secondo parametri culturali standardizzati ci stava in realtà in queste vibrazioni. Per cui uno che, per esempio, aveva i capelli corti
già andava male e a quel punto diventava peggio dell'ideologia. Soltanto che l'ideologia a quelli che erano andati via
gli aveva dato una speranza sul piano, diciamocelo, sul piano militare, secondo me, perché questa è gente estrema, non trovavi all'inizio qui sul Peglia gente che poteva essere d'accordo col P.C.I., tu trovavi gente che voleva proprio buttà giù tutto e basta. So andati in campagna perché in città non se poteva combatte vincendo, perché in città continuavi a combattere e ti bastonavano, perché se era per loro era da buttà giù tutto, tutto. La sconfitta, anche se prima ancora di partire, è stata sul piano militare, alla fin fine, militare... bastavano due manganellate a perdere sul piano militare a quel livello li, però l'impostazione era quella.
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Uno voleva distrugge tutto, la gente che trovavi qua era dell'idea che chi c'ha qualcosina minima più de te, deve essere espropriato. Questa era la realtà delle cose, che non è più quella di adesso, eh! QUINDI CHI C'ERA ALL'INIZIO AVEVA DELLE ESPERIENZE
POLITICHE ABBASTANZA DETERMINATE. Io so che l'affluenza sul Monte Peglia è cominciata da
degli articoli su "Lotta Continua", che dicevano che c'erano delle case da occupare in Umbria in questa zona. Però tu devi pure considerare che quello era un periodo in cui l'aspetto fricchettone e quello compagno, che poi intorno agli anni '80 quando col sequestro di Moro la cosa è diventata più dura e quindi queste due cose se so' separate, non c'era questa frattura, specialmente al nord e la maggior parte della gente che veniva qui era del nord. LI C'ERA ABBASTANZA CONTIGUITÀ TRA QUESTI DUE MONDI? Si, i compagni e i fricchettoni erano una cosa unica. MENTRE INVECE QUANDO TE LA SEI VISSUTA TE, ALLA FINE
DEGLI ANNI'70? Si, era già... quelli che erano gli antichi già
appartenevano ad un'altra storia, noi ci potevamo anche sentire Michael Jackson, pe' dirti, qualche volta. Non perché ci piacevamo, sapevamo che Michael Jackson e Boy George erano da un'altra parte, però noi per divertirci, perché ce pareva una cosa fica, ce divertivamo, potevamo ballare su un pezzo di quelli la. Ma per quelli che ce stavano prima di noi anche Laurie Anderson era una cosa da rifiutà. Per loro soli gli Yes, i Pink Floyd, i King Crimson e basta, era proprio un'ortodossia... TORNIAMO UN PO' A TE, PERCHÉ' HAI FATTO LA SCELTA DI
LASCIARE LA TUA SITUAZIONE CITTADINA... Ecco infatti tornando alla storia mia personale, si
può anche cambiare discorso superando questi aspetti qua. Questi discorsi che facevo fino adesso, servivano più
a collegare... perché io mi immagino che una tesi su questo discorso debba in qualche modo collegarsi alle varie fasi della storia culturale italiana, e allora facevo tutti questi discorsi per collegarne le origini.
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In realtà il problema è che questa è una storia difficile da spiegà quando uno vuo' fa' un'indagine teorica, un'indagine di studio. Perché questa è una storia che interpretata alla luce di tutto quello che ho detto fino ad adesso, non se capisce. Non si capisce quello di adesso e vabbè perché parlavo delle origini. Ma non si capisce proprio... la realtà della cosa. Perché la realtà della cosa qui è su un altro livello. La gente che viene qui viene dalla città. Di conseguenza non viene da un'esperienza diretta,
un'eredità dei genitori, viene da una scelta, è una scelta artificiale, quindi necessariamente ideologica. Da questo punto di vista era necessario inquadrà la
scelta alle origini, anche perché bene o male quelli che stamo qua adesso, si, qualcuno è venuto da sei, sette anni, qualcuno più o meno collegato co' 'ste cose, ma sulla media è sempre una decina d'anni che stanno qua, quindi 'sto discorso c'aveva in qualche modo un po' di senso. Però quello che ti tiene qua, ti giustifica, ti motiva il fatto di sta' qua, quello che tu cresci e caratterizzi, radichi e conosci e ti riconosci nel fatto di stare qua, non è questo. Anzi è proprio il valorizzare aspetti dell'esperienza dello stare qua molto più diretti e concreti che proprio per il loro acquistare spazio e importanza, che tu li riconosci importanti e reali, paragonati a quelli a cui tu credevi prima che erano più ideologici, e di immagine, di schieramento e anche di moda, dai quali tu venivi in città, ti fanno capire lo spessore della differenza della vita concreta, la scelta di vita concreta, l'alternativa concretamente alternativa e quello che poteva essere uno schieramento così teorico. Il discorso è questo qua:"Chi sta qui da parecchi anni non ci fa più nemmeno tanto caso a tutte 'ste storie, nel senso che tanto tu ti ritroverai a fare delle cose quotidiane insieme, che vanno dal preparare una cena, a seminare qualcosa, a fa' la legna, allo sta' insieme a una festa, a prestarte una cosa, a prestarte dei soldi, a farte ridà dei soldi, a aiutatte a fa' le cose quotidiane, a fa' una riunione. Ma è una riunione che poi alla fine non la famo perché
semo comunisti ma la famo perché c'è un bisogno reale de difende un'occupazione de case, terre, che è una possibilità de vita che c'ha un senso. Che c'ha un senso perché tutti i giorni dalla mattina alla sera c'ha questo senso. E' talmente questo senso radicato nella quotidianità che tu te lo puoi pure dimenticà.
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Che te può sembrà una cosa normale che in Italia se vive così. Soltanto che tu come vai due giorni a Roma o a Milano t'accorgi che non è assolutamente normale, che tu c'hai un culo mostruoso a vive qua e avere le pecore o c'hai le mucche o c'hai la vigna. Cioè un culo mostruoso, perché tu vai a guardà la gente che vive in città e dici magari quello dieci anni fa' veniva con me alle manifestazioni, se facevamo le canne, le pere, andavamo in India e poi adesso questo alle otto de mattina deve sta' la, ed io invece so' le otto, so le nove, possono pure esse le sette, ma possono pure essere le undici e poi comunque sia io ho a che fa' co' l'olivi miei e se va male vado a coglie l'uva e se va male vendo qualche braccialetto e se... in qualche modo io vado avanti. E vado avanti perché comunque sia io so che a me, volendo, me bastano due o trecento mila lire al mese per vivere e il fatto... fondamentalmente vivendo così io capisco che il fatto che io vivo bene o vivo male non dipende dal fatto di quanti soldi c'ho disponibili questo mese. Indubbiamente questo fa parte delle cose perché se io 'sto mese non c'ho una lira me posso appoggià su qualcun'altro, ma se io pure l'altro mese non c'ho una lira ancora me possa appoggià, ma se ancora il terso mese non c'ho una lira, è... un casino. Però se bene o male tu qualcosa fai, te sai un po' muove, certo devi saperti un po' muovere, però diciamo stando su un livello medio de uno che un po' ha voglia de lavorà, un po' se sa muovere, un po' collabora con gli altri da un punto di vista materiale e di rapporti, tu realizzi il fatto che alla fine il fatto centrale che ti fa sta' bene... voglio dire che questo qua sia in campagna che in città una persona mediamente capace può fare; che c'hai il posto fisso o non ce l'hai ti devi saper muovere abbastanza bene con gli altri,perchè alla fin fine anche sul posto fisso tu i rapporti con le persone, la voglia de lavorà, la puntualità sul lavoro ce la deve avè, perchè si c'hai il posto fisso ma non è che puoi fa' come te pare. Quindi diciamo che quell'impegno personale sia materiale che psicologico ce lo devi avè in ogni caso. Però in quel caso tu lo attribuisci tutto a quel fatto li (i soldi), invece quando tu vedi che questo (i soldi) non ce l'hai però in qualche modo vai avanti, allora vedi che è distaccato il problema; è come un fatto di distillazione, l'aspetto materiale tu l'hai già liberato perchè bene o male campi grazie al tuo orto, ai tuoi animali, più qualcosa che tu fai fuori, sempre in lavori di manovalanza agricola che, come rapporto umano, so' sempre diversi dagli altri.
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Comunque alla fine ti rendi conto che l'essenza della qualità del tuo stare, sta su un altro piano, non è un problema di quanto guadagni al mese... Per cui si distilla l'essenza del problema. Andando più sull'aspetto mio personale, mentre quando
sei più giovane magari l'importante è trovare l'essenza del piacere, del divertimento, dell'esperienza che va fuori dall'umanità, che trasgredisce in qualche modo, alla fine tu piano piano andando avanti vedi che c'è problema dappertùtto. E allora forse tu affini il coraggio di affrontà il problema. Passi dall'essenza del piacere, del divertimento, dell'esperienza, all'essenza del problema. Ora io credo che dal punto di vista della qualità della pulsione che ti porta a cercare qualcosa, in realtà è la stessa. La pulsione che ti porta all'esperienza, alla trasgressione, all'andare aldilà è la stessa che poi alla fine, quando riconosci che dove vai vai trovi sempre il problema, andare aldilà vuol dire affrontare l'essenza del problema. Mentre tu maturi 'sta cosa ti accorgi che te la puoi
prende' più comoda, proprio perchè dove te giri te giri c'è sempre il problema, in qualche modo c'hai più la cosa di andare a trovare l'essenza del problema. Io, a sto punto, per spiegare meglio alla cassetta, io
passo da una fase più di impostazione ideologica generale o anche esperienziale, passo da un aspetto più mio perchè non credo questa cosa sia la stessa per gli altri. Fra i tanti modi in cui la puoi prende', la puoi
prendere in questo modo. Riconosci che... c'è frustrazione della soddisfazione dappertùtto, soddisfazione anche in termine della ricerca dell'alternativa, della liberazione, così via. Tu cerchi sempre una diversità, di essere diverso, di non finì sempre nella stessa storia de tutti l'altri, ma poi ti accorgi che una cosa del genere ce la trovi dappertùtto. Allora puoi anche arrivare a dire che questa cosa l'affronti, alle radici di quello che è l'essere umano. Un essere umano ha delle cose di base che sono che ha una casa, deve sostentarsi prima di tutti producendo quello che consuma, che mangia e anche quello che consuma come calorie, per esempio pe' scaldà la casa, aggiustà i muri che se rompono e anche un minimo de storie tecnologiche che ce stanno oggi, perchè ogi in linea de massima ce devi avè una macchina, puoi pure non avercela, però diciamo che io so' moderato e accetto anche che ce l'hai puoi avè e quindi servono anche i soldi pe' aggiustalla e altre piccole cose come possono
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essere la radio o la corrente elettrica pe pompà l'acqua a casa e il frigorifero, tutto quel minimo necessario, non arrivo al video-registratore però quello che mi sembra necessario in casa ce l'ho e mi va bene di avercelo, perchè il problema secondo me è più che altro mentale. Cioè proprio il tuo modo di affrontare la vita. E, secondo me, proprio secondo me, quanto tu ti accorgi... diciamo che tu sei partito e sei venuto qua in base a scelte ideologiche, invece adesso ti accorgi che c'è casino, c'è problema, c'è dolore, c'è frustrazione dappertùtto, qualsiasi scelta fai. E allora ti accorgi che tu fino a mo' sei sempre fuggito da questa cosa, hai cercato un'alterntiva. Hai pensato che fuggire da questo era una cosa alternativa alla normalità delle persone, che si adeguava, anzi sottoscriveva la verità di queste regole. Invece no. Psicologicamente tutto questo meccanismo è retto dal fatto che tutte le persone, anche quelle considerate normali, fuggono a modo loro dalla realtà delle cose. Il sottoscrivere la regola è un modo di fuggire dalla realtà delle cose. Tu nella tua vita non hai mai quello che vuoi, se ce
l'hai è per momenti fugaci, ma poi cambia tutto perchè la vita è una cosa mobile. Quello che a me m'ha fatto capì la storia de vive qua... ma non si può manco di' de vive' qua perchè poi alla fine la storia mia non è neanche vive in campagna, perchè vive veramente in campagna vivendo della campagna e seguendo tutte 'ste storie qua, è una cosa che faccio da tre o quattro anni. Prima l'ho fatta anche, ho avuto gli animali e tutto, però era una storia meno radicata. Prima c'ho avuto anche le pecore, mucche, le capre o che erano mie o de altri, per al tempo stesso facevo l'università, viaggiavo, era una cosa più libera. Gli ultimi quattro anni invece li ho passati qua. Io vedo una cosa alla fine la... quello che ce porta avanti a noi non è tanto la campagna... la cosa interessante da studiare secondo me, è come si coniuga la cosa essenziale, che è quello di cercare una qualche verità della propria vita, il filo conduttore che ti porta avanti e perchè questo poi alla fine, per almeno un periodo lungo di tempo, riesce a sposarsi bene con la vita in campagna. Come la vedo io è per questo motivo. Una vita al dì
fuori di questa te porterebbe una serie di impegni, di complicazioni, di dover rendere conto a tante persone, a tante cose, intendo enti, regole, che alla fine ti porterebbero lontano dal perchè tu hai cominciato 'sta storia. Io invece che sto qui a combattere perchè devo
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piantare l'aglio, io lo so sempre perchè ho cominciato 'sta storia. Perchè non voglio fa l'operaio. Non mi va di alzarmi
la mattina perchè poi alla fine del mese prendo un milione e mezzo, col quale in buona parte ce devo pagà la benzina, in altra parte ce devo pagà un po' de cose da mangià che non c'ho avuto nè il tempo nè la voglia de produrmele e quindi faccio prima a cucinarmele già comprate, un po' me devo comprà un po' de birra, qualche viaggio in macchina, magari qualche cassa perchè me so' rotto il cazzo de sta li a lavorà, capito. Alla fine quello che me rimane è pochissimo. Invece se rimanevo a casa a fare l'orto, le capre, era
una cosa che a me m'andava molto più bene. Questo da un punto di vista materiale. Poi ancora
peggio perchè rischio che resto tutto il tempo a pensare tutto il tempo a quello che m'ha detto il collega, a quello che m'ha detto il principale, che poi alla fine si innesca quel meccanismo che, per il fatto che noi ci proiettiamo sopra emozioni e proiezioni psicologiche, diventa importante, ma in realtà non è importante quello, sono importanti le origini delle proiezioni psicologiche che noi ci proiettiamo sopra, che poi siccome noi ce le proiettiamo la sopra quello la diventa importante ma non è così, è dentro di noi. Allora se noi ci manteniamo al minimo, non al minimo perchè è il minimo ma perchè è l'inizio... E' L'ESSENZIALE ... è l'inizio, capiamo qual'è l'inizio delle cose dal
punto di vista materiale e questo è importante, perchè se è mantenuto all'inizio, è mantenuto alla tua portata di comprensione; e alla tua portata di comprensione la materialità è veramente molto istruttiva. Quindi anche il discorso della tirchieria e dei
consumi, secondo me... io sono convinto che se mantenuto a quel livello la proprio minimo, lo stessolivello che te può fa' sembrà che quello sta a guardà proprio... allo spicchio d'aglio, pe' ditte... però quello è il livello nel quale tu ancora capisci l'importanza delle cose, oltre quel livello si arricchisce di una serie di valori culturali che sono delle proiezioni, perchè in realtà non è così. Uno alla fine attribuisce la storia della generosità a quella forma li. Uno, per esempio, c'ha un tot stipendio al mese, quindi le cose c'hanno un tot valore, la generosità è tot questo. Ma non è detto, in realtà nella vita quotidiana, a seconda dei momenti e
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delle situazioni, la generosità può essere questo o quello. Uno stupido scilacquismo o una oculata compassione dei problemi altrui può essere forme diverse. La realtà è diversa a seconda dei momenti, capito?. Quindi, che succede? che tu mantenendoti al minimo della materialità, da un punto di vista sei primitivo, da un altro punto di vista sei aderente alla saggezza che c'è nella materialità delle cose. Io credo che nella materialità delle cose ci deve essere una saggezza e questo è importante; perchè noi in questo periodo storico - e qui andiamo proprio sul filosofico - in questo periodo storico tu che cosa ti trovi? che da un lato c'è stata la grandissima scoperta del materialismo, del comunismo, che sicuramente ancora non è finita e ha dato un apporto che non è ancora stato scavalcato, però al tempo stesso ci si accorge che questo non può esistere da solo, non si può ridurre tutto a questo. Allora in una vita normale, che negli esseri umani è una vita tantissimo dominata dalle emozioni e da ciò che è la psiche, cioè normale è pazzia proprio, gli esseri umani sono gente fuori di testa, dal punto di vista del razionalista son gente proprio pazza, oppure il razionalista è un pazzo dal punto di vista degli esseri umani medi, gli esseri umani non so' esseri razionali, hanno la facoltà della razionalità cercano di sforzarsi di fare, se non prevalere, avere un ruolo direttivo, ed io credo che questo sia giusto. E' razionale colui che è realista e il realismo ti
dice che gli esseri umani non sono di natura sono razionali, gli esseri umani sono esseri che secondo me conservano per tutta la vita quel bisogno di affetto, di protezione, di dolcezza, di sfogo, di scarica di energia, quando queste cose non ce l'hanno, e più di tanto non ce l'hanno, eccetera, che c'hanno da bambini, questo continua. La vera razionalità è quella di chi cerca di rimanere
razionale però rendendosi conto che comunque di fondo la realtà è questa qui. Quando tu rimani alla base delle cose rimani in
quell'indeterminatezza che fa si che tu sai che le cose possono andà in un certo verso e tu in un certo verso ce le mandi, però al tempo stesso c'hai tutti i tuoi problemi a realizzarli. Così può essere questa storia dell'aglio... (oggi io e altri ragazzi l'abbiamo aiutato a seminare un ettaro di aglio, perchè lui da solo non c'era riuscito, 'nda) la storia teoricamente è giusta, poi tu nella realtà ti trovi davanti a un sacco de casini. Allora che succede? viene fuori quasi un
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insegnamento zen: tu tentavi de fa' una cosa, la realtà te mette tutti i bastoni tra le ruote, tu cerchi de cambià in qualche modo la realtà e adattarla e trovà le cose; e quindi sia il tuo ideale, sia le avversità della concretezza della realtà, sia il tuo sforzo genuino di buona volontà da santo de fa' le cose col massimo della buona volontà, sia la fregatura che comunque ti da il destino, sia i tuoi pensieri che ti dicono:"Ah, ma allora il destino mi colpisce", sia il fatto che alla fine tu deragli, dici "mo' faccio il furbo, cerco de svoltà in qualche altro mo' pe' vedè come fa'", tutto quanto questo se risolve in una realtà composita e zigzagante, dalla quale tu, se sei attento e consapevole, in mezzo ai tanti errori che comunque fai, trai una lezione, trai un insegnamento, che è difficile esprimere a parole. Però tu in qualche modo trai quale lezione? Secondo me trai la lezione della vita che sta a metà tra il valore, che può essere accolto in senso assoluto, il valore che potrebbe essere quello della saggezza, della compassione, della pazienza e così via... e la misura. Perchè tu qualsiasi valore... questo è il problema. La filosofia da tanti ragionamenti ed esperienze ti distilla il valore, ma l'esperienza materiale, rude, ti distilla la misura. Perchè tu il valore senza la misura non te lo sai
gestire. La misura qual'è?. E' che ogni cosa va viene fino ad un certo punto e oltre ad un certo punto non va bene. Quindi alla fin fine quella è la perfezione dell'imperfezione, in qualche modo, perchè senno' aldilà di questo ogni intellettualismo porta a un'idea di perfezione, un distillato de valore portato all'estremo, quello è la perfezione, ma nella realtà della vita quello non si applica mai. Perché? Perché la realtà della vita non è così. Quindi alla fin fine la misura è quello che ti dice quel tanto e non di più. Perché ci sono più cose nel mondo che nella tua filosofia, diceva...non mi ricordo chi!!! MI HAI SPIEGATO UN PO' IL TUO PUNTO DI VISTA
PERSONALE. SE DOVESSI VALUTARE GLI ALTRI, PERCHÉ VENGONO QUI ? Siccome tu all'inizio chiedevi che rapporti c'erano
con alcune cose che hanno caratterizzato le influenze culturali degli anni sessanta, diciamo che io, non volendo, non essendoci partito, in questi discorsi che ho fatto devo riconosce' de esse' arrivato a un riconoscermi totalmente nei fondamenti della filosofie
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buddiste e taoiste, in certe frange della filosofia buddista e teoista, e se vogliamo i discorsi che t'ho fatto fino ad adesso sono di questa piega qua. QUESTA E' UNA FILOSOFIA CHE HA PERMEATO QUESTI
MOVIMENTI CONTROCULTURALI GIOVANILI? Anche se te devo di' che io l'ho sempre rifiutata
prima, perché secondo me l'ha permeata in modo molto evasionistico, esotistico e folcloristico. Io prima proprio allontanavo 'sta gente che te faceva tutti sti discorsi sull'indiano..."lasciame perde", per reazione te devo di' che preferivo sentì parlà d'eroina... perché nella maggior parte de 'ste persone 'ste storie qui so' state prese in modo molto esotistisco, evasionistico e superficiale e tanta gente non c'ha proprio capito niente, niente, anzi c'ha tirato fuori quello che ci voleva tirà fuori e io le detestavo queste cose. Sinceramente a me m'ha avvicinato a queste cose il fatto d'essece arrivato attraverso... vabbè ho conosciuto una tipa che era dentro a 'ste storie qua, anche se devo di' che poi neanche lei c'abbia capito tanto, però ho fatto un esame all'università, quindi diciamo una strada veramente intellettuale, l'ho affrontata da un punto di vista filosofico colto; e tuttòra che io mi ci riconosco del tutto in queste cose qua, alla radice mi ci riconosco proprio assolutamente, però tuttòra se mi vieni a parlà de rituali, di preghiere, de offerte alle immagini, di dogmi, per me è tutta monnezza questa roba qua, la storia è aldilà. Però comunque sia queste cose so' rientrate nella cultura de quegli anni e de quei movimenti, per cui da un punto di vista sociologico e storico questo gli va riconosciuto, nel senso che comunque sia, a un livello o ad un altro livello so' legato a 'sto tipo de cose attraverso quel tipo de movimenti la, io in quei movimenti là me riconosco tuttora. Soltanto io credo che quei movimenti là come tutte le cose c'hanno diversi livelli de sviluppo, c'hanno diverse classi intellettuali, come in un qualsiasi movimento c'erano delle classi intellettuali alte e basse, secondo me anche tra gli hippy e dagli hippy a i fricchettoni ce stanno delle diverse classi de livello de comprensione, così come ce potevano esse' tra i rivoluzionari francesi, in tutte le storie, anche i Samana del sesto secolo avanti Cristo, delle Upanishad, c'è stata una rivoluzione in India che ha portato alle Upanishad, una linea dell'induismo, e anche la ce stava da quello che teneva il braccio sempre in alto perché
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credeva che se s'anchilosava il braccio così diventava santo, a quello che questo non lo faceva, e che magari apparentemente non era nessuno, in finale Buddha è sto uno che quando ha cominciato a prendere il sentiero che lo ha portato all'illuminazione, gli altri asceti che stavano con lui che hanno detto? "ma tu mo' ti sei venduto", perché lui aveva accettato una ciotola de riso, perché sennò non doveva mangià niente; invece lui era andato aldilà di queste storie esteriori. Allora secondo me questo c'ha un legame, perché noi veniamo da una storia cittadina ideologica eccetera, il fatto de andà in campagna e portarlo in questa vita pratica, secondo me c'ha questo aspetto qua: de passà da una cosa esteriore, ideologica a una cosa concreta vissuta. Quando io stavo in città per me era fondamentale come me vestivo, c'aveva un grande valore, adesso è fondamentale come io tiro fuori i soldi che mi servono a sussistere. E' fondamentale proprio il livello tra il sociale, il psicologico e l'economico che c'ho con altre persone. Dare importanza all'aspetto economico, materiale per me ha un valore filosofico. Ce l'ha pure per Berlusconi, però per me ce l'ha tutto in un altro modo, nel senso che per lui alla fine la ricchezza è sintomo de successo e de superiorità, per me il risparmio, l'attaccamento alla povertà delle cose, non ad una povertà ascetica che non considera nulla, anche a considerà quel poco che c'è e deve esse' considerato, quello è un riconosce' il fatto che io devo esse' un piccolo granello de sabbia dentro un pianeta che è popolato da un casino d'altra gente e devono tutti magnà, questo è il discorso. SECONDO TE QUINDI QUESTO TIPO DI VITA ACQUISTA IL
VALORE DI UNA PROPOSTA ALTERNATIVA DI TIPO POLITICO, ANCHE SE DICI CHE C'E' UN RIPIEGAMENTO VERSO L'INTERIORITÀ? Io dico che la politica distaccata dall'aspetto
interiore della propria scelta di vita può soltanto riuscì ad affrontà dei palliativi, delle misure che recuperano qualcosetta sul momento; ma lo scontro che ce sta nell'immediato davanti a noi è proprio ad altri livelli. Qui non se tratta de ricucì quattrocento cassintegrati, qualche licenziato, una guerra da qualche altra parte, qui la prospettiva è proprio un macello, a tutti i livelli, ecologico, militare, internazionale, la situazione dei giovani, tu vai a piglià ragazzini che c'hanno la pistola in mano ad otto anni, la gente che non c'ha una casa, la gente che c'ha i soldi e se droga
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e s'ammazza...tutti quanti quelli che stanno nel terzo mondo, le migliori menti del primo mondo vorrebbero sta' al posto loro e quelli la sognano de sta' al posto de quell'altri e poi alla fine poi uno perché vuole quello...sarebbero pure pronti a fasse la guerra. E sopra 'sta guerra c'è pure chi c'ha, troppo e pe' volè ancora più de quel troppo che c'ha è pronto a fa mori' un casino de gente non sa nemmeno lui perché, ma comunque per non perde' quello che c'ha. D'altra parte quelli che potrebbero avecce una mentalità e una conoscenza e una volontà de impegno politico maggiore sono persi in tutta una serie de storie ideologiche che gli impediscono de affrontà concretamente le cose. Ce stanno piccoli gruppi che, secondo me, ideologicamente sarebbe anche da votalli, però poi alla fine tu vedi i fatti...(...) ma allora tu che cosa vuoi fa', a un livello politico dico, allora io ti dico che se tu vuoi esse' veramente coerente l'unica scelta è questa qua. Io non solo lo vedo attaccato il livello interiore con quello di scelta politica, ma non lo vedo distaccabile. Se vogliamo parlare dell'immediato possiamo pure pensà che la alternativa sia votà questo o votà quello, ma l'alternativa non è questo, ma non è neanche riassume i cassintegrati, non è neanche mettè i depuratori alle fabbriche, qui l'alternativa è proprio che ognuno che piglia coscienza cambia vita, cambia vita. Dice: "Io potrei averci personalmente questo, questo e questo, no! non ce l'ho! Perché faccio un'altra scelta de vita". E 'sta scelta de vita deve esse' motivata su quanto de più genuino, quanto de più puro, quanto de più fondamentale tu puoi riuscì a capì della tua vita, a seconda del tipo che sei. Se tu sei un tipo intellettuale lo baserai su delle scelte filosofiche, ma se tu sei un tipo più de core lo baserai sul fatto che te piace sta' con la donna tua e i figli tuoi in campagna, invece de anna' tutti i giorni in fabbrica, lo puoi anche basà su quello alla fine è tanto valido quello e al limite è anche più valido quello. Se tu vuoi riconosce' quanto de puro c'è in te, secondo me tu lo sai riconosce', ognuno lo sa riconosce', l'interiore e il politico non cambia da 'sto punto de vista. Secondo me anche il giornalista che è stato 20 anni alla radiotelevisione, se vuo' cercà quello che lui veramente più se sente che sarebbe meglio fa' nella sua vita, lo può fa'. Il discorso è questo qua: mentre uno sta li a pensà se può farlo o no, s'immagina poi tutto quello che sarà dopo, e allora dice:"Eh, ma poi questo non c'avrà valore", ma se tu lo fai puoi sta' sicuro che quello che poi te succede è
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diverso da quello che ti immaginavi prima e in quello che ti succede, ancora li c'è sempre più da selezionà quello che più veramente è la cosa coerente, più genuina, più valida, più buona... capito?. Questo non è un cosa, ma è un come, è una tonalità, una modalità che tu puoi da' alla tua vita e che tu questa gliela dai fin dall'inizio. E tu devi esse' duro, testardo, continuo nel perseguirla questa cosa qua. E c'è da dire che poi la vita te li da gli sviluppi e le occasioni pe' portalle avanti, non soltanto nel senso de passaggi nel tempo e nelle situazioni, ma anche proprio dal punto di vista di maturazione, qualitativo, nel senso il valore che c'ha la scelta che tu fai all'inizio in questa direzione e la scelta che tu fai, portando avanti questa direzione, dieci passaggi dopo c'ha anche un valore intrinseco più alto, ce lo sai riconoscere più questo valore intrinseco, perché anche la tua capacità di riconoscerlo è cresciuta. Insomma che vogliamo di'? Uno vuo' fa' una battaglia
politica? Vabbè uno fa la battaglia politica, però ormai noi semo nati negli anni sessanta e semo cresciuti negli anni settanta. Pensare che tutta la tua vita spesa sul piano politico porta a un cambiamento non esiste, non è così. D'altra parte il riflusso ti insegna che portare tutto sul piano interiore, ovvero voler fuggire totalmente dal piano della realtà materiale che riguarda pure tante altre persone e anche la società basti, non basta. In effetti tu puoi esse pure devoto de Baba Gi, però quando vai sull'autobus devi pagà il biglietto e così via. Ma dov'è che si legano le cose? Si legano sul fatto di tu che cosa fai nella tua vita. Nel senso che tu puoi benissimo fa' parte de un partito, puoi votà, puoi andà in India e puoi passà dei periodi presso un monastero, puoi fa' quello che vuoi fa', però alla fin fine tu ti devi decide... secondo me queste so' tutte cose, sia da un lato politico, sia dal lato più mistico, so' cose a un livello un po' più superficiale. Da un lato quello ideologico, da un lato quello spirituale. Da questo punto di vista voglio tornare a Marx e alla realtà del materialismo, però io a questo materialismo gli voglio da un legame strettissimo, proprio intrinseco con la dimensione interiore. Tu devi decide che fai nella tua vita. Oggi non stiamo più nel sistema che trovi il posto fisso e hai finito. Tu ti trovi in un sistema un po' più americano oggi, devi trovare il tuo lavoro, ti devi inventà la tua vita, magari un periodo fai questo, un periodo fai quello, sta a te decide' che cosa fai nella vita. Sta li la tua alternativa, sta li
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in modo serio, cioè tu devi riuscì al tempo stesso l'aspetto più ideologico che alla fine ti porterà arrivato a una certa età a regredì velocemente nei molti passi e accettà il compromesso, e quello più sognatore che a chiacchiere però alla fine sei come l'altri di fatto. E qui io vedo degli esempi, non li vedo direttamente ma so' sicuro che ci stanno un casino de cosiddetti compagni che alla radio dicono... e poi magari fanno i lavori negli enti pubblici più normali, come tutti gli altri, devono fa' gli orari e pigliano lo stipendio, e se non c'hanno quello stipendio va male, e se so' precari, cambia la legge, so' legati a quello e comunque stanno a tutte quelle storie li; e alla fin fine se tu gli togliessi quel poco de storia politica che c'hanno, che poi alla fine è dentro il quartiere e condivisa con persone che fanno sempre un lavoro fisso e vanno a fa' la spesa al supermercato, alla fine so' finiti, tutta la loro alternativa è li, è una cosa che basta un cambiamento sulle tasse che cambia tutto. Oppure vedo altri che sono stati un casino in India e vanno a vende per strada braccialetti e così via, si ci vai a parlà ci vedi tutta la saggezza indiana, il discorso però è che se tu ci compri una cosa, costa quei soldi. Quelli vanno, comprano e alla fine è una speculazione. Cosa che io pure vado in India e porto cose da vende, lo dico subito... UNA PICCOLA SPECULAZIONE... Una piccola speculazione... una piccola cosa la faccio
anch'io, perché poi alla fine devi campà. Perché alla fin fine qual'è del discorso? Io non voglio fa' un discorso che porta alla soluzione, assolutamente, anzi io una volta ho fatto questo, un periodo faccio quell'altro, un altro periodo faccio un'altra cosa ancora e in tutte queste ce sta una parte che io dico che non mi va bene. Infatti cambio. Io riconosco la realtà che bisognerebbe ritrovasse in un po' de gente e creà una situazione che sia diversa, che sia alternativa da un punto di vista strutturale, nel senso che quel gruppo de gente che volessimo fare questo, creiamo una storia talmente alternativa dal punto di vista strutturale che potremmo quasi diventà un popolo. Un popolo estremamente micro..., però anche se numericamente ridotto, diciamo... in una scala piccolissima però la cosa funziona.
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TI VOLEVO DIRE CHE PER ME E' DIFFICILE DEFINIRE IL MODELLO DI VITA CHE SIA COMUNE A TUTTI I CASALI, PERCHÉ INVECE LA COSA CHE SI PERCEPISCE DI PIÙ E' CHE ESISTONO UN GRAN NUMERO DI DIFFERENZE. E' molto difficile dire questo, perché questo, secondo
me, è la parte, l'influenza che c'ha ciò che va aldilà di noi nella nostra vita. Quello che t'ho detto fin adesso appartiene a quel tanto che uno, che io, che uno cerca de sforzarsi de dare un ordine alla propria vita, una spiegazione alla propria vita, un senso etc. Finché poi uno vive e si trova nelle situazioni concrete, peggio ancora nei rapporti concreti, quindi con altre persone, quindi con altre situazioni e il retaggio di queste situazioni. Peggio ancora perché queste so' situazioni veramente concrete, io te voglio sempre ricordà quel qualcosa che io non ti riesco a spiegà bene che è il valore filosofico, il valore trascendentale della concretezza. Ogni evento concreto è una realtà, quando tu stai a mette' uno spicchio d'aglio nella terra è una realtà, ma non è una realtà nel senso della bellezza, della magia della terra e del cielo e delle nuvole... non queste so' tutte cazzate, è proprio il momento in cui tu stai a mette lo spicchio nella terra oppure quello che hai fatto il giorno prima, o che hai mangiato, tutte cose di cui non c'hai idea, fanno quel momento, tu non lo puoi sapè. Tu vieni a contatto con una persona e con una situazione per tutta una serie de storie che in parte puoi sapè e in parte non puoi sapè. Per cui alla fin fine tu non sei tu, questo è il discorso. Quello che dici io è quella parte che tu ritieni di avere sotto controllo di te stessa. In realtà è tutto un mutamento continuo, la coscienza è una parte, arriva a coprire una parte della realtà e un'altra parte non la copre. Questo è il discorso fondamentale. Quindi che succede? Che noi ci troviamo qua tutti quanti e siamo tanto diversi. Per esempio io c'ho 'sta casa (vive in una casa di sua proprietà, non è più un'occupanda,), ad un certo punto, anzi io più volte me ne sono andato, fino a che è arrivata la volta che ho detto vabbè, compratemi la casa, perché i miei me volevano comprà la casa già da un po' de anni, dicevo de no, alla fine ho detto si, perché tanto almeno io la casa ce l'ho, e così io per esempio c'ho la casa e questo già me mette in condizione diversa, non solo perché c'ho la casa, anche perché l'ho comprata in un posto un po' lontano dalle altre case e anche perché vivo da solo e anche perché bene o male so' un tipo un po' a modo mio forse, mo' non
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lo so come si può esprimere 'sta cosa, ad ogni modo io la sento e penso che la sentano pure gli altri, ognuno è a modo suo, io sono l'unico d'aver scelto di vivere da solo e questo già dice abbastanza. Comunque sia, perché? Questo è un problema risponde perché noi siamo un tipo de persone che, almeno io considero di esse' così e me riconosco negli altri almeno per questa cosa, perché uno dei valori fondamentali positivi, quei pochi valori positivi che riconosciamo anche se non li diciamo apertamente, secondo me è la facoltà di scelta. C'è un libro che ad esempio sul Monte Peglia è molto letto, si chiama "Hanta Yo", l'hai letto? NO, PERO' LO CONOSCO E' un libro degli indiani Siux, Dakota d'America, che,
fra le cose che dice, dice che la facoltà di scelta è la caratteristica di un vero uomo. Noi ci teniamo moltissimo a poter scegliere la nostra vita, siamo nati in un contesto totalmente diverso e con un destino totalmente diverso da quello che ci siamo scelti, e testardamente affrontiamo un casino di difficoltà, sicuramente eccessive, pe' continuà a non accettà che avevamo sbagliato quando avevamo diciotto anni. Noi intignamo a di' che così va bene e continuamo così, e ormai me sa che continueremo così fino alla fine. Quindi noi alla facoltà de scelta ce teniamo tantissimo; i nostri interlocutori su 'sto livello qua so' i nostri genitori e qualche amico che avevamo prima. Davanti a questi possiamo mantenere una fondamentale coerenza. Dentro de noi e dentro al nostro cerchio, però, vediamo che ce so' delle contraddizioni. Quelli tra de noi che noi c'abbiamo veramente un contatto da vicino so' pochi, come case, come persone ancora meno e magari anche all'interno della stessa casa ancora de meno. Allora li secondo me ritorna il problema del tipo de ideologia. Secondo me tra de noi, io te ritorno a presentà l'ambivalenza tra le due ideologie che esistono tra de noi: una è la... quello che in inglese se direbbe to go straight, proprio la coerenza, tu vai dritto per la tua strada e non ce stanno cazzi, e quella sarebbe la nostra cosa originaria, questa c'ha portato in campagna, noi non volevamo... se questo non se può fa' non lo famo, alla fine se semo accorti che oh! questo non se può fa', questo non se può fa', qui non ce se può più vive perché come te movi sbagli, allora è meglio che
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quello che magni te lo fai da solo così sei coerente, e quindi vai avanti per la tua strada e così via. Da un'altra parte fai quello che mangi da solo, però porca miseria tu devi mette mille metri de .... non ce la fai perché piove, e la terra s'è bagnata e non si può lavorare, tu quando stavi in città non lo sapevi che se era bagnata non se poteva lavorà allora tu devi chiede a qualcuno d'aiutatte, però se questo te viene ad aiutà questo te chiede qualcosa a te e tu gliela devi da' anche se questo non te va, perché quello magari non è proprio il tipo de persona che te va bene a te, però... capito? tutta una serie de cose. INTERVISTA A BARBARA DI ISCHIA DESCRIVIMI DOVE VIVEVI PRIMA, COME VIVEVI. Io vivevo in provincia di Como, in un paese abbastanza
piccolo e non avevo proprio un lavoro mio, all'inizio, quando sono venuta la prima volta sul Peglia, che è stato l'83-84. Avevo ventidue anni. Adesso ce n'ho trentuno e avevo
già Jacopo, mio figlio. AVEVI SMESSO DI ANDARE A SCUOLA? Avevo smesso di andare a scuola, non ho finito le
magistrali, ho fatto tre anni me ne mancava uno, ma poi non l'ho più fatto, non sono più andata, non c'avevo voglia, poi erano periodi del casino, il bello era andare a scuola per andare in giro, perchè tanto a scuola non facevamo mai niente, perchè più che occupare, e fare casino non facevamo... e andavo a scuola perchè era bello, mi divertivo. Poi alla fine mi sono un pò sbandata, l'indole era quella! A quattordici anni ero già un bel macello, scappa di casa, vai via, eh!, proprio la figlia modello. Sono venuta sul Peglia perchè era venuta una mia amica
prima di me, dalle nostre parti, dalle parti di Como, Lecco, c'è sta una delle prime ondate del '77 del Peglia, quelli che sono venuti per primi, che occuparono Castellonchio, quella casa vicino a Fontanelle e
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venivano tutti da Lecco, Nazarino, Adelio, tutta questa gente qua. QUINDI TU STAVI A COMO E SENTIVI DI AMICI TUOI... Si, sentivo, li vedevo, li avevo conosciuti prima
dell'emigrazione, però poi li vedevo quando venivano su, c'era la piazza di Canzo, piazza frequentata tutta da gente di sinistra e venivan tutti lì e li ho conosciuti. QUINDI L'ARIA ERA DI SINISTRA, PERO' NON ERA GENTE CHE
FACEVA POLITICA INSERITA NELLE... Alcuni si, altri più tendenti al fricchettone. C'era
per esempio la branca di Lecco che erano militanti proprio, erano anche organizzati, però non erano tanti, poi vabbè il movimento non è che è andato avanti più di tanto lì, l'eroina è arrivata subito, ti sto parlando di gente che adeso ha trentotto, quaranta anni, quindi ti parlo di venti anni fa. La prima volta che sono venuta giù è stato perchè la
mia amica Nadia doveva partorire. Ha partorito a casa, all'Acquaforte, a San Vito, allora sono venuta per quello. avevo paura io di venire giù, però io sentivo tutti
questi racconti che erano un pò la realizzazione di tutti i pensieri, vivere tutti insieme in una casa con gli animali, e io ero così giovane, poi avevo appena avuto un figlio, c'avevo una storia con Pierangelo che non è che mi soddisfava tanto, quindi lo sentivo proprio forte che se fossi andata in Umbria sarebbe successo il macello con Pierangelo. Infatti è stata proprio così. Io sono venuta qua, lui c'è venuto però poi quando ho deciso di venire a vivere, lui non voleva venire ed io l'ho fatto lo stesso. Poi è venuto pure lui, però è durato pochissimo, sei mesi, poi è andato via, anche perchè ci siamo lasciati,e io sono rimasta. CHE COSA TI PIACEVA? Ah, a me piaceva il fatto che stavamo insieme, non
c'erano queste divisioni classiche che la moglie sta a casa e il marito va a lavorare perchè tanto qui è così, o a casa tutte e due o quando ti va di lavorare i lavori sono quelli che posso fare sia io che tu, a parte d'inverno che c'è solo la macchia che le donne non la possono fare, altrimenti andare a fare raccolte così le posso fare sia io che te; poi c'era questo fatto che
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pure in casa la donna non era relegata al ruolo di casalinga pulisci, lava i piatti, metti a posto, lava per terra, ma lo facevano tutti, come lo faccio io, lo fa un'altro. Io, fra l'altro, uscivo un pò sconvolta da questo rapporto di coppia con Pierangelo, anche se non era un rapporto di coppia chiuso però vivevamo in due e la cosa non è che mi piaceva tanto, io me lo dicevo spesso che sono ridotta peggio di mia mamma, ed era la verità perchè con Pierangelo era stato un pò così, io quando ho avuto il bambino, il mio spazio nella falegnameria che avevamo insieme, dove io facevo le cornici per i quadri, il mio spazio era stato tolto per far posto ad una macchina che pressava il legno e vabbè, sti cazzi, niente... tanto tu stai a casa col bambino. Mi sentivo proprio male, non mi piaceva per niente
quella storia lì. Invece all'Acquaforte, in Umbria, qua sul Peglia in
generale, questa cosa non c'era; io sentivo un grosso rispetto per le donne, proprio grosso, non mi aveva mai trattato nessuno così pari come mi trattavano qua e mi piaceva. A parte il fatto questo qui, c'era anche il fatto della natura, anche se io vengo tra parentesi da un posto bellissimo, perchè... boschi, pinete, montagne alte, era proprio bello, non è che vivevo a Sesto San Giovanni, capannoni, no. Però quest'aria selvaggia non c'era e non c'è, anzi
adesso ancora peggio. L'aria di libertà che si respirava sul Peglia, mi sembrava veramente una favola, penso che a tutti fa quell'effetto appena arrivati, se arrivi in estate poi, che vedi girare nuda per i prati!, dici "dove sono arrivata?!" Non lo sento nemmeno adesso questo sessismo, oppure se uno è una bella figa o una brutta figa, io non l'ho mai sentito, nememno come sensazione, a parte che non ho mai sentito dire quella là è brutta o quello lì è brutto, mi sembrava che non c'era questa immagine della donna come c'è al nord. Al nord, anche se andavi in piazza o in birreria dove c'era un'ambiente alternativo, di sinistra, c'era lo stesso questa cosa qua, capito? Poi, sarà una cazzata, però non ti conoscevi mai fino alla nudità, non c'era questa intimità e questa cosa a me m'ha dato proprio un senso di libertà, di star proprio bene e di poter fare e dire e essere quello che sono, senza dover mettere su il fondotinta o il reggiseno, saranno state anche cazzate, però a me m'han fatto proprio piacere. Così, ho deciso di venire giù. Io in quel momento non lavoravo nemmeno. Quando sono arrivata qua, io avevo fatto i concorsi in posta, non mi han mica preso?, e porca troia mi ha
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preso, io avevo fatto tre mesi d'estate, poi altri tre mesi l'anno dopo, poi mi'è arrivato un telegramma che mi avevano assunto di ruolo, avevo appena comprato due vacche, ma dove andavo? a Mariano Comense a far la postina?, non sono andata eh!, non sono andata, alla mia mamma ho detto:" ma mamma sei scema, ho appena comprato due vacche". La mamma piangeva:"ahh, tu sei scema...". Sarò anche scema, ma dove le metto le vacche, mi ero appena trasferita a S. Antilia. Era una situazione di gruppo. L'economia era mista, perchè andavamo anche a lavorare fuori, dovevamo andare per forza a fare il tabacco, io ho fatto il tabacco tre anni di fila, l'ho fatto sempre, poi per la sussistenza alimentare cercavamo di... infatti ce la cavavamo abbastanza bene perchè eravamo in pochi, non eravamo in tanti e avevamo le mucche, i conigli, le galline, il maiale, il cavallo, compravamo pochissime cose da mangiae e comunque all'inizio è stata veramente tosta perchè eravamo veramente poveri, non avevamo un cazzo, non avevamo la macchina per esempio, avevamo una vespetta, io avevo la lambretta 50, che mi aveva regalato mio nonno, eravamo proprio poveri, abbiamo fatto proprio i mesi a mangiare, a bere il latte alla sera, caffè e latte, d'inverno, questo succedeva d'inverno, d'estate era diverso, per l'orto, per questo e quell'altro, e vabbè latte e formaggio, formaggio e latte, tantissime sere a pane e latte, ma avevamo veramente pochi soldi, infatti quella era un pò una menata, però stavamo abbastanza bene, perchè i bambini non andavano ancora a scuola, primo, quindi di conseguenza non devi comprargli questo, non devi conprargli quello, e la merenda, capito perchè non ce n'è di palle ma quando vanno a scuola e arrivano tutti col panino con la mortadella e la brioscina del Mulino Bianco e te mandi a scuola il bambino col panino col miele, gli può pure piacere però magari certe volte si stranisce; è stata così, non avevamo tanti problemi perchè avevamo i bambini piccoli, tutti piccoli. Poi dopo cosa m'è successo? Io ho girato eh! Comunque poi sono stata via tre anni, praticamente in
totale sono stata via cinque anni, però i primi due anni è stato un andare avanti e indietro, che avevo iniziato a lavorare. ERA DOVUTO A MOTIVI PERSONALI TUOI? Si, io ho sofferto tantissimo ad andar via di qua, era
una cosa che non volevo fare ma che ho dovuto fare, ho proprio sofferto, non ho mai tolto ne dal cuore ne dalla
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mente il fatto di poterci ritornare e infatti dopo l'ho fatto, e sono ritornata. Un pò per amore, nel senso di amore per un uomo e pure per me. Avevo sempre, continuamente questo senso d'incompletezza, l'unica cosa che mi faceva piacere di stare al nord è stato il fatto di andare in montagna ad arrampicare, al sabato e alla domenica stavo bene, poi durante tutta la settimana... poi io sono una persona abbastanza... così, che riesce anche a trovare la sua dimensione un pò da tutte le parti, non è che mi faccio le crisi, i primi due anni sono stati tosti, pesanti , brutti, cure omeopatiche contro l'ansia e la depressione, ho mangiato i chili di argento vivo per cercare di... mi mancava il fiato ero dimagrita, uno straccio, poi dopo vabbè... Il fatto di tornare a vivere sul Peglia non l'ho... non ho mai progettato qualcosa che mi impegnasse per dieci anni, perchè lo sentivo, lo volevo ancora, non mi sembrava finita questa storia sul Peglia, infatti ci sono tornata nel '90. Però avevo già un lavoro. L'avevo preso perchè ero andata a vivere su, se fossi rimasta qui mi sarei arrangiata sicuramente in un altro mondo, come facevo prima, per me il modo per vivere meglio questi posti è così, cercare un'autosufficienza, proprio con quello che hai, la casa, la terra, artigianato. E' chiaro che per me funziona l'economia mista. O ti metti a fare l'allevamento umbro, venti capi di brune alpine, cinquanta di chianine perchè senno non ti rende niente, lavori come un cretino per niente; e allora un'economia mista, mista come vuoi, vai a fare la stagione, fai l'artigianato, vai a vendere quello che produci e già quello sarebbe il massimo. TU IL LAVORO TE LO SEI TENUTO. PER QUALE MOTIVO? Il primo motivo è che questo lavoro mi impegna
pochissimo, sei ore la giorno, dalle otto alle due del pomeriggio. Io arrivo a casa e l'ho ancora la giornata davanti perchè vuoi che una mattina te la dormi tutta e ti scappa via oppure... insomma tempo per far le cose che ti vanno ce l'hai con questo lavoro qui, sei ore al giorno. E' una bella sicurezza, sono soldi. Iacopo per
mandarlo a scuola quest'anno ci son volute 600.000 lire di libri, poi il pulmino sono 45.000 lire al mese, la mensa e poi pure per me e pure per gli altri che stanno con me, perchè vabbè adesso noi non abbiamo niente. SIETE DUE COPPIE CON DUE BAMBINI?
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No. Adesso con questa storia qua con Giulio e con
questo nuovo figlio che sta arrivando c'è un pò più questo legame, però siamo sempre quattro persone ognuno coi suoi figli, poi dopo non lo so quando nascerà quest'altro figlio che cosa salterà fuori. La cosa che è cambiata tanto, che è stata bella, è che ci siamo ritrovati lì che non ci conoscevano tanto. Io conoscevo Stella e Lucio, con Lucio ho pure vissuto un periodo, però era una cosa più vacanziera, "stiamo qua insieme in questa casa"... Praticamente abbiamo deciso di vedere che cosa si
riusciva a fare, senza inpegna, senza progetti, un tetto sopra la testa e poi ognuno si fa i cazzi suoi, si trova i soldi come vuole lui. PER I SOLDI AVETE UNA CASSA COMUNE? Abbiamo una cassa comune? C'abbiamo la mia!! Boh, io
non lo so, a me non me ne frega, quelli che ho li metto e gli altri fanno altrettanto, quelli che hanno li mettono. SENZA PRINCIPIO DI EQUITA' Si, si, non c'è... Ecco guarda la cosa che abbiamo
iniziato a fare è di dividere le spese grosse, che abbiamo fatto, tipo il contratto con l'Enel, questa si divide bene in quattro, poi il cassone per l'acqua, ma tutto questo lo stiamo facendo adesso perchè dopo quasi un anno e mezzo, pure di più, la storia di Ischia inizia adesso perchè stiamo lì tutti e quattro. Perchè all'inizio Stella, che usciva da una storia pesantissima, la morte di Nando, non sapeva cosa doveva fare, se stare qua, tornare a Torino, invece adesso ha deciso di stare ad Ischia. Lucio un pò in balia degli eventi, però con lui i progetti li puoi fare, Giulio anche lui c'era e non c'era, non si sapeva che faceva e invece adesso sembrerebbe che c'è perchè... il fattore rischio però è sempre alto, pure per me eh! non dico che io invece no, anch'io. Siamo un pò lenti, la cosa viene fuori piano, però si vede che doveva andare così. Adesso ci ritroviamo davvero in quattro con tanti bambini e vediamo cosa salterà fuori. I progetti ci sono, sembra c'è pure la voglia, loro vanno a lavorare a Roma per fare su i soldi per far le cose. Poi questa cosa della cassa comune si puà fare quando ci sono delle entrate
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comuni, sennò che casse comuni fai?! Adesso recinti, cavalli, maiali, bambino piccolo. NELLA CASA E' TUTTO ORGANIZZATO SPONTANEAMENTE, CHI
VUOLE FARE UNA COSA LA FA, SENZA REGOLE, PARLO DEL MANTENIMENTO QUOTIDIANO DELLA CASA. Si, si. Ci sono quelle cose grosse che stanno saltando
fuori adesso, che certo prima si chiede, se c'è voglia di farlo. La storia delle api, che io chiedevo a Stella se la voleva fare con me, oppure Lucio che ha portato a casa la capra, però a volte deve andare fuori a lavorare allora chiede. Altrimenti la cosa è spontanea, non ci sono grossi impegni da seguire. PURE DENTRO LA VOSTRA CASA NON C'E' DIVISIONE DEI
RUOLI TRA UOMINI E DONNE? No, non c'è proprio. Guarda, è chiaro. Lucio fa un
sacco di cose che io o Stella non le facciamo, prende in mano il pasqualino e va, ora, frangizolla, queste cose qui le fa lui, è chiaro oppure porta col trattore il caricone di legna, per cui se io sto in casa e ci sono i piatti da fare li faccio io. Però non mi sono mai sentita obbligata a fare un cazzo. L'altra mattina sono arrivata e c'era il pavimento che faceva paura, era bellissimo, io e Stella on c'eravamo, Giulio era a casa ha lavato il pavimento, ha messo la cera, io sono arrivata a casa e ho detto "Ah, l'angelo del focolare!". No, non c'è una divisione. Anche se poi dopo ci sono sul Peglia dei lavori proprio pesanti, che li fanno preferibilmente gli uomini; io però non mi sono mai sentita obligata a far niente. INVECE CON ALTRE PERSONE CON CUI AVEVO PARLATO ERA
USCITO FUORI IL FATTO CHE IN QUESTI LUOGHI E' PIU' FACILE CHE CI SIA UNA DIVISIONE SESSUALE DEI COMPITI, PROPRIO PERCHE' CI SONO DELLE COSE FISICAMENTE PRECLUSE... A me la cosa che m'è piaciuta più di tutte quando sono
venuta sul Peglia, ti parlo di dieci anni fa, era che gli uomini lavavano i piatti, mi sembrava che li lavavano continuamente, ma porcodio quanti uomini lavano i piatti? no, io questa cosa qua non l'ho mai sentita. Sono un pò un maschio io, in generale, però adesso che sono incinta non sono tanto un maschio. Non mi sono mai sentita, forse perchè l'ho provato cos'è veramente
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essere chiusa a casa. Soprattutto con gli uomini con cui ho vissuto io non c'è mai stata da parte loro una divisione sessista, del tipo "tu sei una donna, stai a casa e non hai preparato da mangiare". Nessuno mi ha mai fatto una cosa così. Mai. Ne io mi sono mai messa in quel ruolo così. Forse ho avuto culo, ma a casa nostra non succede. TORNIAMO SUL PIANO GENERALE. COME VEDI LA STORIA DEL
PEGLIA? SE DOVESSI DESCRIVERE A QUALCUNO CHE NON LA CONOSCE QUESTA REALTA' COSA DIRESTI? Oddio, è una realtà che sta così cambiando giorno dopo
giorno, non saprei come spiegarlo, le situazioni cambiano così velocemente... TU SENTI CHE E' CAMBIATA MOLTO DA QUNDO SEI ARRIVATA
ALL'INIZIO? Oh, certe cose sì, sono cambiate. E comuqnue tanto ha
fatto... è cambiato anche perchè siamo diventati tutti... forse non c'entra tanto, però io sento che... l'abbiamo tutti i soldi girano più soldi. GIRANO PIU' SOLDI, L'HANNO DETTO ANCHE GLI ALTRI.
PERCHE'? Beh, da una parte se penso a come era dieci hanni fa
sono contenta che girano più soldi, perchè io provavo a passare, non solo noi a S. Antilietta ma anche le altre case, le mesate senza veder la gente, le mesate proprio. Chiaro che poi quando ti vedevi era troppo bello, era
proprio una festa, c'avevi mesi da raccontarti però era un isolamento incredibile, troppo. Anche perchè non era volontario, era proprio impedito. PERCHE' STAVI A PIEDI? E' perchè stavi a piedi. Chiaro, d'estate ti vengono a
trovare o vai, ce la fai sempre, ma l'inverno era pesante, era pesante,anche se gli inverni che ho passato a S. Antilietta gli ho passati pure bene. Niente, questo fatto che girano più soldi, neanche
che ci si aiuta meno, però una volta eravamo più... GIANNI: solidali! BARBARA: più tutti nella merda, eravamo più conciati, capito, ci capiavamo di più, se ti mancava una cosa, se non potevi fare una cosa, e ce le dividevamo di più le cose.
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Adesso col fatto che ci sono più soldi, che... non ti dico che è saltata fuori una mentalità imprenditoriale, perchè che cazzo vuoi prendere, non prendi proprio un bel niente, però abbiamo più soldi... Si pensa... anche se io non sono così, non mi sento così, vedo un sacco di cose che... ognuno pensa ai cazzi della sua casa... A ME SEMBRA CHE CI SIANO PIU' DI PRIMA SITUAZIONI DI
COPPIA E DI FAMIGLIA. LE CASE PIU' NUMEROSE, VISSUTE IN GRUPPO SONO DIMINUITE RISPETTO A PRIMA, O NO? No, no. E' sempre stato così. Dai, in confronto a
dieci anni fa c'erano più coppie. Guarda le case aperte, dove c'era più gente, erano S. Antilietta, dove siam sempre stati... guarda quell'inverno li eravamo in dodici, capito. Altrimenti la maggior parte erano coppie. Quasi quasi più adesso. Io mi sono accorta per esempio che, quando sono andata via da S. Antilietta e non sapevo dove andare, questa è una cosa classica del Peglia e che mi è piaciuta proprio tanto, è che non ti senti, o almeno io non mi sono mai sentita da sola, esperienza personale eh, non sapevo dove andare, nel giro di dieci giorni potevo andare in dieci case diverse, tutti che dicevano:" vieni qui, vieni qui, se vuoi star qui", tutti pronti a darti una mano, questo lo sento ancora adesso. Invece quella storia lì che hanno più soldi e allora pensano... è perchè con i nmano un pò più di soldi riesci a fare qualche progettuccio in più, e siccome i progetti vanno a finire sulla terra, sugli animali su queste cose qui, e non sono cose che le faccio oggi e domani ho il risultato, no, lo sai anche te, lo faccio adesso e ho il risultato tra un anno, oppure lo devo fare adesso perchè senno mi zompa un anno, quindi sono un pò più responsabili. Perchè prima per arare e seminare S. Antilietta è stata fatta una colletta pazzesca, perchè per arare tutta quella terra là, chi è che ce l'aveva i soldi; adesso sono pochi quelli che non hanno i soldi per arare e per seminare sono proprio pochi. E questo è rimasto, chi sta qui butta dentro tute le
sue energie, tutti i suoi soldi in questo posto qui, nella casa e nella terra. Anche noi, non abbiamo gli animali, non abbiamo niente, però ieri il discorso era quello in casa. Allora mettiamo l'orzo, mettiamo il fieno, lavoriamo la terra che abbiamo, per un prossimo speriamo futuro, con degli animali, con un podere, un terreno funzionante, che lo vedi che ci fai qualcosa, che non è che stai solo a vivere in campagna così,
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qualcosa, che non è che stai solo a vivere in campagana così, io non è che ci godo ad andare a pompare l'acqua, con la lampada a gas e il freddo con la stufa a legna! Ci sarà qualcos'altro, non ci saranno solo i tormenti. E' la terra, oltre la casa, a me piace tanto lavorare col cemento, mettere a posto, per carità, però sono questi lavori grossi che sono appunto i lavori comuni e poi ci sono i lavori che puoi fare con altre case, bene o male le cose che le fai con quelli che stanno vicini, o con quelli che hanno i mezzi per farlo, tipo ad arare a Ischia viene Massimo e anche ieri diceva per arare ci vogliono i soldi per il gasolio, per la semente, lui diceva "io mica voglio i soldi, dopo facciamo qualcosa da noi, uno scambio lavoro". Con gli Angeli succede spessisimo, Lucio ha comprato il pasqualino insieme e fanno un sacco di scambi lavoro, io ti aiuto a te, facciamo prima, ci divertiamo insieme, è più bello, poi lo facciamo da me. Questa è la cosa che mi piace di più dello stare qui,
che c'è la disponibilità; io tante volte sento lo scontento, è normale anche, io se vado un pò indietro con la memoria mi ricordo di amici che scazzavano, gente che si vede solo la sera e riesce a scazzarsi, noi per me siamo bravissimi, siamo dei modelli di vita! Riusciamo a stare insieme gli anni senza scazzare, oh, a viverti il quotidiano, pure a volte pesante, perchè a volte è faticoso, stare qua, e questo e fai la legna e riscalda, che quando fa caldo dici "che palle sto caldo" e quando fa freddo dici:" che palle sto freddo!". Non è che è tanto facile stare qui a volte, per me noi stiamo ancora qui è proprio per questa storia che siamo in tanti, almeno per come è successo a me, poi i casi non li sa nessuno, però io ho sempre trovato tanta solidarietà da parte sia dei miei amici che delle mie amiche, nessuno che... a parte la storia con Cicci, che c'è tutto un retro dietro, però non ho posti interdetti. Ce n'è proprio tanta di solidarietà rispetto a dove vivevo prima, io vado spesso al nord, e tante volte me lo cheido "ma che fanno?". Sarà anche soddisfacente così, a me non mi soddisfaceva neanche un pò, il fatto che vanno a lavorare, si vedono la sera ogni tanto, le cose che fanno insieme sono solo gli svaghi che poi bisogna vedere certe volte son proprio pesanti anche gli svaghi. Per esempio ioi avevo una fascia di gente con cui andavo in montagna e allora li andava tutto bene. Altrimenti ci sono quelli con cui ti trovi e vai a fumare, che a me di quelle cose lì non me n'è mai fregato tanto, però... Saremo anche molto più sputtanati
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tra di noi, nel senso che conosci proprio tutto, e sei anche più criticabile, perchè quello che fai qua, lo fai davanti a tutti. Sei qui, davanti a tutti, nel bene o nel male, fai il bene o fai il male, lo fai davanti davanti a tutti, è qua che lo fai, non ci sono doppie vite, doppi giri di persone ti conosci proprio... sei anche più criticabile, più attaccabile però almeno sei quello che sei, ma criticami pure, siamo così, siamo più veri sicuramente. Ah, vita dura per gli infami, mi sa! Io mi son sempre sentita accettata, pure nelle cose proprio brutte, mi son sempre sentita accettata e pure le critiche che mi son state mosse, pure mirate e crudeli, però reali perchè era così. E poi accettata pure nello scontare, è così, allora vediamo un pò cosa si può fare per cambiare, è un continuo confronto. Pure in casa, non è come al nord, o stanno insieme in coppia, o stanno insieme da single, sia maschi che femmine, che arrivano a casa dopo aver fatto gli stracazzacci loro, poi si mettono un maglione pulito, nella doccia, si vestono, si cambiamo ed escono. Ma che ne so io che te fino al giorno prima, no fino a dieci minuti prima stavi come me sulla tazza del cesso, cacavi come me. Noi l'altro giorno a casa, io stavo sulla tazza del cesso e c'era una marea di gente che gironzolava per i gabinetto, faceva questo, faceva quell'altro... magari se dovessi prendere l'Amedeo Bianchi che viene, per lui sarebbe una cosa sconvolgente, dice " ma questi qui sono promiscui!". Siamo tutto quello che vuoi, in realtà io sono semplicemtne una persona che fa la cacca, capito, ed è così, con tutti i pregi, i difetti, le debolezze, chiaro che sei più vulnerabile, più attaccabile, perchè te se cominci a sbroccherellare, a litigare, guarda che quando ti conosci così a fondo ti puoi dire anche le cose pesanti, però... sono reali, riesci anche a capire forse di più, te stesso e gli altri. Non sono mai stata una portata a vivere da sola, fin da ragazzina, sono semrpe stata un animale da branco, anche se poi il mio spazio, la camera mia che ho adesso in camera, ce l'ho e lo uso, io passo tanto tempo da sola in camera, mi piace tanto, ora sono pure incinta, però son sempre stata un animale da branco, non potrei mai stare da sola o con un uomo e basta. Forse con una donna e basta si, e l'ho fatto, l'ho fatto per due anni di fila, però due donne da sole in una casa... ma quando stai da sola?! ci stanno... arrivan tutti. A me è successo così, questi anni che ho passato da sola con la Grazia, sole io e lei, abbiamo passato, su due anni e qualche mese, poco, poco tempo da sole, poche serate da sole, certe volte ce
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le dovevamo proprio ritagliare, capito che esci alle otto meno un quarto per andare al cinema alle dieci perchè senno alle otto e mezza l'hai casa piena! No da sola, io spero che questa storia vada avanti ancora per tanto, tanto tempo, di riuscire a vivere così insieme a delle persone. Io una situazione tipo questa di Ischia, quello che
comunque è una cosa che mi manca, anche se però abbastanza ho un'indipendeza, ho la macchina, non mi mancano i soldi per far la benzina, di conseguenza piglio la macchina e vado, è, sono le donne, è il rapporto con le donne. Infatti sto cercando di fare questa cosa qua delle api con Diana, per cercare di fare qualcosa, che alla fine c'entra sempre con l'economia della casa, perchè poi i prodotti che hai li usi per la casa, però... due maschi, due femmine e i bambini, no, a Ischia, anche se non posso dire come sarà perchè è proprio embrionale la cosa, Giulio è appena arrivato, Lucio si sta adesso aprendo, Stella da due mesi dice di rimanere qua, quindi che ne so io, è tutto nuovo, ed è molto bello, emozionante. Però io su certe cose lo so come reagisco, come funziono. Non dico che le cerco già, che metto il piede avanti però mi piacerebbe di fare qualcosa solo con altre donne. Per esempio a me sarebbe piaciuto andare avanti ad andare in piscina con Manuela, ma adesso che è così lontana sarà un pò un macello... PER AVERE UN MOMENTO DI INCONTRO SOLO FEMMINILE? Si questa cosa è un pò difficile. Per me neanche
tanto, io piglio su la macchina e rado,che cazzo me ne frega, però io ecco vedo quelle che riescono ad arrivare a Ischia. Per me ad esempio piace Angela, quella donna li mi piace proprio, mi andava anche di, non dico sfruttare, questa sua apertura di questo momento; lei ha vissuto tutti questi anni qua in coppia, con un'economia chiusa, difficile, però mi rendo cento che o non c'è soldi per questo, o non c'è soldi per quest'altro o la macchina non va... è sempre difficile. Per adesso io ce l'ho l'energia di prendere e andare però poi ora che avrò il bambino piccolo non so che faccio. Quindi sento un pò il terreno sotto i piedi, però... oh, piano piano riusciremo a fare anche quello. Quello mi interessa, anche perchè poi, non credo che mi capiti mai, per come sono fatta, di chiudermi nel rapporto con Giulio, anche per come è lui, però sono rischi che puoi correre. Io non mi sento tanto in pericolo, però... ci può
essere. Ci può essere perchè siamo due maschi e due
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femmine, ci vorrebbe un'altro elemento in più in casa, indiscutibile che preferirei femmina, però pure se fosse maschio; anche se Jacopo sta crescendo ed è una bella presenza, però ha sempre dodici anni. Comunque io e Stella abbiam provato a stare tanto da sole, ho passato cinque mesi senza Giulio e me la sono sentita proprio bene, riuscivo a fare..., certo uscivo fuori da quella malattia là, mi sentivo proprio debole, poco sicura fisicamente... perchè da andare a fare la Nord delle Tofane di Rosos a non riuscire ad alzare una pila di piatti è stato un trauma mostruoso, non potevo neanche scendere giù a prendere la legna, questa dipendenza fisica proprio mi ammazzava; invece poi questa cosa qui l'ho riacquistata piano, piano e ho poca paura. Cerco di mantenermi abbastanza autonoma, pure con questo fatto del bambino, ecco un elemento in più in casa... anche se i locali sono quello che sono purtroppo, anche quello, ognuno ha bisogno del suo spazio, io ho visto con la camera mia, devo farmela. Comunque sono contenta, non cambierei mai, non tornerei mal al nord. Ma il nord è uguale a Marino, sono stata li dei fine settimana, ho visto... QUAL'E' SECONDO TE LA DIFFERENZA PIU' FORTE TRA LA
VITA QUI E QUELLA IN CITTA'? La chiusura. Ci sono pochissime realtà di convivenza
plurifamiliare. SECONDO TE PERCHE' E' DIFFICILE QUESTO IN CITTA'? Per una questione di zero interessi in comune, come la
vedo io. L'interesse di vivere in comune in città non dividere gli spazi, è dividere l'affitto, i soldi dell'affitto, quello che ho visto è così. Non ho visto persone che vivono insieme perchè fanno... cosa possono fare in città? Forse hanno un negozio, un teatro. Non li ho mai visti. Magari ci sono, io non li ho mai conosciuti. E' la solita cosa di quando stai in città, e la sera, lo svago, e oltre l'impegno politico per alcuni. Non c'è però il progetto comune, il progetto comune è fuori casa, se c'è. Se c'è impegno politico, militi in qualcosa, se frequenti un centro sociale, ma altrimenti quelli che vivono in città... il progetto comune è tirar su i soldi per l'affitto.
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PARLAMI DI COME HAI ALLEVATO TUO FIGLIO QUI. Anche questa cosa qui è stato un aiuto, di vivere con
altra gente, non voglio arrivare a dirti come Gaber "per ognuno tanti padri e tante madri, voglio dire senza madri e senza padri" perchè non è così, però Cristo! Iacopo non aveva ancora due anni e mi ha detto "io vado in Umbria". "Ma dov'è l'Umbria?" gli ho detto, "ma sei scemo?" "Vado in Umbria con lei". "Ma chi è lei?". "E' la Malene". Davvero, è partito è venuto in Umbria con suo sacchettino di plastica. Mia mamma mi ha detto:" Ma dov'è Jacopo?". "E' andato in Umbria". "Ma dov'è". "E non lo so". "Ma con chi è andato?". "Eh, con una...". "Chi era?". "Era una rossa di capelli...". "Ma tu non sei normale. Devi mandar via il tuo bambino, non sai neanche dove è andato". Davvero io non sapevo neanche dove era andato, è stato lui il primo a venire qua in Umbria. Io non sapevo e lui ha detto "io vado giù per una settimana". "Fra una settimana potevano averlo venduto ai Marocchini!". M'ha detto. "E ma minchia mamma, che paura!". Poi mi sono resa conto, ma dopo, quando ho detto:" ma cazzo davvero dove l'ho mandato, a Rotoprona?". Questa cosa qui... io ho conosciuto Malene al Nord, che girava con Linda, la figlia di Birgitt, la figlia di un'altra. Ma a questa qua gli do in mano anche il bambino, vengo anch'io, ma prendimi in braccio pure a me, c'aveva due tette così, era una meraviglia, ma figurati ma piglialo pure. E infatti è venuto via da solo, il primo a venire in Umbria è stato Iacopo a vivere così è stato proprio... a parte il posto sano, il mangiare bene... Jacopo a smesso i pannolini nel giro di una settimana, perchè? perchè non glieli mettevo, poteva cacare dove voleva, pure in casa capito, se faceva la cacca per terra non era come se la faceva sulla ceramica di mia mamma, che capito che faceva la cacca per terra sul pavimento impolverato di cotto dell'acquaforte, era proprio diverso, capito e poi non c'era quella cosa che io sono la tua mamma, tu sei mio figlio e quindi io devo pensare a te, no, andava da sua mamma. Jacopo queste cose qua non le faceva, a tirare su i bambini insieme a tanta gente, è chiaro devi stare attenta perchè se te questo ruolo di mamma lo releghi un pò da una parte poi dopo non venire a piangere, perchè c'è stato un attimo che io ero un pò persa, ma come... il mio bambino. Beh, il tuo bambino, hai fatto l'aperta, tu non sei mio figlio, sono io la tua mamma, ma anche ta... ta... e lui alè!". Non ha mai smesso di chiamarmi mamma, non mi hai mai chiamto Barbara, però... Per me è stato una aiuto,
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perchè io ho partorito a diciannove anni, cioè quasi a venti, è nato il 6 gennaio del'82, io ho compiuto venti anni il 4 luglio dell'82, quindi ce n'avevo diciannove. Il primo anno me lo sono fatto abbastanza da sola, poi è stato proprio un sollievo... poi mi sono accorta che Jacopo venendo su in un ambiente così, io mi sono accorta perchè vedevo che era sveglio, imputavo questa cosa al carattere del bambino, invece poi parlando con le maestre dell'asilo e quelle della scuola... dicevano "questo bambino ha ricevuto tantissimi stimoli, è stato proprio stimolato, è ascoltato tanto, ha parlato con tanta gente, racconta tanto. Per me è proprio stimolante per un bambino crescere insieme a tanta gente, è stimolante per il bambino ed è leggero per la mamma, perchè... certe volte li strozzerei, io si, io ho la pazienza, li amo tanto ma certe volte proprio... anche adesso come adesso sai cosa vuol dire per dei bambini di dodici anni, che per me riescono a viversi proprio tutto, sia la società quella esterna al nostro mondo, perchè vanno a scuola, tra un pò di anni andranno ad Orvieto, e capirai, di più, Jacopo, come Matteo, come Naike, io mi ricordo che quando ero piccola, avevo quattordici anni, pregavo la mia mamma di mandarmi a dormire dalla mia amica, che per me era proprio... loro lo possono fare tranquillamente. Tu genitore sei tranquillo perchè lo sai dove va, è come se stesse a casa, e io ho provato, per esempio quando è morta la zia, dover andar via settimane di fila, quest'estate sono stata all'ospedale un pacco di tempo, non c'è l'ho mai avuta la preoccupazione di Jacopo, mai. Jaky è bravo è capace di farsi voler bene e non rompe le palle, però pure la gente... io sento che qui i bambini vengono amati per quello che sono, non perchè tu sei mio figlio e ti voglio più bene a te perchè sei mio figlio, no, ti voglio bene e basta. Un sacco di volte... la Giada che va a Roma con Rolando, capitano queste cose qua, molto stimolanti per i bambini e per i genitori altrettanto. Per me è un aiuto proprio grosso. TU DICEVI CHE ATTRAVERSO LA SCUOLA LORO CONOSCONO QUEL
MONDO AL QUALE NOI IN UN CERTO MODO NON APPARTENIAMO, COME AVVIENTE L'IMPATTO? CHE TIPO DI ESPERIENZA FANNO? Adesso è cambiata proprio tanto la cosa, io mi ricordo
all'inizio quando i primi bambini dei "cappelloni", cappelloni eravamo, andavamo a scuola, è stato un pò pesante. I primi, si parla di...
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ANDAVANO TUTTI O QUALCUNO AVEVA DECISO DI NON MADARLI? Andavano tutti, si. Si è pensato, però non c'erano le
potenzialità, non c'erano le persone adatte a creare una scuola; io non lo so neanche se mi andava una cosa del genere, siamo già abbastanza isolati, è buono che i bambini conoscano un po' tutto, perchè se un giorno Jacopo deve andare a vivere a Centocelle... comunque noi tutti adesso siamo più rispettati, tutti. E' CAMBIATO NEL CORSO DEGLI ANNI IL RAPPORTO CON LA
GENTE DEL POSTO? Tantissimo. Una volta noi eravamo diversi, eravamo
molti sconvolti anche solo nell'abbigliamento, anche solo nel mostrarci più e loro bisogna tener conto che è gente che ha sempre vissuto chiusa su questo monte, quelli di Ospedaletto, di San Vito quando nel '77 sono arrivate queste orde barbariche coi capelli... "ma chi cazzo sono questi qua?" chiaro, no? All'inizio per me, ti parlo di dieci anni fa era completamente diverso. Io adesso vado a Ospedaletto, vado a San Venanzo, conosco un sacco di gente, un sacco di gente mi saluta, io saluto, ci parlo, pure a Orvieto, poi col fatto che lavoro lì è pure diverso però io dico già San Venanzo, siamo tutti più accettati, non sembriamo più così strani. PURE PERCHE' SIAMO MENO STRANI. Per me si, siamo meno strani, adesso c'è pure questa
cosa qui che fanno vedere alla televisione, parlavo l'altra gente con la Rosmunda, la gente viene qua sul Peglia e chiede i prodotti locali, adesso c'è pure la moda del prodotto genuino, non è più così strano, rimangono sempre allucinati quando dici che non l'hai la luce, quello è sempre un pò sconcertante, arrivano subito a pensare che hai un generatore... uan volta era più tosto farlo capire. Vedo con mia mamma, forse ero anche più giovane, si fidava di meno, però... io vedo pure i genitori di quelli che stanno sul Peglia, chi è che veniva, eravamo stati mezzi radiati dalla famiglia, adesso no, ho conosciuto un sacco di genitori. CHE COSA E' CHE SPAVENTAVA DI PIU' DELLA SCELTA DI
VENIRE QUI?
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Il fatto che eravano una manica di drogati, mi ricordo bene una frase di una madre di uno di Brescia, che disse:"Ma avete finito di star giù a giocare agli indiani e i cowboys". Allora era allucinanate. la cosa che accettavano meno era questo di vivere... per loro era un regredire... al posto di andare avanti, andare indietro, questo fatto di vivere con gli animali, mia madre mi diceva che era cresciuta con l'odore delle capre sotto il naso e le dava fastidio mo la figlia gli puzza di vacca, di camino, appartenevano al passato queste cose. Loro hanno fatto le peggio cose, che ne so Paola, loro un giorno che mangiavano il pane bianco era festa, noi facciamo il pane integrale, l'olio extravergine di oliva a mia mamma non gli piace, per lei è troppo pesante, sono cose che non gli piacciono, hanno dei modelli precostituiti, "io ho fatto questo e vorrei che mio figlio facesse questo, questo...". SECONDO TE PERCHE' QUESTO MONDO DA LORO CONQUISTATO A
FATICA NOI LO LASCIAMO? Perchè fa cacare, fa proprio schifo, non è che perchè
io sono qui non mi beccherò la destra che ripende piede, me la beccherò pure io perchè vivo in Italia, però... se io vado ancora a vivere a Casilino d'Erba è così difficile non entrare dentro in quel giro lì, di ricerca di benessere, mito del superfluo, d'aver tante cose, a me non mi capiterà mai, che non son fatta così però... il fatto di mettre via i soldi per comprare una machina da cinquanta milioni, poi tirarla fuori il sabato e la domenica, che poi è così. Io ho lavorato anni e anni nella scuola, i ragazzi son così, nel Nord son così, loro partono dalla prima superiore, li vedi in quinta che arrivano con Volvo, capito, tutto per avere la macchina bella. Io questo non l'ho mai trovato interessante, la differenza che c'è tra me e mia sorella Monica, la mia gemella, il tipo di apprtamento che ha lei, che poi non è nemmeno lussuoso perchè non se lo può permettere, però se solo solo ha due soldi in più li brucia via così, a comprare il nuovo tipo di televisore, io la televisione non ce l'ho. E I BAMBINI SECONDO TE SI SENTONO LIMITATI DAL FATTO
CHE ABBIAMO SCELTO UNA SORTA DI RITORNO ALLA POVERTA'? No, per quello che ti posso dire di Jacopo, lui c'ha
un grosso problema personale, nel fatto che il papà è lontano e che vuole tanto bene ai nonni e allora a lui
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piacerebbe vivere vicino ai nonni e comunque non si sente assolutamente... forse ha pensato appunto che non ci manca proprio un cazzo, non gli manca proprio niente, se ha bisogno di qualcosa ce l'ha; Jacopo è orgoglioso di vivere in questa maniera, per quello che lo sento parlare, a lui piace, non è neanche un bambino di quelli che gli piace la televisione, lui legge oppure gli piace andare a cavallo, andare nei boschi. Ma poi vedi Paola, adesso come vive Jacopo, succede pure che si va a Roma il fine settimana no, e si va al venerdì sera e al sabato sera, una sera al Forte Prenestino e l'altra alla Pirateria, oppure si va al cinema. SONO COSE CHE NON GLI MANCANO Ormai non gli mancano più a nessuno, vedi i figli di
Laura e Valerio, hanno tutto, tra videoregistratore, scuola di danza, l'anno scorso con Jacopo scuola di karate, anzi io penso che Jacopo si ritenga proprio fortunato. Certo lui ha questa tristezza, che ha il papà lontano, che poi il padre ha tutto un discorso particolare dietro, quindi, un pò un macello, è una preoccupazione per lui, poi il fatto di non poter star vicino ai suoi parenti, la sua nonna, suo nonno, suo cuginetto. A lui dispiace tanto, anche vuole bene a tutti qua, guai, lui per esempio va a S. Antilietta da Cicci, che considera un suo amico, un suo bel punto di riferimento, gli piace andare da lui, ce l'ha le sue amicizie qua, ci sono i bambini della sua età, qui ci sono tanti bambini, se ci fai caso, tanti e anche tanto scaglionati come età, ce ne sono pochi da soli, dici "io sono l'unico bambino di otto anni". No, ce ne sono minimo quattro di otto, nove anni, c'è Vania, Dalila, Fiore che hanno quella età lì, ci sono Jacopo, Matteo e Naike che hanno quell'età lì, ci sono i gemellini, Giada che hanno quell'età lì, poi adesso c'è Pablo piccolo, ci sarà il mio piccolo, sono pure fortunati, non si ritrovano mai soli, poi hai visto com'è comodo col pulmino della scuola, un giorno van di qui, un giorno van di là e poi non c'è più, che per me conta tanto, questa sorta di rifiuto del mondo esterno nei confronti loro; una volta c'era, quando Linda, Matteo di Patrizia e Gianni Freak, Luna e Davide suo fratello grande andavano a scuola ad Ospedaletto, i primi anni è stato pesante per loro e pure per noi, tante volte non avevamo i soldi per comprargli il quaderno, allora lì si diventa che te sei il poveraccio e le famiglie in casa parlano e i bambini sentono, ti guardano in una determinata maniera.
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Adesso come adesso no, hai visto pure alla festa di Matteo sono venuti quelli San Venanzo, questa cosa qui vuol dire che è cambiato qualcosa, non sarebbe mai successo una cosa del genere, ma nemmeno che i nostri venissero invitati, adesso no, guai. Poi sono diventati più grandi, sono andata a mangiare alla Pineta, il tipo là mi ha detto:"Oh, Jacopo dove è?". Lo conoscono, capito loro prendono vanno in bicicletta a Ospedaletto, hanno i loro giri, no è tutto più facile. SENTI, SECONDO TE STARE QUI HA PURE UN VALORE
POLITICO? TI SENTI ALL'INTERNO DEL MOVIMENTO ANTAGONISTA? Io da parte mia mi ci sento pure, bisogna vedere se
loro mi accettano, perchè sono state mosse delle critiche pazzesche verso i compagni che sono andati in campagna, eh, dai, si, l'abbandonare così il movimento, la lotta che si fa nella piazza... TU COME TE LA SENTI? Io vorrei che fosse un pò più forte sta cosa qua, dico
la verità, mi piacerebbe che questa storia qua fosse legata un pò di più, chiaramente o a Roma o a Perugia, a Orvieto non c'è un cazzo, a meno che non lo facciamo noi... anche se poi ultimamente abbiamo contatto con quelli di Orvieto, solo che sono pochi individui, Marco Pettinelli, quella gente là... a me piacerebbe ci fosse più scambio di iniziative tra i compagni che stanno a Roma e a Perugia e noi qua, perchè... delle volte non sai proprio niente di quello che succede. A me a volte piace prendere e andare, tipo sabato a Frascati, c'era questa manifestazione antifascista, mi piacerebbe di più andare con una rappresentanza con tanto di striscione, questo mi piacerebbe proprio di più, lo scambio tra noi e i centri sociali di Roma o il centro sociale di Perugia, che però non conosco. INVECE SENTI CHE NOI NON CI PERCEPIAMO COME REALTA'
POLITICA? Andiamo un pò a sbalzi. Quando ci stringe il culo si,
quando abbiamo le minacce allora si, ci compattiamo e diventiamo una realtà pure politica, perchè per combattere con questo mondo qui devi tirar fuori una realtà politica visto che vai a combattere con i politici. Altrimenti no.
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SECONDO TE CI SONO LE STESSE TENDENZE POLITICHE TRA LA
GENTE CHE VIVE SUL PEGLIA O CI SONO DELLE DIFFERENZE? NON C'E' UN'IDEA POLITICA CHE CI ACCOMUNA? Ma si dai, più o meno si. Penso che non potrebbe mai
venire qua uno, e stare qui tranquillamente, uno dalle idee di destra o leghiste. I VALORI SONO TENDENZIALMENTE DI SINISTRA Si, per tutti, cazzo sarebbe proprio difficile,
sarebbe inaccettabile da parte nostra. Che fa, viene qui ad occupare uno che fa parte di un
collettivo di destra? No, non si può fare. Non ci viene da solo perchè non
appena si volta in giro, si accorge che non è l'andazzo. Che non c'è una politica forte ok, forse pure si, però si manifesta solo nei momenti di paura, di attacco dall'esterno, allora tac, ci si compatta. Bene o male c'è. Io non penso che adesso il 27 qualcuno degli occupanti va a votare Forza Italia, penso che neanche uno lo faccia. O non votano o votano quei barboni dei progressisti! HAI AVUTO ESPERIENZE POLITICHE QUANDO STAVI IN CITTA'? A scuola. Quando andavo a scuola, c'era un casino,
ogni palla era buona. E non è durato tanto perchè poi io da scuola sono andata via abbastanza presto, sono stata quattro anni. Il primo anno è stato un pò così, i primi mesi, avevo
quattordici anni, però mi ricordo che ero già grande, anche perchè era un periodo così, c'erano i problemi con le istituzioni, c'erano le occupazioni della scuola, abbiamo avuto subito il primo anno la scuola occupata e autogestita, avevo quattordici anni, era il '76... con la scuola e poi dopo son sempre stata circondata e ho sempre cercato gli ambienti di sinistra, ho sempre vissuto con gente di sinistra. Anche se da noi non è che ci sono stati sti grossi movimenti, te l'ho detto l'eroina è arrivata subito, il macello è saltato fuori subito, si sono un pò tutti persi, più che altro poi tutti sono convogliati tutti nell'onda sconvoltoni, fricchettoni. QUANDO DICI FRICCHETTONI CHE INTENDI? CHI E' IL
FRICCHETTONE?
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Fumare... come posso spiegarti... più che altro era
una maniera di vivere alternativamente senza però militare, costruire qualcosa, con l'idea di cambiare, la vivevano abbastanza passivamente del tipo facciamo le storie tranquilli, il fare le storie tranquilli voleva dire riempirsi di hascish fino a qui e poi dopo essere in coma, quindi dopo non fare più un cazzo, trovarsi così... poche idee concrete, tanta utopia, su che cosa? sull'amare, la pace, la fratellanza, il non odiarsi capito, come posso spiegare... che poi io sono stata un pò di margini di tutte queste cose, non è che ci sono entrata proprio, e comunque la cosa più importante era quella che siamo tutti uguali, non ci facciamo del male, siamo fratelli, ci vogliamo bene e ci aiutiamo. NOI DA PARTE DEL MOVIMENTO DELLE CITTA' VENIAMO UN PO'
CLASSIFICATI COME FRICCHETTONI. Magari per la maniera di vestire. Una volta il fatto
che uno usasse sostaze stupefacenti leggere, io mi ricordo veniva bello cazziato, era inaccettabile portava via la necessaria lucidità, non si poteva fare proprio, e poi c'era anche il fatto che se te fumi poi vendi il fumo e vendere il fumo vuol dire entrare dentro un certo giro, non sempre il fumo che vendi è quelo che tu vai in India a prendere oppure in Marocco a prendere, ma è quello che arriva da chissà quale fonte, tutte cose giustamente criticabili. Allora come facevi... adesso come adesso lo vedi per il vestito e certe volte è un pò retrò, ormai è demodè, non è più interessante. Una volta il movimento dei fricchettoni era grosso, facevano i festival, tutta l'ondata che arrivava dall'America, che si è spostata anche in Italia, '77, '78... OGGI SECONDO TE? Io non mi considero assolutamente una fricchettona. Un
fricchettone mica lavorava! fricchettone non faceva un beato cazzo. Il fricchettone stava in piazza tutto il giorno e far cus'è? A far niente. Io non sento assolutamente che questo è un monte di fricchettoni, almeno per come la sento io. Forse i compagni della città la sentono così, perchè ci hanno criticato, a me ancora adesso mi tocca di begare con quelli di su, che non sono tanti, ormai, però ci sono ancora gli scogli quelli duri che ancora la menano, su sta storia della fuga dalla città, l'abbandono della lotta... al posto di
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di fare una cosa sola, tendono a dividere perchè è come se fosse stato un grosso fallimento, "tu te ne sei andata lì, che cazzo te ne frega a te, adesso metti anche su un bel recinto intorno alla casa", me l'han detto, il mio amico Massimo me la mena sempre, ultimamente non gli ho neanche telefonato, l'ultima votla che son stata su, perchè non c'avevo voglia. Lui comincia, "prima o poi pure voi farete i recinti intorno casa col concello, come qua, è inutile!". Non mi va di stare a combattere con questi tipi qua, la cosa potrebbe essere molto più interscambiabile tra queste due realtà, perchè no? Perchè io non posso, per esempio come la storia dei campeggi al Cerquosino, campeggi fatti per ragazzini figli di compagni che non hanno la possibilità di andare al mare o anche fare dieci giorni diversi perchè non hanno i soldi o ne hanno veramente pochi, cazzo qui si spende poco, perchè no, perchè vedere questa cosa malamente, io non sono riuscita a portar giù nessuno di bambini dal nord, e non è che questi bambini andavano più vicino, no, sono andati anche più lontano, però... per me ci potrebbe proprio essere il collegamento. Può darsi che ancora un pò di tempo ci vuole, come per
tutto, che noi ci abbiamo messo dieci anni, da come siamo partiti, come era qui nell'84, adesso siamo nel'94, siamo andati lenti ma qui i ritmi sono lenti, io mi sono accorta quei tre anni che ho spezzato, che sono stata al nord, di questi dieci anni, qui è tutto molto più lento e comunque è anche più lento l'invecchiamento, anche fisico. Io ho sentito il bambino di Tenato e Paola, Alessio, ha nove anni, stavamo al Cequosino ad una festa e mi chiedeva "ma quella lì quanti anni ha? Ma perchè mi sembran tutte giovani?" Dicevo non lo so, gli sembravano tutte ragazze, anche se avevano due figli, sarà anche lo stile, qua è tutto più lento, non c'è lo stress che c'è negli altri posti. UN'ULTIMA COSA. MI DICEVI L'ALTRO GIORNO CHE SE LA TUA
GRAVIDANZA VA BENE VUOI PARTORIRE IN CASA. CHE SIGNIFICA SECONDO TE? A parte... io spero proprio tanto si possa fare,
perchè l'esperienza del parto ospedalizzato, il mio primo parto, non è stata affatto bella. Devo stare anche un pò calma con la mente, non vorrei che poi mi delude, che poi devo andare a fare un parto ospedalizzato e... insomma se lo posso fare in casa è un conto. Per me vuol dire proprio tanto. Vuol dire coinvolgimento di più
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persone a questo avvenimento, vuol dire riuscire a viverlo naturalmente, l'altro io non sono riuscita proprio a viverlo naturalmente perchè ho partorito di notte e non dovevo far rumore, le infermiere mi dicevano di star zitta, non dovevo far rumore, ho partorito alle tre del mattino e dovevo star buona, avevo diciannove anni ed ero fuori di testa, ho cacciato tanto di quelle madonne, che io mi ricordo solo delle gran bestemmie quella notte lì, niente di bello. Io spero che se pure non riesco a farlo in casa, che se pure succede qualcosa, fai le corna, e il bambino quando è il termine non è messo bene, qualsiasi cosa mi consigliano di brutto di andare all'ospedale, io spero di riuscire a vivere tutto più coscienziosamente e di avere pure la forza io di combattere per delle cose che mi spettano, cosa che l'altra volta non sono riuscita a fare. Non voglio prendere questo parto come una rivincita
perchè non devo rivincere niente, ho un figlio di dodici anni stupendo, non mi interessa quello che è stato è stato, scordiamocene è passato. Però il fatto di fare il parto in casa, è di vivere tutto, anche l'ultima lancinante contrazione, fino in fondo, sapendo coscienziosamente che questo è un dolore mirato a qualcosa, che serve a qualcosa. Ho proprio voglia, non sarò tanto normale, ma ho
proprio voglia di sentire pure il male, per il bene che ne viene fuori. Io vorrei che ci fosse proprio tanta gente, non mi interessa di fare un parto con il mio compagno e basta. Un parto come quello che ha fatto Manuela... poter convivere e far vivere a tutti gli altri quest'emozione qua, io ne ho visti due di parti in casa, il primo parto è stato quello della Nadia ed è stata la prima volta in vita mia che ho pianto per la gioia, io non avevo mai pianto per la gioia, non mi era mai successo, è stata un'esperienza incredibile. Pure con Manuela, il fatto che c'era la gente, quest'armonia, questo silenzio, quest'attesa, questo vivere questo dolore di Manuela, che lo sai che lei sta male ma sta partorendo, non è che sta male perchè ha spaccato una gamba, che dici "Vaffanculo che sfiga, perchè mi fa così male?!". Il perchè lo sai benissimo, questo... di viverlo insieme agli amici miei, alla gente che apprezza queste cosa qua, che ci tiene che le cose avvengano così naturalmente, e io penso che pure per il bambino sia una cosa proprio diversa da come nascono in ospedale, il fatto di poterlo... di poter apsettare che il cordone smetta di pulsare, il fatto di averlo subito in casa, il fatto che sei qua nel tuo ambiente, che non sei
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costretta sul lettino monitorata, costretta a quei quattro movimenti che ti dicono loro e basta. Non sto facendo tanta preparazione io al parto, tipo training respiratorio, non lo so, non penso nemmeno che non mi serva, però, mi sento abbastanza tranquilla... vado in piscina. INTERVISTA AD ANGELA ED ANGELO DEL POD. FONTANELLE Io sono Angela, ho trentaquattro anni e vengo da
Napoli, cioè sono nata a Napoli, ci sono vissuta fino a diciotto anni, però sono andata via abbastanza presto, appena maggiorenne, appena finita la scuola, appena preso il diploma delle superiori, il mese dopo ero già.... non sapevo neanche il risultato, proprio perché non ne potevo più di quella situazione, è stata proprio una fuga, cioè avevo tanta energia compressa a star lì; con i miei, poi Portici era... neanche Napoli, Portici, era un posto in cui non c'erano possibilità, non avevamo mai una lira, non avevamo neanche la possibilità di viaggiare, un minimo anche all'interno dell'Italia, di frequentare corsi e scuole particolari, c'erano le giornate passate sulle panchine, niente. Poi i miei allora erano abbastanza, non rigidissimi, però abbastanza rigidi, diciamo che erano nella media napoletana; quindi appena fatti diciotto anni, finita la
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scuola, sono andata via di casa e non sono più tornata, anche se lì non avevo proprio questa consapevolezza, io sono partita per un viaggio, sono andata in India, non ero mai uscita dall'Italia, avevo conosciuto da pochissimo tra l'altro un ragazzo di Roma e siamo andati in India, siamo stati lì sei mesi e da lì mi son trovata... quello mi ha portata ad andare via da casa, a decidere di non vivere più in città, anche se ancora non pensavo a vivere proprio in campagna, della campagna, ed è iniziata anche la prima convivenza con una persona. Questo è durato un pò, sono anche andata un'altra
volta in India, per un pò di anni ho vissuto... è difficile definire come... lavoricchiando diciamo, sempre lavori limitati, avevamo anche poche esigenze, vivevamo nella casa dei suoi, era più un vita... eh una bella vita, contemplativa, fatta di questo minimo lavoro, vivevo a Calcata per cui il bagno al fiume, poi suonare tantissimo, sempre musica, e io lì a Calcata ho passato quattro anni, una cosa del genere è rimasta... ancora adesso mi capita di sognarlo. Poi ad un certo punto il rapporto si è incrinato,
neanche incrinato, è proprio finito improvvisamente, per una serie di dinamiche neanche ben chiare e lì ho deciso di andare via da Calcata, anche perché vivevamo nella casa dei suoi, dei genitori di lui e da lì sono approdata in Sardegna, perché erano venuti degli amici, in quel momento di passaggio, avevamo la casa sempre piena di gente... e sono andata in Sardegna, da questi amici che vivevano vicino a Cagliari. Era un posto ancora più disagiato che qua, Monte Porceddu si chiama, ci sono delle persone, sai dei giri che poi conoscono pure qua, sono quelle situazioni che tutti conoscono tutti; per me è stato un impatto durissimo, io poi venivo da una situazione delicata, proprio perché mi ero appena lasciata, poi altre storie mie personali, ero molto fragile e in più mi ero abituata a questo tipo di rapporti molto positivi, magari poi in realtà meno positivi di quanto sembrassero, a volte poco sostanziosi, però molto armonici, quindi io mi sono trovata in una situazione che era esattamente l'opposto, vita durissima, si svegliavano... perché poi era una situazione di gruppo e quindi ti trovi da sola che non conosci bene nessuno, ci si alzava prima che facesse giorno e poi il primo lavoro era spietrare un campo, dei massi pazzeschi, tutti, donne e uomini, perché con queste pietre si doveva fare la capanna per questo gruppo di persone, nel frattempo si dormiva due qua, due là, chi all'aperto, da mangiare non ne parliamo, a volte
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mancava proprio tutto, mancava l'olio, si mangiava praticamente riso integrale e chapati, sempre, sempre, quando arrivava qualche pacco dalla famiglia, lì poi si vedeva... cioè questa disagio era reso più grosso dal fatto che in realtà poi queste persone erano molto fiere del loro stile di vita, "noi rifiutiamo le macchine, i trattori...", però in realtà bastava che arrivava un pacco da casa di qualcuno, allora diciassette persone intorno a questo pacco a controllare, a dividersi con un'avidità repressa; io che non ero abituata ho perso secondo me un pò la brocca in quella situazione, non avevo più le difese per questo tipo di situazione, e più ero così, più una parte di loro, diciamo i più duri, mi vedeva di malocchio, non so se non riuscivano a capire bene che cosa vivessi o se proprio gli davo fastidio, comunque è stata una cosa abbastanza traumatica, mi sono ammalata anche fisicamente, sono anche dimagrita, pesavo trentacinque chili, cosa che per il mio peso abituale... Però poi siccome in questa valle ci sono diverse situazioni, questa diciamo era quella più... poi un'altra cosa era che, anche quando poi la capanna è stata finita, tutti in diciassette in unico ambiente non diviso da nulla, non avevi la possibilità... e in più poi si incrociavano tra loro storie di gelosia, tutto era davvero esasperato, infatti poi altre persone sono state male in quella situazione, quelli più sensibili. Era troppo estrema, estrema di fatto, materialmente ed ideologicamente, era pure quei tempi, era più nell'aria una cosa del genere, ed infatti anche lì è cambiato. Comunque dopo un pò di mesi sono andata via, sono
ripassata a Calcata, perché con quel ragazzo con cui stavo avevo mantenuto un rapporto, però era proprio in un momento di totale crisi e non sapevo che fare. Dei ragazzi della Sardegna ogni anno andavano a
raccogliere le mele in Trentino e quell'anno mi ero aggregata pure io e li praticamente è stata la svolta perché ho conosciuto, la svolta non nel senso della dritta!!!, nel senso della svolta, poi se positiva o negativa non si sa!, perché ho conosciuto Angelo, sempre per giri di amicizie, che lui era con altri in un paese vicino e venivano la sera a suonare insieme a quelli con cui ero io, e poi con Angelo ho conosciuto Gerri e Rosanna che vivevano al Cerquosino. Praticamente lei è stata a dirmi "perché non vieni sul Peglia, in Umbria?". Io ho detto si, poi neanche tanto coscientemente, nel senso con la coscienza di fare una scelta, perché secondo me in quel momento di quel tipo di coscienza ne avevo molta poca, avevo molta coscienza delle piccole
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cose, dei sentimenti che tu provi, però in questo senso più ampio, di progetti proprio zero. E quindi siamo arrivati sul Peglia al Cerquisino, per i primi tempi sono stati ritmi non dico infernali però quali, dalle sei a mezzanotte, all'inizio però, tipo per andare a fare le olive facevano dieci chilometri a piedi tutti i giorni e poi in più governavamo quattro vacche e sei maiali, facevamo il formaggio, la ricotta... però io lottavo per imporre dei ritmi più lenti. VIVEVATE FIN DA SUBITO DEGLI ANIMALI E DELLA TERRA? Si, all'inizio l'economia era... Angelo aveva anche
dei soldi, minimi, un milione, due milioni, con quelli lui ha comprato subito la prima mucca, in più vivevamo abbastanza comunemente anche con queste persone, con Gerri e Rossanna, i soldi erano insieme, non proprio del tutto magari, ecco tipo per comprare la mucca; questo rapporto è durato fino ad un tot poi noi non ci siamo trovati più bene, tra l'altro anche loro erano in crisi anzi già prima che arrivassimo noi. Siamo andati via, per un pò siamo vissuti in una situazione... una casa in affitto di un ragazzo che andava via e poi siamo arrivati qua a Fontanelle e adesso sono nove anni che siamo quì. SPESSO RITORNA L'INDIA NEI DISCORSI ANCHE DEGLI ALTRI.
VOLEVO CHIEDERTI CHE COSA TI HA SPINTO A PARTIRE, COSA CI HAI TROVATO E CHE COSA HAI PORTATO CON TE AL RITORNO. Come ho deciso di andare in India è stato abbastanza
comico perché io e questa mia amica quando stavamo a Portici, sulle panchine, avevamo letto Castaneda ed eravamo addirittura indecise se andare in Messico o in India, cioè eravamo totalmente digiune di cosa fosse l'India, di cosa potessi aspettarmi, tribù, come erano vestiti, neanche avevo mai visto un cylum, senonché questo ragazzo pensava non all'India ma al Nepal e allora ho detto "vabbè tanto per me è uguale!", quindi non è stata per me una scelta cosciente, vado in India a cercare questo, volevo fare un viaggio grosso, in un posto che fosse proprio diverso, non c'è dubbio tutti i paesi del terzo mondo sono diversi e anche parlando con persone che sono state in altri posti, questo a proposito di quello che ti lascia, anche se i posti sono diversi, c'è un filo comune, c'è qualcosa di comune tra tutti questi tipi di viaggi.
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ANGELO: Era per cercare se stessi, il viaggio ti portava a conoscenza di te, di quello che volevi fare. Era un'esperienza propria della nostra generazione, che adesso non c'è più. ANGELA: Infatti partivi senza itinerari, senza
conoscere neanche un minimo il posto che ti aspettava, non sapevi mai per quanto tempo, infatti duravano molto questi viaggi, mesi, anche un anno; in India la difficoltà di stare anni erano i soldi, infatti che stava lì anni trovava il sistema, infatti io sono tornata dopo sette mesi il primo viaggio perché avevo finito i soldi, proprio finiti finiti, e allora sono tornata e mi dispiaceva tantissimo tornare, sennò mi sarei fermata anche di più. E' difficile definire l'India perché uno che non c'è
stato se la immagina pure più mistica di quello che sia. Io per esempio la prima sorpresa che è stata è che gli indiani parlavano tantissimo, ridevano ancora di più, e tra l'altro nei loro discorsi, la parola rupia significa soldi, ci siamo divertiti a farci caso, in tutti i discorsi c'era la parola rupia, stavano sempre a parlare di soldi!!... dall'altra parte esistono anche persone molto religiose, i monaci; penso ai "sadu", quelli che vedi a volte nelle foto, con i capelli tipo rasati, quelli per voto non possono avere soldi, non possono avere una casa, non potrebbero anzi stare più di due giorni nello stesso posto, quindi castità poi c'è questa cosa della meditazione, incontri alcune di queste persone, di questi sadu, che meditando, facendo yoga hanno alla fine una forza magnetica, che ti colpisce... io avevo un amico che ha avuto un'incontro con una di queste persone ed ha avvertito il suo magnetismo, il suo potere fino ad averne paura. Questi incontri qui non sono per niente eccezionali,
basta che tu cerchi un pò... però a me forse mi è rimasta più la parte popolare, piena di energia, di suoni, di rumori, io era partita che ero una ragazza timida, che parlava pochissimo, sempre zitta, son tornata in sei, sette mesi non mi riconoscevano, anche perché ero andata via dai miei, vivevo con un ragazzo, però ho fatto proprio... ecco quello che mi aveva colpito là, che tu qui sei lo sconvolto, soprattutto allora lo sentivo di più, stai fuori dalle regole, che vieni anche identificato così, rispetto agli altri ti poni tu e loro, invece tu vai lì e ti accorgi che le cose che qui... le banalità che ti siedi per terra in una strada e già...lì lo fanno tutti perché è normale, e in più tu lì sei uno che ha i soldi, questo fatto
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all'inizio proprio ti sconcerta, perché tu sei abituato ad essere... e invece non c'è niente da fare, per quanti pochi ne hai, per quanto viaggi così, tu rispetto a loro sei sempre ricco. Comunque il valore fondamentale di questi viaggi è che
ti aprono, secondo me ti allargano la mente per forza, soprattutto se ci stai un tot, ti fan perdere i tuoi riferimenti, le categorie a cui sei abituato.
DOPO QUESTO VIAGGIO COME E' AVVENUTA LA SCELTA DI CAMBIARE? QUANDO SEI STATA IN SARDEGNA COSA PENSAVI DI TROVARE E COSA HAI TROVATO? Per me è stato solo che c'erano questi amici, che mi
stavano simpatici, stavo bene con loro, ed ero andata per curiosità, non è che c'è stata proprio una scelta rispetto alla campagna, anzi se in effetti mi fossi dovuto basare su quello che è stata la vita di campagna li... infatti anche sul Peglia io non so dire quando è stato il momento in cui c'è stata la scelta di vivere in campagna e della campagna. Diciamo che sono state più le cose che mi hanno
portato e molto è stato Angelo che ha scelto subito di comprarsi una mucca, poi una volta comprata una mucca non ti muovi più, e a me questo un pò m'ha pesato perché era il momento iniziale sul Peglia, era l'inizio anche del nostro rapporto. Forse la scelta è stata fatta troppo presto, per cui
mi sono trovata a vivere poi... ti dirò che poi proprio ultimamente, nel senso di un anno, c'ho anche dei dubbi; la vita sul Peglia è sempre stata caratterizzata da un dubbio di fondo di molte persone, sul fatto se era proprio quello che uno voleva; per esempio noi siamo arrivati dell'85 e c'è stata dopo una fase in cui si spopolavano proprio le case, ci ritrovavamo sempre in meno e l'espressione, mi ricordo, che ricorreva, parlando con Cicci, con quelli che vedevamo di più, era: "Qua ci incinghialiamo!" perché veramente a volte avevi una paura, un senso di abbrutimento e di chiusura. Conta che giravano pure pochi soldi per cui stavi
sempre qua, ti muovevi molto poco, le persone poche, per cui penso che un dubbio di fondo ce l'abbiamo non dico tutti ma tantissimo sul fatto di stare qua; penso che pochi l'abbiano vissuta dall'inizio alla fine convinti di stare qua e ancora adesso non so... per dirti proprio sinceramente dei momenti ho paura che, proprio per questa mia incapacità di progettare, io sia stata
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trascinata dagli eventi, quasi il terrore di aver buttato via dieci anni da quando sto qua, dei momenti è proprio tremendo, ti cominci a render conto che hai trentaquattro anni è sempre più tardi per cambiare, si restringono le scelte, e degli altri momenti vedo che poi le cose che faccio qui mi piacciono di fondo, mi piace il posto, mi piacciono anche i rapporti con le persone, in dei momenti ti sembra di non avere delle amicizie, in altri ti accorgi invece che hanno magari poca armonia, il contrario di quello che avevo a Calcata, sembra che tutta la mia vita si sia rivoltata, c'è molta poca armonia superficiale però forse c'è molta più sostanza, insomma ondeggio, è proprio come una doppia faccia, come avere due prospettive, in una prospettiva è tremendo, nell'altra è bello. Però questo dipende pure dalla stanchezza, nel senso che quando sei sommerso dalle cose da fare, corri dietro di qua, corri dietro di là, si crea come una stanchezza e non hai neanche voglia... tipo stamattina mi sono messa fuori sul prato, cosa che non facevo da..., ferma al sole a giocare, sono stata mezz'ora, di tutto il giorno io adesso mi ricordo quella mezz'ora, c'è secondo me un eccesso di lavoro, io sento che è molto faticoso qua. A quell'epoca, quando avevo diciotto anni, avevo dei
principi molto netti con me stessa, per esempio uno era non farsi prendere dalle cose, tanto meno dal lavoro, il centro eri tu, cosa banale ma in realtà ci vivevo molto in questa cosa e infatti fisicamente non avevo tutti i problemi che posso avere adesso, di stanchezza, di debolezza, in tante cose stavo proprio meglio; invece mi sembra adesso che le cose ti sommergono, a parte la stanchezza in se, che prendono, determinano loro, non ti vuoi ritrovare poi un giorno che ti svegli e dici: "Ma che cazzo ho fatto?", come se avessi lavorato in banca, non sarà uguale però... infatti io sono sempre stata attenta a sti meccanismi interiori piuttosto che alle cose esterne, anche questi principi erano tutti personalissimi, forse è stato anche per questo che poi sono andata quasi subito in campagna, ho fatto questi viaggi e molte poche cose politiche, di impegno. Ancora adesso vedo che a volte è difficile conciliare le due cose, per esempio anche nel periodo nella lotta per le case, se sei molto proiettata all'esterno ti sfuggono... e poi penso che sono proprio più predisposta per quello. ALCUNE PERSONE METTEVANO INVECE IN LUCE PROPRIO LA
POSSIBILITÀ DI ESSERE LIBERI, NEL SENSO DI POTERE
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DETERMINARE LA PROPRIA GIORNATA; INVECE TU SENTI MOLTA COSTRIZIONE NELLA VITA QUOTIDIANA. Si, in dei periodi si. Non sono tutti i periodi così,
però ecco l'altro grande limite della vita non solo mia, ma anche di Angelo che sta qui è il fatto di poterci muovere molto poco per il fatto degli animali; e quello ti porta, se in città il rischio è lo stress, qui è la depressione, qui delle volte ti lasci andare in questa depressione, proprio per il fatto che non ti muovi abbastanza, non cambi aria, non c'è niente da fare quando torni da un viaggio hai cento energie; per cui il fatto di non viaggiare, oltre che farti mancare questa ricarica, ti fa dimenticare come vive il resto del mondo; metti in città, avendoci un lavoro... a volte ti dimentichi anche quello, che poi in effetti è una costrizione però mi rendo conto che... la maggior parte delle persone vive una situazione così, devi essere anche tu a sapertela gestire, non so come dire, io ho l'impressione che magari qui ti fai un culo, poi pigliassi un lavoro fisso mi renderei conto che... in effetti le poche volte che lavori fuori, quando fai la vendemmia, ti rendi conto benissimo della differenza. Una certa fatica di fondo però ce la vedo forse perché
siamo in due!, anche perché vorresti anche il posto più bello, più curato e non ce la fai, oppure ce la fai però ti accorgi che ti abbrutisci tu. E' un pò un'alchimia continua, devi stare ogni volta a inventar la giornata, in effetti questa è una libertà, anche coi soldi, come con cinquantamila lire puoi fare uscire tutte le spese, in effetti delle volte ti pesa, delle volte dici: "Pensa avere... ah, andiamo al cinema", però dall'altra parte ti da pure un gusto, piuttosto che magari l'orario fisso, lo stipendio fisso che poi magari ti porta ad avere il divertimento fisso!. Alla fin fine che cosa si può dire, che ci sono i pro e i contro. Io non mi sono mai ritrovata nei discorsi che questa era una vita, o come dice Sergio, alternativa per tutti, o comunque che era poi una figata vivere qua sotto tutti gli aspetti, di piacere e giusta, io non mi sono mai ritrovata, un poco perché è proprio dentro di me questo senso del relativo, per cui è una mia scelta, chiaro se c'è la Comunità Montana la difendo coi denti, però non mi sento di dire, non penso ma neanche mi pongo il problema di dire se sia la migliore. ANGELO: io penso che sei contento di quello che fai
perché ti accorgi che metà di stò mondo, anzi più della metà, tre quarti vive anche peggio di te, e stanno anche
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molto meglio di tanta gente che si fa un culo della madonna e poi magari... ANGELA: solo che vorresti trovare la leggerezza che
c'hanno lì, con tutto che stano molto peggio materialmente, che però qui anche in campagna non c'è, vabbè che noi viviamo qui ad Ospedaletto che è uno dei posti più plumbei, come gente, magari da altre parti sarebbe diverso; perché ormai anche in campagna sono arrivati certi modelli e se parli con i contadini dicono: "Eh una volta si... adesso ognuno ha fatto i soldi, si è richiuso nella sua storia". Si fanno dei racconti di anni fa, che poi neanche tantissimi, trenta anni fa... ANGELO: comunque la cultura del viaggio che c'era in
quegli anni lì serve pure a capire un pò il tuo passato. Io quando a mia madre gli raccontavo le cose che facevo in Sud America, mi diceva che era come quando dopo la guerra loro, che erano giovani, perché le cose son molto simili, ti ritrovi anche il tuo passato, quello dei tuoi genitori, può esser inteso come un viaggio nel passato. PRIMA DICEVI CHE IL VIAGGIO ERA PROPRIO DELLA TUA
GENERAZIONE. ERA DIFFUSA AL LIVELLO GIOVANILE DI MASSA QUESTA RICERCA DI UN MODO DI VIVERE DIVERSO? ANGELO: era un modo di sperimentare su se stessi,
forse oggi no, ma prima c'era il bisogno di viverselo in prima persona. ERANO MOLTI QUELLI CHE ANDAVANO IN CAMPAGNA? SE NE
SENTIVA PARLARE SPESSO? ANGELO: si, si, amici miei; la fuga dalla città era
cominciata, poi c'era chi andava a vivere in campagna, chi in un paesino, chi in viaggio, chi si imbarcava su una nave, ognuno cercava il suo modo. Comunque il viaggio era molto diffuso tra la gente che frequentavo io, il viaggio nel senso che parti senza soldi, t'arrangi, stai via, probabilmente era una prova con se stessi. TU ANGELO VIVEVI A MILANO, PARLAMI DELLA TUA CITTÀ. Io sono andato via a diciassette anni, quindi andavo a
scuola, ho mollato la scuola, avevo degli amici che vivevano in campagna e sono andato lì. E stata una cosa così, che vedi come vivono e ti piace, li vai a trovare un pò di volte poi ad un certo punto dici "la famiglia
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sta scoppiando, gli amici stanno scoppiando pure loro", tu pigli e parti vai a trovare questi qui, ti fermi per trovare una casa, e ho trovato la casa... COSA TI AVEVA COLPITO DEL MODO DI VITA? Guarda Milano fa un pò schifo, li si vedeva il cielo!! ANGELA: in effetti l'esodo dei milanesi non è
paragonabile a nessun altro, dappertutto. ANGELO: poi era la generazione dei figli dei fiori,
quelli che amano la natura, era tutta un'onda così. TU TI CONSIDERI PARTE DI QUESTO, TI CONSIDERAVI UN
FIGLIO DEI FIORI? Forse adesso, a ripensare a prima. MA LA DEFINIRESTI COSI' L'ESPERIENZA DALLA QUALE
PROVIENI, "ERAVAMO DEI FIGLI DEI FIORI"? No, assolutamente no. Lavoravo a scaricare i camion e
la sera andavo alla scuola serale! ANGELA: stavi nei prosciuttificio però li sei stato
per quattro anni vegetariano... ANGELO: si ma era una moda così, verso la natura,
allora non ammazziamo gli animali, quindi non mangiamo la carne, andiamo a vivere in campagna che si stà meglio, c'è l'aria buona, ci sono i cibi genuini, era una cosa che la sentivi dentro e che c'era; poi era bello, c'era un casino di gente della tua età che viveva li, suonavi... E LA POLITICA NON C'ENTRA PROPRIO... Si, a scuola un pò, stavo in Avanguardia Operaia. Una
cosa che m'ha spinto ad andar via è stato quando ho visto i servizi d'ordine di Milano che si scazzavano tra di loro, han cominciato a menarsi tra compagni... lì ho capito che non era la strada quella lì, cioè era una cazzata, a me la violenza non mi ha mai attirato, si son sentito una mazzata in testa, sai è stato quella, poi l'eroina, è stato tutto un sussegursi di cose, un boom che... o rimanevi invischiato in una cosa o te ne andavi, vedevo troppo bello, era assurdo pensare di stare da quella parte, troppo bello dall'altra, ormai provate certe cose...
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ANGELA: comunque il grosso dell'esodo nella campagna è stato proprio intorno agli anni in cui noi, settantasette, settantotto... ANGELO: anche prima. ANGELA: si, è cominciato prima, però quando però c'è
stato il grosso penso che erano quegli anni lì, ha coinciso con gli anni caldi della politica e contemporaneamente con gli anni in cui noi siamo andati via da casa. ANGELO: c'è stata una rivoluzione a partire dal
sessantotto ed ha portato sti frutti qua. C'è chi vedeva il valore della politica in città a combattere duri e chi ha detto ma qui ti scontri contro delle cose troppo grandi, cioè cerchiamo di vivercela bene noi, gli altri a un certo punto se la vedano, ognuno cerchi di salvare se stesso. ANGELA: ma secondo me non era solo quello, era anche
la difficoltà di conciliare le due cose, dentro e fuori. Secondo, me senza generalizzare, quelli impegnati, umanamente si lasciavano indietro... erano più chiusi, probabilmente c'è stata proprio una scelta a quel punto e ognuno vuoi per temperamento, vuoi... ha scelto se rimanere in città o... ANGELO: c'era un periodo, alla fine degli anni
settanta, che parlavano di riflusso, c'era stato anche un momento di chiudersi, tra i gruppi anche sti scazzi, quelli che se andavano a vivere in campagna, parecchi andavano negli Hare Krisna. STA' VENENDO FUORI IL RAPPORTO TRA QUESTA SCELTA E IL
MOVIMENTO PIÙ GENERALE DI RIVOLTA GIOVANILE DI CUI TU DICEVI, CHE E INIZIATO NEL '68 E DI CUI TU TI SEI SENTITO PARTE NEGLI ANNI '70. SECONDO TE QUELLI CHE SE NE ANDAVANO DALLA CITTÀ SI CONSIDERAVANO ALL'INTERNO DI QUESTO MOVIMENTO OPPURE ERA UNA ROTTURA? ANGELO: quelli che rimanevano li ti dicevano che
scappavi, quando tu invece ti accorgevi di che cosa voleva dire vivere in campagna, non si rendevano proprio conto! Dentro però secondo me cambi ottica, se ti rimangono gli amici che magari fanno altre storie diverse dalla tua, però tu non ci entri più in quelle storie li, stai con la testa da un'altra parte, hai altre amicizie, altri problemi. ANGELA: certo avevi la sensazione di stare in un
movimento proprio per la gran quantità di persone che vivevano alternativamente e che magari si spostavano dalla città alla campagna, c'era molto scambio, veniva
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molta gente a trovarti; dopo secondo me c'è stato il distacco, ma ha coinciso proprio con gli anni più bui in generale, però prima era talmente in movimento la cosa, c'era uno scambio. ANGELO: mettevi in discussione tutto, arrivavi a
mettere in discussione anche la tua scelta, li la cosa era più viva, poi... si, è cambiato tutto, stava cambiando ed è cambiato, è diventata una cosa normale che ognuno fa le sue scelte, ottiene i suoi risultati. ANGELA: comunque io a Portici, lì non c'è stato un
gran movimento, era marginale e molto sclerotizzato, mi ricordo solo una volta o due che sono andata a delle riunioni, che ero proprio giovane, dell'MLS, però proprio non mi ci ritrovavo... ANGELO: ecco, l'ultimo periodo ero tra i cani sciolti,
non stai nè con gli anarchici, nè con gli autonomi, perchè non riuscivi più a capire dove cazzo dovevi andare! ANGELA: me l'ero dimenticata questa definizione, che
poi volendoli radunare un attimo erano tantissimi, e che stavano sparpagliati, io penso che la maggioranza non si riconosceva in nessuna organizzazione, poi per le scelte che facevano era molto frammentata, sparsa territorialmente... ANGELO: ora forse dico una cazzata però a me è venuto sempre in mente che il movimento di allora era mal... non era ne comunista ne anarchico doveva essere una cosa più unita ad un cambiamento, perché i fondo era inutile metterci un'etichetta, che poi è stato quello che ha fatto scazza tutti, era e doveva essere incanalata così, senza una etichetta, perché la voglia di cambiare c'era, già in piazza c'era un casino di gente quando c'era qualcosa, più della metà delle persone era per questo cambiamento, per rivoltare quelle cape e cazzo che mo stanno a governare... ANGELA: forse si sarebbero più dovuti fondere, incontrare i due aspetti, avrebbero avuto più forza reciproca, però quando ci sono le cose molto forti è anche difficile che siano equilibrate. Io quando sono tornata a Portici dopo il mio viaggio, l'eroina c'era gia da prima che partissi, però sono tornata, nel giro di sei mesi tutti, tutti gli amici con cui dividevo la vita, tutti erano finiti nell'eroina, era il '79, anche quella era una cosa che ti portava ad andare via, era impressionante. ANGELO : l'eroina è una cosa di stato, quella è stata
messa in mezzo quando proprio i movimento era forte, pronto per... è arrivata l'eroina e gli scazzi tra i gruppi, guarda caso... una parte s'è fatta le pere e l'altra s'è messa a picchiarsi.
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E SUL PEGLIA IN PARTICOLARE CHE COSA AVETE TROVATO CHE
VI E' PIACIUTO? ANGELO: sempre quelle cose lì, la campagna, la vita in
comune con delle persone all'inizio, poi vabbè ci sono stati gli scazzi, quello era bello, gli animali, cioè cercare di trovare una tua autosufficienza, magari non propri completa ma di vivere delle tue cose, quella cosa li mi ha sempre attirato, però se devo dire che ho scelto di venire qua, no non l'ho scelto, ero in un momento di smarrimento e mi sono buttato su questa cosa che era forse quella più vicina... da una parte pure io penso sempre se ho fatto bene o ho fatto male, non si è mai sicuri fino in fondo di avere fatto la scelta giusta, per dirti rispetto a tutti gli altri della mia generazione non è che mi sento proprio venuto fuori male, bene o male la rivaluto perché tutto sommato ognuno ha dovuto trovarsi un suo lavoro, una suo storia, potrei aver fatto anche delle cose più belle, continuare a viaggiare, suonare, diventare musicista, magari fare i soldi così, che non stai manco a lavorà tanto, sarebbe stato forse meglio; però pure quello non mi ha mai attirato più di tanto. ANGELA: comunque uno tende un pò a dare la
responsabilità di quello che non gli piace al fatto che vivi qua e invece magari non è così; innanzi tutto ci sono i cambiamenti proprio dell'età, a diciotto, venti anni è in ogni caso diverso, e poi proprio al momento generale, sicuramente ora son passati quegli anni più bui, più brutti, che sono stati gli anni '80, soprattutto intorno alla metà degli anni '80, ci sono stati tre o quattro anni che per me sono stati proprio di smarrimento. C'è stata una cosa, c'erano tutto un insieme di idee,
di principi, ideologie, ma non proprio, che uno aveva, li avevano tutti, anche se tu vivevi in campagna, in ogni caso c'erano tutta una serie di principi che valevano, per esempio il fatto di vivere insieme, oppure di non dare importanza ai soldi, oppure al lavoro come una parte importante della vita, c'era anche il vegetarianismo, certo però ad un certo punto il movimento in generale ha dovuto fare i conti con questi principi, perché parallelamente è avvenuto un attacco esterno della società, che però ha avuto gioco nel fatto che le stesse persone, lo stesso movimento cominciava già a ripiegare, nel senso di dire "ma è vero questo, io mi ci ritrovo, sono così?". Ritrovavi poi delle tendenze
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umane che non si conciliavano più tanto e l'esempio più lampante sono state le comuni. Un altro principio che era molto forte era quello
della parità uomo donna, io infatti l'unica esperienza politica, anche se mi sembra strano chiamarla politica, che ho avuto è stata il femminismo, forse nel tempo è durata solo un paio d'anni però è stata una cosa intensissima, fortissima, però poi vedi anche lì cosa è stato... il femminismo, o perlomeno la maggioranza dei movimenti rifiutava la politica intesa in un certo modo, era proprio maschile, era la classica espressione, potere o contropotere, però sempre maschile, e in alternativa c'era l'autocoscienza famosissima, e noi eravamo di Portici, un gruppo di ragazze, un collettivo si, solo che alla fine si è sfasciato, proprio dissolto perché questa autocoscienza era alla fine un labirinto dal quale non uscivi più; voglio dire che devi essere cosciente di quello che fai, però ad un certo punto deve finire l'autocoscienza, sennò non agisci più, infatti eravamo arrivati alla fine ad un empasse, con questo sforzo, l'autocoscienza lavorava soprattutto in questo, di tirar fuori... l'unica manifestazione che ricordo bene, a Napoli, proprio di femministe che è stata una cosa bella da vivere ma tremenda, c'era tutta la gente che guardava ai lati esterrefatta, era una cosa che aveva un effetto fortissimo, gli uomini in particolare, perché mi ricordo che eravamo tante, era un corteo grosso e tutte a fare slogan, lì io c'ero proprio dentro, oppure ricordo l'otto marzo in piazza, a dire ecco ci siamo, anche lì facevi scalpore, poi vedere tutte quelle tipe, allora si portavano quelle gonne, lunghe, a fiorellini, era tipico, poi gli zoccoli, era anche un look... poi insomma quando siamo entrare in questo periodo dell' autocoscienza, alla fin fine quasi non ti potevi vedere più, non è che scazzavi, però li veramente mettevi in dubbio tutto e svisceravi tute le cose più profonde cercando proprio le contraddizioni tue, c'era una ragazza, una di noi, c'eveva il ragazzo, era proprio lei stessa a cercare di vedere come poi si continuava a vivere lui, anche nelle cose minime; io per un anno alla fine non parlavo più coi ragazzi, ma non che ce l'avessi sinceramente, però ormai era talmente diverso il modo di rapportarsi che non riuscivo più, io per mesi non ci parlavo, mia madre cominciava a preoccuparsi, mi ricordo, lei che si preoccupava sempre dei ragazzi!!!, a quel punto è iniziata a preoccuparsi, avevo diciassette anni, poi lì è finita col fatto... si, è finita pochi mesi prima che partissi.
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NELL'ESPERIENZA CHE HAI AVUTO DOPO, PER ESEMPIO QUA
SUL PEGLIA, COME SONO I RAPPORTI TRA UOMO E DONNA? Sono... è stata anche quella una cosa che all'inizio
mi ha colpito molto negativamente. A parte che appunto c'era questa stragrande maggioranza di uomini, poi sono rimasta un periodo unica donna, una sera li ho contati, undici uomini ed io, proprio che dici "mamma!!!". Io all'inizio ci rimanevo, non volevo fare la parte di quella che se la piglia per tutto, rompicoglioni, femminista, intesa in un certo senso, però in realtà poi ci rimanevo male, e anzi mi pareva abbastanza inconciliabile col fatto di essere "sconvolti", facevi un'altra vita e invece poi certi commenti, certe maniere, a me all'inizio il fatto che si potesse guardare la tipa figa mi sconcertava, rimanevo così, senza parole, come io non guardavo il tipo carino vestito in un certo modo, vestito per intendere una mentalità, non mi veniva proprio d'apprezzarlo. Poi con gli anni vabbè, adesso ci sono pure più donne ed è molto diverso, perché al di là di tutto è un tipo di energia diversa, qualitativamente proprio, tutte donne magari è negativo uguale, adesso posso dire così, però non lo saprei neanche spiegare bene... comunque con gli anni sono diventata molto più tollerante su questa cosa, come su tante altre cose, non so... sempre il discorso delle due facce della medaglia, la tolleranza in se può essere anche una cosa buona, un'apertura mentale, però dall'altra nasconde sempre un lasciarsi andare, e queste penso sono fasi di crescita. SECONDO TE ESISTE ANCHE UNA DIVISIONE DEI COMPITI PER
SESSO? Ecco, torniamo al discorso dei principi, che poi uno
anche qua si scontra con la realtà; per esempio io i primi tempi facevo più o meno tutto, e mi ricordo che facevo degli sforzi pazzeschi, forcatone di fieno, che mi ricordo il contadino mi guardava e faceva "ammazza!!!", invece poi ho cominciato a rallentare, mi pareva che fisicamente ne pagavo troppo. In effetti ora tra me e lui ci sta, non è una cosa
rigida, però molte cose... io per esempio la motosega non la uso, ho provato ad usarla, ma dopo poco che stavo li non ce la facevo più con le braccia, oppure mungere, ora mungo, ma io per anni ho smesso di mungere perché mi facevano male le braccia, oppure la falciatrice quando
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fai il fieno, anche adesso col trattore va lui, anche se io voglio provare, per cui essendoci un tot di cose da fare fisse, automaticamente tu fai quelle altre, perché senno si crea il vuoto, lo scompenso. QUESTO SENTI CHE TI CREA UN PROBLEMA? Io questa cosa l'ho sentita un problema quando c'era
Lucio anche, e mi ricordo delle volte mi incazzavo perché mi pareva che... se tu vuoi c'è sempre qualcosa da fare fuori di strano, per cui poi tu ti ritrovi sempre dentro casa, devi veramente renderti conto quando quella cosa davvero la devi fare perché la puoi far solo tu ed io non ce la faccio, allora li mi sta benissimo, allora io sto in casa, cucino, però se poi mi accorgo che ci marci, allora... però adesso tra me e lui va bene, l'ho vissuta quando c'era anche Lucio, che erano due uomini. Ci sono ancora adesso i momenti che io mi lamento che
sono sempre in casa però conta pure che io c'ho questo problema all'occhio, quindi è anche una cosa pratica, quando c'è troppo vento io è meglio che non esco. E' creata proprio da cose contingenti, se il lavoro qui fosse meno pesante andremmo molto più insieme. COM'E' LA VOSTRA GIORNATA? Eh! Inizia non tanto presto!!! E' variabile, nove,
otto e mezzo, nove e mezzo, poi ci sono le cose fisse, gli animali, mungere, fare il formaggio, ecco fare il formaggio l'ho delegato a lui, perché per molti anni l'ho fatto solo io e alla fine m'ero pure scocciata, infatti non mi venivano più tanto bene, e poi perché sennò si accumulava un'altra cosa da fare in casa, capito, che la facevo io, e allora adesso la fa quasi sempre lui; poi... che facciamo? ANGELO: i lavori che ci sono da fare... adesso per
esempio stiamo lavorando la terra per fare l'orto, i pali del recinto, comunque pensa che almeno per me se ne vanno quattro ore per gli animali, tra mungere e fare il formaggio, poi dedichi le altre quattro ore, anche cinque o sei a fare le altre cose che devi fare... IL LAVORO DELLA TERRA... ANGELO: quando c'è il fieno che se ne parla! ANGELA: poi c'è la legna... poi quando ti rimane tempo
ci stanno quelle cose che uno vorrebbe sempre fare, tipo
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quella stanza di la che siamo riusciti a finirla in tre anni, abbiamo smontato il pavimento a Natale e poi abbiamo finito dopo... così adesso c'è questo gabinetto da fare, piano piano. ANGELO: c'è da dire che ritagli poco tempo per fare le
cose, un pò che c'è proprio poco tempo, un pò che ti vuoi pure riposare un attimo, e sto parlando delle cose in più, perché appunto ci sono quelle che le "devi" fare, sennò non vai avanti, le vacche scappano, lì devo riparare il recinto, adesso devo seminare l'orto e devo farlo... ANGELA: devo dire che io e lui siamo abbastanza
pignoli, nel senso che gli animali piano piano diventano sempre di più, cerchiamo di tenerli bene, poi facciamo sempre un orto grandissimo, sembra che siamo dieci persone, poi regali, a mia madre diamo tantissimo, ogni cosa che facciamo cerchiamo di farla bene, poi però altre rimangono indietro, siamo di carattere un pò perfezionisti, anche questo ci porta a questo accumulo, pure se partiamo stiamo fuori tanto!!! In queste situazioni potare diventa una cosa, un gusto, lui che scappa perché deve potare, non gli pare vero di fare il lavoretto figo, leggero, che ti piace. SECONDO VOI CHE COSA TIENE INSIEME TUTTE LE CASE SUL
PEGLIA, CHE A ME IN REALTÀ SEMBRANO MOLTO DIVERSE TRA DI LORO? CHE COSA CI ACCOMUNA? ANGELO: un pò te lo posso dire, è il fatto che sono
tutte case occupate, bene o male devi stare unito, sennò ti buttano fuori, come han già provato. ANGELA: molto invece è il fatto che vivi qua, e per
quanto siano diverse, ci sono tante cose simili, proprio del fatto che vivi qua, cioè il luogo. ANGELO: c'è un fattore materiale e c'è un fattore che
invece senza gli altri non tiravi tanto, anche con stà diversità, però vedendosi tra gente della stessa età, più o meno, e facendo in definitiva le stesse cose, allora quella è la cosa in comune. SECONDO VOI NON CI SONO POI COSI TANTE DIFFERENZE? ANGELO: uno fa più una cosa, uno ne fa più un'altra,
però tutto sommato la testa è la stessa, cioè sei venuto qua allo stesso modo. I VALORI SONO GLI STESSI?
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Si ma anche le difficoltà, nessuno naviga nell'oro... ANGELO: becchi le stesse bastonate, puntuali. Poi
piano, piano si sta andando avanti tutti insieme. ANGELA: a volte poi succedono cose strane anche
piccole, come un'onda che percorre, tipo un anno tutti imbiancarono la cucina. ANGELO: poi durante il periodo dello spopolamento noi
ci siamo detti "ma da solo qui chi ci rimane", perché lo senti che ci sono delle altre persone, vicine, che se sei in merda le vai a trovare. ANGELA: poi ci sono sempre le feste, a volte più
spesso, a volte meno, ma lì ti vedi tutti. Certo c'è da dire che qui siamo venuti con esperienze diversissime, chi lavorava in città, chi era un punk, chi era sconvolta mistica, chi si faceva le pere, c'erano tantissime esperienze diverse, forse è già notevole che con queste esperienze diverse comunque riesci a rapportarti, magari in città si creerebbero circuiti diversi che proprio non ti sfiori; in fondo il fatto di vivere qua ti accomuna però non ti può accomunare più di un tot, se tu hai delle forme mentali, delle cose che hai vissuto, è chiaro che ti rimarranno,; io comunque adesso la vivo abbastanza pacificamente, nel senso che magari gli anni scorsi me la menavo di più perché mi mancavano quei rapporti che magari potevo avere a Calcata, che ti sembra che non hai proprio delle amicizie, però in effetti le cose cambiano, anche li è cambiato tutto, e poi la c'era una identità di esperienze che è chiaro che non la posso ritrovare qui, dove ci sono età e modi diversi. A volte mi capita di vedere persone con le quali sono
anni che ti conosci, metti con Lucio, sono anni che ci conosciamo, abbiamo avuto i problemi quando vivevamo insieme, poi sono stati totalmente superati, non c'è rimasto proprio niente... e ti rendi conto che questi ormai sono rapporti solidi, gli manca sempre magari quel lato che nasce proprio da questo fatto di avere ognuno un nocciolo che magari fa parte del passato , che non riesci totalmente ad esprimere, oppure che riesci ad esprimere solo con la persona con cui vivi insieme, però questa durata nel tempo, poi un'altra cosa valida è la possibilità di scazzarti di passare questi momenti che non ti vedi e poi di poterti ritrovare, io penso che da un'altra parte se avessi litigato sarebbe finita, invece qui mi è capitato con diverse persone... invece per esempio con Lucio, la lite quasi ci ha cementato di più, tu hai questa solidità che magari una volta ce la potevi
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avere solo in famiglia, che potevi scazzare però c'era quel legame che comunque va oltre. UNA GRANDE FAMIGLIA! ANGELA: si è vero, alla fin fine si, poi compatti
contro il nemico esterno, come tutte le famiglie che si rispettino. E il nemico non è solo la Comunità Montana, anche Ospedaletto in se, la gente qua fa fronte comune... COM'E' IL RAPPORTO CON LA GENTE DEL POSTO? COM'E'
CAMBIATO NEL CORSO DEGLI ANNI. Li saluti, ci scambi qualche chiacchiera; loro però
all'inizio sono stati proprio scottati, qua girava un sacco di gente, gente che ha fatto pure delle cazzate, loro son gente di campagna, son rimasti scottati, loro secondo me hanno un rapporto più vero e trovandosi di fronte a gente che magari gli ha fatto la cazzata, che non gli dava i soldi, addirittura qualcuno anni fa ha rubato una macchina in paese... Con i primi che sono venuti questi qua si sono aperti, poi vedendo tutte queste storie qua han cominciato ad andarci coi piedi di piombo, ma alla campagnola! ANGELA: comunque quelli di Ospedaletto sono famosi,
noi quando abitavamo a Ficulle coi vicini proprio amici, io non sono mai entrata in nella casa di una persona qui e invece lì proprio anche a Calcata, c'erano alcuni del posto con cui eri in confidenza strepitosa, ti regalavano... questo forse qui un pò pensa, soprattutto rispetto agli uomini del posto... ANGELO: comunque i ragazzi son tranquilli... ANGELA: ma i ragazzi stò notando che si vedono sempre
meno ormai al bar. ANGELO: ci sono state anche un paio di ragazze che
sono venute proprio dalla nostra parte, Cinzia e Sabrina fan le cose che facciamo noi, i giovani sono proprio tranquilli. VI SENTITE DIVERSI DA COME VIVEVANO IN QUESTA CASA
TRENTA ANNI FA'? ANGELA: eh, sicuramente perché ci vivevano in tanti... ANGELO: qua il nonno ha sparato dalle scale al nipote
perché faceva casino!!! E non l'ha acchiappato per un pelo!!! Ehhhh!!
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LI CONOSCETE QUELLE CHE HANNO ABITATI QUA? ANGELO: c'è l'Assuntina, la vecchia del paese, poi
abbiamo conosciuto una che ci ha passato il più bel periodo della sua vita, faceva le olive con noi, diceva che a diciassette anni faceva l'amore su questi posti! ANGELA: diceva che in questo posto si stava sempre a
ballare, sempre a ballare. Ci vivevano minimo in dieci. Dopo c'ha vissuto anche Mario lo spazzino. Comunque
senti delle storie, questi andavano a piedi fino ad Orvieto a vendere la soma di un asino di legno. ANGELO: era un'altra ottica, queste cose qua le vedi
in Sud America, nel terzo mondo. CERTO SONO PASSATI PURE TRENTA ANNI. E RISPETTO AI
CONTADINI CHE VIVONO IN QUESTA ZONA OGGI? ESCLUDENDO IL MONDO DEI VALORI CHE SONO COMPLETAMENTE DIVERSI, DAL PUNTO DI VISTA MATERIALE CI SONO DELLE DIFFERENZE? ANGELA: io lo sento soprattutto nella nostra tendenza
a dilagare, adesso è un periodo che restiamo in casa, in quindici giorni siamo usciti una sera, ma è una cosa assolutamente eccezionale per noi! Io mi ricordo i primi due anni qui eravamo sempre... o qualcuno da noi o noi da qualcuno, ma tutte le sere, proprio tutte a fare le due, le tre di notte. ANGELO: a suonare, a giocare a dadi, a ubriacarsi... ANGELA: poi piano piano siamo andati in calando,
però... e questo condiziona un casino perché se tu la sera... ANGELO: se dilaghi così, il bagno non lo fai più...! ANGELA: Non è solo quello, a me per esempio quando ho
tempo mi piace un casino leggere, lui suona, poi se avessi i soldi andrei molto più al cinema. A volte, a proposito del discorso sulla stanchezza e sulle cose che si rincorrono, delle volte mi dico pure che la maggior parte della gente alle dieci, undici va a letto!!! Rientra nel nostro perfezionismo, vogliamo far tutto, anche dilagare a tempo pieno. Non abbiamo la costanza di quel ritmo che hanno... che aveva soprattutto la generazione prima. No, la giornata è diversa, sbagliamo tante colte negli orari, mangiamo tardi, anche quello sempre un pò meno però sempre lontani da... dei momenti lavoriamo tantissimo, dei momenti ci lasciamo più andare. (Spengo il registratore perché è finita l'intervista,
poi però continuiamo a parlare allora lo riaccendo).
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All'inizio era un movimento dalla città alla campagna,
però che aveva delle forme di lotta tipo l'occupazione, era legato anche alla città, la campagna non come esperienza interiore ma come metodo di vita alternativa, però poi queste persone, quando siamo arrivati qui ne abbiamo conosciute un pò, e c'erano proprio degli scazzi, cioè non si parlavano, degli scazzi feroci, tra l'altro erano quelli che si sono fatti un culo mostruoso, hanno rimesso in piedi le case. ANGELO: c'era una decina che han fatto mezza casa per
uno, tra che han fatto il tetto su quella li, il lavatoio di la, il muro su quella li, mezzo bagno... secondo me han come messo delle basi, han fatto un grande sforzo e alla fine non son riusciti a superare... noi siamo arrivati dopo e probabilmente non riusciremo a superare un'altra cosa, poi quelli che arriveranno... io la vedo molto così. ANGELA: è ciclica. ANGELO: perché tutto sommato ognuno ha le sue
possibilità. TU DICEVI CHE QUESTA SECONDA ONDATA TRA CUI ERAVATE
ARRIVATI VOI ERA MENO CONVINTA. ANGELA: meno convinta e appunto per questo meno
portata a scazzarsi su convinzioni, ma neanche, perché poi era su convinzioni che queste persone litigavano, non era per un idea, era proprio... magari aveva messo tutti i soldi per il trattore uno, poi se l'era tenuto un altro. Come dicevo prima sono uscite le contraddizioni, ma qui sono state fortissime come un tappo, tolto il tappo non si sono più ritrovati a vivere tra loro, non si sono ritrovati a vivere qua, infatti tranne Giovanni e Valerio sono andati via tutti. Noi siamo stati l'onda godereccia! poi però siamo rimasti, ormai da un tempo notevole, nove, dieci anni, noi, Cicci, Stella siamo arrivati più o meno tutti in quegli anni li, Enrico, Giorgio anche e più o meno dell'ondata nostra. Pensa che quando noi siamo arrivati qui potevamo scegliere tra tre case; potevamo scegliere qua, ma non era vuota, c'era Giuseppe e poi anche Lucio e Laura, ma era una situazione già un pò strana, col fatto delle case sopra e sotto, e noi siamo arrivati qui e con Giuseppe è stata una convivenza proprio bella, magari perché è durata un anno, perché poi lui è andato in India e al ritorno aveva deciso di tornare a studiare
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medicina... Comunque potevamo scegliere tra qua, e c'era posto, poi Ischia che era vuota, e pure Sant'Antilietta. QUANDO SIETE ARRIVATI VOI C'ERA PIÙ GENTE CHE VIVEVA
IN COMUNE? Beh si. No, aspetta. Si e no... noi qua vivevamo in
cinque più i bambini, a Sant'Antilietta erano una decina, a Sant'Antilia c'erano due coppie, poi c'era Giovanni che viveva da solo con la Gundel, a Siano c'eran Fiorenzo e Gianna che vivevan da soli, Margherita e Michele vivevan da soli alle Sorbare, Peppo, vivevano ognuno in una casa con Gianni Feeak ma c'eran delle scazzi mostruosi, in effetti i gruppi grossi eran Santa Antilietta e noi, al Cerquosino eravamo in un pò.. in effetti non erano tanti, più o meno come adesso. IN REALTÀ IL FATTO DI VIVERE INSIEME NON E'
CARATTERISTICA DEL PEGLIA. ANGELA:Si, ma lo era prima. ANGELO: calcola che giravan le persone, non c'eran dei
fissi ma un susseguirsi di cambi di casa veloci, ecco rispetto ad oggi c'era più movimento tra le case, quelli non sono rimasti sempre nella stessa casa son stati pochi, giusto Giovanni e Adelio. Quando siamo arrivati noi al Cerquosino eran tanti,
noi in nove al Cerquosino, a Folignano stavano una bella dieci persone, a Ischia vivevano tre coppie, li era il periodo che c'era tutto pieno di brutto, qua c'eran due coppie, Aldo e Gioia e Renzo e Anna, però io penso che era la fine, perché i primi tempi dai racconti che ho sentito era pieno, un via vai mostruoso, centinaia di persone... dice che quando hanno sgombrato i Cartufolo, che è arrivato l'esercito, c'erano più di cento persone, poi le feste, le prime feste che noi eravamo qui c'erano sempre sulle cento persone, mi ricorso un capodanno a Torricelle, era una cosa pazzesca, la cucina piena, giù pieno, Peppo e Michele che nudi saltavo il fuoco, c'era sempre qualcuno che si spogliava nudo a quelle feste, era un'usanza proprio a capodanno perché faceva già freddo, che hanno fatto lo scontro sul fuoco... ehhh! Eran periodi più caotici, Folignano è storico in questo senso, è bello pure ricordarli, però ti rendi conto che non poteva continuare così, senza una lira a spararsi, è bello pure che hai passato quei periodi lì, belli, a lavorare molto meno, molte meno preoccupazioni, ti divertivi di più, solo cha lungo andare non poteva
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durare, comunque a Folignano Enrico, Cicci e Sergio era pazzeschi, giornate intere a bruciare legna davanti al camino, che poi ha fatto l'inverno più tozzo l'85 che ha nevicato pure a Roma, nessuno c'aveva una lira, noi che stavamo a Ficulle siamo partiti con un pacco per loro che c'era il caffè che mia madre ce ne aveva regalato un casino, avevamo la farina e le uova delle galline e avevamo fatto le tagliatelle e gliele avevamo portate, era proprio fame... ehh. Eran periodi più pazzi. INTERVISTA A MARIO C. COME FUNZIONAVA LA COOPERATIVA? ERAVATE RIUSCITI AD
AVERE VERAMENTE UN'ECONOMIA COMUNE? All'inizio si facevano i lavori insieme, lavoro a
rotazione tra i singoli poderi, che va di vangare l'orto, di potare la vigna e gli ulivi, la raccolta dei prodotti e la semina. Per i lavori comuni si raccoglievano i soldi, per l'acquisto delle sementi o per la nafta o per i soldi dell'aratura. Però una cassa comune vara e propria c'è stata nel momento della convivenza a Santa Antilia, poi quando siamo andati nei diversi poderi c'era un'economia distinta in ogni singolo podere. La cosa come avrebbe dovuto funzionare
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era che il progetto era fatto dall'insieme di tutto il gruppo, un progetto agricolo ed economico, ma come funzionamento in realtà c'è stato nelle piccole cose, c'è stata una raccolta delle olive insieme, che poi abbiamo diviso a seconda delle singole entità, alcune raccolte di prodotti dagli orti, non ha mai funzionato riuscendo a dare un reddito dei raccolti sufficienti, per l'autosufficienza; era molto più il dispendio di energia per riuscire a mandare avanti la cosa insieme, che non quello che riuscivamo a rientrare ciascuno di noi. Alla fine per la distanza tra i vari casali, per il tempo che perdevi per spostarti da un luogo all'altro, per il fatto che eravamo in pochi in ogni singolo casale e quindi la sera dovevi rientrare a governare le bestie, la cosa è stata sempre più dispendiosa di quello che... questo è stato anche l'handicap maggiore. AVEVATE ANCHE DEGLI ANIMALI GROSSI CHE GESTIVATE
INSIEME? Non ancora, avevamo i maiali, galline; le mucche
dovevamo ancora incominciare a prenderle, per cui non ce ne erano, pecore e capre; il podere Sant'Antilia si era organizzato poi con le pecore, a Pergolla con le capre e invece a Messaie animali non se ne voleva tenere. Comunque la possibilità di viverci ci sarebbe stata
con un minimo di contributi da parte della Regione; già il fatto di non ostacolarci avrebbe creato un enorme impulso alla cosa, perché eravamo costretti a combattere su tutti i fronti, combattere sul fronte esterno con le istituzioni che ti mettevano i bastoni tra le ruote, girare per uffici e per assemblee, sul piano interno per organizzare la cosa che non era assolutamente facile e poi procurarti tutto da solo, di conseguenza andando anche a lavorare fuori per procacciarti il denaro per potere fare investimenti e quindi un lavoro enorme... oltretutto hanno cercato anche di metterci contro i contadini della zona. COME E' STATO L'IMPATTO CON LA GENTE DEL POSTO? La gente del posto... cioè ci son state anche voci che
si sono levate in nostro favore, soprattutto la componente democristiana perché era quella estromessa dalla spartizione della torta, che hanno detto ad un certo punto "se non vi difendono i comunisti", sapendo che noi eravamo comunisti o tendenzialmente di sinistra,
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"vi difenderemo noi", questo per voce del segretario della Democrazia Cristiana di Perugia, che era Tatta. Un'altra voce a nostro favore si è anche levata dal
segretario della UIL, che ha paventato l'ipotesi che il sindacato sarebbe stato nei poderi eventualmente ci fosse stato uno sgombero da parte dei Carabinieri. E LA GENTE COMUNE, GLI ABITANTI DEI PAESI? E gli abitanti del paese stavano a vedere come si
sarebbe evoluto questo scontro, perché chiaramente c'era uno scontro che aveva raggiunto livelli di veemenza notevole, perché alla fine non ci si voleva lasciar parlare, noi urlavamo per farci sentire; erano intimoriti dalla continua presenza dei Carabinieri nella zona e quindi già non era molto facile esprimersi, mentre sotto sotto qualcuno mostrava la propria simpatia. Anche da parte della Forestale c'era un cercare di
aizzare i contadini contro di noi, perché i contadini erano mezzadri della forestale fino a quell'epoca. QUANDO SIETE ARRIVATI VOI DA QUANTO TEMPO ERANO STATI
ABBANDONATI I CASALI? Erano stati abbandonati nel 1950 grossomodo, venti
trenta anni prima, quando c'è stato il boom dell'industrializzazione e sembrava che le città dessero denaro con poca fatica e il divertimento; la gente è stata cacciata via dalla terra ed è andata a lavorare in città come a Roma, o nell'industria a fare altri lavori; questi poderi prima erano del conte Faina, altri marchesi, sempre con titoli nobiliari, sempre grossi latifondisti, che trovandosi alle strette, che non avevano più reddito dal terreno agricolo, erano disposti a venderlo e lo Stato li ha acquistati con i soldi destinati alla piccola impresa contadina, quindi soldi che sarebbero stati destinati ai contadini lo Stato li intascava lui stesso comprandosi questi poderi qua, che poi rimanevano abbandonati; infatti una sentenza del Tribunale di Orvieto ha dato ragione agli occupanti in quanto questi poderi non erano guardati, erano in uno stato di abbandono totale, i fabbricati erano fatiscenti, abbandonati a se stessi con le porte aperte e i terreni abbandonati, di conseguenza cosa vuole lo Stato se qualcuno li andava ad abitare, li sistemava? Quella sentenza sarebbe da rivedere perché è stata il primo atto importante a nostro favore.
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POI QUANDO SEI ANDATO VIA? Io sono andato via nell'anno '83, sette anni dopo,
avevamo già sciolto la cooperativa perché ci eravamo resi conto che anche quello strumento non era valido cioè nel momento in cui noi siamo stati anche rappresentanti al complesso provinciale della Lega delle Cooperative e siamo intervenuti, loro hanno fatto trovare dell'hascisc in tasca a qualcuno e per poterci addossare tutte le responsabilità e dire che ci scartavano... e non solo far cadere tutto il movimento che si era creato in quegli anni, fare una legge sulle terre incolte che vanificava tutto lo sforzo di liberarle dal giogo della proprietà a far cadere anche le cooperative giovanili che non servivano più perché era palese che non potevano essere gestite secondo i loro piani, secondo i loro interessi; e allora la nostra alternativa sarebbe stata quella di creare un movimento di cooperative giovanili che non servivano più perché era palese che non potevano essere gestite secondo i loro piani, secondo i loro interessi; e allora la nostra alternativa sarebbe stata quella di creare un movimento di cooperativa di lotta, però a quel punto lì saremmo dovuti diventare sindacalisti e... creare anche noi una organizzazione, ma era una mole di lavoro impossibile. Ci fu pure un'incontro favorevole con la cooperativa
di Lotta Continua "L'aratro" di Gubbio, che aveva vissuto la nostra stessa storia, con quelli di Pian Baruccioli, che anche loro, movimento "Zappatori senza padrone" avevan occupato le terre. ERANO UNA COOPERATIVA PURE LORO? Si! erano una cooperativa pure loro e ancora
attualmente cooperativa. Una è stata sciolta d'ufficio e un'altra invece continua a pagare tasse su tasse non a funzionare. CONTEMPORANEAMENTE AL MONTE PEGLIA SI ARRIVA ANCHE
L'ESPERIENZA DELL'ACQUA CHETA O ERA GIA' IN PIEDI DA PRIMA? Era contemporaneamente. VOI AVEVATE CONTATTI?
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All'inizio no, poi quando sono usciti gli articoli sui giornali, su Lotta Continua usciva contemporaneamente la nostra e la loro storia e vivevano lo stesso attacco istituzionale e quindi poi è venuta la voglia di conoscersi e di andare a confrontare. E PURE LI C'ERA SOLO PIAN BARUCCIOLI O C'ERANO VARI
CASALI OCCUPATI? Erano vari casali; oltre a Pian Baruccioli c'erano Le
Cortecce, xxxxx, Tre Fossi, che sono adiacenti uno vicino all'altro e tutti son nati uno dopo l'altro e li era un nucleo molto forte, pochi casali più vicini tra loro quindi la cosa si è gestita all'inizio molto insieme. TU PENSI CHE UN LIMITE DELLA COMUNICAZIONE TRA I VARI
CASALI AL MONTE PEGLIA SIA PROPRIO LA DISTANZA? E' la struttura abitativa che se è quella del
villaggio, allora cresci assieme e hai la possibilità di mettere le cose insieme, la proprietà insieme, l'economia insieme, di mangiare insieme, di dormire, di crescere insieme, mentre così invece prevale la mentalità individuale, ognuno è legato al proprio orto, al proprio pezzo di terra. LA GENTE CHE HA INIZIATO AD OCCUPARE, TRA CUI TE,
AVEVA DELLE ESPERIENZE POLITICHE ALLE SPALLE, IN CITTÀ? Io personalmente si, avevo fatto il sessantotto, un pò
in maniera passiva se cuoi, ero nel movimento studentesco, tramite quella prima esperienza avevo incominciato ad interessarsi un pò di politica, avevo militato con il movimento di Stella Rossa nel '70, '71 e anche li ero entrato nello scontro politico, c'era entrato fino ad occuparsi a tempo pieno di politica e lasciar perdere la mia attività. CHE FACEVI? LAVORAVI? Studiavo, mi ero iscritto all'Università, poi ho
piantato lì e ho deciso di ritirarmi in campagna perché era l'unica soluzione possibile.
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COME E' AVVENUTO QUESTO PASSAGGIO? Questo passaggio è avvenuto tramite altre persone che
stavano cercando, al quale mi sono unito e con i nostri risparmi cercavamo un podere da comprare con pochi soldi; siamo venuti in contatto con altre persone che avevano più disponibilità economica, così abbiamo comprato questo podere in Piemonte ed io andando a vivere in campagna; mi sono ricollegato alla mia infanzia, perché da bambino vivevo in campagna i miei mesi d'estate e mi sentivo libero, ero totalmente libero, era un posto estremamente isolato nel quale potevo spaziare, quando ritornavo in città invece costretto tra quattro mura, nella scuola, a casa, per me era una oppressione totale. Allora ho sentito questo impulso che nasceva dentro di
me, vivere la realizzazione della mia energia creativa, quindi ho capito che quella era la mia strada, perché stavo anche bene di salute, i mali psicosomatici della città improvvisamente sparivano quando andavo in campagna. E POI QUALI ERANO GLI ALTRI MOTIVI CHE TI HANNO SPINTO
A COMPIERE QUESTA SCELTA? Proprio il lavoro della terra, cosa che mi era rimata
come eredità da mia nonna, il rapporto con la natura è fondamentale per me, vedere crescere le cose, seminare, veder che quello era il cibo che poi mettevi alla bocca, era tutto un ciclo che si chiudeva. Ti dava l'autosufficienza, ti liberava dalle imposizioni del mercato, dal denaro, dal ricatto economico che è esercitato nelle città, era liberare la forza produttiva e portare energia creativa; e poi il rapporto con gli altri che era la dimensione primaria. POI CHE RAPPORTO C'E' STATO TRA VOI E QUEL MOVIMENTO
CHE RA RIMASTO IN CITTÀ? SI E' TENUTO UN LEGAME? ERA STATA UNA SCELTA DI POCHI INDIVIDUI O UN FENOMENO DI ROTTURA ALL'INTERNO DEL MOVIMENTO?
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IN TERMINI STORICI E' AVVENUTO CHE UNA PORZIONE DEL MOVIMENTO HA DETTO CHE NON GLI INTERESSAVA PIÙ QUESTA STRADA DI LOTTA E NE VOLEVA PRATICARE UN'ALTRA? In termini storici è stata una cosa che è impossibile
da vedere se non in un riflesso più generale perché la nostra storia è un'esperienza molto limitata per fare della storia. SI, SI, IO DICO IN TERMINI GENERALI. Noi siamo andati partendo da un nostro bisogno, da una
nostra esigenza personale, però anche andando a vivere in campagna nella prima esperienza, nella comunità agricola in Piemonte ci siamo subito scontrati con le istituzioni, perché eravamo totalmente di sinistra in un ambiente totalmente democristiano, nel Piemonte la provincia di Cuneo, dove esisteva la completa soggezione all'autorità, noi raccoglievamo l'eredità di quel piccolo nucleo di comunisti che ancora esistevano nella zona, che ci hanno eretto come baluardo della battaglia comunale, candidandoci alle elezioni. Nel momento in cui noi ci siamo candidati alle
elezioni del Comune, il Comune ci è saltato addosso, proprio in maniera becera, proprio con intimidazioni, tappando i nostri manifesti con degli insulti, poi arrivando allo scontro in assemblea pubblica, cioè dopo aver fatto diversi comizi ai quali la gente partecipava, c'è stato lo scontro diretto col sindaco, noi avevamo chiesto la pubblicazione dei bilanci, di rendere chiara e trasparente la gestione economica, di fare le assemblee di fronte a tutti i cittadini per le scelte che riguardano il paese, quando ovviamente loro cercando di mantenere la gestione e il controllo del paese hanno presentato un'altra lista sulla quale hanno spartito i loro voti per evitare anche che noi uscissimo come lista di minoranza. Noi nonostante ciò abbiamo perso il 16% dei voti e lì
il nostro interesse era rivolto anche all'esterno perché andavamo ai festival a suonare, alle feste, inizialmente alle feste dell'area anarchica, poi dal momento in cui avevamo avuto l'attacco poliziesco anche lì, il partito comunista ha detto che se toccavano noi era come se toccassero il partito, cioè hanno preso una difesa a spada tratta, da quel momento lì sembrava di essere rivoluzionari anche ad essere iscritti al partito comunista, in quell'ambiente! Di conseguenza siamo entrati nella cellula del partito comunista che erano
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pochissimi elementi e abbiamo cominciato a fare attività nelle fabbriche perché non c'era nessuna sindacalizzazione, c'era la bellezza di diciassette morti ogni anno per gli scarichi di anidride carbonica che c'erano nell'aria, non c'erano i depuratori, la gente si addormentava sul posto di lavoro, quindi i nostri interventi nelle fabbriche son stati pure abbastanza pericolosi. Quindi oltre fare il lavoro di campagna avevamo anche
questo, suonare nelle feste e fare attività politica. Però ci eravamo fatti conoscere in tutta la valle e le cose sono anche cambiate molto, perché dopo l'ostilità iniziale la gente ha iniziato ad accettarci. E il senatore Martino, che abbiamo conosciuto in
Piemonte sarà quello che poi scrive le lettere a Navonni dicendogli perché ci stanno combattendo. Lo stesso qua si è verificato che c'è stato lo scontro con le istituzioni perché; sono istituzioni che ti hanno aggredito e quindi il nostro palesarci all'esterno, nell'interesse generale, non nell'interesse particolare nostro perché il fatto che andavi ad occupare della terra era un fattore che andava a vantaggio della collettività, tu non chiedevi niente, eri a costo zero, sempre a vantaggio della collettività; il rapporto tra reddito per la collettività e ciò che chi devi alla collettività era nettamente a tuo vantaggio e il parametro occupazionale era sempre a tuo vantaggio, un posto nell'agricoltura costava niente allo stato e per mantenere, no creare un posto nell'industria costa, non so, sui trenta quaranta milioni. Era tutta una cosa assurda, era inconcepibile che ti
dessero contro, però questa cosa è ancora da capire adesso, cioè ancora adesso non si favorisce un incremento della gente che va in campagna, non gli si da la possibilità di stabilirsi sulla terra, anche laddove la terra è disponibile ed è di proprietà dello stato, come è l'esperienza del Monte Peglia. Quindi è una cosa incomprensibile perché perché chi va
a vivere in campagna con un'economia di autosussistenza esce fuori dalle leggi del mercato, si rende libero, non più schiavo di un lavoro sotto padrone, non più schiavo di un'economia ricattatoria che dipende dal denaro e dall'esterno e quindi è una strada per liberare l'individuo, una strada per emanciparsi, per rendersi indipendenti dallo stato e non essere più soggetti alle regole del sistema; se lo fanno poche persone la cosa può passare inosservata, se diventano in tanti è una forza che è in grado di tagliare rapporti economici e
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sociali, questo è il rapporto tra la politica e la nostra scelta, che è pericolosa per il sistema, questo era così venti anni fa, lo è adesso, lo sarà tra cent'anni. C'è un libro di Winstanley, il titolo del libro era:
"La terra è di chi la lavora", una cosa del genere ed è il primo movimento comunista degli zappatori senza padrone che è nato nel 1650 in Inghilterra, vedi lo stesso scontro tra latifondo e questi movimenti in embrione, anche lì erano nudi, vivevano del loro lavoro, zappando la terra, senza chiedere niente a nessuno e andavano ad occupare terreni marginali, di proprietà demaniale ma che in effetti sono stati aiutati con l'esercito, però i dialoghi erano gli stessi nostri che loro avevano con le istituzioni, gli stessi che noi abbiamo oggi. E quando abbiamo parlato con il presidente dell'Ente di sviluppo, Maschiella, a quell'epoca cioè quando c'era ancora tanta tensione in corso, Maschiella ci ha detto: "Ma non siete contenti che non vi spariamo addosso?". Per dire che fino allora le occupazioni delle terre erano sempre... se te lo senti dire da un fascista o da un democristiano è un conto, se te lo senti dire da un comunista come lui si palesava è una cosa... però questo Maschiella verrà destituito e prenderà il suo posto Rasimelli. E verrà destituito dopo il segretario della UIL nell'assemblea pubblica che si tiene a Gubbio dirà: "ti ricordi i tuoi trascorsi fascisti e adesso hai cambiato bandiera, ma sei sempre lo stesso".
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INTERVISTA A MARIO C. (seconda intervista 2.11.1994) Uno sguardo d'insieme sulla situazione attuale delle
esperienze di autosufficienza agricola in Italia. TU SEI LA FIGURA DI COLLEGAMENTO TRA LE VARIE
SITUAZIONI SIMILI AL PEGLIA. ALLORA VORREI CHE TU MI RACCONTASSI QUALI SONO LE SITUAZIONI ESISTENTI OGGI OLTRE AL PEGLIA, OLTRE A QUI. ME LE PUOI ELENCARE, FARE UN QUADRO? MARIO: Il quadro è abbastanza spazioso, cioè molto
vasto, per sommi capi cercherò di raggruppare alcune delle esperienze più significative. Partendo dal Sud c'è Piazza Armerina che esiste da una ventina di anni però si è man mano dissolta in tanti piccoli raggruppamenti. Sono rimasti tuttora dei nuclei che avrebbero intenzione di rivitalizzarsi, a questo scopo è stato fatto un rainbow nella primavera di due anni fa che ha raccolto un centinaio di persone e tuttora c'è fermento perché l'iniziativa rimonti sul piano della comune, non sul piano dell'iniziativa delle famiglie, delle famigliole, dei piccoli gruppi. Quindi se ci sarà una prospettiva per Piazza Armerina è un'evoluzione che prenda in considerazione l'ipotesi di formare un nucleo piuttosto grande. A questo scopo c'è gente che intende muoversi e andare giù. Mentre invece per quel che riguarda la Calabria, la Campania, sono posti abbastanza difficili. Difficili per la mentalità della gente, per l'impossibilità di occupare delle terre, perché la proprietà si difende in maniera tosta. GIGI: anche perché ci sono meno posti abbandonati. MARIO: Però so che ad esempio nel Sorrentino, su in
campagna degli anarchici hanno acquistato dei terreni, una casa, facendo anche un mutuo di mezzo miliardo. Quanto possano sopravvivere queste cose che son basate sui soldi non lo so, comunque questa è un'esperienza attualissima, di nostri amici.
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Poi c'è quella dell'Umbria, che invece vale la pena perché è un'esperienza antica, abbastanza vecchia, che ha fatto storia. E' in Umbria e in Toscana direi che sono concentrate la maggior parte di queste esperienze. In Umbria è cominciato con l'occupazione dei casali, è inutile che faccio la storia perché la conosci, ha però come caratteristica un'evoluzione di scarsa incisività per quel che riguarda il tessuto sociale secondo me, perché non modifica i rapporti della famiglia, non modifica i rapporti di coppia e non va ad intaccare di conseguenza quello che è lo Stato nella sua piccola formazione, che è poi la famiglia, tutore dello Stato come modello. E quindi bisogna cercare anche li di costituire un gruppo, un coagulo di persone che riesca ad infrangere questo tipo di organizzazione sociale. La difficoltà del Peglia è che non essendoci la struttura di villaggio rimane molto limitata la possibilità, perché è anche l'ambiente che fa l'uomo e la sua ideologia. Quello che in Umbria manca è proprio questo villaggio, che secondo me se si fa qualche ulteriore occupazione, qualche ulteriore ricerca è da tentare, per le persone che perlomeno sono orientate in questa direzione. In Umbria esistono tante Comunità religiose, ci sono tutti, tutti i tipi. Vicino ad Assisi ci sono Sri Aurobindo, Sai Baba, c'è Babaji, ci sono tutti. E queste comunità religiose non so come sono strutturate e poco mi interessa. Poi, sempre per parlare di comunità religiose in Toscana ci sono gli Arancioni, c'è Damanhur vicino ad Ivrea. Le strutture religiose sono strutture gerarchiche, cioè hanno un capo carismatico, hanno un parlamentino, tutta una gerarchia che è insindacabile, quasi ad imitazione del pontificato. Damanhur è proprio tipico per questo perché Roberto Raudi è in carica ed è sempre al suo posto, cioè è impossibile mettere in discussione il suo operato, mentre tutti gli altri sono cicli che durano in carica un anno, per quanto riguarda Roberto Raudi non c'è limitazione di tempo. Con tutto ciò non si può entrare in merito perché bisognerebbe avventurarsi dentro. POI PROPRIO PER QUESTA STRUTTURA GERARCHICA SONO
PIUTTOSTO LONTANE DA NOI. Ancora gli Hare Krisna, quello è un discorso che si
sa. Poi per quanto riguarda i gruppi aderenti alla Bio Umbria, non sono aggiornato sulle cifre, ma sono una sessantina di aziende, però quelle di tipo familiare, di tipo autosufficiente sono centinaia, solo che non sono
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coordinate tra di loro, non esiste forma di coordinamento e vanno dalla piccola, piccolissima azienda che è quella strettamente autosufficiente, per fare un tipo hai l'orto, le galline, la mucca, il cavallo, o la pecora o la capra in modo da avere il latte, le uova e tutto ciò che mangi. Queste strutture autosufficienti poi hanno bisogno del sostegno di un apporto esterno, cioè che presti lavoro all'esterno o che fai artigianato. Ne esistono in Umbria e altrettanto in Toscana, anzi forse lì anche di più perché il territorio è più vasto. PERO' SONO NUCLEI FAMILIARI DAL PUNTO DI VISTA
ABITATIVO. Dal punto di vista delle comuni ci sono diversi
tentativi. C'è il tentativo di Villa Piaggia che è la comunità di tedeschi, che tu conosci, però anche lì sono strutturati in maniera rigida, fanno pagare giornalmente le quote, mentre riconducibili a noi ci sono l'esperienza dell'Acqua Cheta, dove sono tanti casali, partiti proprio intenzionalmente con la struttura del villaggio, della comunità e piano piano poi si sono persi, c'è chi va meglio, chi va peggio, però esistono tuttora di fatto. Poi sta nascendo un villaggio arcobaleno in Sardegna, vicino a Monte Viura, dove è stato fatto il Rainbow Gathering questa primavera, ci sono già quindici, sedici case che sono state acquistate o affittate dai legittimi proprietari, sono però piccoli nuclei familiari; poi c'è un gruppo più condensato, lì vicino a Tommaso, dove sono sorti dei tepee, dove ci sono delle case autocostruite, che in pratica si fanno l'orticello e vivono assieme. Lì si punta principalmente sul frutteto e alberi di arance, di limoni ed erbe officinali perché il terreno è abbastanza arido però c'è la prospettiva di acquistare proprio dell'altro terreno, è stata lanciata una sottoscrizione, per fare un villaggio di tepee, vicino ad un ruscello, è una notizia di adesso. Poi le altre comuni sono vicino a Ventimiglia, lì ce
ne sono due tipi, una è strutturata, l'altra è destrutturata; quella strutturata è la comunità di Torri, hanno ristrutturato un villaggio di quaranta case, sono la maggior parte liberi professionisti e impiegati di Torino, che vanno il sabato e la domenica, a parte un gruppo permanete di due o tre persone, tutti gli altri si alternano, "anda e rianda". Inizialmente è stato fondato da un professore, docente universitario di
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psicologia, fondatore anche delle liste verdi di Torino, che poi è stato letteralmente defenestrato dal movimento, che era stanco dell'impostazione burocratica che lui aveva dato, fondando sia la società per azioni che la cooperativa oltre che l'associazione e questo semplicemente per dare delle mansioni di responsabilità a tutti, cioè proprio il massimo della burocrazia, con la buona intenzionalità di fare responsabilizzazione ma con l'onere burocratico e dispendio di energie enorme, tanto è vero che avevano duecento milioni di debiti quando è finita la sua gestione, hanno ricominciato da capo, hanno rimesso i soldi, bella energia, fanno i campi internazionali di lavoro con la Lega Ambiente di Roma, fanno pagare pochissimo, ventimila lire al giorno e hai mezza giornata libera, sono impostati bene, sono nostri cuginetti. LI CONOSCI BENE? Ci sono stato un paio di volte, li ho incontrati agli
incontri del bioregionalismo, il contatto da mantenere è difficile perché siamo lontani. Poi c'è invece quella destrutturata che è vicino ad
Imperia e sono invece tanti casali che sono stati anche lì acquistati o in affitto e sono lungo le pendenze di una montagna molto ripida, tutta terrazzata, secondo la tipica caratteristica genovese, e c'è l'oliveto, c'è un clima ottimo e hanno anche lì pecore, una mucca, capre, e sono tante, tante famigliole, che si vogliono bene, che agiscono in un legame tra di loro attraverso la festa e per fortuna ci sono poche macchine perché lì non c'è la possibilità del trasporto. UN PO' COME IL PEGLIA: TANTE CASE CON LA FESTA COME
MOMENTO COMUNE. Però lì c'è meno dispersione perché l'ambiente è più
concentrato, anche le case sono molto più vicine, cinque, dieci minuti di strada a piedi l'una dall'altra, sono a vista d'occhio, e anche lì hanno la bellezza di una decina di bambini che tutte le mattine si recano a scuola a piedi e passano e fanno un casino per questi sentieri, tutti di corsa urlando, che sono meravigliosi, alla mattina ti danno la sveglia! Mentre all'inizio quando erano solo due o tre che facevano scuola lì, veniva su una maestra da scuola e avevano istituito la scuola sussidiata, che è stipendiata dal comune, e avevano l'interesse a mantenerla a scuola dagli stessi genitori.
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LORO SONO SULLA VIA DELL'AUTOSUFFICIENZA? Si, anche lì vanno a lavorare parecchio fuori, sono...
c'è anche tanti stranieri. Poi c'è la comunità di Erli, vicino Albenga; di lì so abbastanza poco perché non li sono mai andati a trovare, comunque so che hanno avuto la perquisa dei carabinieri e foglio di via, mentre invece loro stessi una casa l'avevano già acquistata, e quindi si è sgonfiato tutto, una bolla di sapone, loro stanno lì beatamente, continuano la loro storia. Poi altre iniziative di tipo comunitario... in questo
momento non è che me ne vengano in mente molte. A parte il fenomeno dell'Acqua Cheta, il fenomeno del Gran Burrone sono fenomeni in espansione sul territorio, nel senso che nelle adiacenze di questi villaggi trovi tante case che sono in via di formazione, ed è un vero e proprio popolo che sta nascendo, perché è tutto unito da sentimenti comuni, da una stessa affettività, da uno stesso rapporto con la natura. Mentre al nord c'è una comunità che è di tipo Arcobaleno, che si rifà alla filosofia dell'arcobaleno, in questo momento mi sfugge il nome, comunque so che lì il villaggio è stato acquistato e chiedevano soldi. DOVE STANNO LORO? Da qualche parte ho l'indirizzo, all'inizio erano
uscite delle inserzioni su Aam Terra Nuova che ci chiedevano... ha un nome corto che non mi viene in mente. Lì è nata ma è anche abortita, dal punto di vista nostro perché si è strutturata secondo i criteri della proprietà e quindi chi ha messo i soldi è proprietario e ha un potere di gestione che è superiore a quello degli altri non è una struttura aperta per cui per me è scaduta anche come visione dell'Arcobaleno. Come anche quella di Upacchi che è qua in Toscana, vicino ad Arezzo, che è stata lanciata da un'economista di Bolzano, che ha fatto tanta teoria, tanta filosofia da coinvolgere tanti nuclei familiari, da impostare tanti il discorso comunitario ma non troppo, da mantenere ciascuno il carattere gestionale all'interno del proprio spazio e poi uno spazio comune, però alla fine chi comanda è stato il denaro perché per costituire la cooperativa di ristrutturazione del casale, per averci i vari permessi, il preventivo che era stato fatto è stato gonfiato, raddoppiato, triplicato e adesso molte persone si trovano costrette a vendere perché non riescono a
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stare dietro all'interesse de... e quindi c'è stato un carattere imprenditoriale che ha fallito nelle proprie prospettive rispetto a quello che ha detto ai soci. Nonostante tutte le teorie che si sono fatte, poi
nella pratica o sei comune o sei proprietario, non esiste un'altra formula. In Piemonte ce ne sono altre, stanno nascendo in
Piemonte come piccoli gruppi, che si vorrebbero spogliare della proprietà, che sono disposti a mettere tutto in comune, a preferire la formula associativa rispetto alla formula della proprietà, per cui chi entra, entra con pari diritti e sono già costituite. Sono nate dalla crisi di unità coniugale della coppia, allora l'apertura verso l'esterno, la forma di tribù. Ne conoscono due di queste esperienze, con le quali siamo in contatto. Una è nel cuneese, nelle Langhe, l'altra invece è sopra Torino. Poi altre esperienze qui in Toscana ce ne a iosa e sono tutte inquadrabili in queste caratteristiche. Il problema di un coordinamento e di un'unità di
azione è molto difficile da realizzare, mentre prima poteva fungere il giornale Aam-Terra Nuova come punto di riferimento, attualmente secondo me non c'è più, perché anche Aam-Terra Nuova si è orientata verso il biologico d.o.c., verso l'etichettatura dei prodotti e così anche l'esperienza della Fierucola di Giannozzo Pucci, nata con lo spirito rivoluzionario, antagonista al sistema, poi accetta in fondo tutte le regole del sistema. Questo è un po' il processo evolutivo che ti vede
essere integrato nella realtà oppure essere completamente avulso. SI E' CREATA UNA LINEA DI DEMARCAZIONE TRA CHI HA
SCELTO DI ENTRARE NEL BIOLOGICO UFFICIALE E CHI INVECE NE E' RIMASTO FUORI. La demarcazione può essere anche riassumibile in
questi termini: chi privilegia l'autosufficienza, il contatto con la natura e il rispetto dei cicli della terra è avulso dalle leggi di mercato e ha bisogno di commerciare solo poche eccedenze e chi invece fa un discorso più business, più produttivo e di conseguenza è legato alla catena di commercializzazione del prodotto, alla catena di acquisto dei prodotti che servono per l'agricoltura facendo le coltivazioni in grande scala e quindi produzione di mercato che la orienta in tutte le leggi e leggine che lo stato ha redatto per poi però imporle anche ai piccoli coltivatori.
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TUTTA QUESTA LEGISLAZIONE RIGUARDO ALL'AGRICOLTURA
BIOLOGICA QUANDO E' STATA FATTA? E' stata fatta già nell'80 come proposta di legge,
come elaborazione; poi prima è stata approvata dai diversi consigli regionali dell'85, l'86, poi è diventata normativa C.E.E. nel '92 ed è stata recepita in Italia nel '92. L'Italia doveva redigere regione per regione una propria elaborazione e non so in quante regioni d'Italia è stato fatto. PRIMA DI ALLORA? Prima di allora se tu etichettavi il tuo prodotto come
biologico potevi essere denunciato perché non esisteva nella legislazione tale dicitura, pertanto era un abuso di etichetta. E ancora adesso invece cadiamo nella contraddizione incredibile che la farina integrale non è vendibile per alimentazione umana perché ha un tasso di cenere superiore a quello che le norme impongono e quindi è commercializzabile per alimentazione umana solo la farina bianca. E ancora queste storie esistono, perché la cooperativa Alce Nero di Ascoli Piceno, che produce pasta integrale su scala mondiale ha subito diversi processi e ancora non ha sciolto il nodo. IL COLLEGAMENTO TRA QUESTI GRUPPI, CHE NON SI SONO
RICONOSCIUTI NELL'UFFICIALIZZAZIONE, DICEVI CHE AVVENIVA ATTRAVERSO LE FESTE RAINBOW. MI SPIEGHI MEGLIO COSA SONO? Non riguarda solo il settore dell'agricoltura, le
feste della famiglia Rainbow arcobaleno... COS'È LA FAMIGLIA ARCOBALENO? La famiglia Rainbow è nata in America con Woodstock
nel '68, dopo che c'è stato questo grande concerto a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone, c'è stata l'esigenza di incontrarsi insieme e dare uno sbocco continuativo ad una storia che aveva entusiasmato gli animi di tutte quelle persone. Allora si sono incontrate sempre in posti di campagna ed hanno cominciato il discorso ecologico e di tribù. Per cui le famiglie arcobaleno si incontrano, fanno dei raduni dove vivono secondo le indicazioni degli indiani d'America, facendo un villaggio sempre esistito, un villaggio di
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Tepee dove la vita scorre tranquillamente, beatamente e vedi che si potrebbe vivere sempre così. C'è un grande cerchio centrale, si sono tutti i tepee che gravitano intorno a questo cerchio, in forma circolare. Il cerchio centrale serve per gli incontri, le feste, i consigli tribali; il cerchio individuale, cioè dei singoli tepee, della tua famiglia, quando stai in intimità. Però la cucina è comune a tutte le persone; c'è la cucina dei bambini e la cucina agli adulti, la cucina dei bambini ha bisogno di tempi regolari, la cucina degli adulti avviene... quando avviene, e si dà da mangiare a tutte le persone che ci sono, sempre disponendoci nella forma circolare, intonando un "Om", alzando le mani in saluto, e dopo distribuendo il cibo. Per l'autofinanziamento si ricorre al cappello magico, danno quel che possono e tutto funziona, con stage di qualsiasi tipo che ognuno vuole proporre. SONO PERIODICI QUESTI INCONTRI? Ce n'è al livello europeo uno tutti gli anni, che
adesso son diventati due, perché ce n'è uno costante tutti gli anni in Israele e invece un altro che cambia ogni anno nazione d'Europa. E poi anche in Italia ne stanno facendo uno annuale e anche in Spagna ce n'è uno annuale. RACCOGLIE GENTE CHE VIVE DI ESPERIENZE COMUNITARIE
AGRICOLE E NON SOLO? Non solo. Le esperienze comunitarie agricole sono
buona parte, perché sono nostri amici ed è un rituale che portiamo avanti da molti anni. E' bello incontrarci, è bello scambiarci i momenti che stiamo vivendo, conoscerci più profondamente e sentire questo legame che ci unisce, al di la dello spazio, al di la delle distanze. E INVECE GLI ALTRI SU QUALI PRINCIPI VENGONO RACCOLTI? Gli altri per la maggior parte sono artigiani, sono
persone che vivono di artigianato ambulante e sono artisti di strada, sono musici. Anche loro hanno i loro incontri periodici, di feste che si fanno in Italia e raccolgono queste persone che sono molto belle e alle quali partecipiamo anche noi, quando è possibile.
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QUINDI LA FAMIGLIA ARCOBALENO PROVIENE ININTERROTTAMENTE DAL '68? In America si. In Italia invece è iniziato nell'82 -
'83. Il primo Rainbow è stato fatto in svizzera, nell'85 in Italia in Acqua Cheta, poi in Austria, poi in Irlanda, poi in... vicino a Praga, nei paesi dell'Est, quest'anno in Yugoslavia, Slovenia, il prossimo anno in Cecoslovacchia. E' stato fatto nei Pirenei, in Spagna, adesso a dicembre c'è un Rainbow in Spagna, vicino a Granada. Chi ha fatto la scelta di vivere come una famiglia
rainbow vive su strada, facendo da un rainbow all'altro, itinerante, facendo spettacoli, musica per strada, senza lasciarsi coinvolgere, una vita nomade. Mentre per il discorso agricolo, come coordinamento
questo del Rainbow non è sufficiente, perché non riesce a toccare tutte le persone, perché molte persone non possono venire, essendo oberate dal lavoro, essendo in pochi e la difficoltà è proprio questa, che i nuclei sono ancora troppo piccoli, non c'è la possibilità di muoversi e diventa più importante il discorso della sussistenza nel luogo e al massimo le relazioni che hai sono quelle nella zona. Un altro villaggio sta nascendo nell'entroterra di
Pisa, che siamo andati a vedere ed è un villaggio fantastico, ha una chiesa, un convento... COMPRATO? Il proprietario ci dirà adesso le condizioni con cui
intende darcelo però sarà un accomodato o un affitto. E' da ristrutturare. Però non ci saranno ostacoli perché ci sono molte
conoscenze nella zona e c'è una quindicina di persone che si impegnano fin da subito in questo progetto. C'è una chiesa sconsacrata grandissima dove si faranno incontri di yoga, di meditazione la funzione amministrativa è stata delegata alle Regioni, e i commissari ad acta si sono trovati espropriati del loro potere, nessuno si rivolge più a loro, non ci sono più usi civici rivendicati da qualcuno. ADESSO COM'È' LA SITUAZIONE?
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Adesso laddove ne esiste la memoria e laddove esiste la gente che li usa e ci vive, permangono. Dove invece se n'è persa la memoria c'è chi, comuni e privati, che hanno fatto proprio da padroni, si sono impossessati letteralmente di queste terre, le hanno pure vendute, facendo dei veri e propri abusi, e non essendo possibile anche il notaio che ha sottoscritto quegli atti, ha sottoscritto il falso. Quindi se ci fosse di nuovo chi volesse utilizzare quelle terre come uso civico gli dovrebbe fare causa e verrebbe reintegrato nel possesso di questi terreni. Noi abbiamo fatto un contenzioso con la Regione Toscana perché su questi terreni esiste l'uso civico. Secondo noi e secondo delle testimonianze storiche che risalgono al 1200, 1300, dove questi posti erano sia di proprietà del Vescovo di Pistoia che li aveva affidati ai valligiani; ma, dove il proprietario, il Vescovo non ne poteva esercitare il suo diritto, le terre erano state occupate ed erano subentrati di fatto dei diritti di queste popolazioni. E allora essendoci questo diritto acquisito un tempo, esiste tuttora. Allora facendo questo ricorso alla Regione sta a lei dimostrare che li non esistevano gli usi civici. PERCHÉ NON ESISTE UNA MAPPATURA DEI TERRENI AD USO
CIVICO ATTUALMENTE? Esiste Comune per Comune una mappatura, però è in fase
di aggiornamento, perché in tanti posti è stata archiviata la cosa ed è stata archiviata come se gli avessero messo una pietra sopra ed è difficile rimuovere questo ostacolo. Mentre dove è ancora in fase di aggiornamento, lì è possibile intervenire facendo ancora pressione sugli organi istituzionali per ottenere un altro spazio e via dicendo, ed è molto vicina alla città, solo venti minuti di strada da fare a piedi e poi altri venti minuti di macchina e sei a Pisa. Poi un altro villaggio invece nascerà di nuovo in questa zona qua, stiamo aspettando questi amici della Val Canonica che già è tanti anni che fanno un'esperienza comune. HANNO DELLE CASE SU IN VAL CANONICA? Hanno autocostruito una casetta di legno e vivevano in
questa una decina di persona con un guru. Adesso sono arrivati ai ferri corti col guru e quindi sono costretti ad andarsene. Cercano in questa zona un villaggio e presto nascerà.
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C'è un altro discorso, quello degli usi civici, non so se ti riguarda; in Italia sono un terzo del territorio nazionale, o forse un decimo, non ricordo, comunque circa 3.000.000 di ettari. Sono terre che non sono di proprietà nè dello Stato, nè del privato, sono terre di proprietà delle popolazioni locali, sono in uso, non è che loro possono venderle, le acquisiscono per diritto standoci e poi lo lasciano per le generazioni future, per i loro figli, per chi è residente nella zona e vuole svolgere attività agro-silvo-pastorali. Perché l'utilizzo di questi terreni è esclusivamente agro-silvo-pastorale, nessuno se ne può impossessare, nessuno li può acquistare per farci iniziative di tipo speculativo, costruzioni, stalle. Il procedimento di esproprio di questi terreni qua è esclusivamente per degli interessi generali della collettività, interessi pubblici che siano superiori a quelli della sussistenza in loco delle popolazioni locali, però questo è un discorso alquanto difficoltoso perché ha bisogno della rettifica del Presidente della Repubblica, non è un discorso che possa essere concesso così. Chi aveva l'incarico delle competenze giuridiche a livello interregionale era il commissario ad acta agli usi civici, questo commissario a volte riguardava tre o quattro regioni, esistevano gli archivi degli usi civici e poi chi aveva delle controversie su questa materia si rivolgeva a lui. Prima svolgeva anche la funzione amministrativa,
adesso per la nostra terra. L'ultima legge che ha cercato di riordinare gli usi
civici e la legge Sepieri del 1929, che ha decretato che gli usi civici che esistevano primanzi erano riconosciuti, poi non si sarebbero potuti generare nuovi usi civici. Questo è un ostacolo per gente come noi che magari essendo proprietari vorrebbero donare la propria terra in uso civico a delle popolazioni. E' un principio troppo in contrasto con la società in cui viviamo per essere riconosciuto. Tanto è vero che su questa materia continuano a scontrarsi giuristi, e fanno convegni, ma non c'è il modo per poter arrivare a delle conclusioni. La Regione Emilia Romagna, nel proprio piano paesaggistico regionale ha fatto un'elaborazione per quanto riguarda tutto il territorio, ma per quanto riguarda il territorio di uso civico ha detto che lì bisogna rimandare a delle indicazioni, a delle direttive del Parlamento perché non si sa come intervenire. CHE COSA PENSI DEL BIOREGIONALISMO?
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E' utopia. E' bello il seme, è bello il germoglio,
però prima che venga realizzata una coscienza bioregionale... è un processo nel tempo a venire, ci vorranno anni e anni. Se noi consideriamo cosa era considerato il biologico venti anni fa e consideriamo cos'è considerato il bioregionale adesso, possiamo essere ottimisti, ci vorranno venti anni. Però io lo vedo, ho scritto delle cose, come una elaborazione del territorio che riesce a coinvolgere tutti gli abitanti del territorio e quindi a dare una coscienza bioregionale che incide nel tessuto, nell'ambiente, per tutta la gente che ci vive, allora poi si che si può parlare di autogestione, di una preservazione del territorio per le generazioni future, di una progettazione che non inquini la nostra terra. Però se non c'è questa continuità sul territorio, rimangono fatti isolati, piccoli spazi, al massimo si è riusciti a redigere un progetto di vallata, come nella valle del Serchia in Garfagnana. Lì si è dato vita a quello che potrebbe essere definito un progetto bioregionale, nella valle del Serchia, attraversata da questo fiume. Le caratteristiche sono i versanti di terra che convogliano le proprie acque nel Serchia. Lì tutti quanti sono impegnati e hanno sottoscritto un documento che non usano più i detersivi, che fanno coltivazioni e concimazioni soltanto biologiche, che puliscono i boschi, che tengono puliti i sentieri e le fonti. Questo con un incentivo della C.E.E. che già da non mi ricordo più se mezzo milione o duecentocinquantamilalire per ettaro per cinque anni. E' il primo progetto di preservazione dell'ambiente dove la finalità non è la produttività, ma il bene primario è l'ambiente. Io ho partecipato ai convegni sul bioregionalismo, ma
ho visto che c'è soltanto un'intellettualità che si muove, non c'è coerenza pratica e allora fare dei discorsi non mi interessa. Tanti buoni discorsi, tante chiacchiere, però poi in
pratica... non c'è la volontà di andare avanti sul territorio, di limitare i propri lussi, le proprie comodità, i propri privilegi, di mettersi a fare il bioregionalismo in campo. Non ci sono ancora per il bioregionalismo. Noi lo stiamo cercando di attuare in pratica.
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