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Università di Bari, Dipartimento di Psicologia, DISCRIMINAZIONE PERCEPITA, CONFLITTI E PROCESSI DI INCLUSIONE NEI CONTESTI INTER-ETNICI* Carmencita Serino, Filomena Milena Marzano, Giovanna Susca Università degli Studi di Bari, Dipartimento di Psicologia E-mail: [email protected] [*Progetto di Ricerca nazionale "La discriminazione etnica nel lavoro pubblico e privato: monitoraggio del fenomeno ed effettività delle tutele". Progetto finanziato dal Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri,anno2006-2007, realizzato da: Associazione Multietnica di Intercultura e Servizi per Immigrate e Immigrati "Sarowiwa", Università di Bari, Università di Lecce, "CESTIM" di Verona] Introduzione Le stime mostrano che in Italia i cittadini stranieri sono diventati quasi 4,000,000 e tale numero sembra essere in visibile crescita rispetto agli anni precedenti. Il fenomeno dell’immigrazione infatti è quotidianamente al centro dei dibattiti politici, volti a creare e ricercare misure di gestione efficaci, dai tratti più emergenziali che ordinari. Pensiamo ad esempio ai continui sbarchi di clandestini a Lampedusa e la difficoltà di accogliere adeguatamente il gran numero di immigrati giunti nel nostro territorio. Allo stesso modo è acceso il dibattito sulle impronte digitali da prendere ai bambini rom, nonché sulle strategie per rapportarsi al gran numero di irregolari presenti nel nostro Paese.. L’aspetto emergenziale, che non solo non è stato superato, ma appare oggi addirittura enfatizzato, segnala così sia un mutato clima psicologico e politico sia l’oggettiva difficoltà di gestire il fenomeno immigratorio. Le “soluzioni”, ricercate e proposte contribuiscono talvolta a rendere labile il confine tra l’esigenza di garantire sicurezza ai cittadini e l’ostilità verso “l’altro” che entra a farvi parte. In un momento dunque, in cui il "bisogno di sicurezza" rappresenta uno dei temi caldi della vita sociale, occorre moltiplicare gli sforzi in direzione della comprensione e della gestione delle dinamiche legate all'incontro fra culture. La presenza di minoranze etniche nella nostra società chiama in causa la necessità di adottare strategie atte a una gestione efficace e positiva delle diversità culturali.Il rispetto dei diritti umani fondamentali e la possibilità di sviluppare una relazione dinamica ed equilibrata fra diritti e doveri sono alcune delle importantissime dimensioni “critiche” della fase attuale. La discriminazione e l’esperienza soggettiva Sul territorio italiano esiste una fitta rete di strutture e di associazioni, pubbliche e private, che operano per gestire le complesse dinamiche legate ai fenomeni migratori (Serino, Susca, & Sinesi, 2007; Sinesi & Serino, 2008). Queste strutture si occupano di favorire e supportare una integrazione efficace degli immigrati e necessariamente si trovano a dover fronteggiare una tematica purtroppo sempre attuale, ovvero la discriminazione, in tutte le sua sfaccettature. La discriminazione, infatti, non è una realtà unica e omogenea, ma ha diverse sfumature che è necessario cogliere. Se pensiamo ancora all’ambito lavorativo, esso rappresenta uno degli ambienti

Università di Bari, Dipartimento di Psicologia, · Alcuni studiosi descrivono il sorgere di “aversive racism”, il razzismo di chi appoggia valori egualitari, che considerano

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Università di Bari, Dipartimento di

Psicologia,

DISCRIMINAZIONE PERCEPITA, CONFLITTI E PROCESSI DI INCLUSIONE NEI

CONTESTI INTER-ETNICI*

Carmencita Serino, Filomena Milena Marzano, Giovanna Susca Università degli Studi di Bari, Dipartimento di Psicologia

E-mail: [email protected]

[*Progetto di Ricerca nazionale "La discriminazione etnica nel lavoro pubblico e privato: monitoraggio del fenomeno

ed effettività delle tutele". Progetto finanziato dal Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei

Ministri,anno2006-2007, realizzato da: Associazione Multietnica di Intercultura e Servizi per Immigrate e Immigrati

"Sarowiwa", Università di Bari, Università di Lecce, "CESTIM" di Verona]

Introduzione Le stime mostrano che in Italia i cittadini stranieri sono diventati quasi 4,000,000 e tale numero

sembra essere in visibile crescita rispetto agli anni precedenti.

Il fenomeno dell’immigrazione infatti è quotidianamente al centro dei dibattiti politici, volti a creare

e ricercare misure di gestione efficaci, dai tratti più emergenziali che ordinari. Pensiamo ad esempio

ai continui sbarchi di clandestini a Lampedusa e la difficoltà di accogliere adeguatamente il gran

numero di immigrati giunti nel nostro territorio. Allo stesso modo è acceso il dibattito sulle

impronte digitali da prendere ai bambini rom, nonché sulle strategie per rapportarsi al gran numero

di irregolari presenti nel nostro Paese.. L’aspetto emergenziale, che non solo non è stato superato,

ma appare oggi addirittura enfatizzato, segnala così sia un mutato clima psicologico e politico sia

l’oggettiva difficoltà di gestire il fenomeno immigratorio. Le “soluzioni”, ricercate e proposte

contribuiscono talvolta a rendere labile il confine tra l’esigenza di garantire sicurezza ai cittadini e

l’ostilità verso “l’altro” che entra a farvi parte.

In un momento dunque, in cui il "bisogno di sicurezza" rappresenta uno dei temi caldi della vita

sociale, occorre moltiplicare gli sforzi in direzione della comprensione e della gestione delle

dinamiche legate all'incontro fra culture. La presenza di minoranze etniche nella nostra società

chiama in causa la necessità di adottare strategie atte a una gestione efficace e positiva delle

diversità culturali.Il rispetto dei diritti umani fondamentali e la possibilità di sviluppare una

relazione dinamica ed equilibrata fra diritti e doveri sono alcune delle importantissime dimensioni

“critiche” della fase attuale.

La discriminazione e l’esperienza soggettiva Sul territorio italiano esiste una fitta rete di strutture e di associazioni, pubbliche e private, che

operano per gestire le complesse dinamiche legate ai fenomeni migratori (Serino, Susca, & Sinesi,

2007; Sinesi & Serino, 2008). Queste strutture si occupano di favorire e supportare una integrazione

efficace degli immigrati e necessariamente si trovano a dover fronteggiare una tematica purtroppo

sempre attuale, ovvero la discriminazione, in tutte le sua sfaccettature.

La discriminazione, infatti, non è una realtà unica e omogenea, ma ha diverse sfumature che è

necessario cogliere. Se pensiamo ancora all’ambito lavorativo, esso rappresenta uno degli ambienti

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in cui sia aspetti oggettivi che soggettivi della discriminazione, legati alla percezione del singolo

individuo, emergono in maniera netta e visibile.

In questa linea, anche la percezione della discriminazione rappresenta una realtà psicologica

importante per gli immigrati e le minoranze etniche, indipendentemente dal fatto che possa essere

considerata un indicatore valido di oggettiva discriminazione e intolleranza. L’esperienza soggettiva

di discriminazione, infatti, può considerarsi come causa ed espressione dell’insoddisfazione dei

migranti circa il loro status attuale nella società. Diversi studi si sono occupati negli ultimi anni di

investigare tale aspetto, mostrando come uno dei problemi più significativi nel rilevare e provare le

discriminazioni, è che le vittime denunciano e segnalano solo in piccola misura le effettive

discriminazioni subite.

Affinché una persona possa arrivare a sentirsi discriminata, non è sufficiente che questa subisca una

disparità di trattamento, in quanto non sempre si è consapevoli dell’ingiustizia (Spencer & Aronson,

2002; Sidanius & Pratto, 1999; Jost, 1995; Major, 1994; Crosby, 1984; Allport, 1954): le persone

possono non etichettare degli episodi oggettivi di discriminazione come tale, oppure, per contro,

possono interpretare degli episodi minimi e non significativi come esempi eclatanti di

discriminazione.

Secondo Major & Kaiser (2005), inoltre, gli individui che si sentono trattati in modo sfavorevole

possono considerare ciò giusto se lo rapportano ad aspetti specifici della loro identità personale (ad

esempio una qualifica poco competitiva nel mercato del lavoro), oppure possono attribuire ciò alla

loro intera identità personale (perché non hanno i giusti contatti). Inoltre, anche quando riconoscono

che il trattamento sfavorevole subito è riconducibile alla propria posizione sociale o a caratteristiche

personali, non necessariamente lo considerano ingiusto, anzi finiscono per giustificarlo in qualche

modo (attributional ambiguity).

Nella stessa linea, il problema messo in luce da più studi anche sulla discriminazione percepita (e

non solo sulla discriminazione oggettivamente rilevata) è l'esistenza di due fenomeni correlati,

l’underreporting, ovvero la non -segnalazione di un episodio di discriminazione da parte della

vittima (per paura di ritorsione, ignoranza delle possibilità offerte di segnalazione, sfiducia nelle

istituzioni e nella possibilità di soluzione del caso, tendenza a minimizzare il problema per non

esasperare il clima o perché è doloroso ammettere di essere vittima di razzismo, ecc.), e

l’underrecording, il fenomeno in base al quale le persone addette alla registrazione di casi di

discriminazione hanno una tendenza a sottovalutare la portata discriminatoria dell’evento.

La capacità di cogliere l’esperienza di discriminazione razziale dipende anche dall'accuratezza dei

giudizi delle vittime e dalle dinamiche legate alla propria identità sociale e personale (Tajfel e

Turner, 1979): il fatto che un’esperienza sia vista come funzione dell’appartenenza dell’individuo

ad una categoria sociale, o invece qualcosa d’altro, sarà la conseguenza della storia personale

dell’individuo in questione, dell’interazione tra i gruppi etnici nella società e della risposta ad

esperienze oggettive. Alcuni studiosi descrivono il sorgere di “aversive racism”, il razzismo di chi

appoggia valori egualitari, che considerano se stessi come liberi da pregiudizi ma capaci di

discriminare in modi sottilmente razionalizzabili (Dovidio e Gaertner, 2002). E’ possibile e

probabile che queste forme razionalizzate di razzismo siano più difficili da identificare e che sia più

difficile coglierne gli effetti.

Obiettivi Sulla scia di tali riflessioni è stato condotto un ampio Progetto di Ricerca nazionale dal titolo “La

discriminazione etnica nel lavoro pubblico e privato: monitoraggio del fenomeno ed effettività delle

tutele”, finanziato dal Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e

a cui hanno partecipato, oltre che l’Università di Bari, l’Associazione Multietnica di Intercultura e

Servizi per Immigrate e Immigrati “Sarowiwa”, l’Università di Lecce, e il CESTIM di Verona. Tale

Progetto ha avuto come obiettivo quello di realizzare un’inchiesta diretta a verificare l’esistenza di

fenomeni discriminatori verso gli immigrati all’interno di contesti lavorativi in due regioni

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emblematiche quali il Veneto e la Puglia.

Più in dettaglio, il questionario utilizzato per la ricerca quantitativa ha voluto investigare il tema

della discriminazione etnica lavorativa secondo un duplice punto di vista: ovvero l’analisi della

discriminazione oggettiva e l’analisi della discriminazione percepita da parte di immigrati sul

territorio italiano. In particolare, esso si componeva di 41 item concernenti i dati personali (età, anni

di residenza in Italia, stato civile, religione professata, ecc), le condizioni lavorative oggettive

(presenza o meno di un contratto di lavoro, tipo di contratto, ore lavorative, ammontare della

retribuzione, ecc) e la percezione della discriminazione in ambito lavorativo (se si sono mai sentiti

discriminati e per quale motivo, da 1= per nulla, a 7= del tutto).

Sono state indagate sia la percezione complessiva di discriminazione in ambito lavorativo, sia le

cause più frequenti di discriminazione. Queste ultime sono state proposte nell’ambito del

questionario tenendo conto di una distinzione già esplorata in letteratura. In particolare, ad esempio,

alcuni studi sulla rappresentazione sociale dei diritti umani (Doise, Spini e Clemence, 1999) hanno

individuato tre classi di ragioni per cui le persone si percepiscono come vittime di ingiustizia,

ovvero il proprio status sociale (le proprie origini sociali, le origini familiari, l’età e il paese di

appartenenza); l’origine etnica (colore della pelle, paese di origine, lingua); e l’ideologia (proprie

opinioni politiche, religione e genere). Queste dimensioni sono state anche indagate nella presente

ricerca.

Vista la cospicua quantità di dati raccolti, in questa sede verranno approfondite soprattutto le

tematiche legate all’esperienza soggettiva di discriminazione, con l’obiettivo di mettere in luce le

dimensioni psico-sociali della discriminazione lavorativa.

Risultati “Percezione e giudizi dei protagonisti”: La percezione di discriminazione in Italia

Hanno partecipato alla ricerca 636 lavoratori, 260 donne e 376 uomini provenienti dall’Est Europa

(46,5%), dal Nord Africa (21,4%), dall’Africa Centro-meridionale (13,3%), dal Sud America

(5,2%) e dall’Estremo Oriente (13,6%). Gli immigrati interpellati risiedono in alcune province del

Nord (N= 396 in Verona) e nel sud Italia (N=240 in Bari, Lecce e Brindisi).

Sul totale dei partecipanti (N = 636) 309 hanno una età compresa tra 20-34 anni; 302, invece,

hanno tra i 35 e i 54 anni. Infine, 20 intervistati hanno dichiarato di avere un’età uguale o superiore

a 55 anni, e solo 5, invece, sono gli intervistati “giovanissimi” (15-19 anni).

Ai partecipanti è stato anche chiesto di indicare il proprio livello di scolarizzazione. A tale

proposito, il 46,1% del campione dichiara di aver frequentato le scuole superiori, il 32,7%, invece,

si è fermato alla scuola dell’obbligo. Un dato interessante consiste nel fatto che solo il 5,5% dei

partecipanti è non scolarizzato, mentre il 15,7% ha frequentato l’Università.

In linea con gli scopi del Progetto, ai partecipanti è stato altresì chiesto di indicare il settore

lavorativo di riferimento. Gli immigrati intervistati sono impegnati per lo più nei servizi (33,5%), ed

circa in ugual misura nel lavoro domestico (18,2%) e nell’industria (17,6%). Il 14,2% dei

partecipanti, invece, lavora nell’edilizia, mentre il restante 16,5% svolge la propria attività

lavorativa nel settore dell’agricoltura e agro-alimentare.

In relazione alla discriminazione percepita, il 39,6% del campione ha dichiarato di essersi sentito

vittima di discriminazione sul lavoro, mentre il restante 60,4% ha risposto in modo negativo.

Tra coloro che si sono sentiti discriminati, il 35,7% sono donne (64,3% di uomini), il 48,8% ha

un’età compresa tra 20 e 34 anni, il 48% tra i 35 e 54 anni, il 2,4% invece ha 55 anni e oltre, infine

lo 0,8% ha tra i 15 e i 19 anni. Tra i settori lavorativi più legati alla percezione di discriminazione,

l’ambito dell’Industria (52.7%), insieme all’Edilizia (52.2%) sono quelli più rappresentati. Coloro

che invece, non si sentono o non si sono sentiti vittima di discriminazione sul lavoro sono gli

immigrati impiegati nel settore agricolo (27.4%) gli immigrati che si percepiscono come

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discriminati (sul totale dei partecipanti, N = 636) provengono dal Nord Africa (62.2%), dal Sud

America (36.4%) e dall’Est Europa (35.4%).

Grafico 1: Percezione di discriminazione sul lavoro, distribuzione in funzione del genere, dell’età, del settore

lavorativo, del paese di origine e del livello di scolarizzazione.

Per quanto riguarda le cause di discriminazione riferite dai partecipanti, in generale essi dichiarano

di essersi sentiti discriminati soprattutto per via del loro status socio-economico, della religione e

delle opinioni personali.

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

RELIG

IONE

GENERE

COLO

RE D

ELLA

PELL

E

OPIN

IONI

STA

TUS

ORIG

INI

LING

UA

Grafico 2: Cause di

Discriminazione Percepita

(N = 230, range da 1 = Per niente,

a 7 = Del tutto, *p=.000)

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Le donne si sentono più discriminate per via del genere di appartenenza mentre gli uomini per le

proprie opinioni (p=.000).

Le cause della discriminazione percepite variano anche in funzione del paese di origine degli

immigrati lavoratori intervistati.

Gli immigrati Nord Africani che hanno partecipato allo studio, ad esempio, si sono dichiarati

significativamente più discriminati per via della religione (rispetto ai partecipanti di altre aree di

provenienza, rimarcando l’attuale, crescente diffidenza e la tendenza a identificare l’Islam con il

fondamentalismo e il fanatismo religioso) e le loro opinioni, mentre, gli immigrati provenienti

dall’Est Europa riportano come causa principale di discriminazione quelle legate al Paese di

provenienza (p=.001). La lingua è il motivo principale per cui si sentono discriminati coloro che

provengono dall’Estremo Oriente (p=.05). Infine, per gli immigrati provenienti dall’Africa Centro-

Meridionale la discriminazione appare legata soprattutto al colore della pelle (p=.000).

Cause di Discriminazione Percepita in funzione del PAESE DI ORIGINE (N = 230, range da 1 = Per niente, a 7=

Del tutto) (*p=.000).

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

GENERE

OPIN

IONI

UOMINI

DONNE

Grafico 3: Cause di

Discriminazione Percepita

in funzione GENERE dei

partecipanti (N = 230, range

da 1 = Per niente, a 7 = Del

tutto, *p=.000)

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Percezione di discriminazione: dati raccolti nell’area barese

Sul territorio barese, il 41,4% del campione, in linea con le proporzioni del campione totale,

dichiara di essersi sentito vittima di discriminazione nel contesto lavorativo, N= 140; 49 donne e 91

uomini provenienti da diversi paesi (46%: Est Europa, 23,7% Nord Africa, 12,9% Africa Centro

Meridionale, 12,2% Estremo Oriente, 5% Sud America).

Tra questi, sono principalmente i maschi (46.2% sul totale dei maschi coinvolti nel campione di

Bari) rispetto alle donne (32.7%), e gli immigrati tra i 35 e i 54 anni (43.3%). Inoltre, sono gli

immigrati, di origine africana (60.6% di tutti gli africani interpellati), gli islamici (51.0%) e coloro

che operano nel settore dell’industria (33.3%) e nel lavoro domestico (32.3%).

Conclusioni In maniera non proprio intuitiva, e al di la dei dati appena illustrati, molti dei lavoratori immigrati

coinvolti in questa ricerca (in particolare, il 60,4% del campione nazionale e il 58.6% degli

immigrati residenti nell’area barese) hanno dichiarato di non essersi mai sentiti discriminati,

almeno nel contesto di lavoro. Un dato altresì interessante riguarda il fatto che tale “trend” di

risposte è sufficientemente omogeneo attraverso le diverse aree geografiche in cui si è realizzata

l’inchiesta (Veneto e Puglia).

La discriminazione , in effetti è un fenomeno in parte oggettivamente “misurabile”, ma non meno

rilevanti sono le sue dimensioni soggettive. In questo senso, lo studio delle discriminazioni appare

intrinsecamente connesso alle rappresentazioni sociali dei diritti umani (Doise, Spini & Clemence,

1999), alle norme e alle pratiche in termini di rispetto e violazione di tali diritti, ai processi di

confronto intra- e inter-gruppi, ai fenomeni di “deprivazione relativa”.

La percezionedi essere discriminati è un’esperienza complessa e ricca di sfumature, e di ciò occorre

tener conto sia nell’approfondire la conoscenza del fenomeno sia nel progettare gli interventi

correttivi.

Ci sono inoltre condizioni specifiche, legate all’interazione e ai conflitti inter-gruppi in uno

specifico territorio.

Per esempio, le differenze osservate in base al Paese di provenienza evidenziano il particolare clima

che si vive oggi in Italia e l’emergere di specifiche paure “ritagliate” su specifiche categorie di

immigrati. Così, non stupisce se gli stranieri provenienti dall’Europa dell’Est si sentano discriminati

per il Paese d’origine, dato il crescente timore e il conseguente rifiuto, che si va diffondendo in

Italia per alcune etnie, peraltro sommariamente e grossolanamente classificate (ad es. i Rumeni)

Viceversa, l’enfasi posta dagli stranieri provenienti dall’Estremo Oriente, sulle discriminazioni

legate “alla lingua” sembrano da leggere più come espressione di una difficoltà a comunicare che

come discriminazione vera e propria .

Se queste percezioni possano essere prese come misura “reale” o effettiva della quantità di

discriminazione subita dai diversi gruppi etnici è questione controversa e che stenta a trovare una

risposta. In ogni caso, come abbiamo già sottolineato, la discriminazione non è una realtà

determinabile in maniera univoca e lineare, anche se è necessario distinguere fra dimensioni

oggettive e soggettive di questa esperienza, tenendo conto di entrambi gli aspetti.

Nel contesto italiano, oggi molto simile a quello degli altri Paesi dell’Unione, sia per presenza di

persone di diversa origine etnica, sia per l’esistenza di leggi contro le discriminazioni, purtroppo

non sempre efficaci, sia per la complessità dei fenomeni migratori e le sfide che essi pongono alla

nostra società, il tema della discriminazione etnica va affrontato in maniera accurata e concreta

piuttosto che limitandosi a posizioni puramente ideologiche che rischiano di risultare generiche e

spesso del tutto inefficaci . Studi come quello che qui abbiamo presentato, fanno dunque parte di un

quadro sociale dove è imperativo offrire alle minoranze visibili, alle persone di origine etnica

minoritaria e a tutte le categorie svantaggiate, l’idea che la società nella quale vivono non è “solo”

ostile. Più che mai diventa importante che le persone a rischio di discriminazione acquisiscano

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conoscenza delle opportunità che si aprono loro, conoscenza degli strumenti a loro disposizione,

insieme alla sensibilità per il rispetto di regole condivise e vincolanti tanto per gli stranieri che per

gli “autoctoni”.

Il luogo di lavoro, che è indubbiamente uno degli spazi critici in cui si attuano discriminazioni e

abusi, rappresenta però anche un possibile, importante terreno di incontro, un laboratorio in cui

sperimentare la gestione delle diversità culturali e le forme possibili di inclusione e di

riconoscimento reciproco, un’occasione di “contatti” favorevoli e di appartenenze sovra-ordinate

(Allport, 1954).

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