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Ornella Pozzolo Ornella Pozzolo illustrazioni di Cristiana Cerretti Un topo tuo per me

Un topo tutto per me

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Ornella PozzoloOrnella Pozzolo

Ornella PozzoloCristiana Cerretti

illustrazioni di Cristiana Cerretti

Ornella Pozzolo è una scrittrice e poetessa italiana.

A diciannove anni pubblica il suo primo racconto su

Novella, rivista al femminile diretta da Carlo Sprea,

successivamente collabora a riviste letterarie.

Frequentata la Scuola d'Arte Drammatica del Teatro

Stabile di Genova diretta da Luigi Squarzina, ha

scritto numerosi testi e adattamenti per un gruppo

teatrale di ricerca del quale ha fatto parte per dieci

anni. Nota come autrice di libri per ragazzi tra i quali

La favola dell'oca sbadata, Ed. Il Capitello nella

collana diretta da Guido Quarzo, Anna senza confini,

Ed Arka tradotto in cinque lingue e Voglio essere una

bambina delle fiabe, Salani Editore.

Diplomata in illustrazione all'Istituto Europeo di

Design di Roma nel 1996, ha disegnato più di

sessanta libri per editori italiani e stranieri Lapis,

Sinnos, Giunti, Mondadori, Fatatrac, San Paolo,

Nuove Edizioni Romane e molti altri.

Ha vinto diversi premi e riconoscimenti ed è stata

selezionata nel catalogo White Ravens con tre libri

premiati per l'originalità delle illustrazioni.

Con il libro L'anno del girasole pallido ha vinto il

premio Arts and Humanities Prize di Vienna, le sue

tavole sono esposte nell'ospedale di Lugano.

Insegna illustrazione nella scuola Officina e ANT

Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie di Roma.

€ 12,00

Un topo

Un topo tutto per me

tutto per meNell’Italia del dopoguerra Nina, otto anni, trascorre

un’estate felice nella casa bestiale della nonna.

Mathausen, un meticcio che vomita sulla corriera e

caccia i topi, Camillo il gatto che mangia la trippa del

giovedì, dieci galline viziate e…un amatissimo topo.

Ricordo ancora quando l’ebbi in mano, tutto roseo,

tiepido e tremante. Decisi che me lo aveva portato Gesù

Bambino e dopo un esame a pancia in su capii che era

femmina e la chiamai Eleonora!

Ornella Pozzolo

illustrazioni di Cristiana Cerretti

Un topo

Dedico questa storiaai bambini che amano i topima soprattutto a quelli che ancora non li amano perché non li conoscono

Ornella

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Quell’estate ebbi un topo. Non un topo pu-pazzo. Un TOPO. Un vero topo. Un topo tutto per me.Ricordo che quando l’ebbi in mano, tutto tre-mante, decisi che me lo aveva portato Gesù Bambino, un po’ in ritardo: niente fiocchi di neve ma campi di trifoglio dai fiori rossi.Avevo quasi otto anni e da non molto tempo era finita l’ultima terribile guerra mondiale.Sui muri delle case bombardate, senza tetto, e con buchi al posto delle porte e delle fi-nestre, su quei muri anneriti, ricordo, c’era scritto con la calce

LA GUERRA W LA PACE

In quella estate felice, la casa della nonna Angiolina, diventava anche la mia, di papà e

Cosa accaddein quella estate felice

W

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mamma, della lalla Lilla che era la sorella del papà, la zia prediletta (ma ancora per poco, come si vedrà); la casa del gatto Camillo, il gatto della nonna, e del cane Mathausen, il no-stro cane, un meticcio che sembrava più che altro un fox-terrier, cane da caccia.Mathausen lo portavamo con noi sulla corriera che puzzava di benzina e di fumo in modo atroce, con tanto di guinzaglio e museruola come da regolamento; lui, che soffriva i tor-nanti, dopo i primi tre ci vomitava dentro.Io, dal canto mio soffrivo la puzza di benzina e facevo quel che potevo: vomitavo in una sca-tola di cartone portata appositamente.Con grande fastidio degli altri passeggeri, i quali non vedevano l’ora che scendessimo.Anche perchè la mamma per darsi un con-tegno non interveniva, la lalla Lilla, (allora si diceva già zia, ma prima le zie erano chia-mate lalle) punto diritto punto rovescio, non distoglieva gli occhi dal suo lavoro a maglia e il papà aveva il suo daffare per non far debor-dare da un sacchetto l’acqua che c’era dentro.

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Nel sacchetto trasparente nuotava un pescio-lino rosso alquanto insulso, tanto che non gli era stato dato nemmeno il nome. L’aveva vinto il papà al tirassegno, ecco perché il sacchetto lo teneva lui.Questo pesciolino però durò poco, non si sa se pescato dal gatto Camillo o, chissà come, dal cane Mathausen.Fatto sta che sparì, e amen.Io, a questo proposito, quando venni a cono-scenza di alcune cosette fatte dalla zia Lilla, ebbi dei forti sospetti anche su di lei, che ri-schiò di non essere più la mia zia prediletta.Insomma era, la mia, una famiglia davvero be-stiale. (Se poi si aggiungono una volta arrivati, anche le viziatissime dieci galline della non-na, il pieno è fatto).Ci mancava solo un topo, bestiola che per ra-gioni diverse non si sa perché disgustava o addirittura faceva inorridire quasi tutti.Badate bene ho detto quasi tutti. E infatti:— Solo a quella scemetta della Nina posso-no piacere queste bestie schifose —, diceva la

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mamma che alla sola vista di un topo saltava a piè pari su una seggiola, pallida come una morta, urla da ossessa.La nonna dal canto suo li odiava perché le davano danno: si dice infatti che i topi rosic-chino ogni cosa, dalle provviste in dispensa alle assi del pavimento. Ma per la nonna la tra-gedia stava nel fatto che i topi sono ghiotti di uova e sanno come rubarle.— Bestiacce — sibilava tra i denti la nonna, quando nel contare le uova ne mancava una (il conto è presto fatto: dieci galline, dieci uova) — Possiate morire tutte quante. Vi ammazzo tutte, maledette! — Ma non poteva, ed era uni-camente per questo che aveva accolto con sè, sotto lo stesso tetto, il gatto Camillo del quale in realtà non le importava un fico.Perché la leggenda dice che i gatti danno la caccia ai topi. Non Camillo, però, che se ne infischiava e preferiva la trippa. Quella del giovedì.Purtroppo c’è da dire che i contadini ama-no poco gli animali, un po’ di più quelli che

servono a qualcosa: mucche, pecore e capre per il latte, i maiali per le salsicce e i salami, i conigli per mangiarli in fricassea, le galline per le uova di giornata. E la mia nonna Angio-lina, per l’appunto, era nata contadina, figlia di contadini.Per tornare al mio topo personale, amatissimo e indimenticabile, dopo un attento esame a pancia in su, decisi che era femmina e la chia-mai Eleonora.

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Come fu che Eleonoradivenne un topo tutto per me

Dovete sapere che il papà, che come me ama-va molto tutti gli animali, manteneva tuttavia nei confronti dei topi, un atteggiamento neu-trale: né pro né contro.Ma quando ne vedeva uno morto, ucciso pro-babilmente dalla gatta della casa accanto (non certo da Camillo), lo guardava come a dire: poverino.E dovete sapere anche che la nonna spendeva una fortuna in trappole, le più infernali, che sistemava poi per tutta la casa, dal pollaio che si trovava dove una volta era la stalla e cioè a piano terra, su su fino al solaio.Le trappole infernali funzionavano così.La nonna scaldava sulla piastra della cucina economica una crosta di formaggio di grana per rendere più acuto l’odore.La sistemava poi nella trappola dove c’era uno sportelletto tirato su, e quando il topo, attira-

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to dal profumino, entrava... zac, lo sportelletto scendeva con un colpo secco sul collo del po-vero topo. Una cosa terribile, potete ben im-maginare: la testa di qua e il resto di là. Non ci si può pensare.Il papà, con la scusa che quelle trappole potevano rappresentare un pericolo per me (non era vero, non ero così scema da lasciarci un dito per prendere il formaggio, tanto più che non mi piaceva, il formaggio); con quella scusa il papà disse un bel giorno che d’ora in-nanzi delle trappole si sarebbe occupato lui. E così aveva fatto.Ne aveva comperate delle altre, molto più umane, diceva.Ma come funzionano le trappole umane ?Ci si mette dentro la solita crosta di formaggio, il topo arriva perché sente l’odore, lo sportel-letto che prima era socchiuso... tac, scatta e si chiude alle spalle del topo, che resta in-trappolato. Cosa si fa a questo punto del topo intrappolato?Lo si libera.

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Anche a questo ci avrebbe pensato il papà, stessero pur tranquille, con il mio aiuto.Le trappole umane le sistemavamo io e lui la sera, per tutta la casa, dal pollaio al solaio.Al mattino andavamo in perlustrazione. E se trovavamo una trappola col topo prigioniero io la prendevo delicatamente e tutti e due, io e il papà, andavamo alla Scaggetta.La Scaggetta - una puzza tremenda - era la discarica della spazzatura a cielo aperto.Là tutte le sere si andava a svuotare il secchio di latta della spazzatura. Funzionava così. Allora i cassonetti non esiste-vano ancora.La Scaggetta era fuori paese, lontana dalle case e per questo bisognava camminare un bel pò. In questo caso di buon passo, per po-ter liberare il prima possibile il prigioniero al quale, per la paura, tremavano i baffi e anche la coda.Io per la verità sulla Scaggetta non ero tanto d’accordo, avrei preferito un campo di trifo-glio. Ma il papà da quell’orecchio non ci sen-

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tiva. — Nina non fare storie. Si va alla Scaggetta e basta.Alla Scaggetta liberavamo il topo, che fuggiva attraverso quel mare di rumenta, cioè di spaz-zatura, con uno squittio di felicità.Insomma con le trappole umane le cose anda-vano così, sicuramente meglio.Finché una mattina in solaio ne trovammo uno (di topo) diverso da tutti gli altri: mi-nuscolo, tutto rosa anziché grigiolino, quasi senza baffetti, le zampine corte corte, il co-dino lungo quanto il mio mignolo. Tremava così tanto ma così tanto che pareva fatto di gelatina, di quella che si mangia durante le feste di Natale.— Che amore, papà! Ma che carino! Ti prego, teniamolo! Ci penso io —, supplicai.Il papà ci pensò su, ma solo un attimo: pove-ro papà, era uno di quei papà che, se niente niente possono, accontentano sempre i loro bambini. Poi disse:— E va bene, teniamolo. Però pensaci davvero tu Nina; e attenta con il cane ma anche con il

gatto, che anche se come cacciatore non vale niente, è pur sempre un gatto; e poi attenta con la mamma e con la nonna —. Sembrò pen-sare un attimo e poi aggiunse: — E soprattutto sta attenta alla zia Lilla, che non si sa mai.Quest’ultima frase mi risultò enigmatica, ma lo fu ancora per poco, perché sulla strada del ritorno - topino in tasca, trappola in mano - il mistero fu svelato: il papà mi raccontò lastoria della zia, della pentola, del topo edella mamma col suo bel caratterino.La storia è questa.