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N. 86/13 102 PROSPETTIVA •persona• ATTUALITÀ Più moderna, dinamica, funzionale. Ma soprattutto più democratica, aperta, parteci- pativa. Questa l’Università disegnata da Jürgen Habermas all’alba del Sessantotto, allorquando i mutamenti politici e sociali impongono ai si- stemi formativi uno scatto in avanti in termini di attrattività e innovazione. In primo piano vi è la necessità di soddisfare le istanze socioeduca- tive di un capitale umano atteso dalle sfide della complessità, ormai incombente. Sono gli anni del boom economico, della guerra fredda, del- le accelerazioni tecnologiche, che imprimono all’esistenza cambiamenti sostanziali sul piano dei consumi e dei comportamenti, e non solo culturali. In presenza di mutamenti epocali, i giovani studenti universitari avvertono un dif- fuso senso di disorientamento, incapaci (come sono) di esperire una lettura soddisfacente delle trasformazioni che investono la sfera sociale. All’interno del corpo docente non mancano le voci critiche, che denunciano i limiti funzio- nali di un’istituzione sovente più preoccupata degli equilibri interni che del destino occupa- zionale dei propri stakeholder. Tra queste vo- ci critiche vi è proprio Habermas: in seguito all’uccisione dello studente Benno Ohnesorg, avvenuta il 2 giugno 1967 a Berlino nel corso delle manifestazioni di piazza contro la visita dello Scià di Persia, il sociologo si rivolge ai gio- vani di Hannover invocando un maggior ruolo politico per gli studenti, a loro volta impegna- ti in un’azione rivendicativa volta a reclamare un’Università sganciata da interessi economici esterni, più disposta a comunicare con l’ester- no, più propensa a incentivare le opportuni- tà per i giovani di svolgere attività di ricerca 1 . Una sfida ambiziosa, volta a indebolire il fronte comune costituito da stampa, partiti, governo, organi accademici, uniti nel respingere l’assalto generazionale di giovani studenti alle prese con la costruzione di un futuro quanto mai incerto e indefinito. Di lì a poco il movimento studentesco si propagherà in tutta Europa, segnando così il passaggio dall’Università borghese di primo novecento all’Università di massa della mo- dernità. Habermas intuisce perfettamente l’im- portanza di questa fase storica: «Spogliati del loro colorito locale, i conflitti scoppiati all’U- niversità di Berlino e resi di pubblico dominio sono tuttavia della stessa natura di quelli che Università e buone pratiche da Habermas a Derrida Andrea Lombardinilo – Docente di Sociologia dell’educazione e Sociologia dei processi culturali, Uni- versità degli studi “G. d’Annunzio”, Chieti sembrano annunciarsi in altre Università: si tratta ogni volta, in poche parole, della fun- zione politica degli studenti, della riorganiz- zazione dell’insegnamento e della democra- tizzazione dell’Università nel suo complesso. Berlino fa in questo da modello» (Habermas 1968, p. 99-100). L’introduzione di commissioni paritetiche docenti-studenti e la proposta di revisione degli statuti non contribuiscono a ridimensionare la vitalità del movimento studentesco, proiettato verso un ruolo sempre più politico. Del resto, gli studenti non sono disposti a rinunciare ai tre capisaldi programmatici cui dovrebbe ispi- rarsi la riforma universitaria: partecipazione, comunicazione e informazione. Una missione ambiziosa, che a sua volta implica la definizio- ne di tre finalità fondamentali, che l’Università deve perseguire per formare e riformare le co- scienze dei giovani: trasmettere loro le capaci- tà «extrafunzionali» necessarie per affrontare con successo il mondo del lavoro; impartire «certe tradizioni culturali», indispensabili per focalizzare gli universi simbolici di cui si nutre la società; formare la «coscienza politica» dei giovani, chiamati a rivendicare un ruolo attivo nelle organizzazioni sociali di appartenenza. Ecco perché l’Università non può più conce- dersi il privilegio di assistere passivamente alle innovazioni in atto, ma è chiamata piuttosto a recuperare il ruolo di volano culturale e forma- tivo universalmente riconosciutole, un ruolo consolidato da una tradizione millenaria, ma messo a serio rischio dalla situazione di stasi venutasi a determinare con l’avvento della com- plessità. Habermas non ha dubbi: «tuttavia l’U- niversità potrà mantenere la sua posizione nella vita democratica soltanto se studi debitamente riformati garantiranno una formazione anche formalmente ineccepibile a quel livello che solo rende possibile agli studenti di partecipare, nel corso dei loro studi fondamentali, e non solo nominalmente ma effettivamente, allo svolgi- mento della ricerca» (Habermas 1968, p. 134). Sono lontani i tempi di Humboldt, caratte- rizzati dalle ben note modalità di trasmissione lineare del sapere, che generavano condizio- ni di accesso al sapere, per così dire,“elitarie”. nella fase di passaggio all’Università di massa l’homo academicus descritto negli anni Ottanta da Bourdieu deve fare i conti con le profonde

Università e buone pratiche da Habermas a Derrida · 2014. 2. 1. · del resto di prerogative irrinunciabili nell’era della globalizzazione e della digitalizzazione delle conoscenze,

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  • N. 86/13102 prospettiva• p e r s o n a •

    attualità

    più moderna, dinamica, funzionale. Masoprattutto più democratica, aperta, parteci-pativa. Questa l’Università disegnata da JürgenHabermas all’alba del sessantotto, allorquandoi mutamenti politici e sociali impongono ai si-stemi formativi uno scatto in avanti in terminidi attrattività e innovazione. in primo piano vi èla necessità di soddisfare le istanze socioeduca-tive di un capitale umano atteso dalle sfide dellacomplessità, ormai incombente. sono gli annidel boom economico, della guerra fredda, del-le accelerazioni tecnologiche, che imprimonoall’esistenza cambiamenti sostanziali sul pianodei consumi e dei comportamenti, e non soloculturali. in presenza di mutamenti epocali, igiovani studenti universitari avvertono un dif-fuso senso di disorientamento, incapaci (comesono) di esperire una lettura soddisfacente delletrasformazioni che investono la sfera sociale.

    all’interno del corpo docente non mancanole voci critiche, che denunciano i limiti funzio-nali di un’istituzione sovente più preoccupatadegli equilibri interni che del destino occupa-zionale dei propri stakeholder. tra queste vo-ci critiche vi è proprio Habermas: in seguitoall’uccisione dello studente Benno ohnesorg,avvenuta il 2 giugno 1967 a Berlino nel corsodelle manifestazioni di piazza contro la visitadello scià di persia, il sociologo si rivolge ai gio-vani di Hannover invocando un maggior ruolopolitico per gli studenti, a loro volta impegna-ti in un’azione rivendicativa volta a reclamareun’Università sganciata da interessi economiciesterni, più disposta a comunicare con l’ester-no, più propensa a incentivare le opportuni-tà per i giovani di svolgere attività di ricerca1.Una sfida ambiziosa, volta a indebolire il frontecomune costituito da stampa, partiti, governo,organi accademici, uniti nel respingere l’assaltogenerazionale di giovani studenti alle prese conla costruzione di un futuro quanto mai incertoe indefinito.

    Di lì a poco il movimento studentesco sipropagherà in tutta europa, segnando così ilpassaggio dall’Università borghese di primonovecento all’Università di massa della mo-dernità. Habermas intuisce perfettamente l’im-portanza di questa fase storica: «spogliati delloro colorito locale, i conflitti scoppiati all’U-niversità di Berlino e resi di pubblico dominiosono tuttavia della stessa natura di quelli che

    Università e buone praticheda Habermas a Derridaandrea lombardinilo – Docente di Sociologia dell’educazione e Sociologia dei processi culturali, Uni-versità degli studi “G. d’Annunzio”, Chieti

    sembrano annunciarsi in altre Università: sitratta ogni volta, in poche parole, della fun-zione politica degli studenti, della riorganiz-zazione dell’insegnamento e della democra-tizzazione dell’Università nel suo complesso.Berlino fa in questo da modello» (Habermas1968, p. 99-100).

    L’introduzione di commissioni paritetichedocenti-studenti e la proposta di revisione deglistatuti non contribuiscono a ridimensionare lavitalità del movimento studentesco, proiettatoverso un ruolo sempre più politico. Del resto,gli studenti non sono disposti a rinunciare aitre capisaldi programmatici cui dovrebbe ispi-rarsi la riforma universitaria: partecipazione,comunicazione e informazione. Una missioneambiziosa, che a sua volta implica la definizio-ne di tre finalità fondamentali, che l’Universitàdeve perseguire per formare e riformare le co-scienze dei giovani: trasmettere loro le capaci-tà «extrafunzionali» necessarie per affrontarecon successo il mondo del lavoro; impartire«certe tradizioni culturali», indispensabili perfocalizzare gli universi simbolici di cui si nutrela società; formare la «coscienza politica» deigiovani, chiamati a rivendicare un ruolo attivonelle organizzazioni sociali di appartenenza.

    ecco perché l’Università non può più conce-dersi il privilegio di assistere passivamente alleinnovazioni in atto, ma è chiamata piuttosto arecuperare il ruolo di volano culturale e forma-tivo universalmente riconosciutole, un ruoloconsolidato da una tradizione millenaria, mamesso a serio rischio dalla situazione di stasivenutasi a determinare con l’avvento della com-plessità. Habermas non ha dubbi: «tuttavia l’U-niversità potrà mantenere la sua posizione nellavita democratica soltanto se studi debitamenteriformati garantiranno una formazione ancheformalmente ineccepibile a quel livello che solorende possibile agli studenti di partecipare, nelcorso dei loro studi fondamentali, e non solonominalmente ma effettivamente, allo svolgi-mento della ricerca» (Habermas 1968, p. 134).

    sono lontani i tempi di Humboldt, caratte-rizzati dalle ben note modalità di trasmissionelineare del sapere, che generavano condizio-ni di accesso al sapere, per così dire, “elitarie”.nella fase di passaggio all’Università di massal’homo academicus descritto negli anni ottantada Bourdieu deve fare i conti con le profonde

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    trasformazioni di una società che sta scoprendoil villaggio globale dell’informazione preconiz-zato da McLuhan, con tutto quel che ne con-segue in termini di dinamicizzazione dell’ap-prendimento, dell’educazione, della ricerca2.nello stigmatizzare la chiusura incondizionatadell’accademia di fronte a sussulti di cambia-mento non più eludibili, Habermas sottolinea,del resto, che «la situazione storico-politica delmondo è cambiata e non può più essere in-tesa con le categorie interpretative del secoloscorso», richiamando il governo ad ispirare ilproprio operato non più ai parametri obsoletidella politica di potenza, ma alle istanze semprepiù cogenti della politica sociale.

    tra queste istanze vi è quella di superare lafase di cieco dominio sperimentata negli annidella guerra e di costruire le fondamenta di unademocrazia aperta allo scambio delle opinionipubbliche riflessive su cui Habermas è tornatoanche di recente3. L’obiettivo è realizzare unainfrastruttura della sfera pubblica scevra dallainfluenza dominante dei grandi network, incui gli attori sociali più organizzati possanoesprimere liberamente pareri, riflessioni, giu-dizi, facendo leva sulla gestione del potere dellaconoscenza. per riuscire in questa missione ènecessario liberare le coscienze dal rischio dieterodirezione informativa del soggetto, daltentativo di manipolazione occulta esercitatadai sistemi formativi registrato dai fondatoridella scuola di Francoforte negli anni dell’oc-cupazione nazista4.

    La costruzione di un’Università democrati-ca richiede la piena partecipazione dei giovaniai processi deliberativi, nel segno di una apertu-ra nuova al contributo fornito dagli stakeholderprincipali dei sistemi formativi: «il principiodella pubblicità deve in questo escludere ognialtra istanza che non sia quella del miglior argo-mento; le decisioni della maggioranza valgono,in forza dell’idea, solo come surrogato di quelconsenso spontaneo che alla fine si profilereb-be, se la discussione non dovesse ogni voltainterrompersi per la necessità di prendere unadecisione» (Habermas 1968, 121). L’Universitàsi configura allora come spazio libero di idee,come piattaforma di condivisione di giudizicritici e contributi epistemologici: una struttu-ra inclusiva legittimata ad esercitare la propriaazione comunicativa senza limitazioni di sorta,facendo leva sul valore euristico del sapere.

    Una visione dell’accademia che in qual-che modo anticipa l’idea di «università senzacondizione» enunciata da Jacques Derrida allo

    scoccare del ventunesimo secolo, trent’anni do-po la disamina svolta da Habermas al cospettodegli studenti di hannover. non è forse un casoche anche «l’appello in forma di professione difede» svolto dal padre del decostruzionismo sisvolga al cospetto di una platea universitaria, esotto forma di conferenza, dapprima all’Uni-versità di stanford (1998) e poi di Francoforte(2001)5. Quasi un passaggio di consegne, tradue eminenti studiosi (oltre che filosofi) impe-gnati nel definire il ruolo sociale dell’Università,nel delinearne limiti ma anche nel valorizzar-ne le prerogative formative e culturali. si trattadel resto di prerogative irrinunciabili nell’eradella globalizzazione e della digitalizzazionedelle conoscenze, destinate a imprimere cam-biamenti profondi nei profili identitari degliattori e a stravolgere le categorie interpretativedella realtà. per questa ragione Derrida sotto-linea che «l’università moderna dovrebbe esseresenza condizione. […] Questa università esigee dovrebbe vedersi riconoscere per principio,oltre a quella che si chiama libertà accademi-ca, una libertà incondizionata di interrogazio-ne e di proposizione o, più ancora, il diritto didire pubblicamente tutto ciò che una ricerca,un sapere e un pensiero della verità esigono»(Derrida 2001, pp. 9-10).

    il diritto alla interazione comunicativa èlegato al requisito necessario della trasparenzae dell’inclusione, su cui l’Università deve farleva aprendo gli studi umanistici al confrontopubblico e all’approfondimento scientifico adopera delle giovani leve di studiosi e ricercatori,chiamati a far parte di una comunità aperta edinamica, non più settaria ed esclusiva comenel recente passato. Una libertà di espressioneche Derrida ritiene a buon diritto incondizio-nata, presupposto irrinunciabile della missioneformativa di un sistema deputato a instillare illume della verità: «L’università fa professionedella verità. essa dichiara, promette un im-pegno senza limiti nei confronti della verità»(Derrida 2001, p. 10).

    Ma è evidente che sia l’Università nella de-mocrazia vagheggiata da Habermas, sia l’Uni-versità senza condizione auspicata da Derrida,costituiscono due rappresentazioni ideali, percerti aspetti utopiche, dell’Università a venire,ma estremamente efficaci in termini di presadi coscienza dei problemi che affliggono unacomunità caratterizzata da tempi di reazionesovente diluiti rispetto ai cambiamenti in corso.Derrida non nasconde le difficoltà insite nel-la costruzione di questa Università moderna,

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    aperta al confronto e all’interazione tra i diversiattori della sfera sociale: «Questa università sen-za condizione non esiste, di fatto, lo sappiamoanche troppo bene. Ma di principio e in con-formità alla sua vocazione dichiarata, in virtùdella sua essenza professata, essa dovrebbe resta-re un ultimo luogo di resistenza critica – e piùche critica – a tutti i poteri di appropriazionedogmatici e ingiusti» (Derrida 2001, pp. 11-12).

    si pensi all’appello lanciato dagli studentiberlinesi, e prontamente raccolto da Habermas,a favore della libertà gestionale, formativa ecomunicativa dell’Università, che presupponel’indipendenza dal potere statale e industria-le, anche (e forse soprattutto) nella definizio-ne degli indirizzi delle attività di ricerca. UnaUniversità più dinamica e reattiva, che incentivinon solo il merito e la qualità della formazione,ma anche le azioni di sostegno all’inserimentodegli studenti nella vita universitaria, attraver-so la necessaria valorizzazione del diritto allostudio.

    Del resto i due filosofi ritengono che l’uni-versità moderna debba interiorizzare le buo-ne pratiche inclusive della democrazia senzatrascurare l’interazione con lo spazio pubblicodi riferimento, mediante la salvaguardia delleproprie prerogative scientifiche, educative e co-municative. Ma non è tutto: «L’università do-vrebbe dunque essere anche il luogo nel qualeniente è al riparo dall’esser messo in questione,nemmeno la figura attuale e determinata dellademocrazia; e nemmeno l’idea tradizionale dicritica» (Derrida 2001, p. 13). Concepita comeun sistema aperto e interattivo, l’Universitàsenza condizione si configura come sviluppodell’Università nella democrazia disegnataall’alba del sessantotto, in uno scenario politi-co e sociale segnato da tensioni profonde e, percerti aspetti, irrisolte.

    a trent’anni di distanza dal richiamo delsociologo tedesco, Derrida fonda l’incondi-zionatezza dell’Università moderna sul dirittoa partecipare attivamente all’agone della sferapubblica, senza condizioni e senza infingimenti.non stupisce che venga meno l’anelito politicoche ispira l’appello di Habermas, che chiedevaagli studenti di non rinunciare all’esercizio deipropri diritti civili nella propria azione riven-dicativa. Derrida invita i giovani non tanto aesercitare un ruolo politico, quanto piuttostoa perseguire il principio della verità, tratto di-stintivo irrinunciabile nell’era della comuni-cazione liquida, caratterizzata da una intensitàinterazionale tanto estesa quanto incontrollata.

    rimangono ad ogni modo le tangenze pro-grammatiche tra due visioni dell’Universitàispirate a un comune afflato riformistico, gene-rato dalla consapevolezza di non poter differireoltre il rinnovamento imposto dai cambiamen-ti epocali della modernità. si pensi del resto aquanto asserisce Habermas in una conferenzatenuta a parigi nel novembre 2000, dedicata agliinflussi del pensiero ebraico nella filosofia diDerrida6. ed è significativo che la conferenza siapra con il richiamo alla lezione svolta l’annoprecedente a Francoforte dal filosofo francese,incentrata sull’idea di università: «Fu un’arrin-ga appassionata a favore dell’obbligo incondi-zionato che la comunità accademica ha di ri-cercare e di difendere la verità. Un’universitàche non rinneghi la propria concezione dellostudio deve assicurare lo spazio istituzionaleper una tale professione di princìpi e d’intenti.a suo avviso è compito dei“professori” portaredi continuo a consapevolezza il senso perfor-mativo di questa “professione”, la “messa in at-to”della verità» (Habermas 2011, pp. 135-136).

    Una sfida possibile, ma a una condizione:che la conservazione del «diritto della cattedra»stigmatizzata da Habermas ai tempi del discorsodi Hannover, non si configuri come ancoraggioa forme di potere oggi in dismissione, messe arischio dalle nuove politiche di accreditamentoe di valutazione cui i sistemi universitari post-moderni sono sottoposti oggi per rispettareparametri qualitativi internazionali, condivisidalla comunità scientifica globalizzata. Questala sfida della «mondializzazione» delle cono-scenze enunciata da Derrida in avvio del nuo-vo millennio, situandosi nel medesimo alveoprogrammatico solcato da Habermas all’albadel sessantotto. Due proposte autorevoli peril futuro dei nostri atenei, destinate a incideresignificativamente sulla missione educativa esociale dell’Università nella democrazia.

    Note

    1 La conferenza è stata pubblicata in J. Habermas,L’università nella democrazia, De Donato, Bari 1968, dacui sono tratte le citazioni dei brani habermasiani inse-riti in quest’articolo. sull’evoluzione delle riforme uni-versitarie recenti si rimanda a a. Masia, M. Morcellini,L’università al futuro. Sistema, progetto, innovazione,Giuffrè, Milano 2008; a. Lombardinilo, università: lasfida del cambiamento. analisi delle riforme e società del-la conoscenza, rubbettino, soveria Mannelli 2010. sulrapporto tra Università, scuola e società nei tempi della

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    globalizzazione cfr. a. touraine, La globalizzazione e lafine del sociale, il saggiatore, Milano 20122, 172-177; M.Morcellini, v. Martino, Contro il declino dell’università.appunti e idee per una comunità che cambia, il sole 24 ore,Milano 2005. sul movimento studentesco si rimanda allavoro curato da Luisa Cortese, Il movimento studentesco.Storia e documenti 1968-1973, Bompiani, Milano 1973.

    2 Di pierre Bourdieu si raccomanda naturalmen-te homo academicus, Minuit, paris 1984. per quel checoncerne la visione mcluhaniana dei cambiamenti im-pressi all’Università dall’accelerazione tecnologica deldopoguerra si rimanda a a. Lombardinilo, McLuhan.L’università e l’evoluzione del sapere, «Universitas», n. 128,aprile 2013, 37-40. per un profilo storico dei processi diinnovazione universitaria cfr. r. Moscati, L’università:modelli e processi, Carocci, roma 2012. per una riflessionesociologica sulla riforma dei sistemi di sapere dell’evomoderno cfr. e. Morin, I sette saperi necessari all’educa-zione del futuro, raffaello Cortina editore, Milano 2001.

    3 Cfr. J. Habermas, Il ruolo dell’intellettuale e la crisidell’europa, Laterza, Bari 2011, 63-107. per una contestua-lizzazione sociopolitica dei processi comunicativi con-temporanei si rimanda a id., L’occidente diviso, Laterza,Bari 2007. sulla gestione dei processi comunicativi esimbolici da parte del potere il riferimento obbligato èa n. Luhmann, Potere e complessità sociale, il saggiatore,Milano 20102.

    4 M. Horkheimer, t. W. adorno, dialettica dell’illu-minismo, einaudi, torino 20105, p. 193: «L’educazionesociale e individuale rafforza l’uomo nel contegno ogget-tivante del lavoro e lo preserva dal lasciarsi riassorbire nel

    ritmo alterno della natura ambiente. ogni diversione, anziogni abbandono, ha qualcosa di mimetico. L’io, invece,si è forgiato nell’indurimento. Con la sua formazione sicompie il passaggio dal riflesso mimetico alla riflessionecontrollata».

    5 La conferenza è ora pubblicata in J. Derrida, p. a.rovatti, L’università senza condizione, raffaello Cortinaeditore, Milano 2002, da cui sono tratte le citazioni in-serite in questo articolo. va segnalato che di poco prece-dente è il lavoro di e. Morin, La testa ben fatta. Riformadell’insegnamento e riforma del pensiero, raffaello Cortinaeditore, Milano 2000, che prende in consegna (tra le al-tre cose) lo studio dei processi di riforma dell’Università,alla luce delle sfide imposte dalla complessità. per unalettura sociologica dei cambiamenti più ampi impostidalla globalizzazione cfr. a. Giddens, Le conseguenze dellamodernità, il Mulino, Bologna 1994.

    6 pubblicata con il titolo di Come rispondere alla que-stione etica: derrida e la religione, in J. Habermas, Il ruolodell’intellettuale e il ruolo dell’europa, cit., 135-153. perquel che concerne il nesso tra comunicazione e opinionepubblica cfr. J. Habermas, Storia e critica dell’opinionepubblica, Laterza, Bari 20114. Da rilevare che la primaedizione francese de La scrittura e la differenza di Derrida èdatata 1967, anno in cui Habermas pronuncia l’Interventodi hannover al cospetto di studenti e professori di Berlinoovest, in un clima arroventato dalla dimostrazione del2 giugno contro lo scià di persia e dall’uccisione dellostudente Benno ohnesorg (ora in L’università nella de-mocrazia, cit., 137-154).

    Raccolta Internazionale: Vaso di stile Polidori