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Un “monumento inesatto”: il mappamondo di Fra Mauro * Piero Falchetta Il primo, e finora più importante studio del mappamondo di fra Mauro, pubblicato nel 1806 da Placido Zurla (Zurla, 1806), si apre con la dedica dell’autore al patrizio veneziano Giandomenico Almorò Tiepolo, nella quale, alla prima riga, si legge: «Nel mettere in luce più chiara e distinta, che non si è fatto finora, questo domestico Monumento da lunga età sì celebre, ma non ancora ben conosciuto…» (Zurla, 1806, p. 3). Sono parole che hanno ormai duecento anni, ma che potrei pronunciare ancora oggi senza timore di essere smentito. Avviene infatti che il mappamondo continua a essere celebre, tanto che non v’è opera di storia della geografia o della cartografia, e della civiltà veneziana, per non parlare delle storie degli ordini religiosi, che ad esso non facciano riferimento, riproducendolo magari per intero o in qualche suo significativo dettaglio in immagini di grande suggestione. Tuttavia, a dispetto di tanta celebrità, si deve constatare che il grande planisfero, summa di un sapere geografico straordinariamente innovativo, continua ad essere, a dir poco, non ancora ben conosciuto per la mancanza di studi e analisi approfondite dedicate specificamente all'opera. Come mai le indagini sul celebre documento hanno tanto lungamente evitato, prima e dopo il pionieristico impegno di Zurla, il confronto diretto con l’opera, e si sono per lo più * Il testo che segue è inedito in italiano; esso riprende a grandi linee l'introduzione al volume P. Falchetta, Fra Mauro's World Map, Turnhout, Brepols, 2006. Il volume è accompagnato da un CD-ROM con l'edizione digitale del mappamondo, curata da Caterina Balletti (IUAV) e dalla sua équipe. Il passaggio dall'originale pergamenaceo al digitale è illustrato nell'intervento di Balletti, da leggersi “insieme” al presente scritto in questo stesso volume di atti.

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Il mappamondo di Fra' Mauro, opera composta a Venezia intorno alla metà del XV secolo

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Un “monumento inesatto”: il mappamondo di Fra Mauro*

Piero Falchetta

Il primo, e finora più importante studio del mappamondo di fra Mauro, pubblicato nel 1806 da Placido Zurla (Zurla, 1806), si apre con la dedica dell’autore al patrizio veneziano Giandomenico Almorò Tiepolo, nella quale, alla prima riga, si legge: «Nel mettere in luce più chiara e distinta, che non si è fatto finora, questo domestico Monumento da lunga età sì celebre, ma non ancora ben conosciuto…» (Zurla, 1806, p. 3). Sono parole che hanno ormai duecento anni, ma che potrei pronunciare ancora oggi senza timore di essere smentito. Avviene infatti che il mappamondo continua a essere celebre, tanto che non v’è opera di storia della geografia o della cartografia, e della civiltà veneziana, per non parlare delle storie degli ordini religiosi, che ad esso non facciano riferimento, riproducendolo magari per intero o in qualche suo significativo dettaglio in immagini di grande suggestione. Tuttavia, a dispetto di tanta celebrità, si deve constatare che il grande planisfero, summa di un sapere geografico straordinariamente innovativo, continua ad essere, a dir poco, non ancora ben conosciuto per la mancanza di studi e analisi approfondite dedicate specificamente all'opera.

Come mai le indagini sul celebre documento hanno tanto lungamente evitato, prima e dopo il pionieristico impegno di Zurla, il confronto diretto con l’opera, e si sono per lo più limitate a brevi assaggi di questo o quel dettaglio cartografico? Anche dopo la pubblicazione, nel 1956, dell’edizione facsimilare del mappamondo (Mappamondo, 1956), la situazione non è sostanzialmente cambiata, nonostante Roberto Almagià vi avesse espresso, nella sua Presentazione, il seguente auspicio:

Non è nostro compito qui di fare uno studio di dettaglio del Mappamondo di fra Mauro; la presente riproduzione – corredata da una scrupolosa trascrizione delle didascalie – intende solo offrire agli studiosi il mezzo di darci, sia pure attraverso ricerche particolari, quella completa illustrazione che, dopo il vecchio e ormai superato lavoro dello Zurla, non si è più avuta (Mappamondo, 1956, p. 8).

L’auspicato avvio di una nuova stagione di ricerche, con la quale si * Il testo che segue è inedito in italiano; esso riprende a grandi linee l'introduzione al volume

P. Falchetta, Fra Mauro's World Map, Turnhout, Brepols, 2006. Il volume è accompagnato da un CD-ROM con l'edizione digitale del mappamondo, curata da Caterina Balletti (IUAV) e dalla sua équipe. Il passaggio dall'originale pergamenaceo al digitale è illustrato nell'intervento di Balletti, da leggersi “insieme” al presente scritto in questo stesso volume di atti.

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potesse finalmente ravvicinare l’opera quanto essa merita, non ebbe invece seguito. Il fatto è in certo modo sorprendente, soprattutto quando si considera lo straordinario impulso che gli studi di cartografia storica hanno avuto a partire dal secondo dopoguerra.

Da una parte abbiamo perciò un documento celebratissimo e in ottimo stato di conservazione, sostenuto dal concorde pronunciamento che si tratti di un’opera di assoluta importanza storica; dall’altra disponiamo uno strumento di lavoro accurato e completo quale è l’edizione in facsimile del 1956. Ovvero tutte le premesse per un deciso rilancio degli studi, che tuttavia non si è realizzato. È a questo punto chiaro che la scarsità di risultati scientifici propone un interrogativo sul quale sarà necessario riflettere.

Al tempo in cui Zurla scriveva, Venezia aveva da pochi anni perduto la propria millenaria indipendenza; vi sono numerosi passaggi nel suo libro nei quali sono esaltate le glorie trascorse, e l’opera di Mauro, alla quale Zurla si accingeva mentre il governo napoleonico preparava la soppressione del monastero di San Michele, veniva letta dall’autore non soltanto come l’importante testimonianza di un’epoca passata, bensì anche come la prova dell’assoluta eccellenza del sapere veneziano, al punto che egli la definisce «uno fra gli altri miracoli di questa città» (Zurla, 1806, p. 152). L’idea che egli coltiva è quella di trovarsi dinanzi, come abbiamo visto, a un monumento, ovvero a un testo i cui significati tendono a sottrarsi al giudizio critico, in quanto farebbero parte di un sistema di valori indiscutibili, non soggetti al mutare delle epoche e del gusto. Un monumento, appunto. Il convincimento di Zurla è in tal senso assai chiaro: il mappamondo è portatore di un sapere d’eccellenza, i cui significati sono acquisiti una volta per tutte, o sono quanto meno largamente condivisi.

Ma i tempi stavano rapidamente cambiando, e si erano ormai affermati i princípi di una scienza positiva che valutava la cartografia storica innanzitutto per la sua maggiore o minore capacità di accostarsi al modello matematico moderno, ovvero di risultare più o meno misurabile, più o meno “esatta”. Si veda quanto scriveva al riguardo il geologo e vulcanologo Nicolas Desmarest per la voce «Géographie» dell’Encyclopédie:

La géographie considerée dans l’ancien tems, ne peut être traitée avec précision que par le secours de la moderne; c’est par celle-ci que l’on est venu à bout de déterminer les différentes mesures des anciens. Quelque provision que l’on ait de lecture des anciens auteurs, si l’on ne fait point une

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comparaison avec ce que les autre modernes rapportent, et si l’on ne consulte point les morceaux levés exactement sur les lieux, et rectifiés même par les observations astronomiques, l’on pourra bien composer une carte, mais qui sera plutôt un dépouillement des auteurs qu’on aura lus, que le véritable état du pays tel qu’il devroit être convenablement au tems pour lequel on travaille (Desmarest, 1773, p. 609).

È, insomma, una cartografia che bada al cosa e al quanto piuttosto che al come, e vien da dubitare che i suoi esponenti si sarebbero emozionati di fronte all’impianto complessivo del mappamondo; il quale doveva sembrar loro semplicemente iscritto entro i canoni della concezione medioevale, e del tutto incurante, per così dire, della lezione cartografica di Tolomeo e del suo sistema matematico basato sulle coordinate geografiche. Da quel punto vista l’opera di Mauro doveva apparire anch’essa, seppure per ragioni contrarie a quelle di Zurla, un monumento, vale a dire una testimonianza certamente interessante, ma relativamente muta, di un passato inefficace e inadeguato di fronte al progresso della moderna scienza. Valgano ad esempio le parole di Edme-François Jomard, l’ingegnere e geografo creatore (1828) del Département des cartes et plans della Bibliothèque Nationale di Parigi, che nel testo composto per l’Atlas des Monuments de la Géographie si proponeva di riuscire a

provoquer la recherche plus complète de tous les monuments de la géographie encore inconnus, conservés dans les bibliothèques particulières où ailleurs, enfouis, peut-être, dans des dêpots d’une toute autre nature; enfin de les faire surgir de la poussière et sortir de l’oubli où ils sont ensevelis (Jomard, 1879, p. 6)

dove ancora prevale, al di là del valore della proposta scientifica e del dovuto omaggio alle opere del passato, la concezione dell’opera quale monumento. Non è perciò casuale che il maggior numero di riferimenti bibliografici al mappamondo riconduca a studi pubblicati all’incirca fra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento, all’epoca cioè nella quale mentre rinasceva vigorosa l’attenzione per la cartografia storica, quella stessa attenzione era tuttavia preoccupata innanzitutto della verifica della maggiore o minore “esattezza” geografica delle antiche carte.

Di conseguenza, se la prospettiva in certa misura “antiquaria” di Zurla poteva ancora, e senza contraddizione, dar luogo a un approccio appassionato, approfondito e di ampio orizzonte, non altrettanta soddisfazione potevano aspettarsi gli studiosi moderni, i cui strumenti parevano inadeguati per eccesso rispetto alla natura, alle caratteristiche e al significato storico del

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mappamondo. O piuttosto: era quest’ultimo ad apparir loro troppo “primitivo” rispetto al portato delle successive acquisizioni scientifiche. In altre parole, la scarsità di studi dedicati all’opera di Mauro ha trovato fondamento nella relativa insignificanza scientifica che alla cartografia del passato veniva tacitamente imputata, pur dopo aver fatto salvo il suo indiscutibile valore di testimonianza storica tout court. O, ancor meglio: nell’ideologia del progresso scientifico, le carte antiche appaiono relativamente povere di contenuti geografici effettivi, in quanto originate da un empirismo non commisurabile con i metodi della scienza.

Bisognerà aspettare tempi molto più vicini a noi, perché la cartografia inizi a svincolarsi dall’abbraccio soffocante della geografia. Tappa fondamentale di questo percorso di emancipazione fu la fondazione a Berlino, nel 1935, della rivista «Imago Mundi», sotto la direzione di Leo Bagrow, intorno alla quale si raccolse un ampio numero di studiosi di varia provenienza geografica e disciplinare, e che costituì il primo ambito di discussione dedicato esplicitamente alla storia della cartografia. A partire da quegli anni, com'è noto, andò poco per volta prendendo forma un’idea nuova, secondo la quale le carte geografiche non sarebbero più la semplice trasposizione formale e visuale di un sapere generatosi altrove, bensì testi dotati di una propria autonomia, nei quali, per effetto del loro carattere sintetico, sono precipitati saperi e competenze diversi. Tali saperi e tali competenze non soltanto esprimono la sintesi di conoscenze altrimenti non contestuali, ma trovano la loro formulazione più efficace – a volte persino la sola formulazione – soprattutto in virtù del fatto di essere espressi nella modalità cartografica. L’approccio a tali testi, nei quali sono depositati molteplici segni, sarà perciò, per forza di cose, pluridisciplinare, mentre il metodo critico-filologico fornirà la strumentazione più adeguata per la loro lettura.

Il mappamondo di Mauro non fu storicamente interrogato nell’ordine di quella molteplicità, bensì, innanzitutto, nella sua capacità di rispondere ai termini del discorso geografico. Si prenda ad esempio il seguente commento del Berchet:

fra Mauro pone l’Abassia o Agisimba o Abissinia al di sopra della Nubia, perché l’orientazione della sua carta è inversa delle comuni, tenendo, come quelle del Sanudo e altre antiche, secondo il costume che vuolsi derivato dai Cinesi, il settentrione al basso ed il mezzogiorno all’alto; la segna nella giusta sua posizione; ed è pure sufficientemente chiaro nel determinarne i confini… (Berchet, 1869, p. 168)

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Categorie geografiche intese secondo la prospettiva moderna e le moderne concezioni sono qui applicate a un documento nel quale esse non “funzionano”, o tutt’al più si limitano a individuare soltanto poche funzioni; è pertanto chiaro come il mappamondo potesse apparire in tale prospettiva non così interessante da indagare a fondo, in quanto i suoi “messaggi”, ovvero il suo contenuto geografico, rivelavano fin da subito la loro imprecisione.

Se queste sono le ragioni che hanno ostacolato, sul versante storico-epistemologico, l’approfondimento dell’indagine critica sul planisfero, vi è ancora un motivo d’ordine metodologico che ha senza dubbio scoraggiato gli studiosi, ossia la scarsità di informazioni sia sull’autore che sulla sua opera. La difficoltà, in una tale situazione, di ricostruire il reticolo dei fatti e dei rapporti intervenuti, di inquadrare l’evento in un contesto culturale e sociale dai contorni sufficientemente accertati, di indagare sulle motivazioni dell’autore e sulle reazioni suscitate dalla sua impresa, riducono grandemente la strumentazione della quale si serve solitamente la ricerca storica, e lascia per lo più alla sola rappresentazione cartografica e agli sparsi elementi discorsivi in essa contenuti il compito di rispondere ai nostri interrogativi. Che sono tuttavia, come abbiamo visto, d’ordine non soltanto geografico.

Ciò vale in special modo per quanto riguarda la ricerca delle fonti, come si può ben comprendere dal seguente esempio. Nel “canale” che in apparenza separa l’isola di Sumatra dal continente – ma si tratta in realtà della costa della Baia del Bengala – fra Mauro disegna un çirolo, ossia un gorgo, accompagnato dalla seguente iscrizione: Questo çirolo qui de soto è molto pericolo per naviganti (iscrizione *230). Come si vedrà a luogo debito, è possibile ricondurre tale dettaglio alla presenza in quelle acque, presenza secolarmente attestata (Yule, 1903, p. 622), di un pericolosissimo gorgo provocato dall’incontro della foce del fiume Irrawaddy con l’Oceano Indiano. Sappiamo inoltre che quel tratto di mare non era frequentato dai navigatori arabi, che fu esplorato dai navigatori europei soltanto nel Cinquecento, e che le sole marinerie ad avere dimestichezza con quei luoghi erano all’epoca la bengalese e la birmana (Tibbetts, 1971, p. 470). Vien perciò da domandarsi per quali vie Mauro abbia potuto attingere a tale informazione, che rispecchia una conoscenza dettagliata dei pericoli ai quali i marinai potevano andare incontro in quei mari. Vi è infatti, da una parte, l’interrogativo sulle possibili vie di trasmissione di una notizia proveniente con ogni probabilità da un’area

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di competenza bengalo-malese, quanto mai insolita per le consuete frequentazioni dei letterati cristiano-occidentali. In second’ordine, anche presupponendo che si tratti, com’è probabile, di una tradizione orale, sorge spontaneo il quesito circa il percorso linguistico seguito dalla notizia, considerato anche il fatto che il camaldolese non conosceva, a quanto ci è dato sapere, neppure la lingua greca.

Esempi come quello ora riportato abbondano nel mappamondo, e i pochi elementi di ragionevole certezza che da essi possiamo ricavare pertengono quasi sempre alla sola sfera delle conoscenze geografiche, mentre sono per lo più preclusi altri percorsi di risalita verso l’individuazione delle fonti. Risulta forse chiaro, a questo punto, quali siano le difficoltà metodologiche che insorgono nello studio del mappamondo, e come anche a queste possa essere imputata la scarsa conoscenza di quest’opera che è peraltro sempre citata per la sua grande importanza storica. La qual situazione appare quanto meno singolare.

Messe da parte queste peraltro necessarie considerazioni, passiamo ora in breve rassegna i segnali d’attenzione rivolti al mappamondo da viaggiatori e studiosi d’ogni epoca. La prima testimonianza in ordine di tempo è quella del domenicano zurighese Felix Fabri, il quale soggiornò alcune settimane a Venezia nel corso del suo pellegrinaggio in Terra Santa. Il diario di viaggio che ci ha lasciato, l’Evagatorium Fratris Felicis in Terrae sanctae, Arabiae et Egypti peregrinationem, è assai dettagliato, e sotto la data 31 maggio 1483 è riportata la seguente notizia: «Est enim inter Venetias et Murianum insula, in qua est ecclesia nova et pulchra S. Cristophori cum monasterio Ordinis albi. In illo monasterio est depicta una mappa mundi valde pulchra» (Fabri, 2000, p. 136). La visita al mappamondo doveva essere una tappa consueta per i visitatori che giungevano a Venezia, come si vedrà più avanti.

Nella prima metà del Cinquecento l’erudito veneto Alessandro Zorzi mise mano a una compilazione d’argomento geografico di ampio respiro, nella quale non soltanto sono raccolte alcune rare e importanti pubblicazioni a stampa, come ad esempio un esemplare dei Paesi nuovamente retrovati di Fracanzio da Montalboddo (1507), ma ove si trovano ampie parti da lui compilate con fitte e numerose annotazioni e chiose ai testi, alle quali vanno ad aggiungersi frequenti schizzi cartografici delle diverse parti del mondo. Quel che per il momento più interessa, è che il quarto volume di quest’opera

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contiene un gran numero di notizie sull’Etiopia o, per esser più precisi, sui territori africani compresi fra l’Eritrea e la parte settentrionale dell’odierna Somalia, che formavano allora il regno cristiano d’Etiopia. Tali notizie paiono per lo più essere il frutto di numerose “interviste” che lo stesso Zorzi ottenne da religiosi etiopi di passaggio a Venezia, interviste che furono da lui raccolte fra il 1519 e il 1524 (Mannoni, 1932; Crawford, 1958, pp. 23-27). È indubbio che alcune di queste interviste, e in particolare quelle attribuite a tale fra Nicola «di S. Michele di Muran» hanno certamente stretta relazione con il mappamondo di Mauro (Crawford 1958, pp. 108-18).

Importanza ben maggiore ebbe tuttavia per la conoscenza del mappamondo il noto passo di Ramusio del 1553, nel quale se da un lato v’è autenticazione del valore dell’opera, sono dall’altro introdotti alcuni elementi che hanno fin quasi ai nostri giorni variamente interferito con la sua interpretazione.

Scriveva dunque Ramusio di ricordare come avesse ascoltato in gioventù (presumibilmente negli anni ’10 del Cinquecento, e perciò a considerevole distanza di tempo dal momento in cui compose il testo al quale ci riferiamo) il racconto di Paolo Orlandino, priore del monastero di San Michele, il quale riferiva di avere a sua volta sentito narrare dai frati anziani che il planisfero di fra Mauro era stato copiato da una carta nautica e da un mappamondo portati dalla Cina da Marco Polo in persona (Ramusio, 1978-88, v. 3, pp. 68-71). Questa versione si propagò attraverso i secoli, e fu tuttavia variamente intesa. Terrarossa, che scriveva nel 1685 in Santa Giustina a Padova, riteneva, intendendo male, che il planisfero di San Michele fosse lo stesso che Marco Polo avrebbe portato dalla Cina1; la derivazione del mappamondo dalle presunte carte di Marco fu successivamente respinta dal Collina2, per essere poi ripresa, ampiamente discussa e fortemente sostenuta dal Marin3. In epoca moderna, il rifiuto di Almagià della versione ramusiana ammette tuttavia una qualche possibilità che la «belissima e molto vecchia carta marina» eventualmente portata dai Polo potesse essere servita alla compilazione della cosiddetta Carta Borgiana4, o meglio, dell’originale dalla quale questa fu

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tratta5.Il dibattito sulla tradizione trasmessa (avviata?) dal Ramusio si è quindi

protratto a lungo, senza che sia stato possibile darvi risposta definitiva. Due aspetti vanno comunque considerati, in quanto depongono ambedue contro quella sua testimonianza. È infatti quanto mai verosimile che Marco Polo potesse aver portato con sé dalla Cina qualche carta o mappa lungo la quale ripercorrere i suoi viaggi e orientarsi in quell’immenso paese; ma già il Collina osservava:

Non mi so poscia persuadere come, essendosi conservati in Venezia questo tal Mappamondo [di Marco] e questa carta marina per 162 anni [...] si sieno poscia lasciati miseramente perire due monumenti sì ragguardevoli, non ne restando, per quanto io sappia, vestigio alcuno, quando s’è di poi fatto così gran conto della supposta lor copia6.

Vi è poi una considerazione che risalta dall’esame dell’opera stessa. Sappiamo bene quanto Mauro fosse pronto ad accogliere le novità geografiche delle quali era venuto per mille tramiti a conoscenza, prendendo personalmente posizione contro Tolomeo e gli altri autori classici, valga per tutti il caso dell’Africa, della sua forma, della descrizione del suo interno. Se egli avesse veramente avuto a disposizione un nuovo modello cartografico da lui ritenuto autorevole, saremmo dunque autorizzati a pensare che ne avrebbe con ogni probabilità fatto uso, come accadde ad esempio per l’Etiopia. Confrontiamo perciò la figura di Africa e India in Mauro con quelle corrispondenti in due fra le più antiche e importanti carte orientali. La prima è intitolata Yü T’u (La carta della terra), e fu composta in Cina verso il 1320 da Chu Ssu-Pen; ci è pervenuta in copia o piuttosto in un fedele rifacimento cinquecentesco di Lo Hung-hsien7. La seconda è la carta coreana conosciuta con il nome di Kangnido, che è una rielaborazione sintetica, datata al 1402, di due carte cinesi del secolo XIV, oggi perdute, composte da Li Tse-min e da Ch’ing Chün8.

L’Africa è in questi due documenti facilmente riconoscibile nella sua sagoma triangolare così diversa tanto dal modello delle mappaemundi

1 TERRAROSSA 1686, p 19: «Egli [Polo] fu quello cha dal Catajo portò alla Metropoli dell’Adria il primo e in queste nostre parti non più veduto Mappamondo, nel quale era interamente disegnata l’Africa d’ogn’intorno attorniata dal mare, e vi si rappresentava il Capo di Buona Speranza senza nominarlo, le la sua costa di Zenzibar, ed anco l’isola di Madagascar...».

2 COLLINA 1748, pp. IV-V e 76-90.3 MARIN 1800, pp. 218 segg.4 Si veda al capitolo La carta borgiana.5 ALMAGIÀ, in FM 1956, pp. 7-8.6 COLLINA 1748, pp. 83-4.

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medievali, che da quello della cartografia araba contemporanea, che ancora, e soprattutto, da quello di fra Mauro. Ebbene, se questi accolse in pieno le indicazioni geografiche pervenutegli sull’Africa dai religiosi etiopi, perché avrebbe dovuto respingere del tutto il modello cinese, per attenersi invece a un contorno generale che richiama subito, nel suo schema generale, le mappaemundi dei secoli precedenti?

Ancora più esplicito è il caso dell’India. Osserviamo infatti come nelle carte cinesi – e in particolare nella Kangnido – l’India sia del tutto confusa con la massa continentale asiatica, mentre fra Mauro ne disegna il contorno seguendo il modello tolemaico. Se guardiamo però ai toponimi della regione indiana, notiamo come questi non facciano riferimento se non in modo marginale alle indicazioni di Tolomeo, e come siano invece derivati da fonti molto più precise e ricche di contenuto geografico, che sono di provenienza certamente non occidentale. Se nel disegno dell’India non è quindi riconoscibile alcuna impronta della cartografia cinese del tempo, vi è per contro la traccia dell’impiego di fonti testuali adattate al modello tolemaico, la qual cosa implica che Mauro non disponeva in alcun modo di modelli cartografici di derivazione orientale, bensì soltanto di indicazioni testuali che egli adattò all’unica configurazione dell’India a lui nota, quella tolemaica. Sulla base di tali considerazioni è possibile affermare che la tradizione vulgata da Ramusio appare infondata, quanto meno per la parte relativa alle carte cinesi di Marco Polo. Il passo presenta comunque altri motivi di interesse.

Innanzitutto sembra che a distanza di soli cento anni dalla composizione del mappamondo il nome del cosmographus incomparabilis suo autore fosse nella sua stessa città stato dimenticato; Ramusio definiva Mauro un «converso... che si dilettava della cognizione di cosmografia», ovvero in modo piuttosto riduttivo rispetto al pregio dell’opera, che pure viene ammesso, e ciò sembra strano se ad affermarlo fu uno dei più autorevoli esperti del tempo in materia geografica - anche se poi Ramusio aggiunge che l'opera era ancora tenuta nella massima considerazione, e che veniva regolarmente mostrata ai forestieri che si recavano ai laboratori del vetro di Murano. In secondo luogo,

7 Su questa carta, oggi conservata presso la biblioteca del Gabinetto Imperiale di Tokyo, vedi CHANG 1970.

8 La carta Kangnido è pervenuta in tre copie, la più antica delle quali si conserva presso l’Università Ryukoku di Kyoto; vedi FUCHS 1953; NEEDHAM 1959, pp. 554-6; CHANG 1970; Circa 1492 1991, pp. 328-32; LEDYARD 1994, pp. 244-49.

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pare di capire dal passo di Ramusio che il presunto mappamondo di Marco – ché le aggiunte «ridiculose» non possono riferirsi al planisfero di Mauro, ché di elementi fantasiosi, leggendari e di presenze mostruose è del tutto avaro, e anzi l’autore polemizza in diversi luoghi, come si vedrà, con gli elementi fantastici della tradizione geografica classica e medioevale - fosse stato successivamente manomesso con l'aggiunta di «tante cose più moderne e alquanto ridiculose». Fino a questo punto del testo, è chiaro che Ramusio sta scrivendo della carta di Marco, che sarebbe stata perciò resa inattendibile da un intervento posteriore. Vi è poi, nel prosieguo del passo, un salto logico, che ne rende incerta l'interpretazione; Ramusio passa infatti a parlare del rinnovato interesse accesosi «non molti anni sono» per il Milione e come questo avesse contribuito a posteriori a validare le informazioni contenute nel mappamondo di Mauro per effetto del confronto incrociato fra il testo di Marco, la sua carta e quella di Mauro; o forse, e qui è difficile intendere il testo, anche se quent'ultima interpretazione pare più probabile, si intende che la verifica dell'attendibilità del Milione ebbe per effetto anche l'autenticazione del mappamondo di Mauro, che sulle indicazioni geografiche di Marco è in parte basato. Dalle parole del Ramusio pare insomma di capire che il Milione e l'opera di Mauro si avvalorano l'uno con l'altra, mentre resta del tutto estranea a tale processo la presunta carta cinese di Marco, che possiamo probabilmente ritenere mai esistita.

Come conseguenza di tale equivoco, vi è l'errata attribuzione a Marco delle innovazioni geo-cartografiche introdotte da Mauro, quali ad esempio la circumnavigabilità dell’Africa - «il che al tempo di messer Marco si sapeva», scrive infatti Ramusio - o la navigabilità dei mari settentrionali oltre il limite della Scandinavia. Tali affermazioni testimoniano del fatto che Ramusio conosceva soltanto superficialmente il mappamondo di Mauro, altrimenti avrebbe compreso dalle stesse iscrizioni presenti in quello che tali innovazioni erano il frutto di conoscenze più recenti, non riconducibili al viaggio dei Polo. Una simile trascuratezza da parte del Ramusio, che si verifica nel momento stesso in cui egli descrive il planisfero come opera celeberrima e a tutti nota, sorprende non poco, giacché egli avrebbe in ogni momento potuto esaminare il mappamondo. Se tale esame non vi fu, lo si deve probabilmente al fatto che Ramusio riteneva si trattasse di un documento corrotto, le cui gravi imperfezioni erano tutte da attribuire a Mauro; il mappamondo di San Michele

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non era perciò che una brutta copia dell'originale poliano: «E ancor che quivi si vegghino molte cose essere fatte alquanto confusamente e senza ordine, grado o misura (il che si deve attribuire a colui che 'l dipinse e forní)...». Inoltre, la mancanza di un sistema di riferimento spaziale e delle coordinate geografiche doveva apparire all'autore delle Navigationi, in un’epoca nella quale il metodo tolemaico era ormai stato totalmente assimilato, come una ragione sufficiente a motivare il proprio scarso sinteresse nei confronti dell'opera.

Le note del Ramusio ebbero insomma un'eco assai prolungata, e in certo senso contribuirono più a sviare le attenzioni rivolte al mappamondo che non a richiamarle. Ciò non impedì tuttavia che venissero formulati giudizi più attenti, come quello di Marco Foscarini, che riconduceva del resto la sapienza geografica di Mauro innanzitutto alle informazioni ricevute dai portoghesi9, o quello del Tiraboschi, che argomenta allo stesso modo10. Bisogna comunque attendere il lavoro dello Zurla per poter finalmente uscire da un ambito nel quale ogni questione riguardante il mappamondo veniva inquadrata all’interno della polemica sul presunto primato della cartografia veneziana (o meglio ancora della cultura geografica veneta nel suo complesso)11; con il suo studio si entra infatti per la prima volta in un discorso più distesamente critico e circostanziato.

L’inclinazione dello Zurla agli studi scientifici è testimoniata fin dai primi tempi della sua vita di religioso; pronunciati i voti il 5 aprile 1790, il 2 settembre, all’età di ventuno anni, discusse pubblicamente e con successo quarantotto tesi sulla teoria newtoniana della gravitazione12. Che tale inclinazione prendesse poi forma nel lavoro dedicato al mappamondo fu cosa che poté tuttavia realizzarsi anche perché Zurla fu in grado di avvalersi di alcune indagini precedenti, che non videro mai conclusione e tantomeno pubblicazione, ma che egli mise certamente a frutto, come testimoniano i quaderni pervenuti, che raccolgono gli appunti del Costadoni, del Cappellari e altri scritti anonimi13.

9 FOSCARINI 1752, pp. 419-20.10 TIRABOSCHI17902, pp. 216-18.11 Il frontespizio delle già citate Riflessioni geografiche del Terrarossa chiarisce che

nell’opera «Si pruova che i Patrizi di Venezia prima d’ogni altro hanno all’Italia et all’Europa discoperte tutte le terre anticamente incognite, anco l’America, e la Terra Australe [...] Si difende contra il moderno Baudrand, che niuno infra i racconti geografici dagli stessi Gentiluomini dell’Adria pubblicati è stato finto o favoloso».

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Le ragioni che indussero Zurla a dare compimento alla prima indagine generale sul planisfero di Mauro sono infatti di ordine diverso. Innanzitutto, come abbiamo visto, la personale propensione alla materia; quindi il desiderio di restituire a fra Mauro l’intero merito dell’opera, dopo che Ramusio e tutti coloro che gli si erano accodati avevano messo in dubbio l’originalità del documento. Infine l’esigenza di dimostrare agli occupanti francesi, che già preparavano la soppressione del monastero, il valore degli studi scientifici che colà si coltivavano, nell’illusione di poter far prevalere il valore dell’erudizione sulla forza della politica e delle armi. Tali ragioni erano poi calate in un discorso generale di tono apologetico, che rivendicava a Venezia il primato14

degli studi geografici e della cartografia, e di tale valore egli si sentiva, e per mezzo di Mauro si propagava, continuatore.

Il libro dello Zurla si apre infatti con un’ampia rassegna di cartografi e viaggiatori veneziani dei secoli precedenti, fra i quali il mappamondo conservato a San Michele rappresenta il culmine e «il decoro di questa Biblioteca non meno che de’ progressi portentosi in geografici studi de’ Veneziani verso la metà del sec. XV15». L’eccellenza dell’opera consiste prima di tutto nelle novità geografiche che vi compaiono; non vi sono più terre incognitae che designano gli ignoti confini del mondo, bensì territori descritti in tutte le loro caratteristiche, e le mille isole dell’Oceano Indiano, «il quale non già chiuso si descrive [...] ma aperto, ed unito all’Oceano Atlantico16», cosicché «in tutte tre le parti del mondo allor conosciuto riscontransi preziose novità non registrate in altre Carte o Libri di que’ giorni17».

L’encomio si estende poi alle note astronomiche e cosmologiche marginali, nonché al pregio pittorico del mappamondo, alle «delicate tinte», ai «pittoreschi intrecci», che sono la prova di quanto le arti figurative fossero progredite a Venezia in quell’epoca. E conclude:

Poiché adunque tal Mappamondo è un glorioso monumento della primaria influenza de’ veneti al risorgimento della Geografia, non men che de’ studi ed arti analoghe, quanto perciò a ragione asserì l’Andres18 potersi su tal Mappamondo scriver un assai curioso e interessante trattato [...] Ed ecco

12 ZURLA 1790.13 Si veda l’inventario di tali scritti nel saggio di Angelo Cattaneo, in questo stesso volume.14 Z, p. 6: «Ma sopra tutto nel risorgimento della Geografia nuovo pregio si aggiunse anche

alle carte a rappresentarla destinate, tra Veneti principalmente, che siccome dell’arti tutte alla nautica attinenti allora ebbero il primato, così a diritto l’ottennero anche per la Geografia, e nelle tavole ad essa relative».

15 Ibid., p. 11.16 Ibid., p. 12.17 Ibid., p. 13.

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appunto lo scopo cui mi prefiggo19.

La prima parte dell’opera è così dedicata alla descrizione del mappamondo, suddivisa anch’essa per aree geografiche, e contiene i primi tentativi di riportare alle moderne conoscenze e alla moderna toponomastica le caratteristiche fisiche descritte da Mauro e i nomi geografici da lui impiegati, servendosi anche del confronto con carte geografiche dell’Ortelio, del Blaeu e di altri autori dei secoli XVI, XVII e XVIII. Zurla trascrive qui molte didascalie, specie le più lunghe, e tenta poi di raffigurare a parole le posizioni geografiche delle varie località, anche se è di fatto assai difficile seguire il suo argomentare senza avere sott’occhio la carta. Se da un lato vi era la difficoltà tecnica di riprodurla fedelmente in tutti i suoi particolari, difficoltà che sarà superata soltanto con l’avvento della fotografia, v’è dall’altro da parte dell’autore una certa ingenua fiducia nell’efficacia della descrizione puramente letteraria, quasi non considerasse rilevanti le differenze tra parola e figura. Inoltre egli sembra non avere consapevolezza del fatto che ogni rappresentazione cartografica è comprensibile soltanto in quanto relazione di ogni suo punto con tutti gli altri punti, relazione che non può essere restituita se non parzialmente da alcuna esposizione lineare (paratattica), quale è inevitabilmente quella letteraria. Perciò, anziché comporre ad esempio un dizionario commentato dei luoghi presenti nel mappamondo, o tentare una lettura storico-critica dell’opera, Zurla preferisce riprendere, anche se ormai fuori tempo massimo, la grande tradizione della geografia letteraria, quella stessa, per intenderci, che al tempo di Mauro aveva dato luogo all’Italia illustrata di Flavio Biondo (1474).

In questo senso vanno interpretate anche le sue osservazioni sulla fondamentale questione del rapporto fra la cartografia tolemaica e il mappamondo. Quest’ultimo è infatti posto al vertice di una tradizione contrassegnata innanzitutto dalla «preminenza de’ pregi idro-geografici de’ Veneti20», vale a dire dall’eccellenza che la “scuola” veneziana aveva raggiunto e saputo esprimere nella produzione delle carte nautiche, al cospetto della quale si evidenziavano tutti i limiti e gli “errori” di Tolomeo. Perciò, scrive Zurla, Mauro considerò criticamente l’alessandrino, ovvero «senza giurar 18 Il riferimento è al gesuita Juan Andres, autore fra le altre cose di una vasta opera intitolata

Dell'origine, progressi e stato attuale d'ogni letteratura, Parma, Stamperia Reale, 1782-99.19 Z, p. 14.20 Ibid., p. 11.

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servilmente in quanto trovò scritto, ma con franca libertà emendando i prischi difetti a norma delle notizie verificate a suoi giorni21». Inoltre

è d’uopo rammentarsi che non già un’esattissima carta con tutte le dimensioni costruir si prefisse fra Mauro, ma solo di collocare e descrivere in maestosa amplissima forma quanto fino allora erasi conosciuto. Come potea egli misurare i gradi delle regioni di recente scoperte? Come neppur delle altre già note determinare a pieno rigore geografico-matematico le località, forma, grandezza, sì naturale che relativa? [...] Ciò posto, qual miglior norma seguir potea in quella oscurità de’ tempi ed in quella novità di cose il nostro Cosmografo, di quello che limitarsi alla nuda rappresentazione delle cognite terre, lasciando a più prospero e più sicuro stato di scienza il rettificare le posizioni, i gradi, le misure?22

Il significato è chiaro: l’opera di Mauro non è una carta geografica bensì una rappresentazione che non può essere commisurata alla cartografia matematica. Il suo carattere fortemente innovativo, che ne fa il capolavoro della lunga e gloriosa tradizione cartografica veneziana, la esime inoltre dal confronto con Tolomeo, tanto che soltanto il progredire della scienza geografica sarà in grado di dare misura effettiva a quanto il mappamondo raffigura. Di conseguenza non si può imputare a Mauro di non aver seguito con rigore il metodo tolemaico.

Si potrebbe certamente concordare con Zurla sulla sua valutazione, se non fosse per la decisa rivendicazione, non soltanto storica, che è sottesa alla sua lettura. Venezia era appunto alla fine della sua vicenda in quanto repubblica indipendente e sovrana, mentre stava ormai preparandosi il decreto di soppressione del monastero di San Michele, nel quale tanti uomini eccellenti avevano vissuto e operato23. Riportare in vita il mappamondo, che veniva nel modo che abbiamo visto collocato all’apice di una gloriosa tradizione, significava perciò non soltanto riproporlo all’attenzione degli studiosi, ma contrassegnarlo come valore assoluto cui andava ad appoggiarsi il destino pericolante del monastero e della stessa città di Venezia. Zurla sembra così suggerire tra le righe del proprio commento geografico come fra la preminenza di un tempo e il presente non vi fosse alcuna soluzione di continuità, tentando di rimuovere in questo modo la frattura insanabile che si era ormai aperta fra l’ex Serenissima e il tempo attuale. È evidente che in una prospettiva così fortemente ideologizzata, non poteva trovar più di tanto posto la questione relativa a Tolomeo e al suo metodo cartografico, giacché essa non

21 Ibid., p. 12.22 Ibid., pp. 93-94.23 ZORZI 1987, p. 359.

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appariva funzionale al discorso e rischiava anzi di mettere in luce l’incompiutezza scientifica, per così dire, dell’ardimentoso lavoro di Mauro, che deve invece essere altrimenti valutato:

Non attese già egli a formar copie servili d’altre antecedenti carte [...] né ad illustrar soltanto Tolomeo [...] ma stabilì d’esporre con nobile ardire, senza giurar in verun particolar maestro, quanto da prischi e recenti geografi e viaggiatori avea raccolto, formando co’ proprj studj da vero Autore un nuovo prospetto di Geografia24.

Nel riproporre oggi in questa nuova veste l’opera di Mauro, crediamo di poter far nostre, senza riserve, queste parole. L’analisi ravvicinata del mappamondo ci rivelerà infatti quanto profondamente innovativo esso fu rispetto al suo tempo e alle conoscenze geografiche rappresentate nelle carte contemporanee; la sua stessa monumentalità - che lo rese inamovibile e assai difficilmente riproducibile (ricopiabile) in un formato più maneggevole e al tempo stesso leggibile nel dettaglio cartografico – costituì del resto, con ogni probabilità, l’ostacolo principale alla diffusione di quei contenuti che avrebbero invece trovato espressione nei decenni seguenti grazie, innanzitutto, alla cartografia a stampa.

Opere citateZURLA, P. (1806), Il mappamondo di Fra Mauro camaldolese descritto e illustrato da

D. Placido Zurla dello stess'Ordine, Venezia, s. e.GASPARRINI LEPORACE, T., a cura di (1956; ristampa 2002), Il mappamondo di Fra

Mauro. Presentazione di R. Almagià. Roma, Istituto Poligrafico dello StatoDESMAREST, N. (17733), voce „Géographie“, nell'Encyclopédie, Livourne, de

l'Imprimerie des éditeursJOMARD, E.-F. (1879), Introduction à l'Atlas des Monuments de la Géographie, Paris,

BertrandBERCHET, G. (1869), Lettera sulle cognizioni che i veneziani avevano dell'Abissinia,

in “Bollettino della Società Geografica Italiana”, 2 (1869), pp. 151-70YULE, H. (1903), Hobson-Jobson: A glossary of colloquial Anglo-Indian words and

phrases, and of kindred terms, etymological, historical, geographical and discursive. New ed. edited by William Crooke, London, J. Murray

TIBBETTS, G. R. (1971), Arab Navigation in the Indian Ocean Before the Coming of the Portuguese being a translation of Kitāb al-Fawā’id fī usūl al-bahr wa’l-qawāid of Ahmad b. Majid al-Najdi together with an introduction on the history of Arab navigation, notes on the navigational techniques and on the topography of the Indian Ocean, and a glossary of navigational terms, London, Royal Asiatic Society of Great Britain and Ireland

FABRI, F. (2000), Les errances de Frère Felix, pèlerin en Terre sainte, en Arabie et en Egypte (1480-83). Texte latin, traduction, introduction et notes sous la direction de Jean Meyers et Nicole Chareyron. Montpellier, Publications du Cercam

CRAWFORD, O. G. S., a cura di (1958), Ethiopian Itineraries circa 1400-1524.

24 Ibid., p. 149.

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Including those collected by Alessandro Zorzi at Venice in the years 1519-24. Edited by O. G. S. Crawford. Cambridge, published for the Hakluyt Society at the University Press

RAMUSIO, G. (1978-88), Navigazioni e viaggi. A cura di M. Milanesi, Torino, Einaudi