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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PERUGIA FACOLTA DI SCIENZE POLITICHE Tesi di laurea Mutamenti sociali e transizione politica in Marocco: la questione del Sahara Occidentale Laureando Relatore Riccardo Fanò Prof.ssa Anna Baldinetti Anno Accademico 2006/2007

UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PERUGIA · Considerata la specificità e la complessità del tema, la ricerca bibliografica è stata condotta non solo presso la biblioteca di studi storici,

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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PERUGIA

FACOLTA DI SCIENZE POLITICHE

Tesi di laurea

Mutamenti sociali e transizione politica in Marocco: la questione del

Sahara Occidentale

Laureando

Relatore

Riccardo Fanò Prof.ssa Anna

Baldinetti

Anno Accademico 2006/2007

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INDICE

Abbreviazioni

AFAPREDESA: Associazione Famiglie dei Prigionieri e desaparecidos

Abbreviazioni………………………………………………………… 3Introduzione…………………………………………………………… 5

Capitolo I Effervescenza sociale e politica nel Marocco di Hassan II……….. 10

1.1 I partiti politici fra opposizione e adesione al regime………….

1.2 Crisi economica ed esplosione dei movimenti di contestazione

studenteschi……………………………………………………..

1.3 L’esercito, fedele alleato o pericolo interno?..............................

12

25

36

Capitolo IILa svolta di Hassan II nella conquista del Sahara Occidentale…... 46

2.1 La conquista del Sahara Occidentale diventa causa nazionale…

2.2 Dai movimenti di resistenza anticoloniale al nazionalismo

saharawi…………………………………………………………

2.3 Evoluzione del conflitto e crisi di stabilità……………………..

2.4 Il processo di pace e il piano di integrazione regionale………...

49

65

76

88

Capitolo IIIMohamed VI e le nuove speranze democratiche……………………. 97

3.1 Il nuovo re fra continuità autoritaria ed aperture democratiche...

3.2 L’intifada saharawi……………………………………………..

3.3 Il piano d’autonomia e la maroccanizzazione del Sahara

Occidentale……………………………………………………..

99

110

117

Conclusioni…………………………………………………………… 126Bibliografia…………………………………………………………… 130

2

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saharawi

AMDH: Association Marocaine des Droits de l'Homme

ALM: Armée de Liberation Marocaine

ALN: Armée de liberation national

ALPS: Armée de Libération Populaire Saharawi

CAB 1: Gabinetto n° 1, servizio di informazione segreta marocchino

CCDH: Conseil Consultatif des Droits de l'Homme

CDT: Confederation Democratique du Travail

CORCAS: Conseil Royal Consultatif pour les Affaires Sahariennes

DGED: Direction Générale des Etudes et de la Documentation

DGSN: Direction Général de la Sureté National

FAR: Force Armée Royale

FDIC: Front pour la Défense des Institutions Costitutionelles

ENMINSA: Enpresa Nacional Minera del Sahara

FLU: Front pour la Liberation et l'Unité

FMI: Fondo Monetario Internazionale

Fronte Polisario: Fronte di Liberazione Popolare del Sanguia el Hamra e del

Rio de Oro

GUS: Gruppo Urbano di Sicurezza

IER: Istance Equité et Réconciliation

LMDDH: Ligue Marocaine de Défense des Droits de l'Homme

MIFERMA: Mines de Fer de la Mauritanie

MINURSO: Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara

Occidentale

MLS: Movimento per la Liberazione del Sahara

MMLM: Mouvement Marxiste-Léniniste Marocain

MNP: Mouvement National Populaire.

MOREHOB: Movimento di Resistenza degli Uomini in Blu

OADP: Organisation de l'Action Democratique et Populaire

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ODI: Office de Développement Industriel

OMDH: Organisation Marocaine des Droits de l'Homme

ONAREP: Office National de Recherches et d'Exploitation Pétrolières

OUA: Organizzazione Unione Africana

PADS: Parti de l'Action Democratique Socialiste

PCM: Partito Comunista Marocchino

PDI: Parti Democratique pour l’Independence

PLS: Parti de la Liberation e du Socialisme

PND: Parti National Democrate

PPS: Parti du Progrées e du Socialisme

PUNS: Partido de Union Nacional Saharaui

RASD: Repubblica Araba Saharawi Democratica

UNFP: Union Nationale des Forces Populaire

USFP: Union Socialiste Forces Populaire

UMT: Union marocaine du travail

UNEM: Union Nationale des Etudiantes du Maroc

UNFP: Union Nationale des Forces Populaire

INTRODUZIONE

Ci sono molti modi per descrivere un paese in divenire, tanti punti di

vista diversi che arricchiscono il dibattito ed altrettante versioni “ufficiali”

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che a volte distorcono la verità. In questo lavoro, ho adottato come punto di

vista privilegiato le dinamiche e i conflitti sociali che si sono prodotti nel

Marocco per descrivere le istituzioni e le scelte politiche che il paese

indipendente ha adottato nella sua transizione verso la modernità. La tesi si

propone quindi di analizzare come la conquista del Sahara Occidentale sia

divenuta la fonte principale della legittimità del potere monarchico per

instaurare una cultura ed una prassi politica dell’unanimismo attorno al re,

lasciando in sospeso le ipotesi di cambiamento che si levavano

insistentemente da più parti nel paese. In questo senso, la forza del

cambiamento si percepisce dalla capacità del sistema politico di saper

coinvolgere tutti e tutte nelle scelte, di riconoscere che ogni soggetto è

prima di tutto un cittadino portatore di diritti e di libertà universalmente

tutelate dall'esercizio arbitrario del potere e di saper vedere nella diversità il

motore del progresso piuttosto che un pericolo per la stabilità . La questione

del Sahara Occidentale diventa così intimamente legata alle vicissitudini del

paese e, in definitiva, dal modo in cui la monarchia riuscirà a trovare la

soluzione ad un conflitto che dura ormai da più di trent’anni, dipenderà la

reale capacità del Marocco di aprirsi alla democrazia.

È stato un viaggio, compiuto nell'estate del 2005, che ha suscitato il mio

interesse per questo paese. Come spesso accade, la sensazione che mi

accompagna al ritorno è sempre un po' viziata da un velo di

insoddisfazione, non tanto per l'incapacità nell'affrontare le sfide che

l'adattamento alle usanze di una cultura diversa comporta, quanto piuttosto

per le innumerevoli domande e incertezze che mi hanno accompagnato e a

cui non riuscivo a trovare delle risposte con altrettanta facilità. Un viaggio

lungo poco più di un mese per attraversare per la prima volta un paese così

affascinante nella sua incredibile diversità. La sua profonda complessità ti

investe subito, sin da quando scendi all'aeroporto di Casablanca e, a bordo

di un autobus di linea, attraversi poche decine di chilometri di strada per

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raggiungere il centro della metropoli. Basta alzare un po' gli occhi per

rompere la monotonia di un percorso tutto piatto e dritto, ti accorgi così che

l'ingresso in città è preceduto da una distesa di grigi edifici dove brulicano

centinaia di uomini e donne impegnate in altrettante attività. Ecco la

“storica” periferia di Casablanca, il motore del Marocco alla ricerca della

modernità, da dove nel 1965 sono partite le prime grandi manifestazioni di

contestazione contro il regime di Hassan II. Oggi gli anziani che la abitano

sono molto probabilmente gli stessi giovani che più di quaranta anni fa,

rompendo tutti i legami propri di una società tradizionale e di una cultura

del suddito, hanno deciso di sfidare l'autorità della monarchia, per

conquistare il loro posto di cittadini, protagonisti nella storia del paese

indipendente.

Questa effervescenza sociale è stata ampiamente trattata nel primo

capitolo della tesi, in esso ho cercato di sottolineare le contraddizioni che

sono emerse in Marocco nei primi anni dopo il raggiungimento

dell’indipendenza quando si consumava una lotta intestina per la direzione

del paese fra la monarchia e il movimento di liberazione nazionale. I primi

anni del giovane re Hassan II furono così caratterizzati da un altissimo

livello di repressione e di criminalizzazione del dissenso1, mentre la

stabilità del suo regno fu più volte sul punto di crollare sotto i colpi della

gioventù studentesca insoddisfatta, dell'esercito e dei partiti

dell'opposizione.

La soluzione che la monarchia ha adottato per ritrovare il consenso fra la

popolazione e riuscire quindi a proporsi come un soggetto politico capace

ancora di dialogare con le forze di opposizione è il tema del secondo

capitolo. A partire dal 1975 il carismatico re riuscì a risvegliare l'ardore

nazionalista della popolazione attorno alla causa di “recupero” del Sahara

1 F.El Bouih, A. Zrikem, A. El Ouadie, N. Saoudi, Sole nero. Anni di piombo in Marocco, Ed. Mesogea, Messina, 2004.

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Occidentale ancora in possesso della Spagna. Nella conquista, pervasa dal

significato sacro e religioso, si ritrovano tutte le dinamiche di potere e i

dispositivi di controllo sociale messi in campo dal makhzen2 per rilanciare,

in maniera indiscutibile, la centralità politica e culturale della monarchia nel

paese. Nei successivi trent'anni di conflitto la politica di integrazione dei

nuovi territori fu caratterizzata da atroci violenze e violazioni dei più

basilari diritti fondamentali dell'uomo, dando luogo ad una vera e propria

politica di colonizzazione attraverso misure militari, economiche e sociali.

Solo a partire dal 1990 il paese comincia a muovere i primi timidi passi

verso le riforme. Il nuovo testo costituzionale del 1996 fa esplicitamente

riferimento alla difesa dei diritti dell'uomo ed introduce alcune importanti

riforme che Hassan II ha fortemente voluto per preparare la successione al

trono di suo figlio Mohamed VI. Il terzo capitolo suggerisce così alcuni

spunti di riflessione per comprendere se la politica condotta dal giovane “re

dei poveri” sarà in grado di far progredire il paese sulla strada della reale

democratizzazione o se l'esercizio del potere rimarrà in continuità con la

tradizione autoritaria della monarchia.

Considerata la specificità e la complessità del tema, la ricerca

bibliografica è stata condotta non solo presso la biblioteca di studi storici,

politici e sociali dell'Università di Perugia, ma anche nelle biblioteche

specializzate del centro studi “Amilcar Cabral” di Bologna, la fondazione

“Lisli e Lelio Basso - Issoco” e l'Istituto pontificio di studi arabi e

d'islamistica (PISAI) di Roma. Le opere di carattere generale esaminate

sono state importantissime per capire i delicati equilibri postcoloniali in

particolare nel mondo arabo. I testi riguardanti più specificatamente il

Marocco, comprendono sia opere scritte direttamente dai protagonisti del

2 Il termine indica la tradizionale struttura di potere politico-amministrativa fatta di sottomissione, rituali, cerimonie e tradizioni. È una concezione specifica dell'autorità che impregna l'intera classe politica e dell'esercito di cui il re costituisce l'elemento principale.. Per una descrizione più approfondita cfr Cubertafond B., La vie polique au Maroc, L'Harmattan, Paris, 2001.

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tempo (come Option revolutionaire au Maroc di Medi Ben Barka e Le

verità del Marocco di Moumen Diouri) che studi più recenti, importanti per

descrivere l'evoluzione del sistema politico e il suo rapporto con l'Islam

(un'opera fondamentale è Monarchie et islam politique au Maroc di

Mohamed Tozy, politologo marocchino fra i più esperti conoscitori

dell'impatto dell'Islam sulle trasformazioni sociali).

Per quanto riguarda la documentazione sulla storia del popolo Saharawi,

la reperibilità dei testi non è stata sempre facilissima, questo a

testimonianza della marginalità del tema presso gli editori esteri. Molto più

attivo è stato invece il ruolo svolto dalle associazioni di solidarietà e

cooperazione internazionale, in particolare è stato molto utile per capire

l'attualità del dibattito, partecipare ai lavori del 33o EUCOCO (Conferenza

del Coordinamento Europeo di Solidarietà al popolo del Sahara

Occidentale) tenutosi a Roma dal 19 al 21 ottobre 2007.

Un'importante fonte primaria sono state le riviste specializzate come

Maghreb Machrek3, Afriche e Orienti4 e Confluences Mediterranée5 e lo

sfoglio sistematico della stampa periodica in lingua francese, come Maroc

Hebdo International6, Le Journal Hebdomadaire7 o Le Monde

Diplomatique8; sopratutto per quanto riguarda l'approfondimento della

politica di Mohamed VI che, data la strettissima attualità, manca ancora di

3 Rivista bimestrale di studi generali sul mondo arabo. Pubblicata a partire dal 1964 presso Institut Choiseul pour la politique internationale et la géoéconomie di Parigi.

4 Rivista trimestrale nata nella primavera 1999 per iniziativa di un gruppo di studiosi e giovani ricercatori riuniti nell'Associazione "afriche e orienti". Pubblicata da AIEP Editore della Repubblica di San Marino.

5 Rivista trimestrale creata nel 1991 da un gruppo di universitari, giornalisti ed appassionati delle questioni politiche e culturali dei paesi del bacino mediterraneo. Edita a Parigi da L’Harmattan

6 Rivista settimanale d'informazione generale, politica, sociale ed economica marocchina, creata da Mohamed Selhami a Casablanca a partire dal novembre 1991.

7 Settimanale di informazione generale sul Marocco fondato il 17 novembre 1997 da Aboubakr Jamai più volte censurato dalla monarchia per l'autonomia ricercata e sostenuta nella sua linea editoriale.

8 Mensile di informazione sulle questioni internazionali “con una visione critica di ciò che spesso rimane nell'angolo morto della stampa”. Nata a partire dal 1954 all'interno del quotidiano francese Le Monde, diventa completamente indipendente da esso nel 1996 sotto la direzione di Ignacio Ramonet.

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una produzione letteraria specifica.

PRIMO CAPITOLO

Effervescenza sociale e politica nel Marocco di Hassan II

Raggiunta l'indipendenza dalla Francia nel 1956, il Marocco si trovò di

fronte ad un bivio: optare per un'ipotesi progressista di rottura col passato

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coloniale in grado di mettere in discussione le vecchie dinamiche di potere

tradizionale, oppure confermare una “monarchia costituzionale” in cui al re

venisse riconosciuta una posizione preponderante capace di accentrare su di

sé tutti gli strumenti necessari per imporre la propria autorità. Così i primi

anni del Marocco indipendente furono caratterizzati dallo scontro per la

direzione del paese tra il movimento di liberazione nazionale e la monarchia

di Mohamed V. Furono anni di transizione dove nessuno dei due soggetti

sembrava essere così forte da potersi imporre sull'altro.

Hassan II, salito al trono nel 1962, interpretò questo scontro in maniera

decisamente più energica ed autoritaria rispetto al suo predecessore, ma il

protrarsi della crisi economica e l'incapacità nell'applicare le riforme

strutturali necessarie al paese in via di trasformazione, misero duramente in

crisi la legittimità del suo potere. La stabilità del regno fu più volte messa

alla prova ma il re riuscì progressivamente a consolidare il suo potere

relegando i partiti che avevano guidato il paese nella lotta anticoloniale

all'opposizione parlamentare, e mettendo a tacere una nuova generazione di

dissidenti che presto si radicalizzò contro la monarchia e il neocolonialismo

che essa interpretava.

Furono anni estremamente duri per la popolazione, caratterizzati da un

altissimo livello di repressione e di criminalizzazione del dissenso9 ma

nonostante il prezzo pagato, non cambiò niente dal punto di vista della

corruzione, della povertà e della partecipazione delle masse alla vita

politica, tanto che anche l'esercito, nel momento di crisi più acuta per la

legittimità monarchica, cercò di rovesciare il re con due successivi colpi di

stato10.

9 F.El Bouih, A. Zrikem, A. El Ouadie, N. Saoudi, Sole nero. Anni di piombo in Marocco, Ed. Mesogea, Messina, 2004.

10 Per un riferimento generale alla storia e alle istituzioni politiche del Marocco si consiglia Vermeren P., Histoire du Maroc depuis l'indépendence, La Décuverte, Paris 2002 e Cubertafond B., La vie polique au Maroc, L'Harmattan, Paris, 2001.

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1.1 I partiti politici fra opposizione e adesione al regime

Quando il Marocco raggiunse l'indipendenza politica nel 1956, il vuoto

di potere che si era creato con la progressiva partenza delle forze occupanti

francesi, fu caratterizzato dallo scontro fra la Monarchia e il movimento

nazionale (che principalmente comprendeva l'Istiqlal, il partito

dell'Indipendenza e l'Armée de Liberation National) per il controllo e la

direzione del paese.

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Già a partire dal secondo dopoguerra il processo di decolonizzazione era

diventato una realtà su scala mondiale. Nel 1954 la sconfitta militare

francese di Dien Bien Phu in Indocina fu un segnale d'allarme per i vecchi

stati coloniali che, incalzati dai movimenti di liberazione nazionale, presto

compresero quanto fosse impossibile e insensato mantenere il rigido

sistema coloniale con gli stessi modi e mezzi utilizzati precedentemente.

Nel 1953 Mohamed Ben Youssef, re del Marocco sin dal 1927 fu

deposto ed esiliato in Madagascar dal Residente francese. Il movimento

nazionale marocchino sfruttò abilmente questo avvenimento per canalizzare

la rabbia della popolazione nella lotta anticoloniale: nei tre anni successivi

la resistenza armata condotta dall'ALN esplose in tutto il paese mentre

l'Istiqlal, che continuava ad operare in clandestinità, raccoglieva sempre più

consensi riuscendo a costruire attorno alla cacciata del re il simbolo

dell'oppressione coloniale ed associare il suo ritorno all'indipendenza del

paese. Le difficoltà della Francia nel mantenere il territorio pacificato

furono ben presto evidenti, fu necessario quindi cambiare approccio e

sostituire il dominio e lo sfruttamento diretto delle ricchezze del territorio

con la concessione di un'indipendenza “controllata” che, attraverso la

riabilitazione della monarchia, potesse mantenere inalterati i suoi interessi

economici anche nel paese indipendente. Come dirà in seguito Ben Barka,

leader della resistenza marocchina, si trattò di una nuova fase politica

“neocoloniale” perché da un lato concede l'indipendenza politica creando

uno Stato “artificiale” in cui l'indipendenza non ha alcuna possibilità di

diventare reale, e dall'altra propone una “cooperazione” con l'obiettivo di

creare una ricchezza le cui basi sono al di fuori del Marocco11.

Al suo ritorno in patria Mohamed V fu esaltato dal suo popolo come il re

liberatore, simbolo dell'unità nazionale, ma il suo potere effettivo nella

11 M. Ben Barka, Option revolutionnaire au Maroc. Suivi des ecrites politiques 1960-1965, Maspero, Paris, 1966, pp 24-27.

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gestione del territorio e nel controllo delle istituzioni era ancora molto

precario. Così, al momento dell'indipendenza, la posizione del monarca

oscillava fra la decisione di aprirsi al movimento nazionale e quindi

condividere con esso le responsabilità nel futuro Marocco, oppure

collaborare con la Francia per ottenere i mezzi di controllo e di coercizione

efficaci che avrebbero permesso alla monarchia di conquistarsi un posto

centrale in ogni trama politica.

Sin dai primi momenti post-indipendenza la Monarchia aveva preservato

l'ossatura essenziale del regime di protettorato, una struttura di tipo feudale

centrata sulla restaurazione del Makhzen in grado di attirare verso di se la

fiducia delle élites rurali tradizionali. Il Makhzen è sempre stato presente

nella storia del Marocco. Letteralmente significa “deposito del tesoro

pubblico” ed evoca l'esercizio del potere reale, lo stato e la sua

amministrazione. È una struttura che si sviluppa per cerchi concentrici

gerarchicamente ordinati dove il sovrano ha la posizione centrale e,

allargandosi, raccoglie i diversi segmenti sociali (élites tradizionali,

rappresentanti dell’esercito, la grande borghesia agraria ecc…) che

riconoscono a lui obbedienza in cambio di protezione e favori politici12.

Sotto il regime di protettorato la Francia si era impegnata a sostenere nel

Marocco un forte tribalismo, concedendo molti poteri ai caid (governatori)

locali rappresentanti delle maggiori tribù. La divisione amministrativa dello

stato era quindi su base tribale perché, in base al principio dividit et

imperat, un territorio così frammentato era ritenuto più semplice da

controllare e da amministrare13. Mohamed V riconosceva in questa struttura

una potenziale minaccia per la sua autorità14, così non appena ritornato sul

12 B. Cubertafond, op. cit. pp 36-39.13 La stessa logica favorì l'emanazione nel 1930 da parte del protettorato del noto “dahir berbero”

che decretava la divisione dell'amministrazione giudiziaria fra la popolazione berbera e quella araba. Questo avvenimento fu all'origine di violente rivolte in tutto al paese e fu alla base dell'unione di diverse anime nazionaliste all'interno del futuro Istiqlal.

14 Thami El Mezouari El Glaoui, caid di Marakech, durante il protettorato era riuscito ad accentrare su di sé così tanti privilegi e poteri tali da poter sfidare la legittimità del re ed

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trono, si adoperò per smantellare questo sistema senza però rompere

totalmente con i rappresentanti locali, capi delle tribù che nel protettorato

come nel Marocco indipendente, potevano ancora costituire un'importante

base di consenso e di appoggio per frenare le aspirazioni del partito dei

“fassi” (termine riferito all'Istiqlal che indica l'appartenenza alla borghesia

di Fes in contrapposizione con il mondo rurale). Fra il ‘58 e il ‘60 nelle

campagne e nelle città fu introdotto il sistema dei comuni15 che suddivideva

il territorio con linee di demarcazione amministrativa trans-tribale. I ca'id

persero parte delle loro prerogative acquisite sotto il protettorato e

divennero dei funzionari amministrativi direttamente dipendenti dal

ministero dell'interno. Questa struttura è fortemente centralizzata, perché la

scelta del ministro dell'interno, che ha un ruolo chiave per la nomina dei

funzionari e l'affidamento degli incarichi, era una prerogativa riservata al re.

L'imposizione di questo sistema fu segnata da tre grandi rivolte locali,16 ma

tuttavia il re riuscì ad attirare verso di sé la fedeltà del Makhzen

tradizionale. Come osserva Driss Benali:

“[...] il Makhzen non è una creazione dal nulla dopo l'indipendenza politica,

cioè non è il prodotto contraddittorio della colonizzazione e della lotta politica,

esso è dotato di una legittimità trans-storica inscritta nelle fondamenta di questa

società e radicata nell'immaginario delle masse marocchine che riconoscono in lui

la capacità di incarnare l'unità della comunità nazionale e l'utilizzo di certi simboli

religiosi. Sotto questo aspetto, la colonizzazione non ha alterato, bensì rafforzato

questo sistema come mezzo per eliminare le dissidenze (siba). L'indipendenza ha

permesso al Makhzen di accrescere il proprio campo d'intervento e di estendere la

sua attività ad altri domini”17.

organizzare il complotto che nel 1953 portò alla deposizione del sultano. 15 J. Shoup, “Are there still Tribes in Morocco?”, in D. Chatty, a cura di Nomadic Societies in the

Middle East and North Africa. Entering the 21st Century, Brill, Leiden-Boston, pp. 123-14316 La prima fu fra il 1956 e il 1957 nella regione del Tefilalt guidata da Addi u-Bihi che non

riconosceva l'autorità del governo centrale. La seconda, la più violenta, scoppiò nel Rif fra il 58 e il 59; la terza prese piede nelle montagne vicino la città di Beni Mellal nel 1960.

17 D. Benali, Le Makhzen aujourd'hui in Coubertafond B., Op Cit, p 37.

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In breve tempo pressochè tutti i membri dell'élites tradizionali arrivarono

a riconoscere che, fuori dal Makhzen, non ci sarebbe potuta essere

legittimità né accesso al potere18. La prova di una rinnovata alleanza fra il re

e la feudalità rurale fu lanciata da Mohamed V al momento stesso

dell'indipendenza quando nominò M'Barek Bekkai (un'ufficiale berbero fra

i più fedeli al Makhzen) presidente del consiglio, con l'incarico di gestire i

negoziati per l'indipendenza, con grande danno per i nazionalisti

dell'Istiqlal, il partito che aveva coordinato gran parte delle azioni della

resistenza anticoloniale19.

Il partito era comunque tutt'altro che una forza marginale. Lasciandosi

alle spalle le caratteristiche proprie di una formazione clandestina dell'élite

borghese urbana, fra il '53 e il '56 era diventato un partito a diffusione

nazionale che contava circa un milione di aderenti fra le città e le zone

rurali del paese. Al momento dell'indipendenza gran parte dei leaders storici

(come Allal el Fassi) ritornarono dall'esilio e la direzione del partito fu

presa da Mehdi Ben Barka che voleva farne un moderno strumento di

massa in grado di imporsi come partito unico. Egli poteva contare

sull'appoggio di gran parte dell'ALM (Armée de Liberation Marocaine) che

continuava le azioni di guerriglia e sabotaggio nelle province del Sud

marocchino contro le rimanenze dell'esercito francese e spagnolo, ma era

sopratutto nelle città che raccoglieva consensi fra i proletari e gli

intellettuali del sindacato UMT di Mahjoub Ben Seddik fondato nel marzo

del 1955. Il sostanziale equilibrio delle forze in campo obbligò il sultano a

concedere alcuni spazi di sovranità (dieci ministeri su sedici) al partito, a

cominciare dal secondo governo Bekkai (ottobre 1956-maggio1958). La

posizione del partito in questa nuova fase di governo rimase ambigua,

infatti, controllando il ministero dell'interno, si lanciò in una feroce lotta per

18 J. Waterbury, Le commandeur des croyantes, Ed. presses universitaires de France, Paris 1975. 19 P. Vermaren, Histoire du Maroc depuis l'indépendance, La décuverte, Paris, 2002.

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la pacificazione del paese eliminando le sacche residue di resistenza che

potevano insidiare la posizione di partito unico a cui esso tendeva.

Nonostante la sua forza l'Istiqlal rimase al di fuori della catena di

comando. Il sovrano, infatti, aumentò i mezzi di controllo sull'azione di

governo istituendo il “consiglio della corona”, inoltre mantenne il controllo

della polizia e dell'esercito attraverso Moulay Hassan (futuro re del

Marocco) e le rimanenti forze coloniali. Le Far (Force Armée Royale)

infatti, potevano contare su aiuti stranieri come ufficiali, mezzi e istruttori20.

Lo stesso vale per la sicurezza nazionale affidata al miliardario Laghzaoui,

membro dell'Istiqlal, che beneficiava di aiuti dai servizi francesi. Collegato

direttamente al palazzo egli capì l'importanza di rimanere fedele al re in

quanto, avendo ammassato un'enorme fortuna sotto il protettorato, non

poteva non guardare con sospetto le posizioni del partito che sotto

l'influenza di Ben Barka e in nome dell'anticolonialismo reclamava la

riforma agraria, la partenza degli stranieri, e la redistribuzione della

ricchezza in un ottica rivoluzionario-democratica.

Le tensioni interne al partito non tardarono ad esplodere e il 25 gennaio

1959 un grande segmento si separò dall'Istiqlal dando vita nel settembre

successivo all'UNFP (Union Nationale des Forces Populaire) sotto la guida

di Mhedi Ben Barka. La scissione fu sopratutto la conclusione di un lungo

periodo nel corso del quale i marocchini furono costretti a scegliere gruppi

e dirigenti fra loro rivali che oscillavano con politiche contraddittorie fra

l'opposizione o la sottomissione al regime21. L'Istiqlal del '56 non 20 Il 12 febbraio 1958 le rimanenti forze dell'esercito francese e spagnolo lanciano una feroce

offensiva (Operazione Ouragan) contro la resistenza armata che ancora era in guerra nelle province del Sud per la cacciata totale delle truppe straniere dal territorio. Anche se la monarchia non osteggiava pubblicamente le azioni della resistenza, tuttavia ebbe un ruolo importante nelle operazioni militari a cui parteciparono direttamente anche le FAR e che ebbe come risultato la quasi totale disfatta della resistenza armata che quello stesso anno depose ufficialmente le armi.

21 La scissione fu definitiva quando il congresso dell'Istiqlal approvò il 19 aprile 1959 un memorandum scritto da Ben Barka in cui si facevano esplicite richieste al re: consolidamento dell'indipendenza, evacuazione totale di tutte le truppe straniere, rafforzare le alleanze con gli altri stati magrebini, istituzioni democratiche, espansione economica e sociale, governo

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rappresentava che un insieme di individui, un aggregato di gruppi

all'interno di un partito con obiettivi essenzialmente difensivi dei propri

interessi, la crisi ha portato all'estremo queste contraddizioni interne

imponendo scelte definitive che non era più possibile risolvere con la solita

ambiguità. La monarchia risultò rafforzata perché con questa scissione ha

aumentato il suo potere di controllo verso alcuni dei dirigenti del

movimento nazionale22.

Con la salita di Hassan II al trono del Marocco il 3 marzo 1962, la

monarchia uscì da una posizione sostanzialmente attendista e affrontò con

assoluto autoritarismo le sfide che la sinistra del paese aveva promesso di

lanciare al momento della scissione. Il giovane re si circondò di personalità

che avevano dimostrato la loro fedeltà sin dai tempi in cui il principe

ereditario era a capo delle Far. Fra tutti spiccavano Ahmed Réda Guédira,

diventato direttore del gabinetto reale, e Mohamed Oufkir, responsabile

della sicurezza nazionale e dei servizi segreti, entrambe queste istituzioni

hanno avuto un'importanza fondamentale nel sistema autocratico imposto

da Hassan II.

L'impronta autoritaria del nuovo re si manifestò con la promulgazione

del primo testo costituzionale ottriato del Marocco indipendente23. Il testo è

l'apologia del successo politico del re e la sua istituzionalizzazione come

Amir al Mu'minin (capo dei credenti), non c'è separazione dei poteri perché

è lo stesso re che delega i tre poteri a delle autorità che fanno riferimento

direttamente a lui, ha il potere di nomina e revoca del primo ministro e dei

ministri che non chiedono la fiducia alle camere ma sono direttamente

responsabili di fronte al re, dispone del diritto di veto legislativo e del

omogeneo, libertà pubbliche garantite, data certa per le elezioni comunali e instaurazione di una monarchia costituzionale. Di fronte il netto rifiuto della monarchia il partito si divise fra la vecchia guardia legata al palazzo e la nuova generazione di Ben Barka legata alla resistenza e al sindacato.

22 J. Waterbury, op. cit. pp. 193 – 222.23 Il testo fu scritto con l'aiuto di costituzionalisti francesi che furono fra gli artefici nel 1958 del

nuovo testo fondamentale della V Repubblica di De Gaulle.

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potere di scioglimento delle camere. Il re soprattutto ha il potere di

proclamare in base all'art. 3524 lo “stato d'eccezione” che conferisce al

monarca tutti i poteri necessari per ristabilire il normale funzionamento

delle istituzioni25. Inoltre grazie all'art 3 è vietato il partito unico in favore di

un sistema pluripartitico di facciata.

Questo articolo sarà conosciuto come ”opzione Guédira” e rappresenta la

consacrazione di tutti gli sforzi che quest'uomo politico ha compiuto a

partire dal 1956 nel tentativo di ostacolare la supremazia dell'Istiqlal che ai

suoi occhi rappresentava il pericolo più grande per la monarchia. Sostenuto

fortemente da Hassan II, egli fondò nel 1963 il FDIC (Front pour la

Défense des Institutions Costitutionelles) una coalizione di partiti che

integrava notabili eletti e funzionari makhzenizzati delle zone rurali (circa i

¾ del paese) e che lo stesso fondatore non nascondeva essere un mezzo per

prevenire qualsiasi vittoria dell'Istiqlal alle elezioni.

Il testo della costituzione venne approvato tramite referendum popolare il

7 dicembre 1962 con il 97% dei voti, l'UNFP fu il solo partito legale a

boicottarlo in quanto criticava la sua preparazione segreta, i poteri eccessivi

detenuti dal re, le ambiguità inerenti la responsabilità dei ministri davanti al

re e davanti al parlamento ma anche l'instaurazione del principio di

primogenitura per la successione al trono.

L'approvazione della carta costituzionale aprì un periodo di tornate

elettorali. Il 17 maggio 1963 si svolsero le prime elezioni legislative del

Marocco indipendente e segnarono la vittoria dell'Istiqlal e dell'UNFP che

24 Articolo 35 – In caso di minaccia dell'integrità del territorio nazionale, o nel caso in cui si producano avvenimenti suscettibili di mettere in discussione il funzionamento delle istituzioni costituzionali, il re può, dopo aver consultato i presidenti delle due camere e aver indirizzato un messaggio alla nazione, proclamare, attraverso decreto reale, lo stato d'eccezione. Egli è abilitato, nonostante tutte le disposizioni contrarie, a prendere le misure necessarie per imporre la difesa dell'integrità territoriale e il ritorno al funzionamento normale delle istituzioni costituzionali. Lo stato d'eccezione viene cessato nelle stesse forme con il quale viene proclamato.

25 M. Oliviero, Il costituzionalismo dei paesi arabi. Le costituzioni del Maghreb, Giuffrè editore, Milano, 2003, pp. 52-59.

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ottennero la maggioranza relativa con il 37% dei consensi contro il 24% del

FDIC26. La sconfitta della monarchia fu eclatante, perché nonostante la

creazione del FDIC, il radicamento dello Hizb era troppo forte per essere

spazzato via di un colpo solo e la base popolare dell'UNFP era una realtà

importante.

Ma la frenata del partito realista fu solo temporanea, infatti le elezioni

comunali previste per il 28 giugno 1963 furono ritardate, probabilmente per

permettere a Guédira di rafforzarsi, ma questo bastò per far gridare al

complotto l'UNFP, la principale forza antiperialista che alla sua prima prova

elettorale aveva ottenuto un risultato inimmaginabile. Gli avvenimenti

successivi dimostreranno che le accuse della sinistra erano più che

fondate27, infatti il 16 giugno 1963 circa cinque mila militanti dell'UNFP e

del PCM (Partito Comunista Marocchino) furono arrestati dopo che il Cab

128, guidato da M Oufkir, aveva informato il re della preparazione di un

complotto consistente a creare delle cellule di combattenti con armi

provenienti dall'Algeria. Centinaia furono processati e accusati di attentato

alla sicurezza nazionale, fra questi Fqih Basri fu condannato a morte e la

stessa sentenza fu inflitta per contumacia a Ben Barka, Bensaid, Berreda e

Cheikh el Arab, dirigenti del partito e della resistenza armata. Questo

avvenimento spezzò completamente il partito che decise di boicottare le

successive elezioni, l'Istiqlal e l'UMT lo seguirono. La vittoria del FDIC fu

quindi scontata ma al di là dell'ovvio risultato elettorale, il parlamento fu

privo di rappresentatività e aumentarono il malcontento e le divisioni. Il re

ebbe quindi gioco facile nel denunciare l'inefficacia del parlamento e

26 Risultati elezioni 1963: FDIC 64 seggi, 24% preferenze; Istiqlal 41 seggi, 21% preferenze; UNFP 28 seggi, 16% preferenze; Neutri 6 seggi, 39% preferenze.

27 Waterbury J., op. cit. pp 296-301.28 Il Cab1 (o Gabinetto n° 1) fu creato nel 1960, anno durante il quale diventa un vero servizio di

informazione grazie alla collaborazione di un pugno di esperti americani. Può contare su 200 uomini divisi in 6 dipartimenti (contro-sovversione, contro-spionaggio, operazioni tecniche, ecc...). non è il solo servizio di informazione del Marocco, ma è il più efficace nel garantire la continuità del regime che, all'epoca della guerra fredda, appariva fondamentale agli occhi dei paesi occidentali. Vermeren, op. cit. pp. 37.

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scioglierlo, decretando lo stato d'emergenza.

Facendo ricorso, il 7 giugno 1965, all'articolo 35 della costituzione,

Hassan II volle denunciare la profonda crisi politica in cui versa il paese

emersa in maniera evidente dopo i moti di Casablanca del marzo 196529.

Dopo aver cercato di ripristinare il suo prestigio personale con la grazia30 di

parte dei condannati del '63 e la “guerra di Sabbia”31 contro l'Algeria come

tentativo per risvegliare l'ardore nazionale, decise di assumere direttamente

egli stesso tutte le responsabilità del potere chiarificando una volte per tutte

i rapporti fra il palazzo e le forze politiche32.

Nei cinque anni in cui proseguì lo stato d'eccezione una violenta

repressione fu scatenata nel Marocco. In questi anni Ben Barka, in esilio a

Parigi, sposta la sua analisi politica su posizioni sempre più rivoluzionarie.

Egli ritiene finita la prima fase riformista nell'azione politica del partito,

necessaria per far prendere coscienza alle masse dei legami fra la monarchia

e l'imperialismo. Sostiene che in Marocco il neocolonialsmo è assicurato

dall'egemonia dei grandi monopoli stranieri sui principali mezzi di

produzione, sul credito e sul commercio ma anche dalla grande borghesia

agraria che ha legato sempre più il suo avvenire alle strutture semi-feudali

ereditate dal sistema coloniale. Questo ha aumentato la disparità sociale fra

una minoranza che ha legato i propri interessi a quelli del capitalismo

29 Cfr paragrafo 2 capitolo 1. 30 La grazia come strumento politico ha un valore simbolico importante perché è interpretata

come “dono unilaterale simbolo della magnificenza del re” a differenza dell'amnistia che, come provvedimento generalizzato, assume invece il significato di un implicito riconoscimento dei detenuti come “prigionieri politici”.

31 Dall'indipendenza algerina (1962), diversi incidenti di frontiera intercorrono fra i due paesi. Nel 63 la tensione fra i due paesi aumenta sopratutto quando i militanti sfuggiti al complotto si rifugiano in Algeria e questo permette ad Oufkir di denunciare i legami fra l'Algeria e l'ALM. Il 14 ottobre 1963 le Far attaccano il sud della regione è la “guerra di sabbia” che Ben Barka si appresta a denunciare al Cairo sul giornale Sawt El-Arab che si tratta di “una guerra d'aggressione contro la repubblica algerina e democratica”. Hassan II propone il cessate il fuoco il 2/11/63, sulla forte spinta della Francia che ancora de facto conserva le postazioni sul Sahara. In questo modo vengono assicurate le frontiere orientali del Marocco e il prestigio delle FAR.

32 “La proclamation de l'étàt d'exception et l'opinion marocaine”, Maghreb, pp. 21-23, 1965.

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straniero e la maggioranza della popolazione che rimane schiacciata da

questa pesante eredità. L'attuale crisi politica ed istituzionale che vive il

paese ha amplificato la portata di queste contraddizioni e rende

indispensabile lavorare per una grande unione di tutte le forze progressiste

presenti nel Marocco in grado di dare il via ad una nuova fase

rivoluzionaria33.

L'ipotesi rivoluzionaria di Ben Barka fu stroncata bruscamente il 29

ottobre del 1965 quando il leader dell'UNFP fu prelevato in gran segreto a

Parigi e giustiziato, dopo ore di tortura sotto gli occhi di Oufkir e del

generale Ahmed Dlimi, nella stessa capitale francese34. Questi anni

segneranno la definitiva vittoria del Palazzo sul movimento nazionale,

infatti l'UNFP sempre più isolato dopo la morte del suo leader subirà anche

la rottura definitiva con la base del suo elettorato costituita dai lavoratori

dell'UMT35 che si sposteranno verso le posizioni moderate dell'Istiqlal. Il

tentativo di ristrutturazione dell'UNFP storico, cioè del fronte partito-

sindacato, durante il periodo dello stato d'eccezione, fu un fallimento.

Spetterà ai giovani risvegliare l'iniziativa di costituire un fronte radicale

contro il palazzo, infatti con la fine dello stato d'emergenza il 7 luglio 1970,

Istiqlal e UNFP si unirono in un cartello elettorale chiamato al Koutla el

Wataniya (Blocco Nazionale) per presentarsi uniti alle elezioni previste per

il 1971.

La nuova costituzione, anche questa ottriata, fu duramente boicottata dal

blocco dell'opposizione perché non apportava alcun sostanziale

cambiamento in senso democratico rispetto al testo del 1962, al contrario,

dopo l'esperienza del ‘65-‘70, rafforzò il carattere autoritario e i poteri della

monarchia. Il testo fu comunque approvato con larga maggioranza (98,85%

33 M. Ben Barka, op. cit. pp 30-66.34 A. Boukhari, Le secret, Ben Barka et le Maroc, un agent des services speciaux parle, Michel

Lafon, Paris, 2002, in Vermeren, op.cit. pp. 47-48.35 “Où sont les partis politiques marocains” , in Maghreb, 1965, pp.19-25.

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dei consensi) il 31 luglio del 1970, ma nella realtà non cambiò nulla dal

punto di vista della corruzione, della repressione e della partecipazione

delle masse alla vita politica. Nel giugno del 1971 venne “sventato” un

nuovo complotto, detto baathista, e il 10 luglio 1971 avvenne il primo colpo

di stato guidato dal giovane luogotenente di 32 anni M'Hammed Ababou36.

In seguito a questi avvenimenti, il parlamento eletto nel '70 venne

sospeso nell'attesa della nuova riforma costituzionale prevista per il primo

marzo 1972. La nuova costituzione approvata dal 98,75% dei votanti

presentava come caratteristica fondamentale, quella di essere simile per

molti aspetti al testo del 1970 che a sua volta confermava lo stesso sistema

costituzionale del 1962. Il re resta al centro del regime grazie ai mezzi

d'azione che gli permettono di agire direttamente sulla funzione legislativa e

di governo; il parlamento e il governo ritrovano, almeno sul piano

giuridico-formale, i mezzi per l'esercizio delle loro funzioni con un certo

margine di autonomia nel quadro di un regime costituzionale detto di

“parlamentarismo dualista”37. I partiti della Koutlah decidono la “non

partecipazione” al voto al fine di “non garantire vane e futili soluzioni che

ridurrebbero le dimensioni della crisi ad un semplice problema di revisione

costituzionale”.38 Rispetto il boicottaggio questa posizione esprime

un'aspettativa che non pregiudica il comportamento che la Koutlah potrà

prendere verso le future iniziative del palazzo “Il referendum non è il fine

[...] non è che l'inizio logico di una serie di misure che verranno di

conseguenza [...] per creare le condizioni di una partecipazione tanto

desiderata da tutte le forze vive della nazione alle diverse responsabilità”39.

L'unica voce discordante fu quella del leader del disciolto PCM che reputò

il testo, come quello del 1962 e del 1970, un progetto che “legalizza

36 Cfr paragrafo 3 cap 1.37 “Maroc 1972: empasse ou l'aventure?” , in Maghreb, 1972, pp. 38-44.38 Comunicato del 22 febbraio 1972, in l'Opinon, 24 febbraio 1972.39 Intervista del 25 febbraio 1972, Le Matin,1 marzo 1972.

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l'assolutismo e le strutture economiche e sociali ereditate dal passato

feudale e coloniale”. L'unica possibile soluzione che Ali Yata, leader del

partito, reclama è quella di una “elezione a suffragio universale di

un'assemblea nazionale costituente sovrana”. La sua posizione rimane

ferma nel “rigettare la costituzione ottriata e di boicottare il referendum”40

Sotto i continui attacchi di Hassan II caddero tutte le rivendicazioni dei

vecchi partiti del movimento nazionale che ormai non erano più in grado di

opporre alcuna seria resistenza all'interno del nuovo assetto istituzionale

marocchino. La formazione della Koutlah e il suo comportamento verso il

palazzo, dimostrarono che quest'alleanza fu dovuta più a motivazioni

difensive (per far fronte allo stato d'emergenza che aveva decapitato

l'agibilità dei partiti) che offensive. Il rapporto con la monarchia fu

altalenante, tuttavia il re aveva l'intenzione di dare credibilità alla nuova

formazione, di cui conosceva la debolezza, per farne una forza

d'opposizione in grado di sedurre la gioventù studentesca. Nel 1970, infatti,

il pericolo più serio che si presentò al re fu quello dei grandi scioperi

studenteschi che perdurarono tutto l'anno. Questi moti e più ancora quelli

del 71-72, provarono che la gioventù marocchina si era radicalizzata

velocemente e quindi la monarchia, per preservare la sua integrità, ritenne

più opportuno che tale impeto fosse incanalato all'interno della Koutlah

piuttosto che in nuove formazioni politiche rivoluzionarie.

40 In Maghreb Information, 25 febbraio 1972 e l'Opinion, 25 febbraio 1972.

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1.2 Crisi economica ed esplosione dei movimenti di contestazione

studenteschi

Nel 1960 la crescita economica era debole, il tasso medio annuale di cre-

scita non superava il 2,3%. L'agricoltura, il settore economico che occupava

la maggior parte dei lavoratori marocchini, non ha superato il tasso di cre-

scita annuale medio dell'1,5% e l'industria, attraverso il finanziamento di

grandi opere pubbliche, era il solo settore che aveva conosciuto un dinami-

smo seppur limitato. Rispetto a questa situazione, non stupisce che la crea-

zione di nuovi impieghi non riuscì a soddisfare una domanda (140.000 per

anno fra il 1960 e il 1967) amplificata dalla pressione demografica e dall'e-

sodo rurale. La convergenza di tutti questi fattori influì fortemente sui con-

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sumi privati che aumentarono ad un tasso inferiore rispetto quello della cre-

scita demografica (3% contro 3,2%), da qui un abbassamento evidente del

tenore di vita. Inoltre il finanziamento dell'economia era sempre più impo-

stato sul ricorso ai capitali stranieri, alimentando un debito estero crescente.

Il piano quinquennale 1960-64, nella sua prima versione, venne definito

come un piano di transizione da un'economia coloniale ad un'economia na-

zionale perchè attraverso una serie di misure strutturali doveva condurre al-

l'indipendenza economica e finanziaria in rottura col passato coloniale. Gli

interventi principali riguardarono: la riforma delle strutture agricole e delle

condizioni di sfruttamento delle risorse necessarie allo sviluppo del settore

primario; il sostegno all'industria di base con l'attribuzione di una funzione

centrale allo Stato attraverso l'ODI (Office de Développement Industriel); la

riforma dello Stato intesa nel senso di una trasformazione delle strutture

amministrative orientate più verso lo sviluppo e la ristrutturazione del siste-

ma di insegnamento e di formazione, conformemente ai bisogni dello svi-

luppo economico41.

Tutte queste misure strutturali erano destinate a realizzare l'obiettivo del-

la crescita economica fissata al 6,2% durante il periodo ‘60-‘64. Tuttavia

Hassan II, appena salito al trono, si dimostra subito poco desideroso di con-

tinuare sulla strada indicata dal piano di sviluppo. L'imperativo a breve pe-

riodo del controllo politico ha sostituito quello a lungo termine dell'espan-

sione economica così l'insufficienza degli investimenti, la fuga di capitali

(175 miliardi di franchi usciti in 3 anni) e la crescita rapida della popolazio-

ne hanno annullato i deboli benefici economici del dopo indipendenza. La

revisione del piano fu impostata a partire dal 1963 e già nel '64 si registrò

una prima grande crisi finanziaria e di bilancio a seguito dell'accumulazione

di debiti generati dall'esecuzione delle leggi finanziarie dei primi anni. La

41 H. El Malki, Trente ans d'economie marocaine, 1960-1990, Centre Nationale de la recherche scientifique, Paris, 1989

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svolta monarchica di Hassan II facilitò l'intervento degli organismi interna-

zionali, Fondo Monetario e Banca Mondiale, e l'affermazione di opzioni

economiche liberali. Il 25 giugno 1964, il Marocco firmò una prima con-

venzione con il FMI per il prestito di 1,3 milioni di dollari e la Banca Mon-

diale ispirò fortemente il piano triennale del 1965 presentato come un piano

di stabilizzazione. La proiezione del tasso di crescita economica fu piuttosto

modesto, 3,7% annuo, l'industria non veniva più considerata una priorità e

fu sacrificata all'agricoltura, al turismo e alla formazione dei quadri. D'ora

in poi il ruolo dello Stato fu quello di impulso, creazione e miglioramento

delle condizioni che avrebbero permesso l'investimento privato42.

Il prolungarsi della crisi economica amplificò i disastrosi effetti prodotti

con l'urbanizzazione massiccia e dall'enorme crescita demografica. Attorno

le più grandi città del Marocco (Casablanca, Rabat, Meknés, Fes) si

svilupparono a vista d'occhio bidonville che non riuscirono a contenere

l'aumento sfrenato della popolazione proveniente dalle zone rurali. Esse

furono la prova tangibile e angosciante del mancato interesse che i

responsabili marocchini affidarono a questa situazione se non in termini

propagandistici quando, prima di ogni prova elettorale, le poche

realizzazioni di facciata vennero utilizzate esclusivamente come pretesto

per esaltare l'opera del regime attraverso lunghi discorsi televisivi,

radiofonici o nella stampa filo-monarchica43.

Ma le bidonville, e più in generale le città, nel nuovo Marocco

postcoloniale furono anche il terreno dove emersero le condizioni in grado

di mettere in discussione le strutture sociali tradizionali con nuove

dinamiche di massa che attraversarono il campo sociale, politico e culturale.

Sin dall'indipendenza l'educazione di massa, percepita come un diritto ed un

fattore di sviluppo economico, rivestì un'importanza non solo simbolica per

42 J.C. Santucci, “Le plan quinquennal marocain”, in Maghreb, n. 67, 1975, pp 52-61.43 A. Gaudio, Guerres et paix au Maroc, reportages 1950-1990, Ed. Karthala, Paris, 1991.

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il movimento nazionale che aveva denunciato il carattere elitario

dell'insegnamento sotto il protettorato. Il 25 agosto del 1957 si riunì per la

prima volta la commissione reale per la riforma dell'insegnamento che,

sotto la presidenza di M Ben Barka, elaborò un piano d’intervento centrato

su quattro rivendicazioni fondamentali: la generalizzazione, unificazione e

arabizzazione dell'insegnamento e la maroccanizzazione e formazione dei

quadri44. L'obiettivo della generalizzazione rispose alla necessità oggettiva e

quantitativa di consentire l'accesso all'educazione all'insieme della gioventù

marocchina numericamente sempre maggiore. Questa massa scolarizzata

vide nell'insegnamento il motore per la mobilità sociale ma i risvolti

problematici riguardarono proprio l'integrazione di questa popolazione

all'interno della vita istituzionale ed economica paralizzata dalle mancate

riforme strutturali45.

Nel passaggio da un'educazione d'élite ad una di massa, la monarchia

non dimostrò alcun interesse nel promuovere i programmi di sviluppo

necessari per assorbire la massa scolarizzata. Queste riforme infatti vennero

percepite come un potenziale pericolo in grado di provocare un radicale

rovesciamento sociale ed economico e così l'attenzione del re si concentrò

nel preservare una politica di elargizione di benefici personali circoscritti.

Nell'analizzare l'élites in Marocco Waterbury descrive come il regime che

non è in grado di promuovere lo sviluppo del paese è ridotto a moltiplicare

la burocrazia ed a inventare dei mezzi di fortuna per riassorbire i suoi

quadri. L'autore, inoltre, sottolinea come il più grande pericolo per i paesi in

via di sviluppo non viene tanto dalla loro debolezza economica, o dalla

disparità culturale al suo interno, ma dall'esistenza di oligarchie e gruppi di

potere che riescono a sfruttare questa debolezza a proprio vantaggio,

44 A. Sekkat, La politique de l'enseignement au Maroc, 1956-1977, Thèse de doctorat d'Etat, facoultè de droit, Grenoble, 1977, in Bennani-Chraibi op. cit., pp 16-17.

45 M. Bennani-Chraibi, Soumis et rebelles: les jeunes au Maroc, ed CNRS 1994, Paris.

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fondandola su aspirazioni nazionali46.

Fra il 1956 e il 1980 gli studenti effettivamente iscritti alla scuola

primaria e secondaria segnarono un tasso di incremento medio annuo

rispettivamente dell' 8,32% e 19,77%, mentre le spesa corrente messa a

disposizione al settore del sociale (che comprende anche l'insegnamento)

aumentò ogni anno del 13,7%. Questi dati dimostrano come il Marocco

andò incontro al “paradosso della stagflazione” che esprime lo squilibrio

esistente fra le risorse finanziarie disponibili e l'aumento della domanda

sociale in materia di insegnamento accentuata dal ritmo di crescita

demografico (3% annuo) e dalla struttura della popolazione di cui il 55% ha

meno di 20 anni47.

E' all'interno di questo quadro di riferimento (caratterizzato della

stagnazione economica e dal malessere diffuso nelle grandi città per la

mancata integrazione della massa scolarizzata) che esplode il nuovo

“proletariato intellettuale” protagonista di un grande movimento autonomo

di opposizione radicale al regime. Esso si sviluppò a partire dalla rivolta

degli studenti di Casablanca nel 1965 e progressivamente si allargò ad altri

strati sociali fino alla metà degli anni '70. Partiti e sindacati non ebbero

alcun ruolo nello scoppio delle proteste e in seguito non poterono

controllarne la violenza. Gli avvenimenti colsero tutti i dirigenti di sorpresa.

Nel corso dell'inverno del 1965 il ministro all'educazione Youssef ben

Abbés, definì una politica di selezione dell'élite. Con l'invio di una circolare

ministeriale decretò che gli studenti con più di 18 anni alla fine del primo

ciclo non sarebbero potuti passare al secondo ma dovevano essere orientati

verso l'insegnamento tecnico e professionale. Questa decisione fece

esplodere la protesta fra gli studenti del secondo ciclo che, vedendo

superato il limite d'età, non ebbero la possibilità di proseguire con gli studi

46 J. Waterbury., Op Cit pp 344-353.47 J. Salmi, Crise de l'enseignement et reproduction social au Maroc, Ed Maghrebines,

Casablanca, 1977, in Bennani- Chraibi, op. cit., p 17.

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universitari. Anche se il loro numero non era consistente e il movimento

non era ancora sufficientemente organizzato, questo avvenimento servì da

pretesto per canalizzare il malessere. Il 22 marzo la rivolta esplose a

Casablanca e il 24 l'UMT dichiarò lo sciopero generale di 18 ore in

solidarietà con gli studenti. In poco tempo la protesta si trasformò in

insurrezione: vennero erette diverse barricate nelle maggiori vie della città,

autobus, banche e commissariati vennero dati alle fiamme. A dimostrazione

dell'ampiezza delle frustrazioni accumulate dopo l'indipendenza, la protesta

si sviluppò presto nelle altre maggiori città del Marocco. La repressione che

si scatenò fu durissima. Oufkir prese in mano le operazioni il 23 marzo ed è

difficile fare una stima delle vittime, alcune fonti ufficiali parlarono di 70

persone colpite a morte, i diversi osservatori ne contarono fra i 300 e i 400

negli ospedali mentre Boukhari48 parla di 1500 cadaveri, centinaia furono,

invece, gli arrestati. Hassan II intervenne col pugno duro e nel suo discorso

alla nazione del 30 marzo 1965 dichiarò: “la maniera con cui viene espresso

il malcontento non è in alcun modo accettabile né degna dell'immagine

della tua [popolo marocchino] storia e del tuo genio. Io posso dirti [...] che

ho provato vergogna ed avvertito una reale preoccupazione per il prestigio

del mio paese. Non posso permettere che la legge della giungla e l'anarchia

regnino nel nostro paese civile, poiché ritengo che niente possa giustificare

gli avvenimenti di Casablanca, qualunque siano le circostanze.”49 Di fronte

l'”anarchia” “non c'è pericolo così grave per lo Stato che quello dei

sedicenti intellettuali. Sarebbe meglio che voi tutti fosse degli analfabeti”50.

Ma non c'è bisogno necessariamente di essere degli intellettuali per provare

le sofferenze dell'ingiustizia sociale. I meglio qualificati a sapere che

l'ignoranza costituisce una delle armi di oppressione più efficaci sono

48 A. Boukhari, Le secret, Ben Barka et le Maroc, un agent des services speciaux parle, Michel Lafon, Paris, 2002, in Vermeren, Op.Cit, pp. 48.

49 M. Diouri, Le verità del Marocco, Ed. Jeca Book, Milano, 1988.50 P. Vermeren, La formation des élites au Maroc et en Tunisie. Des nationalistes au islamistes

1920-2000, La Découverte, Paris, 2002. in Vermeren op. cit. pp. 52.

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proprio gli analfabeti tenuti in disparte nelle bidonville. Da qui ebbe origine

l'esplodere della rivolta di Casablanca le cui conseguenze politiche furono

molto gravi. La situazione istituzionale era infatti sempre più paralizzata dal

momento che il parlamento era svuotato dopo il boicottaggio delle forze

d'opposizione nelle elezioni del 1963. Questo servì ad Hassan II come

pretesto per far ricadere le colpe del malessere sociale sulla classe politica

giudicata amorfa e immobile che in tre anni di esperienza parlamentare ha

emesso solo tre leggi “Se non avessi desiderato per te [popolo] il regime

democratico, io non te lo avrei concesso, perché nessuno di voi mi ha

obbligato a farlo. [...] Restano allora gli intermediari politici che esigono le

circostanze e le istituzioni democratiche. È questa a loro avviso la maniera

con cui contavano di assumere il loro incarico in seno al parlamento? In ciò

consiste la fedeltà alla democrazia?”. Per il monarca è quindi colpa della

classe politica se egli è costretto a dichiarare il 7 giugno 1965 lo stato

d'emergenza. In questi lunghi 5 anni il re sviluppò un sistema di controllo

più efficace creando 3 ministeri diversi per l'insegnamento primario,

secondario e universitario e in più quello della gioventù e dello sport.

Il clima economico nei 5 anni di stato d'emergenza rimase tuttavia

stagnante. Il secondo piano quinquennale 1968-1972 ripartì dalle stesse

priorità (agricoltura, turismo, quadri) che avevano dimostrato i loro limiti

nella lotta alla disoccupazione già nel quinquennio precedente. In linea con

i precedenti tentativi, la tendenza che si evidenziò con questo secondo piano

quinquennale fu l'aumento della disparità sociale: la parte delle spese di

consumo del 10% delle famiglie più ricche passò dal 25% al 37% mentre

quella del 10% delle famiglie più povere scese dal 3,3% all'1,2%.51

Questi anni coincidono con il momento in cui si cristallizzarono i

movimenti popolari della sinistra radicale all'interno dell'UNEM52, UNFP e

51 H. El Malki, op. cit. pp 23-33.52 L'Union Nationale des Etudiantes du Maroc è la prima associazione studentesca, a tendenza

sindacale, nata nel 1959 in Marocco. Nel suo periodo iniziale è legata all'UNFP, molti dirigenti

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del PLS53 (ex PCM). Dopo il 1967 l'UNEM registrò delle tensioni al suo

interno fra i membri vicini ai dirigenti dei partiti di sinistra (rappresentati

dai due presidenti Oualalou e Menouni) e una minoranza più radicale e più

attiva. Questa seconda componente trovò nell'UNEM il terreno di incontro

adatto per i diversi contestatori decisi a denunciare la convergenza fra la

direzione dell'UNFP e del PLS con il potere monarchico e l'assenza di

democrazia nelle strutture statali. Al grido di “ad ogni lotta il suo eco

nell'universo” nacque la prima avanguardia marxista-leninista del Marocco

rappresentata da una nuova generazione studentesca ultra politicizzata, in

rottura con il vecchio movimento nazionale. I “frontisti” che si strutturarono

all'interno dell'UNEM, provenivano da due gruppi diversi: “23 marzo” e

Ilal Amam. Il primo nacque nel 1968 da una frattura all'interno dell'UNFP,

il secondo emerse dalla divisione interna del PCM guidata da Abraham

Serfaty. Il terreno ideologico adatto affinchè questi gruppi poterono

strutturarsi venne fornito dalla rivista Souffles, fondata nel 1967 da

Abdellatif Laabi, che “vuole essere una presa di posizione [...] in un

momento in cui i problemi della nostra cultura nazionale hanno raggiunto

un grado di tensione estremo”54. Nel 1970 nasce l'MMLM (Mouvement

Marxiste-Léniniste Marocain) che si definì “avanguardia delle masse

popolari” per la rivoluzione e denunciò il riformismo dei partiti ufficiali. La

prima tappa del loro percorso fu la presa del controllo dell'UNEM già nel

XIV congresso del 1971, quando Bennani fu eletto presidente.

L'UNEM a direzione frontista riuscì a innescare un lungo periodo di

scioperi e contestazioni sopratutto nel biennio 1970-1972 e rappresentò

l'unica valida spinta progressista nel Marocco di Hassan II. In questo

infatti formatisi all'interno dell'UNEM vengono riassorbiti all'interno del partito di Ben Barka. Nel 71 la dirigenza viene presa in mano dai marxisti-leninisti che guideranno l'Unione fino alla sua soppressione nel 1973 per opera di un decreto reale. Quando fu ripristinata, nel 1978, l'UNEM si sposta sempre più su posizioni islamiche.

53 Parti de la Liberation e du Socialisme.54 Souffles n°22, novembre-dicembre 1971 http://clicnet.swarthmore.edu/souffles/sommaire.html

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momento per il re non ci fu altra inquietudine se non gli scioperi

studenteschi, che non potevano più essere sedati attraverso l'assorbimento

della gioventù insoddisfatta con la concessione di privilegi ad personam55.

A partire dalla fine di dicembre scendono per strada gli studenti dei licei,

prima a Rabat poi in tutte le altre capitali regionali. Il movimento fu

spontaneo, sostenuto dagli insegnanti in proporzioni variabili ma comunque

sempre importanti, come dimostrò il caso di Casablanca. Quando la polizia

entrò nel liceo Moulay-Abdallah occupato, 74 professori su 140 furono

arrestati perché complici della contestazione. Le manifestazioni si

radicalizzarono in maniera proporzionata alla repressione dello stato e si

diffusero presto anche ad altri settori della società marocchina. Gli incidenti

che partirono dai licei e dall'università nacquero da rivendicazioni

immediate e precise che a molti osservatori ricorda un significato

esclusivamente corporativista56. Ma già nel 1972 sembravano assumere il

carattere di uno scontro diretto fra l'Università e il potere reale. Le parole

d'ordine del movimento si possono racchiudere attorno tre temi principali:

la condizione del regime penitenziario imposto ai detenuti politici che la

legge marocchina non distingue dai prigionieri di diritto comune; la

repressione in Marocco, su cui confluisce anche l'UNFP con un comunicato

il 21 dicembre, per denunciare gli arresti e gli interventi arbitrari, le torture

inflitte ai “prigionieri segreti”, gli attentati alle libertà sindacali e politiche,

il non rispetto dell'inviolabilità dei luoghi universitari. L'ultimo tema, su cui

converge anche l'Istiqlal, è la “maroccanizzazione” e l'arabizzazione

dell'insegnamento denunciando il “neocolonialismo culturale”

nell'amministrazione e nelle strutture scolastiche e universitarie.

La maniera con cui il potere monarchico affrontò la situazione non fu

affatto indulgente, il re non intendeva infatti essere un monarca senza

55 P. Vermeren, op. cit. pp 52-65.56 “L'agitation universitaire au Maroc”, in Maghreb, 1972, pp. 13-15.

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potere: convinto dell'inadattabilità delle forme liberali delle monarchie

europee al “temperamento” e alla “natura del popolo marocchino” egli

assunse direttamente le responsabilità di una politica repressiva energica.

La politica del “tanto peggio per voi” fu inaugurata con successo già nel

1970, lasciando presagire un nuovo intervento di forza dell'esercito. Il 24

gennaio 1973 venne sciolto l'UNEM, soppresse le borse di studio dei

“rivoltosi”, sospesi gli studenti “assenteisti” e revocati gli insegnanti

coinvolti negli scioperi. Il 27 venne presa la decisione di escludere

dall'università tutti gli studenti che non abbiano ripreso i corsi entro il 29

gennaio (termine poi rinviato al 31 dello stesso mese). Il 3 febbraio vennero

chiuse le facoltà di lettere di Rabat e quella di diritto, scienze e medicina

dell'università di Fes da dove proveniva lo zoccolo duro della contestazione.

L'8 febbraio vennero applicate le sanzioni previste contro gli studenti che

non avevano ripreso i corsi entro il 31 gennaio, più di 3000 furono esclusi57.

Gli scioperi studenteschi diventarono un elemento costante della vita

politica marocchina ma il governo e il palazzo rimasero fermi nel non

concedere una trasformazione radicale del sistema di insegnamento

impegnandosi solo nel compimento di ammodernamenti di facciata,

lasciando che gli stessi studenti compromettessero la propria carriera

universitaria e scolastica.

Il tema della maroccanizzazione dell'amministrazione e dei mezzi di

produzione, sollevato insistentemente dagli studenti, sembrò essere l'unico

ad avere la possibilità di essere affrontato dal re e dal governo. Il 2 marzo

1973 venne promulgato un dahir (decreto reale) che mirava al recupero di

300.000 ettari di terreno rimasti ancora in mano agli stranieri, sopratutto

francesi. Diciassette anni dopo l'indipendenza si trattava di chiudere, in

parte, con l'eredità coloniale per confortare i notabili rurali ovvero la base

57 B. Masquet, “Agitation universitaire et situation sociale au Maroc”, in Maghreb n. 56, 1973, pp. 17-20.

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più fedele al re (il 64% della popolazione del paese era ancora rurale,

estremamente controllabile attraverso i caid locali di nomina reale). Ma il

Palazzo voleva anche consolidare le basi economiche della borghesia

urbana così fra marzo e maggio del 1973 emanò altri due dahir per la

nazionalizzazione dei beni stranieri nel commercio e nell'industria. Non si

trattava di collettivizzare i beni stranieri, ma di far passare sotto capitale

marocchino privato le proprietà economiche controllate per più del 50% da

capitale straniero. L'operazione riguardava il 30% dei beni industriali e il

90% dei beni terziari. Tuttavia questa operazione non escludeva l'intervento

di capitale straniero. I modi con cui queste riforme vennero avviate

incrementano ancora di più il divario sociale, infatti solo i grandi proprietari

poterono permettersi di comprare imprese o terreni così nel 1978 si stima

che 36 famiglie hanno preso il controllo dei 2/3 del capitale marocchino e in

particolare si contarono 300 multimiliardari in Marocco58.

Il re ha condotto la nazionalizzazione dell'economia privilegiando gli

interessi dei grandi caid rurali e della borghesia capitalista delle città, in

questo modo ha consolidato il suo potere e il legame di fedeltà con la parte

della popolazione più ricca rifiutando di concedere un aggiustamento

strutturale nel sistema di redistribuzione della ricchezza fra le fasce più

povere che continueranno a rimanere ai margini della società.

58 P. Vermeren, op. cit. pp. 67.

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1.3 L'esercito: fedele alleato del regime o pericoloso nemico interno?

Nel 1956, con un protocollo aggiuntivo all'interno degli accordi di Aix

les Bains, venne sancita la nascita delle FAR con a capo l'allora principe

ereditario Moulay Hassan. Inizialmente l'esercito era costituito dalle truppe

marocchine che, sotto il protettorato, prestavano servizio negli eserciti

francesi e spagnolo, ad essi si aggiunsero circa due mila ufficiali francesi

per un totale di circa 15 mila uomini al momento della loro sfilata lungo

Boulevard Mohamed V il 14 maggio 1956.

L'analisi storica della composizione è importante per rilevare come le

Far, attraverso il processo neocoloniale di modernizzazione del Makhzen,

siano divenute la colonna vertebrale del regno di Hassan II e così tracciare

delle linee interpretative per descrivere gli avvenimenti che sono accaduti a

partire dagli inizi degli anni settanta, quando anche all'interno dell'esercito,

emergono forti segnali di opposizione della legittimità del potere alauita.

Con la deposizione di Mohamed V nel 1953 la lotta armata esplose in

tutto il Marocco59. L'ALN fu il soggetto politico e militare attorno cui si

radunarono uomini e donne marocchine disposte a prendere le armi per

59 Secondo le cifre di C. A. Julien riportate da M. Diouri in Le verità del Marocco, (1988) fra il 1 luglio 1954 e il 30 giugno 1955 si registrano 41 uccisioni di europei e 254 di marocchini collaborazionisti, 787 aggressioni, 477 esplosioni, 1.430 incendi, 331 sabotaggi.

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scacciare gli occupanti francesi e spagnoli. Inizialmente l'esercito di

liberazione venne arruolato nelle zone a prevalenza berbera del Rif e del

Medio Atlante, mentre la resistenza all'interno delle città, si frazionò in

diversi gruppi clandestini di cui i principali furono l' “organisation

secrète” (diretta da Basri) e il “Croissant noir” (formazione di sinistra che si

contraddistinse per la spiccata tendenza pan-maghrebina). Esse erano

formazioni autonome con obiettivi sostanzialmente diversi dai partiti, che

organizzarono nella clandestinità la resistenza armata con un abile lavoro

che comprende l'istruzione dei partigiani (l'ALN era formato sopratutto da

contadini, operai e minatori provenienti dagli strati più modesti della società

e la maggior parte di loro ignorava l'uso di un arma da fuoco), la

preparazione delle azioni, l'acquisizione di materiali ma anche le

precauzioni necessarie alla vita in clandestinità (nascondigli, pseudonimi,

documenti, ecc...). Nel periodo immediatamente successivo l'indipendenza

la resistenza continuò le proprie azioni non solo per liberare il territorio dai

resti dell'esercito francese e spagnolo ancora presenti in Marocco. Molti

guerriglieri, infatti, si rifiutarono di deporre le armi perché si sentirono

traditi dal modo in cui erano stati condotti i negoziati che, di fatto,

confermavano, lo stesso impianto istituzionale vigente sotto il protettorato.

Molti di essi, inoltre, erano repubblicani e durante gli anni di guerriglia

hanno abbracciato l'idea di un Maghreb unito e della necessaria

interdipendenza delle lotte di liberazione nazionale nel nord Africa finché

tutti gli stati, primo fra tutti l'Algeria, non avessero raggiunto

l'indipendenza. Così mentre fra i palazzi del potere si consumava la lotta

latente fra il partito dell'Istiqlal e la monarchia per la conquista del potere,

Moulay Hassan, che godeva di enorme prestigio sia da parte dei francesi

che fra gli officiali Makhzenizzati (Bekkai, primo ministro del Marocco

indipendente era un ufficiale berbero cresciuto nell'esercito francese) si

lanciò nella eliminazione totale dell'ALN che reclamava il titolo di unico

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esercito nazionale marocchino.

Sin dal 1956 il re e l'Istiqlal furono concordi nell'applicare una politica

per riassorbire all'interno delle forze regolari i mujahidin che ancora non

avevano deposto le armi. Con il dahir dell'11 marzo 1959 vennero definiti

“ex resistenti” tutti coloro che avevano combattuto nell'esercito di

liberazione fra il 15 agosto 1954 e il 7 aprile 1956, tutte le persone vittime

della repressione mentre partecipavano ad azioni patriottiche nello stesso

periodo, e tutti coloro che si erano impegnati in azioni di resistenza con lo

scopo di ripristinare la sovranità. Un altro dhair (agosto 1961) decise che i

resistenti (così identificati in base al dahir del ‘59) potessero godere di

priorità negli impieghi, del 25% dei posti nell'amministrazione e delle

licenze necessarie per il trasporto e il commercio. Questa sequenza di

decreti reali ebbe lo scopo di riabilitare solo una parte fra chi condusse le

azioni di resistenza, ovvero di dividere il movimento armato (attraverso

l'elargizione di benefici economici) e riconoscere la resistenza “ufficiale”

solo quella parte che partecipò all'insurrezione dopo la rimozione del

sultano e che al suo ritorno depose le armi accettando la sovranità

monarchica e la sua posizione rispetto il trattato di Aix les Bains60.

Nei confronti di chi invece ancora continuava a combattere, sopratutto

nel sud del paese, le Far, senza dichiararlo ufficialmente, si unirono

all'esercito spagnolo e francese nella repressione militare che culminò con

l'operazione Ouragan. Il 10 febbraio 1958 le truppe francesi provenienti da

Tindouf (Algeria) e dal nord della Mauritania attraversarono i confini fino a

raggiungere il Sanguia el-Hamra, contemporaneamente i paracadutisti

spagnoli furono lanciati nella città di Smara61. I risultati ottenuti al termine

di dieci giorni di durissimo combattimento sono molteplici: i francesi

riuscirono ad imporre la sicurezza militare che la Banca Mondiale

60 M. Diouri, op. cit. pp 129-142.61 T. Hodges, Western Sahara. The Roots of a Desert War, Ed. Lawrence Hill & Company,

Westport, Connecticut, 1983.

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richiedeva per concedere il finanziamento di 66 milioni di dollari per la

MIFERMA,62 inoltre vennero tagliati i collegamenti fra l'ALN marocchino

e il FLN in Algeria. La Spagna riuscì a ristabilire temporaneamente il

proprio ordine all'interno dei territori coloniali del Sahara Occidentale e del

Sud Marocco ancora in suo possesso. Per l'ALN la sconfitta militare

equivalse al suo scioglimento. All'interno dell'esercito di liberazione ancora

rimasto in piedi emersero i primi contrasti fra i militanti saharawi che si

erano uniti alla guerriglia e il comando militare saldamente in mano

marocchina (specialmente berbera). Altri militanti riuscirono a salvarsi

rifugiandosi in Algeria (fra di essi Cheikh al-Arab da molti considerato fra i

fondatori della resistenza marocchina), mentre il grosso dell'esercito di

liberazione depose le armi e si arruolò nelle FAR.

Quando Hassan II venne designato re del Marocco nel 2 marzo 1961 le

FAR ebbero ormai raggiunto un numero considerevole di effettivi (circa

40.000 uomini fra i diversi reparti) ed una struttura interna solida ed

organizzata, così i 90.000 uomini dell'esercito francese poterono lasciare il

territorio nel mese di marzo, seguiti nel mese di agosto dai 70.000 spagnoli

che ancora stazionavano nella zona Nord del paese. L'uomo di fiducia di

Hassan II fu Mohammed Oufkir, figlio di un governatore berbero che

cominciò la sua carriera nell'esercito nel 1939 nella scuola militare per

ufficiali di Meknés. Nel corso degli anni '40 e '50 partecipò alle diverse

missioni francesi in Italia e in Indocina e quando tornò in patria fu

promosso capitano a soli 28 anni. Con l'indipendenza egli appare come

l'uomo voluto dalla Francia e accettato da Mohamed V, così riuscì ad

imporsi come uno dei principali ufficiali delle FAR. Il 13 luglio 1960 venne

nominato direttore della sicurezza nazionale diventando l'uomo forte del

62 La Mines de Fer de la Mauritanie è una industria mineraria fondata nel 1952 nei pressi di Zouerate (Mauritania) da una cordata di paesi europei che comprende la Francia, che con il Boureau Minier de la France d'Outre-Mer deteneva il 55% della proprietà, Italia, Inghilterra e Germania Ovest.

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regime di Hassan II. La carriera di quest'uomo è importante per tracciare

alcune tendenze generali sullo stato dell'esercito sotto Hassan II.

Lo stato maggiore delle FAR è dominato da un gruppo di ufficiali

provenienti principalmente dall'esercito francese e da quello spagnolo, molti

di essi sono infatti rimasti nei ranghi di queste armate fino al 1956. Essi non

hanno seguito il percorso nazionalista, ma anzi, molti di loro hanno spesso

partecipato alla repressione del movimento, questo ha fatto si che si potesse

sviluppare un certo spirito conservatore fra i vecchi ufficiali che così, hanno

sistematicamente eliminato i giovani con tendenze radicali o semplicemente

troppo apertamente nazionalisti. La contropartita della loro avversione alla

politica è la loro fedeltà al trono. Parallelamente al consolidamento di

questo nucleo originario, diviene sempre più massiccio l'arruolamento di

ex-combattenti dell'ALN, ed emergono i primi segnali di divergenza fra i

giovani e i vecchi ufficiali. Inoltre, fra il '56 e il '58 Moullay Hassan decise

di frenare l'accesso di massa alla scuola per ufficiali di Meknes

introducendo il criterio di selezione in base al possesso del diploma. I figli

dei notabili rurali risultarono svantaggiati rispetto ai loro rivali di

provenienza urbana che potevano permettersi di seguire gli studi richiesti

perciò questa decisione andò sopratutto a discapito della componente

berbera, che fino a quel momento era prevalente fra gli ufficiali ed

introduce un ulteriore livello di analisi che riguarda l'aspetto etnico

all'interno delle FAR63.

Hassan II appena nominato re nel 1962, delegò la direzione delle FAR e

della sicurezza nazionale ad Oufkir, mantenendo come prerogativa reale la

nomina degli ufficiali. Ma il corpo degli ufficiali è destinato a cambiare e la

sua fedeltà al trono rischia di capovolgersi quando i giovani ufficiali di

origine cittadina e formazione moderna con una maggiore sensibilità

politica accederanno ai gradini superiori della gerarchia.

63 J. Waterbury, op. cit. pp 326-330.

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Il 10 luglio 1971 alcuni cadetti (circa 1.400) della scuola militare di

Ahermoumou marciarono verso il palazzo reale di Skhirat a circa 30

chilometri da Rabat dove Hassan II teneva un grande ricevimento per

l'anniversario della festa dell'indipendenza. I militari, guidati dal

luogotenente-colonnello M'Hammed Ababou e dal generale Mohammed

Medbouh, capo della Maison Royale, fecero irruzione nel palazzo causando

la morte di una sessantina di invitati, ma non riuscirono a raggiungere il re

che, miracolosamente, si salvò prima che Oufkir, investito dei pieni poteri,

si attivò per ripristinare in poche ore l'ordine e riprendere il controllo della

capitale. Il 13 dello stesso mese 10 ufficiali superiori (di cui quattro berberi)

riconosciuti colpevoli della preparazione dell'assalto furono giustiziati a

morte sotto gli occhi di Oufkir, mentre M. Medbouh fu fucilato il

pomeriggio stesso dell'assalto64. L'attentato del 10 luglio da molti venne

interpretato come un tentativo di rivoluzione radicale di stampo

“nasseriano” con tendenze nazionaliste e socialisteggianti, salutato con

grande interesse dalla giunta militare che pochi anni prima (1969) era

riuscita a scacciare la monarchia e prendere il potere in Libia sotto il

comando di Muammar Gheddafi. Fra la popolazione e gli apparati del

potere gli umori sono diversi. Appena venne lanciato l'appello per la

Repubblica dalla radio occupata dai militari, molti giovani marocchini delle

città uscirono per strada a festeggiare così come, dopo la condanna degli

ufficiali coinvolti, fra i villaggi berberi del Rif si potevano incontrare spesso

scritte sui muri inneggianti alla vendetta. I partiti d'opposizione, invece,

rimasero inizialmente in silenzio con una posizione prudente che

alimentava i dubbi su un loro eventuale coinvolgimento nella preparazione

dell'assalto e sul ruolo che essi avrebbero potuto avere nel nuovo panorama

politico post-golpe. Bisogna comunque considerare le riserve che essi

espressero nei confronti di un rovesciamento condotto da forze più

64 “Biographie des géneraux rebelles”, in Maghreb, 1971, pp 11-18.

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autoritarie della stessa monarchia che avrebbero impostato senza dubbio un

regime dove la sorte dei partiti di sinistra e dei sindacati sarebbe stata

ancora meno felice di quella attuale65. I discorsi ufficiali lanciati dal re

l'indomani dell'attacco miravano a minimizzare l'accaduto e a screditare gli

artefici “... l'operazione condotta il 10 luglio è stata organizzata nel modo di

un furto. I suoi autori non avevano né un programma, né alcuna dottrina

precisa. In virtù delle divergenze d'opinione e delle differenti opzioni e

programmi esistenti nel paese, gli avventurieri non hanno potuto trovare né

dei complici, né dei programmi”.66La stabilità del regno già vacillava sotto i

colpi dei movimenti studenteschi, di ampi strati della società e dei partiti

d'opposizione, ma niente lasciava supporre che la minaccia più forte potesse

venire proprio dal settore che si era sempre contraddistinto per la sua

fedeltà. Hassan II fu quindi costretto a fare autocritica limitatamente ad

alcuni aspetti marginali della sua gestione ed intervenne nominando Oufkir

ministro della difesa e capo di stato maggiore delle FAR, ma rimase

inamovibile nel non cambiare politica e mettere in discussione i suoi poteri

e la centralità del Makhzen nell'assetto istituzionale. La sua opinione

rispetto i disordini all'interno dell'esercito rimase sempre la stessa

“...l'episodio è circoscritto a due promozioni della scuola di sotto-ufficiali di

Ahermoumou, che i loro effettivi non superavano i 1.400 uomini, che

l'esercito rimane fedele e leale e che non c'è niente che lasci pensare che noi

potremmo essere pessimisti nelle ore seguenti”67 ma saranno proprio i fatti

dell'anno successivo a smentire questa interpretazione.

Il 16 agosto 1972 il re Hassan II e il suo seguito (fra cui il generale

Dlimi) rientrando da Parigi a bordo di un Boing 747, vennero attaccati da

dei caccia F-5 dell'aviazione marocchina nei pressi di Tétuan, nel nord del

65 “Le Maroc quatre mois aprés le putsch” , in Maghreb, 1971, pp. 18-20. 66 Estratto dall'intervista rilasciata all'A.F.P. dal re Hassan II il 13 luglio 1971. op cit in “Le

putsch du 10 juillet 1971 au Maroc”, Maghreb, 1971, pp 11-18.67 Estratto dell'intervista telefonica rilasciata a Europe 1 del 10 luglio 1971,cit. in, “Le putsch du

10 juillet 1971 au Maroc”, Maghreb, 1971, pp 11-18.

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Marocco. Per ragioni ancora non del tutto chiare, i caccia partiti dalla base

di Kenitra non riuscirono a colpire il loro bersaglio e il Boing poté atterrare

d'emergenza all'aeroporto di Rabat-Salé. Al suo arrivo nuove scariche di

mitra si abbatterono sulla pista d'atterraggio e sul palazzo reale di Rabat

causando 10 morti e 45 feriti ma il re riuscì ancora una volta a mettersi al

riparo sano e salvo68.

L'indomani dell'attentato spettò al ministro dell'interno Benhima

informare il parlamento e la nazione dei fatti successi. Egli annunciò che

l'attentato fu fomentato ed organizzato sotto ordini precisi del generale e

ministro della difesa Oufkir e del colonnello Amokrane, lasciando intendere

che il primo era responsabile anche del tentativo di golpe di Skihrat del

1971. Il ministro espose con estrema precisione la sequenza dei fatti ed

infine dichiarò che il generale, dopo aver condotto il fallito attentato, si recò

al palazzo reale di Skihart convocato dal re e che prima di incontrarlo,

resosi conto che il suo tradimento era stato scoperto, si suicidò sparandosi

tre colpi di pistola. L'ultima parte della conferenza stampa del ministro è

dedicata alla situazione dell'esercito e dell'avvenire del governo e del

regime marocchino. Ufficialmente la posizione è sempre la stessa,

qualificando l'attentato come un “incidente di percorso”: “non si tratta che

di una dozzina di uomini che non avrebbero mai fatto quello che hanno

fatto se i loro ordini non fossero venuti dall'alto. Tutte le altre basi sono

rimaste tranquille. L'esercito continua la sua missione sotto l'autorità del

suo capo supremo, il re: difesa del territorio, partecipazione allo sviluppo

del paese”69.

Il 7 novembre 1972 si conclude il processo ai responsabili dell'attacco:

11 ufficiali sono condannati a morte, fra di essi Amokrane (comandante

aggiunto delle forze aeree) e Kouera (comandante della base di Kenitra),

68 P. Vermeren, op. cit. pp. 39-42.69 A. Gaudio, La Baraka du Boing royal, in Guerres et paix au Maroc, reportages 1950-1990,

Ed. Karthala, Paris, 1991.

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altri 32 sono condannati a pene detentive che vanno da tre a venti anni. Un

anno dopo i condannati a più di tre anni furono condotti nella prigione

segreta di Tazmamart raggiungendo gli ammutinati di Skihart. Essi

rimasero per più di 18 anni nella prigione marocchina tristemente famosa

per le atroci torture e condizioni a cui i detenuti furono sottoposti. Dopo il

suicidio/omicidio di Oufkir l'intera famiglia del generale (la moglie e i suoi

sei figli) fu sequestrata il 23 dicembre 1972 su preciso ordine del re e

rinchiusa per diciotto anni in un'altra prigione segreta.

Ancora oggi rimane difficile fornire spiegazioni più approfondite sulle

reali motivazioni che si celano dietro i due falliti colpi di stato che non

possono essere circoscritte, come vorrebbe Hassan II, alla semplice sete di

potere da parte degli ufficiali coinvolti. I complotti si inscrivono all'interno

di un disegno politico più largo, che riguarda tutta la società marocchina

perché nei dieci anni di regno di Hassan II rimangono ancora irrisolti i

grandi problemi legati all'insegnamento, alla corruzione, al clientelismo e al

recupero inattuato delle proprietà ancora in mano agli europei.

Un'ipotesi è che lo stesso stato maggiore dell'esercito aveva l'impressione

di essere seduto su una polveriera e che niente andava nella direzione del

cambiamento. Oufkir durante un consiglio dei ministri descrive un esercito

profondamente demoralizzato, al limite della rivolta, e dichiarò che se

“niente deve cambiare, se ognuno di noi non vuole tirare le conclusioni che

si impongono, preferisco terminare subito piuttosto che rivedere una

seconda Skhirat ed essere abbattuto in costume da bagno”. Egli quindi

decise di agire, prima che gli avvenimenti potessero travolgerlo70.

Un'altra interpretazione è che con i due colpi di stato Hassan II sia

riuscito a dare il colpo di grazia all'elemento berbero all'interno delle FAR,

privandole non solo della stabilità del comando, visto che lo stato maggiore

dell'esercito è stato ridotto al solo grado di colonnello, ma sopratutto della

70 J. Waterbury, op. cit. pp 329-330.

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capacità operativa. Il re decide di prendere la testa del ministero della

difesa, allontanando qualsiasi pretesa degli ufficiali ancora rimasti in piedi e

riorganizza l'esercito che ha ritrovato profondamente dilaniato dalle

divisioni interne fra clan e fazioni. Con questa premessa la riorganizzazione

delle FAR sarà condotta nella maniera di una rivincita del nazionalismo

arabo contro la cultura berbera.71

Rimane da sottolineare il ruolo chiave che hanno giocato le nuove

generazioni nella preparazione dei due attentati. Il luogotenente-colonnello

Ababou aveva trentadue anni quando guidò i giovani cadetti all'assalto del

palazzo di Skhirat, mentre l'attacco al Boing fu organizzato ed eseguito dal

luogotenente-colonnello Amokrane di trentaquattro anni e dal comandante

Kouera di trentotto, questi uomini erano appena adolescenti quando il

Marocco ha conquistato l'indipendenza, e forse vedevano nei due colpi di

stato l'occasione per riscattare le aspirazioni tradite dalla monarchia e dal

vecchio movimento nazionale.

71 A.O. Yara, L'insurrection Sahraouie. De la guerre à l'Etat 1973-2003, Ed. L'Harmattan, Paris, 2003, pp 84-88.

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SECONDO CAPITLO

La svolta di Hassan II nella conquista del Sahara Occidentale

Dopo i concitati momenti all'inizio degli anni 70, per la monarchia fu

necessario ritrovare il consenso fra la popolazione per proporsi come un

soggetto politico capace ancora di dialogare con le forze di opposizione.

Piuttosto che arrivare a nuove aperture democratiche, si affidò alla causa

nazionalista di recupero dei territori del Sahara Occidentale ancora in

possesso della Spagna.

Lo spirito con cui il makhzen di Hassan II fece propria l'ipotesi di un

“Grande Marocco” fu caratterizzato sin dall'inizio da presupposti

espansionistici sostanzialmente concilianti con le politiche neocoloniali

europee e il re seppe far convergere abilmente su questa rivendicazione tutti

i partiti d'opposizione che, sotto i colpi della repressione, si strinsero attorno

la monarchia.

Il mese di ottobre del 1975 fu cruciale per gli sviluppi della questione e

al tempo stesso, per la tenuta del regno perché in questo mese vennero

pubblicati il rapporto della missione ONU e il verdetto della Corte

Internazionale di Giustizia, interpellati ad esprimere il loro parere sullo

status futuro del territorio da decolonizzare. Nonostante i pareri

confermassero la prevalenza del diritto d'autodeterminazione sulla

possibilità di incorporazione con il regno alauita, il 16 ottobre 1975 il re

pronunciò in un discorso a Marrakech la volontà di effettuare una “Marcia

Verde” con cui 350.000 marocchini, armati solo del corano e di un

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ramoscello d'ulivo, erano pronti a ricongiungere il Marocco mediterraneo

con quello sahariano. Il ritiro dei volontari avvenne solo alla conclusione di

una serratissima serie di incontri fra Marocco, Mauritania e Spagna che

portò alla conclusione, il 14 novembre 1975, degli accordi di Madrid.

Hassan II potè così dichiarare che il dossier del Sahara Occidentale era

ufficialmente chiuso.

Ma la questione fu tutt'altro che risolta e con l'invasione del territorio da

parte delle truppe marocchine e mauritane, esplose la resistenza nazionalista

della popolazione Saharawi di cui il Fronte Polisario di El-Ouali Mustapha

Sayed ne era la massima espressione. A partire dal 1976, mentre le FAR

prendevano progressivamente il controllo delle principali città, il Marocco

cercò di offrire un'impressione di normalità nella gestione dell'assimilazione

delle nuove province ma il territorio era in guerra e le città erano

praticamente in stato d'assedio. Per pacificare la situazione le autorità

marocchine impiegarono il duplice registro dell'integrazione forzata e della

repressione perché solo attraverso una prassi politica di paura e terrore si

credeva possibile rompere i legami di solidarietà e sostegno che

collegavano le città alle azioni di guerriglia condotte dall'ALPS (Armée de

Libération Populaire Saharawi). Nonostante ciò, la situazione militare

volgeva completamente in favore della guerriglia saharawi e solo dopo

l'intervento indiretto degli USA, il Marocco riuscì ad emergere da questa

difficile situazione, sopratutto grazie alla costruzione di un muro di difesa

che divideva il paese secondo un asse nord-sud per un totale di 2700 km,

questo permise alle FAR di controllare il 65% del territorio.

La guerra costò al Marocco circa un milione di dollari al giorno e le

conseguenze sociali di un'economia di guerra furono catastrofiche

sopratutto per la popolazione più povera. Le tensioni sociali, economiche e

politiche emersero in un momento assai delicato per Hassan II, impegnato a

trovare una via di uscita onorevole dalla difficile guerra nel deserto. Il re era

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ben consapevole che dall'esito del conflitto dipendeva l'intera credibilità del

suo regno e pensò quindi che l'unica soluzione possibile fosse quella di

continuare a combattere nonostante i costi sempre più alti che una lunga

guerra di logoramento comportava. Il paese si ritrovò ai limiti della

bancarotta, e il re decise di perseverare sulla strada del liberalismo

economico, abbandonandosi completamente nelle mani del Fondo

Monetario Internazionale che nel settembre 1983 indicò le linee guida di un

rigido programma d'austerità economica. Nel corso di tutto il decennio,

l'agibilità dei partiti politici risentì molto delle scelte adottate dal sovrano,

esistevano infatti argomenti che non potevano essere oggetto di alcun

dibattito, e fra questi vi era sicuramente l'incontestabile marocchinità del

Sahara Occidentale.

Solo nel 1988 il conflitto entrò in una nuova fase caratterizzata dalla

sospensione delle azioni militari e dalla ricerca di una soluzione

diplomatica e internazionalmente riconosciuta che permettesse a Rabat di

cristallizzare lo status di occupazione. Le parti firmarono il 30 agosto una

proposta di regolamento e il cessate il fuoco, ma i negoziati rimasero sin da

subito paralizzati perché, nonostante gli sforzi propagandistici, il re era

consapevole che difficilmente avrebbe potuto ottenere un risultato positivo

da una consultazione elettorale che contemplasse l'autodeterminazione.

Così la politica che ne seguì fu quella di insistere sul possesso de facto del

territorio attraverso l'adozione di misure economiche, politiche oltre che

poliziesche. Fra il 1978 e il 1992 il governo marocchino ha investito nel

territorio del Sahara Occidentale più di un miliardo e mezzo di dollari in

infrastrutture civili e dal punto di vista dell'integrazione politica, nel 1997

venne approvata la nuova legge per l'organizzazione regionale con il

preciso scopo di far rientrare a tutti gli effetti le nuove province sahariane

all'interno del sistema amministrativo centrale. La nuova architettura

amministrativa fu fondamentale per comprendere l'accordo quadro proposto

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dall'ex segretario di Stato americano Baker nel 2001.

2.1 La conquista del Sahara Occidentale diventa causa nazionale

Agli inizi degli anni '70 l'imperativo, che si pose alla monarchia per

uscire da una posizione estremamente instabile, fu quello di ritrovare il

consenso fra la popolazione proponendosi come un soggetto politico capace

di dialogare con le forze di opposizione e allo stesso tempo riabilitare il

makhzen come strumento di nuove istanze e i bisogni sociali. Cominciò un

lento percorso di integrazione delle forze politiche decimate da anni di

durissima repressione; esse capirono la loro debolezza nei confronti del

palazzo ma anche i possibili vantaggi derivanti da una collaborazione per la

strutturazione delle istituzioni costituzionali sancite nel testo del 1972. Lo

scontro di vedute che si era prodotto nel decennio precedente aveva portato

alla paralisi il paese, i partiti pensavano che il clima di fervore nazionale

emerso nei primissimi anni di indipendenza potesse loro servire per arrivare

all'elezione di un'assemblea costituente e quindi prevalere sulle prospettive

del palazzo. Ma dopo anni di lotta intestina questo comportamento di

“secessione istituzionale” aveva evidenziato tutti i suoi limiti. Così la

posizione di aperto boicottaggio tenuta in occasione dell'approvazione del

testo del 1962, fu abbandonata per il referendum costituzionale del 1972.

Il Marocco cominciò così a muovere i primi timidi passi verso una nuova

fase costituzionale in cui la vita politica, che confermava la monarchia e il

makhzen al vertice decisionale, era inquadrata all'interno di principi e

regole prestabiliti che si imponevano al rispetto di tutti. Questo percorso di

riavvicinamento rischiò di rimanere sulla carta perché senza concedere

nuove aperture democratiche, lasciava irrisolte diverse questioni sollevate

nei decenni precedenti. La vera svolta che concretamente ha permesso

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questo passaggio è stata la questione dell'integrità nazionale e di una nuova

politica espansionista della monarchia verso i territori sahariani del sud

ancora sotto protettorato europeo, in particolare spagnolo72. Questa opzione

è servita come leva per instaurare una cultura e una prassi politica

dell'unanimismo73 attorno alla monarchia e contemporaneamente accelerare

il processo di nazionalizzazione della società.

I frutti di questa nuova fase politica di coesione e consenso sull'integrità

nazionale furono colti all'indomani dell'annuncio da parte della Spagna alle

Nazioni Unite del 21 agosto 1974 quando dichiarò la sua intenzione di

concedere al Sahara Occidentale (colonia ancora in suo possesso), un

referendum entro il primo semestre del 1975 che contemplasse la scelta fra

l'autodeterminazione del popolo saharawi e quella di uno statuto di

autonomia all'interno dell'amministrazione centrale spagnola. Indirizzandosi

direttamente alla nazione Hassan II proclamò la volontà della monarchia di

“riprendersi” i territori del sud ancora in mano al colonialismo europeo e di

rifiutare qualsiasi ipotesi spagnola che non prendesse in considerazione la

posizione marocchina di reintegro dei territori. Con questo intervento si

registra l'inizio di un nuovo risveglio dell'ardore nazionale cresciuto in

maniera più o meno latente negli anni precedenti quando il Makhzen seppe

mettere in campo tutte le sue forze che compresero sia l'aspetto politico e

massmediatico, ma anche quello religioso e tradizionale74.

Le rivendicazioni marocchine sul Sahara Occidentale emersero

l'indomani stesso dell'indipendenza. Fu il leader dell'Istiqlal, Allal el-Fassi,

appena tornato dal suo esilio egiziano a esporre per primo la tesi del

“Grande Marocco”75 un progetto ampio che comprendeva, oltre il Sahara

72 M. Rousset, “Maroc 1972-1992: une costitution immuable ou changeante?” , in Maghreb-Machrek, n. 137, 1992.

73 A. ben Mlih, “Le champ politique marocain entre tentatives de réformes et conservatorisme”, in Maghreb-Machrek, n. 173, 2001.

74 Per un'analisi della legittimità storico-tradizionale si consiglia B. Cubertafond, op. cit. pp 74-81 75 T. Hodges, op. cit. pp. 85-99.

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Spagnolo, anche parte del deserto algerino (le oasi di Saoura, Touat e

Gourara), tutta la Mauritania e il nord del Mali fino al confine meridionale

segnato dal corso del fiume Senegal. Dalle colonne del giornale Al-Alam il

27 marzo 1956 egli scrisse “finchè Tangeri non sarà liberata dal suo statuto

internazionale76, così come il deserto spagnolo nel sud e la parte di Sahara

fra da Tindouf a Atar e le frontiere algero-marocchine non saranno liberate

dalla loro amministrazione fiduciaria, la nostra indipendenza resterà

incompleta e il nostro primo dovere sarà quello di assumere un'azione per

liberare il paese ed unificarlo”.

All'inizio la sua posizione era isolata, ma con l'indipendenza e il clima di

entusiasmo diffuso che essa portò, la causa assunse un valore maggiore

perché idealizzando la gloria e le conquiste del Marocco di un tempo riuscì

a radunare diversi consensi nelle rivendicazioni anticoloniali. Così

76 Nel 1923 con lo “statuto di Tangeri” all'interno del “trattato di Fes” Tangeri fu messa sotto amministrazione congiunta delle maggiori potenze europee. Solo nell'ottobre del 1957 fu trasferita all'amministrazione marocchina.

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Fig.1.L'originale disegno del grande Marocco apparso sulle colonne di Al-Alam del 27/3/1956.Barbier, op cit, p 77.

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nell'agosto del 1956 anche il PDI (Parti Démocratique pour l'Independence)

nel suo congresso adottò una risoluzione che chiedeva la restituzione al

Marocco delle sue frontiere “storiche e naturali”. All'epoca Mohamed V

non era nella condizione adatta per forzare la mano con le potenze europee

che ancora possedevano quei territori, ma al tempo stesso non poteva

permettere al principale partito d’opposizione di superare la monarchia nel

fervore nazionalista durante il delicato periodo post-indipendenza, per cui

calcolò opportunamente come la dottrina del “grande Marocco” potesse

offrirgli dei vantaggi per rilanciare il suo prestigio. I calcoli monarchici si

rilevarono ben fondati perché in occasione dell'operazione Ouragan mentre

le potenze europee con il tacito consenso della monarchia poterono

permettersi di smantellare l'ALM che combatteva proprio per la liberazione

delle province del sud, Mohamed V si rivolse direttamente alla popolazione

il 25 febbraio 1958 promettendo “qualunque sforzo per recuperare il nostro

Sahara e qualunque altra cosa che, con l'evidenza della storia e la volontà

degli abitanti, appartiene di diritto al nostro regno”77. Con questa manovra

la monarchia riuscì a guadagnare terreno nei confronti del vecchio

movimento nazionale perché eliminando l'opposizione armata, riuscì ad

elevare la monarchia come l'unica forza politica legittimata ad assicurare

l'integrità del regno.

La tesi sostenuta dal re si fondava su diversi argomenti, sia di natura

geografica ed etnica, che di carattere storico e giuridico. I primi insistevano

sulla continuità geografica fra il Marocco e il Sahara che dal punto di vista

fisico era considerato un prolungamento naturale del sud marocchino.

All'interno di questa vasta porzione di deserto vivevano popolazioni con

un'organizzazione sociale ed uno stile di vita sostanzialmente uguale dettato

dalla loro condizione di nomadi che ignoravano le frontiere artificiali

tracciate dal colonialismo. Dal punto di vista storico e giuridico i

77 T. Hodges, op. cit., pp. 80.

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fondamenti di una continuità con il regno alauita si riscontrarono a partire

dal XII secolo quando il sultano inviò diverse spedizioni nella regione

esercitando una certa influenza politica nominando i propri caid che

riconoscevano a lui la loro fedeltà. Con la penetrazione degli eserciti

europei, questi legami furono rafforzati da diversi trattati internazionali e

documenti diplomatici, molti dei quali segreti (come l'accordo franco-

spagnolo del 27-11-1912 per la delimitazione dei possedimenti sahariani fra

i due paesi europei fissata al 27° parallelo che fa seguito all'accordo del

1908 fra la Spagna e il sultano per la definizione dei limiti della sovranità

marocchina sul Rio de Oro78).

Con la salita al trono di Hassan II la monarchia cominciò ad insistere sul

recupero dei territori in maniera più pragmatica, sopratutto il progressivo

delinearsi dell'assolutismo del giovane re ha permesso che, inizialmente, la

questione del “Grande Marocco” diventasse di competenza esclusiva della

monarchia. Fra i partiti politici l'entusiasmo maggiore per la rivendicazione

sulla Mauritania e sul deserto algerino venne dall'Istiqlal, il PCM, messo

fuori legge nel 1960 ma ancora in attività semi-clendestina, abbracciò l'idea

solo nella speranza di dimostrare le sue credenziali patriottiche, l'unica voce

discordante fu inizialmente quella del leader dell'UNFP, Ben Barka. Sin

dall'anno della sua fondazione il partito prese le distanze da questo progetto

perché lo considerava come un' “operazione di diversificazione e

camuffamento” rispetto i reali problemi del paese. Questa posizione si

radicalizzò durante la guerra di confine contro l'Algeria quando il leader il

16 ottobre 1963 dichiarò duramente che il conflitto rappresentava “un vero

tradimento non solo della rivoluzione algerina ancora in corso, ma più in

78 Queste motivazioni sono alla base del ricorso marocchino alla Corte di Giustizia Internazionale (ICJ) del 1975. cfr. P. Dessens, Le litige du Sahara Occidentale: de l'autodetermination à la solution negociée 1974-1976, in Maghreb-Machrek n. 76, pp. 29-55. L'analisi storica diffusa dagli organi ufficiali di stampa marocchini è reperibile sul sito: http://autonomyplan.org/index.php?option=com_content&task=view&id=10&Itemid=25

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generale per l'intera rivoluzione araba per la libertà il socialismo e l'unione

per l'intero mondo dei movimenti di liberazione nazionali”.79 Inoltre, in

riguardo agli interessi sulla Mauritania, ufficialmente indipendente nel 1960

ma non ancora riconosciuta dal Marocco, la posizione più volte ribadita dal

partito fu quella di un appoggio incondizionato al principio di indipendenza

e autodeterminazione del popolo mauritano. Tali posizioni non ebbero

molto spazio e dovettero scontrarsi con la repressione del 16 giugno 1963

che la monarchia scatenò nei confronti dell'UNFP paralizzando l'agibilità

politica del partito.

Con l'evolversi di una difficile situazione interna, la monarchia fu spinta

a ricercare consenso e legittimazione a livello internazionale. Il re

programmò un incontro con il dittatore spagnolo Franco che si tenne il 6

luglio 1964 all'aeroporto Barajas di Madrid. Non emerse nessun dettaglio su

questo primo incontro ufficiale fra i due capi di stato, ma solo un

comunicato congiunto in cui entrambe le parti si sarebbero impegnate per

“studiare tutti i problemi di mutuo interesse per trovare delle soluzioni che

possano servire come base per futuri accordi”. Questo incontro ebbe

importanti risvolti nelle relazioni fra i due paesi tanto che si può parlare di

“spirito di Barajas” per indicare un clima di sostanziale collaborazione

ideologica che va ben al di la della questione del Sahara Occidentale80.

Infatti, sul finire degli anni '60, Hassan II capì che le rivendicazioni

sull'Algeria e la Mauritania contenute nell'iniziale progetto del Grande

Marocco erano utopiche e costituivano un ostacolo per i potenziali benefici

che una cooperazione regionale poteva offrire sull'unica rivendicazione che

79 M. Ben Barka, op. cit.80 “Noi spagnoli non dimenticheremo mai l'aiuto che numerosi amici marocchini hanno dato nella

lotta contro il comunismo e sono sicuro che dall'altra parte, numerosi marocchini ricorderanno il comportamento dei caudillo spagnoli in certi momenti difficili della storia recente marocchina” sono queste le parole con cui Manuel Fraga Iribarne, ministro dell'informazione spagnola, pronunciò a Rabat l'11 luglio 1964 per confermare l'aiuto spagnolo nella durissima repressione di Hassan II verso le forze d'opposizione che porterà all'estradizione spagnola di due militanti dell'UNFP.

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ancora era possibile raggiungere: il Sahara Occidentale.

Con il ridimensionamento dell'iniziale progetto del grande Marocco, la

Francia aumentò il sostegno al re, riconoscendo in lui un utile alleato in

grado di garantire la stabilità dei suoi interessi nel nord Africa ed evitare

così che nel processo di decolonizzazione del Sahara Occidentale potesse

prendere il sopravvento l'idea di un grande Maghreb “democratico e

progressista, prima di tutto integrato economicamente e poi politicamente”

supportato da diverse forze. Ma il fronte dell'opposizione su questo

argomento sembrò essere ambiguo e disgregato e questa debolezza giocò a

favore di Hassan II che in questo modo riuscì a prendere la testa delle

rivendicazioni nazionaliste e presentarsi come simbolo dell'unità nazionale

in grado di radunare il consenso delle masse81. Le forze d'opposizione si

trovarono così imbrigliate di fronte l'aut-aut imposto dalla monarchia che

sotto i colpi di una dura repressione “accompagnava” la scelta dei partiti ad

accettare l'annessione del Sahara Occidentale nei modi e tempi stabiliti

dalla monarchia. Opporsi o semplicemente criticare l'impostazione decisa

dal Makhzen avrebbe significato implicitamente andare contro l'unità

nazionale e gli interessi del paese.

La questione del Sahara diventa progressivamente causa nazionale e i

partiti capirono l'importanza di stringersi attorno la monarchia. Ma questo

passaggio non fu vissuto da tutti in maniera uguale. A farne le spese

maggiori fu proprio il principale partito dell'opposizione, l'UNFP che già

nel 1972 vide emergere le evidenti contrapposizioni interne fra la fazione di

Casablanca, dominata dall'area sindacale legata all'UMT e quella di Rabat

che raccoglieva attorno a sé l'adesione dei giovani intellettuali di stampo più

partitico. Il 30 luglio 1972, la Commissione Amministrativa dell'UNFP

rompe con la direzione burocratica dell'Unione Marocaine du Travail, che

secondo il leader Abderrahim Bouabid, voleva imporre l'inerzia al partito:

81 C. Vallée, “Le litige du Sahara Occidental”, in Maghreb Machrek, n. 76.

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“alla fine è ormai evidente che la nostra concezione di partito e della lotta

non può più convergere con loro. Essi si rifiutano che nuovi militanti della

base del partito accedano a posti di responsabilità. Si rifiutano di accogliere

le critiche. I militanti del nostro partito [...] vogliono che esso sia un partito

che continui la lotta per la liberazione, la democrazia e il socialismo”82. Il

Comitato Centrale del partito, ormai avviato a cambiare politica, l'8 ottobre

a Casablanca reclama “la messa in opera di un piano nazionale per la

liberazione del Sahara marocchino e di Ceuta e Melilla”. È il punto di

svolta che il re si aspettava, infatti dopo questo intervento Hassan II

convoca Bouabid per un faccia a faccia il 4 gennaio 1974. Al termine di

questo incontro diversi militanti dell'UNFP che erano stati arrestati senza

prove certe l'anno precedente83 furono liberati, parallelamente il partito si

impegnò a sostenere la causa di reintegro dei territori a livello

internazionale presso le segreterie dei partiti socialisti esteri. Questa svolta

che in definitiva sanciva la collaborazione fra il partito e Palazzo fu

duramente criticata da una fazione minoritaria, così fra il 30 novembre e il 1

dicembre 1974 il terzo congresso generale dell'UNFP consacrò la scissione

del 1972 che portò alla formazione il 12 gennaio 1975 dell'USFP (Union

Socialiste Forces Populaire) con Bouabid primo segretario. Sempre

all'interno di questo clima di riconciliazione nazionale si inserisce

l'autorizzazione del 27 agosto 1974 per la ricomposizione del disciolto

partito comunista sotto il nome di PPS (Parti du Progrées e du Socialisme).

Solo il movimento marxista-leninista, rimasto fedele ai principi

dell'internazionalismo, si schierò per l'autodeterminazione del popolo

Saharawi infrangendo la linea di demarcazione che il Palazzo aveva

tracciato ma pagando un prezzo molto alto, infatti il leader Abrham Serfaty

82 Discorsi ufficiali e biografia di A. Bouabid reperibili sul sito internet http://www.usfp.ma83 Il 2 aprile 1973 la sezione del partito di Rabat fu ufficialmente messa al bando e diverse

centinaia di militanti furono arrestati in maniera sommaria a seguito di un attacco armato durante la festa del trono condotto da forze rivoluzionarie riconducibili a Mohammed Basri, provenienti dal medio e alto Atlante.

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fu catturato dopo due anni di clandestinità insieme a numerosi studenti

appartenenti al movimento. In un clima di rinnovata unitarietà, il re

convocò il 16 luglio 1974 una conferenza per programmare un calendario di

incontri diplomatici presso le maggiori capitali del mondo. Il re richiese ai

leader intervenuti di intraprendere delle missioni diplomatiche per

affermare il punto di vista marocchino sul problema del Sahara Occidentale

presso i governi e i partiti esteri84. Con il consenso delle principali

formazioni dell'opposizione, si aprì una nuova fase politica nel Marocco che

poteva contare in un nuovo rapporto fra monarchia e partiti per dare vita

alle istituzioni contenute nella costituzione del 1972 e così nel suo discorso

ufficiale durante la festa del trono del 3 marzo 1975, il re annuncia

l'intenzione di nuove elezioni legislative per l'ottobre dello stesso anno85,

passaggio fondamentale che lasciò presagire le future intenzioni di

conquista del Makhzen sul Sahara Occidentale.

Il Marocco non era il solo paese a rivendicare quel territorio, anche la

Mauritania manifestò i suoi interessi anche se in maniera più moderata e

con motivazioni meno convincenti rispetto a Rabat. Fra tutti i paesi

confinanti, solo l'Algeria non dimostrò mai un particolare interesse verso

nuove acquisizioni territoriali, ma fu ugualmente interessata alla

decolonizzazione soprattutto per limitare l'egemonia del Marocco nella

regione, non solo territoriale ma anche ideologica infatti la lunga rivalità fra

i due paesi è sopratutto ascrivibile allo scontro fra il regime marocchino

fondato sulla monarchia e il liberalismo economico e quello algerino,

repubblicano e socialista. Questi conflitti fra i tre paesi direttamente

interessati alla decolonizzazione del Sahara Occidentale hanno permesso

84 Alla conferenza parteciparono oltre al premier Ahmed Osman e diversi ministri, anche sei leader dei partiti politici: A.Bouabid (USFP), Ali Yata (PPS) M'hammed Boucetta (Istiqlal) Mahjoubi Aherdan (MP) e Abdelkrim Khatib (Mouvement Populaire Démocratique et Costitutionel).

85 P. Vermeren, Histoire du Maroc depuis l'indépendence, Ed. La Décuverte, Paris, 2002 pp. 68-72.

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che il problema della decolonizzazione passasse in secondo piano lasciando

che la Spagna, potenza amministratrice, rimanesse nel territorio senza

incontrare serie difficoltà. Infatti Madrid fino al 1970 ha giocato abilmente

fra le contraddizioni di Marocco e Mauritania attraverso una politica

bilaterale con ognuno dei due paesi, senza concedere niente alle loro

rivendicazioni. Allo stesso tempo ha resistito alle pressioni internazionali

dell'ONU perché accettando il principio di autodeterminazione, poneva il

problema della decolonizzazione di fronte ad una duplice alternativa dallo

stesso risultato: creare un piccolo stato autonomo o indipendente sotto

l'influenza dell'ex potenza amministratrice che potrà continuare a

controllare per sfruttare le sue risorse economiche, in linea con le politiche

neocoloniali europee86.

Quando Hassan II annunciò il 20 agosto 1974 alla televisione

marocchina la decisione formale della Spagna di concedere il referendum

d'autodeterminazione al Sahara Occidentale (come auspicato sin dal 1964

dal Comitato per la decolonizzazione dell'ONU in conformità con la

risoluzione dell'Assemblea 1514-XV), fu audace nel condannarlo,

affermando che il Marocco non avrebbe esitato a ricorre alla forza se

Madrid avesse provato a costituire uno stato “fantoccio” nel Sahara.

Sostenuto da un forte patriottismo all'interno, fu il re a dettare i tempi della

politica e insisteva coinvolgendo tutti gli strumenti di cui disponeva. Fu

rinnovata la be٬ya87, il tradizionale atto di fedeltà al trono, con cui alcuni

capi tribù delle province del Sud si sottoponevano all'autorità del regno,

contemporaneamente la televisione, la radio e i giornali filogovernativi

continuavano ad inondare il paese con un mare di propaganda che

descriveva il re come l'artefice e il comandante della nuova campagna del

86 M. Barbier, le conflit du Sahara Occidental, L'Harmattan, Parigi, 1982.87 Per un'analisi del concetto di Beyaa e la sua riabilitazione come elemento costitutivo del potere

politico si rimanda a M. Tozy, Monarchie et Islam politique au Maroc, Ed. Press de la fondation nationale de Science Politiques, 1999, pp 75-81.

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paese per la riunificazione con le sue province del sud. La situazione

divenne sempre più critica perché, nonostante Franco versasse in precarie

condizioni di salute, la Spagna si rifiutò di tornare indietro sui suoi passi,

così come fu impensabile sperare ad un ripensamento del re marocchino

perché questo avrebbe significato un tradimento delle aspettative del

popolo e quindi il ritorno del paese ad un periodo di instabilità e crisi

profonda. Si imponeva alla monarchia l'esigenza di prendere tempo per

impedire lo svolgimento del referendum senza tuttavia arrivare ad una

guerra aperta contemplata nella retorica di guerra del re, ma di fatto

scongiurata da entrambe le parti.

Nel mese di settembre del 1974, l'Assemblea Generale dell'ONU

esaminò nuovamente il problema e il 27 marzo 1975 chiese al Comitato di

decolonizzazione di inviare una missione esplorativa -Risoluzione 3292

(XXIX)- nel Sahara e presso le parti interessate con il compito di

raccogliere informazioni sulle differenti posizioni espresse, al fine di

suggerire delle proposte per la risoluzione del problema. La missione fu

composta da tre rappresentanti degli stati del “Terzo mondo” (Iran, Cuba e

Costa d'Avorio) per confermarne il carattere di imparzialità, e da nove

funzionari del segretariato ONU. Il viaggio durò cinque settimane, dall'8

maggio al 14 giugno e durante questo periodo la missione ebbe l'occasione

di visitare la Spagna, il Marocco, l'Algeria, la Mauritania e il Sahara

Occidentale. Il suo rapporto fu pubblicato molto più tardi, nell'ottobre 1975

perché era nelle intenzioni dei rappresentanti non voler interferire sul

giudizio che la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) era chiamata ad

esprimere. Infatti nel dicembre 1974 su pressione del Marocco che voleva

ritardare l'applicazione del referendum, l'Assemblea Generale adottò una

risoluzione -3282(XXIX)- in cui domandava alla Corte de L'Aia di fornire

un avviso consultivo su le seguenti questioni88: “ 1) Il Sahara Occidentale

88 M. Galeazzi, La questione del Sahara Occidentale: profilo storico e documentazione,

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(Rio de Oro e Sanguiet el Hamra) era, al momento della colonizzazione

spagnola, un territorio senza sovranità (terra nullius)? 2) In caso di risposta

negativa alla prima questione, quali erano i legami giuridici di questo

territorio con il Regno del Marocco e l'Insieme mauritano?”.

Il mese di ottobre del 1975, fu cruciale per gli sviluppi della questione e

al tempo stesso, per la tenuta del regno marocchino. Il 14 ottobre, la

Missione pubblicò il suo rapporto finale in cui si riscontrava la volontà

comune di tutte le parti interessate di arrivare alla decolonizzazione

completa ma anche profonde divergenze per quanto riguardava la modalità

e lo status finale del territorio. Ma il dato importante che risaltò nelle

conclusioni dell'inchiesta fu che la quasi totalità della popolazione locale

incontrata si pronunciò categoricamente a favore dell'indipendenza e contro

le rivendicazioni territoriali di Marocco e Mauritania, cioè la posizione

sostenuta dal Fronte Polisario che fino all'arrivo della missione era

considerato un movimento clandestino e minoritario, ma che nel rapporto

venne descritto come “la forza politica dominante nel territorio”89.

Il giorno dopo, il 15 ottobre 1975, fu pubblicato il verdetto della Corte di

Giustizia. Un verdetto contraddittorio, ma tuttavia inequivocabile nella

soluzione. Si dichiarava che, al momento della colonizzazione spagnola,

esistevano delle linee giuridiche di vassallaggio fra il sultano del Marocco

ed alcune tribù del Sahara occidentale, che comprendevano anche certi

diritti relativi al territorio. Tuttavia non esisteva alcun legame di sovranità

territoriale di natura tale da poter modificare l'applicazione della risoluzione

1514(XV) dell'Assemblea Generale e in particolare l'applicazione del

principio di autodeterminazione che presuppone la libera e autentica

espressione della volontà della popolazione del territorio.90

Fondazione Internazionale Lelio Basso, Roma, 1985.89 Per un'analisi completa del rapporto della Missione ONU: M. Barbier, Le conflit du Sahara

Occidental,L'Harmattan, Parigi, 1982, pp 117-131. 90 “Il parere della Corte internazionale sulla decolonizzazione del Sahara Spagnolo”, Relazioni

Internazionali, n. 45, Novembre 1975, p. 1088.

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Anche se i risultati di entrambe le inchieste vanno inequivocabilmente a

confermare l'applicazione del diritto d'autodeterminazione, Marocco e

Mauritania non esitarono ad esprimere la loro soddisfazione sulla base di

un'interpretazione più favorevole alla loro posizione ma che tuttavia

distorceva profondamente il senso dei verdetti. Il 16 ottobre 1975 il re

pronunciò un discorso a Marrakech di fronte a tutta la nazione,

infiammando il popolo accorso in massa in un tripudio di esaltazione

nazionalista: “il nostro diritto è stato riconosciuto e la Corte Internazionale

di Giustizia ha risposto che il Sahara non è mai stato terra nullius prima

dell'occupazione spagnola. Essa ha riconosciuto l'esistenza di legami

giuridici di sovranità e di fedeltà fra i re del Marocco e le popolazioni del

Sahara. [...] non ci resta quindi che occupare il nostro territorio [...] e

intraprendere una marcia pacifica dal nord, dall'est, dall'ovest verso sud.

350.000 persone parteciperanno [...] e saremo disarmati perché non è nostra

intenzione fare la guerra alla Spagna”. È la “Marcia Verde” chiamata così

in riferimento al colore sacro dell'Islam a cui i 350.000 marocchini

parteciparono armati solo del corano e di un ramoscello d'ulivo, pronti a

ricongiungere “il Marocco mediterraneo con il Marocco sahariano”91.

La composizione della marcia fu volontariamente variegata, ad essa

parteciparono studenti, contadini, ministri, intellettuali scelti accuratamente

dal Makhzen e suddivisi in 7.813 camion da trasporto che dovevano

assicurare anche le provvigioni necessarie al sostentamento nel deserto,

nonché 220 autoambulanze, 470 medici e personale sanitario. La prontezza

organizzativa messa in campo in così breve tempo, lasciava intendere che il

re era ben consapevole del risultato negativo che la Corte di Giustizia stava

per emettere e che quindi già da tempo preparava la contromossa per

aumentare le pressioni verso la Spagna e costringerla ad arrivare ad accordi

91 Estratto del discorso ufficiale di Hassan II in A. Gaudio, Guerres et paix au Maroc, reportages 1950-1990, Ed. Karthala, Paris, 1991, pp 236-241.

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bilaterali, senza tuttavia dare inizio ad una nuova avventura militare di cui

non si potevano prevedere tutte le conseguenze interne e internazionali. Al

tempo stesso era sicuro che tale opzione potesse rassicurare i partiti

d'opposizione che in una nota congiunta il 13 settembre 1975 avevano

espresso l'unanimità nazionale sul problema della liberazione dei territori,

confermata in un memorandum comune dell'USFP e dell'Istiqlal con cui

domandavano che fossero prese “tutte le misure necessarie per affrontare la

situazione tenendo in considerazione le potenzialità popolari e la volontà

delle forze nazionali per ingaggiare una guerra di liberazione contro il

nemico”.

Al di là dell'enfasi retorica e dell'esaltazione del “Makhzen provveditore”

nella propaganda ufficiale, è necessario sottolineare alcune caratteristiche

sul valore simbolico e sui dispositivi di controllo sociale che si

riscontrarono nella Marcia Verde. La maggior parte dei partecipanti

proveniva da una condizione di estrema povertà, molti infatti erano

contadini stagionali disoccupati provenienti dalle zone rurali del paese

oppure giovani disoccupati delle città. Ad essi venivano offerte razioni di

cibo e sigarette e si può anche concludere che per molti, queste condizioni

di vita erano migliori di quelle che avevano lasciato a casa. I “volontari”

venivano reclutati rispetto a quote provinciali e in base a considerazioni

politiche e logistiche che riflettevano il loro grado di fedeltà al caid locale,

tutti gli esclusi erano potenziali nemici il che rafforzò il carattere

controllore del Makhzen. Per questo motivo le città erano sistematicamente

sottorappresentate. Circa 43.500, il 12.5% del totale, erano ufficiali

dell'esercito e le linee del cammino della marcia erano state pianificate dallo

Stato Maggiore delle FAR, in particolare l'artefice dell'operazione fu il

generale Dlimi, che aveva il comando delle operazioni nel Sud sin dalla

scomparsa di Oufkir. Il re, amir al mu'min, riuscì ad accrescere la sua

influenza perché presentò la marcia come una “crociata” dal valore sacro,

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infatti i partecipanti venivano incoraggiati a considerarsi come dei

mujahidin che armati del solo di Corano, avevano il compito di partecipare

alla marcia sacra e nazionale per scacciare i residui del colonialismo dal

suolo marocchino92.

La marcia riuscì nel suo scopo. Infatti l'ONU non espresse altro che

superficiali parole di condanna e Madrid alla fine cedette alle pressioni di

Rabat riuscendo, in una certa maniera, a preservare i suoi interessi sull'area.

Infatti il ritiro dei volontari marocchini, partiti il 6 novembre 1975 avvenne

solo alla conclusione di una serratissima serie di incontri fra Marocco,

Mauritania e Spagna che portò alla conclusione degli accordi segreti di

Madrid del 14 novembre. In essi fu esplicitamente sancita la data del ritiro

delle truppe spagnole (28 febbraio 1976) e l'istituzione di

un'amministrazione provvisoria nel territorio che comprendesse la

partecipazione di Marocco, Mauritania e la collaborazione dell'assemblea

locale (Djemaa), autorità considerata dai tre paesi occupanti come unico

organo autentico a rappresentare l'opinione della popolazione.

Non sembrò che la ritirata della Spagna avesse avuto il significato della

sconfitta, anzi sembrò invece far parte di un piano congegnato di concerto

che ha la sua ragione nelle alleanze e negli interessi economici che si

intersecano fra gli Stati della regione e gli Stati Uniti infatti, sotto la

protezione di quest'ultimi che incoraggiavano l'accordo e

contemporaneamente paralizzavano l'ONU, fu più facile raggiungere

un'intesa fra Spagna e Marocco. In gioco non ci furono soltanto il controllo

delle miniere di fosfati che avrebbero permesso al Marocco di ottenere il

quasi monopolio sulle esportazioni del minerale, ma anche l'assetto

dell'Africa nord-occidentale sotto l'influenza atlantica. Nell'interesse di

Europa e Stati Uniti l'aspetto importante fu di evitare in tutti i modi che il

92 M. Barbier, Le conflit du Sahara Occidental, L'Harmattan, Parigi, 1982 pp 210-228.

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Sahara cadesse nell'orbita dei regimi rivoluzionari93.

Il 25 novembre Hassan II convocò una conferenza stampa annunciando

che il “dossier” del Sahara Occidentale era chiuso ma nonostante le

complicità internazionali ed un nuovo rinnovato consenso interno attorno ad

Hassan II, la questione del Sahara Occidentale fu tutt'altro che risolta anzi,

con gli accordi di Madrid e l'invasione del territorio delle truppe

marocchine e mauritane, esplose la resistenza della popolazione Saharawi

con il supporto internazionale soprattutto dell’Algeria che non riconosceva

la validità dell’accordo tripartito.

93 F. Tana, “Rabat-Madrid. Intesa per il Sahara?”, Relazioni Internazionali, n. 46/51, Novembre 1975.

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2.2 Dai movimenti di resistenza anticoloniale al nazionalismo

Saharawi.

Il territorio abitualmente chiamato Sahara Occidentale comprende una

vasta porzione (circa 266.000 km2) di deserto nel nord-ovest dell'Africa. Il

lungo confine occidentale di 1.062 km è costituito dall'oceano Atlantico,

unica frontiera naturale, mentre il resto del paese è circondato dal Marocco

a nord e dalle Mauritania a sud e ad est, salvo una piccola porzione di 30

km di frontiera con l'Algeria presso la zona di Tindouf. Il paese è diviso

in due regioni, a nord il Sanguiet el Hamra (circa 82.000 km2) così

chiamato (fiume rosso) in ragione del colore delle sponde argillose

dell'Oued che attraversa la zona per circa 400 km. L'Oued Sanguiet el

Hamra è un fiume con un regime idrologico irregolare che per molti

periodi dell'anno scompare sotto terra mentre nel periodo autunnale si

verificano spesso piene brevi ma violente. La presenza del corso d'acqua

fa si che le rive siano particolarmente fertili e propizie per l'agricoltura;

completamente l'opposto della zona nord orientale della regione che è

invece occupata dal deserto calcareo dell'Hammada, fra i più inospitali al

mondo. La regione centro-meridionale è invece chiamata Rio de Oro

(circa 184.000 km2) ed è formata prevalentemente da monotone pianure di

sabbia spesso intervallate da sinuose dune non troppo alte. La sua

principale composizione desertica non ha impedito che, nel corso della

storia, questa regione diventasse terreno privilegiato per gli scambi fra

l'Africa sub-sahariana e il Mediterraneo, sopratutto dopo l'espansione

araba verso l'Africa cominciata nell'VIII secolo. Prima del loro arrivo, già

erano presenti nel Sahara Occidentale popolazioni berbere provenienti dal

nord e altre provenienti dall'Africa sub-sahariana e l'incontro, spesso

conflittuale, fra queste tre culture ha prodotto una popolazione

relativamente diversificata e una struttura sociale gerarchica conservata

fino all'inizio del 1970. Malgrado la loro diversità, le circa venti tribù

saharawi formavano un insieme omogeneo con abitudini sociali e culturali

simili su un territorio specifico e una lingua (il dialetto arabo hassania)

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identica, quando nel 1884 il Sahara Occidentale divenne formalmente una

colonia spagnola94.

Il 1884 è una data estremamente importante per l'Africa perché con la

conferenza di Berlino avvenne il passaggio da una politica europea di

“influenza” a livello di regione al concetto moderno di “frontiera”95,

introducendo la fisionomia dello Stato e della sovranità con la

sovrapposizione dell'ordine politico di carattere geografico

all'organizzazione politica umana. Il colonialismo era infatti esercizio di

sovranità su un territorio oltremare e cioè la trasformazione istituzionale e

sociale di un territorio mediante cui includere aree esterne all'economia

mondiale capitalista applicando i metodi organizzativi, i sistemi educativi

e i codici di valori che esistevano in Europa. L'Africa occidentale

sahariana era zona di influenza francese, ma con la conferenza di Berlino

la Spagna si fece riconoscere i “propri diritti” sul Sahara Occidentale, così

i due paesi cominciarono a regolare fra loro i rispettivi possedimenti

conferendo la forma attuale a quello stato chiamato Sahara spagnolo96.

La colonizzazione spagnola avvenne inizialmente in maniera prudente,

accontentandosi di controllare la costa per proteggere gli interessi

economici privati della pesca e del commercio. Solo a partire dal 1934

l'esercito spagnolo iniziò l'occupazione militare del territorio, dopo le

pressioni della Francia che intendeva pacificare il sud marocchino e le

frontiere algero-marocchine, che sfuggivano ancora al suo controllo dopo

le prime azioni di resistenza in chiave anticoloniale97. Intorno agli anni

'60-'70, molto in ritardo rispetto gli altri paesi europei, emersero in

94 M. Barbier, op. cit.95 F. Correale, Sahara Occidentale: un referendum per il nuovo millennio?, Afriche e Orienti, N

°2 , 1999.96 Il trattato di Parigi del giugno 1900 fissa le frontiere meridionali ed orientali del Rio de Oro,

la convenzione di Parigi dell'ottobre 1904 la frontiera settentrionale comprendendovi il Sanguiat al Hamra e la zona di Tarfaya, fino all'oued Draa, la convenzione di Madrid del novembre 1912 ribadisce queste frontiere e fissa i limiti dell'enclave di Ifni..

97 È il caso dell'azione condotta dal leader religioso cheik Ma el Ainin che, originario della Mauritania, si stabilisce nel Sanguiat el Hamrea fondandovi Smara e facendola diventare centro politico e religioso della resistenza anticoloniale. In un primo momento riesce a coinvolgere anche il sultano marocchino nella lotta ai francesi, ma più tardi quest'ultimo sceglierà la strada della collaborazione con la potenza coloniale. La resistenza tuttavia continua fino al 1910 quando l'esercito di Ma el Ainin si ritirò. L'eredità fu raccolta dal figlio El Hiba e fra il 1924 e il 1932 la resistenza riuscì ad riorganizzarsi e a condurre diverse azioni di guerriglia contro le truppe francesi. Sotto questi colpi la Francia farà pressione alla Spagna per una presenza più attiva nel territorio assegnatole.

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maniera evidente le contraddizioni derivanti dalla trasformazione

economica, politica e sociale del territorio. A partire dal 1958 la Spagna

cominciò la politica di provincializzazione98 e nel 1967 il governo

spagnolo creò attraverso decreto, un'assemblea generale o Djemaa nel

Sahara Occidentale come organo rappresentante tutti i Saharawi. In realtà

la creazione di questo organo deve essere considerata come la risposta

spagnola alle pressioni dell'ONU che incalzava per l'applicazione del

diritto d'autodeterminazione, la Djemma infatti veniva presentata come il

principale organo rappresentativo della popolazione locale ma in realtà era

composta da notabili cooptati e assoggettati alle autorità spagnole che

dovevano svolgere il ruolo di cerniera nel passaggio di poteri e assicurare

la protezione degli interessi economici anche nel periodo post-

indipendenza.

Nel 1962 vennero scoperte le potenzialità economiche delle miniere di

fosfati di Bou Craa, uno dei giacimenti più grandi del mondo, così negli

anni seguenti cominciò il loro sfruttamento attraverso l' ENMINSA

(Enpresa Nacional Minera del Sahara) controllata completamente da

capitali stranieri (americani e inglesi oltre che spagnoli). Con il delinearsi

progressivo della modifica degli assetti produttivi ed organizzativi della

società precoloniale, il colonialismo ha prodotto un'élite nazionale ed una

classe operaia che, inspirati dai movimenti di emancipazione dei popoli

del terzo mondo, cominciarono a rivolgersi contro il colonialismo stesso

per abbatterlo. Inoltre la tardiva penetrazione dei meccanismi di

organizzazione sociale ed economica capitalista del colonialismo spagnolo

ha permesso che venissero rafforzate le rivendicazioni “storiche”

incrociate di Marocco e Mauritania sul territorio. Questo aspetto ha

pesantemente influito nella nascita del nazionalismo nel Sahara

Occidentale che emerge quindi in una situazione coloniale gestita dalla

98 La legge del 19 aprile 1961 fissò l'organizzazione giuridica della provincia del Sahara creata il 10 gennaio 1958. Essa prevedeva la dipendenza del territorio dalla presidenza del governo, che sarà rappresentato alla Cortés e dotato di un organismo d'amministrazione locale comprendente un consiglio provinciale e due municipalità. Il governo spagnolo sarà rappresentato nel Sahara da un governatore generale, scelto fra i militari e comandante dell'esercito. Egli avrà il compito di far eseguire le leggi, di controllare i servizi pubblici e assicurare la sicurezza l'ordine pubblico (legge del 29 novembre 1962).

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Spagna, ma non è diretto contro di essa che lasciò mano libera

all'occupazione de facto marocchina.

Si possono distinguere due fasi diverse nello sviluppo dei movimenti di

resistenza nel Sahara Occidentale. La prima durò fino al 1968, quando

molti saharawi presero parte al più generale movimento transfrontaliero di

lotta anticoloniale raccogliendo l'appello all'insurrezione dell'esercito di

liberazione marocchino, senza che però vi fosse associata la specificità

nazionale; la seconda coincide invece con l'affermarsi dell'organizzazione

capitalista e delle rivendicazioni del Makhzen e porta alla nascita del

movimento nazionalista che ha la sua massima rappresentatività nel Fronte

Polisario.

Fra il 1956 e il 1958 molti saharawi parteciparono alle azioni dell'ALM

ispirate dalla vittoriosa lotta per l'indipendenza marocchina contro gli

europei ma sebbene i comandanti dell'esercito di liberazione erano tutti

marocchini molti militanti saharawi non aderirono perché ispirati da una

forte coscienza nazionale marocchina. Infatti fu la Djemma tradizionale ad

autorizzare il supporto della frazione saharawi alle azioni di guerriglia e

sebbene alcuni abbracciassero l'idea di diventare parte di un Marocco

indipendente all'interno del contesto rivoluzionario del grande Maghreb

per la libertà e il socialismo, altri parteciparono perché vedevano in questa

guerra semplicemente la riproposizione di quelle azioni anticoloniali

condotte fino al 1934. L'operazione Ouragan effettuata dalle truppe

francesi e spagnole con il supporto delle FAR, distrusse definitivamente

l'operatività dell'ALM così come quella della frazione saharawi che

partecipò alle azioni, ma questo primo insuccesso fece anche maturare la

necessità di una maggiore chiarezza sugli obiettivi e sui mezzi della

liberazione, così a dieci anni di distanza da quelle azioni, si formò un

primo nucleo nazionalista.

La leadership del nuovo movimento anticoloniale che nacque sul finire

degli anni '60, matura in un background profondamente differente da

quello che aveva guidato la popolazione nomade saharawi nelle azioni di

guerriglia del '56-'58. Infatti, negli anni successivi l'operazione militare, la

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politica di Madrid fu dettata dalla necessità di stabilizzare il territorio per

permettere lo sfruttamento dei fosfati di Bou Craa. Questo avvenne

sopratutto attraverso una forte politica di sedentarizzazione favorita anche

dalla grande siccità che nel '68-'73 distrusse completamente l'economia

tradizionale obbligando la maggioranza della popolazione a trasferirsi nei

centri urbani, abbandonando la vita nomade. Contemporaneamente emerse

un primo gruppo di intellettuali che, studiando all'estero, ebbe la

possibilità di entrare in contatto con le esperienze vittoriose delle lotte di

emancipazione dei movimenti terzomondisti.

È il caso di Mohamed Bassiri, un giovane saharawi nato fra il 1942-44 a

Tan Tan. Da giovane frequentò il liceo di Casablanca in Marocco e dopo il

diploma proseguì gli studi nelle università del Cairo e di Damasco, dove la

sua formazione fu fortemente influenzata dall'ideale pan-arabo del partito

Bath. Raggiunta la laurea nel 1966 ritornò in Marocco dove fondò il

giornale Al-Chihab, ma la sua permanenza a Rabat fu solo temporanea

perchè l'anno successivo ottenne l'autorizzazione dagli spagnoli per un

permesso di residenza nel Sahara Occidentale, dove lavorò come

insegnante religioso nella moschea di Smara. Grazie alla sua influenza,

riuscì a radunare attorno a sé un primo nucleo di militanti che andò a

costituire nel 1968 il Movimento per la Liberazione del Sahara ( Harakat

Tahrir o MLS) strutturato su tre obiettivi principali: autonomia interna,

accordo col governo spagnolo per fissare un tempo limite per la

proclamazione dell'indipendenza e per il ritiro delle truppe e fine dello

sfruttamento delle risorse minerarie senza un’equa redistribuzione fra la

popolazione99. Nel 1970 le autorità coloniali annunciarono l'intenzione di

organizzare nella capitale Layounne una manifestazione di appoggio

all'assimilazione del territorio, l'MLS reputò questa l'occasione giusta per

uscire dalla clandestinità e organizzare una contro-manifestazione nel

quartiere periferico di Zemla per presentare un memorandum delle

rivendicazioni alle autorità spagnole. Fin dalla mattina del 17 giugno fu

99 Le rivendicazioni sono contenute all'interno di un'intervista rilasciata da alcuni leader dell’ MLS in esilio in Algeria nel gennaio 1971 sul giornale La République op. cit. in T.Hodges, Western Sahara. The Roots of a Desert War, Ed Lawrence Hill & Company, Westport, Conneticut, 1983, pp 149-156.

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evidente che la maggioranza della popolazione era schierata a fianco del

movimento di liberazione, ma il generale José Marìa Pérez de Lama si

rifiutò di ricevere il memorandum e incontrare i rappresentanti del

movimento. Nel pomeriggio sessanta squadre della polizia territoriale

repressero nel sangue i manifestanti, le cifre delle vittime furono come

sempre contraddittorie, ma secondo le stime fornite dal governo

marocchino e mauritano i morti furono fra i 10 e i 12, centinaia invece gli

arrestati, mentre Bassiri fu prelevato dalle truppe spagnole la notte dopo e

sparì, molto probabilmente assassinato dagli Spagnoli, per questo divenne

il primo desaparecido del nuovo movimento nazionalista saharawi100.

Con Bassiri sparì anche l' MLS che successivamente fu sciolto.

All'inizio degli anni '70 il Makhzen cominciò a guardare con interesse lo

sviluppo di focolai nazionalisti nel Sahara e pensava al modo in cui questi

potevano giocare un ruolo favorevole alla sua tesi annessionista. Nel 1971

fu fondato in Marocco da Edoardo Moha il Movimento di Resistenza degli

Uomini in Blu (MOREHOB), chiamato così in ragione del colore dei

vestiti che portavano gli uomini nel Sahara. Inizialmente le rivendicazioni

del movimento miravano all'indipendenza del territorio rigettando l'ipotesi

di incorporazione nel Marocco e nella Mauritania, per questo Moha

trasferì la sede del movimento in Algeria nel 1973. Questa posizione non

fu sostenuta da tutti i militanti che così nello stesso anno optarono per la

scissione, lasciando il giovane e piccolo movimento ancora più

frammentato. Questa divisione influì pesantemente nell'attività, già

limitata, del gruppo, così Moha, che dovette registrare anche il mancato

sostegno dell'Algeria sospettosa nei suoi confronti, trasferì la sede del

movimento a Bruxelles nel tentativo di diffondere la questione del Sahara

nei paesi europei. Questa scelta allontanò il movimento ancora di più dal

territorio su cui ormai non riusciva a sviluppare alcuna attività, così decise

di ritornare a Rabat e riallacciare il movimento alla tesi marocchina. In

Marocco il movimento organizzò le sue attività in due ali, una per l'azione

politica, l'altra dedita alla lotta armata, ma nei fatti continuava ad essere

poco numeroso e non riuscì mai a condurre alcuna azione armata sul 100 La cronaca è reperibile presso il sito internet http://www.wsahara.net/zemla.html

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territorio. In occasione della sua visita nel 1975, la missione ONU riuscì

ad incontrare solo Eduardo Moha e nessun altro membro del movimento,

né nel Sahara né nei paesi vicini; questo rafforza la tesi che mette in

discussione l'esistenza stessa del movimento e sostiene che lo stesso

Eduardo Moha, ex agente di polizia marocchina con nome cristiano e

cognome non saharawi, fu un funzionario marocchino che in questo modo

continuò a servire il suo paese101.

A fianco del movimento dei MOREHOB esistevano altre due

organizzazioni legate a Rabat. La prima era il “movimento 21 Agosto”

creato in Marocco, a Tarfaya, nel luglio 1973 che tuttavia contò al suo

interno pochi membri e non riuscì a sviluppare nessuna azione. Solo nel

febbraio 1975 fu creato il FLU (Front pour la Liberation et l'Unité), la

seconda organizzazione sostenuta dal governo marocchino. Questa

raccoglieva vecchi militanti dell'ALM, rifugiati saharawi reclutati nei

campi profughi creati dopo l'operazione Ouragan, ma anche elementi delle

forze armate reali marocchine Il suo programma era semplice:

opposizione all'indipendenza del Sahara e la sua incorporazione nel

Marocco per la realizzazione dell'unità nazionale (in riferimento al suo

nome). Operava sopratutto nella regione di Tan Tan e riuscì anche ad

effettuare alcune azioni armate sopratutto contro i posti di blocco spagnoli

di confine102. In definitiva l'esperienza di questi tre movimenti e

organizzazioni politiche deve essere collocata all'interno di un insieme di

diversi tentativi che il Makhzen mise in campo per deviare il corso del

processo di decolonizzazione del Sahara Occidentale in un'ottica

favorevole alla propria tesi annessionista.

L'esperienza di Bassiri all'inizio degli anni '70 aveva tracciato una

rottura politica e sociale ormai insanabile nel territorio con la popolazione

che cominciò a maturare una presa di coscienza di massa radicale attorno

all'opzione nazionalista di indipendenza e nel rifiuto di qualsiasi possibilità

di integrazione al Marocco. La riorganizzazione di un autentico

101 Questa tesi è sostenuta da A.-B. Miské in Front Polisario, l'ame d'un peuple, Ed Ropture, Paris, 1978,. in M. Barbier le conflit du Sahara Occidental op. cit.

102 P. Dessens, “ Le litige du Sahara Occidental”, in Maghreb Machrek, n. 76, pp. 29-55

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movimento di liberazione del territorio fu difficile e lenta, sopratutto per la

dura repressione dell'amministrazione spagnola, così la nuova leadership

destinata a raccogliere l'eredità di Bassiri, si formò all'estero,

nell'università marocchina di Rabat attorno ad un giovane studente di

legge El-Ouali Mustapha Sayed (detto Lulei).

Nella prima fase di maturazione dell'attività politica, El-Ouali entrò

presto in contatto con una cinquantina di altri studenti saharawi che

frequentavano la stessa università, fu attorno a questo primo nucleo (detto

“gruppo di Rabat”) che si strutturò il Fronte Polisario (Fronte di

Liberazione Popolare del Sanguia el Hamra e del Rio de Oro), destinato a

diventare l'organizzazione politica egemone nel territorio del Sahara

Occidentale su cui confluirono tutte le istanze nazionaliste. In Marocco il

gruppo si sviluppò parallelamente con le altre realtà di movimento e con i

partiti dell'opposizione che all'inizio degli anni '70 vivevano in una fase

politica particolarmente attiva, caratterizzata da un alto livello di

partecipazione e di contestazione delle masse. A Rabat il gruppo si

concentrò inizialmente sulla fine dell'occupazione spagnola collegando la

loro esperienza al più esteso movimento di liberazione nazionale

terzomondista, riuscendo così a trovare spazio sopratutto all'interno

dell'UNEM a direzione frontista, che durante il XV congresso (12-18

agosto 1972) adottò una risoluzione in cui si reclamava

l'autodeterminazione del popolo saharawi103. L'azione del “gruppo

Saharawi di Rabat” all'interno del sindacato studentesco marocchino

consisteva prevalentemente nell'organizzazione di conferenze e seminari

di informazione sull'evoluzione politica e sociale all'interno del Sahara,

queste attività di sensibilizzazione ponevano semplicemente il problema

della decolonizzazione del Sahara Occidentale piuttosto che quello della

“marocchinità” del territorio, infatti malgrado la forza del loro

ragionamento sull'imperialismo, i militanti marocchini non avevano che

una debole idea sulle condizioni sociali e politiche del sistema tribale

103 Comunicato congiunto dei partiti Ilal Amam, (In Avanti) e Ennahdj Eddimocrati (Via Democratica) in cui viene riprodotto parte del comunicato del XV congresso. Reperibile su internet all'indirizzo http://www.radiokcentrale.it/news208.htm

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saharawi e sulla politica spagnola esercitata nella colonia104.

Ma i contatti non si limitavano al solo ambiente universitario, infatti

nella sua attività El-Ouali incontrò anche i leaders dell'Istiqlal, compreso

Allal el Fassi, dell'UNFP e del PPS oltre che quelli dell'UMT con cui

tenne diverse conferenze sulla questione della decolonizzazione del Sahara

Occidentale per tutto il 1972. Tuttavia il livello esplicativo degli incontri e

la ridotta effettiva solidarietà e appoggio che le forze di opposizione

marocchine dimostrarono, convinse il “gruppo di Rabat” a cambiare

progressivamente strategia. Questa opzione fu dettata anche da una

situazione interna al Marocco in continua evoluzione che, fra il '70 e '75,

registrò una serie di eventi così decisivi da modificare radicalmente

l'atteggiamento dell'opposizione. La repressione messa in campo dal

regime in quegli anni colpì indiscriminatamente studenti, disoccupati,

lavoratori e militanti politici e in questa situazione nessun dirigente fu in

grado di assumersi apertamente il rischio di sostenere un movimento

autonomo di militanti saharawi. El-Ouali cominciò a maturare l'idea che

perseverare nella ricerca di appoggi nel Marocco era impraticabile oltre

che pericolosa come dimostrò l'arresto da parte della sicurezza nazionale

marocchina di 45 studenti saharawi che manifestarono a Tan Tan contro

l'occupazione spagnola.105 L'azione di reclutamento del gruppo si indirizzò

quindi verso i campi profughi e le città del sud Marocco, oltre che a

Zouerate in Mauritania dove vivevano molti ex combattenti dell'ALM e

dell'MLS fra cui Mohamed Uld Ziu e Ahmed Uld Qaid, ma non non

nell'Algeria, che ancora guardava il gruppo con diffidenza.

Il 10 maggio 1973 durante una riunione segreta a Ain-Bentili si svolse il

congresso costitutivo del Fronte Polisario con l'elezione di El-Ouali come

segretario generale e di un comitato esecutivo che elaborò il primo

manifesto con cui si dichiarava che “ dopo il fallimento di tutti i mezzi

pacifici [...] il Fronte Polisario è nato come espressione unica di massa

optando per la violenza rivoluzionaria e la lotta armata affinchè il popolo

saharawi, arabo e africano, possa ritrovare la sua libertà totale e 104 A. O. Yata, L'insurrection Sahraouie. De la guerre à l'Etat 1973-2003, Ed L'Harmattan,

Paris, 2003, pp 34 -42.105 T.Hodges, op. cit. pp 157-166.

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sconfiggere le manovre del colonialismo spagnolo”.106 Il testo del

manifesto, pubblicato solo nel luglio 1973 in Mauritania, fu breve e con

ancora pochi elementi di analisi, infatti si fa menzione del solo

colonialismo spagnolo senza tenere in considerazione le rivendicazioni di

Marocco e Mauritania la cui azione per il momento si era limitata ad

osteggiare la formazione del Fronte e non avevano ancora espresso

credibili rivendicazioni. Si trattò quindi di un testo minimo che tuttavia

riconosceva nella lotta armata il mezzo per la liberazione e così a soli 10

giorni dalla sua nascita, il Fronte portò a compimento la sua prima azione

contro un posto militare spagnolo a El Khanga, nel nord est del paese,

dando inizio alla rivoluzione del “20 maggio”.

Nel primo anno dalla sua fondazione il Polisario riuscì a sviluppare un'intensa attività politica e diplomatica mentre sul terreno militare le azioni compiute erano ancora numericamente poche ma tuttavia sufficienti per far parlare del Fronte nel contesto internazionale. L'attività politica fu centrata soprattutto sull'obiettivo di coinvolgere e mobilitare le masse, mentre quella diplomatica portò ad una stretta collaborazione con la Libia che offrì il proprio contributo in armi e in contatti nei paesi arabi tramite le proprie ambasciate, ma sopratutto permise di lanciare il primo programma radio. Cominciarono anche i contatti con l'Algeria che tuttavia rimase ancora in una posizione di neutralità prudente. L'esperienza accumulata in questo primo anno di attività fu estremamente importante nell'anno successivo quando la Spagna annunciò la propria intenzione di concedere il referendum per l'autonomia e il Marocco nel suo massimo momento di esaltazione nazionalista, rifiutò qualunque ipotesi indipendentista. La risposta fu immediata e in occasione del secondo congresso (dal 25 al 31 agosto 1974) il Fronte adottò un programma di azione nazionale per la “creazione di uno Stato repubblicano con l'effettiva partecipazione di tutte le masse”, in questo modo il Fronte si proponeva come espressione dell'intera comunità Saharawi rivendicando il diritto di essere nazione, riconoscendo anche l'intangibilità delle frontiere artificiali del colonialismo come stabilito dall'OUA (Organizzazione Unione Africana). Nella trasformazione nazionale venne rinnegata l'organizzazione sociale

106 L. Ardesi, Sahara Occidentale, una scelta di libertà, Ed. Emi, Bologna, 2004 pp. 40-42.

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tribale e tutte le forme di fedeltà di casta, l'abolizione di tutte le forme di sfruttamento ed un'equa redistribuzione delle risorse fra le campagne e le città. Il massimo momento di coesione nazionale si registrò il 12 ottobre 1975 quando il Fronte riuscì a riunire a Ain Bentili, nel nord della Mauritania, tutte le tendenze politiche Saharawi, compresi il presidente e il vicepresidente della Djemaa, per affermare l'unità del popolo e per preparare l'indipendenza. Il 12 ottobre verrà ricordato come il giorno dell' ”Unità Nazionale”.

Questo passaggio fu fondamentale in vista degli avvenimenti decisivi che si susseguirono nei giorni successivi quando furono resi noti il risultato della missione d'inchiesta dell'ONU e il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia con il conseguente annuncio di Hassan II della Marcia Verde. Il Polisario riuscì così a reagire prontamente non solo sull'aspetto militare (su cui il Fronte poteva ora contare anche sull'appoggio dell'Algeria), ma sopratutto politico. Per dare una parvenza di legalità internazionale gli accordi di Madrid infatti prevedevano che la volontà della popolazione locale venisse rispettata attraverso la volontà della Djemaa107, ma il fronte riuscì a riunire a Guelta Zemmu tutti i notabili che ne facevano parte sotto l'amministrazione coloniale spagnola compresi i deputati della Cortes e il 28 novembre 1975 pubblicarono una dichiarazione in cui si proclamava lo scioglimento della Djemaa108 e la sua sostituzione con un consiglio nazionale presieduto da Mohamed Uld Ziu. La “dichiarazione di Guelta Zemmu” venne presentata pochi giorni dopo alla stampa internazionale dall'Algeria. In poco più di un mese i Saharawi riuscirono a costruire l'unione tra l'organizzazione rivoluzionaria del Fronte e l'istituzione tradizionale, un passaggio decisivo per affrontare l'invasione delle Far.

2.3 Evoluzione del conflitto e crisi di stabilità

A partire dal 1976, mentre le FAR prendevano progressivamente il

controllo delle principali città, il Marocco cercò di offrire un'impressione

107 Punto 3 degli Accordi di Madrid: “l'opinione della popolazione, espressa dalla Djemaa, sarà rispettata”.

108 Punto 2 del documento di “Guelta”: “affinché il colonialismo spagnolo non possa utilizzare questa falsa istituzione e a causa delle manovre che stanno tramando i nemici del popolo Saharawi, la Djemaa, col consenso di tutti i membri presenti, decreta la sua dimissione definitiva.”.

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di continuità nella gestione dell'assimilazione delle province sahariane.

Secondo Rabat il territorio doveva essere amministrato nella stessa

maniera del resto del paese bisognava quindi predisporre, nel più breve

tempo possibile, le prime strutture amministrative necessarie al governo e

al controllo del territorio. Furono create tre nuove province (Layounne,

Smara e Boujdour) con a capo altrettanti governatori direttamente in

contatto con il segretario speciale di Stato Khali Henna Ould er Rachid,

incaricato della gestione degli affari sahariani. Lo stato predispose anche

un piano per lo sviluppo economico e sociale delle nuove province

destinando in un primo momento 550 milioni di Dirham (che presto passò

a un miliardo) per la costruzione di appartamenti, infrastrutture stradali,

sanitarie e scolastiche.

Nonostante l'immagine di normalità che il Marocco si sforzava di

costruire, il territorio era in guerra e le città erano praticamente in stato

d'assedio. Con i primi bombardamenti marocchini, si produsse un esodo

massiccio della popolazione locale costretta a fuggire attraverso il deserto

e a raggrupparsi in tendopoli di fortuna nelle località interne e oltre il

confine con l'Algeria nei pressi di Tindouf. Il Fronte Polisario, sostenuto

nei primissimi tempi dall'Algeria, diede il via a numerose azioni di

guerriglia all'interno del territorio per contrastare l'avanzata delle FAR

mentre dal punto di vista politico il 27 febbraio 1976 a Bir Lehlu, venne

proclamata la Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD) per

evitare il vuoto di sovranità determinato dall'uscita di scena della Spagna e

la spartizione del territorio come sancito negli accordi di Madrid. Questo

passaggio non fu solo giuridico, infatti il Polisario, in linea con

l'esperienza storica dei movimenti di liberazione, intendeva assumersi la

responsabilità della gestione del territorio e del popolo in esilio nei campi

rifugiati109.

109 La Repubblica Saharawi fu presentata come “uno stato libero, indipendente e sovrano, retto da un sistema nazionale arabo e democratico, d'orientazione unionista, progressista e di religione islamica”. Si proclamò anche un paese non-allineato, il suo attaccamento ai principi dell'ONU, della Lega araba e dell'OUA, così come alla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Pur mantenendo fermo il suo desiderio di pace, si dichiarò “risoluta a difendere la sua indipendenza, la sua integrità territoriale e a prendere in mano le sue risorse e le sue ricchezze naturali”. Oggi sono 75 le nazioni che riconoscono la RASD come stato indipendente.

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Per pacificare il territorio, nei primi anni di occupazione le autorità

marocchine impiegarono il duplice registro dell'integrazione forzata e

della repressione. Il supporto proveniente dalle città alle azioni condotte

dal Fronte era alto ed ogni minimo segno di appartenenza alla RASD, ogni

parola, canto o slogan che richiamavano la diversa identità nazionale erano

atti di accusa contro l'occupazione straniera e per questo repressi nelle

forme più brutali dalla polizia militare. L'informazione era controllata e

filtrata, le trasmissioni della radio nazionale Saharawi (in Algeria)

venivano disturbate e oscurate, ai saharawi era impedito di costituirsi in

associazioni anche quelle con scopo sociale mentre in Marocco venivano

offerti incentivi economici e terre alla popolazione più povera al fine di

reclutare coloni da insediare nei territori occupati e sommergere così la

popolazione locale. Le autorità incoraggiavano l'integrazione dei Saharawi

nella popolazione marocchina attraverso i matrimoni misti che divennero

una prassi politica che aveva l'obiettivo di togliere alle future generazioni

una famiglia in grado di trasmettere l'identità saharawi. In generale

l'educazione venne utilizzata come mezzo per far perdere ai giovani i

riferimenti della propria cultura primo fra tutti quello della lingua, infatti

l'insegnamento veniva fatto nel dialetto marocchino e non in hassanja e i

programmi scolastici, in particolare quello di storia, rinviavano

continuamente all'identità marocchina. Il lavoro veniva usato come mezzo

di ricatto e la semplice simpatia verso il Polisario era sufficiente per

perdere l'impiego ed essere discriminati nell'ottenerne uno nuovo, oppure

per la chiusura di un'attività indipendente110. La repressione, confermata

nei successivi rapporti di Amnesty International111, fu durissima e

indiscriminata perché solo attraverso una prassi politica di paura e terrore

si credeva possibile rompere i legami di solidarietà e sostegno che

collegavano le città alle azioni di guerriglia condotte dall'ALPS (Armée de

Libération Populaire Saharawi). Secondo una prassi già consolidata negli

anni precedenti per eliminare l'antagonismo in Marocco, le perquisizioni

senza mandato e l'arresto senza imputazioni erano la normalità, i detenuti

110 L. Ardesi, Sahara Occidentale, una scelta di libertà, Ed. Emi, Bologna 2004 pp 60-82.111 http://web.amnesty.org/report2006/mar-summary-eng

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venivano isolati in centri segreti e sottoposti in maniera sistematica a

diverse forme di tortura fisica e psicologica. La scomparsa degli arrestati

era una pratica diffusa su larga scala utilizzata come tecnica per

destabilizzare la famiglia e le relazioni amicali in modo da infondere un

senso di insicurezza generalizzato. Oggi si calcola che fra il 1975 e la fine

degli anni '80 i Sharawi desaparecidos furono più di 800112.

Nonostante ciò la popolazione rimasta nelle aree controllate dal

Marocco continuò ad esprimere un forte sostegno al Polisario che

mantenne, sopratutto nelle città di Layounne e Smara, un'efficace rete

clandestina di contatti con la leadership esterna che coordinava le azioni di

guerriglia nel deserto. Formalmente l'esercito marocchino controllava le

città ma non il deserto dove i guerriglieri poterono circolare liberamente

riuscendo a mantenere l'iniziativa. In due anni le FAR passarono da 60.000

a 90.000 componenti, un terzo dei quali impiegato nel Sahara Occidentale,

aumentarono anche le spese militari per mantenere le postazioni

conquistate da cui tuttavia il Marocco non riusciva ad avere alcun ritorno

economico. Il Polisario concentrò le sue azioni su obiettivi di carattere

economico (la produzione delle miniere di fosfati di Bou Craa fu

completamente bloccata per sei anni dall'inizio del conflitto) e fuori dai

confini ufficiali del Sahara Occidentale113, così il “dossier del Sahara

spagnolo” fu tutt'altro che archiviato come sostenne Hassan II al termine

della Marcia Verde.

Le già grandi difficoltà militari del Marocco si moltiplicarono dopo il

ritiro della Mauritania dal conflitto nel 1980114, così Hassan II fu spinto a

ricercare sostanziali aiuti verso gli Stati Uniti. I negoziati conclusi col

Marocco115 accordarono il permesso agli aerei americani di sostare, in caso

112 Rapporto sui desaparecidos in Marocco: http://web.amnesty.org/library/Index/ENGMDE290041993?open&of=ENG-MAR

113 Nouakchott fu ripetutamente attaccata con colpi di artiglieria pesante e Tan Tan il 28 gennaio 1979 fu assediata per quattro ore dai guerriglieri che riuscirono a liberare i saharawi arrestati e distruggere diverse installazioni militari presenti nella capitale provinciale.

114 Gli scontri più importanti avvennero il 22 giugno 1981 quando la guarnigione marocchina di Guelta-Zemmour venne attaccata per 3 giorni da 3000 guerriglieri del Polisario. La stessa città fu nuovamente presa di mira e liberata fra il 13 e 14 ottobre per 4 giorni dal Polisario che per la prima volta utilizzò mezzi pesanti. Questo a significare un'innalzamento del livello del conflitto.

115 T. Hodges, “Le nouvel axe strategique entre Washington et Rabat”, in Le Monde Diplomatique luglio 1982.

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di crisi, nelle basi marocchine per le operazioni delle forze di

dispiegamento rapido in cambio della fornitura d'armi e l'invio di istruttori

militari per l'addestramento delle truppe marocchine aeree e terrestri

impegnate nelle operazioni contro il Polisario. Nel rispetto dell'accordo,

Carter vendette al Marocco nel gennaio 1980 50 aerei, 24 elicotteri e 20

F5, nel 1981 Reagan espresse al Congresso la sua intenzione di cedere al

Marocco 80 carri M60 e nel 1985 re Hassan II chiese agli USA un

miliardo di dollari per l'acquisto di armi116, sempre in quel periodo gli

USA autorizzarono, dopo un contratto di 250 milioni di dollari firmato nel

1977, la copertura radar completa del territorio. Il dato fondamentale è

vedere come gli USA siano usciti dall'unilateralità del rapporto strategico

col Marocco, che nello scontro bipolare era concepito come luogo di

deposito logistico e centro di stazionamento, per consacrarsi

all'elaborazione di una nuova strategia operazionale globale. Con

l'intervento dell'amministrazione Carter117, gli USA rafforzarono la loro

assistenza militare al Marocco118 all'interno di un nuovo piano

geostrategico la cui necessità fu sentita già a partire dal 1972 quando fu

concluso con l'Unione Sovietica il trattato ABM (Anti Balistic Missiles)

sul nucleare. Con questa firma cominciò progressivamente a dissolversi

un modo di fare la guerra concepito come atto generalizzato che implicava

uno scontro ad alta intensità con distruzioni indiscriminate. Nei conflitti

locali, come quello del Vietnam, gli USA compresero che non era più

vincente sostenere una guerra di massa, così si indirizzarono a questi

conflitti con un approccio diverso che non soltanto implicava il

ridimensionamento dell'unità di combattimento, ma anche l'utilizzo

ottimale delle nuove tecnologie informatiche e della comunicazione che

avrebbero assicurato una sostanziale superiorità e una relazione

assolutamente asimmetrica nei confronti del nemico119. Per gli USA, la

116 S.L. Malcomson, “The Cost of Helping Hassan”, The Nation 22 dicembre 1984117 T. Hodges, “Pourqoi M. Carter a choisi le Maroc” in Le Monde diplomatique gennaio 1980.118 Ufficialmente gli USA non hanno mai riconosciuto le pretese di sovranità del Marocco sul

Sahara Occidentale ma hanno sempre sostenuto la validità degli accordi di Madrid e quindi riconosciuto al Marocco il potere amministrativo sul territorio anche se il diritto di sovranità doveva essere espresso tramite referendum.

119 Per un'analisi approfondita della RMA (Revolution Military Affairs) si consiglia M. Hardt T.Negri, Moltitudine, Rizzoli, 2004, pp. 61-70.

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lunga guerra del Sahara rappresentò un laboratorio complesso di attività

tattiche, strategiche e logistiche che hanno preso rapidamente l'aspetto di

una guerra nuova rispetto a quelle condotte fino ad allora. Il conflitto del

Sahara rilevò la necessità di dominare una eventuale guerra di movimento

con un corpo speciale dell'esercito di dimensioni più ridotte, ad elevata

mobilità e con un alto supporto tecnologico allontanando così la necessità

di un intervento militare diretto che, come dimostrò la sconfitta asiatica,

implicava massicce perdite umane.

L'intervento USA influì pesantemente nella sperimentazione di nuove

dinamiche di conflitto sopratutto per la costruzione di un muro di difesa

che racchiudeva il triangolo “utile” fra Smara, Bou Craa e Layounne dove

erano concentrate le maggiori risorse di fosfati. La prima parte, completata

il 2 marzo 1981, era costituita da blocchi di sabbia alti circa tre metri

preceduti da campi minati e filo spinato lungo tutto il perimetro che, nella

sua lunghezza, era intervallato da postazioni d'osservazione armate e radar

moderni in grado di individuare gli attacchi della guerriglia e far

intervenire le truppe di riserva posizionate oltre il muro. Un anno dopo, nel

maggio 1982, il governo marocchino annunciò la fine dei lavori della parte

sud, da Bou Craa all'Atantico compreso Boujdour. La messa in piedi del

muro di fortificazione nacque dalla necessità militare emersa nel periodo

pre-fortificazione di isolare le unità dell'ALPS in una zona senza sbocchi,

costringendole così a perdere l'iniziativa degli attacchi. L'efficacia della

costruzione fu presto evidente e questo spinse il governo marocchino a

proseguire negli anni al prolungamento della fortificazione secondo un

asse nord-sud per un totale di 2700 km così nel 1987, quando fu

completata l'ultima parte della linea difensiva, la superficie totale di

Sahara Occidentale sotto occupazione marocchina passò dal 10% al 65%.

Anche se la fortificazione non costituiva una vittoria sul piano militare,

permise tuttavia ai marocchini e ai loro consiglieri americani, a ciascuno

secondo interessi immediati o lontani120, di sospendere il conflitto ed

120 Secondo A.O. Yara, l'offensiva condotta dagli Usa contro l'Iraq dal 24 gennaio 1991 non si discosta di molto dalla guerra nel Sahara dove gli americani ebbero modo di partecipare attivamente allo studio di diverse opzioni possibili capaci di superare gli ostacoli operazionali di un'eventuale guerra di movimento. Questa guerra ha inaugurato una nuova concezione

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assicurare così l'inclusione di una vasta area ricca di interessi economici

all'interno del sistema capitalistico mondiale, anche se priva di una

sovranità territoriale internazionalmente riconosciuta.

Originariamente il progetto di assimilazione del territorio doveva essere

un passaggio lineare e senza difficoltà sostenuto dai confortanti risultati

economici ottenuti a partire dal 1973 quando l'economia nazionale registrò

una forte crescita del mercato internazionale dei fosfati che diede

l'impressione alla monarchia di poter intraprendere una nuova politica

economica espansiva in grado di accrescere il volume degli investimenti e

sollecitare la crescita. Prima della guerra il Marocco era il terzo produttore

mondiale di fosfati (dietro a Stati Uniti ed Unione Sovietica) e nel 1974 il

boom delle esportazioni registrò un significativo incremento (84%)

rispetto all'anno precedente che orientò il governo ad una radicale

revisione del piano quinquennale (1973-1978) per comprendere un forte

aumento del volume totale degli investimenti121 e sostenere così i costi di

strategica mondiale che ha sostituito la vecchia dinamica di conflitto Est/Ovest aprendo di fatto la via alla “globalizzazione” virtuale e al monopolio militare americano. A.O. Yara l'insurrection saharaouie de la guerre à l'Etat 1973-2003 l'Harmattan 2003, Paris, pp 99-102.

121 J.-C. Santucci, “Le plan quinquennal marocain 1973-1977”, Maghreb Machrek, n. 67, 1975 pp. 52-61.

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Fig.2 La costruzione del muro nelle sue fasi successive, in www.arso.org

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una nuova politica di colonizzazione nel Sahara Occidentale. Questi

benefici si scontrarono con la realtà di una lunga guerra di logoramento

che secondo le stime costava al regno circa un milione di dollari al giorno.

Nel 1975 il mercato internazionale dei fosfati collassò dimezzando le

esportazioni rispetto l'anno precedente e il paese, incapace di trovare una

soluzione interna alla crisi, si rivolse all'estero aumentando il già alto

debito che passò da circa 2 miliardi di dollari nel 1974 a quasi 9 miliardi

nel 1981 quando il Marocco ricercò ed ottenne aiuti economici dagli USA

per finanziare l'impresa militare.

Il progressivo deterioramento della situazione economica raggiunse il

suo apice fra il 1977 e il 1978 aprendo una nuova fase di ristagno

concretizzata nel piano quinquennale 1978-83. Ufficialmente il piano fu

presentato come una “pausa” nella trasformazione della società

marocchina perchè le misure parziali previste concernevano sopratutto il

raggiungimento degli obiettivi del piano precedente. La voce di spesa

maggiore era quella per la sicurezza nazionale, non meno del 40% del

totale, e questo influì pesantemente nella politica della Cassa di

Compensazione che non riusciva più regolarizzare il prezzo in forte ascesa

di certi prodotti di prima necessità. Le conseguenze sociali di questa

economia di guerra furono catastrofiche, i vantaggi materiali legati al

recupero del Sahara si rilevarono presto illusori anche per la piccola

borghesia nata dopo le nazionalizzazioni del 1973 che vide

progressivamente erodere il suo potere d'acquisto. Ma le conseguenze

maggiori ricaddero come sempre sulla popolazione più povera

prevalentemente di estrazione rurale cioè circa il 60% della popolazione

totale. I risultati fallimentari della riforma agraria del 1973 che implicava

la trasformazione capitalista del sistema di produzione agricolo per

favorire l'esportazione, furono aggravati dalla siccità che colpì il paese nel

1980 ed ebbero come conseguenza principale quella di un esodo massiccio

verso le città incapaci tuttavia di assorbire l'enorme flusso della

popolazione. Il 20% della popolazione urbana viveva in bidonville in

condizioni igienico-sanitarie disastrose, la popolazione che viveva al di

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sotto della soglia di povertà era del 28% nelle città e del 45% nelle

campagne, aumentò così ancora di più il già ampio divario sociale122.

Nel settembre del 1980 il FMI indusse il governo marocchino ad

innalzare il prezzo dei prodotti sovvenzionati dalla Cassa di

Compensazione dal 10 al 35% nella speranza di riequilibrare la bilancia

dei pagamenti, la stessa manovra fu riproposta con una serie di misure

governative anche nel 1981, causando un aumento dei prezzi ancora più

evidente (lo zucchero aumentò del 38,6%, il latte del 14,3%, la farina del

40% ed il burro addirittura del 76%). Di fronte ad una condizione di vita

ormai non più sopportabile esplose la rivolta nelle città. Anche questa

volta la scintilla partì dalle bidonville di Casablanca fra il 20 e il 21 giugno

1981 in maniera del tutto spontanea, e solo successivamente si unirono i

lavoratori dell'UMT e della CDT (Confederation Democratique du

Travail) proclamando lo sciopero generale. La protesta assunse subito le

sembianze di una rivolta urbana diffusa con banche, istituti di credito e

distributori di benzina incendiati, la polizia non poté fare niente per

fermare la rabbia della popolazione e ancora una volta, come nel 1965, fu

l'esercito ad intervenire con incredibile violenza, sparando sulla folla. I

disordini finirono solo il giorno successivo, dopo un'intera notte di

guerriglia e al termine dell'intervento armato secondo l'USFP i morti

furono 637 a fronte dei “soli” 66 che comunicarono le fonti governative,

nel tentativo di minimizzare l'accaduto. Tutti i giornali dell'opposizione

furono chiusi, circa 2000 le persone incarcerate e processate

sommariamente senza prove, fra questi circa 200 dirigenti sindacali e

dell'opposizione politica123.

Le preoccupazioni per la monarchia non provennero solo

dall'antagonismo sociale, il re era sempre più consapevole che il

prolungarsi di una difficile situazione militare nel deserto avrebbe

accresciuto le frustrazione dell'esercito e spinto le ambizioni degli ufficiali

a tentare nuovamente un capovolgimento dell'ordine politico. Questa

situazione spinse il generale Dlimi, fortemente legato alla riunificazione 122 M.Ginet, “Les limites de la “democratisation” au Maroc”, in Le Monde Diplomatique, luglio

1981123 T. Hodges, op.cit. pp. 293-307.

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del Sahara con il Marocco, ad avvicinarsi alle tesi di un gruppo

clandestino di giovani ufficiali, il “movimento del 16 ottobre” (data del

mancato colpo di stato di Oufkir). La soluzione che essi auspicavano era

quella di eliminare il re e costruire una possibile alleanza col Polisario in

grado di favorire la sua integrazione all'interno della comunità nazionale,

condividendone anche le responsabilità di governo. La posizione con cui

Dlimi si associò fu più moderata pensando fosse controproducente per un

paese così diversificato, abbattere la monarchia che, nell'immaginario

collettivo, rappresentava ancora un simbolo in cui ci si riconoscevano in

molti. Il piano su cui convennero gli ufficiali implicava quindi

l'abdicazione di Hassan II in favore del figlio, il principe Sidi Mohamed, e

l'esilio di tutta la famiglia reale per il tempo necessario a modificare la

Costituzione che avrebbe accordato al re una funzione puramente

simbolica. In seguito era necessario negoziare l'integrazione del Polisario

in un governo di unione popolare insieme alle altre forze politiche

marocchine, per un progetto di ricostruzione nazionale. Velocemente

Hassan II, allertato dai servizi segreti stranieri (americani e francesi)

convocò il generale Dlimi al palazzo reale di Marrakech il 25 gennaio

1983, ma questo incontro non ebbe mai luogo perché il corpo dell'ufficiale

venne ritrovato dilaniato all'interno di una vettura esplosa con una bomba.

In seguito all'assassinio del generale Dlimi, diverse decine di ufficiali

ritenuti coinvolti a vario titolo nella preparazione del golpe vennero

arrestati124. Dopo l'ennesima epurazione dell'esercito, la gestione del

dossier del Sahara, che ormai impegnava 150000 militari, fu raccolta dal

ministro dell'interno Driss Basri, che da quando prese in mano il dicastero

nel 1979 dimostrò un'alta fedeltà al trono, contraddistinguendosi per il suo

cinismo e spietatezza nella gestione dell'ordine pubblico.

Le tensioni sociali, economiche e politiche emersero in un momento

assai delicato per Hassan II impegnato a trovare una via di uscita

onorevole dalla difficile guerra nel deserto. Il re era ben consapevole che

ritirarsi non solo sarebbe stata l'occasione per le FAR di vendicarsi per 124 I. Ramonet, “Maroc: l'heure de tous les risques (suite) ” in Le Monde Diplomatique, gennaio

1984. Per un ulteriore approfondimento si consiglia il dossier di A. Mansour, “Qui à tué le général Ahmed Dlimi? ” In Maroc Hebdo International, n. 642, 04-10 marzo 2005, pp. 10-13

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l'umiliazione di una guerra inutile, ma anche che dall'esito del conflitto

dipendeva l'intera credibilità del suo regno costruita attorno ad un fragile

unanimismo populista emerso nei concitati momenti della marcia verde,

quando il suo nome entrò nella storia della dinastia alauita come il “Re

Unificatore”. Hassan II pensò quindi che l'unica soluzione possibile fosse

quella di continuare a combattere nonostante i costi sempre più alti e di

perseverare in una lunga guerra di logoramento che inevitabilmente

sarebbe ricaduta sulle spalle della popolazione più povera.

Il paese si ritrovò ai limiti della bancarotta, i prestiti provenienti

dall'estero vennero usati senza produrre ricchezza e il modello di crescita

aveva rilevato tutto il suo fallimento nel realizzare un vero piano di

industrializzazione capace di ridurre la dipendenza del paese dai mercati

esteri, sopratutto quello della CEE da cui proveniva il 60% del totale delle

importazioni, ma Hassan II, inamovibile nel sostenere gli alti costi della

guerra, decise di perseverare sulla strada del liberalismo economico

adottato sin dall'indipendenza, abbandonandosi completamente nelle mani

del Fondo Monetario Internazionale che nel settembre 1983 indicò le linee

guida di un rigido programma d'austerità economica. Il piano non fece che

aggravare certi aspetti della recessione in cui il paese già si trovava perché

puntava sopratutto a ristabilire l'equilibrio secondo una logica puramente

finanziaria125, senza tenere conto del costo sociale che questo comportava.

Il FMI costrinse il paese a ridurre i suoi diritti di dogana, a liberalizzare il

commercio e a predisporre il paese alle privatizzazioni di servizi e beni

industriali di cui lo Stato era proprietario (circa 600 industrie che per molti

marocchini erano la principale fonte di impiego). Incurante di realizzare le

condizioni necessarie per lo sviluppo industriale, il paese accumulò un

debito interno pari a 170 miliardi di dirham nel 1989 e nel corso del

decennio la crescita in termini reali del PIL non superò il 3,5% annuo, tre

volte in meno del livello medio degli anni '70. Il piano non fu in grado

nemmeno di condannare e porre un freno a tutte quelle risorse di

accumulazione improduttiva come le speculazioni finanziarie e la

corruzione che continuava ad essere una prassi comune fra i funzionari 125 I. Ramonet “ Maroc: l'heure e tous les risques” in Le Monde Diplomatique gennaio 1984.

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pubblici e certi membri del Makhzen vicino al Palazzo, che nel corso degli

anni avevano accumulato enormi fortune mentre il paese versava nella

povertà e miseria126.

Nel corso di tutto il decennio, l'agibilità dei partiti politici risentì molto

delle scelte adottate dal sovrano. L'intero sistema della rappresentanza

politica fu portato nel corso degli anni ad una frammentazione127

esasperata sintomo di una incapacità congenita nel raccogliere le

aspirazioni della popolazione e di convogliarle all'interno di una

progettualità alternativa capace di creare un dibattito realmente

democratico. Al Marocco si è sempre riconosciuto il merito di aver

adottato un sistema pluripartitico sin dall'indipendenza quando il regime a

partito unico si affermava fra numerosi paesi appena usciti dal giogo

coloniale. Come si è visto questa “scelta” in realtà nascose dietro di sé una

scena politica dominata dal sovrano a cui le diverse Costituzioni hanno

sempre affidato il ruolo di guida incontestabile nel circoscrivere i limiti

entro cui era permessa l'azione parlamentare. Esistevano argomenti che

non potevano essere oggetto di alcun dibattito, questi comprendevano il

regime monarchico con il re garante dell'Islam ufficiale, la scelta liberale e

l'incontestabile marocchinità del Sahara Occidentale. Verso questi dogmi i

partiti d'opposizione potevano rifiutarsi di accettarli, ma questo avrebbe

condotto inevitabilmente alla marginalizzazione politica e alla

clandestinità, oppure adottare una posizione defilata, spesso sottolineata

dal boicottaggio delle elezioni, senza però incidere sul risultato proclamato

ufficialmente o, in definitiva, rassegnarsi all'integrazione nel gioco politico

limitato e manipolato che implicava il funzionamento del sistema. Il

dibattito rimaneva per cui condizionato da “tutti questi dogmi

incontestabili che hanno contribuito a creare un clima politico surreale

marcato dalla paura, l'inibizione, la menzogna, l'autocensura,

126 P.Vermeren, op. cit. pp. 81-84.127 Nel 1983 gli eredi del “movimento 23 marzo” crearono l'OADP (Organisation de l'Action

Democratique et Populaire), nel mese di maggio all'interno dell'USFP avviene un'altra scissione che porterà alla creazione del PADS (Parti de l'Action Democratique Socialiste). Anche all'interno dei partiti filo-monarchici avvennero diverse scissioni: nell'aprile 1981dall'RNI si separò il PND (Parti National Democrate) a cui seguì, nel marzo 1983, la formazione dell'UC (Union Costitutionnelle), fino ad arrivare al 1991 con la creazione dell'MNP (Mouvement National Populaire).

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l'accecamento o il rilancio più o meno opportunista (sopratutto per quanto

riguarda il Sahara Occidentale), la schizofrenia del doppio discorso con

acclamazioni in pubblico e feroci critiche in privato.128

2.4 Il processo di pace e il piano marocchino di integrazione

territoriale

Fra il 1980 e il 1987 le FAR portarono a compimento la costruzione del

muro di fortificazione (rinominato dai Saharawi “il muro della vergogna”)

riuscendo così a isolare ed a impedire le incursioni armate del Polisario

nella la parte di “Sahara utile” dove erano presenti le maggiori città e

risorse economiche della regione (fosfati, minerali e pesca). Alla RASD

non rimase altro che l'amministrazione del resto del deserto dove, durante

128 B. Coubertafond, La vie politique au Maroc, l'Harmattan 2001, Paris pp. 133-141.

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gli anni di conflitto, erano sorti wilaya129 sempre più grandi ed organizzati

che garantivano non solo la redistribuzione degli aiuti internazionali ai

160.000 rifugiati, ma anche tutte le funzioni proprie di uno stato. Al

termine della costruzione della fortificazione, il conflitto entrò in una

nuova fase caratterizzata dalla sospensione delle azioni militari e dalla

ricerca di una soluzione diplomatica e internazionalmente riconosciuta che

permettesse a Rabat di cristallizzare lo status di occupazione.

Attraverso la mediazione del segretario dell'ONU Perez de Cuellar, le

parti firmarono il 30 agosto 1988 una proposta di regolamento in cui si

riconosceva “al popolo del territorio del Sahara Occidentale di esercitare il

suo diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza conformemente alle

risoluzioni 1514 (XV) e 40/50 dell'Assemblea Generale delle Nazioni

Unite [...] senza costrizioni militari o amministrative”. Il regolamento

dispose che durante il periodo transitorio fino alla conclusione delle

operazioni referendarie, la gestione amministrativa e dell'ordine pubblico

dovevano essere garantiti da un rappresentante speciale nominato dal

Segretario Generale dell'ONU, assistito da una specifica Missione delle

Nazioni Unite per l'organizzazione di un referendum nel Sahara

Occidentale (MINURSO), autorizzata dal Consiglio di Sicurezza qualora

fossero state rispettate tutte le condizioni del regolamento130. Queste

comprendevano, oltre al rispetto imperativo del cessate il fuoco in vigore

dal 6 settembre 1991, anche l'impegno da parte del Marocco alla riduzione

progressiva dei militari presenti nella regione, alla liberazione di tutti i

prigionieri di guerra o detenuti politici saharawi e tutte le misure

necessarie per garantire il diritto ai rifugiati di ritornare senza restrizioni

nel territorio per partecipare liberamente al referendum. I saharawi erano

chiamati a scegliere fra l'indipendenza o l'integrazione al Marocco e le

parti convennero nell'accettare come base per la consultazione il

censimento effettuato dalla Spagna nel 1974, per questo fu creata una

129 Il Polisario divise i rifugiati oltre il confine algerino in quattro poli di aggregazione che riprendevano i nomi delle città attualmente occupate dalle FAR (Layounne, Smara, Dakhla e Ausserd). Ogni Wilaya (o regione) è suddivisa in daira (provincia) a sua volta suddivisa in quartieri (barrio). Ogni wilaya comprende 6-8 daira e conta 30-50.000 abitanti.

130 Risoluzione 690/1991 del Consiglio di Sicurezza ONU.

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specifica Commissione per l'identificazione che sotto l'autorità del

Segretario Generale, fu incaricata di esaminare “accuratamente e

scrupolosamente” il censimento ed aggiornarlo131.

L'intervento dell'ONU è stato facilitato anche da una politica di

distensione regionale fra Hassan II e l'Algeria adottata a partire dal 1983

quando il re proclamò all'Assemblea Generale ONU la sua volontà di

accordare “una consultazione giusta, equa e leale [...] e l'impegno solenne

del Marocco a essere e considerarsi come obbligato al rispetto dei risultati

di questo referendum”132. Questo lento riavvicinamento incise sulla

maturazione della proposta dell'ONU che sul piano del diritto

internazionale, può essere considerata come una sorta di compromesso

politico perché se da una parte riconosce il diritto all'autodeterminazione,

dall'altra non condanna l'occupazione militare di un territorio straniero né

la successiva politica di colonizzazione su cui il governo marocchino

aveva già investito circa 2,8 miliardi di dollari.

Sul piano internazionale, il Marocco accettò quindi le condizioni del

processo di pace, ma sul piano effettivo lavorò per depotenziare il lavoro

dell'ONU e distorcere le condizioni originarie, trasformando il referendum

di autodeterminazione in semplice plebiscito per l'integrazione. Il primo

passo importante in questa direzione si registrò già pochi mesi dopo

l'insediamento della MINURSO, quando nel dicembre 1991 il segretario

generale Perez de Cuellar, al termine del suo mandato accettò (con la

risoluzione 725/1991 adottata senza consultare il Polisario) la proposta

marocchina di ingrandire il corpo elettorale facendovi rientrare anche chi

era nato da padre nato sul territorio e chi era membro di una tribù saharawi

che aveva risieduto sei anni consecutivi sul territorio o dodici non

consecutivi. Questi nuovi criteri offrivano il diritto a cittadini di paesi

vicini di fare parte del corpo elettorale, nello specifico si trattava di

170.000 nuovi potenziali votanti che il governo di Rabat aveva intenzione

di includere nella lista originaria, capovolgendo completamente il rapporto

effettivo della popolazione e rinviando sine die lo svolgimento del 131 Rapporto del Segretario Generale ONU S/21360 La situaton en ce qui concerne le Sahara

Occidental del 18/6/1990.132 Discorso di Hassan II alla 37ma Assemblea Generale ONU del 27 settembre 1983.

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referendum. Questa decisione suscitò immediate critiche anche da parte

del rappresentante speciale ONU Johannés Manz133 che il 13 dicembre

1991 condannò apertamente la “seconda marcia verde” del governo

marocchino e la politica accondiscendente del segretario generale che

tendeva a “cautelare la politica marocchina del fatto compiuto”.134

Il 28 agosto 1994 cominciarono le identificazioni secondo i nuovi

criteri, ma nel settembre 1995 il percorso subì una nuova interruzione a

causa della contestazione del Polisario sull'inserimento di alcune tribù135.

Queste contavano virtualmente circa 65.000 votanti e il Polisario si oppose

al loro inserimento dal momento che erano tribù che hanno sempre abitato

il sud marocchino e il loro legame con il Sahara Occidentale era

considerato inesistente. Il percorso del processo di identificazione così,

risultò completamente bloccato anche sotto il segretariato di Boutros-Ghali

che più volte minacciò il ritiro della missione dal territorio. Ma fu proprio

il Marocco a scongiurare la riapertura del conflitto militare perché questa

situazione di paralisi del processo di pace giocò sopratutto in suo favore

dal momento che in queste condizioni riuscì a mantenere il proprio

esercito sul territorio (nonostante le indicazioni contrarie del 1988) ed

investire somme sempre più consistenti nello sviluppo economico,

legittimando di fatto la sua presenza nel territorio.

La terza ripresa del processo di identificazione coincise con l'arrivo di

Kofi Annan, ma sopratutto con l'ex Segretario di Stato americano James

Baker che, come inviato personale del Segretario Generale ONU,

riesaminò la situazione e consultò le parti per verificare se effettivamente

esistessero le condizioni per l'applicazione di un nuovo piano di

regolamento che potesse aumentare le possibilità della messa in opera

rapida del processo. Il metodo Baker fu accolto positivamente da entrambe

le parti, esso consisteva in una serie di incontri separati, preparatori per la

133 M. de Foroberville, “Sahara Occidental: échec au plan de paix”, in Le Monde Diplomatique, novembre 1992

134 Al termine del suo mandato Perez de Cuellar sarà nominato nel 1993 vice presidente della società francese di commercio internazionale OPTORG, in realtà per il 70% di proprietà della famiglia reale marocchina e del ministro degli esteri Filiali. Dopo la denuncia per corruzione del Polisario e la conseguente diffusione internazionale della notizia, lascerà il posto nel consiglio di amministrazione.

135 Si trattava delle tribù chiamate H41, H61, J51/52.

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realizzazione di un incontro diretto a porte chiuse. I primi incontri indiretti

si svolsero a Londra l'11 e il 12 giugno 1997quando Baker incontrò la

delegazione marocchina composta dal primo ministro con delega agli

affari esteri Abdellatif Filali e Ahmed Snoussi, ambasciatore alle Nazioni

Unite; il rappresentante ONU incontrò anche la delegazione saharawi,

algerina e mauritana. Alla conclusione di questa prima tornata di incontri

Baker riuscì ad ottenere significative concessioni da entrambe le parti, tali

da rimettere in moto il cammino del processo di pace, il Marocco fu infatti

disponibile a ritirare 60.000 domande di registrazione e il Polisario accettò

la ripresa del processo di identificazione. Al secondo turno di incontri dal

19 al 20 luglio 1997 le parti convennero nel non presentare, direttamente o

indirettamente, alla commissione di identificazione alcun membro delle

tribù “contestate” ad eccezione delle persone già inserite nel censimento

del 1974 e i loro discendenti immediati; le parti tuttavia non erano tenute

ad impedire attivamente alle persone appartenenti a questi gruppi tribali di

presentarsi individualmente all'identificazione. Il terzo incontro del

commissario ONU con le delegazioni si svolse a Lisbona il 29 agosto

1997 e riguardava l'accantonamento delle truppe militari delle FAR e

dell'ALPS, un accordo sui prigionieri di guerra e un altro sui detenuti

politici. I risultati136 vennero formalmente riconosciuti da entrambe le parti

durante il vertice di Huston in Texas dal 14 al 16 settembre 1997137.

Sul piano interno i risultati del vertice di Huston vennero amplificati

nella stampa nazionale per dimostrare la tenacia e la determinazione del

Makhzen nel “non abbandonare neanche un granello di sabbia del Sahara”,

sottolineando che il referendum non potrà che confermare la marocchinità

di questa parte di deserto. Per rassicurare l'opinione pubblica il ministro

dell'interno Driss Bassri, al termine del vertice si impegnò in un intenso

viaggio nei territori occupati dal 20 al 22 ottobre 1997 durante il quale

ebbe l'occasione di visitare le principali città ed esultare per il successo dei

risultati ottenuti. “I principali criteri per l'identificazione contenuti nel

piano ONU, sono conformi alle rivendicazioni marocchine. Il ritorno degli 136 Rapporto del Segretario Generale S/742/1997 in http://www.arso.org/S-1997-742f.pdf137 T. de Saint Maurice, Sahara Occidental: l'enjeudu referendum d'autodetermination,

L'Harmattan, 2000, Paris, pp21-48.

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elettori Saharawi sequestrati nei campi di Tindouf per partecipare al voto

nel territorio marocchino, è garantito. [...] La presenza delle FAR e dei

servizi amministrativi nelle province sahariane è mantenuta.

L'installazione degli uffici elettorali esclusivamente nelle nostre province

sahariane e l'accesso del Marocco alle onde radio dell'Algeria, della

Mauritania, delle Isole Canarie e di Tindouf, sono regolate di comune

accordo. [...] cos'altro può chiedere il popolo?”138.

Queste dichiarazioni urtano violentemente con la difficile situazione

che esisteva sia all'interno dei territori, sia a livello internazionale.

Nonostante gli sforzi propagandistici, il Marocco era consapevole che

difficilmente avrebbe potuto ottenere un risultato positivo da una

consultazione elettorale che contemplasse l'autodeterminazione. Così la

politica che ne seguì fu quella di paralizzare nuovamente i meccanismi

procedurali del piano di pace, mentre sul piano interno, si trattò di insistere

sempre più sul possesso de facto del territorio attraverso misure

economiche, politiche e poliziesche.

Fra il 1978 e il 1992 il governo marocchino ha investito nel territorio

del Sahara Occidentale più di un miliardo e mezzo di dollari in

infrastrutture civili come l'aeroporto di Layounne (15 milioni di dollari),

gli ammodernamenti portuali per la pesca (circa 250 milioni di dollari),

1650 km di strade, edifici a uso abitativo, una decina di scuole e due

ospedali. La capitale Layounne è divenuta una “zona franca” in cui i

prodotti erano venduti meno cari che nel resto del paese e i salari dei

lavoratori marocchini erano più elevati perché direttamente incentivati dal

governo centrale. Un altro importante investimento fu quello per la

realizzazione del porto di Dakla, nel sud del paese, destinato a diventare

fra i punti d'attracco più grandi dell'Africa Occidentale. Rabat stanziò circa

70 milioni di dollari per la sua realizzazione, sottolineano l'importanza che

questo progetto avrebbe potuto avere sopratutto per le relazioni

commerciali con l'Europa e per lo sviluppo dei nuovi rapporti euro-

mediterranei139. Il dispiegarsi progressivo dei nuovi metodi produttivi 138 A. Chankou, “Driss Bassri remet les pendules à l'heure”, in Maroc Hebdo International n.

294, ottobre 2007.139 P. San Martin, “EU-Morocco Fisheries Agreement: The unforeseen consequences of a very

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neoliberisti ha completamente distrutto le strutture e le reti commerciali

che esistevano prima dell'invasione lasciando spazio ad un rapporto di

dipendenza economica diretta verso il Marocco in cui tutti i prodotti e le

merci che circolavano nei territori occupati erano importati unicamente dal

Marocco mentre tutto quello che veniva estratto e prodotto nel Sahara

Occidentale era destinato all'esportazione140. Anche se questi investimenti

si rilevarono fondamentali per lo sviluppo economico della regione e per

l'immagine di normalità che il Marocco si sforzava di costruire, la

situazione economica complessiva del regno non sembrava migliorare

nonostante i dieci anni del programma di aggiustamento strutturale del

FMI141.

Dal punto di vista dell'integrazione politica, in riferimento all'articolo

100 della nuova riforma costituzionale approvata nel settembre 1996, il

parlamento marocchino adottò il 2 aprile 1997, la nuova legge per

l'organizzazione regionale (n°47-96) grazie alla quale lo Stato centrale

trasferiva la gestione di specifiche materie (come quelle riguardanti il

sistema scolastico, l'impiego, la formazione professionale e la disciplina

delle istituzioni miste pubblico-privato) alla competenza esclusiva dei

consigli delle sedici nuove regioni create142. Questa decisione rientrava in

una serie di misure di liberalizzazione politica che Hassan II aveva

cominciato ad intraprendere a partire dalla metà degli anni novanta,

quando il suo stato di salute cominciò a regredire. Egli voleva lasciare

l'immagine di uno Stato in trasformazione, aperto ai principi democratici

che una nuova politica di decentramento implicava perché attraverso la

concessione di un più ampio processo di coinvolgimento, avrebbe

garantito la partecipazione dei cittadini nelle scelte politiche Tuttavia uno

fra gli scopi di questo intervento era quello di far rientrare a tutti gli effetti

le nuove province sahariane all'interno dell'intero sistema amministrativo

dangerous turn”, GEES - Grupo de Estudios Estratégicos, 13/6/2006, in http://www.gees.org/articulo/2601/

140 I. Dalle, “ Le Maroc a fait des dépenses considérables au Sahara”, AFP, Rabat, 4 Novembre 1995

141 M. El Banna “Un rapport ministériel met en relief l'extreme fragilité de l'economie marocaine”, Le Monde, Paris, 12/9/1995

142 Z. Daoud, “Maroc: les élections de 1997” in Maghreb-Machrek, n°158 ottobre-dicembre 1997.

92 - 92

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centrale, infatti nel quadro della nuova divisione amministrativa, Smara

risultava integrata all'interno della regione sud-marocchina di Guelmin,

mentre Layounne e Dakhla erano i due capoluoghi di altrettante regioni

distinte (Layounne-Boujudour e Oued Eddahab).

I nuovi consigli regionali rimanevano in carica per sei anni ed erano

intimamente legati al diretto controllo del Makhzen che, attraverso il

ministero dell'interno, ne sceglieva il governatore e decretava le sue

dimissioni. In effetti non si trattava di una modifica di stampo federale, ma

di una riforma di decentramento impostata su alcuni principi fondamentali

che ne limitavano fortemente la portata. La sovranità era indivisibile e il

Marocco rimaneva uno stato unitario con una sola fonte di sovranità

esercitata sulla totalità del territorio. L'ente territoriale si amministrava ma

non governava, ovvero non esisteva un potere normativo locale e

l'amministrazione si esercitava all'interno e nel rispetto delle attribuzioni

del legislatore centrale. Infine, il principio di integrità territoriale

significava indivisibilità del popolo che era composto da tutti i cittadini

marocchini senza distinzioni di origine, etnia o religione, questo implicava

che non erano riconosciute minoranze e non esisteva quindi un sistema di

diritto capace di tutelare le specificità culturali, religiose o linguistiche143.

Questa nuova architettura amministrativa fu fondamentale per

comprendere la direzione che assunsero i negoziati di pace dopo la

proposta di regolamento di Houston e collocare il nuovo accordo quadro

del 2001 all'interno di un progetto marocchino ben preciso, che non ha più

il referendum come obbiettivo finale ma è finalizzato verso una soluzione

politica negoziata che possa portare alla concessione di un'autonomia

progressivamente più ampia alle regioni del territorio sahariano all'interno

della sovranità del regno marocchino.

L'accordo quadro del 2001144 proposto da Baker prevedeva infatti un

periodo di autonomia di cinque anni durante il quale l'amministrazione del

territorio veniva affidata ad un consiglio esecutivo di saharawi di cui

potevano far parte coloro i quali erano già stati censiti nella lista del 1974. 143 M. Sehimi, “Autoritèé et territoire”, in Maroc Hebdo Internatonal, n°444, 15-21 dicembre

2000.144 Rapporto del Segretario Generale S/613/2001 in http://www.arso.org/S-2001-613f.pdf

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I saharawi avevano la competenza dell'amministrazione locale in cui

rientrava la riscossione delle imposte, la gestione della sicurezza interna e

dell'ordine pubblico, oltre che la competenza esclusiva sulla cultura,

educazione e sviluppo, mentre al regno del Marocco rimanevano le

prerogative di sovranità come le relazioni internazionali (compresa la

stipulazione di accordi e convenzioni), la sicurezza e difesa nazionale e la

responsabilità dell'integrità nazionale contro i tentativi di secessione sia

interni che esterni. Al termine di cinque anni di autonomia simulata, un

referendum doveva stabilire il nuovo statuto del Sahara Occidentale e al

voto potevano partecipare tutti coloro che risiedevano da almeno un anno

nel territorio, indipendentemente dall'origine.

Ma anche questo piano è destinato a fallire perché in definitiva

prevedeva comunque il voto sul diritto di autodeterminazione e questo

avrebbe sancito necessariamente la vittoria netta e definitiva di una parte e

la conseguente delegittimazione dell'altra, così nel 2004 Baker si dimise

abbandonando definitivamente il dossier sul Sahara Occidentale. Sin dalle

origini del conflitto, l'ONU è sempre stata impotente nel far rispettare le

sue decisioni basate sulla legalità di un diritto internazionalmente

riconosciuto, rimanendo schiacciata dagli interessi ideologici contrapposti

all'interno del Consiglio di Sicurezza e dai giochi di alleanze e protezioni

che questi implicavano. Quando l'ONU provò a nuovamente a prendere in

mano il dossier del Sahara Occidentale, questo avvenne all'interno di uno

scenario internazionale profondamente mutato caratterizzato dalla

preponderanza militarista degli Stati Uniti nella regolazione dei conflitti,

decisi a liquidare gli ultimi residui della disputa est/ovest e a dettare le

regole di un nuovo ordine globale.

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CAPITOLO TERZO

Mohamed VI e le nuove speranze democratiche

Gli anni '90 registrano una possibile apertura del Marocco verso

l'integrazione dei valori democratici. Diversi cambiamenti hanno

profondamente coinvolto l’assetto costituzionale del paese dal momento

che sono state introdotte alcune riforme politiche tese a incanalare le

molteplici forze e tensioni interne esplose attraverso la mobilitazione della

società civile e a garantire l’integrazione dei partiti d’opposizione nel

sistema di governo.

Nel 1998 è inaugurata una nuova fase politica, definita di “alternanza”,

quando Abraham Youssufi, leader socialista diventa primo ministro, non

prima però che venisse approvata nel 1996 una vasta riforma

costituzionale con l’appoggio delle principali formazioni politiche, che

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grazie alla questione del Sahara Occidentale avevano abbandonato

definitivamente l’opzione golpista, avviando un nuova fase riformista nei

loro rapporti con la monarchia. La nuova Costituzione esprime in una certa

maniera anche la spinta progressista sollecitata dai diversi movimenti per i

diritti umani nella trasformazione della società e il loro tentativo di aprire

un profondo percorso democratico capace di conquistare nuovi diritti di

cittadinanza in contrapposizione alla condizione di suddito, conseguenza

del potere autoritario. Nel testo, infatti, per la prima volta viene fatto

riferimento esplicito alla tutela dei diritti dell'uomo e comprende alcune

importanti riforme come la creazione di un ministero specifico e

l’istituzione del CCDH (Conseil Consultatif des Droits de l'Homme).

Il 23 luglio 1999 muore Hassan II e, in base al principio di ereditarietà

del trono, il suo posto viene preso dal figlio Mohamed VI. La sua giovane

età stimola diverse speranze fra la popolazione che riconosce in lui la

possibilità di nuove aperture, così necessarie ad un paese in profondo

cambiamento. Inoltre il suo ostentato attaccamento ai diritti dell'uomo e il

continuo riferimento ai disoccupati, poveri ed analfabeti, rendono la sua

figura molto più vicina alla popolazione di quanto lasciava credere Hassan

II e la sua retorica elitaria. Le speranze e le aperture emerse con la

successione trovavano sin da subito un difficile banco di prova quando il

nuovo re dove affrontare un nuovo ciclo di lotte che si è prodotto nel

Sahara Occidentale che prende il nome di Intifada Saharawi.

I moti esplosi a partire dal 1999 hanno evidenziato una realtà

sociologica estremamente complessa nelle province del Sud marocchino.

Molti giovani, partendo da una condizione materiale di malessere sociale

che non trovava risposte se non nell'ordine pubblico e nella gestione

securitaria del territorio, hanno spostato progressivamente l'obiettivo delle

loro rivendicazioni sull'aspetto identitario, con un richiamo netto

all'indipendenza e all'autodeterminazione tanto che anche il Polisario “al di

là del muro” ha cominciato a guardare con interesse il movimento

spontaneo, fino ad appoggiarlo apertamente come nelle dimostrazioni del

2005. Contemporaneamente è emersa anche l’importanza di una nuova

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classe dirigente saharawi che è riuscita a costruire la sua forza e ricchezza

attraverso la concessione e lo sfruttamento delle risorse naturali del

territorio in collusione con il potere politico-militare del makhzen. Questi

ricchi notabili giocheranno un ruolo chiave nel progetto di “larga

autonomia” che la monarchia ha presentato all’ONU nel tentativo di dare

una svolta alla paralisi del processo di pace senza ricorrere al referendum

d’autodeterminazione invocato dal Polisario. Anche se la proposta di

autonomia è evidentemente contraria alle regole internazionali che

riguardano la decolonizzazione, appare però realizzabile se si considerano

i grandi interessi economici emersi con le recenti esplorazioni petrolifere e

la necessità di stipulare dei contratti di licenza internazionalmente validi

con un territorio “non autonomo”.

3.1 Il nuovo re fra continuità autoritaria e aperture democratiche

Dagli anni '90 il campo politico marocchino è stato attraversato da

modifiche di diversa natura che lasciano presagire un nuovo atteggiamento

della monarchia verso una possibile apertura per l'integrazione dei valori

democratici. Su questi possibili cambiamenti ha influito non solo un

palcoscenico internazionale profondamente cambiato dopo il crollo del

muro di Berlino, ma anche a forze e tensioni interne esplose attraverso la

mobilitazione della società civile su diverse forme di contestazione del

potere politico. Il processo di evoluzione politica interno che grazie alla

questione del Sahara Occidentale aveva avvicinato tutte le principali forze

del paese attorno alla monarchia, prosegue quindi il suo percorso su alcune

importanti modifiche istituzionali, politiche e giuridiche che Hassan II ha

introdotto per preparare il regno alla successione. Con successione, non si

vuole intendere il solo passaggio di trono fra Hassan II e suo figlio

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Mohamed VI, quanto piuttosto un lungo percorso di transizione politica

verso la modernità che fino all'ultimo decennio del vecchio monarca è

stato neutralizzato dalla condotta di dirigenti politici e funzionari

makhzenizzati che hanno preferito conservare il sistema tradizionale

autoritario piuttosto che democratizzarlo145.

La possibilità di questo cambiamento è divenuta in parte possibile

grazie al verificarsi di due importanti presupposti: l'accettazione da parte

di tutti i soggetti politici dell'utilità di un processo riformista che non

rimetta in discussione in maniera drastica la distribuzione attuale del

potere e la fiducia nel costituzionalismo come metodo per fissare questi

equilibri. Il riformismo auspicato, lento e progressivo, nasce quindi da una

nuova relazione fra opposizione e monarchia, caratterizzata da mutue

garanzie vitali per ognuna delle due parti, per ridefinire nuove regole che

governino l'esercizio del potere all'interno di un nuovo quadro

costituzionale. Un patto politico di non belligeranza, mai esplicito ma che

viene consolidato negli anni '90 quando le forze d'opposizione hanno

registrato una profonda trasformazione nel ridefinire nuove prospettive

strategiche che, abbandonando definitivamente l'opzione golpista,

permettano di arrivare al governo.

La spinta verso un nuovo quadro costituzionale capace di garantire un

nuovo equilibrio degli interessi politici che contempli anche la possibilità

di alternare la guida del paese, nasce nel 1989 con la proclamazione del

cessate il fuoco e la previsione di un referendum nel Sahara Occidentale.

Hassan II decide di consultare la popolazione per un prolungamento della

legislatura che doveva essere rinnovata nel 1990. Il referendum, approvato

con il 99.89% dei consensi il 1 dicembre, avviene in un contesto socio-

economico difficile in cui il parlamento ha adottato la privatizzazione di

122 industrie statali e la ripresa di una politica economica d'austerità per

far fronte alla diminuzione del tasso di crescita. Da questo momento la

ricerca dell'alternanza politica progredisce in concomitanza della

liberalizzazione economica che impone sacrifici ed è accompagnata da 145 Mouaquit M., Cambiamento politico, società civile e globalizzazione: il caso del Marocco in

“Società globale e Africa Mussulmana. Aperture e resistenze” a cura di A. Baldinetti, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, pp. 129-131.

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disordini sociali (scioperi generali e settoriali146) e universitari (con

l'ascesa sempre più rapida degli islamisti).

Nel 1991 il re convoca i leader dell'opposizione per comunicare

ufficialmente loro la riforma costituzionale che prevedeva nuove leggi e

un nuovo sistema elettorale. Nella speranza di trovare un più rapido

appoggio alla sua iniziativa, liberò alcuni prigionieri politici, ma le

negoziazioni con l'opposizione avvengono in un clima ancora di aperta

ostilità. I partiti d'opposizione147 il 17 maggio 1992 si riuniscono nel

“Blocco Democratico”, “considerando l'importanza delle sfide che il paese

dovrà affrontare in tutte le materie, tanto a livello di consacrazione

dell'unità territoriale e del suo perfezionamento, quanto nell'instaurazione

di una democrazia vera sul piano politico, economico, sociale e

culturale”148. Fino al 1994 il rapporto fra la nuova compagine unitaria

dell'opposizione e la monarchia rimane costantemente in tensione con

colpi di mano che descrivono un difficile percorso verso l'inserimento

dell'opposizione nell'attività di governo. Il blocco democratico, infatti, si

rifiutava di entrare in un esecutivo la cui azione sarebbe rimasta comunque

limitata dall'attuale quadro politico che riconosceva al re la prerogativa

nella scelta del capo del governo e dei ministeri principali. Le condizioni

che la Koutla poneva insistevano sull'elezione diretta di tutti i membri

della Camera e sulle riforme costituzionali necessarie affinchè l'alternanza

di governo risultasse essere espressione delle urne e non una scelta del

re149.

Spinto dalla necessità di arrivare all'alternanza nonostante questo

implicasse il riconoscimento di alcune concessioni e sotto il peso

progressivo di diverse realtà e forze autonome della società marocchina

che si strutturavano attorno alla difesa dei diritti dell'uomo intesi nella loro

globalità (sia che si tratti di diritti politici, culturali o socio-economici), il

re annuncia il 20 agosto 1996 “una riforma progressiva ed efficace che

146 Rivolta a Fes il 14 e 15 dicembre 1990 a cui seguì uno sciopero generale. 147 Istiqlal, USFP, UNFP, PPS e OADP. 148 L'Opinion, 27 maggio 1992. op cit in “Creation du Bloc Democratique”, Maghreb Machrek,

n. 137, 1992. 149 Daoud Z., “Maroc: les élections de 1997”, Maghreb Machrek, n.158, 1997, pp 105-108

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segua le esigenze dell'epoca e che sia conforme alle componenti umane,

intellettuali e politiche del nostro paese”150.

A settembre viene proposta l'approvazione tramite referendum del

nuovo testo costituzionale che, per la prima volta, riceveva anche il

consenso dell'Usfp e dall'Istiqlal. Le concessioni del monarca, infatti,

comprendevano anche l'elezione diretta a suffragio universale dell'intera

Camera e l'accordo, non detto, che il re scegliesse il primo ministro

tenendo conto della maggioranza in Parlamento. Il nuovo testo

costituzionale, inoltre, traduceva una certa volontà politica che si

inscriveva nella logica delle aspettative formulate esplicitamente dai

partner occidentali del regime. Tuttavia, nonostante il consenso pressoché

unanime delle maggiori rappresentanze politiche, rimane da sottolineare

che il re ha sempre mantenuto l'iniziativa delle negoziazioni dando loro un

carattere consultativo, rimarcando sempre che l'iniziativa della riforma

fosse reale, questo spiega le definizioni paradossali di “alternanza

consensuale” o “alternanza desiderata dal re”151.

Non si può dunque, non essere scettici sulla reale portata di questi

cambiamenti e sul valore effettivo delle riforme. Il dialogo si è svolto

comprendendo solo una parte delle forze politiche e sociali in campo (gli

ex partiti dell'avanguardia marxista, molte organizzazioni per i diritti

dell'uomo e gli islamisti hanno rifiutato il testo) e rimangono ancora forti

tensioni nella formazione del governo con la nomina diretta da parte del re

dei ministri cosiddetti di “sovranità”: giustizia, affari esteri e interno (Driss

Basri, uomo simbolo della repressione durante gli anni di piombo, ha

mantenuto la poltrona nel nuovo governo). Inoltre la portata positiva

dell'elezione diretta dell'intera Camera è depotenziata dall'introduzione di

una seconda camera a elezione indiretta, espressione delle entità decentrate

e degli ordini professionali, direttamente controllata dal makhzen152. In

realtà, attraverso questa riforma, il parlamento risulta indebolito piuttosto

che rafforzato perchè, rispetto al numero totale dei membri di entrambe le

150 Discorso del re Hassan II il 20 agosto 1992.151 Tozy M., “Réformes politiques et transition démocratique”, in Maghreb Machrek, n.164,

1999, pp 64-73.152 Vedi paragrafo 2.4

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camere, quelli eletti indirettamente risultano essere più numerosi rispetto

all'unicameralismo in cui solo un terzo dei membri era di nomina reale153.

Il primo governo d'alternanza del 1998 vede alla guida Abderrahman

Youssufi leader dell'USFP rientrato dopo 30 anni di esilio nel 1993.

Apparentemente questo avvenimento può essere interpretato come un

possibile credito che registrano le nuove riforme istituzionali contenute nel

testo del 1996, ma, secondo uno schema già vissuto precedentemente in

Marocco, sarebbe più opportuno pensare all'ultimo tentativo ben riuscito

di rinnovamento del Makhzen compiuto da Hassan II prima della sua

morte. Per capire se si tratta di un cambiamento reale o di “adattamento

del potere autoritario”, bisognerà attendere l'atteggiamento di Mohamed

VI alla scadenza della legislatura nel 2001, per il momento è importante

analizzare i risultati delle elezioni legislative del 14 novembre 1997154,

caratterizzati dal più alto tasso di astensionismo nella storia del

Marocco155, per comprendere una situazione di generale disaffezione della

popolazione nei confronti dell'intero sistema della rappresentanza. I partiti

infatti vedono il loro credito politico indebolito perché la scelta per una

politica conciliante con il Palazzo ha eliminato ogni distinzione netta fra

gli schieramenti lasciando così un vuoto politico di pratiche e di contenuti

che sarà occupato dai diversi attori della società civile.

Gli anni '90 corrispondono infatti in Marocco ad una moltiplicazione

delle realtà associative come espressione della società civile. Questa

proliferazione in parte è stata resa possibile grazie all'aiuto crescente

proveniente dall'estero, non solo in termini di nuovi finanziatori, quanto

piuttosto perchè è riuscito rompere il muro di omertà e silenzio che la

guerra fredda aveva innalzato e dietro al quale sono state commesse e

legittimate le terribili atrocità che hanno caratterizzato il Marocco sotto la

153Ottaway M., Riley M., “Morocco: from Top-down reform to Democratic Transition?”, Carnegie endowment, n°71, settembre 2006 p 5.

154 Il blocco di “destra” raggiunse il 30,26% dei voti, il blocco di “centro” il 26,43% e il blocco democratico (Koutla dimuqratiyya) ottenne la maggioranza relativa con il 31,71% delle preferenze.

155 Gli iscritti a votare furono 12.790.631 ma di questi solo 7.456.996 (pari al 58,3%) parteciparono al voto. I voti nulli furono 1.085.366 quindi i suffragi espressi furono poco più di 6 milioni.

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guida di Hassan II156. L'evoluzione politica della società marocchina rinvia

ad una realtà sociologica molto diversificata, interpretata dai movimenti

per i diritti umani, le associazioni coinvolte in azioni di sviluppo sociale e

gruppi di obbedienza islamica, il cui numero e rappresentatività sociale è

un importante fattore da tenere in considerazione. L'importanza del

movimento dei diritti umani sul nuovo percorso democratico del Marocco

risiede nella lotta per la conquista di nuovi diritti di cittadinanza in

contrapposizione alla condizione di suddito, conseguenza del potere

autoritario esercitato dal makhzen. Le cause endogene che hanno portato

alla loro diffusione nascono contemporaneamente all'insistenza dei

processi di sviluppo economico neoliberali che vedono nella generale crisi

della rappresentanza una diretta conseguenza e che hanno lasciato un

vuoto di opposizione sopratutto a partire dalle materie del sociale. Il

veloce sviluppo delle associazioni avviene all'interno del contesto urbano e

fra queste, un numero significativo si struttura prevalentemente per la

difesa di interessi particolari come quelli per la tutela delle vittime degli

anni di piombo, per la libertà di impresa o contro la corruzione. Queste

recenti organizzazioni fanno riferimento al più esteso quadro di quelle

sorte in difesa dei diritti dell'uomo sin dal 1972 quando nacque la Ligue

Marocaine de Défense des Droits de l'Homme (LMDDH) a cui fa seguito

nel 1979 l'Association Marocaine des Droits de l'Homme (AMDH).

Entrambe le associazioni inizialmente erano legate ai partiti istituzionali

dell'opposizione (Istiqlal e UNFP) e solo nel 1988 nacque l'OMDH

(Organisation Marocaine des Droits de l'Homme), la prima organizzazione

che deve il suo successo e credibilità proprio all'indipendenza e autonomia

dalle istituzioni e dai pubblici poteri. All'interno del territorio esercita la

sua attività, anche se in maniera clandestina, l'associazione

AFAPREDESA fondata il 20 agosto 1989 all'interno dei campi di Tondouf

amministrati dalla RASD157. La nuova Costituzione del 1996 esprime in

156 Nel settembre 1990 esce in Francia, presso le edizioni Gallimard, il libro di Gilles Perrault notre ami le Roi, che attraverso una vasta documentazione accumulata dai militanti delle associazioni per i diritti dell'uomo, ricostruisce gli anni di piombo in Marocco sotto Hassan II.

157 All'interno del sito dell'associazione www.afapredesa.org si trova il manifesto di fondazione oltre numerosi rapporti dettagliati.

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una certa maniera anche questi grandi mutamenti della società marocchina.

Nel testo per la prima volta viene fatto riferimento esplicito alla tutela dei

diritti dell'uomo e comprende alcune importanti riforme istituzionali che

vanno in questo senso come la creazione nel 1990 del CCDH158, dei

tribunali amministrativi (1993), un ministero specifico per la difesa dei

diritti dell'uomo (1993) e l'istituzione di un consiglio costituzionale nel

1994159.

Il 23 luglio 1999 muore Hassan II e, in base al principio di ereditarietà

del trono inserito sin dalla costituzione del 1962, il suo posto viene preso

dal figlio Mohamed VI. Nel discorso pronunciato in occasione della sua

intronizzazione il 30 luglio 1999, il nuovo re si propone di consolidare le

fondamenta della politica interna indicate in maniera “chiara e precisa” dal

padre: la monarchia parlamentare, il multipartitismo, il liberalismo

economico, la regionalizzazione, lo stato di diritto, la salvaguardia dei

diritti dell'uomo e la tutela delle libertà individuali e collettive160.

L'opinione pubblica internazionale e marocchina giudica con speranza

l'arrivo del nuovo re: la sua giovane età, solo trentanove anni come a

simboleggiare il legame di una monarchia moderna con un paese in

cambiamento, il suo ostentato attaccamento ai diritti dell'uomo e il

continuo riferimento ai disoccupati, poveri ed analfabeti, rendono la sua

figura molto più vicina alla popolazione di quanto lasciava credere Hassan

II e la sua retorica elitaria161.

In effetti nei primi mesi di regno, Mohamed VI non sembra disattendere

queste aspettative: a capo della fondazione Mohamed V (una specie di

ONG umanitaria fondata da Hassan II negli ultimi anni del suo regno) il re

si reca di persona nei villaggi più remoti, compreso il Rif ignorato da suo

padre sin dal 1959, per offrire cisterne d'acqua alle vittime della siccità,

158 È un organismo consultativo, indipendente dal potere legislativo, esecutivo e giudiziario, composto da 37 membri che riflettono la pluralità politica, sindacale, culturale e professionale. Per Hassan II si trattava di un'iniziativa di perfezionamento dello stato di diritto. Ad esso fa riferimento un'Istanza d'arbitraggio indipendente incaricata di fissare i risarcimenti per le vittime delle “sparizioni forzate” e della “detenzione arbitraria”

159 M. Mouaquit, op. cit. pp. 132-133160 Discorso del trono pronunciato a Rabat il 30 luglio 1999 reperibile in http://www.maroc.ma/

portale ufficiale del regno 161 A. Mansour, “S.M. Mohamed VI, un roi de proximité” in Maroc Hebdo International, n.

395, dicembre 1999

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sostenere microprogetti di sviluppo o incoraggiare azioni di solidarietà. La

sua attenzione verso gli emarginati ha una doppia valenza, simbolica

perché innalza l'immagine caritatevole di “re dei poveri” e politica perché,

come osserva Mohamed Tozy, taglia l'erba sotto i piedi degli islamisti che

fin'ora hanno avuto il monopolio degli interventi caritatevoli nei quartieri

poveri, traendone grande popolarità162. Nell'agosto 1999 annuncia la

creazione di una commissione reale d'indennizzo per i vecchi prigionieri

politici (più di 420 in cinque anni), il ritorno di Serfaty e dei familiari di

Ben Barka dall'esilio, la liberazione di diversi prigionieri di diritto comune

e detenuti politici come Abdessalam Yassine, leader del maggiore

movimento islamista marocchino (al-Adl wa al-Ihsan) e sopratutto la

rimozione dall'incarico di Driss Basri dopo vent'anni al ministero

dell'interno163.

Nonostante le aperture promosse in campo sociale e sul riconoscimento

dei diritti dell'uomo, la politica del nuovo re negli anni a seguire è sempre

più orientata a seguire l'impronta tracciata dal padre di un riformismo di

facciata che non intacca la reale struttura di distribuzione del potere. Il re,

nella formazione del governo, rimane libero di scegliere se prendere in

considerazione i risultati delle elezioni o ignorarli. Così, nel 2002 viene

designato come primo ministro Driss Djettou, un tecnico non appartenente

ad alcun schieramento politico ma conosciuto sin dal 1993 quando fu a

capo dei ministeri economici164, prima di arrivare all'interno per sostituire

Basri. Egli fu l'artefice dell'organizzazione delle elezioni del 2001 ma, a

conferma del carattere intrinseco con cui fu condotto il processo di

alternanza, la sua nomina non risponde ad alcuna maggioranza uscita dalle

urne. Familiarizzando con il potere, il re non ha minimamente modificato

il sistema clientelare di cooptazione. Nella nomina dei nuovi governatori

regionali e delle prefetture urbane ha semplicemente rimosso i funzionari

162 I. Ramonet “Le Maroc indécis” in Le Monde Diplomatique, luglio 2000 163 P.Vermeren, op. cit. pp 106-110164 Ministro del commercio e dell'industria dal 1993 al 1995, poi ministro delle finanze, del

commercio, dell'industria e dell'artigianato dal 1997 al 1998. precedentemente fu presidente della federazione degli industriali e vicepresidente dell'associazione marocchina degli esportatori. Prima di assumere l'incarico di ministro dell'interno fu presidente dell'Office Cheriffien des Fosphates

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scelti da suo padre con altri a lui fedeli, lasciando vaghe le loro

attribuzioni. La causa strutturale delle mancate riforme politiche risiede

proprio nel fatto che queste, calate dall'alto, dovrebbero essere promosse

da un'elite dominata dal Palazzo, visibilmente poco incline a condividere il

suo potere che rimane così privo di qualsiasi forma di contestazione

diretta della sua legittimità165.

Per interpretare meglio i meccanismi con cui vengono condotte le

riforme nel regno di Mohamed VI, è importante analizzare l'esperienza

dell'IER (Istance Equité et Réconciliation). Nel dahir del 10 aprile 2004

viene definito il mandato della commissione, nata non come istanza

giudiziaria per designare le responsabilità individuali delle violazioni gravi

dei diritti dell'uomo commesse fra il 1956 e il 1999, ma piuttosto come un

organismo il cui obiettivo è quello di “riconciliare i marocchini con se

stessi e con la loro storia” attraverso l'inchiesta, la raccolta di informazioni

e la consultazione degli archivi ufficiali. La responsabilità della IER in

materia di riparazioni non è limitata ai soli indennizzi finanziari, ma dovrà

anche formulare delle raccomandazioni e proposte per assicurare la

riabilitazione psicologica e sociale delle vittime. Nella sua attività ha

accolto più di 16 mila esposti fra coloro che hanno subito detenzioni

arbitrarie, hanno avuto un familiare scomparso “misteriosamente” o sono

state vittime di tortura e dell'uso sproporzionato della forza pubblica166.

Questa istituzione, unica nel suo genere fra tutti i paesi del mondo che

sono stati governati da poteri autoritari, ha significato un passo in avanti

importante per l'evoluzione democratica del paese. La sua istituzione è

stata fortemente voluta dalle innumerevoli associazioni e ONG che

quotidianamente hanno raccolto materiale e informazioni per denunciare le

ingiustizie subite dalla popolazione e il re ha visto in questa l'occasione

giusta per “consolidare la transizione democratica, il rafforzamento

dell'edificazione dello stato di diritto e il radicamento dei valori e della

165 M. Catusse, F. Vairel, “Ni tout à fait le meme, ni tout à fait un autre. Metamorphoses et continuité du régime marocain”, Maghre Machrek, n°175, 2003 pp 73-91

166 J. Baida, “L'experience de l'Istance Equité et Réconciliation au Maroc”, in Experiences et memoire: partager en francais la diversité du Monde, Bucarest, settembre 2006.

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cultura della cittadinanza e dei diritti dell'uomo”167. Tuttavia, anche se la

sua formazione è stata sollecitata “dal basso”, la messa in opera rispecchia

pienamente la modalità propria del sistema monarchico essa, infatti, viene

comunque concepita come una “gratificazione reale”. La sua autonomia è

limitata perché otto dei suoi diciassette membri provengono direttamente

dal CCDH, ovvero una struttura interamente nominata e finanziata dal re.

La condotta con cui doveva essere ricercata la verità non poteva

imperativamente mettere in pericolo l'ordine pubblico e la stabilità del

paese per cui non vennero messe in causa le responsabilità individuali o

istituzionali dei partiti che hanno sollecitato o coperto le violenze degli

anni di piombo, ciò implica che molti dei responsabili continueranno a

rimanere al proprio posto di lavoro, se non di comando, all'interno dello

Stato. La riconciliazione perpetuata in questo modo è frutto di un

compromesso in cui le vittime sono riconosciute comunque colpevoli di

aver tentato di rovesciare il regime mentre i carnefici e i responsabili

politici rimarranno impuniti168. La strada verso la democrazia rimane

quindi un miraggio lontano perché solo attraverso un processo collettivo

capace di smuovere le coscienze e di imputare ad ognuno le proprie

responsabilità è possibile rompere con la tradizione autoritaria e non

permettere che il clima di terrore si possa più riproporre in Marocco.

Il Marocco di Mohamed VI cerca di voltare pagina all'insegna della

continuità, perchè senza un vero processo di catarsi della monarchia il

pericolo è che le violazioni possano riproporsi anche perché, soprattutto

dopo l'11 settembre 2001, il contesto internazionale è lontano dal favorire

l'apertura del campo politico. Infatti, in seguito al crollo delle torri gemelle

a Ney York e le esplosioni del 16 maggio 2003 a Casablanca, ma

sopratutto a causa della globalizzazione economica e dei suoi effetti

disastrosi per la periferia, il re fa votare dal Parlamento una legge

antiterrorismo che assegna alle forze di polizia il diritto a detenere un

167 Testo integrale del discorso pronunciato dal re in occasione dell’inaugurazione dell'Instance équité et réconciliation , Agadir, 07/01/04 in http://www.map.ma/mapfr/discours/disc-equite-reconciliation.htm

168 M. Rollinde, “L'alternance démocratique au Maroc: une porte entrouverte”, in Confluences Méditerranée, n. 51, autunno 2004.

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sospetto fino ad otto giorni, senza che possa contattare neanche un

avvocato e di perquisire case ed attività commerciali senza mandato.

Ancora più grave, la legge nella definizione di terrorismo fa rientrare tutte

le manifestazioni capaci di turbare l'ordine pubblico, facendo passare per

minaccia permanente tutti coloro che rifiutano il consenso securitario e il

politicamente corretto, come i militanti Saharawi, quelli per i diritti

dell'uomo o addirittura i giornalisti169.

Fra questi c'è sicuramente Ali Lmrabet direttore delle riviste satiriche

Demain Magazine e Doumane, condannato il 17 giugno 2003 a tre anni di

prigione e all'interdizione dalla professione per oltraggio alla persona del

re, attentato alla monarchia e attentato all'integrità territoriale, dopo aver

pubblicato un articolo sul giornale francese Le Monde del 10 ottobre. Nel

testo egli fa un quadro molto pungente della situazione che vive il

Marocco sotto Mohamed VI, vale la pena ricordarlo, se non altro a causa

della censura che ha subito: “Incorreggibile Marocco! Sempre pronto ad

occultare la realtà con gli stessi sempiterni discorsi. Discorsi o, piuttosto,

menzogne che non presentano rughe dopo più di vent'anni. L'Ufficio del

Turismo compie uno sforzo sovrumano per diffondere l'immagine di un

Marocco immutabile nella sua bellezza, generosità e cultura. Questo

slogan pubblicitario sarebbe più giusto, più onesto, se si potesse

aggiungere: “immutabile nel modo di essere governato”. Poiché, quali

sono le scelte “democratiche” o “moderniste” delle quali ci riempiono le

orecchie qui ed altrove?170”

169 Abdelmoumni F. “L'impunitè au Maroc” in Confluences Méditerranée n 51, autunno 2004.170 A. Lmrabet “Incorrigible Maroc!” in Le Monde 10 ottobre 2003.

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3.2 L'intifada saharawi

Le promesse e le speranze che segnarono i primi mesi del regno di

Mohamed VI, non riescono a placare la diffusione del malessere sociale.

Un processo di riconciliazione calato dall'alto che garantisce l'impunità ai

responsabili delle violazioni dei diritti dell'uomo e l'uso sistematico della

violenza e della tortura come prassi di una politica securitaria, sono i limiti

strutturali della politica messa in campo dal nuovo re nella transizione

democratica del paese ed anche i presupposti con cui la monarchia affronta

un nuovo ciclo di lotte che si è prodotto nei territori occupati del sud, che

prende il nome di “intifada saharawi”.

Gli avvenimenti che segnarono la città di Layounne nei territori

occupati a partire da settembre e ottobre 1999 hanno segnato un punto di

svolta fra la popolazione saharawi, nella ricerca di nuove pratiche di

resistenza che vanno oltre la soluzione militarista, registrando un nuovo

rinnovato protagonismo della generazione nata dopo il cessate il fuoco.

Poche decine di studenti saharawi organizzarono un sit-in dimostrativo per

richiedere borse di studio e sussidi ai trasporti nelle università marocchine.

A loro si unirono dapprima i prigionieri politici che chiedevano

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risarcimenti e verità sulle responsabilità dei desaparecidos, seguiti poi dai

lavoratori saharawi delle miniere di fosfati di Bou Craa e da alcuni

disoccupati. Per diversi giorni i protestanti allestirono alcune tende nella

piazza Dcheira di fronte l'hotel Najir che ospitava il centro direzionale

della MINURSO. Inizialmente evitarono deliberatamente ogni riferimento

esplicito all'occupazione, concentrando le loro rivendicazioni

esclusivamente sul terreno sociale ed economico, l'obiettivo infatti era

quello di testare il livello della reazione marocchina, quanto velocemente e

con che livello di violenza le forze di sicurezza avrebbero risposto e

calcolare così la preparazione di manifestazioni più grandi per il futuro171.

La reazione delle autorità scattò fra il 22 e 23 settembre al dodicesimo

giorno di presidio, quando le forze di sicurezza sfondarono le tende ed

aggredirono i manifestanti con manganellate e gas lacrimogeni arrestando

arbitrariamente una decina di studenti, non prima di aver fatto evacuare

l'hotel occupato dei delegati ONU che avrebbero dovuto stilare un

rapporto sullo svolgimento degli eventi. Le violenze continuarono anche i

giorni successivi con diversi gruppi di marocchini che, implicitamente

autorizzati dall'esercito, entrarono nelle case dei militanti saharawi per

saccheggiarle e distruggere gli affetti più cari. L'operazione ebbe come

unico risultato quello di radicalizzare la popolazione che cinque giorni

dopo organizzò una grande manifestazione in cui emergevano anche le

rivendicazioni per l'indipendenza e l'autodeterminazione, ad essa

parteciparono anche i coloni marocchini provenienti dai sobborghi della

città, a dimostrazione che la causa impostata sui diritti politici, piuttosto

che sull'identità etnica, avrebbe avuto maggiore successo nelle adesioni.

Dopo le diverse critiche espresse a livello internazionale, addirittura

anche dal dipartimento di stato americano172, sulla violenza con cui le

forze di sicurezza marocchine hanno reagito alla dimostrazione, il re

decretò dal 30 settembre lo stato d'emergenza e il coprifuoco ed il 6

ottobre inviò una delegazione di sei ministri con l'obiettivo di “ascoltare le

rivendicazioni degli abitanti per trovare delle soluzioni durevoli al 171 Intervista a Salka Barka, fra i leader della protesta, effettuata a Washington da Maria J.

Stephan il 13 gennaio 2006.172 http://www.state.gov/www/global/human_rights/199_hrp_report/wsahara.html

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malessere recentemente espresso che ha portato alla violenza”173. Il piano

d'emergenza proposto dalla delegazione comprendeva l'aumento delle

borse di studio per gli studenti, sostegno morale e finanziario ai portatori

di handicap, un programma specifico per l'inserimento dei diplomati

disoccupati nel mercato del lavoro e la costruzione di abitazioni popolari.

Inoltre il re, di sua iniziativa, rimosse il governatore locale e il capo della

polizia, annunciando l'elezione per un nuovo Consiglio reale degli affari

sahariani. Ma la situazione stentava a tornare alla normalità, infatti la notte

del 30 ottobre Layounne fu di nuovo il teatro di durissimi scontri fra

Saharawi e forze dell'ordine marocchine quando diverse centinaia di

persone manifestarono pacificamente contro la repressione e la politica

marocchina.

Dopo queste prime iniziative, è difficile dare un'interpretazione univoca

del fenomeno. Se si tiene conto delle cifre ufficiali fornite dal censimento

generale del 2004 il 50% degli abitanti delle province del Sud ha meno di

18 anni e più del 40% meno di 30. Il 30% dei giovani diplomati sono

disoccupati e fra questi il 70% è di origine urbana. Nella provincia di

Guelmine-Smara, solo il 44,8% dei giovani dai 20 a i 24 anni e il 54,7% di

quelli fra 25 e 29 anni sono occupati, il tasso di analfabetismo supera il

20% nei i ragazzi fra i 15 e 24 anni e supera il 40% in quelli fra 25 e 34

anni. Molti giovani non hanno la possibilità di seguire gli studi e la

precoce uscita da scuola fra gli adolescenti per cercare lavoro, porta spesso

all'emigrazione verso i paesi occidentali. Le città del Sud marocchino

soffrono anche di una grave insufficienza di infrastrutture economiche e

socio-culturali, i grandi investitori cioè i notabili e i ricchi borghesi della

regione preferiscono depositare in maniera più prudente i loro soldi nel

nord del Marocco o all'estero piuttosto che nel Sud, ricco di risorse

naturali come pesca e fosfati o di grandi potenzialità nel settore turistico.

Questi dati sembrano confermare l'interpretazione governativa che fa

risalire l'origine delle contestazioni esclusivamente a rivendicazioni di tipo

economico e sociale che nulla hanno a che vedere con la questione

173 A. Chankou, “Le gouvernement se redéploie à Layounne”, in Maroc hebdo international, n. 388, ottobre 1999.

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dell'indipendenza del territorio174.

Se si considera il ritmo crescente e la diffusione delle manifestazioni

caratterizzate sempre più spesso dal frequente richiamo all'indipendenza e

all'autodeterminazione, si comprende che il problema ha ben altra natura e

non ha nulla a che vedere con la versione ufficiale che il Marocco si sforza

di dare agli eventi, che vuole che i saharawi saranno integrati al Marocco

solo una volta che il regime monarchico riuscirà loro offrire una situazione

migliore175 senza tuttavia modificare le dinamiche di potere all'interno. Gli

avvenimenti futuri permetteranno di delineare in che direzione sfocerà la

contestazione.

Quella che generalmente viene chiamata “seconda intifada” scoppiò

quando le autorità marocchine decisero il trasferimento di alcuni

prigionieri saharawi dalla prigione di Layounne a quella di Ait Melloul,

nei pressi di Agadir. Fra questi c'era Ahmed Mahmoud, denominato Al

Kinane (l'uomo che morde, in dialetto hassania) proprio per la sua

determinazione nell'impegno sociale e politico. Nonostante la famiglia

abbia cercato di impedire il suo trasferimento organizzando un presidio

sotto al carcere insieme a diversi militanti dell'associazionismo per i diritti

umani, la polizia riuscì ugualmente a condurre il detenuto presso il nuovo

carcere. In seguito fu organizzato un altro sit-in di solidarietà e sostegno

per chiedere l'annullamento del trasferimento e il miglioramento delle

condizioni di vita dei prigionieri. Già lunedì 23 maggio 2006, il numero

dei partecipanti davanti l'abitazione di Al Kinane era enormemente

cresciuto, attirando l'attenzione di numerosi manifestanti e militanti

dell'associazionismo. Il presidio continuò anche il giorno successivo,

anche questa volta inizialmente le rivendicazioni erano centrate sul

richiamo alle leggi internazionali per la tutela dei diritti dei detenuti, ma a

differenza del giorno precedente, le forze di sicurezza del GUS (Gruppo

Urbano di Sicurezza) non esitarono ad intervenire nel tentativo di sedare la

manifestazione e riportare l'ordine. L'intervento repressivo non fece altro

174 M. Izdine, “Les révoltes de Layounne”, in Maroc Hebdo International, n.725, dicembre 2006, pp. 18-22.

175 A.O. Yata, L'insurrection Sahraouie. De la guerre à l'Etat 1973-2003, L'Harmattan, Paris, 2003, pp. 117-120.

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che radicalizzare le proteste che, a differenza di quanto avvenuto

precedentemente, questa volta si indirizzarono esclusivamente sulla

rivendicazione dell'indipendenza e dell'autodeterminazione. La tenacia dei

manifestanti, che resistettero a ripetute cariche, costrinse le forze di

sicurezza a ripiegare e ad aprire uno spiraglio di trattativa con le autorità

locali. In realtà la negoziazione, che portò ad un accordo sul trasferimento

dei feriti all'ospedale e sul rilascio di alcuni arrestati, servì alle autorità

marocchine per prendere tempo e richiamare altre brigate dei reparti

speciali che accerchiarono completamente la piazza Hay Maatalah e i

quartieri vicino. Per tutta la notte fra il 25 e il 26 maggio avvennero

durissimi scontri fra manifestanti e le forze di sicurezza di diversi reparti

che impiegarono anche mezzi pesanti nel tentativo di disperdere il

presidio. Centinaia furono gli arrestati e la polizia non rinunciò a violare i

domicili dei saharawi per saccheggiarli e distruggere tutto, terrorizzando le

famiglie che si trovarono all'interno. Il clima a Layounne fu tesissimo per

tutta la settimana caratterizzata da durissimi scontri che presto si

propagarono anche nella altre città occupate di Smara e Dakhla, dove

alcuni militanti innalzavano vessilli della RASD, e nei campus universitari

di Marrakech, Rabat e Fez, frequentati da un'altissima percentuale di

studenti saharawi che espressero solidarietà e sostegno alla causa

indipendentista. Gli arrestati furono un centinaio, fra questi anche il

presidente della sezione locale dell'AMDH176, la cui detenzione risultò

essere un'importante testimonianza nel denunciare lo stato critico di salute

e le torture a cui sono sottoposti i detenuti. A tal proposito, domenica 29

maggio i saharawi organizzarono un altro presidio sotto l'hotel Nikjeer,

sede della stampa internazionale, gli incidenti infatti avevano richiamato

l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale e immediatamente Rabat

impose misure molto rigide per filtrare gli arrivi dei giornalisti nelle

province teatro degli scontri177. Questi continuarono in maniera sporadica

176 Rapport d'enquete relatif aux événements de la ville de Layounne, Rapporto di una commissione di inchiesta dell'AMDH relativa agli avvenimenti a Layounne nel mese di maggio 2005.

177 G. Lombart, J. Pichot, “Peur et silence à El-Ayoun”, in Le Monde Diplomatique, gennaio, 2006.

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per tutto l'anno, raggiungendo il loro apice il 30 ottobre 2005 quando morì

Hamdi Lambarki, un giovane saharawi pestato a morte dagli agenti del

GUS al termine di una manifestazione.

Come nel Marocco gli anni '90 corrispondono all'esplosione delle realtà

associative, anche nel Sahara Occidentale la rottura strategica

rappresentata dall'intifada esprime la forza esercitata dalla società civile. I

saharawi infatti, nella loro opposizione hanno rinunciato alla lotta armata e

questo, oltre che accrescere, seppur limitatamente, la legittimità

internazionale della loro causa, ha aumentato enormemente l'efficacia

delle loro azioni. L'applicazione sistematica di pratiche di disobbedienza

civile come proteste, boicottaggi, scioperi, e la creazione di strutture civili

parallele ha aumentato la consapevolezza della forza della popolazione

civile mentre ha tolto il potere di controllo esercitato dalle forze occupanti.

Questo ha permesso che, a differenza di quanto si sarebbe potuto ottenere

con una lotta clandestina armata, le pratiche di resistenza civile sono state

adottate da un numero maggiore di oppositori che hanno deciso così di

sottrarsi ai meccanismi di controllo impostati in maniera illegittima dal

Marocco. Infatti l'efficacia strategica dell'intifada emerge quando sempre

più soggetti, rifiutando di sottomettersi all'autorità e alla disciplina

dell'oppressore, riescono a disgregare le dinamiche di controllo impostate

dall'occupante. Nei conflitti asimmetrici l'importanza di queste lotte

consiste anche nel fatto che le forze controinsurrezionali non possono

anticipare quali saranno gli obiettivi né immaginare le contromosse da

adottare. Le forze di sicurezza, di qualsiasi reparto si tratti, sono infatti

preparate a combattere armi alla mano azioni condotte da militanti armati

mentre sono completamente impreparate ad affrontare efficacemente

movimenti di massa disarmati178.

Un tipo di resistenza di questo tipo implica l'aspetto fondamentale

dell'unità di tutte le forze che si pongono su un terreno di contestazione del

potere esercitato dal makhzen. Questo comprende il coinvolgimento e la

cooperazione non solo di tutti i saharawi, ma anche di tutte le forze 178 J. Stephan, J. Mundy, A Battlefield Transformed: from Guerrilla Resistence, to Mass Non-

violent Struggle in the Western Sahara, Internationale Studies Association annual conference, San Diego, 2006.

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democratiche presenti in Marocco e pone due ordini di problemi molto

importanti: il primo è quello di avere la meglio sui soggetti saharawi che

con il tempo hanno accettato l'autorità marocchina rendendosi complici

dell'occupazione, il secondo ha invece come limite la politica securitaria in

Marocco che considera illegale ogni forma di contestazione dei dogmi

indicati dalla monarchia. Lo sviluppo che ha conosciuto la società civile in

Marocco è un elemento chiave da tenere in altissima considerazione,

infatti, come abbiamo visto, molte associazioni per i diritti umani come

l'AMDH, pur essendo marocchine contribuiscono alla causa saharawi nella

denuncia dei crimini commessi dalle autorità anche se ancora non è chiara

la loro posizione rispetto l'occupazione. Questo evidenzia come, nel

processo di lotta, sia strategicamente importante lavorare insieme alla

società civile marocchina attraverso la controinformazione per

sensibilizzare l'opinione pubblica in modo poi da spingerla a prendere

posizione sulla situazione nel Sahara Occidentale. Esistono anche alcuni

esempi, come nel conflitto che coinvolge Israele e la Palestina di diversi

elementi delle forze militari israeliane che hanno disobbedito agli ordini,

rifiutandosi di prestare servizio militare e di utilizzare la violenza contro la

popolazione civile179.

Un passo credibile verso il piano di autonomia proposto dal Marocco

sarà possibile solo quando questo sforzo unitario dal basso riuscirà ad

avere la meglio sul sistema autocratico di potere esercitato dal makhzen

ma se questo processo continuerà ad essere impedito, ogni ipotesi di

integrazione resterà sulla carta così come le aperture democratiche di cui

la popolazione marocchina ha disperato bisogno.

179 Per un approfondimento sul fenomeno dei Refusenik, si raccomanda P. Kidron, Meglio carcerati che carcerieri: i refuseniks israeliani raccontano la loro storia. Il Manifesto, Roma, 2002.

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3.3 Il piano di autonomia e la maroccanizzazione del Sahara Occidentale

I moti esplosi a partire dal 1999 hanno evidenziato una realtà

sociologica estremamente complessa nelle province del Sud marocchino.

Molti giovani, partendo da una condizione materiale di malessere sociale

che non trovava risposte se non nell'ordine pubblico e nella gestione

securitaria del territorio, hanno spostato progressivamente l'obiettivo delle

loro rivendicazioni sull'aspetto identitario, con un richiamo netto

all'indipendenza e all'autodeterminazione tanto che anche il Polisario “al di

là del muro” ha cominciato a guardare con interesse il movimento

spontaneo, fino ad appoggiarlo apertamente come nelle dimostrazioni del

2005. La politica che la monarchia ha sostenuto in tutti questi anni di

amministrazione coatta, era rivolta prevalentemente all'arricchimento della

borghesia alleata ai rappresentanti dello Stato nella regione. La nuova

classe dirigente saharawi ha così costruito la propria ricchezza grazie alla

concessione e lo sfruttamento delle risorse naturali del territorio in

collusione con il potere politico-militare del makhzen. L'aspetto

economico comincia ad essere la giustificazione in sé dell'occupazione, la

proprietà delle maggiori compagnie di pesca, appartiene ai cosiddetti

“signori del Sahara”, un gruppo di generali dell'esercito e leader politici e

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delle maggiori tribù locali che hanno riconosciuto la be٬ya al sovrano. Lo

stesso re è proprietario di diversi terreni e la grande somma che il governo

di Rabat spende annualmente nello sviluppo di infrastrutture civili e

militari è essa stessa un affare assai redditizio che alimenta la corruzione e

la sovradimensione dell'aspetto militare180, oltre che l'arricchimento

attraverso le attività illecite del contrabbando e del traffico di esseri umani.

Nella sua gestione delle élite, il ministero dell'interno ha elargito le

ricchezze in funzione del grado di fedeltà dei capi tradizionali,

mantenendo un tipo di divisione sociale su base tribale che, senza

redistribuire equamente i proventi, ha alimentato una profonda ingiustizia

sociale.

Questi ricchi notabili sono i membri del CORCAS (Conseil Royal

Consultatif pour les Affaires Sahariennes), l'istituzione voluta da Hassan II

sin dai primissimi anni d'occupazione ma che perse importanza durante il

conflitto. Nel 2006 Mohamed VI decise di rivitalizzarlo per dare una

parvenza di dialogo con la comunità locale, così il 20 marzo si reca in

visita nei territori occupati per rendere pubblico il piano di autonomia

delle province sahariane, prima che questo venga presentato ufficialmente

al Consiglio di Sicurezza dell'ONU nell'aprile 2006181. Nel suo discorso

inaugurale pronunciato Layonne il 25 marzo il sovrano indica le grandi

linee del compito che spetta al consiglio: “impostare una riflessione serena

ed approfondita, e vedere come immaginano il progetto di autonomia nel

quadro della sovranità reale” già elaborato dal re e dai suoi più stretti

consiglieri. Il ruolo del Consiglio è puramente consultivo, i membri

possono fare delle proposte ma senza oltrepassare la linea rossa tracciata

dal Palazzo e sottolineata pubblicamente: “il Marocco non cederà un solo

pollice, né un granello di sabbia del suo caro deserto [il Consiglio è

invitato] a difendere, a fianco dei poteri pubblici e delle istituzioni elette,

la marocchinità del Sahara”182.

180 Rapporto AFASPA 2002 (Association française d’amitié et de solidarité avec les peuples d’Afrique) pp 36-42 cit in Fisera R., A people Vs Corporation? Self-determination, Natural Rresources and Transnational Corporation in Western Sahara, Thesis of European Master's degree, Venezia, 2004.

181 Sahimi M. “Le sprint final” in Maroc hebdo International n 691, marzo 2006.182 Discorso pronunciato a Layounne il 25 marzo 2006 dal re in occasione della cerimonia di

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Il Consiglio è composto da 140 membri, di cui 14 donne ed è presieduto

da Khalli-Henna Ould Errachid, un notabile favorevole alla tesi

marocchina, sin da quando decise di sciogliere il PUNS183, di cui era

segretario e fondatore, al termine della marcia verde. Membro di una

famiglia influente fra le più grandi tribù del Sahara Occidentale (i

R'guibat) è stato da sempre perfettamente integrato al sistema politico

marocchino infatti, cresciuto seguendo le orme di Driss Basri, ha ricoperto

diversi incarichi come ministro e deputato. Come osserva un

costituzionalista dalle colonne del giornale marocchino Le Journal

Hebdomadaire “questi notabili [che fanno parte del CORCAS] sono il

prodotto della politica marocchina nel Sahara. Nominando Ould Errachid

alla testa del Consiglio, il re intende dirigere l'elite saharawi e, nello stesso

tempo, rassicurarla. Il regime non ha più quindi un vero interesse affinchè

l'autonomia risulti essere troppo larga. È dunque nella sua essenza, poco

democratica, che l'autonomia sia limitata e che prenda, ad esempio, la

forma di una semplice regionalizzazione”. Il piano puramente formale del

consiglio è confermato anche dal fatto che la sua prima riunione è fissata

per il 4 dicembre, quando tutte le commissioni si incontreranno con il

presidente per formulare le loro osservazioni, senza che mai niente sia

trapelato alla stampa, anche il compito assegnato di tramite per

l'impostazione “di un dialogo con i separatisti di Tindouf” non può essere

efficace perché il principio adottato per la sua costituzione è impostato

sull'esclusione di tutti coloro che possono essere collocati vicino alle

posizioni del Polisario184.

L'istituzionalizzazione del CORCAS avviene in un momento importante

della lunga strada del processo di pace. Nel progetto di “larga autonomia”

presentato all'ONU, la funzione che ora è assolta dal Consiglio, che viene

definito come organo rappresentativo della popolazione, servirà da tramite

nell'istituzione degli organi di governo locale previsti. Il piano prevede

costituzione del CORCAS in http://www.map.ma/mapfr/corcas/textes/ceremonie-corcas.htm183 Il Partido de Union Nacional Saharaui fu creato nel 1974 come movimento vicino alla tesi

sostenuta da Madrid di autonomia della provincia all'interno dell'amministrazione centrale spagnole. Data la sua funzione puramente strumentale, fu l'unico partito legale ad essere riconosciuto da Franco oltre la Falange.

184 O. Brouksy “Que peut faire le Corcas?” in Le Journal Hebdomadaire, marzo 2006

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infatti l'istituzione di uno statuto di “larga autonomia della regione del

Sahara nel quadro della sovranità del regno e della sua unità nazionale”.

La regione autonoma185, di cui non si specifica l'effettiva delimitazione

territoriale, sarà diretta da un governo locale il cui presidente è eletto dal

parlamento regionale e nominato dal re. Il Parlamento è composto da

membri nominati dalle tribù locali e altri eletti a suffragio universale, la

stessa istituzione elegge anche i membri dei tribunali i cui verdetti sono

espressi in nome del re. Le prerogative esercitate in maniera esclusiva

dalla regione del Sahara comprendono anche alcuni aspetti della vita

economica, le infrastrutture, la cultura, le tasse e le imposte, mentre lo

stato centrale conserverà quelle relative agli attributi reali della sovranità

come la bandiera e l'inno nazionale e nelle materie religiose, proprie del

re. In più lo Stato conserva la gestione della sicurezza nazionale, della

difesa, dell'integrità territoriale, degli affari esteri e del sistema giudiziario.

Sulla carta, il Marocco si impegna anche a concedere un'amnistia generale

e a prendere tutte le misure necessarie per assicurare la totale integrazione

nel tessuto nazionale a tutti i rifugiati e a garantire la loro dignità e la loro

sicurezza186.

Questo progetto è molto atteso dall'ONU, anche se è unilaterale ed il

principio di autonomia è già stato rifiutato dal Polisario, è comunque un

progetto destinato a far uscire dall'immobilismo il Marocco che ha tutto

l'interesse di sottoporre all'ONU una proposta credibile, sopratutto per

mettere alle strette il Polisario, ma nei fatti il progetto si presenta

diversamente. Il contenuto della proposta è tenuto sotto strettissimo

segreto, tanto che gli stessi membri del CORCAS l'hanno potuto visionare

in maniera completa solo a dicembre e sempre sotto strettissimo controllo

del presidente, l'uomo di fiducia di Rabat che non ha esitato a definirlo,

nella sua conferenza stampa, prima ancora che il Consiglio potesse

lavorarci, “la risposta definitiva alle rivendicazioni storiche di tutti i

Saharawi che non sarà oggetto di alcuna modifica né da parte dello Stato,

185 L'intero testo della proposta marocchina è consultabile presso: http://autonomyplan.org/index.php?option=com_content&task=view&id=5&Itemid=6

186 M. Boudarham, “Sahara: Les détails de l'iniziative marocaine”, in Aujourd'hui le Maroc 13-4-2007.

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né da parte della popolazione. È un pacchetto definitivo”. Insistendo sul

carattere “definitivo” del progetto, lo stato marocchino vuole ancora una

volta ricattare la comunità internazionale e il Polisario con la politica del

fatto compiuto, inasprendo così i toni già tesi con cui ci si avvicina ai

negoziati. Il carattere contraddittorio insito nel CORCAS ha la sua

massima espressione nelle dichiarazioni del suo presidente, “l'obiettivo del

Consiglio è quello di produrre qualcosa di credibile, ma le grandi linee del

progetto rimarranno nelle mani del palazzo chiamato ad effettuare l'ultima

rifinitura”, ma sopratutto nell'intervento costante del direttore del DGED

(Direction Générale des Etudes et de la Documentation, il

controspionaggio marocchino) e di quello della DGSN187 (Direction

Général de la Sureté National), il che tende a sottolineare che nonostante il

CORCAS sia un istituto voluto e creato appositamente dal re, il pericolo è

che si riproponga quello che già successe con la Djemma nel 1975 quando

fu sciolta dal suo presidente, anziché prestare il fianco alle truppe

marocchine mauritane e spagnole che riconoscevano in quell'organo gli

alleati per l'occupazione.

Sempre nell'ottica di rendere credibile il progetto perché relativo ad

un processo di consultazione interna dalla parvenza democratica, anche i

partiti dell'opposizione esprimono al re il loro giudizio. Unanime nel

complessivo anche se si sottolineano sfumature diverse che tuttavia non

pregiudicano l'incontestabile marocchinità del Sahara e quindi il loro

rapporto accondiscendente con il Palazzo. I partiti del Blocco

Democratico, inviano al re un memorandum riaffermando la loro “volontà

di favorire una soluzione politica e, nello stesso tempo, l'attaccamento

all'integrità territoriale del regno”. Nel testo vengono presi in esami diversi

esempi di decentralizzazione adottati negli altri paesi europei e la necessità

di adattare il modello, definito “spagnolo”, con le specificità della

tradizione e della storia, iscrivendo il piano di autonomia regionale

all'interno di una politica di decentralizzazione che coinvolge tutte le

regioni del regno e, sebbene viene prospettata un'autonomia la più estesa

possibile “per venire incontro ai desideri della popolazione”, affermano 187 O. Brousky, “Une mascarade nommée Corcas”, in Le journal hebdomadaire, 14-12-2006.

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anche l'esigenza di certi parametri, a livello di sicurezza interna e di difesa

dei confini, che non possono essere oggetto di alcuna negoziazione188. Il

carattere dogmatico che investe la questione del Sahara Occidentale nel

dibattito nazionale, si evidenzia proprio nella rinuncia a priori di tutte le

forze politiche a discutere, criticare o quanto meno a mettere in

discussione le decisioni prese dal Palazzo perché questo veniva e viene

tutt'ora considerato come atto di tradimento. I dirigenti politici per

convenienza politica, hanno deciso così di allinearsi con chi ha fallito in

tutti questi lunghi anni di conflitto nel trovare una soluzione durevole e

giusta189. Nel tentativo di rafforzare il riconoscimento internazionale delle

posizioni marocchine, gli uffici politici dell'Istiqlal e dell'UNFP

organizzarono anche diverse visite presso le segreterie dei partiti esteri,

sopratutto europei ed africani, per esporre il piano e la validità del progetto

di autonomia sopra qualsiasi ipotesi di referendum.

Per come è stato concepito, infatti, il piano rappresenta un'ipotesi

strumentale che permette al Marocco di evitare il ricorso al referendum,

anche se l'ONU continua a reputare questo imprescindibile, tanto da

ribadirlo anche nella risoluzione 1783 del 2007 in cui il Consiglio di

Sicurezza “riafferma la sua volontà di aiutare le parti a trovare una

soluzione politica giusta, durevole e mutualmente accettabile che permetta

l'autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale nel quadro dei

principi enunciati nella Carta delle Nazioni Unite”190. L'ostacolo del

referendum, secondo la tesi monarchica, risulta superato dal momento che

il piano ha ricevuto il previo appoggio del CORCAS e dei partiti e non

potrà quindi non essere che confermativo. Mohamed VI ripropone così

alla popolazione la stessa identica prassi del fatto compiuto già adottata in

tutte le precedenti consultazioni referendarie con cui Hassan II proponeva

al voto i suoi progetti di revisione costituzionale frutto di un'elaborazione

chiusa fra le quattro mura di palazzo che puntualmente ricevevano livelli

di consenso pressoché unanimi, ma erano ben lontani dall'essere frutto di

188 H. Alaoui, “Autonomie du Sahara et souvranité du Maroc: de la doctrine à l'application”, in Le matin du Sahara 03-04-2006.

189 K. Jamai, “Sahara et democratie”, in Le Journal Hebdomadaire, 2007.190 http://daccessdds.un.org/doc/UNDOC/GEN/N07/574/61/PDF/N0757461.pdf?OpenElement

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una consultazione trasparente, libera e democratica.

Dal punto di vista internazionale, il piano è frutto del fallimento del

processo di pace che dura ormai da più di dieci anni e rappresenta la “terza

via” che la comunità internazionale sollecita a trovare attraverso gli

incontri di Manhasset negli Stati Uniti, a partire dall'estate 2007. Il piano

di autonomia si presenta come la soluzione ideale, frutto del compromesso

tra l'integrazione regionale pura e semplice voluta dal Marocco e

l'indipendenza totale sostenuta dal Polisario. Tuttavia, anche se nel

palcoscenico internazionale è reputata come ideale, è ben lontano

dall'essere reale. Per essere reale o quantomeno realizzabile, qualsiasi

proposta dovrebbe presupporre la disponibilità di entrambe le parti a

dialogare e a fare reciproche concessioni, invece da una parte rimane

immutata e irrinunciabile la politica del fatto compiuto di fronte alla

soluzione legalitaria da sempre sostenuta dal Polisario di un referendum

che contempli la triplice scelta fra integrazione, autonomia o

autodeterminazione con “garanzie sullo statuto dei residenti marocchini

nel Sahara Occidentale, lo sfruttamento in comune ed equo delle risorse e

garanzie di sicurezza verso il Marocco”191.

La proposta di autonomia appare reale se però si considerano i grandi

interessi economici ad essa legati e la necessità di stipulare dei contratti di

licenza internazionalmente validi con un territorio “non autonomo”. Ciò

che rende la regione così vantaggiosa per il Marocco da mobilitare un

enorme apparato umano, militare e finanziario e sfidare così la legalità

internazionale per trent'anni, è la ricchezza di risorse naturali da sfruttare

presenti nel territorio. Le potenzialità emersero in maniera evidente sin

dagli anni '70 quando, in piena crisi petrolifera, i fosfati giocavano un

ruolo di prim'ordine nell'economia mondiale tanto che il Marocco era il

terzo produttore mondiale dopo Usa ed Unione Sovietica e con lo

sfruttamento dei giacimenti di Bou Craa arrivava a detenere pressochè il

monopolio mondiale delle esportazioni. Oltre i fosfati, la corrente calda

che percorre i 1200 km di costa del Sahara Occidentale crea le condizioni

marine adatte per una fra le più ricche zone ittiche del mondo, altre risorse 191 “Sahara Occidental/plan d'autonomie” in Marches tropicaux et mediterranéens 20/4/2007

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comprendono il titanio, ferro, oro, magnesio, sale e sabbia fine. Solo

recentemente sono state individuate riserve di idrocarburi nel sottosuolo,

in particolare la maggior parte delle potenzialità petrolifere è situata nel

mare e la questione della delimitazione delle acque territoriali assume

quindi un carattere molto importante per la competenza territoriale fra

Spagna e Marocco e i territori “non autonomi”del Sahara Occidentale.

Per quanto riguarda il petrolio, una dinamica attività di ricerca

comincia a partire dalla fine degli anni '90 quando l'avanzamento

tecnologico delle tecniche esplorative e, conseguentente, di quelle

estrattive off-shore, ha reso il rapporto costi/benefici vantaggioso. Inoltre,

anche se il Marocco nel 1981 diede la concessione per dieci esplorazioni a

largo della costa del Sahara Occidentale, fino a Dakhla, lo svolgersi del

conflitto fece desistere le maggiori multinazionali mondiali ad investire

nell'esplorazione, così tutto rimase congelato fino alla stipula del cessate il

fuoco. Il valore potenziale dei giacimenti cominciò a concretizzarsi

quando la U.S. Geological Survey stimò nel 2000 che le risorse di gas e

petrolio presenti nelle acque del Sahara Occidentale erano sostanziali e

probabilmente altamente lucrative. Nel 2001 il Marocco cominciò a

credere possibile concedere nuove licenze di ricerca off-shore sull'insieme

del territorio sahariano, così l'O.N.A.R.E.P. (Office National de

Recherches et d'Exploitation Pétrolières) siglò un contratto di licenza

prima con la società americana Kerr McGee192 su una zona di 110400 Km2

e successivamente con la TotalFinaElf su altri 115000 Km2. Anche la

RASD capisce l'importanza del mercato petrolifero, non solo per i proventi

che tuttavia ancora rimangono potenziali, ma anche perché gli interessi

che questo coinvolge, influiscono direttamente sullo statuto internazionale

del suo riconoscimento, così il 27 marzo del 2002 il governo della

Repubblica annuncia la firma di un contratto tecnico di cooperazione con

la società britannico-australiana Fusion Oil, dando inizio alla cosiddetta

“corporate diplomacy”193. La licenza per l'esplorazione sarà conclusa una

192 Il figlio di James Baker, inviato speciale del segretario ONU per il Sahara Occidentale, siede al consiglio d'amministrazione della società.

193 Per un approfondimento si consiglia R. Fisera, “A People Vs Corporation? Self-determination, Natural Resources and Transnational Corporation in Western Sahara”, Thesis

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volta che il Sahara diventerà membro dell'ONU e si estende su 210000

km2, fra le Canarie, il Sud del Marocco e la Mauritania.

Quale che sia la reale portata dei giacimenti presenti sul territorio e

nelle acque territoriali del Sahara Occidentale, poco importa rispetto il

volume di interessi economici che riguardano l'oro nero. Dal punto di vista

della legalità internazionale, il Marocco non ha alcun diritto sul territorio

qualificato dall'ONU come “non autonomo” a stipulare contratti ed accordi

con altri paesi194, ma tutte l'estrazioni di ricchezze naturali conferiscono un

avvallo politico alla situazione d'occupazione che concerne il Sahara

Occidentale e rinforza la potenza occupante nel suo rifiuto di arrivare a

qualsiasi soluzione negoziata e rispettosa del diritto.

of european master's degree, Venezia, 2004 pp 60-65.194 P. Riché, “Le Maroc ouvre le territoire du Sahara Occidental à l'exploration petroliere” in

http://www.arso.org/ressnat3.html

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CONCLUSIONI

In conclusione, da queso studi è emerso che le continue tensioni sociali

che si sono prodotte nel corso della storia del paese indipendente sono il

risultato dello scontro fra diversi soggetti politici e forze autonome che,

rivendicando una maggiore condivisione del potere, contestavano la

centralità del re all'interno del sistema politico. Fra gli anni '60 e '70,

questa lotta intestina era sul punto di compromettere la fragile stabilità del

paese, il re riuscì così a concentrare nella conquista del Sahara Occidentale

la fonte principale della sua legittimazione, attirando su di sé il consenso

pressoché unanime di tutte le principali forze politiche e sociali. La svolta

nazionalista ha fatto cadere le minacce provenienti dall'esercito e dai

partiti della sinistra progressista che, sotto i colpi della repressione, hanno

capito l'importanza e la convenienza di stringersi attorno al populismo di

Hassan II. Implicitamente questo ha comportato la riabilitazione del

Makhzen, la struttura tradizionale del potere monarchico, come strumento

in cui far convergere tutte le istanze e i bisogni sociali195, mentre le

strutture democratiche come il parlamento e il governo rimangono

svuotate di ogni potere decisionale e di controllo.

Tuttavia la svolta del Sahara Occidentale, non ha migliorato le già dure

condizioni di vita della popolazione anzi, la crisi economica che logorava

il paese fu amplificata dai disastrosi effetti di una lunga guerra di

logoramento. Il Marocco, ormai al limite della bancarotta, piuttosto che

ritirarsi dall'impresa e concentrarsi sulle riforme strutturali necessarie, si

affidò completamente nelle mani del Fondo Monetario Internazionale che

195 Questo processo può essere spiegato attraverso il modello di “tensione ed immobilismo”che contraddistingue il sistema politico marocchino. In J. Waterbury Op Cit.

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all'inizio degli anni '80 dettò le linee guida di un rigido programma di

aggiustamento strutturale con ripercussioni catastrofiche per la

popolazione più povera, aumentando il già grande divario sociale.

La questione del Sahara Occidentale appare così intimamente legata alla

scelta liberale adottata dalla monarchia sin dai primi anni '60, non solo per

i benefici economici legati al potenziale sfruttamento delle grandi

ricchezze naturali presenti nella regione, ma soprattutto perché ha trovato

nella contrapposizione ideologica della divisione bipolare del mondo, la

legittimità internazionale per portare avanti un'autentica politica di

colonizzazione verso le province del Sud e contemporaneamente reprimere

con forza il dissenso interno. La monarchia ha saputo così giocare

abilmente la carta delle alleanze internazionali affinchè il Marocco, unico

paese vicino agli Stati Uniti fra tutti i paesi del Maghreb, non cadesse

nell'orbita dei regimi rivoluzionari socialisti. Preservare la tenuta della

monarchia assumeva un carattere imperativo per gli Stati Uniti al fine di

mantenere la sua unica posizione nel nord Africa, nonostante questo

implicasse la copertura per la sistematica violazione dei diritti dell'uomo e

la soppressione delle libertà nel paese196. Il Marocco è riuscito così a

paralizzare il processo di pace per vent'anni, rifiutandosi sempre di

accettare il referendum per l'autodeterminazione come mezzo valido per

risolvere il conflitto e contemporaneamente per portare avanti una lenta e

progressiva politica di integrazione territoriale delle Province del Sud

attraverso misure economiche, militari e giuridiche.

Queste ultime hanno assunto enorme importanza sopratutto a partire

dagli anni '90 quando Hassan II ha introdotto una serie di riforme

costituzionali per preparare il paese alla successione. Con successione, non

si intende il solo passaggio di trono fra Hassan II e suo figlio Mohamed

VI, quanto piuttosto un lungo percorso di transizione politica verso la

modernità ipotizzato a partire dal riconoscimento incondizionato di alcuni

importanti presupposti: il sistema monarchico che riconosce nel re il capo

196 La politica di sostegno e d'appoggio esercitata dalle democrazie occidentali, in particolare dagli Stati Uniti, sconfessa in parte la tesi di S. Huttinghton che fa ricadere esclusivamente nell'aspetto iper-culturalista l'eccezione dei paesi arabi alla “terza ondata” mondiale di democratizzazione. In M Mouaqit, Op. Cit. p 129-131.

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della nazione e dei credenti, l'incontestabile marocchinità del Sahara

Occidentale e l'opzione liberale in campo economico.

L'accettazione di questi tre dogmi ha portato tutte le principali forze

politiche dell'opposizione a cambiare strategia nei loro rapporti con il

Palazzo, perché abbandonando definitivamente l'opzione golpista, hanno

capito l'importanza di un'azione politica riformista per mettere in pratica

una serie di aperture in senso democratico di cui il paese ha disperato

bisogno. Così nel 1996 viene approvata un'ampia riforma costituzionale

che introduce diverse importanti novità come l'esplicito riferimento alla

difesa dei diritti dell'uomo, il bicameralismo con l'elezione diretta a

suffragio universale della camera dei rappresentanti, l' “alternanza” alla

guida del governo e una nuova architettura dello Stato ipotizzata per

integrare le province del Sahara Occidentale all'interno di un ampio piano

di decentralizzazione amministrativa.

Il 30 luglio 1999 Mohamed VI si presenta alla nazione come il nuovo re

del Marocco. La sua giovane età e il suo continuo riferimento al rispetto

dei diritti dell'uomo suscitano enormi speranze fra la popolazione. Ma per

capire se il “re dei poveri” sarà realmente in grado di rompere con la

tradizione autoritaria del potere bisognerà attendere le decisioni che egli

assumerà nelle sfide future che attendono il paese. Se quindi sarà in grado

di raccogliere le istanze di una società in continuo fermento che, a partire

dall'ultimo decennio ha conosciuto una nuova vitalità nella lotta per la

difesa dei diritti dell'uomo. Sopratutto nel Sahara Occidentale la salita al

trono di Mohamed VI è accompagnata dal protagonismo di una nuova

generazione di saharawi nata dopo il cessate il fuoco, che si pongono su un

terreno di contestazione del potere monarchico, incapace fin'ora di offrire

loro un futuro dignitoso.

Esistono dei limiti per interpretare il cambiamento che sono propri di

qualsiasi sistema monarchico. La reale capacità del Marocco di aprirsi alla

democrazia non può essere interpretata a partire dalle scelte adottate dal

sovrano perché queste, calate dall'alto, continueranno ad essere

espressione della sua gratificazione. Risulta difficile quindi credere che

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questo processo di apertura, che riguarda inevitabilmente l'abbandono di

importanti prerogative e metodi autoritari di governo, possa essere

effettuato volontariamente da chi in tutti questi anni ha ottenuto ricchezza

e potere da questo sistema e da chi, in definitiva, ha fallito nel garantire

l'integrazione del Sahara Occidentale. Un importante salto di qualità spetta

quindi al Marocco, in particolare il cambiamento sarà inevitabile quando

la popolazione, nonostante le chiusure securitarie e le sistematiche

violazioni dei più basilari diritti dell'uomo, diventerà protagonista di un

imponente processo costituente “dal basso”, l'unico a garantire

l'integrazione fra due popoli che fin'ora rimangono accomunati dalla stessa

condizione di sudditi conseguenza del potere autoritario del makhzen.

Rompere la condizione di suddito e conquistare nuovi importanti diritti di

cittadinanza è quindi un primo passo fondamentale per raggiungere la pace

in un territorio che l'aspetta dal 1956.

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Risorse Web

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sito dell’associazione delle famiglie dei prigionieri Saharawi e

desaparecidos

http://www.amnesty.org/

Organizzazione per il riconoscimento internazionale dei diritti dell’uomo,

con dettagliati rapporti annuali.

http://www.amdh.org.ma

Organizzazione marocchina per la difesa dei diritti dell’uomo, con

specifici rapporti annuali.

http://www.arso.org/

Associazione di sostegno al referendum nel Sahara Occidentale.

http://www.asvdh.net/

Associazione saharawi delle vittime di gravi violazioni dei diritti

dell’uomo .

http://www.autonomyplan.org/

Sito ufficiale del progetto di autonomia del regno del Marocco

http://www.eucoco2007.org/

33a Conferenza del Coordinamento europeo della Solidarietà al popolo del

Sahara Occidentale

http://www.rsf.org/une_pays-34.php3?id_mot=57&Valider=OK

Rapporto di reporters sans frontier del 2007 sul Marocco

http://www.saharawi.org/

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Associazione italiana di solidarietà al popolo saharawi

http://www.spsrasd.info/Servizio stampa della RASD

http://www.minurso.unlb.org/Sito della missione ONU nel Sahara Occidentale

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