131
un’ Avventura TORINESE P I E R L U I G I B A S S I G N A N A ENTI E IMPRESE PER TORINO RESTAURO, VALORIZZAZIONE, FRUIZIONE

Un'Avventura Torinese

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Enti e imprese per Torino, restauro, valorizzazione, fruizione

Citation preview

Page 1: Un'Avventura Torinese

un ’A v v e n t u r aTORINESEP I E R L U I G I B A S S I G N A N A

ENTI E IMPRESE PER TORINORESTAURO, VALORI ZZAZ IONE, FRU I Z IONE

Page 2: Un'Avventura Torinese

ENTI E IMPRESE PER TORINORESTAURO, VALORI ZZAZ IONE, FRU I Z IONE

un ’A v v e n t u r aTORINESEP I E R L U I G I B A S S I G N A N A

Page 3: Un'Avventura Torinese

ENTI E IMPRESE PER TORINORESTAURO, VALORI ZZAZ IONE, FRU I Z IONE

un ’A v v e n t u r aTORINESEP I E R L U I G I B A S S I G N A N A

Page 4: Un'Avventura Torinese

i n t r od u z i on e

La Consulta riunisce 30 aziende ed enti impegnati nella valorizzazione del patrimonio

artistico del territorio torinese ed ha celebrato i vent’anni della fondazione nel 2007.

Sono stati investiti più di venti milioni di euro, realizzati trentadue interventi di restauro

e fruizione in collaborazione con le Istituzioni e gli Enti di tutela.

Le scelte sono effettuate in base ai criteri di rilevanza e urgenza dell’intervento, rapidità

e certezze autorizzative di realizzazione, cadenza annuale o biennale e ritorno d’immagine.

Questo percorso ha consentito alla Consulta un riconoscimento a livello locale e nazionale,

con una ricaduta positiva sull’immagine delle aziende ed enti che ne fanno parte.

Si è creata una circolarità virtuosa tra Istituzioni, Soprintendenze, Responsabili di Musei,

Enti e Fondazioni che ha permesso di far conoscere la nostra Città oltre la tradizionale leadership

industriale.

Il mecenatismo si trasforma, si inaugurano nuove forme di collaborazione tra pubblico

e privato, tra Imprese e Beni Culturali. In parallelo agli interventi di restauro, l’attenzione è rivolta

a migliorare la valorizzazione e la fruizione dei beni culturali, anche utilizzando le professionalità

presenti nella gestione delle imprese, con l’intento di ampliare i pubblici interessati e utilizzare

meglio le risorse disponibili.

La Consulta è un “valore” per il territorio torinese. I Soci hanno dedicato tempo e impegno

e sentono la responsabilità di mantenere e sviluppare questo unicum che Torino ha rispetto

ad altre città italiane.

Il Presidente

Lodovico Passerin d’Entrèves

Page 5: Un'Avventura Torinese

S I R I N G R A Z I A N O :

Accademia Albertina di Belle Arti

Archivio di Stato

Archivio Storico della Città di Torino

Biblioteca Reale

Città di Torino

Confraternita Santissimo Sudario

Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte

Fondazione Camillo Cavour

Fondazione Ordine Mauriziano

Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea

Museo Nazionale del Cinema

Museo Nazionale del Risorgimento Italiano

Palazzo Madama - Museo Civico d’Arte Antica

Provincia di Torino

Regione Piemonte

Società Promotrice delle Belle Arti

Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte

Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte

Teatro Regio di Torino

Università degli Studi di Torino

F O T O G R A F I E :

Ove non altrimenti specificato, le fotografie sono di Bruna Biamino

1. INCOMINCIA L’AVVENTURA 2

2. Facciate 24

3. NUOVE ESPERIENZE 44

4. ritorno alle origini 70

5. un sogno a lungo coltivato 80

6. il fascino discreto della cultura 92

7. monumenti 104

8. un teatro d’acque 122

9. per fare bella torino 136

10. NUOVI PERCORSI 156

11. EFFETTI COLLATERALI 174

12. NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE 199

13. CONTINUITA’ NELLA DIVERSITA’ 207

- 1987 -2010 gli interventi della consulta 210

- i soci della consulta 239

ENTI E IMPRESE PER TORINORESTAURO, VALORI ZZAZ IONE, FRU I Z IONE

P I E R L U I G I B A S S I G N A N A

u n ’A v v e n t u r aTORINESE

indice

Page 6: Un'Avventura Torinese

2 un’Avventura TORINESE 1. incomincia l’avventura 3

I. INCOMINCIA L’AVVENTURA

In un assolato mattino d’inizio estate un gruppetto di torinesi si era

dato appuntamento in piazza CLN. Proteggendosi dal sole nell’ombra dei

portici, i cittadini colà radunati guardavano con attenzione le due sculture

addossate alla parte posteriore delle chiese che fanno da quinta alla piazzetta

proiettando l’attenzione dei passanti sulla statua di Emanuele Filiberto

collocata al centro dell’adiacente piazza San Carlo. Era il 24 giugno 2005,

giorno di san Giovanni, patrono della Città, e quelle persone attendevano

l’arrivo del sindaco che avrebbe dato inizio a una cerimonia che, nella

memoria di molti, presentava addirittura aspetti prodigiosi.

Il sindaco, infatti, munito di uno degli oggetti più emblematici

della nostra era tecnologica – il telecomando – avrebbe dovuto ridare

vita alle fontane sottostanti le due allegorie del Po e della Dora,

riattivando il nastro d’acqua che da tempo quasi immemo rabile

si era prosciugato, quasi si fosse interrato nelle viscere

della terra, negando ai torinesi, nei giorni estivi, quella

sensazione di refrigerio che ora erano costretti a ricercare

sotto i portici, accontentandosi delle lame d’ombra

proiettate dalle colonne.

E, puntualmente, all’arrivo del sindaco l’evento si verificò. Dopo il discorso di rito,

il telecomando non deluse le attese. Superato l’attimo di incertezza durante il quale ci

si chiede se l’aggeggio che stiamo manovrando funzionerà effettivamente, l’acqua prese

a sgorgare, limpida e apparentemente fresca, dalle fessure che tagliano a metà la base dei due

monumenti. Dopo anni di incuria, con lo smog impegnato ad annerire le statue e le vasche

trasformate in ricettacolo di cartacce, cicche e immondizie varie, il monumento era finalmente

restituito alla Città e alla fruizione dei cittadini.

Ma dietro a questo risultato non vi era nulla di prodigioso. Il prodigio, se tale può

essere considerato, consisteva invece nell’attività di un’istituzione cittadina che da tempo si

preoccupava di recuperare, ripristinandone l’antico splendore, pezzi significativi dell’identità

culturale torinese: la «Consulta per la valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino»,

meglio conosciuta come la «Consulta» tout court.

Questa è dunque la storia di un’istituzione fondata ufficialmente nel 1987 e dei

risultati da essa conseguiti in venti anni di attività. Una storia che, attraverso gli uomini,

le iniziative, le realizzazioni, ha fatto della Consulta un unicum nel panorama dei soggetti che

in Italia si occupano, a vario titolo, di arte, della sua salvaguardia e della sua promozione.

Al momento della sua costituzione, la Consulta veniva a colmare, a Torino, un vuoto

che in tutto il Paese diventava di giorno in giorno più evidente, e per molti versi imbarazzante,

non soltanto per ciò che riguardava la tutela e la salvaguardia dei monumenti, ma ancor

più sotto il profilo dello stimolo e del coordinamento, alla cui concretizzazione il Ministero

per i Beni Culturali, benché creato nel 1974, non aveva ancora dato, verso la metà degli anni

Ottanta, un contributo significativo.

In effetti, lungo tutto il decennio 1970 gli interventi rivolti alla tutela e conservazione del

patrimonio artistico nazionale erano stati pochi, frutto più di scelte occasionali ed estemporanee,

che non di una politica coerente e razionale. Poteva capitare che una singola impresa,

per celebrare una qualche ricorrenza aziendale, decidesse di intervenire a proprie spese per

il recupero di questo o quel monumento, per il restauro di questo o quel ciclo di affreschi. Come

pure poteva avvenire che fossero assegnati fondi per il restauro d’urgenza di qualche edificio

pubblico, salvo, poi, lasciare il cantiere interrotto quando le risorse a disposizione si esaurivano.

1VILLA DELLA REGINA, VISTA DALLA GROTTA

DEL RE SELVAGGIO,

DOPO I RESTAURI

Page 7: Un'Avventura Torinese

4 1. incomincia l’avventura 5un’Avventura TORINESE

Altre erano, in quel periodo, le priorità che il settore pubblico era chiamato

ad affrontare. Non è superfluo, infatti, ricordare che gli anni successivi al 1969, e sino al 1980,

si caratterizzarono, oltre che per le conseguenze dell’«autunno caldo» e della conflittualità

permanente, anche per altri eventi traumatici: dai tentativi di destabilizzazione provocati

da frange terroristiche, alle ricorrenti crisi petrolifere; eventi tutti, a fronte dei quali la società

italiana, nel suo complesso, si trovò sostanzialmente impreparata. A partire dal 1973 i prezzi

dell’energia e delle materie prime raggiunsero livelli inusitati e imprevedibili, collocando

stabilmente l’inflazione al di sopra del dieci per cento, con il risultato finale di una dinamica

del costo del lavoro eccessivamente accelerata.

Capitava dunque che anche quando, per avventura, venivano reperite risorse

da destinare a interventi di restauro, esse si rivelassero ben presto insufficienti ad assicurare

il completamento dell’opera. E comunque, l’incertezza sull’andamento dei costi era tale

da scoraggiare anche i più volenterosi dallo sviluppare programmi organici d’intervento.

Ma in realtà le risorse non c’erano, perché la finanza pubblica versava in pieno

dissesto, reso manifesto dal crescente deficit del bilancio dello Stato. I fabbisogni del settore

pubblico allargato stavano assorbendo più del dieci per cento del reddito nazionale,

provocando la paralisi di qualsiasi politica, minimamente decorosa, di investimenti pubblici.

Se non c’erano quattrini per l’ordinaria manutenzione della viabilità, era quasi impensabile

che se ne trovassero per il restauro di monumenti.

Restavano soltanto le iniziative estemporanee, come quella che, per rimanere

a Torino, alla fine del decennio, ebbe per oggetto il monumento di piazza San Carlo, dedicato

a Emanuele Filiberto. L’evento, a livello torinese, ebbe risonanza, ma più per le circostanze

che lo accompagnarono che non per l’importanza intrinseca dell’operazione.

Per effetto di agenti atmosferici e batterici, il monumento versava effettivamente

in condizioni di notevole degrado, ed era urgente provvedere. Normalmente, in casi del genere

– come confermano anche i più recenti interventi, uno dei quali in corso su quello stesso

monumento – si costruisce attorno all’opera da restaurare un apposito riparo, al cui interno

gli specialisti incaricati della bisogna procedono alle operazioni ritenute necessarie. In quella

circostanza, invece, l’amministrazione cittadina ritenne più proficuo spettacolarizzare l’evento,

rimuovendo la statua dal basamento. Si riteneva che l’immagine del cavallo, sollevato dal suo

piedistallo e penzolante sulla testa dei torinesi che passavano da quelle parti avrebbe

certamente fatto il giro, se non del mondo, almeno dei borghi cittadini, a maggior gloria

di chi l’aveva voluta.

Ma i proponenti avevano fatto male i loro calcoli. Bisogna ricordare che il gruppo

bronzeo era rimasto al suo posto anche durante la prima fase della seconda guerra mondiale,

sino a quando, in conseguenza dei ripetuti

bombardamenti, si era ritenuto più

prudente smontarlo e trasferirlo altrove,

salvo poi ricollocarlo sul suo piedistallo nel

1946. Nel frattempo, però, le istruzioni

di fissaggio dei tre zoccoli del cavallo

al basamento, redatte all’atto della risi -

stemazione, erano andate smarrite, e si

pensava che fosse sufficiente imbragare

convenientemente la statua e farla solle -

vare da una gru appositamente convocata.

Il cavallo, però, non era della stessa

opinione; essendo riuscito a resistere

impavido alle bombe sganciate in grande

quantità sulla piazza dai Lancaster della RAF, non aveva nessuna voglia di farsi scalzare dal suo

piedistallo in una maniera così prosaica, per non dire ingloriosa. Non per nulla il cavaliere

che lo montava era noto anche come «Testa di Ferro».

Epica fu la resistenza del cavallo, che per ben due giorni si oppose agli assalti sempre

più pressanti del mezzo meccanico; poiché la situazione stava diventando imbarazzante, forse

troppo, non restava che adottare a mali estremi, estremi rimedi. E così, all’alba del terzo

giorno, il cannello della fiamma ossidrica permise di liberare i perni fissati nel cemento e final -

mente il destriero, vinto ma non domo, poté compiere il suo viaggio trionfale attraverso

la città, sino al laboratorio che avrebbe provveduto alla ripulitura.

Quell’episodio doveva rimanere, almeno per Torino, l’ultimo esempio di un’inter -

vento isolato nel campo della tutela delle opere d’arte, perché con gli anni Ottanta

il panorama migliorò sensibilmente. Intanto, mutarono le condizioni economiche generali.

Nel 1980 l’inflazione aveva toccato la punta più alta, attestandosi al 21,7 per cento

e rendendo evidente che l’opera di risanamento non poteva più essere rinviata.

Ad attuarla fu la Banca d’Italia. Se durante il decennio precedente la sua azione era

stata condizionata dal timore che una politica di rigore monetario avrebbe avuto come

conseguenza un aumento della disoccupazione, con la sconfitta del terrorismo maturavano

anche le condizioni per un’azione più rigorosa. Venivano così alzati sensibilmente i tassi

di interesse e si inaugurava una doverosa politica del cambio, che avrebbe condotto

all’apprezzamento della lira in conformità con il suo ingresso nel Sistema Monetario

Europeo.

ALFONSO BALZICOMONUMENTO

A FERDINANDO

DI SAVOIA,

1877

Page 8: Un'Avventura Torinese

6 1. incomincia l’avventura 7un’Avventura TORINESE

Nell’immediato, la stretta creditizia che ne derivò avrebbe aumentato le difficoltà

del sistema, ma nella prospettiva di qualche anno lo avrebbe irrobustito. Se è vero che gli anni

1980-1983 sono ricordati come il «quadriennio nero», è anche vero che già nel 1984

l’inflazione, per la prima volta dopo molti anni, scese sotto il dieci per cento, e la discesa

sarebbe proseguita anche negli anni successivi, dando così inizio a quello che sarà ricordato

come il più lungo periodo ininterrotto di espansione dell’economia italiana.

Mutando in meglio le prospettive economiche, mutava anche l’atteggiamento

generale verso la tutela dei beni culturali. Con il ritorno a bilanci più floridi, aumentò

la propensione delle imprese a investire in immagine, al miglioramento della quale si riteneva

– e con ragione – che la sponsorizzazione di iniziative culturali di vasto respiro giovasse

in misura notevole. A favorire l’inversione di tendenza contribuì non poco l’approvazione

della legge 512 del 1982. Con quel provvedimento, infatti, veniva fissata tutta una serie

di incentivi rivolti a incoraggiare la proprietà privata a effettuare interventi di conservazione

e manutenzione degli edifici storico-artistici vincolati. Sino a quel momento i beni in

questione erano considerati dal fisco come generatori di reddito, destinato naturalmente

a incrementarsi e quindi a procurare risorse all’erario, anche quando essi non potevano avere,

per le loro caratteristiche, alcuna destinazione a finalità economiche. La nuova legge, invece,

stabiliva il principio che il proprietario del bene vincolato aveva la possibilità di dedurre

dal proprio imponibile gli oneri sostenuti per i restauri e la manutenzione degli edifici di sua

proprietà, sanando così l’anomalia consistente nell’assoggettare a imposizione spese per

lo più improduttive di reddito.

Ma ancor più importante ai fini della promozione di iniziative di restauro a opera

dei privati era quella parte della legge che considerava deducibili dall’ammontare dei redditi

«le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni,

di associazioni legalmente riconosciute che senza scopo di lucro svolgono o promuovono attività

di studio, di ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale e artistico, effettuate

per l’acquisto, la manutenzione, la protezione o il restauro delle cose indicate nell’articolo 1 della

legge 1° giugno 1939, n. 1089 [omissis] comprese le erogazioni effettuate per l’organizzazione

di mostre e di esposizioni che siano di rilevante interesse scientifico-culturale delle cose anzidette,

e per gli studi e le ricerche eventualmente a tal fine necessari».

Anche se la deduzione dal reddito era soltanto parziale e le condizioni necessarie

per ottenerla non sempre facilmente realizzabili, si trattò di una vera e propria rivoluzione,

che vide moltiplicarsi in maniera impressionante, da parte delle imprese industriali e ancor

più del sistema bancario, i casi di sponsorizzazione di interventi di restauro e recupero,

nonché di iniziative le più svariate, purché potessero fregiarsi dell’appellativo di «culturali».

Dieci milioni qui, dieci milioni là, le domande arrivano a centinaia, rivoli di denaro

che a fine anno rappresentano, per le aziende, miliardi, ma anche uno degli aspetti credibili

della vita culturale torinese.

Forse le cose non stavano proprio come scriveva La Repubblica del 13 settembre

1991, ma indubbiamente, nel volgere di pochi anni, il clima era completamente mutato, anche

perché nel frattempo stavano mutando i soggetti e i contenuti del complesso rapporto che

intercorre tra l’opera d’arte, o più in generale il bene culturale, e la sua tutela, la sua

valorizzazione, la sua promozione. Alla figura del mecenate tradizionale, persona fisica,

singolo protettore illuminato delle arti e degli artisti, si stava sostituendo con frequenza

crescente il mecenate collettivo rappresentato dall’impresa o, comunque, dal soggetto

con finalità economiche, che non si identificavano più in questo o quell’individuo, ma

nel marchio, o «logo», sociale.

Certo, anche l’impresa, talvolta, era indotta a comportarsi come il mecenate

tradizionale, ad esempio facendosi progettare gli immobili sociali da architetti di grido, e poi,

una volta ultimati, abbellendoli con statue di artisti famosi e arredando le sale con dipinti

di pittori celebrati. Ma si trattava di una coperta che diventava sempre più stretta, e che,

soprattutto, non assicurava visibilità.

DOMENICO FERRI E GIUSEPPE BOLLATIPALAZZO CARIGNANO,

FACCIATA, 1864-1871

Page 9: Un'Avventura Torinese

8 1. incomincia l’avventura 9un’Avventura TORINESE

Questa poteva essere garantita soltanto da interventi rivolti al pubblico,

possibilmente condivisi dalla collettività entro la quale venivano posti in essere, e perciò

stesso riconoscibili. E proprio l’attitudine dell’impresa a comportarsi di volta in volta sia come

mecenate tradizionale sia come mecenate collettivo dimostrava quanto fosse artificiosa

la distinzione, che pure da qualche parte era stata adombrata, fra il mecenate, persona

disinteressata, mossa unicamente dal sacro fuoco dell’arte, e lo sponsor, soggetto mosso

da finalità meno nobili, come potevano essere il ritorno d’immagine, o addirittura il ricavo

economico.

L’impresa era dunque il nuovo mecenate. Se questa affermazione era vera, allora,

come osservava il Lessico dei beni culturali, «occorre che il mecenatismo testimoni

la responsabilità etica e sociale dell’impresa e contribuisca a sviluppare una relazione positiva

tra questa e il contesto esterno. Perché ciò avvenga le imprese debbono tralasciare iniziative

estemporanee e disparate e diventare protagoniste stabili dell’attività artistica, culturale,

ecologica, umanitaria attraverso la realizzazione di un progetto di lungo periodo, fondato

su una continuità di valori condivisi. Devono, insomma, ascoltare di più

la società e rispondere alle esigenze che essa manifesta, non solo in

termini economici, ma anche mettendo a disposizione la propria

struttura e le proprie risorse manageriali e organizzative».

Non era dunque improprio che i media parlassero di un

"nuovo Rinascimento", individuando negli imprenditori i nuovi

mecenati destinati a rinverdire le gesta dei loro predecessori: «Nel

Rinascimento erano principi e signori amanti delle belle arti, adesso

PELAGIO PALAGIPALAZZO REALE,

CANCELLATA,

1834

Page 10: Un'Avventura Torinese

10 1. incomincia l’avventura 11un’Avventura TORINESE

sono banche e società assicurative. Una volta finanziavano costruzioni, edifici, affreschi

e ritratti, chiese e basiliche, ora parte delle loro ricchezze le impiegano per mantenere restauri,

consolidamenti, salvataggi, scoperte». Ma a ben guardare, la situazione, rispetto al primo

Rinascimento, non era poi molto cambiata: in fondo, anche i Medici avevano iniziato come

operatori economici…

A destare l’interesse, e l’ammirazione, della stampa era la natura privatistica degli

interventi, la capacità delle imprese di macinare profitti su profitti, dopo gli anni opachi e per

molti versi preoccupanti del decennio 1970-1980. E, accanto a questi risultati, destavano

ammirazione anche la volontà delle imprese di investire una parte dei profitti in cultura

e la loro capacità di gestire proficuamente risorse anche su terreni certamente poco familiari,

quali quelli del recupero e del restauro dell’opera d’arte.

In sostanza, sosteneva l’articolista, «le strutture private quando affrontano

problematiche legate ai beni culturali hanno sempre la loro costante e giusta conduzione

imprenditoriale e dimostrano, soprattutto, di essere in grado di affrontare problemi

di carattere socio-culturale, in chiave economica, meglio dello Stato». Donde la provocazione:

«E se privatizzassimo l’assessorato ai Lavori Pubblici?».

In questa scoperta della capacità del privato sul pubblico vi era forse un eccesso

di enfasi, ma indubbiamente le realizzazioni che si potevano concretamente verificare erano

molte, e tutte importanti. Gli anni attorno al 1990 rappresentarono per molti versi

un momento magico per la sponsorizzazione di grandi interventi, che coinvolsero molti

degli edifici-simbolo della realtà torinese. In un arco di tempo brevissimo si ebbero interventi

di grande portata sulla Basilica di Superga, il Museo Egizio, la chiesa dei Santi Martiri

(tutti sponsorizzati dalla neonata Compagnia di San Paolo); altri interventi riguardarono

invece la Palazzina di Caccia di Stupinigi, il Castello di Rivoli, il primo piano di Palazzo Reale

(sponsorizzati da Fiat e Fondazione CRT). Contemporaneamente, sempre a cura degli stessi

soggetti venivano allestite grandi mostre come «Da Leonardo a Rembrandt» o quella delle

«Porcellane e Argenti del Palazzo Reale di Torino» o ancora quella sulla pittura russa

al Lingotto.

Tutti impegni, come si può notare, di notevole rilievo, che comportavano

investimenti di molte decine di miliardi, e quindi alla portata di grandi realtà economiche,

e dai quali restava pertanto esclusa tutta una serie di soggetti che, se pure estremamente

significativi nel panorama industriale ed economico cittadino, non erano adusi a stanziare

singolarmente le ingenti risorse necessarie a realizzare sponsorizzazioni individuali.

La risposta era nelle cose. La forma associativa poteva dare voce a questi soggetti

e consentire loro, con investimenti individuali adeguati, di realizzare interventi di rilievo.

Qualcosa del genere stava avvenendo anche a Bologna, dove 76 industriali si erano

associati, sotto l’egida dell’Unione Industriale, in un’alleanza degli imprenditori per la cultura,

impegnandosi a fornire le risorse necessarie per salvare dal degrado la statua del

Giambologna in piazza Maggiore. Quella poteva essere una prima risposta, ma era soltanto

parziale, in quanto prendeva in considerazione un singolo intervento senza darsi prospettive

di continuità, e inoltre l’adesione di un numero così elevato di imprese era dovuta al carattere-

simbolo dell’opera che si intendeva restaurare. Tutti i bolognesi, infatti, si identificavano

nel popolarissimo «Gigante», come confidenzialmente veniva chiamata la statua del Nettuno.

Se anziché intervenire su un monumento emblematico si fosse dovuta operare una scelta

fra diverse opzioni, fatalmente le opinioni, e gli interessi, avrebbero preso a divaricarsi

e sicuramente l’adesione al progetto non sarebbe stata così elevata.

A Torino si cercò di evitare questi inconvenienti dando vita a un organismo che fin

dall’inizio presentò caratteristiche originali. L’idea prese corpo nel corso del 1986 attraverso

una serie di incontri informali fra alcune persone che, a titolo privato e per ragioni

di lavoro, erano coinvolte nella vita sociale di Torino. Preoccupate, da un lato, per le evidenti

necessità culturali della città e, dall’altro, per il fatto che la mancanza di risorse pubbliche

generava una proliferazione di richieste, cercarono di rispondere con una distribuzione

razionale dei finanziamenti.

Per evitare, o quanto meno cercare di ridurre, questi inconvenienti, si suggeriva

che fra i soggetti interessati venissero organizzate delle riunioni che consentissero di operare

FILIPPO JUVARRAARCHIVIO DI STATO,

FACCIATA, 1731

Page 11: Un'Avventura Torinese

12 1. incomincia l’avventura 13un’Avventura TORINESE

scelte collettive in grado di evitare duplicazioni d’interventi e, soprattutto, di individuare

un ordine di priorità, così da concentrare di volta in volta le risorse disponibili su pochi

obiettivi, ma di vasto respiro.

È opportuno ricordare quali furono le aziende iniziatrici: Utet, SKF, Gruppo GFT, Fiat,

Cassa di Risparmio di Torino, Sai-Società Assicuratrice Industriale, SEI, Toro Assicurazioni,

Ilte, Recchi Costruzioni, Martini & Rossi, con l’Unione Industriale di Torino a fare da trait-d’union.

La presenza di grandi realtà come Fiat e Cassa di Risparmio di Torino, che già operavano

a tutto campo per conto loro, non deve stupire. Da un lato era loro utile interagire con altri

soggetti, perché gli interventi realizzati in forma associata potevano assicurare meglio che

non nel caso della scelta operata singolarmente le condizioni di riconoscibilità e condivisibilità

che sono alla base del gradimento sociale dell’impresa. Dall’altro lato, la presenza delle grandi

imprese consentiva a tutti gli aderenti di accedere a forme di competenza e di esperienza

su terreni ancora poco familiari. Coerentemente con il carattere subalpino dell’iniziativa,

in un primo momento si decise di non isti -

tuzionalizzare gli incontri né, tanto meno, di dare

forma giuridica (associazione, fondazione) al

nuovo organismo che si veniva creando.

I partecipanti dovevano ritenersi vincolati ad

adottare regole comuni di comportamento sulla

base di una semplice «dichiarazione di intenti»

che ciascuno di essi era chiamato a sottoscrivere.

Muovendo «dal comune intento di

migliorare, anche mediante un’azione libera -

mente concertata, la situazione del patrimo -

nio culturale torinese, importante ma in grave

degrado e scarsamente valorizzato», i sotto -

scrittori manifestavano l’intenzione «di scam -

biarsi i dati in proprio possesso sulla situazione

anzidetta, di informarsi reciproca mente sulle

attività e progetti propri e altrui riguardanti i beni

culturali cittadini, di consultarsi per individuare,

scegliere e organizzare iniziative non effimere

a beneficio di tali beni, da sponso rizzarsi con

il concorso di tutti gli aderenti» ed even tual -

mente anche di terzi.

Ad accentuare il carattere informale dell’iniziativa, si escludeva che potesse esservi

una sede fissa: le riunioni sarebbero state ospitate, di volta in volta, presso una delle imprese

partecipanti e sarebbero state presiedute dal rappresentante dell’ente ospitante.

Al più, si sarebbero affidati eventuali compiti di segreteria all’Unione Industriale.

Un’organizzazione, dunque, estremamente flessibile e leggera, che non voleva neppure

gravarsi di oneri amministrativi, prevedendo fin dall’inizio che eventuali finanziamenti per

iniziative da sponsorizzare in comune sarebbero stati versati «singolarmente a un ente

esterno, da designarsi di comune accordo, validamente strutturato per effettuare le necessarie

erogazioni e per compiere tutti quegli altri atti, anche nei confronti di terzi, necessari o utili

per realizzare concretamente l’iniziativa». La configurazione dell’organismo che scaturiva dalla

lettera d’intenti non solo corrispondeva ai requisiti della legge 512/1982 (dal momento che

si trattava di erogazioni liberali in favore di un ente – da individuare – legalmente riconosciuto

e senza scopo di lucro, che fosse in grado di attivare tutte le iniziative necessarie per realizzare

il progetto), ma corrispondeva anche alle

aspettative, e diciamo pure alla cautela, delle

imprese partecipanti. Tanto che, a conclusione

del documento, si avvertiva ancora la necessità

di precisare che «non si intende[va] costituire

alcuna associazione, comitato od altra entità

autonoma giuridicamente rilevante, ma si voleva

soltanto stabilire alcune regole di compor -

tamento per realizzare un’efficace azione

concertata a beneficio dei beni culturali della

città di Torino». In sostanza, erano i principi di

correttezza e buona fede a regolare i rapporti

fra i sottoscrittori. In questa fase, la deno -

minazione di «Consulta» incominciava a circo -

lare ed era riportata in testa ai documenti che

venivano prodotti in occasione delle diverse

riunioni, ma non era ancora ufficializzata,

né l’organismo disponeva di un logo proprio.

Ora, l’esperienza insegna che orga -

nismi siffatti, privi di una struttura permanente,

costituiti su base volontaristica, mancanti di

una sede stabile, anche quando sono composti

UMBERTOMASTROIANNITEATRO REGIO,

ODISSEA MUSICALE,

1994

Page 12: Un'Avventura Torinese

PALAZZO CARIGNANOAULA

DEL PARLAMENTO

SUBALPINO,

1848

14 1. incomincia l’avventura 15un’Avventura TORINESE

da persone fortemente calate nella realtà economica e produttiva – come sono, appunto,

i responsabili di impresa – raramente riescono a superare lo stadio dell’infanzia; di solito

vanno ad arenarsi sulle secche dell’impegno quotidiano, che non lascia tempo e spazio per

divagazioni certamente piacevoli, ma altrettanto sicuramente non prioritarie. Molto spesso,

una volta conclusa l’iniziativa che aveva determinato l’aggregazione dei soggetti, e prima

che le circostanze suggeriscano di dar loro veste più istituzionale, questi organismi si

sciolgono, se non formalmente, almeno di fatto: le riunioni si diradano, le discussioni si fanno

più svogliate, i tempi di decisione si dilatano. E poi più nulla.

Che una simile sorte non sia toccata alla Consulta, ma che anzi essa abbia potuto

raggiungere la maturità, superando la fase dell’aggregazione informale per darsi veste

e sostanza di associazione, è un evento raro, da studiarsi, nel caso specifico, con la massima

attenzione. È probabile che all’origine del successo della Consulta vi sia stata la rapidità

di decisione nella scelta del primo intervento. In questo caso, la scelta non si prospettava per

nulla facile, poiché tali e tante erano le situazioni di degrado di importanti edifici storici

cittadini, che diventava arduo individuare un ordine di priorità. La chiesa di San Filippo era un

esempio illuminante: come riferiva La Repubblica, l’edificio presentava «tetti parzialmente

sfondati, pareti intrise di umidità; stucchi e marmi del pronao corrosi dallo smog».

A complicare le cose, l’incertezza sulla titolarità del soggetto in capo al quale sarebbe

toccato provvedere anche soltanto all’ordinaria manutenzione: se il demanio, cui l’edificio

era stato conferito in base alla legge sull’avocazione dei beni ecclesiastici, o i padri filippini,

ai quali esso era stato successivamente riaffidato, pur mantenendone lo Stato la proprietà.

In realtà, non c’era che l’imbarazzo della scelta. A convincere i promotori della

Consulta della necessità e urgenza di intervenire, si inserì anche una severa, e impietosa,

critica proveniente dall’estero. In un lungo articolo comparso sull’edizione europea

dell’Herald Tribune, e rilanciato da La Stampa, venivano raccontate le impressioni prodotte

dalla visita a tre importanti strutture museali di Torino: il Museo d’arte antica di Palazzo

Madama, la Galleria Sabauda e il Museo Egizio. Nel primo caso si faceva riferimento a opere

di primissimo piano, capolavori assoluti, annegati fra opere mediocri e quasi nascosti.

Come nel caso del Ritratto di Ignoto di Antonello da Messina, che secondo l’autore

dell’articolo avrebbe meritato «uno spazio tutto suo al Metropolitan Museum di New York»,

mentre giaceva mimetizzato fra opere di secondo piano. E analoga sorte toccava alla Vergine

e il Bambino, di Ambrogio Benson, quasi nascosta.

La situazione, poi, non era migliore per il Museo Egizio, che pur essendo molto

conosciuto nel mondo, lasciava molto a desiderare. Pur esponendo statue come quelle dei

faraoni Thutmosi III e Ramsete II, invidiate dal Louvre e dal British Museum, e collezionando

Page 13: Un'Avventura Torinese

16 1. incomincia l’avventura 17un’Avventura TORINESE

capolavori di scrittura su papiri di cui era difficile trovare traccia, aveva

preferito mettere in risalto altri reperti più tradizionali. Per non parlare,

poi, della Galleria Sabauda, dove «una coppia di angeli in volo del Beato

Angelico, un’Incoronazione della Vergine di Bernardo Daddi e un San

Francesco che riceve le stimmate di Van Eyck sono soltanto citati

saltuariamente nelle guide del Museo e non sono nemmeno raffigurati

con una foto».

Anche la conclusione della Stampa era altrettanto severa, per non

dire polemica. Quelli posti dall’Herald Tribune erano «interrogativi

imbarazzanti, a cui ieri le autorità cittadine non hanno potuto rispondere:

il sabato è festa». In realtà, i responsabili avrebbero risposto qualche

giorno più tardi, rispolverando le consuete giustificazioni legate alla mancanza di risorse,

al fatto di aver utilizzato a scopi museali edifici progettati per altri usi; più in generale,

respingendo con aristocratico sussiego la concezione del museo come «vetrina da grande

magazzino» che, secondo loro, le critiche dell’Herald Tribune lasciavano sottintendere.

Ma il sasso nello stagno era stato lanciato al momento giusto. Già fin dal 13 ottobre

1986 gli aderenti alla Consulta, nel corso di un’apposita riunione, avevano preso in esame

diverse opzioni, che andavano dalla sistemazione dell’Aula del Parlamento Subalpino,

in Palazzo Carignano, al restauro delle facciate delle chiese di San Carlo e Santa Cristina,

al riordino dell’Armeria Reale, cui si aggiungeva la proposta di organizzare una mostra

dei disegni leonardeschi conservati nella Biblioteca Reale. Erano tutte situazioni delle quali

la Consulta avrebbe avuto modo di occuparsi in seguito, come pure si sarebbe occupata della

chiesa di San Filippo, ma nell’immediato si ritenne più opportuno saggiare la propria capacità

operativa con interventi che richiedessero un impegno gravoso, in termini sia di risorse sia

di difficoltà tecnica. Fra le diverse opzioni allo studio venne perciò approvata la proposta

di finanziare il rifacimento dell’impianto antincendio e la ripulitura del soffitto dell’Aula

del Parlamento Subalpino in Palazzo Carignano, che proprio per le sue carenze in materia

di sicurezza era chiusa ormai da anni, e quindi sottratta alla fruibilità di quanti visitavano

il Museo Nazionale del Risorgimento.

Anche se si trattava di un intervento con una previsione di spesa che non superava i

cinquanta milioni di lire, esso aveva comunque il pregio di consentire una verifica accurata

della capacità di dialogo fra la Consulta e l’ente al quale sarebbe andata – in ottemperanza

alle disposizioni della legge 512/82 – l’erogazione liberale da essa predisposta perché

provvedesse alla «manutenzione, protezione o restauro» dell’Aula in questione, entro i limiti

fissati. Per ottemperare a questa disposizione, era stato stipulato un accordo con la Società

DISEGNO DEL SALONE

DI S.A.S. IL PRINCIPE

DI CARIGNANO,

NEL MODO

CHE FU ORNATO

PER LA MAGNIFICA

FESTA DA BALLO

DEL MEDESIMO DATASI

IN OCCASIONE

DEGLI SPONSALI

DELLE LL.AA.RR.

IL DUCA

E LA DUCHESSA

DI SAVOIA

1750,

BIBLIOTECA REALE

PALAZZO CARIGNANO

LA FOLLA DAVANTI

AL PALAZZO

IL GIORNO

DELL’INAUGURAZIONE

DEL PARLAMENTO

Page 14: Un'Avventura Torinese

18 1. incomincia l’avventura 19un’Avventura TORINESE

in uno Stato moderno, in grado di sostenere con successo il peso della seconda guerra

d’Indipendenza. Ma soprattutto furono i dibattiti – anche quelli minori – che si svolsero in

quell’Aula a fare del Regno di Sardegna l’unico esempio di democrazia parlamentare esistente

in quel momento in Italia. Mentre tutti gli altri sovrani d’Italia, e quasi tutti quelli d’Europa,

si erano prontamente rimangiati le concessioni che i moti di piazza del 1848 avevano

strappato loro, il re di Sardegna aveva mantenuto fede all’impegno assunto con lo Statuto.

L’Aula del Parlamento Subalpino, ripetutamente modificata per ottemperare a nuove

esigenze, avrebbe ospitato anche le prime sedute del Parlamento Italiano, per cessare

definitivamente di essere utilizzata il 18 ottobre 1860, quando i deputati del neonato Regno

d’Italia si trasferirono nella sala provvisoriamente costruita nel cortile del palazzo stesso.

Da quel momento, per l’Aula iniziò una nuova vita. Essa venne ripetutamente

utilizzata per ospitare congressi di particolare importanza, e fu il fulcro delle mostre storiche

che periodicamente vennero organizzate a Torino, finché, trasferito a Palazzo Carignano

il Museo Nazionale del Risorgimento, entrò naturalmente a far parte del percorso museale,

del quale costituiva la componente più significativa.

In tutta questa lunga vicenda l’Aula era già stata oggetto di ripetuti interventi:

specialmente nel 1948, in occasione del centenario dello Statuto, e nel 1961, per le

celebrazioni del centenario dell’Unità nazionale. Interventi, va detto subito, non sempre

meditati, condotti più col criterio della manutenzione, che comporta la sostituzione delle parti

usurate, che non con quello del restauro, che punta invece al recupero dell’esistente.

Si doveva perciò operare un intervento di carattere esclusivamente conservativo, attenendosi

all’immagine che l’Aula presentava al momento della sua ultima seduta e non a quello della

sua nascita. Innanzitutto si doveva seguire un criterio assolutamente omogeneo nel trattare

le numerose parti decorative dorate che, da seggi, lampadari, cornici, capitelli, festoni,

mensole, connotavano l’insieme e che in passato erano state svilite da riprese con bronzine,

e attualmente risultavano pericolanti per effetto di estesi sollevamenti.

Quindi bisognava operare per il consolidamento e la pulitura delle parti originarie,

procedendo a un’integrazione contenuta, per non cadere nel tranello di una sfavillante,

e stucchevole, ridoratura. Analogamente ci si doveva comportare per il consolidamento

dell’apparato ligneo e dei lampadari a muro, nonché per la pulitura e il consolidamento delle

parti tessili. Poiché non era più previsto che l’Aula venisse utilizzata per riunioni, ma avesse

una destinazione esclusivamente museale, fu possibile escludere interventi di sostituzione

o di rifacimento che avrebbero in qualche misura snaturato l’insieme.

L’intenzione di procedere al restauro dell’Aula del Parlamento Subalpino venne

presentata alla cittadinanza e alla stampa il 19 ottobre 1987, in concomitanza con

Piemontese di Archeologia e Belle Arti in base al quale essa, con le risorse messe

a disposizione dalla Consulta, avrebbe dovuto realizzare, previo riconoscimento di una quota

di servizio, l’intervento che era stato deciso.

Era però di tutta evidenza che la modestia dell’impegno che stava assumendo non

avrebbe consentito alla Consulta di presentarsi all’opinione pubblica in modo adeguato

all’importanza delle aziende che ne facevano parte e, soprattutto, al ruolo che essa intendeva

assumere nel panorama culturale torinese. Il fatto che dodici fra i nomi più importanti

dell’industria e della finanza cittadine si impegnassero a sostenere un intervento del valore

complessivo di circa cinquanta milioni di lire, rischiava addirittura di essere controproducente.

Bisognava perciò pensare a un intervento di maggiori dimensioni che, al momento della

presentazione ufficiale, assicurasse alla Consulta la necessaria visibilità.

Vennero prese in esame diverse opzioni. Fra le altre, si pensò di procedere

al restauro delle facciate delle chiese di San Carlo e Santa Cristina. L’idea però venne

accantonata, sia perché il progetto di restauro risultava troppo oneroso (un miliardo

e quattrocento milioni per le sole facciate, escludendo le statue), ma soprattutto perché

avrebbe richiesto troppo tempo, mentre vi era la necessità di individuare «progetti di più facile

e pronta realizzazione e di immediata efficacia nei confronti del pubblico». La soluzione più

ragionevole non poteva che essere quella di ampliare l’intervento su Palazzo Carignano.

E così, ad appena una settimana dalla precedente decisione, si stabilì di «aggiungere

ai due interventi su Palazzo Carignano […] il restauro dell’Aula del Parlamento Subalpino,

portando la spesa totale a 220 milioni»: un onere significativo e al tempo stesso compatibile

con l’impegno economico che gli aderenti alla Consulta intendevano assumere.

Questa decisione aveva un forte significato simbolico. Il Palazzo Carignano, già

dimora avita di Carlo Alberto, era stato da questi ceduto al demanio all’atto della sua

proclamazione a re di Sardegna e aveva subito alcuni rimaneggiamenti per renderlo adatto

a nuovi usi, come l’insediamento della Direzione Generale delle Regie Poste. Promulgato

lo Statuto il 4 marzo 1848, si erano trovati in Palazzo Madama gli spazi idonei per l’Aula del

Senato, e si era scelto il Salone da ballo di Palazzo Carignano per ospitare l’Aula della Camera

dei Deputati. I lavori, condotti con straordinaria celerità, consentirono di tenere la prima

riunione già l’8 maggio. Da quel momento quell’Aula rappresentò il cuore, l’epicentro delle

aspirazioni nazionali dei patrioti italiani. È lì che si sarebbero prese le grandi decisioni, quelle

che, attraverso sconfitte e vittorie, delusioni e speranze, avrebbero portato – sempre nello

stesso luogo – alla proclamazione del Regno d’Italia. È lì che Cavour avrebbe condotto quelle

battaglie parlamentari che consentirono di trasformare, nel «decennio di preparazione»,

il Piemonte da una condizione statica, di piccola realtà marginale in ritardo sul progresso,

Page 15: Un'Avventura Torinese

1. incomincia l’avventura 2120 un’Avventura TORINESE

la presentazione ufficiale della Consulta. Era la prima volta, come ebbe modo di sottolineare

nella conferenza stampa il coordinatore del gruppo e direttore generale della Martini & Rossi,

Aimone di Seyssel d’Aix, «che dodici aziende ed enti decidono di mettersi insieme

per concentrare le proprie disponibilità economiche e utilizzare le proprie capacità tecniche

e professionali per la salvaguardia e la valorizzazione delle ricchezze storiche, artistiche

e culturali della città».

La costituzione della Consulta venne accolta con grande plauso dai rappresentanti

dell’amministrazione cittadina, intervenuti alla presentazione, ma furono soprattutto i giornali

a cogliere appieno il senso e la portata dell’iniziativa. Come osservava qualche giorno dopo

in un suo editoriale Italia Oggi, «Torino ha dunque voglia di vincere. Da tempo non

si accontenta più di essere la città dell’auto o di ospitare la massima concentrazione di robot

e di laser, di controllare più del 30 per cento della Borsa o di possedere imprese e società

in mezzo mondo. Oggi vuole darsi una nuova immagine e contare davvero anche nel mondo

della cultura».

In quel 19 ottobre – che può essere assunto come data ufficiale di nascita della

Consulta – il battesimo era dunque riuscito e il primo intervento avviato con unanime

consenso. Diventava quindi necessario che il sodalizio superasse la fase sperimentale

per darsi un assetto più stabile e, soprattutto, più strutturato. Non era immaginabile, infatti,

che la gestione di interventi complessi e costosi – prevedibilmente più complessi e più costosi

di quello riguardante l’Aula di Palazzo Carignano – potesse rimanere affidata al buon volere

e alla disponibilità di tempo di persone che, per l’importanza dei ruoli rivestiti, erano già

naturalmente oberate di impegni; né era più sostenibile che per gli interventi futuri dovesse

continuare a valere il principio dell’unanimità. In altre parole, occorreva che la Consulta

si desse uno statuto attraverso il quale si definissero gli organi direttivi, i criteri di formazione

delle decisioni, la titolarità della rappresentanza verso terzi. Inoltre, pur mantenendo

la Consulta tutta l’agilità e la flessibilità che l’avevano caratterizzata sin dall’inizio era

indispensabile che si dotasse di un minimo di struttura, in grado di assicurare continuità

all’azione burocratico-amministrativa, specialmente nei confronti delle pubbliche autorità

e delle istituzioni di tutela, come era richiesto dalla natura stessa degli interventi che

si intendeva realizzare.

In altre parole, era indispensabile che, da sodalizio informale come era stata sino

a quel momento, la Consulta si trasformasse in un’associazione vera e propria, dotandosi di

uno statuto in grado di regolare i rapporti fra gli aderenti, «che rafforzi i legami tra gli enti

partecipanti e dia alla Consulta una organizzazione più stabile ed efficiente»; questa esigenza

era già stata espressa in una riunione del 17 giugno 1987, e quindi ben prima della

presentazione ufficiale. La Consulta aveva finalmente una sede riconosciuta, stabilita presso

l’Unione Industriale; si dava degli organi direttivi – presidente, consiglio –; prevedeva incarichi

operativi – segretario, tesoriere –; fissava i poteri e l’ambito di validità delle deliberazioni

dell’assemblea. Di particolare rilievo era la disposizione secondo la quale competeva

all’assemblea «l’approvazione dei progetti culturali da finanziarsi», approvazione che

richiedeva, per diventare operativa, la «maggioranza assoluta dei soci». Non era una novità

di poco conto. Infatti, fin dall’inizio, le decisioni venivano assunte all’unanimità.

Anche nel prosieguo dell’attività era auspicabile che le scelte venissero approvate

dalla totalità degli aderenti, e nei fatti il principio dell’unanimità continuò a trovare

applicazione, ma, in prospettiva, non si poteva razionalmente escludere che sorgessero

divergenze di opinione, sempre possibili anche per effetto dell’allargamento del numero

dei soci, provocando approfondite mediazioni.

PALAZZO CARIGNANO

AULA

DEL PARLAMENTO

SUBALPINO,

1848

Page 16: Un'Avventura Torinese

l’attenzione si concentrasse anche sull’organismo che aveva consentito quel risultato.

E anche se, oggettivamente, quel restauro andava considerato come un intervento

medio, soprattutto rispetto a molti di quelli che sarebbero venuti in seguito e che avrebbero

comportato ben altri impegni di risorse finanziarie e tecniche, ciò non toglie che, come

sottolineava La Stampa «la riapertura dell’aula deve essere considerata come un avvenimento

eccezionale nel panorama sinistrato dei monumenti storici torinesi. Dimostra in modo

inequivocabile come l’intervento dei privati […] consente di compiere rapidamente imprese

altrimenti impossibili per l’amministrazione pubblica».

La prova del fuoco era stata superata; ora la navicella della Consulta poteva

avventurarsi in mare aperto.

1. incomincia l’avventura 2322 un’Avventura TORINESE

PALAZZO CARIGNANOAULA

DEL PARLAMENTO

SUBALPINO,

1848

In questo modo, invece, la Consulta si presentava come un organismo originale, se

non addirittura unico, nel panorama delle iniziative culturali italiane. Con lo statuto, nasceva

una struttura democratica, costituita su basi paritarie, nella quale tutti gli aderenti, quale che

fosse la loro forza economica, contribuivano in misura uniforme per «migliorare, nell’ambito

della Regione Piemonte, la situazione del patrimonio culturale piemontese, organizzando

iniziative a beneficio di tali beni»; iniziative che, comunque, per venire assunte avrebbero

dovuto presentare, a livello di pubblica opinione, i requisiti della massima condivisione

e riconoscibilità.

Nel consolidare l’avvio dell’attività della Consulta, la scelta di intervenire sull’Aula del

Parlamento Subalpino si rivelò particolarmente felice, in quanto assicurò all’intervento ampia

risonanza. L’inaugurazione dei restauri, avvenuta l’8 maggio 1988, a centoquarant’anni esatti

dalla prima seduta, trovò notevole eco sui quotidiani e sulle riviste dell’epoca, e fornì ampi

spunti per una rilettura in chiave patriottica delle vicende risorgimentali e del ruolo che la città

di Torino ebbe a svolgere in quelle circostanze.

Poiché l’Aula era rimasta chiusa per parecchio tempo, non erano molti coloro che

ricordavano com’era. E allora non stupisce che molti si meravigliassero delle sue ridotte

dimensioni. «A vederla ora, la piccola aula quasi intenerisce: non solo perché la sua data

di nascita ci riporta indietro a un momento tumultuoso e drammatico della nostra storia […]

ma anche perché, minuscola com’è, con quel suo aspetto composto di teatrino di corte,

le manca del tutto la plumbea imponenza dei luoghi della storia».

Ma di storia, in quell’Aula, se pure aveva funzionato per un tempo certamente non

lungo, ne era passata molta. Era lì che per la prima volta un Parlamento liberamente eletto

discusse e assecondò «l’ambizioso disegno strategico che doveva porre il Piemonte alla guida

del moto unitario». Certo, quei deputati erano espressione di un corpo elettorale ristretto,

rappresentativo soltanto di una parte esigua della popolazione – quella che poteva contare

su un censo annuo di quaranta lire in Piemonte e di venti in Liguria e Savoia –

ma rappresentavano una «classe dirigente di alto livello morale», sulla quale rifulgeva

la «figura di Cavour che riuscì a sferrare il colpo decisivo per creare in un regno costituzionale

un governo parlamentare». Come ebbe modo di sottolineare Giovanni Spadolini, in quel

momento presidente del Senato, nell’inaugurare l’Aula restaurata, «le spinte ideali

e i movimenti politici che hanno indotto le diverse forze della Costituente repubblicana

si sono ispirate a quei valori risorgimentali, tuttora presenti con la difesa dell’unità nazionale,

l’amore per la libertà e il rifiuto di ogni suggestione totalitaria»; valori che la «piccola»

aula bene simboleggiava.

Era inevitabile che, riaccendendo i fari su un luogo-simbolo dell’unificazione nazionale,

Page 17: Un'Avventura Torinese

2. facciate 2524 un’Avventura TORINESE

2. FACCIATE

La prima uscita pubblica della Consulta sortì l'effetto del classico sasso

nello stagno, le cui onde si propagano per cerchi concentrici sempre più larghi.

I giornali, ma anche le pubbliche autorità e più in generale l'opinione pubblica,

si accorgevano che era sorto un organismo che, operando con serietà

e costanza, riusciva a dare qualche risposta concreta per contrastare il degrado

del patrimonio storico e artistico della Città. E vi riusciva - fatto ancor

più sorprendente - rispettando i tempi di realizzazione previsti. In un Paese

nel quale qualsiasi intervento richiedeva per essere completato ripetute

proroghe dei termini, il rispetto delle previsioni era qualcosa di inusitato,

comunque un fatto di cui si era persa la memoria.

Non stupisce, quindi, che sull'onda di quel primo successo altri enti

e istituzioni abbiano cercato di esportarlo. Partendo dalla constatazione che

«il matrimonio tra impresa e cultura nel nostro Paese è ormai un dato

consolidato nella sua molteplicità di espressioni», la Confindustria, in

occasione della prima «Settimana della Comunicazione d'Impresa» iniziata

il 2 maggio 1988, per consolidare e razionalizzare l'intervento delle aziende

in campo culturale propose la costituzione di «una consulta permanente

di imprese pubbliche e private».

Nelle intenzioni della Confindustria doveva trattarsi di «uno strumento

operativo con funzioni interne di coordinamento e servizio e di approccio

esterno con il sistema pubblico, destinato soprattutto alle piccole e medie

imprese».

La proposta presentava alcuni aspetti interessanti, soprattutto per quel che

riguardava il coinvolgimento delle imprese pubbliche. In effetti, le aziende che allora facevano

capo al sistema delle Partecipazioni Statali, forse anche perché a differenza dei privati

dovevano rispondere a un azionariato più attento alle ragioni della politica che a quelle

dell'economia, avevano meno difficoltà ad accogliere le richieste di sponsorizzazione di

interventi di recupero o di restauro provenienti dalle pubbliche amministrazioni.

Come veniva ricordato al Convegno «Memorabilia. Il futuro della memoria», che

si era svolto a Roma nei primi giorni del dicembre 1988, l'Italstat aveva realizzato sino a quel

FILIPPO JUVARRAARCHIVIO DI STATO,

FACCIATA, 1731

Page 18: Un'Avventura Torinese

26 2. facciate 27un’Avventura TORINESE

momento circa cento interventi, «come nessuna impresa non solo in Europa, ma nel mondo».

Un'attività che non si limitava alla pura e semplice sponsorizzazione, ma prevedeva

anche una presenza attiva come esecutori, promotori e organizzatori degli interventi».

Unire il know how, la capacità tecnica e l'esperienza delle aziende pubbliche

e private, poteva dunque essere una buona cosa.

Dove, invece, la proposta mostrava il fianco a critiche era nelle funzioni di «coor -

dinamento» che essa intendeva svolgere. Come venne detto molto chiaramente, la consulta

che si intendeva costituire non poteva «essere uno strumento per consentire allo Stato

di ordinare ai privati gli interventi da compiere».

La precisazione era quanto mai opportuna. Nel fervore di dibattiti che caratterizzò gli

ultimi anni Ottanta capitava di ascoltare le proposte più disparate. Da quelle più ragionevoli,

che riconoscevano ai nuovi mecenati il diritto a gestire in prima persona i fondi che

erogavano, per ottenerne in cambio un ritorno d'immagine da concordarsi semmai, questo

sì, con le Soprintendenze; a quelle più radicali, secondo le quali il privato doveva solo mettere

i soldi, riservandosi alle strutture pubbliche la fase di progettazione e gestione del recupero.

Di fatto, poi, il coordinamento si

sarebbe dovuto applicare a situazioni forte -

men te diversificate, come dimostrava fra l'altro

lo studio intitolato: «Il matrimonio fra industria

e cultura», presentato in quella stessa circo -

stanza dalla Confindustria come il «primo

catalogo delle sponsorizzazioni culturali

italiane». Come osservava il Corriere della Sera,

in quel catalogo si trovava un po' di tutto:

«Il contributo alla settimana musicale accom -

pagnandosi al restauro di un crocefisso, il dono

di un calcolatore a un museo al contributo alla

rassegna espositiva, il documentario affian -

candosi al premio di «fedeltà alle origini»,

il restauro e il riuso di un'antica dimora alla

pubblicazione di un catalogo, i «pro totipi»

di mobili al laboratorio fotografico».

Nella confusione imperante, era quasi

inevitabile che non si andasse oltre la fase della

discussione e che l'idea di dar vita a un orga -

nismo di governo delle sponsorizzazioni finisse per rimanere lettera morta. Del resto,

a un risultato ugualmente negativo doveva pervenire una proposta maturata nel corso del 1988

in ambito esclusivamente piemontese, che coinvolgeva direttamente la Consulta torinese.

La proposta, partita dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Torino, mirava

all'istituzione di un comitato per la realizzazione di un programma di iniziative culturali da

svilupparsi nel corso del 1990. In quell'anno si sarebbero svolti i Campionati mondiali di calcio

e anche Torino sarebbe stata interessata all'evento; di qui l'intento di pervenire

«all'elaborazione e alla pubblicazione di un programma completo delle iniziative da realizzarsi

[…] in coincidenza con il prevedibile maggiore afflusso turistico indotto dalle manifestazioni

sportive di quell'anno».

La proposta diede luogo a numerose discussioni che portarono all'idea di costituire

un'associazione, denominata Sviluppo Iniziative Culturali Torinesi (SICT), che avrebbe dovuto

darsi numerose finalità: dal promuovere l'immagine di Torino e del Piemonte, all'analizzarne

la situazione culturale; dal coordinare le iniziative progettate da singoli soggetti, al fornire

indirizzi generali nella pianificazione e organizzazione di programmi culturali.

L'intento era forse eccessivamente

ambizioso, ma il progetto avrebbe comunque

meritato di andare in porto, e la Consulta fu in

prima linea fra coloro che ne studiarono

con attenzione le possibilità di realizzazione.

Se in definitiva non se ne fece nulla, fu

perché ancora una volta si peccò di un eccesso

di razionalizzazione. L'idea di coordinare le

iniziative dei singoli soggetti, rischiava di cozzare

contro le esigenze di visibilità di ciascuno di essi.

Anche se non era detto chiaramente

da nessuna parte, era noto che la filosofia

pre valente in sede ministeriale e presso le So prin -

ten den ze prevedeva che fossero gli orga ni

di tutela a identificare gli interventi di restauro,

a stabilirne le priorità e a gestirli, riservando allo

sponsor unicamente la funzione di ufficiale

pagatore. Il che era l'esatto contrario di quanto

intendeva praticare la Consulta, la quale, per

giunta, grazie anche a una rete di buoni

FILIPPO JUVARRAARCHIVIO DI STATO,

FACCIATA, 1731

Page 19: Un'Avventura Torinese

2. facciate 29

rapporti personali, era riuscita a creare con le locali Soprintendenze un clima di reciproca

collaborazione, riuscendo a contemperare le prerogative dell'organo di tutela con le

esigenze degli sponsor. Esigenze che, nel caso di un soggetto collettivo come la Consulta,

assumevano caratteristiche particolari. Quieta non movere. Meglio dunque proseguire lungo

il tragitto indicato dalla prima esperienza concreta, la cui felice conclusione lasciava

ben sperare per il futuro. Tanto più che le situazioni alle quali potevano applicarsi i criteri di

«necessità e urgenza» richiesti dalle Soprintendenze per autorizzare l'intervento si sprecavano.

Non c'era che da scegliere, e non era dunque difficile individuare il bene culturale in grado

di soddisfare, di volta in volta, le esigenze di visibilità dei soci della Consulta.

Di fatto, fin da quando era stata avviata la discussione che avrebbe portato alla scelta

di intervenire sull'Aula del Parlamento Subalpino, erano state prese in considerazione varie

opzioni. Fra tutte, a primeggiare era quella riguardante la sistemazione e l'attrezzatura

di qualche locale della Biblioteca Reale, in grado di ospitare un'esposizione, che si sarebbe

desiderata permanente, dei disegni di Leonardo di proprietà della Biblioteca medesima.

Si riteneva infatti che una simile iniziativa rispondesse all'esigenza di rilanciare

l'immagine di Torino e, al tempo stesso, fosse in grado di soddisfare le esigenze di visibilità

dei soci della Consulta. Tentativi in quella direzione erano stati compiuti ripetutamente, ma

avevano sempre cozzato con il fatto che, date le condizioni esistenti, l'esposizione avrebbe

comportato gravi rischi per le opere, non offrendo gli spazi disponibili sufficienti garanzie.

A nulla erano valse le reiterate richieste dell'amministrazione. Come osservava

sconsolato nel settembre 1987 l'assessore alla cultura del Comune di Torino: «Sono partito

chiedendo una mostra che durasse sei mesi per arrivare ad accontentarmi di un mese.

Sarebbe stato importante per Torino poter offrire, ad esempio in occasione di Settembre

Musica che richiama visitatori d'ogni parte d'Italia e del mondo, un appuntamento di questo

prestigio». Ma i tempi non erano maturi, neppure per la Consulta che, dopo aver condotto

un'istruttoria approfondita, dovette riconoscere di non essere in grado di quantificare i costi

dell'operazione e, ancor più, le modalità operative con le quali avrebbe dovuto svolgersi.

Venivano perciò prese in considerazione altre possibilità, in particolare il restauro delle

facciate delle chiese di San Carlo e di Santa Cristina. Situati nella piazza che rappresenta

il fulcro della vita cittadina, i due edifici assicuravano certamente quella visibilità che i soci

della Consulta desideravano, ma anche qui i costi dell'intervento risultavano troppo elevati,

soprattutto se confrontati con quello sostenuto per l'Aula di Palazzo Carignano.

Con tipica prudenza subalpina si optò perciò per una terza soluzione, più tranquilla

sotto il profilo dei costi e più tranquillizzante dal punto di vista tecnico: il restauro della

facciata juvarriana dell'Archivio di Stato.

L'intervento che si intendeva realizzare riguardava indubbiamente un edificio

di grande prestigio. L'Archivio non era nato, infatti, come un qualsiasi edificio da destinare

a uffici governativi non importa di che genere, ma fin dalla progettazione era stato destinato,

con lungimiranza, alla funzione specifica di garantire al sovrano la conservazione e l'efficace

uso dei titoli giuridici e della documentazione necessaria per una politica interna ed estera

di largo respiro. È nelle carte conservate nell'Archivio e nella facilità della loro reperibilità

grazie a una sistemazione razionale, che veniva documentata ed esibita la legittimità del sovrano,

che venivano avallate le sue pretese di dominio sui territori al di qua e al di là delle Alpi.

E non è un caso che l'Archivio sia stato costruito a fianco del Palazzo Reale, al quale

era, ed è ancora, direttamente collegato attraverso l'edificio, che pure si stava costruendo

negli stessi anni, delle Segreterie di Stato.

In fondo, occuparsi dell'Archivio di Stato, aveva la stessa valenza simbolica

dell'intervento realizzato sull'Aula del Parlamento Subalpino. In quest'ultimo caso si era

intervenuti sul luogo che conservava le memorie più sacre dell'epopea risorgimentale;

nell'altro si interveniva sull'edificio che conservava le memorie del lungo cammino compiuto

28 un’Avventura TORINESE

PALAZZO DELL’ACCADEMIA MILITARE E DELL’ARCHIVIO DI STATOPRIMA DEL 1943

Page 20: Un'Avventura Torinese

30 2. facciate 31un’Avventura TORINESE

dal Piemonte e dalla dinastia dei Savoia per affermarsi come potenza europea, trasformando

il semplice ducato in un Regno.

L'edificio, di estrema semplicità strutturale e di straordinaria modernità sotto il profilo

archivistico, costituito secondo il progetto di Juvarra da un unico corpo di fabbrica a tre piani

fuori terra, con cinque grandi saloni per ogni piano e alcuni locali minori, oltre alle scale, alle

due estremità, da oltre cinque anni celava alla vista la facciata, gravemente deteriorata.

Era dunque urgente intervenire, ma l'intervento poneva, proprio per quanto

riguardava la facciata, delicate questioni, come il completamento delle parti mancanti rispetto

al disegno originario e il raccordo agli edifici laterali, costituiti, da un lato, da una parete cieca

retrostante l'attuale palazzo del tribunale militare, dall'altro, il tratto trasversale retrostante

la facciata verso piazza Castello, realizzata a chiusura del tratto tra il Teatro Regio ricostruito

e l'area distrutta.

I bombardamenti della seconda guerra mondiale, che avevano danneggiato in modo

irreparabile l'edificio costruito fra il 1675 e il 1677 da Amedeo di Castellamonte come Scuola

dei Paggi, posto a lato dell'Archivio, e gli interventi di Carlo Mollino per la ricostruzione del

Teatro Regio avevano alterato completamente la situazione urbanistica entro la quale

l'Archivio era collocato. E questa situazione rendeva particolarmente complessa anche solo la

scelta a livello di restauro della coloritura della facciata. L'opzione più immediata poteva

essere quella di recuperare la coloritura ottocentesca, meno aggressiva; si preferì invece

seguire la strada più complessa consistente nel recuperare l'aulicità del discorso juvarriano.

Si pervenne così a una rigorosa ricostruzione dell'immagine originaria, come conseguenza

di quest’ultima scelta, di completare le parti dell'edificio ancora mancanti.

La restituzione dell'Archivio di Stato al suo antico splendore e il completamento del

progetto juvarriano rappresentavano indubbiamente un altro successo della Consulta.

Successo tanto più significativo se si considera la brevità del tempo - poco più di quattro mesi -

impegnato per ultimare il restauro. Un aspetto, questo, che la stampa, non solo cittadina,

colse immediatamente. Nel restauro della facciata dell'Archivio di Stato «si fondono insieme

il rispetto e il culto di un passato storico da valorizzare e lo spirito di iniziativa di una

istituzione nuovissima, la “Consulta”, che è nata con lo scopo dell'intervento “immediato”

verso opere nei confronti delle quali, spesso, le pubbliche istituzioni non possono agire con

tempestività per mancanza di fondi».

La Consulta, si disse, «gioca sui tempi dell'imprenditoria privata in un settore in cui,

purtroppo, giorni, mesi e anni hanno ancora quantificazioni temporali confuse».

Tutto bene, dunque, ma con un piccolo neo: la collocazione dell'edificio. Situato

com'è all'interno di uno spazio chiuso - l'attuale piazza Mollino - l'Archivio di Stato non

poteva assicurare quelle condizioni di visibilità che i soci della Consulta legittimamente

si attendevano dallo sforzo compiuto.

L'importanza dell'intervento rischiava perciò di essere conosciuta e apprezzata

soltanto dagli addetti ai lavori e da pochi altri. Il rischio era noto fin dal momento in cui si era

deciso di intervenire, e già allora era stato individuato il modo per ovviarvi. Posto che l'edifico

si collocava al di fuori delle correnti di traffico, bisognava fare in modo di attirare l'attenzione

del pubblico con qualche iniziativa che portasse anche quanti non avevano l'abitudine

di frequentare la sala di studio dell'Archivio a recarsi in piazza Mollino, per vedere i tesori

in essa custoditi e contemporaneamente la qualità del restauro realizzato.

Fu così, dunque, che

nell'inaugurare il restauro venne

presentata anche la mostra

«Il tesoro del Principe», nella

quale veniva mostrato un

numero ristretto, ma altamente

significativo, dei «tesori» conser -

vati nell'Archivio. Davanti agli

occhi dei visitatori si dipanavano

tredici secoli di storia, che pren -

devano le mosse dal documento

del 726 con il quale Abbone,

governatore di Moriana e di

Susa, per conto di Teodorico IV

re dei Franchi, fondava il mona -

stero della Novalesa «per la

salute dell'anima sua e per la

stabilità del regno franco» e ne nominava abate Godone, per giungere sino alle lettere patenti

con le quali Carlo Alberto attribuiva ai valdesi tutti i diritti civili e politici.

Lungo il percorso, poi, il visitatore poteva imbattersi in altri documenti altrettanto

significativi: dal Trattato di Utrecht del 1713 all'originale in lingua francese dello Statuto

carloalbertino. E per la prima volta si potevano ammirare autentici tesori, come la Cronaca del

monastero della Novalesa, l'unico componimento letterario conosciuto scritto su rotolo

pergamenaceo anziché su codici; o come il testo originale, firmato dal re, del Codice Civile

per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna. Un centinaio di documenti, tutti altamente significativi,

attraverso i quali veniva comprovato il «ruolo svolto dalle scritture d'archivio quali strumento

ARCHIVIO DI STATOUNA SALA

DEGLI ARCHIVI

DI CORTE

(Fotografia

di Paolo Robino)

Page 21: Un'Avventura Torinese

32 2. facciate 33un’Avventura TORINESE

di governo e supporto giuridico all'attività dello stato». Un tema certamente non facile, che

però il pubblico, accorso numeroso a visitare la mostra e con essa anche il museo storico

dell'Archivio normalmente precluso ai visitatori, dimostrò di apprezzare e, soprattutto,

comprendere. La vicenda dell'Archivio di Stato aveva inserito un elemento nuovo nel modus

operandi della Consulta; l'idea di allestire una mostra che fungesse da cassa di risonanza,

amplificando i risultati promozionali e d'immagine del restauro, sarebbe stata utilizzata anche

in altre circostanze, nei confronti di altri interventi. In questo modo, l'oggetto dell'attività della

Consulta inizialmente consistente nella semplice individuazione di un bene sul quale

convogliare le risorse in vista del suo recupero o restauro, e nella conseguente gestione

dell'intervento, si trasformava sensibilmente, facendo del sodalizio un organismo di

promozione culturale complesso. L'organizzazione di mostre su argomenti specifici

e necessariamente diversificati di volta in volta richiedeva infatti l'acquisizione di metodologie

diverse, e molto più variegate, di quelle utilizzate negli interventi sugli edifici.

La stessa comunicazione diventava più complicata.

Nell'immediato, però, quello dell'Archivio di Stato era destinato a rimanere un caso

isolato, in quanto gli interventi successivi decisi dalla Consulta, per loro natura, non offrivano

spunti per l'organizzazione di mostre. Visto il positivo risultato sulla facciata dell'Archivio,

la Consulta aveva deciso, infatti, di operare su quelle della chiesa di San Carlo

e, successivamente, di Santa Cristina. In effetti le due chiese necessitavano di interventi

urgenti, a causa di un degrado che era già stato messo in evidenza fin dal 1986, quando,

a seguito di un sopralluogo effettuato il 10 ottobre di quello stesso anno, la Soprintendenza

per i Beni Ambientali e Architettonici aveva prodotto una lunga lista di interventi necessari

per porre rimedio alla grave situazione dei due edifici. Interventi che andavano dal

risanamento dei tetti alla pulitura e al consolidamento della pietra, dalla sostituzione delle

pietre più degradate alla soluzione dell'annoso problema dei colombi, che le due chiese

condividevano con altri importanti edifici cittadini.

La lettera concludeva ricordando che «data la delicatezza e la particolare natura

e complessità dell'intervento si dovrà richiedere la consulenza dell'Istituto Centrale del

Restauro a Roma, soprattutto per quanto riguarda i particolari problemi connessi al restauro

delle statue di Santa Cristina».

Quella prima sollecitazione della Soprintendenza non era andata in porto, forse

perché prevedeva un intervento complessivo e contemporaneo sulle due chiese.

L'idea, invece, di dividere l'intervento in due momenti successivi, ripartendone i costi

su più esercizi, rendeva l'operazione fattibile. Logicamente la Consulta iniziò dal restauro della

facciata e del campanile di San Carlo, che poneva problemi più semplici, anche in

considerazione del fatto che l'edificio era stato completato soltanto nel 1834. In pratica,

l'intervento sulla facciata di San Carlo veniva visto come propedeutico rispetto a Santa

Cristina, la cui facciata, oltre a essere più importante dal punto di vista artistico, era stata

realizzata fra il 1715 e il 1718, e presentava quindi problemi di conservazione più delicati

e complessi. Inoltre, a fronte delle numerose statue che fin da prima del 1740 ornavano

il frontone di Santa Cristina, sulla facciata di San Carlo si doveva solamente intervenire

sul bassorilievo raffigurante l'episodio storico di Emanuele Filiberto che riceve la comunione

ARCHIVIO DI STATOBIBLIOTECA ANTICA

DEGLI ARCHIVI

DI CORTE

(Fotografia

di Paolo Robino)

Page 22: Un'Avventura Torinese

34 2. facciate 35un’Avventura TORINESE

da San Carlo Borromeo, giunto a Torino per venerare la Sindone, e sulle due statue dedicate

a San Francesco di Sales e al Beato Bonifacio di Savoia, opera di Stefano Butti.

Nel corso degli anni, il complesso monumentale era stato oggetto di numerose

modifiche, come l'ampliamento realizzato da Carlo Ceppi fra il 1863 e il 1866, e di interventi

conseguenti alle scelte urbanistiche di Torino, come quello reso indispensabile

dall'abbattimento della vecchia via Roma. Nel 1974, poi, la facciata era già stata oggetto di una

prima ripulitura sponsorizzata dall'Italgas. Era però bastato un tempo relativamente breve

perché l'azione dello smog si facesse sentire nuovamente in modo pesante, al punto non solo

di annerire completamente la facciata, ma di rendere praticamente illeggibile lo stesso

bassorilievo. I piccioni, poi, avevano fatto il resto.

Per tali ragioni, l'intervento richiedeva l'adozione di tecniche diverse da quelle

impiegate appena sedici anni prima, sia per le parti architettoniche, sia, ancor più, per quelle

scultoree. Per le statue, i capitelli e il bassorilievo si dovette procedere a un'opera

di preconsolidamento, condotta con resine appropriate, cui fece seguito un primo tentativo

a base di leggerissime miscele di polvere non abrasiva e acqua. I modesti risultati conseguiti

in questo modo consigliavano perciò di proseguire con un lavaggio approfondito, completato

da un velo di speciali resine antismog.

In tal modo, le tonalità dominanti del rosa e del grigio, proprie della pietra di Gassino

e del granito di Baveno utilizzati dal Caronesi nella costruzione della facciata tornavano

a risplendere e la piazza incominciava a ritrovare i colori che le erano propri quando era stata

pensata e costruita, tanto da far scrivere che «quello dei marmi bianchi e grigi e del granito

rosa sul fronte della Chiesa, riportati agli splendori ottocenteschi» era «uno spettacolo

che nessun torinese d'oggi può vantarsi d'aver visto». Spettacolo reso tanto più emozionante

dal contrasto con la «gemella» chiesa di Santa Cristina «con la facciata ancora sporca di smog

e guano di colombi»: quasi un invito a procedere.

Che il risultato complessivo fosse in qualche misura abbagliante, lo confermavano

«la coloritura silicata adottata per il campanile o il rame delle gronde, oggi caratterizzate

da antiestetici riflessi d'acciaio che certo il passare del tempo smusserà».

Ma siccome l'intervento era stato realizzato a Torino, Città che, com'è noto, incorpora

nel proprio DNA una visione minimalista dell'esistenza e ha una spiccata vocazione per

il ruolo del bastian contrario, era quasi inevitabile che non tutti fossero convinti del risultato.

Certamente non ne era convinto quel signore che, incurante della collocazione delle due

chiese, si rivolgeva a Specchio dei Tempi, indispensabile ricettacolo delle proteste dei cittadini,

osservando: «A sinistra la chiesa di San Carlo [situata in realtà a destra, N.d.A.] pur

necessitando di restauri è arricchita dalla patina del tempo, mentre a destra [cioè a sinistra]

CHIESA DI SAN CARLO

FACCIATA DURANTE

IL RESTAURO,

CON IL TELONE

ILLUSTRATIVO

DELL’INTERVENTO

Page 23: Un'Avventura Torinese

36 2. facciate 37un’Avventura TORINESE

la chiesa di Santa Cristina è lustrata e splendente come una torta di compleanno; su di essa

troneggia una candela: il campanile di un giallo canarino da fare inorridire!». E concludeva.

«Non è possibile fare restaurare le opere d'arte da gente con un po' più di buon gusto?».

L'interrogativo del lettore avrebbe ottenuto risposta, a stretto giro di posta, dal

responsabile dei lavori, il quale, dopo aver osservato che il restauro di un immobile storico

non è tanto questione di buono o cattivo gusto, bensì applicazione di una scienza quasi

esatta, sottolineava come la tanto declamata «patina del tempo» sovente non sia altro che

«impasto di particolati da ossido di carbonio degli scarichi delle auto, oppure di anidridi

solforose dei camini o di guano dei colombi», in ogni caso da rimuovere, per recuperare

il colore originario, ivi compreso il «giallo canarino» del campanile.

A meno che non lo si volesse colorare «in guisa da accontentare il lettore e il suo

personale e particolare “buon gusto”».

Rimaneva - croce di ogni centro urbano - il problema dei piccioni. Per contrastarli

furono avanzate varie proposte. Come ebbe a scrivere un giornale dell'epoca, «tra bande

chiodate e avveniristici sistemi a ultrasuoni è stata avanzata anche l'ipotesi di piazzare, qua

e là sulle balaustre, serpentelli di gomma colorata, di quelli che si trovano comunemente

in tabaccheria per scherzi di dubbio gusto. Pare funzioni: i volatili, che non possiedono olfatto

e, a scanso d'equivoci, prima di “atterrare” danno un'occhiata, fuggono terrorizzati».

Evidentemente i responsabili del restauro non nutrivano altrettanta fiducia nella

capacità dissuasiva dei serpenti di plastica, perché, dopo attenta valutazione, optarono per

«un impianto a base di spuntoni anti-piccione, scelto in alternativa al più costoso e complicato

impianto a impulsi elettromagnetici […]» e «applicato con colle a base di resina siliconata

che comunque agevoleranno l'eventuale asporto futuro degli spuntoni in questione,

escludendo il benché minimo danno».

Ma per la Consulta il restauro di San Carlo ebbe anche un altro importante

significato: fu in quella occasione, infatti, che per la prima volta venne adottato il sistema

di fasciare i ponteggi con un trompe-l'oeil che richiamasse direttamente l'oggetto

dell'intervento. L'idea che aveva spinto i responsabili della Consulta a adottare quella

soluzione - una novità per Torino - nasceva dal fatto che, trattandosi del luogo universalmente

considerato come il «salotto» della Città, anche il cantiere che su di esso insisteva doveva

avere caratteristiche di «eleganza». Quindi, non antiestetici teloni stesi sul ponteggio

a trattenere polvere e residui, ma un velario ben congegnato che, oltre a raggiungere lo stesso

scopo, servisse in qualche modo a esaltare quanto si stava facendo all'interno.

Nel caso specifico, il telo non presentava una riproduzione fedele a grandezza

naturale di come sarebbe apparsa la chiesa dopo il restauro, ma proponeva una specie

di riassunto delle vicende che ne

avevano accompagnato la costruzione.

In una metà, il grande telone

riproduceva il primo disegno eseguito

nel 1715 da Filippo Juvarra per la

facciata e nell'altra metà il progetto

predisposto 119 anni dopo, e succes -

sivamente realizzato, da Caronesi.

L'idea col tempo sarebbe diventata

per la Consulta quasi un marchio di

fabbrica e, al tempo stesso, avrebbe

fatto scuola; infatti, nella quasi totalità

dei successivi interventi, non importa

da quale ente promossi, sarebbero comparsi teli a documen tare come sarebbe stato

il risultato dei lavori quando questi si fossero conclusi.

Tolti dalla facciata di San Carlo, i ponteggi sarebbero ricomparsi ben presto su quella

di Santa Cristina. La scelta era in qualche misura inevitabile: avendo provveduto al restauro di

una delle due chiese «gemelle», la Consulta non poteva certo disinteressarsi della sorte

dell'altra che ora, per contrasto, appariva ancora più sporca e degradata, al punto che neppure

l'abbondante nevicata caduta sulla città qualche giorno prima dell'inizio dei lavori, avviati

il 4 febbraio 1991, era riuscita a mitigare il grigiore che avvolgeva l'edificio.

La decisione di intervenire era già stata adottata sin dal luglio precedente ed era stata

accolta con viva soddisfazione dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Ambientali,

la quale, nell'esprimere il proprio compiacimento per l'intervento in questione, ricordava che

«lo stato di conservazione delle sculture e di tutto l'apparato lapideo della facciata è da tempo

in condizioni allarmanti» e conseguentemente «non può che essere benvenuta, pertanto,

la proposta di codesta Consulta che dimostra ancora una volta la qualità e sensibilità culturale

dei propri componenti».

Che si trattasse di un intervento delicato e complesso, era testimoniato dalle vicende

stesse dell'edificio. La chiesa di Santa Cristina era stata pensata, infatti, assieme alla

contemporanea chiesa di San Carlo, come quinta di chiusura della Piazza Reale (oggi San

Carlo) che Carlo di Castellamonte stava realizzando nel quadro del primo ampliamento di

Torino, voluto dal duca Carlo Emanuele I. La chiesa, inaugurata nel 1639, benché ancora

soggetta a opere di completamento da parte di Amedeo di Castellamonte, era stata affidata

dalla duchessa Cristina di Francia alle Carmelitane Scalze, giunte dalla Lorena.

FILIPPO JUVARRASTUDI

PER LA FACCIATA

DI SANTA CRISTINA,

WASHINGTON,

NATIONAL GALLERY

OF ART

Page 24: Un'Avventura Torinese

38 2. facciate 39un’Avventura TORINESE

chiesa». Par di capire che quella pulizia sia stata condotta più con la tecnica propria dei vigili

del fuoco - che prevede getti d'acqua ad alta pressione - anziché con quella del restauro

conservativo, a base di acqua nebulizzata!

Inutile sottolineare che la complessità e l'ampiezza degli interventi necessari

per riportare l'edificio agli antichi splendori comportavano una spesa nettamente superiore

a quella - già non lieve - richiesta da San Carlo: il che poneva alla Consulta delicati problemi

di bilancio. Il sodalizio era nel frattempo cresciuto, giungendo a raggruppare, dai dodici

iniziali, diciotto soci, ma anche così l'impegno economico richiesto a ciascuno di essi, rischiava

di essere eccessivo. La soluzione

venne trovata nello spalmare su

un esercizio e mezzo l'onere

complessivo, destinando la

quota residua del secondo

esercizio a un intervento, per

così dire «leggero».

Risolto questo non tra -

scurabile dettaglio, i lavori pote -

vano iniziare.

A riprova della com -

plessità degli interventi richiesti,

vale la pena di riportare qualche

stralcio della relazione predi -

sposta dalla società incaricata

dei lavori di restauro. «Dopo

una prima pulitura è emersa la

presenza di diffuse stuccature

di non grandi dimensioni in

ce men to, dovute a diversi re -

stau ri risalenti forse alla prima metà dell'Ottocento, fino al l'ultimo eseguito negli anni '60.

La deturpazione este tica di tali inserti è però assai grave nel contesto architettonico

unitario in pietra bianca, per cui è in corso un'opera di riplasma zione, lisciatura e rifinitura

delle stuccature da mantenere in situ, […] per conferire maggiore tenuta alle parti pericolanti

si è proceduto a una revisione dei giunti della pietra, per impedire infiltrazioni, e alla pulitura

con acqua nebulizzata su tutta la superficie, che ha permesso di sciogliere le croste nere

indurite e riportare gran parte del materiale lapideo all'originale».

Nel 1715, poi, la reggente Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours aveva

incaricato Filippo Juvarra di progettare una nuova facciata: compito che l'architetto messinese

svolse, dopo aver preso in considerazione alcune varianti, ispirandosi a modelli romani del

Borromini (San Carlo alle Quattro Fontane) e del Fontana (San Marcello al Corso).

La fronte della facciata, su preciso ordine di Juvarra, fu ornata con statue: alla

maestria dello scultore luganese Carlo Antonio Tantardini vennero affidate le raffigurazioni dei

santi Francesco di Sales, Agostino e Maurizio, nonché delle due Allegorie delle Virtù teologali

e cardinali, mentre al parigino Pierre Legros si debbono le due statue di Santa Teresa e Santa

Cristina, mai collocate sulla

facciata, dove invece compaio no

due copie realizzate da Giuseppe

Nicola Casana. Nel periodo

napo leonico la chiesa era stata

trasformata in Borsa per la

contrattazione delle merci, e dal

complesso monumentale erano

stati sottratti, assieme agli arredi

sacri, anche i due gruppi statuari

del Legros, ora ospitati in Duomo.

Con la Restaurazione,

venne incaricato l'architetto

Ferdinando Bonsignore di prov -

vedere agli interventi del caso,

e nel 1871 la chiesa e l'adiacente

convento, affidati sin dal 1844

alla Pia Unione del Sacro Cuore

di Maria, passavano in proprietà

al Comune. Nel 1935, poi, il

rifacimento della via Roma, avrebbe comportato, come anche per San Carlo, la parziale

demo lizione del convento e della sacrestia.

Una vicenda, dunque, lunga e complessa, che nel corso del tempo aveva richiesto

già numerosi interventi, non sempre condotti con la necessaria perizia. In particolare, il

lavaggio dei marmi, effettuato l'ultima volta nel 1975, aveva procurato più danni che vantaggi.

Come ricordava il parroco «si trattò di un intervento non solo ininfluente ma

addirittura rischioso, in quanto l'acqua produsse delle pericolose colature nell'interno della

FILIPPO JUVARRACHIESA

DI SANTA CRISTINA,

FACCIATA,

1715-1718

(Fotografia

di Paolo Robino)

FERDINANDO CARONESICHIESA

DI SAN CARLO,

FACCIATA,

1834

Page 25: Un'Avventura Torinese

2. facciate 4140 un’Avventura TORINESE

Interventi altrettanto delicati, ma decisi, venivano poi adottati per i gruppi statuari.

Particolarmente impegnativo risultava il restauro dell'Allegoria delle Virtù cardinali, dove

si era dovuto ripulire della macchia nera che lo deturpava il volto della giovane figura

femminile che regge un neonato. Anche il problema dei piccioni trovava adeguata soluzione

grazie all'innesto di punte acuminate e alle piccole scosse elettromagnetiche prodotte dalle

piastre inserite sui terrazzi e sui cornicioni.

«Con la conclusione del recupero della facciata di Santa Cristina, piazza San Carlo

è veramente una delle più belle d'Italia»: così La Stampa nel fare la cronaca dell'inaugurazione.

A fronte della legittima soddisfazione per avere completato con successo

un intervento tanto importante e, per quel che più conta, nel rispetto dei tempi previsti,

si poneva però anche prepotentemente all'attenzione un nuovo problema: quello della

conservazione del restauro. Pur nella consapevolezza che nulla è eterno, e che dunque anche

l'intervento della Consulta col tempo sarebbe andato incontro a un progressivo decadimento,

vi era - come vi è tuttora - il pericolo che l'azione dello smog, delle piogge acide e degli stessi

colombi, temporaneamente sconfitti ma non domi, vanificasse rapidamente gli sforzi profusi

e le risorse impiegate.

Già la relazione dei lavori di restauro concludeva con un monito ben preciso:

«La durata dell'intervento attuale non potrà […] essere garantita per decenni se non

si provvederà a pur minime operazioni di manutenzione, quali il lavaggio dei depositi

di guano sugli aggetti dell'architettura, la spolveratura e l'applicazione della resina protettiva

almeno ogni dieci anni». Si ponevano così le basi per un dibattito - sulla manutenzione dei

restauri - che sarebbe proseguito negli anni successivi e che avrebbe investito direttamente

FILIPPO JUVARRACHIESA

DI SANTA CRISTINA,

FACCIATA,

1715-1718

FERDINANDO CARONESICHIESA

DI SAN CARLO,

FACCIATA, 1834

Page 26: Un'Avventura Torinese

2. facciate 4342 un’Avventura TORINESE

l'attività della Consulta, come uno dei protagonisti principali.

Ma per il momento la questione era ancora di là da venire. Gli uomini della Consulta

potevano guardare con fiducia al futuro, forti anche del consenso riscosso presso l'opinione

pubblica, tanto da far scrivere al Sole 24 ORE che «lo stile sabaudo torna a far scuola».

Sabaudi, forse; innamorati della propria Città, sicuramente.

FILIPPO JUVARRACHIESA

DI SANTA CRISTINA,

FACCIATA,

PARTICOLARE

DELLO SCUDO,

DEL FINESTRONE

E DELLE ALLEGORIE

DELLE VIRTÙ

CARDINALI

E TEOLOGALI,

1715-1718

(Fotografia

di Paolo Robino)

Page 27: Un'Avventura Torinese

3. nuove esperienze 4544 un’Avventura TORINESE

CHIESA DI SAN FILIPPO NERI

FACCIATA E PRONAO

3. NUOVE ESPERIENZE

Se ha avuto la pazienza di giungere sino a questo punto, il lettore

ricorderà che per l'intervento sulla facciata della chiesa di Santa Cristina erano

state impegnate risorse corrispondenti a un esercizio finanziario e mezzo,

riservandosi la Consulta di utilizzare altrimenti la parte residua. In pratica,

il cantiere di piazza San Carlo aveva assorbito tutti gli stanziamenti deliberati

per il 1991 e una quota di quelli previsti per il 1992. Concluso felicemente

il restauro, si trattava ora di individuare quale iniziativa assumere

e, ovviamente, doveva trattarsi di un intervento per così dire «di peso»,

che riuscisse a reggere il confronto con quelli realizzati sino a quel momento.

Per la verità, le proposte non mancavano. Grazie all'autorevolezza che

già aveva saputo conquistarsi, la Consulta veniva sempre più vista, da molte

parti, come un interlocutore che andava comunque interpellato,

indipendentemente dall'esito della richiesta. In questo senso, all'attenzione

del consiglio direttivo erano giunte proposte riguardanti il restauro della

facciata di Palazzo Madama; la sistemazione di piazza Mollino con

la realizzazione di un trompe-l'oeil sul muro dell'ex Accademia Militare;

interventi vari a completamento di quanto già effettuato sulla facciata

dell'Archivio di Stato.

A un primo orientamento, assunto nel corso dell'assemblea del

24 settembre 1991, favorevole all'intervento su Palazzo Madama, facevano

seguito numerose perplessità derivanti soprattutto dal fatto che l'opera della

Consulta sarebbe andata a inserirsi in un restauro già avviato, che sino a quel

momento aveva dato risultati discutibili, rendendo difficoltoso un eventuale

proseguimento da realizzarsi con più adeguate metodologie.

Oltre a ciò, emergevano anche problemi di intesa fra le Soprintendenze

competenti per quanto atteneva alla direzione dei lavori.

Accantonato dunque il progetto di Palazzo Madama, venivano prese in

considerazione altre richieste, nel frattempo pervenute, che andavano ad aggiungersi alle

precedenti. Di fatto, nei sei mesi intercorrenti fra l'assemblea del 24 settembre 1991 e la

successiva del 4 marzo 1992, il numero delle segnalazioni era aumentato considerevolmente

Page 28: Un'Avventura Torinese

46 3. nuove esperienze 47un’Avventura TORINESE

in quanto alle precedenti si erano aggiunte quelle riguardanti la chiesa di San Filippo, le Porte

Palatine, il Teatro Regio, l'Accademia di Medicina, la Cappella del Rosario in San Domenico,

le chiese di San Francesco da Paola, San Rocco, la Santissima Annunziata. Al di fuori, poi,

dei classici interventi di restauro, veniva richiesto l'acquisto di una tavola di Gaudenzio Ferrari

e si proponeva la sistemazione dell'ex zoo di Parco Michelotti.

Fra tutte le proposte, la Consulta ritenne di prendere in considerazione, per

un esame più approfondito, quelle riguardanti San Filippo, le Porte Palatine e il Teatro Regio.

A far pendere definitivamente l'ago della bilancia per l'intervento su San Filippo

furono molti fattori, come, ad esempio, la mancata quantificazione dell'onere per il Teatro

Regio, mentre l'intervento sulle Porte Palatine avrebbe dovuto collocarsi all'interno di un più

ampio progetto di riqualificazione di tutta l'area, al quale non poteva rimanere ovviamente

estraneo il Comune di Torino. Ma probabilmente la ragione decisiva che fece convergere

su San Filippo la scelta finale fu la campagna di stampa promossa dalla Repubblica

che identificava in quel monumento, il «patrono del degrado cittadino».

Poiché San Filippo avrebbe assorbito i residui del 1992 e tutto il bilancio 1993, restava

ancora da identificare un intervento, per così dire, «leggero», da realizzarsi in tempi brevi

e a costi ridotti, che servisse a qualificare l'azione della Consulta nel 1992. Per questo aspetto,

cogliendo l'opportunità offerta dalle iniziative che il Comune di Torino stava assumendo per

il rilancio della Fondazione Cavour (restauro del Castello di Santena; schedatura di tutto

il patrimonio di arredi, documenti e libri; inserimento del Castello nel circuito delle residenze

storiche piemontesi) la Consulta decise di aderire alla richiesta di provvedere al restauro delle

dodici Nature morte e animali, una delle quali sarebbe da attribuirsi all'opera di Angelo Maria

Crivelli, detto il Crivellone, mentre le altre undici sono dovute alla mano di suo figlio Giovanni,

il «Crivellino». Le dodici tele erano pervenute al Castello di Santena negli anni Ottanta

dell'Ottocento nel quadro di una serie di trasferimenti di opere d'arte e arredi effettuata dalla

nipote di Cavour, Giuseppina Alfieri di Sostegno, che aveva riacquistato l'edificio dal conte

Roussy di Sales appena qualche anno prima, e collocate nella Sala da Pranzo.

I dipinti in questione si presentavano in cattivo stato di conservazione; il problema

fondamentale era costituito dall'indebolimento del supporto dovuto all'allentamento della

tela, tesa su vecchi telai, non originali, di pessima qualità. A questo inconveniente

si aggiungeva poi la stesura sulle tele di spessi strati di vernici alterate, che appiattivano

i dipinti limitando di molto la leggibilità dei particolari, essenziale nel caso di una pittura

d'effetto come quella rappresentata dalle Nature morte. Si dovette perciò procedere a un

intervento rigorosamente conservativo, consistente nel rimuovere le vernici e le ridipinture

alterate, foderare le singole tele e disporle su nuovi telai, stuccare con gesso e colla,

CHIESA DI SAN FILIPPO

NERIPARTICOLARE

DEL PRONAO

(Fotografia

di Mariano Dallago)

Page 29: Un'Avventura Torinese

48 3. nuove esperienze 49un’Avventura TORINESE

e successivamente reintegrare ad acquerello tutte le lacune esistenti. Il restauro, iniziato a fine

marzo 1992, nella prima decade di luglio era già concluso. Si trattava certamente di un

intervento neppure lontanamente paragonabile a quelli effettuati in precedenza, ma si

sbaglierebbe a giudicarlo un'operazione in qualche misura «minore». In effetti esso

rappresentò un'occasione preziosa per fare esperienza in un settore del restauro - quello dei

dipinti - sino a quel momento non praticato dalla Consulta. E di fatto, come si vedrà, da quella

prima volta sarebbero derivati interventi ben altrimenti impegnativi.

Mentre procedeva il restauro delle tele dei Crivelli, si avviò anche il cantiere per

l'intervento sulla chiesa di San Filippo. Apparentemente, per la Consulta si trattava di un

ritorno all'antico, una nuova applicazione delle metodologie utilizzate in precedenza per

il restauro delle facciate. In realtà la situazione era più complessa e poneva problemi nuovi,

consentendo alla Consulta di aggiungere una nuova esperienza a quelle già maturate.

In effetti, le cause del grave degrado che affliggeva la chiesa - che con i suoi 2600

metri quadri di superficie è la più vasta di Torino - erano da ricercarsi, oltre che negli agenti

atmosferici che colpiscono tutti i monumenti, nelle cattive condizioni della copertura, la cui

pessima tenuta aveva avuto conseguenze devastanti, in quanto, penetrando dai tetti

sconnessi, la pioggia si impastava con secoli di calcinacci accumulati nei sottotetti. Si formava

così uno strato di umidità che danneggiava gravemente le volte sottostanti e persino l'organo.

Del resto, l'edificio aveva avuto una vicenda lunga e tormentata. I lavori erano stati

iniziati nel 1675 dall'architetto luganese Antonio Bettino, su incarico dei padri filippini, per

i quali aveva già costruito la chiesa di San Filippo in Chieri. Bettino era stato assistente

di Guarini, con il quale aveva collaborato anche per la cappella della Sindone, e proprio

al Guarini si debbono due progetti per San Filippo, uno dei quali venne posto in opera, tanto

che nel 1703 la fabbrica risultava già coperta ed era già avanzata la costruzione della cupola.

Poi la guerra e l'Assedio di Torino - ma soprattutto dubbi sulla solidità delle strutture, dubbi

confermati nel 1714 dal crollo delle pareti e della cupola - provocarono la fermata del cantiere.

Come per molti altri edifici torinesi, anche in questo caso toccò a Filippo Juvarra mettere

mano al progetto di ricostruzione che, avviata nel 1722, dopo varie vicissitudini fatte

di interruzioni e di riprese, e per l'inattività imposta dall'occupazione napoleonica, ebbe

termine solo nel 1854, sotto la direzione di Giuseppe Talucchi, con l'apposizione della

cancellata fra le colonne della facciata. In realtà, la conclusione definitiva si sarebbe avuta

soltanto nel 1891, a opera di Ernesto Camusso, con la costruzione del timpano e delle

balaustrate laterali di coronamento.

La chiesa, poi, proprio per le vicissitudini legate alla sua costruzione, era già stata

oggetto di un pesante restauro, poco meditato, a cavallo fra Ottocento e Novecento, anch'esso

da annoverarsi fra le cause del degrado; dopo di che non era successo più nulla sino al 1987-

88, quando un modesto stanziamento, peraltro assorbito quasi per metà dal costo dei ponteggi,

aveva consentito di rifare il tetto sovrastante il presbiterio. L'intervento che la Consulta si

accingeva a compiere consisteva perciò anche nella rimozione delle conseguenze più deleterie

di quell'infelice precedente restauro ottocentesco. La situazione era dunque tale da rendere in

certo qual modo obbligatoria la via da seguire. In pratica, era indispensabile operare in due fasi,

la più importante e urgente delle quali consisteva nella manutenzione straordinaria completa

delle coperture, delle navate e dei tetti bassi dell'area presbiteriale.

La prima fase doveva perciò necessariamente riguardare lo smontaggio del manto di

tegole, il rifacimento della piccola e media orditura (ormai irrecuperabili), la revisione delle

CHIESA DI SAN FILIPPO NERIFACCIATA E PRONAO

Page 30: Un'Avventura Torinese

50 3. nuove esperienze 51un’Avventura TORINESE

grandi capriate (generalmente in buone condizioni) e la pulizia completa del sottotetto, dal

quale doveva essere scaricata la bellezza di 500 metri cubi di macerie colà abbandonate nel

tempo. Le tegole, poi, venivano esaminate a una a una; parecchie di esse, di epoca ancora

juvarriana, recavano ben visibili le impronte digitali degli artigiani che le avevano plasmate.

Quelle ancora utilizzabili sarebbero state selezionate, accantonate e successivamente utilizzate

per formare il manto superiore del nuovo tetto, dove venivano ancorate, dopo il rifacimento

dell'orditura secondaria, su tegole nuove, fermate con ganci di rame. In tal modo, l'intervento

risultava praticamente invisibile, pur consentendo di raggiungere l'obbiettivo voluto: non

lasciar più filtrare acqua all'interno dell'edificio.

L'imponenza dell'intervento era testimoniata dalle cifre. Complessivamente venivano

risanati circa 3000 metri quadri di tetto e risultavano impiegati 31.360 ganci per fermare

le tegole. Accanto a tutto questo, e a completamento dell'intervento sulle coperture, oltre agli

indispensabili fermaneve si provvedeva alla revisione dei serramenti delle aperture, tanto

nella parte vetraria che in quella lignea, e alla ritinteggiatura di quest'ultima; infine, l'edificio

veniva protetto con la posa di reti antipiccione in maglia di rame. Procedendo con la consueta

efficienza, i lavori, iniziati nella primavera del 1992, risultavano ultimati nell'ottobre dello

stesso anno, nel pieno rispetto dei tempi previsti.

Si è trattato, dunque, di un intervento estremamente impegnativo che è servito

a qualificare ulteriormente non solo l'attività della Consulta, ma anche il suo modus operandi,

la filosofia alla quale si ispira nella scelta degli interventi. Rifare il tetto di un edificio,

a differenza del restauro di una facciata, è operazione anonima, in certo senso invisibile,

che quindi come tale non da lustro né, tanto meno, assicura prestigio allo sponsor. Va perciò

dato atto alla Consulta, che ha accettato di operare per un'intera stagione in condizioni

di quasi anonimato, di una grande sensibilità e intelligenza. Pochi, o forse nessuno, sponsor

avrebbero accettato di investire una somma cospicua come quella richiesta dall'intervento sui

tetti - circa un miliardo di lire - non accompagnata da condizioni, pur legittime, di visibilità.

Più probabilmente, altri sponsor avrebbero optato per intervenire unicamente sulla facciata,

demandando magari all'ente pubblico, o comunque a un soggetto diverso, l'onere

di provvedere al tetto.

Messo finalmente in sicurezza l'edificio, si trattava ora di provvedere al restauro della

facciata e del pronao, che richiedevano interventi complessi su materiali molto diversi: pietra,

stucchi, ferri, legni, intonaci. Le infiltrazioni di acque meteoriche, i depositi di particellato

e di guano dei colombi avevano prodotto un pesante degrado degli elementi decorativi,

in particolare degli stucchi, grave al punto da lasciare scoperta, in alcuni casi, l'armatura

metallica che sosteneva candelabri e puttini. In altri casi, invece, le pessime condizioni erano

la conseguenza di un precedente restauro, che aveva alterato la lettura stessa del prospetto

della chiesa.

Si dovette quindi procedere ad asportare tutti gli elementi incongrui aggiunti e a

pulire con spazzole morbide l'intera superficie interna del pronao, eliminando innanzitutto

l'orribile, perché antiestetico, «effetto schiuma» causato dal rigonfiamento del gesso.

Immediatamente dopo si passò al preconsolidamento degli stucchi e alla pulizia a bisturi

dei depositi, operando al contempo minime integrazioni delle immagini, onde consentirne

una migliore leggibilità.

Per quanto riguarda invece la parte esterna del pronao, che soffriva dei tipici fattori

di deterioramento dei materiali lapidei in ambiente urbano - gas di scarico delle auto, depositi

di guano, erosione provocata dal ruscellamento delle acque piovane - si rese necessario

procedere innanzitutto al lavaggio dei vasi posti sulla sommità degli attici laterali e dei

pilastrini della balconata, e successivamente al lavaggio della facciata con acqua nebulizzata.

Quest'ultima operazione consentì alla pietra, in particolare a quella delle colonne,

di recuperare l'originario colore bianco paglierino. L'intervento venne poi completato con

la rimozione degli strati di vernice che ricoprivano la cancellata, sulla quale si applicò

SANTENACASTELLO CAVOURSALA DA PRANZO

CON I DIPINTI

OPERA DEI CRIVELLI

Page 31: Un'Avventura Torinese

52 3. nuove esperienze 53un’Avventura TORINESE

un trattamento a «canna di fucile»; in questo contesto anche le lance in legno furono

completamente revisionate, e quelle mancanti, sostituite.

Il complesso degli interventi della Consulta sulla chiesa di San Filippo, ufficialmente

presentato ai torinesi e alla stampa il 19 novembre 1993, venne accolto con favore da tutta

l'opinione pubblica, della quale riscosse il plauso e l'ammirazione. Nel dare la notizia, così

La Stampa riassumeva, quasi stupita, l'entità e l'importanza dei lavori effettuati: «Sono state

risanate 12 capriate lignee e 20.000 tegole storiche, su una superficie di 2000 metri quadri,

restaurati con 30.000 coppi nuovi. Nel sottotetto sono stati rimossi 1220 metri cubi di macerie

antiche. Riparate le finestre della navata, [i restauratori] hanno ripulito la facciata con

nebulizzatori d'acqua, microsabbiature e bisturi, rimuovendo smog e guano da pietre

e stucchi. Il tutto in due anni».

E La Repubblica con -

cludeva: «non resta che apprez -

zare il prodigioso salvataggio

della facciata, del pronao e

della copertura di una chiesa

che v ide misurars i l 'es t ro

creativo dei due più grandi

architetti sabaudi, Guarino

Guarini e Filippo Juvarra.

Con due anni di lavoro

e un f inanz iamento d i un

miliardo e mezzo stanziati dalla

Consulta […] si è finalmente

arginato il dilagare del degrado.

Infiltrazioni, guano di piccioni, vandalismi e interventi sommari del passato avevano reso

ormai praticamente illeggibili decorazioni e stucchi splendidamente congegnati e portati

a termine in un arco di tempo che va dal 1675 al 1891». Certo, rimanevano ancora

da restaurare la grande aula interna, le cappelle laterali e il presbiterio. Ma il peggio era stato

scongiurato. Ora la Consulta poteva concentrarsi su altre emergenze; che, per la verità, erano

piuttosto numerose.

Fra le tante, una riguardava il Teatro Regio. Da anni l'atrio d'ingresso al Teatro

era diventato oggetto di atti vandalici e scritte imbrattanti, mentre la sua superficie, vasta

e perfettamente liscia, rappresentava il terreno ideale di prova per gare di pattini a rotelle,

skate-board e roller-blade. Come se non bastasse, quando non c'era spettacolo, o alla

conclusione di quest'ultimo, il luogo diventava ricovero e giaciglio di non troppo desiderati

ospiti notturni. Una situazione insostenibile che aveva spinto la Sovrintendenza del Teatro

a proporre la chiusura dell'atrio in questione, mediante il posizionamento di una cancellata

scorrevole, da aprirsi soltanto in occasione degli spettacoli e da lasciare chiusa per tutto

il tempo rimanente.

Se di per sé era stato semplice individuare una soluzione corretta al problema, molto

più complicato era invece scegliere quale tipologia di chiusura si sarebbe dovuto adottare.

La cancellata, infatti, avrebbe dovuto inserirsi in un «monumentale complesso

edilizio (ubicato in un contesto di eccezionale pregio storico-artistico, già oggetto di tutela

sugli edifici limitrofi) consistente nelle vestigia residue dell'incendio (anno 1936) del Regio

teatro alfieriano (1738-1740) identificabili nelle facciate prospettanti la piazza Castello e nelle

accluse e conglobate pertinenze costituite dalla moderna realizzazione molliniana del

ricostruito Teatro Regio, anch'essa dotata di chiaro interesse architettonico negli elementi

compositivi - scale, scale mobili, foyer, collegamenti in genere - appositamente collocati

e progettati quali cornici atte a valorizzare prospettiva, luce e condizioni di ambiente connesse

alle storiche strutture settecentesche oltre la piazzetta Carlo Mollino».

L'iniziale incertezza sulle scelte da compiere e la conseguente impossibilità

di definire l'ammontare delle risorse necessarie, avevano fatto sì che una prima segnalazione

della Sovrintendenza del Teatro alla Consulta non fosse stata presa in considerazione.

Ma ora, all'inizio del 1994, la situazione era sensibilmente mutata, in quanto già

da qualche tempo era stato individuato l'artista incaricato di realizzare l'opera. Si trattava

di Umberto Mastroianni, il quale, interpellato, dichiarava di accettare con entusiasmo,

rinunciando a qualunque forma di compenso perché, diceva, «ho 90 anni [in realtà, 84],

il tempo contato e tante cose da esprimere. Alla mia età non avrei accettato un compito come

questo se fosse stato solo un concorso. È invece per me un'occasione preziosa, per lasciare

qualcosa di mio a Torino, una città che rappresenta tradizioni e valori di correttezza

e concretezza, sempre più evanescenti in quest'Italia che va a rotoli».

Che dovesse trattarsi di Mastroianni e non di altro scultore era, per così dire,

nell'ordine naturale delle cose. L'artista di Fontana Liri non solo aveva perfezionato a Torino,

dove era giunto con la famiglia nel 1926, il suo percorso culturale e portato a maturazione

quello professionale, ma in questa città era riuscito anche a rinnovare lo spirito della scultura

celebrativa, dei valori spirituali dell'uomo. Con il Monumento alla Resistenza Italiana

di Cuneo, e con quelli alla Pace di Cassino e alla Resistenza di Tolentino, Mastroianni aveva

già offerto prove eloquenti della sua capacità di inserire, con effetti di forte emotività, gruppi

scultorei nel contesto urbano e paesaggistico. Capacità che aveva raggiunto forse il punto più

SANTENACASTELLO CAVOURANIMALI IN POSA DI

GIOVANNI CRIVELLI

Page 32: Un'Avventura Torinese

54 3. nuove esperienze 55un’Avventura TORINESE

alto con il Monumento ai Caduti per la Libertà del Cimitero Monumentale di Torino,

realizzato in collaborazione proprio con Carlo Mollino, al quale era legato da affinità

di temperamento, di formazione e di espressione artistica. Ora, con la Cancellata, per un

singolare destino il sodalizio artistico fra il «pirata» Mastroianni e il «diabolico saraceno»

Mollino, come i due erano stati ribattezzati dagli amici all'epoca della loro frequentazione,

si riproponeva.

Chiarita, con la rinuncia, la questione del compenso all'artista, i costi dell'intera

operazione potevano essere quantificati in 750 milioni di lire, di cui 400 necessari per

la fusione dei gruppi scultorei, 150 per la realizzazione del modello in legno e 200 per

la costruzione e messa in opera del cancello vero e proprio, completo dei meccanismi

di scorrimento automatico. La richiesta di finanziare i 400 milioni necessari per la fusione

(mentre gli altri oneri sarebbero stati sostenuti dal Comune), venne accolta favorevolmente

dalla Consulta, la quale, dopo il grande sforzo compiuto per San Filippo, avvertiva la necessità,

per così dire, di «tirare il fiato», con un'operazione di costo contenuto, in attesa di individuare

altri interventi più impegnativi. In questo senso si era già espressa anche l'assemblea

del 13 luglio 1993, la quale aveva deliberato di «individuare, per il 1994, un intervento annuale

di entità possibilmente ridotta rispetto al passato, ma qualitativamente coerente agli obbiettivi

perseguiti fino ad oggi dalla Consulta». La Cancellata rispondeva perfettamente a entrambi

i requisiti.

Con questo intervento la Consulta apriva un nuovo fronte: quello dell'arte

contemporanea, fornendo un contributo che andava al di là del fatto puramente formale della

sponsorizzazione. Accettando di finanziare le sculture di Mastroianni, la Consulta dimostrava

di essere un organismo che sapeva colloquiare con l'insieme delle istituzioni cittadine e farsi

carico di problemi che esulavano dal puro e semplice recupero di edifici storici, per investire

direttamente i problemi del vandalismo e della salvaguardia da un uso improprio delle parti

«auliche» della città di Torino, accettando, e anzi incoraggiando, l'inserimento nel tessuto

tradizionale di elementi di forte contemporaneità. In un certo senso, con questo intervento

la Consulta interveniva nel dialogo sulle scelte urbanistiche della Città, assecondandone

una delle esigenze primarie: quella di salvare dal degrado non questo o quel palazzo,

non questo o quel monumento, ma la vita sociale della collettività nel suo insieme.

UMBERTOMASTROIANNITEATRO REGIO,

ODISSEA MUSICALE,

1994

Page 33: Un'Avventura Torinese

56 3. nuove esperienze 57un’Avventura TORINESE

Il racconto scolpito nel bronzo, che Mastroianni, in omaggio al luogo e alla sua

destinazione a teatro lirico, aveva voluto intitolare Odissea Musicale si inserisce infatti in un

tessuto architettonico complesso, rispetto al quale intende proporsi come sipario, scenografia

e allo stesso tempo come recinzione: funzione non residuale, ma ragione di fondo per

la quale l'opera è stata realizzata. In ogni caso, l'artista doveva tenere conto del fatto che

in determinati momenti il complesso scultoreo si sdoppiava in due metà; le quali,

ricongiungendosi, avrebbero dovuto definire un ciclo completo, una descrizione narrativa

che tenesse conto del carattere «teatrale» del luogo.

Mastroianni riuscì a soddisfare questa esigenza incastonando sui due grandi pannelli

scorrevoli, lunghi 12 metri, alti 3,60 e composti da un telaio geometrico a maglia quadrata, tre

grandi gruppi di sculture modernamente ispirate alla rappresentazione teatrale - inquadrate

in una cornice continua di bassorilievi - che rappresentano, rispettivamente, la Danza,

la Tragedia e la Commedia. Attorno ai gruppi scultorei, le lesene verticali e il coronamento

costituiscono un bassorilievo continuo di «maschere» e di «figure drammatiche». In questo

modo, è stato scritto, «come una facciata, la cancellata risulta stratificata, scavata, scaglionata

per piani multipli; è un'indagine al limite del virtuosismo sulla tridimensionalità».

L'opera venne presentata ufficialmente al pubblico il 22 dicembre del 1994,

accompagnata da un volume che illustrava la personalità di Mastroianni, il suo percorso

artistico, e descriveva nel dettaglio il contenuto delle sculture e dei bassorilievi di cui era

composta. Per celebrare degnamente l'evento, era prevista per la sera dello stesso giorno

un'esecuzione dell'Orchestra del Teatro Regio, che però non ebbe luogo perché

gli orchestrali, con perfetto spirito autolesionista, preferirono scioperare, proprio quel giorno,

a sostegno di certe loro rivendicazioni. Il concerto si tenne ugualmente, benché ridotto alla

sola partecipazione di un soprano e di un tenore accompagnati da un pianoforte,

ma indubbiamente quella che poteva essere una vera festa per Torino, che si trovava arricchita

di un'opera d'arte di grande prestigio, riuscì soltanto a metà.

Né quella degli orchestrali fu l'unica protesta legata alla Cancellata. A protestare

furono anche gli acrobatici giovanotti che da molti anni ormai avevano eletto l'Atrio delle

Carrozze a palestra delle loro evoluzioni con lo skate-board e delle loro improvvisazioni rap.

Come diligentemente informava la Repubblica, costoro protestavano «con atteggiamenti

diversi a seconda dell'appartenenza alla tribù dei rappers o a quella degli skaters, due mondi

vicini ma ben distinti l'uno dall'altro. Simile il modo di vestirsi e identico il luogo di ritrovo,

ma con esigenze differenti». L'associazione Real World, nata con lo scopo di difendere

la cultura hip hop reagisce in maniera morbida. «Possiamo capire che non sia giusto rovinare

un monumento, - dice [bontà sua] Silvestro Ferrero, - ma continueremo a trovarci al Regio,

anche se siamo in trattative con il Comune per uno spazio in piazza d'Armi». Gli skaters invece

non sono così accomodanti. Raccontano Paolo Melzi e Giampaolo Zampa: «Se spendono oltre

un miliardo solamente per mandarci via, potevano ottenere lo stesso risultato con molto

meno. Se avessimo solo un decimo della cifra saremmo in grado di attrezzare uno skate-park

come a Marsiglia».

Come che sia, c'è da pensare che le aspirazioni degli uni e degli altri non siano state

soddisfatte, oppure che l'area di piazza Castello abbia continuato a esercitare un'irresistibile

attrattiva, visto che attualmente le due tribù hanno spostato le loro acrobatiche evoluzioni

soltanto di pochi metri, passando dall'Atrio delle Carrozze al basamento del prospiciente

monumento al Duca d'Aosta! Ma per lo meno, Odissea Musicale è rimasta salda al suo posto.

La somma delle esperienze maturate negli ultimi interventi - da quello sulle tele del

Castello di Santena alla realizzazione di Odissea Musicale - avrebbe poi reso possibile

l'intervento successivo, di gran lunga il più impegnativo fra quelli realizzati sino a quel

momento: il riallestimento della Pinacoteca dell'Accademia Albertina.

UMBERTOMASTROIANNITEATRO REGIO,

ODISSEA MUSICALE,

PARTICOLARE, 1994

Page 34: Un'Avventura Torinese

58 3. nuove esperienze 59un’Avventura TORINESE

Il consiglio direttivo della Consulta aveva preso in considerazione la possibilità di

occuparsi della prestigiosa e antica istituzione artistica torinese fin dalla riunione del 24 marzo

1993, quando, ormai in dirittura d'arrivo il restauro di San Filippo, era giunto il momento di

individuare un altro intervento di grande rilievo, dopo quello «minore» (ma neppure tanto)

della Cancellata di Mastroianni. Per la verità, l'intenzione iniziale era quella di procedere alla

ristrutturazione della facciata principale dell'edificio che dal 1837, per volere di Carlo Alberto,

ospita l'Accademia. In sé, il restauro della facciata non avrebbe costituito un grande impegno,

soprattutto dal punto di vista finanziario, dal momento che su un costo totale stimato in 800

milioni era previsto un contributo di 500 milioni del Provveditorato alle Opere Pubbliche.

Ma di riunione in riunione il progetto prese a lievitare, orientandosi verso altre necessità

dell'Accademia. In particolare, poco più di un mese dopo la riunione nella quale si era deciso

di operare in quella direzione, il 4 maggio 1993, veniva presa in considerazione l'ipotesi

di provvedere al riassetto della Pinacoteca dell'Accademia, sia risistemando le sale esistenti sia

ampliandone il numero, così da poterne consentire l'apertura, almeno parziale, al pubblico.

In effetti, la storia della Pinacoteca Albertina se da un lato rappresenta una tipica

manifestazione dell'understatement subalpino, di solito riluttante e forse anche un po'

infastidito a mettersi in mostra, dall'altro è un altrettanto tipico caso di tesoro nascosto: uno

di quei tesori che la Città e i cittadini non sanno di possedere. Il nucleo iniziale della

Pinacoteca risale infatti al 1832, quando il marchese monsignor Vincenzo Maria Mossi

di Morano legò all'Accademia la sua quadreria, ricca di oltre duecento dipinti, che doveva

servire come strumento didattico per «favorire l'istruzione dei giovani inclinati alla bell'arte

del disegno e della pittura». Un insieme di capolavori ai quali si era ben presto aggiunta

la donazione, da parte dello stesso Carlo Alberto, di sessanta cartoni e disegni

cinquecenteschi già conservati nei Regi Archivi e connessi prevalentemente all'attività

di Gaudenzio Ferrari e della sua scuola, «nucleo - quest'ultimo - unico al mondo come

esempio delle procedure creative della bottega

cinquecentesca». In realtà, però, quasi tutti

i dipinti e le altre opere della Pinacoteca erano,

e sono, da ritenersi dei capolavori. Basterà

ricordare le splendide tavole di Filippo Lippi,

Defendente Ferrari, Giovanni Martino

Spanzotti; oppure la toccante Sacra Famiglia

di Bartolomeo Cavarozzi; e ancora, i maestri

fiamminghi fra i quali spiccano le due Nature

mor te di Nicas ius Bernaer ts , megl io

conosciuto come «Monsù Nicasio»; senza dimenticare, infine, l'arazzo di manifattura

fiamminga, e le terracotte dei fratelli Collino, accanto ai pregiati acquerelli del Bagetti

e Storelli, e alle testimonianze di importanti maestri e di loro allievi nell'Accademia di fine

Settecento.

Grazie a queste donazioni e ad altre successive, quantitativamente inferiori ma non

meno importanti, Torino ebbe «il privilegio unico, con Firenze, di possedere due ben distinte

e rilevanti collezioni d'arte: dell'Accademia e dello Stato [e cioè la Galleria Sabauda]».

Se non che, tutto questo giaceva, non abbandonato ma certamente affastellato,

in cinque sale-deposito. Con la conseguenza che le opere, peraltro sempre correttamente

conservate e restaurate in caso di necessità, non erano fruibili dagli allievi dell'Accademia

e praticamente precluse al pubblico. Soltanto agli addetti ai lavori, su specifica richiesta,

era consentito accedere alle sale in questione. Per la verità, la Pinacoteca non aveva mai avuto

vita facile. Anche se non erano mancati tentativi importanti di riordino, come quello affidato

nel 1932 a Lionello Venturi, ma non portato a termine, essa era stata spesso costretta

a traslocare da un piano all'altro dell'edificio; ma a dare il colpo di grazia erano stati,

ovviamente, i bombardamenti che avevano colpito Torino nella seconda guerra mondiale.

Successivamente, la cronica carenza di spazio e la necessità di adeguare e mettere

a norma gli impianti di sicurezza, per la quale le risorse latitavano, avevano fatto il resto.

ACCADEMIA ALBERTINAPINACOTECA,

SALA 5

DEDICATA

AL TEMA

DEL PAESAGGIO

ACCADEMIAALBERTINAPINACOTECA,

SALA 8 DEDICATA

AI MAESTRI

E AGLI ALLIEVI

DELL’ACCADEMIA

Page 35: Un'Avventura Torinese

60 3. nuove esperienze 61un’Avventura TORINESE

di un secondo scalone, mentre il secondo lotto riguarda la sistemazione delle rimanenti sei

sale». In realtà, la previsione sarebbe stata sopravanzata dagli eventi. Alle otto sale

inizialmente preventivate se ne sarebbero aggiunte altre quattro, recuperate grazie

al trasferimento della Biblioteca storica, e al ripristino puro e semplice dei locali avrebbe fatto

seguito il progetto e la realizzazione dell'allestimento museale. Così, nuovi costi sarebbero

andati ad aggiungersi a quelli già previsti e a quegli altri che, se pure inizialmente non

prevedibili, finiscono inevitabilmente per gravare su iniziative dal carattere fortemente

aleatorio come sono i restauri di edifici storici.

L'importanza dell'intervento che la Consulta stava realizzando, viste le ricadute che

avrebbe potuto avere sull'insieme del sistema culturale torinese, richiedeva anche un

adeguato progetto di comunicazione. Così, lungo tutto l'iter dei lavori vennero tenute

conferenze stampa di aggiornamento; particolarmente importante quella del 20 febbraio

1996, che vide l'autorevole partecipazione di Federico Zeri. In quella occasione il noto critico

d'arte, oltre a sottolineare l'importanza artistica della quadreria dell'Accademia per l'eccelsa

qualità di molte delle opere presenti, mise in luce l'opportunità che veniva offerta alla Città

di Torino di dotarsi di un nuovo museo particolarmente prestigioso. «È uno Zeri entusiasta

e caustico - commentava La Stampa il giorno dopo - quello che ieri si è aggirato fra le opere

dell'Accademia. “Eccezionalmente belle. Ma dove le mettete? E come? Avete il locale?” […]

E Zeri proclama: “Sì, questa raccolta è di livello europeo. Vale il viaggio”». Un altro

appuntamento importante, anche se successivo alla riapertura della Pinacoteca riguardò

la presentazione dell'intera iniziativa, la sera del 18 marzo 1997, in uno degli «Incontri

del Martedì Sera» all'Unione Industriale, perché quell'incontro offrì anche l'occasione per

parlare della Consulta, di quanto aveva già realizzato e dei programmi che intendeva svolgere

nel futuro.

Rispettando anche questa volta i tempi stabiliti, l'intervento venne inaugurato

ufficialmente il 21 novembre 1996. Nelle dodici sale del complesso trovavano ospitalità oltre

duecento opere delle circa trecento appartenenti alla Pinacoteca, fermo restando che le

rimanenti non sarebbero state rinchiuse nell'oscurità di un deposito, ma sarebbero state

anch'esse esposte, a rotazione. L'apparente semplicità della collocazione sulle pareti delle

diverse sale delle opere più importanti e rappresentative rischiava di mettere in ombra

l'impegno profuso dalla Consulta, sotto l'alta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni

Artistici e Storici del Piemonte, nel confrontarsi sul piano della museografia con i temi

e i problemi, certamente non facili, posti da una collezione come quella dell'Albertina.

Si trattava, infatti, di documentare e rendere percepibile il sottile fil rouge, il delicato

equilibrio che doveva necessariamente intercorrere tra la storia dell'istituzione, la rara

Nel 1994, però, venivano recuperati all'attività dell'Accademia i locali sino ad allora

occupati dal liceo artistico, e si creavano così gli ambienti per un'adeguata sistemazione dei

tesori della Pinacoteca, che adesso poteva disporre di una maggiore quantità di spazio. In più,

durante i lavori di rinforzo delle murature e di rifacimento degli intonaci venivano individuati

nei muri, tra sala e sala, ampi archi strutturali che si poterono liberare dai tamponamenti

e utilizzare come passate lungo il percorso. Il che permise di accentuare il carattere di

«galleria» della sequenza degli spazi, come del resto richiesto dalla destinazione museale dei

medesimi. È però evidente che un impegno come quello che la Consulta intendeva assumere

avrebbe richiesto uno sforzo finanziario di gran lunga superiore a quelli compiuti sino

ad allora, anche quando erano stati ripartiti a due esercizi successivi. E anche in questo caso,

dunque, si ritenne di suddividere l'intervento - il cui costo complessivo era stimato in oltre

due miliardi - in due moduli distinti da realizzarsi rispettivamente nel 1995 e nel 1996.

Come venne riferito nella riunione di direttivo del 10 novembre 1993, «si è verificata

la possibilità di realizzare due lotti di lavori funzionali, il primo relativo all'adeguamento di due

sale espositive, all'impiantistica di tutte le otto sale, alla creazione di un deposito, all'accesso

ACCADEMIA ALBERTINAPINACOTECA,

SALA 10

CON I CARTONI

GAUDENZIANI

Page 36: Un'Avventura Torinese

3. nuove esperienze 6362 un’Avventura TORINESE

connotazione delle collezioni che vi erano confluite e la straordinaria qualità delle singole

opere. Senza con ciò lasciare in ombra lo scopo originario di un museo nato, cresciuto

e finalizzato per l'istruzione degli allievi dell'Accademia di Belle Arti. Al contempo, il minuzioso

lavoro scientifico per l’allestimento condotto da Giovanna Galante Garrone e Angela Griseri,

oltre a fornire un quadro preciso della consistenza artistica della Pinacoteca, permetteva di

formulare per alcune opere nuove attribuzioni, mentre in altri casi venivano effettuate

autentiche scoperte, come il dipinto di Francesco Cairo che giaceva ignorato nei depositi.

Tenendo conto di quest'insieme di necessità e di circostanze, il percorso museale

scelto si snoda attraverso le dodici sale con un itinerario che prevede, nelle prime sei,

l'esposizione delle opere provenienti dalla collezione Mossi di Morano. Così, nella prima sala

trovano collocazione i «primitivi», rappresentati dalle splendide tavole di Filippo Lippi,

Giovanni Martino Spanzotti, Defendente Ferrari, Francesco Francia, Martin Van Heemskerck.

La seconda sala è dedicata ai dipinti genovesi del primo Seicento, con altre opere

appartenenti al manierismo piemontese e lombardo. La terza sala è riservata ai pittori

caravaggeschi, dell'importanza di Bartolomeo Cavarozzi e di Mattia Preti. La quarta sala,

invece, propone dipinti olandesi e fiamminghi, mentre nella quinta si è voluto privilegiare

il tema del paesaggio, con dipinti che documentano alcuni dei filoni presenti nella raccolta.

Nella sesta sala, infine, si è dato spazio ad artisti romani come Trevisani e Casali, ancora

Seyter, per l'aggiornamento culturale della corte sabauda.

Dopo la presentazione del nucleo proveniente dalla donazione Mossi di Morano,

la Pinacoteca propone, nella settima e ottava sala, le testimonianze di importanti maestri

e di loro allievi nell'Accademia di fine Settecento e inizi Ottocento, documentando il passaggio

dal periodo napoleonico alla Restaurazione sabauda. Qui si impongono le sculture dei fratelli

Collino e di Spalla, accanto a una virtuosistica cornice del Bonzanigo, nonché importanti

acquisizioni, che vanno dalla Pala di Montemale del Moncalvo, alle tavole del Giampietrino

provenienti da Staffarda, o alla copia antica della Madonna del Velo di Raffaello. Nella nona

sala, invece, a carattere ancora provvisorio, viene proposto l'insieme di alcune preziose

donazioni di Carlo Alberto, quali l'arazzo fiammingo Ester ed Assuero, due disegni del

francese Lagneau, appositamente selezionati per l'Accademia Albertina da Roberto d'Azeglio,

accanto ad alcuni esempi di disegni e acquerelli di artisti particolarmente apprezzati dal re,

come Bagetti, Arienti e Storelli.

Di particolare impegno, anche sotto il profilo tecnico, la decima sala, nella quale sono

esposti i cinquantanove cartoni gaudenziani, che si è cercato di rendere integralmente

consultabili e confrontabili in contemporanea: mentre alcuni sono esposti a rotazione - si

tratta, per lo più di capolavori di Gaudenzio Ferrari, Gerolamo Giovenone e Bernardino

Lanino - altri sono appesi in penombra su pannelli scorrevoli su rotaie. Particolare importanza

è stata riservata, in questa come nella precedente sala, all'illuminazione, onde non

danneggiare con una luce eccessiva la qualità delle opere esposte. Mentre l'illuminazione

degli ambienti nel loro insieme è stata ottenuta con corpi a fluorescenza incassati nel

controsoffitto, così da ottenere una condizione di luce «calda» e uniforme sulle pareti, nelle

due sale in questione si è fatto ricorso alle fibre ottiche, in modo da realizzare una luce

attenuata, ma al tempo stesso sufficiente per assicurare la leggibilità dei cartoni, dell'arazzo

e degli acquerelli, senza contribuire per troppa luminosità al loro possibile deterioramento.

Per le ultime due sale, infine, è stata prevista una destinazione più flessibile: destinata

a mostre temporanee, la undicesima; dedicata ad alcune opere poco note del secondo

Ottocento e del primo Novecento, da Ludovico Raymond e Bonatto Minella, a Giacomo

Grosso e a Cesare Ferro, la dodicesima.

L'importanza dell'intervento della Consulta è stata determinante, poi, per attivare

anche le pubbliche istituzioni, impegnandole a operare per la fruibilità del materiale della

Pinacoteca. In questo senso, mediante apposita convenzione, l'Assessorato alla Cultura della

Regione Piemonte si è fatto carico della gestione ordinaria: «Un nuovo museo torinese - come

ebbe a scrivere La Stampa - che merita una visita e una grande attenzione. Bisogna guardare

tutto, scoprire i particolari, le tonalità di colore, le composizioni». Ma è stato soprattutto

l'esempio fornito dalla Consulta a destare l'interesse e l'ammirazione degli organi di

informazione. Se il Giornale, a fronte della constatazione che «purtroppo in Italia ci sono

ancora altre migliaia, decine di migliaia forse, di capolavori che ammuffiscono “imprigionati”

in umidi e bui scantinati» si augurava che «l'Accademia Albertina rappresenti un esempio, per

ACCADEMIAALBERTINAPINACOTECA,

SALA 3

CON I PITTORI

CARAVAGGESCHI

Page 37: Un'Avventura Torinese

3. nuove esperienze 6564 un’Avventura TORINESE

molti, per tutti», il Corriere della Sera andava ancora oltre. «L'esperienza di questa Consulta -

scriveva il quotidiano milanese - è davvero molto interessante. Un esempio da seguire.

Dobbiamo rendercene conto: è talmente grande il patrimonio dei beni culturali italiani,

che da sole le istituzioni pubbliche non potranno mai riuscire a restaurarlo quando occorre,

a mantenerlo, a tenerlo a disposizione del pubblico. Il capitale privato deve intervenire.

Ne ha l'obbligo morale, potremmo dire. Ed è un obbligo che molti rispettano,

evidentemente. Molti, anche se non abbastanza. Viene in mente la Pinacoteca di Brera,

a Milano, costretta in uno spazio limitatissimo. Capolavori restano al buio, sepolti nei

magazzini. Musei interi, invisibili, nascosti sotto il museo visibile. Tesori nascosti, appunto.

Così, tutti noi siamo un po' più poveri. Perché anche a Milano non si mettono insieme le forze

disposte a finanziare il restauro e la riqualificazione di opere d'arte, di architetture?».

Le domande che si poneva il cronista del Corriere erano legittime, e in parte

potevano valere anche per Torino, poiché l'intervento della Consulta era valso, sì, a smuovere

le acque, ma molte zone d'ombra rimanevano ancora. In una sorta d'inventario del

patrimonio artistico torinese «negato» alla fruibilità dei cittadini, la Repubblica del 9 giugno

1995, nelle pagine regionali, sottolineava l'eccezionale valore di molti di questi «tesori».

«La porta è rigorosamente chiusa a chiave. È una camera buia, senza finestre, un po'

polverosa. Contiene enormi tubi, avvolti nella velina e in metri e metri di tela. Ai lati la tela

è stata arrotolata e annodata. Sembra una collezione di gigantesche caramelle: sono arazzi.

Centotrenta: il loro valore è inestimabile. Arazzi di casa Savoia, tra cui una preziosissima serie

seicentesca tratta dai cartoni di Rubens: quattrocento anni di storia nascosti nel magazzino

di Palazzo Reale». A quanto risulta, a più di un decennio di distanza gli arazzi sono ancora lì.

Con l'allestimento della Pinacoteca Albertina, nello spazio di un quinquennio - fra il

1992 e il 1996 - la Consulta aveva maturato una serie di esperienze nuove, che spaziavano dal

restauro di dipinti a interventi sull'arte contemporanea, dal risanamento di strutture edilizie

alla progettazione e realizzazione di percorsi museali, risolvendo in parallelo complessi

e delicati problemi di illuminotecnica e di controllo dell'umidità. Allo stesso tempo essa era

riuscita ad acquisire un'autorevolezza indiscussa, diventando punto di riferimento obbligato

per tutti gli attori dell'ambiente artistico e culturale torinese, rispetto ai quali esercitava un

notevole potere di attrazione. Ne fanno fede le proposte di intervento che continuavano ad

affluire e diventavano, senza eccezione alcuna, oggetto di istruttoria. Così, ad esempio,

il riepilogo delle ipotesi di nuovi interventi presentato al consiglio direttivo dell'11 marzo 1996,

contemplava ben diciotto proposte, riguardanti sia edifici storici o istituzioni culturali

(Biblioteca Reale, Museo Nazionale del Risorgimento, Museo Sindonologico, Villa della

Regina, Palazzo Madama, Palazzo Carignano, Accademia delle Scienze), sia, soprattutto, edifici

religiosi (Santuario della Consolata, Santa Teresa, San Lorenzo, Santa Trinità, Chiesa del

Carmine, San Domenico, nuovamente San Filippo, San Francesco d'Assisi, San Francesco da

Paola, Santa Pelagia, Cappella dei Mercanti). Alcune di tali proposte, nel tempo, avrebbero

trovato accoglimento, magari per interventi di natura diversa da quelli prospettati; altre

avrebbero trovato accoglienza da parte di istituzioni diverse dalla Consulta; per altre ancora

invece non sarebbe stato possibile prevederne l'accettazione. Tutte quante, messe

a confronto, fornivano una mappa precisa e documentata del degrado in cui versava una

parte non piccola del patrimonio artistico e culturale torinese, individuavano una scala

di priorità, mettevano la Consulta, forte delle esperienze maturate con gli ultimi interventi,

nella condizione di operare a tutto campo.

Page 38: Un'Avventura Torinese

teatro regio - odissea musicale

Page 39: Un'Avventura Torinese
Page 40: Un'Avventura Torinese

70 un’Avventura TORINESE

4 . RITORNO ALLE ORIGINI

L'idea di celebrare il decennale di attività della Consulta con un

intervento dal sapore fortemente simbolico prese corpo nella riunione del

consiglio direttivo dell'11 marzo 1996. In quella circostanza, esaminate le circa

venti proposte pervenute, il consiglio decise all'unanimità di approfondire

tra gli interventi presentati «i seguenti: Biblioteca Reale, realizzazione

di un salone espositivo; Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, restauro

dell'Aula del Parlamento Italiano; Museo Sindonologico, realizzazione

di un nuovo museo; Santuario della Consolata, restauro coperture e volte

affrescate». Tutte le altre proposte, invece, venivano accantonate, o perché

giudicate di scarso interesse o perché gravate da una serie di intoppi

burocratico-amministrativi che ne rendevano problematica la realizzazione.

Confermata dall'assemblea del 12 marzo 1996, la scelta si orientò

definitivamente sull'Aula del Parlamento Italiano nella successiva assemblea

del 7 novembre.

Né poteva essere diversamente. Ai soci della Consulta non sfuggiva il carattere anche

simbolico che tale scelta rappresentava. A dieci anni dal primo intervento, che aveva

riguardato l'Aula del Parlamento Subalpino, la Consulta ritornava sugli stessi luoghi per

completare, in un certo senso, l'opera. Dall'Aula dove erano echeggiati gli interventi di Cavour

e le prime prove parlamentari di Quintino Sella, si passava a quella che avrebbe potuto essere

la palestra politica delle generazioni successive a quelle che «avevano fatto l'Italia».

Le generazioni cui sarebbe toccato il compito di «fare gli italiani». E se la storia aveva

deciso altrimenti, se quell'Aula «avrebbe potuto essere, ma non fu» perché era stata portata

a termine quando ormai il baricentro politico-parlamentare dell'Italia si era spostato altrove,

ciò non toglie che essa potesse ancora rivestire un significato profondo.

Era già accaduto al momento delle celebrazioni di Italia '61, quando aveva ospitato

una grande coreografia di bandiere risorgimentali; ed era prevedibile che sarebbe accaduto

nuovamente. Nel 1998 cadeva infatti un altro appuntamento importante della storia

risorgimentale italiana: il centocinquantesimo anniversario della promulgazione dello Statuto

Albertino: quello Statuto che sarebbe rimasto legge fondamentale dello Stato italiano sino

alla proclamazione della Repubblica e all'entrata in vigore della nuova Costituzione.

PALAZZOCARIGNANO

AULA DEL

PARLAMENTO

ITALIANO, 1870

4. ritorno alle origini 71

Page 41: Un'Avventura Torinese

Esposizioni cui anche Torino avrebbe dato un contributo non indifferente. E questo,

dell'inserimento di Torino nel dibattito culturale europeo, era forse l'aspetto più rilevante, dal

momento che, sotto un profilo puramente storico, l'Aula in questione non aveva mai ospitato

il Parlamento Italiano, proponendosi piuttosto come un monumento alle attese deluse dei

torinesi. Ben altra era invece l'importanza storica dell'Aula del Parlamento Subalpino

restaurata dieci anni prima. Inaugurata nel 1848, essa rivestì un'importante funzione politica

nel Regno sardo, prima, e in Europa e Italia, poi.

Sino al 1859, infatti, sui suoi banchi sedettero i deputati del Regno di Sardegna,

e successivamente anche i primi deputati che, in seguito alla politica delle annessioni,

rappresentavano gli ex Stati asburgici della Lombardia, dei ducati emiliani, della Toscana

e parte degli Stati della Chiesa. Per effetto di tali ampliamenti, il numero di deputati dagli

iniziali 204 giunse a 353. L'Aula che aveva ospitato i dibattiti sulle leggi Siccardi, sulla cessione

di Nizza e della Savoia alla Francia, dove l'oratoria di Cavour aveva convinto i deputati

ad approvare il traforo del Fréjus, la più importante e difficile opera di ingegneria ferroviaria

intrapresa sino a quel momento, diventava insufficiente ad accogliere anche i deputati

provenienti dalle regioni meridionali. Per ospitare un Parlamento composto ormai di 454

persone occorreva una nuova struttura, che Amedeo Peyron, su incarico di Cavour, riuscì

a realizzare in soli 113 giorni. E proprio in quell'Aula provvisoria, costruita in legno e tela

venne dichiarata Roma capitale, che Vittorio Emanuele II assunse per sé e per i propri eredi

il titolo di re d'Italia; ma fu anche in quell'Aula che venne firmata quella convenzione con

la Francia, la sciagurata «convenzione di settembre», che avrebbe tolto a Torino il rango

di capitale dello Stato. Per effetto di quest'insieme di avvenimenti, l'Aula che adesso

la Consulta si apprestava a restaurare non ebbe mai l'opportunità di ospitare il Parlamento

Italiano. Cavour, che nel 1860 aveva promosso la costruzione della nuova struttura, moriva

pochi mesi dopo e il trasferimento della capitale a Firenze avveniva prima che i lavori fossero

ultimati. La costruzione si sarebbe conclusa nel 1870 e l'inaugurazione ufficiale sarebbe

avvenuta l'anno successivo con un altro avvenimento, anch'esso dal sapore simbolico.

In quell'Aula, il 18 settembre 1871, veniva celebrata, con un banchetto di circa mille

invitati sistemati in cinque lunghe tavolate, l'apertura della galleria del Fréjus, l'ultimo atto,

se si vuole, dell'epopea risorgimentale torinese, o quanto meno l'ultima volta nella quale

Torino, ospitando la quasi totalità del Parlamento Italiano (ma non il re, che preferì continuare

la battuta di caccia a Valdieri), si sentì per un momento ancora capitale.

Impossibilitata a svolgere il compito per il quale era stata costruita, l'Aula ebbe varie

destinazioni successive: da sede del Club Alpino Italiano a deposito di libri per la Biblioteca

Civica, sino ad ospitare, dopo il 1876, alcuni mammiferi del Museo delle Scienze nel frattempo

72 4. ritorno alle origini 73un’Avventura TORINESE

Non era difficile prevedere che anche l'Aula del Parlamento Italiano sarebbe stata

la sede ideale per alcune delle manifestazioni previste a celebrazione dell'evento.

A suggerire l'intervento sull'Aula, vi erano dunque più motivi. Un promemoria

interno della Consulta così li sintetizzava: «Nel 1997 cade il decennale della costituzione della

Consulta, e nel novembre di quest'anno si celebreranno anche i 200 anni del Tricolore.

Nel 1998 cadranno invece i 150 anni dello Statuto Albertino, i 50 del Parlamento

della Repubblica Italiana e, nel maggio, i 10 anni del completamento del primo intervento

Consulta, ovvero il restauro dell'Aula del Parlamento Subalpino, sempre a Palazzo Carignano».

Luogo simbolico, ma non soltanto; allo stesso tempo, uno dei poli del centro storico cittadino,

un insieme architettonico che metteva visibilmente in luce l'interesse e l'attenzione dedicata

da Torino alle realizzazioni dell'eclettismo europeo nell'età delle Esposizioni Universali.

PALAZZOCARIGNANOAULA

DEL PARLAMENTO

ITALIANO, 1870

Page 42: Un'Avventura Torinese

74 4. ritorno alle origini 75un’Avventura TORINESE

PALAZZO CARIGNANOAULA

DEL PARLAMENTO

ITALIANO,

VOLTA AFFRESCATA

DA FRANCESCO

GONIN, 1870

(Fotografia

di Mariano Dallago)

Page 43: Un'Avventura Torinese

76 4. ritorno alle origini 77un’Avventura TORINESE

trasferito in Palazzo Carignano, ivi compreso il grande elefante indiano vissuto per molti anni

nel parco di Stupinigi, dono del bey di Algeri al re Carlo Felice. I molteplici usi ai quali venne

dedicata fecero sì che non le fosse riservata l'attenzione che, per i suoi contenuti artistici, essa

avrebbe meritato. Infatti, l'Aula, di metri 35 per 20, costruita unitamente alla facciata di Palazzo

Carignano verso piazza Carlo Alberto su progetto degli architetti Domenico Ferri e Giuseppe

Bollati, era stata affrescata da Francesco Gonin, che aveva cercato di riprodurre, con la tecnica

delle prospettive a fresco, il dialogo architettonico e di colore già impostato alla base fino

all'altezza della balconata lignea che corre tutt'intorno al salone. Per ottenere questo risultato,

Gonin utilizzò per le membrature a chiaroscuro della volta i colori tipici dei materiali in pietra

impiegati nell'Ottocento: il grigio verde della pietra di Malanaggio, i bianchi dei marmi di

Chianocco e le arenarie, più tenere e più lavorabili. In particolare, l'uso del colore bianco per

molti elementi della sala, rimandava all'immagine romantica che se ne aveva nel secolo XIX,

con chiari riferimenti all'arte classica greca resi evidenti dai grandi telamoni destinati

a sorreggere la balconata. Si trattava, dunque, di un insieme dalle tinte tenui e omogenee

sul quale, mancando una destinazione precisa della sala, l'incuria aveva provocato dissesti

della volta, distacchi di intonaco, infiltrazioni d'acqua, e causato danni di notevole entità.

A questi si era poi aggiunto il colpo di grazia dei lavori eseguiti al momento delle celebrazioni

di Italia '61, quando l'Aula era stata inserita nel percorso della Mostra Storica del Risorgimento,

come Sala XXXI, dedicata all'Unità d'Italia. Secondo quanto riportato dal Notiziario di Italia

'61, «oltre a preziosi cimeli racchiusi in nove vetrine, questa sala presenta una fantasiosa

e suggestiva sintesi dell'Unità; nella penombra potenti riflettori illuminano alcune bandiere

che garriscono, accompagnate dal suono di musiche e marce risorgimentali».

Peccato che, per rendere la sintesi dell'Unità ancor più «fantasiosa e suggestiva»

(anche se poi, per la verità, a molti visitatori, fra i quali lo scrivente, non era parsa quel gran

che), gli allestitori non avevano trovato di meglio che ricoprire con vernice acrilica nera tutte

le pareti, così da creare un gioco di contrasti con il bianco dei telamoni. Questo allestimento

così funereo, dal sapore vagamente sansepolcrista, aveva poi fatto da cornice, dopo

le celebrazioni, all'esposizione permanente della collezione di bandiere del movimento

operaio che il Museo Nazionale del Risorgimento aveva ricevuto in dono. Non meraviglia,

dunque, che la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Piemonte sottolineasse

che «l'iniziativa della Consulta […] rende finalmente possibile procedere al restauro dell'Aula

del Parlamento Italiano, restauro in passato largamente e reiteratamente auspicato

non solamente per pervenire alla necessaria restituzione dell'immagine complessiva dell'Aula,

ma anche per risarcire una serie di danni verificatisi in passato a seguito di infiltrazioni

d'acqua, le cui cause sono state peraltro rimosse». Già, perché nel momento in cui la Consulta

PALAZZOCARIGNANOPARTICOLARE

DELL’AULA

DEL PARLAMENTO

ITALIANO,

PRIMA

DEL RESTAURO

(Fotografia

di Mariano Dallago)

Page 44: Un'Avventura Torinese

4. ritorno alle origini 7978 un’Avventura TORINESE

poneva mano al suo primo intervento restaurando l'Aula del Parlamento Subalpino, si stava

concludendo l'intervento di consolidamento della volta di quella del Parlamento Italiano.

Dieci anni dopo era indiscutibilmente il momento di porre mano al resto, riportando l'Aula

alla sua immagine iniziale. Preliminarmente, però, occorreva rimuovere dalla sala

l'esposizione di bandiere e trovar loro una sistemazione, anche temporanea, in grado di

salvaguardare il delicato patrimonio tessile di cui erano composte. Per quanto riguarda

l'intervento sulla volta, se il grande medaglione centrale del Gonin, raffigurante Le deità che

presiedono alle scienze e alla letteratura che inviano i loro Genii a premiare il merito sulla

terra, non presentava soverchi problemi, diverso era il caso dei quattro gruppi angolari,

sempre del Gonin, consistenti in Allegorie della Medicina, della Letteratura, della Matematica

e della Giurisprudenza. Qui, infatti, lo spezzarsi delle architetture dipinte a inquadrare le

figure e l'assenza di parte dei panneggi frantumavano la lettura d'insieme della composizione;

si doveva perciò procedere alla ricostruzione delle parti mancanti, con integrazioni che da

lontano risultassero invisibili, mentre da vicino consentissero di individuare le parti integrate.

Analogamente, per quanto riguardava le pareti si dovette procedere alla rimozione

della pittura acrilica nera, asportandola sia mediante ricorso al vapore, sia con l'ausilio

di solventi organici, sia ricorrendo all'uso del bisturi. Operate le opportune integrazioni

riemergeva il gioco raffinatissimo delle partiture nel rapporto tra le tinte degli sfondati,

la definizione delle incorniciature, i delicati finti marmi delle lesene, la robusta concezione

plastica dei telamoni, e ancora il finto marmo della laccatura della balconata. Insomma, l'Aula

ritornava come era stata concepita al tempo di Cavour, per lo scopo che avrebbe dovuto

assolvere: ospitare i dibattiti del Parlamento Italiano.

Il restauro, al quale i giornali diedero ampio risalto, venne inaugurato ufficialmente

il 28 ottobre 1997 alla presenza dell'allora vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Walter

Veltroni. Il consenso per la rinascita del «parlamento mancato», come ebbe a definirlo il Corriere

della Sera, fu unanime. «Oggi quel Palazzo - meglio: quell'immensa aula dai richiami barocchi,

dagli accenni corinzi e ionici, dalle volte affrescate di Francesco Gonin - ritrova il suo particolare

splendore e il ruolo che di diritto gli spetta nella memoria». E ancora, come ebbe a dire l'allora

assessore alla cultura della Regione Piemonte: «Un fondamentale monumento di arte e storia

rivive e ci rammenta, in un momento così delicato del nostro paese, quanto mai sia stato difficile

ma affascinante il percorso storico che portò dall'unificazione formale di una nazione alla

creazione di una coscienza civile e morale degli italiani che si deve ancora in parte costruire».

Quell'inaugurazione fu però anche occasione per una curiosa polemica a distanza fra

Denis Mack Smith e Indro Montanelli. Alla domanda della Stampa se fosse stato proprio

indispensabile trasferire la capitale a Firenze, lasciando inutilizzata l'Aula di Palazzo Carignano,

lo storico inglese aveva risposto affermativamente, sostenendo che si era trattato di una forma

di risarcimento per l'ex granducato di Toscana, che dal trasferimento avrebbe tratto grandi

vantaggi. Non l'avesse mai detto! Al lettore fiorentino indignato, che si chiedeva «ma quali

vantaggi!?», sostenendo che dal trasferimento della capitale Firenze aveva avuto solo danni,

faceva eco Indro Montanelli. Per il giornalista e storico, «i toscani non lo volevano

[il trasferimento], erano furibondi. Capivano che gli avrebbe portato uno sconquasso, del tutto

inutile, perché la capitale lì sarebbe durata poco». Quali le prove dello sconquasso?

«Gli sventramenti nel cuore della città, dove sparirono tante strade antiche per fare spazio

a piazza Vittorio Emanuele II, con imposizione - orrore - dei torinesi portici, ripugnanti al gusto

fiorentino», e poi «lo scempio dell'ultimo piano di Palazzo Vecchio, dove gli affreschi

rinascimentali erano stati imbiancati per accogliere gli uffici dei travet in arrivo».

PALAZZO CARIGNANOAULA

DEL PARLAMENTO

ITALIANO

DOPO IL RESTAURO,

PARTICOLARE

DELLA DECORAZIONE

Page 45: Un'Avventura Torinese

5. Un sogno a lungo coltivato 8180 un’Avventura TORINESE

5 . UN SOGNO A LUNGO COLTIVATO

L'idea di creare le condizioni per un'esposizione, se non permanente

almeno prolungata e ripetuta, del corpus di disegni leonardeschi presente

nella Biblioteca Reale di Torino ha caratterizzato l'attività della Consulta

sin dai primi contatti informali per dare vita all'istituzione. In effetti, i disegni

in questione - primo fra tutti la celebre sanguigna che secondo molti

rappresenterebbe l'Autoritratto di Leonardo - costituiscono uno dei più

cospicui patrimoni culturali che Torino può vantare, e al tempo stesso

appartengono alla categoria di quei «tesori nascosti» che la Città sa

di possedere, ma è restia a mostrare. Inoltre non poteva, e non può tuttora,

sfuggire il forte richiamo, anche turistico - di un turismo di qualità - che

l'esposizione di tali opere avrebbe potuto rappresentare. Senza voler fare

paragoni irriverenti, non era difficile ipotizzare che i potenziali turisti, in fila

per ammirare l'Autoritratto, appartenessero alla stessa categoria di persone

che al Louvre si mettono in fila per contemplare la Gioconda.

Ipotesi, del resto, confermata dal successo della mostra di disegni

della Biblioteca Reale, l'ultima volta nella quale l'Autoritratto venne esposto

al pubblico, realizzata a Palazzo Reale nel 1975. Era quindi naturale che già

in occasione dei primi incontri informali, come quello del 13 ottobre 1986,

i partecipanti prendessero in considerazione l'ipotesi di una nuova mostra,

e si attivassero per verificare la possibilità di realizzarla. Valutate, nella

riunione del 19 marzo 1987, le difficoltà che si frapponevano a una sua

realizzazione, si diede incarico ad Angela Griseri di predisporre uno studio

di fattibilità, a seguito del quale, nelle due successive riunioni del 17 giugno

e 22 luglio 1987 si incaricarono gli architetti Roberto Gabetti e Aimaro Isola

di predisporre un progetto di massima.

In realtà, i tempi erano maturi.

Come denunciava La Stampa in un articolo del 22 settembre di quello stesso anno:

«Chiuso dentro un cassetto della Biblioteca Reale c'è uno dei più straordinari tesori d'arte

del mondo: il “Libro del Volo degli uccelli” di Leonardo da Vinci, il celebre Autoritratto

a sanguigna, lo studio per il volto dell’Angelo della Vergine delle rocce, disegni di anatomia

BIBLIOTECA REALELA SALA DI LETTURA

REALIZZATA

DA PELAGIO PALAGI

Page 46: Un'Avventura Torinese

5. Un sogno a lungo coltivato 8382 un’Avventura TORINESE

umana ed equina. L'ultima volta in cui queste opere sono state tolte dal cassetto per essere

esposte risale a una dozzina di anni fa».

Certo, nessuno si nascondeva la delicatezza e la fragilità delle opere in questione.

«Una luce sbagliata, una temperatura troppo elevata o troppo bassa, un'umidità eccessiva

possono sbiadirle o cancellarle». Ma, ci si chiedeva, erano queste ragioni sufficienti per non

esporle, come invece avveniva in altri importanti musei del mondo, come la Tate Gallery

o l'Albertina di Vienna? O non era piuttosto un caso di mancanza di volontà? Interrogativi

ai quali la Consulta cercava di dare risposta, forte del responso dell'architetto Roberto Gabetti,

per il quale si trattava «di allestire uno spazio apposito in cui tali opere siano esposte, con

le massime garanzie di conservazione». Ciò che la relazione di Gabetti non diceva

espressamente, ma che si poteva leggere fra le righe, era che i problemi maggiori non erano

di natura tecnica, e probabilmente neppure finanziaria, ma essenzialmente burocratico-

amministrativa. Qui non si trattava, infatti, di allestire uno spazio temporaneo per una mostra

occasionale, per quanto importante, ma - sottolineava la Consulta - «l'allestimento di spazi

adatti doveva essere considerato come opportunità da dare in dotazione perenne

alla Biblioteca Reale, per l'esposizione nel tempo e su programmi da definire, di altri gruppi

di opere presenti nella biblioteca stessa e non conosciute dal grosso pubblico». In sostanza,

come veniva esplicitamente affermato, «verrà indicata fra le condizioni necessarie

per effettuare il progetto la garanzia di un regolare, anche se periodico, accesso del pubblico

alla mostra di disegni».

La preoccupazione della Consulta, di avere garanzie per un regolare utilizzo a fini

espositivi dello spazio che si intendeva allestire, sollevata nel corso della riunione del

10 dicembre 1987, era motivata non soltanto dall'importanza dei disegni leonardeschi, ma,

più in generale, dall'eccezionalità delle opere raccolte nella Biblioteca Reale nel corso della

sua lunga storia. Essa, infatti, era nata come «Libreria e Museo di cose rare e curiose», frutto

di un collezionismo ducale caratterizzato dalla presenza di manoscritti, quello eseguito su

commissione di Amedeo VIII e altri come gli Album naturalistici appartenenti a Carlo

Emanuele I, considerati prestigiosi esemplari di un collezionismo di alto livello per l'estrema

qualità artistica e scientifica. Si ricordano, al riguardo, l'Album degli uccelli, formato da sedici

tavole raffiguranti uccelli composti da piume applicate su un fondo di raso di seta di colore

affine alla tonalità dell'esemplare; l'Album dei pesci e dei cetacei, che nelle sue

settantaquattro tavole seicentesche, cui si aggiungono quelle unite a posteriori, presenta

animali marini, rettili, mammiferi, molluschi dipinti a tempera su cartoncino ritagliato

e incollato sui fogli; e infine l'Album dedicato ai fiori. Questo primo nucleo, già di per sé

cospicuo, venne progressivamente incrementato con la donazione di fondi sia provenienti

LEONARDO DA VINCICODICE SUL VOLO

DEGLI UCCELLI,

MANOSCRITTO

CARTACEO,

1505-1506,

TORINO,

BIBLIOTECA REALE

Page 47: Un'Avventura Torinese

5. Un sogno a lungo coltivato 8584 un’Avventura TORINESE

dalle antiche collezioni ducali, sia con una copia, rarissima perché a colori, del Theatrum

Sabaudiae, racchiusa in una splendida legatura.

La svolta si ebbe nei primi anni di regno di Carlo Alberto, che si interessò attivamente

della Biblioteca non solo impreziosendola con importanti donazioni di manoscritti e libri rari,

ma ancor più dotandola di una nuova sede, individuata nel piano terreno dell'ala di levante

sotto la Galleria del Beaumont, in luogo dei locali a settentrione del primo piano di Palazzo

Reale, dove sino ad allora era collocata. Incaricato del progetto fu l'architetto regio Pelagio

Palagi, il quale realizzò un tipo di struttura ancora oggi unica nel suo mirabile effetto. Il Salone

del Palagi, con la volta affrescata secondo il gusto neoclassico, ospitò il nucleo bibliografico

iniziale, cui nel frattempo si sono aggiunti preziosi manoscritti miniati,

libri d'ore, pregevoli legature e opere rare selezionate dallo stesso

sovrano e dagli eruditi a lui vicini, quali Luigi Cibrario, Cesare Saluzzo

e, soprattutto, Domenico Promis, che aveva ceduto al re la sua

collezione di medaglie e monete.

La consacrazione definitiva della Biblioteca Reale come

centro primario di cultura si ebbe nel 1840, con l'acquisto da parte

di Carlo Alberto, per l'ingente somma di 50.000 lire, dei circa duemila

disegni che l'antiquario Giuseppe Volpato aveva messo insieme

in una lunga frequentazione delle più importanti aste europee.

Ivi compresi il Volto di fanciulla, e, soprattutto, l'Autoritratto.

Per comprendere l'importanza di quest'opera, e l'impatto che

avrebbe esercitato sulla cultura mondiale, vale la pena di riportare

un ampio stralcio dell'articolo comparso su La Stampa del 19 novembre

1998 a firma di Carlo Pedretti, allora direttore dell'Armand Hammer Center for Leonardo

Studies all'Università della California, e autore dell'edizione critica del Corpus dei disegni

di Leonardo nella Biblioteca Reale di Torino.

Scrive Pedretti: «A fine febbraio di ogni anno, dal 1967, i maggiori quotidiani

d'America recano, a piena pagina, la riproduzione dell'Autoritratto di Leonardo a Torino.

È questa una costosa inserzione pubblicitaria con la quale la Rockwell Corporation,

la grande compagnia californiana che lavora per la Nasa, annuncia i vincitori del “Premio

Leonardo”, il massimo riconoscimento riservato a sedici scienziati, ingegneri e astronauti dei

programmi spaziali. È così che milioni di americani sono ormai abituati all'appuntamento

annuale col simbolo più eloquente del genio universale per eccellenza.

Ma questo non è tutto. L'immagine della celebre sanguigna torinese si è imposta

negli Stati Uniti come ingrediente d'obbligo nella grande comunicazione. Non sorprende quindi

LEONARDO DA VINCIRITRATTO

DI FANCIULLA

RIFERITO AL VOLTO

DELL’ANGELO

DELLA VERGINE

DELLE ROCCE,

TORINO,

BIBLIOTECA REALE

GIRASOLEDISEGNO A TEMPERA,

INIZI DEL XVII SECOLO,

TORINO,

BIBLIOTECA REALE

Page 48: Un'Avventura Torinese

5. Un sogno a lungo coltivato 8786 un’Avventura TORINESE

collocazione nei confronti dei disegni illuminati, dall'altro lato una attenta progettazione

dell'ambiente luminoso onde consentire il progressivo adattamento dell'occhio all'oscurità».

Altrettanto severe le prescrizioni per quanto riguardava la climatizzazione, per

la quale erano richiesti «valori di umidità relativa estremamente stabili (50% con massima

variazione giornaliera del 2%)», il che implicava «necessariamente la loro esposizione entro

vetrine climatizzate con dispositivi attivi, quali apparecchi per il trattamento dell'aria esterni

alla vetrina, oppure passivi, quali materiali tampone (silicagel) interni alla vetrina».

Occorreva dunque prevedere la costruzione di un locale ex novo, dotato di tutti gli

apparati tecnologici idonei a preservare i preziosi materiali. Quest'insieme di fattori concorre

a spiegare la cautela della Consulta, che, pur continuando a coltivare il progetto,

periodicamente riproposto nelle successive riunioni del consiglio direttivo, prima di dargli

attuazione intendeva disporre di tutti gli elementi di giudizio utili, anche in considerazione

degli interventi che da parte di altri enti, in particolare del Ministero per i Beni Culturali

si stavano nel frattempo realizzando. Grazie ai finanziamenti ministeriali, infatti, a partire

dal 1996 veniva realizzata la nuova scala di collegamento con il montacarichi tra la sala

di lettura e gli uffici del piano terreno con il piano interrato. In questa parte dell'edificio, grazie

che la copertina del poderoso volume delle “pagine gialle” della maggiore compagnia telefonica

d'America, la “Gte” rechi lo stesso autoritratto con un piccolo intervento: la mano sinistra

del genio porta il telefono all'orecchio, e sopra si legge: “Il libro per l'uomo che fa ogni cosa”.

Ma l'ultima, impensabile manipolazione del celeberrimo simbolo è quella di una

pagina pubblicitaria, apparsa l'11 settembre scorso nientemeno che nel prestigioso The Wall

Street Journal, il termometro della finanza mondiale. L'Autoritratto di Leonardo vi

è rappresentato mentre sta entrando in un imbuto che

va ad alimentare una complessa fotocopiatrice. Questo

per dimostrare che c'è voluta una intelligenza superiore

per inventare una macchina che digitalizza, riproduce

e trasmette tutto allo stesso tempo». Date le premesse,

la conclusione di Pedretti è quasi inevitabile: «Con un mito

come questo alle spalle, è facile immaginare cosa

significherebbe una mostra anche del solo Autoritratto

di Leonardo alla National Gallery a Washington o al

Metropolitan Museum a New York, per non dire del Getty

Museum a Los Angeles. Altro che le nostre code

interminabili per la Dama dell'ermellino [in quel momento

in esposizione a Milano]». L'importanza dell'Autoritratto, cui nel tempo si era aggiunta,

nel 1893, la donazione a Umberto I da parte del collezionista russo Teodoro Sabachnicov del

Codice sul volo degli uccelli, al completamento del quale provvedeva nel 1920 il ginevrino

Henri Fatio che donava le tre carte dello stesso Codice che erano state asportate, richiedeva

l'allestimento di un apposito spazio. Uno spazio che pareva di difficile individuazione, dal

momento che tutte le istituzioni ospitate nella manica fra Palazzo Reale e la Prefettura

lamentavano la scarsa disponibilità di locali, già soltanto per svolgere l'attività ordinaria, ma

che, in ogni caso, non poteva essere ricavato nei locali esistenti, in quanto non offrivano

sufficienti garanzie in termini di sicurezza degli impianti e di conservazione.

Infatti, per quanto riguardava in particolare la climatizzazione, una perizia,

commissionata già nel 1988, aveva fatto presente che «i disegni in questione, realizzati con

tecniche che impiegano la sanguigna, la matita, il carboncino, la penna e la punta d'argento

su carta preparata, richiedono un ambiente espositivo accuratamente controllato dal punto

di vista sia dell'illuminazione che della climatizzazione». Per quanto concerneva

l'illuminazione, il livello ottimale doveva essere inferiore a 50 lux, e inoltre non dovevano

essere presenti radiazioni ultraviolette e andavano limitate le infrarosse. Dal che discendeva

la necessità, da un lato, di «un'accurata scelta delle sorgenti luminose, e della loro

ALBUM DEGLI UCCELLIMANOSCRITTO

CARTACEO,

SEC. XVI,

TORINO,

BIBLIOTECA REALE

GIOVANNI TOMMASO BORGONIOTAVOLA MINIATA

DA HERCOLE

ET AMORE,

TORINO,

BIBLIOTECA REALE

Page 49: Un'Avventura Torinese

88 un’Avventura TORINESE

a uno scambio di locali con l'Armeria Reale venivano realizzati i depositi e l'intercapedine

di risanamento, e si individuava lo spazio da destinare alla sala di esposizione. A questo punto

la Consulta riteneva di poter procedere e nella riunione di consiglio del 7 maggio 1997 veniva

deciso l'intervento relativo alla realizzazione della «Sala Leonardo», come iniziativa

da assumere per il successivo anno 1998.

L'intervento della Consulta consisteva nella

realizzazione, a livello di seminterrato, di un locale

concepito come una wunderkammer nella quale i

capolavori sarebbero stati custoditi ed esibiti, ma anche

soltanto consultati, nelle condizioni ottimali. Il locale,

con i lati di sei per dodici metri, garantisce coefficienti

costanti di temperatura e di umidità relativa, ed

è dotato, in caso di incendio, di un impianto di spe -

gnimento automatico a gas. La sicurezza all'intrusione

è garantita dalla blindatura della porta e delle pareti con

rilevatori di controllo a distanza. Il vano espositivo

è attrezzato con un tavolo centrale e con diciannove

vetrine-contenitori allineate lungo le pareti e divise

in tre settori: due per conservare disegni e manoscritti

e uno per l'esposizione dei pezzi più rari e preziosi.

La struttura dei contenitori è in ottone brunito

e legno di noce e ogni vetrina è protetta da cristalli

antisfondamento, mentre l'illuminazione è assicurata

da fibre ottiche a intensità regolabile. La nuova sala

venne ufficialmente inaugurata, a dieci anni dal primo

intervento della Consulta, il 19 novembre 1998 con

la prima delle mostre che, nel tempo, vi si sarebbero

succedute: «Leonardo e le Meraviglie della Biblioteca

Reale di Torino». La risonanza di quell'evento

fu notevolissima, amplificata anche dalle pagine

pubblicitarie che la Consulta acquistò, oltre che sui più

importanti quotidiani italiani, anche sui principali giornali di lingua francese, inglese, spagnola

e tedesca. A riprova del fascino che quell'austero ritratto esercita sull'immaginario collettivo,

si possono riportare le impressioni del cronista di Repubblica: «Questa non è una faccia,

questo è uno sguardo che scappa. Fila via di lato, alla sinistra del volto, dove gli occhi cercano

5. Un sogno a lungo coltivato 89

SALA DI LETTURA

SALA LEONARDO1998

LEONARDO DA VINCIAUTORITRATTO,

SANGUIGNA,

TORINO,

BIBLIOTECA REALE

Page 50: Un'Avventura Torinese

5. Un sogno a lungo coltivato 9190 un’Avventura TORINESE

cose negate agli umani. Magari stanno solo osservando i muscoli di un cavallo, la testa

di un vecchio. Forse, stanno sognando un angelo[…]. L'Autoritratto […] non ha contorni, solo

aria disegnata, occhi, naso, bocca, capelli, barba, sfondo. Tutto scappa via, volando via. Il sogno

del volo, il sogno di Leonardo. Così leggero. Oppure quello non era un giorno di genio, magari

il sommo aveva mal di denti, era solo serio, triste, malinconico, può darsi che Leonardo quel

giorno stesse invecchiando male. Può darsi che guardasse di lato senza trovare nulla».

Enfasi retorica a parte, era quasi inevitabile che anche nel caso dell'Autoritratto

si manifestassero quei dubbi che periodicamente compaiono quando si espone un

capolavoro, occasione fra le più ghiotte perché i critici possano far parlare di sé. Di solito,

i dubbi finiscono per dare luogo a una delle seguenti affermazioni, secondo una graduazione

la cui logica sfugge ai comuni mortali: a) l'opera in questione è un falso; b) l'opera non è un

falso, ma non è di mano del Maestro; c) l'opera è del Maestro, ma riguarda un soggetto

diverso da quello sin qui ritenuto.

Nel caso specifico, fu l'ipotesi c) a tenere banco, rilanciata soprattutto in occasione

della seconda mostra legata all'Autoritratto, che si tenne l'anno successivo e che era dedicata

a «Leonardo e le Magnificenze del Sei e Settecento della Biblioteca Reale di Torino».

In tale occasione, quello stesso Pedretti che appena un anno prima aveva esaltato

l'importanza dell'Autoritratto, come simbolo del sapere e della scienza, intervistato

da Repubblica, affermava: «Nutro forti dubbi che il celebre Autoritratto a sanguigna

di Leonardo conservato nella Biblioteca Reale di Torino rappresenti il volto del grande artista

di Vinci. Devo essere obiettivo, non posso assoggettarmi al fascino di un mito nato all'inizio

dell'800, che ha suggestionato gli studiosi. Ora, la scoperta che le parole scritte in calce

al disegno devono essere lette in modo diverso, aggiunge forza alle mie perplessità».

A quasi cinque secoli di distanza, la certezza assoluta che si tratti dell'Autoritratto

nessuno può averla, ma un certo peso dovrebbe avere - se non altro per banale buon senso

- l'osservazione di Gombrich, secondo il quale «chi nel Cinquecento vi riconobbe Leonardo

stesso avrà pur avuto buone ragioni per farlo».

Naturalmente, una notizia in qualche modo scandalistica è autentica manna per

i quotidiani, soprattutto per quelli delle altre città, compuntamente, e malignamente, intenti

a esaltarla. Questo caso non fece eccezione. «Quello dell'Autoritratto non è il volto

di Leonardo» titolava perentoriamente Il Gazzettino di Venezia; «Leonardo, ma non

è autoritratto», incalzava La Nazione di Firenze; «Dubbi sull'Autoritratto di Leonardo a Torino»,

aggiungeva, con una certa prudenza, L'Eco di Bergamo. Sul contenuto della mostra, nella

quale tra le altre «meraviglie» erano esposte le tavole del Borgonio dedicate ai balletti di corte

e i famosi Album naturalistici di Carlo Emanuele I, nemmeno una parola. La notizia era troppo

ghiotta, per rischiare di inquinarla con notizie che avrebbero dovuto essere, necessariamente,

elogiative! In ogni caso, si può dire che lo scopo venne raggiunto. Venne raggiunto talmente

bene che la mostra, inaugurata il 30 ottobre, si trovò immediatamente al centro di insistenze

da parte delle autorità cittadine, che chiedevano di prorogarne la durata oltre la data

di chiusura prevista per il 12 dicembre.

Il sogno si era finalmente realizzato.

Page 51: Un'Avventura Torinese

6. Il fascino discreto della cultura 9392 un’Avventura TORINESE

6 . IL FASCINO DISCRETO DELLA CULTURA

Fedele alla tradizione di incominciare a programmare l'intervento

successivo mentre si stava ancora concludendo il precedente, la Consulta prese

in considerazione la possibilità di intervenire sul Palazzo dell'Università degli

Studi già nella riunione di consiglio del 15 dicembre 1998.

Nessuno si nascondeva la difficoltà e la rilevanza economica

dell'intervento, che anche con una Consulta giunta ormai a contare una

trentina di soci non avrebbe mai potuto essere programmato su un solo

esercizio. Veniva infatti osservato che i costi stimati dell'operazione sarebbero

stati molto alti, attorno ai tre miliardi di lire, e quindi, prima di decidere,

si riteneva opportuno chiedere nuovi preventivi ad altre imprese specializzate

e ad altri restauratori. In realtà, il restauro si presentava particolarmente

complesso sia per la natura eterogenea dei materiali che dovevano essere

trattati, sia per le vicende che avevano accompagnato la storia dell'edificio,

sin dalla sua costruzione. Il Palazzo, affacciato «sulla contrada di Po e su

via Accademia» (oggi via Verdi), rientrava nei programmi di consolidamento

del potere assoluto perseguiti da Vittorio Amedeo II quando Torino, a seguito

della pace di Utrecht, era diventata la capitale di un Regno. Secondo

gli intendimenti del sovrano anche l'Università di Torino, vecchia ormai

di trecento anni (essendo stata fondata nel 1404), era chiamata a svolgere

un nuovo ruolo politico di controllo assoluto sulla formazione superiore.

Solo ad essa, infatti, era consentito negli Stati sabaudi rilasciare abilita -

zioni alle professioni, che dovevano essere confermate da una patente regia.

In questa prospettiva era perciò pre -

visto che, secondo i canoni dell'assolutismo,

anche il nuovo edificio venisse realizzato nella

cosiddetta «zona di comando», lungo un

percorso che portava alla piazza Castello,

cuore urbanistico e politico della Città, attorno

alla quale sorgevano il Palazzo Reale e il

Palazzo dei Regi Archivi, ma anche l'Acca -

MICHELANGELOGAROVEPALAZZO

DELL’UNIVERSITÀ,

CORTILE E LOGGIATO,

1712-1713

Page 52: Un'Avventura Torinese

6. Il fascino discreto della cultura 95

ai lati dell'ingresso di via Po, si trovano oggi nell'Aula Magna. Sarà invece l'architetto Giuseppe

Talucchi a realizzare il grandioso portale d'ingresso dalla via Verdi. L'intervento che la

Consulta era chiamata a compiere riguardava dunque un edificio che aveva visto all'opera,

nell'arco di oltre un secolo, alcuni dei principali architetti attivi a Torino, fra quelli

che maggiormente avevano contribuito a delineare il volto urbanistico e architettonico della

Città, e sul quale si sarebbero poi abbattute le gravi sciagure del Novecento: il violentissimo

incendio che nel 1904 devasta la Biblioteca Nazionale Universitaria, alloggiata nei locali

dell'ex Cappella, e soprattutto, durante la seconda guerra mondiale, il bombardamento

dell'8 dicembre 1942. In quella circostanza, l'incursione di 133 aerei fra Lancaster, Wellington,

Halifax e Stirling della RAF provoca, oltre a 212 morti e 111 feriti, anche la distruzione

dello scalone che porta all'Aula Magna e dell'adiacente teatro per le pubbliche dimo stra -

zioni e conferenze, raggiunti da una bomba

incendiaria, comportando al tempo stesso

la caduta di numerosi stucchi. Ai danni

provocati dal bombardamento si sommano

poi quelli causati dal restauro e derivanti

dall'uso di materiali impropri, che deter mi -

nano, fra l'altro, anche il cambiamento dei

colori originali. In questo contesto, partico -

larmente grave sarebbe risultato il processo di

sbiancamento, inarrestabile, cui sono sotto -

poste le colonne in marmo di Gassino del

portico al piano terra e del loggiato, causato

dai reagenti chimici usati per la pulitura delle

stesse. E come se non bastasse, un ulteriore motivo di degrado derivava da fattori ambientali

provocati da un uso improprio del cortile, ridotto ad area di parcheggio per le automobili

dei dipendenti. In un quadro così complesso, era più che naturale che la Consulta non solo

volesse vederci chiaro, ma ponesse anche, come condizione necessaria per intraprendere

l'intervento, la clausola che l'Università si impegnasse a «liberare il cortile del Palazzo

dal parcheggio delle automobili».

Nella riunione del consiglio direttivo del 15 dicembre 1998, si stabiliva esplicitamente

che «è necessario preparare un protocollo d'intenti per stabilire un adeguato utilizzo

del cortile e del loggiato, che dovrebbe ospitare manifestazioni o eventi, mirati a rilanciare

questa prestigiosa istituzione». I problemi da affrontare erano certamente numerosi

e riguardavano principalmente il restauro dei rilievi in stucco delle pareti, per riportare

demia Militare (l'altro istituto di istruzione superiore del Regno sabaudo), la Cavallerizza

e la Zecca. Nell'incarico affidato all'architetto luganese Michelangelo Garove venne perciò

espressa l'esigenza che il nuovo palazzo fosse, in qualche modo, un moderno manifesto

del nuovo potere assunto dal sovrano. Esigenza che il Garove cercò di assolvere prevedendo,

al piano terreno, la presenza di botteghe e negozi per la realizzazione e la vendita di manufatti

artigianali: cornici, carte da parati, stoffe, stampe, libri. La via Po, che per la sua magnificenza

stava diventando uno dei luoghi deputati del grand tour e sotto i cui portici sarebbe transitata

una parte cospicua della cultura europea fra Sette e Ottocento, avrebbe fatto da cassa

di risonanza.

Alla morte del Garove, toccherà a Giovanni Antonio Ricca progettare la costruzione

del grandioso cortile con loggiato, concluso, per le parti decorative in stucco di porte

e finestre, da Filippo Juvarra, il quale, tra l'altro, proprio in quel Palazzo occuperà alcuni locali,

destinati a ospitare i grandi modelli lignei delle fabbriche che l'architetto messinese stava

realizzando, mentre altre stanze saranno destinate al suo assistente e agli artigiani luganesi

che lavoravano alla costruzione del complesso.

Ma Juvarra non si limita al completamento

del cortile e del loggiato. All'interno egli realizzerà,

infatti, il Teatro Anatomico, la Biblioteca e la

Cappella. Toccherà poi a Bernardo

Antonio Vittone, succeduto a Juvarra

dopo l 'al lontanamento di questi

da Torino, mettere mano all'edificio,

provvedendo a spostare i musei

a piano terra dall'originaria collocazione

al primo piano, mentre nel cortile fin dal 1718-

1720 erano già stati collocati a opera di Scipione

Maffei, erudito veronese, studioso dell'antichità,

importanti reperti archeologici. Nel secolo

successivo, poi, il loggiato è arricchito da statue,

da busti e dal gruppo marmoreo dedicato alla

Fama che incatena il Tempo, opera dei fratelli

Ignazio e Filippo Collino ai quali si devono

pure le due statue di Vittorio Amedeo II

e Carlo Emanuele III che, inizialmente

collocate nelle due nicchie

IGNAZIO E FILIPPO COLLINOLA FAMA

CHE INCATENA

IL TEMPO

MICHELANGELO GAROVEPALAZZO

DELL’UNIVERSITÀ,

LOGGIATO,

1712-1713

Page 53: Un'Avventura Torinese

MICHELANGELO GAROVEPALAZZO

DELL’UNIVERSITÀ,

PARTICOLARE

LOGGIATO,

1712-1713

Page 54: Un'Avventura Torinese

6. Il fascino discreto della cultura 9998 un’Avventura TORINESE

alla luce la finitura originale, e quello dei materiali lapidei, che andavano ripuliti dai depositi

di polvere e nerofumo, consolidati nelle parti sollevate e protetti con resine idrorepellenti.

Al di là degli aspetti tecnici, vi era poi l'elevato numero di pezzi da trattare: 38 busti

con lapidi; 6 statue a grandezza naturale; 9 lapidi; il gruppo scultoreo centrale dei fratelli

Collino; 62 colonne con capitelli; 112 metri lineari di balaustrata nel cortile. Interventi, tutti,

da realizzarsi in profondità, in quanto le condizioni generali delle finiture, delle pareti e delle

volte, mettevano in evidenza un degrado particolarmente pesante, come risulta dalla

relazione tecnica conseguente ai sondaggi effettuati nel dicembre 1998. «Le condizioni

generali delle finiture del cortile d'onore sembrano discretamente compromesse, soprattutto

a causa d'infiltrazioni d'acqua nelle volte, di eccessiva umidità, di uso improprio dell'ambiente

e di inadeguati interventi di restauro e manutenzione. Le pareti e le volte (al piano terra come

al piano nobile) risultano estesamente esfoliate; in più aree la pellicola pittorica si è crepata

ed è caduta o ha formato zone con perdita di aderenza e rigonfiamenti.

Numerosi elementi della decorazione in stucco (frontoni, capitelli, basi delle paraste)

risultano rotti e seriamente danneggiati da una massiccia presenza di sali solubili. I sali hanno

causato il sollevamento e la caduta degli strati pittorici che ricoprivano gli stucchi; infine

l'estesa fioritura dei sali cristallizzati ha intaccato anche la “pelle” degli stucchi originali.

Il degrado appare, inoltre, accelerato anche da impropri interventi di restauro,

condotti nel passato, che hanno comportato vaste stuccature a base di gesso un po' ovunque.

Infine la scelta di ridipinture a base di colori acrilici non ha permesso la corretta traspirazione

delle murature, generando estesi fenomeni di craquelure e distacco». Si trattava dunque

di un intervento particolarmente complesso, reso ancora più complicato dal fatto

che, dall'indagine condotta sulle superfici dei muri, è stato possibile riconoscere addirittura sei

diversi strati di pittura, prima di giungere al colore originario degli stucchi juvarriani.

Preliminarmente occorreva dunque precisare «natura e quantità delle modifiche distributive

e decorative dell'importante Palazzo. L'operazione era quanto mai delicata per la successione

di modifiche di aperture e di accessi, e di estesi completamenti, percepibili anche a vista sia

al piano terra sia al piano nobile nel loggiato, spazi suggestivi scanditi da uno spaesato museo

in pietra in cui il grande gruppo dei fratelli Collino si perdeva, annerito, contro pareti più volte

riprese e mortificate, dove anche gli infissi recenti denunciavano il rinnovo, non sempre

congruo, di percorsi e di usi».

A fronte di una simile situazione non stupiscono quindi né l'entità delle risorse

impegnate (consuntivate in due miliardi e quattrocento milioni di lire) né, tanto meno,

i due anni di tempo resisi necessari per condurre a termine l'intervento.

Preceduta da una conferenza stampa del 23 novembre 1999, che illustrava i lavori

eseguiti a metà del percorso, l'inaugurazione ufficiale del restauro sarebbe avvenuta

il 20 settembre 2000. E le potenzialità del cortile, finalmente liberato dalle automobili, e del

loggiato del Palazzo come sede di manifestazioni, mostre e concerti, si sarebbero potute

verificare già all'indomani, con un pomeriggio di festeggiamenti a ingresso libero, destinato

a durare fino a sera.

MICHELANGELO GAROVEPALAZZO

DELL’UNIVERSITÀ,

PARTICOLARE

DEL CORTILE

1712-1713

(Fotografia

di Ernani Orcorte)

Page 55: Un'Avventura Torinese

palazzo dell’università

Page 56: Un'Avventura Torinese
Page 57: Un'Avventura Torinese

7. monumenti 105104 un’Avventura TORINESE

7 . MONUMENTI

Per quanto collocati in punti diversi della Città e appartenenti a due

ben distinte tipologie - la stele commemorativa, il primo; la statua equestre,

il secondo - i due monumenti a Vittorio Emanuele II e a Ferdinando di Savoia

presentano fra loro più similitudini di quanto a prima vista non possa

apparire. Intanto, i due personaggi raffigurati sono fratelli, figli di Carlo

Alberto, destinati l'uno a diventare re d'Italia, e capostipite della casata

di Genova, l'altro. Un legame di sangue che proseguirà anche nella generazione

successiva, quando la figlia di Ferdinando, Margherita, andrà sposa a Umberto,

figlio di Vittorio Emanuele, diventando così regina d'Italia quando il marito

succederà al padre.

Un altro elemento in comune fra i due personaggi è il coraggio individuale, del quale

entrambi ebbero occasione di dare ripetute prove sui campi di battaglia della prima guerra

d'Indipendenza. Da Goito e Peschiera sino alla fatal Novara. Infatti, Carlo Alberto nel dichiarare

guerra all'Austria aveva voluto che entrambi i figli vi prendessero parte e, con lui, fossero

presenti sul campo di battaglia. E così, mentre Vittorio Emanuele II era stato posto a capo

di una divisione di riserva delle Guardie, a Ferdinando era stato assegnato il comando

dell'artiglieria. E se il futuro re d'Italia ebbe modo di mettersi in luce a Goito, dove venne ferito

mentre alla testa delle sue Guardie respingeva il nemico, Ferdinando, cui si deve la caduta

di Peschiera, ebbe anche lui l'opportunità di scrivere una delle poche pagine luminose

nella tragica conclusione della guerra con la battaglia della Bicocca. Una terza somiglianza,

infine, è da ricercarsi nei tempi eccessivamente dilatati di realizzazione dei due monumenti.

Commissionato nel 1863, il monumento a Ferdinando di Savoia sarebbe stato inaugurato

solamente nel 1877; mentre, deliberato nei primi giorni del 1878, il monumento a Vittorio

Emanuele sarebbe stato esposto all'ammirazione dei torinesi addirittura oltre vent'anni più

tardi, nel 1899. A fronte di queste constatazioni, che la Consulta dovesse prima o poi occuparsi

di entrambi i personaggi, come a suo tempo era già avvenuto per le chiese di San Carlo e Santa

Cristina, era praticamente scritto nelle cose. Ed era altrettanto inevitabile che il primo intervento

riguardasse il monumento a Vittorio Emanuele II, per quanto cronologicamente più recente.

Da quando ne venne decisa la collocazione al centro dell'incrocio fra il corso che

proprio in occasione della morte del sovrano assumeva la denominazione di Vittorio Emanuele II

PIETRO COSTAMONUMENTO

A VITTORIO

EMANUELE II,

1879-1899

Page 58: Un'Avventura Torinese

106 7. monumenti 107un’Avventura TORINESE

DESCRIZIONE

CARICATURALE

DEI BOZZETTI

DEL CONCORSO

BANDITO

PER IL MONUMENTO

A VITTORIO

EMANUELE II,

DA “IL FISCHIETTO”

Page 59: Un'Avventura Torinese

108 7. monumenti 109un’Avventura TORINESE

(mentre sino ad allora era dedicato a San Avventore) e il corso Galileo Ferraris (che però allora

si chiamava ancora Siccardi), per i torinesi si è trattato del «monumento» per antonomasia,

e come tale non bisognoso di ulteriore specificazione. Un simbolo della Città, un segno di

identificazione per i torinesi, al pari della Mole Antonelliana (anch'essa sbrigativamente definita

«la mole»), significativamente costruita negli stessi anni in cui si verificava la difficile gestazione

del monumento. Se tutti gli altri interventi realizzati sino a quel momento erano stati

certamente importanti, questo certificava in maniera indiscussa la

«torinesità» della Consulta, nel solco della tradizione che aveva

già al proprio attivo il restauro dell'Aula del Parlamento Subalpino

e di quella cosiddetta del Parlamento Italiano. Il monumento con

il quale ora la Consulta intendeva misurarsi aveva avuto una

vicenda lunga e tormentata, per molti aspetti addirittura surreale.

Perché, se non era occorso molto tempo per deciderne l'erezione

e sceglierne la localizzazione, in compenso ne occorse moltissimo

perché l'insieme delle sculture e delle strutture in pietra destinate

ad accoglierle trovasse idonea sistemazione. L'idea di «erigere

un monumento che per la sua grandiosità non fosse inferiore

a quello che nelle stesse ore si stava deliberando a Roma» per

onorare la memoria del sovrano defunto, venne assunta dal

Consiglio comunale di Torino appena appresa la notizia della

morte di Vittorio Emanuele II.

Tale intenzione, tuttavia, venne immediatamente

superata dal tempestivo intervento del successore, Umberto I,

interessato a ristabilire con Torino e con i torinesi un clima più

disteso di quello che si era verificato a seguito del trasferimento

della capitale a Firenze, e al cui miglioramento non aveva

certamente giovato la decisione di seppellire il re defunto a Roma

anziché a Superga, come era nei voti, e nelle illusioni, dei torinesi.

Fu dunque sostanzialmente per indorare la pillola che

Umberto I, nella stessa lettera in cui annunciava di aver donato

alla Città di Torino l'elmo, la spada e le medaglie del padre,

manifestava l'intenzione di far erigere «un monumento che eterni

la memoria del Primo Re d'Italia», stanziando a tal fine la cospicua

somma di un milione di lire. Con un successivo telegramma

al sindaco, Umberto precisava poi che era suo desiderio che la

scelta del monumento da erigere avvenisse per pubblico concorso e affidava al Municipio

di Torino l'incarico di fissarne le condizioni e di seguire, successivamente, la realizzazione

dell'opera.

Detto, fatto. Il Municipio non perse tempo, tanto che già il 24 luglio dello stesso 1878

veniva pubblicato il bando di concorso, che fissava come termine ultimo per la presentazione

dei progetti il successivo 28 febbraio 1879. Al concorso parteciparono tutti i nomi più

importanti della scultura italiana; complessivamente furono presentati 46 bozzetti e 8 disegni.

Dopo una prima scrematura, che ridusse a 22 i progetti presi in considerazione,

alla fine l'attenzione dei sedici componenti della commissione esaminatrice si concentrò su tre

opere: quella degli architetti Rivalta e Castellazzi, che proponevano un monumento equestre;

quella di Augusto Passaglia, consistente in un arco trionfale; e infine quella di Pietro Costa,

che sarebbe risultata vincitrice con 14 voti contro 2. E che veniva così descritta: «Monumento

a base quadrata con gli angoli mozzi sporgenti; quattro aquile reggono stemmi sabaudi,

quattro colonne doriche formano il piedistallo. Alla base di esso vi stanno quattro figure

sedenti, l'Unità, la Libertà, la Fratellanza e il Lavoro, primi fattori del Risorgimento Italiano.

Sull'alto emerge la figura del re, in piedi, a capo scoperto, sopra un tappeto recante

le armi di Roma e la data 1870 in atto di pronunziare il motto “Siamo a Roma e ci resteremo”».

A far pendere l'ago della bilancia in favore del Costa fu probabilmente la freschezza

della sua ispirazione, a fronte di tanti altri bozzetti di artisti certamente più conosciuti, ma molto

più accademici e grondanti retorica. Si può dire che Costa, artista antiaccademico

per eccellenza, pur non avendo ancora compiuto i trent'anni (essendo nato a Celle Ligure

il 29 giugno 1849) stava vivendo il suo momento magico. Partendo dalla realizzazione di alcuni

monumenti funerari per il genovese cimitero di Staglieno, nello spazio di soli due anni gli

era riuscito di vincere il concorso per il fregio del coronamento della facciata del Palazzo

del Ministero delle Finanze; quello per la statua a Vittorio Emanuele II da collocarsi nella sala

del Consiglio provinciale di Roma (Palazzo Valentini) e per il monumento di Mazzini a Genova.

E infine il ben più impegnativo monumento a Vittorio Emanuele II per Torino.

Ma questo fu anche il suo canto del cigno, l'opera che lo impegnò, e si può anzi dire

che lo divorò, per il resto dei suoi giorni. Infatti, se erano bastati diciotto mesi dalla scomparsa

del sovrano per giungere alla scelta del bozzetto e alla proclamazione del vincitore, prima

di arrivare alla conclusione dell'opera sarebbero occorsi ben più dei sei anni previsti

dalla convenzione che regolava i rapporti fra il Costa e il Comune di Torino.

Sarebbero occorsi vent'anni. E non sarebbero neppure stati sufficienti se, a un certo

momento, l'autore non fosse stato esautorato, assumendo in proprio il Comune di Torino

la conclusione dei lavori. Probabilmente, alla morte del Costa, avvenuta nel 1901, l'opera

MONUMENTOA VITTORIO

EMANUELE IIIMPALCATURA ERETTA

DAL 1879 AL 1899

INAUGURAZIONE9 SETTEMBRE 1899

Page 60: Un'Avventura Torinese

110 7. monumenti 111un’Avventura TORINESE

non sarebbe stata ancora ultimata. Dal momento della proclamazione del vincitore iniziò infatti

una vicenda surreale, nella quale confluirono varie componenti, che andavano dagli altri

impegni del Costa (la statua di Mazzini), alla sua scarsa propensione a impiantare lo studio

a Torino, a questioni tecniche, come la scelta dei materiali lapidei per il basamento

e le colonne, a questioni pratiche, come la scelta di fondere a Roma la statua del re. Un ruolo

non secondario lo giocarono poi questioni caratteriali, come il cattivo rapporto fra lo scultore

e il fonditore, la sospensione della fusione e la decisione del Costa di fondere in proprio,

nonostante la sua mancanza di esperienza in un settore così delicato. Ma anche la malasorte

vi mise lo zampino. Quando finalmente Costa si decise ad aprire lo studio a Torino,

il 13 gennaio 1883, una nevicata più abbondante del solito fece crollare il tetto di uno

dei lucernari dello studio sulla statua del re, rovinandola completamente e imponendone

il rifacimento. Superato il giro di boa del 1885, anno in cui, secondo la convenzione,

il monumento avrebbe dovuto esser inaugurato, la vicenda assume contorni kafkiani, con

il Costa che brilla per inerzia, dando segni di dinamismo soltanto nei momenti in cui deve

chiedere ulteriori proroghe al contratto, e il Comune di Torino, che brilla per eccesso

di pazienza, sempre disposto a concederle: anche quando l'imperizia dell'autore come

fonditore comporta il distacco di un braccio della statua della Libertà. Infatti non

fu quest'episodio a far uscire il Comune da un atteggiamento troppo remissivo, ma

l'esasperazione dell'opinione pubblica e l'atteggiamento dei giornali, che ormai criticavano

apertamente l'operato dell'amministrazione.

Finalmente, il Comune si risolse a procedere per le vie legali, ottenendo dal Tribunale

di Torino la condanna del Costa e riuscendo a entrare in possesso del monumento il 5 gennaio

1898 (quindi, vent'anni dopo la morte del sovrano, avvenuta il 9 gennaio 1878).

Completati gli ultimi interventi, finalmente il 9 settembre 1899 il monumento veniva

inaugurato alla presenza dei sovrani, in un tripudio

di manifestazioni e festeggiamenti che per tre giorni

fecero rivivere a Torino l'atmosfera e gli entusiasmi

del Risorgimento.

Negli oltre cento anni trascorsi da quel

momento, il «monumento» è stato ripetutamente

sottoposto a restauri parziali e soprattutto a verifi -

che intese a valutarne la stabilità: questo special -

mente dopo la seconda guerra mondiale. In effetti,

già al momento della collocazione la statua di Vittorio

Emanuele II aveva presentato non pochi problemi

PIETRO COSTAMONUMENTO

A VITTORIO

EMANUELE II,

PARTICOLARE

DELLE ALLEGORIE

E DELLE AQUILE

CON GLI STEMMI

SABAUDI,

1879-1899

PIETRO COSTAMONUMENTO

A VITTORIO

EMANUELE II,

1879-1899

Page 61: Un'Avventura Torinese

7. monumenti 113112 un’Avventura TORINESE

di stabilità ai quali si era cercato di ovviare in vario modo: prima riempiendo di piombo

i pantaloni del sovrano e successivamente inserendo due tiranti nelle gambe. L'intervento

operato dalla Consulta è stato il primo a riguardare la totalità del monumento, le parti lapidee

non meno di quelle metalliche, e più precisamente una parte architettonica dove sono

impiegati due tipi diversi di granito, e una parte statuaria caratterizzata da nove gruppi scultorei

e altri elementi decorativi fusi in bronzo. Per quel che riguarda la parte bronzea,

la preoccupazione maggiore è stata per la conservazione della patina, la cui asportazione, oltre

a togliere uno degli elementi essenziali che connotano l'aspetto del bronzo, avrebbe esposto

la superficie metallica, resa «nuda», ad attacchi corrosivi diretti da parte degli agenti atmosferici

e di altri inquinanti naturali, come il guano di piccione.

Salvare la patina significava dunque assicurare una protezione che, se non eliminava

totalmente, quanto meno rallentava di molto i processi di degrado. In questo caso, escluso

il ricorso ad agenti chimici, la pulitura dei gruppi bronzei è stata effettuata utilizzando

un innovativo sistema di sabbiatura, mutuato da applicazioni industriali di alta precisione,

consistente nell'impiego di un abrasivo tenero, ricavato dalla macinazione dei gusci di noce.

Questi, più ricchi di lignina dello stesso legno e privi di olio, possono essere macinati a varie

granulometrie e presentano il vantaggio di consentire l'asportazione dello strato inconsistente

della patina (in pratica, lo sporco superficiale), conservandone però la parte più compatta,

in quanto il metallo non viene mai scoperto.

Un altro vantaggio di questo sistema consiste nel contenimento dei tempi, e quindi

dei costi, rispetto ai più tradizionali sistemi manuali, senza compromettere l'efficacia

dell'intervento. Nel caso specifico, sono stati impiegati gusci di noce macinati del calibro

di 0,2-0,5 millimetri. Ultimata la pulitura, i gruppi sono stati sottoposti a lavaggio con acqua

distillata, successivamente trattati con prodotti inibitori della corrosione e infine protetti con

resine acriliche e cera sintetica. Nel corso di queste operazioni si è anche proceduto ad alcuni

ripristini sul fodero della spada, sulle frange del tappeto su cui posa la figura di Vittorio

Emanuele II, e sulla sua gamba sinistra, già interessata da restauri nel passato.

Per quanto concerne, invece, la parte architettonica, i problemi sono stati meno

complessi, dal momento che la conservazione del granito in atmosfera urbana è normalmente

buona. Nel caso specifico si doveva operare su una base in granito grigio della Balma, con sei

gradini perimetrali, interrotti in corrispondenza degli angoli da quattro blocchi sul cui fronte

sono scolpite le date 1848 - 1859 - 1866 - 1870. La base serve da supporto alle quattro grandi

colonne doriche, realizzate in granito rosa di Baveno lavorato «a bocciarda», cioè con una

martellatura mediante strumento a testa dotata di fitte punte acuminate. Da notare che nelle

discussioni iniziali si pensava di realizzare le quattro colonne - alte dodici metri per due

di diametro - in blocchi monolitici. Qualcuno aveva addirittura avanzato l'ipotesi di ricorrere

alla cava egiziana di Assuan della regina Hatsepsut. Ovviamente, dopo alcune perizie sui costi

e sopralluoghi alle cave, si rinunciò all'opzione egiziana e si trovò ragionevole dividere ogni

colonna in tre rocchi! Trattandosi, in ogni caso, di materiale di buona qualità, poco assorbente,

fu sufficiente un lavaggio intensivo per riportare le pietre al loro colore originario, salvo poi

proteggerle con un materiale idrorepellente in grado di permettere l'evaporazione dell'umidità

dall'interno, impedendone l'assorbimento in caso di pioggia battente.

Un'ultima considerazione. La particolare collocazione del monumento e le perfette

proporzioni fra le sue varie parti, normalmente non consentono di coglierne appieno

le dimensioni, che in realtà sono imponenti: 2000 metri quadrati di superficie per un'altezza

di 38 metri. La sola statua di Vittorio Emanuele è alta oltre sei metri.

L'impalcatura costruita per l'occasione ha suggerito l'opportunità di consentire, non

soltanto agli addetti ai lavori ma anche alla cittadinanza torinese, di verificare con i propri occhi

la grandiosità del manufatto e, al tempo stesso, di osservare Torino dall'alto, con una

prospettiva decisamente inconsueta e certamente, almeno per molti anni, altrettanto

irripetibile. Sono state perciò organizzate, in giorni prefissati, visite guidate che hanno segnato

un notevole successo, inaugurando per questa via un altro canale di dialogo fra la Consulta

e la Città. Un dialogo amplificato anche dalla produzione di un numero monografico dedicato

alla storia del monumento e all'intervento della Consulta, diffuso tramite La Stampa, in circa

200.000 copie allegate a Torinosette. La presenza del Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi,

il 20 novembre 2001 ha conferito particolare solennità all'inaugurazione del restauro.

Con queste premesse, era praticamente inevitabile che l'intervento successivo

riguardasse il Monumento a Ferdinando, duca di Genova; anche se le superfici da trattare

erano sensibilmente inferiori a quelle del monumento a Vittorio Emanuele II, i problemi erano

gli stessi e analoghe dovevano risultare le soluzioni da adottare. Nel caso specifico, l'intervento

della Consulta serviva poi anche a riportare all'attenzione dell'opinione pubblica la figura di un

personaggio che, per svariate ragioni, aveva perso immagine nella sensibilità collettiva

dei torinesi. Certamente, a questo scadimento d'immagine aveva contribuito anche, e non

poco, l'infelice collocazione del monumento, assediato dal traffico e fiancheggiato da capolinea

di autobus: e questo, prima ancora che comparissero all'orizzonte le strutture di Atrium, e che,

nei mesi invernali, cavallo e cavaliere venissero stretti nella morsa dell'anello dedicato

al pattinaggio sul ghiaccio. Eppure il personaggio meritava ben altra considerazione.

Ferdinando Maria Alberto di Savoia Carignano, duca di Genova, era nato

il 15 novembre 1822 a Firenze, dove il padre, Carlo Alberto, era stato per così dire «esiliato»

dal re Carlo Felice che lo sospettava di simpatie rivoluzionarie. Coraggio personale e amore

Page 62: Un'Avventura Torinese

7. monumenti 115114 un’Avventura TORINESE

di riorganizzarsi, ricevere rinforzi e riprendere l'iniziativa. Nonostante il valore dei principi,

la guerra era definitivamente perduta.

Ma a Ferdinando erano richieste ancora altre prove di coraggio. Come spesso accade,

la sconfitta recava con sé sbandamento, diserzioni, disordini, specialmente in Novara, dove

- è sempre Bersezio a ricordarlo - «fremeva e ferveva una scellerata orgia di rapine

e di violenze. Gli sbandati, i fuggiti col pretesto di cercar cibo e bevanda saccheggiavano

abitazioni e botteghe; grida d'imprecazione, di minaccia, di lamento e di preghiera: colpi

di fuoco e di armi che scassinavano usci, finestre e forzieri, uno spettacolo indegno,

di vergogna e di dolore». A riportare l'ordine fu proprio Ferdinando, il quale, postosi a capo

di una squadra di cavalleria «spazzò per le strade a colpi di sciabola quella ciurmaglia pazza

e briaca». Ferdinando avrebbe avuto ancora occasione di dimostrare di che pasta era fatto

il 26 aprile 1852, in occasione dello scoppio della polveriera di Borgo Dora, quando lo si vide

lavorare alacremente a fianco dei soldati per spegnere l'incendio, incurante della possibilità

che si verificassero nuovi e ben più gravi scoppi. Il suo coraggio fu talmente apprezzato

che, per quell'operazione, avrebbe ricevuto la medaglia d'oro.

È possibile che all'origine del coraggio del duca vi fosse il presagio di una fine

imminente: egli sarebbe morto, infatti, il 10 febbraio 1855, stroncato da una forma gravissima

di mal sottile, malattia romantica per eccellenza, come romantico, in fondo, era stato il suo

personaggio. Venendo a cadere a breve distanza di tempo da quella della madre, la vedova

di Carlo Alberto, e della regina Maria Adelaide, moglie di Vittorio Emanuele II, deceduta appena

qualche giorno prima, la morte di Ferdinando trovò scarsa eco sui giornali e passò quasi

inosservata fra i torinesi. Intanto, altri eventi incombevano, la spedizione di Crimea era

alle porte, aprendo l'esaltante stagione che doveva concludersi con la seconda guerra

d'Indipendenza e la proclamazione del Regno d'Italia.

E così fu soltanto nel 1863 che Vittorio Emanuele decise di dedicare un monumento

alla memoria del fratello; il quale, peraltro, era già stato ricordato con una statua in marmo

dello scultore Giuseppe Dini, dedicatagli da un curioso e munifico personaggio piemontese,

Giovanni Mestrallet, collocata già nel 1858 sulla facciata del Palazzo comunale di Torino

assieme a quella del principe Eugenio. Incaricato di realizzare il monumento fu lo scultore

Alfonso Balzico, sia perché apprezzato per la sua abilità nel modellare animali, in particolare

cavalli, sia, soprattutto, perché Vittorio Emanuele II era rimasto favorevolmente impressionato

da un bozzetto - oggi al Museo Nazionale del Risorgimento di Torino - nel quale uno scugnizzo

napoletano fraternizzava con un bersagliere piemontese, a simboleggiare l'Unità Nazionale.

Il monumento si compone di un gruppo statuario e di due bassorilievi. Per il gruppo

statuario Balzico si ispirò a un episodio della battaglia della Bicocca, raffigurando il duca

ALFONSO BALZICOMONUMENTO

A FERDINANDO

DI SAVOIA, 1877

per lo studio furono le sue doti principali; in particolare coltivò con grande intelligenza gli studi

matematici e mise assieme una cospicua biblioteca, ricca di rari documenti tecnico-scientifici

e di preziosi manoscritti medievali, oggi in parte conservati in quella Biblioteca Reale

già oggetto di intervento da parte della Consulta.

Ma l'ammirazione che riuscì a suscitare nei torinesi suoi contemporanei non era

dovuta alla cultura, quanto alle ripetute prove

di coraggio che ebbe a dare nella sua breve

vita. A iniziare dalla parte che gli toccò di

interpretare nella prima guerra d'Indipen -

denza, soprattutto nelle tragiche fasi conclu -

sive, dopo che il 2 marzo 1849 era stato

denunciato l'armistizio. In quell'ultimo scorcio

di guerra, 100.000 austriaci, ben inquadrati ed

equipaggiati agli ordini del generale Radetzky

riuscirono a sconfiggere 120.000 piemontesi,

in gran parte nuove reclute e volontari

indisciplinati, agli ordini di un generale po -

lacco - il Chrzanowski - che anche per il solo

aspetto fisico non avrebbe potuto conquistarsi

il rispetto della truppa. Vittorio Bersezio che,

giovane studente, aveva preso parte come

volontario alla guerra, nelle memorie ne

fornisce un ritratto impietoso, ricordando

che i soldati gli trovavano «una faccia da

sacrestano».

Com'è noto, l'epilogo amarissimo

giunse qualche giorno dopo la ripresa delle

ostilità, il 23 marzo, quando 50.000 piemon -

tesi concentrati a Novara furono attaccati

da truppe austriache inferiori di numero al comando del generale D'Aspre, nei pressi della

cascina Bicocca, che fu presa e perduta per ben quattro volte. Nell'ardore della battaglia,

Ferdinando ebbe due cavalli uccisi da fucilate nemiche e un terzo ferito a morte. I piemontesi,

in netta superiorità numerica, avrebbero potuto volgere a proprio favore le sorti della battaglia

se i due principi, che si accingevano a sferrare l'attacco finale, non fossero stati bloccati,

per eccesso di prudenza, dallo stesso Chrzanowski, consentendo in tal modo agli austriaci

Page 63: Un'Avventura Torinese

117

nel momento in cui si sente mancare sotto il cavallo che, ferito al petto, si ripiega cadendo

di fianco sulla gamba anteriore sinistra. Il duca è colto nell'atto di tirare fortemente le briglie,

onde tenere alta la testa del cavallo e potersi liberare degli arcioni, mentre con la spada

sguainata incita le truppe all'assalto. I bassorilievi invece richiamano i due episodi della prima

guerra d'Indipendenza che lo videro protagonista: l'Assedio di Peschiera e, appunto,

la Battaglia della Bicocca. Come sarebbe avvenuto per il monumento a Vittorio Emanuele II,

anche quello a Ferdinando andò incontro a ritardi biblici e poté essere inaugurato solamente

il 10 giugno 1877, tra le proteste dei torinesi che non poterono prendere parte diretta

alla cerimonia. La disposizione a cerchio attorno al monumento dei palchi riservati alla famiglia

reale e alle autorità impedì infatti alla moltitudine accorsa (era una domenica) la vista diretta

del gruppo statuario nel momento in cui veniva scoperto.

Mentre il giudizio sui bassorilievi fu unanimemente positivo, la scelta dell'artista

di raffigurare un episodio fortemente drammatico come la morte di un cavallo, e soprattutto

il modo in cui la realizzò, diede luogo a valutazioni contrastanti. I commenti furono

generalmente favorevoli per quanto riguardava il cavallo, anche se non mancarono gli ironici

commenti de Il Fischietto, dalle cui colonne due sedicenti, e saccenti, esperti di ippica

sentenziarono che «il cavallo è troppo stretto di spalle, e per un cavallo di sangue ha le gambe

ALFONSO BALZICOMONUMENTO

A FERDINANDO

DI SAVOIA, 1877

troppo grosse»; mentre altri, colpiti dal realismo con cui l'animale era stato raffigurato,

suggerivano di coprirgli il posteriore con mutandoni così da non turbare con spettacoli

impudichi la vista delle signore che passavano da quelle parti. L'Illustrazione Italiana riassunse

l'opinione generale sottolineando come si trattasse di un «lavoro d'arte splendidissimo».

Diverso il discorso, invece, per la statua del duca, alla quale si rimproverava un'eccessiva

staticità, una calma quasi innaturale, in forte contrasto con la figura fortemente drammatica

del cavallo morente. Era come se il duca, lungi dal balzare dall'arcione nella concitazione

della battaglia, scendesse tranquillamente da cavallo al termine di una parata. Nonostante

questa pecca, il gruppo scultoreo segnò sicuramente una svolta moderna, in chiave verista,

rispetto alla tradizione della scultura celebrativa italiana del XIX secolo, e la complessità

dell’insieme richiese sicuramente grande perizia tecnica al momento della fusione, realizzata

dalla fonderia Papi di Firenze. I problemi che la Consulta si è trovata ad affrontare erano

sostanzialmente analoghi a quelli riscontrati nel precedente intervento sul monumento

a Vittorio Emanuele II, causati da agenti inquinanti e atmosferici.

Al momento dell’intervento si era riscontrata su tutta la superficie una diffusa

formazione di croste nere e polveri compattate. Inoltre, nella parte alta del monumento erano

depositati residui di guano, mentre nelle parti in bronzo la patina, formatasi per processo

naturale di ossidazione, risultava aggredita da cloruri e solfati che avevano provocato una

colorazione variegata tendente al grigio. Per contro il basamento presentava anche alcune

sconnessioni in corrispondenza dei tre gradini posti alla base.

La metodologia impiegata è stata analoga a quella utilizzata per i gruppi bronzei del

monumento a Vittorio Emanuele II, anche se in questo caso, anzichè alla sabbiatura con granuli

ricavati dal guscio delle noci, si è preferito procedere ad un’azione di pulitura selettiva,

effettuata per mezzo di bisturi, martelletti e microspazzole. Quanto al basamento, è stato

consolidato, e successivamente sottoposto a pulitura mediante microsabbiatrice caricata con

polvere di ossido di alluminio. In conclusione, il restauro, attuato con criteri che hanno

privilegiato la rigorosa conservazione delle patine e secondo metodiche sperimentate

dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, ha consentito di bloccare e, per quanto possibile,

rimuovere le cause di degrado del monumento, restituendogli al contempo una parte

della visibilità oggi mortificata dall’incombente presenza delle due strutture, sperabilmente

provvisorie, realizzate per le Olimpiadi invernali del 2006. Che se poi, in attesa di restituire

alla piazza la sua fisionomia originaria, ci si vorrà astenere dall’assediare il monumento

con un’incongrua pista per il pattinaggio su ghiaccio, sarà possibile apprezzare in tutta

la sua bellezza un’opera fra le più significative del patrimonio artistico torinese, che l’intervento

della Consulta ha restituito all’ammirazione dei cittadini.

7. monumentiun’Avventura TORINESE116

Page 64: Un'Avventura Torinese

villa della regina

Page 65: Un'Avventura Torinese
Page 66: Un'Avventura Torinese

8. Un Teatro d’Acque 123122 un’Avventura TORINESE

8 . UN TEATRO D’ACQUE

Dopo quindici anni di attività, la Consulta si presentava ormai come

una macchina ben rodata, nella quale tutti gli ingranaggi, perfettamente

oliati, rispondevano alle indicazioni del manovratore di turno, pronti

ad assolvere i compiti che li attendevano.

Di fatto, mentre si stavano completando i restauri del Monumento

a Ferdinando di Savoia, già era stato avviato l'iter che avrebbe portato alla

realizzazione dell'intervento successivo. In questo caso, muoversi per tempo,

con le idee ben chiare, era estremamente necessario, visto che si sarebbe

trattato dell'intervento di gran lunga più importante fra quelli realizzati dalla

Consulta sino a quel momento.

Un intervento che, anche alla luce di quelli successivi, è risultato

eccezionale non tanto, o soltanto, per le risorse impiegate che pure sono state

ingenti, ma per la complessità delle opere richieste, che non rimanevano fine

a se stesse (come era avvenuto in precedenza con il restauro delle facciate

e dei monumenti), ma che dovevano inserirsi in un contesto armonico

di interventi coordinati, sollecitando la partecipazione di un numero rilevante

di competenze diverse.

L'idea di intervenire per il restauro, il recupero e la riapertura al pubblico della Villa

della Regina risale al 1994, a quando cioè l'imponente complesso affacciato sui primi

contrafforti della collina torinese venne dato in consegna alla Soprintendenza per i Beni

Artistici e Storici del Piemonte.

Dopo un ventennio di incuria, l'insieme di edifici, giardini, prati, si presentava

in stato di deplorevole abbandono. Il rischio concreto che un luogo di straordinaria rilevanza

storico-artistica, ma anche ambientale e paesaggistica, andasse definitivamente perso era

già stato denunciato dalla Gazzetta Antiquaria fin dal 1990: «Affreschi, tempere e boiseries,

tra i più raffinati esempi delle arti e dei mestieri settecenteschi, sono intaccati da un degrado

così incalzante che rischia di confinare la residenza a pura memoria storica».

Altrettanto grave della situazione degli apparati decorativi degli interni era anche

quella del parco, «causa principale di umidità e corrosione». Il restauro dell'edificio doveva

VILLA DELLA REGINA

ASSE

DEL BELVEDERE

Page 67: Un'Avventura Torinese

8. Un Teatro d’Acque 125124 un’Avventura TORINESE

dunque accompagnarsi a massicci interventi sulle fontane, sull'apparato idrico, sull'insieme

arboreo, che comportavano l'abbattimento delle alberature infestanti, il recupero del

disegno originale del parco e il ripristino dei giochi d'acqua e delle fontane.

Un intervento complessivo di questa portata risultava poi aggravato da una

complicata situazione giuridica, che non permetteva di definire chiaramente a chi

competesse la titolarità degli interventi. In pratica la Villa, pur essendo di proprietà del

Demanio, era in consegna provvisoria alla Provincia di Torino, cui spettava di concordare con

le Soprintendenze un progetto complessivo di recupero. In effetti, la vicenda di quella che

sarà poi detta Villa della Regina è lunga, complessa e tormentata.

La costruzione risale agli anni attorno al 1620 ed è voluta dal principe cardinale

Maurizio di Savoia (1593-1657), figlio del duca Carlo Emanuele I e di Caterina d'Austria.

Il cardinale, persona colta e raffinata, realizzò un complesso costituito dalla Villa

propriamente detta, con giardini all'italiana e Teatro d'acque, contornato da zone boschive

e agricole.

L'idea di costruire una residenza circondata da giardini disposti ad anfiteatro

si ispirava alle ville romane che il cardinale aveva avuto modo di vedere durante il suo

VILLA DELLA REGINA

ASSE

DEL BELVEDERE

Page 68: Un'Avventura Torinese

8. Un Teatro d’Acque 127126 un’Avventura TORINESE

VILLA DELLA REGINAASSE

DEL BELVEDERE

Page 69: Un'Avventura Torinese

8. Un Teatro d’Acque 129128 un’Avventura TORINESE

al collasso finale. In una situazione di questo genere, si comprende bene come il restauro

e il recupero non si sarebbero potuti realizzare in modo unitario e in un'unica soluzione, ma

si dovessero suddividere - secondo quanto previsto dai progetti esecutivi predisposti dalla

Soprintendenza fra il 1997 e il 2000 - in lotti funzionali con tempi di intervento

strettamente correlati, ponendosi come obiettivo l'ultimazione dei lavori entro il 2006.

Per quella scadenza era previsto che la Villa ospitasse un museo della residenza

(con visita degli appartamenti regi al piano nobile e percorsi storici nel giardino e nel parco),

un centro di documentazione e catalogo, un laboratorio storico-didattico legato al giardino.

I diversi lotti di intervento vennero suddivisi fra gli enti e le organizzazioni che

avevano manifestato l'intenzione di partecipare a questo importante recupero: Compagnia

di San Paolo, Fondazione CRT, Regione Piemonte e, ovviamente, la Consulta, che assunse

su di sé l'onere di restaurare l'Asse del Belvedere con il suo straordinario Teatro d'Acque.

Per la Consulta si è trattato di una sfida affascinante, certamente più impegnativa

di tutte quelle affrontate sino a quel momento, che ha visto coinvolta una folta schiera

di storici dell'arte, architetti, archeologi, restauratori, ingegneri, impiantisti e chimici.

L'Asse del Belvedere, che sorge alle spalle dell'edificio principale, si sviluppa su

un dislivello di circa trenta metri, cui si accede dalla corte d'onore settecentesca a pianta

semicircolare, chiusa da un muro con balaustra e nicchie decorate con rivestimenti rustici

in pietra calcarea. Al centro del perimetro del muro si apre una scalinata che conduce

alla Grotta del Re Selvaggio, situata al centro del Giardino dei Fiori.

soggiorno presso la corte papale. Alla morte del principe, la moglie, principessa Ludovica

di Savoia (che Maurizio aveva sposato appena quindicenne, dopo aver rinunciato alla dignità

cardinalizia), procedette all'ampliamento sia della Villa sia dei giardini, mentre importanti

aggiornamenti degli apparati decorativi furono realizzati successivamente da Anna Maria

d'Orléans, moglie di Vittorio Amedeo II, alla quale Ludovica aveva lasciato in eredità

il complesso.

Ma, anche in questo caso, gli interventi più importanti furono realizzati dopo il 1728

per la nuova regina Polissena d'Assia Rheinfelds, seconda moglie di Carlo Emanuele III,

da Filippo Juvarra, affiancato da Giovanni Pietro Baroni di Tavigliano; e ancora fra il 1760

e il 1780 per la nuova proprietaria, Maria Antonia Ferdinanda Borbone di Spagna, moglie

di Vittorio Amedeo III, allora duca di Savoia. In questo periodo vennero edificati il corpo

di guardia, le scuderie e il grande Palazzo Chiablese, pesantemente danneggiati

dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e successivamente demoliti perché

non più recuperabili.

Il complesso mantenne la sua straordinaria unitarietà anche dopo il 1865, quando

venne ceduto all'Istituto per le Figlie dei Militari, che ne curò la conservazione sino al 1975,

quando l'ente venne sciolto. La mancata manutenzione, il progressivo abbandono degli

stabili, parziali smembramenti e modifiche d'uso nel frattempo intervenute, riparazioni dei

danni di guerra con interventi impropri sia sulle strutture edilizie sia su quelle botaniche

avevano progressivamente degradato il meraviglioso insieme, portandolo molto vicino

VEDUTA

DELLA VILLA

DELLA REGINA

E DELLA CITTÀ

DALL’ ASSE

DEL BELVEDERE

VILLA DELLA REGINAASSE

DEL BELVEDERE

Page 70: Un'Avventura Torinese

8. Un Teatro d’Acque 131130 un’Avventura TORINESE

E salendo ancora si incontra il giardino ad anfiteatro, sovrastato a sua volta da tre

terrazzi, sull'ultimo dei quali si erge il Padiglione del Belvedere. Da questa costruzione,

l'acqua che sgorga da una semplice sorgente di falda ancora in funzione si insinua

nella Fontana del Mascherone, «colma una conchiglia, poi scompare, quindi riaffiora

dall'anfora di una Naiade e scende con dieci cascatelle fino a penetrare fra i mosaici

della Grotta del Re Selvaggio. Di qui sfocia in una peschiera, con zampillo. Poi si nasconde

di nuovo fino all'esedra, dove s'acquieta in una fontana», salvo poi scivolare sotto la Villa

e terminare la corsa nella Peschiera della Sirena prospiciente lo scalone d'ingresso.

Per recuperare una simile meraviglia dallo stato di abbandono in cui si trovava

e far nuovamente zampillare l'acqua, era indispensabile comprendere in via preliminare

il funzionamento del sistema impiantistico originario, nonché la consistenza e la tipologia

delle modificazioni introdotte nel passato per usufruire delle risorse idriche derivate dalla

presenza di sorgenti, a partire dalle nuove esigenze determinate dall'insediamento

dell'Istituto per le Figlie dei Militari. I rilievi effettuati hanno consentito di verificare

le condizioni degli impianti antichi (quasi tutti in muratura e in gran parte recuperati)

e valutare esattamente la natura degli impianti tecnologici da introdurre per restituire

funzionalità all'insieme. Altrettanta attenzione è stata dedicata al restauro e al recupero delle

parti edilizie e delle statue. Il grande Padiglione del Belvedere, che costituisce l'elemento

culminante della costruzione prospettica dei giardini e dell'intera proprietà e il cui stato

di conservazione era pessimo (mancanza di intonaci, ripristini con uso di malte e cemento,

infiltrazioni, attacchi biologici, incuria), è stato oggetto di particolari attenzioni.

Il cauto lavoro di indagine e di rilievo ha permesso di individuare ampie zone

di intonaci antichi che, una volta rimossa la vegetazione infestante, sono stati scoperti, puliti,

consolidati e integrati. Allo stesso modo, i rivestimenti in pietra calcarea sono stati restaurati

rispettando l'aggrappaggio delle singole parti alla muratura, costituito in gran parte da chiodi.

In modo analogo, nella sottostante fontana, si è provveduto a liberare

dalle concrezioni lo straordinario Mascherone centrale, scolpito e affiancato dalle due grandi

cariatidi, emerso durante i lavori, riportando al contempo alla luce la grande conchiglia

con putto, che le modifiche e gli interventi eseguiti all'inizio del Novecento avevano

occultato. La Fontana della Naiade e Pan e la Cascatella, sono state oggetto di un'attenta

opera di consolidamento e di impermeabilizzazione.

Un intervento particolarmente complesso ha riguardato, poi, la Peschiera e la Grotta

del Re Selvaggio. La vasca antistante la Grotta è stata riattivata e restaurata nell'invaso e nello

zampillo, al fine di poter essere utilizzata oltre che come elemento ornamentale, anche come

bacino di riserva per assicurare un'adeguata portata al sottostante sistema delle fontane.

VILLA DELLA REGINASALONE CENTRALE

Page 71: Un'Avventura Torinese

8. Un Teatro d’Acque 133132 un’Avventura TORINESE

VEDUTA

DELLA VILLA

DELLA REGINA

E DELLA CITTÀ

DALL’ASSE

DEL BELVEDERE

Page 72: Un'Avventura Torinese

8. Un Teatro d’Acque 135134 un’Avventura TORINESE

Invece la Grotta, tripartita, che ospita la statua del Re Selvaggio e altre due sculture

antiche, straordinario esempio di decorazione seicentesca con conchiglie, pietre di differenti

colori e metalli, ha richiesto un'attenta mappatura di tutti gli intonaci e l'uso dei materiali,

distinguendo quelli originali da quelli di ripristino, con il recupero di porzioni della

decorazione originale, occultate durante i lavori condotti negli anni Cinquanta per rimediare

ai danni di guerra. Infine, per la Vasca con Zampillo, situata al centro del cortile d'onore,

si è provveduto essenzialmente a liberare dagli interventi precedenti il bordo perimetrale

in pietra bianca, scolpito con motivi a mascherone, facendogli recuperare la maggior parte

delle sue qualità formali e cromatiche, e a ripristinare lo zampillo centrale, non più attivo

da tempo. L'intervento sulle parti edilizie si è poi concluso con il restauro e il completamento

corretto dei percorsi con cordoli, scalini e pavimentazione, nonché con il recupero

delle diverse opere in ferro, ringhiere, parapetti e cancelli, esistenti sul posto.

Altrettanta attenzione è stata posta per quanto riguarda gli apparati botanici.

Nel caso della Villa della Regina, infatti, la vegetazione svolge una significativa funzione

di arredo e di sottolineatura degli aspetti più propriamente architettonici. I pochi elementi

vegetali storicamente definibili e documentabili sono costituiti prevalentemente da siepi

di bosso e topiarie che fanno risaltare l'insieme delle costruzioni. Nel Giardino dei Fiori,

al piede dei muri di contenimento, sono stati collocati esemplari di peri a spalliera e altra

siepe di bosso destinata a delimitare i percorsi pedonali già esistenti.

Il delicato e lungo lavoro di restauro dell'Asse del Belvedere veniva inaugurato

e presentato alla cittadinanza il 5 novembre 2003, suscitando immediatamente l'entusiasmo

e l'interesse degli organi di stampa, che non mancavano di manifestare la loro ammirazione

per il modo in cui una parte così importante e qualificante del complesso monumentale era

stata recuperata. Se la Repubblica annunciava che: «Dopo anni di abbandono rinasce

Villa della Regina […]. Vasche e peschiere, viali e scalinate, preziosi mosaici e antichi

affreschi, l'intero sistema di edifici e giardini [sta ritornando] come ai tempi di Madama

reale», La Stampa non era da meno, informando i lettori che «la Villa è di nuovo Regina».

Dal canto suo, Il Giornale del Piemonte riassumeva il sentimento comune: «Villa

della Regina: prove di splendore». L'intervento della Consulta, che rappresentava la prima

realizzazione concreta del complesso programma di recupero, serviva a riaccendere

i riflettori su un pezzo importante del patrimonio edilizio storico torinese, ricordando

ai cittadini di quali «tesori» la Città fosse depositaria, e aprendo la via alla conclusione

dei successivi interventi. Il successo dell'intera operazione veniva poi certificato dalla grande

affluenza di pubblico che dalla riapertura ha potuto ammirare, dall'alto dell'Asse

del Belvedere, lo straordinario panorama di Torino che si offre alla vista.

VILLA DELLA REGINAASSE DEL BELVEDERE,

PARTICOLARE

Page 73: Un'Avventura Torinese

9. Per fare bella Torino 137136 un’Avventura TORINESE

DOMENICO FERRI E GIUSEPPE BOLLATIPALAZZO CARIGNANO,

FACCIATA, 1864-1871

9 . PER FARE BELLA TORINO

Nel febbraio 2006 Torino avrebbe inaugurato la XX edizione dei Giochi

Olimpici Invernali e per due settimane si sarebbe trovata al centro

dell'attenzione internazionale, mentre per un periodo ben più lungo avrebbe

ospitato migliaia di addetti ai lavori, turisti, appassionati degli sport invernali.

Ovvio dunque che la Città si preparasse all'evento cercando di

presentare sia agli ospiti, sia a quanti l'avrebbero vista dagli schermi televisivi

il suo volto migliore; in altre parole, che non solo cercasse di «farsi bella»,

ma accompagnasse l'evento sportivo con una serie di iniziative collaterali,

in qualche misura preparatorie, tali da condurre progressivamente

i cittadini e gli ospiti all'appuntamento olimpico.

Era quindi altrettanto ovvio che anche la Consulta non rimanesse estranea

al processo di abbellimento, intervenendo con l'esperienza e l'efficienza che avevano sempre

caratterizzato le sue iniziative. Già fin dal novembre del 2002 - e dunque ben prima della

conclusione dell'impegnativo restauro dell'Asse del Belvedere - il presidente pro tempore

aveva annunciato che i «mecenati della Consulta» si sarebbero prodigati «in una serie

di interventi per restituire pieno decoro a tutto il centro storico». Il problema urgente non era

infatti quello di recuperare dal degrado importanti monumenti o chiese o statue. Per questo

aspetto, anche se restava ancora qualcosa da fare, molto era già stato fatto, oltre che dalla

Consulta, anche da parte degli altri enti e istituzioni interessati alla salvaguardia del patrimonio

storico-artistico torinese. Apparentemente il problema sembrava più semplice, risolvibile con

una serie di piccole-medie azioni, più di pulizia che di restauro vero e proprio, sui percorsi

che in misura maggiore sarebbero stati toccati dal flusso turistico e che sostanzialmente

coincidevano con il centro storico, dove erano ospitati i palazzi della zona di comando e quelli

dei principali musei. La realtà, invece, si sarebbe incaricata di smentire questa sensazione,

sia perché alcuni interventi sarebbero stati impegnativi al pari di molti di quelli che la Consulta

aveva realizzato sino a quel momento, ma anche perché dovevano essere programmati

con scadenze legate al tipo di evento che dovevano soddisfare.

Concluso nel novembre 2003 il recupero dell’Asse del Belvedere di Villa della Regina,

nei due anni successivi la Consulta avrebbe messo in opera quasi contemporaneamente

ben quattro cantieri, modulando l'andamento dei lavori sulla base delle necessità effettive.

Page 74: Un'Avventura Torinese

I progetti presentati furono numerosi, ma tutti inconciliabili

fra loro: occorreva qualcuno che avesse la capacità e l'autorevolezza

necessarie per stabilire i tracciati e le norme edilizie di un piano unico

e definitivo. Il personaggio in questione venne identificato in Marcello

Piacentini, accademico d'Italia e architetto ufficiale del regime fascista,

autore di numerose fra le più importanti realizzazioni del periodo.

Il nodo urbanistico di più difficile soluzione riguardava gli

isolati che contengono le due chiese. Il problema poté essere

affrontato e risolto solamente nel 1935, quando l'Istituto Nazionale

della Previdenza Sociale si offrì di risanare interamente l'isolato

San Carlo e, contemporaneamente, le imprese Comoglio e le

Assicurazioni Generali si impegnarono a fare altrettanto per l'isolato

di Santa Cristina. La simultaneità degli interventi permise a Piacentini

di sviluppare un'idea definitiva unitaria, dando vita alla soluzione

attuale con la creazione sul retro delle chiese e in asse con via Roma

di una nuova piazza rettangolare, oggi conosciuta come piazza CLN.

In questo contesto venne adottato, per la parte retrostante

le due chiese, il progetto predisposto dall'ingegner Giuseppe Momo,

che prevedeva la «formazione di due facciate monumentali in pietra

da taglio verso la nuova piazzetta, […] che comprenderanno due

fontane con sculture allegoriche». Le statue destinate a ornare

le fontane avrebbero dovuto rappresentare il Po e la Dora.

Anche in questo caso il Comune bandì un concorso pubblico

aperto a tutti gli iscritti al Sindacato Interprovinciale fascista delle Belle

Arti di Torino, lasciando al libero giudizio dei concorrenti sia

l'atteggiamento sia le proporzioni delle statue, mentre sarebbe

toccato alla Municipalità scegliere il marmo per la loro realizzazione.

Fra i bozzetti presentati dai cinquantasei partecipanti al concorso, fu

selezionato come vincitore quello dello scultore torinese Umberto

Baglioni. A giudizio della commissione esaminatrice - composta, oltre

che dal podestà di Torino Paolo Thaon di Revel, dagli architetti Momo

e Piacentini, dal senatore Edoardo Rubino e dallo scultore Edoardo

De Albertis - si trattava di «due sculture riposate, serene, statiche,

sobrie, di buona seppur poco accademica modellatura, due sculture

sulla linea della nostra tradizione rinascimentale e più parti -

138 un’Avventura TORINESE

Per questa ragione, il primo cantiere a essere avviato fu quello concernente

il restauro delle Facciate della Palazzina della Promotrice delle Belle Arti, nel parco del

Valentino. Si era ovviamente al di fuori della zona aulica di Torino, ma l'urgenza

dell'intervento era determinata dal fatto che la Palazzina rinnovata avrebbe dovuto ospitare,

già nell’ottobre 2004 la mostra «Gli impressionisti e la neve», propedeutica all'evento

olimpico. Il Comune di Torino, proprietario dell'immobile, aveva provveduto alla ristrut -

turazione interna; la Consulta avrebbe completato l'opera con il restauro esterno.

Nel corso degli anni la Palazzina - la cui costruzione era stata avviata nel 1915

e conclusa nel 1919 in occasione dell'Esposizione Nazionale di Pittura, Scultura e Decorazione,

dopo essere stata utilizzata durante la prima guerra mondiale come convalescenziario - era

stata oggetto di una serie di trasformazioni e modificazioni che ne avevano sensibilmente

alterato l'impianto originale, ulteriormente compromesso dai bombardamenti della seconda

guerra mondiale che avevano danneggiato in modo irreparabile la decorazione interna.

Inoltre, una tinteggiatura non meditata e l'azione infestante della vegetazione rendevano

illeggibile la facciata, annullando l'effetto superficiale della pietra artificiale, un impasto

di cemento che cercava di simulare la pietra naturale, molto utilizzato in quel periodo anche

in numerose altre costruzioni, sia di civile abitazione sia destinate ad uso pubblico,

il cui esempio più cospicuo è forse il Borgo Medievale realizzato per l'Esposizione di Torino

del 1884.

Un provvedimento minore, dunque, ma accompagnato dalla quasi contemporanea

apertura del cantiere per il restauro e il risanamento conservativo delle Fontane raffiguranti

il Po e la Dora di piazza CLN. L'intervento era urgente. Intanto, le due Fontane si trovano

ai lati di via Roma, sul percorso che avrebbe portato la maggior parte dei visitatori verso piazza

Castello, da considerarsi il fulcro delle manifestazioni per il fatto che su di essa sarebbe sorta

la Medals Plaza, imponente struttura effimera dedicata alla premiazione dei vincitori, e dove

si sarebbero concentrati il maggior numero di festeggiamenti. In secondo luogo, anni e anni

di scarichi automobilistici e di emissioni in atmosfera avevano ricoperto di una patina grigia

uniforme il bianco del marmo delle statue, rendendo il tutto ancora più triste per la mancata

fuoriuscita d'acqua dalle sottostanti Fontane.

La realizzazione delle due Fontane si inserisce nel piano di rinnovamento di

via Roma, attuato a partire dal 1931 con l’avvio del primo lotto di lavori nel tratto compreso

fra piazza Castello e piazza San Carlo. Quando si trattò di affrontare il secondo lotto, quello

fra piazza San Carlo e piazza Carlo Felice, venne bandito un concorso di idee, nel quale

fu lasciata ampia libertà ai partecipanti, ponendo come uniche condizioni che fossero

mantenuti i portici e che si conservassero le due chiese di San Carlo e di Santa Cristina.

PALAZZINA DELLA PROMOTRICE

FACCIATA PRINCIPALE

PALAZZINA DELLA PROMOTRICE

INGRESSO

PALAZZINA DELLA PROMOTRICE

BASSORILIEVO REALIZZATO

DA EDOARDO RUBINO,

PARTICOLARI

(Fotografie

di Ernani Orcorte)

Page 75: Un'Avventura Torinese

guano dei piccioni. E che il restauro, soprattutto nella parte

idraulica, si presentasse particolarmente complicato,

è comprovato dal fatto che, a pochi giorni dall'inaugurazione,

si dovette nuovamente sospendere l'erogazione dell'acqua,

a causa di nuove, se pur minime, infiltrazioni. Inconveniente

al quale si poté porre rimedio con una soluzione che si spera

di lunga durata, in tempo utile per la stagione olimpica.

Da allora, dicembre 2005, l'acqua non ha mai cessato di fluire.

Le stesse esigenze che erano state alla base dell'intervento sulle due Fontane

di piazza CLN, si riproponevano, ancora più pressanti, per la Cancellata monumentale che

separa la Piazzetta Reale da piazza Castello. Qui si era nel cuore dell'evento olimpico; dalle

strutture costruite per l'occasione le televisioni di tutto il mondo, trasmettendo le cerimonie

di premiazione degli atleti, avrebbero diffuso le immagini della parte aulica di Torino, il cui

Palazzo Reale sarebbe diventato familiare ai telespettatori dei cinque continenti. In questo

contesto, la Cancellata rischiava di fornire un'immagine negativa

della Città, nonostante tutti gli sforzi da essa compiuti

per presentarsi con il suo aspetto migliore.

Le analisi tempestivamente condotte avevano

infatti messo in evidenza la presenza di par ti rotte

e staccate, dovute ad assestamenti e cedimenti, fenomeni di

ossidazione e corrosione, con una vernice di copertura logora

e permeabile alle infiltrazioni d'acqua. Le statue dei Dioscuri

presentavano invece uno strato sottile di prodotti di corrosione

di colore verde chiaro, costituiti da carbonati e solfati

di rame, localizzati nelle zone più dilavate

colarmente cinquecentesca». A questo punto divenne

possibile dare inizio ai lavori, incominciando ovviamente dalle

Fontane, per le quali era previsto che ciascuna di esse

avrebbe dovuto far fuoriuscire, dalla fessura posta sul fronte

del piedistallo, un getto rettangolare di 2,80 metri e dello

spessore di 3 centimetri circa, con una portata di 150 litri

al secondo. Poiché una tale portata non poteva derivare

direttamente dall'acquedotto, ogni Fontana doveva essere

dotata di una pompa di circolazione dell'acqua azionata da motore elettrico.

Avviati i lavori nel corso del 1937, le vasche destinate a ricevere l'acqua vennero

rivestite con materiale ceramico, mentre per gli impianti di servizio si dovettero rivestire

i serbatoi con lastre di piombo, sistemare griglie, scarichi e bocche di immissione.

Giunse quindi il momento di collocare le due statue, da realizzarsi ciascuna in

un solo blocco di marmo di Serravezza. E infine, nel corso del 1938, il lavoro fu completato.

Ma da quel momento incominciarono i guai. La mancata impermeabilizzazione delle

vasche, rivestite unicamente di materiale ceramico, provocò gravi infiltrazioni nella sottostante

galleria metropolitana, ora adibita a parcheggio. L'acqua venne perciò erogata soltanto

a spizzichi e bocconi, con interruzioni sempre più frequenti, sino al 1987,

quando dopo un'ultima erogazione legata alle celebrazioni per

il cinquantenario della nuova via Roma, fu definitivamente sospesa

e nelle vasche - fortunatamente solo per breve tempo - trovarono

collocazione delle composizioni floreali.

Da quel momento si assiste a un progressivo abbandono delle

due Fontane, con le vasche trasformate in ricettacolo di rifiuti e le statue

aggredite oltre che dai depositi carboniosi, dall'immancabile

UMBERTO BAGLIONI

STATUA DEL PO,

1938

UMBERTO BAGLIONISTATUA

DELLA DORA,

1938

Page 76: Un'Avventura Torinese

9. Per fare bella Torino 143

sui quali sono incardinate quattro campate diseguali, sostenute da colonne istoriate

sormontate da candelabri e da colonne intermedie a sezione minore.

Posta in opera fra il 1835 e il 1840 (ma le statue dei Dioscuri solo nel 1847), in realtà

la Cancellata non poté dirsi completata che molti anni più tardi, a Unificazione nazionale

già avvenuta, mentre ben presto si venivano manifestando esigenze di manutenzione

straordinaria e di interventi di restauro. Già nel 1861, infatti, diventava evidente la necessità

di pulire le superfici dalla polvere e dalla ruggine, di stuccare le sconnessioni, di spalmare olio

di lino cotto sui ferri e infine di procedere alla verniciatura.

Nel 1895, poi, veniva condotto un complesso intervento di manutenzione

straordinaria, che non poteva ritenersi conclusivo a causa di difetti intrinsechi della fusione

che permettevano infiltrazioni di acqua piovana all'interno della struttura, con conse -

guente formazione di ruggine nell'anima stessa dell'opera.

Particolarmente grave la situazione dei candelabri,

che a causa dell'ingresso d'acqua dai fori necessari al

passaggio dei tubi per l'alimentazione a gas dell'illuminazione,

furono i primi a disgregarsi, perché corrosi dalle ossidazioni,

seguiti ben presto da molte altre componenti.

Vista la situazione, nel 1932 venne assunta la drastica

decisione di rifondere completamente la Cancellata, conser -

vando al tempo stesso la finezza originaria dei dettagli proget -

tati da Palagi. Costruita con getti di maggiore entità di quelli

originari e sostituita con l'energia elettrica l'illuminazione dei

candelabri sino ad allora alimentati a gas, la nuova Cancellata

venne dipinta in verde, colore mantenuto sino al termine della seconda guerra mondiale,

quando venne rivestita con vernice ferro micacea che ne contraddistinse l'immagine

sino all'intervento della Consulta.

Date le vicende, e le traversie, della Cancellata non era consigliabile un intervento

di puro abbellimento, che si limitasse a una ripulitura, se pure a fondo, dell'insieme;

era invece auspicabile un intervento approfondito, preceduto da indagini fisico-chimiche

e mineralogiche che consentissero di individuare le tecniche e i materiali più idonei sia

per sconfiggere il degrado riscontrato, sia, soprattutto, per impedire che esso avesse

a ripetersi in futuro. Si è così costituito un gruppo di lavoro interdisciplinare che ha visto

la collaborazione dell'Università di Torino, del Politecnico di Torino, dell'Arcadia Ricerche,

coordinati dall'Università Ca' Foscari di Venezia, grazie al quale è stato possibile ricostruire

tutta la travagliata vicenda, specialmente per quanto riguarda la rifusione del 1932, realizzata

142 un’Avventura TORINESE

dalla pioggia, unitamente alle tipiche croste bruno-nerastre, costituite da calcare, pulviscolo

atmosferico e prodotti d'inquinamento. Infine, anche i basamenti delle due statue, rivestiti da

lastre di marmo, presentavano una superficie porosa, dovuta alle alterazioni provocate

dall'acqua e dallo smog, mentre le colature di acqua piovana che scendevano dalle statue

in bronzo, avevano provocato evidenti macchie di colore verde.

Si trattava di inconvenienti non nuovi, periodicamente riscontrati nell'imponente

struttura progettata da Pelagio Palagi nel 1834 su incarico di Carlo Alberto, onde dare una

sistemazione definitiva alla piazza, dopo che l'incendio del 1811 aveva devastato in maniera

irrecuperabile l'antico «Pavaglione», più volte utilizzato per l'Ostensione della Sindone.

Per soddisfare la richiesta del sovrano, Palagi progetta, appunto, la Cancellata in getto

di ghisa, addossata alle maniche laterali del complesso palatino e aperta al centro da un

grande varco idealmente protetto dalle statue equestri dei Dioscuri. Nonostante l'impressione

di leggerezza che la Cancellata lascia nell'osservatore a causa dell'effetto di trasparenza

ottenuto dal sapiente uso del materiale e dalla ricchezza della decorazione, in realtà si tratta

di una possente struttura architettonica, articolata su ciascun lato con tre pilastri in marmo

PELAGIO PALAGICANCELLATA

DI PALAZZO REALE,

1834

PELAGIO PALAGICANCELLATA

DI PALAZZO REALE,

PARTICOLARE

CON LA TESTA

DELLA MEDUSA

Page 77: Un'Avventura Torinese

9. Per fare bella Torino 145144 un’Avventura TORINESE

nelle Officine Manfredi e Bongioanni di Fossano. Già i primi saggi di indagine sul vivo della

Cancellata avevano messo in evidenza che, al di sotto dei numerosi strati di colore che nel

tempo le erano stati applicati, la Medusa più vicina alla Galleria del Beaumont recava le tracce

inconfondibili dell'oro, che non avrebbero dovuto esserci se effettivamente tutta la Cancellata

fosse stata rifatta. Dai documenti depositati presso l'Archivio Storico della Soprintendenza per

i Beni Architettonici e il Paesaggio del Piemonte, si veniva a sapere che alcune parti

evidentemente ben conservate della Cancellata erano state mantenute e rimontate, proprio

quelle a ridosso della Galleria del Beaumont. È stato dunque dall'analisi di questa parte della

Cancellata che si è potuto risalire alla coloritura originaria, che secondo le istruzioni di Palagi

avrebbe dovuto essere verde bronzo, mentre gli inserti in oro daterebbero alla fine

dell'Ottocento o ai primi anni del Novecento. Come conclusione si è avuta una coloritura che

ha adottato la tonalità verde del bronzo dei cavalli dei Dioscuri, come risultava dopo

il restauro del metallo, sulla quale sono stati effettuati inserti dorati limitatamente alle punte

delle lance e alle teste delle Meduse.

Se la Cancellata vera e propria aveva richiesto la maggiore attenzione, anche le statue

dei Dioscuri e le parti architettoniche richiedevano di essere trattate con il dovuto impegno,

attraverso operazioni sia di pulitura dei bronzi, sia di consolidamento dei pilastri in pietra,

nonché attraverso il rifacimento completo dell'im pianto elettrico. Il restauro della Cancellata

venne inaugurato solennemente il 18 novembre 2005 in quella che, dato l'oggetto del

restauro, poteva essere considerata la sede più appropriata: il Salone degli Svizzeri di Palazzo

Reale. Al termine della cerimonia, uscendo sulla Piazzetta, i partecipanti ebbero l'opportunità

di assistere a uno spettacolo di suoni e luci,

destinato a esaltare le caratteristiche salienti

del restauro. Non si erano ancora spenti

i riflettori sulla Cancellata che era nuovamente

ora di procedere a un'altra inaugurazione:

quella del restauro della parte centrale della

Facciata ottocentesca di Palazzo Carignano.

Era la terza volta che la Consulta interveniva

su quel Palazzo, dove si erano compiuti

i destini d'Italia e dove erano conservate

le memorie più sacre dell'epopea nazionale.

Nelle due occasioni precedenti - Aule del

Parlamento Subalpino e Italiano - l'intervento

aveva riguardato parti interne dell'edificio; ora

ABBONDIOSANGIORGIO

DIOSCURI,

BRONZO, 1847

Page 78: Un'Avventura Torinese

9. Per fare bella Torino 147146 un’Avventura TORINESE

Page 79: Un'Avventura Torinese

9. Per fare bella Torino 149148 un’Avventura TORINESE

si trattava di mettere mano al suo aspetto esteriore. L'operazione era in certo qual modo

obbligata perché l'edificio, proprio per le sue caratteristiche, anche se non era collocato

sull'asse principale degli eventi olimpici rientrava fra quelli che avevano un ruolo importante

da svolgere nei confronti di turisti e spettatori. Trovandosi sull'angolo opposto del Collegio

delle Provincie, sede del Museo Egizio, i cui principali tesori campeggiavano riprodotti in molti

punti di Torino, sarebbe certamente stato notato da migliaia di persone, che coglievano

l'occasione delle Olimpiadi per compiere una visita più approfondita ai monumenti e alle

collezioni torinesi. Per tale ragione, la Compagnia di San Paolo si era assunta l'onere

di provvedere al restauro della Facciata principale del Palazzo, quella guariniana.

Per la stessa ragione, era opportuno che qualcuno provvedesse anche alla Facciata

ottocentesca, la quale, nei confronti dell'evento olimpico, aveva una funzione specifica.

La piazza Carlo Alberto stava infatti diventando la sede di «Casa Svizzera», ed era

ragionevole supporre che sarebbero stati in molti a visitarla. In più, la stessa piazza era inserita

nel circuito delle «Luci d'artista», che costituivano un altro motivo di attrazione. Anche

la Facciata rientrava, ovviamente, nel progetto di ampliamento di Palazzo Carignano,

deliberato all'indomani della proclamazione del Regno d'Italia, e ritenuto necessario per

ospitare in modo adeguato la Camera dei Deputati del nuovo Regno, al momento collocata

in una struttura provvisoria nel cortile dello stesso edificio. Al concorso indetto per l'occasione

vinse il progetto dell'architetto regio Domenico Ferri, cui si associò, come direttore di cantiere,

Giuseppe Bollati. I lavori, iniziati alla fine del 1863, dovevano ben presto subire una brusca

interruzione poiché la Convenzione di Settembre, spostando la capitale a Firenze, privava

la nuova struttura dello scopo per cui era stata pensata e creata.

Dopo un anno di blocco quasi totale del cantiere, i lavori ripresero dapprima

lentamente e poi a pieno ritmo a partire dal 1866. La costruzione doveva comunque essere

ultimata, e negli anni fra il 1867 e il 1869 vennero realizzate le sei statue monumentali

che ornano la Facciata. Nel 1871, tutta l'ala ottocentesca era conclusa e l'edificio iniziava una

vita autonoma, ospitando attività ed enti non sempre compatibili con la funzione originaria,

alle cui esigenze la costruzione si era ispirata. La Facciata, che pure era stata risparmiata dai

massicci bombardamenti che nel 1943 avevano colpito altre parti significative del complesso,

aveva subito nel tempo il degrado provocato dall'inquinamento e dall'esposizione agli agenti

atmosferici, particolarmente evidente nelle parti alte.

Già in occasione di un primo intervento effettuato nel corso degli anni Ottanta

del Novecento, si erano dovuti fasciare con appositi ferri i grandi vasi del coronamento, ma

il degrado era proseguito, tanto che nel 1998 il crollo del braccio della statua dell'Industria

aveva obbligato a transennare la Facciata.

E le transenne erano destinate a rimanere a lungo a causa delle continue cadute

di materiali, provocate dagli incollaggi realizzati in passato con resine, ormai polimerizzate,

che stavano progressivamente cedendo. Di fatto, da allora e sino al momento dell'intervento

della Consulta, le transenne non erano più state rimosse, manifestando ormai anch'esse

evidenti sintomi di degrado. L'intervento della Consulta è consistito, perciò, in una attenta

pulitura generale dell'insieme, accompagnata da un esteso lavoro di consolidamento

e protezione dei materiali lapidei danneggiati, che ha contemplato anche il restauro

delle statue, il rifacimento della faldaleria, la posa di un nuovo impianto di allontanamento

dei volatili. Al tempo stesso il restauro completo dei serramenti ha ripristinato l'originario

colore del legno e la Facciata così riequilibrata ha recuperato il rapporto cromatico tra le parti

in cotto e quelle in pietra, finalmente liberate dal velo che le offuscava.

Il cantiere, della durata di circa dieci mesi, venne smontato nel dicembre 2005,

mentre l'inaugurazione ufficiale si tenne, in concomitanza con l'inaugurazione del restauro

della facciata guariniana, il 18 gennaio 2006, a meno di un mese dall'inaugurazione

delle Olimpiadi. Ancora una volta tutti gli impegni assunti dalla Consulta per «fare bella

Torino» erano stati mantenuti.

CANCELLATA

DI PALAZZO REALE

DURANTE

LA CERIMONIA

DI PREMIAZIONE

DEI GIOCHI OLIMPICI

DI TORINO 2006

Page 80: Un'Avventura Torinese

9. Per fare bella Torino 151150 un’Avventura TORINESE

PALAZZO CARIGNANOVEDUTA NOTTURNA

DELLA FACCIATA

OTTOCENTESCA

ILLUMINATA

DALLE

“LUCI D’ARTISTA”

Page 81: Un'Avventura Torinese

Palazzo reale - cancellata

Page 82: Un'Avventura Torinese
Page 83: Un'Avventura Torinese

10. nuovi percorsi 157156 un’Avventura TORINESE

10. NUOVI PERCORSI

L’evento olimpico ha indubbiamente segnato un momento di svolta

negli orientamenti della Consulta, proprio per quel che riguarda la valorizzazione

del patrimonio artistico torinese. La necessità di presentare ad atleti e visitatori

il volto migliore possibile di Torino, con i tempi imposti dalla scadenza dell’evento,

aveva di fatto contribuito ad accelerare una serie di interventi che, senza

le Olimpiadi, avrebbero avuto una gestazione più lunga.

Nel frattempo, però, alcuni degli interventi realizzati in passato

incominciavano a mostrare i segni del tempo.

La necessità di una manutenzione programmata, tale da non vanificare l’impegno

di risorse tecniche ed economiche impiegate nel restauro, era diventata di tutta evidenza,

tanto che già in occasione dell’intervento sul Monumento a Vittorio Emanuele II, nel fascicolo

che ne raccontava le vicende, si sottolineava che «al fine di non inficiare i risultati ottenuti...

occorre una maggiore attenzione alla manutenzione ordinaria delle opere. Un tempo questa

importante operazione era svolta assiduamente e con puntigliosa regolarità.»

Non che la Consulta desiderasse accollarsi volentieri una simile incombenza.

Se il suo scopo primario - la ragione stessa della sua esistenza - era quello di salvare

i monumenti dal degrado, è evidente che la manutenzione, specie se ordinaria, avrebbe

dovuto essere assicurata dai soggetti, proprietari del bene restaurato.

Ma è altrettanto evidente che se questi, per le ragioni più svariate, non erano in grado

di adempiere a tale incombenza, ad incaricarsene non potevano essere che quegli stessi

soggetti che avevano effettuato l’intervento di restauro.

È in forza di questo ragionamento che la Consulta ritornava, sedici anni dopo,

in piazza San Carlo, ad interessarsi nuovamente della chiesa omonima, la cui facciata

necessitava ormai di un sostanzioso lavoro di ripulitura, con un impegno di risorse finanziarie

che, se anche non confrontabile con quello del primo intervento, risultava comunque di tutto

rispetto. Ma questo, per la Consulta, rappresentava una novità assoluta, un modo nuovo

e diverso di interpretare la propria missione. Qualche volta, nel passato, era capitato che

si dovessero effettuare piccoli interventi su restauri recenti, per rimediare a qualche

inconveniente emerso in un secondo momento. Così era avvenuto per il Monumento

a Vittorio Emanuele II, per eliminare tracce di umidità inopinatamente ricomparse

VENARIA REALESIMONE MARTINEZ,

LE QUATTRO STAGIONI,

1752

(Fotografia

di Ernani Orcorte)

Page 84: Un'Avventura Torinese

10. nuovi percorsi 159158 un’Avventura TORINESE

operazioni di pulitura, senza ripristinare gli effetti di lucidatura. Il tutto adottando

la metodologia meno invasiva possibile, in modo da rimuovere le corrosioni senza eliminare

le patine di fonderia. Quanto alla pulitura, questa è stata differenziata in base alla superficie

trattata, mediante sabbiatura con microsfere di vetro. Grazie a questo intervento, l’opera

ha ritrovato tutta la maestosità iniziale, che però potrà essere preservata soltanto se per

il futuro verrà adottata una attenta programmazione della manutenzione ordinaria.

Negli ultimi anni, anche per effetto di interventi come quello sulla cancellata,

Consulta si è arricchita di un bagaglio di esperienze che le hanno consentito di individuare

nuove opportunità, che andavano ad aggiungersi a quelle tradizionali. I cantieri che ancora

restavano aperti risultavano, infatti, di dimensioni tali, e richiedevano una tale pluralità

di interventi, che ben difficilmente avrebbero potuto esser gestiti da un unico soggetto; tanto

meno da un soggetto privato come Consulta. Caso emblematico è quello della Reggia

di Venaria Reale: un complesso edilizio, in totale stato di abbandono, le cui dimensioni

non si discostano da quelle di Versailles e il cui recupero non avrebbe potuto avvenire senza

un massiccio intervento di fondi pubblici. In un caso del genere Consulta poteva offrirsi

di collaborare, non certo di gestire l’intervento in via esclusiva.

Una situazione analoga si era già verificata nel caso di Villa

della Regina, quando Consulta aveva assunto a proprio carico

il recupero dell’Asse del Belvedere, con le fontane e i giochi d’acqua

che ne accompagnavano lo sviluppo. Nel caso di Venaria Reale

l’intervento riguardò il restauro, il trasferimento e la ricollocazione

sul basamento; e nel caso delle Fontane di piazza

CLN si era dovuto rimediare ad una loro non

perfetta impermeabilizzazione. Questa era, invece,

la prima volta in cui l’intervento non era soltanto

una “coda” del restauro, ma la manutenzione

dell’edificio veniva assunta come iniziativa propria

per il 2006.

Un altro intervento del genere, ma più

complesso, veniva poi programmato nel 2009,

e riguardava “Odissea Musicale”, il complesso

scultoreo ideato da Umberto Mastroianni quale

Cancellata del Teatro Regio e realizzato nel 1994

dalla Consulta.

Nei 15 anni trascorsi dall’inaugurazione,

l’opera presentava un grave stato di degrado.

Da un lato, la cancellata, nonostante che fosse

collocata sotto il porticato e quindi preservata dalla corrosione dovuta all’azione dilavante

della pioggia e degli agenti atmosferici, non aveva potuto evitare gli effetti corrosivi provocati

dalle deiezioni dei cani sulle parti basse e da quelle dei piccioni in alto. Dall’altro lato, una

insufficiente manutenzione ordinaria aveva favorito il formarsi di accumuli di polveri,

soprattutto a causa dell’intenso traffico automobilistico e tranviario che le scorre dinnanzi.

Per effetto di questi fenomeni, l’originale impianto cromatico, costituito

dall’alternanza fra parti lucide, rugose, patinate e sabbiate, risultava profondamente alterato

non soltanto nell’aspetto superficiale, ma nel colore stesso che - a seconda della posizione

del singolo elemento nella composizione - andava dal bruno-rossiccio al bruno-verde.

In realtà in questo caso più che un intervento di manutenzione, si rendeva necessaria

una vera e propria operazione di restauro.

Operazione per la verità particolarmente complessa, dal momento che si trattava

di intervenire su un’opera contemporanea che - per la qualità dei materiali impiegati

e per le tecniche di esecuzione adottate - presentava problemi molto diversi da quelli

che abitualmente si riscontrano nel restauro di monumenti storici.

Si è trattato, dunque, di un restauro sperimentale, le cui scelte metodologiche sono

scaturite da lunghe discussioni. In mancanza di una adeguata documentazione di base, vi era

il pericolo che fossero adottate soluzioni arbitrarie tali da configurare, a restauro ultimato,

un vero e proprio falso storico. Per questa ragione si è ritenuto di fermare l’intervento alle sole

CHIESA DI SAN CARLO

TELONE

INSTALLATO

DURANTE

IL CANTIERE,

2006

GIARDINI REALILE QUATTRO STAGIONI,

SIMONE MARTINEZ,

1752

Page 85: Un'Avventura Torinese

160 un’Avventura TORINESE

nucleo di un Museo imperiale di scultura.

E se il Museo, per le vicende della

storia impegnata a far tramontare l’astro

napoleonico, non vide mai la luce, in compenso

le statue mantennero la loro collocazione sino

a quando, nel quadro del grandioso restauro

di Venaria, non si ritenne di restituirle alla loro

sede originaria. Realizzate in marmo bianco

di Frabosa, e fortunatamente non troppo

danneggiate dall’incuria del tempo e dalle

vicende atmosferiche, le quattro statue,

opportunamente restaurate, oltre a ritornare

nel luogo per il quale erano state pensate,

preservano il loro splendore da ulteriori ingiurie.

Alla stessa tipologia di intervento

appartiene anche il restauro della serie

di Arazzi raffiguranti Le storie di Artemisia.

Si tratta di una serie di arazzi che Vittorio

Amedeo I aveva fatto acquistare a Parigi tra

il 1619 e il 1621 per ornare le sale del Palazzo

Ducale di Torino, dove rimasero almeno fino

al 1753, quando nove di essi vennero trasferiti,

per volere di Carlo Emanuele III in Palazzo

Chiablese, che Benedetto Alfieri stava

ristrutturando per essere adibito a dimora dell’ultimogenito del duca, Benedetto Maurizio

figlio della terza moglie Elisabetta di Lorena. Qui gli arazzi rimasero a lungo, traslocando

alcune volte da una sala all’altra sino a trovare dimora stabile nel “Gabinetto d’udienza

a Levante” (l’attuale Sala Arazzi). Solo dopo il secondo conflitto mondiale, e presumibilmente

per consentire il recupero dei locali danneggiati dai bombardamenti i nove arazzi vennero

trasferiti nei depositi di Palazzo Reale.

Il soggetto degli arazzi è tratto da un poema intitolato Histoire de la Reyne Arthemise,

composto nel 1561-62 da Nicolas Houel, mecenate e farmacista parigino in onore di Caterina

de’ Medici, al momento reggente la corona di Francia per la morte del marito Enrico II.

Il poema si ispira alle gesta di due antiche regine della Caria (costa Egea della Turchia):

la prima, alleata di Serse nella campagna contro i greci combatté nella battaglia di Salamina

delle statue di Simone Martinez raffiguranti Le Quattro Stagioni, sino a quel momento

collocate nei Giardini del Palazzo Reale di Torino, attorno alla fontana con Nereidi e Tritoni,

dello stesso autore.

Le vicende che riguardano queste statue sono, infatti, complesse e anche un poco

controverse. Realizzate fra il 1739 e il 1752 dal Martinez, nipote di Filippo Juvarra, pare che

inizialmente fossero destinate ad arricchire la Galleria del Beaumont di Palazzo Reale, dove

peraltro non furono mai collocate perché, all’ultimo momento, vennero destinate alla Reggia

di Venaria, allora in costruzione. Qui vennero collocate - in nicchie appositamente predisposte

- nella sala circolare che funge da cerniera fra la chiesa di Sant’Uberto e la manica

di collegamento con la Galleria di Diana. Attorno al 1810 le statue vennero trasferite da Venaria

a Torino e sistemate nei Giardini di Palazzo Reale, dove avrebbero dovuto costituire il primo

10. nuovi percorsi 161

PALAZZO CHIABLESESALA ARAZZI,

LE STORIE DI ARTEMISIA,

1619-1621

(Fotografia

di Ernani Orcorte)

PALAZZO CHIABLESESALA ARAZZI,

LE STORIE DI ARTEMISIA,

1619-1621,

PARTICOLARI

(Fotografie

di Ernani Orcorte)

Page 86: Un'Avventura Torinese

10. nuovi percorsi 163

anni a Siviglia, e la sua estrema rarità risiede nel fatto che normalmente simili carte, quando

superate da nuove scoperte geografiche, venivano distrutte, anche per evitare il rischio

che cadessero nelle mani di concorrenti, interessati a contrastare la supremazia spagnola.

Il Planisfero della Biblioteca Reale - appartenuto a Giovanni Vespucci, nipote

del grande navigatore - sarebbe arrivato a Torino come dono di Carlo V in occasione

delle nozze di sua cognata Beatrice del Portogallo con Carlo III di Savoia e tosto trasferito

alla Libreria ducale, primo nucleo della futura Biblioteca.

Il tempo trascorso e le vicissitudini che hanno caratterizzato i beni librari

della dinastia sabauda - tra incendi, donazioni e spoliazioni napoleoniche - richiedevano che

il Planisfero fosse sottoposto ad un accurato intervento di restauro; al tempo stesso, però,

postulavano anche che l’importante documento, una volta restaurato, non venisse

nuovamente celato alla vista dei visitatori, come era avvenuto sino a quel momento,

ma potesse essere esposto in via permanente.

La Consulta era già intervenuta sulla Biblioteca Reale nel 1998, quando aveva

provveduto a realizzare la Sala Leonardo, dotandola di tutte le più avanzate realizzazioni

in campo museale per quanto riguarda l’esposizione di documenti scritti, particolarmente

influenzabili dalle condizioni di luminosità e di umidità. Era perciò naturale che anche questa

volta si attivasse non solo provvedendo al restauro della preziosa carta, ma realizzando anche

una teca apposita che, garantendo ottimali condizioni di conservazione, ne consentisse

l’esposizione permanente. Con l’occasione, Consulta provvedeva anche a restaurare altri

quattro portolani, risalenti al XVI e XVII secolo, appartenenti anch’essi alla Biblioteca.

(480 a. C.); la seconda, invece, vissuta un secolo più tardi, è ricordata per aver fatto costruire

in onore del marito il re Mausolo, il Mausoleo di Alicarnasso, una delle sette meraviglie

dell’antichità. Proprio perché concepito come una sorta di captatio benevolentiae di Caterina

de’ Medici, accostata alle due Artemisie dell’antichità, il tema divenne presto popolare e quella

di Artemisia divenne una delle serie di arazzi più replicate nel primo quarto del secolo XVII.

Realizzati in lana e seta con filati metallici d’oro e d’argento, al momento del restauro

i nove arazzi presentavano una significativa alterazione dei materiali costitutivi, provocata dal

tempo, dall’uso e dalle precedenti condizioni di esposizione, non idonee alla conservazione

delle fibre. Sostanzialmente, dovevano essere affrontate due aree di intervento: da un lato

si trattava di reinserire nell’ordito e nella trama i materiali mancanti, dall’altro si doveva

rimediare alla presenza dannosa di alcuni precedenti interventi di rammendo.

Ma prima di poter ricollocare gli arazzi nella loro sede storica era necessario

effettuare un altro intervento, ossia restaurare la sala destinata ad accoglierli, ad iniziare dalla

volta, dove era indispensabile ripulire le dorature degli stucchi dal particellato atmosferico

e da precedenti verniciature. Per proseguire poi sulle pareti, dove è stato riproposto

un rifacimento della tappezzeria settecentesca. Per finire con gli interventi sulle sovrapporte,

dove sono raffigurate Le Quattro Parti del Mondo dipinte da Francesco De Mura

sui lampadari, sul pavimento e sui quattro grandi candelabri figurati. A tutela del lavoro

effettuato, è stato poi installato un sistema di temperatura e umidificazione controllato,

accompagnato dall’installazione di pellicole protettive di ultima generazione.

Un altro intervento dello stesso segno ha riguardato il cosiddetto Planisfero di Torino,

un’altra delle tante meraviglie - non tutte conosciute come dovrebbero - della Biblioteca

Reale. Si tratta di una grande carta geografica, realizzata in pergamena, con un’estensione

di due metri e sessanta di lunghezza per un’altezza di centodieci centimetri e rappresenta

la più antica testimonianza conosciuta del lavoro che si svolgeva alla Casa de Contratacion

di Siviglia. Era questa una istituzione nata nel 1503 sull’onda delle scoperte di Cristoforo

Colombo e delle successive esplorazioni del Nuovo Mondo.

Alla Casa spettava infatti la regolamentazione dei viaggi di esplorazione, dei

commerci e della colonizzazione delle Americhe. In questo contesto, il dipartimento

geografico-nautico - inizialmente diretto niente meno che da Amerigo Vespucci - aveva

il compito di addestrare i marinai e curare la cartografia marittima attraverso la realizzazione

del Padron Real, ossia la carta nautica ufficiale della Spagna: una grande mappa su cui era

indicato ogni luogo del mondo conosciuto, costantemente aggiornata sulla base delle sempre

nuove scoperte che si andavano facendo, e dalla quale si ricavavano poi tutte le carte usate

dai navigatori. Il Planisfero di Torino è appunto uno dei Padronés Reales realizzati in quegli

162 un’Avventura TORINESE

BIBLIOTECA REALEGIOVANNI VESPUCCI,

PLANISFERO,

1523

(Fotografia

Fenucci - Y Press)

Page 87: Un'Avventura Torinese

164 un’Avventura TORINESE

Di qui un drastico programma di abbattimento che, se aveva evitato il pericolo

di cadute, aveva però anche snaturato completamente il paesaggio attorno alla Palazzina.

Non solo: come si evince dai quadri del Cignaroli e dello Sclopis, gli alberi

in questione erano presenti anche lungo le principali rotte di caccia che dalla Palazzina

si diramavano; ma anche questi, venuto meno l’esercizio venatorio e aumentata la superficie

adibita a coltivazione a scapito di quella riservata alla caccia, erano progressivamente stati

abbattuti e non rimpiazzati. Cercare di recuperare il paesaggio illustrato da Cignaroli, nei limiti

consentiti dalle trasformazioni subite dal territorio nel corso del tempo è stato dunque

l’obbiettivo che la Consulta si è posto prevedendo il reimpianto di circa 1.700 pioppi.

Le piante in questione, alte fra 3 e 4 metri, con un diametro di 10-12 centimetri sono

state perciò impiantate ai lati della strada circolare, a ricomporre il paesaggio tradizionale

e lungo le due principali rotte di caccia che si staccano dal raccordo anulare: la Rotta Niccolò

e la Rotta Chisola. Per la buona riuscita dell’operazione sono stati necessari 450 quintali

di stallatico, oltre sette quintali di concime a lenta cessione ed è stato necessario posizionare

3.600 tutori e 1.800 retine anti-odori. Così, nello spazio di pochi anni la bellezza di un luogo

aulico e celebrato come la Palazzina di Caccia di Stupinigi, grazie al recupero dell’ambiente,

si proporrà al passante e al visitatore con ancora maggiore splendore.

Ma questo, del reimpianto delle alberate, non è l’unico intervento operato dalla

Consulta su terreni non ancora esplorati. Anche il successivo appartiene allo stesso genere.

Si tratta del riallestimento delle Cucine di Palazzo Reale: qui non vi sono quadri

da restaurare, facciate da ripulire, monumenti da riportare all’originario splendore.

Queste ultime iniziative dimostravano che

era giunto il momento di arricchire e ampliare l’azione

della Consulta. Gli interventi sin qui descritti, anche

se indirizzati verso obbiettivi di volta in volta diversi

- le statue di marmo, gli arazzi di lana e seta, le carte

nautiche di pergamena - potevano ancora considerarsi

in qualche misura tradizionali, trovando in essi

applicazione di consolidate tecniche di restauro.

Con l’intervento sulla Palazzina di Caccia

di Stupinigi si va oltre, passando dal restauro

degli objets d’art al restauro - o, se si preferisce, alla ricomposizione del paesaggio.

Com’è noto, la caccia specialmente nella forma aulica di vénerie, che consisteva

nell’inseguimento e nell’abbattimento del cervo, aveva occupato un posto importante presso

le corti europee lungo tutto il XVIII secolo. La corte sabauda non faceva eccezione, tanto

che nella prima metà del secolo, accanto alla Reggia della Venaria Reale, Palazzo di Piacere

e di Caccia, per esercitare questa attività era stata aggiunta la Palazzina di Stupinigi,

che fra i primi di settembre e il 3 novembre (giorno di Sant’Uberto) diventava il fulcro

di numerosi raduni della corte, impegnata a praticare nei terreni circostanti la Chasse

à courre, ossia, in una parola, a ”correre il cervo”. Di questa attività, dei numerosissimi

personaggi che, a vario titolo ne facevano parte, e del fasto che la circondava esistono

numerose testimonianze pittoriche disseminate nelle diverse residenze reali; le più

significative, quelle che meglio fanno comprendere le varie fasi entro le quali si articolava

l’avvenimento, e l’importanza che esso aveva per la vita di corte, sono indubbiamente quelle

dipinte da Vittorio Amedeo Cignaroli e conservate nella Sala degli Scudieri proprio a Stupinigi.

Si tratta di un ciclo pittorico formato da quattro grandi tele, numerosi quadri minori

e alcune sovrapporte, che fissano come veri e propri fotogrammi di un film, i momenti salienti

della caccia reale e molti degli episodi che normalmente si verificano in tale circostanza.

Ora, non è questa la sede per ripercorrere lo svolgimento della caccia così come

realisticamente rappresentato dal Cignaroli, quanto piuttosto di rilevare come nella maggior

parte dei dipinti le scene descritte siano inquadrate entro una cornice di alberi di alto fusto,

facilmente riconoscibili come pioppi cipressini. Del resto, sino a non molto tempo fa, alberi

di questa specie fiancheggiavano - e ancora qualcuno sopravvive - il tratto terminale del

vialone d’accesso alla Palazzina e contornavano l’anello stradale che racchiude il complesso.

Il tempo e la vetustà avevano reso quasi tutti gli alberi malaticci e fonte di pericolo, qualora

qualche agente atmosferico ne avesse provocato la caduta sulla strada.

10. nuovi percorsi 165

PALAZZO REALELE CUCINE

(Fotografia

di Ernani Orcorte)

STUPINIGIPALAZZINA DI CACCIA,

REIMPIANTO

ALBERATE STORICHE

(Fotografia

di Franco Borrelli)

Page 88: Un'Avventura Torinese

10. nuovi percorsi 167166 un’Avventura TORINESE

Vi sono invece cucine, dispense, cantine, legnaie, ghiacciaie - tutti luoghi certamente

non aulici - accanto a fornelli, vasellame, bottiglie, pentolame, da riportare

alle condizioni originarie, ricostruendo, o comunque mantenendo in efficienza gli impianti

originari, così come si presentavano durante il loro impiego. Operazione questa non sempre

facile perché contrastante con le norme di sicurezza via via entrate in vigore, e certamente

lontane anni-luce dai sistemi in vigore quando di norme non ve ne era nessuna.

Si è trattato di una operazione certamente stimolante, in certo senso una sfida

intellettuale prima ancora che una dimostrazione di capacità operativa. In questo caso, infatti,

ci si muove in un’area sconosciuta dove non esistono regole o protocolli facilmente

applicabili. Ogni caso - e cioè ogni cucina - risente delle abitudini alimentari e delle condizioni

di protocollo di ognuna delle corti che è chiamata a soddisfare: di qui una accurata ricerca

filologica che parte dalle caratteristiche del

personale impiegato e giunge sino all’addobbo

della tavola da pranzo, passando attraverso

i menù e il loro modo di definire i cibi.

Nel corso del tempo le cucine

avevano subito vari spostamenti correlati

ai lavori di ampliamento e di trasformazione

del Palazzo. Attualmente si trovano nei

sotterranei dell’ala di levante verso i giardini:

un complesso di oltre venti locali popolati

da cucine per cuocere carni, pesci e dolci, forni

e ceppi, spiedi e mortai, pozzi e ghiacciaie,

dispense e una grande cantina. E se venti

stanze possono sembrare troppe, occorrerà

ricordare che in esse lavoravano 14 cuochi,

3 garzoni, 4 uscieri di cucina cui andavano

aggiunti i maggiordomi, 5 fruttieri, 3 pasticcieri,

25 gentiluomini di bocca, 4 scudieri, 5 guardia

vaselle, 2 maestri di sala; e per finire, alcuni

credenzieri e sommellieri di bocca.

Un piccolo esercito di persone,

ciascuna con una funzione ben precisa,

deputato a soddisfare le esigenze alimentari

della famiglia reale lungo un anno formato

PALAZZO REALELE CUCINE,

PARTICOLARE

DELLA CANTINA

(Fotografia

di Ernani Orcorte)

PALAZZO REALELE CUCINE,

PARTICOLARE

(Fotografia

di Ernani Orcorte)

da 224 giorni di grasso e 141 di magro, in realtà ripartito in quattro distinte cucine: quella

privata del re, la cucina reale, quella del principe di Carignano e quella del conte di Robilant.

Inevitabilmente, per soddisfare esigenze di tali dimensioni occorrevano ghiacciaie

e dispense di dimensioni non comuni; e per quanto riguarda le cantine basterà ricordare

che la dotazione normale di vini consisteva mediamente di 900 bottiglie di champagne,

700 di bordeaux, 500 di jerez, oltre ad una quantità imprecisata ma certamente notevole,

di vini italiani e francesi. Il complesso aveva funzionato egregiamente sino a quando

la famiglia reale aveva occupato stabilmente il Palazzo, ed aveva avuto ancora un sussulto

di attività in occasione della permanenza torinese del principe ereditario Umberto

con la consorte Maria José, dopo di che era stato abbandonato, entrando progressivamente

in condizione di degrado, come sempre avviene quando un locale si trasforma da centro

di attività in deposito di materiali dismessi.

Negli ultimi sessant’anni vi era stato

portato di tutto. “Dove erano risuonate

le grida dei garzoni, gli ordini sibilati

del maggiordomo sul sottofondo degli

sfrigolii delle carni arrostite, i passi

frettolosi dei valletti, i richiami dei cuochi

attraverso i fumi dei grandi forni, non

restavano che silenzio, mobili malamente

accatastati, vecchie plance, cassettiere aperte

e sventrate, forni in ghisa corrosi dalla

ruggine, canaline elettriche vecchie e recenti,

allestimenti di mostre dimenticate, persino

una betoniera, macerie, cassoni, polvere,

polvere, polvere”.

Una descrizione che ricorda molto

da vicino un girone dantesco, e a fronte

della quale non restava che mettersi

le mani nei capelli; salvo poi,

immediatamente dopo, come in effetti

è avvenuto, rimboccarsi le maniche

e cominciare ad operare. Il recupero

dei locali delle cucine faceva, infatti, parte

del grande progetto di restauro del Palazzo

PALAZZO REALELE CUCINE, PARTICOLAR

(Fotografia

di Ernani Orcorte)

Page 89: Un'Avventura Torinese

10. nuovi percorsi 169168 un’Avventura TORINESE

Reale, avviato immediatamente dopo l’incendio della Cappella della Sindone, del quale

rappresentava in certo senso la fase conclusiva. Di particolare importanza, viste le condizioni

di partenza, la fase preliminare dei lavori, consistente nella documentazione dello stato

di fatto e nel successivo sgombero dei materiali accatastati, seguito da una attenta

catalogazione dell’esistente. Solo dopo aver completato queste prime incombenze, sì è potuto

passare alla fase successiva, consistente nel riadeguamento impiantistico, nel restauro

architettonico e degli oggetti: fra questi, oltre duemila pezzi in rame, dalle grandi pesciere

ai piccoli stampi per dolci e biscotti! Il successo dell’iniziativa è stato reso possibile anche

grazie ad una rigorosa divisione dei compiti: gli interventi di natura architettonica a carico

del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il restauro degli arredi fissi e dei materiali

metallici, nonché la predisposizione degli allestimenti, a cura della Consulta.

Nonostante la complessità della situazione che ci si è trovata di fronte, gli interventi

sono riusciti a rispettare il più possibile l’impostazione originaria delle cucine, senza trascurare

le trasformazioni intervenute nel corso del tempo. Così, per quanto riguarda gli impianti, le

strutture preesistenti sono state ripristinate rendendo visibili le sovrapposizioni storiche, grazie

anche al fatto che molte componenti, per quanto vetuste, sono giunte sino ai giorni nostri

senza essere demolite: rubinetti, vasche in rame, ascensori, montavivande, radiatori, valvole

in bronzo, tubazioni... E, al contrario, occultando quelle installazioni che, dettate dalle

moderne norme di sicurezza, non erano previste quando le cucine erano in funzione:

dall’impiantistica elettrica a quelle antifurto e antincendio, passando attraverso le telecamere

della videosorveglianza. Un occultamento certamente facilitato dalle caratteristiche degli

ambienti, dove abbondano passaggi naturali, canne fumarie, camini, passaggi inutilizzati.

Particolarmente delicati gli interventi sull’utensileria di cucina, costituita per lo più da recipienti

di rame, con l’interno frequentemente rivestito da uno strato più o meno spesso di stagno.

Su tali superfici, residui di cibo o altre sostanze estranee, hanno

provocato trasformazioni del metallo, sottoponendolo a processi

di invecchiamento caratterizzati da formazione di ossidi e, in qualche

caso, di sali che hanno dato vita ad efflorescenze. In realtà non vi erano

situazioni di particolare degrado, ma più che altro uno stato di vetustà

derivata dal mancato uso degli oggetti; per tale ragione gli interventi

sono consistiti principalmente in operazioni di lavaggio mirate

alla rimozione dei depositi, precedute da test di prova.

Per quanto riguarda, invece, gli altri materiali metallici, costituiti

principalmente da ghisa e ferro - stufe, scaldavivande, lavandini, cisterne,

montacarichi - il restauro è consistito essenzialmente nella rimozione

PALAZZO REALELE CUCINE

(Fotografia

di Ernani Orcorte)

Page 90: Un'Avventura Torinese

10. nuovi percorsi 171170 un’Avventura TORINESE

degli strati di ossido che li ricoprivano, operazione che ha permesso di riportare in luce

i marchi delle ditte che avevano costruito tali oggetti. Per altri aspetti poi da un lato si

è proceduto alla sostituzione dei mattoni refrattari disgregati di cui era costituita l’anima

interna dei forni, mentre le maniglie di ottone e rame sono state per lo più pulite mediante

impacchi di acido citrico. In conclusione, come è stato sottolineato, “si è cercato

di rendere quel senso di vissuto meravigliando il visitatore con

le dimensioni dei forni, delle mensole, delle dispense, degli utensili”.

E se fino a qualche tempo fa le cucine di un complesso

monumentale rientravano fra quelle sale che il pubblico non

avrebbe dovuto visitare, perché considerate la parte “sporca”

del complesso, locali di nessun pregio, l’intervento realizzato con

il concorso della Consulta ha permesso di verificare come

anch’esse contribuiscano a comprendere la quotidianità di una

organizzazione complessa come quella che regola la vita e le attività

di un Palazzo Reale. Al momento dell’inaugurazione il percorso

di visita, appositamente studiato, si concludeva nell’Appartamento

di Madama Felicita, con uno sguardo sull’addobbo dei locali che

costituiscono lo sbocco finale di quanto prodotto nelle cucine: la Sala

da pranzo, ove si poteva ammirare la tavola apparecchiata con un servizio

di porcellana della Manifattura Reale di Berlino su tovaglia di Fiandra,

commemorativa della Guerra di Crimea; il salottino della cioccolata,

dove facevano bella mostra alcune tazze di porcellana con vedute

architettoniche molto particolari e un servizio d’argento; infine,

la stanza della prima colazione dove erano esposti alcuni vassoi

d’argento preparati con tazze da tè e da caffè con lo stemma

sabaudo, teiera e caffettiera d’argento e piattini per biscotti e paste.

Un allestimento raffinato che, se pure destinato a durare

un tempo molto breve nulla aggiunge alla suggestione delle cucine

vere e proprie, non semplicemente locali di servizio, ma depositarie

di una tradizione e di un costume che, senza la loro testimonianza

diretta, sarebbe difficile immaginare.

Dalla concretezza delle necessità alimentari alla spensieratezza delle celebrazioni

dinastiche. Concluso il restauro delle cucine, l’intervento successivo della Consulta riguarda

quello che uno scrittore di mistery potrebbe agevolmente intitolare “Lo strano caso dei dodici

Medaglioni”. L’oggetto dell’intervento è costituito, infatti, da dodici Medaglioni in legno

STUPINIGISERIE DEI MEDAGLIONI

DELLA GENEALOGIA

SABAUDA,

UMBERTO III,

XVIII SECOLO

(Fotografia Laboratorio

Nicola Restauri)

STUPINIGISERIE DEI MEDAGLIONI

DELLA GENEALOGIA

SABAUDA,

BEROLDO E UMBERTO II,

XVIII SECOLO

(Fotografie Laboratorio

Nicola Restauri)

Page 91: Un'Avventura Torinese

172 un’Avventura TORINESE

Al tempo stesso, la Consulta

ha potuto approfondire l’esperienza

nel campo del restauro di materiali

lignei.

Se è vero, infatti, che anche in

passato in occasione di precedenti restauri,

si erano dovute prendere in considerazione

anche parti in legno, questa era la prima volta in

cui il restauro era tutto concentrato su questo

materiale, ponendo problemi, e sollecitando

soluzioni, in precedenza mai affrontati.

di grandi dimensioni, scolpiti e dipinti ad imitazione del bronzo sui cui supporti lignei sono

state applicate le figure in altorilievo dei primi conti di Savoia: da Beroldo, figlio di Ugone

di Sassonia, vissuto fra il 980 ed il 1027, a Pietro, figlio di Tommaso I (1203-1268).

La fonte cui lo scultore si è ispirato per modellare i ritratti è nota e consiste nelle incisioni

realizzate da George Tasnière per l’opera Augustae Regiaeque Sabaudiae Domus Arbor

Gentilitia compilata dall’abate Ferrero di Lavriano e pubblicata nel 1703.

Ma questa è l’unica certezza. Allo stato attuale delle ricerche, infatti, non si conosce

altro. Non si sa, ad esempio, per quale circostanza siano stati commissionati e realizzati,

né chi ne sia stato l’autore. È molto probabile che servissero per decorare qualche apparato

effimero realizzato in occasione di qualche celebrazione dinastica - verosimilmente,

un matrimonio - ma non è dato sapere di quale si trattasse né presso quale residenza sabauda

la cerimonia si sia svolta.

I Medaglioni sono stati rinvenuti nella Palazzina di Caccia di Stupinigi, di proprietà

della Fondazione Ordine Mauriziano, ma nulla autorizza a pensare che siano stati realizzati

per quelle sede. Così pure, la presenza di fori simmetrici su ciascun medaglione farebbe

supporre una loro collocazione, successiva all’evento per il quale erano stati realizzati,

in qualche dimora sabauda: ma non si sa in quale, anche se si può sicuramente escludere

che si tratti di Stupinigi. Insomma, tutta una serie di interrogativi, alimentati dalla mancanza

di documentazione - inusuale per un’amministrazione come quella sabauda, attenta

a registrare anche la più piccola voce di spesa - che vanno ad aumentare il fascino

e l’interesse per gli oggetti in questione, sollecitandone un pronto e totale restauro.

I medaglioni venuti dal nulla si presentavano in diverse condizioni di degrado.

A fronte di alcuni sostanzialmente in buone condizioni, ve ne erano altri sui quali le ingiurie

del tempo e del clima avevano procurato gravi danni: porzioni di medaglione andate perdute;

elementi decorativi di contorno ai ritratti distaccati; supporti solcati da profonde fenditure;

il tutto inevitabilmente ricoperto da strati di sporco.

Il restauro, iniziato nella primavera del 2009, ha dovuto quindi operare a tutto

campo, ad iniziare da un fissaggio preliminare per salvaguardare la finitura cromatica

originale. Si è poi dovuto provvedere allo smontaggio parziale e provvisorio di tutti

gli elementi decorativi distaccati e ad inserire innesti a cuneo in corrispondenza delle

fenditure. Al tempo stesso si è dovuto procedere alla ricostruzione volumetrica delle porzioni

di medaglione andate perdute e alla pulitura completa di tutte le superfici. Il riassemblaggio

dei medaglioni risanati e restaurati viene poi seguito dalla stesura di un protettivo.

Si è in tal modo recuperato un complesso decorativo di grande suggestione,

destinato ad arricchire il percorso di visita della Palazzina di Stupinigi.

10. nuovi percorsi 173

Page 92: Un'Avventura Torinese

11. effetti collaterali 175174 un’Avventura TORINESE

11. EFFETTI COLLATERALI

Un’esperienza così varia, giocata sulla quasi totalità degli aspetti -

dall’architettura alla scultura, dalla pittura al paesaggio, dall’arte raffinata degli

arazzi alla cultura materiale delle cucine, dal marmo, al bronzo all’ottone - che

concorrono a formare il patrimonio artistico di una città, non poteva non produrre

anche effetti, per così dire, collaterali. In altre parole, non poteva non produrre

iniziative che, se pure non si collocano direttamente sul terreno del restauro o del

recupero, presentano anch’esse una elevata valenza artistica, proprio sul terreno

della valorizzazione. È il caso delle mostre.

In questo campo la Consulta aveva già dimostrato la propria capacità al momento

della realizzazione della Sala Leonardo della Biblioteca Reale: sala appositamente dedicata

alla conservazione e all’esposizione dei materiali più preziosi in possesso della biblioteca.

Si è trattato, in quel caso, di mostre collegate ad un evento specifico e alla normale

destinazione d’uso della sala. In tempi più recenti, invece, con la contrazione delle risorse

pubbliche destinate alla valorizzazione, l’organizzazione di mostre è diventata, in pratica, una

seconda missione della Consulta che, anche in questo caso, ha spaziato in più campi, esplorando

più terreni: dalla pittura alla cartografia alla ceramica.

Si tratta di mostre che recano indiscutibilmente l’impronta della Consulta: eventi

organizzati non per una generica valorizzazione di questo o quell’aspetto dell’arte esistente sul

territorio, ma rigorosamente finalizzati, da un lato, a focalizzare l’attenzione dei visitatori sul luogo

destinato ad ospitarle e, dall’altro ad offrire l’opportunità per una valutazione più approfondita

delle opere esposte, tale da far compiere qualche passo avanti alla critica d’arte.

Così è avvenuto per la mostra “Bartolomeo Cavarozzi. Sacre Famiglie a confronto”,

organizzata presso l’Accademia Albertina nel periodo a cavallo fra il 2005 e il 2006. L’intento

era quello di far conoscere ed apprezzare i tesori della Pinacoteca, già oggetto di intervento

della Consulta dieci anni prima, e non adeguatamente apprezzata dal pubblico, non soltanto

torinese, abituato a destinare le sue attenzioni soltanto alla Galleria Sabauda.

Fra le opere più pregiate conservate nella Pinacoteca, collocata al posto d’onore,

vi è la celeberrima Sacra Famiglia di Bartolomeo Cavarozzi, giunta all’Albertina nel 1828,

proveniente dalla collezione genovese di Costantino Balbi. Un’altra Sacra Famiglia di Cavarozzi

era poi arrivata a Torino attorno al 1990, acquistata dal Fondo Pensioni dell’Istituto Sanpaolo.

PINACOTECAACCADEMIAALBERTINABARTOLOMEO

CAVAROZZI,

SACRA FAMIGLIA,

INIZIO XVII SECOLO

Page 93: Un'Avventura Torinese

11. effetti collaterali 177176 un’Avventura TORINESE

di Giovanni Vespucci e di altri quattro portolani di proprietà

della Biblioteca Reale. Anche in questo caso l’occasione

di far conoscere ad un vasto pubblico le opere restaurate

è coincisa con l’opportunità di rilanciare le potenzialità

espositive della Sala Leonardo attraverso l’esposizione

dei materiali di natura geografica più significativi di proprietà

della biblioteca stessa. La Biblioteca Reale, voluta da Carlo

Alberto nel 1831, e inizialmente alimentata da opere

di proprietà del sovrano, molte delle quali acquistate

sul mercato antiquario europeo, per la varietà del contenuto,

si configura come una sorta di “camera delle meraviglie”,

le cui collezioni rivelano un interesse variegato e dalle origini

antiche nella presenza di libri d’ore, romanzi cortesi

e cavallereschi, trattati militari, codici secenteschi illustranti

balletti di corte, ricche genealogie e codici di araldica,

manoscritti orientali, relazioni di viaggio e rari statuti,

preziose legature, lettere e documenti di principi sabaudi, pergamene, incunaboli spesso unici,

incisioni e disegni, fondi fotografici di eccezionale interesse storico e, naturalmente, carte

geografiche e portolani”. Di questi ultimi documenti - spesso disegnati con inchiostri di vari colori

su pergamene e sovente arrotolati su bastoni per poter essere meglio conservati e consultati -

la Biblioteca Reale contiene una notevole raccolta, mentre altri materiali, altrettanto importanti,

sopravvissuti all’incendio del 1904, sono conservati presso la Biblioteca Nazionale Universitaria.

È stato perciò naturale raccogliere attorno al Planisfero di Torino una selezione delle opere

più significative. I visitatori hanno così potuto ammirare, tra le altre preziosità, il Theatrum orbis

terrarum, eseguito da Juan Baptista Lavagna e Luis Teixeira fra il 1597 e il 1611 per la duchessa

Caterina d’Austria, moglie di Carlo Emanuele I: documento di elegantissima fattura composto

di 32 fogli di pergamena, separati l’uno dall’altro da fogli di seta colore cremisi, che riassumono

lo stato delle conoscenze astronomiche, geografiche, nautiche, climatiche e cartografiche dell’epoca.

Così, mentre viene riportata la recente scoperta della Nuova Zelanda, si dichiara senza

difficoltà di non conoscere ancora i confini settentrionali del continente americano. In compenso

il Theatrum è il primo documento geografico a riportare l’indicazione della presenza della Grande

Muraglia cinese. Nonostante le mancanze dichiarate e le inevitabili imprecisioni, il Theatrum offre

un’immagine del nostro pianeta già notevolmente più precisa rispetto a documenti precedenti.

Fra quelli in mostra, il documento più antico è senza dubbio il Commentarius in Apocalypsim

et alia, del monaco Beato di Liébana, composto fra XI e XII secolo, nel quale compare

Ecco allora che, disponendo in partenza di due opere sullo stesso tema del medesimo

autore, che più volte lo aveva replicato, diventava spontaneo immaginare una mostra che

accostasse le due tele presenti a Torino, mettendole a confronto con altre due ospitate altrove:

una proveniente da Genova e depositata presso la Galleria Nazionale della Liguria in Palazzo

Spinola; l’altra proveniente, invece, da una collezione privata e presentata per la prima volta

in pubblico. Bartolomeo Cavarozzi, nato a Viterbo nel 1587 e spentosi a Roma nel 1625 si ispirò

all’arte del Caravaggio, dal quale mutuò lo spiccato senso naturalistico e il gusto per la serialità,

che spiega il cospicuo numero di Sacre Famiglie a lui attribuite. La giustapposizione di quattro

di esse, ha permesso di rilevare l’impatto unitario e il rigoroso impianto luministico che

caratterizza le prime tre (le due di Torino e quella di Genova): “trasposizione quasi metafisica -

come è scritto nel catalogo - della probabile stanza in cui si trovava il pittore con i suoi modelli,

attraverso raffinate capacità luministiche nel suggerire ora una roccia, per metà inghiottita

dall’ombra e per metà svelata da un riflesso di luce, ora un terreno con arbusti, sassi, pianticelle,

proiettati da un pennello indagatore in una dimensione atemporale”. Mentre, per quanto

riguarda la quarta tela “si assiste a una notevole evoluzione compositiva e linguistica”, tale

da suggerire suggestivi raffronti con altre opere, non soltanto dello stesso autore.

Una mostra piccola, dunque, altamente specialistica, ma di indubbio valore culturale,

sia sotto il profilo della riscoperta dell’autore, sia sotto il profilo del metodo comparativo utilizzato.

Un caso analogo ha riguardato la mostra successiva, originata dal restauro del Planisfero

BIBLIOTECA REALEJACOPO RUSSO,

CARTA NAUTICA

DEL MEDITERRANEO,

1565

(Fotografia

Fenucci - Y Press)

BIBLIOTECA REALENUNO GARÇIA

DE TORENO,

CARTA NAUTICA

DELLE INDIE

E DELLE MOLUCCHE,

1522

(Fotografia

Fenucci - Y Press)

Page 94: Un'Avventura Torinese

178 un’Avventura TORINESE

una rappresentazione della terra nota come il Mappamondo di Torino. Frutto ancora della

cosmologia tolemaica, il Commentarius la terra come un disco piatto, diviso in tre continenti:

tanti quanti erano i figli di Noè a cui, secondo la genesi, erano stati assegnati Al di fuori, oltre i

confini delineati, si sarebbe situata la terra degli Antipodi, il quarto mitico continente, sconosciuto

e inaccessibile. Benché privo di intenti pratici, il Mappamondo è interessante non soltanto per la

sua antichità, ma anche perché accanto a notazioni di regioni geografiche - Francia, Germania,

Gallia Belgia, Dardania... - esso presenta anche nomi di popoli - Suebi, Sarmati... - e di città:

Ravenna, Roma, Tolosa, Costantinopoli, Salerna, Cesaraugusta, Narbona e Aquileia. In

complesso, il Mappamondo esprime il “clima culturale dell’epoca, un cui tutto lo scibile umano

veniva riproposto attraverso il filtro della Chiesa”: lettura, questa, avvalorata dalla

rappresentazione di Adamo ed Eva e da alcuni riferimenti geografici particolari, come

il monte Sinai. Visione tolemaica, si diceva. E anche l’opera originale, la Geographia di Claudio

Tolomeo è presente in mostra, in una bella edizione del 1541, di notevole interesse perché,

accanto alle ventisette carte originali - andate perdute e ricostruite sulla base delle descrizioni

dall’erudito bizantino Massimo Planude nel XIV secolo - ne compaiono altre ventitrè che, da un

lato, completano e correggono le prime; e dall’altro forniscono, sempre in chiave geocentrica,

informazioni relative alle nuove scoperte, come quella, popolata di cannibali, che mostra le coste

americane. Non è questa la sede per illustrare singolarmente i materiali esposti. Ma uno ancora

merita di essere richiamato, per l’importanza che ebbe agli albori dell’arte della stampa,

e il folgorante successo che conobbe presso i “lettori” dell’epoca: il Liber chronicarum, noto

anche come Cronaca di Norimberga di Hartmann Schedel, pubblicato nel 1493.

Opera enciclopedica, che si propone di raccontare la storia del mondo divisa in sei età,

deve molto della sua fama alle numerosissime illustrazioni: oltre milleottocento xilografie

che accompagnano il testo offrendo al lettore immagini di divinità greche e martiri cristiani, eclissi

e comete, papi e imperatori, creature fantastiche, città, filosofi, eretici, genealogie bibliche.

Il planisfero presente nella descrizione della seconda età del mondo, di classica

impostazione tolemaica, più che per la rappresentazione cartografica, è interessante per le

immagini che le fanno da corredo: immagini fantastiche di popoli mostruosi, indiani con sei mani,

altri con sei dita nelle mani e nei piedi, altri ancora metà uomini e metà cavalli, donne pelose

simili a gorilla, altre barbute ma completamente calve, per finire con i Nisicaste, abitanti l’Etiopia

occidentale, che dispongono di quattro occhi.

Bastano queste poche descrizioni per comprendere quale sia stato l’interesse suscitato

da “Terrae Cognitae, La cartografia nelle collezioni sabaude”, come significativamente si intitolava

la mostra. Se poi si aggiunge che il visitatore poteva ammirare altri capolavori, quali l’Atlante

del genovese Battista Agnese, le carte nautiche di Vesconte Maggiolo e la stupenda tavola miniata

11. effetti collaterali 179

BIBLIOTECA REALEBATTISTA AGNESE,

ATLANTE, 1534-1564

(Fotografia

Fenucci - Y Press)

BIBLIOTECA REALEATLANTE,

XVI SECOLO

(Fotografia

Fenucci - Y Press)

Page 95: Un'Avventura Torinese

11. effetti collaterali 181

episodi dell’epopea virgiliana (le sovrapporte: Venere appare ad Enea, Enea e Didone colti dalla

tempesta, Venere consegna le armi ad Enea, Enea sacrifica ad Apollo, Apparizione di Mercurio,

Partenza di Enea da Cartagine; e le sovrafinestre: Ascanio ferisce il cervo, Enea raccoglie il ramo

d’oro). Di eccezionale valore pittorico, l’intero ciclo era stato trasferito da Villa della Regina

al Quirinale nel 1893 in occasione dei festeggiamenti per celebrare il venticinquesimo

anniversario di nozze dei sovrani d’Italia e destinate a decorare l’appartamento che avrebbe

ospitato il sovrano di Germania Guglielmo II.

Il napoletano Giaquinto era giunto a Torino da Roma, dove stava operando già

da tempo, nel 1733, chiamato da Juvarra per decorare gli ambienti di Villa della Regina in fase

di veloce ristrutturazione. La scelta del soggetto, tratto da Virgilio, era perfettamente consono

ai gusti dell’epoca e confermava l’adesione del Giaquinto ai canoni dell’Arcadia.

Nella prima metà del Settecento, Virgilio stava conoscendo una nuova fortuna sia per

la traduzione in “ottava rima toscana” dell’Eneide, ad opera di Bartolomeo Beverini, sia,

da Jacopo Russo di Messina - in tutto ventuno capolavori - si comprende facilmente come anche

questa iniziativa, nata per celebrare il restauro di una importante carta nautica, sia stata

un importante momento culturale per Torino. La tappa successiva di questo percorso

ha riguardato, invece, Villa della Regina, sulla quale la Consulta era già intervenuta in passato

restaurandone il Belvedere e le fontane. Qui i problemi erano sensibilmente diversi.

Non si trattava, infatti, di valorizzare, o restaurare un edificio o un opera d’arte, ma di contribuire

a ricercare, e possibilmente a recuperare l’identità storica dell’edificio, dopo i restauri, durati molti

anni, che ne avevano impedito il definitivo degrado.

Com’è noto, Villa della Regina aveva avuto molte traversie, cambiando anche

profondamente destinazione d’uso; in particolare, fra il 1868 ed il 1975 era stata utilizzata come

collegio femminile per le figlie dei militari; il che aveva comportato la trasformazione di molti

ambienti, e fra essi alcuni dei più importanti - il Salone, le Camere da letto e i “Gabinetti

alla China” - come aule e sale da ricevimento. Ambienti, peraltro, in qualche caso già depauperati

con il trasferimento di rilevanti elementi d’arredo - come la “Libreria verso mezzanotte e Ponente”

del Piffetti e i papiers peints che rivestivano le pareti del “Gabinetto verso Levante alla China” -

a Roma nel Palazzo del Quirinale.

Altri danni, poi, erano stati provocati dagli spezzoni incendiari lanciati dall’aviazione

alleata durante i bombardamenti del 1942 e 1943. Per non parlare dei danni provocati dai furti

che si erano susseguiti nei circa quindici anni intercorrenti tra l’abbandono dell’edificio da parte

dei militari e l’inizio dei lavori di restauro. Si era perciò venuta configurando una situazione per

la quale Villa della Regina mentre aveva sostanzialmente recuperato - con il restauro delle parti

auliche, dei giardini all’italiana e del teatro d’acque - la sua identità, molto più difficile, se non

impossibile, risultava restituire ai singoli ambienti l’aspetto che presentavano quando erano

occupati dagli arredi tradizionali. Anche se una parte degli oggetti originali aveva potuto essere

recuperata dai depositi in cui erano conservati, o da collocazioni improprie, se non addirittura

ritrovati dai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico, risultava comunque

improponibile una ricostruzione completa, non foss’altro che per l’impossibilità di riportare

in loco gli arredi trasferiti al Quirinale. Di qui l’idea di procedere, dove non era più possibile

disporre dell’originale, a “evocazioni” e, nei casi più favorevoli, a “ritorni temporanei” degli oggetti

mancanti. Alcuni di questi ultimi, infatti, per le loro caratteristiche, bene potevano, e possono,

essere rimossi dal luogo in cui si trovano collocati, per essere “prestati” temporaneamente

all’edificio che li aveva visti nascere. Questo è stato il caso della Mostra “Juvarra a Villa della

Regina. Le Storie di Enea di Corrado Giaquinto”, organizzata fra il novembre 2008 e il gennaio

2009. Le storie in questione erano raccontate in sei sovrapporte e due sovrafinestre

che originariamente decoravano l’Anticamera e la Camera da letto del Re, e riproducevano alcuni

180 un’Avventura TORINESE

VILLA DELLA REGINACORRADO GIAQUINTO,

SOVRAPPORTE

CON LE STORIE DI ENEA,

1735 CA.

(Fotografia Paolo Robino)

Page 96: Un'Avventura Torinese

182 un’Avventura TORINESE

Si è trattato di un intervento fortemente innovativo che testimonia

dell’attitudine della Consulta di affrontare il difficile compito della

valorizzazione percorrendo strade nuove; e che, si può esserne certi, troverà

sicuramente altre applicazioni. I risultati conseguiti con le mostre dedicate a

Cavarozzi e a Giaquinto hanno poi incoraggiato la Consulta a proseguire

sulla stessa strada anche nella mostra successiva, abbinando a opere

presenti nelle raccolte torinesi altre provenienti da musei stranieri. Il punto

di partenza è stato il restauro, curato dalla Consulta, di dieci tele della

Galleria Sabauda, in previsione del trasferimento in altra sede della

pinacoteca. I quadri presi in considerazione erano fra i più importanti del

museo ed è apparso logico presentare al pubblico il risultato del restauro. È

nata così la mostra “Meraviglie della Galleria Sabauda”, aperta dal 23 febbraio

al 23 maggio 2010.

Il termine “meraviglie” non stupisca: i quadri restaurati sono infatti

altrettanti capolavori di primissimo piano di una galleria che, certamente,

in fatto di capolavori, non difetta. Otto di essi provengono dalle collezioni

di pittura fiamminga e olandese, che sono le più ricche fra quelle ospitate

nella Galleria, e il cui nucleo principale è costituito dalle opere provenienti

dalla quadreria del principe Eugenio di Savoia-Soissons, nel Palazzo del

Belvedere di Vienna. Le altre due tavole, invece, erano state donate nel 1930 da Riccardo

Gualino con le loro cornici di collezione e appartenevano alla ricchissima raccolta di

oggetti d’arte che abbellivano la sua dimora di via Bernardino Galliari. Nel 1933 le due tavole

vennero trasferite a Londra per abbellire la sede dell’Ambasciata d’Italia, e solo fra il 1948 e il

1950 sono state recuperate alla pinacoteca torinese. Le due tavole, che raffigurano

rispettivamente la Vergine addolorata e San Giovanni, tradizionalmente attribuite a Lorenzo

Veneziano, mentre la critica più recente le ritiene opera del suo maestro Paolo Veneziano

furono composte probabilmente fra il 1340 e il 1345, e in ogni caso prima del 1362, anno

della morte di Paolo. Esse dovevano costituire i due tabelloni “a vento” laterali di una grande

croce dipinta per una sede importante che non è stato possibile identificare, anche se un

esempio di come poteva essere l’insieme lo si può ancora vedere nella chiesa dei domenicani

di Dubrovnik (Ragusa), opera anch’esso di Paolo Veneziano. Il restauro ha restituito ai due

“fondi oro” lo “straordinario fulgore cromatico, permettendo finalmente di cogliere nella loro

pienezza le alte qualità pittoriche nella stesura raffinata degli incarnati e nella grande forza

espressiva dei dolenti”.

Dalle collezioni dei fiamminghi sono stati scelti, invece, quattro nature morte e due

soprattutto, per il successo riscosso dalla Didone abbandonata di Pietro

Metastasio, una delle opere più rappresentative della cultura arcadica.

L’opera era ben conosciuta, ed apprezzata, anche a Torino, dove era stata

oggetto, nel 1727, di ben quattro rappresentazioni al Teatro Regio, e dove

sarebbe stata riproposta ancora nel 1736. Grazie alla collaborazione con il

Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica è stato dunque

possibile procedere alla ridefinizione e proposizione di ricostruzioni, anche

virtuali degli ambienti della Villa. Ragioni di natura conservativa, ma anche

motivi contingenti, non hanno consentito di reinserire i dipinti del

Giaquinto nei loro spazi originari, ossia nelle cornici delle sovrapporte della

Camera da letto del Re. E questo anche perché, nell’adattamento agli spazi

del Quirinale, due tele erano state ridotte di dimensioni in alto e in basso.

Si è scelta dunque la strada di presentare i sei quadri, montati su supporti

mobili, nel Salone dove, tra l’altro si poteva anche operare un suggestivo

confronto con le storie mitologiche affrescate sulle pareti dallo stesso

pittore. Per dare, invece, un’idea di come era la Camera da letto in origine,

si è provveduto ad inserire nelle cornici delle sovrapporte delle perfette

riproduzioni degli originali. Analogamente, per la Libreria del Piffetti e per

la boiserie del Gabinetto alla China, anziché pensare ad una fedele

ricostruzione degli ambienti originari, si è ritenuto preferibile procedere ad una loro

“rievocazione”. Nel caso del Gabinetto, questa è stata realizzata mediante la riproduzione su

teli a larga trama dei motivi che ornano i pannelli oggi al Quirinale, a seguito di un puntuale

rilievo fotografico. È stata una scelta innovativa che ha consentito al visitatore di rendersi

conto contemporaneamente di come si presentava il locale all’origine e di come si presenta

oggi. Per la Libreria, invece, dove il problema era quello di recuperare la tridimensionalità

dell’oggetto, partendo dai rilievi fotografici e dimensionali, utilizzando un software dedicato,

si è ottenuta la ricostruzione tridimensionale dell’oggetto, derivandone un’immagine in

movimento che restituisce la libreria nella sua forma originaria e nella sala per cui era stata

concepita. Il risultato è stato particolarmente suggestivo.

All’arrivo del visitatore la sala appariva spoglia, solo parzialmente illuminata

nella parte di pavimento ancora originale e negli affreschi che ornano il soffitto. Un sensore

di presenza segnalava l’arrivo del visitatore e, attraverso un sistema di controllo, determinava

l’abbassamento delle luci, mentre in retroproiezione appariva la ricostruzione virtuale

della Libreria. Anche in questo caso, il pubblico vedeva inizialmente l’ambiente odierno, cui

si veniva a sovrapporre in trasparenza l’immagine di come era in origine.

11. effetti collaterali 183

GALLERIA SABAUDAPAOLO VENEZIANO,

LA MADONNA

ADDOLORATA

GALLERIA SABAUDAPAOLO VENEZIANO,

SAN GIOVANNI BATTISTA

Page 97: Un'Avventura Torinese

11. effetti collaterali 185184 un’Avventura TORINESE

quadri di genere. Le prime sono dovute: a Jan Davidsz (1606-1683/84) e Cornelis (1631-1695)

De Heem, Frutti, fiori, funghi, insetti, lumache e rettili; a Abraham Mignon (1640-1679),

Tronco d’albero con fiori, insetti, lumache, un cardellino in un nido e rane in uno stagno;

ancora a Cornelis De Heem, Vaso con fiori e insetti; e ancora a Abraham Mignon, Vaso

con fiori, insetti e due pannocchie di granoturco. I due quadri di genere sono invece opera

di Antoine Sallaert (1590-1658), Processione delle fanciulle dal Sablon a Bruxelles; e di Anton

Van Dyck (1599-1641) e bottega, Amarilli e Mirtillo.

Ma fra le opere restaurate a cura della Consulta, quelle che hanno maggiormente

caratterizzato la mostra, facendone un evento di rilevanza nazionale, sono state le ultime due:

la tavola di Bernard van Orley (1488-1541) Carlo Magno depone nella Cattedrale di Aquisgrana

il piatto e il calice della cena di Cristo; e i due pannelli laterali del Trittico dell’Annunciazione

realizzato nell’atelier di Rogier van der Weyden, risalente al periodo 1435-1440.

Le due opere avevano un passato in parte misterioso e in parte turbolento.

In particolare, il Trittico dell’Annunciazione faceva parte delle collezioni sabaude fin dal 1635,

ma la tavola centrale era stata portata a Parigi nel 1799, durante l’occupazione napoleonica,

dove era destinata a rimanere in via permanente, inserita nelle collezioni del Louvre.

A lungo incerta, invece, l’origine della tavola di Bernard van Orley. Proveniente

dalla collezione genovese dei Durazzo, ancora a fine Ottocento si era ritenuto che facesse

parte di un polittico commissionato al pittore dalla confraternita di Santa Croce di Furnes,

GALLERIA SABAUDABERNARD VAN ORLEY,

CARLO MAGNO DEPONE

NELLA CATTEDRALE

DI AQUISGRANA

IL PIATTO D’ARGENTO

E IL CALICE DELLA CENA

DI CRISTO,

BRUXELLES, MUSÉES ROYAUX DES BEAUX-ART DE BELGIQUEBERNARD VAN ORLEY,

SANT’ELENA DI FRONTE

A PAPA SILVESTRO

GALLERIA SABAUDAROGER VAN DER

WEYDEN, TRITTICO

DELL’ANNUNCIAZIONE,

DONATORE E LA

VISITAZIONE

L’ANNUNCIAZIONE,

MUSEO DEL LOUVRE

Page 98: Un'Avventura Torinese

11. effetti collaterali 187186 un’Avventura TORINESE

nelle Fiandre. Solo nel 1930, infatti, si era potuto stabilire un collegamento fra questa tavola

ed una conservata a Bruxelles, Sant’Elena e Costantino davanti a papa Silvestro a Roma.

Come era già avvenuto nel caso della mostra su Cavarozzi, diventava naturale pensare

di poter ricostituire, sia pure solo temporaneamente, l’unità delle due opere ottenendo

dai musei che le custodivano le parti mancanti.

Il parere favorevole del Museo del Louvre e dei Musées Royaux des Beaux Arts

di Bruxelles ha consentito al pubblico di ammirare ricomposto il Trittico di Van der Weyden

e le due ante conosciute del Polittico di Van Orley. Si è trattato di un evento straordinario

e, probabilmente irripetibile.

PALAZZO MADAMAMOSTRA

CERAMICA LENCI,

MARZO-AGOSTO 2010

PALAZZO MADAMAELENA KOENIG SCAVINI,

COLPO DI VENTO,

1934,

COLLEZIONE PRIVATA

Page 99: Un'Avventura Torinese

11. effetti collaterali 189188 un’Avventura TORINESE

e gli animaletti di panno usciti dall’atelier di via Cassini, ma anche perché le vicende di questa

industria - che tale è stata - sono intimamente legate con la vita torinese nel periodo fra le

due guerre.

La fabbrica di bambole Lenci nasce infatti nel 1919 ad opera dei coniugi Enrico

Scavini ed Elena König, alla quale si devono i primi modelli, realizzati in pezza e stracci.

Il momento è favorevole, la guerra ha lasciato come strascico una forte inflazione che falcidia

i salari, ed anche i giocattoli per bambini risentono di questa situazione. Le bambole

tradizionali, con il volto e gli arti in ceramica e gli abiti con crinoline, oltre ad essere molto

costose sono anche fragili. Le bambole Lenci, che verranno presto realizzate con

un particolare tipo di panno, oltre a costare meno sono anche più facilmente maneggiabili,

e quindi più adatte ai bambini.

Il successo è immediato, favorito anche dalla partecipazione alle grandi rassegne del

tempo, come la Prima Esposizione

Internazionale delle Arti Decorative,

tenutasi a Monza nel 1923, o la Exposition

Internationale des Arts Décoratifs et

Industriels Modernes, nel 1925 a Parigi,

prodighe entrambe di premi per la fabbrica

torinese: che, incoraggiata dai risultati,

amplia la produzione dedicandosi, oltre

che alle bambole, anche ad altri giocattoli

per bambini e agli accessori femminili.

L’occupazione, nel 1925, raggiunge le 600

unità. Con il successo, arrivano però anche

i problemi. La concorrenza non tarda a

farsi sentire, immettendo sul mercato

imitazioni, spesso grossolane, dei prodotti

Lenci. Ma il mercato, che si rivolge ad un

pubblico infantile poco attento alla qualità,

assorbe anche questi prodotti, provocando

un danno economico quantificabile in una

sensibile caduta dei ricavi.

Ed è per colmare il “buco” che si

sta verificando nei conti aziendali, che la

Lenci decide di produrre ceramiche d’arte,

Ma le sorprese non erano terminate. Sul retro della tavola di Bruxelles, Bernard van

Orley aveva dipinto una Andata al Calvario, mentre sul retro di quella di Torino non era visibile

nessun tipo di intervento. In fase di restauro, la ripulitura della parte posteriore della tavola

ha fatto emergere una composizione complementare a quella visibile nella tavola di Bruxelles.

In particolare, mentre su quest’ultima è raffigurata la scena di Cristo che porta la croce

condotto al Calvario da tre sgherri, sulla tavola di Torino si vedono un Sgherro reggifune,

Madonna dolente, San Giovanni e il donatore.

Un’autentica scoperta destinata ad aprire nuovi orizzonti sull’originaria destinazione

del complesso figurativo, che ancora una volta testimonia della capacità di Consulta

non soltanto di valorizzare il patrimonio artistico torinese, ma anche di stimolare la ricerca

e la critica d’arte. Se fino ad ora le mostre promosse dalla Consulta avevano per oggetto

importanti documenti artistici e culturali di un passato più o meno remoto, presenti in musei

ed istituzioni cittadine, era giunto il

momento di occuparsi anche di arte in

qualche misura “contemporanea”, come già

era accaduto nel caso della Cancellata di

Umberto Mastroianni. L’occasione per

intervenire venne offerta dalla presenza a

Torino di collezionisti importanti, uno t ra

loro soc io d i Consul ta , e dall’acquisto

dell’Archivio Lenci da parte del Comune di

Torino. Vista la disponibilità dei collezionisti

a consentire l’esposizione dei loro pezzi

migliori, era quasi naturale che Consulta

pensasse ad organizzare una mostra.

L’evento, realizzato in collaborazione con

Palazzo Madama, che per l’occasione

metteva a disposizione il Salone del Senato,

si è svolto fra l’aprile e l’agosto 2010,

riscuotendo un grande successo di

pubblico. Indubbiamente il nome di Lenci a

Torino continua ad essere molto

popolare, non foss’altro per il fatto che

alcune generazioni di bambini - femmine e

maschi - hanno giocato con le bambole

PALAZZO MADAMAMARIO STURANI,

MAIALETTO,

1928,

COLLEZIONE PRIVATA

PALAZZO MADAMAMARIO STURANI,

VASO PAESAGGIO,

1936,

COLLEZIONE PRIVATA

Page 100: Un'Avventura Torinese

190 un’Avventura TORINESE

chiamando a raccolta i migliori artisti operanti in quel momento a Torino: da Gigi Chessa a

Giovanni Grande, da Felice Tosalli a Teonesto Deabate, da Sandro Vacchetti a Mario Sturani.

Nonostante il buon successo che anche le ceramiche riscuotono, l’azienda non riesce

a risalire la china; la Grande Crisi del 1929, soprattutto le conseguenze che ne deriveranno ai

mercati europei, faranno il resto, dando il colpo di grazia. Nel 1933 la coppia Scavini-König è

obbligata a far entrare altri soci, e nel 1937 dovrà cedere definitivamente la mano. Ristrutturata

e trasformata, l’azienda rimarrà in vita sino al 2002, quando sarà dichiarata fallita, dopo essere

passata di mano nel 1997.

La mostra curata da Consulta - 134 ceramiche e 30 bozzetti - copre dunque un periodo,

tutto sommato breve, della storia della Lenci, che però è il periodo certamente più creativo, ed

ha il grande merito di accendere i riflettori su un capitolo di storia torinese normalmente poco

praticato: quello riguardante la Torino di Riccardo Gualino e l’esperienza artistica del secondo

futurismo. Molti degli artisti impegnati nella realizzazione delle ceramiche provengono infatti dalla

cerchia dell’industriale - mecenate e sono le figure di punta delle iniziative artistiche che si

realizzano in quegli anni a Torino, dove già nel 1922 era stata allestita l’Esposizione Futurista

Internazionale, sfociata l’anno successivo nella costituzione del Movimento Futurista Torinese.

Se questa benefica incursione nella cultura artistica torinese della prima metà

del Novecento trovava il suo punto di forza nella popolarità dei protagonisti, a cominciare

dalla signora Lenci, l’iniziativa successiva della Consulta nasceva dal constatato attaccamento

dei torinesi ad uno dei simboli più venerati della loro Città: la Santa Sindone, ossia il lenzuolo

sul quale sono riprodotte le fattezze di Colui che molti - moltissimi - ritengono essere il Cristo.

Occasione dell’intervento è stata l’Ostensione, evento eccezionale che si ripete

soltanto a distanza di decenni richiamando ogni volta milioni di pellegrini. Nel corso

dei secoli, dacché il Sacro Lenzuolo è stato trasferito a Torino da Chambery, accanto alle

ostensioni si sono avute molte acquisizioni di oggetti sacri e di uso liturgico che, nel tempo,

sono andati a formare il “Tesoro” della Sindone. Conservato nella Sacrestia della Cappella

guariniana, il tesoro consiste in un ricco e variegato patrimonio di oltre 700 pezzi: arredi,

oggetti e paramenti liturgici, fra i quali spicca, per importanza la Rosa d’Oro, preziosissimo

vaso con fiori stilizzati realizzato in oro battuto, argento dorato, cesellato e sbalzato, legno

intagliato e smalto, realizzato alla metà dell’Ottocento e donato dal papa Pio IX alla regina

Maria Adelaide Asburgo Lorena in occasione della nascita della principessina Maria Pia.

Benché depauperato nel corso dei secoli da spoliazioni e trasformazioni (molti

degli oggetti in argento sono stati rifusi per produrne altri), il Tesoro della Sindone continua

a rappresentare una straordinaria collezione che permette di delineare un profilo delle scelte

artistiche effettuate dalla committenza sabauda fra il XVII e il XX secolo. Questo grande

11. effetti collaterali 191

PALAZZO REALE MOSTRA

“IL TESORO

DELLA SINDONE”,

MAGGIO-APRILE 2010

Page 101: Un'Avventura Torinese

11. effetti collaterali 193192 un’Avventura TORINESE

patrimonio sinora non era mai stato esposto al pubblico, ed è quindi merito della

Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici aver provveduto a colmare la lacuna

esponendo il Tesoro della Sindone nei luoghi della Sindone: la Sacrestia, la Galleria,

la Cappella Regia e le Tribune Reali. A quest’evento, di per sé eccezionale, mancava però

un tassello che lo avrebbe reso ancora più straordinario: l’esposizione delle oltre 30 incisioni,

quadri e disegni che raffigurano le principali ostensioni svoltesi a Torino fra il 1578 e il 1931:

incisioni che facevano parte della collezione di Umberto II e che attualmente sono in

dotazione alla Fondazione Umberto II e Maria José di Savoia, presieduta dalla figlia Maria

Gabriella. A presentare adeguatamente questa sezione della mostra ha dunque provveduto

la Consulta, in collaborazione con Martini & Rossi. Si è trattato di un evento, a modo suo,

straordinario, perché i preziosi materiali raccolti da Umberto II erano stai esposti una volta

soltanto in occasione dell’Ostensione del 1931. Successivamente, vicende belliche e dinastiche

avevano danneggiato in misura sensibile la raccolta, nuovamente ricostituita, per quanto

possibile, durante gli anni dell’esilio. Questa è dunque la prima volta in cui l’importante

documentazione viene esposta al pubblico, proponendo più di un motivo di curiosità.

Un nucleo considerevole di stampe della collezione rappresenta, infatti, alcune tra le

principali Ostensioni avvenute a Torino nel corso dei secoli. Spiccano, fra le altre, l’incisione

di F. Ber, Il verissimo ritratto del Santissimo Sudario di Nostro Signore Giuesu Christo -

Ostensione della Santa Sindone nel 1663; e quella di Giovanni Fayneau, Ostensione della

Santa Sindone nel 1684. In generale, nelle incisioni esposte, accanto a una dettagliata

illustrazione del Sacro Lenzuolo, vengono mostrate le strutture effimere realizzate per

l’occasione e si vedono scorci di Torino (Piazza del Castello) che forniscono una suggestiva

immagine della città colta nei momenti in cui, più che in ogni altro, veniva proposta

al pubblico la magnificenza della dinastia detentrice della più importante reliquia

della cristianità. Che è, poi, un altro modo di “leggere” la storia di Torino.

Nel 2009 si è aggiunta anche un’altra opportunità per consentire ai visitatori una

migliore fruibilità del patrimonio artistico disponibile attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie,

così da rendere accessibili materiali in precedenza non visibili. Il primo intervento di questo

genere ha riguardato il Museo Nazionale del Cinema, che fin dalla sua inaugurazione nel 2000

si è affermato come il museo cittadino più visitato e amato dai frequentatori, stabilmente

collocato oltre le 500.000 unità annue. A questo risultato hanno certamente concorso la

caratteristica straordinaria - per non dire unica - dell’edificio che lo ospita, e l’allestimento

progettato da François Confino che ha saputo conciliare, con felice sintesi, la valorizzazione

delle collezioni museali con la considerazione per la rilevanza architettonica del monumento.

Come il cinema che ne costituisce l’oggetto, anche il Museo è un’opera in progress,

MUSEO NAZIONALEDEL CINEMA COLLEZIONE

DEI MANIFESTI STORICI

(Fotografia

di Francesca Brizi)

che se da un lato deve testimoniare il passato, dall’altro

non può sottrarsi alle suggestioni offerte dalla tecnologia

più avanzata, chiamata di continuo a superare se stessa,

grazie a sempre nuove innovazioni. Così, l’allestimento di

grande impatto scenografico è gestito da una struttura

tecnologica complessa e delicata; ma, soprattutto, una

struttura suscettibile di trasformazioni, modifiche,

adeguamenti.

L’intervento della Consulta, sollecitato dal Museo

nella previsione delle celebrazioni per il 150° anniversario

dell’Unità Nazionale, ha preso in considerazione entrambi

gli aspetti. Un capitolo particolarmente impegnativo ha

riguardato la grande Aula del Tempio, dove sono collocati

due grandi schermi sui quali vengono proiettati filmati di montaggio, realizzati con materiali di

proprietà del Museo, che si alternano con videoproiezioni sulla volta interna della cupola. Le

esigenze legate a questo duplice alternarsi di proiezioni poneva non facili problemi

di illuminazione, ai quali sin dall’inizio si è ovviato attraverso un sistema di tende comandate

elettricamente secondo un programma di gestione che sincronizza i movimenti con i cicli

di proiezione. Le tende, collocate davanti a tutti i finestroni che danno luce alla grande sala,

servono infatti a garantire un’illuminazione diffusa durante le proiezioni, non disturbate

dalla luce proveniente dall’esterno; mentre, quando vengono sollevate, lasciando penetrare

la luce esterna e consentono di apprezzare le caratteristiche strutturali dell’edificio.

Dopo nove anni di onorato servizio, il sistema installato all’atto dell’inaugurazione

nonostante la costante manutenzione, manifestava tutta la sua vetustà, al punto da non essere

più riparabile. Di qui l’intervento della Consulta, che ha provveduto al rifacimento completo

dell’impianto, garantendone la fruibilità per un congruo numero di anni.

Ma se in questo caso si è trattato quasi soltanto di un intervento di manutenzione,

di diverso genere sono gli altri due realizzati nella stessa circostanza. Il primo riguarda

i cosiddetti “effetti speciali”, la cui illustrazione, nella sezione che li ospita, costituisce una

delle principali attrattive del Museo, molto frequentata dal pubblico, soprattutto per

la possibilità che gli è offerta di intervenire in modo interattivo. La sezione comprende

la ricostruzione di un effetto meccanico pionieristico inventato da Meliès, la riproduzione

di un matt painting (procedimento in uso nel cinema americano negli anni ’60 e 70’) e, infine,

la dimostrazione pratica delle possibilità offerte dalla tecnologia digitale di inserire una ripresa

dal vivo (il visitatore ripreso da una telecamera) all’interno di una sequenza filmata

Page 102: Un'Avventura Torinese

11. effetti collaterali 195194 un’Avventura TORINESE

preesistente. In quest’ultimo caso il visitatore “partecipa” direttamente all’azione proiettata

sullo schermo, secondo un modello di apprendimento dinamico che abbina la dimensione

didattica a quella ludica. Il sistema in vigore, realizzato alla fine del 2005, oltre a dimostrarsi

inadeguato sia perché di difficile comprensione, sia perché sovente fermo a causa di guasti,

forniva immagini a bassa definizione, e quindi scarsamente leggibili. Il rifacimento patrocinato

da Consulta, oltre a garantire un perfetto funzionamento dell’installazione propone anche un

immagine ad alta definizione, in grado di emulare il livello di compiutezza proprio degli effetti

speciali che si vedono al cinema. Questo risultato è dovuto all’impiego di una videocamera

HD e alla sostituzione dello schermo di tela con due monitor LCD in Full HD. Ma il pezzo forte

dell’intervento è ancora un altro, e riguarda la fruizione dell’imponente collezione di manifesti

in possesso del Museo, per sua natura difficilmente consultabile con mezzi ordinari.

Per ovviare a questa difficoltà è stata progettata una sorta di “libreria” interattiva

nella quale vengono raccolti, digitalizzati, gruppi di immagini suddivisi per argomento.

Il modulo espositivo adottato racchiude al proprio interno un sistema di proiezione,

un sistema di elaborazione dati e un sistema tracking. Grazie ad uno schermo ad alta

luminosità e definizione il visitatore può accedere all’archivio, mentre il sistema tracking

è in grado di percepire il movimento della mano che indica una particolare immagine.

In questo modo il visitatore può scegliere di “sfogliare” una determinata serie

di manifesti, selezionata fra le tante offerte dal menu principale.

In questo modo l’immagine esce dalla sua sede e si dispiega di fronte all’osservatore

con un effetto di grande spettacolarità. Il visitatore può poi continuare a consultare la serie,

eseguendo il semplice gesto di sfogliare nell’aria, senza essere costretto ad azionare alcun

dispositivo. Si tratta dunque di un intervento di avanguardia, che oltre a facilitare l’accesso

ai manifesti, raggiunge anche l’obbiettivo di stupire e divertire.

Sulla stessa linea dell’intervento al Museo Nazionale del Cinema, se ne collocano

altri, anche se più tradizionali e sono costituiti dalle audioguide che Consulta ha realizzato per

facilitare la visita delle collezioni di Palazzo Madama e del Museo di Arte Orientale, mentre

è in fase di realizzazione quella riguardante il Museo del Risorgimento, il cui nuovo

allestimento viene completato, come è noto, per le celebrazioni del centocinquantesimo

dell’Unità d’Italia. Tali interventi non presentano caratteristiche di particolare rilievo; qui

vengono ricordati unicamente per sottolineare la grande varietà di interessi che muove la

Consulta, sempre più orientata ad operare a tutto campo e ad esplorare nuovi territori.

E uno degli obiettivi primari perseguito dalla Consulta è certamente quello

dell’ottimizzazione delle risorse disponibili: sostanzialmente si tratta di far sì che le risorse

messe a disposizione dai Soci vengano effettivamente impiegate per il raggiungimento degli

scopi per i quali sono state conferite. Il

problema non riguarda tanto la

necessità di evitare sprechi o di

controllare la congruità delle spese: le

capacità tecniche, finanziarie ed

imprenditoriali dei Soci sono tali da

mettere al riparo da questi pericoli,

impedendo che si commettano errori o

sviste significativi. Il pericolo vero - ma

più che un pericolo, una situazione di

fatto - riguarda i costi derivanti dagli

adempimenti burocratici, amministrativi

e fiscali imposti dalla legislazione

italiana. Per molto tempo sono state

queste incombenze a rendere poco

attraente per le imprese la partecipazione

a programmi di valorizzazione delle

risorse artistiche e culturali del territorio.

Capire in che modo luoghi d’arte,

musei e centri espositivi possano

rendersi più attraenti per le imprese e i

finanziatori privati; ragionare sulle

opportunità per le imprese italiane di presenza internazionale offerte dall’arte; riflettere su

come comunicare con il consumatore d’arte, parte di un pubblico fatto di persone diverse,

con culture diverse e con diversi approcci; e, infine, approfondire il delicato problema degli

incentivi fiscali e del ritorno per le imprese: sono questi i temi che Consulta ha affrontato nel

corso di tre distinte giornate di studio, in occasione delle Settimane della Cultura d’Impresa di

Confindustria. La prima “Il finanziamento privato dei Beni Culturali: ruolo delle imprese

prospettive e percorsi innovativi” si è tenuto nell’ottobre 2007, in concomitanza con le

celebrazioni per il ventennale dalla fondazione di Consulta. Al fitto programma di lavori hanno

preso parte, oltre al presidente di Confindustria, una nutrita schiera di specialisti - soprintendenti,

direttori di musei, tecnici del restauro, funzionari ministeriali.

Il tema degli incentivi di natura fiscale ha poi costituito oggetto della seconda

giornata, che si è tenuta nel novembre 2008: “Fiscalità - Beni Culturali - Imprese”. In quella

occasione obbiettivo primario è stato quello di fornire alle imprese una descrizione chiara ed

CENTRO CONGRESSIUNIONE

INDUSTRIALEDI TORINO

WORKSHOP 2007, 2008

(Fotografie

Franco Borrelli)

Page 103: Un'Avventura Torinese

11. effetti collaterali 197196 un’Avventura TORINESE

esaustiva degli strumenti e della normativa che tendono ad incentivare, attraverso un

trattamento fiscale più favorevole, gli investimenti sul patrimonio artistico. Operazione

indispensabile, dal momento che le opportunità esistenti molto spesso non vengono

adeguatamente utilizzate: o perché scarsamente conosciute, o perché di difficile

interpretazione e applicazione. Al tempo stesso, attraverso un attento esame dei regimi

esistenti negli altri paesi europei che dispongono di un importante patrimonio artistico,

si è voluto stimolare la riflessione sulle innovazioni e miglioramenti che si potrebbero

apportare alle attuali disposizioni legislative e regolamentari.

Nella riflessione di Consulta, il problema centrale rimane sempre lo stesso:

comprendere come e con quali mezzi la sponsorizzazione culturale può avere ricadute

positive sulle imprese che la praticano.

A questo interrogativo ha risposto la terza giornata di studio del novembre 2009,

“La sponsorizzazione dei Beni Culturali, nuovo media per le imprese? Opportunità

ed esperienze”. Se è vero che il museo, o comunque il luogo dell’arte, persegue una missione

che riflette - e non potrebbe non riflettere - un radicamento nel territorio, molte imprese

finiscono per essere i naturali interlocutori.

E se è vero che la tecnologia sta rivoluzionando il mondo dell’arte, sono anche

mutate le aspettative del pubblico circa il ruolo della pubblicità, che deve essere in grado

di promuovere stili di vita e di consumo più responsabili. La conclusione cui perviene

la giornata di studio è quasi obbligata. Nuova vitalità dei musei, progetti culturali forti,

opportunità e interazioni con aziende innovative, rivoluzione tecnologica nel mondo dell’arte,

contenuti valoriali nel mondo della pubblicità: tutto questo richiede un cambiamento

profondo anche alle imprese, ai centri media e alle agenzie di pubblicità e il coraggio

e la creatività per cogliere le occasioni che i beni culturali offrono per parlare in modo diverso,

originale, esclusivo con i propri clienti. L’insieme delle tre giornate di studio, raccolto

in volume può essere considerato come l’inventario più attuale dei problemi, delle

opportunità, dei risultati, ma anche delle necessità, che ruotano attorno al complesso

problema del rapporto fra imprese e cultura, fra sponsor e mondo dell’arte. Una iniziativa che

poteva scaturire soltanto da una realtà come Consulta, forte della sua più che ventennale

esperienza. Ma l’esperienza della Consulta ha trovato modo di essere utilizzata anche in altre

direzioni; non soltanto in fase applicativa, con interventi diretti, ma anche in fase progettuale,

proponendo soluzioni rivolte a risolvere problemi vecchi e nuovi, in qualche modo collegati

alla fruizione del patrimonio artistico e architettonico della Città; o, più semplicemente,

proponendo quelle soluzioni che - proprio sulla base dell’esperienza maturata in tutti questi

anni - sono ritenute le più idonee ad essere apprezzate dal pubblico dei potenziali fruitori.

Così, è stato avviato uno studio per un progetto didattico riguardante la fruizione della

Pinacoteca dell’Accademia Albertina, mentre un altro studio si è interessato della futura

sistemazione del cosiddetto “Polo Reale”.

Importante e attuale, in questo capitolo dell’attività della Consulta è stato il progetto

relativo alla risistemazione e riqualificazione di piazza Valdo Fusi.

Si tratta di un argomento quanto mai spinoso e controverso. La piazza, sorta sulle

macerie dell’edificio costruito per ospitare il Regio Museo Industriale e la Scuola di

Applicazione per Ingegneri, enti poi confluiti nel Politecnico, per oltre un cinquantennio era

stata adibita a semplice parcheggio, punteggiato da alberi di modeste dimensioni. Una

soluzione che non poteva durare in eterno, anche per il fatto che l’area in questione era

circondata da palazzi di alto valore architettonico, di ieri e di oggi, come l’antico Ospedale di

TORINOPIAZZA VALDO FUSI

PROGETTO

DI RIQUALIFICAZIONE

Page 104: Un'Avventura Torinese

San Giovanni e la più recente sede della

Camera di Commercio di Carlo Mollino.

L’occasione per pensare ad una

sistemazione definitiva, tale da valorizzare tutto

il complesso architettonico dell’area si presentò

in concomitanza con la realizzazione, nel sotto-

suolo, di un parcheggio automobilistico, ma

il progetto, ultimato nel 2004, che creava

barriere e strutture fisse sui lati delle vie

Cavour e Giolitti, si rivelò ben al di sotto anche

delle più modeste aspettative.

Le critiche furono immediate e parve ai più come un pugno nell’occhio, una ferita aperta

nel cuore aulico della città. Innumerevoli furono le proteste dei cittadini sulla stampa locale, tanto

che lo stesso Sindaco si rifiutò di partecipare all’inaugurazione.

Quasi subito prese corpo l’idea che quella sistemazione andasse, se non rifatta

completamente, almeno modificata, in modo da renderla meno offensiva per la vista

dei cittadini e meno penalizzante per l’importanza dell’area. Per iniziativa di alcuni cittadini,

si costituì un Comitato con lo scopo di bandire, solo con sponsor privati e grazie ai fondi raccolti

con pubblica sottoscrizione, un concorso di progettazione di alto livello per elaborare proposte

alternative per una nuova sistemazione del Piazza Valdo Fusi e delle aree versi adiacenti, l’Aiuola

Balbo e Piazza Carlina. Al concorso, bandito a livello internazionale, partecipano numerosi studi

di architettura, ed alla fine risulta vincitore il progetto presentato dalla berlinese Gabriele Kiefer.

I buoni propositi del Comitato si infrangono però contro gli scogli della mancanza di risorse.

Il Sindaco esclude la possibilità di poter disporre di fondi pubblici ed anzi esorta il Comitato

a proseguire nella ricerca di sponsor privati anche per questa seconda fase, senza peraltro

impegnarsi a confermare l’effettiva volontà del Comune di Torino di risistemare il piazzale.

È a questo punto che, per iniziativa dello stesso Comitato, sciolto alla fine del 2008, entra in scena

la Consulta, che dimostra interesse dichiarandosi disponibile a proseguirne l’attività, incaricando

i vincitori del concorso di ripensare il progetto sia sotto il profilo della fattibilità, sia - cosa ancor più

importante - alla luce delle nuove esigenze nel frattempo insorte.

Capita che il Museo Regionale di Scienze Naturali manifesti la necessità di poter disporre,

oltre all’ingresso principale di via Giolitti, di un ingresso anche sul lato della via Accademia Albertina.

Lo studio, aggiornato secondo le indicazioni della Consulta, nonostante le difficoltà derivanti

dalla delicatezza del momento economico, è testimonianza della buona volontà dimostrata da enti

e privati cittadini e si auspica che possa entrare in fase realizzativa.

MUSEO NAZIONALEDEL CINEMA

STARK INTERACTIVE

WALL,

GALLERIA

DEI MANIFESTI

(Fotografia

di Francesca Brizi)

198 un’Avventura TORINESE 12. nel segno della tradizione 199

12. NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE

Le attività descritte nel capitolo precedente dimostrano che la Consulta

ha affiancato agli interventi che avevano rappresentato la ragione stessa per

la quale essa si era costituita - i restauri, il risanamento di edifici, la pulitura

di monumenti - un’importante attività di valorizzazione.

La possibilità di operare in campi diversi fra loro, mettendo a frutto l’esperienza

maturata, è tanto maggiore se questa esperienza si arricchisce continuamente grazie a nuovi

interventi. Saggiamente quindi la Consulta, mentre da un lato si avventurava su terreni nuovi,

dall’altro manteneva dritta la barra continuando ad operare nei settori tradizionali.

Per verificare l’attendibilità di questa affermazione è sufficiente verificare l’attività

della Consulta negli ultimi tre anni. Così, nel 2008, accanto alla realizzazione del nuovo

TEATRO CARIGNANOIL TRIONFO DI BACCO,

PLAFONE,

1845

(Fotografia Laboratorio

Nicola Restauri)

Page 105: Un'Avventura Torinese

12. nel segno della tradizione 201200 un’Avventura TORINESE

BIBLIOTECA REALE FRANCESCO GONIN,

IL TRIONFO DI BACCO,

BOZZETTO

E PARTICOLARE

DEL PLAFONE DIPINTO.

1845

percorso delle Cucine storiche di Palazzo Reale, e alla mostra con i dipinti del Giaquinto

a Villa della Regina, ha provveduto al restauro del plafone dipinto da Francesco Gonin

sul soffitto del Teatro Carignano. Si è trattato di un intervento particolarmente impegnativo

soprattutto per le caratteristiche non solo del dipinto, ma anche dell’edificio.

Il teatro del Principe di Carignano era stato fondato nel

1709 ed era entrato in funzione nel 1711.

Nei tre secoli successivi, ovviamente, molte erano

state le vicende e le vicissitudini che il locale si era trovato

ad affrontare. Ad iniziare da un incendio che, nel 1786

distruggeva completamente la struttura.

In occasione della ricostruzione, la decorazione

del plafone della platea venne affidata a Bernardino Galliari,

che vi dipinse il Giudizio di Paride. Dopo di che, nel 1818

il futuro re Carlo Alberto promuoveva alcuni restauri, ultimati

nel 1824, in occasione dei quali il pittore Luigi Vacca sostituì

la precedente decorazione del plafone con la raffigurazione

di Apollo circondato dalle Muse.

Nel 1845, infine, in concomitanza con il rifacimento

del vestibolo e la trasformazione della decorazione dei palchi,

della loggia centrale, dell’arco di proscenio e del velario,

Francesco Gonin veniva incaricato di rifare la decorazione

del plafone, dipingendovi il Trionfo di Bacco: soggetto rimasto

sino ai giorni nostri.

Dopo quella data, nel teatro era tutto un succedersi

di interventi, motivati dalle più disparate necessità, che

andavano dall’installazione, nel 1876, dell’illuminazione a gas,

al rifacimento dell’intero apparato strutturale con l’impiego

di calcestruzzo armato sul quale veniva ricollocata tutta la parte

in legname.

In occasione di quest’ultimo intervento, del 1936,

reso necessario dal fatto che, con l’incendio del Teatro Regio,

il Carignano diventava l’edificio più rappresentativo per gli

spettacoli torinesi, e pertanto doveva essere completamente

rinnovato: anche il plafone fu oggetto di interventi ad opera

del pittore Carlo Gaudina.

Risparmiato il teatro dai bombardamenti della

seconda guerra mondiale, il plafone fu ancora oggetto

di altri due interventi, per la verità poco invasivi, del 1958

e del 1983.

Tutta una serie di interventi, quindi, che hanno

influito non poco sulla “leggibilità” del plafone,

compromettendo - e spesso anche nascondendo -

la versione originaria del Gonin.

Era perciò naturale che, in occasione del restauro

e della ristrutturazione del Teatro, anche il plafone fosse

oggetto di una attenta ricostruzione della stesura

originaria.

Ed in effetti, l’osservazione ravvicinata dei dipinti

e i saggi stratigrafici, hanno messo in luce la successione

di interventi verificatisi nel corso del tempo.

Sono state infatti ritrovate le tre stesure

pittoriche storicamente documentate e cioè: la coloritura

esistente al momento della ricostruzione del teatro, dopo

CHIESA DEL SANTO SUDARIO,FACCIATA

E PARTICOLARE

DEL TIMPANO,

1734

Page 106: Un'Avventura Torinese

12. nel segno della tradizione 203202 un’Avventura TORINESE

l’incendio del 1786; l’intervento del 1824-1826; infine, la terza stesura con le figure mitologiche

distribuite nei quattordici campi che suddividono il soffitto, dovuta a Francesco Gonin.

Su quest’ultima, poi erano evidenti i segni dei successivi interventi, sino all’ultimo

del 1983. Di fatto, la stesura del Gonin si trovava in una situazione conservativa non buona,

molto frammentaria e spesso tenacemente attaccata agli strati di pittura applicati successivamente.

L’intervento di recupero è risultato perciò particolarmente delicato e complesso.

Preliminarmente si sono dovuti, ovviamente, rimuovere i depositi superficiali derivanti

dall’azione del tempo; dopo di che si è potuto ristabilire l’adesione del dipinto al supporto

murario e all’intonaco. Si è proceduto quindi alla rimozione delle ridipinture e dei fissativi,

nonché delle stuccature eseguite nei precedenti interventi, come pure all’asportazione

di elementi metallici (chiodi, perni, ecc.). Si è quindi passati alla fase della stuccatura

delle lacune, propedeutica all’intervento finale di reintegrazione pittorica e velatura.

L’intervento successivo rientra fra quelli che, sin dall’inizio, hanno maggiormente

caratterizzato l’attività della Consulta: il restauro della facciata della Chiesa del Santo Sudario,

che, dal 1998, ospita nella cripta il Museo della Sindone. L’avvicinarsi dell’Ostensione del Sacro

Lenzuolo, avvenuta fra aprile e maggio 2010, suggeriva infatti di intervenire per valorizzare

e migliorare la fruibilità di questa importante raccolta di documenti e testimonianze che offre

una panoramica completa sulle ricerche sindonologiche dal 1500 ad oggi.

Si è trattato, sostanzialmente, di un intervento di natura conservativa, al fine di rendere

omogenea la lettura delle facciate della Chiesa e dell’edificio confinante. La chiesa del Santo

Sudario era nata infatti come cappella interna all’Ospedale dei Pazzerelli, per concessione

di Vittorio Amedeo II. La realizzazione dell’edificio data dal 1734, su progetto dell’ingegnere

Mazzone; la decorazione era affidata al quadraturista veneziano Pietro Alzeri, mentre la pala

dell’altare è opera di Michele Antonio Milocco.

Nel 1764 il re concedeva il permesso di aprire la chiesa al pubblico, e in quell’occasione

veniva costruito il campanile e sostituito l’altare maggiore. Superato il periodo napoleonico,

la chiesa veniva restaurata e riaperta al pubblico nel 1821, mentre altri restauri la avrebbero

interessata nel 1895.

L’intervento di restauro conservativo realizzato dalla Consulta, ha riguardato le facciate

della Chiesa e del Museo. Preliminarmente sono state effettuate analisi stratigrafiche molto

accurate sia sugli intonaci che sugli apparati decorativi.

Tali analisi hanno messo in luce diverse stratificazioni di colore, dovute ad interventi

successivi, mentre la stesura originale, che pure emergeva in zone molto estese, si presentava

in condizioni degradate e particolarmente frammentarie.

Per rendere omogenea la lettura delle facciate, la Soprintendenza competente

MUSEOSINDONOLOGICOGIOVANNI BATTISTA

DELLA ROVERE,

SEPOLTURA DI CRISTO,

1625 CA.

Page 107: Un'Avventura Torinese

204 un’Avventura TORINESE

al di sotto della Cappella del Castello di Santena, una piccola

cripta mortuaria, che venne successivamente ampliata, dopo

la morte di Camillo.

Questi, infatti, aveva voluto per testamento essere

sepolto a Santena, accanto al nipote Augusto e agli altri

famigliari: oltre ai Benso di Cavour, i Clermont - Tonnerre,

i Sellon, i Sales.

Per rispettare la volontà di Camillo, il fratello

Augusto dovette rifiutare la sepoltura “di stato” che Vittorio

Emanuele II voleva fosse celebrata nella Basilica di Superga.

Nel 1911, in occasione del cinquantenario della morte

dello statista e della proclamazione del Regno d’Italia,

la tomba venne dichiarata “monumento nazionale”.

12. nel segno della tradizione 205

SANTENACAPPELLA CAVOUR

FACCIATA,

XIX SECOLO

e l’Ufficio del Colore della Città di Torino hanno deciso che si procedesse con la stesura

di intonaci a calce basati su una bicromia rosa-beige, che bene legava con il colore azzurro

del palazzo storico con cui la chiesa confina. A coronamento dell’intervento, una piccola

sorpresa. Durante la fase di pulitura della facciata principale, al di sopra del timpano è emerso

un bassorilievo in stucco - del quale, per essere stato ricoperto da strati di intonaco, si era persa

la memoria - raffigurante la Santa Sindone, in perfetto stato di conservazione.

Non poteva esserci viatico migliore per l’imminente Ostensione.

L’intervento si concludeva, poi, con la consegna alla Confraternita del Santo Sudario

di una miniatura ad olio su seta, firmata Giovanni Battista della Rovere e databile al 1625

raffigurante la Sepoltura di Cristo e tre angeli sorreggono la Santa Sindone.

La miniatura in questione, acquistata dalla Consulta per arricchire le collezioni

del Museo, apparteneva alla serie dei “ritratti del Santo Sudario miniati” fatti realizzare

dal Duca Carlo Emanuele I. La corte sabauda era infatti molto attenta alla diffusione capillare

del grande tema della morte e resurrezione

di Cristo che trovava nella Sindone

l’espressione più efficace.

Di qui la realizzazione di numerose

rappresentazioni, realizzate con precisione

e raffinatezza nello stile tardo cinquecentesco.

Grazie alla Consulta, il Museo della Sindone

veniva così ad arricchirsi di un documento

storico di notevole importanza.

L’intervento successivo - l’ultimo,

in ordine di tempo - s’inserisce anch’esso

nel filone tradizionale dei restauri di edifici

e riguarda la Cappella funeraria dei Benso

di Cavour, le cui vicende sono intimamente

legate con la storia italiana del XIX secolo.

La tomba in questione venne infatti

edificata dopo la restaurazione.

Originariamente, infatti, il sepolcro

della famiglia Benso era a Chieri, nella Chiesa

di San Francesco.

Quando questa, sotto il governo

francese, venne distrutta, si provvide a costruire,

SANTENACAPPELLA CAVOURPARTICOLARI DELL’INTERNO,

XIX SECOLO

Page 108: Un'Avventura Torinese

Avvicinandosi il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, era naturale che

anche la tomba di colui che è conosciuto come il “tessitore” ed è considerato fra i principali -

se non il principale in assoluto - artefici del Risorgimento, fosse oggetto di particolari attenzioni,

tanto più necessarie in quanto l’ultimo intervento di consolidamento del complesso funerario

risaliva al 1932.

Il tempo trascorso, e soprattutto gli agenti atmosferici, avevano procurato numerosi

danni, sintetizzabili sostanzialmente nella presenza di umidità diffusa, estesa su quasi tutte le

superfici esterne ed interne, provocata sia da fenomeni di risalita capillare, sia da infiltrazioni

provenienti dalla cappella sovrastante, esposta all’aggressione delle acque meteoriche per

l’inefficiente sistema di smaltimento del tetto.

Le conseguenze di questa situazione sulla struttura erano drammaticamente evidenti:

fessurazioni, macchie, erosioni, rigonfiamenti, esfoliazioni, distacchi di porzioni di pietra

e dell’intonaco, deformazioni.

Da mettere in conto, inoltre, colature al di sotto e di fianco ad alcune lapidi, attacchi

biologici, depositi superficiali. Fenomeni analoghi, cui andava aggiunto anche un pesante

degrado dei serramenti lignei, erano riscontrabili anche all’esterno della Cappella.

In conclusione, uno stato di abbandono e di incuria non più tollerabile

nel momento in cui tutto il Paese si accingeva a celebrare il centocinquantesimo anniversario

dell’Unità d’Italia e che - ove fosse rimasto - avrebbe di fatto impedito l’accesso ad uno

dei luoghi-simbolo del processo unitario.

La Consulta, che aveva iniziato l’attività nel 1987 occupandosi di un altro luogo

dell’unificazione nazionale - l’Aula del Parlamento Subalpino - e che anche in seguito

era ripetutamente intervenuta nella stessa direzione con il restauro, sempre in Palazzo

Carignano, dell’Aula del Parlamento Italiano e della Facciata Ottocentesca, non poteva

ovviamente mantenersi estranea ad un intervento di così grande significato come quello

sulla tomba di Cavour.

L’intervento, particolarmente delicato, ha inteso non soltanto rimuovere tutti

gli inconvenienti provocati dall’umidità, ma, per evitare o almeno limitare la possibilità che tali

inconvenienti abbiano a presentarsi ancora in futuro, ha realizzato anche un intervento

di bonifica del terreno dell’area circostante la tomba mediante la formazione alla base dell’edificio

di condotte di aerazione che consentano l’evaporazione dell’acqua di risalita capillare.

Al tempo stesso, la sistemazione di gronde e tubazioni più efficienti dovrebbe evitare

ogni tipo di infiltrazione dall’alto. Il 6 giugno, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,

inaugurando le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario, rendeva omaggio

all’illustre statista nella tomba restaurata.

206 un’Avventura TORINESE 13. continuità nella diversità 207

13. CONTINUITÀ NELLA DIVERSITÀ

Restauri, progetti, interventi di valorizzazione, mostre, monumenti, arazzi,

materiali in laterizio, in pietra, in ferro, in legno, in pergamena, recupero dell’identità

storica e del paesaggio, monumenti del passato ed opere contemporanee. In quasi

un quarto di secolo di attività la Consulta ha dimostrato una invidiabile capacità

di adattamento, grazie alla quale ha potuto esplorare sempre nuovi territori, senza venire

meno alla vocazione originaria, alla “mission” quale è indicata nella denominazione

ufficiale del sodalizio: la “valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino”.

Già, Torino. L’ambito territoriale entro il quale è circoscritta l’attività della Consulta

è una delle ragioni del suo successo: gli enti e le imprese che ne fanno parte sono infatti ben radicati

nel territorio cittadino, lo conoscono sin nelle più minute pieghe, sono perfettamente in grado

di valutarne punti di forza e di debolezza, e va indubbiamente iscritto a loro merito il fatto di aver

puntato sulla promozione dei beni artistici della Città, anziché su altre espressioni della vita sociale

e cittadina. Anche lo sport e lo spettacolo sono attività meritevoli di attenzione, alle quali

non sarebbe improprio dedicare maggiori risorse. La Consulta si è dedicata, invece, all’arte,

scegliendo all’interno di questo grande contenitore, soprattutto quegli aspetti che il pubblico

maggiormente percepisce come “torinesi”: le Chiese di San Carlo e Santa Cristina, Palazzo

PALAZZO CIVICOSALA ROSSACERIMONIA

DI CONSEGNA

DELLA TARGA RICORDO

DA PARTE

DEL SINDACO DI TORINO

AI SOCI DELLA CONSULTA,

MAGGIO 2007

Page 109: Un'Avventura Torinese

13. continuità nella diversità 209208 un’Avventura TORINESE

torinese, basterà ricordare il recupero alla piena fruizione, dopo lunghi periodi di incuria, se non

di vero e proprio abbandono, di monumenti quali la Villa della Regina e la Reggia di Venaria.

Oggi, la lente del pendolo pare essere ritornata ai primi anni ottanta, perché, se anche

l’attenzione sui problemi dei beni artistici rimane desta, sono nuovamente carenti le risorse.

La crisi che ha investito le economie occidentali, costringendo i governi ad adottare rigide politiche

di austerità non consente di effettuare previsioni favorevoli. Ma c’è anche qualcosa di più, perché

la similitudine fra ieri e oggi va anche oltre il dato puramente economico della carenza di risorse.

Se allora a lanciare il sasso nello stagno era stato l’Herald Tribune denunciando il disinteresse

della pubblica autorità verso i tesori conservati nei musei torinesi (si faceva il caso del Ritratto

d’Ignoto di Antonello da Messina), adesso - luglio 2010 - è la volta del New York Times a denunciare

la trascuratezza dell’amministrazione capitolina per i monumenti antichi di Roma, a fronte invece

di un notevole attivismo nei riguardi dell’arte moderna. Si tratta di critiche forse eccessive e, per molti

versi ingenerose, che però portano a ritenere che le risorse per la salvaguardia e la valorizzazione

dei beni artistici e culturali continueranno, almeno nell’arco di tempo prevedibile, a mantenersi

desolantemente scarse. In questa situazione ritorna d’attualità l’interrogativo che già ci si poneva

negli anni ottanta. A riproporlo è Angelo Panebianco, il quale in un articolo comparso sul “Corriere

della Sera” del 5 luglio 2010 si chiede se, a fronte dei “tagli” che le amministrazioni, ad ogni livello,

sono necessitate a compiere, “le borghesie cittadine, imprenditori in testa, non dovrebbero [...]

mobilitarsi per subentrate, in tutto o in parte, a Stato, regioni, comuni? Ci fu un tempo in cui

il mecenatismo privato fece ricca la vita culturale delle città italiane”.

È una domanda alla quale la Consulta, come del resto altre istituzioni - banche, industrie,

assicurazioni - ciascuna nell’ambito delle proprie disponibilità ha continuato, e continuerà, a dare

risposta, come del resto riconosce lo stesso Panebianco: “Il mecenatismo privato, naturalmente,

qua e là, esiste ancora. Ci sono aziende, alcune di rilievo nazionale, che lo praticano con generosità.

E ci sono, nelle città, privati che danno contributi per le attività culturali”.

Fra questi, la Consulta spicca per l’unicità della sua esperienza, che la porterà ad essere

ancora protagonista della politica di valorizzazione del patrimonio torinese. Tanto che le prossime

tappe del percorso che ha preso le mosse più di venticinque anni or sono con il restauro dell’Aula

del Parlamento Subalpino, sono già state individuate. Consulta ha appena concluso il restauro del

Gabinetto Cinese del secondo piano di Palazzo Reale e in prospettiva sta avviando il restauro

della Peota, la sontuosa barca da cerimonia commissionata da Carlo Emanuele III all’Arsenale

di Venezia e giunta a Torino al termine di un viaggio difficoltoso attraverso mille peripezie. Queste

iniziative dimostrano la volontà di Consulta di continuare ad essere presente su grandi temi nei luoghi

simbolo della cultura artistica torinese come la Galleria Sabauda, la Palazzina di Caccia di Stupinigi,

la Pinacoteca dell’Accademia Albertina e la Galleria d’Arte Moderna. Insomma, l’avventura continua...

Carignano, per fare qualche esempio, ma anche le Ceramiche Lenci sono percepite come un bene

caratteristico della Città. Lo testimoniano gli oltre centomila visitatori della mostra ad esse dedicata.

Insomma, la Consulta come risorsa per la Città, un valore da preservare per Torino. Caratteristiche,

queste, ben comprese dall’Amministrazione cittadina, che in occasione del ventennale

di costituzione del sodalizio, ha voluto conferire per mano del Sindaco, una targa ricordo ad ogni

singolo Socio. Non bisogna però dimenticare che gli enti e le imprese che hanno dato vita alla

Consulta sono in primo luogo soggetti economici, abituati a valutare ogni loro intervento in termini

di costi e benefici, anche quando il vantaggio che ci si ripromette è per sua natura immateriale,

difficilmente quantificabile con parametri economici. Nel caso in esame, a spingere i Soci Consulta

a programmare sempre nuovi interventi vi è non soltanto un senso di responsabilità sociale verso

il territorio, ma anche la convinzione che la valorizzazione del patrimonio artistico rappresenti,

per quanti vi dedicano risorse, un buon affare. In tempi di globalizzazione, l’arte conferisce valore

aggiunto alle capacità tecniche e progettuali delle imprese operanti sui mercati esteri.

Le aziende in questione dispongono certamente di un know how di tutto rispetto;

ma al tempo stesso provengono da un territorio che conserva l’Autoritratto di Leonardo alla

Biblioteca Reale: un unicum, conosciuto in tutto il mondo perché spesso utilizzato a fini pubblicitari,

alla cui fruizione esse hanno partecipato direttamente. O, per altro verso, hanno sede in una Città

che conserva la Sindone, uno degli oggetti più venerati e studiati al mondo, indipendentemente

dalle convinzioni religiose delle persone. Ed anche in questo caso Consulta ha contribuito

a valorizzarne la conoscenza. L’arte come biglietto da visita delle imprese. Indubbiamente all’inizio

l’attività di Consulta è stata favorita dal degrado in cui versava il patrimonio artistico torinese,

conseguente se non al disinteresse per questo bene, alla necessità di far fronte ad altre priorità.

In questo caso, la sostituzione da parte di privati, di incombenze che sarebbero spettate

alla mano pubblica, è stata favorita dall’introduzione di un trattamento fiscale più favorevole,

anche se non (ancora) completamente soddisfacente.

Poi la situazione si è gradualmente modificata, gli enti pubblici competenti hanno

progressivamente dimostrato un maggiore attivismo, convogliando su questo settore una maggiore

disponibilità di risorse. Sono stati effettuati interventi importanti: e, per quanto riguarda l’area

PALAZZODELL’UNIVERSITÀ

CONCERTO

INAUGURALE,

2000

INUGURAZIONE

DEL MONUMENTO

A VITTORIO

EMANUELE II,

2001

Page 110: Un'Avventura Torinese

1987-2010 gli interventi della consulta 211

Gli aspetti più significativi delle politiche generali adottate dalla Consulta nella scelta degli interventi sono

stati precedentemente delineati, perciò questo contributo vuole fornire solo alcune informazioni aggiuntive

sui processi che hanno portato alle decisioni e sui contributi di tutti gli enti e professionalità coinvolti nell’organizzare

le varie realizzazioni.

La scelta del primo intervento di recupero del patrimonio storico-artistico con cui la Consulta

si è presentata alla Città è stata guidata soprattutto da un aspetto di carattere simbolico, considerando che l’Aula

del Parlamento Subalpino rappresenta l’espressione concreta dell’attività del governo sabaudo che portò Torino

a guidare la realizzazione dell’Unità nazionale.

Questo spazio architettonico, fulcro della composizione guariniana in Palazzo Carignano, contraddistinto

oltre che da valori simbolici da evidenti qualità artistiche, necessitava di opere che consentissero nuovamente

al pubblico l’accesso in sicurezza e la fruizione di una così rilevante testimonianza di storia e di arte, pericolosamente

compromessa da un degrado crescente. La realizzazione di questo primo progetto ha consentito di costituire

un modello organizzativo che sarebbe poi stato esteso, con i dovuti adeguamenti suggeriti dalle esperienze, a tutti

gli interessi successivi.

La Consulta ha deciso di mettere a disposizione della Città, oltre alle necessarie risorse economiche, anche

le proprie competenze manageriali, contribuendo ad accelerare un costruttivo rapporto tra la proprietà del bene,

le istituzioni pubbliche (Stato, Regione, Provincia, Comune) le Soprintendenze preposte alla tutela, gli storici dell’arte,

i progettisti ingegneri e architetti, le maestranze impegnate nelle varie tipologie di restauro e in generale tutte

le professionalità coinvolte nei progetti di recupero del patrimonio culturale.

Il tutto in un quadro di certezza e rapidità di esecuzione, di controllo di tempi, di costi e di qualità che

ha contraddistinto anche gli interventi successivi. Il lavoro svolto nell’Aula è stato poi raccolto in un agile volume

a stampa, quale contributo alla divulgazione delle esperienze scientifiche acquisite durante i lavori, così come

è avvenuto a conclusione delle principali altre realizzazioni della Consulta. Il modello prevedeva infine, e prevede

tuttora, un’occasione inaugurale di presentazione al pubblico, agli esperti e alla stampa, con il sostegno di documentazione

fotografica e video, allietata a volte da un concerto e un rinfresco per gli invitati. Gli interventi dei primi anni tra

il 1989 e il 1993 sono stati contraddistinti soprattutto dall’esigenza di riportare allo stato originario le facciate

di alcuni tra i più rilevanti monumenti cittadini che per molte e diverse ragioni avevano perso la leggibilità dei partiti

architettonici ed erano a rischio di conservazione per il degrado causato dal tempo e dagli agenti atmosferici.

La facciata dell’Archivio di Stato e le chiese di San Carlo, di Santa Cristina e di San Filippo sono

pertanto diventati laboratori di restauro per le componenti strutturali e decorative esterne degli edifici,

in questo senso il citato approccio interdisciplinare ha consentito la definizione dei più adeguati modelli

di restauro e l’impiego di tecnologie innovative di consolidamento e conservazione.

Più recentemente anche la facciata orientale di Palazzo Reale, quella della Promotrice delle Belle Arti

al Valentino e quella ottocentesca di Palazzo Carignano, in collaborazione con le Soprintendenze competenti, hanno

beneficiato di interventi di restauro conservativo a opera della Consulta. Queste realizzazioni possono essere

inquadrate nel filone “restauri del patrimonio architettonico”, dove la valenza principale è stata, al di là dell’ovvia

necessità di conservazione dei singoli monumenti, soprattutto relativa al miglioramento dell’immagine

complessiva della città nei suoi nodi urbanistici più significativi. Negli interventi successivi, a partire dalla metà

1987-2010Gli interventi della Consultaa cura di Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

210 un’Avventura TORINESE

Page 111: Un'Avventura Torinese

212 un’Avventura TORINESE 1987-2010 gli interventi della consulta 213

degli anni Novanta, si sono venuti precisando nuovi filoni tematici. L’attenzione si è infatti spostata dalla pura

conservazione all’arricchimento del patrimonio artistico e storico, da un lato, nonché alla valorizzazione di “luoghi”

cittadini emblematici, da un altro lato.

Si è inteso in tal modo privilegiare progetti strettamente collegati alle caratteristiche di eccellenza

di Torino, utilizzando la credibilità acquisita dalla Consulta con i primi lavori per contribuire più incisivamente

al potenziamento dell’offerta di attrattive culturali e turistiche per la Città.

Nel filone “arricchimento del patrimonio artistico e storico” si collocano la nuova Cancellata del Teatro

Regio, la ristrutturazione e la riapertura della Pinacoteca dell’Accademia Albertina, la valorizzazione della Biblioteca

Reale con la realizzazione della nuova Sala Leonardo finalizzata all’esposizione delle preziose raccolte. Questa

tendenza era già stata anticipata con la decisione di restaurare alcuni dipinti che ornano la sala da pranzo

del Castello Cavour di Santena. In queste occasioni il modello di intervento di cui si è fatto cenno all’inizio

si è allargato anche alle problematiche di tipo gestionale, in accordo con la Regione Piemonte, per assicurare

la fruizione di importanti collezioni d’arte, scarsamente o per nulla accessibili al pubblico torinese e ai turisti in visita

alla Città.

La Cancellata del Teatro Regio ha costituito sì una valida protezione di uno spazio cittadino molto

gradevole purtroppo soggetto a un uso improprio, ma ha soprattutto arricchito la Città con una grande

e complessa opera dell’ingegno di un illustre artista, Umberto Mastroianni.

Per quanto attiene all’intervento sulla Cancellata palagiana che delimita la piazzetta antistante il Palazzo

Reale si è trattato sia di un restauro conservativo per quanto riguarda la stabilità di un manufatto di ghisa

particolarmente degradato, sia della restituzione all’originario splendore di un manufatto contraddistinto

da rilevante valore artistico.

Al tema della “valorizzazione di luoghi emblematici” si possono ricondurre il recupero architettonico

dell’Aula del Parlamento Italiano che è diventato luogo d’eccellenza per importanti manifestazioni cittadine,

la messa in sicurezza e la visibilità ricorrente delle collezioni della Biblioteca Reale, il recupero del cortile,

del loggiato e degli scaloni del prestigioso Palazzo dell’Università aperto allo svolgimento di significativi eventi culturali

dell’ente, il restauro delle statue del Po e della Dora in piazza CLN dove, con la collaborazione del Comune

di Torino, si è potuto restituire alla Città anche la frescura e il suono delle cascate d’acqua da tempo dimenticate.

Non si è quindi trattato in questi casi soltanto di provvedere a restauri sugli edifici e sulle opere d’arte, ma da un lato

di valorizzare intere collezioni e dall’altro lato di mettere in grande risalto quegli spazi in cui la Città e le istituzioni

possono organizzare significativi eventi di portata internazionale.

Qualunque sia la finalità che ha ispirato la scelta degli interventi di valorizzazione dei beni artistici

e culturali di Torino, certamente la Consulta ha cercato di rimanere coerente e fedele a un modello di azione che

si è sempre ispirato ai criteri di utilità cittadina, rilevanza architettonica e artistica, rapidità esecutiva, efficienza

gestionale e certezza del risultato, ritorno di immagine per le aziende, sinergie tra realtà pubblica e privata, proficuo

rapporto con le istituzioni e gli organi di tutela, impulso alla ricerca e divulgazione scientifica, sviluppo di capacità

imprenditoriali e di competenze artigiane, coinvolgimento di professionalità intellettuali e consulenze tecniche.

L’AULA DEL PARLAMENTO SUBALPINO IN PALAZZO CARIGNANO

Un particolare ringraziamento a: imprese, restauratori, professionisti e tecnici per gli interventi realizzati.

CRONOLOGIA: 1679: inizio della costruzione di Palazzo Carignano, progettato da Guarino Guarini.

1681-1682: sono documentati i lavori per la copertura del corpo centrale.

1775: in occasione delle nozze di Carlo Emanuele IV con Maria Clotilde di Francia, la sala ellittica viene destinata a salone da ballo,

su progetto di Filippo Giovanni Battista Nicolis di Robilant, con la collaborazione dei Galliari per gli affreschi della volta.

1799: il Palazzo diventa sede della Prefettura e del Dipartimento del Po; nel 1831 Carlo Alberto, diventato re di Sardegna,

lo cede al Demanio che lo destina a Direzione Generale delle Poste.

1848-1860: la sala guariniana è trasformata in Aula del Parlamento Subalpino. Il progetto è affidato a Carlo Sada e ad Ernst Melano;

le opere pittoriche sono affidate a Francesco Gonin, Angelo Capisani, Angelo Moja e Giovanni Rusca, le opere

in muratura a Bartolomeo Pezzi, Luigi Piola e Pietro Ferraris, le decorazioni in stucco a Diego Marielloni, le tappezzerie

a Giuseppe Trivella, mentre l’apparato dei seggi viene affidato all’ebanista del re, Gabriele Capello detto il Moncalvo.

1935-1937: revisione strutturale e primo parziale restauro in occasione della Mostra del Barocco del 1937.

1948: lavori in occasione del centenario dello Statuto.

1961: interventi di manutenzione in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’Unità d’Italia.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 1987-1988:Completo restauro conservativo realizzato dalla Consulta, diretto da Clara Palmas, Soprintendente per i Beni Ambientali

e Architettonici del Piemonte e da Carla Enrica Spantigati, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte.

Coordinamento dei restauri e del progetto di illuminazione: Bartolomeo Aimar

Ponteggi: C.V.B., Torino con i calcoli eseguiti da Mimmo Chissotti e Guido Morgante

Impianto elettrico: Angelo Franzosi, responsabile Sergio Cortellini

Restauratori: Guido Nicola, Anna Rosa e Nicola Pisano (apparato decorativo); Dino Aghetta e Renato Bulgarelli (apparato ligneo); Laura

Chiotasso (tessuti); Domenico Collura (lampadari a muro, orologio e datario)

Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno

In occasione del restauro, è stato pubblicato il volume: Il Parlamento Subalpino in Palazzo Carignano. Strutture e restauro, Torino 1988.

LA CONSULTA: SOCI: Cassa di Risparmio di Torino, Fiat, Gruppo Gft, Ilte, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Skf Industrie,

Sai - Società Assicuratrice Industriale, Sei - Società Editrice Internazionale, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Roberto Balma (Gruppo Gft), Sergio Finesso (Sai), Luciano

Lenotti (Skf), Giovanni Merlini (Utet), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Mario Verdun di Cantogno (Fiat), tesoriere Giovanni

Ciarlo (Cassa di Risparmio di Torino) e segretario Renato Ricci (Unione Industriale di Torino).

Page 112: Un'Avventura Torinese

LA FACCIATA JUVARRIANADELL’ARCHIVIO DI STATO

LA FACCIATA E IL CAMPANILE DELLA CHIESA DI SAN CARLO

214 un’Avventura TORINESE 1987-2010 gli interventi della consulta 215

CRONOLOGIA: 1730-1731: realizzazione del nuovo edificio per l’Archivio di Corte, progettato da Filippo Juvarra, inserito nel grandioso piano urbanistico

di Carlo e Amedeo di Castellamonte. Le strutture edilizie sono affidate a Pietro Filippo Somasso e Giuseppe Viseti; la fornitura

dei cantonali e delle lose è richiesta a Giovanni Battista Darbesio di Avigliana. La complessa struttura lignea del tetto è costruita

da Domenico Cantone, Bartolomeo Mossino e Domenico Pezzi; porte, finestre, chiassili, poggioli e ringhiere di ferro sono

realizzati da Giacomo Panavallo, Bartolomeo Badarello e Giovanni Battista Faciolo.

1734: trasferimento dei Regi Archivi nella nuova sede juvarriana.

1981-1993: totale ristrutturazione dell’edificio.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 1988-1989:La facciata juvarriana viene restaurata dalla Consulta sotto l’alta sorveglianza di Clara Palmas, Soprintendente Beni Ambientali e Architettonici

del Piemonte, con la direzione lavori di Roberto Pagliero e Stefano Trucco.

Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali

Fotografie: Paolo Robino; Foto Chomon

Progettazione grafica: Studio Bocchio e Palmieri

Allestimento mostra: Mostre & Fiere

Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

In occasione del restauro è stata organizzata l’esposizione “Il Tesoro del Principe. Titoli, carte e memorie per il governo

dello Stato”, allestita da Roberto Pagliero e Stefano Trucco; relativo catalogo curato da Marco Carassi, Angela Griseri, Isabella Massabò Ricci,

Elisa Mongiano

LA CONSULTA: SOCI: Cartiere Burgo, Cassa di Risparmio di Torino, Fiat, Fornara, Gruppo Gft, Ilte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Lavazza,

Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie,

Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Roberto Balma (Gruppo Gft), Sergio Finesso (Sai),

Luciano Lenotti (Skf), Giovanni Merlini (Utet), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Mario Verdun di Cantogno (Fiat),

tesoriere Giovanni Ciarlo (Cassa di Risparmio di Torino), segretario Renato Ricci (Unione Industriale di Torino), consulente storico-artistica

Angela Griseri.

CRONOLOGIA: 1619: inizio della costruzione della chiesa, con annesso il convento degli Agostiniani, su progetto di Maurizio Valperga.

Nel corso del XVII secolo, proseguono i lavori per le cappelle, dedicate a committenti illustri come i Turinetti, i Bruco e i Broglia.

Per la direzione dei lavori e per l’altare maggiore era stato richiesto Amedeo di Castellamonte, e con lui erano attivi Bernardino

Quadri e Tommaso Carlone per l’apparato grandioso degli stucchi.

Tra i dipinti più significativi: San Carlo che visita a Vercelli il duca Carlo Emanuele e San Carlo accolto dai duchi

di Savoia, opera di Giovanni Paolo Recchi; San Giuseppe che colpisce con un dardo sant’Agostino, di Charles Claude Dauphin

e, per l’altare maggiore, San Carlo che visita la Sindone, di Giacomo e Giovanni Andrea Casella.

1834: decisivo per la facciata, rimasta incompiuta, l’intervento di Ferdinando Caronesi di raffinato gusto neoclassico evidente anche

nel bassorilievo e nelle statue realizzate da Stefano Butti.

1837: la chiesa passa all’Ordine dei Servi di Maria.

1862: primi interventi di restauro.

1863: lavori di ingrandimento per l’interno su progetto di Carlo Ceppi; a questi stessi anni sono databili gli affreschi di Rodolfo

Morgari.

1935-1937: seguono altri interventi di restauro in parallelo alla realizzazione della nuova via Roma, realizzata da Giuseppe Momo

e Marcello Piacentini.

1974: pulitura della facciata.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 1989-1990:Restauro della facciata principale e del campanile, diretto da Franco Ormezzano, Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici,

e per la direzione storico-artistica di Michela di Macco, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte.

Impresa: Gastone Guerrini Costruzioni Generali

Rilievi: Giovanni Pierro

Opere di restauro: Laboratorio Rava

Opere in ghisa, realizzazione telo con illuminazione: Gruppo Bodino

Progettazione grafica: Studio Bocchio e Palmieri

Fotografie: Bruna Biamino

Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

In occasione del restauro è stata pubblicata la brochure Sui tetti e oltre per Torino

Nel 2006 la Consulta ha realizzato la manutenzione straordinaria della facciata.

LA CONSULTA: SOCI: Cartiere Burgo, Cassa di Risparmio di Torino, Fiat, Fornara, Gruppo Gft, Ilte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Lavazza, Martini

& Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni,

Unione Industriale di Torino, Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Giovanni Merlini (Utet), Roberto Balma (Gruppo Gft), Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi),

Sergio Finesso (Sai), Luciano Lenotti (Skf), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Mario Verdun di Cantogno (Fiat), tesoriere

Giovanni Ciarlo (Cassa di Risparmio di Torino), segretario Renato Ricci (Unione Industriale di Torino), consulente storico-artistica Angela Griseri.

Page 113: Un'Avventura Torinese

LA FACCIATA DELLA CHIESA DI SANTA CRISTINA

1987-2010 gli interventi della consulta 217216 un’Avventura TORINESE

LE DODICI TELE DEL CASTELLO CAVOUR DI SANTENA

CRONOLOGIA: 1639: inaugurazione della chiesa, voluta dalla duchessa Cristina di Francia, affidata alle Carmelitane Scalze. Progetto di Carlo

di Castellamonte.

1653: Carlo di Castellamonte informa la duchessa della costruzione della “muraglia verso la piazza, che formerà parte

della facciata”.

1715-1718: Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours affida a Filippo Juvarra l’incarico per la nuova facciata, arricchita con le statue realizzate

da Carlo Antonio Tantardini per i Santi Francesco di Sales, Agostino e Maurizio e le due Allegorie delle virtù cardinali e teologali.

Le statue della Santa Teresa e Santa Cristina sono richieste al parigino Pierre Legros: queste due statue non saranno

mai collocate in facciata, ma trasferite nel Duomo di Torino; al loro posto saranno sistemate altre, realizzate nel 1737

da Giuseppe Nicola Casana in marmo bianco di Frabosa.

1819: Vittorio Emanuele I incarica Ferdinando Bonsignore di procedere ad alcuni lavori all’interno.

1840: la chiesa passa all’Ordine dei Servi di Maria, sostituiti nel 1844 dalla Pia Unione del Sacro Cuore di Maria, ente morale fondato

da Carlo Alberto.

1935-1937: parti della chiesa e del convento vengono demolite durante il rifacimento di via Roma.

1960-1970: alcuni interventi di ripristino realizzati con integrazioni a cemento.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 1990-1991:Restauro conservativo della facciata, sotto la direzione dei lavori di Franco Ormezzano, Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici

del Piemonte e di Emanuela Recchi, e la direzione storico-artistica di Michela di Macco, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte.

Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali; direzione cantiere: Luigi Rocchia

Rilievi: Giovanni Pierro

Opere di restauro: Laboratorio Rava

Opere in legno: Aldo Zengiaro

Rinforzi strutturali in titanio: Ginatta Torino Titanium

Progettazione grafica: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri

Fotografie: Paolo Robino

Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

In occasione del restauro è stata pubblicata la brochure La Chiesa di Santa Cristina. Relazione sull’intervento di restauro

LA CONSULTA: SOCI: Banca Brignone, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Cassa di Risparmio

di Torino, Fiat, Fornara, Gruppo Garosci, Gruppo Gft, Ilte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi

Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione

Industriale di Torino, Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Giovanni Merlini (Utet), Angelo Ascheri (Ilte), Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Giuseppe

Lignana (Cartiere Burgo), Giannicola Pivano (Sei), Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), tesoriere Giovanni Ciarlo (Cassa

di Risparmio di Torino), segretario Renato Ricci (Unione Industriale di Torino), consulente storico-artistica Angela Griseri.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni).

COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat).

CRONOLOGIA: 1712-1720: viene edificato il Palazzo Cavour, opera di Francesco Gallo.

1773: è documentato l’intervento di Ignazio Amedeo Galletti.

1774, 1776-1777: Giovanni Battista San Bartolomeo è documentato quale autore delle decorazioni a stucco del Salone.

1878-1879: altri lavori affidati allo studio di architettura e ingegneria di Amedeo Peyron e Melchior Pulciano.

1884: Giuseppina Benso di Cavour continua il generale rinnovamento decorativo dell’edificio; tra i lavori, significativo

il progetto di Francesco Cavalla per l’arredamento della Sala da pranzo dove vengono adattate entro specchiature le dodici

tele raffiguranti Animali in posa, realizzate da Angelo Maria Crivelli, detto il Crivellone, agli inizi del secolo XVIII

e da Giovanni Crivelli, detto il Crivellino, verso il 1730 circa.

1955: la marchesa Margherita Visconti Venosta istituisce la Fondazione Camillo Cavour, a seguito della donazione da parte

del marchese Giovanni Visconti Venosta di tutto il complesso di Santena alla Città di Torino.

1985-1986: è avviata la ristrutturazione complessiva del Castello, comprendente anche il parco monumentale, progettata e diretta

da Ippolito Calvi di Bergolo.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 1992:Restauro e ricollocazione originaria delle dodici tele raffiguranti Animali in posa, con la direzione storico-artistica di Michela di Macco,

Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte. Restauro eseguito dal Consorzio Arkè, Roma.

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri.

LA CONSULTA: SOCI: Banca Brignone, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo,

Fiat, Fondazione Crt, Fornara, Gruppo Garosci, Gruppo Gft, Ilte, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società

Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Giovanni Merlini (Utet), Angelo Ascheri (Ilte), Aimone di Seyssel d’Aix (Martini & Rossi), Giuseppe

Lignana (Cartiere Burgo), Giannicola Pivano (Sei), Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt),

segretario Renato Ricci (Unione Industriale), consulente storico-artistica Angela Griseri.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni).

COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat).

Page 114: Un'Avventura Torinese

CHIESA DI SAN FILIPPO NERI

1987-2010 gli interventi della consulta 219218 un’Avventura TORINESE

ODISSEA MUSICALE: LA CANCELLATA DEL TEATRO REGIO

CRONOLOGIA: 1675: il duca Carlo Emanuele II lascia alla Congregazione dell’Ordine dei Filippini l’appezzamento di terreno per la costruzione

della grandiosa sede. Il progetto di Guarino Guarini è affidato ad Antonio Bettino, suo assistente.

1686-1703: si costruiscono la navata centrale, il presbiterio con l’altare maggiore e le sacrestie.

1703: la fabbrica risulta coperta e prosegue la costruzione della cupola.

1706: interruzione dei lavori dovuta all’Assedio di Torino da parte dei francesi.

1714: crollo della cupola e delle pareti, a esclusione del presbiterio e delle prime due cappelle.

1715: i Padri Filippini incaricano Filippo Juvarra della ricostruzione dell’edificio; i lavori riprendono nel 1732 per la facciata e il pronao,

con l’impiego della pietra di Brusasco e di quella di Gassino.

1735: sono messi in opera i medaglioni lapidei, sopra le porte laterali, realizzati da Giovanni Baratta.

1737: Giovanni Battista Sacchetti sostituisce Juvarra nella direzione del cantiere; a lui subentra Ignazio Baroni di Tavigliano.

1770: la volta e la copertura a capriate lignee vengono completate sotto la direzione di Michele Barberis.

1823: Giuseppe Maria Talucchi assume la direzione dei lavori per la chiesa, ancora incompiuta; nel 1854 si appone la cancellata

fra le colonne della facciata.

1891: Ernesto Camusso costruisce il timpano e le balaustrate laterali di coronamento.

1960-1965: le decorazioni in stucco del pronao sono rivestite da altro gesso.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 1992-1993:Si decide di procedere a un intervento biennale; il primo lotto di lavori è incentrato sul restauro delle coperture e il secondo lotto

sul restauro della facciata e del pronao, compresi tutti gli apparati decorativi esterni.

Alta sorveglianza: Daniela Biancolini, Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte e Michela di Macco, Soprintendenza

Beni Artistici e Storici del Piemonte

Direzione lavori: Roberto Pagliero e Stefano Trucco

Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali; direzione cantiere: Luigi Rocchia

Rilievi: Giovanni Pierro

Analisi mineralogiche e petrologiche: Giacomo Chiari, Università di Torino

Opere di restauro: Valentina Barbareschi e Gianguido Dragoni

Restauro portali: Aldo Zengiaro

Progettazione grafica: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri

Fotografie: Mariano Dallago

Gestione amministrativa: Francesco Malaguzzi, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

In occasione del restauro è stata ristampata e aggiornata la brochure Sui tetti e oltre per Torino.

LA CONSULTA: SOCI: Banca Brignone, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Fiat, Fondazione

Crt, Fornara, Gruppo Garosci, Gruppo Gft, Ilte, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni

Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione Industriale

di Torino, Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Ascheri (Ilte), Giovanni Merlini (Utet), Giannicola

Pivano (Sei), Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), Giovanni Roggero Fossati (Compagnia di San Paolo), Tullio Toledo

(Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario Renato Ricci (Unione Industriale), consulente storico-artistica Angela Griseri.

COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat).

CRONOLOGIA: 1738: Carlo Emanuele III affida la costruzione del Teatro Regio a Benedetto Alfieri, conclusa nel 1740.

1936: un incendio distrugge completamente l’edificio; l’anno successivo viene indetto un concorso nazionale, vinto da Aldo Morbelli

e Robaldo Morozzo della Rocca; la ricostruzione del Teatro viene rimandata a causa delle vicende belliche.

1966: affidamento di un nuovo progetto a Carlo Mollino; il teatro veniva inaugurato nel 1973.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 1993-1994:Per salvaguardare l’“Atrio delle carrozze”, dedicato a Francesco Tamagno, si realizza la fusione in bronzo della nuova Cancellata, Odissea

Musicale, opera di Umberto Mastroianni, con la direzione dei lavori di Silvano Cova, Teatro Regio di Torino e di Lino Malara, Soprintendente

Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte

Città di Torino: Antes Bortolotti, dirigente fabbricati per la cultura; Franco Pennella, ingegnere capo

Realizzazione delle cere: Laboratorio Anselmi, Roma

Fusioni in bronzo: Fonderia Fratelli Barberis, Torino

Coordinamento delle fusioni: Massimo Locci, Roma

Fotografie: Daniele Regis

Progettazione grafica: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

In occasione del restauro è stato pubblicato il volume Mastroianni. Odissea musicale. La Cancellata scultorea di Umberto Mastroianni

per il Teatro Regio di Torino, Torino 1994.

LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino,

Compagnia di San Paolo, Fiat, Fondazione Crt, Gruppo Garosci, Ilte, Lavazza, Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società

Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Angelo Ascheri (Ilte), Gianni Merlini (Utet),

Giannicola Pivano (Sei), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt),

segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf Industrie)

COMMISSIONE FINANZIARIA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo)

COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat)

Page 115: Un'Avventura Torinese

LA PINACOTECA DELL’ACCADEMIA ALBERTINA

1987-2010 gli interventi della consulta 221220 un’Avventura TORINESE

L’AULA DEL PARLAMENTO ITALIANOIN PALAZZO CARIGNANO

CRONOLOGIA: 1824-1829: l’arcivescovo casalese Vincenzo Maria Mossi di Morano dona la collezione di oltre duecento dipinti all’Accademia Albertina

per favorire “l’istruzione dei giovani inclinati alla bell’arte del disegno e della pittura”.

1832: Carlo Alberto dona la rarissima collezione dei sessanta cartoni e disegni cinquecenteschi, realizzati da Gaudenzio Ferrari

e dalla sua scuola; seguono altri lasciti e donazioni.

1933: Noemi Gabrielli, Soprintendente alle Gallerie del Piemonte, pubblica il fondamentale Inventario delle collezioni di pittura

e di scultura, purtroppo stipate in cinque sale e nei depositi e inizia il restauro programmatico delle opere, con specifici

interventi continuati fino a oggi.

1993-1994: Carlo Giuliano, direttore dell’Accademia, recupera gli spazi prima occupati dal liceo artistico, dando seguito allo spostamento

della Biblioteca storica e degli uffici.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 1995-1996:Totale ristrutturazione e adeguamento museale della Pinacoteca: dalle iniziali cinque sale espositive si passa così a dodici sale,

che permettono di presentare le opere più significative, dai cosiddetti “primitivi” ai caravaggeschi, fino alle testimonianze dei più importanti

maestri e allievi dell’Accademia dell’Ottocento e del Novecento. Particolare attenzione è stata dedicata alla sala dei cartoni gaudenziani:

si è cercato di renderli integralmente consultabili grazie alla creazione, su una delle pareti, di supporti metallici scorrevoli. Il nuovo allestimento

è stato particolarmente meditato e seguito da Giovanna Galante Garrone, Soprintendenza Beni Artistici e Storici, con la direzione dei lavori

di Roberto Pagliero e Stefano Trucco; la Regione Piemonte si è fatta carico delle spese di gestione per l’apertura al pubblico della Pinacoteca

e continua, ancora oggi, a sostenere questa realtà museale

Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali

Consulenza per il progetto illuminotecnico: Sergio Berno, Jeannot Cerutti

Impianto illuminazione: Pietranera Impianti Elettrici

Opere in metallo: Salgipa di Salvati & C.

Opere in legno: Boglione

Grafica e comunicazione: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri

Gestione amministrativa della Pinacoteca: Associazione Piemontese Arte

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

Nel 2005, la Consulta e la Compagnia di San Paolo hanno sponsorizzato la mostra “Bartolomeo Cavarozzi. Sacre Famiglie

a confronto”, curata da Daniele Sanguineti, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico del Piemonte.

LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Bicc Ceat Cavi, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato

e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo, Elah Dufour, Fiat, Fondazione Crt, Gruppo Garosci, Gruppo Gorla, Ilte, Italgas, Lavazza,

Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie,

Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo), Marco Brignone (Banca Brignone), Bruno Cerrato (Camera

di Commercio), Luigi Garosci (Gruppo Garosci), Elio Giordano (Compagnia di San Paolo), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni),

Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf Industrie).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Angelo Ascheri (Ilte).

COMMISSIONE TECNICA: Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), Mario Verdun di Cantogno (Fiat).

CRONOLOGIA: 1860-1865: Camillo Cavour affida ad Amedeo Peyron la realizzazione, nel cortile, di un’Aula provvisoria, mentre procedono i lavori

per quella definitiva, che avrebbe dovuto ospitare le sedute del Parlamento Italiano.

1864-1872: la Città di Torino incarica Domenico Ferri e Giuseppe Bollati di realizzare la parte ottocentesca di Palazzo Carignano.

1870: Francesco Gonin affresca la volta con il medaglione centrale dedicato a Le Deità che presiedono alle scienze e alla letteratura

inviano i loro Genii a premiare il Merito sulla Terra; nei gruppi angolari la Medicina, la Letteratura, la Matematica e la Giurisprudenza.

1871: l’Aula viene inaugurata ufficialmente con un banchetto per circa mille invitati, per festeggiare la conclusione dei lavori al traforo

del Frejus.

1876: trasferimento delle collezioni del Museo di Zoologia.

1937-1938: si destina il Palazzo a sede del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano.

1961: in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’Unità d’Italia, le pareti dell’Aula vengono ricoperte da una vernice

acrilica grigia.

1983: si esegue un pronto intervento, finalizzato al fissaggio degli intonaci e delle volte.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 1996-1997:Il restauro conservativo riporta l’Aula al suo aspetto originario, e recupera le delicate cromie ottocentesche, con la direzione dei lavori

di Carla Enrica Spantigati, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte e di Valerio Corino, Soprintendenza Beni Ambientali

e Architettonici del Piemonte.

Progetto delle opere provvisionali: Lorenzo Buonomo

Rilievi: Andrea Megna

Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali

Opere di restauro: Laboratorio Rava

Restauro bandiere: Cinzia Oliva

Progetto illuminotecnico: Sergio Berno

Impianti: Pietranera Impianti elettrici

Progettazione grafica comunicazione: Gabriella Bocchio e Giulio Palmieri

Progettazione grafica della mostra: Studio Mark di Paolo Bertolino

Allestimento mostra: Gruppo Bodino; Fotografie: Mariano Dallago

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

In occasione del restauro e dei dieci anni di attività, è stata realizzata una mostra fotografica sugli interventi realizzati dalla Consulta.

LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Bicc Ceat Cavi, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato

e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo, Elah Dufour, Fiat, Fondazione Crt, Gruppo Garosci, Gruppo Gorla, Ilte, Italgas, Lavazza,

Martini & Rossi, Recchi Costruzioni Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Sei-Società Editrice Internazionale, Skf Industrie, Toro

Assicurazioni, Unione Industriale di Torino.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo), Bruno Cerrato (Camera di Commercio), Luigi Garosci (Gruppo

Garosci), Giorgio Introvigne (Axa Assicurazioni), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Giacomo Vitali (Italgas), Mario Zibetti

(Arthur Andersen), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf Industrie).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Angelo Ascheri (Ilte).

COMMISSIONE TECNICA: Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali) e Mario Verdun di Cantogno (Fiat).

Page 116: Un'Avventura Torinese

LA SALA LEONARDO DELLA BIBLIOTECA REALE

1987-2010 gli interventi della consulta 223222 un’Avventura TORINESE

IL PALAZZO DELL’UNIVERSITÀ:CORTILE, LOGGIATO E SCALONI

CRONOLOGIA: Agli inizi del Quattrocento viene costruita una Galleria di collegamento tra il Palazzo del Vescovo (Palazzo Reale) e Palazzo Madama,

poi demolita agli inizi dell’Ottocento. Tra il 1605 e il 1607 Carlo Emanuele I la fa splendidamente decorare da un’équipe di artisti guidata

da Federico Zuccari e la destina a ospitare le sue collezioni artistiche inserite in parte nella “Libreria e Museo di cose rare e curiose”.

1837-1842: Carlo Alberto affida a Pelagio Palagi la realizzazione della nuova sede della Biblioteca Reale, individuata al piano terreno dell’ala

di levante di Palazzo Reale sotto la Galleria del Beaumont; la volta del Salone viene decorata dai pittori Angelo Moja e Marco

Antonio Trefogli.

1840: Carlo Alberto acquista da Giuseppe Volpato la consistente collezione di disegni, comprendente anche quelli di Leonardo da Vinci.

1893: il collezionista russo Teodoro Sabachnicov dona a Umberto I il Codice sul volo degli uccelli di Leonardo da Vinci.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 1997-1998:Realizzazione della nuova “Sala Leonardo”, progettata come un caveau al piano seminterrato, attrezzato con le più moderne tecnologie:

climatizzato, dotato di un sistema di spegnimento automatico in caso di incendio, di una porta blindata e di rilevatori con controllo

a distanza. La sala è attrezzata con diciannove vetrine-contenitori, in ottone brunito e legno di noce, suddivisi in tre settori: due per la

conservazione di disegni e manoscritti e uno mediano per l’esposizione. L’illuminazione è realizzata con fibre ottiche a intensità regolabile.

Progetto e direzione lavori: Roberto Pagliero, Stefano Trucco e Roberto Vincenzi

Progetto illuminotecnico: Sergio Berno

Impresa: Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali

Impianti: Pietranera Impianti Elettrici

Arredi della sala: Salgipa di Salvati & C.; Garau Arredamenti & Design; Montanaro; Rech & C.; Nova Impianti di Abrami Mario; Interlegno;

Sipariette di Corronca; Aldo Zengiaro; Mario Sezzano

Fotografie: Mariano Dallago

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

In occasione della realizzazione della Sala Leonardo è stata organizzata, con il contributo della Regione Piemonte, la mostra “Leonardo

e le Meraviglie della Biblioteca Reale di Torino”, con catalogo a cura di Giovanna Giacobello Bernard.

LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Bicc Ceat Cavi, Cartiere Burgo, Camera di Commercio Industria Artigianato

e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo, Elah Dufour, Ersel, Fiat, Fondazione Crt, Gruppo Garosci, Gruppo Gorla, Ilte, Italgas, L’Oreal,

La Piemontese Assicurazioni, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, Reale Mutua Assicurazioni, Recchi Costruzioni

Generali, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Toro Assicurazioni, Unicem, Unione Industriale di Torino e Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo), Bruno Cerrato (Camera di Commercio di Torino), Luigi Garosci

(Gruppo Garosci), Giorgio Introvigne (Axa Assicurazioni), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni), Giacomo Vitali (Italgas),

Mario Zibetti (Arthur Andersen), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf), Tullio Toledo (Lavazza).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo).

COMMISSIONE TECNICA: Emanuela Recchi (Recchi Costruzioni Generali), Mario Verdun di Cantogno (Fiat).

CRONOLOGIA: 1712-1713: Per volontà di Vittorio Amedeo II, Michelangelo Garove progetta la nuova sede del Palazzo

dell’Università (istituzione fondata nel 1404); il progetto viene continuato da Giovanni Antonio Ricca

per l’impostazione del grandioso cortile con loggiato.

1715-1720: Filippo Juvarra realizza le parti decorative in stucco di porte e finestre, e il portale in marmo di Chianocco

su via Po.

1718-1720: l’erudito Scipione Maffei chiede di collocare nel cortile importanti reperti, accanto a un Gabinetto

di curiosità che ospita oggetti relativi alla fisica, alla matematica e alla botanica.

Fine secolo XVIII-inizi secolo XIX: il loggiato è arricchito da statue, busti e dal gruppo in marmo “La Fama che incatena il Tempo”, opera

dei fratelli Ignazio e Filippo Collino, destinato in realtà al mausoleo sabaudo di Saint-Jean de Maurienne.

1834: Giuseppe Maria Talucchi realizza il portale principale su via Verdi.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 1999-2000:Restauro conservativo del cortile, dei due scaloni e del loggiato. L’intervento comprende il restauro di: sei statue, trentotto busti, il gruppo

scultoreo dei fratelli Collino, le iscrizioni, l’orologio antico, sotto l’alta sorveglianza di Paola Salerno, Soprintendenza Beni Ambientali

e Architettonici del Piemonte e di Cristina Mossetti, Soprintendenza Beni Artistici e Storici del Piemonte.

Ricerche storiche: Rita Binaghi, Università di Torino

Rilievi e responsabile del procedimento: Daniele Cappello, Ufficio tecnico dell’Università di Torino

Analisi: Oscar Chiantore, Dipartimento di Chimica, Giacomo Chiari, Dipartimento Scienze Mineralogiche e Petrologiche, Università di Torino;

Antonietta Gallone, Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano; Lorenzo Apollonia, Soprintendenza di Aosta

Impresa: Borini Costruzioni; direzione cantiere: Alberto Chiesa

Decoratori: Sa.Ma.Ra.

Restauro: Laboratorio Giorgio Gioia con Chiara Giani; per le opere in bronzo: Tiziana Igliozzi e Valeria Borgialli; per il gruppo dei Collino

(con la tecnica a laser): Anna Brunetto

Responsabile per la sicurezza e progetto illuminotecnico: Sergio Berno

Fotografie: Blue Skies Studio di Ernani Orcorte

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

Pubblicazione del volume Tra restauro e recupero. La Consulta dal 1987 ad oggi, a cura di Pier Luigi Bassignana e Angela Griseri.

LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Axa Assicurazioni, Banca Brignone, Bicc Ceat Cavi, Buzzi Unicem, Cartiere Burgo, Camera di Commercio

Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Compagnia di San Paolo, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Garosci, Gruppo Gorla, Ilte, Italgas,

La Piemontese Assicurazioni, Lavazza, L’Oreal, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, Pininfarina, Reale Mutua Assicurazioni, Sagat Turin

Airport, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Skf, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino e Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Giuseppe Dondona (Gruppo Gorla), Massimo Geroli (Bicc Ceat Cavi), Giuseppe Lignana

(Cartiere Burgo), Enrico Marenco di Moriondo (Reale Mutua Assicurazioni), Alessandro Rosboch (La Piemontese Assicurazioni), Giacomo

Vitali (Italgas), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf), Lodovico Passerin d’Entrèves (Toro Assicurazioni),

Tullio Toledo (Lavazza).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Marco Navone (Ilte).

COMMISSIONE TECNICA: Mario Verdun di Cantogno (Fiat).

Page 117: Un'Avventura Torinese

1987-2010 gli interventi della consulta 225224 un’Avventura TORINESE

IL MONUMENTO A FERDINANDO DI SAVOIA

IL MONUMENTO A VITTORIO EMANUELE II

CRONOLOGIA: 1878: Umberto I dona al Municipio di Torino l’ingente somma di un milione di lire finalizzata a realizzare il monumento in memoria del padre

Vittorio Emanuele II. Il Consiglio comunale indice un concorso, a cui vengono inviati 46 bozzetti e 8 disegni.

1879: la commissione, composta da Carlo Ceppi, Andrea Gastaldi e Francesco Gonin, assegna l’incarico a Pietro Costa, il cui bozzetto spicca

per “novità di impostazione”; il termine dei lavori viene fissato al 1885. Tantissimi i problemi da affrontare: dalle questioni tecniche

per la scelta dei materiali del basamento e delle colonne, a questioni pratiche come la scelta del Costa di far realizzare la fusione

della statua del re a Roma.

1882: posa della prima pietra del monumento.

1885: i quattro gruppi allegorici – la Libertà, la Fratellanza, il Lavoro, l’Unità – con le aquile sono ancora da realizzare e rimane

da completare la parte muraria e lapidea.

1897: la Città di Torino condanna il Costa a consegnare il monumento, se pure incompleto, e ne entra in possesso l’anno successivo.

1899: solenne inaugurazione alla presenza dei sovrani.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2000-2001:Per le parti in bronzo si procede a intervenire con un sistema di sabbiatura effettuato con un abrasivo tenero, ricavato dalla macinazione dei gusci

di noce; questo metodo permette di non togliere la patina originaria, quindi di non scoprire il metallo e non esporlo ad attacchi corrosivi diretti.

Le operazioni di restauro durano otto mesi: 2000 metri quadri di superficie da trattare distribuiti su 38 metri di altezza, 3000 chili di graniglia vegetale

per la pulitura, 300 litri di miscele di inibitori di corrosione, 150 chili di cera microcristallina e 600 litri di resina acrilica per la protezione superficiale.

Alta sorveglianza artistica e tecnica: Leonardo Mastrippolito, Ufficio tecnico della Città di Torino; Daniela Biancolini, Soprintendenza Beni

Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e Paolo Venturoli, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico

del Piemonte

Progettista, direzione lavori e responsabile sicurezza: Giancarlo Mezzo

Consulenza strutturale: Paolo Napoli; responsabile dei lavori: Gianfranco F. Lo Cigno

Opere provvisionali: Impresa Borini Costruzioni; direttore di cantiere: Alberto Chiesa

Progetto per la comunicazione di cantiere: Mix p.r. Comunicazione; realizzazione: Sipea

Consulenza specifica per il restauro: Sergio Angelucci, Roma; Opere di restauro: Laboratorio Rava

Indagini e analisi: Guido Biscontin, Venezia con la collaborazione di Arcadia Ricerche, Marghera

Fotografie: Mariano Dallago, Maurizio Roatta, Davide Schirripa; Revisione illuminazione: Aem

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

In occasione del restauro, è stata realizzata la pubblicazione Vittorio Emanuele II. Un Monumento restituito alla Città, a cura di Pier Luigi

Bassignana e Angela Griseri.

LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Banca Brignone, Buzzi Unicem, Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Garosci,

Gruppo Gorla, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Ilte, Italgas, La Piemontese Assicurazioni, Lavazza, L’Oreal, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini

& Rossi, Pininfarina, Pirelli, Reale Mutua Assicurazioni, Sagat Turin Airport, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Seat Pagine Gialle, Skf, Telecom

Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino e Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidenti: Luigi Garosci e Renzo Giubergia (Ersel), Massimo Antonetto (Marco Antonetto Farmaceutici), Maria Luisa Buzzi

(Buzzi Unicem), Filippo Ferrua (Ferrero), Enrico Marenco di Moriondo (Reale Mutua Assicurazioni), Sulo Resuli (L’Oreal), tesoriere Giovanni Ciarlo

(Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Tullio Toledo e Alessandra Bianco (Lavazza).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Marco Navone (Ilte).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).

CRONOLOGIA: 1863: Vittorio Emanuele II decide di dedicare un monumento al fratello Ferdinando Alberto Maria di Savoia Carignano, purtroppo

morto di mal sottile a soli trentatrè anni; il principe si era distinto valorosamente nella Battaglia della Bicocca (1849), l’episodio

conclusivo della prima guerra d’Indipendenza. Alfonso Balzico è lo scultore scelto dal re, particolarmente apprezzato

per il disegno e la modellazione rivolta al tema dei cavalli, dal 1866 nominato “scultore della casa reale”. Il monumento

rappresenta il principe nel momento in cui sente mancare il cavallo che, colpito, cade a terra; nei due bassorilievi l’Assedio

di Peschiera e la Battaglia della Bicocca vicino a Novara.

1867: consegna del modello in gesso alla Fonderia Papi di Firenze per la fusione, realizzata nell’arco di tre anni. Per motivi diversi,

il monumento viene concluso e inaugurato solo nel 1877.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2001-2002:Il restauro ha rimosso la diffusa formazione di croste nere e polveri compattate. Nelle parti in bronzo, notevoli erano le ossidazioni alla patina,

colpita da cloruri e solfati che avevano causato una colorazione variegata tendente al grigio. Dopo accurato controllo statico, si è passati

alla pulitura del monumento effettuata con bisturi, martelletti e microspazzole, alla rimozione dei depositi polverosi, all’esecuzione di piccole

saldature e sigillature. L’intervento ha rivelato una qualità tecnica e compositiva straordinaria del monumento, restituendo quella “visibilità”

che il tempo e la scarsa manutenzione gli avevano tolto.

Alta sorveglianza artistica e tecnica: Leonardo Mastrippolito, Ufficio tecnico della Città di Torino; Paola Salerno, Soprintendenza Beni

Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e Bruno Ciliento, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico

del Piemonte

Opere provvisionali: Impresa Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali, direzione cantiere: Luigi Rocchia

Consulenza per il restauro: Paolo Nencetti, Opificio delle Pietre Dure di Firenze; Opere di restauro: Arte Restauro Conservazione

di Cristina Maria Arlotto

Indagini e analisi: Rankover, Cultura e Tecnologia del restauro, Verona

Progetto per la comunicazione di cantiere: Massimo Venegoni, Studio Dedalo; realizzazione cartelloni: Sipea

Fotografie: Marco e Paolo Gonella, Blue Skies Studio di Ernani Orcorte

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

In occasione del restauro è stata pubblicata la brochure Restauro del Monumento. Ferdinando di Savoia Duca di Genova,

a cura di Pier Luigi Bassignana e Angela Griseri

LA CONSULTA: SOCI: Arthur Andersen, Banca Brignone, Buzzi Unicem, Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt,

Garosci, Gruppo Gorla, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Ilte, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, L’Oreal, Marco Antonetto Farmaceutici,

Martini & Rossi, Pininfarina, Pirelli, Reale Mutua Assicurazioni, Sagat Turin Airport, Sai-Società Assicuratrice Industriale, Seat Pagine Gialle,

Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Renzo Giubergia (Ersel), Massimo Antonetto (Marco Antonetto Farmaceutici), Maria Luisa Buzzi (Buzzi

Unicem), Filippo Ferrua (Ferrero), Luigi Garosci, Enrico Marenco di Moriondo (Reale Mutua Assicurazioni), Sulo Resuli (L’Oreal), tesoriere

Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Luciano Lenotti (Skf), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Tullio Toledo e Alessandra Bianco (Lavazza).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Marco Navone (Ilte).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).

Page 118: Un'Avventura Torinese

1987-2010 gli interventi della consulta 227226 un’Avventura TORINESE

PALAZZINA DELLA PROMOTRICELE FACCIATE

L’ASSE DEL BELVEDERE DI VILLA DELLA REGINA

CRONOLOGIA: 1615, 1618-1619: sono documentati lavori alla Villa, tradizionalmente attribuita ad Ascanio Vitozzi. La costruzione è voluta dal principe

cardinale Maurizio di Savoia sul modello delle ville romane.

1657: la moglie, principessa Ludovica, amplia fabbricati e giardini; altri importanti aggiornamenti decorativi sono avviati nel 1692

da Anna d’Orléans, moglie di Vittorio Amedeo II.

1728: Filippo Juvarra riceve l’incarico di ridefinire complessivamente gli spazi e i rapporti con il giardino per la nuova regina

Polissena d’Assia; Juvarra viene affiancato da Giovanni Pietro Baroni di Tavigliano, quest’ultimo ancora attivo tra il 1760

e il 1780 per Maria Antonia Ferdinanda di Borbone: si realizzano le scuderie, il Palazzo del Chiablese, danneggiati e demoliti

dopo la seconda guerra mondiale.

1994-2005: tutto il complesso passa in consegna alla Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico

del Piemonte che redige, avvia e realizza il Progetto generale di restauro e riapertura al pubblico.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2002-2003:Il recupero dell’Asse del Belvedere è un tassello significativo che si inserisce nel restauro ambientale e paesaggistico, finalizzato

a valorizzare l’immagine scenografica di tutto il complesso, in prospettiva finale dell’asse storico urbano che congiunge via Po con via Villa

della Regina. Continui approfondimenti, indagini e ricerche, anche in corso d’opera, hanno permesso di comprendere le ragioni del dissesto

e del degrado e quindi di recuperare correttamente il sistema idraulico, gli impianti decorativi e architettonici nelle loro diverse fasi storiche

e tecniche. Particolarmente complessi i lavori alla Peschiera e alla Grotta del Re Selvaggio, straordinario esempio di decorazione sei-settecentesca

con conchiglie e materiali lapidei di differenti colorazioni, ampiamente integrati. Molto nutrito il gruppo di lavoro dei professionisti e degli studiosi,

diretto con grande capacità da Cristina Mossetti, Direttrice di Villa della Regina per la Soprintendenza Beni Artistici, Storici ed Etnoantropologici

del Piemonte, in collaborazione con Maria Carla Visconti per la Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte.

Progettazione, direzione scientifica e operativa: Federico Fontana con Alessandra Perugini; Cristina Mossetti con Anna Maria Bava

e Roberta Bianchi, Maria Carla Visconti

Responsabile del procedimento: Carla Enrica Spantigati, Soprintendente Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte

Rilievi: Federico Fontana, Stephane Garnero, Giorgio Rolando Perino; Rilievi stereofotogrammetrici: Foart

Direzione dei lavori: Federico Fontana; Direzione e diagnosi delle opere strutturali: Paolo Sorrenti, Cesare Berti

Coordinatore per la sicurezza: Roberto Mortarino

Opere provvisionali, edili e strutturali: Impresa Zoppoli & Pulcher Costruzioni Generali; Impianti idraulici: Piero Bianchi

Opere di restauro: Koinè; Novaria Restauri (per la Grotta del Re Selvaggio); Opere da giardiniere: F.lli Airaudi

Fotografie: Giacomo Gallarate, Giacomo Lovera

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

LA CONSULTA: SOCI: Banca Popolare di Bergamo/Banca Brignone, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino, Cartiere Burgo,

Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario

Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, L’Oreal Saipo, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua

Assicurazioni, Seat Pagine Gialle, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Renzo Giubergia (Ersel), Massimo Antonetto (Marco Antonetto Farmaceutici), Maria Luisa Buzzi (Buzzi

Unicem), Filippo Ferrua (Ferrero), Luigi Garosci, Enrico Marenco di Moriondo (Reale Mutua Assicurazioni), Sulo Resuli (L’Oreal Saipo), tesoriere

Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Marco Sobrero (Ersel), Tullio Toledo e Alessandra Bianco (Lavazza),

Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Dario Disegni (Compagnia di San Paolo).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).

CRONOLOGIA: 1842: è fondata la Società Promotrice delle Belle Arti, finalizzata a favorire il mercato d’arte attraverso l’acquisto

e l’esposizione di opere d’arte, presentate in rassegne annuali. Il suo ruolo diventa quello di struttura espositiva ufficiale

della capitale subalpina, in stretto rapporto con l’Accademia Albertina.

1860 circa: la Società è ospitata nel Palazzo progettato da Alessandro Mazzucchetti, Carlo Ceppi e Cimbro Gelati in via della Zecca 25;

le esposizioni sono invece allestite in locali provvisori situati all’interno del parco del Valentino, messi a disposizione dal Comune.

1914-1923: la Società, direttore Davide Calandra, decide di stanziare 200.000 lire per costruire la nuova sede in viale Balsamo Crivelli.

Progettista è l’ingegnere Bonicelli che prevede otto sale e un grande salone centrale, illuminati da ampi lucernari; Edoardo

Rubino viene incaricato dei lavori per le parti esterne in pietra artificiale, arricchite da un bassorilievo raffigurante le Arti Liberali,

mentre la decorazione di tutti gli interni è affidata a Giulio Casanova.

1923-1925: lavori di ampliamento realizzati da Giovanni Chevalley.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2004:Il restauro si è incentrato sull’architettura esterna, dedicando particolare attenzione alle decorazioni e ai fregi, opera dello scultore

Edoardo Rubino; preliminarmente sono state eseguite approfondite analisi e indagini stratigrafiche in accordo con le Soprintendenze

competenti e con l’Ufficio Colore della Città, per consolidare e integrare gli intonaci e gli apparati decorativi delle facciate.

Questo intervento ha costituito il tassello finale, ma significativo, all’interno della completa ristrutturazione della Palazzina, finalizzata

a restituire una maggiore funzionalità a questa storica e prestigiosa sede espositiva.

Alta sorveglianza: Daniela Biancolini, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e Cristina Mossetti,

Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte

Progettazione, direzione lavori, sicurezza: Cosimo Turvani, Studio Icis

Responsabile dei lavori: Adriano Borello

Opere di restauro: Spada & Spada

Restauro degli apparati decorativi: Barbara Rinetti

Progetto grafica di cantiere: Supermaxistudio

Fotografie: Blue Skies di Ernani Orcorte

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

Si ristampa il volume istituzionale Per Torino. Gli interventi della Consulta dal 1987 ad oggi, a cura di Pier Luigi Bassignana e Angela Griseri.

Creazione di un sito web: www.consultaditorino.it realizzato da Shorr-Kan.

LA CONSULTA: SOCI: Banca Popolare di Bergamo-Gruppo Bpu Banca, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino,

Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo

Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi,

Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto

Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica

Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Sulo Resuli (L’Oreal Saipo),

Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).

Page 119: Un'Avventura Torinese

1987-2010 gli interventi della consulta 229228 un’Avventura TORINESE

LA CANCELLATA DI PALAZZO REALE

LE FONTANE DEL PO E DELLA DORA IN PIAZZA cln

CRONOLOGIA: 1936: il Comune approva il progetto di Giuseppe Momo e Marcello Piacentini relativo alla sistemazione del secondo tratto

di via Roma, prevedendo “la formazione di due facciate monumentali in pietra da taglio verso la nuova piazzetta: le due facciate

comprenderanno due fontane con sculture allegoriche”. Le statue, realizzate in marmo di Serravezza, raffigurano i due fiumi, il Po

e la Dora, il Comune assegna il lavoro allo scultore Umberto Baglioni. Seguono le opere relative all’esecuzione dell’impianto delle

elettropompe necessarie a garantire l’acqua alle fontane; a conclusione le vasche saranno rivestite con materiale ceramico.

1987: in occasione del cinquantenario di via Roma, l’architetto Rosenthal allestisce una mostra nella piazza e, per pochi giorni, le fontane

vengono riattivate.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2005:L’intervento, per le parti lapidee, è consistito nel preconsolidamento delle zone disgregate, per passare alla pulitura dei depositi carboniosi

e all’asportazione dei depositi acidi tramite l’uso di acqua nebulizzata e impacchi di polpa di carta. A seguire, stuccatura di tutte le fessure,

crepe e lacune con una malta a calce idraulica e con polvere di marmo; a conclusione, applicazione di un protettivo superficiale. Il secondo

lotto di lavori ha riguardato la complessa opera di impermeabilizzazione delle vasche, in collaborazione con la Smat - Società Metropolitana

Acque Torino che ha provveduto al rifacimento dell’impianto idrico, con un contributo del Lions Club International Distretto 108.

Alta Sorveglianza: Paola Salerno, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte e Bruno Ciliento, Soprintendenza

per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte; Leonardo Mastrippolito, Città di Torino, Settore Edifici per la Cultura

Progettazione, direzione lavori e sicurezza: Marco Abbio, Giuseppe Depascale

Opere di restauro: Doneux e Soci Restauro Opere d’Arte; direttore tecnico: Kristine Doneux; direttore di cantiere: Federico Doneux

Opere provvisionali ed edili: Sivim, Alessandria

Opere di impermeabilizzazione: Emilio Borgatta

Impianti idrici: Piergiorgio Bertero, Smat - Società Metropolitana Acque Torino.

Impianto illuminazione: Felice Serra e Alessandra Paruzzo, Azienda Energetica Metropolitana Torino

Fotografie: Giacomo Lovera, Blue Skies di Ernani Orcorte

Progettazione grafica: Supermaxistudio; realizzazione: Format

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

LA CONSULTA:SOCI: Banca Popolare di Bergamo-Gruppo Bpu Banca, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino,

Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo

Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi,

Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet

COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto

Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica

Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati

(Fondiaria-Sai).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).

CRONOLOGIA: 1834: Carlo Alberto incarica Pelagio Palagi di realizzare il progetto per la nuova Cancellata.

1835: Giovanni Colla e Chiaffredo Odetti ricevono in pagamento 145.500 lire per la “formazione e collocamento di una grande cancellata

in ferro fuso lavorato avanti il reale Palazzo Grande” e per “dare colore ad olio a due mani ad ambe le parti”.

1842: Giovanni Battista Viscardi e Luigi Manfredini realizzano la fusione in bronzo di Castore e Polluce a cavallo, opera di Abbondio

Sangiorgio; le forme in gesso erano state eseguite da Diego Marielloni; solo nel 1847 le statue vengono collocate sui pilastri

in marmo della Valle San Martino, opera di Farinelli e Gaggini.

Il Palagi completa la cancellata con otto candelabri in ferro fuso, alimentati a gas, tecnologia allora molto innovativa.

1895: l’architetto di corte Emilio Stramucci richiede una manutenzione; lo stato di conservazione della cancellata risulta precario in quanto

la fusione originaria è stata suddivisa in troppe parti, determinando molteplici infiltrazioni d’acqua.

1932: la Real Casa decide di sostituire la cancellata con un’altra nuova in ghisa; la rifusione viene affidata alla ditta

Manfredi & Bongioanni di Fossano.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2004-2005:Dopo un approfondito rilievo, con relativa mappatura del degrado, sono state eseguite numerose indagini preliminari. La doratura,

rintracciata nelle punte e nelle teste di Medusa, non era stata realizzata a foglia d’oro ma a porporina dorata; le uniche tracce di foglia d’oro

si riscontrano, all’interno della Piazzetta Reale, sulla prima Medusa, quella verso la Biblioteca Reale. La Cancellata presentava parti rotte

e staccate: le cause principali erano imputabili sia ad assestamenti e a cedimenti sia a fenomeni di corrosione e di ossidazione; la vernice

color ferro micacea, risalente a una manutenzione degli anni Ottanta del Novecento, era ormai consumata e molto permeabile alle

infiltrazioni di acqua; dopo la pulitura e il consolidamento, è stato steso un color verde bronzato, in sintonia con quello delle statue equestri.

Progettazione e direzione lavori: Daniela Biancolini, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte

Alta sorveglianza: Carla Enrica Spantigati e Paola Astrua, Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte

Rilievi: Studio Vinardi: Monica Fantone e Barbara Vinardi; Sicurezza: Gianfranco Vinardi

Indagini diagnostiche: Emma Angelini e Sabrina Grassini, Politecnico di Torino; Marcello Baricco e Paola Rizzi, Università di Torino;

Guido Biscontin, Università Cà Foscari di Venezia; Guido Driussi, Arcadia Ricerche, Marghera (Ve)

Consulenza per restauro Dioscuri: Giuseppe Longega, Università di Venezia

Opere provvisionali: Co.velt; Opere di restauro: Novaria Restauri; direttore di cantiere: Sonia Segimiro; direttore tecnico: Giovanna

Mastrotisi; responsabile di cantiere: Alessandro Segimiro; Opere da fabbro: Bessone Livio & C.

Adeguamento dell’impianto di illuminazione: Aem - Azienda Energetica Metropolitana Torino; Fotografie: Giacomo Gallarate

Progettazione grafica: Supermaxistudio; Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

LA CONSULTA: SOCI: Banca Popolare di Bergamo - Gruppo Bpu Banca, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura

di Torino, Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo

Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi,

Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto

Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente

storico-artistica Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Sulo Resuli (L’Oreal Saipo),

Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat); COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).

Page 120: Un'Avventura Torinese

1987-2010 gli interventi della consulta 231

LE STATUE DELLE QUATTRO STAGIONI

CRONOLOGIA: 1741-1752: Simone Martinez, nipote di Filippo Juvarra, realizza le statue delle Quattro Stagioni, in marmo di Frabosa, inizialmente

concepite per la Galleria del Beaumont di Palazzo Reale, in realtà collocate nella Reggia di Venaria nella Galleria

di collegamento tra l’Appartamento del duca di Savoia e la Cappella, il cosiddetto Rondò progettato dall’architetto Benedetto Alfieri.

1810: le statue vengono trasportate nei Giardini di Palazzo Reale, restaurate dallo scultore Giacomo Spalla: questo intervento rientra

nel progetto dell’architetto Giuseppe Battista Piacenza di realizzare un museo imperiale di scultura.

Sono state riportate nuovamente a Venaria nel 2007, riproponendo la loro collocazione nelle nicchie del Rondò alfieriano.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2007:Le statue erano molto danneggiate dall’incuria del tempo e dalle condizioni atmosferiche.

Direzione lavori storico-artistici: Carla Enrica Spantigati, Soprintendente Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte;

Mirella Macera, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte

Responsabile dei Lavori e Coordinamento sicurezza: Studio Vinardi

Opere provvisionali: Co.velt

Opere di restauro: Cooperativa per il Restauro, Milano

Indagini chimiche: Alessandro Princivalle

Rilievo a laser scanner: Cat-Consorzio Arte Tecnologia

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

CRONOLOGIA: 1619-1621: Vittorio Amedeo I fa acquistare gli arazzi a Parigi per ornare le sale del Palazzo Ducale di Torino, dove rimangono fino al 1753

quando nove di essi sono trasferiti a Palazzo Chiablese. Il soggetto degli arazzi è tratto dal poema Histoire de la Reyne

Arthemise composto nel 1561-1562 da Nicolas Houel, mecenate e farmacista parigino, in onore di Caterina de’Medici. Si ispira

alle gesta di due antiche regine della Caria. Gli arazzi sono realizzati in lana e seta, con filati metallici d’oro e d’argento.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2008:Gli arazzi presentavano una significativa alterazione dei materiali costitutivi, provocata dal tempo, dall’uso e dalle precedenti condizioni

di esposizione, non adatte alla conservazione delle fibre. Il restauro è stato diviso in due aree di intervento: da una parte si trattava

di reinserire nell’ordito e nella trama i materiali mancanti, dall’altra si doveva rimediare alla presenza dannosa di alcuni precedenti

interventi di rammendo.

Direzione lavori storico-artistici: Roberto Medico, Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio del Piemonte

Restauro Arazzi: Tissage di Donatella Mascalchi, Firenze

Fotografie: Archivio Soprintendenza Beni Architettonici Piemonte; Ernani Orcorte

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Banca Popolare di Bergamo-Gruppo Bpu Banca, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino,

Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Ifi-Istituto

Finanziario Industriale, Intesa SanPaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi,

Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Renzo Giubergia (Ersel), Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem) Dario Disegni (Compagnia

di San Paolo), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-artistica

Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Alessandra Bianco (Lavazza), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro),

Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati (Fondiaria-SAI).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).

LE STORIE DI ARTEMISIAGLI ARAZZI DI PALAZZO CHIABLESE

230 un’Avventura TORINESE

LA FACCIATA OTTOCENTESCA DI PALAZZO CARIGNANO

CRONOLOGIA: 1860-1865: Camillo Cavour affida ad Amedeo Peyron la realizzazione, nel cortile, di un’Aula provvisoria, mentre procedono i lavori

per quella definitiva, che avrebbe dovuto ospitare le sedute del Parlamento Italiano.

1864-1872: la Città di Torino incarica Domenico Ferri e Giuseppe Bollati di realizzare la parte ottocentesca di Palazzo Carignano.

1876: trasferimento delle collezioni del Museo di Zoologia.

1937-1938: si destina il Palazzo a sede del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2004-2005:La facciata presentava un fortissimo degrado provocato dall’inquinamento e dall’esposizione agli agenti atmosferici: i grandi vasi

a coronamento erano già stati cerchiati con appositi ferri. Nel 1998 si verificavano altri distacchi, tra questi la caduta del braccio e della lancia

della statua rappresentante l’Industria, in marmo di Carrara; anche le balaustrate in granito bianco e rosa denotavano grossi problemi

di conservazione e vistosi distacchi. La Consulta ha finanziato il restauro della parte centrale della facciata, aggiungendo così un tassello

molto significativo, a completamento del restauro delle facciate e degli scaloni guariniani, finanziati dalla Compagnia di San Paolo

e dalla Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte.

Direzione scientifica: Alessandra Guerrini, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico del Piemonte con la collaborazione

e l’alta sorveglianza di Francesco Pernice e Valerio Corino, Soprintendenza Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte

Progetto: Alessandra Guerrini con Salvatore Simonetti e Barbara Rinetti

Rilievi: Noemi Gallo

Diagnostica: ICVBC-CNR, Firenze – Fabio Fratini, Susanna Bracci con Maurizio Gomez Serito, Alessandro Princivalle

Ricerche storiche: Andrea Longhi, Vittorio Natale

Direttore lavori: Salvatore Simonetti con la collaborazione di Barbara Rinetti, Roberto Mortarino, Eleonora Graziani e Valentina Troina

Responsabile del procedimento: Carla Enrica Spantigati, Soprintendente Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte

Opere provvisionali ed edili: Zumaglini & Gallina; direttore di cantiere: Fabrizio Steffani, capocantiere: Massasso

Opere di restauro: Cooperativa per il restauro, Milano; direttore operativo: Simona Offredi; capocantiere: Annalisa Ghizzardi

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

LA CONSULTA: SOCI: Banca Popolare di Bergamo-Gruppo Bpu Banca, Buzzi Unicem, Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino,

Cartiere Burgo, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, Gruppo

Canale & C., Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi,

Pininfarina, Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Utet.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Luigi Garosci, Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Alberto

Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Tullio Toledo (Lavazza), tesoriere Giovanni Ciarlo (Fondazione Crt), segretario e consulente storico-artistica

Angela Griseri, consulente Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Lodovico Passerin d’Entrèves (Ifi), Sulo Resuli (L’Oreal Saipo),

Marco Sobrero (Ersel), Fabrizio Vignati (Fondiaria-Sai).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Cartiere Burgo).

Page 121: Un'Avventura Torinese

1987-2010 gli interventi della consulta 233232 un’Avventura TORINESE

PALAZZINA DI CACCIA DI STUPINIGIREIMPIANTO ALBERATE

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2007-2008:Il progetto ha previsto il reimpianto di circa 1.700 pioppi cipressini (P. nigra pyramidalis) ai lati della strada circolare e lungo le due

principali rotte di caccia che si staccano dal raccordo anulare, ovvero la Rotta Niccolò e la Rotta Chisola. L’attuazione di tale progetto

è stata sviluppata su un periodo di 3 anni circa, utilizzando i mezzi tecnici ed il personale agrario dipendente del Settore Tecnico Agrario

della Fondazione Ordine Mauriziano, che ha effettuato le seguenti operazioni colturali: misurazione e picchettatura, formazione di buche

con trivella, concimazione di base con stallatico (450 quintali) e concime a lenta cessione (7,5 quintali), irrigazione dell’impianto.

CRONOLOGIA: 1709: voluto dal principe di Carignano, il Teatro entra in funzione nel 1711; nel 1786 un incendio distrugge completamente la struttura.

In occasione della ricostruzione, la decorazione del plafone della volta viene affidata al pittore Bernardino Galliari, che dipinge

il Giudizio di Paride.

1818: il futuro re Carlo Alberto promuove alcuni restauri; in quest’occasione il pittore Luigi Vacca sostituisce la decorazione del plafone

con Apollo circondato dalle Muse.

1845: altro rifacimento da parte di Francesco Gonin che dipinge il Trionfo di Bacco. Nel 1876 viene installato l’impianto di illuminazione

a gas; nel 1936 l’intero apparato strutturale del teatro è rifatto con l’impiego del calcestruzzo armato sul quale vengono ricollocate

le parti in legno, mentre al pittore Carlo Gaudina è affidato un intervento di manutenzione del plafone.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2008:I diversi interventi pittorici documentati sul plafone avevano influito molto sulla “leggibilità” dell’opera, compromettendo la versione

originaria dipinta dal Gonin. In occasione del restauro, le indagini e i saggi stratigrafici hanno messo in luce la presenza di tre stesure

pittoriche: la coloritura esistente al momento della ricostruzione del teatro dopo l’incendio del 1786, quella del 1824-1826 e la terza

stesura con le figure mitologiche dovuta a Francesco Gonin, che si trovava in condizioni molto frammentarie, tenacemente attaccate

agli strati di pittura applicati successivamente.

Direzione scientifica: Cristina Mossetti, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte

Direzione dei lavori: Studio Marconi, Roma

Opere provvisionali: Zoppoli & Pulcher

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel,

Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa

Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Reale Mutua

Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati

(Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-

artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro),

Marco Sobrero (Ersel).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).

BIBLIOTECA REALE – MOSTRA “TERRAE COGNITAE.LA CARTOGRAFIA NELLE COLLEZIONI SABAUDE”La Biblioteca Reale, voluta da Carlo Alberto nel 1831, conserva nelle sue collezioni anche preziose carte geografiche e portolani, disegnati

con inchiostri di vari colori su pergamene; tra questi il Planisfero di Torino di Giovanni Vespucci, 1523, il Theatrum orbis terrarum di Juan

Baptista Lavagna e Luis Texteira, 1597-1611, il Commentarium in Apocalypsim et alia del monaco Beato di Liébana, XI-XII secolo, la Cronaca

di Norimberga di Hartmann Schedel, 1493.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2007:Le pergamene si presentavano in condizioni assai critiche a causa di pregressi e maldestri interventi di allestimento, sia sui supporti

membranacei che sulle relative pellicole pittoriche. La Consulta ha finanziato il restauro di cinque portolani e, per il Planisfero di Torino,

ha realizzato un apposito tavolo che permette la conservazione e l’esposizione permanente della carta nautica nella Sala Leonardo,

voluta dalla stessa Consulta nel 1998. Per gli altri portolani sono stati realizzati dei contenitori-custodia a struttura rigida ma nello stesso

tempo mobile per facilitare la movimentazione permanente delle opere, montate su un supporto di policarbonato e carta giapponese.

Progetto mostra: Maria Letizia Sebastiani, Clara Vitulo, con la collaborazione di Maria Gattullo, Franca Porticelli, Eliana Angela Pollone

Progettazione tavolo di conservazione e allestimento mostra: Roberto Pagliero, Stefano Trucco

Realizzazione tavolo di conservazione: Salgipa

Opere di restauro: Studio Crisostomi

Ricerche storiche: Andrea Longhi, Vittorio Natale

Direttore lavori: Salvatore Simonetti con la collaborazione di Barbara Rinetti, Roberto Mortarino, Eleonora Graziani e Valentina Troina

Allestimento e restauri in mostra: Véronique Cachia, Santo Maccarone, con la collaborazione di Angela Audino e Vincenzo Terracino

Opere provvisionali ed edili: Zumaglini & Gallina; direttore di cantiere: Fabrizio Steffani, capocantiere: Massasso

Progettazione grafica e fotografie: Fabrizio Fenucci, Y Press

Comunicazione multimediale: Gaetano Di Marino

LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Banca Popolare di Bergamo- Gruppo BPU Banca, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino,

Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria- Sai, Garosci, G. Canale & C., IFI- Istituto

Finanziario Industriale, Intesa SanPaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi,

Pirelli, Presider, Reale Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati

(Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-

artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro),

Marco Sobrero (Ersel).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).

LA VOLTA DEL TEATRO CARIGNANO

Page 122: Un'Avventura Torinese

1987-2010 gli interventi della consulta 235234 un’Avventura TORINESE

VILLA DELLA REGINAMOSTRA E RICOSTRUZIONI VIRTUALI“Evocazioni e nuovi allestimenti nell’Appartamento del Re” ha voluto ricostruire, attraverso arredi storicamente documentati,

l’atmosfera e l’aspetto delle sale dell’Appartamento del Re nella prima metà del Settecento. Nel Salone centrale sono state esposte

le sei sovrapporte dipinte nel 1735 circa dal napoletano Corrado Giaquinto raffiguranti le Storie di Enea, commissionate per la Camera

da letto di Carlo Emanuele III, ritornate temporaneamente dopo centocinquant’anni dal Quirinale a Villa della Regina.

La mostra è stata arricchita da preziosi arredi di Pietro Piffetti, da un grande biliardo e da porcellane di manifattura occidentale

ed orientale. Scenografica la ricostruzione virtuale della Libreria di Piffetti e dei papiers-peints del Gabinetto verso Levante alla China:

questi arredi sono conservati al Palazzo del Quirinale.

Organizzazione mostra: Cristina Mossetti, Direttore di Villa della Regina, con Paola Traversi

Progetto allestimento: Cristina Mossetti; Maria Carla Visconti Cherasco, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici

del Piemonte; Paola Traversi; Simona Albanese

Collaborazioni: Laura D’Agostino, Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro, Silvana Pettenati, Lucia Caterina, Università

degli Studi di Napoli “L’Orientale”, Luisa Morozzi, Ufficio per la Conservazione del Patrimonio Artistico del Quirinale

Apparati didattici: Paola Manchinu

Restauri e interventi conservativi: Laboratorio Rinetti Barbara Conservazione e Restauro Opere d’Arte; Ester Giovacchini; Galleano

Giuseppe e figli; Aurifolia

Tappezzerie e tende: Calderan di Gianfranco Stella

Allestimento-progetto: Studio Dedalo; realizzazione: Bordi Allestimenti; audiovisivi: Video Telecom Project; ricostruzione virtuale: Hub-Edenlab

Trasporti e assistenza tecnica: Borghi International

Fotografie: Vincenzo Piccione e Ornella Savarino, Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte;

Paolo Robino; Maurizio Necci-Azimut; Giacomo Lovera

Sponsor tecnico per le coperture assicurative: Fondiaria-Sai

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel,

Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa

Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Reale Mutua

Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati

(Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-

artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro), Marco

Sobrero (Ersel).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).

LE CUCINE DEL PALAZZO REALE

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2009Gli ambienti delle Cucine storiche sono stati completamente ristrutturati e allestiti: si tratta di venti sale composte da cucine per cuocere

carni, pesci, dolci, forni, ceppi, spiedi, ghiacciaie, dispense e una grande cantina. Sono stati ricostruiti modelli (i cosiddetti mock up) in scala

reale: dal cinghiale al quarto di bue, alla cacciagione; sono stati restaurati più di duemila rami, dalle grandi pesciere ai piccoli stampi

per dolci e biscotti.

Direzione lavori di restauro e allestimento: Daniela Biancolini in collaborazione con Enrico Barbero, Soprintendenza per i Beni

Archiettonici e Paesaggistici del Piemonte

Coordinamento restauro: Giuseppe Longega e Guido Biscontin, Venezia

Restauro rami: Arcadia Ricerche, Marghera

Restauro arredi fissi: Silvia Ciacera Macauda e Daniele Capella; Luigi Tanzillo

Realizzazione delle opere: Consorzio C.C.C.: Consorzio C.C.C.: EdilAtellana, C.I.T.E., Cellini

Realizzazione allestimento e installazioni: Little Bull, Armando Testa; Studio Guidone Associati

Mock-up: Vittorio Comi, Paderno d’Adda; Michele Guaschino

Progetto grafico e allestimento tavole: Consolata Pralormo Design

Referenze fotografiche: Archivio Fotografico della Soprintendenza per i Beni Archiettonici e Paesaggistici del Piemone; Riccardo Gonella,

Torino; Ernani Orcorte, Torino

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel,

Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa

Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Presider, Reale Mutua

Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni

COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati

(Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-

artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro),

Marco Sobrero (Ersel).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group)

Page 123: Un'Avventura Torinese

237236 un’Avventura TORINESE

MUSEO NAZIONALE DEL CINEMA

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2010:La Galleria dei Manifesti si è arricchita di un modulo espositivo interattivo, che racchiude al proprio interno un sistema di proiezione,

di elaborazione dati e di tracking. Uno schermo ad alta luminosità e definizione permette al visitatore, con un semplice movimento

della mano, di accedere all’archivio di immagini, ottenute con la digitalizzazione di soggetti provenienti dalla collezione dei manifesti

storici del museo.

Il rifacimento della cappella dedicata agli effetti speciali, denominata Chroma Key, propone una soluzione innovativa dal punto di vista

della qualità e dell’efficacia comunicativa per il pubblico: l’installazione è incentrata su alcune sequenze animate in computer grafica,

di forte impatto visivo.

Progetto scientifico: Alberto Barbera, direttore con il coordinamento di Angela Savoldi, con la collaborazione di Nicoletta Pacini, Sabrina

Mezzano, Leonardo Ferrante e Andrea Merlo

Stark Interactive Wall-Galleria dei Manifesti: Paolo Buroni, Stark architectural image projectors; Paola Gallarini, restauratrice; Roberto

Goffi, digitalizzazione manifesti

Effetti Speciali-La Macchina del Cinema: Futura Nt, progettazione sistema interattivo “Chroma Key”; Giordano Allestimenti; A.B.C. Elettrik;

Acuson

Sistema di oscuramento Aula del Tempio: Mottura, Roberto Lupo, Jvan Negro

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

La Consulta ha realizzato nel biennio 2008-2009 il restauro di alcuni dipinti fiamminghi provenienti dalle collezioni ducali, da quelle del

Principe Eugenio e dalla collezione di Riccardo Gualino. In particolare l’intervento sulla tavola di Bernard van Orley ha permesso di scoprire

sul retro del dipinto una composizione a monocromo raffigurante un particolare del Trasporto della Croce.

Il Museo del Louvre e i Musées Royaux des Beaux Arts di Bruxelles hanno eccezionalmente concesso il prestito di due tavole che hanno

permesso di ammirare ricomposto il Trittico dell’Annunciazione di Rogier van der Weyden e le due ante del Polittico commissionate

al pittore di corte Bernard van Orley.

Progetto e cura: Carla Enrica Spantigati, Paola Astrua, Anna Maria Bava, Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico

del Piemonte:

Progetto di allestimento e grafico: Dedalo Architettura e Immagine

Realizzazione allestimento: Interfiere, Moncalieri

Grafica comunicazione: M.C. Grafica di Marco Clava

Trasporto e allestimento opere: Arteria, Torino; Borghi International Settore Opere d’Arte, San Mauro Torinese; Gerlach Art Packers

& Shippers BVBA, Bruxelles; L. P. Art, Parigi

Assicurazione delle opere: Léon Eeckman, Bruxelles

Restauro dipinti: Nicola Restauri, Aramengo (Asti); Cesare Pagliero, Savigliano (Cuneo); Barbara Rinetti Restauro opere d’arte, Torino

Fotografie: Giacomo Lovera; Nicola Restauri; Cesare Pagliero

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

LA CONSULTA: SOCI: Alleanza Toro Assicurazioni, Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San

Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Exor, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider,

Intesa Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, M. Marsiaj & C, Pirelli, Reale

Mutua Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Adriana Acutis (Vittoria Assicurazioni), Eugenio Bona

(Armando Testa), Maurizio Cibrario (Martini & Rossi), Filippo Ferrua (Ferrero), Giorgio Marsiaj (M: Marsiaj & C.), tesoriere Giovanni Ciarlo,

segretaria e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Donatella Mezzalama (Alleanza Toro Assicurazioni),

Marco Sobrero (Ersel).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Mario Busso (Deloitte & Touche), Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt),

Giuseppe Donato (Skf), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group); Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).

CHIESA DEL SANTO SUDARIO E MUSEO SINDONOLOGICO - FACCIATE

CRONOLOGIA: Per la costruzione di una cappella interna all’Ospedale dei Pazzerelli, Vittorio Amedeo II concedeva nel 1728 alla Confraternita del Santo

Sudario un sito, verso Porta Susina nell’Isolato di San Isidoro. Solo nel 1734 veniva scelto il progetto dell’ingegnere Mazzone, mentre

la decorazione era affidata al quadraturista veneziano Pietro Alzeri, attivo con la collaborazione di Michele Antonio Milocco per le figure

e la pala d’altare. La facciata è attribuita all’architetto Giovanni Battista Borra. Dopo il periodo napoleonico, la chiesa veniva riaperta

e restaurata nel 1821; altri restauri nel 1895 sotto la direzione di Enrico Reffo e Angelo Reycend.

INTERVENTO DELLA CONSULTA 2009:L’intervento di restauro conservativo si è indirizzato alle Facciate della Chiesa e del Museo della Sindone. Sono state effettuate analisi

stratigrafiche sugli intonaci e sugli apparati decorativi per verificare le cromie originarie: si presentavano diverse stratificazioni di colore,

dovute ad interventi successivi; la stesura originale, emergeva, in zone molto estese, in condizioni degradate e molto frammentarie. Al fine

di rendere omogenea la lettura delle facciate, la Soprintendenza competente e l’Ufficio del Colore della Città hanno deciso di procedere

con la stesura di intonaci a calce incentrati su una bicromia rosa-beige, tenendo presenti le cromie azzurre del Palazzo storico con cui la

chiesa confina. Durante la fase di pulitura della facciata principale della Chiesa, al di sopra del timpano è emerso un bassorilievo eseguito

in stucco raffigurante la Santa Sindone.

La Consulta ha donato al Museo Sindonologico il dipinto di Giovanni Battista della Rovere, Sepoltura di Cristo, 1625 circa.

Alta sorveglianza: Paola Salerno, Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggistici per il Piemonte

Direttore dei lavori: Mario Cicala

Coordinatore sicurezza: Giuseppe Perfetto

Opere provvisionali: Co.velt

Opere edili: Co.ge.fa; direttore di cantiere: Luigi Rocchia

Opere di restauro: Ottaviano Conservazione e Restauro Opere d’Arte

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

LA CONSULTA: SOCI: Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, Compagnia di San Paolo, Deloitte & Touche, Ersel,

Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Fondiaria-Sai, Garosci, G. Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Ifi-Istituto Finanziario Industriale, Intesa

Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, M. Marsiaj & C., Martini & Rossi, Pirelli, Reale Mutua

Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Toro Assicurazioni, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni

COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Dario Disegni (Compagnia di San Paolo), Fabrizio Vignati

(Fondiaria-Sai), Renzo Giubergia (Ersel), Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat) tesoriere Giovanni Ciarlo, segretario e consulente storico-

artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Alberto Fumagalli (Italdesign-Giugiaro),

Marco Sobrero (Ersel).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group).

MOSTRA “MERAVIGLIE DELLA GALLERIA SABAUDA”

Page 124: Un'Avventura Torinese

238 un’Avventura TORINESE

PALAZZO MADAMA - MOSTRA LENCI SCULTURE IN CERAMICA 1927-1937Negli anni tra il 1927 e il 1937 Lenci divenne famosa per una produzione ceramica di sculture d’arredo caratterizzate da soluzioni stilistiche

e tematiche assai originali. Le invenzioni della Lenci rispecchiano la ricchezza della scena artistica torinese tra le due guerre: Mario Sturani,

Giovanni e Ines Grande, Elena Koenig Scavini, Felice Tosalli, Gigi Chessa, Sandro Vacchetti, Abele Jacopi, Nillo Beltrami, Claudia Formica

sono gli artisti che hanno dato lustro alla manifattura. La mostra ha presentato un vasto repertorio di ceramiche, disegni e gessi preparatori,

provenienti da collezioni private, esposte per la prima volta al pubblico.

La facciata presentava un fortissimo degrado provocato dall’inquinamento e dall’esposizione agli agenti atmosferici: i grandi vasi

a coronamento erano già stati cerchiati con appositi ferri. Nel 1998 si verificavano altri distacchi, tra questi la caduta del braccio e della lancia

della statua rappresentante l’Industria, in marmo di Carrara; anche le balaustrate in granito bianco e rosa denotavano grossi problemi

di conservazione e vistosi distacchi. La Consulta ha finanziato il restauro della parte centrale della facciata, aggiungendo così un tassello

molto significativo, a completamento del restauro delle facciate e degli scaloni guariniani, finanziati dalla Compagnia di San Paolo

e dalla Soprintendenza Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico del Piemonte.

Curatori: Valerio Terraroli; Enrica Pagella, Direttore Palazzo Madama Museo Civico d’Arte Antica

Progetto dell’allestimento: Diego Giachello con Marco Gini e Elena Ciani

Progetto grafico ed immagine coordinata: Elio Vigna Design

Video in mostra: Pier Luigi Bassignana; Elena Romagnolo, Progetto Storia e Cultura delle Industrie del Nord/Ovest

Progetto impianti elettrici: Alfonso Famà

Coordinamento sicurezza in cantiere: Gianfranco Vinardi

Allestimento: Im.form - Impianto elettrico: Iem di Melissari

Grafica in mostra: Ideazione - Trasporti: Arterìa

Sponsor tecnico per le coperture assicurative: Vittoria Assicurazioni

Coordinamento esecutivo: Consulta, Mario Verdun di Cantogno e Angela Griseri

La Cappella, costruita nel 1715 per volontà del conte Carlo Ottavio Benso, si trova all’interno del complesso del Castello; la cripta, edificata

nel 1861 su progetto dell’architetto Barnaba Panizza, conserva le spoglie dei Benso di Cavour, dei Clermont-Tonnerre, dei Sellon e dei Sales.

Camillo Cavour volle espressamente essere sepolto qui, accanto alle al nipote Augusto; dal 1911 è stata dichiarata Monumento nazionale.

Il restauro della Cappella è stato inaugurato il 6 giugno 2010 alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

LA CONSULTA: SOCI: Alleanza Toro Assicurazioni, Armando Testa, Burgo Group, Buzzi Unicem, Camera di Commercio di Torino, C.L.N., Compagnia di San

Paolo, Deloitte & Touche, Ersel, Exor, Fenera Holding, Ferrero, Fiat, Fondazione Crt, Garosci, G.Canale & C., Gruppo Ferrero-Presider, Intesa

Sanpaolo, Italdesign-Giugiaro, Italgas, Lavazza, Marco Antonetto Farmaceutici, Martini & Rossi, M. Marsiaj & C., Pirelli, Reale Mutua

Assicurazioni, Skf, Telecom Italia, Unione Industriale di Torino, Vittoria Assicurazioni.

COMITATO DIRETTIVO: presidente Lodovico Passerin d’Entrèves, Luigi Garosci, Adriana Acutis (Vittoria Assicurazioni), Eugenio Bona

(Armando Testa), Maurizio Cibrario (Martini & Rossi), Filippo Ferrua (Ferrero), Giorgio Marsiaj (M: Marsiaj & C.), tesoriere Giovanni Ciarlo,

segretario e consulente storico-artistica Angela Griseri, consulente tecnico Mario Verdun di Cantogno.

COMMISSIONE COMUNICAZIONE: Alessandra Bianco (Lavazza), Giampaolo Desderi (Skf), Donatella Mezzalama (Alleanza Toro

Assicurazioni), Marco Sobrero (Ersel).

COMMISSIONE FINANZIARIA: Mario Busso (Deloitte & Touche), Maria Luisa Buzzi (Buzzi Unicem), Silvio Boccardo (Fondazione Crt),

Giuseppe Donato (Skf), Dario Disegni (Compagnia di San Paolo).

COMMISSIONE TECNICA: Giuseppe Lignana (Burgo Group); Filippo Beraudo di Pralormo (Fiat).

SANTENACAPPELLA CAVOUR

i soci della consulta

i soci della consulta 239

Page 125: Un'Avventura Torinese

i soci della consulta 241240 un’Avventura TORINESE

ALLEANZA TORO assicurazioniAlleanza Toro Assicurazioni è la nuova Società del Gruppo Generali nata dalla fusione di due

leader di mercato, Alleanza Assicurazioni e Toro Assicurazioni.

Il nuovo polo assicurativo rappresenta, con i brand Alleanza, Toro, Lloyd Italico e le Società

Augusta e Das, la miglior risposta alle esigenze assicurative e previdenziali delle famiglie,

dei professionisti e delle imprese. L’integrazione di due marchi storici permette di ampliare

l’offerta commerciale creando nuove sinergie e maggiore competitività:

offerta a 360° - Un’offerta completa di prodotti, grazie ai know-how di Alleanza e Toro,

a disposizione delle reti di vendita. Soluzioni dedicate alla protezione della persona e della

famiglia; prodotti vita e previdenziali finalizzati al risparmio, alla protezione e all’investimento;

vicinanza alla clientela: - Alleanza Toro fa leva su più reti distributive differenziate (oltre 18.000

Agenti/Collaboratori), diffuse in modo capillare su tutto il territorio nazionale con circa 2.000

Agenzie/Punti Vendita.

Alleanza Toro si conferma, in un mercato in grande evoluzione, una Società fondata su valori

ispirati alla tradizione e al prestigio e nel contempo attenta alle innovazioni.

Arte, cultura, sport e charity sono le principali aree di intervento di Alleanza Toro.

Su questi presupposti si è concretizzata la collaborazione con la Consulta per la Valorizzazione

dei Beni Artistici e Culturali di Torino fin dalla sua nascita.

L’impegno nella diffusione della conoscenza, della produzione artistico-culturale e della sua

valorizzazione, testimoniano concretamente l’attenzione e la scelta degli interventi della Società.

ARMANDO TESTAIl Gruppo Armando Testa è il più grande gruppo indipendente italiano di comunicazione

oltre che la prima agenzia di advertising del Paese (fonte AssoComunicazione).

Nelle tre sedi italiane di Torino, Milano e Roma, il Palazzo della Comunicazione riunisce,

tutte le società del Gruppo: una struttura all’avanguardia concepita per fornire ai clienti

un servizio di comunicazione a 360°.

Fondato nel 1946 da Armando Testa, il più famoso creativo italiano in ambito internazionale,

oggi il Gruppo, sotto la guida del suo presidente Marco Testa, gestisce più di 100 clienti con

uno staff di oltre 300 persone. Peculiarità dell’Armando Testa sono i rapporti di lunghissima

durata con molti clienti, come Lavazza, da 50 anni o Lines, da oltre 40.

Il Gruppo comprende cinque società in un unico teamwork: Armando Testa s.p.a., agenzia

di advertising; Media Italia, Centro media/new media/telepromozioni; In Testa, agenzia

di corporate identity/packaging/in store promotion; Bitmama, agenzia creativa di comunicazione

digitale e interattiva; Little Bull, casa di produzione audiovisivi, product placement, eventi.

Fa parte del Gruppo anche Max Information s.r.l., agenzia di pubblicità con sede a Bologna.

Oltre alle sedi italiane, il Gruppo opera, da molti anni, con partner selezionati nei principali

mercati mondiali. Tra i principali clienti: Acraf, Barilla-Mulino Bianco, Esselunga, Fater,

Heineken, Lancia, Lavazza, Nestlè, Rcs, Sammontana, Martini.

burgo groupBurgo Group è uno dei maggiori produttori in Europa di carte per uso grafico. Offre una gamma

ampia di carte di grande qualità, pone particolare attenzione all’ambiente, sviluppa nuove

soluzioni in partnership con i propri clienti ed è costantemente impegnato nella ricerca e nello

sviluppo di nuovi prodotti: tutto questo si sintetizza nella continua volontà di proporsi come

partner affidabile ai settori della stampa, dell’editoria e della distribuzione di carta.

Grazie alla sua volontà di competere in un mercato complesso, Burgo Group è oggi un vero

“sistema” intorno al mondo della carta: produzione, distribuzione, riciclo della carta; gestione

di prodotti forestali; studio, progettazione, realizzazione ed engineering di impianti cartari;

factoring; produzione e commercializzazione di energia.

Buzzi unicemNel 2007 Buzzi Unicem ha compiuto 100 anni di vita. Cento anni scanditi da 4 generazioni

della famiglia Buzzi che, con grande capacità imprenditoriale, è stata in grado di crescere

con continuità, portando la produzione – in anni di mercato normale - a circa 33 milioni di t/anno

di cemento e 16 milioni di m3/anno di calcestruzzo.

Annoverata fra gli operatori di settore più importanti al mondo, Buzzi Unicem fattura circa 3 mld

€/anno, è presente in 12 nazioni con circa 12.000 dipendenti, 40 unità produttive per il cemento e 530 impianti di betonaggio. Cosciente del forte potenziale impatto sui territori in cui esercita

le proprie attività, Buzzi Unicem ha da sempre, ed in particolare negli ultimi anni, unito la crescita

economica ad una politica ambientale e di sviluppo sociale: il rispetto dell’ambiente e delle persone

è per l’azienda uno degli obiettivi da continuare a perseguire in futuro.

camera di commercioEspressione diretta delle categorie produttive e della società civile, la Camera di commercio

industria artigianato e agricoltura di Torino è orientata alla valorizzazione e alla tutela degli

interessi generali dell’economia provinciale. Alle oltre 235.000 imprese iscritte, l’ente offre servizi

anagrafico-amministrativi, attraverso una gestione telematica e di facile accesso, e numerosi

servizi promozionali che assistono le aziende fin dalla costituzione, supportandone la nascita

e favorendone lo sviluppo. Dalla formazione all’innovazione, dall’internazionalizzazione fino

a specifici interventi di sviluppo del territorio, l’attività camerale si articola in varie funzioni

per le imprese, gestite da un soggetto capace di comprenderne esigenze e problemi.

La Camera di commercio di Torino rappresenta un interlocutore di rilievo del dialogo fra

le componenti economiche del territorio, operando a favore della trasparenza del mercato,

con servizi di prevenzione e composizione delle controversie, oltre a quelli di vigilanza e tutela

della fede pubblica.

In coordinamento con gli enti locali e le principali istituzioni pubbliche e private, la Camera

di commercio partecipa ai più importanti progetti di sviluppo dell’economia, della cultura

e della formazione, mettendo a disposizione risorse finanziarie, progettuali e organizzative,

per contribuire ad uno sviluppo armonico dell’economia locale.

Page 126: Un'Avventura Torinese

i soci della consulta 243242 un’Avventura TORINESE

C.L.N.La Società C.L.N., fondata nel 1948 dal Cavaliere Mario Magnetto, nasce come Centro di Servizi

Siderurgici a Caselette ed è cresciuta in modo da costituire oggi uno dei gruppi principali

europei con tre settori:

SSC - distribuzione di laminati piani;

Divisione Automotive - progettazione, stampaggio ed assemblaggio di componenti metallici

e sottogruppi;

Divisione Ruote - progettazione e produzione di ruote in acciaio ed alluminio per autovetture,

veicoli commerciali leggeri e pesanti e per motocicli.

Il Gruppo è presente in quattro continenti con 30 siti produttivi ed impiega circa 8.000

dipendenti. Joint Ventures e collaborazioni con altre società del settore hanno ulteriormente

rafforzato la posizione del Gruppo nel mondo.

Compagnia di san paoloLa Compagnia di San Paolo è una delle maggiori fondazioni private in Europa e trae le sue

origini da una Confraternita costituita nel 1563, trasformata in seguito in Istituto bancario

e caritatevole sui generis. Oggi è retta da un nuovo statuto adottato nel marzo 2000.

La Fondazione partecipa attivamente alle attività della società civile, perseguendo finalità

di interesse pubblico e utilità sociale, allo scopo di favorire lo sviluppo civile, culturale

ed economico delle comunità in cui opera. La Compagnia di San Paolo è attiva nei seguenti

settori: Ricerca e istruzione superiore; Patrimonio artistico; Attività culturali; Sanità e Politiche

sociali. La Compagnia definisce i propri obiettivi attraverso una programmazione annuale

e pluriennale e opera sia attraverso erogazioni a soggetti pubblici e no-profit, sia tramite altre

modalità, tra cui i programmi che essa gestisce direttamente e l’azione di “enti strumentali”

specializzati, fondati e sostenuti dalla Compagnia, talvolta in cooperazione con altre istituzioni,

in settori di interesse.

La Compagnia è membro del Centro Europeo per le Fondazioni, con sede a Bruxelles, e dell’Acri,

l’Associazione Italiana delle Fondazioni di Origine Bancaria di Roma.

deloItte & toucheDeloitte Touche Tohmatsu è un network di entità legali operanti in tutto il mondo, volte a fornire

consulenza e servizi professionali di eccellenza. È focalizzata sul servizio ai clienti, grazie ad una

strategia globale applicata localmente in circa 150 paesi e al vasto capitale intellettuale di circa

135.000 persone in tutto il mondo.

Deloitte è presente in Italia dal 1923 e oggi costituisce la più grande realtà nei servizi

professionali alle imprese. I servizi di revisione e organizzazione contabile, consulenza aziendale,

legale e fiscale e financial advisory sono resi da diverse società specializzate in singole aree

professionali e tra loro separate e indipendenti, ma tutte facenti parte del network Deloitte.

Le stesse oggi contano circa 2.500 professionisti che assistono i clienti nel raggiungimento

di livelli d’eccellenza grazie alla fiducia nell'alta qualità del servizio, all’offerta multidisciplinare

e alla presenza capillare sul territorio nazionale.

erselErsel rappresenta da 75 anni una realtà unica nel panorama del risparmio gestito, per l'assoluta

indipendenza e per la qualità del servizio offerto.

Nata a Torino negli anni ’30 come Studio Giubergia, prima società di fondi comuni autorizzata

in Italia e tra le prime nel settore degli hedge fund, Ersel è specialista nella gestione di patrimoni,

attività da sempre affiancata da servizi di consulenza su aspetti fiscali e di corporate finance.

Un gruppo dinamico con circa 7,5 miliardi di asset gestiti ed uno staff di 200 persone nelle sedi

di Torino, Milano e Bologna, capace di offrire ad ogni cliente, privato, istituzionale o azienda,

la certezza di un servizio professionale, trasparente e personalizzato.

eXOREXOR s.p.a. è una delle principali società d’investimento europee ed è controllata dalla famiglia

Agnelli. Con un NAV (Net Asset Value) pari a circa 6 miliardi di euro, EXOR è il frutto di una storia

imprenditoriale fatta di oltre un secolo di investimenti; quotata alla Borsa Italiana, ha sede

a Torino. EXOR è il maggior azionista del Gruppo Fiat e realizza investimenti con un orizzonte

temporale di lungo termine in diversi settori, prevalentemente in Europa e negli Stati Uniti,

oltre che nei principali mercati emergenti. EXOR attribuisce grande importanza al legame

con la propria comunità e sostiene numerose attività nel campo della ricerca sociale,

dell’educazione, dell’assistenza e della promozione culturale.

fenera holdingIl Gruppo Fenera è una holding di partecipazioni con attività diversificate in Italia ed all’estero,

nei settori industriale, immobiliare e bancario-finanziario.

Nato alla fine degli anni ’80 per iniziativa delle famiglie Zanon di Valgiurata e Palazzi Trivelli,

annovera oggi tra i suoi azionisti numerosi investitori italiani ed esteri. Tra i più significativi PKP

Gruppo Finanziario e Banca Passadore & C. ed i gruppi imprenditoriali e familiari Arduini,

Avandero, Buson, Daffonchio, Gabetti Davicini, Garosci, Lavazza, Manfredi, Maramotti, Marsiaj,

Mazza Midana, Pavesio, Savio, Seragnoli e Stratta.

Il Gruppo dispone di competenze consolidate in campo finanziario ed immobiliare e vanta

prestigiose partnership sui mercati italiani ed esteri.

ferreroFondata nel 1946, la FERRERO già negli anni '50 realizza una progressiva espansione sui mercati

internazionali, diventando, a partire dagli anni '70, uno dei gruppi dolciari più importanti

del mondo. Il Gruppo è oggi composto da 38 società e da 18 stabilimenti produttivi, con

un totale di più di 21.000 dipendenti.

Al vertice del Gruppo si trova la Top Holding Ferrero International, con sede a Lussemburgo.

La società italiana ha la sede direzionale a Pino Torinese e stabilimenti ad Alba (Cn), Pozzuolo

Martesana (Mi), Sant'Angelo dei Lombardi (Av), e Balvano (Pz) con un'occupazione complessiva

di oltre 5.900 unità.

Page 127: Un'Avventura Torinese

i soci della consulta 245244 un’Avventura TORINESE

fiatIl Gruppo Fiat è una delle maggiori imprese industriali italiane ed è tra i fondatori dell'industria

automobilistica europea. Fin dalle origini lo sviluppo dell'Azienda è stato contrassegnato da una

spiccata proiezione internazionale e una forte propensione verso l'innovazione.

Focalizzato sull’automotive, il Gruppo progetta e costruisce vetture, camion, caricatori gommati,

escavatori, movimentatori telescopici, trattori e mietitrebbie.

È presente, inoltre, nel settore della Componentistica automotive, nonché nell'ambito

dell'editoria e della comunicazione. Fiat svolge le sue attività industriali e di servizi finanziari

attraverso società localizzate in 50 paesi e intrattiene rapporti commerciali con clienti in oltre

190 Paesi.

fondazione crtLa Fondazione Cassa di Risparmio di Torino è un ente no profit interamente dedicato alla

crescita e allo sviluppo economico, sociale e culturale del Piemonte e della Valle d’Aosta. Prende

vita nel 1991 dalla Cassa di Risparmio di Torino, da cui ha ereditato lo spirito filantropico.

È persona giuridica privata, senza fine di lucro, dotata di piena autonomia gestionale, orientata

a scopi d’utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico.La Fondazione CRT non solo

eroga contributi, ma realizza progetti in grado di dare risposte mirate alle esigenze territoriali nei

diversi settori, con particolare attenzione alle logiche della venture philanthropy e con un occhio

di riguardo alla possibilità di crescita, formazione e lavoro soprattutto delle giovani generazioni

del Piemonte e della Valle d’ Aosta. Sono molteplici i settori su cui indirizza progetti e risorse:

dalla conservazione e valorizzazione dei beni artistici e delle attività culturali alla ricerca

scientifica; dall’istruzione e formazione alla sanità e assistenza delle categorie sociali deboli; dalla

protezione civile e tutela ambientale all’innovazione degli enti locali e al sostegno dello sviluppo

economico, con oltre un miliardo di euro distribuiti complessivamente fino ad oggi, di cui 332

milioni di euro destinati alla conservazione e valorizzazione dei beni artistici e culturali.

garosciLa storia del Gruppo Garosci è legata all’evoluzione del mercato italiano della distribuzione

e del suo principale protagonista: il consumatore; esso è stato fin dal 1929, anno di avvio della

società, l’obiettivo prioritario del lavoro quotidiano di una famiglia, che era già operativa nell’800

nella filiera dell’olio d’oliva. Da allora Garosci ha partecipato alla storia del commercio italiano:

negozi a libero servizio, supermercati, ipermercati, cash and carry e centri commerciali

(con circa 4.000 dipendenti) sino ad arrivare ai giorni nostri con un ruolo che, lasciato il settore

della distribuzione commerciale, spazia in campi più diversificati consentendo di valorizzare

le competenze acquisite. Lo scenario di attività della “Family Company”, oggi anche tramite

nuove alleanze, si è allargato ai settori finanziari, immobiliari ed editoriali.

G. CANALE & C. La Ajani e Canale nasce nel 1915 come società familiare. Diventata con l’uscita del Socio Ajani

Stabilimento Grafico G. Canale & C. s.a.s., si è sviluppata nel tempo per assumere, negli anni '80,

la denominazione di G. Canale & C. s.p.a. Nel settore grafico rappresenta un gruppo di dimensioni

significative in Europa, con un fatturato di 100 milioni di euro. Utilizza le tecnologie più moderne

nel pre-press, nelle macchine piane di grande formato, nelle rotative offset per il colore e per il nero,

nella legatoria industriale di libri e riviste. Con tre stabilimenti in Italia e uno stabilimento in Romania,

il Gruppo G. CANALE & C. offre soluzioni per tutte le attività del comparto editoriale e della

comunicazione su carta stampata, garantendo il ciclo completo dall'attività creativa e redazionale,

fino alla postalizzazione e alla distribuzione, attraverso le fasi di composizione, selezione del colore,

impaginazione, stampa e rilegatura. Il Gruppo G. CANALE & C. produce il 40% del suo fatturato

per il mercato nazionale e il 60% per il mercato internazionale, sotto forma di romanzi, dizionari

e codici, libri scolastici, libri per bambini, libri d'arte, riviste scientifiche e tecniche, riviste illustrate

a grande diffusione, stampati commerciali e cataloghi per la grande distribuzione.

Attraverso una costante ricerca e con l'utilizzo delle più moderne tecnologie, vuole sempre offrire

un prodotto di alta qualità, ad un prezzo competitivo.

INTESA SAN PAOLO Intesa Sanpaolo si colloca tra i primissimi gruppi bancari dell'eurozona, con una capitalizzazione

di mercato di 27,4 miliardi di euro ed è leader in Italia in tutti i settori di attività (retail, corporate

e wealth management). Grazie ad una rete di oltre 5.900 sportelli, capillare e ben distribuita su

tutto il territorio, con quote di mercato superiori al 15% nella maggior parte delle regioni, offre

i propri servizi a circa 11,3 milioni di clienti. Ha una presenza selettiva in Europa centro-orientale

e nel bacino del Mediterraneo, grazie a circa 1.850 sportelli e 8,5 milioni di clienti delle banche

controllate, operanti nel retail e commercial banking, in 13 paesi. Vanta inoltre una rete

internazionale specializzata nel supporto alla clientela corporate, che presidia 34 paesi, in

particolare il bacino del Mediterraneo e le aree in cui si registra il maggior dinamismo delle

imprese italiane, come Stati Uniti, Russia, Cina e India.

ITALDESIGN GIUGIAROItaldesign Giugiaro è stata fondata nel 1968 da Giorgetto Giugiaro, nominato nel 1999 a Las Vegas

Car Designer del secolo, e da Aldo Mantovani, il tecnologo che ha consentito all’azienda di

registrare negli anni oltre 150 brevetti nazionali ed internazionali, con una formula innovativa

rimasta immutata: fornire all’industria dell’automobile servizi di creatività, ingegneria e sviluppo,

costruzione prototipi di preserie, testing e validazione del prodotto, assistenza alla messa

in produzione ed essere altresì in grado di assumere direttamente la direzione, il coordinamento

e la supervisione dell’intero iter progettuale, compresi l’esercizio del controllo qualità e la delibera

a produzione presso le installazioni della Casa automobilistica. Italdesign Giugiaro, la cui sede

è a Moncalieri in provincia di Torino, nel distretto automobilistico italiano, oggi impiega 800 persone

in sedi in Italia e all’estero e conta 800 stazioni CAS, CAD, CAE e CAM, 16 frese a controllo numerico,

12 presse di vario tonnellaggio, 15 sistemi di misurazione e metrologia, 6 unità di taglio laser robotizzate,

1 sistema di fotogrammetria, 1 scanner laser, 1 cluster di calcolo utilizzato per simulazioni e 2 centri

di realtà virtuale. La divisione di Industrial Design, attiva sin dal 1974, ha sviluppato progetti relativi

a mezzi di trasporto (treni, aerei, imbarcazioni, motociclette,...), di beni di consumo, di packaging, di

corporate identity, attività che si è estesa anche all’architettura e alla pianificazione del paesaggio urbano.

S.p.A.

Page 128: Un'Avventura Torinese

i soci della consulta 247246 un’Avventura TORINESE

Italgas Italgas è leader in Italia nel settore della distribuzione del gas naturale in ambito urbano.

La Società è controllata da Snam Rete Gas, operatore integrato a presidio delle attività regolate

del gas in Italia, che si occupa di trasporto e dispacciamento, stoccaggio, rigassificazione

e distribuzione di gas naturale.

Oggi Italgas è concessionaria del servizio in oltre 1.400 Comuni tra grandi, medi e piccoli centri.

Distribuisce circa 7,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno attraverso un capillare sistema

di tubazioni lungo 50.000 chilometri.

La sua storia è iniziata a Torino oltre 170 anni fa. Da allora Italgas ha orientato la sua azione

contribuendo allo sviluppo economico e al benessere delle comunità nelle quali opera.

Il forte radicamento sul territorio si è sempre concretizzato nell’impegno a fornire servizi

efficienti e di elevata qualità nonché, in una prospettiva di sviluppo sostenibile, nella

valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale. Rientra in quest’ottica l’adesione della

Società alla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, con lo scopo

di contribuire a migliorare la fruibilità del patrimonio storico, artistico e architettonico della città.

lavazza 1895 -2010: Lavazza ha percorso un secolo di storia dedicandosi esclusivamente al caffè

e diventando una tra le più rilevanti realtà produttive di caffè al mondo.

La sua storia è quella di un’azienda torinese di successo, ma anche di una famiglia che

da quattro generazioni lavora con grande passione per riuscire a coniugare qualità, tradizione

e originalità. Dalle confezioni sottovuoto di caffè macinato negli anni Sessanta, un’innovazione

di portata rivoluzionaria, alle memorabili campagne televisive, dall’espansione verso i mercati

europei ed emergenti che dagli anni Ottanta la vedono ora con 11 consociate dirette presenti

nel mondo, al network del Training Centre con gli oltre 43 laboratori di caffè, Lavazza si è sempre

confermata un’azienda internazionale che, quotidianamente, rinsalda il patto di fiducia

con i consumatori di tutto il mondo. Oggi Lavazza è leader in Italia nel mercato retail con una

quota del 47,6% (in valore, fonte Nielsen) e presente in oltre 90 Paesi, presidiando i business

Casa e Fuori casa (Foodservice, Distribuzione Automatica e Coffee Shop Business). L’Azienda

ha chiuso il 2009 con un fatturato di 1,096 miliardi di euro.

marco antonettoSocietà storica nel panorama farmaceutico italiano, l'azienda nasce nel 1913 e porta il nome

del suo fondatore Marco Antonetto. In quasi 100 anni di storia l'azienda è diventata

un riferimento nel panorama dell'industria farmaceutica italiana. Marco Antonetto Farmaceutici

opera nel mondo della salute con la divisione Farma (specialità medicinali di automedicazione

OTC) e la divisione Sohn (integratori nutrizionali e fitoterapici), secondo un percorso

di continuità tra ricerca, sviluppo e produzione finale.

La creazione costante di prodotti innovativi, caratterizzati da sicurezza e efficacia terapeutica,

è il frutto dell'impegno nella ricerca, attraverso lo sviluppo di tecnologie farmaceutiche originali

volte a fornire soluzioni efficaci e sicure nel campo della salute e del benessere.

MARTINI & ROSSILa storia della Martini & Rossi comincia nel 1863, dopo aver raccolto l’eredità della “Distilleria

Nazionale di Spirito di Vino” nata nel 1847. Fin dal primo momento la società si caratterizza

per l’innata e istintiva vocazione ad espandersi oltre i confini nazionali e per la forte

intraprendenza, che ha diffuso i prodotti e il nome Martini in tutto il mondo, rendendolo

simbolo grazie alla fusione con il Gruppo Bacardi nel 1993 e formando un’unica grande entità

produttiva, commerciale e distributiva, fondata su solide tradizioni e insieme protesa verso

il futuro: il Gruppo Bacardi-Martini, al 3° posto nel mondo fra produttori di alcolici.

MARsiaJ & C.M. Marsiaj & C. s.r.l., fondata nel 1947 da Michele Marsiaj, in pochi anni diventa il punto

di riferimento per importanti gruppi italiani e stranieri nel mondo dell’automotive in Italia.

Con l’ingresso dei figli Piero e Giorgio, rispettivamente Presidente e Amministratore Delegato,

la società diversifica i suoi interessi e diventa holding di famiglia. Nasce nel 1972 Sabelt s.p.a.,

che sarà seguita da altre iniziative industriali con gruppi leader nel mondo quali TRW (USA),

Sumitomo (Giappone) ed Electrolux (Svezia). Oggi la M. Marsiaj&C. detiene partecipazioni

e collabora nel settore Automotive (Sabelt s.p.a.; Brembo Performance Group e TRW

Automotove) immobiliare (Olympic Real Estate, Fenera Real Estate), assicurazioni (Vittoria

Assicurazioni) e della finanza (Fenera Holding s.p.a., Moncanino s.p.a.). Marsiaj è tra i soci

fondatori del Fondo Charme (Gruppo Poltrona Frau).

pirelliPirelli & C. s.p.a., quotata alla Borsa Italiana, è a capo di un gruppo multinazionale con

un'esperienza industriale di oltre 135 anni. Legata fin dalle origini al modo degli pneumatici,

Pirelli ha declinato la propria vocazione industriale in più attività. Negli pneumatici, core

business del gruppo, Pirelli Tyre è oggi il quinto produttore mondiale in termini di fatturato

ed è leader nei segmenti di fascia alta del mercato. Da oltre un secolo è presente nelle

competizioni sportive motoristiche, dal rally alla superbike e dal campionato 2011 sarà

fornitore unico di pneumatici della Formula 1. Il gruppo dispone di una struttura produttiva

di 20 stabilimenti nel mondo e di una rete commerciale presente in oltre 160 Paesi. Affiancano

le attività di Pirelli Tyre quelle di Pirelli Eco Technology, operante nell'ambito della mobilità

sostenibile e nelle tecnologie per il controllo delle emissioni attraverso la produzione e la

distribuzione di filtri antiparticolato. La continua ricerca di un modello di sviluppo sostenibile

è testimoniata anche dalle attività di Pirelli Ambiente, presente nel campo delle energie

rinnovabili, nelle soluzioni per l'efficienza energetica degli edifici e nelle bonifiche ambientali.

Nelle soluzioni dell'accesso a banda larga, opera Pirelli Broadband Solutions, mentre

nel settore immobiliare il gruppo è presente con Pirelli RE, uno dei principali gestori

nel settore immobiliare in Italia e in Europa. Il gruppo Pirelli ha chiuso l’esercizio 2009 con un

fatturato pari a circa 4,4 miliardi di euro e impiega circa 30 mila dipendenti in tutto il mondo.

Page 129: Un'Avventura Torinese

i soci della consulta 249248 un’Avventura TORINESE

presiderLa società PRESIDER fa parte del gruppo Ferrero, fondato dal cavaliere del lavoro Ettore Ferrero.

Il Gruppo ha avuto, negli anni, come “core business”, la siderurgia intesa come

produzione e commercializzazione di prodotti siderurgici. Oggi le sue attività sono molteplici.

Ha ampliato di recente i suoi investimenti nel settore energia verde e ambiente dove è presente

con la società SIED, proprietaria di 14 centrali idroelettriche in Italia. La PRESIDER, con sede

a Borgaro Torinese (Torino) e stabilimenti a Borgaro Torinese ed a Maclodio (Brescia) dagli anni

80, è una delle più importanti realtà industriali del Gruppo, opera nella lavorazione e posa

di strutture in acciaio per l’edilizia con una produzione di oltre 120.000 tonnellate annue, distribuite

in Italia e in Europa. È diventata leader nella fornitura per opere infrastrutturali: autostrade, viadotti,

metropolitane, linee ad alta velocità e TGV, specializzandosi e acquisendo una riconosciuta

e apprezzata professionalità.

reale mutua assicurazioniFondata a Torino nel 1828, la Società Reale Mutua di Assicurazioni è la più grande compagnia

italiana in forma di mutua, capofila di un gruppo composto da dieci società presenti in Italia

e in Spagna, nel quale operano circa 2.800 dipendenti, per tutelare quattro milioni di assicurati circa.

La particolare forma statutaria di società mutua, che non ha azionisti proprietari, comporta che

il patrimonio sociale appartenga ai soci-assicurati, nel cui interesse sono impiegati i risparmi

realizzati dalla società. Grazie a uno sviluppo costante ed equilibrato, Reale Mutua è una realtà forte

e ben radicata sui mercati assicurativi, finanziari e immobiliari, ove opera attraverso numerose

società controllate, collegate e partecipate, non soltanto in Italia. Reale Mutua, che offre una gamma

molto ampia di prodotti sia nei rami danni sia nei rami vita, a oltre 1.400.000 soci/assicurati

fra privati e imprese, per un totale di oltre 2.500.000 polizze, è presente in Italia con circa

340 agenzie, mentre l’intero gruppo ne conta sul territorio nazionale quasi ottocento.

skfIl Gruppo SKF è leader mondiale nella fornitura di prodotti, soluzioni e servizi nei settori dei

cuscinetti volventi, delle tenute, della meccatronica, dei servizi e dei sistemi di lubrificazione.

L'offerta di servizi comprende anche l’assistenza tecnica, i servizi di manutenzione, il

monitoraggio delle condizioni e le attività di formazione. Oggi l’azienda conta oltre 100 siti

produttivi e una rete commerciale basata su proprie società di vendita, supportate da circa

15.000 distributori. Per SKF, sostenibilità significa combinare la capacità di sviluppare con

successo le proprie attività, con l’impegno a salvaguardare le risorse per le generazioni future.

In quanto società globale che opera in ogni parte del mondo, SKF ha scelto di applicare i più

elevati standard nel campo della sostenibilità in tutte le sue sedi, indipendentemente dalle leggi

e dalle consuetudini di carattere locale. SKF Industrie s.p.a. è la principale Società del Gruppo

SKF in Italia ed è specializzata nella produzione e nella vendita di cuscinetti volventi e servizi

correlati. In Italia operano 11 siti produttivi e più di 4.000 dipendenti.

telecom italiaIl Gruppo Telecom Italia offre oggi infrastrutture e piattaforme tecnologiche su cui voce e dati

si trasformano in servizi di telecomunicazioni avanzati e soluzioni ICT e media all’avanguardia,

strumenti di sviluppo per il Gruppo stesso e l’intero Paese. Telecom Italia, TIM, Virgilio, La7 e MTV

Italia, Olivetti sono i suoi principali marchi, icone familiari ai consumatori e garanzia di affidabilità

e competenza. Vicinanza al cliente e innovazione tecnologica le parole chiave del Gruppo, con una

organizzazione snella e centrata sulla qualità del servizio, offerte semplici, attenzione ai momenti

di contatto con la clientela e costante attività di ricerca nei laboratori di TILab. Oltre alla leadership

domestica nelle telecomunicazioni fisse e mobili - con 16,1 milioni di collegamenti retail alla rete

fissa, 7 milioni di clienti broadband retail, 30,8 milioni di linee mobili - Telecom Italia possiede

un’importante presenza in America Latina, dove TIM Brasil con 41,1 milioni di linee mobili,

si conferma uno dei maggiori player.

unione industriale di torinoL’Unione Industriale di Torino nasce nel 1906 e da essa, nel 1910, prende vita Confindustria,

la Confederazione Generale dell’Industria Italiana.

L’Associazione torinese raccoglie oggi oltre 2.500 imprese, piccole, medie e grandi, con circa

200.000 addetti in tutti i settori merceologici manifatturieri e del terziario innovativo.

All’azione istituzionale di tutela, di rappresentanza e di promozione degli interessi industriali,

l’Associazione affianca una gamma sempre più ampia e aggiornata di servizi volti ad accrescere

la competitività delle imprese. Inoltre, nel corso degli ultimi anni, ha sviluppato un’intensa

attività di intervento nella vita sociale e culturale della città, diventandone, a fianco delle imprese,

protagonista attenta e vitale.

vittoria assicurazioniRiconosciuta per affidabilità ed efficienza, Vittoria Assicurazioni opera in tutti i settori assicurativi

e fonda la propria attività su una lunga esperienza maturata fin dal 1921; sempre in primo piano

nella tutela assicurativa e previdenziale delle realtà sia familiari, sia aziendali, si avvale di una

capillare organizzazione commerciale qualificata e costituita da 330 Agenzie e 423 Sub-Agenzie.

Grazie alla maturata esperienza nel campo assicurativo nell'arco di quasi un secolo, nonché

alla professionalità, l'impegno e la serietà con cui tutela i propri clienti, uniti alla trasparenza

dei contratti ed alla massima chiarezza verso i suoi assicurati, Vittoria Assicurazioni riscontra la piena

soddisfazione ed i consensi delle molte realtà socio-economiche con cui essa interagisce.

Page 130: Un'Avventura Torinese

© 2010 Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Realizzazione editoriale a cura di:Canale Arte Edizioni

www.canale.it

Coordinamento editoriale: Marita BassanoProgetto grafico e impaginazione: Blù di Anna Avantaggiato - Collegno - TO

Stampa: G. Canale & C. SpA - Borgaro Torinese - TO

Coordinamento per Consulta: Angela Griseri

Stampato su carta R4 Satin - 150 g/m2 per gli interni e 350 g/m2 per la copertinaprodotta da Burgo Group

Finito di stampare nel mese di novembre 2010

Page 131: Un'Avventura Torinese

i soci della consulta

ALLEANZA TORO ASSICURAZIONI

ARMANDO TESTA

BURGO GROUP

BUZZI UNICEM

CAMERA DI COMMERCIO DI TORINO

C.L.N.

COMPAGNIA DI SAN PAOLO

DELOITTE & TOUCHE

ERSEL

EXOR

FENERA HOLDING

FERRERO

FIAT

FONDAZIONE CRT

GAROSCI

G. CANALE & C.

GRUPPO FERRERO-PRESIDER

INTESA SANPAOLO

ITALDESIGN-GIUGIARO

ITALGAS

LAVAZZA

MARCO ANTONETTO FARMACEUTICI

MARTINI & ROSSI

M. MARSIAJ & C.

PIRELLI

REALE MUTUA ASSICURAZIONI

SKF

TELECOM ITALIA

UNIONE INDUSTRIALE DI TORINO

VITTORIA ASSICURAZIONI

W W W. C O N S U LTA D I T O R I N O . I T