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1
L’ITALIA NELL’ECONOMIA
INTERNAZIONALE
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La performance internazionale
Le merci italiane a partire dai primi anni ’90 hanno
continuamente perso quote di mercato mondiale
(qualche segnale di inversione di rotta nel
2006……)
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La posizione attuale dell’Italia sui mercati mondiali
La perdita di quota riguarda merci e servizi
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Punti di debolezza: un effetto della piccola dimensione delle
imprese esportatrici è la concentrazione dell’export in mercati vicini
(e a volte non avanzati)
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L’Italia ha saputo cogliere la dinamicità
dei mercati di sbocco?
La composizione geografica dell’export di
ciascuna economia e, in particolare, dell’Italia è
stata in grado di seguire l’espansione dei mercati
maggiormente dinamici?
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Come mai le merci italiane hanno perso quote di
mercato relative?
a) perdita di competitività di prezzo
b) specializzazione produttiva anomala + emergere
di nuovi concorrenti
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Perdita competitività di prezzo
Negli ultimi dieci anni le merci italiane hanno
subito una chiara perdita nella competitività di
prezzo.
E’ colpa dell’euro?
No (o almeno non direttamente)!
Francia e Germania hanno sperimentato una
migliore dinamica…
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Perdita competitività di prezzo
Nella figura il tasso di cambio reale effettivo è
costruito a partire dal costo del lavoro per unità di
prodotto(CLUP) e questo dipende da:
a) renumerazione del lavoro(+)
b) produttività del lavoro(-)
L’evoluzione relativa di
a) non permette di spiegare la perdita di competitività.
Rimane
b): e già sappiamo che la sua evoluzione è stata
deludente per l’Italia
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Specializzazione produttiva
L’economia italiana è caratterizzata da alcune anomalie rispetto ai suoi concorrenti industrializzati:
-dimensione media delle imprese piccola(tendenzialmente organizzata sulla base di agglomerazioni territoriali –i distretti industriali)
-specializzazione produttiva anomala: in comparti differenti da quelli dei concorrenti industrializzati
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L’economia italiana è caratterizzata da una specializzazione produttiva anomala:
-punti di forza nel comparto “tradizionale” e della meccanica specializzata
-punti di estrema debolezza nei settori “scale intensive” e soprattutto nel comparto dell’alta tecnologia
Inoltre la specializzazione è:
-Polarizzata
-Persistente
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INDICE DI BALASSA
L’indice di specializzazione relativa o indice dei vantaggi comparati rivelati è una delle misure normalmente utilizzate per analizzare il modello di specializzazione internazionale di un paese. Per ciascun settore, il tessile per esempio, ISP è calcolato come il peso delle esportazioni tessili sul totale delle esportazioni di un paese diviso per il peso delle esportazioni tessili mondiali sul totale delle esportazioni mondiali.
Se il valore di ISP è maggiore di uno, si dice che quel paese è relativamente specializzato nei prodotti tessili.
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«Il modello di specializzazione commerciale
dell’economia italiana: evoluzione recente e
confronto con gli altri principali paesi dell’Area
dell’euro», di Vera Santomartino, in
RAPPORTO ICE 2013-2014, pagg.212-226
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EVOLUZIONE RECENTE DEL
MODELLO DI SPECIALIZZAZIONE
Confronto con Francia, Germania e Spagna
Un’anomalia statica
Un’anomalia nell’evoluzione dinamica.
Le analisi dei mutamenti avvenuti nella distribuzione dei vantaggi comparati hanno rivelato una sostanziale rigidità del caso italiano rispetto ad altri grandi paesi industriali che hanno vissuto nel corso degli ottanta una riduzione dell’importanza relativa dei settori tradizionali, a beneficio di quelli a media e alta tecnologia.
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Persistenza
Nello stesso periodo storico l’Italia avrebbe,
invece, sperimentato deboli elementi di
discontinuità rispetto al passato e i cambiamenti
si sarebbero realizzati nel senso di un
rafforzamento della specializzazione già
detenuta nei settori tradizionali.
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Polarizzazione
Un ultimo elemento di peculiarità riguarda l’intensità della specializzazione o, in altri termini, la polarizzazione degli indici di specializzazione, che per l’Italia assumono valori relativamente elevati nei settori di specializzazione e molto bassi nei settori di svantaggio comparato.
Tale fenomeno non si riscontra generalmente negli altri paesi industriali, dove l’intensità media dei vantaggi e degli svantaggi comparati risulta relativamente inferiore.
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Anni più recenti
qualcosa si muove?
Le analisi più recenti hanno intravisto, già a
partire dagli anni novanta, dei segnali di
mutamento.
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La specializzazione commerciale
dell’Italia: un aggiornamento
Evoluzione dinamica nel periodo 1990-2013
L’indicatore utilizzato è l’indice di
specializzazione commerciale netta, descritto
dalla formula seguente:
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dove
X e M rappresentano rispettivamente le
esportazioni e le importazioni,
i il paese,
s il settore
q il totale dei settori considerati.
L’indice assume valori positivi, compresi fra 0 e 1, nei
settori di specializzazione, mentre restituisce valori
negativi, compresi fra -1 e 0, per i settori di
svantaggio comparato.
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Nella tavola 1 i settori sono ordinati in base al
valore assunto dall’indice nell’ultimo periodo di
analisi (biennio 2012-13), pertanto in cima alla
graduatoria figurano i settori di specializzazione.
(1) I settori sono ordinati secondo il valore
dell'indice nel periodo 2012-13.
(2) T: settori dell'industria tradizionale; OS: settori a
offerta specializzata; ES: settori a forti economie di
scala; RS: settori a elevata intensità di R&S. La
suddivisione segue la rielaborazione Istat della
tassonomia di Pavitt.
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Come è noto, quando si parla di settori tradizionali di specializzazione dell’Italia, il riferimento è a mobili, prodotti tessili, abbigliamento, pellami e manufatti in pelle e manufatti in metallo.
Le analisi più recenti avevano individuato un indebolimento della specializzazione dell’Italia nei settori tradizionali a partire dagli anni novanta, per effetto della pressione competitiva esercitata dai paesi emergenti, che presentano una elevata specializzazione nei medesimi settori.
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La tavola 1 mostra che tale tendenza è continuata nel decennio successivo e negli anni della grande crisi.
Il settore dei mobili è sempre rimasto uno di quelli in cui la specializzazione commerciale dell’Italia è più intensa, ma ha sperimentato una significativa attenuazione dei suoi vantaggi comparati.
Ancora più forti sono state le perdite di specializzazione negli altri settori tradizionali, e in particolare nell’abbigliamento, nella filiera della pelle e nella gioielleria.
Il processo è continuato negli anni della crisi, sia pure più lentamente.
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Nel tessile abbigliamento i vantaggi comparati dell’industria italiana appaiono quasi completamente esauriti nel biennio 2012-13.
Tra i settori in cui, pur essendosi indebolita, la sua specializzazione appare ancora relativamente intensa figurano tutti quelli legati in qualche misura al sistema dell’arredamento, non soltanto i mobili, ma anche i prodotti in metallo e i materiali da costruzione e ceramica.
In compenso, va segnalato il progressivo aumento dell’indice di specializzazione nell’industria delle bevande, che nel biennio 2012-13 ha raggiunto livelli molto elevati. Anche nel resto dell’industria alimentare il crescente successo internazionale dei prodotti tipici italiani si è tradotto in un miglioramento dell’indice di specializzazione, che tuttavia è rimasto di segno negativo.
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Vantaggi comparati
qualcosa si muove
D’altra parte, si sono progressivamente rafforzati, a
partire dagli anni duemila, i vantaggi comparati
dell’industria italiana nel più importante settore a
offerta specializzata, che è l’ampio comparto dei
macchinari e apparecchi meccanici, giunto al
secondo posto nella graduatoria.
Anche in alcuni comparti dei mezzi di trasporto si
sono manifestati vantaggi comparati significativi.
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Svantaggi comparati Si è invece confermata la relativa debolezza dell’Italia
nel raggruppamento dei settori a forti economie di scala.
Si tratta di settori dai quali l’industria italiana si era allontanata già nel corso degli anni settanta, come conseguenza della crisi delle imprese di grandi dimensioni. Negli anni più recenti, tuttavia, sono emersi segni di relativo recupero.
In particolare, fra i settori che pesano di più sulle esportazioni italiane, si è ridotta la despecializzazione per autoveicoli, rimorchi e semirimorchi, e metallurgia.
Gli svantaggi comparati si sono ridotti anche in altri settori che producono beni intermedi, tra i quali emerge quello dei derivati del petrolio, in cui l’indice di specializzazione ha assunto segno positivo, anche se il suo valore nell’ultimo biennio si è notevolmente ridotto.
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Principale punto di debolezza Il principale punto di debolezza del modello di
specializzazione commerciale dell’industria italiana resta il raggruppamento dei settori a maggiore contenuto di ricerca.
Tuttavia, anche in questo caso, nei dati più recenti si possono individuare alcuni segni di mutamento.
In particolare, si registrano miglioramenti dell’indicatore per la farmaceutica (rispetto al biennio 1990-91) e un cambiamento di segno per aeromobili e veicoli spaziali.
In compenso, si è ulteriormente aggravato lo svantaggio comparato nel comparto computer e meccanica di precisione.
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Una sintesi Complessivamente, si può affermare che il modello di
specializzazione internazionale dell’industria italiana, pur avendo mantenuto i suoi tratti qualitativi essenziali, ne abbia cambiato significativamente l’intensità, allontanandosi sempre più dai settori tradizionali, in favore di una più evidente specializzazione nell’industria meccanica e di una riduzione degli svantaggi comparati in alcuni settori a forti economie di scala e ad alta intensità di ricerca.
Tutto ciò è sintetizzato dal fatto che il grado di polarizzazione del modello si è sensibilmente ridotto nel periodo considerato.
L’indice che lo misura, costituito dalla media ponderata degli indicatori Nts, presi in valore assoluto, è diminuito progressivamente da 0,34 nel 1990-91 a 0,24 nel 2012-13 (grafico 1).
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Un confronto con gli altri paesi L’Italia è l’unico paese, fra quelli considerati, in cui
l’indice di specializzazione è rimasto di segno positivo nei settori tradizionali, che invece figurano al di sotto della soglia di specializzazione per la Germania, per la Francia e, nell’ultimo biennio, anche per la Spagna.
Tuttavia, come osservato, il mutamento nel modello di specializzazione dell’Italia non va ricercato tanto nella distribuzione qualitativa della specializzazione, quanto piuttosto nel cambiamento dell’intensità della stessa, che risulta in flessione nei settori tradizionali, mentre è aumentata in altri raggruppamenti.
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La principale anomalia comunemente attribuita
al modello di specializzazione dell’Italia,
relativa alla distribuzione qualitativa dei
vantaggi comparati sbilanciata verso i settori
tradizionali, viene confermata solo in parte
dall’analisi dei dati più recenti, che rivelano una
forte contrazione dell’intensità della
specializzazione per prodotti tessili e
abbigliamento, soprattutto negli anni della crisi.
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Parallelamente si assiste a un ulteriore
rafforzamento della meccanica e a una riduzione
degli svantaggi comparati nei settori a maggiore
intensità di ricerca, che rappresentano il
principale elemento di debolezza del modello di
specializzazione commerciale dell’Italia e, allo
stesso tempo, di divergenza rispetto ai maggiori
paesi industriali
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Conclusione I mutamenti appena delineati rappresentano non solo
dei segnali di graduale trasformazione della struttura settoriale dell’industria italiana, ma anche di lenta convergenza verso i modelli di specializzazione degli altri principali paesi dell’Area dell’euro.
Rispetto alla Germania e alla Francia, che presentano una maggiore forza nei settori più complessi e una ormai consolidata despecializzazione nei settori tradizionali,
l’Italia, pur presentando una distribuzione qualitativa della specializzazione opposta, sta lentamente recuperando il ritardo accumulato nei settori a più alta intensità di ricerca (farmaceutica, meccanica di precisione e aerei) e allo stesso tempo consolidando il vantaggio conquistato nella meccanica.
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Conclusioni
È opportuno, tuttavia, sottolineare come, nel
caso italiano, l’indebolimento dei vantaggi
comparati nel commercio estero dei settori
tradizionali si accompagna a una loro
persistenza nelle esportazioni, il che può essere
interpretato come un segno di partecipazione più
intensa alle reti produttive internazionali, dalle
quali le imprese italiane più competitive
traggono gli input intermedi importati necessari
per difendere la forza della propria
specializzazione.
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La dimensione delle imprese
«Il modello di specializzazione per classi dimensionali di imprese», di Elisa Borghi e Rodolfo Helg, in
RAPPORTO ICE 2010-2011, pagg.299-306
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Innanzitutto, come emerge dalle statistiche Istat
lo status di esportatore non è in media
maggioritario tra le imprese:
le imprese manifatturiere esportatrici sono infatti
solo il 20,4% del totale.
Questo margine estensivo varia però molto per
classe dimensionale: la percentuale di imprese
esportatrici aumenta con la dimensione:
12% tra le microimprese
96,4% delle imprese con più di 250 addetti.
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Un confronto per classi dimensionali
Un fatto stilizzato consolidato è che le imprese esportatrici hanno caratteristiche profondamente diverse da quelle delle imprese che vendono solo sul mercato domestico.
La Tavola 1 mostra come le imprese esportatrici rispetto a quelle non esportatrici siano in media più grandi (30,3 addetti contro 4,3), abbiano una produttività del lavoro più alta (59 contro 29) e un più elevato costo del lavoro (40,8 contro 26,7), investano di più (10,7 contro 5) e siano più profittevoli (31,6 contro 12,6)
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Dalla Tavola 1 emerge inoltre che,
indipendentemente dallo status di
esportatore o non esportatore, al crescere
della classe dimensionale, aumenta la
produttività del lavoro, così come gli
investimenti per addetto, il costo medio del
lavoro e la profittabilità.
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Passando all’analisi per classi dimensionali, il
primo dato che emerge è che per gran parte dei
settori lo status di “specializzato” varia con la
dimensione.
Solo quattro settori mostrano specializzazione
internazionale in tutte le classi dimensionali:
abbigliamento; pelli e cuoio, calzature ed articoli
da viaggio; mobilio; meccanica specializzata
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L’ultima colonna conferma il quadro aggregato precedentemente accennato. I settori in cui l’Italia è molto specializzata relativamente al resto del mondo (ISP attorno a 2) sono quasi tutti i cosiddetti “tradizionali” (abbigliamento, pelli e cuoio, calzature, articoli da viaggio e mobili).
Gli altri settori in cui c’è specializzazione sono innanzitutto la meccanica specializzata (macchine ed apparecchi meccanici con ISP pari a 1,51), il tessile, l’editoria, la raffinazione del petrolio, la lavorazione dei minerali non metalliferi, la metallurgia e i prodotti in metallo.
Di converso, l’Italia mostra despecializzazione nelle produzioni high-tech e dove esistono elevate economie di scala nel processo produttivo.
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ANALISI PER MACROSETTORI
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Innanzitutto, dal Grafico 1 si può osservare
come la despecializzazione dell’Italia nei
settori ad elevato contenuto tecnologico (HT)
e la specializzazione nel comparto a basso
contenuto tecnologico (LT) è una
caratteristica comune a tutte le classi
dimensionali.
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In secondo luogo, un altro fatto rilevante che emerge dal grafico è la specializzazione nelle produzioni ad intensità tecnologica medio-alta (MHT): sia le micro-imprese che quelle medio-grandi (50-249 addetti) sono specializzate in questo comparto e le altre due classi dimensionali sono poco sotto la soglia della specializzazione internazionale.
Per le imprese medio-grandi questa specializzazione è dovuta principalmente ai comparti della meccanica specializzata e degli altri mezzi di trasporto. Per le microimprese, questo interessante risultato è dovuto ai settori della chimica e delle fibre non naturali ed alla meccanica specializzata (Tavola 3). Infine, le imprese grandi (più di 250 addetti) si specializzano maggiormente nei settori a medio-bassa intensità tecnologica (MLT).
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Per l’Italia la despecializzazione nei settori ad alta intensità tecnologica e la specializzazione nei settori a bassa tecnologia è una caratteristica comune a tutte le classi dimensionali.
L’analisi per classi dimensionali fa emergere un dato che rimane nascosto quando l’analisi è condotta per l’aggregato Italia: le micro-imprese e quelle medio-grandi sono anche specializzate in produzioni ad intensità tecnologica medio-alta.
In tutte le classi dimensionali la specializzazione internazionale italiana è dissimile da quella di paesi di antica industrializzazione e mostra alcune caratteristiche che la rendono più in linea con quella di alcuni paesi di recente industrializzazione.
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Un modello obsoleto?
Crescita e Specializzazione dell’economia Italiana
Faini R., Sapir A. (2005)
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L’Italia è un paese che finora ha investito
relativamente poco nella sua risorsa più preziosa,
il proprio capitale umano. E’ indispensabile
invertire tale tendenza. Convogliare maggiori
risorse verso il sistema scolastico, e in
particolare verso quello universitario, è un primo
passo in tale senso. Ma non è sufficiente. E’
necessario infatti che tali risorse vengano
utilizzate in maniera oculata, al
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contrario di quanto troppo spesso si è verificato nel passato, e soprattutto che si creino le condizioni per cui l’accresciuta offerta di lavoro qualificato trovi un adeguato sbocco nella domanda del sistema produttivo.
Si rende quindi indispensabile una doppia azione sulla domanda, con politiche orizzontali di sostegno all’innovazione, alla formazione, e all’internazionalizzazione delle PMI, e contemporaneamente sull’offerta di capitale umano, attraverso maggiori investimenti nell’istruzione, soprattutto in quella avanzata.
Solo così si supererà il circolo vizioso per cui l’insufficienza di manodopera qualificata perpetua un modello di specializzazione obsoleto che a sua volta scoraggia la domanda stessa di capitale umano.
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E’ indispensabile infine favorire la mobilità delle risorse dai settori in declino verso quelli in espansione. L’Italia, come rilevato in precedenza, è il paese che meno ha saputo modificare il proprio modello di specializzazione e adattarlo alle mutate condizioni dell’economia mondiale.
Servono a tal fine mercati di capitali più efficienti, in grado di allocare il risparmio verso i settori in crescita, e un moderno sistema di ammortizzatori sociali, capace di ridurre le resistenze al cambiamento senza generare distorsioni eccessive.
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L’ANOMALIA DEL MODELLO DI
SPECIALIZZAZIONE ITALIANO E
L’EVOLUZIONE DEL COMMERCIO
INTERNAZIONALE
di Michele Di Maio, Federico Tamagni
QA – Rivista dell’Associazione Rossi-Doria, 3-4,
2008
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Indice PRODY
Il recente studio di Hausmann et al. (2006) introduce un nuovo indicatore – l’indice PRODY – che cerca di misurare il potenziale contributo alla crescita economica associato con l’esportare in diversi settori. Tale indice, calcolabile empiricamente a diversi livelli di aggregazione settoriale, è costruito come la media ponderata dei livelli di reddito pro capite (produttività) dei paesi che esportano in un determinato settore in un dato anno.
Si ottiene così un ranking dei settori commerciati in termini del loro diverso grado di sophistication, secondo il quale un settore si definisce più “sofisticato” di un altro se il reddito medio dei paesi esportatori è più alto nel primo settore che nel secondo.
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A partire dall’indice PRODY, si calcola poi l’indice EXPY, un indicatore non settoriale, ma aggregato, che riporta il grado di sophistication associato all’intero vettore delle esportazioni di un paese.
Questo indice rappresenta un buon predittore della crescita futura, stabilendo così l’esistenza di una relazione diretta fra sophistication e performance
economica di un paese.
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A partire da questi recenti studi empirici sembra quindi confermarsi che la capacità di creare sviluppo economico attraverso il canale delle esportazioni dipende significativamente da quali sono i settori che compongono il vettore delle esportazioni, e quindi dallo specifico modello di specializzazione.
Considerate le buone performance di crescita registrate in passato dall’Italia, la vera anomalia italiana consisterebbe nel fatto che il modello di specializzazione italiano, sebbene molto diverso rispetto a quello di altri paesi avanzati, non si sia dimostrato di particolare ostacolo per lo sviluppo del paese.
La domanda alla quale è necessario rispondere diventa quindi: perché tale modello appare negli ultimi anni sempre meno in grado di sostenere la crescita?
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Una misura quantitativa del grado di
sophistication settoriale: l’indice PRODY
L’indice PRODY è un indicatore che assegna ad
ognuno dei settori del commercio mondiale la
media ponderata dei livelli di reddito pro capite
dei paesi che esportano in quel settore. Più
formalmente, indicando con l il settore in esame
e con i il paese, l’indice PRODY risulta così
definito:
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dove yi indica il Pil reale pro capite dell’i-esimo paese
(i=1,2,...,N) che esporta nel settore l, mentre i pesi
normalizzano l’indice di vantaggio comparato rivelato di
Balassa (RCA) calcolato per il paese i-esimo rispetto al totale degli
stessi indici RCA calcolati per tutti i paesi che esportano nello
stesso settore
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valori più alti dell’indice PRODY si avranno nei settori in cui le esportazioni dei paesi industrializzati (a più alto reddito pro capite) rappresentano una quota molto rilevante del valore totale delle esportazioni mondiali.
Da ciò discende che
più è alto il valore dell’indice, e quindi più è alto il grado di sophistication di un settore, maggiori sono le opportunità di crescita offerte dall’esportare in quel settore. Infatti, è ragionevole assumere che la presenza di paesi ad alto reddito pro capite (ed alti salari) sia più significativa laddove i vantaggi comparati si basano su fattori diversi dal costo del lavoro, quali, ad esempio, il grado di qualità intrinseca, o il contenuto tecnologico.
Risulta quindi chiaro che il
paniere di esportazioni di un paese sarà tanto migliore quanto più “sbilanciato” verso questa tipologia di settori
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La co-evoluzione degli indici PRODY
e RCA per l’Italia
L’Italia oggi è più o meno presente che in passato in quei settori caratterizzati da maggiore valore aggiunto, migliori margini, dove la competizione sui costi è meno severa, e che sono pertanto in grado di contribuire in modo rilevante alla crescita del paese?
La sostanziale stabilità osservata nella anomala struttura degli RCA italiani è stata coerente con l’evoluzione delle opportunità di crescita offerte dal commercio mondiale?
L’utilizzo dell’indice PRODY consente di formulare una valutazione di tipo quantitativo del posizionamento dell’Italia.
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Un giudizio positivo sulle dinamiche italiane nel
periodo in esame (1980-2000), e sulle prospettive
future del paese, deriverebbe dalla constatazione
che vi è stata o vi è una relazione positiva fra
indici RCA ed indici PRODY, meglio ancora se
crescente nel tempo.
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SEGUE
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Dalla tabella, in generale sembra di poter cogliere una relazione negativa fra i due indici, certamente poco virtuosa per il paese:
RCA sale nel tempo in settori in cui PRODY scende, e viceversa.
Inoltre, gli esempi in cui l’Italia sembra andare nella giusta direzione, aumentando il proprio livello di specializzazione in settori che registrano aumenti dell’indice PRODY, risultano piuttosto marginali rispetto al poco soddisfacente trend generale. Essi sono infatti poco numerosi e si riscontrano per lo più in settori che coprono quote poco significative sul totale delle esportazioni
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Queste considerazioni supportano l’idea, sostenuta da molti in letteratura,
che una delle principali cause dell’attuale debolezza dell’economia italiana si possa ricercare in una mancata ricomposizione settoriale del modello di specializzazione del paese.
L’analisi qui svolta utilizzando l’indice PRODY permette di dare un contenuto quantitativo a tale affermazione, rivelando che l’alto grado di persistenza che caratterizza il vettore delle esportazioni italiane ha portato il paese ad essere sempre più specializzato in settori sempre meno capaci di sostenere un processo di crescita di lungo periodo.
Si osserva infatti che i settori in cui l’Italia risulta, da lungo tempo, molto specializzata e fortemente competitiva sono settori che presentano indici PRODY non particolarmente alti, e comunque decrescenti nel tempo.
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Si evince quindi che, mentre si può sostenere che l’anomalo modello di
specializzazione italiano non abbia costituito un problema per molti anni, i risultati
del lavoro di Di Maio e Tamagni, mostrano come esso stia diventando tale in tempi
più recenti.
Questa tendenza, pur tenendo conto della considerazione che il settore estero non
costituisce certamente l’unico fattore determinante nel processo di crescita di un
paese avanzato, segnala comunque l’esistenza di un serio elemento di debolezza per
le prospettive italiane, essenzialmente dovuto alle rilevanti trasformazioni in atto a
livello internazionale, in primo luogo per quanto concerne il mutamento del
contesto competitivo globale.
Infatti, l’entrata di molti nuovi paesi esportatori, il rapido processo di catch-up
tecnologico da parte dei paesi emergenti, e la crescente competizione di costo che
caratterizza i settori nei quali l’Italia è sempre stata fortemente specializzata, hanno
reso questi mercati sempre meno remunerativi, rendendo così il modello di
specializzazione italiano sempre meno capace di sostenere la crescita economica.
Quindi, nonostante sia indubbio che la differenziazione di prodotto e il differenziale
di qualità possono ancora assicurare un certo grado di vantaggio competitivo (cfr.
Lanza e Quintieri, 2007), dalle nostre analisi emergono chiari segnali che
suggeriscono una diagnosi piuttosto preoccupante del modello di specializzazione
italiano.