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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE
Corso di Studi in Infermieristica
Tesi di laurea
L’AROMATERAPIA: UN POSSIBILE TRATTAMENTO
COMPLEMENTARE IN AMBITO OSPEDALIERO?
Relatore:
Dott.ssa Alessandra BIN
Laureanda:
Francesca TOLLOI
__________________________________________________________
ANNO ACCADEMICO 2012/2013
2
3
INDICE
ABSTRACT……………………………………………………………………….... p.5
INTRODUZIONE………………………………………………………………….. p.6
1. LA MEDICINA COMPLEMENTARE…………………………………... p.8
1.1 Modelli diagnostici e terapeutici: concetti antropologici…..……….….. p.9
1.2 La visione olistica dell‟assistenza infermieristica.……………..……..... p.10
1.3 L‟infermieristica e i trattamenti complementari……..…….….…..……. p.11
2. LEGISLAZIONE………………………………………………………….… p.15
2.1 Riconoscimenti normativi delle CAM, mondiali ed europei…..….….… p.16
2.2 La situazione in Italia…………………………………………….…...... p.18
3. L’AROMATERAPIA………………………………………………….….... p.25
3.1 Gli olii essenziali e i diversi approcci terapeutici……………….….….. p.27
3.2 L‟applicazione cutanea degli OE: assorbimento transdermico………… p.29
3.3 La somministrazione per via inalatoria: azione olfattiva……………..... p.32
3.4 Tossicologia ed olii essenziali………………………………………….. p.34
3.4.1 Interazioni………………………………………………......... p.37
3.4.2 Tossicità cutanea………………………………………........... p.37
3.4.3 Rischi in gravidanza…………….…..…………….………….. p.39
3.4.4 Altre forme di tossicità…………….…………………………. p.40
4. GLI EFFETTI DELL’AROMATERAPIA……………………………….. p.42
4.1 Trattamento di disturbi psicologici……………………………………... p.43
4.2 Trattamento del dolore…………………………………………….…… p.49
4.3 Trattamento di nausea, vomito e costipazione….………………….…… p.52
4.4 Attività antibatterica, antivirale ed antimicotica..………………………. p.54
5. L’INDAGINE CONOSCITIVA……………………………………….…… p.58
5.1 Obiettivi……….………..………………………………………………. p.58
5.2 Disegno di studio……………………………………………………….. p.58
4
5.3 Materiali e metodi……………………………………………………… p.58
5.4 Popolazione e setting…………………………………………………… p.59
5.5 Questionario……………………………………………………………. p.60
5.6 Rigore metodologico ed etico………………………………………….. p.61
5.7 Raccolta ed analisi dei dati…………………………………………….. p.61
6. RISULTATI…………………………………………………………………. p.62
7. CONCLUSIONI…………………………………………………………….. p.70
7.1 Limiti dello studio….………………………………………………….. p.72
ALLEGATI…………………………………………………………………………. p.73
BIBLIOGRAFIA…………………..…………………………..…………………… p.76
5
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICHE E BIOLOGICHE
Corso di Studi in Infermieristica
L’AROMATERAPIA: UN POSSIBILE TRATTAMENTO COMPLEMENTARE IN
AMBITO OSPEDALIERO?
Relatore:
Dott.ssa Alessandra BIN
Laureanda:
Francesca TOLLOI
ABSTRACT
Background. L‟aromaterapia, branca della medicina complementare e alternativa, potrebbe
rappresentare un intervento supportivo e complementare alla medicina convenzionale.
Obiettivo. Effettuare una revisione bibliografica riguardo l‟efficacia dell‟aromaterapia ed
esplorare la conoscenza di tale trattamento complementare, da parte degli operatori sanitari, al
fine ultimo di valutarne l‟utilizzo durante l‟assistenza.
Materiali e metodi. È stata effettuata una revisione della letteratura, a cui è seguita la
somministrazione di un questionario strutturato “ad hoc” ad infermieri e/o ostetriche dell‟AOUD
e l‟ASS.5 Bassa Friulana, nel periodo intercorso fra agosto ed ottobre 2013.
Risultati. Sono stati distribuiti 229 questionari e ne sono stati compilati 147 (64,2%); gli
operatori intervistati, per la maggior parte di sesso femminile (93,88%), erano in servizio presso
realtà mediche (36,1%), oncologiche (21,1%) ed ostetrico-ginecologiche (42,8%). La
percentuale del campione analizzato con formazione complementare corrisponde al 14,3%.
L‟82,3% degli operatori risulta concorde nel sostenere la possibilità di integrazione della
medicina complementare con quella convenzionale, il 76,2% sostiene sia utile favorirne
conoscenza ed utilizzo in ambito infermieristico-ostetrico ed il 59,9% ritiene possibile
l‟applicazione nella propria realtà professionale. Prendendo in considerazione il titolo di studio,
la propensione ad applicare un trattamento complementare è sempre superiore al 70% fra gli
operatori con laurea triennale, diploma universitario e diploma regionale ed una maggioranza
quasi totale si riscontra per gli operatori con titolo di studio più elevato (95%).
Conclusioni. Dalla consultazione della letteratura si rileva un forte interesse all‟utilizzo
dell‟aromaterapia, nonostante essa sia a volte ritenuta d‟ostacolo alla medicina convenzionale.
La maggioranza degli operatori intervistati ha espresso un giudizio positivo sull‟utilità ed
applicabilità del trattamento aromaterapico. La ridotta numerosità del campione, l‟assenza di dati
riguardo l‟età degli operatori inclusi nell‟indagine e la somministrazione di un questionario
ristretto, determinano la necessità di ulteriori studi, al fine di ottenere risultati migliori.
Parole chiave: aromaterapia; cure complementari; assistenza; applicabilità; percezione
operatori.
6
INTRODUZIONE
Dai tempi antichi ad oggi si è cercato di capire come le piante possano influire sullo stato
di salute degli individui, sia dal punto di vista fisico che psicologico e spirituale.
L‟aromaterapia, branca della medicina complementare e alternativa, si occupa dello studio
del potenziale terapeutico insito negli olii essenziali naturali ricavati dalle piante, in termini di
applicazione ed efficacia (Dunning, 2013).
Gli olii essenziali sono composti altamente volatili, cioè miscugli di sostanze diverse,
chimicamente ben definite, concentrate ed estratte da radici, foglie, semi, fiori o piante. Ciascuno
contiene una serie di principi attivi, attraverso lo studio dei quali è possibile determinarne l‟uso
più appropriato, essendo utilizzati fin dall‟antichità per trattare diverse condizioni di salute e
promuovere il benessere generale della persona (Horowitz, 2011), intesa oggi come soggetto
attivo nel processo di cura.
Recentemente si sono sviluppate nuove correnti di pensiero e di azione che hanno portato
verso nuovi concetti di salute e malattia, dando origine ad un vero e proprio cambiamento
culturale dei sistemi di cura e focalizzando l‟attenzione sulla globalità dell‟essere umano
considerato nella sua completezza (Ripa & Baffi, 2004). Da qui è nato il concetto di “prendersi
cura”, che implica l‟evoluzione dell‟assistenza infermieristica all‟interno di una relazione
terapeutica che possa coinvolgere e favorire la proattività del paziente. “La responsabilità
dell'infermiere consiste nell’assistere, curare e prendersi cura della persona nel rispetto della
vita, della salute, della libertà e della dignità dell'individuo”: è dal Codice Deontologico
dell‟infermiere che si evince il vero significato di assistenza infermieristica, intesa come scienza
olistica destinata all‟uomo ed ai suoi bisogni, con la conseguente necessità che “l’infermiere
aggiorni le proprie conoscenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica
sull’esperienza e la ricerca, al fine di migliorare la sua competenza […] e fondi il proprio
operato su conoscenze validate ed aggiornate, così da garantire alla persona le cure e
l’assistenza più efficaci […]”.1
Necessario diventa, dunque, sostenere la mission dell‟infermiere: garantire
l‟umanizzazione delle cure e la difesa degli interessi del paziente, attenendosi al proprio ruolo
istituzionale tutelato dalla legislazione.
1 Codice Deontologico, approvato dal Comitato centrale della Federazione Nazionale Collegi IPASVI con
deliberazione n. 1/09 del 10.01.2009 e dal Consiglio nazionale della Federazione Nazionale Collegi IPASVI nella
seduta svoltasi a Roma in data 17.01.09.
7
L‟aromaterapia, come altri trattamenti complementari ed approcci di pertinenza
infermieristica, potrebbe essere dunque occasione di promozione del benessere psico-fisico dei
pazienti, come intervento supportivo, e non sostitutivo, alla medicina scientifica ufficiale,
apportando vantaggi sulla qualità di vita del malato in termini di sostegno, comprensione,
relazione, tecnica e metodologia dell‟atto terapeutico (Pantaleo, 2011).
Questo progetto di tesi nasce fondamentalmente da una domanda: se la possibilità di
promuovere il benessere psico-fisico dei pazienti attraverso un tipo di trattamento
complementare non convenzionale fosse reale, perché non favorirne conoscenza ed applicabilità?
Tutti i trattamenti che discostano dalla medicina ufficiale e dall‟assistenza infermieristica
convenzionale vengono molto spesso ignorati o non validati. Se, però, la ricerca procedesse, se
fossero dimostrati esiti positivi reali e concreti dall‟utilizzo di determinate cure alternative, se gli
operatori fossero interessati ad approfondire la propria conoscenza in merito a tali discipline, se
la domanda fosse superiore rispetto all‟offerta, se l‟integrazione di medicina convenzionale, e
non, fosse garantita e tutelata, allora potrebbero essere utilmente considerati anche altri
interventi, rispetto agli attualmente riconosciuti come efficaci?
8
CAPITOLO I
LA MEDICINA COMPLEMENTARE
I termini “Medicina Alternativa”, “Medicina Complementare” e “Medicina Integrativa”
hanno un‟origine recente nella letteratura biomedica (Louhiala & Puustinen, 2012).
Facendo riferimento a Medline e PubMed, database indicizzati, il termine “Alternative
Medicine” apparve per la prima volta nella rivista di biomedicina “Nursing Times” nel 1975,
mentre “Unconventional Medicine” nel 1983 (Roberti di Sarsina, 2012). Soltanto dal 1985 si
iniziò a parlare di “Complementary” ed “Integrative Medicine”, iniziando ad introdurre un
nuovo concetto secondo il quale tutti i trattamenti non convenzionali fossero complementari e
supplementari alla medicina convenzionale scientificamente riconosciuta e non ad essa
sostitutivi. Si può evincere, dunque, che diverse sono state le attribuzioni conferite per
classificare metodi diagnostici e terapeutici non contemplati dalla medicina scientifica ufficiale; i
diversi termini possono essere definiti come contesto-specifici ed è dunque necessario
contestualizzarli, nonostante oggi venga utilizzato maggiormente l‟acronimo anglosassone CAM
(Complementary and Alternative Medicine).
Nel 1992 l‟Office of alternative medicine, poi divenuto National center for complementary
and alternative medicine (NCCAM), istituito presso i National institutes of health (NIH) negli
Stati Uniti, si occupò, per la prima volta all‟interno di un organo pubblico, di terapie e medicine
diverse rispetto a quelle convenzionali (Bottaccioli, 2010).
Secondo la definizione proposta dal Professore Paolo Roberti di Sarsina al Consorzio
CAMbrella del 2012: “CAM è una varietà di differenti sistemi medici e metodi di assistenza
sanitaria, le cui radici provengono dalla cultura europea o riflettono sfondi filosofici e origini
culturali basati su conoscenza, competenze e pratiche, al fine di tutelare e ripristinare la salute;
il suo obiettivo è quello di prevenire, diagnosticare, migliorare o trattare malattie fisiche o
mentali includendo terapie farmacologiche e non. Un tratto distintivo, comune a queste
conoscenze per la salute, è un approccio olistico, spirituale, centrato sulla persona. Nei paesi in
cui il sistema sanitario dominante si basa sulla biomedicina e la medicina allopatica, queste
conoscenze per la salute e la guarigione non sono inclusi nel sistema sanitario nazionale, e
vengono considerate medicina non convenzionale” (Louhiala & Puustinen, 2012).
CAM è dunque un termine ampiamente utilizzato nella letteratura, adottato e condiviso da
molte organizzazioni ufficiali fra cui: NCCAM, Cochrane Collaboration, House of Lords Select
9
Committee on Science and Technology e dal Ministerial Advisory Committee on Complementary
and Alternative Medicine.
L‟Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sostiene che “La Medicina Alternativa e
Complementare (CAM) si riferisce a un vasto insieme di pratiche di assistenza sanitaria che non
fanno parte della tradizione propria di un paese e non sono integrate nel sistema sanitario
dominante. Altri termini usati per descrivere queste pratiche di assistenza sanitaria sono:
“medicina naturale”, “medicina non convenzionale” e “medicina olistica”. Nelle General
Guidelines for Methodologies on Research and Evaluation of Traditional Medicine (Ginevra,
2000) l‟OMS, inoltre, afferma che “in alcuni paesi i termini complementare, alternativa ,non
convenzionale sono usati in modo intercambiabile con il termine medicina tradizionale e si
riferiscono ad un ampio insieme di pratiche di assistenza sanitaria che non fanno parte della
tradizione di quello stesso paese e non sono integrate nel sistema sanitario dominante”.
L‟Organizzazione Mondiale della Sanità utilizza, dunque, il termine “non convenzionale” in
riferimento a quei Paesi, di cui l‟Italia fa parte, in cui questa medicina ed i relativi sistemi di
salute su base antropologica non sono inseriti nel piano formativo curriculare obbligatorio del
Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia e non fanno parte del Sistema Sanitario Nazionale
dominante, la biomedicina (Louhiala & Puustinen, 2012).
1.1 Modelli diagnostici e terapeutici: concetti antropologici
Per comprendere il concetto di complementarietà delle CAM, diventa necessario aprire un
capitolo sui modelli diagnostici e terapeutici che si trovano a confronto.
Il rapporto fra biomedicina e medicina non convenzionale, spiegato dall‟antropologia
medica, è molto stretto e non prevede l‟esclusione di uno o dell‟altro modello, ma la loro
integrazione in un determinato contesto sociale e culturale.
La biomedicina, come afferma il termine stesso, affronta la malattia da un punto di vista
biologico, fisico e meramente oggettivista, focalizzando la propria attenzione sulla malattia come
entità a sé stante, escludibile dal singolo individuo. Nella definizione “la salute è la vita nel
silenzio degli organi” (Leriche, 1936) è possibile ritrovare il punto centrale che caratterizza il
modello biomedico: la malattia è la manifestazione di uno stato oggettivo che permette la
“parcellizzazione della realtà”. Secondo Engel (1977) “il modello Biomedico non solo richiede
che la malattia sia trattata come entità indipendente dal comportamento sociale, ma pretende
anche che le deviazioni comportamentali siano spiegate sulla base di processi somatici
(biochimici e neurofisiologici) disturbati”. Nel corso del tempo, il modello biomedico ha trovato
10
evoluzione nel modello biopsicosociale ed è maturata la necessità di non poter considerare la
malattia come evento indipendente dall‟uomo, dalla sua condizione sociale e dal contesto
culturale in cui è inserito come persona. Da questi presupposti e nuove correnti di pensiero si è
andata via, via sviluppandosi la concezione olistica secondo la quale “la salute è un completo
benessere fisico psichico e sociale e non la semplice assenza di malattia” (OMS, 1946).
Il sistema dominante è innegabilmente rappresentato dalla scienza biomedica, la cui
visione meccanicistica è andata rinforzandosi in Occidente dal XX secolo. L‟emergere della
filosofia olistica segna, però, un odierno dibattito antropologico, di forte rilevanza all‟interno
delle comunità scientifiche.
La malattia deve essere analizzata su tre livelli di significato e di esperienza differenti:
illness, disease e sickness. Illness si riferisce all'esperienza personale dei sintomi e della
sofferenza, alla soggettività ed alla percezione della propria condizione di salute, concependo
ogni esperienza di malattia come individualmente distintiva. Quando tale esperienza viene
riferita al medico, ecco che si delinea il concetto di disease, inteso come interpretazione
oggettiva data da conoscenze e competenze del professionista. Il concetto di disease riconduce
strettamente al modello biomedico, nonostante esso si sia poi costruito in senso più ampio
attorno al modello biopsicosociale, il cui risultato è l‟incorporazione del sé e della società
all‟interno della malattia. Sickness è la malattia come viene compresa all'interno della società, in
relazione a cultura e istituzione. Riuscire ad interpretare la malattia in tutti questi aspetti significa
riuscire a concepire il “tutto” in una singola parte.
Nella crisi del cosiddetto modello biomedico tradizionale, di stretta ispirazione
“naturalistico-positivistica”, si viene delineando il cosiddetto modello “biopsicosociale”
(Engel, 1977): si tratta di un modello di tipo integrativo-sistemico che descrive gli organismi
biologici come entità complesse con livelli diversi di organizzazione, tra loro strettamente
interconnessi.
1.2 La visione olistica dell’assistenza infermieristica
Concepire l‟uomo nella sua interezza, focalizzare trattamento ed assistenza per il
raggiungimento del “benessere” nella totalità dell‟individuo, enfatizzare le potenzialità del
paziente favorendo l’empowerment e dunque coinvolgere e far partecipare attivamente il singolo
all‟interno del processo di cura, diventano oggi componenti fondamentali dell‟assistenza
sanitaria ed in particolare della professione infermieristica. La qualità della salute, quindi qualità
11
di vita per ciascun assistito, è il principale obiettivo del professionista sanitario, che pone l‟uomo
al centro del proprio operato.
Virginia Henderson definiva l‟assistenza come “la peculiare funzione dell'infermiere” che
deve “assistere l'individuo malato o sano nell'esecuzione di quelle attività che contribuiscono
alla salute o al suo ristabilimento (o ad una morte serena), attività che eseguirebbe senza
bisogno di aiuto se avesse la forza, la volontà o la conoscenza necessarie, in modo tale da
aiutarlo a raggiungere l'indipendenza il più rapidamente possibile”. Ecco, quindi, che tra i
diversi modelli teorici sviluppatisi nel XX secolo, è possibile annoverare: Dorothea Orem la
quale evidenziava il ruolo infermieristico all‟interno della società, in rapporto alla capacità del
singolo di autogestire la propria salute; Florence Nightingale, fautrice del ruolo dell‟infermiere
come facilitatore di indipendenza e promotore della salute; Callista Roy, che spiegava
l‟interazione del paziente con l‟ambiente e l‟importanza dell‟adattamento. Sulla base di questi è
oggi possibile definire che “il nursing è orientato verso una visione olistica e che tale concezione
assistenziale potrebbe essere ricercata anche negli interventi complementari” (Pantaleo, 2011).
1.3 L’infermieristica e i trattamenti complementari
L‟infermiere è l‟operatore sanitario che prende in carico il paziente garantendogli
un‟assistenza personalizzata fondata sulla conoscenza globale dei suoi bisogni ed elaborando un
piano assistenziale individualizzato, atto a garantire il benessere della persona. Diventa a questo
punto necessario ripercorrere le tappe principali che hanno segnato l‟evoluzione della
professione infermieristica.
Le principali normative che regolamentano la disciplina infermieristica sono il D.P.R.
225/74, che sanciva il vecchio mansionario, il D.M. 739/94, legge di configurazione del profilo
professionale dell‟infermiere, e la L. 42/99, legge di abrogazione del mansionario ed attribuzione
del campo di attività infermieristico con la giuridicizzazione del Codice Deontologico.
Fu proprio nel profilo infermieristico prima e nel Codice Deontologico qualche anno più
tardi, che l‟infermiere venne riconosciuto come il professionista sanitario responsabile
dell’assistenza infermieristica (Codice Deontologico, 2009 – art.1), intesa come servizio alla
persona, alla famiglia e alla collettività, realizzabile attraverso interventi specifici, autonomi e
complementari di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazione ed educativa
(Codice Deontologico, 2009 – art.2). La responsabilità dell’infermiere consiste nell’assistere,
nel curare e nel prendersi cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e
della dignità dell’individuo (Codice Deontologico, 2009 – Art.3/Capo I). Da queste definizioni
12
ed indicazioni, concepite per dare riscontro ai bisogni del cittadino, si è potuto riconoscere
l‟infermiere come una figura professionale autonoma e responsabile, in grado di operare
all‟interno di un percorso terapeutico ed assistenziale complesso ed organizzato, che privilegia
l‟approccio multidimensionale e multidisciplinare nel processo di cura. È inoltre importante
sottolineare come, attraverso questo rinnovamento della professione, si sia accentuato il suo
carattere olistico, determinante la coniazione del “prendersi cura”, che ha riconosciuto a sua
volta l‟importanza della relazione terapeutica. È nel “caring” che l‟infermiere deve ricercare la
consapevolezza del proprio agire e del proprio essere. La relazione, la comprensione dell‟altro,
l‟ascolto, l‟aiuto, l‟affiancamento nello stretto rapporto, con competenza, conoscenza e tecnica,
fanno di un infermiere un professionista, nell‟integrazione fra sapere, saper fare e saper essere.
Da tutti questi elementi è possibile sviluppare oggi la concezione di assistenza nelle cure
complementari.
Nel febbraio 2001, il Comitato centrale della Federazione Nazionale Infermieri approvò al
Consiglio Nazionale gli obiettivi strategici posti durante la sessione “Infermieristica e cure
alternative e integrative”, allo scopo di identificare le competenze infermieristiche nell‟ambito
delle cure complementari. Nel 2002, la sessione parallela “Infermieristica e medicina
complementare”, al Convegno Nazionale della Federazione Nazionale Infermieri tenutosi a
Roma, identificò alcuni interventi di cure complementari adattabili alla professione. Fu poi il
gruppo di lavoro “Cure complementari” ad emettere il documento ufficiale che introdusse le
CAM nell‟infermieristica (Ripa & Baffi, 2004).
Nel rapporto tecnico n.860 – Ginevra 1996, l‟OMS, tenuto conto dell‟utilizzo di approcci
tradizionali e complementari per il mantenimento ed il recupero della salute da parte di ampi
gruppi di popolazione in ogni paese, dichiarava: “Nei paesi industrializzati si stima che circa la
metà della popolazione ricorra regolarmente ad approcci sanitari complementari. Nei paesi in
transizione ed in quelli in via di sviluppo la percentuale è addirittura superiore. Alcuni di questi
approcci complementari possono far parte di un piano terapeutico con il paziente se sono
appropriati ed accettabili. Il tocco terapeutico, l’uso di infusi, il massaggio ed altri approcci
complementari possono favorire l’assistenza infermieristica. Gli infermieri devono essere
preparati a guidare i clienti nella scelta tra i differenti approcci assistenziali complementari e
quelli tradizionali. La formazione dovrebbe mettere gli infermieri in condizione di capire i
diversi approcci, la loro compatibilità con altre forme di cura e la loro accettabilità in seno alla
tradizione culturale. Gli infermieri condividono la responsabilità di essere aperti e consapevoli
circa tutto ciò che attiene all’assistenza sanitaria in cui lavorano”.
13
I diversi approcci di cui sopra definiscono dunque una serie di interventi e trattamenti che,
nel campo dell‟esercizio professionale, devono garantire affidabilità, sicurezza e certezza del
risultato, nell‟osservanza delle indicazioni del Codice Deontologico.
“Nella scelta di una terapia deve essere ben chiaro il concetto che la presunta non
nocività della stessa non giustifica la superficialità dell’opzione che il professionista effettua.
Dette terapie possono rappresentare una grande opportunità per l’infermiere, in quanto
ampliano il campo delle proprie prestazioni. Nell’offerta dobbiamo però considerare di non
sostituire mai la prestazione convenzionale provata con una prestazione non basata
sull’efficacia e cercare invece di proporre interventi che siano il più possibili vicini alla pratica
professionale conosciuta. Accanto al momento formativo è necessario sviluppare ulteriormente
la ricerca infermieristica” (Bini et al, 2002). Dal gruppo di lavoro emerse, infine, quanto
riportato di seguito: “Considerato che, nel campo dell’infermieristica, le cure complementari
sono viste come cure che possono essere utilmente affiancate alle cure convenzionali e che, in
ogni caso, non vengono mai proposte come sostituto di interventi convenzionali basati
sull’evidenza; considerato che gli interventi infermieristici complementari possono concorrere
a potenziare l’efficacia degli interventi convenzionali, soprattutto per quanto riguarda il
miglioramento della qualità della vita; considerato che, nell’infermieristica, l’approccio
olistico, secondo il quale l’uomo è visto come unità inscindibile di corpo-mente-spirito,
rappresenta la base del modello assistenziale fin dal suo nascere; considerato che un numero
sempre maggiore di infermieri in tutti i paesi del mondo e in Italia, in particolar modo
nell’ultimo decennio, ha acquisito competenze rispetto a vari approcci complementari;
considerato che queste competenze sono sempre di più integrate nella prassi infermieristica
come parte di un piano di cura multidisciplinare, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita
delle persone; CREDIAMO che l’infermiere, nell’esercizio dell’attività professionale, sia tenuto
ad operare nel rispetto del profilo professionale e del Codice Deontologico; che la scelta delle
cure complementari debba essere effettuata fra le cure basate sull’evidenza scientifica
disponibile; che gli infermieri che abbiano seguito un percorso formativo nel campo delle cure
complementari, individuate dalla Federazione Nazionale dei Collegi, possano inserire in
autonomia tali approcci nell’ambito della pianificazione e gestione dell’intervento
infermieristico; che ciascun infermiere sia personalmente responsabile nel valutare se le sue
conoscenze, formazione ed esperienza, rispetto alle cure complementari, corrispondano ad un
livello di competenza tale da poterle utilizzare nella cura della persona; che le cure
complementari debbano essere parte integrante del piano preventivo, curativo e riabilitativo;
che gli infermieri debbano essere coscienti delle potenzialità e dei limiti delle cure
14
complementari e debbano far riferimento ad altri professionisti della salute quando lo ritengano
necessario; che le cure complementari non debbano essere proposte in sostituzione ad interventi
basati sull’evidenza; che gli infermieri che praticano cure complementari debbano seguire le
linee guida predisposte dalla Federazione Nazionale dei Collegi e sviluppare protocolli e
procedure condivisi dall’équipe; che gli infermieri debbano documentare le cure complementari
effettuate e sviluppare progetti di ricerca sulle cure complementari; che la persona debba
definire insieme all’infermiere, l’accettabilità e l’adeguatezza di ogni cura complementare; che
l’infermiere debba informare il medico curante sull’impiego di cure complementari; che
l’infermiere debba essere preparato ad educare la persona e i familiari a pratiche
complementari di auto-cura; che l’infermiere debba impegnarsi personalmente per sviluppare la
propria consapevolezza al fine di promuovere l’evoluzione armonica del proprio
ruolo.”(Dichiarazione della Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI).
15
CAPITOLO II
LEGISLAZIONE
La Conferenza Internazionale sull'assistenza sanitaria primaria, tenutasi ad Alma Ata nel
settembre 1978 e promossa dall'OMS e dall'Unicef con il patrocinio dall‟ex Unione Sovietica,
espresse la necessità di azione da parte della comunità internazionale, dei governi e degli
operatori sanitari, al fine di promuovere e garantire salute per la popolazione mondiale. Fu in
questa occasione che venne elaborata la Dichiarazione di Alma Ata, che riaffermava in dieci
punti alcuni concetti importanti da riprendere2:
- La salute, stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non
semplicemente assenza di malattia o infermità, è un diritto umano fondamentale,
ed il raggiungimento del maggior livello di salute possibile è un risultato sociale
estremamente importante.
- Le persone hanno il diritto e il dovere di partecipare individualmente e
collettivamente alla progettazione e alla realizzazione dell'assistenza sanitaria di
cui hanno bisogno.
- L'assistenza sanitaria primaria è costituita da quelle forme essenziali di
assistenza che sono basate su tecnologie e metodi pratici, scientificamente validi
e socialmente accettabili, che sono rese accessibili a tutti gli individui e alle
famiglie nella comunità grazie alla loro piena partecipazione […].
- L'assistenza sanitaria primaria riflette e si sviluppa dalle condizioni economiche
e dalle caratteristiche socioculturali e politiche di un paese e delle sue comunità;
essa si fonda sull'applicazione dei risultati significativi ottenuti dalla ricerca
sociale, biomedica e nei servizi sanitari e sull'esperienza maturata in sanità
pubblica; affronta i principali problemi di salute nella comunità, fornendo i
necessari servizi di promozione, prevenzione, cura e riabilitazione.
Tale premessa si prefigge l‟obiettivo di esplicare un concetto fondamentale nel trattamento
della legislazione delle medicine complementari.
L‟assistenza sanitaria primaria, come riportato in alcuni dei dieci punti della dichiarazione
di cui sopra, è costituita dalle forme essenziali di assistenza, fondate sulla ricerca scientifica,
sulla biomedicina e sulla medicina ufficiale. Le evidenze scientificamente rilevabili, l‟evoluzione
2 Dichiarazione di Alma Ata sul diritto alla salute, 1978.
16
dei Sistemi Sanitari nel mondo, le conoscenze e le competenze acquisite nel corso del tempo,
devono rappresentare le fondamenta e il pilastro per la salute e la tutela del diritto della stessa.
Quando, però, nella dichiarazione si parla di salute come stato di completo benessere fisico,
mentale e sociale e si riafferma il diritto ed il dovere di ciascuno alla partecipazione attiva nel
processo di cura, prestando attenzione alle caratteristiche socioculturali, di promozione alla
salute, prevenzione, cura e riabilitazione, allora si può affermare che si tiene conto di approcci
multidimensionali e multidisciplinari atti a garantire uno stato di salute ed una qualità di vita
migliori.
La medicina complementare si definisce integrativa proprio perché deve essere
riconosciuta come la casa sopra le fondamenta: senza di queste certo crollerebbe, ma è assieme
ad esse che diventa dimora dei bisogni di ciascun individuo. La metafora elaborata non intende
essere rivelatrice, ma si propone di chiarificare il concetto secondo il quale ogni trattamento,
terapia e pratica proposti in ambito sanitario debbano favorire il benessere del singolo, essere
supportati dalla scienza, ma essere anche intesi come “contenitore” dei bisogni dell‟essere
umano nella sua interezza, prevedendo tutele normative, in settori convenzionali, ma anche
complementari, perché è da questi ultimi che si è giunti oggi ad un‟evoluzione del sistema ed è
da questi ultimi che si è capita l‟importanza dell‟uomo e delle “fondamenta”.
2.1 Riconoscimenti normativi delle CAM, mondiali ed europei
In base al luogo geografico, diverse sono le normative che regolamentano le cure
complementari. A livello mondiale le medicine non convenzionali sono una realtà consolidata,
ma le legittimazioni normative a riguardo sono diverse. Il riconoscimento delle CAM non trova,
dunque, uniformità fra i diversi Stati, nonostante l‟Organizzazione Mondiale della Sanità si sia
più volte espressa in merito, formulando diverse richieste agli Stati membri, con lo scopo di
favorire la formulazione e l‟attuazione di politiche e regolamenti nazionali sulle Medicine
Tradizionali e Non Convenzionali3.
L‟OMS si è espressa principalmente riguardo la formazione degli operatori, lo sviluppo di
linee guida di formazione per le terapie complementari e l‟importanza di un‟omogeneità
organizzativa. Con la “Dichiarazione di Pechino sulla Medicina Tradizionale” (OMS, 2008),
emerse la necessità di cooperazione da parte della comunità internazionale, dei governi e degli
stessi professionisti sanitari, atta a garantire un approccio corretto alla medicina tradizionale nel
quadro normativo dei singoli paesi.
3 Delibera n. WHA56.31, 28 maggio 2003.
17
Il primo progetto di classificazione internazionale della Medicina Tradizionale fu
annunciato il 7 dicembre 2010 con l‟obiettivo di creare un sistema di riconoscimento mondiale
basato sulle prove di efficacia e sulla condivisione di terminologie, diagnosi ed interventi
terapeutici (Roberti di Sarsina, 2012).
Anche a livello europeo, ogni Stato membro ha diversi riconoscimenti giuridici,
nonostante, anche in questo caso, ci siano degli intenti da parte dell‟Unione Europea di
promuovere un adeguamento delle diverse terapie. Sia il Parlamento Europeo, che nel 1997
approvò la Risoluzione n.75 evidenziando l‟importanza di “garantire ai cittadini la più ampia
libertà possibile di scelta terapeutica, assicurando loro anche il più alto livello di sicurezza e
l’informazione più corretta sull’innocuità, la qualità e l’efficacia di tali medicine”, che il
Consiglio Europeo, che nel 1999 ribadì il concetto nella Risoluzione n.1206, hanno promosso
l‟interesse a regolamentare le Medicine Non Convenzionali (MNC), al fine di poterle inserire in
un Sistema Sanitario fortemente radicato nella biomedicina (Eurispes, 2010).
Nel 2006 le MNC sono state incluse nel “Settimo programma quadro per lo sviluppo e la
ricerca 2007-2013” ed è nell‟anno successivo che Parlamento Europeo e Consiglio d‟Europa
hanno deciso di istituire il “7th Framework program of the European Community for research,
technological development and demonstration activities 2008-2013” (FP7). Nel terzo bando la
Commissione Europea ha predisposto la piattaforma “FP7-CAMbrella” per presentare un
progetto di ricerca europeo relativo alle medicine non convenzionali.4
CAMbrella è un consorzio di ricercatori (16 organizzazioni scientifiche di 12 paesi
europei) con azione di coordinamento nell‟ambito delle CAM ed ha sviluppato una serie di
rapporti, come prodotto del progetto di cui sopra, fra cui la relazione “Legal status and
regulation of CAM in Europe: Part I - CAM regulations in the European countries”. Il suddetto
documento riconduce alle condizioni giuridiche dei trattamenti e delle pratiche complementari,
che, come affermato precedentemente, sono diversamente regolati in Europa. È dunque possibile
distinguerne i diversi approcci normativi:
- Legislazione generale delle CAM determinata da leggi o regolamenti governativi.
- Leggi o regolamenti governativi generali per l‟assistenza sanitaria (convenzionale
e CAM).
- Regolamenti per specifici trattamenti e pratiche complementari.
- Nessuna legislazione o regolamentazione specifica per CAM. In questi casi,
trattamenti e pratiche complementari sono indirettamente regolati da altre leggi o
4 Dichiarazione di Alma Ata sul diritto alla salute, 1978.
18
regolamenti, come il codice penale, la sicurezza sociale, la finanza,
l‟assicurazione sanitaria e quant‟altro.
Dei 39 paesi analizzati nei report di cui sopra (27 appartenenti all‟Unione Europea UE in
riferimento all‟anno 2012, 4 riconosciuti dall‟European Free Trade Association EFTA e
dall‟European Economic Area EEA, 8 connessi al programma di ricerca FP7 e candidati, o
potenzialmente tali, per l‟ingresso in UE, fra cui la Croazia stato membro dal 2013) 11
riconoscono una regolamentazione CAM determinata dalla legge, 6 riconoscono leggi o
regolamenti governativi generali per l‟assistenza sanitaria e 22 non riconoscono una specifica
regolamentazione per le CAM (Wiesener et al, 2012). Questo ci porta alla conclusione che
frammentazione ed eterogeneità sono caratteristiche ancora dominanti all‟interno dell‟unica
disciplina delle medicine complementari integrative.
Come si è visto, i trattati dell‟Unione Europea hanno più volte affermato che la politica
sanitaria sia responsabilità nazionale degli Stati membri. Le MNC, infatti, possono trovarsi nei
diversi paesi europei riconosciute dal Sistema Sanitario Nazionale, dalle istituzioni dedicate alla
formazione in ambito sanitario, dal mercato sanitario privato, oppure non essere considerate
come valide o legalmente tutelabili.
Uno degli Stati membri che vive in prima persona la difficoltà per le MNC di inserirsi nel
contesto sanitario, è l‟Italia.
2.2 La situazione in Italia
Secondo la Sentenza n. 301 della Corte di Cassazione del 08.02.2001 “La Repubblica
Italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo, salvaguarda il principio del
pluralismo scientifico e garantisce la libertà di scelta terapeutica da parte del cittadino e la
qualificazione professionale degli operatori sanitari, valorizzando in particolar modo
l’autonomia del medico nelle scelte terapeutiche”.
Statisticamente, negli ultimi anni le terapie non convenzionali hanno trovato ampia
diffusione nel nostro Paese. Secondo l‟indagine ISTAT del 2005, presentata a Roma nel 2007 e
condotta su un campione di circa 60 mila famiglie, il fenomeno si dimostrava diffuso tra quote
importanti di popolazione (ISTAT, 2007). Risultò che il 13,6% (7 milioni e 900 mila persone)
della popolazione italiana avesse fatto ricorso all‟uso di medicine non convenzionali nei tre anni
antecedenti quello in analisi, con una decrescita rilevata negli ultimi cinque anni. È nel rapporto
EURISPES del 2010 che si può, però, registrare un aumento della domanda, con il 18,6% della
19
popolazione (oltre 11 milioni di persone) che ha espresso la volontà di curarsi con le medicine
complementari.
Alcuni dati, rilevati dall‟indagine ISTAT di cui sopra, hanno portato alla formulazione di
considerazioni riprese dal documento stesso e riportate di seguito (Wiesener et al, 2012):
- La propensione a far uso di metodi di cura non convenzionali aumenta con
l'elevarsi del titolo di studio: il 18,7% di chi è in possesso di una laurea o di un
diploma ha fatto ricorso ad almeno un tipo di terapia non convenzionale, contro
il 13,5% di coloro che hanno la licenza media e il 9,2% di chi ha conseguito al
massimo la licenza elementare. Questa relazione permane anche se si analizza il
fenomeno a parità di età.
- Si ricorre ai rimedi di cura non convenzionali soprattutto nelle regioni dell’Italia
Nord orientale. In queste regioni infatti il 21,9% dichiara di averne fatto uso
negli ultimi tre anni, tale percentuale scende al 17,9% nel Nord Ovest, al 13,6%
nelle regioni dell’Italia centrale e al 7,0% nelle Isole, mentre nel Sud soltanto il
5,4% delle persone dichiara di aver fatto ricorso a metodi di cura alternativi.
- Tra i bambini e ragazzi fino a 14 anni, il 9,6% è stato sottoposto a trattamenti
non convenzionali. In questa fascia di età non si registrano differenze rispetto al
passato.
- E’ sempre superiore al 60% la quota di quanti dichiarano di aver avuto benefici
dai diversi approcci terapeutici utilizzati.
- Indipendentemente dal fatto di aver sperimentato direttamente le terapie non
convenzionali, il 48,8% delle persone ha espresso un giudizio positivo sull’utilità
di almeno un tipo di terapia non convenzionale tra agopuntura, omeopatia,
fitoterapia e trattamenti manuali, mentre il 51,2% ritiene che nessuno di questi
metodi di cura sia utile. La quota più alta di persone che esprimono un giudizio
positivo si osserva nelle fasce centrali di età (tra i 25 e i 54 anni) e in particolare,
la percentuale raggiunge circa il 55% tra le persone di 25 - 44 anni. Le
differenze di genere decrescono con l’età fino ad annullarsi tra gli anziani. Da
evidenziare che il livello di istruzione è associato positivamente alla valutazione
delle terapie non convenzionali. La quota di persone con titolo di studio elevato
che ritengono utili tali terapie è più alta rispetto a quanti hanno conseguito un
titolo di studio più basso (58,7% contro il 36,2% tra chi ha conseguito al
massimo la licenza elementare). La differenza permane sia tra quanti hanno fatto
ricorso a terapie non convenzionali che tra coloro che non le hanno utilizzate.
20
Dai dati proposti si riscontra un interesse della popolazione all‟utilizzo delle terapie
complementari ed integrative anche se il percorso delle medicine non convenzionali non è in
Italia ancora oggi del tutto delineato e non esiste un provvedimento legislativo nazionale in
merito. Come espresso all‟interno del documento “Medicine Tradizionali e Non Convenzionali
in Italia” di Roberti di Sarsina et al. (2012) “Nella popolazione italiana si consolida un’ampia
realtà sociale di scelte terapeutiche, di prestazioni sanitarie e di salute di Medicine Tradizionali
e Non Convenzionali, ma le istituzioni sanitarie non hanno finora voluto né sono state capaci di
mettersi al passo di questa realtà sociale ampiamente diffusa, disattendendo anche dalla
risoluzione sia del Parlamento Europeo (1997) sia del Consiglio d’Europa (1999), né adottando
il piano strategico sulle MNC dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (2002)”. È evidente
che la domanda rispetto all‟offerta sia in netto squilibrio, senza tenere conto della presenza di
cittadini immigrati, che, oltre a manifestare bisogni complessi, trascendono diversi approcci alla
salute (Roberti di Sarsina & Tognetti Bordogna, 2011).
Si pensi, infine, che in Europa oltre 150 milioni di cittadini si curano con Medicine
Tradizionali e Non Convenzionali ed è proprio questo dato che ha portato al finanziamento di
due Consorzi per la ricerca (nell‟ambito del piano europeo pluriennale di finanziamenti per la
ricerca attualmente in vigore: il Settimo Programma Quadro per la Ricerca e lo Sviluppo) e che
di questo il Ministero della Salute non ha mai diffuso notizia (Roberti di Sarsina, 2012).
Riprendendo alcuni dei punti chiave del documento di cui sopra:
- è urgente e indifferibile l’intervento legislativo del Parlamento al fine
dell’approvazione della legge quadro nazionale di regolamentazione sulle
Medicine Tradizionali e Non Convenzionali;
- per produrre prove di efficacia delle Medicine Tradizionali e Non Convenzionali
sono ovviamente necessarie risorse per la ricerca di qualità. È paradossale che
l’establishment accademico e istituzionale chieda alle Medicine Tradizionali e
Non Convenzionali prove di Evidence-based Medicine quando non esistono,
salvo rari casi, fondi statali erogati a tale scopo;
- va quindi riconosciuta la “doppia libertà”, di scelta terapeutica del singolo e di
cura da parte dei medici, adempiendo compiutamente allo spirito dell’art. 32
della Costituzione.
Nel 2002 il Consiglio Nazionale della Federazione Nazionale Ordini dei Medici Chirurghi
e degli Odontoiatri (FNOMCeO) riconobbe, come “atto medico di esclusiva competenza e
responsabilità di medico chirurgo ed odontoiatra”, nove medicine non convenzionali; con il
documento “Linee Guida per la Formazione nelle Medicine e Pratiche Non Convenzionali
21
riservate ai Medici-Chirurghi e Odontoiatri della Commissione Salute – Conferenza Stato-
Regioni”, approvato a maggioranza dal Consiglio Nazionale il 12 dicembre 2009, dalla
classificazione precedente rimasero di loro esclusiva competenza:
- Agopuntura
- Medicina Tradizionale Cinese
- Medicina Ayurvedica
- Medicina Omeopatica
- Medicina Antroposofica
- Omotossicologia
- Fitoterapia
L‟Osteopatia e la Chiropratica sono riconosciute come professioni sanitarie non di
esclusivo esercizio professionale medico.
Il Codice di Deontologia Medica, in vigore dal 2006, dedica un articolo specifico (art.15)
alle MNC, confermando ciò che era già avvenuto con il precedente codice emanato nel 1988: “le
uniche figure abilitate ad esercitare le MNC sono i medici chirurghi ed odontoiatri che hanno
seguito specifici corsi di formazione”.
Diventa doveroso, a questo punto, distinguere le medicine complementari intese come atto
medico dalle “cure complementari infermieristiche”. Queste ultime, secondo la definizione
fornita dalla Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI, “sono cure olistiche e naturali che
possono essere utilmente affiancate alle cure ufficiali sia infermieristiche che mediche. Esse
possono anche essere utilizzate da sole. In ogni caso non vanno proposte dagli infermieri come
sostituzione di interventi basati sull’evidenza. Possono essere parte integrante del piano di cura
[…] in ambito preventivo, curativo, riabilitativo”.
Nell‟ambito infermieristico sono dunque considerati “cure complementari” una serie di
interventi, individuati dalla Federazione Nazionale dei Collegi, che non rientrano in veri e propri
sistemi di medicina, come l‟agopuntura, l‟omeopatia, la medicina tradizionale cinese,
l‟omotossicologia, la fitoterapia, la medicina antroposofica, ma sono trattamenti assistenziali
complementari ed integrativi inerenti la professione infermieristica. Detto questo, alla luce delle
suddette norme e circolari, vi è una posizione ufficiale sia sulla definizione dell‟ambito
professionale, che sulla questione della formazione. In merito a quest‟ultima è stata assunta una
chiara posizione dalla Conferenza Permanente dei Presidenti del Corso di Laurea in Medicina e
Chirurgia (CPPCLM). Nel 2004, e successivamente nel 2011, il CPPCLM ha espresso
formalmente il parere sfavorevole nell‟introdurre le Medicine Tradizionali e Non Convenzionali
all‟interno del Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia, affermando che
22
“L’acquisizione di competenze relative alle CAM non rappresenta un obiettivo didattico del
CLM” ed aggiungendo che “lo studente dovrà essere stimolato a sviluppare una conoscenza
critica sugli elementi essenziali caratterizzanti le più diffuse CAM, i loro effetti ed i rischi,
attraverso una riflessione orientata a comprendere le motivazioni al loro uso, l’assunzione di
una posizione intellettualmente chiara al fine di fornire un’informazione equilibrata all’utenza
sull’uso delle CAM”.
“[…] La CPPCLM rileva peraltro la necessità di un ulteriore impegno didattico per
rafforzare la componete metodologica e farmacologico-terapeutica, la valorizzazione del
concetto di salute e del ruolo degli stili di vita nella formazione dello studente, lo sviluppo della
capacità di cogliere le valenze socio-culturali e spirituali della persona, il cogliere le
opportunità didattiche della medicina narrativa, l’implementazione delle capacità di ascolto, per
instaurare una relazione di aiuto e di counselling.”5 6
Secondo quanto espresso, però, dalla ricerca condotta nell‟anno accademico 2011-2012
presso l'Università di Milano-Bicocca – Italia, all‟interno di un‟ampia analisi della prima
edizione del master in "Sistemi Sanitari, Tradizionali e Medicine Non Convenzionali", alcune
delle Università italiane non hanno seguito le linee espresse dal CPPCLM, appellandosi
all'articolo 33 della Costituzione Italiana che sancisce la libertà di insegnamento e “l’autonomia
di stabilire uno statuto entro i limiti di legge dello Stato”. Dalle suddette Università sono stati
dunque introdotti, in diverse Regioni d‟Italia, una serie di Master e corsi di aggiornamento nella
formazione post-laurea e di corsi nelle attività didattiche opzionali.
Sia in termini di informazione che formazione, quindi, alcune università italiane hanno
consapevolmente concretizzato, in linea con il modello internazionale, l‟inserimento della
medicina non convenzionale all‟interno di un curriculum universitario specifico (Tognetti
Bordogna et al, 2013). Oltre il 90 % delle università britanniche offrono corsi su questo tema
(Rampes et al, 1997), così come l'83% di quelle americane (Levine et al, 2003). Per quanto
riguarda le università europee, i corsi sulle MNC sono tenuti in circa il 40 % degli Istituti (Varga
et al, 2006).
Le nuove proposte formative vogliono perseguire l‟obiettivo di ampliare competenze e
conoscenze professionali, favorire la nascita di organizzazioni che promuovano e preservino la
5 “Riflessioni sulle medicine alternative e complementari ed il Corso di Laurea Specialistica in Medicina e
Chirurgia”. Conferenza congiunta dei Presidi di Facoltà di Medicina e Chirurgia e dei Presidenti di Corso di Laurea
Specialistica in Medicina e Chirurgia, Alghero, 2 maggio 2004.
6 “L’insegnamento delle Medicine Alternative e Complementari (CAM) nel Corso di Laurea Magistrale in Medicina
e Chirurgia. Posizione della Conferenza Permanente dei Presidenti dei CLM”. Conferenza Permanente dei Presi-
denti dei Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, Genova, 1 luglio 2011.
23
salute e garantire lo svolgimento di attività di ricerca ed assistenza sanitaria pianificata,
promuovendo la qualità di formazione di competenze trasversali.
Dopo quanto appena asserito, l‟assetto regionale riguardo la medicina complementare
risulta evidentemente disomogeneo.
La regionalizzazione del Sistema Sanitario Nazionale ha costituito un forte cambiamento
nel quadro sanitario italiano, poiché dalla nascita dei Servizi sanitari regionali, le singole regioni,
vedendosi conferire maggiori competenze nel settore della sanità, iniziarono ad attribuire una
configurazione singolare, dal punto di vista organizzativo e regolamentare, ai propri Servizi
Sanitari Regionali. La riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione7 rafforzò tale
responsabilità regionale in materia sanitaria (Tognetti Bordogna, 2010) e la Corte Costituzionale
(2005, 2006, 2007, 2008) si espresse in merito, sentenziando l‟impossibilità delle Regioni di
legiferare sull‟individuazione delle figure professionali e l‟istituzione di nuovi albi, in quanto
competenze riservate allo Stato.
“La Corte Costituzionale ha affermato, in ordine alla questione di legittimità
costituzionale di disposizioni di legislazione regionale aventi ad oggetto la regolamentazione di
attività di tipo professionale, che la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle
“professioni” deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali,
con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario,
allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che
presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Tale principio, al di là della
particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di
ordine generale, invalicabile dalla legge regionale. Ne consegue l’illegittimità costituzionale
delle Leggi regionali sottoposte, nel caso di specie, al vaglio del Giudice delle leggi.” (Roberti di
Sarsina et al, 2012). Certo è che l‟autonomia regionale ha portato nel corso del tempo verso una
frammentazione sempre maggiore all‟interno dello Stato.
Nel febbraio 2007 il Comitato degli Assessori alla Salute delle Regioni Italiane approvò la
costituzione di un “Gruppo tecnico interregionale per la medicina complementare” coordinato
dalla Regione Toscana e sostenuto dalla Regione Emilia Romagna, che, oltre ad istituire un
Osservatorio per le medicine non convenzionali, fu promotrice di una proposta di legge
nazionale con la stesura di un documento sulla formazione in medicina complementare (Tognetti
Bordogna, 2011). La Regione Friuli Venezia Giulia e il Lazio includono le medicine
complementari all‟interno delle linee generali di programmazione regionale; la Regione Liguria
propone provvedimenti regionali sulle discipline bio-naturali; nella Regione Piemonte sono stati
7 Legge costituzionale 3/2001, Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001
24
censiti 26 servizi per l‟erogazione di medicine non convenzionali (gennaio 2009); altre regioni,
come l‟Umbria e la Valle d‟Aosta, stanziano finanziamenti per progetti sperimentali. Le regioni
più coinvolte nello sviluppo delle medicine non convenzionali sembrano essere Lombardia e
Toscana che hanno approvato diversi atti d‟indirizzo e sperimentazione locale sia nelle ASL che
negli Ospedali, promuovendo l‟istituzione di organi specifici di studio e controllo. La Regione
Campania sembra ricalcare la linea di queste ultime, nonostante si trovi ancora in una fase
prematura pur vedendosi riconosciuti diversi finanziamenti regionali (Rampes et al, 1997). Ecco,
dunque, che fra i sistemi di welfare regionali italiani si delineano grandi disparità nel grado di
legittimazione ed inclusione delle CAM.
Sulla base dei dati ISTAT del 2007 è possibile comprendere come l‟attivismo e la
legittimazione di alcune regioni nel settore non sia strettamente proporzionale all‟utilizzo delle
medicine complementari in un determinato territorio, ma piuttosto alle linee di indirizzo della
politica sanitaria dello stesso.
Garantire il riconoscimento, la legittimazione, la promozione e la tutela delle medicine
complementari a livello nazionale, diventa dunque oggi una sfida.
Fra marzo e giugno 2013 sono stati presentati cinque disegni di legge, proposti da alcuni
senatori, su disposizioni in materia di medicine complementari, nello specifico omeopatia,
agopuntura e medicina tradizionale cinese, e nel mese di agosto la Commissione Igiene e Sanità
del Senato ha deciso di affrontare il tema in un comitato ristretto, finalizzato ad un‟istruttoria
legislativa. Uno dei punti di riferimento è rappresentato senza dubbio dal Comitato Permanente
di Consenso e Coordinamento per le Medicine Non Convenzionali in Italia, Associazione legal-
mente costituita dal 2003, che ha assunto sempre più il ruolo di riferimento unitario,
multidisciplinare e multiprofessionale, apolitico, no-profit, delle medicine non convenzionali nei
confronti delle istituzioni nazionali, regionali e locali.
25
CAPITOLO III
L’AROMATERAPIA
Si è fino ad ora parlato di medicine complementari in senso ampio, riprendendo gli aspetti
generali di tale disciplina da un punto di vista antropologico, epistemiologico e normativista. Si è
delineato un quadro complesso, che porta fondamentalmente alla luce la forte difficoltà di
integrazione della medicina alternativa all‟interno del sistema ben consolidato e validato fondato
sul modello biomedico.
Come già affermato nei capitoli precedenti, è indispensabile garantire la sicurezza di una
determinata pratica, assicurandone efficacia ed innocuità. Si è discusso di formazione, di
evidenze scientifiche, di ricerca, e tutto questo convoglia nell‟unico obiettivo di ricercare
nell‟attività terapeutica ed assistenziale il soddisfacimento dei bisogni dell‟individuo ed il
possibile miglioramento della qualità di vita. Fra i diversi trattamenti complementari è possibile
riconoscere l‟aromaterapia.
Le piante sono state utilizzate fin dai tempi antichi a scopo benefico. Nonostante il termine
aromaterapia sia stato coniato recentemente, gli olii essenziali, cioè gli estratti distillati di piante,
sono presenti nell‟uso tradizionale da secoli (Cooke & Ernst, 2000).
Il primo a coniare il termine “aromaterapia”, il cui significato si traduce in “trattare e
guarire con gli aromi”, fu il chimico cosmetologo francese René Maurice Gattefossé. Egli nel
XX secolo portò alla luce le proprie scoperte riguardo l‟azione degli olii essenziali (OE) puri ed
interi, di derivazione vegetale, in seguito ad una serie di sperimentazioni, che prevedevano il loro
uso a livello locale o sistemico per il trattamento di ferite di guerra o infezioni più generalizzate.
Fu lo stesso Gattefossé grazie alle sue ricerche, a formulare quello che è divenuto, nel corso del
tempo, uno dei fondamenti dell‟aromaterapia e cioè che ciascuna delle sostanze aromatiche deve
necessariamente essere utilizzata nella sua forma intera e non frazionata, al fine di garantire la
massima azione a tutti i livelli.
La Francia si può definire, dunque, la culla dell‟aromaterapia, in quanto è proprio da
questo Paese che si possono reperire i primi studi a riguardo. In seguito all‟opera di Gattefossè
emersero altri grandi nomi: si pensi al dottor Jean Valnet (1920-1995), padre della
fitoaromaterapia moderna, medico e chirurgo militare, che nel 1948 ridefinì in modo più
specifico e scientifico i trattamenti naturali, determinando il potere curativo degli olii essenziali,
o a Madame Margherite Maury, biochimica austriaca, francese di adozione, allieva di Valnet,
che approfondì lo studio delle essenze come una terapia medica fondata sul massaggio, con
26
riferimento a quelle che si possono definire prove aneddotiche e cioè pratiche e testimonianze
tradizionali dei tempi antichi.
Anche in Italia, tra gli anni ‟20 e „30, i dottori Gatti e Cajola intrapresero degli studi
riguardo l‟aromaterapia e nello specifico riguardo l‟azione delle essenze diffuse nell‟ambiente,
ed il dottor Paolo Rovesti di Milano dimostrò per la prima volta gli effetti di alcuni OE per il
trattamento di ansia e depressione (Valussi, 2013). La ricerca successiva a questi studi ha
coinvolto molteplici autori; la crescente domanda da parte della comunità rispetto all‟uso di
terapie complementari e la carenza di informazioni in merito, hanno favorito la diffusione di
svariate pubblicazioni che hanno cercato di fare chiarezza sull‟argomento, nonostante molte
volte si sia trascurato l‟aspetto scientifico per valorizzarne quello commerciale.
In letteratura, oggi è possibile reperire diverse evidenze scientifiche che dimostrano
l‟efficacia del trattamento aromaterapico nelle sue diverse forme, nonostante la loro
formulazione risulti essere spesso di difficile elaborazione. Riprendo una considerazione del
professor Roberti di Sarsina, il quale, in riferimento ai trattamenti che trascendono dal concetto
di medicina centrata sulla persona (MCP), conferma la necessità di gestire ed ovviare le
potenziali lacune delle medicine alternative, in particolare sui processi di valutazione. “Gli
standard di valutazione secondo la moderna medicina scientifica sono in genere troppo rigidi; la
medicina scientifica ha assunto fin dall’inizio una posizione di esclusione della Medicina Com-
plementare, Alternativa e Tradizionale, appunto per il fatto di non essere scientifica. Forte della
considerazione del valore personale, tra cui la valutazione della qualità di vita basata su
un’analisi medica della persona nel suo complesso (centrata sugli aspetti fisici, mentali,
spirituali e di relazione), la MCP possiede prove di efficacia anche in ambito biomedico. La
scarsità in materia di ricerca biomedica della MCP è stata addebitata al numero limitato di
ricercatori, alla mancanza di fondi e all’inadeguatezza degli approcci empirico-analitici delle
sue terapie” (Roberti di Sarsina, 2012). Da quanto asserito egli sostiene con fermezza la
necessità di considerare un modello di valutazione di tipo circolare e non piramidale, al fine di
studiare l‟assistenza sanitaria a livello globale, combinando la ricerca sociologica, antropologica
e comportamentale, oltre alla biologia cellulare e molecolare (studi osservazionali, studi focus-
group, etc).
In letteratura è possibile distinguere tre principali modelli di pratica aromaterapica, che
descrivono come gli OE vengono applicati e/o somministrati: aromacologia, aromatologia ed
aromaterapia popolare/tradizionale (Dunning, 2013).
27
L‟aromacologia (termine coniato dal Sense Smell Institute – SSI, USA 1982), conosciuta
anche come aromaterapia sottile, si basa sulla correlazione fra psicologia e odore e cioè
sull‟effetto che le sostanze “odorose” possono determinare sulle emozioni.
L‟aromatologia, conosciuta anche come medicina aromatica (SSI) riguarda l' uso degli olii
essenziali per via interna (orale, rettale o vaginale), inalatoria (procedure di fumigazione) e
topica (applicazioni cutanee) da un punto di vista strettamente terapeutico e clinico.
L‟aromaterapia popolare o tradizionale, infine, comprende il “tocco”, atto che si ritiene
possa avere benefici per la salute indipendentemente dalla correlazione con gli OE. In tal caso
questi vengono applicati localmente per favorire un benessere fisico, psicologico e spirituale, in
associazione alla tecnica del “tocco terapeutico” (Baser & Bachbauer, 2010).
3.1 Gli olii essenziali e i diversi approcci terapeutici
“L’aromaterapia si prefigge di insegnare all’uomo il rispetto per le proprietà terapeutiche
insite negli aromi naturali esenti da manipolazioni.”
Eccles, 1997
Gli olii essenziali (OE) sono il prodotto del metabolismo secondario delle piante (Valussi,
2013). Si tratta di sostante naturali, volatili, aromatiche, sintetizzate ed immagazzinate all‟interno
di varie parti delle piante (foglie, fiori, frutti, semi, radici, legni, cortecce, bulbi, resine/gomme)
ed estratte da queste mediante distillazione o spremitura a freddo. Tali sostanze sono sempre
provenienti da una singola specie botanica, senza aggiunta o rimozione di sostanze e dunque
prive di adulterazioni (Valussi, 2013).
Fin dai tempi antichi, gli olii essenziali sono stati riconosciuti per le loro proprietà
terapeutiche e diversi sono stati gli studi rispetto alla loro applicazione ed ai processi di
estrazione più efficaci. Se nell‟antico Egitto, infatti, si prediligeva il processo dell‟infusione,
Greci e Romani hanno iniziato a riconoscere l‟importanza della distillazione, definita come il
metodo capace di conferire maggior valore a ciascuna pianta aromatica. Con l'avvento della
civiltà islamica le tecniche di estrazione sono state ulteriormente affinate e, nell'era del
Rinascimento, gli europei, sotto la spinta dello sviluppo della scienza, hanno iniziato a porre
l‟attenzione sulla composizione e la natura degli olii essenziali, riscoprendo le svariate
caratteristiche e proprietà insite all‟interno di ciascuna sostanza (Djilani & Dicko, 2012).
Ciascun componente di un olio essenziale è indispensabile: è la sinergia fra le diverse
molecole aromatiche a determinarne gli effetti terapeutici ed è dunque necessario che non vi sia
28
la compromissione di tale cooperazione e che ogni principio attivo contenuto al suo interno
rimanga invariato. È questo principio “che permette di ottenere forti effetti da dosi infinitesimali
di prodotti non tossici, ma saggiamente combinati dalla natura stessa” (Duraffourd 1982). Si
tratta di composti omogenei di idrocarburi mono e sequiterpenici e di composti ossigenati
derivati biogeneticamente da questi. Possono, inoltre, includere fenilpropanoidi derivati
dall‟acido shichimico, altri derivati dalla loro biotrasformazione ed altri ancora composti dal
metabolismo di acidi grassi ed amminoacidi. In alcuni OE sono predominanti gli idrocarburi, in
altri i composti ossigenati (Valussi, 2013). Conoscere dunque la composizione chimica e la
purezza degli olii essenziali è fondamentale per determinarne l‟uso terapeutico più appropriato,
stimandone rischi e benefici.
Diversi sono gli organismi che si sono occupati di descrivere alcuni standard di
composizione: l‟International Standards Organisation (ISO), l‟Association Francaise de
Normalisation, Organisation et Regulation (AFNOR), il Research Institute for Fragrance
Material (RISM), l‟International Fragrance Association (IFRA) e la British Pharmacopoeia
(BP); tuttavia, le norme ISO8 e AFNOR sono quelle principalmente riconosciute in ambito
aromaterapico per aver pubblicato indicazioni specifiche riguardo dettagli analitici, di stoccaggio
ed etichettatura dei prodotti (Dunning, 2013).
Attualmente non esistono standard riguardo i gradi terapeutici di ciascun OE, ma è certo
che al momento della scelta è necessario valutarne la qualità attraverso le informazioni riportate
sull‟etichetta (parte della pianta utilizzata, chemiotipo, nazione di origine), il metodo di
estrazione, la certificazione di identità botanica, la certificazione indipendente di produzione
biologica, l‟analisi GC-SM (gascromatografia-spettrometria di massa) riferita al lotto in
questione (Cooke & Ernst, 2000). Una volta che l‟OE viene estratto, infatti, la composizione del
prodotto chimico viene determinata usando tecniche di analisi come gas cromatografia,
spettrometria di massa (spesso considerati assieme), spettroscopia infrarossa, rotazione ottica e
indice di rifrazione, e sono appunto tali test a determinare se la sostanza soddisfa gli standard di
composizione, nonostante non sempre una traccia GC sia garanzia di qualità (Tisserand, 2010).
Data la complessità della loro composizione chimica, è difficile identificare un unico
processo molecolare di azione ed è presumibile che ciascun costituente dei diversi olii abbia un
proprio meccanismo d‟azione (Roberti di Sarsina, 2012). La qualità di un olio essenziale
dipende, dunque, da una serie di fattori, compresa la sua iniziale composizione, la presenza di
adulteranti o contaminanti e la misura di ossidazione.
8 Standards ISO/TC 54.
29
Le principali modalità attraverso cui gli olii essenziali penetrano nell‟organismo sono
l‟assunzione per via interna, l‟inalazione e l‟assorbimento transcutaneo (applicazione topica).
La somministrazione per via interna costituisce l‟approccio terapeutico più utilizzato in
Francia, ma risulta essere di difficile applicazione in altri Paesi vista la variabilità degli standard
di formazione. Somministrare gli olii essenziali per via orale, rettale o vaginale è infatti
un‟azione che presuppone una diagnosi ed una prescrizione medica, proprie soltanto di
professionisti abilitati all‟esercizio. Kyle e Temmen (1998) elaborarono una guida per la pratica
infermieristica in aromaterapia, identificando sei aree da considerare nella pianificazione
dell'intervento terapeutico:
- identificazione della modalità di applicazione ottimale (topica, diffusione,
inalazione concentrata);
- determinazione della concentrazione della miscela;
- identificazione di scelta del vettore;
- chiarificazione di frequenza e durata dell'intervento aromaterapico;
- valutazione della motivazione del paziente;
- chiarificazione di indicatori per valutare i risultati.
I dosaggi raccomandati nell‟uso degli OE variano in base all‟olio utilizzato, all‟approccio
terapeutico prescelto e alle variabili soggettive del singolo individuo ed è dunque necessario fare
sempre riferimento a schede tecniche specifiche (Linee generali in Valussi, 2013; Price & Price,
2003).
3.2 L’applicazione topica degli OE: assorbimento transcutaneo
L‟apparato tegumentario è costituito dalla cute e dai suoi derivati, o strutture accessorie. La
cute, o membrana cutanea, ha il compito di proteggere l‟organismo dall‟ambiente circostante ed
è indispensabile per la termoregolazione. Essa è costituita da un epitelio di superficie,
l‟epidermide ed il connettivo sottostante, il derma.
L‟epidermide è un epitelio pavimentoso stratificato costituito da cinque strati (basale,
spinoso, granuloso, lucido e corneo) che determinano uno spessore cutaneo, classificabile in
sottile e spesso. La cute sottile, che ricopre la maggior parte del corpo, è l‟area in cui
l‟assorbimento delle sostanze è migliore, in quanto è caratterizzata dalla presenza di soli quattro
strati epidermici, a differenza della cute spessa in cui è presente anche lo strato lucido (palmi
delle mani e dei piedi).
30
Il derma è lo strato di tessuto connettivo localizzato sotto l‟epidermide, costituito da uno
strato papillare ed uno reticolare più profondo. Il derma contiene fibre proteiche extracellulari e
cellule del tessuto connettivo.
È possibile distinguere, infine, uno strato sottocutaneo (ipoderma) che si trova sotto il
derma e a livello del quale si costituisce la rete di vascolarizzazione della cute (arterie, vene e
capillari).
Nella cute sono inoltre presenti fibre nervose, il cui compito è quello di regolare il flusso
sanguigno, la secrezione ghiandolare e le diverse sensazioni tattili (Martini et al, 2010; Inayat &
Setty, 2009).
La cute è una parte del corpo sempre esposta all‟ambiente esterno, che ricopre in un adulto
medio una superficie di circa 1.8 m2, ricevendo circa un terzo dell'intero flusso ematico in
circolo. Essa può rappresentare, dunque, una buona via d‟ingresso per determinate sostanze
terapeutiche, consentendo di evitare il metabolismo di I passaggio.
L'assorbimento per via cutanea agisce con un meccanismo di accumulo più lento e più
selettivo rispetto ad altre vie (orale, polmonare): le sostanze assorbite per via transcutanea
devono passare attraverso 7 strati cellulari prima di raggiungere i capillari e i vasi linfatici del
derma. La barriera principale alla permeazione, che limita la velocità di assorbimento, è
rappresentata dallo strato più esterno dell‟epidermide, lo strato corneo, il quale può essere
attraversato da molecole lipofile aventi un certo grado di idrofilia. Un basso peso molecolare
(inferiore a 2000) ed una sufficiente solubilità della sostanza nei lipidi e nell‟acqua, garantiscono
infatti l‟assorbimento per via transcellulare (Tayar et al, 1991). L‟assorbimento attraverso i vari
strati cutanei, che avviene secondo il processo di diffusione passiva, segue dunque
sostanzialmente due modalità:9
- penetrazione transepidermica (trans- e intracellulare);
- penetrazione attraverso annessi ghiandolari (via pilosebacea e ghiandole eccrine).
Le sostanze lipidiche o sospese in lipidi vengono assorbite più velocemente e per lo più
attraverso la via pilosebacea, mentre le sostanze non lipoidee seguono la via transepidermica. Lo
strato corneo può inoltre fungere da “deposito”: le sostanze assorbite si depositano prima sulla
parte superiore per poi permeare, raggiunta la sovrasaturazione, negli strati più interni. Alcuni
studi hanno, inoltre, dimostrato la possibilità che alcuni OE permangano all‟interno dello strato
corneo fino a loro evaporazione, senza raggiungere il derma profondo (Watt, 1995).
Le ghiandole eccrine hanno un‟importanza minima per l‟assorbimento, ricoprendo meno
dello 0,1% della superficie corporea e presentando un rivestimento scarsamente permeabile,
9 Environmental Health Criteria 235.
31
mentre la via pilosebacea, che include le ghiandole sebacee ed i follicoli piliferi, rappresenta una
via di assorbimento rapida per molecole liposolubili di grandi dimensioni (Meidan et al, 2005).
La frazione di una sostanza assorbita dipende da vari fattori:
- la concentrazione della sostanza;
- l'area su cui è applicata ed il sito interessato;
- la composizione della sostanza e la sua affinità per la pelle;
- l'idratazione della cute;
- lo spessore dello strato corneo;
- il tempo di applicazione;
- l‟integrità cutanea (presenza di danni o lesioni possono facilitare l‟assorbimento);
- le variabili individuali (età, sesso, fenotipo, disordini fisiologici).
Gli OE sono sostanze lipofiliche che hanno un‟ottima affinità con la pelle sia per via intra-
che transcellulare, perché interagiscono con le proteine intercellulari e i canali lipofilici forniti
dai follicoli.
La ricerca suggerisce che alcuni olii essenziali possano aumentare l‟assorbimento di alcuni
farmaci applicati a livello topico: componenti chimici, come limonene e 1,8- cineolo, migliorano
la penetrazione di sostanze sia idrofile che lipofile (Aggarwal et al, 2013).
L‟applicazione topica potrebbe essere controindicata, o dovrebbe comunque essere gestita
con molta cautela, nei casi in cui fosse associata all‟uso topico di farmaci convenzionali come
anti- anginosi, nicotina e ormoni. Tale associazione, infatti, implica una maggiore rapidità di
assorbimento del farmaco e potrebbe essere apprezzata nel caso in cui fosse necessaria un‟azione
immediata (Dunning, 2013).
Gli olii essenziali sono infine assorbiti, metabolizzati ed escreti in modo simile ai farmaci
liposolubili: hanno una breve durata nel circolo ematico, da dove sono distribuiti ai muscoli ed al
tessuto adiposo per un periodo più lungo (Dunning, 2013).
Per aumentare la diffusione percutanea è possibile utilizzare gli olii carrier (“enhancers”),
promotori dell‟assorbimento e dunque sostanze in grado di ridurre l‟efficienza della barriera
dello strato corneo e favorire la permeazione dell‟OE. La funzione degli olii carrier è favorire il
trasporto dei principi attivi dell‟olio essenziale per la penetrazione nell‟organismo (Price &
Price, 2003). Tali olii sono definiti fissi, in quanto non volatili come gli OE, e dunque non
evaporano. Essi possono essere classificati in 3 categorie principali:
- olii di base (olio di mandorla dolce), utilizzabili per il massaggio anche senza OE;
- olii speciali (olio di avocado, olio di germe di grano), utilizzati generalmente in
miscele di olii carrier;
32
- olii macerati (calendula), con proprietà terapeutiche determinate dalla
macerazione.
Come metodi di assorbimento percutaneo sono possibili: impacchi, applicazioni topiche,
pediluvi e semicupi, bagni, gargarismi e massaggi aromaterapici.
3.3 La somministrazione per via inalatoria: azione olfattiva
L‟inalazione è un processo che coinvolge le vie olfattive ed il sistema nervoso centrale.
Il senso dell‟olfatto è determinato dall‟azione di organi olfattivi pari localizzati all‟interno
delle cavità nasali. Tali organi sono costituiti da un neuroepitelio specializzato, denominato
epitelio olfattivo, contenente i recettori olfattivi bipolari e da una lamina propria, contenente i
vasi sanguigni, i nervi e le ghiandole olfattive, o ghiandole di Bowman, che secernono muco.
L‟aria entrando nel naso attraverso i meati nasali porta le diverse sostanze a contatto con tali
organi e, dopo averli raggiunti, le sostanze idrosolubili e liposolubili devono diffondersi nel
muco prima di poter stimolare i recettori olfattivi. Questi ultimi sono neuroni altamente
specializzati che permettono la ricezione olfattiva. Quando una sostanza odorosa, infatti, si lega
al proprio recettore specifico, avviene la depolarizzazione della membrana recettoriale, grazie
all‟attività delle proteine G-olf10, originando un potenziale d‟azione nell‟assone del recettore
olfattivo (Valussi, 2013).
Gli assoni dall‟epitelio olfattivo si raccolgono in 20 o più fasci di fibre nervose che
costituiscono il primo nervo cranico. Sono tali fibre che creano sinapsi con i neuroni dei bulbi
olfattivi per attraversare poi il tratto olfattivo e raggiungere la corteccia olfattiva, l‟ipotalamo e le
regioni del sistema limbico. Tali numerose connessioni che permettono la comunicazione diretta
con ipotalamo e sistema limbico, determinano diverse risposte comportamentali in seguito alla
percezione di odori ed è il sistema nervoso centrale stesso ad interpretarne le “sfumature” in base
al particolare tipo di attività recettoriale (Martini et al, 2010).
Recentemente si è scoperta la presenza, all‟interno del muco dell‟epitelio olfattivo, di
ulteriori proteine, denominate “Olfactory Binding Proteins” (OBP)11: si presuppone che le loro
funzioni possano essere quelle di favorire il legame con sostanze non idrosolubili aumentandone
la loro concentrazione e facilitandone il trasporto verso il recettore, e di svolgere un‟azione
protettrice nei confronti del recettore stesso, degradando gli odoranti “vecchi” ed evitando che
10
Proteine, localizzate a livello delle ciglia sensorie olfattive, che stimolano l‟enzima adenilato ciclasi (AC), il quale
fa parte di una via di trasduzione del segnale.
11 Proteine di legame per gli odoranti.
33
concentrazioni eccessive di una sostanza si accumulino su un unico recettore (Goldberg et al,
1979).
Da quanto appena affermato è possibile dunque sostenere che l‟assorbimento di
determinate molecole odorose volatili attraverso la mucosa nasale permetta la trasduzione di
specifici segnali chimici, che, attraverso il centro sensoriale olfattivo del cervello, sono in grado
di interagire con il quadro neuropsicologico dell‟uomo, determinando effetti specifici, fisiologici
e psicologici sui tessuti bersaglio (Zhang et al, 2013).
Secondo recenti studi effettuati attraverso l‟analisi metabolomica (metodo che consiste
nella misurazione dei metaboliti, ovvero dei prodotti di reazioni metaboliche) l‟inalazione di olii
essenziali può determinare diversi effetti metabolici nel nostro organismo, nonostante sia
necessario prendere in considerazione anche l‟aspetto emotivo di risposta al trattamento (Wu et
al, 2012). L'esperienza individuale di un odore e l‟associazione negativa o positiva correlata ad
esso, potrebbero influenzare infatti la risposta in modo soggettivo e ciò è determinato dalle
connessioni presenti fra bulbo olfattivo e complesso amigdaloide. È infatti l‟amigdala a spiegare
l‟elaborazione emotiva dello stimolo olfattivo, essendo determinante nel modulare le diverse
percezioni affettive degli stimoli sensoriali (Djilani & Dicko, 2012).
Una serie di studi citati da Edris (2007) dimostrano che l'inalazione di olii essenziali, o loro
singoli terpeni, ha un effetto significativo sul sistema nervoso centrale. Di particolare interesse
sono alcune piccole sperimentazioni progettate dagli studi di Heuberger et al. (2001),
Hongratanaworakit, Heuberger, e Buchbauer (2004) e Hongratanaworakit e Buchbauer (2006)
che forniscono prove rispetto la capacità di alcuni olii essenziali di aumentare la vigilanza,
ridurre l'ansia ed aiutare il rilassamento influenzando il sistema nervoso autonomo, se utilizzati
per via inalatoria.
In letteratura è inoltre possibile reperire alcuni studi relativi agli effetti degli aromi in
pazienti anosmici, non in grado dunque di percepire i differenti odori. Dai risultati, ottenuti in
particolare da alcuni test citati da Price & Price (2003), emerge la possibilità di trarre beneficio
dal trattamento aromaterapico in pazienti anosmici e no, in stato di veglia o meno.
Quando si inalano gli olii essenziali alcune molecole scendono, inoltre, nelle vie aeree,
raggiungendo i polmoni. L‟assorbimento attraverso le mucose del tratto respiratorio, dei bronchi
e degli innumerevoli bronchioli permettono il trattamento di molte affezioni respiratorie. È
inoltre provato che alcune molecole, raggiungendo gli alveoli, possono passare nel sangue
circolante grazie agli scambi gassosi (Price & Price, 2003). Le inalazioni consentono, dunque,
l'assorbimento delle sostanze terapeutiche tramite l'apparato respiratorio: dal momento in cui le
diverse sostanze raggiungono i polmoni, passano ai capillari posti sotto la loro superficie e,
34
attraverso questi, ai vasi sanguigni maggiori, per essere poi distribuite a tutto l'organismo
(Djilani & Dicko, 2012).
L‟inalazione degli olii essenziali può avvenire sostanzialmente in due modi: diffusione ed
inalazione concentrata. La prima consiste nell‟utilizzo di vaporizzatori o diffusori per favorire la
diffusione degli olii nell‟ambiente, con rilascio immediato delle molecole leggere e progressivo
di quelle pesanti; l‟inalazione concentrata consiste, invece, nell‟utilizzo di tessuto imbibito di olii
o fumenti. Al momento il sistema che risulta essere maggiormente applicabile in ambito
sanitario-ospedaliero è quello della diffusione, in quanto permette un utilizzo più veloce e sicuro.
3.4 Tossicologia ed olii essenziali
La tossicologia è la branca della farmacologia che si occupa di individuare e studiare gli
effetti tossici di farmaci ed altre sostanze nell‟uomo e negli animali.
Le reazioni avverse sono degli effetti che si possono riscontrare in seguito alla
somministrazione di farmaci per scopi diagnostici o terapeutici e che determinano modificazioni
peggiorative delle condizioni cliniche del paziente, nonostante spesso la loro entità possa essere
tale da non renderle rilevabili. La tossicologia classifica tali reazioni in facilmente prevedibili, di
tipo 1, legate al meccanismo d‟azione o ad interazione con altri farmaci, e difficilmente
prevedibili, di tipo 2, fra cui evento comune è la sensibilizzazione (Furlanut, 2008).
Il fatto che gli olii essenziali siano sostanze naturali non esclude la possibilità che possano
essere potenzialmente tossiche o dannose per l‟organismo, vista anche la loro complessa
composizione chimica. Rischi diretti potrebbero essere causati da reazioni cutanee di varia
natura, allergie, fotosensibilità, interazioni con farmaci, cancerogenicità, aborto o anomalie nella
gravidanza, neurotossicità (manifesta con crisi epilettiche o ritardo dello sviluppo infantile),
iperattività bronchiale, epatotossicità (Posadzki et al, 2012; Tisserand & Young, 2013).
In base all‟approccio terapeutico prescelto l‟assorbimento dell‟OE è soggetto a variazioni.
La quantità della sostanza assorbita per via orale è infatti potenzialmente massima rispetto alla
via rettale o vaginale, così come quella cutanea risulta essere superiore rispetto a quella
inalatoria, che si suppone sia minima in quanto le dosi utilizzate sono generalmente ridotte
(Franchomme e Penoel, 1990 – cit. Valussi). Nell‟applicazione topica si ha un assorbimento
intorno al 4%, percentuale che può aumentare notevolmente (fino al 75%) nei casi in cui si
ricorra ad occlusione cutanea (Bronaugh et al, 1990 – cit. Valussi). È dunque rilevante come il
35
metodo di applicazione incida sulla biodisponibilità12 e la velocità di assorbimento e come il
dosaggio di una sostanza sia determinante nel definire il livello di tossicità ad essa associato.
L‟effetto tossico degli OE può essere specifico o non specifico: l‟effetto non specifico è
determinato principalmente dalle alterazioni a livello della membrana cellulare dei composti
lipofilici, che si riscontrano fondamentalmente in casi di dosaggi elevati, mentre l‟effetto tossico
specifico è riferibile a tutti quegli OE che hanno dimostrato essere dannosi anche a dosaggi
molto inferiori (Buckle, 2003).
La tossicità specifica si può classificare a sua volta in due tipi: acuta (a breve termine) e
cronica (a lungo termine).
Nella tossicità acuta si fa riferimento ad un effetto improvviso causato da un evento
scatenante: l‟effetto peggiore riscontrabile è l‟avvelenamento, generalmente provocato da
ingestioni di olii essenziali in quantità notevolmente superiori a quelle consentite (Tisserand &
Young, 2013). I sintomi di avvelenamento orale possono verificarsi rapidamente ed includere
una sensazione di bruciore a livello orale, dolore addominale, vomito spontaneo, depressione
respiratoria, convulsioni e coma. I bambini sono la categoria maggiormente a rischio, in quanto
la loro curiosità naturale li porta ad esaminare i materiali mettendoli in bocca e probabilmente
ogni liquido esaminato verrà ingerito. Essi sono inoltre più sensibili alle sostanze tossiche ed il
loro metabolismo è indubbiamente meno efficace rispetto a quello degli adulti (Tisserand &
Young, 2013).
La tossicità cronica è invece una tossicità non solo dose- ma principalmente tempo-
dipendente, improbabile in seguito ad applicazione per via inalatoria o topica (Guba, 2000).
Gran parte delle informazioni disponibili sulla tossicità si basano su studi condotti su
animali, come spesso accade per i farmaci convenzionali: nonostante molti degli olii essenziali
attualmente in commercio riportino sul prodotto la frase “non testato sugli animali”, questo
indica che si tratta di una sostanza non testata al momento della produzione, senza escludere una
sperimentazione sugli animali in momenti precedenti, ad opera di altri produttori. Il principale
test è l‟LD50, o dose letale media, che si basa sulla somministrazione di una sostanza a dosi
crescenti, nel caso degli olii essenziali sia per via orale che cutanea, fino alla morte di metà della
popolazione analizzata (Dweck, 2009). È certo che nell‟applicazione sull‟uomo si somministrano
piccole quantità di olio essenziale diluite nel tempo e che dunque le enormi quantità
somministrate sperimentalmente negli animali non sono mai utilizzate nell'uomo in un‟unica
dose. Il test ED50, o dose efficace, indica invece il riscontro di una reazione diversa rispetto alla
12
Termine utilizzato in farmacologia per descrivere, sia la frazione attiva di farmaco a livello della circolazione
sistemica, che la velocità con cui questo avviene, in seguito a somministrazione (Furlanut, 2008).
36
morte degli animali in laboratorio, e consiste nell‟osservazione dei benefici desiderati, ottenuti
sul 50% dei soggetti sottoposti al test (Price & Price, 2003).
In letteratura è possibile trovare studi relativi a test clinici sulla pelle umana, in cui i
volontari coinvolti sono stati sottoposti a patch test per un periodo di 24 ore (Watt 1995). Il più
grande studio è stato effettuato da scienziati giapponesi con il coinvolgimento di 200 volontari
che hanno utilizzato 270.000 patch test, riscontrando che la pelle asiatica possa essere più o
meno sensibile agli olii essenziali rispetto alla pelle caucasica (International School of
Aromatherapy, 1993).
Secondo quanto affermato fino ad ora, l'assorbimento di una determinata sostanza
nell‟organismo dipende dalla modalità di applicazione. La distribuzione di qualsiasi farmaco è
controllato da flusso sanguigno, tessuti o organi, nonché dalla capacità del farmaco stesso di
legarsi alle proteine plasmatiche. Tale processo è inoltre strettamente correlato alla liposolubilità
o idrosolubilità delle molecole della sostanza.
L‟eliminazione avviene contemporaneamente alla distribuzione e si verifica principalmente
a livello renale, nonostante il metabolismo di primo passaggio avvenga a livello epatico. Gli olii
essenziali somministrati per via inalatoria o transcutanea non passano attraverso la prima fase del
metabolismo (Price & Price 2003). La velocità di eliminazione di un farmaco dal corpo è
proporzionale alla concentrazione di tale farmaco nel sangue: nella maggior parte dei casi si
documenta l'emivita biologica (t 1/2)13 piuttosto che il tasso di eliminazione. Il tempo di
dimezzamento è il tempo necessario per ridurre di metà la concentrazione di farmaco nel sangue
e questo dipende sia dal volume di distribuzione della sostanza che dal tasso di eliminazione
(Gwilt 1994). Gli oli essenziali vengono escreti attraverso i reni, i polmoni, la cute, le feci, e il
latte materno (Berndt & Stitzel 1994).
La probabilità di riscontrare reazioni avverse si è ridotta notevolmente dal momento che si
utilizzano olii essenziali puri, ottenuti attraverso distillazione e dunque non adulterati, ma,
nonostante questo, non sempre sono evitabili. È inoltre provato che pazienti inclini ad allergie o
sottoposti a ripetuti cicli di terapia siano maggiormente predisposti a sviluppare effetti collaterali
e i patch test possono essere utili per la prevenzione di determinate reazioni cutanee, in
particolare nei pazienti potenzialmente a rischio (Tisserand & Young, 2013).
La quantità di olio essenziale utilizzato tende ad essere misurato in percentuali o gocce:
una misura media è pari a 20 gocce di olio essenziale/ml.
13
Tempo di dimezzamento delle concentrazioni del farmaco, anche conosciuto come emivita di eliminazione di un
farmaco; si tratta di un parametro importante per determinare entro quanto tempo il farmaco venga eliminato e,
dunque, stabilire il ritmo di somministrazione (Frulanut, 2008).
37
3.4.1 Interazioni
La tossicità di un OE può aumentare o diminuire in relazione ad interazioni tra uno o più
dei suoi componenti, o con altre sostanze presenti nel corpo (Tisserand & Young, 2013).
Quando si somministrano più sostanze contemporaneamente sono possibili tre principali
risultati: il più semplice è l‟additività, dove azione e potenza di miscela e singoli costituenti
interagiscono rispettivamente; una seconda possibilità è la sinergia, in cui l'azione del composto
è significativamente maggiore di quanto ci si aspetterebbe sulla base dell‟additività; la terza
reazione possibile è l‟antagonismo, dove l'azione osservata è inferiore a quanto previsto.
Teoricamente gli OE potrebbero interagire con i farmaci convenzionali in diversi modi:
mediante la combinazione con un recettore cellulare (e quindi in competizione con il farmaco),
combinandosi con proteine del plasma, o combinandosi con il farmaco stesso alterandone la
chimica, per produrre un composto diverso con effetti differenti (Tisserand & Balacs, 1995).
Buckle (2003) ritiene inoltre che l‟assunzione di più farmaci contemporaneamente in
associazione all‟uso di OE possano aumentare la probabilità di reazioni avverse.
Il potere antiossidante degli OE è ciò che determina molto spesso il loro effetto
terapeutico, contrastando, in molti casi, potenziali tossicità.
Sia l‟approccio inglese che quello francese si concentrano sull'utilizzo di oli essenziali
diluiti (fino al 5 %) applicati a livello topico e non esistono particolari segnalazioni di effetti
tossici secondo tali modalità. Interazioni tra olii e farmaci per uso topico sono improbabili tranne
nei casi in cui siano entrambi applicati sullo stesso sito (Dunning, 2013). È inoltre improbabile
che gli olii essenziali somministrati per via inalatoria causino reazioni tossiche: ipoteticamente,
una reazione tossica potrebbe verificarsi in casi di confinamento in ambienti non ventilati,
temperature molto elevate e diffusione costante di OE, fino a saturazione dell‟aria, anche se
un‟eventuale reazione in situazioni come quella appena descritta potrebbero ricondurre a
soffocamento piuttosto che ad effetto avverso dell‟olio essenziale (Dunning, 2013).
3.4.2 Tossicità cutanea
L‟irritazione cutanea, la sensibilizzazione e la fototossicità si possono considerare i
principali fenomeni di tossicità cutanea.
L‟irritazione cutanea è causata da una componente irritante presente in una determinata
sostanza e si verifica immediatamente, producendo generalmente rossore e bruciore. I
componenti irritanti riscontrabili negli OE sono solitamente rappresentati da fenoli o aldeidi
38
aromatici (Buckle , 2003). Si tratta certamente di reazioni riscontrabili in casi di dosaggi o
concentrazioni elevate e dunque prevenibili con l‟utilizzo di diluizioni al 2% o 5%. L'effetto
avverso riconosciuto come il più comune è la dermatite (Posadzki et al, 2012). Nonostante l'uso
di olii essenziali diluiti riduca i rischi al minimo, un‟applicazione prolungata a livello topico
potrebbe aumentarne la probabilità d‟insorgenza. Una recente ricerca ha dimostrato che la
dermatite allergica da contatto può essere prevalentemente indotta dall'uso professionale di
prodotti contenenti olii essenziali, inteso come utilizzo prolungato di una stessa sostanza nel
corso del tempo (Wu & James, 2011)14. Altri studi affermano inoltre che la prevalenza di
dermatiti a livello delle mani risulta essere elevata nei professionisti che praticano massaggi, in
particolare se esposti a fattori di rischio indipendenti come utilizzo di OE, creme o lozioni e
storia di dermatite atopica15 (Crawford, 2004). Per la diagnosi corretta è necessaria l‟esecuzione
di patch test standard16 oltre alle prove con gli olii specifici a cui si è stati esposti, per favorire
l‟identificazione degli allergeni e garantire prevenzione e sicurezza (Trattner et al, 2008).
La sensibilizzazione è una reazione allergica che si verifica in seguito a prolungata
esposizione ad un fattore scatenante: ripetute esposizioni ad una stessa sostanza irritante o ad
un‟altra con cui vi è la sensibilizzazione crociata, danno origine ad una reazione infiammatoria
severa causata da cellule (linfociti T) del sistema immunitario (Bensouilah & Buck, 2006).
Queste reazioni possono verificarsi in forma di eruzione cutanea, starnuti, o depressione del
respiro. È più probabile che la sensibilizzazione si verifichi a causa dell‟ossidazione di
monoterpeni. (Tisserand & Balacs, 1995).
La fototossicità, infine, è una reazione che si può scatenare in seguito all‟interazione tra
olio essenziale, cute e fotoni ultravioletti. L'esposizione a luce solare o radiazioni di altro tipo
può produrre una reazione cutanea (Bensouilah & Buck, 2006). Si ritiene che le furanocumarine
ne siano le principali responsabili (Price & Price, 2003). I fattori che possono incidere sulla
reazione fototossica sono la pigmentazione della cute (abbronzatura, pelle scura), il sito di
applicazione, l‟idratazione cutanea e l‟associazione con alcuni farmaci, come la tetraciclina, che
14
Studio della popolazione giapponese che ha dimostrato un aumento di incidenza di dermatite da contatto da
lavanda dal 1,1% al 13,9% in 8 anni.
15 Malattia infiammatoria cronica, eczematosa e pruriginosa, che si manifesta in individui con una predisposizion e
ereditaria al prurito cutaneo, spesso accompagnata da rin ite allergica, febbre e asma (Dorland's Medical Dictionary
for Health Consumers, 2007).
16 Test cutaneo per identificare gli allergeni, in particolare quelli che causano dermatite da contatto (Mosby 's
Medical Dictionary, 2009).
39
aumentano la fotosensibilità della pelle, ampliando così gli effetti nocivi di olii essenziali
fotosensibilizzanti (NAHA, 2013)17.
3.4.3 Rischi in gravidanza
L' uso di olii essenziali durante la gravidanza è un argomento controverso. La
preoccupazione principale è sita nel rischio che i costituenti di alcuni olii essenziali possano
raggiungere la placenta. Secondo Tisserand e Balacs (1995) il fatto che determinati composti
attraversino la placenta non significa necessariamente che esista un rischio per il feto, il quale
dipenderà dalla tossicità e dalla concentrazione plasmatica del composto. Burfield (2004), a
differenza loro, scoraggia l'uso di OE durante i primi tre mesi di gravidanza, mentre Buckle
(2003) afferma che il loro utilizzo a dosaggi minimi rende improbabile la registrazione di
mutagenicità o teratogenicità in un embrione o un feto in via di sviluppo. L‟unico composto con
forte effetto teratogeno, embriotossico, fetotossico, teratogeno e abortivo in modelli animali è
l‟acetato di sabinile (Valussi, 2013).
Alcuni olii essenziali sono controindicati in gravidanza a causa della natura dei loro
componenti chimici: tutti quelli che contengono un‟alta percentuale di alcuni chetoni, ossidi,
fenoli ed eteri fenolici, vanno utilizzati cautamente durante tutto il periodo gestazionale, anche se
non tutti sono classificati come emmenagoghi18 o abortivi (Price & Price, 2003). È inoltre noto
che alcuni OE siano “estrogeno-simili” o “estrogeno-stimolanti” e che siano dunque da evitare in
gravidanza (Fawcett, 1993 – cit Valussi).
In quanto sostanze organiche, gli olii essenziali hanno la capacità di permeare la barriera
placentare e raggiungere il feto, tuttavia la quantità di olio essenziale assorbito a livello della
cute materna è minima ed è quindi maggiormente ridotta la quantità di sostanza che, utilizzate le
diluizioni appropriate, raggiunge la placenta19 (IFPA Guidelines, 2013)20.
17
National Association for Holistic Aromatherapy: organizzazione leader nell‟aromaterapia, a livello internazionale.
18 Un emmenagogo è una sostanza che regolarizza le mestruazioni.
19 La diluizione raccomandata è 1%, o meno, per tutte le applicazioni cutanee.
20 The International Federation of Professional Aromatherapists.
40
3.4.4 Altre forme di tossicità
Fra le altre forme di tossicità associate all‟uso di OE si riconoscono cancerogenicità,
neurotossicità, epatotossicità, nefrotossicità e citotossicità.
La tossicità acuta localizzata solitamente colpisce gli organi competenti per l'assorbimento
e l'eliminazione di una sostanza, a causa di fattori quali la presenza di particolari enzimi, il flusso
ematico e la capacità rigenerativa dell'organo in questione. Questo tipo di tossicità prende il
nome dell'organo o del tessuto colpito, nefrotossicità per i reni ed epatotossicità per il fegato
(Tisserand & Young, 2013), e si manifesta in seguito a somministrazione di dosaggi elevati. In
particolare, se si tratta di olii contenenti aldeidi, il rischio di tossicità aumenta per accumulo nel
fegato (Price & Price, 2003).
Alcuni chetoni possono risultare neurotossici. Le molecole degli OE, come già affermato
precedentemente, sono liposolubili e riescono dunque ad attraversare la barriera ematoencefalica
(BE) fino a raggiungere il sistema nervoso centrale. Qualunque sostanza capace di oltrepassare la
BE ha un potenziale tossico, in particolare nei casi di sovradosaggio.
Per quanto riguarda la cancerogenicità, si tratta del rischio di sviluppare formazioni
cancerose. I componenti di alcuni OE, fra cui safrolo e diidrosaffrolo, sono risultati cancerogeni
nei ratti, ma nonostante le prove emerse dai test su animali, si ritiene che il rischio per l‟uomo sia
minimo (Price & Price, 2003). Anche l‟estragolo è stato riconosciuto come genotossico, ma è
stato provato che l‟esposizione a piante medicinali non costituisce un rischio di cancro
significativo, nonostante esposizioni ripetute o continuative possano esserlo.
Secondo recenti studi, gli OE possono essere usati in modo sicuro per i malati di cancro
per un beneficio a breve termine in materia di riduzione di ansia e sintomi di depressione ed
aumento di sonno e benessere, ma è certamente necessario prestare particolare attenzione ai casi
di tumori estrogeno-dipendenti (Boehm et al, 2012) ed alle sostanze carcinogene.
La citotossicità è una “condizione di stress cellulare che può essere causata da molteplici
fattori e spesso si risolve con la morte della cellula stessa. Sono numerosi gli agenti chimici,
fisici e biologici in grado di indurre citotossicità e morte cellulare. Tra questi, i principali sono
gli agenti tossici, gli inquinanti ambientali, le radiazioni, gli additivi contenuti negli alimenti e
gli effetti collaterali causati dai farmaci” (Azzolini, 2008). L‟azione di determinate sostanze
ritenute citotossiche può infatti compromettere la funzionalità di interi organi e tessuti (Tisserand
& Young, 2013).
In letteratura è stato possibile reperire alcune informazioni riguardo la potenzialità
citotossica di alcuni OE. Per alcune sostanze, quanto è stato dimostrato per le cellule cutanee in
41
vitro ha valore limitato, vista l‟assenza di un‟epidermide protettiva in colture cellulari,
diversamente dalla cute umana, ed è dunque difficile individuare concentrazioni sicure per
l‟applicazione topica. Tuttavia la citotossicità per le cellule cutanee è generalmente correlata ad
irritazione cutanea (Tisserand & Young, 2013).
Sono state effettuate diverse sperimentazioni in vitro è si è dimostrato come l‟attività
citotossica sia fondamentalmente determinata da alcuni singolari componenti e non interamente
dalla sostanza stessa (Reichling et al, 2009).
Come per le cellule batteriche, anche per OE e rispettive molecole la membrana cellulare
risulta essere uno dei siti di azione in cui essi possono causare permeabilizzazione,
depolarizzazione e riduzione dell‟attività enzimatica a livello della membrana.
Dagli studi in vitro, la potenziale tossicità ed irritazione in vivo di determinati olii
essenziali, classificati come tossici e pericolosi, ha portato, dunque, alla formulazione di
determinate raccomandazioni che ne consigliano uso controllato e limitato (Carnesecchi et al,
2001). In particolare, risulta essere necessario il rispetto di dosi minime giornaliere per la
somministrazione per via orale; l‟utilizzo di diluizioni corrette, in particolare nei casi di
applicazione su mucosa o pelle danneggiata, evitando concentrazioni troppo elevate per
l‟applicazione topica; l‟uso di dosaggi controllati nella somministrazione per via inalatoria, con
particolare attenzione agli olii essenziali che, se molto concentrati, possono ridurre in vitro
l‟attività ciliare delle cellule respiratorie umane non protette da strato mucoso (Reichelmann et
al, 1997).
42
CAPITOLO IV
GLI EFFETTI DELL’AROMATERAPIA
Secondo i diversi studi riportati in letteratura l‟aromaterapia ha un ruolo efficace nella
guarigione e nel miglioramento della qualità di vita dell‟uomo. Da quanto affermato fino ad ora
si è dedotto che il potenziale terapeutico degli olii essenziali sia tale da coinvolgere fisiologia e
psicologia umana, al punto da permettere a ciascun individuo di trarre beneficio
dall‟aromaterapia, in qualsiasi condizione.
Le interazioni che si creano al momento dell‟uso di OE possono determinare diversi effetti
benefici, nonostante sia necessario porre particolare attenzione nel trattamento di soggetti
“fragili”, cioè potenzialmente a rischio, come donne in gravidanza, soggetti in età pediatrica,
soggetti affetti da asma grave o con storia di allergia, escludendo gli olii con una percentuale
significativa di componenti potenzialmente pericolosi come chetoni, fenoli, eteri fenolici e
aldeidi (Price & Price, 2003).
Secondo Buckle (2003) l‟aromaterapia sarebbe una risposta adeguata ad una diagnosi
infermieristica, la quale permette all‟infermiere di agire correttamente ai fini del benessere del
paziente e può dare validità, dunque, ad una terapia complementare, come l‟aromaterapia, nel
concetto più ampio di piano assistenziale.
La prima ad esprimere il concetto di diagnosi infermieristica fu Virginia Fry nel 1953.
Soltanto nel 1990 ad opera della North American Nursing Diagnosis Association (NANDA), si
iniziò ad elaborare una vera e propria classificazione delle diagnosi infermieristiche. Secondo la
definizione NANDA, si tratta di “un giudizio clinico sulle risposte date dall'individuo, dalla
famiglia o dalla società ai problemi di salute e ai processi vitali, reali o potenziali. La
diagnosi infermieristica fornisce le basi per effettuare una scelta degli interventi assistenziali
infermieristici che porteranno al conseguimento degli obiettivi dei quali è responsabile
l'infermiere”. Il giudizio clinico operato dall‟infermiere al fine di individuare gli interventi più
idonei è necessario per il raggiungimento di determinati obiettivi assistenziali. Dai modelli
funzionali di Gordon per la valutazione del paziente si deduce, inoltre, l‟importanza di favorire e
tutelare i bisogni primari del singolo, al fine di garantire una presa in carico completa,
caratterizzata dall‟elaborazione di un piano assistenziale basato su osservazione ed accertamento,
pianificazione ed individuazione di obiettivi, interventi e risultati attesi, attuazione e valutazione.
Molte sono le aree assistenziali individuate da Buckle (2003) alle quali si potrebbe
associare interventi aromaterapici: alterazione del comfort, ansia, stipsi, fatigue, paura, lutto,
43
compromissione della comunicazione, infezione, dolore. L‟aromaterapia ha dunque un
potenziale effettivo di applicazione nella clinica, nonostante diverse siano le difficoltà per
introdurla in contesti sanitari ed ospedalieri, la cui impronta è prettamente scientifica e distante
da approcci complementari.
È possibile affermare, quindi, che l‟aromaterapia può essere un trattamento alternativo e
complementare applicato per il trattamento di varie patologie e sintomi, date le azioni
antimicrobiche, sedative, analgesiche, spasmolitiche e ormonostimolanti degli olii essenziali.
4.1 Trattamento di disturbi psicologici
Intorno agli anni Sessanta la funzione principale dell‟aromaterapia, associata a massaggio,
era di alleviare lo stress (Price & Price, 2003).
Negli ultimi tempi, disturbi legati a stress, ansia, affaticamento e depressione hanno trovato
un notevole incremento e possono presentarsi in varie forme e diversi gradi, essendo sempre
debilitanti per il soggetto colpito.
L‟ansia è uno stato psicologico e fisiologico le cui componenti somatiche,
comportamentali, emozionali e cognitive ne costituiscono le principali caratteristiche. Circa il 4-
6% della popolazione mondiale soffre di varie forme di disturbi d'ansia, che si manifestano con
sintomi quali ipertensione, tachicardia, sudorazione, affaticamento, agitazione ed irritabilità (Lee
et al, 2011). Si tratta di sintomi che incidono non solo sul benessere psico-fisico del singolo, ma
hanno anche un forte impatto sociale, che si riversa maggiormente all‟interno dell‟ambito
famigliare e sul posto di lavoro: se non trattati, tali disturbi possono tradursi in stati di
depressione nel 40-50% dei casi (Lee et al, 2011).
La depressione è una sindrome che similmente all‟ansia colpisce l‟individuo a livello
cognitivo e comportamentale, incidendo sul sistema neurovegetativo e riversandosi
significativamente sulla vita quotidiana del soggetto. I sintomi ad essa correlati includono umore
depresso, perdita di interesse, variazioni dell'appetito, perdita o incremento di peso, insonnia o
ipersonnia, perdita di energia, alterazione del concetto di sé, difficoltà di concentrazione e
pensieri ricorrenti di morte (Yim et al, 2009). Il Medical Outcomes Study21 ha trovato che, la
depressione è più debilitante di altri disturbi cronici come diabete, artrite, ipertensione, e malattie
cardiovascolari.
L‟utilizzo di farmaci in tali circostanze è molto frequente, nonostante sia spesso
accompagnato da effetti collaterali ed assuefazione. Ad oggi, infatti, sia per il trattamento
21
Metodo per il monitoraggio dei risultati delle cure mediche (Tarlov et al, 1989).
44
dell‟ansia che per la depressione si fa principalmente ricorso a trattamenti farmacologici
(ansiolitici, antidepressivi ed SSRI – inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina – questi
ultimi nello specifico di sindromi depressive)22 e/o terapie psicologiche come la terapia
cognitivo- comportamentale (Butler et al, 2006; Bandelow et al, 2007). Nonostante la dimostrata
efficacia degli antidepressivi, evidenti sono le limitazioni ad essi correlate, tra cui una latenza di
alcune settimane e l‟insorgenza di possibili effetti collaterali, compresi l‟iniziale incremento di
ansia nel breve termine.
Per tali ragioni, recentemente si è potuto riscontrare un aumentato interesse nei confronti
della medicina complementare ed in particolare dell‟aromaterapia come trattamento coadiuvante.
Depressione ed ansia, infatti, risultano essere due delle indicazioni più frequenti per l‟utilizzo di
CAM, in particolare per la bassa incidenza di reazioni avverse rispetto ad altri trattamenti (Yim
et al, 2009). Un sondaggio negli Stati Uniti riferisce che il 53,6% degli intervistati che soffrono
di depressione grave segnalano come trattamento prescelto l‟utilizzo di CAM (Kessler et al,
2001). L‟uso di olii essenziali come trattamento complementare è utile nel sollievo di
depressione ed ansia (Imanishi et al, 2007) ed è stato riscontrato che, nello specifico, OE come
lavanda (Lavandula angustifolia), bergamotto (Citrus bergamia) e rosa (Rosa damascena)
abbiano effetti positivi sulla riduzione degli stati depressivi (Van der Watt, Laugharne & Janca,
2008).
Secondo le ricerche di Yim et al. (2009) l'aromaterapia ha forti potenzialità nel trattamento
di disturbi psicologici e i suoi effetti benefici sono stati dimostrati in diversi studi. Soden et al.
(2004) hanno registrato una differenza di risposta al trattamento aromaterapico tra pazienti con
ansia lieve e pazienti con alti livelli di disagio psicologico: nei primi i risultati tendevano ad
essere poco significativi, mentre nei secondi gli interventi si sono dimostrati più efficaci in
termini di miglioramento dello stato di salute. Cowen (2008) ha suggerito che la depressione può
essere causata da deficit o squilibrio di monoamine, o dalla diminuita attività della serotonina (5-
HT) ed è inoltre stato riscontrato come l‟acido g-amminobutirrico (GABA), neurotrasmettitore
cerebrale, in questi casi risulti diminuito nell'ippocampo, richiedendo utilizzo di antidepressivi
per ridurre gli effetti correlati. In un recente studio si è scoperta la forte somiglianza, in termini
di efficiacia, dell‟olio di limone (Citrus limon) con gli SSRI, in quanto capaci entrambi di agire a
livello del 5-HT contrastando l'eventuale deficit del neurotrasmettitore (Komiya et al, 2006).
Perry & Perry (2006) hanno suggerito che olii essenziali come bergamotto (Citrus bergamia),
gelsomino (Jasminum officinale), lavanda (Lavandula angustifolia), rosa (Rosa damascena) e
22
Le benzodiazepine sono efficaci in trattamenti di breve durata, in quanto farmaci potenzialmente rischiosi per lo
sviluppo di dipendenza (Baldwin et al, 2007).
45
geranio (Pelargonium graveolens) abbiano proprietà antidepressive. Si è scoperto, inoltre, che
l'effetto farmacologico della lavanda (Lavandula angustifolia) sia simile a quello del diazepam,
agendo da agonista del GABA (Vizi, 2008). Altri studi hanno ipotizzato che determinati effetti
ansiolitici siano possibili grazie al ricordo di situazioni ed emozioni piacevoli stimolate
dall‟inalazione di particolari odori ed olii essenziali (Cooke & Enrst, 2000).
Recentemente è stato scoperto che i pazienti con depressione possono incorrere in una
ridotta sensibilità agli odori. Molti studi sulla depressione, infatti, dimostrano anomalie in varie
regioni del cervello, tra cui l'amigdala e la corteccia prefrontale, tali da causare la presenza di
una disfunzioni delle strutture cerebrali che sottendono l'elaborazione olfattiva primaria (Yim et
al, 2009). Si deduce che in condizioni depressive sia migliore la scelta di un approccio topico
piuttosto che un trattamento per via inalatoria.
Diversi sono gli olii essenziali che hanno dimostrato avere attività ansiolitica (Imanishi et
al, 2007): lavanda (Lavandula angustifolia), rosa (Rosa damascena), mandarino (Citrus
reticulata), arancio dolce (Citrus sinensis), legno di sandalo (Santalum album) e geranio
(Pelargonium graveolens). Nel momento in cui l'olio essenziale entra nel flusso sanguigno,
molecole o componenti chimici vengono assorbiti e possono produrre effetti psicologici
misurabili, fra cui un significativo miglioramento di ansia e depressione (Wilkinson et al, 2007).
La ricerca sugli effetti dell‟aromaterapia è avvenuta principalmente attraverso
sperimentazioni su modelli animali: gli studi hanno dimostrato la potenzialità di agire come
ansiolitici o antistress in ratti e topi (Shaw et al, 2007); l'odore di limone (Citrus limon) è
risultato avere proprietà antidepressive ed effetto anti stress, così come gli OE di lavanda
(Lavandula angustifolia) e rosa (Rosa damascena) hanno dimostrato essere utili in qualità di
ansiolitici. Inoltre, altre ricerche hanno constatato che i principali componenti dell‟olio di
lavanda possano facilitare il rilassamento della muscolatura liscia vascolare nei conigli (Koto et
al, 2006), impattare sul sistema nervoso autonomo e ridurre la pressione sanguigna nei topi
(Tanida et al, 2006).
Studi aromaterapici su soggetti umani hanno dimostrato un miglioramento dell'umore e
una diminuzione dell'ansia dopo la somministrazione di olii, quali camomilla (Chamaemelum
nobile), lavanda (Lavandula angustifolia), eucalipto (Eucalyptus globulus)23 e geranio
(Pelargonium graveolens) (Wilkinson 1995).
Diverse sono state le scale di valutazione utilizzate in ricerca per testare l‟efficacia
dell‟aromaterapia nei disturbi ansioso-depressivi. La Hamilton Depression Rating Scale (HAM)
23
Vi sono 300 specie di Eucalyptus che producono OE. Solitamente quello maggiormente utilizzato in aromaterapia
è l‟Eucalyptus globulus (Valussi, 2013)
46
e la Profile of Mood States (POMS) sono state spesso utilizzate per misurare i livelli di
depressione prima e dopo un massaggio aromaterapico. L‟Hospital Anxiety and Depression
Scale (HADS), strumento di auto-valutazione ben convalidato, è stato progettato appositamente
per gli ospedali ai fini della rilevazione di stati d‟ansia e di depressione, come lo Spielberg State-
Trait Anxiety Inventory (STAI) consolidato come strumento auto-valutativo nella pratica clinica
aromaterapica. (Fountoulakis, 2006).
Dagli studi reperibili in letteratura si può notare come ci sia ampia documentazione sul
massaggio aromaterapico piuttosto che su altri approcci. Il massaggio permette un‟associazione
di stimolazioni differenti: olfattiva, somato-sensoriale e tattile. Promuovendo un trattamento
integrativo grazie all‟uso di olii essenziali si favorisce un duplice effetto benefico per il
miglioramento dello stato di salute. Uno studio ha riportato che non vi erano differenze
significative tra massaggio con e senza aroma (Soden et al, 2004), ma altri ricercatori hanno
dimostrato l‟efficacia propria dell‟integrazione fra i due trattamenti. Nello studio di Imanishi et
al. (2007) è provato come il massaggio in correlazione all‟uso di OE sia efficace nella riduzione
di ansia e depressione, influendo anche sul sistema immunitario, con l‟aumento del numero di
linfociti di tipo 1 e 2 e delle cellule T-helper nel sangue periferico. Fellowes et al. (2004) hanno
ribadito che il massaggio aromaterapico conferisce miglioramento del benessere psicologico a
breve termine. Nella valutazione dell‟uso del massaggio ed olii essenziali nei malati di cancro,
Corner et al. (1995) hanno dimostrato che i valori di ansia in tali pazienti si sono ridotti
significativamente nel tempo. Anche nello studio di Wilkinson et al. (1999) si è valutata
l‟efficacia dello stesso trattamento in ambito palliativo, notando miglioramenti significativi dei
sintomi ansiosi e confermando dunque quanto sostenuto da Corner precedentemente. Anche
dagli studi di Imanishi et al. (2007) si deduce che l'aromaterapia sia un trattamento
complementare efficace per ridurre l'ansia. Analizzando gli effetti del massaggio aromaterapico
in malati di cancro al seno si è potuto constatare che l‟ansia, misurata attraverso l‟utilizzo di
scale STAI e HADS, si è progressivamente ridotta nel corso delle sessioni, inducendo effetti a
lungo termine (diminuzione significativa dell‟ansia tra 1 mese prima e dopo il massaggio). La
scala HADS ha, inoltre, dimostrato che l‟aromaterapia ha avuto effetti sulla riduzione degli stati
ansiosi anche a lungo termine nei pazienti con cancro mammario. Tali risultati, validando il
trattamento congiunto fra massaggio ed aromaterapia, suggeriscono che il primo, nonostante sia
efficace anche singolarmente, se utilizzato in associazione ad OE permette di ottenere benefici
maggiori. Altri studi che hanno dimostrato tale efficacia sono quelli supportati da Cho et al.
(2012), nei quali è possibile riscontrare che l'aromaterapia ha avuto un effetto positivo sulla
riduzione dell'ansia, aumentando il sonno e stabilizzando i valori pressori del sangue nei pazienti
47
in terapia intensiva cardiovascolare dopo inserimento di stent cardiaco. Tali risultati sono
coerenti con gli effetti registrati in pazienti prima di un intervento chirurgico (Oh & Jung, 2002),
durante le mestruazioni (Kim, Lee, et al, 2011), in emodialisi (Kim et al, 2007) e durante la
colonscopia (Lee & Ahn, 2010), nei quali i livelli decrescenti di ansia sono stati associati all‟uso
di OE. L‟aromaterapia viene pertanto individuata come intervento indipendente.
Situazioni in cui è possibile riscontrare maggiori stati d‟ansia sono le operazioni
chirurgiche. Nei pazienti adulti l'incidenza di ansia preoperatoria varia tra l‟11% e l‟80%
(Agarwal et al, 2005). Prima di un intervento chirurgico, l'ansia è spesso secondaria a problemi
come il dolore, la morbilità, il cambiamento della propria immagine corporea, la dipendenza da
uno stato patologico debilitante, la dipendenza dalle cure della famiglia o i possibili cambiamenti
nello stile di vita. La riduzione del livello di ansia determinerebbe certamente effetti positivi,
come una miglior ripresa postoperatoria, un ridotto ricorso alla terapia farmacologica, una
miglior tolleranza al dolore ed una possibile dimissione precoce. Poiché l'obiettivo principale del
momento preoperatorio è di favorire il benessere psico-fisico del paziente, aiutandolo
nell‟adattamento a nuova situazione e nel superamento dell‟ansia, l‟infermiere svolge un ruolo
importante. Secondo le ricerche di Fayazi (2011) l'inalazione di OE ha avuto effetti positivi sulla
riduzione dell'ansia nei pazienti prima della chirurgia e viene, pertanto, promosso come
trattamento efficace applicabile dagli infermieri. I risultati di un altro studio dimostrano che
l'inalazione di lavanda (Lavandula angustifolia) ha ridotto significativamente i valori BIS24 e i
livelli di stress in volontari (Kim, Kim et al, 2011). L‟ansia preoperatoria può, infatti,
determinare un‟alterazione della risposta del paziente all‟anestesia, portando ad un aumentato
fabbisogno dei farmaci ad essa preposti. Sedativi ed oppioidi sono spesso utilizzati per ridurre
l'ansia preoperatoria, tuttavia, ad essi sono associati effetti indesiderati, soprattutto per la
chirurgia ambulatoriale (Kim, Kim et al, 2011). Infine, l'ansia può comportare un‟elevata
incidenza di dolore postoperatorio, aumentato uso di analgesici e prolungamento della degenza.
Sembra che l'uso dell‟aromaterapia con olio essenziale naturale di arancio dolce (Citrus sinesis)
potrebbe ridurre il cortisolo salivare e la frequenza cardiaca in bambini che manifestano stati
d‟ansia secondari a trattamento dentale (Jafarzadeh et al, 2013).
Altri studi sono stati effettuati in reparti complessi come l‟unità coronarica e si è
riscontrato che l‟aromaterapia ha aggiunto una nuova dimensione di cura nelle unità coinvolte.
Nei casi studiati, infatti, l'esito dell‟aromaterapia si è tradotto in una significativa riduzione
24
L‟indice BIS è un valore numerico che offre la possibilità di distinguere, con precisione, i livelli di sedazione e
coscienza del paziente (Consales et al, 2006).
48
dell'ansia dei pazienti, in relazione ad una riduzione di circa il 50% della somministrazione di
farmaci ansiolitici (Cannard, 1996).
I vantaggi dimostrati dall‟aromaterapia sono la non invasività del trattamento e la facilità
di applicazione ed essa è pertanto definibile come un intervento infermieristico indipendente
(Cho et al, 2012). L'uso di OE ha dunque il potere di migliorare l'outcome del paziente,
aumentare la sua soddisfazione in termini psico-fisici e favorire un miglioramento dell‟assistenza
infermieristica. (Kim, Kim et al, 2011).
Una piccola parentesi deve essere aperta a questo punto per i sintomi comportamentali e
psicologici tipici della demenza, i quali si distinguono principalmente in agitazione ed
irrequietezza. Alcuni ricercatori si sono occupati di indagare su tale problema (Snow et al, 2004),
in quanto fonte di grande disagio per pazienti e caregivers e spesso potenziale prerogativa per
l‟istituzionalizzazione. Gli attuali trattamenti farmacologici includono l'uso di neurolettici,
spesso associati ad effetti collaterali negativi. Fra gli interventi non farmacologici anche in
questo caso vengono impiegate terapie cognitivo-comportamentali, che possono non essere però
sempre applicabili in soggetti con difficoltà nella formulazione di pensiero e/o nella ripetizione
di istruzioni semplici (Fung et al, 2012). Tali ragioni hanno portato ad un maggior incremento
delle CAM. L‟aromaterapia è stata da tempo utilizzata per il trattamento di BPSD (sintomi
comportamentali e psicologici della demenza) ed una recente revisione sistematica ha
confermato la sua efficacia (Fung et al, 2012). I risultati di tale ricerca hanno dimostrato nei
pazienti affetti da demenza e trattati con aromaterapia un effetto positivo sul miglioramento del
funzionamento cognitivo, correlato ad una riduzione della frequenza di BPSD, un miglioramento
dell‟indipendenza nelle ADL ed un incremento delle attività sociali. Rispetto all‟uso di farmaci
antipsicotici, nell‟aromaterapia è stata dunque riscontrata una maggiore influenza sulla qualità
della vita dei pazienti con demenza. Vi sono prove su base neuropsicologica che le persone con
demenza possano presentare un‟alterazione delle capacità olfattive ed è dunque preferibile
l‟applicazione cutanea degli olii essenziali piuttosto che quella inalatoria (Snow et al, 2004; Lin
et al, 2007), nonostante alcuni studiosi abbiano affermato che gli effetti di OE somministrati per
via inalatoria siano possibili anche in soggetti anosmici (Price & Price, 2003).
49
4.2 Trattamento del dolore
Il dolore è una qualsiasi esperienza sgradevole e negativa associata ad un reale, o
potenziale, danno tissutale e/o a condizioni emotive, che provoca uno stato di malessere
psicofisico, e si manifesta in modo soggettivo e personale. Si tratta dunque di un meccanismo in
cui interagiscono fondamentalmente tre fattori: sociale/culturale, biologico/fisiologico/sensoriale
e psicologico/affettivo/emotivo.
Il dolore è stato, soprattutto negli ultimi tempi, argomento di discussione in ambito
sanitario. La difficoltà di valutazione della dimensione del dolore ha portato, infatti, spesso a
sottovalutare il problema. Nel dicembre 2000 la Joint Commission on Accreditation of Healtcare
Organizations (JCAHO) ha dichiarato come punto focale che “tutti i pazienti hanno il diritto di
un’adeguata valutazione ed un appropriato trattamento del dolore”.
Diversi sono gli studi che si sono occupati di verificare se gli odori, i profumi e dunque
anche l‟applicazione di OE nei diversi approcci terapeutici previsti potessero influire sulla
percezione del dolore. Ci sono evidenze che si focalizzano prettamente sugli effetti legati
all‟emozione e che dunque spiegano le modulazioni percettive del dolore, in relazione
all‟associazione di particolari odori a determinate condizioni, ed altre che studiano invece le
modalità attraverso cui l‟applicazione di un OE possa, per le sue proprietà terapeutiche, incidere
sul dolore, a livello fisiologico in termini di qualità e quantità.
Un recente studio si è occupato di approfondire come un odore piacevole possa influenzare
la percezione di uno stimolo doloroso (Villemure et al, 2012). È riconosciuto che la parte
ventrale dei gangli della base (rete di nuclei sottocorticali deputati ad influenze sul sistema
motorio) ha un ruolo importante nella regolazione delle emozioni, presentando collegamenti con
le strutture limbiche come l'amigdala, l‟ippocampo, il talamo e parti della corteccia prefrontale.
In contrasto con l'amigdala, in cui l'attivazione tende ad essere associata ad emozioni negative, ci
sono prove che l'attivazione dello striato ventrale (o limbico) sia correlata ad esperienze positive.
In particolare, si è scoperto che il nucleo accumbens, sistema di neuroni situato in tale porzione,
sia coinvolto in risposte compensatorie alla presenza di stimoli positivi e che ricopra un ruolo
nella regolazione nocicettiva (Villemure et al, 2012). Fatta tale premessa, i risultati ottenuti dallo
studio in analisi hanno suggerito che gli odori piacevoli possono determinare una maggior
attivazione dello striato ventrale, diminuendo l'attivazione delle vie ascendenti che conducono lo
stimolo dolorifico e determinando dunque una ridotta percezione del dolore (Villemure et al,
2012). I cambiamenti d‟umore, indotti da profumi che risultano soggettivamente piacevoli per il
singolo individuo, possono migliorare gli effetti di trattamenti analgesici, influenzando la qualità
50
del dolore percepito. Un altro studio (Gedney et al, 2004) ha utilizzato test sensoriali quantitativi
per misurare l'effetto analgesico del trattamento inalatorio di OE, quali lavanda (Lavandula
angustifolia) e rosmarino (Rosmarinus officinalis). Le variazioni delle risposte psicofisiche al
dolore nel pre- e post- trattamento sono state analizzate attraverso valutazioni retrospettive degli
effetti analgesici: i risultati hanno dimostrato una riduzione dell'intensità del dolore dopo il
trattamento con entrambi gli olii, ma tale risposta è stata spiegata come un‟alterazione correlata a
componenti emozionali ed affettive associate all‟olio inalato e non come risposta fisiologica
diretta.
Molti sono i ricercatori che si sono occupati di valutare quali OE potessero avere proprietà
analgesiche e ciò che si è scoperto nel corso del tempo è che esistono determinate sostanze che,
spesso per una riconducibilità ad effetti antinfiammatori e disintossicanti, possono agire
positivamente nel trattamento del dolore.
In applicazione topica, alcuni olii costituiti da terpeni hanno dimostrato un effetto
analgesico, così come in altri si è potuta notare un‟azione sedativa determinante una riduzione
dell‟intensità del dolore (Price & Price, 2003). Gli OE stimolano, inoltre, la circolazione
periferica a livello locale, provocando una liberazione di mediatori vasodilatatori ed una reazione
umorale che determina il loro effetto antinfiammatorio (Price & Price, 2003). È dunque noto che
l‟uso di tali sostanze naturali possa incidere sulla fisiologia umana per alleviare determinate
condizioni patologiche o negative che possono colpire l‟organismo.
Studi recenti hanno analizzato quali potrebbero essere gli effetti di alcuni OE in relazione
alla presenza di dolore acuto. Nella ricerca elaborata da Ayan et al. (2013) si è valutato il
potenziale effetto lenitivo dell‟olio di rosa (Rosa damascena) in pazienti con colica renale: i
risultati hanno dimostrato, attraverso l‟uso della scala VAS25, che i valori erano statisticamente
inferiori dopo 10 e 30 minuti di trattamento con aromaterapia in associazione alla terapia
convenzionale ed è dunque possibile riconoscere le potenzialità nel trattamento di una
condizione dolorosa come quella presentata in analisi.
L'aromaterapia è risultata efficace come supporto analgesico in diversi studi su animali,
come ad esempio nella sedazione di iperattività in ratti a cui era stata somministrata caffeina
(Bachbauer et al, 1991) e nella riduzione di spasmi intestinali (Lis-Balchin, 1997). In altre
sperimentazioni sui topi, la somministrazione specifica di 1,8-cineolo (per via orale), contenuto
nel 70-90% dell‟olio di eucalipto, ha soppresso la formazione di edema, riducendo
infiammazione e dolore (Santos & Rao, 2000) ed anche in altro studio su ratti sottoposti a
25
Visual Analogic Scale: scala anolgica visiva per l‟accertamento e la valutazione del dolore.
51
stimolo dolorifico, secondario ad esposizione a fonte di calore, l‟olio di eucalipto ha dimostrato
avere proprietà sia analgesiche che anti-edematose ed antinfiammatorie (Gobel et al, 1994).
L‟1,8-Cineolo, ossido terpenico presente in molti olii essenziali, evidenzia un effetto
inibitorio su alcuni tipi di infiammazione sperimentale nel ratto ed ha dimostrato effetti inibitori
sulla locomozione e potenziamento dell‟effetto sedativo del fenobarbitale, risultando depressivo
sul sistema nervoso centrale (Santos & Rao, 2000). Tale effetto è dovuto alla sua inibizione della
secrezione di citochine indotta dall‟azione dei linfociti T. Per tale ragione si ritiene che esso
possa essere utilizzato anche per prevenire riacutizzazioni in asma, sinusite e BPCO26, vista
l‟azione di controllo sulle vie aeree, secondaria all‟ipersecrezione mucosa, causata a sua volta
dall‟inibizione di citochine (Juergens et al, 2004). Il Cineolo ha inoltre mostrato un'attività anti-
nocicettiva paragonabile a quella della morfina (Liapi et al, 2007).
Jun et al. (2013) si è occupato di valutare le modalità di azione dell‟OE di eucalipto
(Eucalyptus globulus) ed è stato riscontrato che i suoi effetti nella somministrazione per via
inalatoria in pazienti sottoposti ad intervento chirurgico di sostituzione totale del ginocchio, si
sono dimostrati efficaci nel ridurre dolore, gonfiore ed infiammazione.
In uno studio sulla dismenorrea è stato provato che OE come lavanda (Lavanda
anguistifolia), salvia (Salvia officinalis) e rosa (Rosa damascena) possono determinare
diminuzione del dolore (Han et al, 2006).
È stato considerato che anche la serotonina può avere un importante ruolo nel controllo del
dolore (Bardin, 2011).
Il massaggio aromaterapico può presentare effetti benefici anche per i sintomi secondari
alla menopausa. Alcuni studi si sono occupati di individuare se gli OE potessero essere utili nel
trattamento del dolore secondario a climaterio ed i risultati ottenuti sono stati positivi rispetto
all‟efficacia dell‟aromaterapia in termini di riduzione di vampate di calore, dolore e depressione.
In una ricerca di Hur et al. (2008) alcuni OE, fra cui lavanda (Lavandula angustifolia), geranio
(Pelargonium graveolens), rosa (Rosa damascena) e gelsomino (Jasminum officinale), sono stati
applicati localmente su ventre, schiena e braccia: il gruppo sperimentale ha riportato un indice di
menopausa totale significativamente inferiore rispetto al gruppo di controllo. Altri studi come
quelli di Murakami et al. (2005), Darsareh et al. (2012), Taavonia et al. (2013) hanno ribadito
tale concetto, dimostrando che l‟aromaterapia può rappresentare un trattamento efficace anche
per le donne durante il climaterio.
26
Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva.
52
4.3 Trattamento di nausea, vomito e costipazione
La nausea è un fenomeno soggettivo che si manifesta come una sensazione spiacevole a
livello delle fauci e/o dell‟epigastrio e che potrebbe culminare nel vomito.
Il vomito, o emesi, è l‟emissione forzata del contenuto gastrico, duodenale o del digiuno,
attraverso la cavità orale.
La nausea e il vomito possono comparire in relazione a disturbi digestivi o stati di
malessere e/o rappresentare gli effetti collaterali di molti farmaci, fra cui oppiacei (spesso
utilizzati per il trattamento del dolore post operatorio) e chemioterapici. Spesso si ricorre a
terapie farmacologiche per migliorare il comfort del paziente, aumentare la sua compliance ai
trattamenti, migliorare la qualità di vita e diminuire l'incidenza del vomito. Per il trattamento di
pazienti in periodo postoperatorio, oggi si ricorre principalmente all‟uso di ondansetron; la
sicurezza di tale farmaco non è stata però accertata in gravidanza, in periodo di allattamento e
non è, inoltre, indicato nel trattamento di nausea acuta (Karch, 2011).
Diversi sono gli interventi non farmacologici che possono essere impiegati per il
trattamento di tale condizione e una valida alternativa, secondo quanto riportato in letteratura,
può essere rappresentata dai trattamenti aromaterapici (Hunt et al, 2013). In particolare la menta
piperita (Mentha x piperita) risulta fornire una potenziale alternativa per la gestione della nausea
(Lane et al, 2012). Si tratta di un'erba aromatica che viene classificata come carminativo e cioè
come sostanza capace di alleviare disturbi gastrointestinali, nausea e vomito. (Fundukian, 2009).
Si ritiene, infatti, che il mentolo presente nell‟olio essenziale di menta piperita (Mentha x
piperita) sia efficace per lo stomaco, in quanto miorilassante ed anestetico per la parete gastrica
(Fundukian, 2009). Lo studio di Lane et al. (2012) si è occupato di valutare l‟efficacia di tale olio
essenziale in associazione ad alcool isopropilico per il trattamento della nausea secondaria a
parto cesareo. I risultati hanno dimostrato che un prodotto di combinazione fra le due sostanze
scelte, a differenza dei precedenti studi, che hanno esaminato gli effetti dell‟olio di menta
piperita (Mentha x piperita) e/o alcool isopropilico come agenti separati, ha migliori risultati
sulla riduzione della nausea, a 2 e 5 minuti dalla somministrazione, rispetto ai farmaci
antiemetici ed al placebo. È stato, inoltre, provato come l‟utilizzo dell‟aromaterapia sia stato
efficace per favorire, nelle donne coinvolte, l'allattamento al seno ed il legame con il neonato
evitando effetti collaterali (Lane et al. 2012). Anche in uno studio più datato (Tate et al, 1997) si
è dimostrata l‟efficacia dell‟OE di menta piperita (Mentha x piperita) in pazienti sottoposte a
chirurgia ginecologica, con una riduzione statisticamente significativa della nausea ed un minor
numero di antiemetici utilizzati nel gruppo trattato con aromaterapia. Buckle (2003) afferma che
53
l‟olio essenziale di menta piperita non diluito possa causare distress respiratorio nei neonati e
quindi non dovrebbe essere utilizzato vicino ad essi. Lua & Zakaria (2012) hanno individuato
nell‟inalazione di OE, quali menta piperita (Mentha x piperita) e zenzero (Zingiber officinale),
potenziali benefici per alleviare la nausea e il vomito nel postoperatorio ed in pazienti
oncologici. A causa delle debolezze metodologiche, non si sono però potuti validare i risultati
ottenuti.
Lo zenzero è un rimedio tradizionale per la nausea. Questo OE contiene una molecola,
zingiberena, che si ritiene avere proprietà antinfiammatorie ed antiemetiche. Esso ha dimostrato
efficacia nel trattamento di nausea e vomito associati alla gravidanza e nella prevenzione di
PONV (nausea e vomito postoperatori) (Nichols, 2007).
Nichols (2007) sostiene che qualsiasi tipo di nausea possa essere alleviato con l'uso di olio
essenziale. È stata lei stessa, infermiera anestesista, a proporre in ambito sanitario l‟utilizzo di un
prodotto naturale costituito da una miscela di olii essenziali puri al 100% (Mentha spicata,
Mentha x piperita, Zingiber officinale, Lavandula angustifolia). Si tratta di un inalatore portatile
formulato per calmare la nausea associata a chirurgia ed anestesia ed anche utile per calmare
cinetosi, nausea associata a gravidanza e nausea da trattamenti chemioterapici. Tale prodotto è
stato originariamente utilizzato in ambito medico ed è oggi reperibile in ospedali e cliniche negli
Stati Uniti, in Nuova Zelanda, in Australia ed in Europa.
Altro studio che ha scoperto nell‟aromaterapia con olio di zenzero (Zingiber officinale) o
miscela di zenzero (Zingiber officinale), menta (Mentha spicata), menta piperita (Mentha x
piperita) e cardamomo (Elettaria cardamomum) un trattamento efficace nel ridurre la nausea
post intervento chirurgico (PON), è stato quello di Hunt et al. (2013). PON è una complicanza
comune dopo un intervento chirurgico e la sua causa è sconosciuta. Nella suddetta ricerca si è
cercato di individuare le modalità, attraverso cui le terapie non farmacologiche possano offrire
una buona alternativa alle terapie con antiemetici. I vantaggi esposti sembrano essere
fondamentalmente legati alla natura non invasiva del trattamento e ad un costo inferiore rispetto
alle terapie farmacologiche (Hunt et al. 2013).
Le terapie complementari hanno iniziato ad essere maggiormente conosciute dal momento
in cui sono stati riscontrati effetti positivi di alcuni trattamenti nell‟ambito delle cure palliative e
terminali. Con “palliativo” si intende un trattamento atto ad alleviare il dolore e favorire sollievo,
mentre con “terminale” ci si riferisce a tutti quei trattamenti volti alle cure di “fine vita”. In
oncologia, come descritto in alcuni dei capitoli precedenti, e particolarmente nell‟ambito delle
cure palliative, l‟aromaterapia può trovare ampio spazio d‟azione nelle diverse forme di
applicazione.
54
L‟evoluzione naturale del cancro e l‟inevitabile uso della multi-terapia farmacologica
hanno suggerito l‟importanza di ricerca, da parte degli infermieri, di tecniche alternative e
complementari per il trattamento di alcuni disturbi secondari ad esse. Uno studio recente ha
individuato nelle tecniche di massaggio associate all‟uso di olii essenziali una potenziale
efficacia per il trattamento della costipazione, problema comune per i malati di cancro ed
esperienza che colpisce i pazienti sia da un punto di vista fisico, che mentale, sociale ed
esistenziale (Lai et al, 2011). In tale ricerca si è dimostrato come un massaggio aromaterapico a
livello addominale possa aiutare i pazienti ad ottenere sollievo dal dolore e dagli effetti emotivi
secondari a stipsi. Anche presso l‟unità di cure palliative di un ospedale dell'Ontario si è cercato
di individuare come fosse possibile implementare l‟assistenza per il trattamento della
costipazione ed i risultati hanno dimostrato che un programma integrato fra massaggio
aromaterapico, Reiki e tocco terapeutico27, ha le potenzialità per migliorare la gestione
assistenziale, aumentare il comfort del paziente ed essere coadiuvante alle cure interdisciplinari
(Berger et al, 2013). Tale dato ci porta a confermare quanto è stato ribadito nel corso dei capitoli
precedenti: il comfort, la qualità di vita e il benessere psico-fisico dei pazienti sono tutti aspetti
che devono essere osservati, valutati ed affrontati da parte dell‟equipe sanitaria, in particolare da
parte degli infermieri, che, nell‟assistenza al malato, si prefiggono obiettivi qualitativi rispetto
allo stato di salute dello stesso, riconoscendone i problemi ed individuando gli interventi ad esso
più appropriati.
4.4 Attività antibatterica, antivirale ed antimicotica
È stato dimostrato come gli OE possano avere molteplici effetti per la salute dell‟uomo.
Fra le altre proprietà terapeutiche elencate è possibile distinguere quelle antibatteriche,
antimicotiche ed antivirali; quella con più supporto sperimentale è indubbiamente l‟attività
antimicrobica (Valussi, 2013).
La resistenza batterica ai diversi antibiotici è un problema attuale (Solorzano-Santos &
Miranda-Novales, 2012): l'abbondante uso di farmaci ha provocato, infatti, la comparsa di
batteri, funghi e virus ad essi resistenti. Carson et al. (2006), in uno studio dove vengono
confermate le potenzialità antimicrobiche ed antinfiammatorie dell‟olio dell‟albero del tè, meglio
conosciuto come olio di tea tree (Melaleuca alternifolia), sostiene sia indispensabile impedire
agli antibiotici di “diventare obsoleti” ed afferma la necessità di considerare l‟uso di trattamenti
27
Reiki e tocco terapeutico sono due delle principali discipline e pratiche energetiche, che possono essere applicate
come trattamenti complementari nella cura della persona (Pantaleo, 2011).
55
alternativi, come la somministrazione di OE. Per superare la crescente resistenza dei microbi
patogeni sono state individuate una varietà di piante medicinali con proprietà antimicrobiche.
Alcuni componenti degli olii essenziali (monoterpeni, monoterpeni, sesquiterpeni, e/o
fenilpropanoidi) derivati da piante aromatiche medicinali come il finocchio (Foeniculum
vulgare), la menta piperita (Mentha x piperita) e il timo (Thymus vulgaris), sono stati segnalati
da Reichling et al. (2009) come attivi contro batteri Gram-positivi e Gram-negativi, lieviti,
funghi e virus. Anche Solorzano-Santos & Miranda-Novales (2012) confermano tale dato
sostenendo che terpeni e terpenoidi, in particolare, siano dotati di attività inibitoria contro
Staphylococcus aureus.
In un recente studio è stato dimostrato che l‟olio di eucalipto e il suo componente
principale (1,8- cineolo), oltre ad avere proprietà antinfiammatorie ed analgesiche, possono avere
effetti antimicrobici contro molti batteri, tra cui Mycobacterium Tuberculosis e Staphylococcus
Aureus Meticillino-Resistente (MRSA), virus e funghi (tra cui la Candida) e per tali motivi è stato
ritenuto una valida alternativa ai prodotti farmaceutici (Sadlon & Lamson, 2010). L‟olio
essenziale di eucalipto è inoltre in grado di stimolare la risposta immunitaria cellulo-mediata
innata, inducendo l'attivazione di MDMs28 e stimolando la loro risposta fagocitaria (Serafino et
al, 2008). Tale dato potrebbe guidare verso lo sviluppo di una possibile nuova categoria di agenti
immunoregolatori, utile come coadiuvante nelle patologie immunosoppressive, nelle malattie
infettive e nel periodo seguente la chemioterapia (Serafino et al, 2008).
Halcon & Milkus (2004) hanno individuato delle potenzialità antimicrobiche contro MRSA
nell‟olio di tea tree (Melaleuca alternifolia), oltre che sostenere la sua utilità come terapia
aggiuntiva nel trattamento di osteomielite e ferite croniche infette. L‟olio di tea tree è infatti noto
per la sua attività antimicrobica e in un altro studio più recente è stata determinata la sua
efficacia contro lo Staphylococcus aureus, in quanto capace di eradicare l‟agente patogeno sia in
fase di crescita stazionaria che all'interno del biofilm (Kwieciński et al, 2009). Recentemente si è
dimostrato che l‟olio di tea tree (Melaleuca alternifolia) è, inoltre, attivo contro i micoplasmi,
batteri senza una parete cellulare rigida, che possono provocare l‟insorgenza di polmonite
nell‟uomo. Tetracicline e macrolidi sono gli antibiotici preferibilmente impiegati nel trattamento
delle infezioni ed esso correlate, tuttavia, negli ultimi anni, alcuni ceppi batterici hanno
sviluppato resistenza ad essi e l‟olio di tea tree sembra influenzare la struttura del citoscheletro
intracellulare del micoplasma, determinandone una perdita di virulenza e dimostrandosi dunque
efficace come trattamento complementare/alternativo (Reichling et al, 2009).
28
Human Monocyte Derived Macrophages: monociti derivati da macrofagi.
56
Come affermato nei capitoli precedenti, gli olii essenziali sono utilizzati per il trattamento
delle infezioni delle vie respiratorie grazie alle loro proprietà secretolitiche e secretomotorie,
determinanti la funzione espettorante. I batteri più frequentemente isolati dal tratto respiratorio
sono: Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae, Moraxella catarrhalis, e
Streptococcus pyogenes (Reichling et al, 2009).
S. pneumoniae, H. influenzae e M. catarrhalis risultano essere sensibili, in vitro, agli OE di
melissa (Melissa officinalis), timo (Thymus vulgaris), cannella (Cinnamomum verum) e
citronella (Cymbopogon citratus).
Si è ipotizzato che gli OE, in particolare composti da monoterpeni, possano avere attività
antimicrobica agendo a livello di fluidità citoplasmatica e permeabilità della parete cellulare di
batteri e funghi (Reichling et al, 2006).
Camporese (1998) nel suo studio afferma che gli OE maggiormente efficaci contro batteri
e funghi siano quelli contenenti fenoli, come origano (Origanum hirtum), timo (Thymus
vulgaris) e cannella (Cinnamomum zeylanicum), i quali risultano essere particolarmente attivi
contro Gram-postivi, Gram-negativi e candida. Egli, inoltre, afferma che il mancato sviluppo di
resistenza da parte dei patogeni nei confronti di OE sia determinato dalla complessa
composizione di questi ultimi e dai loro meccanismi d‟azione.
Oltre a funghi e batteri, anche vari virus, incluso l‟herpes simplex virus, sono risultati
essere molto sensibili all'azione inibitoria di alcuni olii essenziali. Tali dati sono stati supportati
da Reichling et al. (2009) che suggeriscono la loro applicazione come disinfettanti o farmaci
antivirali topici. L' attività antivirale degli olii essenziali è stata dimostrata per alcuni virus a
DNA ed RNA, come l'herpes simplex virus di tipo 1 e 2 (virus a DNA) e il virus dell'influenza
(virus a RNA), agendo sulla loro superficie cellulare. L‟effetto antivirale di diversi olii
essenziali, in particolare contro ceppi resistenti ad acyclovir, è stato provato di recente da
Schnitzler et al. (2007). Per l‟herpes zoster è stato dimostrato essere efficace l‟olio di geranio
(Pelargonium graveolens) che, se applicato precocemente, può impedire la replicazione virale
(Price & Price, 2003). Inoltre, l‟eugenolo, il componente principale dell‟olio di chiodi di
garofano (Syzygium aromaticum), ha dimostrato essere un agente molto efficace contro HSV-1 e
HSV-2 in vitro (Tragoolpua & Jatisatienr, 2007).
La difficoltà di reperire studi in vivo sull‟essere umano non permettono di produrre
evidenze concrete (Price & Price, 2003): gli studi in vitro presentano, infatti, ridotta
comparabilità e “generalizzabilità”, cioè difficoltà ad essere generalizzati all‟azione in vivo
sull‟uomo, soprattutto riguardo la somministrazione per via orale (Valussi, 2013).
57
L‟importanza delle proprietà antimicrobiche ed antisettiche degli OE non risulta essere tale
solo per la somministrazione diretta sull‟uomo, ma anche per la purificazione ambientale
attraverso gli appositi diffusori. Questo potrebbe trovare un‟utile applicazione in ambito sanitario
ed ospedaliero come ulteriore prevenzione per i rischi di contaminazione, riducendo il carico di
patogeni presenti nell‟aria (Valussi 2013).
58
CAPITOLO V
L’INDAGINE CONOSCITIVA
5.1 Obiettivi
L‟obiettivo principale dell‟indagine conoscitiva è stato quello di svolgere una revisione
bibliografica riguardo l‟efficacia dell‟aromaterapia come possibile trattamento complementare in
ambito ospedaliero.
Obiettivo secondario, correlato al principale, è stato esplorare la conoscenza della pratica
aromaterapica come cura complementare da parte di infermieri ed ostetriche, al fine ultimo di
valutarne l‟utilizzo durante l‟assistenza.
5.2 Disegno di studio
Inizialmente è stata effettuata una revisione di letteratura, al fine di sviluppare un elaborato
riguardo la medicina complementare, la legislatura vigente e l‟aromaterapia come trattamento ad
essa correlato. Successivamente è stato effettuato uno studio descrittivo trasversale.
5.3 Materiali e metodi
Lo studio si è svolto in due fasi: la prima fase caratterizzata dalla consultazione della
letteratura con l‟effettuazione di una revisione degli studi disponibili, la seconda fase sviluppata
con la somministrazione di un questionario strutturato “ad hoc”, disponibile in allegato n.1.
Nella prima fase sono stati consultati i seguenti libri di testo:
- Bensouilah J, Buck P. Aromadermatology: aromatherapy in the treatment and
care of common skin conditions. Radcliffe Publishing Ltd, UK. (2006).
- Buckle J. Clinical Aromatherapy. Essential oils in practice, second edition.
Churchill Livingstone, USA. (2003).
- Fundukian L.J. The Gale encyclopedia of alternative medicine, third edition.
Gale, Cengage Learning. (2009).
59
- Furlanut M. Farmacologia generale e clinica per le lauree sanitarie, seconda
edizione. Piccin, Padova. (2008).
- Martini F, Timmons M, Tallitsch R. Anatomia Umana – IV edizione. EdiSES,
Napoli. (2010).
- Pantaleo P. Al di là delle cure. Interventi complementari e di supporto in
oncologia. Franco Angeli, Milano. (2011).
- Price S, Price L. Trattato di aromaterapia. Red, Novara. (2003).
- Rankin-Box D. Terapie complementari – il manuale dell’infermiere. Seconda
edizione. McGraw-Hill, Milano. Curatore edizione italiana: Gamannossi M.
(2002).
- Ripa P, Baffi E. Le cure complementari e l’infermiere. Carocci, Roma. (2004).
- Tisserand R, Young R. Essential Oil Safety. A Guide for Health Care
Professionals, second edition. Churchill Livingstone. (2013).
- Valussi M. Il grande manuale dell’aromaterapia. Fondamenti di scienza degli oli
essenziali, seconda edizione. Tecniche nuove, Milano. (2013).
- Vizi E.S. Handbook of Neurochemistry and Molecular Neurobiology. NewYork:
Springer. (2008).
Sono stati, inoltre, consultati archivi indicizzati (PubMed; Cochrane; NCCAM - National
Center of Complementary & Alternative Medicine29; ILISI), ed altri archivi e riviste online (BMC
Complementary & Alternative Medicine; NAHA - National Association for Holistic
Aromatherapy; RCCM - The Research Council of Complementary and Alternative Medicine30;
CAMbrella31; AHNA - American Nursing Holistic Association; RCN - Royal College of Nursing
- In Touch).
5.4 Popolazione e setting
Per lo svolgimento dell‟indagine conoscitivo-esplorativa è stato individuato un campione
inclusivo degli operatori sanitari dal profilo infermieristico e/o ostetrico dell‟Azienda
Ospedaliero-Universitaria “S. Maria della Misericordia” di Udine (azienda complessa) e del
Presidio Ospedaliero di Palmanova, Azienda per i Servizi Sanitari n.5 “Bassa Friulana”
(ospedale di rete).
29
Parte di National Insitutes of Healt (NIH) .
30 Affiliazione a European Journal of Integrative Medicine.
31 Rete europea di ricerca per la medicina complementare ed alternativa.
60
Nello specifico, tra le strutture operative alle quali rivolgere i questionari, sono stati
individuati:
- Dipartimento di Medicina Interna, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine:
SOC Medicina Interna 1, sezione A; SOC Medicina Interna 2, sezioni A e B;
- Dipartimento di Oncologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine: SOC
Oncologia: degenza e Day Hospital;
- Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine:
Clinica Ostetrica e Ginecologica;
- Dipartimento di Medicina, Presidio Ospedaliero di Palmanova: SOC Medicina;
SOC Oncologia;
- Dipartimento Materno-Infantile, Presidio Ospedaliero di Palmanova: SOC
Ostetricia-Ginecologia.
Tale scelta è stata effettuata con l‟intento di circoscrivere il campo d‟indagine ad ambiti
simili, per complessità assistenziale e tipologia di assistenza infermieristica fornita, al fine di
effettuare un‟indagine omogenea in grado di porre a confronto due realtà sanitarie diversamente
ampie ed organizzate.
5.5 Questionario
Il questionario, per il quale si è richiesta la compilazione in forma anonima da parte degli
operatori sanitari inclusi nell‟indagine, si è articolato in tre principali sezioni:
- la prima, di carattere introduttivo, in cui sono state richieste informazioni generali
relative all‟operatore (genere, titoli di studio, struttura di appartenenza);
- la seconda, per l‟acquisizione di informazioni circa la conoscenza della pratica
aromaterapica nell‟ambito della struttura di riferimento e la possibile integrazione
della stessa con l‟assistenza infermieristica di base;
- la terza, riguardante l‟applicabilità dell‟aromaterapia e le aspettative degli
operatori, in merito alle potenzialità dell‟uso di questa tipologia di cura
complementare.
61
5.6 Rigore metodologico ed etico
Gli operatori sanitari coinvolti nell‟indagine hanno firmato un consenso in unico modulo,
disponibile in allegato n.2, inclusivo di partecipazione alla raccolta dati e trattamento dei dati
personali. A tutti gli operatori è stato garantito assoluto anonimato.
5.7 Raccolta ed analisi dei dati
I dati sono stati raccolti nel periodo intercorso fra agosto ed ottobre 2013.
Successivamente, gli stessi sono stati inseriti in un database creato “ad hoc” sul programma
“Microsoft Excel 2010” e tradotti da qualitativi a quantitativi, al fine di renderli misurabili e
confrontabili.
Al termine di questo processo sono state create delle tabelle di frequenza.
62
CAPITOLO VI
RISULTATI
Sono stati distribuiti 229 questionari e ne sono stati compilati 147 (64,2%).
Le caratteristiche degli operatori che hanno compilato i questionari sono rappresentate
nelle tabelle sottostanti.
Tabella n. 1: caratteristiche della popolazione
SESSO N. %
Maschi 9 6,12
Femmine 138 93,88
Totale 147 100
PROFILO PROFESSIONALE N. %
Infermieri/e 120 81,63
Ostetriche 27 18,37
Totale 147 100
TITOLO di STUDIO N. %
Diploma Regionale 71 48,30
Diploma Universitario 15 10,20
Laurea Triennale 61 41,50
Totale 147 100
ALTRI TITOLI N. %
Diploma Caposala 1 0,68
Master Coordinamento 7 4,76
Altri Master 5 3,40
Corso Perfezionamento sanità
pubblica
1 0,68
Laurea Specialistica 4 2,72
Dirigente Comunità 1 0,68
63
Seconda laurea 1 0.68
Altro (titolo non specificato o
diploma di maturità)
10 6,80
Nessun titolo 117 79,60
Totale 147 100
AZIENDA di
APPARTENENZA
N. %
AOUD 102 69,40
ASS. 5 45 30,60
Totale 147 100
STRUTTURA OPERATIVA N. %
Medicina Interna UD 33 22,4
Oncologia UD 25 17,0
Ginecologia UD 22 15,0
Ostetricia UD 22 15,0
Medicina Generale P 20 13,6
Oncologia P 6 4,1
Ostetricia Ginecologia P 19 12,9
Totale 147 100
Da quanto emerso dai dati raccolti è possibile descrivere una percentuale del sesso
femminile (93,88%) maggiore rispetto a quello maschile (6,12%).
Dei 147 operatori inclusi nello studio, il 41,5% dispone di laurea triennale, soltanto il
10,2% è abilitato previo diploma universitario, ed il 48,3% opera in seguito a conseguimento di
diploma regionale. Si può inoltre notare come soltanto il 20,4% del campione totale (30 su 147)
disponga di altro titolo e, di questi, la percentuale più alta corrisponda a titolo non specificato o
diploma di maturità (tabella n. 1).
La percentuale del campione con formazione complementare corrisponde al 14,3% degli
operatori inclusi nello studio; di questi il 6,8% corrisponde agli operatori dei reparti di medicina,
di entrambe le strutture ospedaliere, il 4,8% a quelli dei reparti di ostetricia e ginecologia ed il
rimanente 2,7% agli operatori dell‟oncologia (tabella n. 2).
64
Tabella n. 2: formazione CAM (Complementary and Alternative Medicine)
FORMAZIONE CAM N. %
Partecipazione a corsi 21 14,3
Mancanza di formazione 126 85,7
Totale 147 100
Prendendo in considerazione entrambe le realtà ospedaliere assieme, si può descrivere che
il 36,1% del campione corrisponde alla percentuale di operatori appartenenti alle realtà mediche,
il 21,1% alle realtà oncologiche, ed il 42,8% a quelle ostetrico-ginecologiche.
L‟82,3 % degli operatori risulta essere concorde nel sostenere la possibilità di integrazione
della medicina complementare con quella convenzionale, come illustrato nella tabella n. 3.
Tabella n. 3: integrazione medicina complementare
CAM e MEDICINA
CONVENZIONALE
N. %
Possibilità di integrazione 121 82,3
Integrazione non possibile 22 15,0
Astensione 4 2,7
Totale 147 100
Fra questi, delle 27 ostetriche incluse nel campione, 23 risultano in accordo con quanto
appena sostenuto (85,2%).
Tabella n. 4: conoscenza dell‟aromaterapia
CONOSCENZA
AROMATERAPIA
N. %
Operatori che conoscono 84 57,1
Operatori che non conoscono 63 42,9
Totale 147 100
AMBITO di RIFERIMENTO N. %
Sanitario 19 12,9
Centri benessere 52 35,4
Altro 25 17,0
Nessuna risposta 62 42,2
Totale 147 100
65
Coloro che affermano di conoscere l‟aromaterapia (57,1%) sono di poco superiori rispetto
a quelli che non la conoscono (42,9%) (tabella n. 4). Rispetto al contesto di riferimento, gli
operatori che hanno affermato di essere venuti a conoscenza di trattamenti aromaterapici in
ambito sanitario corrispondono al 12,9%, contro il 35,4% che riporta informazioni da centro
estetico ed il 17,0% da altri ambiti, fra cui il Corso di Laurea in Infermieristica (sede
sconosciuta), specificato da 1 solo operatore.
Tabella n. 5: Approcci e modalità di trattamento riconosciuti
APPROCCIO TERAPEUTICO
RICONOSCIUTO
N. %
Orale 11 7,48
Topica 60 40,81
Inalatoria 59 40,13
Nessuna risposta 64 43,53
Totale 147 100
TIPO di TRATTAMENTO
RICONOSCIUTO
N. %
Ansia 28 19,04
Dolore 26 17,68
Nausea 5 3,40
Estetico 5 3,40
Disinfezione ambientale 1 0,68
Infezioni vie aeree 2 1,36
Rilassamento 24 16,32
Disturbi psicosomatici 1 0,68
Influenza 3 2,04
Tensione muscolare 2 1,36
Insonnia 2 1,36
Benessere psico-fisico 3 2,04
Nessuna risposta 71 48,29
Totale 147 100
66
Diversi sono i dati che si sono potuti raccogliere in riferimento a tipologia di approccio e
trattamento riconosciuti dagli operatori e molte sono state le risposte multiple, che hanno portato
alla luce più informazioni rispetto a quelle attese, in quanto, non conoscendo il trattamento,
alcuni operatori si sono astenuti dal rispondere.
L‟approccio terapeutico maggiormente distinto risulta essere la somministrazione per via
topica (40,81%) seguito, subito dopo, da quella per via inalatoria (40,13%). La somministrazione
per via orale ha trovato invece difficile riscontro, con il 7,48% di operatori che ne hanno
sostenuto l‟applicazione in alcuni ambiti terapeutici.
Per quanto riguarda la tipologia di trattamenti descritti dal campione intervistato è possibile
notare come i picchi più alti si riferiscano ad ansia (19,04%), dolore (17,68%) e rilassamento
(16,32%). Altri tipi di trattamento emersi ricadono su nausea, trattamenti estetici, disinfezione
ambientale, infezioni delle vie aeree, disturbi psicosomatici, influenza, tensione muscolare,
insonnia e benessere psico-fisico in generale (tabella n. 5).
Nella terza ed ultima parte del questionario è emerso quanto descritto nella tabella
sottostante.
Tabella n. 6: potenziale applicabilità dell‟aromaterapia
FAVORIRE CONOSCENZA ed
APPLICABILITÀ in ambito
infermieristico/ostetrico
N. %
Utile 112 76,2
Nessuna utilità 31 21,1
Nessuna risposta 4 2,7
Totale 147 100
APPLICABILITÀ nella propria realtà
professionale
N. %
Favorevoli 88 59,9
Non favorevoli 55 37,4
Nessuna risposta 4 2,7
Totale 147 100
POSSIBILI MODALITÀ di APPLICAZIONE N. %
Diffusione ambientale 12 8,16
Applicazione topica 10 6,80
67
Ansia 15 10,20
Dolore 12 8,16
LDD (lesioni da decubito) 1 0,68
Infezioni respiratorie 1 0,68
Assistenza durante travaglio e parto 12 8,16
Rilassamento e riposo 10 6,80
Assistenza pre-post operatoria 2 1,36
Assistenza neonatale 2 1,36
Benessere 3 2,04
Depressione 7 4,76
Migliorare compliance paziente e relazione
terapeutica
5 3,40
Applicabile a domicilio ma non in ambito
ospedaliero
1 0,68
Nausea 5 3,40
Controllo effetti collaterali terapia farmacologica 2 1,36
Cure palliative 1 0,68
Assistenza pazienti oncologici 2 1,36
Assistenza in gravidanza e puerperio 2 1,36
Favorire comfort 1 0,68
Favorire aderenza a regime terapeutico 3 2,04
Non specificato 9 6,12
Necessità di formazione degli operatori 4 2,72
Non/difficilmente applicabile 9 6,12
Necessità di strutture più adatte (box singoli) 1 0,68
68
Favorire avvio di studi sperimentali 2 1,36
Nessuna risposta 59 40,13
Totale 147 100
Rispetto alla possibilità di applicazione dell‟aromaterapia, il 76,2% degli operatori sostiene
sia utile favorirne conoscenza ed utilizzo in ambito infermieristico-ostetrico e di questi, l‟85,2%
delle 27 ostetriche ha affermato lo stesso.
Riguardo l‟applicabilità del trattamento nelle diverse realtà professionali si può descrivere
una percentuale inferiore rispetto alla precedente, nonostante gli operatori che hanno espresso
parere favorevole (59,9%) abbiano comunque raggiunto una percentuale superiore rispetto ai non
favorevoli; anche in questo caso lo stesso può essere descritto per le ostetriche, con il 74,1% di
favorevoli su 27 operatori.
Coloro che hanno manifestato dei dubbi riguardo l‟applicabilità dell‟aromaterapia come
trattamento complementare hanno in più casi affermato che ciò sia difficile per una mancanza di
tempo ed un carico di lavoro eccessivo. Altri operatori che non si sono schierati a favore del
trattamento hanno espresso dei dubbi riguardo la sua reale efficacia.
Nell‟ultima parte della tabella n. 6 è possibile, infine, descrivere, le diverse modalità di
applicazione proposte dagli operatori. Nonostante il 40,13% si sia astenuto dal rispondere, è
interessante come siano emerse diverse potenziali tipologie di trattamento, in base all‟esperienza
professionale dei singoli individui; elencando le percentuali più eclatanti, l‟8,16% ha proposto
l‟applicabilità attraverso la diffusione ambientale, il 6,80% l‟applicazione topica, il 10,20% il
trattamento dei disturbi d‟ansia o ad essa correlati, l‟8,16% il trattamento del dolore, sempre
l‟8,16% l‟assistenza durante il travaglio ed il parto, il 6,80% la possibilità di favorire il
rilassamento. Altri trattamenti emersi in percentuale minore sono, in ordine decrescente:
depressione, miglioramento della compliance del paziente e della relazione terapeutica, nausea,
benessere in senso generale, miglioramento dell‟aderenza al regime terapeutico, assistenza pre-
post operatoria, neonatale, oncologica, in gravidanza e puerperio, controllo degli effetti
collaterali secondari a terapia farmacologica convenzionale, trattamento e/o prevenzione di LDD
(lesioni da decubito), infezioni respiratorie, assistenza domiciliare, cure palliative, miglioramento
del comfort del paziente.
Infine, si può notare che il 6,12% degli operatori, nonostante l‟approvazione
all‟applicabilità dell‟aromaterapia, non ha specificato alcun trattamento per carenze di
conoscenza; lo 0,68% ha espresso la necessità di strutture più adatte per favorirne l‟impiego;
l‟1,36% ha sostenuto sia fondamentale l‟avvio di studi sperimentali all‟interno dei rispettivi
69
ambiti lavorativi; il 6,12% ha affermato che l‟aromaterapia in ambito ospedaliero non sia
applicabile, o lo sia difficilmente.
Suddividendo il campione in base al titolo di studio degli operatori, come riportato nella
tabella sottostante, è stato infine possibile descrivere le diverse percentuali rispetto alla
propensione, da parte degli uni o degli altri, ad applicare un trattamento complementare.
Tabella n. 7: Differenze per titolo di studio
CAM e MEDICINA
CONVENZIONALE
Laurea Diploma
Universitario
Diploma
Regionale
Altri titoli 32
Possibilità di integrazione N. (%) 50 (82,0) 11 (73,3) 60 (84,5) 19 (95)
Integrazione non possibile N. (%) 8 (13,1) 4 (26,7) 10 (14,1) 0
Astensione N. (%) 3 (4,9) 0 1 (1,4) 1 (5)
Totale N. (% ) 61 (100) 15 (100) 71 (100) 20 (100)
FAVORIRE CONOSCENZA ed
APPLICABILITÀ in ambito
infermieristico/ostetrico
Laurea Diploma
Universitario
Diploma
Regionale
Altri titoli33
Favorevoli N. (%) 46 (75,4) 11 (73,3) 55 (77,5) 19 (95)
Non favorevoli N. (%) 13 (21,3) 4 (26,7) 14 (19,7) 1 (5)
Astenuti N. (%) 2 (3,3) 0 2 (2,8) 0
Totale N. (% ) 61 (100) 15 (100) 71 (100) 20 (100)
Ciò che si può descrivere è una percentuale sempre superiore al 70%, indipendentemente
dal fatto che gli operatori abbiano conseguito laurea, diploma universitario o diploma regionale,
ed una maggioranza quasi totale per gli operatori con altri titoli di studio, comprendenti dirigente
di comunità, diploma di caposala, master, corsi di perfezionamento, laurea specialistica, seconda
laurea.
32
Ad esclusione di titolo non dichiarato o diploma di maturità.
33 Ad esclusione di titolo non dichiarato o diploma di maturità.
70
CAPITOLO VII
CONCLUSIONI
L‟obiettivo dell‟indagine era quello di effettuare una revisione bibliografica riguardo
l‟efficacia dell‟aromaterapia ed esplorare la conoscenza di alcuni professionisti sanitari operanti
in ambito ospedaliero, in merito ad essa, al fine di identificare le potenziali possibilità di
applicazione del trattamento complementare analizzato nelle realtà sanitarie.
Dalla revisione della letteratura si può dedurre che la pratica aromaterapica è oggi
riconosciuta in diverse parti del mondo.
In Italia, nonostante il trattamento sia spesso ritenuto d‟ostacolo alla medicina tradizionale
occidentale, alcune regioni ed Università hanno avviato percorsi di riconoscimento,
legittimazione, promozione e tutela delle medicine complementari, promuovendo la formazione
e la specializzazione delle figure professionali coinvolte, in linea con il modello internazionale
ed inserendo in alcuni contesti la medicina non convenzionale all‟interno di un curriculum
universitario specifico (Tognetti Bordogna et al, 2013). Ciò che emerge è, dunque, la necessità di
ampliare competenze e conoscenze professionali volte a promuovere e preservare la salute, nello
svolgimento di attività di ricerca ed assistenza sanitaria pianificata.
Secondo gli studi reperiti, è dimostrabile che l‟aromaterapia può avere molteplici effetti
sulla salute dell‟uomo. Si può riscontrare, nello specifico, un aumentato interesse per la stessa,
come trattamento coadiuvante in particolare per disturbi psicologici e cognitivo-
comportamentali, come ansia, depressione e demenza (Yim et al, 2009), e per altri disturbi, quali
dolore, nausea, vomito e costipazione, in diverse condizioni di salute. Fra le proprietà
terapeutiche, riscontrabili in letteratura è possibile, inoltre, distinguere, grazie ad un importante
supporto sperimentale, quelle antimicrobiche.
Si può infine descrivere ampia documentazione sul massaggio aromaterapico e sulla
somministrazione di OE per via inalatoria, anche se in forma minore rispetto a quella per via
topica. Sulla somministrazione per via orale gli studi sono carenti.
Riguardo l‟indagine effettuata, la maggioranza del campione intervistato corrisponde ad
operatori sanitari operanti nei reparti di Ostetricia e Ginecologia, susseguiti rispettivamente dagli
operatori dei reparti di Medicina ed Oncologia. Di questi, 120 sono infermieri e 27 ostetriche e la
maggior parte del campione è di sesso femminile.
Altro dato di particolare rilevanza per lo studio corrisponde alla minima percentuale del
campione con formazione complementare: infatti, soltanto il 14,3% degli operatori ha
71
partecipato a corsi di aggiornamento riguardo medicina e trattamenti complementari. Questo ci
riconduce a quanto affermato nella revisione della letteratura, in cui emerge come la carenza di
percorsi formativi riguardo le medicine non convenzionali in Italia comporti una difficile
applicabilità dei diversi trattamenti ad essa correlati.
Indagando sulla possibilità di integrazione della medicina complementare con quella
convenzionale ed alla conoscenza degli operatori rispetto all‟aromaterapia, in riferimento agli
ambiti in cui ne sono venuti a conoscenza ed agli approcci terapeutici recepiti, si può dedurre che
la maggior parte del campione analizzato ha sostenuto la possibilità di integrazione fra medicine
convenzionali e non. Questo dato ci porta ad affermare che gli operatori sanitari sono propensi
all‟utilizzo di trattamenti complementari in associazione ai trattamenti ufficialmente riconosciuti
in ambito sanitario. Si può inoltre notare che, fra gli operatori che conoscono l‟aromaterapia, il
12,9% ha dichiarato di esserne venuto a conoscenza in ambito sanitario: tale informazione
suggerisce che, nonostante la difficoltà a reperire informazioni in merito al suo utilizzo in realtà
“protette” come quella ospedaliera, una minima parte del campione ne abbia dimostrato
l‟esistenza.
Un‟indagine ISTAT del 2007 ha dimostrato come la propensione a far uso di metodi di
cura non convenzionali da parte della popolazione aumenti con l'elevarsi del titolo di studio
(Wiesener et al, 2012). Rispetto alla presente ricerca, è emerso che non c‟è forte disparità fra gli
operatori con diverso titolo di studio, nonostante la numerosità del campione non sia ugualmente
confrontabile. Si può dedurre invece, a conferma di quanto detto sopra, che fra gli operatori con
altro titolo di studio, fra cui si distinguono nello specifico i titoli di dirigente di comunità,
diploma di caposala, master, corsi di perfezionamento, laurea specialistica e seconda laurea,
l‟adesione alle terapie non convenzionali, ed in particolare all‟aromaterapia, risulta essere molto
elevata (95% su 20 operatori).
Dalle informazioni raccolte in merito alla valutazione della possibile applicabilità
dell‟aromaterapia ed alle aspettative di ognuno riguardo le potenzialità d‟uso di questa tipologia
di cura complementare, riferite all‟esperienza personale di ciascun operatore, si può rilevare un
forte interesse di questi ultimi all‟utilizzo dell‟aromaterapia, nonostante si siano riscontrati dubbi
e perplessità da parte di alcuni.
Indipendentemente dal fatto di conoscere o aver sperimentato direttamente le terapie non
convenzionali, il 76,2% del campione ha espresso un giudizio positivo sull‟utilità del
trattamento. Tali informazioni sono state integrate da un percepito comune secondo il quale
ampliare le conoscenze dei professionisti della salute, promuovere trattamenti volti al benessere
del paziente, favorire un ambiente di cura più confortevole ed infine concepire l‟uomo come il
72
tutto all‟interno del processo di cura, sostenendo l‟importanza della visione olistica della
persona, sia qualcosa di estremamente positivo e necessario per garantire assistenza
infermieristica ed ostetrica adeguata e migliore.
Valutare la possibilità di applicazione ha, inoltre, permesso di individuare alcune difficoltà
che potrebbero rappresentare un limite nella realtà: il 37,4% degli operatori ha, infatti, dubitato
ed espresso parere sfavorevole riguardo l‟applicabilità nel proprio contesto professionale e ciò
che si è maggiormente riscontrato è stata la difficoltà di conciliare innovazione e routine,
quest‟ultima standardizzata da tempi ristretti e carico di lavoro eccessivo.
Fra le tipologie di trattamento aromaterapico recepite e proposte dalla popolazione emerge
un dato in accordo con quanto riportato in letteratura: il disturbo d‟ansia, il rilassamento ed a
seguire il trattamento del dolore, risultano essere quelle maggiormente riconosciute come
possibili modalità di applicazione. È inoltre interessante riscontrare una difficoltà a reperire
informazioni riguardo la somministrazione degli olii essenziali per via orale, riguardo la quale
anche gli studi in letteratura non sono esaustivi (Sienkiewicz et al. 2012).
7.1 Limiti dello studio
I limiti principali dello studio sono la ridotta numerosità del campione, l‟assenza di dati
riguardo l‟età degli operatori inclusi nell‟indagine e la somministrazione di un questionario
molto ristretto.
Per i suddetti motivi si ritiene necessario l‟avvio di ulteriori studi che, considerando un
campione quantitativamente superiore, includendo l‟età nelle caratteristiche demografiche della
popolazione, elaborando un questionario più ampio e strutturato in modo più complesso,
raccogliendo un numero maggiore di informazioni, o effettuando delle interviste dirette al
personale, potrebbero portare alla formulazione di risultati, reali, misurabili e quindi più
attendibili.
È inoltre fondamentale stimolare la ricerca scientifica e sperimentale per dimostrare
ulteriormente l‟efficacia del trattamento aromaterapico e stimolare, conseguentemente,
l‟interesse degli operatori sanitari ad ampliare le proprie conoscenze e competenze, rispetto alle
terapie complementari e non convenzionali.
73
Allegato n.1
Questionario
Gentile Infermiera/e
sono una studente del C.d.L. in infermieristica di Udine ed, ai fini dello svolgimento del mio
lavoro di tesi di laurea, Le propongo la compilazione del seguente questionario, che contiene
alcune domande sulla pratica dell’aromaterapia in ambito ospedaliero.
Lo scopo è di avere a disposizione informazioni in merito alla conoscenza del trattamento
aromaterapico (applicazione orale, topica o per via inalatoria di olii essenziali) ed alla sua
applicabilità in contesto ospedaliero, ed individuare strategie di medicina complementare da
poter utilizzare nella pratica clinica.
La compilazione è in forma anonima.
Grazie del tempo dedicato e della Sua preziosa collaborazione.
1. Genere
Maschio
Femmina
2. Titolo di studio
Diploma regionale
Diploma universitario
Laurea triennale
3. Altri titoli
Master (specificare quale)____________________________________________
Laurea specialistica
Altro ____________________________________________________________
4. Azienda e Struttura Operativa di appartenenza
_______________________________________________________________________
5. Ha frequentato corsi di formazione inerenti le pratiche di medicina complementare?
Sì
No
6. Ritiene che la medicina complementare possa essere integrata alla medicina tradizionale?
Sì
No
74
7. Conosce l‟aromaterapia? (se No passi alla domanda 11)
Sì
No
8. In quale ambito ne è venuto a conoscenza?
Sanitario
Centri Benessere
Altro (specificare) _________________________________________________
9. Secondo quale approccio terapeutico veniva applicata? Somministrazione per via:
Orale
Topica (massaggi, applicazione su cute o mucose)
Inalatoria (diffusione ambientale, inalazione da stoffe)
10. A quale trattamento era focalizzato il suo utilizzo? (dolore, ansia, nausea-vomito etc.)
_______________________________________________________________________
11. Secondo quanto riportato dalla letteratura, la possibilità di promuovere il benessere psico-
fisico dei pazienti attraverso questo tipo di trattamento è concreta. Ritiene, dunque,
potrebbe essere utile favorirne conoscenza ed applicabilità in ambito infermieristico?
Sì
No
Motivare brevemente la risposta
_______________________________________________________________________
_______________________________________________________________________
12. Lei, personalmente, sarebbe interessato a conoscere meglio ed applicare l‟aromaterapia
nella sua realtà professionale?
Sì
No
13. In riferimento all‟ambito in cui sta prestando servizio, come potrebbe essere applicata?
(Compilare solo se ha risposto Sì alla domanda precedente)
_______________________________________________________________________
_______________________________________________________________________
75
Allegato n. 2
Modulo di consenso
Gentile Utente, mi chiamo TOLLOI FRANCESCA e sono una studente, iscritta al III anno
accademico del Corso di Laurea in Infermieristica, con sede a Udine.
Per elaborare la tesi di laurea dal titolo “L’aromaterapia: un possibile trattamento
complementare in ambito ospedaliero?”, ho la necessità di effettuare una raccolta dati, con
alcune semplici domande, relative alla sua esperienza.
Le chiedo cortesemente se potesse dedicarmi alcuni minuti per rispondere a tali domande,
tramite questionario. A garanzia del rispetto dell‟art.26 del D.Lgs 196/2003 (Garanzie per i dati
sensibili), si assicura che i dati rilevati saranno oggetto di trattamento solo con il Suo consenso
nell‟osservanza della suddetta legge.
La ringrazio per l‟attenzione dedicatami.
Cordiali saluti
Firma dello studente
_____________________________
CONSENSO ALLA PARTECIPAZIONE ALLA RACCOLTA DATI
(mediante questionario)
Io sottoscritto (Nome e Cognome) _________________________________ acconsento a
partecipare alla raccolta dati, finalizzata alla tesi di laurea, compilando il questionario
propostomi.
Firma
lì,____________________ ____________________________
CONSENSO AL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI
Io sottoscritto (Nome e Cognome) ___________________________________________,
dichiaro di aver ricevuto le informazioni di cui all‟art. 13 del D.Lgs 196/2003, in particolare
riguardo ai diritti a me riconosciuti dalla legge ex art. 7 del D.Lgs 196/2003, acconsento al
trattamento dei miei dati con le finalità e per le finalità indicate nell‟informativa stessa,
comunque strettamente connesse e strumentali alla stesura della tesi dal titolo “L’aromaterapia:
un possibile trattamento complementare in ambito ospedaliero?”.
Firma
lì,____________________ _____________________________
76
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