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La forma urbana è densa e continua Paolo Castelnovi, p. 37 Città “densa” e sostenibilità edilizia Mario Losasso, p. 39 Densità ed energia Alessandro Sgobbo, p. 40 Densità e Consumi Energetici Gaetano Saullo, p. 43 Le strutture regionali per il governo del territorio Mauro Giudice, p. 45 L’organizzazione regionale della pianificazione Luisa Ballari, p. 47 Regioni a Statuto Ordinario Regioni a Statuto Speciale e Province Autonome, p. 48 Tutela delle acque in Piemonte a cura di Carolina Giaimo, p. 51 Il quadro istituzionale e normativo Guglielmo Filippini, Gianna Betta, p. 52 Il processo di partecipazione Cinzia Zugolaro, Valeria Di Marcantonio, p. 53 Il contratto come strumento di governo Angioletta Voghera, p. 54 Il contributo dell’architettura Roberta Ingaramo, p. 56 Aperture La normalità delle catastrofi Francesco Sbetti, p. 3 … si discute: L’inizio della governance Luigi Properzi, p. 4 Ricostruire sì, ma come a cura di Francesca Calace, p. 7 La fluidificazione post-sismica del tessuto aquilano a cura della sezione Inu Abruzzo, p. 9 Gli urbanisti e la prevenzione sismica Irene Cremonini, p. 11 SICILIA Belice, la resistenza dello statuto dei luoghi Maurizio Carta, p. 13 Il Belice e la messa in sicurezza del centro di Palermo Domenico Costantino, Raffaella Riva Sanseverino, p. 15 Il piano di ricostruzione di Messina Andrea Marçel Pidalà, p. 17 IRPINIA 1980 Il più grande intervento post sisma del ‘900 Roberto Gerundo, Isidoro Fasolin, p. 19 UMBRIA La ricostruzione dopo il terremoto Gianluigi Nigro, p. 22 Programmazione e strumentazione urbanistica Silvia Bosi e Alfiero Moretti, p. 24 L’esperienza umbra Francesco Nigro, p. 26 Densità e densificazione a cura di Francesco Domenico Moccia, Emanuela Coppola, p. 29 La dimensione della densità Bruno Monardo, p. 31 La densificazione nel territorio di Plaine Commune Alessia Sannolo, p. 33 Densificazione nei piani di Londra e New York Francesco Domenico Moccia, p. 35 una finestra su: Romania a cura di Marco Cremaschi, p. 59 Baia Mare tra quartieri creativi e insediamenti Pietro Elisei, p. 59 Un nuovo approccio con i Fondi strutturali Simona Pascariu, p. 62 Sviluppo urbano in Romania Gabriel Pascariu, p. 64 Forum PA I vincitori del Premio Sfide a cura della redazione di Forum PA, p. 67 Opinioni e confronti Il consumo di suolo in Piemonte Giovanni Paludi, Maria Quarta, Elena Fila-Mauro, Cristina Benone Giacoletto, p. 70 Il traffico su reti urbane Gabriele Achler, p. 73 Soluzioni di trasporto ferrotranviario Alberto Routher-Rutter, p. 75 Una “road map” per la casa Rosario Manzo, p. 78 Crediti urbanistici L’equità nelle decisioni di piano Ezio Micelli, p. 80 Eventi a cura di Carolina Giaimo, p. 82 Assurb a cura di Giuseppe De Luca, p. 83 Libri ed altro a cura di Ruben Baiocco, p. 86 Indice Indice

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La forma urbana è densa e continua Paolo Castelnovi, p. 37

Città “densa” e sostenibilità ediliziaMario Losasso, p. 39

Densità ed energiaAlessandro Sgobbo, p. 40

Densità e Consumi EnergeticiGaetano Saullo, p. 43

Le strutture regionali per ilgoverno del territorioMauro Giudice, p. 45

L’organizzazione regionaledella pianificazioneLuisa Ballari, p. 47

Regioni a Statuto OrdinarioRegioni a Statuto Speciale e Province Autonome, p. 48

Tutela delle acque inPiemontea cura di Carolina Giaimo, p. 51

Il quadro istituzionale e normativo Guglielmo Filippini, Gianna Betta, p. 52

Il processo di partecipazione Cinzia Zugolaro, Valeria Di Marcantonio, p. 53

Il contratto come strumento di governo Angioletta Voghera, p. 54

Il contributo dell’architettura Roberta Ingaramo, p. 56

ApertureLa normalità delle catastrofiFrancesco Sbetti, p. 3

… si discute: L’inizio della governanceLuigi Properzi, p. 4

Ricostruire sì, ma comea cura di Francesca Calace, p. 7

La fluidificazione post-sismica del tessuto aquilanoa cura della sezione Inu Abruzzo, p. 9

Gli urbanisti e la prevenzione sismicaIrene Cremonini, p. 11

SICILIA

Belice, la resistenza dello statuto dei luoghiMaurizio Carta, p. 13

Il Belice e la messa in sicurezzadel centro di PalermoDomenico Costantino,Raffaella Riva Sanseverino, p. 15

Il piano di ricostruzione di MessinaAndrea Marçel Pidalà, p. 17

IRPINIA 1980

Il più grande intervento post sisma del ‘900Roberto Gerundo, Isidoro Fasolin, p. 19

UMBRIA

La ricostruzione dopo il terremotoGianluigi Nigro, p. 22

Programmazione e strumentazioneurbanisticaSilvia Bosi e Alfiero Moretti, p. 24

L’esperienza umbra Francesco Nigro, p. 26

Densità e densificazionea cura di Francesco Domenico Moccia,Emanuela Coppola, p. 29

La dimensione della densità Bruno Monardo, p. 31

La densificazione nel territoriodi Plaine CommuneAlessia Sannolo, p. 33

Densificazione nei pianidi Londra e New YorkFrancesco Domenico Moccia, p. 35

una finestra su: Romaniaa cura di Marco Cremaschi, p. 59

Baia Mare tra quartieri creativi einsediamenti Pietro Elisei, p. 59

Un nuovo approccio coni Fondi strutturaliSimona Pascariu, p. 62

Sviluppo urbano in RomaniaGabriel Pascariu, p. 64

Forum PAI vincitori del Premio Sfidea cura della redazione di Forum PA, p. 67

Opinioni e confrontiIl consumo di suolo in PiemonteGiovanni Paludi, Maria Quarta,Elena Fila-Mauro,Cristina Benone Giacoletto, p. 70

Il traffico su reti urbaneGabriele Achler, p. 73

Soluzioni di trasporto ferrotranviario Alberto Routher-Rutter, p. 75

Una “road map” per la casaRosario Manzo, p. 78

Crediti urbanistici L’equità nelle decisioni di pianoEzio Micelli, p. 80

Eventi a cura di Carolina Giaimo, p. 82

Assurba cura di Giuseppe De Luca, p. 83

Libri ed altro a cura di Ruben Baiocco, p. 86

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paese sempre impegnato a “rincorrere” i quotidianidisastri piuttosto che quella di una “normale” attività didifesa del suolo.Le ragioni di queste politiche e di queste pratiche sonocertamente antiche e complesse e possono essereesemplificate nell’incuria, la speculazione, l’incapacità diaccompagnare i processi sociali ed economici con ilgoverno del territorio, con attenti studi e provvedimentidi difesa del suolo e di controllo dell’abusivismo. Leragioni sono però anche assolutamente attuali, perchéoggi le condizioni di incuria, speculazione, ecc. letroviamo come una costante delle politiche e pratiche inmolte zone del territorio nazionale.Di fronte ad una situazione che, con frequenza costante, ècostretta a registrare “normali” catastrofi che è semprepiù difficile etichettare come “naturali” e checontemporaneamente registra le denuncie rituali, di fattosenza risultati, di ambientalisti, geologi e urbanisti per lamancata difesa del territorio, sembra essere impotenti econdannati a piangere le vittime.Dalla frana di Agrigento alle alluvioni di Venezia eFirenze, fino ai disastri più vicini nel tempo, l’INU èsempre stata in prima fila con un impegno di denuncia,ma anche di studio e proposta per agire, pazientemente,sulle strutture di governo centrale e locale al fine diattivare gli strumenti che in modo durevole siano ingrado di agire per la difesa del suolo e sulla qualitàambientale anche attraverso la pianificazione ecologica edenergetica.È proprio a partire dalla riflessione attenta sulle originidelle catastrofi e sulle possibili azioni di prevenzione, chele proposte di riforma mettono al centro dei pianiurbanistici la conformazione del territorio prima dellaconformazione dei diritti ad edificare. Analisi geologiche, idrauliche, agronomiche, ambientali epaesaggistiche devono diventare il quadro conoscitivocondiviso per consentire le scelte di sviluppo, ma anche diripristino e risanamento ambientale perseguendo unalogica di uso necessariamente parsimonioso del suolo,come risorsa scarsa e preziosa. Un approccio “sostenibile”al territorio significa contenere e mitigare la pressionedelle attività antropiche sull’ambiente, agendo in primoluogo sulle sorgenti delle emissioni inquinanti di suolo,acqua e atmosfera. Significa anche tutelare gli spazinaturali, mantenere, rafforzare, ripristinare gli ecosistemie la biodiversità, creando reti ecologiche che innervano ilterritorio e le città, riducendo la dispersione degliinsediamenti.Troppo spesso i nostri piani urbanistici, quando ci sono equando non sono solo delle prese d’atto ex post (più omeno come i condoni), si limitano a registrare i bisogninella forma di nuove aree residenziali e produttive.Costruire Piani strutturali e di Assetto del Territoriosignifica riconoscere la necessità di agire nella direzionedel risanamento, ripristino e salvaguardia ambientale.Solo a partire da queste tutele che si può dare risposta atutte le domande di casa, lavoro e mobilità.

Dopo l’Abruzzo Messina, ma anche tante “piccole”alluvioni, frane, crolli, smottamenti … accompagnanoogni giorno la vita degli italiani dal nord al sud.Rileggendo l’indice di Urbanistica Informazioni dai priminumeri degli anni ’70 fino ad oggi (lo si è visto allamostra di Verona dal titolo Urbanistica in copertinapresentata in occasione dell’evento dell’INU “Il piano altempo della crisi”) si registra un tema costante cheaccompagna la rivista anno dopo anno, quasi ogninumero: il dissesto del territorio, declinato di volta involta a secondo della catastrofe di turno in terremoto,alluvioni, frane. E nello stesso tempo troviamo gliurbanisti che anno dopo anno, numero dopo numerodenunciano e chiedono: la difesa del suolo, unaricostruzione attenta ai valori storici e del paesaggio, lalotta all’abusivismo, fino più recentemente, uno svilupposostenibile.L’osservazione attenta e lontana dal dolore per le vittimee per la distruzione del territorio ci offre l’immagine di un

ApertureAperture

La normalità dellecatastrofiFrancesco Sbetti

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si discutesi discute

L’Inizio della governance

bilanciata di fondi ma ripensando l’intera strategiaterritoriale regionale; un nuovo Quadro strategicoregionale.La eccezionalità dell’evento sismico e le interazioni dellapoliarchia commissariale postulano la necessità disperimentare una reale governance plurilivello conproprie strutture tecniche e di supporto e con contenutipolitici condivisi, superando il buonismo di facciata e leIntese solo retoriche.

2. Una visione territoriale, le politiche prima deglistrumenti tecniciLa natura tecnica degli strumenti per la ricostruzione nonpuò essere anteposta in termini vagamente giustificativialle condizioni politiche ed alle politiche da essaderivanti.Parlare oggi di “strumenti” e peggio ancora dei loropotenziali autori come negli anni ’60 fa parte di unaconcezione del piano e della politica vecchie e un po’provinciali.Invocare nomi di Archistar (da Fuksas a Piano) e rinviarea strumenti quali un Masterplan(?) o un Piano diRecupero del centro storico rivela una sostanzialeimpreparazione rispetto alla natura dei problemi o peggiouna soluzione tecnicistica invocata per coprire operazionidi gestione casalinga altrimenti impresentabili .Il problema è quello di dover affrontare una attivitàmolto complessa di riorganizzazione dell’interoinsediativo, caratterizzato già prima del sisma da unpolicentrismo sbilanciato, da una armatura urbana debolee incompleta, da una rete vegetazionale deframmentata eda un alto consumo di suolo derivante dalla presenza divuoti urbani e di aree dismesse, e da uno sprowlinsediativo generato da una recente gestione deregolativadall’urbanistica .Il terremoto ha introdotto in questo quadro giàproblematico nuovi problemi quali la inagibilitàdell’intero centro storico, la pesante compromissione dellapiù recente periferia consolidata e in via di formazione, lacriticità funzionale del sistema dei servizi e delleprincipali attrezzatureGli interventi del progetto C.A.S.E nella fase emergenzialehanno appesantito molti nuclei frazionali e soprattuttomodificato una già molto critica situazione della mobilità.A questa criticità deve essere aggiunta quella derivante dauna assurda localizzazione degli edifici scolasticiprovvisori che essendo stati ubicati, in assenza di unaanalisi della domanda prevalentemente nelle fasce dirispetto e nelle aree residuali degli svincoli autostradali,renderanno ancora più complessa la mobilità.Pensare di gestire questi problemi con un Piano direcupero del centro storico o con pasticciate soluzioniviabilistiche, elargendo al contempo edificabilità ainumerosi benefattori che promettono asili e campetti edagli improvvisati amanti delle case ”provvisorie”, anchesulle aree gravate dai vincoli paesaggistici significa nonaver chiaro che ci si trova di fronte ad una delle piùgrandi e complesse imprese urbanistiche a livello europeo.

Relazione al Convegno Nazionale: “Dopo l’emergenza Versoil governo della Ricostruzione”L’Aquila 26 settembre 2009

Il processo di Ricostruzione dell’Aquila sarà caratterizzatoda diverse antinomie tipiche del piano e non del tuttorisolte, oggi, in Italia.- eccezionalità v/s ordinarietà- pubblico v/s privato- natura previsiva v/s natura regolativa- centralismo v/s localismo- conservazione v/s trasformazioneIn termini più sintetici, si tratta di declinare lapianificazione come la costruzione di scelte razionalicondivise in una situazione in cui la società locale èdispersa e destrutturata, l’economia locale non sembra avereprospettive a medio termine ed il sistema insediativo èpesantemente compromesso sia nelle componenti strutturali(armatura urbana) che in quelle residenziali.La risoluzione di queste antinomie in una logica digovernance virtuosa comporta la costruzione di alcuniscenari realistici e praticabili che provo a tratteggiare:

1. Una visione economica regionale: L’Aquila come capitaleregionale L’economia aquilana già di per se in condizioni criticheprima del sisma non può essere recuperata in terminiautarchici sulla base delle tradizionali “vocazioni” peraltromai arrivate a maturità: turismo, cultura, natura.La regione ha una sua strategia economica, i principali telaiinfrastrutturali sono da tempo in via di completamento. Unprogetto per L’Aquila deve necessariamente essere costruitoall’interno della programmazione regionale e provinciale, larilettura del Por ed una riutilizzazione dei fondi Fas o diquelle aggiuntive comunitarie deve porre il tema Aquila alcentro di una visione condivisa regionale.Ed in questo senso devono essere rimessi in gioco ancheruoli e sistemi che oggi vengono dati per scontati:Università, Infrastrutture, Sedi degli Uffici regionali, Altadirezionalità ma anche il ruolo dell’industria e della Ricerca.Non si aiuta L’Aquila solo con una ridistribuzione

Pierluigi Properzi

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Urbanistica INFORMAZIONI

3. Un quadro conoscitivo condiviso per operare scelte ongoingIn questo senso senza aspettare interventi salvifici da partedi qualche illustre urbanista, che si fa sponsorizzare nelfrattempo sulla terza pagina di La Repubblica, si puòriflettere su alcune condizioni di operatività di cuil’Amministrazione già potrebbe disporre se volesse.a) Un formidabile impianto di conoscenza territoriale disfondo che è stato prodotto dalla Regione Abruzzo, per laelaborazione dei nuovi Piani Paesaggistici ed èrecentemente stato pubblicato sul sito della Regione. Questosistema informativo può essere utilizzato per individuare leparti di territorio da poter “rimettere in gioco” masoprattutto quelle da tutelare e comunque da sottrarre alprocesso di “occupazione” che la leva fondiaria ingeneranelle fasi di crisi.b) Le numerose pubblicazioni e le Ricerche del Dipartimentodi Architettura ed Urbanistica della facoltà di Ingegneria cheda oltre trent’anni studia sistematicamente il territorio delComitatus e in particolare i centri storici minori masoprattutto quello della città dell’Aquila (da Spagnesi –Properzi a Centofanti, Zordan, Tamburini, Rolli, Ciranna etc.).- L’archivio “Stockel” (le trasformazioni urbane tra ‘800 e‘900) che è stato recentemente riordinato sulla base di unacollaborazione operativa con la Soprintendenza B.A. inriferimento alla documentazione della ricerca sulletrasformazioni tra ‘500 e ‘700 curate nell’Antinoriana daRaffaele Colapietra, costruendo un primo sistemainformativo riferito ai dati catastali. Si tratta di documenti,Rilevi, analisi eccezionali indispensabili per la ricostruzioneignorati dalla Protezione Civile e dallo stesso Commissarioper i beni storico artistici che si spera possono essere utili alComune. - I Laboratori interdisciplinari di Sistema Abruzzo (Fac. IngAQ-Fac. Arch. PE-Fac. Geol.) istruiti sulla base delProtocollo con Regione Abruzzo che hanno avviato lasperimentazione nei comuni del cratere (che inutile ederrata parola) con attività di assistenza e diaccompagnamento.c) La nuova legge di governo ed uso del territorio che è invia di definitiva approvazione ed introdurrà nuove modalitàdi pianificazione quali: il progetto dell’Armatura Urbana, leVerifiche di coerenza e di compatibilità, la Carta dei Luoghie dei paesaggi (vedi anche punto a)L’attività urbanistica, o meglio di governo dellaricostruzione della città e del territorio deve essereorganizzata rispetto a questo sistema in movimento.Si tratta di una occasione eccezionale per costituire conmodalità inclusive e non familisticamente selettive, unastruttura di supporto al processo, nel quale le componentitecniche istituzionali si integrano con quelle delleprofessionalità locali e con quelle della ricerca universitaria,in una logica relazione di pubblica evidenza.Queste condizioni: conoscenza condivisa utilizzabile nellescelte, strutture tecniche di supporto, interazione con isoggetti istituzionali, gli utenti e gli operatori, possonogarantire una ragionevole possibilità di successo allagovernance.

4. Una Visione sociale da costruire Nel caotico sovrapporsi di idee, di proposte, di offerte e di“doni” con i loro portatori (dis)interessati è inoltre venuta amancare in termini, per la verità preoccupanti, unainformazione di base ufficiale e “credibile” quale amalgamaper le nuove componenti sociali.La stampa non sempre riferisce l’andamento reale delprocesso disgregativo che ha investito una società localenon particolarmente coesa e già segmentata intorno a tre oquattro subculture-residuali.Al processo di ricostruzione rischia quindi di venir menol’attore principale: la cittadinanza aquilana sulla quale iltardivo censimento fatto per C.A.S.E rischia di produrreulteriori conflittualità tra esclusi e inclusi. Ma ancora più complessa appare la mappa che si varidisegnando sulle macerie del terremoto in relazione allenuove centralità spontanee ed alla ascesa economica deisoggetti che operano nella ricostruzione.Sembra in questo senso necessario garantire una o piùdimensioni di aggregazione sociale alle quali manca oggiuna visione condivisa .Il piano o meglio le attività di pianificazione sembranoessere una sede ottimale per configurare visioni anche ditipo spaziale, da proporre come amalgama per la nuovasocietà aquilana.

Una Agenda strategica

Da dove ripartire? E come ricostruire la necessaria dialetticatra cittadini, amministratori e scelte di piano?In questo senso si può parlare piuttosto di rifondazione chedi ricostruzione.Da “tutto com’era e dov’era” declamato nei primi giorni dalsindaco come risposta ad unanew town minacciata pensando a Milano 2 ma che in realtàserviva a far sperimentare da Protezione Civile il progettodel Consorzio C.A.S.E sulle spalle degli aquilani, si è passatiad una incertezza pressoché totale dopo la diaspora e lapaventata selezione a punteggio per le prime sparpagliateC.A.S.E .Cosa vogliono gli aquilani? Esistono valori urbani fondanti?Le oltre 6.000 domande di spostamento della residenza acosa preludono? Dove andranno e quanti saranno gliuniversitari nei prossimi anni? Quanti commercianti equanti professionisti torneranno nel centro storico? Come siorganizzerà in via definitiva la popolazione che ha optatoper il provvisorio e l’agglomerativo spontaneo? In sintesiquale città?Costruire i “luoghi” per questa discussione corale gestirnesenza forzature gli esiti, raccordarli con le elaborazioni dellastruttura tecnica di supporto è una impegnativa attività chenon può essere affrontata in termini volontaristici epasticciati come si è fatto sinora né tanto meno demandataa strutture tecniche frutto di accordi di reciproca coperturatra Protezione civile e Sindaco.A questa attività peraltro non può essere estranea laricostruzione dello stesso tessuto politico che il terremotosembra aver scosso più delle mura.

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Anche in questo caso le interazioni tra attività politica eprassi operative della ricostruzione non possono seguire iltradizionale andamento sequenziale: prima il quadropolitico consapevole del terremoto e poi le scelte dellaricostruzione; questi due processi avverranno in parallelo,con tutte le difficoltà del casoSi tratta pertanto di un processo lungo e complesso rispettoal quale non sono praticabili accelerazioni efficientiste, mapossono essere assunti solo alcuni criteri prudenziali:- costruire (prima), in riferimento al citato disegno di leggeregionale, un sistema di regole condivise (Quadroconoscitivo Carta dei luoghi e dei paesaggi) per lavalutazione delle politiche pubbliche di carattere territorialeche si presentano sempre con i caratteri dell’urgenza propridella (presunta) pubblica utilità; valutare in termini dicoerenza rispetto alle politiche territoriali regionali enazionali; valutare in termini di compatibilità rispetto aiQuadri conoscitivi condivisi;- operare le scelte strategiche e strutturali all’interno di unsistema di relazioni più ampio (nazionale, regionale) intermini di condivisione e di progressiva interazione; sistemadei Parchi Nazionali; sistema delle Infrastrutture nazionali eregionali; sistema delle Politiche Regionali;- operare attraverso Accordi e Intese prodotti in sede digovernance plurilivello per la definizione del nuovo ruolodella città capitale regionale; Fondi Fas; Programma Jessica;Attività e sedi regionali provinciali e comunali; nuovomodello delle Università; Infrastrutture innovative per lamobilità del comprensorio;- affiancare alla attività di governo una potente macchinaper la comunicazione e sostenere i nuovi processi dipartecipazione dal basso; politica dell’ascolto; monitoraggioeconomico e finanziario; white list imprese; osservatoriosociale; osservatorio del lavoro; Urban Center;- organizzare una struttura operativa (Agenzia diPianificazione) per la produzione di piani e progetti per laricostruzione, mettendo in valore le notevoli risorse locali;- utilizzare tecniche perequative nelle fasi di ricostruzionedel centro storico e nelle aree di nuovo impianto;monitoraggio del mercato immobiliare; linee guida perpartenariato pubblico-privato; controllo dei processi diperequazione – mobilità pubblica – servizi; protocollipremialità e realizzazione e scomputo;- applicare i criteri di microzonazione sismica in terminiestensivi e con criteri omogenei e condivisi.

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Cremonini, riguarda lo stato dell’artedella normativa e della ricercadisciplinare e delle relative applicazioninel campo di ricostruzione eprevenzione sismica, sottolineandocome il tutto converga verso unavisione urbana e territoriale del rischio(e non più solo edilizia) e quindi a unintreccio solido con la pianificazione.Ambedue i contributi ci consentono di“misurare”, oggi, il peso e l’utilità delleesperienze descritte di seguito. Mentre si rimanda ai singoli contributila narrazione delle storie specifiche edelle singole soluzioni adottate, nellenote che seguono si vuole provare acogliere alcuni tratti del senso generaledi quelle esperienze, ovvero le lezionipiù generali e sedimentate che esse citrasmettono. Queste lezioni ci siano damonito e da invito ad accumularesapientemente le esperienze, adaccrescere la nostra capacità dicomprendere e di orientare le azioni, areagire con sensibilità e lucidità,nonchè a trasmettere anche ai nonaddetti ai lavori, alle comunità, ilsignificato di operazioni complesse eapparentemente meno incisivenell’immediato, ma durature. La lezione della Sicilia, una lezione‘lunga’ e costellata di importanti eventisismici, qui raccontata attraverso i casiMessina (1908) e del Belice (1968),oltre a un breve cenno a Palermo(2002), pare affermare la resistenza deiluoghi, prima ancora che leinadempienze e le perversioni dell’“affare” ricostruzione; la Sicilia ci diceche se le città, nelle esperienze remotee in quelle recenti, devono essere

Ricostruire sì, ma come. Come fare tesoro delle esperienzea cura di Francesca Calace

Proprio per i caratteri assunti dall’avviodella ricostruzione in Abruzzo, chedestano più di una preoccupazione, siritiene utile porre a confrontoesperienze diverse di ricostruzionepost-sisma in Italia. Il motivo èsemplice: apprendere dalle esperienze,costruire quindi soluzioni derivanti daun processo di accumulazione eselezione, piuttosto che da invenzioni eatti estemporanei e privi di memoria,come spesso accade nella nostra storia,disciplinare e non.Sono quindi descritti alcuni dei casiparadigmatici nella storia nazionale: laSicilia, con la sua storia sismica, daMessina al Belice, a Palermo; l’Irpinia eNapoli; l’Umbria e le Marche. Uncondensato di alcune storie importantidi ricostruzione nel nostro paese,diversamente concepita e riuscita. SulFriuli, non presente in questo numero,si rimanda all’esaustivo contributo di S.Fabbro presente nel blog di INUdedicato alla ricostruzione dell’Abruzzo. Questi racconti sono preceduti da duesaggi: il primo curato dalla redazioneabruzzese di UI, che invita a rifletteresul tema della specificità ovvero suicaratteri della società e delle dinamicheinsediative aquilane e sull’influenza cheavranno sulla ricostruzione, per porreal centro della riflessione i temi dellaricostruzione partecipata (e del relativomodello di governance, all’opposto delmodello centralista finora adottato),della necessità di politiche ad hoc perla ricostruzione della città storica edella contestuale necessariaridefinizione del ruolo stesso delcapoluogo abruzzese; il secondo, di I.

Non solo da quanto emerge daicontributi di questa sezione, ma ancheda una condivisa e maturataconsapevolezza disciplinare, almeno inqueste pagine possiamo evitare didiscettare sulla diatriba tra le posizionidel ricostruire in loco o realizzare newtown. Una opzione, quest’ultima,dettata da una scarsa conoscenza nonsolo delle problematiche specifichedella ricostruzione post-sismica, che,superata la fase della primaemergenza, deve fare i conti con ilvalore patrimoniale, culturale,affettivo della città esistente, maanche da una sottovalutazioneprofonda del fenomeno città,confondendo la città con le case,l’essere cittadini con il sempliceabitare. Decenni di cultura urbanisticaci hanno insegnato il valore dellacomplessità e della difficoltà acostruire artificialmente e attraversoun unico atto nuove città, tanto piùse l’evento che ne sancisce la nascita èdovuto a un trauma e non a unascelta libera. Di certo non mancanoesperienze complesse e consapevoli diricostruzione in altro sito, matalmente specifiche e differenti sonole caratteristiche e le metodologie diquelle ricostruzioni, da meritare unariflessione a parte sul prossimonumero di UI.

Ricostruire sì, ma come

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la definizione della struttura territorialeminima, riproposizione del concetto inchiave territoriale, per arrivare, nel girodi pochi anni, alla introduzione dellaprevenzione sismica nei processiordinari di pianificazione, promossadalla legislazione regionale.In definitiva, anzitutto l’avvicinamentotra i temi della ricostruzione e lapianificazione dimostra come non sitratti di due questioni distinte, nè èpossibile pensare che dove ci siaurgenza della prima, non ci sianecessità della seconda: anzi è semprepiù vero il contrario, soprattutto in unavisione preventiva del rischio. Insecondo luogo, le risposte agli eventisismici registrate nei casi descritti nonsono atemporali o avulse dal contestodisciplinare di riferimento, dai temicentrali dell’agenda della pianificazionenegli anni degli eventi; ragione di piùper mettere a frutto le attualiacquisizioni disciplinari a servizio dellaricostruzione. E ad oggi, di temicentrali se ne sono praticati parecchinella pianificazione, nei campidell’ambiente, del paesaggio, delleproblematiche dello sviluppoterritoriale. Quest’ultimo tema, soprattutto, apparecruciale nei territori colpiti da eventitraumatici come il sisma. Ma perconiugare la celerità della ricostruzionecon uno sguardo allargato alleproblematiche dello sviluppo, quasisempre preesistenti al terremoto,magari da esso acuite o resedrammaticamente emergenti, ènecessario avere alle spalle conoscenze,consapevolezze, visioni, obiettivi,strategie; avere le idee abbastanzachiare; in altre parole avere dei piani,soprattutto strategici. E’ un’opportunitàallora, quella del terremoto, per metterealla prova le visioni strategichecostruite in questi ultimi anni, adesempio in funzione dellaprogrammazione dei fondi strutturali.Non solo: è una opportunità perverificare se la nostra attività dipianificazione non sia solo un eserciziofinalizzato a pubblicazioni patinate odestinato a incrinarsi di fronte a eventinon previsti, ma serva al territorio ealle sue comunità, come solidoriferimento per guidare le azioni neimomenti di crisi.

minore; diverso invece se si guarda allacondizione dell’Aquila, sia perdimensioni, sia per le specificitàdescritte nell’articolo “La fluidificazionepost-sismica del tessuto aquilano”. Adieci anni di distanza dall’evento, ilresoconto appare più nitido emisurabile rispetto alle attualicondizioni di contesto e operative,anche per l’Abruzzo; varrà la penaallora una descrizione più puntualedelle specificità di questa esperienza. La ricostruzione dell’Umbria si giova,rispetto ai precedenti casi,dell’esperienza pregressa dei programmiintegrati: si sposta l’asse dell’interventodalla mano pubblica, più o menodecentrata, al coinvolgimento deiprivati, cui viene affidato un ruoloattivo di ricostruttori del propriopatrimonio edilizio; si promuovonoinoltre azioni di ricostruzione integrata:non solo case, ma anche infrastrutture,attività produttive, attrezzature urbane. L’esperienza umbra si giova inoltre diobiettivi chiari e definiti localmente,derivanti da una notevoleconsapevolezza del valore delle proprierisorse territoriali, delle prospettive disviluppo e quindi delle strategieoperative: ad esempio è subito chiaronon solo che la ricostruzione dovessecoinvolgere attivamente i privati, maanche che dovesse essere “com’eradov’era”; inoltre che la pressionedell’emergenza dovesse esserealleggerita velocizzando gli interventidi ricostruzione leggera, nel mentreveniva messa a punto lastrumentazione più complessa per laricostruzione pesante; che allaricostruzione edilizia si dovesseroaffiancare progetti integrati di sviluppo.Un complesso di azioni diversificate,per rispondere in modo tempestivo emirato alla molteplicità delle questioniche l’evento poneva.Ma l’esempio dell’Umbria è, a suavolta, causa di una accelerazione edella maturazione delle ricerca sulcampo, nata con la definizione dellastruttura urbana minima, ovverodell’insieme degli edifici e degli spaziin grado di garantire la le funzioniessenziali di una comunità urbana, unasorta di soglia minima al di sotto dellaquale non è possibile garantire unarinascita della città; ricerca evoluta con

ricostruite (e quello di Messina pareessere un significativo esempio di unapianificazione urbanistica preventivadel rischio), per i patrimonio storici econsolidati minori, delle frazioni, deiborghi, delle piccole città, per interisistemi insediativi minori (come fu perquello del Belice), la soluzione dellaricostruzione in sito non è cosìscontata, soprattutto se si tratta dicentri già soggetti a invecchiamento,spopolamento o lento declino; ci parlainfine del rigetto da parte del territorio,di operazioni di giustapposizione dimodelli insediativi estranei, compostiterritorialmente da poli e “sistemiurbani di equilibrio”, nel disegnourbano da “esercizi di stileurbanistico”: una prospettiva oraimpensabile, ma non troppo... Uno degli aspetti più significativi oggi,tra quelli sottolineati nel contributosull’Irpinia (1980), risiede nella volontàdel legislatore di collegare laricostruzione alla pianificazioneurbanistica, e soprattutto, allapianificazione attuativa, con o senzaun Prg in vigore; ciò soprattutto perrealizzare nuovi insediamentiresidenziali PEEP e nuove areeproduttive, ma anche avviandol’applicazione degli allora recenti pianidi recupero ai sensi della 457/78. Per lostesso capoluogo campano, laricostruzione si legherà a doppio filoalla risoluzione del problema dellacasa, diventando la L. 219 uno dei piùcospicui canali di finanziamento delPiano delle Periferie. Utile allorasarebbe approfondire un bilancio sulletrasformazioni dei singoli insediamentie dei sistemi territoriali a valle diquesto tipo di ricostruzione, anche conla finalità di verificare il livello diradicamento di quegli interventi neicontesti urbani e territorialipreesistenti; se in altre parole, quellaesperienza di pianificazionedell’emergenza sia servita a produrrerinnovati assetti urbani e territoriali osolo corpi estranei al sistemainsediativo preesistente e ai suoitessuti.Diverso è l’ultimo caso descritto, quellodell’Umbria (1997), forse piùparagonabile degli altri all’odiernasituazione dell’Abruzzo, per ladiffusività del patrimonio edilizio

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l’organizzazione delle relazioniinsediative e con esse il funzionamentodella società aquilana nel suo complesso.All’interno di un quadro così strutturato,le trasformazioni insediative più recentisono legate perlopiù all’alterazione delmercato immobiliare (affitti ecompravendite), secondo modalità similia quelle rilevate in altre città italiane.Infatti molti piccoli comuni intorno aL’Aquila hanno registrato, nel corsodell’ultimo decennio, un incrementodella domanda abitativa, generatoprevalentemente dal movimento dialcuni strati della popolazione: giovaninon residenti e nuove coppie, che nonhanno potuto trovare risposta alleproprie esigenze nel centro storico.Inoltre nei centri minori (alcuni di pregiostorico e architettonico) emerge il ruoloricoperto dal mercato delle seconde case,di proprietà soprattutto di aquilanitrasferiti in altre parti d’Italia oaddirittura e emigrati e di ritornodall’estero. Per questa fascia dipopolazione allargata, la residenza nelnucleo storico originale rappresenta nontanto la risposta ad una domandaabitativa, quanto piuttosto alla necessitàdi mantenere o recuperare un proprioradicamento sociale. Un fenomenocomplesso e largamente studiato, che difatto si manifesta, in forma un po’rituale, in occasione delle sagre, dellefiere e più in generale di tutte lecelebrazioni di origine arcaica,riconducibili ad una società contadina epastorale, ormai radicalmentetrasformata. Un’altra recente dinamica, fino ad oggipoco esplorata ed interna alle nuove

La fluidificazione post-sismica del tessuto aquilanoa cura della sezione Inu Abruzzo

controverso tra la borghesia, che haabitato il centro urbano in manierastabile e chi abita e/o ha abitato, inmaniera anche transitoria, il territorioperi-urbano. Tradizionalmente lo stratosociale, definibile come “borghesiaaquilana”, presenta caratteri di fortestrutturazione storica, che ne hannofatto il punto di riferimento di tutte letrasformazioni urbane, attuate eprogrammate. Questo fenomeno trovaorigine essenzialmente nelladistribuzione della proprietà immobiliareed in un’assidua partecipazione algoverno della città e del suo territorio.La borghesia aquilana viveprevalentemente nel centro storico, cheanche in termini simbolici rappresenta, apartire dalla fondazione nel XIII sec. d.c.,l’affrancarsi del un nuovo cetomercantile dalla fatica dell’economiarurale di tipo feudale, in linea con ilmotto: “la città rende l’uomo libero”.Sullo sfondo di caratteri sociali edeconomici così ben definiti, a partiredalle origini della città moderna, nelterritorio aquilano prevale, almeno finoal terremoto del 6 aprile 2009, unamodalità insediativa perlopiù duale,fondata sulla contrapposizione tra“cittadini”, prevalentemente residentinell’area del centro storico e“frazionisti”, residenti appunto nellefrazioni e nei piccoli centri urbani aridosso della città capoluogo.Il terremoto oltre ai danni - comunquerilevanti - prodotti al patrimonio storicoe al tessuto edilizio nel suo insieme e aiterribili lutti provocati, ha modificatosostanzialmente, attraverso la chiusuradel centro storico per 170 ha,

I principali caratteri insediativi dellasocietà aquilana, storici e recenti, esoprattutto il ruolo che essi potrannoavere nella riorganizzazione della città edel territorio, dovrebbero rappresentarelo sfondo sul quale innestare il processodi ricostruzione nelle sue modalitàoperative. Come in tutte le situazioni dicalamità naturale, segnatamente nel casodi eventi sismici, agli effetti sulpatrimonio edilizio esistente siaccompagnano effetti nonimmediatamente visibili, ma non perquesto meno significativi, dimodificazione - a volte anche radicale -del tessuto socio-economico e dellerelazioni precedentemente in corso tra lediverse componenti della società localenel suo insieme. In occasione delterremoto aquilano, tali dinamiche sistanno manifestando soprattuttoall’interno delle relazioni, che hannostoricamente regolato il rapporto tra lecomponenti sociali, le partidell’insediamento urbano, le morfologieinsediative e i molteplici usi del territoriourbano. Per comprendere la naturaprofonda di tali rapporti è opportunoricordare – sebbene molto sinteticamente- quali sono stati i principali caratteriinsediativi della società aquilana e lemodificazioni, che si sono manifestate,in maniera più rilevante al suo interno,nel corso degli ultimi dieci o quindicianni.

Caratteri insediativi-storici dellasocietà aquilana

I principali caratteri insediativi hannoradici profonde nella storia aquilana epossono essere sintetizzati nel rapporto

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seguito ed in estrema sintesi è possibilefornire un primo elenco dei temi e dellequestioni emergenti. - la necessità di una conoscenzascientifica a disposizione di tutti chepermetta di affrontare la questione dellacostruzione/ricostruzione, ovvero dicome avviene la trasformazione fisicadella città (nel senso del rapporto tratipologia e caratteristiche del danno,della localizzazione e dei caratteripermanenti degli alloggi provvisori, delrecupero dei centri storici e del ruolo dialcuni edifici strategici);- evitare la compromissione del territoriosotto il ricatto dell’emergenza al fine diconsentire un assetto/riassetto del tessutosocio-economico ed abitativo, che tengaconto del funzionamento e della tenutadel sistema economico nell’emergenza,sottolineando l’importanza del rapportotra ricostruzione fisica eriposizionamento territoriale della città.-- Definire specifici “luoghi” e modelliper la governance locale, a partire daicomportamenti delle istituzioni (lariorganizzazione delle filiere decisionali,il ruolo realmente ricoperto dalleistituzioni locali e dall’università);- avere regole certe e strategie condiviseprima di fare piani e garantire il ritornodelle attività e dei residenti. Ad esempio:come viene ricostruito il centro storico? - Completare e rafforzare l’ArmaturaUrbana, attraverso la localizzazione dellefunzioni strategiche urbane e territorialisia in edifici dismessi “verificati”, sia instrutture temporanee;- limitare il consumo di suolo, a partiredalla verifica delle zone residenziali dinuovo impianto, già previste dal PianoStrutturale del 2004 come possibili areeper la realizzazione di edilizia disostituzione, di parcheggio e di nuovarealizzazione. Al fine di gestire processicosì complessi ed in continuatrasformazione occorre affrontarealmeno le seguenti tre questioni in sedepolitico-decisionale: la definizione delsistema di governance da contrapporreallo “spezzatino” del Decreto; ladefinizione dell’Armatura Urbana dellanuova città, individuando nuovecentralità e nuovi ruoli condivisi dallasocietà regionale; il rilascio di unapolitica per la città storica – risorse, idee,regole da definire – anche attraverso unalegge speciale, che superi il Decreto.

Il percorso della ricostruzione

Il modello che sinora è stato proposto,quello del Decreto n. 39, trasformato direcente in legge con poche o nullemodifiche, segmenta la responsabilità, lefasi temporali e le componenti strutturalidella ricostruzione della città.E’ il modello centralizzato dellaProtezione civile che rispondeall’emergenza, ma non può servire per laricostruzione di una città capoluogo.Da un lato le infrastrutture e le operepubbliche (Ministero + PresidenteRegione) dall’altro il centro storico(Comune) e poi la confusa questione deimoduli abitativi, permanenti esostenibili, affidati direttamente dallaProtezione Civile ad un certo numero diimprese, su un improbabile progettosperimentale, proposto da un consorzioprivato (CAS-e), che a 2 giorni dalterremoto lo aveva già pubblicizzato sulCorriere della sera. Questione pasticciata,che ha compromesso 104 ha di terrenoagricolo, con 20 localizzazioni dispersenelle frazioni, che non saranno utilizzatedagli aquilani “cittadini”, né daglistudenti, a causa della loro distanza dallesedi universitarie, ma si costituirannocosì come futuri ghetti di piccoli centriurbani, in grado fino ad oggi di ospitare500 abitanti ed in breve obbligati adaccoglierne anche 1600 o 2000, nuovied estranei alla collettività locale. Ilmodello decisionale centralizzato, che hapoco spazio di vita in questo quadro cosìcomplesso e radicato nel territorio, nasceprobabilmente dalla incomprensione eforse dall’insofferenza del ruolo,comunque fondamentale, cherivestirebbe un processo diprogrammazione per successiveapprossimazioni e fortementepartecipato, in grado di seguire letrasformazioni del tessuto sociale, primaancora della ricostruzione del patrimonioedilizio. Il tentativo di rispondere aqueste sollecitazioni è al centro deldibattito della sezione abruzzesedell’INU, che ha avviato un processo diosservazione e critica nei confronti dellemodalità in atto nella prima fase diricostruzione. In particolare l’attenzionedella sezione si è rivolta alla discussionedi alcuni temi, ritenuti di particolareurgenza in merito alle dinamiche rilevatee alle questioni che esse sollevano. Di

forme di cittadinanza, riguarda ladomanda abitativa derivante dallapresenza degli extra-comunitari, che informa più o meno stabile, più o menolegale, più o meno visibile, costituisconoda alcuni decenni una parte consistentedella società aquilana e abruzzese nelsuo insieme. Nelle pieghe di un temacosì complesso si colloca il rapporto trainsediamento temporaneo e “domanda dicittadinanza”: Ad esempio nellesettimane successive al terremoto, inmaniera non imprevedibile ed in qualchemodo darwiniana, molte tendopoli dellaprotezione civile hanno visto la presenzadi “migranti”, richiamati dalladisponibilità di alloggi - sebbenetemporanei - e soprattutto dallapossibilità di un radicamento futuro. Affrontare il processo della ricostruzionesenza tenere conto di tali fenomenisociali e soprattutto degli effetti, che essiavranno nella riorganizzazione dellacittà e del territorio aquilano, apparequanto meno discutibile. Il terremotoinfatti, intervenendo sull’assetto socialepreesistente, ne sta determinando dinuovi e anche per questo costituisce unareale condizione di trasformazione dellacittà nel suo insieme. E’ sicuramentevero che una classe borghese, fortementestrutturata, potrà utilizzare l’eventosismico per ribadire la propria presenzasul territorio. Tuttavia l’emergere difenomeni di tale entità, legati ad unadiversa stratificazione della società, alsuccessivo organizzarsi di nuovi usiterritoriali e consuetudini abitative,richiederà di confrontarsi con probleminuovi e al momento ancora nonfacilmente prevedibili. Dunque ilproblema non sarà solo riconducibile alruolo della città degli studi e più ingenerale al ri-assetto funzionale dellacittà consolidata, ma starà anche nellatrasformazione e nella prevedibilefluidificazione della società aquilana,sulla scia di fenomeni ormaisperimentati in altri contesti, cheporteranno all’emergere di relazioniliquide, alle quali probabilmente la cittàdell’Aquila e la sua borghesia non eranopreparate, almeno fino al 6 aprile 2009. Il quadro insediativo così delineatorappresenta lo sfondo sul quale siinnesta o si dovrebbe innestare ilprocesso di ricostruzione nelle suemodalità operative.

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luglio 2009, potrà creare qualchedifficoltà per i progettisti ed icommittenti), ma che include alcuniprincipi di protezione sismica noncontestabili, quali: - assicurare livelli di sicurezza piùelevati per infrastrutture edattrezzature strategici perl’organizzazione delle protezione civileo il cui danneggiamento puòprovocare conseguenze rilevanti osituazioni di emergenza (Ntc, punto2.4);- studiare le categorie di sottosuolo ele condizioni topografiche chemodificano gli effetti sismici locali(Ntc, punto.3.2.2 e 3.2.3) con diversilivelli di approfondimento in rapportoai caratteri della pianificazione e deisiti (Indirizzi e criteri per lamicrozonazione, Parte I, punti 1.5, 1.6,1.7); - coordinare gli interventi su edificicontigui, per ridurre le interazionistrutturali negative (Ntc, punto 8.7.1;Circolare, punto C8A3 e Direttiva per ibeni culturali, punto 4.1), spessopeggiorate a seguito di interventi suedifici dell’aggregato, se non benprogettati, mentre ne è possibile lariduzione con interventi edilizicoordinati. Occorre però affermare con maggiorchiarezza (e questo potrebbe esserecompito dell’Inu) che l’attuazione diquesti principi non può basarsi solo sunorme edilizie, come sembrapretendere il Dm 14.1.2008, manecessita di condizioni informative eprocedurali che solo la pianificazionepuò costruire.

Gli urbanisti e la prevenzione sismicaIrene Cremonini*

Urbanistica Quaderni 44/2004 riferiscel’esperienza pilota di analisi dellavulnerabilità urbana a Nocera Umbra.Infine, Urbanistica 134/2008 presentatre ricerche (connesse a programmieuropei o interuniversitari) sullariduzione della vulnerabilità sismicaurbana negli insediamenti storici esulla riduzione di rischi plurimi. Pur nella difficoltà di pervenire ad unadefinizione univoca del concetto divulnerabilità sistemica, le ricerchetestimoniano l’esistenza di alcuniapprocci analitici o valutativi per ilrischio sismico (non alternativi, maintegrabili) che permetterebbero diimplementare il tema nelle valutazioniambientali strategiche e neglistrumenti per il governo del territorio.

Visione urbana nel nuovo complessonormativo per le zone sismiche

La novità è che una visione urbana eterritoriale del rischio è sottesa alla piùrecente normativa per le zonesismiche, costituita dalle NormeTecniche per le Costruzioni di cui alDm 14.1.2008, dalla relativa circolareillustrativa (Gu 26.2.2009), dallaDirettiva del PCM per il patrimonioculturale (Gu 29.1.2008) e dagliIndirizzi e criteri per lamicrozonazione sismica, pubblicati nel2008 a cura del Dipartimento dellaProtezione civile e della Conferenzadelle Regioni.Si tratta di un complesso normativoancora necessitante di rodaggio, diforti semplificazioni, di coordinamentopiù accurato tra i vari provvedimenti(la cui entrata in vigore, anticipata al

I “percorsi di attuazione” suggeritidall’Inu1 per la ricostruzione inAbruzzo tendono a collegare interventistraordinari e ordinari, politicheedilizie e opportune politiche urbane,comprendenti “programmi diriqualificazione antisismica” per gliedifici lungo i “percorsi sicuri”,riflettendo l’attenzione che da tempol’Istituto dedica all’inclusione dellariduzione del rischio sismico nelgoverno del territorio, anche se inrealtà ancor oggi sono pochi gliurbanisti che si occupano in modocontinuativo di rischio sismico,specialmente in chiave preventiva,come dimostra il blog, relativamentevivace.Oltre al volume citato nel sito2, sonomolte le pubblicazioni e le iniziativeInudedicate. Ad es., l’esperienza deiPiani di recupero in Emilia-Romagna(da cui nacquero un metodo divalutazione della vulnerabilità sismicadei sistemi urbani e un metodo diprogettazione negli aggregati edilizi)venne pubblicata da InuEmilia-Romagna già nel 19943. Inunazionaleed Ssn promossero un progetto pilotaper lo sviluppo dell’approcciomitigativo del rischio sismico notocome Struttura Urbana Minima (SUM)attraverso il concorso per ilpreliminare del Piano di recupero deicentri storici di Rosarno e Melicucco4.InuMarche ed Umbria curarono lamostra “Piani e Programmi,dall’emergenza alla ricostruzione”nell’ambito del XXII Congressonazionale di Perugia, in parterendicontata in UI 164/1999.

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gestionali connessi alle fasid’intervento, ivi compresal’accessibilità in presenza di cantieriplurimi. Con i Pc potranno essere gestitieventuali criteri compensativi e dipremialità funzionali alla riduzionedella vulnerabilità urbana o al riuso diimmobili riparati.Per un’efficace azione di riduzionepreventiva del rischio, laprogrammazione complessa dovrebberiuscire - ad integrare i quadri conoscitivi giàesistenti per la pianificazione con leconoscenze costruite in rapportoall’emergenza (distribuzione territorialedei livelli di danno e vulnerabilitàedilizia; effetti di sito; classificazionedegli edifici in base al ruolo e aicaratteri architettonici), - ad includere significative porzioniurbane, tali da consentire ilriconoscimento delle relazioni spazialie funzionali che determinano lavulnerabilità dei sistemi urbani o laSUM,- ad intraprendere azioni progettuali(conformi alla pianificazione o invariante) per ridurre la vulnerabilitàurbana e per individuare le prestazionida richiedere nelle trasformazione delterritorio e negli interventi edilizidiffusi.Per le zone consolidate e per le zone diriqualificazione, le prestazioniriguarderanno, ad esempio:- il riuso dei contenitori edilizi, deglispazi aperti preesistenti o creati daglieventi sismici, - l’aumento degli spazi sicuri di attesafruibili o, in presenza di alta densitàedilizia o di molti “utilizzatori” dellacittà, la creazione di luoghi sicuri diattesa, con idonee caratteristicheedilizie e localizzative; - interventi di riduzione dellavulnerabilità indotta delle vie di fuga esoccorso più importanti,nell’impossibilità di renderle tutteugualmente sicure; - la riduzione della vulnerabilitàindotta da interazioni tra edifici o daelementi critici (torri, ciminiere,serbatoi, dighe, ecc.); - la riduzione di ostacoli allacircolazione (fisici o conseguentiall’occupazione di suolo pubblico)

sostenere la praticabilità dell’obiettivodi coniugare ricostruzione e riduzionepreventiva del rischio e l’utilità alloscopo di strumenti quali i programmicomplessi, purché si riesca ad evitare:- una “standardizzazione” di taliprogrammi (come talvolta fecero lenorme attuative della legge 61/98) perquanto riguarda la casistica diapplicazione ed i contenuti, - l’enfasi portata quasi esclusivamentesulla programmazione dei contributipubblici, l’applicazione frequente alla sola scaladi isolato (come potrebbe lasciareintendere anche il punto 6 deldocumento Inu);- l’indeterminatezza dei contenutinecessari per la riduzione dellavulnerabilità urbana;- l’indeterminatezza degli obiettividella progettazione unitaria di edificiaggregati.

Auspici o sogni? Per la ricostruzionein Abruzzo

Da più autorevoli parti si auspical’impiego, per la ricostruzione inAbruzzo o per il recupero dei guastidell’emergenza, di strumenti diprogrammazione complessatipicamente utilizzati per lariqualificazione urbana, con collegateprocedure di concertazioneinteristituzionale preventiva e dicollaborazione pubblico-privato6. Per quanto non vi siano esplicitisegnali in proposito nel Dl 39/09(ancora in discussione mentrescriviamo), sembra inevitabile ricorrerea strumenti di questo tipo,specialmente nel contesto economicoche caratterizza questa ricostruzione,per sviluppare accordi utili acoordinare le varie tipologied’intervento (riparazioni leggere epesanti, ricostruzioni, delocalizzazioni,nuove costruzioni) i vari settorid’intervento (edilizia residenziale, beniculturali, infrastrutture, sicurezzaidrogeologica, ecc), in capo a Stato,Ce, enti locali, altre amministrazioni,privati. Accordi serviranno anche perprogettare ed eseguire in modocompatibile i singoli interventi ediliziin aggregati, risolvendo con strumentitipici dei Pc i problemi tecnici e

Per individuare le opere del punto 2.4della Ntc occorre infatti conoscerel’organizzazione funzionale e spazialedegli insediamenti e dell’accessibilità(pre-sisma e voluta per il futuro).Anche per stabilire (art.4 Dl 39/09)quali siano le opere da riparare, concontestuale e costoso adeguamentosismico, quelle da ricostruire in sito equelle da delocalizzare (anche previoacquisto di altri immobili) occorre ilmedesimo tipo di analisi ed inoltre laverifica dell’idoneità dei contenitoriedilizi sotto il profilo funzionale, diaccessibilità e delle caratteristiche disito. L’incertezza sul ruolo delle singoleopere nell’insediamento e sugliinterventi ammissibili ha causatoritardi in altre recenti esperienze diricostruzione e può essere insostenibilein un contesto di scarsità di risorse. Gli effetti di sito sono determinantinon solo per le nuove espansioni o peri nuovi insediamenti temporanei(peraltro tendenzialmente permanenti),ma anche per riparazioni, ricostruzioni,acquisto di immobili sostitutivi (art 3Dl), potendo richiedere unaridefinizione degli usi assegnati nellacittà consolidata. La riduzione delle interazioni trafabbricati adiacenti non può essereaffrontata solo dai proprietari. La sedepiù opportuna è un metaprogetto degliinterventi edilizi a scala di isolato,svolto (con livelli di approfondimentodiversi in relazione alla gravità delleinterazioni o all’importanza delle viedi fuga/soccorso su cui affacciano gliaggregati) a cura della pubblicaamministrazione, evitando o riducendoal minimo la necessità di costituireconsorzi tra proprietari, spesso causadi rallentamento dei lavori diricostruzione o preventivi.

L’esperienza dei Programmi

Sulla ricostruzione (in base alla L61/1998) dopo la crisi sismica iniziatanel 1997 nelle regioni Umbria eMarche esiste una documentazionesistematica ed accurata, che permettedi riflettere sui contenuti, sugli effetti,sui limiti dei programmi integrati direcupero5.Dopo aver partecipato allavalutazione ex post di tali strumenti,nell’applicazione marchigiana, posso

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numerose fragilità: un territorio dicentri rurali in cui i rapporti tra lecase, le strade e il territorio agricolofungono da produttori di comunità delBelice: città rette e configuratespazialmente da un “patto dicomunità” con il territorio agricolo e ilpaesaggio rurale che ne costituivano lo“statuto dei luoghi”, generatore di unaidentità alimentata permanentementedal genius loci.In questa situazione già fragile, lanotte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968arriva il terremoto. L’area colpita dalsisma è ampia e coinvolge14 comuni,di cui 5 subiscono una intensità didistruzione superiore al 90% chesbriciola non soltanto le case e lestrade ma anche i rapporti tra esse, 6comuni subiscono distruzioni tra il50% e il 90% e solo 3 comuni inferiorial 50%. Più di 400 i morti, più di1.000 i feriti e oltre 100.000 le personesenza più una casa.Gibellina, Poggioreale, Salaparuta,Montevago vengono completamentedistrutte ponendo un inestricabileintreccio tra la questione dellaricostruzione e quella dellasperimentazione di un nuovo modelloinsediativo nella valle del Belice. LaSicilia del 1968, infatti, associava allecriticità di un evento sismico lafragilità di un territorio interno cheancora non aveva deciso se orientarsiverso un modello insediativo urbano,quale quello che si stava sviluppandolungo le coste dell’isola, o verso unmodello che utilizzasse il paesaggiorurale come sua matrice di evoluzione.Nell’attesa della decisione il territorio

Sicilia

Belice, la resistenzadello statuto deiluoghiMaurizio Carta*

La storia del Belice è un paradigmache consente di riflettere sullanecessità che le impellenze dellaricostruzione e le emergenzedell’abitare non sopraffacciano leidentità territoriali, anche se affrontatein un’ottica evolutiva e prospettica.Oggi a quarant’anni di distanza ilterremoto del Belice continua araccontarci storie che intreccianoalcune questioni cardine dei processi diricostruzione post-sismica1.Prima di iniziare, però, è d’obbligosoffermarsi su cos’era il Belice alla finedegli anni ‘60, di certo non somigliavaall’Abruzzo del 2009: era la Sicilia dellatifondo che stentava ad innovare ilmodello di sviluppo, che mostrava letracce di una gestione oligarchicadell’agricoltura, un controllo nondemocratico delle risorse territoriali –l’acqua fra tutte – e grandi difficoltà diun mercato del lavoro non soloristretto, ma anche connotato danumerosi recinti e filtri.Il terremoto ha certamente avuto unamagnitudo tale da farsi sentire anche aRoma, creando l’occasione per farscoprire e toccare con mano cosa fossela Questione Meridionale nel sensoconcreto e non soltanto retorico. Ilmovimento tellurico porta alla luce unterritorio – la Sicilia interna – concaratteristiche peculiari e con

- il miglioramento delle caratteristichespaziali, funzionali e di vulnerabilitàdei sistemi di reti tecnologiche.I Programmi dovranno ricercare inmodi opportuni un partenariato traamministrazione locale, altreamministrazioni e detentori delleproprietà immobiliari o delle risorsenecessarie all’intervento e seguirepercorsi partecipativi (in modo ancheda portare la popolazione allacondivisione del livello di “rischioaccettabile”).L’attivazione di forme di valutazioneex ante, in itinere ed ex postdell’efficacia dei Pc rispetto allaqualità della ricostruzione, anche inchiave preventiva, farebbe progredireenormemente la ricerca sullavulnerabilità urbana, liberandola daelementi non essenziali, e potrebbeportare ad una piena giustificazionedel tempo e dei costi implicati per laformazione dei programmi.

Architetto, libero professionista*

Note1. Cfr Sito Inu, Blog urbanisti2. Servizio Sismico Nazionale e Inu, Vulnerabilitàsismica e pianificazione degli spazi urbani, a cura diW.Fabietti, Alinea, Firenze 1999.3. Regione Emilia-Romagna, Inu - Emilia-Romagna,Rischio sismico e pianificazione nei centri storici , acura di I.Cremonini, Alinea Editrice, Firenze, 1994.4. Ce-Fesr, Ssn, Inu, Linee guida per la riduzione delrischio sismico. Il recupero dei centri storici diRosarno e Melicucco, a cura di W.Fabietti,INUedizioni, Roma, 2001.5. Regione Marche, Recupero e riduzione dellavulnerabilità dei centri storici danneggiati dal sismadel 1997, Tecnoprint, Ancona, 2004; Regione Umbria,Ricostruire la complessità, a cura di G.Nigro eF.Sartorio, Alinea, Firenze 20026. Cfr. M.Lupi, Edilizia e territorio,Commenti e normen. 21/2009, pagg.22-25 e Convegno del 15.6.2009all’Aquila in Edilizia e territorio n.23/2009, pag.5.

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elaborazioni di Dolci e degli urbanisti,economisti e sociologi raccolti attornoa lui è quello della “conurbazione”, laquale prevede il ridisegno di un nuovoprogetto complessivo di territorio cheassegni prima una nuova identità e unnuovo ruolo alle città ricostruite inmodo da dare un senso di prospettivafutura ai nuovi centri, sia costruiti insitu che delocalizzati, esuccessivamente definirne laconfigurazione spaziale. Questo, apartire dalla devastazione delterremoto, diventa il primo modello dipianificazione reticolare che non sioccupi solo dei “nodi” ma cheintervenga anche sulle “relazioni” esulle “specializzazioni” funzionali: unmodello di città-territorio dimumfordiana memoria. Ma contro laconurbazione, contro un sistemainsediativo policentrico, si abbattel’ostracismo di molti e gli interessifondiari e speculativi di pochi.Sufficienti a farne decadere qualsiasisperanza di concretizzazione.Una seconda questione che emerge dalBelice è quella del disegno urbano deinuovi centri. I piani di trasferimentototale propongono regole insediative,morfologie e paesaggi urbani che nullahanno a che vedere non solo conl’identità dei centri distrutti, masoprattutto con le relazioni che queicentri intessevano con il territorio. Icentri urbani del Belice non eranocorpi estranei del territorio, ma eranoelementi identificativi del paesaggiosiciliano, nodi delle armatureproduttive, ritmavano il paesaggioagrario con l’alternanza tra densità erarefazione. Ricostruirli o immaginarnela ricostruzione secondo le forme e letessiture proposte dall’ISES, significanon aver compreso quanto i centridella Valle del Belice fossero produttoridi paesaggi e non solo epifenomeniinsediativi come in alcuni casi sonostati interpretati. Il tutto appare unesercizio di stile urbanistico, quandonon l’interesse dell’eterno partito delcemento.Una terza questione è l’attuazione dialcune prove di innovazioneurbanistica realizzate a Gibellina dalsindaco, Ludovico Corrao, fortesostenitore del modello diconurbazione reticolare in cui ogni

riallineamento delle linee di mobilità,soprattutto con la costa. Il primo passaggio si concretizza in unridisegno delle città attraverso modellie geometrie completamente diversi daipreesistenti, imponendo la risoluzionedi alcune questioni abitative (maggioresicurezza, salubrità e qualità della vitasociale) attraverso l’utilizzo di modelliche derivavano dalle celebratesperimentazioni nordeuropee piuttostoche impegnarsi nel forgiare soluzionimediterranee. Unico elemento positivodella sperimentazione risiede nelnuovo rapporto che le cittàcominciano a sviluppare tra residenzae servizi. Assistiamo infatti al primoesperimento di localizzazione deiservizi scolastici, sanitari e diaggregazione sociale all’interno di undisegno complessivo di città, piuttostoche localizzazioni occasionali, prodotteper accumulazione di funzionipiuttosto che per selezione di relazionie razionalizzare i flussi.Nella grande temperie che la culturaurbanistica avvia in quegli anni,vengono disegnate nuove modalità digiacitura delle città, si sperimentanonuovi rapporti di quartiere ritenendoche alla scoperta della povertà diquelle popolazioni dovessecorrispondere un ridisegno del modoin cui la Valle del Belice avrebbedovuto popolare le proprie città. Laquestione della delocalizzazione deicentri distrutti e della proposta di unnuovo modello insediativo che potessefungere da modello per altre parti dellaSicilia intercetta un personaggio digrandissima qualità, respiro e pesosociale come Danilo Dolci, che dal1955 aveva iniziato la sua battagliaper una urbanistica democratica dallaValle del Belice. Sono i primi vagiti diuna cultura della legalità che sia anchecultura del territorio, legata alcontrasto degli effetti che il controllomafioso ha sul territorio. In queglianni Danilo Dolci fonda a Trappetouna comunità di urbanisti, sociologi eagricoltori, il “Borgo di Dio”, conl’ambizione di farne un centropropulsore di nuovi modelli sociali edinsediativi che contrastassero quelliderivanti dall’esibizione muscolare eastratta dello Stato. Dopo il terremotoil modello che viene fuori dalle

inizia un lento declino e conseguentespopolamento.Dopo il terremoto, lo Stato scoprel’esistenza del Belice e si impegna adimmaginare una risposta del Paese peril futuro di quel figlio trascurato. Larisposta, tuttavia, è alimentata dalsenso di colpa e moltiplicata daglienormi interessi in gioco e si manifestacome un’esibizione muscolare, unarisposta reattiva più che propositivache intende utilizzare il sisma perimportare e sperimentare in corporevili alcune delle riflessioni elaboratedalla cultura urbanistica illuminatadalle visioni delle new towns inglesi oda alcuni modelli di città reticolari omultipolari francesi.Le questioni sul nuovo modelloinsediativo si incrociano con quellerelative alla strategia di incentivazionedell’abbandono dei centri interni. Inquegli anni procede inesorabile lospopolamento dell’isola interna,generato – o quanto meno agevolato –da una volontà di portare lapopolazione sulle coste, nuovoattrattore per gli interessi immobiliari eproduttivi, e trasformare il sistemainsediativo delle valli interne dellaSicilia. Sorgono le prime questionirelative ai modelli attraverso i quali siè deciso di intervenire e si comincia aparlare di delocalizzazione, ritenendoloun passaggio necessario, quasi per unasorta di damnatio memoriae rispetto ailuoghi che non erano stati capaci diproteggere la popolazione. Vienequindi avviato un grande progetto diriconfigurazione del territorioaffidando all’Istituto per lo Sviluppodell’Edilizia Sociale il compito diredigere un piano generale dicoordinamento. L’ISES, organoministeriale, di fatto espropria lecomunità locali non solo dei fondi, maanche della capacità decisionale.L’obiettivo è il ridisegno della Valle delBelice attraverso un modelloinsediamento alternativo rispetto aquello pulviscolare pre-sisma.L’ambizione, politica e culturale, è cheattraverso le risorse messe in campodalla ricostruzione si possa disegnareun nuovo assetto partendo dallospostamento delle risorse su altriterritori e dalla riconfigurazione dinuove relazioni tra le città e dal

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una componente fondamentale nellagestione dei fondi per il terremoto;questi costituiscono una risorsaaggiuntiva nell’ambito di un percorsoavviato di recupero del centro storicodella città. Il terremoto del Belice colpisce unterritorio compreso tra le province diPalermo, Agrigento e Trapani (280mila ettari e 131 paesi danneggiati). Idanni maggiori si ebbero nella valledel Belice: quattro centri distruttitotalmente (Gibellina, Poggioreale,Salaparuta, Montevago) e dieciparzialmente (Calatafimi, Camporeale,Contessa Entellina, Menfi, Partanna,Salemi, Sambuca, Santa MargheritaBelice, Santa Ninfa, Vita). Il sisma mette in luce uno Statoimpreparato ad affrontare l’emergenzadal punto di vista logistico edorganizzativo ed una Valle del Beliceeconomicamente arretrata, con unpatrimonio edilizio fatiscente, priva diefficienti reti di comunicazione e unaorganizzazione del territorio e dellacittà che non avevano subitofondamentali modificazioni dallacolonizzazione agricola del XVIIsecolo. La ricostruzione, andata avantilentamente e a singhiozzo coninterruzioni e rifinanziamenti, haavuto due riferimenti: la Regione, cheistituisce i piani comprensoriali, e loStato tramite l’Ispettorato Generale perle Zone Terremotate e l’ISES1, che haprogettato, coordinato e diretto tuttigli interventi.La partecipazione della popolazione aiprocessi decisionali, che, sull’onda del’68, si era manifestata vivamente neldibattito sulle scelte delle aree dovelocalizzare i nuovi centri da trasferiree nella fase di elaborazione del PianoTerritoriale di Coordinamento, sismarrisce nelle procedure burocratico-amministrative e/o si perde nel silenzioimposto dai governanti dell’epoca edagli interessi illeciti che trovavanonegli appalti truccati occasioni dinotevoli guadagni, come appare chiarodalle inchieste sui delitti di mafia. Il terremoto fu l’occasione per operarescelte territoriali, urbanistiche earchitettoniche molto forti e incontrasto con le risorse e le tradizionilocali, giustificate in previsione di un

configurazione fisica e nella loroqualità formale fanno un passoindietro a favore di un ragionamentosul paesaggio insediativo. Oggi anche ipiani paesaggistici della Valle delBelice contribuiscono al perseguimentodell’obiettivo, riconoscendo nelle città inodi delle loro armature divalorizzazione ma,contemporaneamente, rimettendole inuna relazione forte con il territorio,scongiurando che la memoria delBelice sia caratterizzata dal rimpiantoe che la sua immagine siarappresentata dal Cretto di Burri.Non un sudario, ma la vitalitàdell’identità dei luoghi e la resistenzadella memoria. E’ questa la lezione piùpotente che il terremoto del Belice nonè riuscito a distruggere.

* Inu Sicilia.

Nota1. La storia del terremoto del Belice e le vicende dellaricostruzione sono descritte e approfondite nel libro acura di A. Badami, M. Picone e F. Schilleci, Cittànell’emergenza. Progettare e costruire tra Gibellina elo Zen, Palermo, Palumbo, 2008, il quale raccoglie letestimonianze e le riflessioni di tutti i protagonisti diquegli anni. Si veda soprattutto l’ampio capitolo diAlessandra Badami “Le tre anime della ricostruzionedi Gibellina”.

Il Belice e la messa in sicurezza del centrodi PalermoDomenico Costantino*,Raffaella Riva Sanseverino*

Il terremoto del Belice (gennaio 1968)ha interessato un vasto territorioprevalentemente agricolo con numerosipiccoli e medi centri; quello di Palermo(settembre 2002) ha colpito la piùgrande concentrazione urbana e il piùricco, pregiato e vario patrimoniomonumentale della Sicilia. Nel Belice si evidenzia l’inerzia delloStato, i ritardi nella ricostruzione (ottoanni per costruire le prime case), itanti sprechi e paradossi realizzati, ildisagio sociale di chi è costretto ademigrare, lo squallore delle baraccheper coloro che restano. Palermorappresenta una inversione ditendenza, sostanziata dall’importanzadell’aspetto programmatico che diventa

città dovesse essere il nodo funzionalespecializzato di un sistema policentricoin forte sinergia con il territorioproduttivo. In tale prospettiva si batteper immaginare di assegnare un ruoloalla nuova Gibellina delocalizzata,ritenendo che potesse essere l’artecontemporanea con la sua caricainnovativa e le sue capacità reticolariad assegnare a Gibellina l’identitàsepolta sotto le macerie. Nuovaidentità contro identità perduta e nonsolo nuovo spazio al posto di quellodistrutto. Sono note le sperimentazioni,talune riuscite, talune meno. In questiquarant’anni alcuni correttivi hannofatto sì che alcuni dei progetti menoriusciti si integrassero in un tessuto dicomunità che negli anni si èricostruito: la Torre di Mendini, laChiesa di Quaroni, il Museo diFrancesco Venezia sono cellulestaminali che hanno faticosamenteavviato la generazione di nuovotessuto e nuovi elementidell’organismo urbano. Tutto questo hafatto di Gibellina un caso inedito edoggi produce una lezione per tutti glialtri centri.Negli ultimi anni, grazie ad alcunesperimentazioni che hanno ripreso laprecedente esperienza dellaconurbazione, il territorio della Valledel Belice è tornato a discutere di“progetto di territorio”, ha immaginatouna nuova armatura reticolareinsediativa, ha fatto del caso diGibellina uno degli elementi chiave delsuo sviluppo, ha incentivato unariconversione produttivadell’agricoltura, ha prodotto alcuniprogetti che oggi, anche grazie ad unapproccio strategico, hanno tentato diriprendere l’esperienza che il primoslancio dell’urbanistica italiana avevasuggerito a quel territorio, cioè direcuperare dalle macerie non solo icorpi, ma di ricucire le relazioni, diritrovare gli statuti insediativi deiluoghi, di ripartire dai tasselli diqualità non distrutti per ritesserel’armatura territoriale.Oggi la lezione che la Valle del Beliceci consegna è di tornare a parlare dipianificazione di area vasta, diprogetto della qualità e di etica dellaresponsabilità. Il sistema Belice diventaprotagonista, e le città nella loro

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finito. Infatti, nonostante i fondipubblici spesi (si parla di circa 1,5miliardi di euro) e le opere realizzate, idanni e i problemi determinati dalsisma e dalla ricostruzione hannolasciato nel tessuto urbano e socialeprofonde ferite ancora aperte. Direcente la protezione civile haprovveduto alla demolizione dellebaraccopoli (soprattutto a S.Margherita Belice e a Menfi), ormai datempo disabitate ma pericolose per lapresenza di amianto, e allosmaltimento dei materiali inquinanti ealla bonifica dei suoli. Restano ancorada ultimare numerose opere pubblichee sistemazioni. Così, a fine maggio2009, la Giunta regionale ha istituitouna “Commissione speciale per ilBelìce con l’obiettivo di verificare tuttii percorsi, anche normativi, pervalutare ciò che ancora non è statofatto e anche le eventuali partitefinanziarie da rivendicare a Roma insede di federalismo fiscale”.Il 6 settembre del 2002 la città diPalermo viene colpita da una fortescossa di terremoto, che non provocadanni alle persone ma danneggiapesantemente l’edilizia monumentale eaggrava lo stato di degrado dellestrutture edilizie del centro storico. Lachiesa di S. Anna, pesantementecompromessa con il crollo parziale diuna delle navate laterali, e molti altriedifici significativi della città anticasubiscono pesanti dissesti. I dannisono in relazione alla tipologiacostruttiva, allo stato di degradodell’immobile ed alle condizionigeologiche locali (paleoalvei dei fiumiKemonia e Papireto). E’ interessante rilevare che le areedove si sono verificati i dannimaggiori nel 2002 corrispondono aquelle dei terremoti storici avvenutinel 1726, 1823 e 1940. Nei mesi successivi al sisma vieneeseguito un censimento degli edificicompilando una scheda elaborata dallaprotezione civile e dopo i sopralluoghivengono eseguite le prime opere dipuntellamento e messa in sicurezzanelle situazioni più gravi. La stima dei costi relativa al recuperosi aggira intorno ai 250 milioni di eurodei quali circa il 95% nella città diPalermo. Questa cifra comprende i

adattamento e socializzazione e hannoperso ogni riferimento con la propriastoria e il loro vissuto familiare. Le nuove città e la nuova ediliziaripropongono forme e strutture moltolontane dai modelli abitativi dellatradizione di quelle popolazionicontadine. Guardando il disegno dellacittà appare subito l’eccessivo consumodi suolo, la estensione dell’edificato ela dilatazione degli spazi. Strade epiazze sono di dimensioni spropositate,quasi sempre deserte, più che luoghi diaggregazione e socialità sembranospazi privi di significato urbano. Letipologie edilizie utilizzate non sono inlinea con quelle della tradizione eriproducono modelli delle periferieurbane della tradizione nord europea. La ricostruzione del Belice è il risultatobizzarro di un “laboratorio disperimentazione” urbanistica edarchitettonica indifferente allenecessità del luogo e dei suoi abitanti.I progettisti e gli amministratori nonconsiderarono le domande, i bisogni ele preferenze che richiedeva il contestosociale ed economico, ignorandocompletamente le difficoltà degliabitanti di riconoscersi e diappropriarsi di spazi molto diversi. Le città private della propria storiacercano una nuova identità nellacultura contemporanea. Così, aGibellina, sotto la guida del sindacoCorrao, nasce l’esigenza di inserire lacittà in un circuito culturale di altoprofilo, di recuperare una nuovaqualità urbana attraverso ilcoinvolgimento di famosi esponentidella cultura artistica e architettonica edi abbellire gli spazi pubblici conopere di autori famosi e di rendere lacittà “bella”.Gli altri centri in tono più dimessocercano di seguire l’esempio diGhibellina; viene posta maggioreattenzione al tema della ricostruzionedella memoria locale. Il museo diPartanna (Castello Grifeo), (2007)costituisce sicuramente l’avvio di unprocesso che tende al recupero dellerisorse locali nell’ambito di unprogetto di valorizzazione territorialepiù ampio fondato sulla cultura dellacomunità del luogo. Nel Belice, a 40 anni dal sisma, si puòdire che il terremoto non è ancora

futuro sviluppo economico eindustriale da realizzare con interventistatali, promessi ma presto negati. Le scelte per la ricostruzione trovavanoun quadro di riferimento nel Ptc n.8della Sicilia occidentale, progettatodall’ISES. Il piano, che interessavatrentaquattro comuni delle Province diAgrigento, Palermo e Trapani,individuava tre “sistemi urbani diequilibrio” e proponeva una “cittàterritorio” con circa 550.000 abitanti,in cui le città medie esistenti,potenziate da funzioni direzionali eterziarie, e quelle da ricostruire(trasferimenti totali o parziali), lelocalità turistiche e le nuovelocalizzazione industriali venivanorelazionati da grandi infrastrutture ditrasporto. Delle infrastrutture previstesaranno realizzate solo l’autostradaPalermo Mazara, con una deviazioneper Trapani, e la superstrada Palermo-Sciacca, completata alla fine degli anninovanta. La mancanza di un sistemaviario ordinario efficiente ed articolatodeterminò nelle aree del Beliceparadossalmente maggiore isolamentodell’epoca pre-terremoto.Pressioni politiche ed economichehanno condizionato la ricostruzione ele scelte localizzative dei nuoviinsediamenti. Le città distrutte nonsono recuperate, ma trasferite in nuovisiti e ricostruite integralmente o inparte trasferite. In conseguenza degliespropri i prezzi dei terreni agricolivengono moltiplicati in breve tempomentre il nuovo centro di Poggiorealevenne costruito su una frana di gessi. Viene distrutto gran parte delpatrimonio urbanistico, edilizio edarchitettonico storico. Non si possonodimenticare le veloci e immotivatedemolizioni di Gibellina vecchia, fattacrollare con le mine a pochi giorni didistanza dal sisma e dopo molti annidivenuto simbolo attraverso la land artdel Cretto di Burri, che riproponel’attenzione nei confronti dellamemoria dei luoghi distrutti; né si puòdimenticare Poggioreale vecchio che,abbandonato, sta lentamente crollandosotto l’effetto del degrado e del tempo.Gli abitanti, trapiantati in un luogodifferente e in strutture urbane e inedifici molto diversi dalla tradizionelocale, hanno avuto problemi di

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10 gennaio 1909 il ConsiglioComunale della città affidò l’incaricoper la redazione del Prg all’ingegnereLuigi Borzì, Direttore dell’UfficioTecnico Comunale e soprattutto espertodell’urbanistica messinese. Infatti, dopol’emanazione delle norme Luigi Borzìapplicò, non pedissequamente, ma apartire dalle condizioni ecaratteristiche del luogo, i relatividispositivi che gli consentirono diricostruire la nuova città nello stessosito della vecchia. I criteri del pianoBorzì sono di seguito sintetizzati: - Il tessuto urbano veniva ricostituitotramite appositi isolati che, bendistribuiti, ottimizzavano il rapportovuoto/pieno dell’unità edilizia rispettoai lotti edificatori, consentendo dievitare saturazioni e un eccessivoaddensamento dell’intera area;- Si vietava l’edificazione e lacostruzione su terreni paludosi e sifissavano criteri per le altezze delleunità edilizie al massimo di due pianifuori terra, di cui il primo sopraelevatodal suolo a non più di un metro e perun altezza complessiva non superiore amt. 10,00; - Si stabiliva la larghezza minima dellestrade di mt 10,00 riducibili a mt 8,00nei centri con meno di 5.000 abitanti,previo parere favorevole del GenioCivile, ed a mt 6 qualora la stradarisultasse edificata da un solo lato.Inoltre i rapporti tra sede stradale e gliedifici non avrebbero dovutoconsentire che l’altezza dell’edificiofosse superiore alla larghezza dellastrada su cui esso si prospettava.Tali norme, osservate con “coscienzacritica” da parte del Borzì, disegnaronouna nuova struttura urbanistica dellacittà, tanto da far considerare Messinauna delle poche realtà a “matriceurbana antisismica” e che tuttorapossiede in nuce una pianificazioneconsapevole e preventiva divalutazione dei rischi sismici. Essainfatti è orientata ad evitare il forteimpatto degli eventuali crolli indottidal sisma, grazie alla presenza dellevie di fuga disegnate da Borzì perl’immediata evacuazione. Negli anni il Piano di Ricostruzione diMessina aveva subito anche non pochecritiche, ma proprio l’interpretazionedell’evoluzione temporale degli effetti

terremotate, ufficio speciale del Ministero dei Llpp,con sede a Palermo, e l’ISES (Istituto per l’EdiliziaSociale) che viene sciolto nel 1981 con la legge sullacasa e che si occupava della progettazione urbanistica(Ptc e piani di trasferimento totale e parziale) e dellaprogettazione e realizzazione degli alloggi a totalecarico dello Stato.2. Dal 1994, successivamente all’approvazione delPpe, l’Amministrazione comunale ha ripartito aiprivati attraverso bando pubblico contributi per ilrecupero con i fondi stanziati dalla Lr 25/1993.

Il piano di ricostruzionedi MessinaAndrea Marçel Pidalà*

La Sicilia ha subito nell’ultimo secolodiversi shock sismici tra cui ilterremoto di Messina e di ReggioCalabria del 1908; il sisma della valledel Bèlice del 1968; il terremoto del1978, che colpì i centri principali(come Patti e Capo d’Orlando) delcomprensorio dei Nebrodi e altriterremoti all’inizio del terzo millennioverificatisi nella Sicilia orientale e nelpalermitano. Tali eventi hanno fattocrescere nel tempo forte allarmismo epreoccupazione negli abitanti chequasi mai hanno generato efficacipolitiche di prevenzione.Messina, forse per le dimensionitragiche del 1908, allorché si registròl’evento calamitoso più significativodella storia meridionale, costituisce inparte un’eccezione. Dopo la«catastrofe», infatti, si perseguì laricerca di un primo paradigma di“sostenibilità” urbanistica. Come ènoto, il terremoto distrusse le due cittàdello stretto Messina e ReggioCalabria, radendole praticamente alsuolo e stimando circa tra gli 80.000 ele 120.000 vittime. L’epicentro,individuato a largo delle coste dellostretto, costrinse l’allora UTC diMessina a redigere immediatamente la“Carta dei Danni”, che mise inevidenza la distruzione quasi totale delcentro storico, degli edifici danneggiatinelle pendici collinari, la distruzionedella Palazzata, del Duomo ed delMonte della Pietà. I danni maggiorituttavia furono quelli sociali edeconomici che per molti annicostringeranno Messina ad una crescitalenta. In seguito alle disposizioni di legge del

costi degli interventi di messa insicurezza, gli interventi di sommaurgenza e quelli di restauroconservativo degli immobili. L’Amministrazione comunale,conosciuto l’importo dei fondi destinatial recupero concessi dallo Stato hareso pubblica una graduatoria perl’assegnazione dei contributi. Sonostati predisposti inoltre due elenchidistinti per l’edilizia pubblica e quellaprivata. In questo elenco vengono inseritianche gli immobili storici che per unaserie di circostanze non erano riuscitiad ottenere i contributi della Lr 25/932

o che ne erano stati penalizzati perfattori diversi. In alcuni casi ifinanziamenti per il sisma si sonoaggiunti a richieste finanziate con ifondi della Lr 25/93; la Commissioneha stabilito alcuni orientamenti daseguire nei casi in cui un edificio harichiesto entrambi i finanziamenti.L’erogazione dei contributi avviene apartire dal 2005. Quindici milioni emezzo di euro spalmati su tutta la cittàhanno permesso attraverso questomeccanismo di recuperare una buonaparte del patrimonio edilizio del centrostorico. Allo stato attuale sono staticompletati tutti gli interventi dimiglioramento sismico tranne dueinterventi abbastanza consistenti:palazzo Raffadali nel mandamentopalazzo Reale ed un’immobile in viaVenezia. I fondi destinati all’emergenza sismicasono serviti strategicamente anche arecuperare edifici e palazzi che nonerano riusciti complessivamente adessere finanziati con la legge regionale25/93. La vicenda del terremoto di Palermodel 2002 è sicuramente un’esperienzache opera delle scelte sostenibili per laconservazione e la tutela della cittàstorica e pone agli addetti ai lavoriuna serie di interrogativi che hannocome nodo centrale la difficoltà dirisanare e mettere in sicurezza dalpunto di vista sismico il patrimoniomonumentale.

* Università di Palermo.

Note1. La ricostruzione viene affidata dalla L 241/1968 adue enti: l’ Ispettorato generale per le zone

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zonizzazione sismica4 del territorio) edi progetti di trasformazione urbana. Vaanche promossa la riflessione sumodelli di sviluppo economico-territoriali alternativi - tali da bloccarel’indiscriminato consumo del suolo eche risultino meno ingombranti edimpattanti -, una maggioremanutenzione delle infrastrutturepubbliche - potenziamento edefficienza della viabilità -, un realemonitoraggio delle trasformazioniurbane - l’introduzione del “fascicolo”sul singolo edificio che permetterebbesempre un’analisi puntuale di cause edeffetti di eventuali rotture - ed infineun livello di coscienza, conoscenza eresponsabilità maggiormente critica escrupolosa da parte di enti, istituzionie progettisti.

* Dottore di Ricerca. Università degli Studi diPalermo.

Note1. Anche Giuseppe Samonà riabilitò dopo ferocicritiche mosse al Piano del Borzì per unapprofondimento si veda Di Leo G., Lo Curzio M.,Messina, una città ricostruita. Materiali per lo studiodi una realtà urbana, edizioni Dedalo, Bari, 1985.2. Op.cit.3. Chi lo osserva da vicino, infatti, ci dice che ilponte ha assunto ormai l’unica funzione di grandefigurina da agitare mentre si sottraggono risorse reali(anche per le infrastrutture effettivamente urgenti)all’Area dello Stretto e alle due regioni interessate. Èesattamente quello che sta accadendo oggi. Noncrediamo utile avallare questo enorme bluff giocatosulla pelle di siciliani e calabresi legittimandoloancora nel dibattito o nelle elaborazioni, specifiche odivulgative che siano. Si veda a questo propositoBettini V., Guerzoni M., Ziparo A., “Il ponteinsostenibile”, l’impatto ambientale del manufatto diattraversamento stabile dello stretto di Messina,Alinea, Firenze, 2002.4. Il Gis consente, tra le sue innumerevoli funzioni, dipredisporre con maggiore precisione l’analisi dellavulnerabilità territoriale, mappare e zonizzare le areesoggette a eventi sismici, consente infine incrociandoi vari dati di valutare complessivamente il rischio e dimonitorarlo.

da soffermarsi a criticare poi l’eternoprogetto del ponte, ma su questo nonintendiamo spendere troppe parole3. I rischi eventualmente determinati daimacroeventi sismici possibili nell’areacomportano peraltro un’attenzionespeciale verso gli aspetti urbanistici eambientali. Gli standard nazionali eregionali - stabiliti dalle norme edindividuate in termini di distanze degliedifici, altezze dei fronti, calcolo deirapporti di copertura, presenza dipercorsi/vie di fuga, presenza dipiazze/spazi aperti/punti di raccolta odi rifugio - andrebbero, infatti,incrementati e dimensionati, oltre cheterritorializzati in funzione dei contestiurbani di riferimento e delle lorocaratteristiche. Tali criteri progettuali e normativipurtroppo sono stati quasi sempredisattesi con il risultato di coinvolgerenei danni anche i manufatti a normaper quanto riguarda la consistenzadella struttura edilizia. Gli esempi diversanti interi di cemento crollati,presenti nelle recenti immaginiprovenienti dall’aquilano, lotestimoniano. E’ necessario, quindi,oggi ripensare in funzione antisismicai piani urbanistici (attualmente moltopiù precisi e con un livello di dettagliomaggiore grazie al tecnology sistems ea strumenti come il Gis checonsentono di redigere una micro -

spaziali ha portato alla revisione ditanti giudizi negativi1. È evidente cheil Piano del Borzì non risolse tutti iproblemi sociali, amministrativi epolitici della città, e soprattutto quelliderivati dal sisma; se è vero che atutt’oggi sono abitate 3.333 baracchecostruite nel maggio 1909 a Messina, edistribuite nelle quattro contradeAnnunziata, Fondo Fucile, Fondo DePasquale, Camàro e sono quasi più didiecimila i messinesi che ci vivono.Certamente il piano Borzì permise allacultura urbanistica dell’epoca, comedichiarò più tardi Samonà2, direcuperare la struttura urbana dellacittà ed abbassare i livelli dicongestione edilizia e di pressioneantropica del centro urbano, riducendocosì il rischio di ulteriori effetti didisastro in caso di nuovo eventosismico. Di recente l’ex-Presidente dellaProtezione Civile in Italia, Zamberletti,ha lanciato l’allarme: l’area dellostretto è fortemente monitorata poichési attende il Big One (un terremotoprevisto nell’area dello stretto cheprovocherebbe circa cinquantamilavittime) ed in tal senso i centri urbaniminori della provincia sono, a partecasi rari ed eccellenti, privi diopportuni piani di prevenzione sismicae di efficiente pianificazioneurbanistica comunale. Ci sarebbe qui

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Il porto di Messina

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migrarono successivamente fra lemaglie più larghe della legge219/1981, potendo godere di modalitàdi intervento più ampie e relativi piùconsistenti finanziamenti. La classificazione dei comuni aseconda del grado di danneggiamento,al fine della fruizione del sistema deibenefici previsti dalla normativa,produsse numerose e pressanti richiestedi riclassificazione, anche da parte dicomuni non effettivamentedanneggiati, con la conseguenteestensione dell’area interessata erelativa dilatazione della spesapubblica. I centri storici della Campania,prevalentemente risalenti al ‘700 e‘800, erano sempre rimasti esclusi daqualsiasi intervento significativo sugliedifici in essi ricompresi, quasitotalmente in muratura, chepresentavano, nella grandemaggioranza dei casi, ancora solai earchitravi in legno e assenza dicordolature stabilizzanti. Spesso iquadri fessurativi furono soloevidenziati ed aggravati dal terremoto,ma determinati dalla storica assenza dimanutenzione. La riqualificazione deicentri storici, attraverso lapredisposizione dei piani di recupero(PdR), previsti dalla recentementeapprovata legge 457/1978, eranorisultati sino ad allora del tuttoincompresi, essendosi dimostrate leamministrazioni locali totalmentedisinteressate a tali problematiche,rispetto all’appetibilità che suscitava lapiù redditizia espansione urbana nelleperiferie dei centri abitati consolidati.

Irpinia 1980

abitazioni, che ne fu certamente tra lesue cause principali.L’evento tellurico richiamò l’attenzionedella pubblica opinione sui drammaticiproblemi delle aree del Mezzogiorno,nelle quali le devastazioni del sisma sisovrapposero a fisiologiche condizionidi crisi, dovute a carenzeinfrastrutturali e al perdurantefallimento dei meccanismi di sviluppoposti in essere, dagli anno ‘50 in poi,con l’istituzione della Cassa per ilMezzogiorno2. Le complessità della struttura delterritorio collinare e montano nonavevano impedito il consolidarsi disignificative attività umane, ramificatein un diffuso sistema di città didimensioni piccola e media, ma anchepiccolissima, che veniva così investitoda una profonda crisi sociale eproduttiva.

L’avvio degli interventi diricostruzione

Il Governo si trovava, così, a doverintervenire per fronteggiarel’emergenza e la ricostruzione.Inizialmente, lo fece con unprovvedimento, l’Ordinanza n.80/1981, firmata dal Commissariostraordinario Giuseppe Zamberletti, laquale prevedeva che fossero resirapidamente agibili, medianteopportune riparazione, gli edifici nongravemente danneggiati, fruendo di uncontributo massimo statale di 20milioni di lire per alloggio. Delle numerose istanze di riparazionepresentate ai sensi di tale ordinanza,molte furono attuate, mentre alcune

Il più grandeintervento post sismadel ‘900Roberto Gerundo*, Isidoro Fasolino**

Con la ricostruzione dell’Irpinia illegislatore affrontava, per la primavolta in modo ampio e integrato, iproblemi drammatici di una vastissimaarea disastrosamente terremotata, pergiunta economicamente depressa,tentando di coniugare organicamente iconcetti di ricostruzione e sviluppo.Il 23 novembre 1980, un vastissimoterritorio dell’Italia meridionale fuprofondamente devastato da un forteterremoto di magnitudo 6.8 della scalaRichter, con epicentro nell’Alta Valledel Sele, che coinvolse Campania,Basilicata e alcune parti limitate di treprovince della Puglia.In rapporto al terremoto che nel 1976aveva colpito il Friuli, l’areainteressata risultava più estesa diquattro volte, le vittime furono moltopiù numerose, circa 2.700, e il dannoeconomico incomparabilmente piùelevato2.L’area epicentrale disastrata e quellagravemente danneggiata, nella quale siebbero immani distruzioni al sistemainsediativo e produttivo, riguardava, inprevalenza, i territori più poveri delledue regioni. L’ampiezza del danno era,peraltro, da correlare proprioall’arretratezza del contesto sociale edeconomico, espressa, ad esempio, dallavetustà e carente manutenzione delle

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afferma in Campania l’utilizzo e ladiffusione della pianificazioneattuativa del Prg. Sino ad allora, nonerano stati approvati PdR e Pip, adeccezione di un solo pionieristico Pipdel 1976 nel Comune di Montella (Av),mentre i Peep rappresentavano, giàall’epoca, uno strumento di consolidatatradizione.Specifica menzione va fatta degli artt.21 e 32 della legge 219/1981,finalizzati, rispettivamente, allaricostruzione o alla rilocalizzazionedelle iniziative industriali danneggiateo distrutte dal terremoto e allacreazione, per le zone interne piùdirettamente colpite, di un sistema diconvenienze addizionali straordinarieper gli insediamenti produttivi. Conl’art. 32, in particolare, la legge219/1981 promuoveva lo sviluppoproduttivo delle zone interne mediantela localizzazione di nuclei industriali.

La questione napoletana

La ricostruzione post-sismarappresentò, infine, l’occasione pertentare di dare finalmente soluzionealle irrisolte ataviche problematichedell’area metropolitana di Napoli.La normativa post sisma prevedeva lacostruzione di 20.000 alloggi, per circa100.000 vani, di cui 13.000 a Napoli e7.000 nei comuni della prima eseconda cintura. Ciò avrebbe dovutodeterminare una larga dotazione diedilizia economica e popolare,corredata dalle necessarie opere diurbanizzazione, primaria e secondaria. L’intervento di ricostruzione nella cittànon era ispirato dal Prg del 1972, madal cosiddetto piano delle periferie,approvato nel 1978, che mirava allariqualificazione delle zone urbanedegradate ai margini della città.Circa la scelta delle aree in cuilocalizzare i 20.000 alloggi, sicontrapposero due linee di pensiero. Laprima, promossa e sostenutadell’assessore all’urbanistica delComune di Napoli e Preside dellaFacoltà di Architettura, Umberto Siola,ne prevedeva l’insediamento nel medioe alto entroterra regionale, qualeoccasione per realizzare quel più volteevocato riequilibrio territoriale, ispiratodalla cultura meridionalista di Giustino

economica e popolare (Peep) o piano dizona (PdZ), il piano per insediamentiproduttivi (PipIP) e il piano di recupero(PdR), anche in variante agli strumentiurbanistici vigenti o adottati o,perfino, in assenza di strumentourbanistico generale, entro 90 giornidalla sua entrata in vigore. Talescadenza temporale fu successivamenteprorogata ad libitum, perdendosi, in talmodo, la presa programmatica e larelativa contingentata tempisticaingenuamente ipotizzata, tant’è che,ancora oggi, le leggi finanziarie delloStato continuano a centellinare fondiper la ricostruzione postsismica del1980, così come continuano ad aversierogazioni di finanziamenti perinterventi di riparazione derivanti dallalegge 219/1981. Essendo consentita l’approvazione distrumenti attuativi anche nei comunisprovvisti di Prg, tuttavia, essiavrebbero dovuto obbligatoriamenteinquadrarsi in una relazioneprogrammatica generale che, per icomuni dotati di strumento urbanisticogenerale, vigente o adottato, illustrassei riferimenti allo strumento stesso,mentre, per i comuni che ne fosserosprovvisti, contenesse i criteri generalidi impostazione del nuovo Prg daadottare. Ci si proponeva,evidentemente, l’obiettivo di nondisancorare i piani attuativi dalle piùgenerali linee di assetto territorialedefinite dai Prg, nel tentativo diconnotare l’opera di ricostruzione dellamassima organicità possibile.Si prefigurava, in tal senso,un’impostazione dell’interventourbanistico in cui si andavanoravvisando prime tracce dipianificazione strategica.Il legislatore, dunque, nelle more dellaformazione del Prg, che continuava aritenere lo strumento fondamentale peruna efficace ricostruzione, consentivaai comuni di adottare o confermare inecessari piani attuativi, riservando adessi una procedura accelerata. A tutt’oggi, molti comuni dellaCampania continuano, ormai del tuttoimpropriamente, ad utilizzare ancora leprocedure della legge 219/1981 per lamodifica di alcuni piani attuativi, asuo tempo approvati.Con la ricostruzione post-sisma, si

Fu quindi varata la legge 219/1981,recante un insieme di provvedimentiorganici per la ricostruzione e losviluppo dei territori colpiti3. Talelegge, infatti, si proponeva diconiugare organicamente i concetti diricostruzione e sviluppo.

Ricostruzione e sviluppo

Si trattava di una normativa-quadro diampio respiro, decisamente innovativa,finalizzata ad un organico interventopubblico, certamente più completorispetto ai precedenti provvedimentilegislativi in tema di emergenza,ricostruzione e sviluppo di zone colpiteda calamità naturali.La legge 219/1981 non era, infatti,esclusivamente concentrata sulla merariparazione dei danni causatidall’evento calamitoso al patrimonioedilizio esistente, bensì orientata anchea favorire forme di sviluppo socio-economico connesse alle fasi diricostruzione.La norma fissava i criteri perpromuovere la rinascita delle zonecolpite dal terremoto, delineando, sullabase di una strategia organica,interventi di emergenza per laricostruzione del patrimonio abitativo,dei servizi e delle infrastrutturepubbliche, a sostegno e promozionedelle nuove attività produttive e afavore di industrie direttamentedanneggiate dagli eventi sismici. L’azione era concepita alla scalaurbanistica e territoriale, rilanciando lapianificazione come quadro diriferimento e di coerenza delcomplesso degli interventi. Siimpegnava la Regione Campania nellapredisposizione di un piano di assettoterritoriale, cui si assegnava il compitodi concepire le linee portanti dellosviluppo del territorio regionale,necessarie per un rapido processo dicrescita economico-territoriale.Tutta la ricostruzione fondava su unaestesa e capillare pianificazioneurbanistica, basata su adozione orevisione dei previgenti Prg e sullaredazione di piani urbanistici attuativi.Essa prescriveva, infatti, che i comuni,per sopperire alle immediate esigenzedi ricostruzione, adottassero oconfermassero il piano per l’edilizia

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previsti dal piano regolatore delle areedi sviluppo industriale della Provinciadi Napoli, all’epoca non ancorarealizzati.

* Presidente Inu Campania.** Università di Salerno.

Note1. Le 2.700 vittime del sisma si ebbero, in massimaparte, nella zona disastrata epicentrale (1.700) ed inquella gravemente danneggiata (750). L’areadisastrata interessò 19 comuni, estesi su unasuperficie di circa 600 Kmq, con una popolazione dicirca 55.000 abitanti; i senza tetto risultarono circa37.000. 2. La precarietà della rete infrastrutturale, in unterritorio orograficamente complesso, di certocontribuì alla difficoltà nell’organizzazione deisoccorsi nelle ore immediatamente successive alsisma, cui si deve probabilmente una maggioreperdita di vite umane. Allo stesso modo, la mancanzadi capacità residua nelle strutture sociali eresidenziali elevava le difficoltà nella sistemazionedei numerosissimi senza tetto. 3. La legge 219/1981, conversione, con modificazioni,del Dl 75 del 19 marzo 1981, fu successivamentetradotta, con numerosissime modifiche edintegrazioni nel frattempo intervenute, nel Dlgs 76del 30 marzo 1990, Testo unico delle leggi per gliinterventi nei territori della Campania, Basilicata,Puglia e Calabria colpiti dagli eventi sismici delnovembre 1980, del febbraio 1981 e del marzo 1982.

Fortunato, nonché dagli studi diprogrammazione regionale, quali ilcosiddetto documento Novacco-RossiDoria, nel 1957 e le opzioni Cascettadel 1974. L’altra corrente di pensiero,viceversa, riteneva necessario il suoinnesto nella immediata periferia dellacittà. Napoli, all’epoca, era in unacondizione di fortesovrappopolamento, sfiorando i1.300.000 abitanti, e la malavitaorganizzata trovava il proprionutrimento nella elevata densità dipopolazione e nel groviglio edilizio-urbanistico di insediamenti storicicome la Duchesca, Forcella e iQuartieri Spagnoli. La camorra nonpoteva certo accettare ipotesi chescompaginassero condizioni distraordinaria rendita di posizione e fuin tale contesto a maturare lagambizzazione di Umberto Siola e ilconseguente arretramento della politicarispetto ad una ipotesi di vasto respiroe di grande spessore culturale, cheavrebbe non poco contribuito, inprospettiva, ad alleviare le patologiepiù gravi e profonde dell’areanapoletana. Il piano delle periferie fu attuato,integrandolo con la costruzione diedifici, in quartieri come Ponticelli,Secondigliano, Pianura, ai marginiurbani della città, in cui la camorrarapidamente pensò di trasferirsi, inquanto agevolata dal fatto che il vastopatrimonio immobiliare di tali areefosse interamente pubblico e, quindi,privo di efficaci controlli e facilmentedisponibile per tutta una serie diutilizzi e traffici criminali. Ulteriori esiti, sempre derivanti dasuccessive integrazioni della legge219/1981, riguardaronol’infrastrutturazione su gomma e suferro, che portò alla realizzazione diuna notevole rete stradale in ambitoprovinciale, a carattere autostradale,sebbene a pedaggio gratuito, oltre alpotenziamento e modernizzazionedella già ricca rete di ferroviesecondarie presenti nell’areanapoletana, che veniva fortementeriqualificata.Tali interventi presero a riferimento ilquadro delle infrastrutture esterne agliagglomerati produttivi, così come

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Paesaggidella montagna umbraA cura di Sandra Camicia

Nell’ambito del Progetto europeo LOTO(Landscape opportunities for territorialorganization), la Regione Umbria cogliel’opportunità per approfondire ed indi-viduare indirizzi di metodo e strumentioperativi attraverso cui governare letrasformazioni paesaggistiche, al fine digarantire la conservazione e valorizza-zione dei caratteri identitari più rilevan-ti del territorio.Particolarmente curato l’apparato ico-nografico di questo volume nel qualeemerge il percorso tracciato dalle foto-grafie “monumento” di Guido Guidi.

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la ricostruzione.Nelle fasi immediatamente successivealla prima emergenza sono costituiti ilCentro operativo regionale a Foligno(COR) con funzioni di coordinamentogenerale e sei Centri operativi misti(COM), negli comuni più colpiti,composti da funzionari e tecnici didiversi organismi (Regione, Provincia,Comuni, Protezione civile, Prefettura,Servizio sismico nazionale, Serviziogeologico, associazioni di volontariatoe sanitarie).La seconda emergenza consiste nelsistemare la popolazione evacuata, finoal rientro in casa dopo laricostruzione, in insediamentiprovvisori: campi container attrezzati(spazi comuni, servizi locali, ecc.) susuoli individuati ed urbanizzati daicomuni, localizzati in prossimitàdell’insediamento danneggiato e dellerelative comunità, dimensionati eaggregati in modo tale da favorirerelazioni di prossimità simili a quelledell’insediamento danneggiato,sostituiti o affiancati in un secondotempo da “casette di legno”, case inaffitto (con il sussidio pubblico) ovveroedilizia pubblica temporaneamenteassegnata.

Le scelte per la ricostruzione

Le fondamentali scelte per laricostruzione sono sintetizzabili nelleseguenti parole d’ordine: Com’eradov’era, Miglioramento sismico,Ricostruzione degli edifici privatiaffidata ai privati, Prima laricostruzione leggera e poi laricostruzione pesante, Ricostruzione

Umbria

preappenninica delle Regioni Umbria eMarche. Diverse ordinanze ministerialie leggi (OM 13.10.2007, n. 2694; OM20.11.2007, n. 2717; OM 28.11.2007, n.2719; L 20.03.1998, n. 61) individuano31 comuni colpiti dal sisma (conun’estensione totale di 4160 km2, parial 48% del territorio regionale) di cui24 definiti di “fascia A” (di 1680 km2,circa il 20% del territorio regionale).

La prima e la seconda emergenza

La prima emergenza è caratterizzatadalla sistemazione d’urgenza dellapopolazione evacuata e dal rilevamentodel danno. La sistemazione d’urgenzaavviene in campi tende e in campiroulotte “di primo riparo” distribuiti ediffusi in spazi liberi nei pressi dellesituazioni danneggiate, conattrezzature da campo predispostedalla Protezione Civile, dai Vigili delFuoco, etc. Dei circa 9200 nucleifamiliari sgombrati (pari a circa 20.000persone), il 60% hanno potuto trovareuna sistemazione autonoma, mentrecirca 3500 famiglie (pari a circa 9.000persone) sono state provvisoriamentesistemate in campi tende e campiroulotte. Il rilevamento del dannoriguarda: gli edifici, per la verificadell’agibilità ovvero della loropericolosità ai fini, in quest’ultimocaso, della messa in sicurezzaattraverso opere provvisionali odell’eventuale demolizione; i beniculturali mobili a rischio, per i qualiviene valutato il trasferimento e lamessa in sicurezza; gli edifici, leinfrastrutture e i beni culturali, per lavalutazione delle risorse necessarie per

La ricostruzione dopoil terremotoGianluigi Nigro*

L’esperienza umbra, osservata ex-poste dopo più di dieci anni, apparecaratterizzata da un percorso nel qualesi è saputo trovare un equilibrio tra leesigenze della celerità e quelle dellaqualità della ricostruzione. E’ nata unanuova attenzione ai problemi dellaprevenzione edilizia, urbana eterritoriale.Le caratteristiche del terremoto e delterritorio colpitoIl terremoto dell’Umbria del 1997inizia con una scossa di magnitudo 5.6alle ore 2.33 del 26 settembre, conepicentro a Colfiorito frazione diFoligno. Alle ore 11.40 si verificaun’altra scossa di magnitudo 5.8 conmedesimo epicentro (verso Annifo),evento seguito 6 minuti dopo da unascossa con epicentro a Nocera Umbra(magnitudo 4.9). Circa 5 mesi prima, il5 maggio si era registrata unasequenza di terremoti, iniziata con unevento di magnitudo 4.5 con epicentroa Massa Martana. Nei mesi dasettembre 1997 ad aprile 1998vengono registrate più di 8000 scosse,con altri due eventi rilevanti oltre aquello di Colfiorito: a Sellano il 14ottobre (magnitudo 5.5) e a GualdoTadino il 3 aprile 1998 (magnitudo5.5). Le serie di scosse ripetuteinteressano un sistema di piccoli emedi centri collinari e montani, tra iquali quelli maggiormente colpitiricompresi nella fascia appenninica e

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interventi, a garantire un disegnounitario e si basa su analisi dellesituazioni specifiche tenendo contodelle caratteristiche morfologiche estoriche dei tessuti e dellecaratteristiche culturali, ambientali esociali dei luoghi; ciò si sviluppasecondo due linee principali: gliinterventi sui centri storici e sui centrie nuclei urbani e rurali gravementedanneggiati da attuarsi mediante iProgrammi integrati di recupero (Pir);gli interventi su edifici non ricompresinei Pir (edifici isolati). I Programmiintegrati di recupero sono strumentiprevalentemente di programmazioneche possono, ove ritenuto necessariodai comuni che li promuovono,assumere valenza urbanistica; sono lostrumento operativo per attuare laricostruzione dei “centri e nuclei, oparte di essi, di particolare interessemaggiormente colpiti”, superando lamodalità dell’intervento ediliziosingolo e ponendosi in una logica diinsieme, dando luogo ad uncomplesso, progettualmente edoperativamente coordinato, diinterventi sull’edilizia privata,sull’edilizia pubblica, sulle reti diurbanizzazione, sugli spazi pubblici,comprendendo, ove necessario, operepropedeutiche di consolidamento delsuolo.Oltre agli interventi di ricostruzioneleggera e pesante sull’edilizia privata,gli interventi, sostenuti da specificiprogrammi finanziari, riguardano iseguenti settori strategici: i beniculturali, le opere pubbliche e leinfrastrutture a rete, le infrastrutturerurali e la mitigazione dei dissesti.In riferimento alla cooperazioneinteristituzionale, la prima scelta èquella di definire obiettivi, scelte eindirizzi generali mediante la legge(prima nazionale e poi regionale), edallo stesso tempo di affidare alleordinanze (ministeriali e commissariali)e alle delibere regionali la regolazionedegli aspetti operativi, per favoriretutte le modifiche via via necessarie.La seconda scelta riguarda l’impiego,all’epoca innovativo, dell’Intesaistituzionale di programma, qualestrumento di programmazioneintegrata degli interventi straordinaridella ricostruzione e degli interventi

edifici, non è quello dell’“adeguamento sismico”, riservato agliedifici di nuova costruzione incemento armato, ma quello delmiglioramento sismico inteso comemaggiore livello di sicurezza rispetto aquello preesistente (stabilito pari al65% di quello dell’adeguamento).In sintonia con il “com’era dov’era” laricostruzione degli edifici privati èaffidata ai privati, ai quali vieneassicurato un contributo finanziariopubblico, riferito alla singola unitàimmobiliare, commisurato allacaratteristica del danno subito, algrado di vulnerabilità dell’edificio ealla dimensione dell’edificio; ciò afronte della disponibilità ad operareunitamente con i proprietari delmedesimo edificio, ovvero aconsorziarsi nel caso delle Unitàminime di intervento previste nellaricostruzione pesante ricadente neiProgrammi Integrati di Recupero, dellarealizzazione di interventi dimiglioramento sismico degli edifici edel rispetto delle regole edilizie,nell’occasione emanate con il supportodel Comitato Tecnico Scientifico.Per ricostruzione leggera si intendonogli interventi su edifici oggetto di undanneggiamento lieve, che nonpresentano particolari problemi tecnicie non richiedono nuove e complessedisposizioni tecniche. Per ricostruzionepesante si intendono gli interventirelativi ad edifici più gravementedanneggiati o insediamenti crollati peri quali è necessario definire nuovedisposizioni tecniche. A questasuddivisione corrisponde una scelta dipriorità a favore della ricostruzioneleggera, sia nel senso dellasemplificazione delle procedure, chenella messa a disposizione delle risorsefinanziarie; ciò in ordine alla finalitàdi far rientrare in casa il più prestopossibile il più gran numero dicittadini e di articolare nel tempo iflussi finanziari pubblici, tenendoconto che la ricostruzione leggera puòessere immediatamente praticata,mentre quella pesante comporta attitecnici e amministrativi che richiedonotempi maggiori.La ricostruzione programmata degliedifici gravemente danneggiati puntaad evitare la frammentazione degli

pesante attraverso i Pir, Interventispecifici per settori strategici,Cooperazione interistituzionale. Lepratiche necessarie per l’attuazione ditali scelte sono definite sulla base delleelaborazioni (normative tecniche,disposizioni per la valutazione deicosti e dei contributi, etc.) prodotte epromosse dal Comitato TecnicoScientifico appositamente istituito, alfine di indirizzare sotto il profilotecnico–operativo l’attività diricostruzione leggera e pesante eattraverso i Pir, conciliando le esigenzedettate dall’obiettivo delmiglioramento sismico e quelle dellaconservazione dei caratteri storici earchitettonici dell’insediato e deiluoghi.Inizialmente la popolazione ha pauradi rientrare in casa. Successivamentedesidera di ritornare nel proprio luogodi vita: prevale da un latol’attaccamento ai luoghi e allacomunità di appartenenza, dall’altro ildesiderio di vedere valorizzato con laricostruzione il proprio beneimmobiliare. Sotto il profilo politico siconsidera molto rischiosa unaricostruzione “trasferita”, in quanto difatto propedeutica all’esodo e allosradicamento della popolazione,soprattutto dai territori fragili (quellicon tendenza all’abbandono già primadel terremoto, come i territori montanie collinari e i relativi centri e borghi).Dal punto di vista dello sviluppo siritiene, più o meno consapevolmente,che riabilitare e miglioraresismicamente il sistema insediativo einfrastrutturale com’era dov’eracostituisca la base necessaria eindispensabile per il rilancio di unosviluppo locale in grado di valorizzareil patrimonio territoriale checaratterizza i luoghi.La ricostruzione si pone l’obiettivo dicogliere l’occasione per dotarsi diedifici più sicuri dal punto di vistasismico e non si limita, dunque, allariparazione del danno subìto. Inconsiderazione dell’altissima presenzadi edifici con caratteri storici otradizionali e della conseguentenecessità di una ricostruzione capacedi recuperare il patrimoniodanneggiato ricorrendo a tecnologietradizionali, l’obiettivo, per questi

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frazioni non ci sono più e quelli piùgiovani di allora ora sono gli anzianid’oggi. Alcuni devono ancora deciderese tornare nei luoghi montani d’origineo restare nel capoluogo dove,indubbiamente la vita è molto diversa. Forse queste sono state le ‘scosse’ piùforti.Ad oltre un decennio dall’inizio dellacrisi sismica, la ricostruzione postsisma ’97 in Umbria, è in avanzatafase di realizzazione. Oltre il 90% dellapopolazione sgomberata è tornata nelleproprie case, la restante parte èsistemata in soluzioni abitativedignitose come gli alloggi di ediliziaresidenziale pubblica o le casette dilegno (o usufruisce ormai in minimaparte, del contributo per l’autonomasistemazione).Ciò non esaurisce il capitoloricostruzione, Restano ancora dafinanziare le priorità ‘N’ all’interno deiPir, e le priorità “G” all’esterno dei Pir,costituite dalle seconde casedanneggiate e sgomberate, il cuimancato recupero in qualche casoostacola fortemente il ritorno allanormalità nei centri frazionali, nonconsente il completamento delleurbanizzazioni, pregiudicando lasicurezza e l’incolumità pubblica.Oggi in Abruzzo, come allora inUmbria e nelle Marche nel 1997, lariflessione sul rapporto trapianificazione urbanistica,ricostruzione e gestione dell’emergenzaè stata al centro dell’attenzione nonsolo degli addetti al settore ma di tuttii soggetti interessati. Dagli esiti di queldibattito, per la prima volta, Illegislatore riconobbe la complessità deiprocessi di ricostruzione post-sisma neicentri storici gravemente danneggiati estabilì che le operazioni di recuperodovevano avvenire in modo integratointeressando tutte le componenti:edifici privati, pubblici, beni culturali,eventuali dissesti del terreno, nonchéle infrastrutture a rete, affidando ilcoordinamento di tali operazioni ad unnuovo strumento costituito dal Pir.Il Programma integrato di recupero,Pir, di natura essenzialmenteprogrammatoria e finanziaria, maanche con alcuni riferimenti econtenuti urbanistici, laddove inparticolare si fa ricorso

ritrovarsi al termine del percorso unpatrimonio immobiliare maggiormentevalorizzato rispetto a modelli diricostruzione diversi ed alla comunitàdi ritrovarsi un territorio del post-terremoto riabilitato, nel quale sonomaggiori i segni di qualificazionepiuttosto che quelli di degrado o ditrasformazione disordinata odisorientante.Non va, inoltre, sottaciuto chedall’esperienza della ricostruzione inUmbria è nata una nuova attenzione aiproblemi della prevenzione edilizia edella prevenzione urbana (StrutturaUrbana Minima - Sum) e territoriale(Struttura urbana territoriale - Sut); ciòè testimoniato da una nuovalegislazione regionale in merito: Lr11/2005 che prevede l’obbligatorietàdella previsione della SUM nei Prg e laLr 18/2002 che prevede contributi perinterventi di prevenzione sismica sulpatrimonio edilizio esistente estesiall’intero isolato.

*Università La Sapienza Roma.

Programmazione estrumentazioneurbanisticaSilvia Bosi*, Alfiero Moretti**

In Umbria e nelle Marche, nel 1997, lariflessione sul rapporto trapianificazione urbanistica,ricostruzione e gestione dell’emergenzaè stata al centro dell’attenzione nonsolo degli addetti al settore ma di tuttii soggetti interessatiDieci anni. Sembrano tanti, infatti èstato un lungo cammino. Siamopassati dalla paura di quelle scosse chesembravano non avere più fine allanecessità di tornare ad una vitanormale; dalle riunioni fin nei piùsperduti paesini e che spesso finivanoa notte inoltrata, ad immaginare ilfuturo ricostruito, dalla voglia diricominciare altrove, magari in città,con una casa tutta nuova econfortevole, al desiderio di tornarenei luoghi della montagna dove sonole radici di tanti. Molti di queglianziani abitanti di quelle piccole

ordinari per lo sviluppo, in particolaredelle infrastrutture.

Le scelte per lo sviluppo

Fin dall’inizio, dal punto di vista dellosviluppo si ritiene, più o menoconsapevolmente, che riabilitare emigliorare sismicamente il sistemainsediativo e infrastrutturale “com’eradov’era” costituisca la base necessariae indispensabile per il rilancio di unosviluppo locale in grado di valorizzareil patrimonio territoriale checaratterizza i luoghi. Al processo diricostruzione si affianca il Progettointegrato per le aree maggiormentecompite dal terremoto in Umbria (Piat)finalizzato allo svilupposocioeconomico dei comuni più colpitidal sisma. L’obiettivo del Piat è quellodi mettere a sistema le potenzialità deicomuni per una integrazione a rete deidiversi territori attivando sinergie trapubblico e privato. Il Piat individuacinque progetti: sistema integratoturismo-ambiente-cultura (Tac); qualitàdella vita e servizi di interessecollettivo; mobilità e reti di trasporto;consolidamento del sistema industriale;sviluppo integrato dell’ambiente rurale.Tra questi, il progetto Tac è quello chesembra cogliere le maggiori finalità disviluppo in quanto, con l’utilizzo difondi del Docup Ob.2 2000-2006, dirisorse Cipe e di risorse Piat mira adintegrare le politiche per la tutela e lavalorizzazione dell’ambiente e delpaesaggio e dei beni culturali, con lavalorizzazione del sistema turisticoregionale, in sostanza a promuovereuno sviluppo locale basato sulle risorseterritoriali locali rigenerate con laricostruzione.

Va sottolineato, in conclusione, chel’esperienza umbra, osservata ex-post edopo più di dieci anni e per quanto finqui detto, appare caratterizzata da unpercorso nel quale si è saputo trovareun equilibrio tra le esigenze dellacelerità e quelle della qualità dellaricostruzione. La scelta del “com’eradov’era” ha comportato che molti sisiano dovuti trattenere a lungo insistemazioni di insediamentotemporaneo, ma ha certamenteconsentito ai privati proprietari di

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avanzate dai cittadini econtemporaneamente garantirne laqualità degli interventi. La celerità, inqualche caso, è stata prevalenterispetto alla qualità e questo hacomportato di conseguenza la rinunciaad avvalersi di strumenti urbanisticiattuativi che presentano tempi lunghidi formazione ed approvazione. Il processo di ricostruzione in Umbriae nelle Marche, per la prima volta inItalia, ha seguito percorsi differenziati:ricostruzione leggera, ricostruzionepesante, ricostruzione integrata. Moltopositiva è stata la scelta di avviaresubito la riparazione degli edifici condanni lievi (attraverso ilprovvedimento amministrativodell’ordinanza 61/98), separando talepercorso da quello riguardante gliimmobili che avevano subito dannimaggiori, sia all’interno che all’esternodei centri e nuclei storici, diminuendodi conseguenza in tempi rapidi, ilnumero delle famiglie sgomberate. Altrettanto strategica e positiva si èrivelata la scelta normativa diprevedere la ricostruzione integrata deinuclei e centri storici gravementedanneggiati attraverso i Pir, anche sela complessità delle azioni da metterein campo ha inevitabilmente dilatato itempi. Le prime concessionicontributive, per interventi all’internodei Pir, sono state rilasciate alla finedel 1999, due anni dopo il verificarsidegli eventi. Sicuramente laricostruzione integrata dei centriantichi e dei nuclei storici in Umbriaha consentito di sperimentare un‘nuovo modello’, mai attuato inprecedenza in altri luoghi. L’auspicioera che di fronte ad un nuovo eventoil legislatore avesse fatto tesoro delleprecedenti esperienze contribuendo, inmodo critico, a valorizzarne gli aspettipositivi e ad evidenziarne le lacune,per poter definire un approcciosistemico da replicare per lericostruzioni post sismiche. Purtroppo tutto questo non è avvenutocon la recente legge varata dalParlamento per la ricostruzionedell’Abruzzo. Non solo non si è fattotesoro delle precedenti esperienze ma èstato fatto un notevole passo indietronel rapporto tra pianificazione,programmazione e gestione

tanto agli eventi sismici, ma a fattoricollegati con il rischio idraulico diesondazione o a dissesti idrogeologici.Risulta evidente che la gran parte dellaricostruzione post sisma ’97 èavvenuta all’interno di un processo diprogrammazione con un modestoricorso alla variante urbanistica e conlimitato utilizzo di strumentiurbanistici attuativi.Con la gran parte della ricostruzioneormai eseguita, si conferma oggi comeil diverso livello di danneggiamentodei centri e nuclei antichi, avrebbedovuto necessariamente comportarel’introduzione di una “sogliaurbanistica di attenzione”, al di sopradella quale il ricorso allo strumentourbanistico attuativo doveva era resoobbligatorio dalla regione. Nel casoaccertato di centri che presentavanolivelli estesi e diffusi di crolli o didemolizioni, con conseguente necessitàdi ridefinire il tessuto urbano, taleoperazione doveva essere affidata aduno strumento che disciplinasse inmodo organico e coerente il processoedilizio. Non prevedere, in casi dinecessità manifesta, l’implementazionedegli strumenti di naturaprogrammatoria con quelli dicontenuto urbanistico-architettonicoper guidare il meccanismo diricostruzione, ha prodotto esiti nonsempre positivi soprattutto sul versantedel controllo del processo edilizio, conricadute negative sulla qualitàarchitettonica. L’obbligatoria l’integrazione del Pir conil piano attuativo era indispensabile inquanto gli aspetti urbanistici ed edilizinon possono essere adeguatamentesviluppati dal programma integrato direcupero. La stessa perimetrazionedelle UMI, nella gran parte dei casi, èstata effettuata non sulla basedell’analisi della morfologia urbana edelle tipologie edilizie, ma di una seriedi elementi strettamente connessi conil processo di ricostruzione ediliziapost sisma.Fin dal primo momento il principaleobiettivo dichiarato era quello di fare‘presto e bene’. Non è stato facilecondurre un iter così complesso edarticolato come la ricostruzione di unaparte consistente dell’Umbria e delleMarche, con la richiesta di celerità

all’individuazione dell’unità minime diintervento (UMI) è stato lo strumentoutilizzato per regolare la ricostruzioneall’interno dei centri storici e deinuclei urbani e rurali maggiormentecolpiti. Il Pir, che per la sua natura econtenuto non ha alcuna valenzaurbanistica, ha rappresentato unnotevole passo avanti per attuare ilrecupero dei centri storici e dei nucleigravemente danneggiati, in modointegrato, tenendo conto dellacomplessità delle operazioni, cercandodi attivare contestualmente i variinterventi per poter riutilizzare intempi ragionevoli non solo gli alloggima anche le attività produttive, leattrezzature sportive, religiose eculturali, le nuove urbanizzazioni.La ricostruzione post sismica inUmbria è stata inoltre unastraordinaria occasione per ripristinaree rafforzare la struttura urbana deicentri e dei nuclei della collina e dellamontagna che presentavano, inqualche caso, degrado ed abbandonocome conseguenze della fragilitàsocio-economica e dell’elevato tassod’invecchiamento della popolazione.Con la ricostruzione integrata,all’interno dei centri e nuclei antichisoggetti a Pir, sono state ripristinate lecondizioni di sicurezze per gliinnumerevoli edifici privati e pubblici,si è provveduto inoltre al rinnovo dellereti tecnologiche, in particolare conl’adeguamento igienico sanitarioraccogliendo e trattando tutti gliscarichi delle abitazioni e delle attivitànei recapiti finali costituiti daidepuratori. Il processo di formazioneed approvazione dei Pir in Umbria si èsvolto in un anno. Dal marzo ’98,quando è stata emanata la Legge61/98, a marzo/aprile ’99 quando èavvenuta l’approvazione della granparte dei 183 programmi predispostidai Comuni. Diverse amministrazionicomunali, contestualmente allapredisposizione dei Pir, hannoelaborato piani attuativi, la gran partedei quali conformi alle previsioniurbanistiche dei Piani regolatorigenerali. Solo quattro piani attuativisono risultati essere in variante al Prg,per ragioni specifiche ed oggettive inquanto sono state previstedelocalizzazioni conseguenti, non

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irrinunciabili della pianificazione(questione ambientale, attenzione alpaesaggio, prestazioni ecologiche degliinsediamenti e degli edifici, ecc.); laconsapevolezza della rilevanza delsupporto degli strumenti e deiprogrammi della stessa pianificazioneai fini della costituzione dellecondizioni fisico-funzionali di territorie città per la prevenzione sismicaurbana e per l’organizzazione el’efficienza degli spazi per le attività diprotezione civile. Inoltre, conseguenzanaturale ma non ovvia, la necessitàche il tema della riduzione dellavulnerabilità sismica urbana, in chiavedi prevenzione, venga affrontata in“tempo di pace” all’interno dei processiordinari di pianificazione e nondurante le fasi di emergenza,ricostruzione e ripresa a seguito dieventi calamitosi.I primi strumenti di pianificazione chehanno affrontato il tema, poco tempodopo il sisma, sono il Piano territorialedi coordinamento provinciale (Ptcp)della Provincia di Perugia e il Pianourbanistico territoriale (Put) dellaRegione. I due piani hanno contribuitoinnanzitutto a colmare il deficit di datie conoscenze messo in luceall’indomani del sisma, avviando lacostruzione di quadri conoscitivimultidisciplinari. Inoltre hannodefinito una cornice di riferimento perla prevenzione sismica alla scalaterritoriale e urbana: il Put affidandoai Ptcp e ai Prg compiti specificiriguardo all’approfondimento localedella conoscenza dei rischi presenti sulterritorio e alla organizzazione fisica efunzionale delle esigenze di spazi einfrastrutture per l’emergenza; il Ptcptrattando con approccio strategico itemi dei servizi pubblici essenziali incaso di evento calamitoso e dellaviabilità dell’emergenza, ponendo così,in modo implicito, le basi per quellache le ricerche sulla vulnerabilitàsismica hanno successivamentedefinito struttura territoriale minima5.Pur risentendo ancora dell’emergenza equindi essendo volte principalmentealla organizzazione della protezionecivile, le indicazioni dellapianificazione regionale e provincialecontengono alcuni punti ferminell’ottica della riduzione della

L’esperienza umbraFrancesco Nigro*

La ricostruzione in Umbria1 haprodotto un concreto avanzamentoculturale e tecnico-disciplinare nelcampo urbanistico, mirando aorientare i contenuti dellapianificazione in rapporto allavulnerabilità sismica di città e territori.È ormai chiaro che è improprioaffidare alla ricostruzione post-terremoto la soluzione di problemi disviluppo non precedentementeimpostati ed avviati a soluzione;piuttosto la ricostruzione può e devericreare o migliorare le condizioni perlo sviluppo, eliminando quantomenogli ostacoli precedentemente legati alcattivo stato delle risorse antropiche(sistema insediativo, accessibilità, beniculturali, cura dei beni naturalistici)2.Allo stesso modo è acquisita laconsapevolezza che la ricostruzione,soprattutto quando, come nel casoumbro, diviene strumento per ilperseguimento di obiettivi ben piùambiziosi della necessaria riparazionedei danni subiti, non possa fermarsialla dimensione edilizia. In questa ottica uno degli effetti piùrilevanti dell’esperienza umbra èl’accresciuta sensibilità istituzionale etecnica in tema di prevenzione eriduzione della vulnerabilità sismica atutte le scale di intervento. Ilconsolidamento di questa attenzioneha infatti favorito il raggiungimento disignificativi risultati, che in alcuni casirappresentano un primato nazionale3,in materia di integrazione di questitemi nelle politiche e negli strumentidi governo del territorio; ciò attraversoun processo avviato nel pieno dellaricostruzione, anche sulla base diiniziative di studio e ricerca promosseda alcune delle stesse leggi emanate aseguito del sisma4.I risultati riguardano in particolare: ilriconoscimento dell’importanza didisporre di conoscenze del territorioaggiornate, condivise e implementabili;l’attribuzione al tema della riduzionedella vulnerabilità sismica degli edificie dei sistemi urbani e territoriali dellastessa dignità riconosciuta ad altri temida tempo assunti come contenuti

dell’emergenza e della successivaricostruzione post-sismica. La gestionedella prima emergenza, completamenteaffidata al Commissario Straordinario,è attuata con nuove localizzazioni, ingran parte in variante agli strumentiurbanistici vigenti. I finanziamenticoncessi per la riparazione degli edificinon hanno alcun rapporto diretto construmenti sia di programmazione chepianificazione. L’articolo 14 della legge157/2009 prevede solamente che isindaci predispongano “piani diricostruzione del centro storico dellecittà” definendo linee di indirizzostrategico per assicurare la ripresasocio-economica, la riqualificazionedell’abitato, il rientro delle popolazionisgomberate, senza alcun certezza sullaeffettiva finanziabilità dellaintegrazione degli interventi.Possiamo dire, a distanza di dieci anni,che la gran parte delle scelte fatte nel1997 per la ricostruzione dell’Umbria edelle Marche furono lungimiranti edhanno prodotto gli esiti positiviauspicati, consentendo la quasi totalitàdella ricostruzione dei benidanneggiati dagli eventi sismici iniziatiil 26 settembre 1997 soprattutto perquanto attiene il pieno recupero efunzionalità dei centri e nuclei antichigravemente danneggiati.Tante sono state le personeprotagoniste della gestione della primaemergenza e della successivaricostruzione: dagli amministratori aidirigenti e funzionari regionali ecomunali, dal personale ordinario etemporaneo, ai professionisti chehanno progettato gli edifici e leinfrastrutture da ripristinare alleimprese che hanno eseguito i lavoriche tutti hanno lavorato versol’obiettivo della ricostruzione, perassicurare un futuro sviluppo alle areeterremotate. Senza questo elementonon ci sarebbe stata macchinaorganizzativa perfetta che avrebbepotuto funzionare. Sono le persone, dasempre, che fanno la differenza, e quil’hanno fatta.

* Ricercatrice.** Direttore Generale Comune di Foligno.

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normalmente impiegati perpromuovere la qualificazione degliinterventi dal punto di vistaarchitettonico, paesaggistico,ecologico, energetico ecc.Le ricerche svolte sul tema,parallelamente alla ricostruzione,indicano che per l’individuazione dellastruttura urbana minima le conoscenzedi partenza sono quelletradizionalmente oggetto delle analisiper il piano regolatore, e quindi lapredisposizione del quadro conoscitivoe delle relative valutazioni, anchenell’ottica della vulnerabilità sismicaurbana, così come previsto dalla legge,non può che favorire questo nuovocompito affidato al Prg.Inoltre il processo di formazione delnuovo Prg, delineato dalla legge,consente di integrare completamente itemi della riduzione della vulnerabilitàsismica urbana, della prevenzione edella organizzazione degli spazi per laprotezione civile, nelle scelte di assettoe funzionamento della città e delterritorio, secondo un percorso diprogressiva definizione delle azioni edelle discipline d’intervento.A partire dal Dp è possibile arricchire equalificare gli obiettivi e le relativeazioni strategiche sulle componentistrutturali del territorio (insediamenti,funzioni, infrastrutture, aree sensibilidal punto di vista geomorfologico,idrogeologico e sismico, ecc.) conspecifiche finalità e iniziative volte apotenziare e mettere in sicurezza laSum. Ciò può facilitare, grazieall’attività prevista di partecipazionedella popolazione e degli attori delterritorio, anche la diffusione delleconoscenze poste a base delle opzionistrategiche e la sensibilizzazionegenerale sul tema della prevenzione.Al Prg-Ps e al Prg-Po compete ladefinizione progressiva della disciplinaurbanistica e degli strumenti (modalitàattuative, procedure, categorie diintervento, meccanismi premiali, ecc.)volti al perseguimento degli obiettivi ealla traduzione operativa delle azioniindividuate dal Dp anche ai fini dellariduzione della vulnerabilità sismicaurbana. Ciò mirando a integrare erafforzare la Sum all’interno dellanormale attività di rinnovo,riqualificazione e trasformazione della

La legge 11/2005 specifica la forma delpiano regolatore generale e il relativoprocesso di formazione, peraltro similia quelli previsti da altre leggiregionali, definendo finalità econtenuti rispettivamente delDocumento programmatico (Dp), delPrg-Parte strutturale (Prg-Ps) e delPrg-Parte operativa (Prg-Po), eprecisando fasi, procedure e modalitàdi copianificazione, partecipazione eformalizzazione del complessivostrumento generale di pianificazionecomunale. Per la vulnerabilità sismicaurbana la legge assume il concetto distruttura urbana minima (Sum) comeuno dei contenuti specifici del piano. Infatti ai fini della prevenzione sismicail Prg-Ps, in riferimento ad unacomplessiva e condivisa idea disviluppo socio-economico e spazialedella città e del suo territorio, deveindividuare “gli elementi insediativi,funzionali e infrastrutturali esistenti edi progetto che nel loro insiemecostituiscono la struttura urbanaminima di cui è necessario garantirel’efficienza in caso di eventi sismiciallo scopo di ridurre la vulnerabilitàsismica urbana; a tal fine definisce gliobiettivi da perseguirsi mediante laqualificazione antisismica degliinterventi dai quali detti elementi sonointeressati ordinariamente,demandando al PRG, parte operativa,la promozione di detta qualificazioneanche attraverso meccanismicompensativi di cui all’articolo 30”(art.4 c.3 lett. d).Gli intenti del legislatore e le ricadutein termini disciplinari e di contenutidel piano sono decisamente chiari:- riconoscere, integrare e rendereresistente la struttura urbana minima;- orientare le scelte generali dipianificazione comunale anche inriferimento alle esigenze e agliobiettivi della prevenzione sismica;- perseguire la riduzione divulnerabilità sismica urbana attraversola caratterizzazione e qualificazioneantisismica degli interventi realizzatinei tempi e con le modalità ordinariedi attuazione del piano regolatoregenerale;- favorire il perseguimento dellaprevenzione sismica utilizzando imeccanismi compensativi e premiali,

vulnerabilità sismica urbana eterritoriale:- l’importanza di disporre diconoscenze condivise e approfondite,fino al livello locale, suicomportamenti di suolo e sottosuolo inoccasione di sisma, compresi icosiddetti effetti di sito, da porre abase delle scelte di pianificazioneterritoriale e urbanistica;- l’importanza di elaborare un quadrodi riferimento territoriale che evidenzil’armatura essenziale di funzioni, areee infrastrutture di cui occorre garantirela resistenza e programmare e attuarela riduzione di vulnerabilità;- l’occasione offerta dallapianificazione di considerare le scelterelative all’organizzazione dellaprotezione civile rispetto alle altrescelte territoriali e urbanistiche così dapervenire ad un assetto complessivodel territorio e della città efficiente esicuro;- il ruolo centrale affidato aglistrumenti urbanistici comunali inmerito a: localizzazione di aree einfrastrutture per la sicurezza e ilsoccorso; promozione di interventi diriduzione di vulnerabilità sulpatrimonio edilizio esistente inriferimento a criteri di strategicità epriorità; definizione di modalità diattuazione delle previsioni anche aifini della prevenzione in tempo dipace;- la possibilità di impiegaremeccanismi incentivanti di tipourbanistico per favorire larealizzazione di interventi per laprotezione civile e per la riduzionedella vulnerabilità sismica urbana.

A partire dalla introduzione dellaprevenzione sismica nei processiordinari di pianificazione, promossadal Put e dal Ptcp, edall’approfondimento del concetto distruttura urbana minima6 la Regioneha dato concreta formalizzazione eoperabilità ai progressi raggiunti conl’emanazione della Lr 11/2005 “Normein materia di governo del territorio:pianificazione urbanistica comunale”;passaggio che sancisce, per la primavolta in Italia, la dimensioneurbanistica della riduzione del rischiosismico in ambito urbano.

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CORSO DI LAUREAIN VERDE ORNAMENTALEE TUTELA DEL PAESAGGIO

Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna

Il corso di laurea forma un tecnicodegli spazi verdi e del paesaggio, unprofessionista in grado di intervenirenell’ambito della produzione florovi-vaistica, nonché in quello della proget-tazione delle aree verdi, dalle fasicompositive e di scelta delle essenze,sino a quelle della realizzazione,gestione e manutenzione, sia in ambi-to urbano che extraurbano.La formazione multidisciplinare fon-data su una idonea integrazione traconoscenze in ambito biologico, bota-nico, ecologico, fitosanitario, agrono-mico e paesaggistico e competenzeteorico-pratiche di carattere proget-tuale, economico, gestionale ed orga-nizzativo rende il tecnico capace dioperare interventi - alla scala puntua-le e di paesaggio - di analisi, pianifica-zione, progettazione, riqualificazione,restauro, realizzazione, valutazione egestione di parchi e giardini, arredoverde pubblico e privato, aree verdistradali e autostradali e delle infra-strutture in genere, campi sportivi e dagolf, verde residenziale, inerbimentitecnici, aree di interesse naturalisticoed ambientale edotazioni ecologico-ambientali.

PPrreessiiddeennttee ddeell ccoorrssoo ddii llaauurreeaaProf.ssa Patrizia Tassinari

Maggiori informazioni sul corso sonodisponibili all’indirizzo:www.unibo.it/verdepaesaggio.

Olivieri (ed.), Regione Umbria. Vulnerabilità urbana eprevenzione urbanistica degli effetti del sisma: il casodi Nocera Umbra, Urbanistica Quaderni, n.44, INUEdizioni, Roma, 2004; Regione Umbria, S.i.s.m.a.,Materiali di ricerca, marzo 2007.5. F. Nigro, Una visione territoriale per la riduzionedella vulnerabilità sismica: la Struttura territorialeminima, in M. Olivieri (ed.), Regione Umbria.Vulnerabilità urbana e prevenzione urbanistica deglieffetti del sisma: il caso di Nocera Umbra, op. cit,pp.170-187; F. Nigro, La prevenzione territoriale, inG. Nigro, F. Fazzio (ed.), Il territorio rinnovato. Unosguardo urbanistico sulla ricostruzione postsismica inUmbria, Quattroemme, Perugia, 2007, pp.129-131.6. Il concetto di “struttura urbana minima” si deve aV. Fabietti che ne dà una formulazione completa in V.Fabietti (ed.), Vulnerabilità urbanistica etrasformazioni dello spazio urbano, Alinea, Firenze,1999. Successivi approfondimenti sono in F. Fazzio,Struttura urbana minima e valutazione divulnerabilità urbana nella costruzione del piano, inM. Olivieri (ed.), Regione Umbria. Vulnerabilitàurbana e prevenzione urbanistica degli effetti delsisma: il caso di Nocera Umbra, op. cit, pp.151-152 ein F. Fazzio, La prevenzione urbana, in G. Nigro, F.Fazzio (ed.), Il territorio rinnovato, op. cit, pp.131-132.7. Sono in corso di preparazione le linee guidarelative al tema della struttura urbana minima e dellariduzione del rischio sismico all’interno del processodi pianificazione urbanistica definito dalla L.R.11/2005.

città e del territorio, facendo uso dellepossibilità offerte in materia dicompensazione di oneri imposti aiproprietari, in questo caso ai fini dellaprevenzione, dall’art.30 della stessalegge.Al momento la Lr 11/2005 è in fase diprima applicazione da parte di alcuniComuni che hanno da poco avviato laformazione dei nuovi strumenti dipianificazione; perciò non si disponeancora di esperienze e verifichecompiute del dettato normativo inmerito alla individuazione dellastruttura urbana minima e alla suamessa in sicurezza. D’altra partel’insieme delle iniziative di studio ericerca messe in campo, delleindicazioni del Put e del Ptcp diPerugia, delle leggi regionali e degliatti regolamentari emanati nel corsodel tempo e futuri7, consentono diritenere che siano state poste dellesolide basi per rendere, nel tempo esenza ricorrere a energie e risorse fuoridell’ordinario, il territorio umbrocapace di resistere e riprendersiimmediatamente da scongiurati futurieventi calamitosi. Ciò anche conl’ambizione di aver portato uncontributo esportabile al di fuori deiconfini regionali.

*Dottore di ricerca, Sapienza Università di Roma.

Note1. Per una raccolta sistematica di tutti gli attilegislativi, normativi e regolamentari emanati per laricostruzione consultare il sitowww.protezionecivile.regione.umbria.it/canale.asp?id=4. Il bilancio complessivo sulla ricostruzione è lapubblicazione Regione Umbria, 1997-2007 Dieci annidal sisma. Oltre la ricostruzione: sviluppo einnovazione, Quattroemme, Perugia, 20072. G. Nigro Ricostruire (nel)la complessità in G.Nigro, F.S. Sartorio (ed.), Ricostruire la complessità. IPir e la ricostruzione in Umbria, Alinea, Firenze,2002, pp.13-28.3. Ci riferisce in particolare alla prima legge regionaleorganica in materia di prevenzione sismica delpatrimonio edilizio, la Lr 18/2002, e all’inserimentodel tema della vulnerabilità sismica urbana nellapianificazione urbanistica ordinaria operato dallanuova legge urbanistica Lr 11/2005.4. Ad esempio quanto stabilito all’art.20 della Lr30/1998 in merito a studi e ricerche da promuoverein materia di protezione civile e rischio sismico. Sulversante edilizio-urbanistico sono stati pubblicati periniziativa regionale i seguenti studi e ricerche:Regione Umbria, Manuale per la riabilitazione e laricostruzione postsismica degli edifici (a c. di F.Gurrieri), Edizioni DEI, Roma 1999; Regione Umbria,Comune di Città di Castello, La prevenzione -Pericolosità sismica locale nell’alta valle del Tevere –Studi di vulnerabilità e microzonazione – prospettive,Atti della Giornata di Studi, Città di Castello 2002; M.

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tanto intricato e promette di nonessere un argomento di breve periodo.Il primo gruppo di contributi èrelativo ad alcune esperienzeinternazionali di «densificazione» digrandi aree metropolitane che provanoa concentrarsi su stesse utilizzando glispazi abbandonati o usati male al lorointerno, dalle aree dismesse alleinfrastrutture in disuso. Spazi urbaninon utilizzati che vengono vististrategicamente come delle risorse dautilizzare per costruire nuovi parti dicittà dentro la città e non più comepunti di debolezza, e che possonoessere utilizzati per recuperare icittadini persi negli ultimi decennidalle grandi città a favore dei centrilimitrofi. A questo gruppoappartengono i contributi di BrunoMonardo sullo Schéma Directeur dellaRegione di Parigi - che si soffermainoltre sul concetto di dimensione“liquida” e su quello di mixité;l’esperienza di densificazione nelterritorio di Plaine Commune,comunità di agglomerazione a nord diParigi, proposta da Alessia Sannolo;fino alle recenti esperienze didensificazione che caratterizzano gliultimi piani di Londra e New York,descritti da Francesco DomenicoMoccia.Densificare la città già costruita,quindi, per ridurre al minimol’estensione ulteriore di un’ areametropolitana alle limitrofe zonerurali ma anche valorizzare —salvandole dall’asfalto e dal cemento— le aree permeabili che formano larete ecologica rappresenta la base di

Densità e densificazione

Come accade per ogni slogan allamoda, contemporaneamente simoltiplicano le ambiguità o, a voleressere buoni, la polisemanticità deltermine, il quale diventa una grandecasa comune per un insieme, perfinocontraddittorio, di aspirazioni,obiettivi, utopie, tecnologie. Messocosì all’incrocio di tante esigenze,deve rappresentare quella sintesi chesi opera nella scelta urbanistica enell’unitarietà della forma delterritorio, alla confluenza dei piùdisparati obiettivi come la soluzionepreferibile. Ma resta, comunqueancora sensibile alle situazionispecifiche ed, ancora di più allepreferenza culturali e poetiche. Non siconfigura come un modello urbano,una idea di città, un sistemainsediativo ben definito, quantopiuttosto come una serie di ipotesipossibili da sperimentare e testare perverificarne la validità. Vi si può, al contrario, pensare come apolitiche o processi da mettere in attosulle città esistenti per indirizzane ilcambiamento, in fondo, marginale,con i risultati più diversi purché siottenga un miglioramento dellasostenibilità. C’è chi sostiene chequesta strategia incrementale sia poiquella che renda meglio in termini dirisparmio energetico perché coinvolgetutto il patrimonio edilizio urbanisticoe diffida dell’efficacia non soloimmediata delle grandi utopie diradicale trasformazione della città.Questo servizio inizia solamente apresentare qualche informazione conbrevi commenti su un campo che è

Gli anni ’80 e ’90 hanno visto nelladispersione la predominante tendenzaurbanistica e si sono svoltiall’insegna della campagnaurbanizzata, della città diffusa ed,alla fine, con le preoccupazionidell’esplosione urbana. La progressivaaffermazione della densificazione,allora è il segno di un cambiamentodi fase del processo di urbanizzazioneche vede il ritorno dell’attrazionedelle grandi metropoli globali, dellaconcentrazione delle attivitàeconomiche avanzate, del successodella vita urbana con la sua intensitàdi relazioni e sviluppo culturale. Lecittà compatte scoprono di essereanche più sostenibili, evitarel’urbanizzazione delle aree agricole,allontanare le antropizzazioni dalleresidue aree naturali, essere in gradodi risparmiare energia in un tempo incui avanza la coscienza da una partedel superamento del picco deicarburanti fossili (con i relativiaumenti di prezzi) e dall’altro deicambiamenti climatici provocati daglieffetti serra. Su questi fronti sono legrandi città che si mettono alla testadelle politiche ambientali,confermando la scelta della cittàcompatta, avviando strategieenergetiche ed ecologiche difrontiera.

Densità e densificazione

a cura di Francesco Domenico Moccia* e Emanuela Coppola**

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costruito una proposta didensificazione abitativa progressivache si è andata formando attorno allasomma di diversi progetti sviluppatinell’arco di venti anni sostenendoprocessi di densificazione spontaneimolto diffusi.

*Docente di Urbanistica, “Federico II” Università diNapoli, DIPUU.** Coordinatrice redazione Inu Campania.

di interpretazione e costruzione distrategie per un riequilibro energeticodella città applicabili in chiave dipianificazione energetica.Segue un gruppo di contributi suesperienze di densificazione territorialein ambito provinciale. Immacolata Apreda propone il casodel PTC della provincia di Napoli dovela densificazione è vista all’internodella strategia di riassetto policentricoed in cui l’emergenza ambientaledell’impatto antropico e del caricodemografico eccessivo rispetto alterritorio cittadino e provinciale diNapoli può essere superata con ilcoordinamento dei piani delle altreprovince campane. Mentre AlessandroVignozzi analizza il caso dellaprovincia di Grosseto indirizzata daoramai tre generazioni di piani di areavasta ad una evoluzione insediativaverso sempre più rigorosi criteri diconcentrazione spaziale e risparmio disuolo. Segue l’esperienza di densificazionecomunale di Eboli descritta da RobertoGerundo e Michele Grimaldi attraversoanche la proposizione metodologica diuno studio relativo alla misurazionedella densità per la caratterizzazionedell’espansione urbana. Un ultimo gruppo guardaall’innovatività di alcune esperienze dioltreoceano sulla densificazione.Claudia Trillo nell’ambito del suocontributo sul controllo delle densitàcome alleato nella lotta alcambiamento climatico:problematicità, sfide, analizza il casodella California che si è collocata inprima linea nella lotta alle emissionidi gas serra attraverso interventi nelcampo della pianificazione relativi alcontrollo delle densità dove di recente,inoltre, sta acquistando sempremaggior favore un approccio fondatosugli incentivi volti a sollecitare gliinvestitori privati ad intervenire perincrementare le densità nei punti dimassima accessibilità della reteregionale di trasporto su ferro.Anna Licia Giacopelli propone unariflessione sullo sprawl informale e suiprocessi di densificazione negliinsediamenti informali di LimaMetropolitana portati avanti dalPrograma Urbano di Desco che ha

nuovo modello di sviluppo urbano esociale che sta caratterizzando lerecenti scelte delle grandi metropoli.Palesi sono gli effetti sull’ambienteche questa prospettiva didensificazione genera; primo fra tuttila riduzione dell’inquinamento causatodall’ingresso-uscita quotidiano dimigliaia di automobili e da un numerocrescente di pendolari che trovasempre più conveniente abitare nellepiù economiche zone limitrofe allegrandi città per l’inaccesibilità dei fittie degli acquisti degli appartamenti.Il secondo gruppo di contributi,difatti, analizza soluzioni sostenibililegate al tema della densità. Apre ilgruppo di contributi la riflessione diPaolo Castelnovi sul concetto di formaurbana densa e continua, che faemergere anche questioni centralicome il cosiddetto “effetto città” el’innovativa pratica di densificazionenelle aree delle stazioni esistenti e diprogetto denominata TOD TransitOriented Development.Segueno un gruppo omogeneo dicontributi che segnala la validità dipratiche tecnologiche che rafforzanole esperienze di densificazione. MarioLosasso analizza la relazione fradensificazione e sostenibilità da piùparti richiamata sul piano dellarisoluzione di numerose problematicheurbane, dallo spreco di risorseterritoriali alla congestione dellamobilità, dall’impatto sul paesaggioalla sicurezza urbana. Segue il saggiodi Alessandro Sgobbo, “Densità edenergia”, che partendo dallacostatazione che il tema del risparmioenergetico e del soddisfacimento,mediante fonti alternative, rinnovabilied ecocompatibili del fabbisognoenergetico, ha acquisito, nell’ultimodecennio, una posizione di assolutacentralità nella progettazione degliinterventi edilizi mentre invece inambito urbanistico tale tema è statosino ad oggi oggetto di scarsaattenzione, segnale le grandipossibilità che offre l’utilizzo deisistemi di teleriscaldamento, inparticolare del tipo da cogenerazione,applicato alle esperienze didensificazione. In fine, GaetanoSaullo propone una riflessione sultema della densificazione come chiave

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opportunità di trasformare i punti difluidificazione di traiettorie molecolaria diverse velocità in un sistemacoordinato e coeso di nuovi luoghiattrattivi e rappresentativi dellecomunità urbane. I nodi coagulandosiin polarità polifunzionali complesse e“superluoghi” deputati all’incontro,scambio, interazione, nuovarappresentatività simbolica incompetizione con la città storica,rivelano la così detta “densità direlazione”, una valenza che pone inprimo piano la “quarta dimensione”dello spazio urbano (il fattore tempo)con rilevanti implicazioni in grado diincidere in profondità sulle lineestrategiche di governo della città.Il “nuovo orizzonte” dellapianificazione urbanistica, comeevidenziato di recente in un colloquiointernazionale organizzatocongiuntamente da OCSE, IAU IstitutoPianificazione Regione Ile de France eMETREX Rete delle aree metropolitaneeuropee, può disvelarsi nel saperleggere i fenomeni di trasformazionedella città in termini di “densità diflusso”, coagulazioni dinamiche pernodi e polarità a geometria variabileche superano le centralità statichedelle forme dell’urbano di tradizione,interagendo in modo dialettico conl’espace public dell’urbs consolidata.Sul tema della “città liquida” e dellenuove accezioni di densità inurbanistica appare di particolaresignificatività il caso del nuovissimoSchéma Directeur della Regione diParigi (SDRIF). Non a caso uno deisuoi principali ispiratori, Vincent

La dimensione della densità

una visione integrata e diacronica.Nella strumentazione urbanisticad’ultima generazione promossa dalleleggi regionali più innovativeemergono in modo conclamatoimperativi quali la necessità dirivisitare gli standard, l’introduzionediffusa della mixité, il disegnointegrato del sistema delle centralità edelle reti infrastrutturali, l’equilibrataripartizione modale degli spostamenti,tutti elementi che conducono allanecessità di riferirsi a nuovedeclinazioni del concetto di densità.Il ruolo della densità come strumentodi controllo e indirizzo della pressioneinsediativa si coniuga fortemente conquello di fondamentale veicolo dilettura rispetto alle nuove morfogenesiurbane e metropolitane. In non pochecircostanze poi, la densità divienel’asse di equilibrio attorno a cuiruotano da un lato la costruzione delleconvenienze pubblico-private, in gradodi consentire la realizzabilità dinumerosi programmi e, dall’altro, lasostenibilità degli interventi.In questo senso la densità, insieme adaltri indicatori “dinamici” come laconnettività e l’accessibilità, si rivelauna componente cruciale percomprendere e progettare in modo piùconvincente lo “spazio di relazione”. Ilnesso è con l’avanzamento di studi ericerche che hanno riportato al centrodell’attenzione “l’urbanistica delle reti”facendo della densità un sensore delladimensione cinematica della città.La sapiente regolazione dei flussi adiverse scale insediative e per modalitàdi spostamento mette in luce le

La fenomenologia evolutiva della cittàè avviata verso una dimensione“liquida”. Saper leggere e veicolare lacifra della “densità di flusso” puòaprire nuovi orizzonti allapianificazione urbanisticaIl concetto di densità trova ormaidiritto di cittadinanza nella“dimensione liquida” della città, unintrigante interprete dello spazio ageometria variabile attraversato dallafluidità delle traiettorie aritmiche eindecifrabili nel dominio dell’urbano.Da qualche tempo le “Scienze dellacittà e del territorio” stannoriscoprendo la densità secondo nuovecoordinate disciplinari, non limitandosia disegnare orizzonti predittivi basatisu una concezione “statica”dell’ontologia urbana, ma cercando direcepire la “cifra dinamica” della realtàinsediativa, una condizione che inveracriticità e contraddizioni della culturaurbana contemporanea.Sulla scia di quanto già insperimentazione a livellointernazionale, la questione delladensità guadagna posizioni nellagerarchia delle priorità anche in Italia,segnatamente come potenzialestrumento di controllo in piani eprogrammi protesi a dare concreterisposte al tema della sostenibilitàurbana e a questioni connesse comel’occupazione di suolo e le azioni dicontrasto allo sprawl. Tuttavia la“mappatura” e le modalità di gestionedel fenomeno spesso vengono trattaticon approcci piuttosto tradizionali, ovele intensità di attività e funzioni, dibase e specializzate, non sottendono

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Bruno Monardo*

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della densificazione che il nuovoSchema Direttore individua sarebberoinsostenibili, e non particolarmenteinnovativi, senza il sostegno dellanuova armatura infrastrutturale dellamobilità. L’offerta di una rete ditrasporto più strutturata e rivisitata inchiave di potenzialità di flusso delineainfatti un quadro di svolta nel progettospaziale regionale. Accrescere laconnettività e l’accessibilità significaperseguire una mission polisemica:riduzione degli squilibri socio-territoriali, impulso allo sviluppoeconomico, miglioramento dellaqualità morfologico-ambientale. Tuttoquesto con una “riconfigurazione” deldisegno di rete e della “densità diflusso” per facilitare gli spostamentianulari e, in generale, di tipotangenziale attraverso il trasportocollettivo in sede propria.“Arc Express”, una rocade su rotaia nelcuore dell’agglomerazione, costituiscela spina dorsale della rigenerazioneurbana: in gran parte in sotterranea,con tecnologie d’avanguardia (metro aguida automatica, senza conducente) lanuova infrastruttura soddisferà laconnettività delle centralità di sviluppostrategico di livello metropolitano,offrendo velocità commerciali efrequenze competitive conl’automobile. Il disegno “a grondeconcentriche” assicurerà una facileinterconnessione con le principalidirettrici radiali (RER e linee metroopportunamente prolungate). Ilcompletamento della “tela di ragno”sarà assicurato nelle corone più esterneda nuovi archi tangenziali di tramvia osu gomma in sede dedicata e dalmiglioramento delle performance delleRER.

* Docente di Urbanistica, “Sapienza” Università diRoma, DIPTU.

spazio rurale, lo Schéma prescrive diconcentrare nel raggio di unchilometro dai nodi-stazione il plafonddelle nuove attività insediabili (uncalibrato mix tra residenze, imprese,servizi e superfici commerciali), concriteri di densificazione che dovrannotener conto delle differenticonfigurazioni dei tessuti urbani. Ilpeso d’addensamento all’internodell’agglomerazione centrale è previstocon una ripartizione differenziale traipercentro e periferia. La capacitàd’intensificazione edilizia dei quartieridelle stazioni e dei settori piùaccessibili al trasporto collettivo surotaia viene fortemente enfatizzataintegrando l’habitat residenziale con leattività produttive non invasive,servizi, tempo libero e spazio delmovimento. Nel dominio rurale dellaregione urbana i ristretti interventi dinuova urbanizzazione si polarizzanosui villaggi esistenti ben serviti daltrasporto pubblico, limitando almassimo l’occupazione di suoloagricolo, aree naturali e zone boscateed evitando l’ulteriore crescita deglispostamenti su mezzo privato.Il ripensamento delle strategie diassetto degli usi del suolo e la filosofia

Fouchier, è da tempo riconosciutostudioso di fama internazionale sultema.Il progetto SDRIF invera il nuovotaglio interpretativo dello scenario ditrasformazione della conurbazioneproprio a partire dall’obiettivo dellacittà densa e compatta. I principilocalizzativi per le nuove attività dibase previste al 2030 (870.000 nucleifamiliari in 1,5 milioni di alloggi e700.000 posti di lavoro), riferendosialle retoriche della sostenibilità,mirano a limitare la dispersione efavorire un’urbanizzazione giudiziosanel trattamento delle risorse fondiarieancora disponibili. La densificazionerisponde ad un duplice obiettivo:ridurre il consumo di suolo (max.34.000 ha) e garantire al contempol’intensità d’uso degli spaziurbanizzati.Il nucleo centrale dell’agglomerazioneparigina, che raccoglie la maggiorparte delle polarità produttive ed è benservito dalle infrastrutture dellamobilità, dispone di un fortepotenziale di rinnovamento urbano, inparticolare in prossimità delle stazionidella rete ferroviaria. Allo scopo dinon riversare ulteriore pressione sullo

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prevedendo la rigenerazione dell’areaattraverso una nuova forte mixité fun-zionale, maggiore densità, nuove con-nessioni tra i quartieri, tra i comuni econ Parigi. Grandi trasformazioni inparticolare del territorio della PlaineSaint Denis, ma con importanti ricadutealla scala dell’agglomerazione, sono,inoltre, connesse alla realizzazione dellostadio di Francia, la cui realizzazione,avvenuta assieme alla copertura dell’au-tostrada A1 ed alla realizzazione dinuove importanti connessioni viarie, delponte sul canale Saint Denis e di unprimo isolato del nuovo quartiere attor-no allo stadio, continua a giocare unruolo di motore delle trasformazioni edella densificazione urbana in questosettore della banlieue nord parigina.La volontà di densificazione ed intensifi-cazione urbana, fortemente connotatada una elevata mixité funzionale, simanifesta alle varie scale, nei diversistrumenti della pianificazione, finoall’attuazione attraverso progetti urbanie strumenti operativi. Il territorio dellaPlaine Commune è, infatti, identificatocome area di densificazione-intensifica-zione urbanistica in diversi strumentiurbanistici a scala territoriale, lo Schémadirecteur de la région Île-de-France(SDRIF) e lo Schéma de CohérenceTerritoriale de Plaine Commune (SCoT).Gran parte del territorio della PlaineComune, in particolare l’area dellaPlaine Saint Denis, ed anche le areelimitrofe nel territorio comunale diParigi, sono, infatti, individuate nelnuovo Schéma directeur de la région Île-de-France (SDRIF) come “secteurs dedensification préférentielle”.

La densificazione nel territorio di Plaine Commune

zialità trasformative sono connesse pre-valentemente alle grandi risorse di terre-ni mutevoli. Se, infatti, la parte nord delterritorio della Plaine Commune presentauna netta prevalenza di habitat indivi-duale e collettivo, con vaste distese divillette e grands ensembles, il sud è statonel tempo fortemente interessato dallapresenza di grandi impianti per attivitàproduttive oggi in dismissione.Il territorio dell’agglomerazione, con unapopolazione di 340.000 abitanti, misura4.200 ha di cui il 20% mutevole a brevetermine. In particolare la Plaine SaintDenis è stata una delle più grandi zoneindustriali francesi tra gli anni 1930 e1960. La deindustrializzazione avvenutanegli anni ’60-’70 ha lasciato un territo-rio con forti criticità urbane, sociali edambientali, poco abitato, caratterizzatoda immensi isolati difficilmente attraver-sabili, con problemi di inquinamento deisuoli, dotato di poche attrezzature espazi verdi. A fronte della diminuzionedi popolazione e della scarsa attrattivitàdel territorio dopo la deindustrializzazio-ne, dal 1999 si riscontra una nuova ten-denza alla crescita della popolazioneconnessa alle grandi trasformazioniinnescate sul territorio. Già dagli anni’90, infatti, il territorio della PlaineCommune e sopratutto quello dellaPlaine Saint Denis sono stati interessatida grandi mutamenti portati avantiattraverso progetti urbani e Zonesd’Aménagement Concertée (ZAC). Il pro-getto urbano Hippodamos della PlaineSaint Denis del 1994, un grande docu-mento guida riattualizzato poi nel 1998,ha definito le linee dell’aménagement edell’evoluzione della Plaine fino al 2015,

Il territorio di Plaine Commune1 si confi-gura come un ampio repertorio di situa-zioni urbane differenti e come vero eproprio laboratorio di nuovi approcciprogettuali che stanno mirando a riqua-lificare l’intera agglomerazione.Il territorio, eterogeneo e complesso,presenta grandi risorse e forti elementidi criticità. In posizione strategica, anord di Parigi, in relazione al territoriodella Plaine de France e dell’interaregione dell’Île-de-France, ricco diimportanti risorse ambientali come laSenna e i parchi de La Courneuve e del-l’Île Saint Denis, caratterizzato da formeinsediative e spazi aperti diversificati,dai centri storici alle città giardino, aigrandi quartieri di edilizia moderna, èallo stesso tempo connotato da fortisquilibri territoriali e sociali da riparare,come un alto tasso di disoccupazione edun consistente parco alloggi da riqualifi-care. Definito nello Schéma deCohérence Territoriale de PlaineCommune (SCoT) “un territoire ‘de pas-sage’ au sens physique du terme” per lapresenza di numerose infrastrutture ditrasporto che servono e tagliano nellostesso tempo le diverse parti urbaneattraversate, il territorio della PlaineComune è, infatti, reso accessibile eseparato dal fascio ferroviario Paris-Nord, dall’autostrada A1, dal canaleSaint Denis, dal Boulevard Périphérique,dall’autostrada A86, etc. Caratteristiche fondamentali sono lavivacità e la reattività di questo territo-rio dalle grandi potenzialità trasformati-ve e di valorizzazione e definito ancoradallo SCoT “un territoire ‘effervescent’,en pleine mutation”. Le fortissime poten-

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Alessia Sannolo*

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trasporti collettivi e le aree vicine aicentri urbani o in prossimità di settoriche accolgono già forti densità. Il 60%delle costruzioni è, infatti, previsto inaree già urbanizzate.Nella carta dell’“intensificazione urbana”vengono fornite le regole per “densifica-re e rinnovare”. Vengono così individuatidei poli di intensificazione dello svilup-po attorno a nodi di servizio e di tra-sporti collettivi, linee di intensificazioneurbana lungo le linee tranviarie esistentie previste, quartieri che necessitano diuna maggiore mixité e diversificazionesociale e funzionale e da reintegrare conil tessuto urbano, zone in cui è consen-tito costruire edifici di grande altezzaetc. In particolare cinque sono i grandisettori di intensificazione urbana del ter-ritorio: il centro di Saint Denis; il nododi Pleyel e dello stadio di Francia; il set-tore Plaine-Aubervillers, in connessionecon Paris Nord-Est; un polo ad est tra icomuni di La Corneuve e Aubervilliers,in connessione con il cuore delDipartimento della Seine Saint Denis; ungrande polo lineare a nord, lungo laTangentielle. In particolare, alcune areecome il polo Pleyel-Stade de France edil sud della Plaine, lungo l’avenueWilson, fino al Boulevard Périphérique,in prossimità di Porte de la Chapelle,vengono individuati come settori apertialla costruzione di immobili di grandealtezza intesi come nuovi importantiriferimenti visivi e territoriali, da conce-pire in maniera integrata con il contestonell’ambito di progetti urbani. Estremamente innovativo è, all’internodi questi grandi poli, il modo di intende-re l’intensificazione urbana come praticadiversificata in relazione ai differenticontesti del territorio, attraverso la sceltadi densità e compattezze ‘adattate’ adogni luogo in maniera differente, ai ter-ritori dell’urbanizzazione diffusa, ai ter-ritori in divenire come zone industriali eterreni abbandonati, ai territori di réno-vation urbaine, ai poli multimodali e allelinee dei trasporti collettive, ai centristorici.

*Dottore di Ricerca. Università degli studi di Napoli“Federico II”.

Note1. La Plaine Commune, nata come comunità di comunialla fine del 1999, è divenuta comunità d’agglomerazio-ne di comuni nel 2001.

Commune come centro sempre più strut-turante della regione parigina ed in rela-zione ad alcuni obiettivi territorialigenerali, come la valorizzazione dellegrandi risorse di interesse paesaggistico,il riequilibrio sociale e funzionale delterritorio, l’introduzione di mixité ediversificazione di popolazione, alloggi,attività, la qualità urbana del territorioin termini di condizioni soddisfacenti diabitabilità e di dotazione di attrezzaturee spazi pubblici, si propone un’intensacrescita di popolazione, di residenze edin termini di nuova edificazione ingenerale. Lo SCoT prevede, infatti, unaforte densificazione urbana, indubbia-mente in termini di aumento abitanti edalloggi, con l’obiettivo di raggiungere50.000 abitanti in più al 2020, e dicostruire 2.000 nuovi alloggi all’anno,ma intesa come densificazione mista edintegrata, prevedendo in generale l’ap-plicazione della regola dei 4/4, ovvero di1/4 di residenze, 1/4 di attività produtti-ve, 1/4 di attrezzature e servizi e 1/4 dispazi verdi e pubblici.In linea con lo SDRIF, infatti, lo SCoT fariferimento ad un concetto di densifica-zione allargato, proponendo l’aumentodell’intensità urbana nel territorio. Ilconcetto di intensità urbana è un con-cetto complesso che comprende quellodi densità. L’aumento di intensità urbanaintegra, infatti, l’idea dell’aumento delledensità (con l’incremento delle altezzedegli edifici, la continuità e compattezzadei fronti strada etc.) con i concetti diprossimità (di commerci, servizi quoti-diani, spazi ricreativi, giardini, areegioco per bambini etc.), di mobilità(ovvero di aumento di facilità e sicurez-za degli spostamenti alle varie scale, dalquartiere al territorio), di mixité sociale efunzionale, di partage (ovvero di condi-visione degli spazi pubblici dove inte-grare tutti i modi di spostamento), didiversità (di funzioni, servizi, alloggi), divitalità (dei luoghi di vita).L’intensificazione urbana viene concepi-ta in stretta connessione al progetto ter-ritoriale di grande intensificazione dellereti infrastrutturali dei trasporti colletti-vi. Luoghi privilegiati dello sviluppo di den-sità ed intensità urbana sono infatti: learee attorno alle linee di trasporti collet-tivi esistenti o in progetto, quelle attornoalle stazioni e ai poli di scambio tra i

Lo SDRIF propone una strategia di fortedensificazione-intensificazione urbanain stretta relazione alle esigenze ricono-sciute di salvaguardia degli spazi apertie ad una sempre più sentita attenzionealle problematiche energetiche e climati-che. In relazione ai grandi obiettivi diprotezione dell’ambiente e di riduzionedei consumi energetici, infatti, lo SDRIFsottolinea l’esigenza di fare economia dispazio ed energia dominando la disper-sione urbana e promuovendo una cittàpiù compatta e più densa. Il progetto spaziale regionale si appog-gia su un’agglomerazione centrale com-patta, soprattutto al cuore, con un insie-me di poli autonomi esterni all’agglome-razione che strutturano una rete territo-riale, lasciando l’85% dei territori nonurbanizzati in risposta alla necessità dipreservare il forte e ricco sistema regio-nale di spazi agricoli e aperti in genera-le. La densificazione, strettamente con-nessa alle reti di trasporti collettivi esi-stenti e da rinforzare, è pensata sicura-mente come densificazione in termini dialloggi, con l’obiettivo di 1,5 milioni dinuovi alloggi nel 2030, 1/4 del parcoattuale, realizzando 60.000 alloggi peranno. Se quindi la dimensione residen-ziale è preponderante, non è comunqueconcepita come esaustiva. La densifica-zione è, infatti, intesa come densificazio-ne innovativa e complessa, connotata dauna grande mixité funzionale e legata,oltre che al nuovo consistente volume dialloggi diversificati ed in gran partesociali, ad una dotazione di servizi diqualità e ad un sistema di nuove centra-lità. Lo SDRIF prevede una densificazio-ne soprattutto nei territori della prima edella seconda corona parigina, con den-sità attuali medio-alte, ed un grandepotenziale di densificazione in relazionealla elevata presenza di terreni mutevolie ad un buon livello di accessibilità.In quest’ottica la Plaine Saint Denis èindividuata come uno dei poli strategicistrutturanti per lo sviluppo regionale ecome grande settore di importanzametropolitana da riconquistare, in rela-zione al suo già alto grado di accessibi-lità attraverso le reti di trasporti colletti-vi, alla sua forte potenzialità di mutabi-lità con la possibilità di costruire anchecon forti densità. Lo SCoT, nel quadro del grande obietti-vo di rinforzare il territorio di Plaine

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con l’attenzione ai fattori ambientali. Iltutto ne incrementa la frequentazione eli rende più sicuri. Non bisogna neppurepensare che queste positive relazioni sisviluppano spontaneamente ed inassenza di una progettazione attenta aciascuno degli aspetti come anche acurare esplicitamente le relazioni tra diloro.L’aspetto più critico è stata la campagnadi Livingstone a favore degli edifici alti,sebbene il piano avesse elencato unaserie di precauzioni che bisognava tenerpresente nella loro localizzazione earmonizzazione con il contesto,trattando in particolare gli aspettipaesaggistici. L’inserimento nello skylinedi Londra e il rapporto con la cityfurono oggetto di aspre polemiche apartire dal grattacielo di Canary Warf.Al contrario, tra gli aspetti piùinnovativi e coraggiosi del piano vasottolineata quel ribaltamento dell’indicedi densità, proposto come soglia minimae delle superfici a parcheggio, alcontrario, prescritte come massimi infunzione del livello di accessibilitàdell’area con il trasporto pubblico (v.Tab. n. 1).La proposta di “città compatta” è lasoluzione urbanistica sostenibile e,perciò, deve includere i seguentiprincipi:- riutilizzare il suolo urbanizzato e gliedifici dimessi;- conservare l’energia, i materiali,l’acqua e le altre risorse;- assicurare che la progettazione facciaricorso al massimo a sistemi naturali siaall’interno che all’intorno degli edifici;- ridurre l’impatto del rumore,

Densificazione nei piani di Londra e New York

ottenuta dalla sostituzione dell’ediliziadi bassa qualità e del miglioramento delsistema dei trasporti con la maggioreconvenienza del passaggio alla modalitàcollettiva. La concentrazione dei nuoviinterventi nella zona orientale si spiegaperché quello è il tradizionale quartiereoperaio e popolare. In aree di taleprevalenza sociale saranno localizzatianche gli impianti per le Olimpiadi. Il piano prevede, andando più neldettaglio, delle linee guida per laprogettazione della “città compatta”,articolate secondo i seguenti punti:- massimizzare il potenziale dei siti;- creare o potenziare la sfera pubblica;- creare o potenziare gli usi misti;- essere accessibile, usabile e permeabileper tutti gli utenti;- essere sostenibile, durevole edadattabile;- essere sicura per gli occupanti e per ipassanti;- rispettare il contesto locale, il caratteree la comunità;- essere pratica e leggibile;- essere attraente alla vista e, quandoappropriato, ispirare, eccitare edeliziare;- rispettare l’ambiente naturale;- rispettare il patrimonio storico diLondra.

I progetti urbanistici di densificazionedebbono attuare la completa lista deirequisiti i quali sono in gran parte traloro compatibili e talvolta addiritturasinergici. Infatti gli spazi pubblici siavvantaggiano della presenza di usidiversi come la loro estetica miglioracon la varietà tipologica e la vivibilità

Il piano di Londra del febbraio del 2004è il documento che ha lanciato ladensificazione come strategia prioritariaurbana per il soddisfacimento delfabbisogno abitativo secondo un sistemasostenibile. Segnali di insoddisfazioneper le basse densità sul modello dellacittà giardino o dei sobborghi pubblici eprivati maturavano già da tempo e sierano concretizzate nella revisionemorfologica di “monumenti”dell’urbanistica contemporanea comeValligby o Amsterdam Zuid, senza peròdiventare il principio di orientamentodella pianificazione dell’intera areametropolitana. L’argomentazione afavore di questa scelta richiama delleragioni che sono ormai passate nellecostanti a cui ci si rivolge quando siintende sostenere la densificazione: lapossibilità di aumentare l’offertaabitativa senza consumo di suolo e conl’intreccio degli usi che minimizzano glispostamenti o rendono il trasportopubblico competitivo perl’addensamento degli utenticorrispondenti alla maggiore capacitàspecialmente delle modalità su ferro.Con il protocollo di Kyoto, questidispositivi che si prestano alla riduzionedell’emissione dei gas serra, diventanoun importante strumento per perseguirei suoi obiettivi.Per questo motivo il primo obiettivo è dicontenere la crescita di Londraall’interno dei suoi confini senzainvadere gli spazi aperti. Laconseguenza di questa scelta è quella diaumentare la densità edilizia delle areeedificate per migliorare. Ciò prevedel’effetto di una migliore qualità urbana

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Francesco Domenico Moccia*

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trasporto;3. costruire al di sopra di areeferroviarie, linee ferroviarie edautostrade;Ampliare programmi di accesso allacasa finalizzati1. sviluppare nuove strategie finanziarie;2. ampliare la zonizzazione “inclusiva”;3. incoraggiare l’accesso alla proprietà;4. proteggere il patrimonio di caseeconomiche esistenti per tutta la città dinew yorkSu queste linee di intervento esistonogià progetti in corso come quelli pertrasformare circa 300 acri di areeferroviarie, autofficine, e parcheggi nellazona centrale di Manhattan conosciutacome Hudson Yards in un distretto aduso misto commerciale, residenziale ericettivo.La scelta di assegnare una nettapreferenza al trasporto pubblico agiscesui due fronti: da un lato rendere l’usodell’auto sempre più difficoltoso edall’altro, elevare le densità edificatorielungo le linee del trasporto pubblico. In un accordo tra l’ente comunale per leabitazioni popolari e quello per lagestione dei parcheggi è risultatopossibile prevedere la possibilità direalizzare 6.000 nuovi appartamenti abasso costo entro il 2013 utilizzando glispazi aperti destinati a parcheggio,modificando il piano d’uso del suolo perconsentire anche l’uso residenziale.L’abbassamento dei costi avviene invirtù della proprietà pubblica del suolo.Un altro sistema per l’uso intensivo deisuoli pubblici è quello della co-localizzazione, consistente nell’aggiuntadi abitazioni e servizi alle aree occupateda attrezzature pubbliche come scuole,biblioteche, ospedali. E’ una propostapiù originale di quella della copertura,con abitazioni, o meglio con pezzi dicittà delle aree delle infrastrutture ditrasporto – dove Parigi ha impiegatomolti progetti urbani recenti – o quelladella zonizzazione inclusiva, consistentenella cessione di quote social housing afronte di premialità urbanistiche nelleiniziative private, che da noi si staprogressivamente diffondendo.

*Docente di Urbanistica, “Federico II” Università diNapoli, DIPUU.

anni, di case per un milione di personesempre attraverso processi didensificazione. E’ un programma chedeve assicurare la messa a disposizionedi case a basso costo, più sostenibili edassicurare che ciascun cittadino nonabiti ad una distanza maggiore di 10minuti da un parco.

Il piano per le abitazioni si prefigge di:Continuare cambiamenti di zonizzazionedi iniziativa pubblica;1. orientare le costruzioni verso i nodidel sistema di trasporto pubblico;2. utilizzare aree costiere dimesse;3. aumentare le opportunità del sistemadi trasporto pubblico per sostenere lacrescita;Creare nuove abitazioni su suolipubblici;1. aumentare la scelta delle co-localizzazioni in collaborazione con leagenzie governative;2. adattare edifici superati con cambiodelle destinazioni d’uso;Esplorare ulteriori aree d’opportunità1. urbanizzare aree sottoutilizzate perricompattare i quartieri;2. catturare il potenziale degliinvestimenti in infrastrutture di

dell’inquinamento, delle esondazioni edegli effetti microclimatici;- assicurare trasformazioni urbaniconfortevoli e sicure per gli utenti;- conservare e migliorare l’ambientenaturale, particolarmente in relazionealla biodiversità;- promuovere comportamenti sostenibiliper la gestione dei rifiuti nelle zonevecchie e nuove della città, incluso ilsupporto per sistemi integrati di riciclolocale…

Secondo l’ultimo rapporto del WorldWatch Institute, le città di Londra e NewYork hanno avviato politiche contro ilriscaldamento globale superiori a quelledi qualsiasi stato. Tra queste vaconsiderato il piano A Greener, GreaterNew York del 22 aprile 2007. A un taledocumento si arriva dopo circa un annodi consultazioni durante le quali èemerso un concetto chiave:la forza dellacittà è nella concentrazione, efficienza,densità, diversità; nella sua gente, masoprattutto in un senso ininterrotto dipossibilità. Tra i maggiori problemiaffrontati è la domanda di alloggi e glielevati costi delle abitazioni per i qualila scelta consiste nella produzione, in 25

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periurbana, per catalizzare periferie giàinsediate ma oggi ad alta dispersione.Intorno alle stazioni si prevedononuclei densi di edifici e di spazipubblici, comportando, comecompensazione a larga scala, il bloccodella dispersione insediativa e laqualificazione delle aree libere residueper attività agricole o servizi noncostruiti. Così il planning didensificazione connesso al trasportopubblico, risulta una delle pochestrategie attive per fermare laproliferazione insediativa nelle areerurali, incontenibile dove non ci sonoalternative alla mobilità privata. Invece la proposta delle new townsdeforma il disegno del trasportopubblico sul territorio portando lelinee a nuovi nodi, indipendentementedal servizio al territorio circostante. Laqualità del nuovo intervento èperseguita senza prendersi carico deldisagio del territorio metropolitanoall’intorno. Con le new towns non siriducono le condizioni attuali dicongestione da traffico, ma semmai diaumentano di poco, se tutto funzionaalla perfezione, producendo nuoviinsediamenti con aspetti di qualitàinterni, incapsulati come una serra inun contesto il cui clima socialedegrada progressivamente.In particolare i TOD a differenza dellenew towns prevedono connessioni,filamenti di città che si protendono dalnodo servito nel territorio, generandouna rete estesa e pervasiva che innervala periferia a bassa densità con assi dieffetto urbano. Infatti i modellianglosassoni, che si applicano a

La forma urbana è densa e continuaPaolo Castelnovi*

sono almeno 3/4000 tra abitanti eutilizzatori sistematici, a Modena lo“standard serendipity” richiede luoghicentrali con una densità territorialesuperiore a 120 abitanti/ettaro,corrispondente ad almeno 2,5 mc/mq(al netto delle parti commerciali): cioèedifici di 4/5 piani. Ovviamente non sono solo quantitativele condizioni per cui oggi si puòsperare che i marciapiedi di un luogocentrale tornino ad essere frequentati eluogo di incontro. Serve anche laformazione di fronti urbani continui evariati, un adeguato mix di commercioe di servizi al piano terreno esoprattutto una concentrazione diflussi pedonali che solo un adeguatotrasporto pubblico può fornire. Anzi, èa partire dalla riorganizzazione dellamobilità urbana che in tutti i sistemiurbani occidentali si individuano inuovi fulcri di flussi pedonali, inrelazione alle fermate del trasportopubblico su rotaia: intorno ad esse siprogrammano i nuovi centri di servizie i nuclei di città densa che dovrannoaggregare i cittadini della cittàdispersa circostante. È il modello delTransit oriented development (TOD), acui fanno riferimento le più importantistrategie di qualificazione delleperiferie di tradizione anglosassone,integrando sistematicamente i pianiterritoriali e quelli per la mobilità. Va evidenziata la differenza sostanzialetra le strategie di TOD e quelle dellenew towns. Le prime intervengono sulla base di undisegno sistemico del trasportopubblico esteso all’area urbana e

L’immagine archetipica della città èuna piazza o una strada, animata digente e circondata da case: uno spaziopubblico ricavato come un vuoto “atogliere” nella massa del costruito. Sitratta di un’immagine fisica, unpaesaggio che corrisponde ad unastruttura fondamentale delcomportamento sociale: l’effetto città,che i sociologi riconoscononell’accumulo di occasioni diserendipità, e che è possibile solo inpresenza di molte persone che sitrovano in uno stesso luogo conintenzioni e attività diverse e nonpreordinate.Insomma le piazze e le strade devonoessere popolate e indisciplinate e ciò siverifica solo se intorno, in un contestoprevalentemente pedonale, ci sono leabitazioni, i commerci, le attrezzature:un mix che genera percorsi eattrazioni diversi e integrati dallaprossimità e dalla possibilità diincontri e stazionamenti casuali.Quindi il costruito intorno allo spaziopubblico urbano è necessariamentedenso, perchè deve ospitare i numerosifruitori della piazza.Si è provato a calcolare la densitànecessaria a tener vivi gli spazipubblici per una città come Modena,in cui ogni abitante occupa quasi 50mq. di casa. Si è pensato che icittadini siano disposti a percorrere apiedi sino a 250 metri, come si erafatto nel 1975 per calcolare glistandard scolastici: un luogo centraleogni 20 ettari di città costruita.Verificato che la piazza o la mainstreet si possono animare se intorno ci

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ostacolo alla intervisibilità,- la sostenibilità economica e

dell’immagine complessiva, attraversoun design che assicuri durabilità, facilipulizie e manutenzione degli arredi,basso costo della gestione del verde edei servizi (ad es. di smaltimentorifiuti), flessibilità nel riuso diattrezzature e dei servizi a direttocontatto con il pubblico, riducendo leparti chiuse o malfunzionanti perobsolescenza.Per avviare questi processi diqualificazione urbana, storicamenteavversati a favore della più banale eirresponsabile espansione, sonoassolutamente indispensabili alcunistrumenti di governance in Italiapromossi da tutte le amministrazioniimpegnate nella gestione territorialema ancora troppo poco praticati:- un coordinamento degli interventi a

dimensione d’area vasta, con masterplan flessibili ma in grado di assestarebilanci territoriali di lunga durata,ottenibili solo con l’utilizzo sistematicodi strumenti di perequazioneterritoriale ed urbana;- avviare grandi processi di rinnovo

urbano rivolti allo spazio pubblico coniniziative miste e operatori integratiche consentano di convogliare gliinvestimenti su poche grandiiniziative, assicurando un buonostandard di qualità complessiva per ilfunzionamento, la connettività el’immagine degli spazi e dei servizipubblici, prima della realizzazione deinuovi interventi privati.

*Politecnico di Torino, Dipartimento di ProgettazioneArchitettonica e Disegno Industriale.

dimensioni adatte ai flussi e allostazionamento pedonale: piazzeraccolte; strade facili da attraversare;fronti continui ma con formazione difrequenti slarghi e punti di sosta sullamain street, con traverse ad intervallinon superiori a 100/150 metri;c) dotare i centri di un mix funzionaleche li renda meta di flussi pedonali atutte le ore, con fattori dipolarizzazione di rilevanza sovralocale,non solo in relazione al nodotrasportistico; lungo le radiali generare“active streets”, assicurando continuitàtra gli spazi e un assetto che rendasubalterna la presenza delle auto (ades. viali, o ramblas, o comunquegrandi marciapiedi con fronticommerciali e spazi di parcheggio soloper la sosta breve);d) utilizzare i nuovi interventi perdistinguere ciascun quartieresegnalando i fattori di identitàcaratterizzanti (in particolare nelcentro), anche attraverso ilpotenziamento dei landmarks giàdisponibili per storia o morfologianaturale: sfondi panoramici, fattorigeomorfologici specifici, monumenti espazi pubblici riconosciuti;e) assicurare un buon confortambientale ai nuovi interventisoprattutto considerando gli aspettimicroclimatici dello spazio pubblico, inmodo da avere spazi piacevoli dapercorrere e di stazionamento nellediverse stagioni (luoghiequilibratamente soleggiati eombreggiati, percorsi coperti, assettiche assicurino un’adeguataventilazione – o viceversa unaprotezione dai venti) con un ruoloimportante assegnato al verde diffusoe ai parchi urbani, da considerareluoghi centrali a tutti gli effetti;f) adottare sistematicamente criteri diqualificazione dello spazio pubblico inordine ad aspetti gestionali sinoratrascurati ma che risultanofondamentali nell’immagine enell’identità locale:- il senso di sicurezza, attraverso un

design che riduca gli spazi pocovisibili dalle abitazioni, i tratti deipercorsi ciclopedonali non presidiati opoco illuminati di sera, i grandi spazivuoti e monofunzionali (parcheggi,piazze), le recinzioni opache e ogni

rimediare i disagi della mobilità nellacittà a bassa densità esistente, nonmirano ad ottenere un effetto “cittàdensa” compattamente esteso per 700ettari intorno ad ogni nodo, ma agenerare un nucleo forte conramificazioni di main street ad altadensità. I “tentacoli urbani” siestendono sino a 6/700 metri dalnucleo denso, arrivando a 1500 m. seci si affida ad una rete sicura diciclabili. Il resto è lasciato alla bassadensità, ottenendo comunque unadensità complessiva non inferiore a 60abitanti per ettaro. Le strade urbaneservono a condurre al nodo gli abitantidella città a bassa densità, in modopiacevole, a piedi o in bici, motivandoil trasporto pubblico alternativoall’auto anche per chi abita in unquartiere a bassa densità, con lamiglior sintesi possibile tra residenzaunifamiliare e vita urbana in contestodenso.L’ideogramma della forma urbanadensa in questo caso si rappresentacon una figura composta: il nocciolodella piazza si prolunga con stradeprevalentemente ciclabili e pedonali,con sistemazione a viale o con fronticommerciali. Con uno schema graficosi verifica che 6000 metri di questipercorsi, qualificabili come urbani eposti a raggiera a partire da un nodo,bastano ad innervare oltre 200 ettari diinsediamento a bassa densità. Così12.000 abitanti si trovano mediamentea meno di 100 metri da una mainstreet e con un percorso medio perarrivare al nucleo inferiore a 500metri.Sulla base di questi input strutturali sipossono delineare i requisitimorfologici del paesaggio urbano chedeve risultare dagli interventi didensificazione nelle periferie, ottenibiliapplicando i seguenti criteriprogettuali:a) accentrare i complessi edificati piùalti intorno al nodo, caratterizzandocosì lo skyline del centro e rendendoloriconoscibile anche a distanza; suipercorsi urbani radiali, a partire dalnodo, la densità si raggiunge invecepiù con la continuità dei fronti checon l’altezza degli edifici (comunqueda comprendere tra 4 e 5 piani);b) assegnare allo spazio pubblico

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costruzioni più efficienti, con unridotto consumo di risorse e una lorobassa intensità in termini di improntaecologica. Altrimenti risultaecologicamente più appropriatal’azione di recupero e manutenzionedegli edifici esistenti. L’eco-efficienzadegli interventi si configura come unconcetto cruciale, valutabile tramiteprocedure LCA del ciclo di vita e degliimpatti di prodotti, edifici e tecnologie.Secondo il WBCSD (World BusinessCouncil for Sustainable Development),l’eco-efficienza persegue la riduzionedell’impatto ecologico e l’incidenza diprelievo di risorse naturali al fine diottenere un livello compatibile con lacapacità di carico ambientale. Al finedi individuare strategie qualificantidegli interventi, essa andrebbeperseguita con azioni quali larivalutazione di pratiche e valorilocalmente condivisi, la promozionedella dimensione locale in termini diproduzione e di bisogni, la riduzionedell’uso di risorse, il riciclaggio e ilrecupero di edifici e spazi.Se si collegano i parametriprecedentemente richiamati con lamaggiore densità residenziale piuttostoche con uno sviluppo urbano diffuso ea bassa densità, la densificazione puòessere sostenibile definendo modalità edimensioni conformi. La città compattadella tradizione costruttiva europea haancora modelli di riferimento daoffrire, ciò che è degradato può essererecuperato e integrato piuttosto chedemolito e ricostruito, le tecnologie peril rendimento energetico consentonouna drastica riduzione dei consumi

Città “densa” e sostenibilità edilizia

La relazione fra densificazione esostenibilità è da più parti richiamatasul piano della risoluzione di numeroseproblematiche urbane, dallo spreco dirisorse territoriali alla congestionedella mobilità, dall’impatto sulpaesaggio alla sicurezza urbana,proponendo quindi insediamenti ediliziin condizioni urbane giàinfrastrutturate, con forme compatte,occupazione di spazi marginali, ecc.Tuttavia, l’uso di due concetti“plastici” richiede che essi sianoprecisati sul piano di un loroapprofondimento valutativo senza chesiano lasciati a molteplici possibilitàinterpretative. Inquadrando in modocritico e non generico l’approcciosostenibile, si possono definire alcuniaspetti capaci di indirizzare gli esiti diuna città densa sulla linea di unarinnovata e controllata qualità urbana.In termini di eco-efficienza – concettobase e misurabile della sostenibilità -le soluzioni edilizie dovrebbero essereorientate a minimizzare l’uso di risorse(materiali, energia, acqua, suolo),favorendo la riciclabilità e la duratadei manufatti, minimizzando inoltre leemissioni, gli scarichi e la dispersionedi sostanze tossiche, promuovendol’uso di risorse rinnovabili sia materialiche energetiche.Per utilizzare al meglio le risorseeconomiche e non ricadere incondizioni di carattere speculativo, la“rottamazione” stessa del patrimonioedilizio fatiscente dovrebbe esseresignificativamente vincolata. Andrebbedimostrato che “rottamando” l’ediliziaesistente si avrebbero nuove

Il concetto di densificazione, comemolti altri temi su cui si discute o, permeglio dire, si torna oggi a discuterein una nuova stagione di dibattutosulla qualità urbana e sulla residenza,può avere varie interpretazioni, comedel resto avviene per tutti i concettiplastici che si prestano meglio di altri,più codificati e dotati di maggiorerestrizione di campo, alle declinazioniattribuite da chi ne fa uso. Inoltre, iltema in questione si permea disignificati attualizzati se lo si collegaagli scenari culturali e disciplinari chesono al centro del recente dibattito. Lacaduta della qualità abitativa, iproblemi dell’infrastrutturazioneurbana, i limiti dettati dalladispersione del costruito, il consumo diterritorio, l’invadenza della grandedistribuzione commerciale, la perditadell’identità ambientale, costituisconoalcuni grandi temi di discussione sucui l’argomento densificazione inducemomenti di riflessione per l’indirizzodelle politiche e delle pratiche urbane. Un interessante punto di incontro ècostituito dalla correlazione fradensificazione e sostenibilità edilizia,con la previsione di ricadute positivesul piano sociale, ambientale edeconomico, prefigurando interventiinnovativi per una «mixité» funzionale,per il rendimento energetico degliedifici, per l’approccio di sostenibilitàlocale basato su sinergie funzionali trai vari attori dei processi ditrasformazione, per i modelliinnovativi di processo edilizionell’integrazione fra risorse pubblichee private.

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Mario Losasso*

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disposizione del risparmio energeticonumerosi e sperimentati strumenti suscala edilizia, non offrendo, per ilprogetto urbano, analoga varietà edefficacia di soluzioni.In effetti l’obiettivo di ecocompatibilitàdelle proposte è stato principalmenteaffrontato rispetto ai temi del consumodi suolo e della riduzione deglispostamenti. In tal senso aumentare ladensità urbanistica ha rappresentatouna naturale soluzione in grado disoddisfare pienamente entrambe leesigenze. Infatti, oltre a consentire unnotevole risparmio energetico dovutoall’accorciamento dei percorsi,rappresenta anche un’efficacesoluzione di mitigazione grazie allapossibilità di riservare maggiorequantità di suolo agli spazi verdi, conle ben note conseguenze in termini diriduzione dell’effetto “bolla termica” edincremento della presenza di naturaliassorbitori di anidride carbonica.Tuttavia, a ben riflettere, ladensificazione si presta efficacementeanche ad altre considerazioni inambito più strettamente energetico.Infatti, lo stesso espediente, puòcostituire momento incentivante per larealizzazione di sistemi attivi volti asoddisfare quel bisogno residuo dienergia primaria non eliminabile consoluzioni di risparmio energetico suscala edilizia. E’ individuabile, cioè, unvalore complementare nelladensificazione, che, sebbene ad oggitrascurato, a ben guardare, potrebberappresentare l’aspetto economico checonsente di superare la tradizionaledicotomia tra ecocompatibilità e

Densità ed energia

Il tema del risparmio energetico e delsoddisfacimento, mediante fontialternative, rinnovabili edecocompatibili del fabbisognoenergetico, ha acquisito, nell’ultimodecennio, una posizione di assolutacentralità nella progettazione degliinterventi edilizi. Ciò è principalmentelegato al sostanziale riconoscimentodell’elevatissima energivoritàdell’edificato e delle attività umane chevi si svolgono. La necessità di farfronte a tale bisogno comportanotevoli emissioni di gas serra il cuiaumento incontrollato stadeterminando gravi ed irreparabiliconseguenze sul clima e lasopravvivenza stessa del pianeta. Laconstatazione di siffatta realtà implicala presa di coscienza dell’esigenzaimprocrastinabile di modificareradicalmente il modo di edificare e disoddisfare i bisogni dei fruitori degliimmobili con soluzioni che integrinoelevati standards qualitativi conminimi consumi energetici. Inoltre sipone l’esigenza di riuscire a soddisfarein loco il fabbisogno energeticoresiduo, non eliminabile con l’uso disoluzioni esclusivamente passive. Inambito urbanistico tale tema è stato,sino ad oggi, oggetto di scarsaattenzione. Ciò è dovuto a due fattori:- è ancora poco diffusa laconsapevolezza dell’enorme contributoche sul risparmio generale di energiapuò derivare da un concreto e radicaleripensamento del modo di concepire lacittà;- l’innovazione ed il progressotecnologico hanno messo a

edilizi sia in nuove realizzazioni chenel retrofit di edifici esistenti. Cittàdensa, infine, non vuol dire farericorso a modelli urbani con edificialti, poiché la centralità delladimensione locale può prevedere unaconcentrazione residenziale equilibratain relazione agli spazi aperti pubblici ocollettivi, quale risposta a uncambiamento degli stili di vitaattraverso la proposizione di densitàmiste, diversi tipi edilizi, arricchimentoe integrazione delle funzioni,salvaguardia dell’ambiente conl’obiettivo di insediamenti eco-efficienti.

*Direttore del Dipartimento di Progettazione Urbana edi Urbanistica, Università Federico II di Napoli.

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Alessandro Sgobbo*

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direttamente dalla notevole maggioreefficienza intrinseca di cui beneficianorispetto agli impianti di tipoautonomo. Tale maggiore efficienzaderiva, oltre che dall’impiego dicentrali di produzione tecnicamentepiù evolute e costantementemanutenute, anche e soprattutto dallapossibilità di operare in modopraticamente costante a causa dellamutua compensazione delleoscillazioni della domanda. Le piccolecaldaie, condominiali o per singolautenza, infatti, sono continuamentesoggette a cicli di accensione espegnimento a causa dell’oscillazionedel fabbisogno di calore dell’immobile,sia in relazione all’uso che alloscambio termico con l’ambienteesterno.Le recenti innovazioni nelle tecnologiedi produzione di energia elettrica dafonte solare hanno introdotto unulteriore possibile scenario di impiegodel teleriscaldamento dacogenerazione, ove, l’intero processorisulta del tutto esente da rilascio dianidride carbonica. Ci si riferisce, inparticolare, ai c.d. impianti solaritermodinamici a concentrazione. Unsistema di paraboloidi, ovvero, negliimpianti a torre, un insieme di specchi

dal fluido termovettore circolante:generalmente acqua calda, acquasurriscaldata oppure vapore acqueo.Sebbene, da un punto di vistatermodinamico, la migliore soluzione èquella che prevede la trasmissione delcalore alla più alta temperatura, isistemi a vapore acqueo e ad acquasurriscaldata presentano notevolicomplessità rispetto alle problematichedi dilatazione termica, coibentazione emetodologie di posa delle tubazioni.Viceversa gli impianti di trasmissionead acqua calda, sebbene tecnicamentepiù semplici, richiedono sezioni elevatedella rete e maggiori investimenti perla realizzazione. Il punto di recapito della rete ditrasmissione è lo scambiatore di caloreposto a monte dell’impianto didistribuzione interna di ognifabbricato. Ivi l’energia termicatrasportata viene ceduta al fluidotermovettore circolante nell’immobilee, da questo, trasmessa alle singoleutenze sia sotto forma di acqua caldasanitaria che di energia per ilriscaldamento invernale od ilraffrescamento estivo.La convenienza economica el’ecocompatibilità dei sistemi diteleriscaldamento discendono

convenienza.Un esempio di ciò è dato dall’influenzache l’espediente urbanistico in parola èin grado di esercitare rispettoall’impiego dei sistemi diteleriscaldamento ed, in particolare, deltipo da cogenerazione implementatonella produzione di energia elettrica dafonte solare.Sommariamente un impianto diteleriscaldamento può essere suddivisoin tre sub-sistemi:1. la centrale di generazione;2. la rete di trasmissione urbana;3. la rete di distribuzione interna deifabbricati.La centrale è il luogo ove l’energiatermica viene prodotta ai fini delsuccessivo trasferimento. Lagenerazione di calore può costituirel’obiettivo primario dell’impiantooppure essere il residuo dellaproduzione di energia più pregiata. Siparla, in tal caso di cogenerazione.Il fluido termovettore primario,mediante uno scambiatore, trasferisceil calore prodotto alla rete ditrasmissione urbana. Questa ècostituita da una ragnatela ditubazioni le cui caratteristiche intermini di materiali, dimensioni esistemi di coibentazione, dipendono

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condensazione cedendo grandiquantità di calore all’acqua diraffreddamento. Questo calore,difficilmente utilizzabile per altri scopi,può essere efficacemente impiegatocome alimentazione di un impianto diteleriscaldamento. Se, quindi, latecnologia del solare termodinamicocostituisce la sola fonte di energiarinnovabile e completamente priva di

emissioni in grado di competere conquella eolica in termini di convenienzaeconomica, l’implementazione delteleriscaldamento da cogenerazione,applicabile grazie alla densificazione,può fornire quel valore complementarenecessario al sorpasso.L’elevata densità urbana, infatti,influisce positivamente sullaconvenienza delle soluzioni diteleriscaldamento, i cui i limiti diapplicabilità sono legati alle perdite dienergia che si determinano durante iltrasporto ed ai costi di realizzazionedella rete.Le perdite di energia sono funzionedella temperatura del fluidotermovettore e della distanza tracentrale di generazione ed utenze.Incrementare la densità urbanaovviamente riduce notevolmente ledistanze da coprire con la rete ditrasmissione, rendendo, inoltre,possibile e conveniente l’impiego dellesoluzioni ad acqua calda che, rispettoa quelle a vapore e ad acquasurriscaldata, soffrono in modo piùridotto di fenomeni di dispersionetermica. Inoltre, incrementandosi ilnumero di utenze raggiunte perchilometro di sviluppo della rete, icosti iniziali sono evidentementeammortizzati in tempi più brevi.

*Ingegnere.

detti eliostati, riflette la radiazionesolare incidente concentrandola in unricettore. Ivi il fluido termovettore,generalmente una miscela di sali fusi,trasferisce il calore recepito ad unoscambiatore ove avviene lavaporizzazione dell’acqua e laproduzione di energia elettrica.Ovviamente il vapore, all’uscita dellaturbina, viene sottoposto a

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L’organizzazione dell’attività commerciale è unfenomeno strettamente connesso ai processi diregolazione e di sviluppo delle città. L’assessoratoal Commercio della Regione Piemonte pone al cen-tro della sua attenzione lo sviluppo del commerciourbano presentando le problematiche relative algoverno, alla pianificazione del territorio e quellecorrelate alla valorizzazione del settore.I “luoghi del commercio”, intesi come contestiurbani caratterizzati da attività commerciali, sonoal centro, da circa un decennio, di politiche di qua-lificazione territoriale con interventi volti a soste-nerne la qualificazione e l’incentivazione al fine dipromuovere uno sviluppo “a servizio della colletti-vità” per un incremento della qualità della vita econ l’intento di controbilanciare la forte attrazionedel cosiddetti “centri commerciali” che nel tempohanno assunto un marcato ruolo di aggregazionepur mancando di storicità e tradizione.La Regione Piemonte, attraverso il Programma diQualificazione Urbana, definisce le aree in cuiintervenire e finanzia interventi promossi dalleAmministrazioni Comunali in ambito di valorizza-zione e riqualificazione del commercio urbano. LeAmministrazioni Comunali risultano così più stimo-late a programmare tipologie di investimenti che

inducono effetti positivi nel rapporto città-com-mercio.A questo scopo, durante il convegno, verrannodocumentati alcuni casi territoriali di programma-zione commerciale che possono configurarsi come“buone pratiche” in Belgio, Francia, Spagna, Svezia,Stati Uniti e in alcune Regione italiane approfon-dendo le modalità di attuazione delle politiche diincentivazione regionale.

Segreteria scientificaCarlo Salvadore - Responsabile ScientificoPierdomenico Albanese - Luisa Nizza - NunziaPignataro Corrado Rinaudo - CoordinatoreScientificomaggiori informazioni visitare il sito www.valoriz-zazionedelcommercio.it

Segreteria OrganizzativaCentro Congressi Internazionale S.r.l.C.so Bramante, 58/9 - 10126 TorinoTel. +39 011.244.69.11Fax +39 [email protected]

“Valorizzazione del Commercio Urbano”Torino, 21/22 ottobre 2009

Centro Congressi Regione Piemonte

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emerge che per avere una città a bassoconsumo occorre raggiungere una densitàdi circa 170 ab/ha, in modo daprivilegiare i trasferimenti pedonali e diconseguenza ridurre il traffico veicolare.Emerge che modificare la densità di unacittà esistente in funzione dei consumi,attraverso ad esempio operazioni didemolizione e ricostruzione, è moltodifficile; questo perché vi sono dei vincoliinsormontabili legati alla tutela delpatrimonio storico e alle variabili socio-economiche della città. Ecco perché nascel’esigenza di ragionare sugli sviluppiinsediativi ex novo previsti per ilprossimo futuro, che assumono un ruolomarginale se confrontati con ladimensione degli insediamenti esistenti,ma che risultano invece importanti sevalutati in termini assoluti. In questaottica appare chiaro l’orientarsi verso unamaggiore densità, capace di tener contodegli obiettivi energetico-ambientali, inun’ottica di riequilibrio complessivo dellaconfigurazione fisica e funzionale dellacittà.

* Dottorando, Università della Calabria.

Densità e consumi energetici

può cominciare ad inciderenegativamente sui consumi energetici,perché intervengono fattori come:l’ostruzione all’accesso al sole dovuta allavicinanza degli edifici, l’orientamento e ledispersioni connesse con la tipologiaedilizia. Occorre quindi, a partire da talivalori, sostituire il mancato apporto dellaradiazione solare con l’impiego di fontienergetiche possibilmente rinnovabili.Valori analoghi sono stati raggiunti dauno studio condotto sulla città di Milano4.I risultati definiscono come valoriottimali, per la minimizzazione delfabbisogno energetico per ilriscaldamento invernale, sono quelliinferiori alla densità edilizia di 4-5 mc/mq(corrispondente alla densità abitativa dicirca 400/500 ab/ha) per edifici in lineacon orientamento est/ovest di volumetriaelevata (>10.000 mc). Per densità superioriil guadagno solare diminuisce ed aumentail fabbisogno teorico invernale.Altro aspetto importante è la relazione fradensità e consumi energetici dei trasporti.Questo aspetto è stato trattato in diversistudi tra i quali quelli sviluppati dalgruppo di ricercatori australiani coordinatida Newman e Kenworthy5, i quali tra lafine degli anni ’80 e inizi degli anni ’90hanno fornito una esaustiva panoramicadel problema attraverso delle analisieseguite esaminando un numeroconsistente di città di tutto il mondo. Gliautori giungono, nonostante i limiti e leapprossimazioni dovuti al trattamento deidati estratti dalla letteratura, ad unaclassificazione delle città in tipologiemettendole in relazione alla densità, alconsumo di carburante ed al tipo ditrasporto prevalente. Da questa analisi

La densificazione è sicuramente uno deitemi più discussi in urbanistica afferendoa molteplici questioni, fra cui quello dellaPianificazione Energetica. Lo studio delrapporto tra consumi civili1 e densitàurbana ha costituito una delle principalilinee di ricerca perseguite agli esordi dellaproblematica energetica negli anni ’70,proseguendo con oscillante intensità finoa oltre la metà degli anni ’80.Successivamente con l’emergere di grandiquestioni come gli accordi internazionaliambientali, la liberazione dei mercatidell’energia, la ricerca di nuove fonti erelative tecnologie di utilizzo, questoaspetto è stato messo in disparte.Negli ultimi anni il binomio densità-consumi energetici ha avuto unarivalutazione a seguito delle mutatecondizioni di contesto dovute alladiffusione di una maggior consapevolezzadella sua importanza. Numerosi studihanno cominciato ad affrontare questatematica con i relativi problemi, fra cuiquelli di Koen Steemers2. Steemers,analizzando diversi contesti urbani, provaa stabilire l’efficienza dei contesti ad altadensità rispetto a quelli a bassa densità intermini di consumi degli edifici, tenendoconto dell’apporto energetico esternoproveniente dalla radiazione solare e delladiversa domanda di energia relativa alledifferenti destinazioni d’uso econfigurazioni tipologiche dell’edificato3.Per gli edifici residenziali, riferendosi allecondizioni tipiche del Regno Unito dove ilfattore predominante è il consumo dovutoal riscaldamento, l’autore stabilisce chesolo a partire da valori elevati, superioriall’ordine di grandezza di 200 abitazioniper ettaro (500-600 abitanti), la densità

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Gaetano Saullo*

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Speciale doppia edizione

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definizione della materia “governo delterritorio”.La prima, in ordine di presentazione,proposta di legge così affronta ilproblema:«Il governo del territorio, in relazioneagli obiettivi di sviluppo sostenibiledeterminati dalle autorità pubbliche,consiste nell’insieme coordinato delleattività conoscitive, regolative,programmatorie, valutative e attuative,nonché di vigilanza e di controllo degliinterventi di trasformazione e di uso delterritorio, allo scopo di perseguire: latutela e la valorizzazione del patrimonioambientale, culturale e paesaggistico edel territorio rurale; l’utilizzo sostenibiledelle risorse non rinnovabili e la tuteladella biodiversità; la riduzione delconsumo di suolo non urbanizzato; ilrapporto coerente tra localizzazione dellefunzioni, sistema della mobilità einfrastrutture tecnologiche edenergetiche, in relazione alle risorseeconomiche e finanziarie attivate daisoggetti pubblici e privati.La tutela del territorio è perseguita inmaniera integrata nei diversi aspetti,relativi al suolo, al sottosuolo, alleacque di superficie e sotterranee, agliassetti idrogeologici, al mare e allecoste, alle aree rurali, all’ambientealpino e appenninico, alla biodiversità eal patrimonio naturale, paesistico,storico e culturale. La qualità degliinsediamenti urbani deve essereconsiderata e promossa come parteessenziale della qualità del territorio.Il governo del territorio comprendel’urbanistica, l’edilizia, nonché, per leparti riguardanti gli aspetti connessi alla

Le strutture regionali per il governo del territorio

Questa situazione genera un insieme dicomportamenti differenziati tra leregioni (ma in alcuni casi anche al lorointerno) che non sono in grado direalizzare strutture adeguate alle nuovecompetenze. Anzi la separatezza dellematerie, che in qualche maniera sonoriconducibili alle complessivecompetenze di governo del territorio, trai diversi assessorati non permette – perlo meno sino questo punto – direalizzare strutture adeguate e, quindi,essere pronti a governare, in manieracoordinata e coerente, le nuovecompetenze.A fronte di questa situazione generale ildibattito nazionale, in materia diriforma, tende a chiarire i confini delgoverno del territorio (vi è però darimarcare che nell’attuale fase ildibattito politico a riguardo è alquantofermo e i tempi per una sua conclusioneappiano alquanto lunghi).In ogni caso tutte le Proposte di Leggedepositate alla Camera dei Deputati (cheha avviato il dibattito nella competenteVIIIa Commissione) nel testodell’articolato presentano unadefinizione della materia del governodel territorio.In particolare due sono le proposte chemaggiormente stanno focalizzandol’interessa politico del dibattito in corso.Si tratta della Pdl n. 3292 e della PdL n.4383 che rappresentano i punti diriferimento per l’attuale maggioranza eper l’opposizione4.Nei rispettivi primi articoli dei testi delleproposte si introduce, colmando il vuotovenutosi a creare dopo l’entrata invigore della riforma costituzionale, la

A seguito dell’entrata in vigore dellariforma del Titolo V della Costituzione1

la materia di competenza delle regionenon è più l’urbanistica (così comedefinita nei suoi aspetti regolativi), ma èindividuata come “governo delterritorio”. Materia, anche questa comel’urbanistica, concorrente con lecompetenze dello Stato ovvero chenecessita, per il suo completo esercizio,di specifiche normative nazionalirelative ai princìpi fondamentali.Sino a oggi le normative nazionali nonsono intervenute a definire, in alcunmodo, il “governo del territorio” per cuile regioni si trovano in una situazionenon completamente definita edifficilmente superabile rispetto ai proprilimiti giuridici.Infatti a fronte di una fiorente attivitàlegislativa, in merito alla nuovastrumentazione di piano ai diversi livelliistituzionali (anche attraverso ladefinizione di contenuti e di nuoveforme procedurali di partecipazione allaformazione e alla successivaapprovazione dei piani) si assiste allaquasi assenza di normative in meritoalle strutture organizzative preposte allanuova materia di competenza.Nella più completa autonomia, e peralcuni versi anche con indifferenza allemodifiche nazionali introdotte dallariforma costituzionale, le regioniproseguono – nella maggior parte deicasi - nello svolgimento delletradizionali attività urbanistiche e dipianificazione (seppure arricchite dalleprocedure di valutazione ambientalestrategica e dalle tematiche legate allapianificazione paesaggistica).

Mauro Giudice*

Le strutture regionali per il governo del territorio

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tradizione, che ammette una varietàpoco ordinata di significati, che rinvianoa pratiche ancora più diversificate6.»Questa, in estrema sintesi, è lasituazione delle regioni in materia diorganizzazione per il governo delterritorio. Infatti la specificazione dellestrutture regionali, per lo svolgimentodelle attività relative, non si è ancoraconcretamente avviata; ciò, soprattutto,per quanto riguarda il coordinamentodelle diverse materie all’interno deisingoli enti.L’unico vero cambiamento in atto è unaridotta attenzione alle politiche delcontrollo amministrativo e unincremento delle attività dipianificazione. Si può ritenere che leregioni, allo stato attuale, interpretino ilgoverno del territorio con una loromaggior capacità pianificatoria,soprattutto di tipo strategico, in grado diindirizzare le proprie capacità ditutelare, di trasformare e di sviluppare lediverse peculiarità territoriali.Altra cosa è l’organizzazione di unastruttura capace di governarecomplessivamente tutte le componentiterritoriali individuabili dalla letturadella riforma costituzionale. Questaparte innovativa delle capacità regionalidi governare il proprio territorio non èancora rintracciabile nell’organizzazionedelle strutture. Sporadici casi sonoriconducibili al vero superamento delmodello del “controllo senza governo”per attestarsi su una modalità di“governo senza controllo” chesembrerebbe più ascrivibile, per lo menoindirizzato verso, all’attuazione dellanuova competenza di governo delterritorio.

* Presidente INU Piemonte.

legislative e si sia in grado, diconseguenza, di affrontareunitariamente le scelte, anche sottol’aspetto organizzativo, del governo delterritorio.Cercando di colmare questa distanzalegislativa, e per favorire azioni unitariedelle regioni, l’INU ha predisposto –sotto il mero aspetto tecnico – unaproposta di legge da portareall’attenzione delle forze politiche. Laproposta, che non intende mediare leproposte già depositate in Parlamento, sipone come elemento in grado dicostruire elementi unificanti rispetto aicomplessi temi del governo delterritorio. Una proposta quindi che cercadi costruire un effettivo riferimento perla costruzione delle leggi regionali: unicistrumenti per il varo tangibile di unanuova cultura del pianificare.Anche la proposta dell’INU5 contiene alsuo interno una definizione di governodel territorio che però non si soffermasui singoli elementi che lo costituiscono,ma intende generalizzare il carattere,prima ancora che i contenuti, dell’azionedi governo del territorio. A tale riguardoafferma:«Il governo del territorio è l’insieme delleazioni che mirano a definirne l’assetto,a garantirne la tutela e a promuovernelo sviluppo. Esso comprende attivitàlegislative e regolamentari, conoscitive evalutative, pianificatorie eprogrammatorie, regolative, di vigilanzae di controllo, nonché tutte le azionirelative alla difesa, tutela evalorizzazione del territorio o comunqueaventi ad oggetto la trasformazione el’uso dello stesso ai fini pubblici, diinteresse pubblico, generale e privato.»Questa definizione è maggiormenteattenta al ruolo regionale che, a partiredai princìpi sanciti al livello nazionale,dovrà declinare i nuovi strumenti e lenuove procedure per lo svolgimentodelle diverse azioni di governo delterritorio. È all’interno di questo quadrogenerale che le regioni sono impegnateanche nel ridefinire le proprie strutturetecniche per affrontarne le relativecompetenze.Nella complessiva e variegata situazioneorganizzativa delle regioni (che èsintetizzata nelle schede seguenti) forseè corretto affermare che: «Governo delterritorio è una buzzword senza

programmazione e alla pianificazionedel territorio, la difesa del suolo,l’espropriazione e l’edilizia sociale. Aisensi dell’articolo 117, terzo comma,della Costituzione, le regioni emananonorme in materia di governo delterritorio, in conformità ai princìpifondamentali della legislazione statalestabiliti dalla presente legge.»La seconda proposta, in forma molto piùsintetica, afferma:«Il governo del territorio consistenell’insieme delle attività conoscitive,valutative, regolative, diprogrammazione, di localizzazione e diattuazione degli interventi, nonché divigilanza e di controllo, volte aperseguire la tutela e la valorizzazionedel territorio, la disciplina degli usi edelle trasformazioni dello stesso e lamobilità in relazione a obiettivi disviluppo del territorio. Il governo delterritorio comprende altresì l’urbanistica,l’edilizia, l’insieme dei programmiinfrastrutturali, la difesa del suolo, latutela del paesaggio e delle bellezzenaturali, nonché la cura degli interessipubblici funzionalmente collegati a talimaterie.»Come si può facilmente intendere dallalettura di entrambi i testi ilriconoscimento della complessità dellamateria (e soprattutto il superamentodell’urbanistica seppure intesa come unaparte compresa nel tutto) è evidente e lanecessità di una forte azione dicoordinamento (tecnico, ma anchepolitico/istituzionale) all’interno deglienti competenti appare necessaria e nonpiù rinviabile.Ma ancora più importante per il livelloregionale, oltre alla propriaorganizzazione tecnica, è la definizione,attraverso la propria potestà legislativa,dei contenuti dei nuovi strumenti dipiano (anch’essi tesi al governo delterritorio e non alla solaregolamentazione degli usi del suolo) inmodo da avviare, nel concreto, lariforma della materia e uno svolgimentodiverso delle proprie competenze.La strada da percorrere è alquanto lungae tortuosa, forse anche per la scarsacollaborazione tra le diverse regioni etra queste e lo stato. Ma occorre –proprio per riconoscere l’unicità delterritorio e delle relative problematiche –che non si frammentino le scelte

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L’organizzazioneregionale dellapianificazioneLuisa Ballari*

Prime riflessioni sui contenuti delleschede

Due sono le tendenze emergenti dalladistribuzione delle competenze: unavolta all’accentramento eaccorpamento e l’altra alladistribuzione e separatezza. Letendenze sono deducibili a partire

dall’articolazione delle strutturecompetenti in materia dipianificazione territoriale epaesaggistica: quelle politiche sonosingole o multiple; alcune di quelletecniche si occupano in manieraunitaria di paesaggio e territorio, ealtre sono suddivise in piùsottostrutture. Gli strumenti a supporto dellaconoscenza (Vas e sistemi informativi)possono essere di competenza dellamedesima struttura tecnica che sioccupa di pianificazione, rafforzandola tendenza all’accentramento, oppure

di altre (relative ad assessorati diversio alla presidenza) o apposite strutture.Nel caso della valutazione, quandoquesta è di competenza della stessastruttura tecnica e politica, vi è unatendenza all’accentramento dellecompetenze che comporta il rischiodell’autoferenzialità.Le schede che seguono contengonouna ricognizione delle strutture chesvolgono le funzioni di governo delterritorio relative alla pianificazionenelle Regioni e nelle Provinceautonome. Esse restituiscono unapanoramica sulle strutture che sioccupano di pianificazione a partiredalla descrizione degli organigrammie delle attività organizzative egestionali di competenza dei diversiEnti.La ricognizione, svolta sulla basedelle informazioni fornite dai sitiinternet regionali al 2009, è stataimpostata con la finalità di restituireun quadro relazionale tra (i) attori(politici e tecnici) che si occupano dipianificazione, (ii) materie (territorio,paesaggio) e (iii) strumenti a supportodella conoscenza e del governo delterritorio (valutazione e sistemiinformativi territoriali). Dai contenutidelle schede emerge un quadrovariegato all’interno del quale èpossibile individuare le invarianti egli elementi di singolarità checaratterizzano l’odierna vesteorganizzativa della pianificazioneregionale.

Questo articolo costituisce un primoapprofondimento per la redazione delRapporto 2009.

*Dottoranda. Politecnico di Torino.

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Regioni a Statuto OrdinarioRegione AbruzzoLa competenza è della presidenza dellagiunta che, tra le varie materie, segueanche quelle relative al territorio, allatutela e valorizzazione del paesaggio. Lastruttura tecnica di riferimento è laDirezione affari della presidenza,politiche legislative e comunitarie,programmazione parchi, territorio,valutazioni ambientali ed energia,supportata dal Servizio tutela evalorizzazione del paesaggio evalutazione ambientale e dal Serviziopianificazione territoriale. Il servizioinformativo è gestito da una Strutturaspeciale tramite l’Ufficio sistemainformativo geografico.

Regione BasilicataLa competenza è dell’assessoratoall’ambiente, territorio e politiche dellasostenibilità. La struttura tecnica diriferimento è l’Ufficio urbanistica epaesaggio, afferente al Dipartimentoambiente e politiche della sostenibilità.Lo stesso Dipartimento si occupa diVAS, tramite l’Ufficio compatibilitàambientale. La produzione di cartografiadi interesse regionale viene seguita dalServizio Cartografico.

Regione CampaniaLa competenza è dell’assessoratoall’urbanistica politiche del territorio,edilizia pubblica abitativa e accordi diprogramma. La struttura tecnica diriferimento è l’Area governo delterritorio, beni culturali, ambientali epaesaggistici, che si occupa in manieraunitaria di paesaggio e territorio tramiteil Servizio piano territoriale regionale,pianificazione pesistica e convenzioneeuropea per il paesaggio. La stessa Areacura lo sportello cartografico e il suoaggiornamento tramite il Serviziosistema informativo territoriale e sioccupa di VAS.

Regione CalabriaLa competenza è dell’assessoratoall’urbanistica e tutela del territorio. Lastruttura tecnica di riferimento è ilDipartimento urbanistica e governo delterritorio, che si occupa in manieraunitaria di pianificazione territoriale epaesaggistica tramite il Settoreprogrammazione, politiche del territorioe pianificazioni territoriali. Sempre lostesso Dipartimento gestisce la bancadati territoriale attraverso il Settoresistema informativo territoriale ecartografia regionale. Le procedure diVAS sono seguite dal ServizioValutazione Ambientale Strategica delDipartimento politiche dell’ambiente.

Regione E. RomagnaLa competenza è dell’assessorato allaprogrammazione e sviluppo territoriale,cooperazione col sistema delleautonomie e organizzazione. Lastruttura tecnica di riferimento è laDirezione generale programmazioneterritoriale e negoziata che si occupa inmaniera unitaria di pianificazionepaesaggistica, con il supporto delServizio valorizzazione e tutela delpaesaggio e degli insediamenti storici, eterritoriale, tramite il Servizioprogrammazione territoriale e sviluppodella montagna. La realizzazione dellacartografia regionale e la gestione delsistema informativo sono seguiti dal

Servizio sviluppo dell’amministrazionedigitale e sistemi informativi geograficicondivisi. Le procedure di VAS deglistrumenti di pianificazione sono gestitedal Servizio valutazione impatto e dellapromozione sostenibilità ambientale,afferente alla Direzione Ambiente, difesadel suolo e della costa.

Regione LazioLa competenza è dell’assessoratoall’urbanistica. La struttura tecnica diriferimento è il Dipartimento territorio,che si occupa di paesaggio e territoriocon il supporto della Direzioneterritorio e urbanistica, e in particolaredell’Area pianificazione paesistica eterritoriale. La stessa Direzionecomprende l’Area sistema informativogeografico, che segue l’aggiornamentodei dati territoriali e della cartografia.La VAS è gestita dall’omonimo Ufficiodella Direzione ambiente ecooperazione tra i popoli, facente a suavolta parte del Dipartimento territorio.

Regione LiguriaLa competenza è dell’assessorato allapianificazione territoriale, urbanistica,infrastrutture e logistica. La strutturatecnica di riferimento è il DipartimentoPianificazione territoriale e urbanisticache si occupa in maniera unitaria dipaesaggio e territorio con il supporto delSettore urbanistica, e in particolare delServizio tutela del paesaggio e delSettore pianificazione territoriale, centrodocumentazione e proposte sulletrasformazioni territoriali. Il Nucleointerassessorile di valutazione, gestitodalla Direzione programmazione epianificazione interventi, è la struttura

regionale che valuta i piani. Gli aspetticartografici e il sistema informativosono gestiti dal Servizio sistemiinformativi e telematici della Direzionecentrale affari della presidenza.

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Regione LombardiaLa competenza è dell’assessorato alterritorio e urbanistica. La strutturatecnica di riferimento è la Direzionegenerale territorio e urbanistica che sioccupa in maniera unitaria dipianificazione paesaggistica eterritoriale, tramite la Strutturapaesaggio afferente all’Unitàorganizzativa tutela e valorizzazione delterritorio, e tramite la Strutturaprogrammazione territoriale regionale,relativa all’Unità organizzativaPianificazione territoriale e urbana.Quest’utlima, attraverso la Struttura

Valutazione Ambientale Strategica,valuta gli strumenti di pianificazioneterritoriale. La stessa Direzione cura losviluppo e l’aggiornamento del Sistemainformativo territoriale tramite l’Unitàorganizzativa infrastruttura perl’informazione territoriale.

Regione MarcheLa competenza è dell’assessorato algoverno del territorio porti e aereoporti,sport e tempo libero, impianti e

infrastrutture sportive, tutela deiconsumatori, viabilità e dell’assessoratoalla tutela e risanamento ambientale. Lestrutture tecniche di riferimento sono ilServizio governo del territorio,infrastrutture e mobilità e il ServizioAmbiente e paesaggio, quest’ultimo sioccupa anche di VAS, tramite laStruttura valutazioni e autorizzazioniambientali. La gestione dell’archiviocartografico e delle informazioniterritoriali avviene attraverso l’Ufficiocartografia e informazioni afferente allaDirezione programmazione.

Regione MoliseLa competenza è dell’assessoratoall’urbanistica, politiche del territorio,della casa, beni ambientali, trasporti,infrastrutture e lavori pubblici. Lastruttura tecnica di riferimento è laDirezione generale politiche del territorioe dei trasporti, pianificazione urbanistica,beni ambientali e politiche della casa cheopera attraverso il Servizio gestioneurbanistico-territoriale e il Servizio beniambientali e paesaggio. Il sistemainformativo è gestito dalla DirezioneGenerale programmazione, serviziinformativi, risorse finanziarie e

strumentali attraverso il Serviziostatistico e cartografico. Le procedure diVAS sono seguite dall’Ufficio valutazioned’incidenza e valutazione ambientalestrategica, afferente all’assessoratoall’Ambiente.

Regione PiemonteLa competenza è dell’assessorato allepolitiche territoriali. La struttura tecnicadi riferimento è la Direzioneprogrammazione strategica, politicheterritoriali ed edilizia, che si occupa in

maniera unitaria delle materie paesaggioe territorio con il supporto del Settorepianificazione territoriale epaesaggistica. La stessa Direzionesvolge, tramite il Settore valutazione dipiani e programmi e in raccordo laDirezione ambiente, il monitoraggio e lavalutazione integrata degli strumenti dipianificazione territoriale e paesaggisticaed esprime pareri in materia di VAS. Lagestione dei dati territoriali e dellacartografia è svolta dalla medesimaDirezione, tramite il Settore cartografia esistema informativo territoriale.

Regione ToscanaLa competenza è dell’assessorato alterritorio e infrastrutture. La strutturatecnica di riferimento è la Direzionegenerale politiche territoriali eambientali che, con il supporto dell’Areapianificazione del territorio e politicheabitative, si occupa di territorio epaesaggio. La stessa Direzione, facendoriferimento alle deleghe dell’assessoratoalla tutela dell’ambiente ed energia, curasia le procedure di VAS che la gestionedella base informativa geografia delsistema informativo per il governo delterritorio e dell’ambiente.

Regione UmbriaLa competenza è dell’assessorato allatutela e valorizzazione dell’ambiente eprogrammi per lo sviluppo sostenibile.La struttura tecnica di riferimento è laDirezione ambiente, territorio einfrastrutture che si avvale del supportodel Servizio valorizzazione del territorio,tutela del paesaggio, tecnologie a cuisono collegate la Posizione organizzativapianificazione del paesaggio e tutela deibeni paesaggistici e la Posizionedirigenziale di supporto in materia dipianificazione territoriale. La stessaDirezione si occupa di VAS, tramite ilServizio rischio idrogeologico, cave evalutazioni ambientali, e gestisce ilsistema cartografico regionale attraversoil Servizio informatico/informativogeografico, ambientale e territoriale.

Regione VenetoLe competenze sono della presidenzadella Giunta, referente per la tutela delpaesaggio, e dell’assessorato allepolitiche per il territorio. Le strutturetecniche di riferimento in materia dipaesaggio sono la Direzione beniculturali, afferente alla Segreteriaregionale alla cultura, che si occupa delcoordinamento degli indirizzi relativi alpaesaggio culturale, e la Direzioneterritoriale e parchi, afferente allaSegreteria regionale all’ambiente e alterritorio; quest’ultima svolge anchecompiti in materia di pianificazioneterritoriale e, tramite l’Unità di progettosistema informativo territoriale ecartografia, si occupa della gestionedella banca dati territoriale regionale. Leprocedure di VAS sono gestite dallaDirezione valutazione progetti einvestimenti, afferente alla Segreteriaregionale alle infrastrutture e mobilità.

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Regioni a Statuto Speciale e Province Autonome

Regione Friuli V. GiuliaLa competenza è dell’assessorato allapianificazione territoriale, autonomielocali e sicurezza. La strutturatecnica di riferimento è la Direzionecentrale pianificazione territoriale,autonomie locali e sicurezza che sioccupa in maniera unitaria diterritorio e paesaggio, tramite ilsupporto del Servizio pianificazioneterritoriale regionale e del Serviziotutela dei beni paesaggistici. Lastessa Direzione cura la banca datiregionale attraverso il Serviziosistema informativo territoriale ecartografia. La gestione delleprocedure di valutazione è attribuitaalla Direzione ambiente e lavoripubblici.

Regione SardegnaLa competenza è dell’assessorato entilocali, finanze e urbanistica. Lastruttura tecnica di riferimento è laDirezione generale dellapianificazione territoriale, urbanisticae della vigilanza edilizia che sioccupa in maniera unitaria dipianificazione territoriale, tramite ilServizio pianificazione territorialeregionale, e paesaggistica, attraversoil Servizio governo del territorio etutela paesaggistica. La stessaDirezione gestisce il sistemainformativo territoriale regionaletramite il Servizio informativo ecartografico. La Direzione generaledifesa dell’ambiente, con il supportodel Servizio sostenibilità evalutazione degli impatti, si occupadi VAS.

Regione SiciliaLe competenze sono dell’assessoratoal territorio e ambiente edell’assessorato ai beni culturali,ambientali e pubblica istruzione. Lastruttura tecnica di riferimento per lapianificazione paesaggistica è seguitadal Dipartimento regionale dei beniculturali e ambientali, tramitel’Ufficio per il piano territorialepaesaggistico regionale, mentre lapianificazione territoriale è dicompetenza dell’Ufficiopianificazione territoriale afferente alDipartimento urbanistica.Quest’ultima si occupa anche di VAS,con il supporto dell’Autoritàambientale e del Servizio VAS/VIA, edella gestione del sistemainformativo territoriale attraverso ilServizio cartografico e informativo.

Regione Valle d’AostaLa competenza è dell’assessorato alterritorio e ambiente. La strutturatecnica di riferimento è ilDipartimento Territorio che, tramitela Direzione Urbanistica, si occupa inmaniera unitaria di pianificazioneterritoriale e paesaggisticagestendone l’attuazione e, tramite ilServizio valutazione ambientale,organizza le attività tecniche eamministrative in materia di VAS.L’Ufficio cartografico e sistemiinformativi regionale provvede alleattività di raccolta e gestione dei datidi competenza nell’ambito delsistema informativo territorialeregionale e di informatizzazionedegli strumenti urbanistici.

Provincia di BolzanoLa competenza è dell’assessoratoall’urbanistica, natura e paesaggio,agenzia provinciale per l’ambiente,acque pubbliche ed energia. Lastruttura tecnica di riferimento è ilDipartimento all’urbanistica,ambiente ed energia che, che tramiteil Settore urbanistica ha competenzein materia di territorio e di gestionedel sistema cartografico, e attraversoil Settore natura e paesaggio sioccupa sia di panificazionepaesaggistica, con il supportodell’Ufficio ecologia del paesaggio,che di procedure VAS attraversol’Ufficio tutela del paesaggio.

Provincia di TrentoLa competenza è dell’assessoratoall’ambiente, lavori pubblici etrasporti. La struttura tecnica diriferimento è il Dipartimentourbanistica e ambiente, che tramite ilServizio urbanistica e tutela delpaesaggio si occupa di territorio, dipaesaggio e della raccolta dati delleinformazioni per la predisposizione egestione del sistema informativo. Leattività tecniche e amministrative inmateria di VAS sono seguite dallostesso Dipartimento.

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progetti per la valorizzazione del territorio,dell’ambiente e del apesaggio fluviale. È dasottolineare che anche il profilo e lemodalità attraverso le quali ora sidefiniscono le politiche e si conducono leattività di programmazione epianificazione hanno subito deicambiamenti, nel senso che si è assistito alpassaggio da modalità di tipo gerarchico-autoritarie alla ricerca di accordi sulla basedi scelte condivise; in altre parole si puòdire che si sta passando da modelli digovernment settoriale a pratiche digovernance basate sul metodo della co-pianificazione. Tali processi sono infattifinalizzati alla realizzazione di scenari disviluppo durevole, elaborati in modopartecipato, affinché siano ampiamentecondivisi. Gli “ingredienti” indispensabiliper la definizione di tali accordi sonodunque:– una comunità (Regione, Province,Comuni, Autorità di bacino, Associazioni,Imprese, Cittadini, ecc.) – un territorio geograficamentedeterminato (acque, suoli, insediamenti,aria, ecc.) – un insieme di politiche e di progetti adiversi livelli e scale di dettaglio.Questi elementi, da sempre in relazione traloro, devono quindi essere orientati versoobiettivi condivisi di riqualificazioneattraverso adeguati processi partecipativi.In questo senso si può affermare che iContratti di fiume, mobilitando lapartecipazione volontaria di tutti iprincipali attori che agiscono in undeterminato territorio per la definizione el’attuazione di azioni integrate, siconfigurano quali strumenti in grado disuperare le logiche dell’intervento settoriale

attraverso le quali sono state gestite sinoraanche le problematiche ambientali, afavore di un governo integrato delterritorio. Se le esperienze di Contratti difiume in Europa sono abbastanzanumerose e con una storia quasi decennalealle spalle, in Italia, invece, si tratta diun’esperienza relativamente recente (ilprimo caso riguarda il fiume Olona e risaleal 2003) e ancora poco diffusa (leesperienze attualmente in corsocoinvolgono i territori delle RegioniLombardia, Piemonte, Toscana e Marche).Il caso che di seguito viene presentato siriferisce al Contratto di Fiume del TorrenteSangone, in provincia di Torino. Esso sicaratterizza per essere stato un processodecisionale altamente inclusivo, che hacoinvolto una partnership mista e con unaleadership politica forte, che ha consentito,a poco più di un anno dalla firma delProtocollo d’Intesa, la sottoscrizione (marzo2009) da parte di 34 soggetti, del Contrattodi fiume. La nota di merito da sottolineareconsiste nel fatto che, nelle prassiconcertative, un anno è un tempoabbastanza breve per arrivare a definireazioni concordate, in considerazione deiconflitti e delle tante variabili di diversanatura (politica, finanziaria, burocratica,etc.) che entrano in gioco. Il processo èstato gestito dall’Assessorato Risorse Idrichedella Provincia di Torino, secondo unapproccio capace di creare una Cabina diregia rappresentativa sia dei soggettiistituzionali che di quelli economici, dotatadi una Segreteria tecnica qualificata eaddentro alle dinamiche del territorio esupportata da esperti per le questioni dicarattere metodologico legate agli aspettipartecipativi.

Che le questioni ambientali siamo ormaientrate nell’agenda del governo delterritorio ai vari livelli è un fatto accertatoma il dato nuovo è rappresentato dallatendente crescita di attenzione neiconfronti della risorsa acqua, sempre piùconsiderata una risorsa scarsa e nonriproducibile, per la quale vanno previstemodalità di regolazione e gestione diverseda quelle del passato. Con questo spirito èstata emanata la Direttiva 2000/60dell’Unione Europea, che indica il quadrodi riferimento per l’azione degli Statimembri in materia di idrografia, sottolineal’importanza di un’azione concertata ecoerente alle diverse scale di governo,sottolineando i concetti di consultazione epartecipazione del pubblico, come megliosottolineato nei contributi che seguono. Perquanto riguarda in particolare i fiumi,sembra che essi destino un rinnovatointeresse nel senso che non vengono piùconsiderati e letti quasi esclusivamentecome una minaccia ma ora vengonosempre più interpretati come una risorsada tutelare, valorizzare e sviluppare.“Restituire spazio e identità ai fiumi” è lospirito di fondo con cui si è mossa lanormativa in materia, dal livellocomunitario a quello nazionale e regionale,prevedendo una serie di strumenti emodalità operative pensati non solo perdare soluzioni alle situazioni di emergenzama per considerarli quali elementipeculiare del territorio, ben oltre il merodato geografico di contesto. Ciò hadeterminato un cambiamentonell’individuazione dei settori per ladefinizione delle politiche di riferimento:ecco allora che accanto agli interventi perla difesa del suolo, sono nati strumenti e

Tutela delle acque in Piemonte: il Contratto di fiume del Sangone

Tutela delle acque in Piemonte

a cura di Carolina Giaimo

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consentiranno di dare omogeneità aiprocessi dei futuri Contratti di fiume edi lago sul territorio regionale.Per quanto riguarda il bacino delSangone, la Provincia di Torino avevagià da tempo avviato progetti specificiper l’approfondimento delle conoscenzeterritoriali ed ambientali, finalizzati allariqualificazione di uno dei corsid’acqua maggiormente compromessidel proprio territorio. Tali conoscenzeavevano già portato ad individuare unaserie di criticità ambientali che sonostate via via ampliate con l’aggiunta dialtre criticità territoriali nel passaggioda “progetto” a “processo” che ha poicondotto alla firma del Contratto difiume del bacino del Torrente Sangonenel marzo 2009.

* Provincia di Torino.

che si debbano prevedere nel dettagliole fasi attuative di tali programmi,valutando la ricaduta che la loroapplicazione avrà sui soggettiinteressati e sul territorio e aprendouna fase concertativa che ne delinei unpercorso attuabile.Il Piano di tutela delle acquepiemontese, dunque, introduce principidi reciproca leale collaborazione tra gliEnti deputati alla gestione delle risorseidriche a scala di bacino idrografico edi partecipazione effettiva dei cittadinie prevede i Contratti di fiume o di lagoquali strumenti di programmazionenegoziata per l’applicazione del Pta sulterritorio; tali strumenti devonoperseguire la tutela e la valorizzazionedelle risorse idriche e degli ambienticonnessi nel bacino di riferimento,unitamente alla salvaguardia dalrischio idraulico.In sintesi, i Contratti di Fiume e diLago sono strumenti volontari digovernance, basati sul confronto e lanegoziazione; si concretizzano con lasottoscrizione di un accordo nel qualesi individua una vasta serie di azioniche, agendo sulle cause strutturali deldegrado dei fiumi, possono comportareun miglioramento della caratteristichequalitative delle acque, la prevenzionee il controllo delle piene, lasistemazione delle sponde, lavalorizzazione e la fruizione degliambienti fluviali e perifluviali.La Regione Piemonte ha previsto chesiano le Province a coordinarel’attuazione del Pta attraverso iContratti di fiume, in quanto entiintermedi in grado di gestire politichedi area vasta. Per avviaresperimentalmente sul territorio talistrumenti, la stessa amministrazioneregionale ha promosso un’attivitàpluriennale che prevede l’attivazionedei primi quattro Contratti di fiume(bacini di Sangone, Belbo, Orba eAgogna) e del primo Contratto di lago(Viverone) sul proprio territorio,affidandone il coordinamento alleProvince territorialmente competenti.I territori interessati dai suddettiContratti, sono stati scelti sulla basedelle loro specifiche criticità ambientalie rappresenteranno le esperienze pilotaa partire dalle quali verranno redatteapposite linee guida regionali che

Il quadro istituzionalee normativoGuglielmo Filippin*, Gianna Betta*

Con la direttiva quadro 2000/60/CE, ilparlamento europeo ha riconosciutol’assoluta necessità di ricorrere asistemi di gestione delle acque neiquali le politiche di governo e dicontrollo siano integrate alle altrepolitiche ambientali e di gestione delterritorio; il fine è quello delperseguimento di precisi obiettivi diqualità ambientale dei corpi idrici,contestualmente ad obiettivi dimiglioramento della sicurezza idraulica.In Italia la direttiva è stata recepita dalDlgs 152/2006 che si basa su obiettividi risanamento, recupero emiglioramento degli ecosistemiacquatici, uso sostenibile delle risorseidriche superficiali e sotterranee,attuazione di misure specifiche per lariduzione degli scarichi e delleemissioni nei corpi idrici e mitigazionedegli effetti delle inondazioni e dellesiccità. Inoltre, il decreto prevede comepunto fondamentale la partecipazioneattiva del territorio, Enti locali,associazioni di categoria, associazioniambientaliste, ecc., all’attuazione deipiani di gestione dei bacini idrografici.Su tale linea, l’Autorità di Bacino delPo sta predisponendo il Piano digestione del distretto idrografico delPo, che delinea la gestione dell’areaidrografica attraverso il coinvolgimentoattivo dei soggetti interessati.La Regione Piemonte, anche dietro laspinta attiva della Provincia di Torino,ha previsto l’applicazione delle normedel proprio Piano di tutela delle acque(Pta) attraverso strumenti dipianificazione integrata e di interventoa livello di bacino idrografico, checoinvolgono tutti i soggetti gestori efruitori della risorsa idrica.Il dettaglio dei programmi di misure edazioni proposti dal Pta richiedel’individuazione degli elementi specificisui quali applicare le misure, le prioritàlocali ed il reale fabbisogno economicodelle opere e delle azioni intraprese edelle relative ricadute economiche; lanecessità di dare operatività alle azionied alle misure previste dal Piano fa sì

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dall’altro il punto di partenza per lafase attuativa, si è dato avvio ad unaconcertazione, attualmente in corso,volta a strutturare i partenariati e adindividuare i possibili canali difinanziamento necessari pertrasformare le azioni condivise inprogetti concreti sul territorio. Nelcorso del 2008, infatti, al fine di darereale operatività al Piano si èpresentato e condiviso con i portatoridi interesse locali, pubblici e privati,l’Accordo istituzionale Contratto difiume del bacino del Torrente Sangone(Accordo ex art. 10 delle Norme delPiano di Tutela delle Acque e dell’art.2, comma 203, lett. a) della L662/1996) che ha rappresentato ilpresupposto essenziale per lasottoscrizione, da parte di 34 soggetti,del Contratto di fiume del bacino delTorrente Sangone (11 marzo 2009). Da allora ad oggi sono stati avviati itavoli tecnici relativamente alle azioniprioritarie del Piano, sono statepredisposte Schede di fattibilità,aggiornabili in base allo stato diavanzamento delle azioni progettuali,si sono organizzati incontri dicoordinamento della Cabina di regia.Il Contratto del Sangone risulta esserequindi nel vivo della sua faseattuativa mirata al raggiungimentodegli indirizzi strategici definitirappresentando così un primo esempionel panorama regionale e unaesperienza innovativa sia dal punto divista del metodo sia in termini diprocesso. Un ulteriore elemento qualificante èrappresentato dal progetto IDRA -Immaginare, Decidere, Riqualificare,Agire (Programma Provinciale INFEA),ideato dallo Studio Sferalab, checostituisce una articolata esperienza diaffiancamento del Contratto di fiumedel Sangone. A partire dal 2007 si èinfatti contribuito ad arricchire ildialogo e il confronto per ladefinizione del Piano d’Azione e lasua diffusione attraverso ilcoinvolgimento del mondo scolastico,della cittadinanza e del mondoaccademico. In particolare, attraversola collaborazione dei docenti delPolitecnico di Torino (II Facoltà diArchitettura-Dipartimento InterateneoTerritorio) e dell’Università degli Studi

facendo del Contratto di fiume delSangone un processo di co-responsabilizzazione e un nuovo mododi lavorare finalizzato a creare ipresupposti operativi per larealizzazione delle azioni progettuali.Con la sottoscrizione del Protocollo diintesa nel gennaio 2007 si è infattiavviata la fase di attivazione delprocesso: si è istituita la Cabina diregia, rappresentativa sia dellacomponente politica sia tecnica delleistituzioni coinvolte, per lacondivisione degli obiettivi e delleattività e si è formalizzata lacostituzione della Segreteria tecnica,quale struttura di coordinamentooperativo e metodologico. Ciò haconsentito l’organizzazione della fasepartecipativa, che si è svolta durantetutto l’arco dell’anno 2007, conl’obiettivo di ampliare il tavolo diconcertazione a tutti i portatori diinteresse locali coinvolgendoli in unprimo momento di confrontoattraverso un workshop diprogettazione. Sulla base dei risultatiemersi sono stati concertati tre assistrategici (Tutela, riqualificazione equalità ambientale del TorrenteSangone; Riqualificazione territoriale epaesaggistica delle aree perifluviali edel bacino del Torrente Sangone;Promozione, fruizione e valorizzazioneeconomica dell’area del TorrenteSangone) e si sono costituiti cinqueFocus Group ( Qualità ambientale delcorso d’acqua; Portata idrica adeguatain alveo; Difesa idraulica; Recuperodella qualità ambientale del bacino;Promozione integrata di iniziative difruizione ed eventi disensibilizzazione).In questa fase, l’elaborazionedell’indirizzario dei “portatori diinteresse”, la ricognizione delmateriale progettuale già esistente e laraccolta di segnalazione sulle criticitàpresenti nel bacino, la condivisionedel piano di comunicazione, laconduzione metodologica e difacilitazione hanno rappresentatol’impostazione di base caratterizzantel’intero processo di partecipazione delContratto di Fiume del Sangone. Con la definizione del Piano d’Azione,che da un lato rappresenta il risultatofinale del processo di confronto e

Il processo dipartecipazione Cinzia Zugolaro*, Valeria Di Marcantonio*

Partendo dal presupposto che ilContratto di fiume promuove accordiformali fra le parti contraenti perl’implementazione di azioni edinterventi con oggetto il fiume e ilsuo territorio configurandosi come unaccordo volontario volto a definireobiettivi, strategie d’intervento, azionida implementare e competenze, nelcaso specifico del Sangone si èindividuato nelle condivisione delleinformazioni relative al corso d’acquae nella diffusione di una culturasostenibile dell’acqua, i presuppostiper avviare la concertazione coisoggetti locali al fine di individuare lestrategie opportune relative allepriorità di intervento. Ciò hapresupposto una preventivaconoscenza ed analisi delle criticitàche insistono sul bacino idrograficoche ha successivamente consentito lastrutturazione del Forum e la suaarticolazione in Focus Group.Facilitatori esperti di progettazionepartecipata, appartenenti allo StudioSferalab**, hanno pertanto condotto ilavori nei Focus Group con l’obiettivodi condividere obiettivi, azioniprogettuali, tempistiche, soggetticoinvolti e risorse finanziarie, al finedi definire una piattaforma diinterventi da inserire nel Piano diAzione quale documentoprogrammatico di riferimento per lasottoscrizione di accordi volontari fragli enti istituzionali, soggetti privati epubblici del territorio relativi allarealizzazione delle azioni progettualicondivise. In questo contesto determinante èstata la partecipazione del territorio alprocesso di confronto, che harappresentato uno strumento in gradodi aumentare la consapevolezza e laconoscenza delle problematiche localicreando una visione d’insieme econdividendo progettualità specifiche.Attraverso lo scambio di informazioniè stato infatti possibile diffondere evalorizzare i progetti e le conoscenze

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Il Contratto comestrumento di governoAngioletta Voghera*

Il Contratto di fiume (Cdf) è strumentodi governo del territorio innovativoutile a individuare strategie, azioni eregole condivise per la riqualificazioneambientale e paesaggistica, economicae sociale di un bacino fluviale (2°Forum Mondiale dell’acqua), in lineacon gli obiettivi della WaterFramework Directive 2000/60CE. LaDirettiva pone le basi per garantire neibacini fluviali un’adeguata quantità equalità di acqua per le generazionifuture, oltre che per la sicurezza dellepopolazioni che vivono lungo i fiumi,integrandosi con le strategie europeeper il cambiamento climatico e lasostenibilità. L’acqua è risorsa fondamentale per lavita delle popolazioni e degliecosistemi, ma è anche un importantefattore di identità e di sviluppoeconomico per i territori afferenti adun bacino fluviale. Considerazioniqueste poste al centro del Piano ditutela delle acque della RegionePiemonte (Pta 2007), che è Pianostralcio di settore del Bacino del FiumePo (piano di settore attuativo evariante del Piano territorialeregionale). Il Pta fissa obiettivistrategici per la salvaguardia delleacque a partire dalla valutazione di: lostato complessivo degli ecosistemi(alveo, sponde e aree perifluviali), lacompatibilità degli usi del suolo e lepressioni insediative, i comportamentisociali e culturali legati alla acqua, chepossono influenzare direttamente oindirettamente il corpo idrico; essoattribuisce inoltre alle Province ilcompito di dare attuazione a questeindicazioni sul proprio territorio,attraverso la definizione di Contratti difiume costruiti a partire da un direttocoinvolgimento di tutti i soggetticoinvolti nella gestione e nellafruizione della “risorsa acqua” (attoriistituzionali, economici e sociali). Lastessa revisione del Piano territorialedi coordinamento provinciale (Ptcp2,2009) promuove gli obiettivi di:miglioramento della qualità delle

contenuti che di comunicazione.Inoltre, la complementarietà deicontenuti tematici presentati neiMasterplan (fruizione, riqualificazione,parco agrario, ingegneria naturalistica)e la possibilità di integrare ancheterritorialmente le proposte progettualiavanzate, permetteranno l’elaborazionedi un unico Masterplan che riguardil’intera area del bacino del torrenteSangone con una particolareattenzione ai modelli insediativi e allemodalità di espansione del tessutourbano che tiene conto della realtàdell’ecosistema fluviale e dellenecessità di conservazione erinaturazione delle aree perifluviali.

*Studio Sferalab.

**Lo Studio Sferalab ha costituito il supportometodologico-scientifico e di facilitazione inerente leattività della Segreteria tecnica del Contratto di fiumedel bacino del Torrente Sangone.

di Torino (Facoltà di ScienzeMatematiche Fisiche e Naturali-Dipartimento di Biologia Animale edell’Uomo) si è consolidato ilcoinvolgimento del mondo accademicoe degli studenti in un Bando diConcorso di progettazione mirato allarealizzazione di un Masterplan delPiano d’Azione del Contratto di fiumedel bacino del Torrente Sangone. IlBando ha infatti avuto lo scopo diottenere il disegno dell’area inquestione definendo la forma e ilcontenuto della trasformazionedell’ambito territoriale, dallamorfologia all’architettura facendo delMasterplan uno strumento dicomunicazione del Piano d’Azione delContratto di Fiume. I Masterplan consegnati il 1 giugno2009 sono stati valutati da unacommissione composta dai membrifacenti parte della Cabina di Regia delContratto di Fiume che si è attenuta,nella valutazione, ad elementi digiudizio riguardanti: il contenutoconcettuale; l’apporto innovativo delprogetto; la fattibilitàtecnico/economica; la completezza ela chiarezza esplicativa degli elaborati;la valenza interdisciplinare. I soddisfacenti risultati ottenutievidenziano come la sperimentazionedi un lavoro interdisciplinare siarisultata vincente sia in termini di

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La sottoscrizione del Contratto di Fiume del bacino del torrente Sangone (11 marzo 2009).

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Il Cdf del Sangone costituisce infattiun’interessante occasione per dareattuazione alla Convenzione Europeadel Paesaggio (CEP; CoE, 2000) e allasua recente raccomandazione perl’operatività (2008) in un territoriofluviale con caratteri di sensibilità e difragilità. La CEP assegna infatti unruolo centrale alle istituzioni e allepopolazioni nella costruzione deipropri paesaggi. L’esperienza del Workshop per ladefinizione del Masterplan del Pianod’azione del CdF che, insieme aRoberta Ingaramo, Francesca Bona e aipartners istituzionali e privati delprogetto di sensibilizzazione IDRA miha vista impegnata nell’indirizzare glistudenti, ha contribuito a definirecinque diversi scenari progettuali perla creazione di una nuova immaginedel Sangone, a partire dalle strategiedel Piano d’azione del Cdf. IMasterplans propongono visioniterritorializzate del fiume e del suoterritorio che integrano, anche a finituristici, le azioni di difesa e tuteladelle sponde e della qualità delleacque, con la valorizzazioneambientale e paesaggistica, fornendoindicazioni per i Prg e i progetti localinella direzione dello sviluppo localesostenibile. I piani d’area vasta sonoesito del processo di partecipazione,cui lo stesso Workshop fa parte e sifondano su una visione condivisa delfiume e del territorio peri-fluviale piùampia di quella definita dal Piano dibacino del fiume Po, volta acomprendere il territorio rurale eurbanizzato prossimo al fiume cheintrattiene con il Sangone relazioniculturali, simboliche ed economiche. Ipiani d’area integrano le progettualitàlocali riconoscibili sul territorio(formalizzate nei Pti, negli stessi Prg enegli obiettivi degli 11 Comunicoinvolti) attraverso:- affondi progettuali di dettaglio cheinvestono le aree degradate e dismesse,gli orti urbani, le cave, le aree verdipubbliche sottoutilizzate e davalorizzare dal punto di vistapaesaggistico;- il progetto delle reti ecologiche efruitive lungo il fiume e nel territorio,con l’obiettivo di interconnettere ilsistema ambientale fluviale con la rete

Piemonte di pianificazione eprogettazione partecipata di un bacinofluviale e del suo territorio (conclusasinel marzo 2009 con la sottoscrizionedegli indirizzi del Piano d’azione); essocostituisce infatti uno strumento diprogrammazione negoziata per lariqualificazione del fiume e del suoterritorio, fondato su un percorso dicopianificazione finalizzato allarealizzazione di scenari di sviluppodurevole condivisi. Esso costituisceinfatti un interessante sperimentazionenella direzione di costruire piani eprogetti d’area vasta e locali secondoun approccio bottom-up, che si fondasul coinvolgimento diretto degli attoriistituzionali e sociali e dellapopolazione (partecipazione a forum,workshops e assemblee) per ladefinizione di prospettive condivise disviluppo territoriale e di valorizzazionedel paesaggio. Il Contratto di fiume del Sangone, sulmodello degli strumenti di gestione deifiumi di Germania, Francia, Spagna edell’olandese sistema concertato per lacostruzione e gestione partecipata dellenuove terre (polder model; Voghera,2006), considera la riqualificazione dibacino nella sua accezione più ampiache interessa gli aspetti paesaggistico-ambientali, a partire dalla lettura deisistemi idrogeologico, geomorfologico,oltre che dell’evoluzione degliecosistemi naturali e dei sistemistorico-culturale, insediativo e socio-economico locale.

acque e razionalizzazione dell’uso,valorizzazione dell’integrità ecologicadelle fasce fluviali e ricostruzione deipaesaggi, attraverso una nuovagovernance dei territori fluviali. La governance dei territori fluviali sideve fondare su una partecipazione neicontratti di fiume e nei progettistrategici delle comunità locali perdefinire scelte di gestione e di sviluppoterritoriale condivise. Il Cdf siconfigura quindi come strumentoflessibile, utile per comporre a livellolocale i conflitti e gli interessimediante processi negoziali, aderentialle vocazioni territoriali e capaci difar dialogare i diversi strumenti diprogrammazione e progettazione degliinterventi socio-economici con quellidi pianificazione territoriale eurbanistica. In questo modo il Cdfriesce a integrare azioni territoriali epaesaggistiche diverse previste dalPtcp2, segnatamente rivolte a: - realizzare lungo i fiumi la reteecologica,- ripristinare la naturalità dell’alveo evalorizzare le aree di maggior pregioambientale e biodiversità, - indirizzare i Prg a più idonei usi delsuolo integrando la gestione delterritorio, delle acque e delle praticheagricole, - promuovere progetti d’area vasta perla valorizzazione del territorio e delpaesaggio peri-fluviale.In linea con il Ptcp2, il Cdf delSangone è la prima esperienza in

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Il territorio coinvolto nel contratto.

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ristrutturazione o completamento haspinto alcune amministrazioni francesia rivedere la formulazione dellostrumento del concorso d’idee, nonponendo un obiettivo univoco matentando la strada delladifferenziazione per filoni di proposteche possano coinvolgere più equipesinterdisciplinari, con interessi eprospettive che, solo in apparenza,sembrano differenti ma in realtàoffrono soluzioni interessanti edintegrabili. È il caso del ConcoursInternational d’Idées “Urbanisme etdéveloppement durable” che ha avutocome oggetto un territorio di circa36.000 ettari nell’area sud ovest diParigi e interessa 49 Comuni e dueDipartimenti, nei territori dell’OIN.L’intento di trovare strategieinsediative che possano tutelare questiterritori perché non vengano inglobatinell’estesa sub-urbanizzazioneparigina, ha condotto a proposte che,come si evince dagli stessi documentidi concorso, non hanno alcuna pretesadi esaustività, ma vogliono esserestimolo per un’attenta ricerca esperimentazione. L’objectif du concoursn’était pas de primer un schéma

risultare efficaci, in relazione ai tempiestremamente rapidi nei quali sievolvono necessità, aspettative e modidi vita delle nostre popolazioni. Marisultano invece solidi i riferimentireali, fisici dei paesaggi, che sipongono quali punti di partenza persviluppare le nostre ricerche esperimentare i nostri percorsiprogettuali.L’abuso del termine sostenibile, spessoutilizzato in modo “vago, che oscillatra un termine ed un concetto cheevoca ambientalismo” (Mela 2009),riferito indistintamente a progetti digenere e scala differenti, pare porsiquale garante di una certa qualità,spesso utilizzando sistemi e tecnologieche da soli, migliorano sì i singolirendimenti degli edifici in progetto, manon sono attori di vere strategieapplicabili a piani, politiche e progettinell’ottica di ricerca di una realesostenibilità, le cui ricadute sui nostriterritori siano tangibili edindividuabili.La necessità di un rinnovamento nellaconcezione progettuale dei nostriinsediamenti o, come spesso accade, diuna loro riorganizzazione,

dei beni storico-cultrurali nel territoriofluviale (monumenti e cascine storiche)per rafforzare l’offerta fruitiva delnuovo sistema fiume;- la definizione di un limite alleespansioni insediative dei comuni cheesercitano sul bacino forti pressioni;- l’individuazione, a partire dallalettura dei PRG, di aree di espansioneinsediativa prossime al fiume, daprogettare secondo criteri tipologici etecnologici della sostenibilità. Questiprogetti urbanistici attuativicostituiscono una sperimentazione diinsediamenti che rispondono alleesigenze imposte dal cambiamentoclimatico; essi possono essere anchefonte di risorse economiche per icomuni nell’ottica dell’attuazione degliscenari progettuali del Piano d’azionedel CdF.

* II Facoltà di Architettura, Politecnico di Torino.

Riferimenti bibliografici:Brunetta G., Voghera A., 2008, “Evaluating Landscapefor Shared Values: Tools, Principles, and Methods”,Landscape Research, 33:1, 71 – 87.Johnson H. D., 1995, Green Plans: Green prints forSustainability, University of Nebraska Press, Lincoln. Voghera A., 2006, Culture europee di sostenibilità.Storie e innovazioni nella pianificazione, Gangemieditore, Roma, pp. 156.

Il contributodell’architetturaRoberta Ingaramo*

Strumenti di governo del territorio,quali nel nostro caso il Contratto difiume, introducendo la partecipazionevolontaria, tentano la ricerca di stradeinnovative per il progetto di scalavasta. La necessità diffusa a livellointernazionale di ripristinare naturalitàdegradate, restaurare paesaggideformati dall’incessantecementificazione, creare nuovipaesaggi e rendere sostenibili i nostriinsediamenti, vuole e impone progettiche si facciano carico disperimentazioni tipologiche ecompositive.Ardua appare l’individuazione di nuovimodelli di riferimento per laprogettazione architettonica, ponendoanche in discussione la reale necessitàdi crearne di innovativi che possano

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Il Sangone, la fruizione.

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connessioni tra le singole componentie con il paesaggio di appartenenza. Laformulazione di tali ipotesi integraterichiede competenze diversificate chesi avvalgano anche del contributodelle comunità locali e delle istituzionipreposte al governo dei loro territori,in una visione che vuole un progettod’architettura, privo di derive autocelebrative, quale efficace strumento divalorizzazione.

*Facoltà di Architettura, Politecnico di Torino.**Tratto dalla relazione finale che illustra i risultatidel concorso.

Riferimenti bibliografici:Davico L., Mela A., Staricco L., 2009, Città sostenibili.Una prospettiva sociologica, Carocci EditoreFarina V., 2005, In-between e paesaggio, condizione erisorsa del progetto sostenibile, Franco Angeli,Milano.Ingaramo R., 2009, Dall’immagine del costruito allacostruzione del progetto, Celid, Torino.

la sperimentazione di cinque ipotesi. Tali ipotesi hanno analizzatoproblematiche ambientali enaturalistiche del fiume in relazione ascelte progettuali che, partendo dadisegni di ampia scala, si sono spinteverso soluzioni più puntuali prendendoin considerazione ambiti specifici,individuati come prioritari oggetti diinterventi nel Piano d’azione del Cdf. Iltentativo d’integrazione tra laprogettazione urbanistica e quellaarchitettonica ha dato i primi risultatinell’individuazione di focus point versocui indirizzare il lavoro futuro,partendo dalla necessità di individuare:limiti fisici per l’edificazione deicomuni limitrofi al corso d’acqua,sistemi di organizzazione dei tessutiesistenti di difficile categorizzazione,nuove modalità operative in aree ditrasformazione che prevedanoedificazione o ristrutturazione dimanufatti esistenti, un sistemacondiviso e riconoscibile che ponga inrete patrimoni esistenti. Inoltre èemersa la necessità di un progettopuntuale di elementi che storicamenteappartenevano alle disciplinedell’ingegneria e che sempre più spessointegrano funzionalità, tecnologieavanzate e forma architettonica, bastipensare a tutti i sistemi di regolazionedel flusso idrico o alle centraliidroelettriche che in numero rilevantesono localizzate nell’alta Val Sangone.Il progetto si è rivelato lo strumentopiù adatto per porre a confrontosoluzioni ed ipotesi ma ancora ibridisono i tentativi di creare modelli diriferimento. Recentemente alcuni studidi architettura hanno tentato diindividuare strade innovative perl’abitare contemporaneo, vedi la casa100k di Mario Cucinella o il progettoMore with less dello studio Cibic andpartners, che seguendo la strada dellaconcezione modulare prefabbricataoffrono soluzioni flessibili epersonalizzabili, nell’ottica di progettiche si differenziano a seconda delleesigenze del singolo.L’individuazione di schemi edilizi diquesto tipo richiede una lorointegrazione con analoghe visioni deglispazi aperti, pubblici e privati, deiterritori rurali e ricreativi, delle aree ditutela e del relativo sistema di

d’urbanisme monolithique défini unefois pour toute, mais d’alimenter laréflexion autour d’une stratégie globaled’aménagement sur la longue durée,combinant les notions de projet –dessinant à grands traits l’avenir duterritoire – et de processus –identifiant les outils adéquats tantpour tenir le cap du projet que pourêtre en mesure de changer de cap sinécessaire**.Per quel che riguarda l’approccio alprogetto, appare interessante l’ipotesidi identificare un nuovo modelloinsediativo che non si limiti alladefinizione della tipologia edilizia, chedovrebbe essere estremamenteflessibile, ma che sia applicabile asezioni estese di territorio, ponendosullo stesso piano gerarchico pieni evuoti, aree rurali, spazi verdi pubblici,spazi aperti privati ed edifici.Tale approccio, ampiamente condivisoin linea teorica da chi si occupa delprogetto, nella realtà trova enormidifficoltà applicative dovute: in parteai differenti regimi proprietari cheriguardano aree molto estese condestinazioni diversificate, definite daiPiani regolatori ma in grande misuraalla difficile resa economica checomporta l’investimento su spazipubblici ed aree agricole. Tale aspettopotrebbe essere superato soloattraverso un importante intervento esostegno da parte delleamministrazioni locali che dovrebberopercepire il ritorno a lungo termine diinvestimenti di questo tipo o attraversoun loro intervento per perequare idiritti dei privati.Nel caso del bacino del Sangone, ilCdf offre una reale opportunità didefinizione di strategie globali chesuperino i confini amministrativi per“restaurare” territori in partefortemente compromessi o cheattendono decisivi interventi divalorizzazione di patrimoni naturali estorico-architettonici di indubbiovalore.Il mio coinvolgimento in qualità ditutor dei gruppi che hanno partecipatoal Workshop e al bando di concorsocorrelato per l’elaborazione di unMasterplan del bacino del Sangone, miha dato l’opportunità, lavorando congruppi interdisciplinari, di indirizzare

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N. 2 , 2009

Il Piano al tempo della crisi.

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una finestra su:

totale cessazione delle attivitàindustriali connesse allatrasformazione dei minerali. Duegrandi fabbriche metallurgiche stannoancora producendo, ma il ritmo diproduzione e il loro impattosull’ambiente sembra ora contenutorispetto a quanto è accaduto daldopoguerra fino ai primi anni ’90.Baia Mare negli ultimi quindici anniha intrapreso un percorso che vuoletraghettare la città verso forme dieconomia più legate ai servizi e allenuove tecnologie, e soprattuttoaffrontare i gravi danni ambientalilasciati sul territorio dalla coltivazionedelle miniere, ma principalmente dallatrasformazione dei minerali. Questopercorso di definizione di uneconomia post-industriale non èfacile. A Baia Mare c’è un importanteknow-how nella metallurgia enell’ingegneria mineraria, ma anchealtri settori industriali si stannofacendo strada o hanno già una lungatradizione, e non mancano né lescuole né una buona università pergenerare quella conoscenza che possaaprire nuove prospettive. Baia Mare è, ed è importantericordarlo, il luogo dove si è originatoil più grande disastro ambientale inEuropa dopo Chernobyl:l’inquinamento del fiume Tisza (unaffluente del Danubio), avvenuto nel2000, a causa della tracimazione di unlago artificiale della miniera d’oroEsmeralda1. Baia Mare, infine, è ancheil luogo dove è partito il primoesempio di rilancio di un centrostorico in Romania, addirittura prima

a cura di Marco Cremaschi

Baia Mare traquartieri creativi einsediamentiPietro Elisei*

Non manca la fantasia a sospingere laricerca di creatività dei baiamareni.Un alone di storie fantastiche, chehanno come soggetto le conseguenzedel forte inquinamento da metallipesanti, definisce un immaginario sulquale è improbabile, epresumibilmente inutile, cercare dicostruire o riscoprire identità. Quandoin Romania si parla di Baia Mare, c’èsempre qualcuno che ha una storiaraccapricciante da raccontare suglieffetti delle piogge acide o sullacontaminazione dei suoli, unamitologia ricca di personaggi e fattisurreali, come in tutti le narrazionifantastiche che si rispettino. Ma ilmito in questa città ha ragioniprofonde ad alimentare le propriestorie, drammi reali e recenti cheancora sono visibili nel tessuto evissuto urbano-territoriale.Baia Mare (Rivulus Dominarum oFrauenbach) è situata in Maramures,nel nord-ovest della Romania. Questacittà di 150.000 abitanti è stata perlungo tempo una città mineraria conconnesse aree industriali per latrasformazione di rame, piombo,argento ed oro. Dopo la rivoluzionedel 1989 è iniziata la sua de-industrializzazione. I risultati di questaoperazione hanno portato alla totalechiusura delle miniere, ma non alla

A diciotto anni dalla rivoluzione delNatale del 1989, e al contrario dialtre nazioni dell’ex Patto diVarsavia, la Romania non ha ancoratrovato una via d’uscita dall’empassepolitica ed economica seguita alcrollo del regime. La Romaniapermane tra le nazioni piùdinamiche tra i paesi dell’UnioneEuropea in termini di Pil, ma il suoritmo di crescita sta rallentando.L’instabilità politica sta minando lafiducia degli investitori. L’economiaè fragile, la politica è affetta da uncontinuo trasformismo, le necessarieriforme strutturali sonocontinuamente rimandate. Letrasformazioni nelle città sonovisibili ma non sono chiare lestrategie per l’ambiente e ilterritorio. Particolarmentedrammatiche sono le situazionidell’agricoltura e di alcuni villaggirurali; dovunque nel paese si trovanoimpianti industriali abbandonati eterreni altamente contaminati (oli,metalli pesanti…). Inoltre, lapopolazione Rom si concentra inslum nelle periferie delle città.

Romania

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decisamente operativa, quasi unaurban task force, e si è inserita la“questione zigana” all’interno dellepolitiche urbane. Questa è stata lascommessa dell’approccio Sper,relativizzare la questione degli slum,evitare di collocarli al di sopra dellerighe, ma inserirli nel processo ditrasformazione urbana. E’ nel parlaredi trasformazione urbana, dirigenerazione e di “progetto urbano”che si è poi arrivati a intraprendere ilpercorso che ha portato il municipio acapire la necessità di elaborare unpiano strategico.Il Piano strategico è iniziato da circatre mesi, chiaramente non ha ancoratrovato nessuna soluzione né perCraica né per i gravi problemi legatiall’estesa (in larghezza e in profondità)contaminazione dei suoli, ma haattivato un gruppo permanente dilavoro, all’interno del municipio, chesi occupa di tener vive le questioniurbane all’interno dell’agenda politica:cosa da non dare per scontata inambito rumeno. Le questioni urbaneentrano usualmente nelle agendepolitiche dei comuni rumeni solo perquestioni di speculazione edilizia, orasi ragiona su diverse proposteprogettuali al fine di trovare soluzionicondivise ed efficaci. Il primo passodel piano strategico è stato quello direalizzare un poster plan che,attraverso la definizione di alcuni assiconcettuali, orientasse il land usemanagement. La metodologia alla basedel piano strategico non è innovativa,segue fondamentalmente i passi di uncomprehensive plan, seppurparzialmente partecipato: èespressione di una community ristretta(tecnici, politici ed esperti), che però èdecisamente inter-settoriale, epermanentemente alla ricerca di unurban dialogue con tutti i possibiliattori locali, siano essi i Rromi, laworking class o i direttori dei grandicombinat metallurgici. Il titolo del piano è: Baia Mare cittàcreativa ed innovativa. La scommessadi questo piano è nell’individuare emettere a sistema quelle potenzialitàche effettivamente riescano adinnescare nuove forme di economia. Ildiscorso del piano vuole in principioessere da una parte di continuità,

collocati ai margini delle città rumene,indifferentemente uguale a qualsiasialtro, in non importa quale altra città.Uno slum, una delle tante sacche dipovertà urbana, come tutte lebidonville del mondo, un agglomeratodi baracche erette con mattoni,bandoni di latta, pezzi di legno e altrivari materiali: non sono forse, infondo, tutti uguali gli slum delmondo? Il caso Craica però è diverso. In realtàognuno degli insediamenti Rromi èdiverso dall’altro. Gli insediamentiRromi sono legati in un rapportosimbiotico con le città in cui sonocollocati e spesso integrati: il nodo dasciogliere è proprio lacaratterizzazione politica, economica,sociale e culturale di questaintegrazione. Questo rapportosimbiotico con le città, unito allediverse specializzazioni funzionali diquest’ultime, ci fa capire come ogniinsediamento abbia delle suespecifiche forme di economia e unproprio expertise3.Nell’ambito del progetto Sper si sonoaffrontati i problemi di Craicaconsiderandoli come parte di unprocesso di pianificazione area based,alla pari con tutti gli altri problemilocali: si è lanciato un dialogo au pairnell’ambito di una partnership

della blasonata riqualificazione delcentro di Sibiu (città poi destinata adiventare capitale della culturaeuropea nel 2007). Il progettoMillennium di Baia Mare è stato ilprimo esempio di rilancio erifunzionalizzazione di un centrostorico attraverso la realizzazione diattività economiche legate agli eventi(culturali, economici, sociali) e alleisure: la best practice da seguire,l’esempio che forme di economiainnovative e soft sono perseguibili. L’idea di lanciare un piano strategico aBaia Mare però, anche un po’paradossalmente, non nasce dallanecessità di dover metter mano allaquestione ambientale (che rimanecomunque un tema da affrontare sulbreve-medio periodo), e nemmenodalla consolidata fama del progettoMillenium, ma spunta da un inputriconducibile a questioni di povertàurbana, nello specifico dirigenerazione urbana di un’areapopolare (Vasile Alecsandri) a ridossodelle due grandi aree industriali ad ested ovest della città, dove risiedevanole famiglie della working class e dovesi trova il più noto, a livello locale,degli insediamenti informali di Rromi:Craica2.Craica, a prima vista, sembra uno deitanti (centinaia) di insediamenti Rromi

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Baia Mare, Piazza Millenium.

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dall’altro di rottura. La continuità ènel non voler perdere la conoscenzalocale nel campo minerario emetallurgico, capire come riconvertirequesta conoscenza di tecniche etecnologie. La rottura è nel sapercontemporaneamente iniziare apensare una città che sappia guardareal di là del suo passato industriale. Ilpiano si determina intorno a sette assiconcettuali (business environment,accessibility and mobility, ecologicalnetworks and public sapce, urbanregeneration areas, cultural and socialnetworks, governance and istitutionalbuilding, the metropolitan area) che aloro volta si strutturano attraverso deitemi settoriali. Gli assi concettualiriassumono i tre campi di azione delpiano strategico: la civic fabric, la cityfabric e la regional fabric.

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PPoolliittiicchhee uurrbbaannee iinn RRoommaanniiaa

La Romania investe sulle sue città molto di più di quanto sia stato messo a disposizione nel periodo 2000-2006 per la ri-generazione urbana in tutta Europa. Dopo le esperienze introduttive dei phare, sapard e ispa, il periodo di programma-zione Ue 2007-2013introduce nel contesto rumeno un energico intervento sulle città. Un intero asse del piano operati-vo indirizzato alle regioni (Por) punta sulle città e sugli integrated urban development plans, con quasi 1,4 mld. di euro(per un confronto, Urban2 ha investito solo 800 ml. di euro). Nelle condizioni di governance istituzionale presenti in Ro-mania, è un’impresa titanica. Nel 2008, l’asse della rigenerazione urbana era l’unico asse del Por ancora non attivato. Le necessità presenti sul territo-rio, l’esigenza di definire un paniere credibile di progetti su cui investire i fondi strutturali, gli interessi politici (non sololocali) inevitabilmente connessi alla gestione, ma anche ai potenziali risultati delle operazioni correlate all’uso dei fondiUe hanno prodotto una situazione di quasi stallo.Dopo diverse ridefinizioni delle regole del gioco, si sta ora delineando una strategia lontana dall’approccio territorialeintegrato, favorendo invece i grandi progetti infrastrutturali. Ulteriori investimenti stanno per essere mobilitati al fine diredigere dei master plan per le aree metropolitane, non ancora indicate dal ministero per lo sviluppo regionale. Rifacen-dosi alle liste ufficiose circolanti, molti dei potenziali poli di crescita non hanno mai seriamente considerato di sviluppa-re le aree metropolitane. Il sistema di distribuzione dei fondi prevede per queste città l’individuazione di “progetti individuali” coerenti con unmaster plan che dovrebbe, nel giro di pochi mesi, mettere a sistema visioni strategiche per aree metropolitane, conflittidi governance tra i diversi livelli amministrativi, e un numero di rilevanti progetti “integrati” (finanziabili singolarmentefino ad un massimo di 45 ml. Euro). L’eredità politico-culturale rumena ritarda l’attivazione di un sistema di governo del territorio che consenta pienaespressione alle città. La propensione ad accentrare i processi decisionali, per ragioni storiche riconducibili alla recenteesperienza di socialismo reale, sta rallentando le rilevanti potenzialità dell’investimento strutturale nelle aree urbane. Le controversie e le inefficienze nel rapporto tra città e sistema centrale rischiano di aprire dei conflitti di difficile ge-stione che, con molta probabilità, determineranno la parziale perdita dei fondi Fesr e Fse. L’assenza di un chiaro disegnodi governance istituzionale che sia responsabile di processi formali di coordinamento e pianificazione non fa che au-mentare le inerzie nella spesa dei fondi strutturali, inerzia rinforzata anche dall’assenza di prospettiva a livello locale edall’incapacità di diverse amministrazioni pubbliche comunali di definire un insieme di progetti strategici e coerenti perun medio-lungo periodo.

Pietro Elisei

Baia Mare, aree e corridoi ecologici: poster plan. Fonte: tavola elaborata da Pietro Elisei

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cinquanta anni di “comunismorazionalista”, e i quasi due decenni dierrori compiuti nella fase ditransizione post-comunista. È comecercare di suonare un’armonica per laprima volta, facendo molta pressione,ma senza ottenere della musicadecente, e guastando le potenzialitàdello strumento. L’urbanistica post-comunista assomiglia a un vaso diPandora, da cui si riversano desideri efrustrazioni (specialmente quelli legatialle abitazioni private e alle automobilidi grossa cilindrata) che vanno aincidere sullo sfondo di una cornicelegale inadeguata e troppo permissiva.Ancora dopo diciotto anni ditransizione verso la democrazia, idecision maker rumeni non riescono acapire che l’urbanistica è unostrumento potente, e non sanno comeadoperarlo per il bene dei cittadini. Lamaggior parte delle ultime operazioniurbane sono state dirette alleinfrastrutture stradali e al restauro diedifici o aree storiche, in occasione piùche altro di tornate elettorali o eventiinternazionali. Non c’è alcuna visioneo pianificazione strategica.

L’asse città

La nuova condizione di stato membrodell’Unione europea, a partire dalgennaio 2007, può contribuire alcambiamento in questo campo. Aquesto proposito, nel quadro del FondoEuropeo di Sviluppo Regionale, il Por2007-2013 per la Romania contienedei provvedimenti per progettiricadenti nell’Asse Prioritario 1(Supporto allo sviluppo sostenibile deiPoli di Crescita). Questo asse è ildiscendente lineare dei programmi

Note1. Le conseguenze di questo straripamento portaronoil livello di cianuro nelle acque del fiume araggiungere livelli di 7800 mg/L, ovvero mille volte illivello di sicurezza per gli esseri umani (flora e fauna,non solo acquatiche, lungo i bacini dei fiumicompletamente compromesse). Anche altri metallipesanti furono riversati nel fiume arrivando fino alDanubio (piombo, alluminio, rame, zinco) conconcentrazioni al di sopra di ogni accettabile limite, epersistettero così alte fino a 650 km dal luogo dellacontaminazione.2. Baia Mare è stata scelta nell’ambito dal progettoSPER (Stop Prejudeca?ilor despre Etnia Româ -www.sper.org.ro) come una delle città pilota dovesperimentare dei partenariati con la popolazioneRromi, al fine di redigere dei progetti da inserirecome prioritari nei piani integrati per la rigenerazioneurbana dei poli di sviluppo finanziati attraverso ilFesr (asse 1 del Por rumeno 2007-2013). A Baia Mareci sono ben sette insediamenti informali dei Rromi,Craica è quello più noto e costantemente sotto gliocchi dei media, ed è proprio collocato sul confinemeridionale del quartiere popolare Vasile Alecsandri. 3. In realtà la distinzione è ancor più minuziosa:all’interno di una stessa città i diversi insediamenti sidifferenziano attraverso le loro specializzazionifunzionali; gli ecologisti (quelli che vivono a ridossodelle discariche), gli operai (quelli che vivono aridosso delle aree industriali) e così via. Convivonoall’interno di una stessa città sia insediamentidiscretamente organizzati, dotati di infrastrutture eservizi con case costruite secondo precisi modelliculturali e con una specifica “conformazioneurbanistica”, sia le peggiori baraccopoli, cioè delleinformi baracche che a mala pena proteggono dalleintemperie.

Un nuovo approcciocon i Fondi strutturaliSimona Pascariu*

Le città rumene presentanotradizionalmente caratteristiche urbanee architettoniche molto variabili daregione a regione, grazie a una serie difattori geografici e storici. Ci sono peròdue cause principali che hannoindebolito notevolmente il fascino diqueste diversità: l’influenza di

Dopo i primi tre mesi di lavoro iconcetti e le idee elaborati fannopendere l’ago della bilancia più versola rottura che verso la continuità. Ilproblema fondamentale di questo pianoè che, a ogni buon conto, si lega il suosuccesso alla capacità di intercettare ifondi strutturali. Se da una parte èassolutamente comprensibile chequesto sia il criterio che stabilisca labontà del piano, dall’altra si sacrificanosull’altare dei fondi strutturali tuttequelle idee più ardite e più idealiste chepotrebbero connotare una svoltaeffettivamente strategica. Spesso tuttociò che fa prospettiva è posto insecondo piano per far spazio ai progettiche i fondi Eu, si sa, finanzieranno:tendenzialmente infrastrutture constudio di fattibilità già pronto. Questanecessità di far cassa sta creando unprocesso di piano a due tempi:l’immediato, ovvero portare a casaquanto più possibile dei fondi Eu, e ilmedio-lungo periodo, vale a dire lastrutturazione delle misureeffettivamente aventi valenzastrategica. Se il processo di piano sapràgestire questo primo tempo di fortepressione connessa alle richieste dellereal-(urban)policies, e successivamentecontinuare ad alimentarsi di idee,progetti e partecipazione, allora cisaranno serie possibilità di raggiungereun buon grado di efficienza e diefficacia. Un primo importante risultatoottenuto è stato quello di vincolare illancio del nuovo Pug (PianoUrbanistico Generale) ai temi e alledirettive espresse nel poster plan.Infine, le azioni intraprese nel contestodella local urban task force hannoportato Baia Mare a far parte delpartenariato di un progetto Urbact (ilprogetto Lumasec che si ocuupa di landuse management), questa è statal’occasione per portare il processo dipiano ad un confronto sovra-nazionale,inserire la città in una rete di cittàeuropee che condividono questioni dirigenerazione urbana, e per attrarreulteriori fondi da investire nellacostruzione di una strategia sostenibileed efficace.

* Internatonal expert in rigenerazione urbana per ilprogramma PHARE in Romania.

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comune regioni di sviluppo Popolazione Popolazione % rom sul (nuts II) totale (2004) rom (2002)* totale

ALBA IULIA RDA 7 Centro 66.537 1.500 2,3BAIA MARE RDA 6 Nord-Ovest 141.235 3.250 2,3CRAIOVA RDA 4 Sud-Est 297.291 71.300 23,9IASI RDA 1 Nord-Est 317.812 4.900 1,5ORADEA RDA 6 Nord-Ovest 206.527 30.000 14,5PLOIESTI RDA 3 Sud-Est 234 707 5.900 2,5

* Popolazione censita ufficialmente nel 2002. In realtà, le stime parlano di numeri molto più elevati. Per esempio, perPloiesti la stima è di 17.000 Rom, e per Oradea di 45.000.

Tabella 1.

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ciascuno: per esempio, Gabori (Romtradizionali), Musicisti (Rom stanziali),fabbricanti di cucchiai (Cafltalii), dipettini, Orefici, lavoratori del rame,Maniscalchi, Carpentieri, Fioristi. Lamaggior parte della popolazione Romvive ad Ardeal e Banat (nel Nord-Ovest), parte dell’ex Impero Austro-Ungarico (Mihok, 2003). Al tempo dell’Impero, la condizionedella minoranza Rom variava molto daregione a regione: ad Ardeal, peresempio, i Rom non erano schiavi, e laloro emancipazione rientrava fra lepolitiche statali; mentre nelle altreprovince storiche, come Oltenia,Muntenia e Moldova (Sud ed Est) essifurono tenuti in stato di schiavitù finoal 1855/6.Prima del 1990 la popolazione Romnon fu riconosciuta come minoranza.Era una politica del regime comunistaquella di sistemare famiglie Rom inogni quartiere: operai con bassi livellidi istruzione venivano trasferiti neiquartieri ex-borghesi, e nelle villeabbandonate dagli aristocratici fuggitiin Occidente1.Dopo il 1990, ha avuto luogo unprocesso di progressivasedentarizzazione. La maggior partedei cosiddetti Rom “integrati” vive inquartieri socialmente misti, in famigliepiù piccole rispetto a quelletradizionali, con un livello diistruzione più alto, occupati in campimolto diversi; ma ci sono anchepiccole comunità di Rom organizzatetradizionalmente in grandi famigliecon molti bambini, e con occupazionidi base. Con poche eccezioni, questecomunità sono povere e perifericherispetto ai centri urbani, sono isolate, ehanno un basso livello di accessibilitàa ogni tipo di infrastruttura fisica esociale.Ci sono molte organizzazioni nongovernative di Rom in quasi tutte lecittà rumene, che si occupano il piùdelle volte della dimensione sociale,dallo sviluppo della comunità, allalotta alla discriminazione, all’istruzionee alla sanità; sono invece menoorientate verso altre questioni, come leattività generatrici di reddito. MolteONG hanno una voce autorevole esono riconosciute come partner per leamministrazioni centrali nell’ambito

che rispettino alcuni indicatori chiavecome: un numero rilevante di abitanti;significatività riguardo all’interacittà/impatto potenziale a livello diarea metropolitana; problemi riguardoai criteri di eleggibilità (per esempiodisoccupazione, diversità etnica, mixsociale) e al loro rapporto col tessutourbano e le reti funzionalimetropolitane e regionali;- la corretta identificazione dei progettiintegrati, basata su problemi, bisogni epotenziali reali, attraverso analisi ediagnosi correlate all’asse di sviluppostrategico;- la costituzione di meccanismioperativi per la gestione dellarigenerazione urbana (compresi ipartenariati chiave e le procedure dilavoro), finalizzati a fornire unsupporto sostenibile alle politicheintegrate e a una loro efficaceattuazione.

Rom, Rom, Rom…

Così come evidenziato dal Programmaoperativo regionale, Asse Prioritario I,la minoranza Rom gioca un ruolocruciale nella partecipazione e nelcoinvolgimento in tutte le fasi dellapianificazione e dell’attuazione deiprogetti di rigenerazione urbana.Inoltre, va ricordato che la questionedei Rom era già argomento di primariaimportanza all’interno del processo dipre-adesione all’Unione Europea.Le seguenti considerazioni descrivonole caratteristiche della minoranza Romin Romania e il loro ruolo negliinterventi di rigenerazione urbana,tenendo conto fin dal principio come ilsuccesso di questa nuova esperienza ècondizionato da un nuovo approccio:quello di considerare la minoranzaRom non come il problema, ma comeparte della soluzione.Esiste un grande dibattito riguardo allapopolazione Rom che vive in Romania:si va dai dati ufficiali dell’ultimocensimento del 2002, che parlano di535.250 abitanti, alle stime nonufficiali delle organizzazioni nongovernative dei Rom, secondo le qualisi arriverebbe ai 2,5-3 milioni. La popolazione si divide in numerosisotto-gruppi, determinati dalletradizionali attività artigiane di

Urban I e II dei periodi diprogrammazione 1994-1999 e 2000-2006 dei Fondi strutturali. Le cittàcapitali aventi potenziale di crescitasono invitate a presentare piani disviluppo urbano geograficamenteintegrati, che ricadono in tre aree diintervento:a) riabilitazione delle infrastruttureurbane pubbliche e miglioramento deiservizi urbani, compresi i trasporti;b) sviluppo di un ambiente favorevolealla crescita di attività economiche;c) riabilitazione di infrastrutture eservizi sociali, compresa l’ediliziapopolare.Ciascuna proposta dovrà comprendereun piano integrato con almeno duesotto-progetti, che coprano almeno duedelle tre aree di intervento, ma nepotrà avere anche molti di più. Idocumenti di programmazioneindicano come imprescindibile lapartecipazione di cittadini e attorilocali nell’elaborazione dei pianiintegrati. Inoltre, danno importanza albisogno di affrontare la questionedell’inclusione sociale delle minoranzeetniche, con particolare riguardo aiRom.Nell’ambito del progetto“Strengthening Capacity andPartnership Building to Improve RomaCondition and Perception” (PHARE RO2004/016-772.01.01.01), sviluppato dalgiugno 2007 al marzo 2008, una delleattività è stata quella di provvedere alsupporto alle autorità locali per la fasedi preparazione di piani integrati (peresempio: informazione, seminari diformazione, visite tematiche di studioin Italia e Spagna, supportoindividuale alle politiche urbanecomunali, revisione qualitativa delleproposte, ecc.). Sei città, elencate nellaseguente tabella, sono state selezionateper questo tipo di assistenza (Tabella1).I nove mesi di sperimentazione sullarigenerazione urbana portata avantinelle sei città da quasi tutte le Regionidi Sviluppo rumene (ambiti territorialidi livello NUTS II), nel contesto dellafase di transizione, hanno dato vita auna situazione che dovrà affrontaremolte sfide per svilupparsicorrettamente, come per esempio:- la selezione delle aree di intervento,

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rispettate. Tutti gli insediamenti sidovevano perciò sviluppare entroun’area ben definita, di solito piùpiccola di quella già esistente.C’erano anche, sulle tavole di piano,le cosiddette “aree grigie”, cioè areegià costruite e abitate, ma destinatealla demolizione, oppure a un lentodeperimento per mancanza dimanutenzione: per queste aree nonera previsto alcun recupero di strade einfrastrutture esistenti, alcun nuovoedificio o servizio sociale. Gliinsediamenti, sia rurali che urbani,dovevano essere costruiti e forniti ditutti i servizi tecnici e sociali soltantoall’interno delle parti “colorate” delletavole1.L’attuazione delle previsioni di leggeha portato a uno sviluppo “intensivo”degli insediamenti rumeni, per lo piùnelle aree urbane e in una serie divillaggi scelti per diventare “nuovicentri urbani”. Lo sviluppo urbanoveniva in generale percepito come“verticalità”: i blocchi intensivi diappartamenti non furono comuni finoagli anni ’50, ma nel corso deisuccessivi trent’anni più della metàdella popolazione urbana si trasferì incondomini di altezza compresa fra icinque e i nove piani. Gli imperativi delle limitazioni sullearee da costruire, e quelli sulledensità minime, hanno anche portatoin molti casi alla “sostituzione” diparti del patrimonio edilizio esistente,spesso considerato obsoleto escarsamente rappresentativo. Moltedelle nuove città industriali degli anni’50 e ’60, specialmente nell’Est e nelSud del paese (Moldova, Muntenia,Oltenia, Dobrogea) hanno perduto nonsolo larghe parti del tessuto edilizio,ma anche un patrimonio urbano divalore, centri storici e monumentiarchitettonici. L’ultima decade delregime comunista è stataparticolarmente aggressiva in talsenso, soprattutto in alcune dellegrandi città, compresa Bucarest2, dovele aree centrali si erano salvate neglianni precedenti. Come conseguenza diquesti ultimi “assalti”, in alcuni casinon ancora portati a termine neldicembre 1989, molti paesi e città,come anche alcuni villaggi, siritrovarono con un tessuto

e guadagnare la fiducia dei cittadini,sarebbe importante ottenere una seriedi rapidi successi che siano egualmenterappresentativi sia per gli attori Romche per gli altri, in altre parole perl’intera città, dal momento che questodovrebbe essere proprio… un processoinclusivo e integrato!

** Professore, Facoltà di Architettura de UniversitateaBucuresti, membro del consiglio direttivodell’associazione degli urbanisti rumeni.

Traduzione dall’inglese di Flavio Camerata

Note1. Questa politica non era ovviamente una misuracontro la gentrificazione, ma una forma di controllo,e fungeva da manifesto contro le classi socialielevate.

Sviluppo urbano inRomaniaGabriel Pascariu*

Tra le cause più significative chehanno portato alla situazione attualedell’urbanistica rumena in questiultimi diciotto anni, si possonomenzionare il regime comunista, ladebolezza delle istituzioni pubbliche edel sistema legale, il tipo diistruzione, la mentalità, l’apatia civile,la supremazia del denaro, e lamancanza di una deontologiaprofessionale (quest’ultimaprobabilmente un risultato di tutte lealtre).

Il retaggio del comunismo

Durante gli anni ’70, il regimecomunista emanò una legge sullapianificazione territoriale, che haavuto notevoli conseguenze sull’usodel suolo e sull’attuale configurazionedegli insediamenti rumeni. Questalegge introdusse due principalistrumenti di controllo: il primo sullearee costruite (quanto terreno potevaessere utilizzato per l’espansioneurbana); l’altro sulla densità degliedifici e degli abitanti. Il cosiddettoperimetro costruibile (perimetrulconstruibil) limitava rigidamentel’espansione di qualsiasiinsediamento; e, all’interno di questoperimetro, le densità minime diabitanti ed edifici dovevano essere

delle politiche indirizzate alleminoranze Rom.A partire dal 2001, quando fu adottatauna specifica strategia da parte delgoverno per il miglioramento dellasituazione dei Rom, c’erano già moltiimpiegati di etnia Rom appositamenteinseriti nelle amministrazionipubbliche. L’autorità centrale èl’Agenzia Nazionale per i Rom, conotto uffici regionali aventi la stessacollocazione delle Agenzie di SviluppoRegionale (livello NUTS II), dellePrefetture e delle Contee (livello NUTSIII); ci sono anche esperti locali neimunicipi. Tutti questi impiegatipubblici Rom possono fornire supportoinformativo e instaurare importanticollegamenti con il processo dirigenerazione urbana.

Lezioni imparate

Un primo commento è che non esisteancora una vera collaborazione tral’amministrazione pubblica e lecomunità Rom; è anche vero però chenon c’è comunque collaborazione conalcun altro attore di rilievo(proveniente per esempio dai campidella ricerca, dell’industria,dell’ambiente, ecc.). A questoproposito, ci sarebbe bisogno di unamediazione, all’interno di un continuoprocesso di negoziazione tra tutti gliattori urbani. Secondo, bisognerebbe puntare di piùsui potenziali esistenti, specialmentenel caso delle minoranze Rom. Troppevolte il dialogo si è bloccato al livellodei problemi primari (casa, salute,istruzione, occupazione) e dellenecessità complesse (autostima,riconoscimento sociale, partecipazione,pari opportunità). Terzo, molti sforzi dovrebbero esserefatti per andare oltre le attivitàorientate alle semplici infrastrutture(come l’edilizia), e per sviluppareinvece progetti sociali e immateriali.Quarto, ci sarebbe la necessità dicostituire un osservatorio locale nellearee di intervento, che abbia specifichefunzioni nel corso della realizzazionedei progetti, e che coinvolga i cittadinilocali, Rom e non, per generare idee eproporre soluzioni, stabilire priorità,ecc. Infine, per velocizzare il processo

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le amministrazioni cominciarono aredigere progetti e a chiederefinanziamenti dai fondi europei, comeil Phare.

Un debole sistema urbanistico

Le amministrazioni pubbliche localinon erano preparate, nel 1990, adaffrontare la domanda di espansione ericostruzione, e sono tuttora incapacidi lottare contro la speculazioneimmobiliare e di proteggere l’interessepubblico. Questo stato di fatto è statoalimentato e incoraggiato, negli ultimidiciotto anni, da un sistema legaleincompleto e debole, che, in un paeseubicato alle “Porte dell’Oriente”, inun’area geografica cioè in cuinepotismo e scarso rispetto per lalegge sono più diffusi, ha permesso ilproliferare della corruzione a tutti ilivelli. Il mercato immobiliare èdiventato per molte persone, dopo il1990, un sistema efficace e rapido perdiventare ricchi.La legge sui terreni del 1991,all’articolo 5, stabilisce che i terrenidel demanio pubblico non possonoessere venduti, a meno che il lorostato giuridico non venga cambiato(da dominio pubblico a proprietàpubblica di dominio privato7); unavolta cambiato lo stato giuridico, ilterreno può essere venduto, dato inaffitto o in concessione. Questo è ilmodo in cui grandi lotti sonodiventati oggetto di azionispeculative. Il meccanismo è stato ingenerale semplice e inarrestabile:qualcuno, con una certa influenza ecerte conoscenze capaci di agire sullepolitiche urbanistiche comunali,compra un lotto agricolo più o menoesteso al limitare della città, o daqualche parte in mezzo al nulla, e lo“trasforma”, secondo i dettami dilegge, in un’area costruita8. Non vi ènulla di sbagliato in questo, in via diprincipio; tuttavia, nella maggiorparte dei casi, queste trasformazioninon hanno nulla a che vedere conuna strategia di sviluppo urbanopianificata dall’autorità locale diconcerto con la comunità. Negliultimi decenni, l’urbanistica rumenaha di fatto seguito gli avvenimenti,invece di esserne la causa.

Anche se nei primi anni ’90 cominciòun dibattito sull’argomento, e cifurono tentativi di emanare unanuova legge urbanistica, solo nelgiugno del 2001 la legge fu approvatadal Parlamento rumeno.Una volta che le restrizioni sullosviluppo territoriale furono cancellatecon l’abrogazione della vecchia legge,tutti si sentirono liberi di agire inlibertà, comunque e quasi ovunque.Per anni, durante la prima partedell’ultimo decennio, i processi dipianificazione ebbero luogodirettamente sul campo, piuttosto chenegli uffici urbanistici o sui tavoli dadisegno dei progettisti.La restituzione dei terreni ai vecchiproprietari, sulla base della Legge18/19915, fu un atteso atto riparatoriodel nuovo regime. La restituzione fuaccompagnata dalla speranza, daparte dei proprietari, di ottenere ilmassimo profitto dai loro terreni.L’utilizzo del terreno a fini edilizi fuvisto come un fenomeno normaledopo un periodo di restrizioni e dilimitato diritto a vivere in una casadecente. In alcun casi, persone le cuicase erano state demolite6

cominciarono a ricostruirle, nellostesso luogo o altrove (questofenomeno fu molto intenso intornoalla capitale, durante la prima metàdello scorso decennio).Dalla precedente situazione disviluppo vincolato e limitato, laRomania passò così a una fase dicambiamento rapido e incontrollato.Un nuovo tipo di dispersione urbanaebbe luogo a partire dai primi anni’90, ed è continuato, crescendo, fino aoggi. Si possono identificare varie fasidi questo fenomeno: il processo“riparatorio”, lento e piuttosto timido,della prima metà dello scorsodecennio, seguito da un’aggressionepiù “organizzata”, fino a unfenomeno intensivo e generalizzatodopo il 2000, che ha sfruttato ilvantaggio della favorevolecongiuntura economica.Molti degli sviluppi di quest’ultimoperiodo hanno avuto luogo in areerurali, e non sono stati preceduti, néseguiti, da opere di urbanizzazione. Avolte, sotto la pressione dei “nuoviricchi” che abitavano in queste zone,

destrutturato e con un territoriourbanizzato in maniera disomogenea.Un’altra caratteristica dell’eracomunista, che ha avuto un grandeimpatto sullo sviluppo urbano, era ilsistema della proprietà fondiaria. Iterreni ricadenti all’interno delperimetro costruibile potevano essereespropriati e diventare proprietàpubblica, sulla base di un pianoattuativo approvato, o nel momentoin cui venivano venduti3. Questosistema facilitava la rapida attuazionedi grandi progetti di sviluppo urbano,che non incontravano così l’ostacolodella proprietà privata. L’iniziativaprivata nello sviluppo urbano erairrilevante, e praticamente scomparvealla fine degli anni ’70. Nelle areerurali sviluppi urbani di grande scalafurono previsti per gli anni ’90, masolo pochi ne furono realizzati primadel 1989; in ogni caso, questaminaccia fu ben conosciuta in Europaoccidentale, generando forti reazionicontro il regime4.

Deregolazione totale

Il sistema urbano basato su pesantirestrizioni, che divennero ancora piùdrastiche alla fine degli anni ’80,generò anche una forte reazionepopolare contro la legge sugli schemidi sistemazione, e contro coloro chevenivano visti come i suoi esecutori –gli urbanisti. Le misure impopolaridegli anni ’80 oscurarono fortementetutti i risultati delle decadi precedentiin fatto di sviluppo territoriale, alcunidei quali ebbero indubbiamente deglieffetti positivi. Al fine di guadagnare popolarità, ileader politici abolirono nel dicembre1989 la tanto odiata legge 58, senzaperò sostituirla con un’altra legge.Nacque così un vuoto legislativo, chefu parzialmente colmato nell’estatedel 1991, quando furono redattealcune linee guida e procedure dibase. Tuttavia, l’intero sistema futotalmente deregolato, fino al 1996,quando un codice di regoleurbanistiche (che trattava soltantoalcuni argomenti principali) fupromosso con Decreto Governativo.Fino al 2001, nessun altro attonormativo fu promulgato in materia.

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Urbanistica INFORMAZIONI

pubblici di dominio privato. La legge sui terreni del1991 stabilisce ora che lo stato giuridico dei terrenidi dominio pubblico può essere cambiato, in mododa permetterne la vendita.8. Un terreno non può essere costruito a meno cheil PUG (piano regolatore generale) non lo preveda;un terreno che può essere costruito, o che lo è già, èchiamato “intravilan” (cioè “all’interno della città”).Il PUG stabilisce i limiti dell’insieme di terreniintravilan per un certo periodo di tempo, chepossono però successivamente essere estesi da unPUZ (piano zonale).

mancanza di professionalità nellagestione urbana e territoriale (laprima scuola di urbanistica ha apertoa Bucarest solo nel 1996, e ci sonoora da 30 a 50 laureati ogni anno), lamancanza di una volontà politica dicominciare a percorrere la giustastrada, e una generale carenza dipartecipazione pubblica al decisionmaking, quest’ultima chiaramenteretaggio del passato.L’attuale sistema urbanistico rumenomanca di almeno tre elementi:professionalità, partecipazione, ecooperazione fra gli attori; e,soprattutto, è molto sbilanciato perquanto riguarda le varie forzetrainanti e le reciproche influenze chein esso agiscono.

* Architetto e Internatonal expert in rigenerazioneurbana per il programma PHARE in Romania.

Traduzione dall’inglese di Flavio Camerata

Note1. I piani di sviluppo locale erano chiamati “schemidi sistemazione” (schi?e de sistematizare), unequivalente dei Master Plan occidentali.2. Città come Bac?u, Braflov, Constan?a, Craiova,Iafli hanno sofferto negli anni ’80 pesanti interventinei centri storici. In alcuni casi, come Bucarest oCraiova, i disastrosi effetti del terremoto del 1977sono stati utilizzati come alibi per la “ricostruzione”.3. In caso di transazione immobiliare fra privati,l’edificio restava privato, ma il terreno divenivaproprietà pubblica - di fatto un esproprio indiretto.Il terreno poteva rimanere privato soltanto tramitepassaggio ereditario.4. Ad esempio, l’operazione “villages roumaines”,lanciata in Belgio nel 1988 come reazione aglischemi di sistemazione di Ceausescu cheminacciavano di trasformare radicalmente ilpaesaggio rurale; le azioni prevedevano l’adozionedi villaggi rumeni da parte di comuni belgi,francesi, inglesi; dopo il 1989, questo movimentodivenne un’organizzazione di aiuti umanitari.5. La legge sui terreni pubblicata nel febbraio 1991poneva la base legale per la restituzione dei terreniagricoli delle cooperative (in questo caso laproprietà era rimasta privata pur essendo usatacollettivamente), e dei terreni di proprietà pubblicanon costruiti o aventi speciale destinazione. Lalegge del ’91 fu seguita negli anni successivi daaltre leggi riguardanti la restituzione di altrecategorie di terreni (i terreni agricoli di proprietàpubblica espropriati forzosamente nel ‘45, le foreste,ecc.)6. Ciò spesso avveniva senza tanto preavviso, e inmancanza di un’indennità o compensazione alcuna.L’unica possibilità era quella di accettare lademolizione e trasferirsi in un condominio appenacostruito.7. La legge sulla proprietà in Romania divide laproprietà in due categorie: pubblica e privata. Laproprietà pubblica comprende a sua volta duedomini: quello pubblico (strade, coste marine, ecc.),e quello privato, che si riferisce ai terreni occupatida istituzioni pubbliche, come ad esempio unmunicipio. I terreni di dominio pubblico nonpotevano essere venduti, a differenza di quelli

Quasi tutti i nuovi sviluppi urbaniperciò sono stati, e sono, nellamaggior parte dei casi, il risultato diiniziative private, alle quali leamministrazioni locali non sono ingrado di rispondere dal punto di vistaurbanistico, economico, sociale oambientale. Neanchel’amministrazione centrale possiededelle armi efficienti per intervenire,salvo verificare la legalità di questa oquella lottizzazione. Anche qui, ilsistema rumeno ha trovato una suastrada: il cosiddetto “processo dilegalizzazione”, secondo il quale unedificio costruito in totale mancanzadi riguardo nei confronti della leggepuò comunque, dietro il pagamento diuna tassa, diventare legale, seguendoa posteriori le necessarie procedureentro un certo tempo. Anche se lemancanze dell’attuale sistema sonostate notate e sono discusse da anni,non sono stati presi provvedimentiefficaci per migliorarlo o percambiarlo. In effetti, la situazione èdivenuta ancora più critica negliultimi sei/sette anni, dal momento incui è diventato evidente che laRomania sarebbe entrata a far partedella UE. Mentre negli anni ’90 latrasformazione dei terreni da agricolia intravilan veniva portata avanti daattori rumeni su scala piccola emedia, dopo il 2000 i capitali stranierisono arrivati in massa, esercitandouna pressione ancora più elevata suiterreni e sulla pubblicaamministrazione. La situazione eratale, che uno dei vice-sindaci dellacapitale, in un’intervista di un paio dianni fa, dichiarò schiettamente che“l’amministrazione non puòcontrastare la pressione degliimprenditori”. In queste circostanze,pianificare lo sviluppo territoriale alivello locale è praticamenteimpossibile, e gli impiegati pubbliciancora sorridono quando qualcunoparla di pianificazione strategica,strategie partecipative o altri concettisimili.Sebbene vi sia una certaconsapevolezza riguardo alla criticitàdella situazione, ci sono molti fattoriche impediscono alle amministrazionidi operare un cambiamento: undebole quadro legislativo, la

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PREMIO SFIDE ’09 VINCITORI PER LA CLASSE “BUONE IDEE”

PIANI ENERGETICI LOCALI - La città clima neutrale - Il patto per il

clima di Bolzano; Comune di Bolzano- Cervia cresce nella qualità; Comune di

Cervia- Un territorio energeticamente autonomo

Comune di Correggio- INNOW@TT; CNIPA

ATTIVITÀ DI MIGLIORAMENTODELL’AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA- Piano Strutturale Comunale Associato

2009; Comune di Faenza- Provincia di Kyoto - Gli interventi rivolti

al proprio patrimonio; Provincia diRoma

- SCORE - Sustainable COnstruction inRural and fragile areas for Energyefficiency; Provincia di Savona

- Aree produttive ecologicamenteattrezzate; Regione Emilia Romagna

RICERCA E UTILIZZO DI FONTIRINNOVABILI- Risanamento della Cava di Coperchia;

Comune di Pellizzano- 10.000 Tetti FoTOvoltaici; Comune di

Torino- Una Scuola in classe A; Provincia di

Bologna- Case Protette fotovoltaiche; Provincia di

Parma- SERD – Sicilia Energia Rinnovabile

Distribuita; Regione Siciliana

USO VIRTUOSO DEL CICLO DEI RIFIUTI- La trasformazione dei liquami zootecnici

in energia; Provincia di Mantova- Biodiesel dal tuo olio da cucina;

Comune di Rovigo- Rifiuti zero; Ecologia e Ambiente S.p.A.- Piano Provinciale Gestione dei Rifiuti

(PPGR); Provincia di Pavia

I vincitori del premio Sfide

all’utilizzo di fonti di energiarinnovabile, e dal dibattitosull’emancipazione dai paesi produttoridi gas e petrolio, la sesta edizione diSfide, conclusasi lo scorso maggiodurante il Forum PA ’09, ha avutocome tema centrale l’energia.L’obiettivo era quello di mettere inrisalto e premiare le amministrazionipiù virtuose riguardo: piani energetici,energie rinnovabili, sostenibilità e ciclodei rifiuti. Alla “sfida” hanno risposto 91 progettisuddivisi tra le 4 categorie previste. Ilregolamento del premio prevedeva chesi potesse partecipare sia con progettirealizzati, che con “idee progettuali”cioè piani di lavoro ancora in itinere oin fase di approvazione.Nelle pagine seguenti pubblichiamouna breve sintesi dei progetti vincitorinella classe realizzazioni mentre nelbox in questa pagina potete trovarel’elenco delle buone idee vincitrici.

Le schede complete di tutti i progetti sono pubblicatesul sito www.Sfide.forumpa.it

Sedici enti locali, impegnati avincere la sfida della sostenibilitàenergetica, migliorando l’ambiente e,al tempo stesso, offrendo occasionidi sviluppo al territorio. Sono ivincitori del Premio Sfide 2009promosso da Forum PA.

Forum PA, da sempre attento aimeccanismi in grado di attivare le levedel cambiamento e dell’innovazionenel settore pubblico, ha dato vitaall’iniziativa Sfide nel 2002.Nata per individuare, selezionare evalutare progetti di eccellenza sullosviluppo integrato del territorio, nelcorso degli anni e delle edizioni Sfideha cercato di focalizzarsi sulle aree dipolicy più attive e più strettamenteconnesse all’attualità, dallapianificazione territoriale al marketingturistico all’attenzione allasalvaguardia ambientale. Prendendo,dunque, spunto dagli impegni presi dalnostro paese in sede europea in merito

Forum PAForum PA

a cura della Redazione di Forum PA

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PIANI ENERGETICI LOCALI

azioni di informazione, comunicazionee formazione. Scopo del progetto èridurre i consumi finali, installare50mila metri quadrati di impianti per laproduzione di energia da solare termico,evitare emissioni pari a 130milatonnellate di anidride carbonica.

Bilancio emissioni gas serra Provincia di SienaIl Progetto REGES (Progetto per laverifica e la certificazione dellaRiduzione delle Emissioni di Gas adEffetto Serra) ha un imperativo: ridurrel’inquinamento e pareggiare il bilanciodelle emissioni di anidride carbonicanel 2015. Per fare questo, è statacondotta un’indagine sulle emissioni digas serra su tutto il territorio dellaProvincia di Siena ed è stato introdottoun monitoraggio per il calcolo annualedelle emissioni di gas serra in atmosferae per la verifica degli obiettivi diriduzione e riassorbimento.

di energia sostenibile su scala localeutilizzando una metodologiapartecipativa basata sui principidell’Agenda 21 e, quindi,sull’attivazione di un forum. Il progettoRes Publica è stato cofinanziato dallacomunità europea, nell’ambito delProgramma EIE. Il programma dienergia sostenibile è stato costruito dalforum provinciale, che ha lavoratodefinendo criticità, obiettivi, azioni eresponsabilità.

Il Piano di Azione per l’EfficienzaEnergeticaProvincia di MilanoIl Piano coinvolge tutta la Provinciatranne il Comune di Milano. Le treprincipali linee di azione riguardanol’adozione di un articolato piano diregole nel comparto civile,l’incentivazione finanziaria per lariqualificazione energetica degli edificie degli impianti, la realizzazione di

Piano Energetico AmbientaleComunale Comune di PesaroMigliorare la performance energetica ela produzione di energie rinnovabili delterritorio comunale e dell’AziendaComune. E’ l’obiettivo che il Comune diPesaro vuole realizzare attraversoquesto Progetto, che prevede diverseazioni per ottenere la riduzione deiconsumi finali di energia termica edelettrica del territorio al 2015, lariorganizzazione internaall’Amministrazione Comunale in temaenergetico e la fornitura di un servizioinformativo alla cittadinanza sui temienergetici.

Res Publica Provincia di GenovaPer un utilizzo più efficace delle energie“verdi”, la Provincia di Genova hasviluppato il Progetto Res Publica, cheprevede la definizione di un programma

ATTIVITÀ DI MIGLIORAMENTO DELL’AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA

tempo, il massimo comfort con ilminimo consumo. Il progetto hacoinvolto sia l’Amministrazionecomunale che quella regionale e verràultimato nel luglio 2009.

Attuazione delle politiche dirisparmio energetico Regione Autonoma della SardegnaLa Regione Sardegna ha pubblicato“Le linee guida per la riduzionedell’inquinamento luminoso e relativoconsumo energetico”, indirizzate a PA,progettisti e cittadini. Sostiene, inoltre,l’adozione dei principi di bioedilizia,bioarchitettura ed efficienza energeticanegli edifici pubblici non residenzialie promuove azioni per il risparmioenergetico nell’illuminazione pubblica.Ha stanziato contributi per più di 100progetti illumino-tecnici comunali, chepotranno diventare più di 160 nel2009, per un risparmio energeticomedio annuo non inferiore al 52%.

Piano Strutturale Comunale nel 2009,il Comune di Faenza conferma unadisciplina, in vigore da un decennio,che consente di ampliare gli edifici(oltre gli indici normativi) in cambiodi bioedilizia, sostenibilità ambientalee qualità estetica delle architetture edegli spazi pubblici. Ad oggi, grazie alpiano del Comune, sono stati realizzatidue quartieri pubblici in bioedilizia(circa 500 appartamenti), 250 unitàimmobiliari private in bioedilizia, 40chilometri di piste ciclabili.

Realizzazione di Nuova ScuolaPrimaria di Ponzano Veneto Comune di Ponzano Veneto – TrevisoLa nuova scuola primaria di PonzanoVeneto – luminosa e funzionale, marispettosa dell’ambiente - vuole essereun esempio di come sia possibileconciliare le energie alternative con leesigenze di un istituto scolastico,realizzando un edificio il più possibileautonomo dal punto di vistaenergetico e assicurando, allo stesso

Agordo: una nuova scuola versol’autosufficienza energetica Amministrazione Provinciale diBellunoPer l’anno scolastico 2009/2010 saràdisponibile il Nuovo Polo Scolastico diAgordo, una struttura per 450studenti, realizzata dalla Provincia diBelluno con soluzioni innovative peril risparmio energetico. Grazieall’utilizzo di fonti rinnovabili (energiasolare termica e fotovoltaica, energiageotermica e recupero di energia daaria espulsa), si prevede: un consumoal di sotto dei 28 Kwh/m2 annui, unaproduzione di energia elettrica dafotovoltaico superiore a 21.000 Kwhannui e un risparmio energeticodell’80 per cento.

Più sostenibilità = più volume, dal1998 nel PRG di Faenza -Incentivata la qualità ambientale Comune di FaenzaCon l’approvazione del PianoRegolatore Generale nel 1998 e del

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RICERCA E UTILIZZO DI FONTI RINNOVABILI

insediamenti civili. Con la completaestensione della rete di distribuzione,potrà coprire il fabbisogno di caloretermico di quasi il 50% della popolazionedi Asiago.

RADAR - Raising Awareness onrenewable energy Developing Agro-eneRgetic chain modelsSviluppo Marche S.p.A. - SocietàUnipersonaleIl progetto RADAR, finanziato dalprogramma Intelligent Energy Europe,prevede la costituzione di comunità localiin cui gli attori politici ed economici e icittadini cooperino per raggiungereelevati livelli di produzione e di utilizzodi energia rinnovabile. L’azione delProgetto RADAR in Italia si è focalizzatanell’area dell’Alta Vallesina, che ha unagrande potenzialità per la produzione dibiomasse solide agro-forestali. Sono settei Paesi europei coinvolti nel progetto:Inghilterra, Croazia, Svezia, Lettonia,Estonia, Bulgaria e Italia.

responsabilità sociale dell’Azienda, è natoun Progetto che ha già portato: risparmioenergetico, recupero di acqua elimitazione delle perdite, ottimizzazionedell’elettricità e gestione della stessa perl’illuminazione interna delle strutture e,grazie all’impianto fotovoltaico, circa 12tonnellate annue di anidride carbonicaevitate con produzione di 22.000 kWh dienergia rinnovabile.

Progetto DEMETRA - Impianto dicogenerazione e teleriscaldamento abiomassa nel Comune di Asiago Provincia di VicenzaObiettivi del Progetto sono il risparmioeconomico e l’abbattimento dell’impattoambientale, grazie alla produzione dicalore ed energia elettrica da biomasselegnose. L’impianto è costruito vicino auna grande falegnameria, con una filieracortissima tra la produzione delcombustibile e la sua utilizzazione. Servele grandi utenze (ospedali, scuole,municipio, impianti sportivi) e parte degli

Fotovoltaico per tutte le scuole Amministrazione Provinciale di BellunoLa Provincia di Belluno ha stabilitol’installazione di 8 impianti fotovoltaicisui tetti di altrettante scuole del territorioprovinciale. Gli impianti riducono ladomanda di energia da altre fontitradizionali e non rinnovabili,contribuendo alla riduzionedell’inquinamento atmosferico. I risultatisaranno verificabili nella seconda partedel 2009, poiché gli impianti sono incorso di realizzazione. Ma ci si attendeuna produzione di quasi 324 mila KWh e172 mila chilogrammi di anidridecarbonica evitate.

Programma quadro per l’uso razionaledelle risorse non rinnovabili Azienda USL7 di SienaI due principali ospedali gestitidirettamente dall’Azienda USL 7 di Sienapresentano un notevole impattoambientale sotto il profilo dei consumienergetici. Per questo, sulla scorta della

USO VIRTUOSO DEL CICLO DEI RIFIUTI

così, stabilito la possibilità per gliallevatori di utilizzare gli scartidell’allevamento in eccesso, nonutilizzabili come fertilizzanti, perprodurre energia.

“Differentemente” Rifiuti in Rete: unmodello di gestione globale

Regione PugliaPer risolvere un problema che sulterritorio non è solo organizzativo, mache coinvolge aspetti sociali e culturali,la Regione Puglia ha sviluppato unprogramma che tiene conto di tutti glianelli del ciclo del rifiuto: dallaproduzione, alla raccolta, dal riciclo, allosmaltimento, passando per il riutilizzo.L’iniziativa mira a valorizzare, nell’otticadella sostenibilità ambientale edenergetica, ogni singolo anello coniniziative di comunicazione vero lapopolazione, incentivi per le aziende,coinvolgimento istituzionale degli entilocali e controllo del territorio.

l’incenerimento della parte secca deirifiuti; da qui l’idea di sfruttare i fornida cemento presenti nella cementeriaBuzzi Unicem S.p.A. di Robilante (Cn). Ilforno da cemento è infattiparticolarmente adatto ad utilizzare ilCombustibile da Rifiuti derivante daltrattamento dei Rifiuti Solidi Urbani(RSU).

Accordo di programma per la gestioneintegrata degli effluenti di allevamentoavicolo nella Provincia di Forlì-Cesena Provincia di Forlì-CesenaIl territorio di Forlì e Cesena è la primaeconomia agroalimentare dell’EmiliaRomagna e, contemporaneamente,detiene il 25% della produzione avicolanazionale. L’idea alla base del progettopremiato è quella di unire questi duefattori alla necessità di incentivare gliimpianti di micro generazione dienergia. Attraverso la sigla di unaccordo di programma le varieamministrazioni del territorio hanno,

Discariche come fonti di energia pulita Consorzio Comuni Bacino Salerno 2Il Consorzio, che oggi comprende 40comuni della Provincia di Salerno, puntasul recupero e riciclo dei materiali pergarantire una moderna e sicura gestionedei rifiuti. In particolare, sono staterealizzate piccole centrali pulite nei sitidelle due ex discariche di Parapoti eSardone, con impianti di captazione dibiogas per la produzione di energiaelettrica e pannelli fotovoltaici. I risultaticonseguiti parlano di produzione mediadi energia di circa 45.600 kw al giorno aSarapoti e circa 7.200 kw a Sardone.

Gestione e valorizzazione energeticadei rifiuti (CDR) in cementificio Provincia di CuneoSi trova a Cuneo il primo sistemaintegrato in Europa ecosostenibile edeconomicamente autosufficiente per laproduzione di combustibile di altaqualità da rifiuti solidi urbani. NellaProvincia non esisteva un impianto per

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familiari, di dimensioni sempre piùridotte, che provoca la crescita delladomanda di terreni edificabili,- mutamento degli stili di vita cheporta a preferire ambienti suburbani orurali e ambienti insediativi a bassadensità, ritenuti più soddisfacentirispetto a quelli urbani,- uso crescente di automobili privateche ha reso possibile l’urbanizzazionedi aree periurbane,- nuove forme di produzioneindustriale e di terziario legate ancheal fenomeno della globalizzazione chehanno contribuito ad aumentare lacompetitività tra i territori conconseguenze sia sul sistema insediativi,sia su quello infrastrutturale ditrasporto.Parallelamente al processo diespansione insediativa verso i territoridi contorno alla corona urbana –sprawl urbano – che ha caratterizzatoil consumo di suolo negli ultimidecenni, si è assistito al tentativo difavorire processi di riqualificazioneurbana conseguenti alla presenza dinumerose aree a destinazioneproduttiva, non più compatibili con itessuti caratterizzanti la cittàdell’abitare, delle attività economiche edei servizi.La tendenza a favorire la riconversionedi numerosi ambiti urbani, che è allabase delle politiche per il governo delterritorio, deriva sia dalla necessità dipreservare il territorio, l’ambiente ed ilpaesaggio da aggressioni di tipodegenerativo, sia dalla constatazionedella crescente erosione delle areeagricole.

Il consumo di suolo in Piemonte

tipologie di consumo, caratterizzandoil tipo di dato necessario.L’informazione, per essere efficace,deve essere ben strutturata, affidabile,approfondita, disponibile a scalediverse, comparabile tra realtàdifferenti, tempestiva, facilmenteaggiornabile e monitorabile.La situazione italiana documenta, adoggi, la diffusione di diversi sistemiinformativi territoriali, eterogenei, noncomparabili e non esiste un databasenazionale sull’uso dei suoli, adeccezione del progetto Corine LandCover (dati 1990 e 2000) che nonsempre permette una reale conoscenzadel territorio a causa della sua bassarisoluzione spaziale.Appare, quindi, urgente disporre distrumenti adeguati per disegnare lestrategie territoriali e per controllaregli effetti delle decisioni assunte siaalla scala locale, sia a quellasovralocale (provinciale, regionale,nazionale).

Caratteri del consumo di suolo

In Piemonte il fenomeno del consumodi suolo presenta alcune caratteristichesimili a quelle registrate in altri paesisviluppati. Il modello di espansioneurbana prevalente è sempre menocompatto e sempre più disperso, consegni evidenti di frammentazione delpaesaggio, di segmentazione e relativoisolamento di habitat ed ecosisteminaturali o seminaturali. Le cause responsabili dell’incrementodel consumo di suolo sonoriconducibili a:- aumento del numero dei nuclei

Ettaro Zero, fare paesaggio, costruirenatura, prendersi cura del suolo.L’agricultura di fronte alle sfide dioggi e domani. Milano 7 e 8 maggio 2009.

Il dibattito scientifico, a livellonazionale ed europeo, in tema diconsumo di suolo è concorde su unassunto principale: il suolo è una risorsaesauribile e preziosa per l’ambiente ed ilpaesaggio e, pertanto, diventa centralenelle politiche urbane e territoriali.Da ciò la necessità di concordare suuna definizione di consumo di suoloprima di procedere all’acquisizione didati per la conoscenza del fenomeno edefinire, di conseguenza, metodologieefficaci e condivisili per la misurazioneed il monitoraggio, nonché politicheper il contenimento del consumo diquesta importante risorsa.Una definizione di carattere ampio,proposta anche dall’Agenzia europeaper l’Ambiente (EEA), considera ilconsumo di suolo come trasformazionedella copertura di suolo da nonurbanizzata ad urbanizzata. È possibilepoi declinare, specificando piùdettagliatamente, questa definizione,ma è sufficiente ad aprire un focussulla questione consumo di suolo.Per affrontare il tema in manieraadeguata è utile riflettere sulle causeche producono consumo di suolo e sulmodo in cui si caratterizza oggi ilfenomeno. Come punto di partenza,dunque, la necessità di conoscere edisporre di dati significativi suiconsumi di suolo e sulle diverse

Opinionie confronti

Giovanni Paludi*, Maria Quarta*, Elena Fila-Mauro**, Cristina Benone Giacoletto***

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cadenza fissa: ripetibile, omogeneo econfrontabile nel tempo.Base di partenza per l’analisi multi-temporale delle superfici urbanizzate èla Carta tecnica regionale 1991 (Ctr),sulla quale si costruiscono gliaggiornamenti che possono provenireda diverse fonti ed in particolare daacquisizioni dirette da ortofoto(Progetto di aggiornamento dell’Rst-Regione Piemonte).Ad oggi, i dati relativi al consumo disuolo discendono da elementi didettaglio delle diverse tipologie diedifici, infrastrutture ed in generaledelle aree artificializzate (scala

Fig. 1 - Trend di crescita del consumo di suolo in Piemonte confrontato con la curva di variazione della po-polazione. Riquadro a sinistra: percentuali di suolo consumato nello stesso periodo per le singole province

collaborazione con il Csi-Piemonte, datempo porta avanti un’attività dimonitoraggio delle dinamicheterritoriali utilizzando il patrimonioinformativo territoriale a disposizione,immagini da satellite, ortofoto estrumenti Gis (Geographic InformationSystem). In tale contesto, nasce nel 2001 il“Rapporto sullo Stato del Territorio”della Regione Piemonte: si tratta diuno strumento per la misura ed ilmonitoraggio delle aree di nuovaurbanizzazione a supporto dellapianificazione territoriale regionale edha l’obiettivo di creare un servizio a

Lo sviluppo, soprattutto in pianura enei fondovalle collinari, di nuove areedi trasformazione urbanistica(produttive, residenziali, commerciali,ecc.) sta, infatti, aggredendo i suolicon elevata potenzialità produttiva,rientranti nelle prime tre classi diCapacità d’uso, il cui patrimonioregionale risulta in costantediminuzione.A questo fenomeno si aggiunge ilprocesso di “insularizzazione” dellesuperfici agricole a seguito dellarealizzazione delle reti infrastrutturalidi trasporto necessarie per garantirel’accessibilità ai territori di nuovaurbanizzazione. La frammentazionedelle aree agricole comporta laparcellizzazione del mosaico fondiarioin superfici poco funzionali allosvolgimento delle attività agricole, inrelazione alla ridotta estensione e/oalla forma degli appezzamenti, alladifficoltà di accesso per lo svolgimentodelle normali operazioni agronomiche,all’interruzione delle connessioni conla rete irrigua e di scolo delle acquesuperficiali, penalizzando lepotenzialità dei territori agricoli conconseguenze rilevanti soprattutto neicontesti di maggior pregio.

I dati del Piemonte: conoscere emisurare

Il sistema di rilevazionedell’andamento del consumo di suolorappresenta un indicatore essenzialeper comprendere la dimensione deifenomeni sopra descritti, per verificarele politiche e correggere gli errori, perindirizzare le azioni verso ipotesi eprevisioni in linea con i principi dellosviluppo sostenibile, alla base di tuttele strategie territoriali che si esplicanoai differenti livelli di governo delterritorio. Il consumo di suolo, infatti, nonriguarda più solo il contesto cittadinoma, attraverso il fenomeno delladispersione, impatta diffusamente ilterritorio. Rispetto alle rilevazioni dilivello nazionale (dati derivati dalProgetto Corine Land Cover), ilterritorio piemontese si pone di pocoal di sopra della media generale.Per analizzare, studiare e misurare ilfenomeno, la Regione Piemonte, in

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Fig. 2 - Andamento del consumo di suolo agricolo nelle province piemontesi nel periodo 1991-2005

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Urbanistica INFORMAZIONI

contemporaneamente su più fronti.Attraverso la pianificazione - che peressere efficace deve riguardare tanto lasfera territoriale quanto quellapaesaggistica e ambientale - laRegione Piemonte affronta laquestione del contenimento delconsumo di suolo attraverso il nuovoPiano territoriale regionale (Ptr) - i cuielaborati definitivi sono stati trasmessinel giugno 2009 al ConsiglioRegionale per l’approvazione - ed ilPiano paesaggistico regionale (Ppr).Mediante questi due strumenti, laRegione propone, innanzitutto,politiche volte alla tutela ed allasalvaguardia del territorio e delpaesaggio e assume come obiettivostrategico la riduzione ed ilmiglioramento qualitativodell’occupazione di suolo, in ragionedelle esigenze ecologiche, sociali edeconomiche dei diversi territoriinteressati.Il Ptr definisce politiche ditrasformazione territoriale, fornendoindirizzi e direttive alla pianificazionelocale, volte a garantire un usoparsimonioso del territorio siamediante la riduzione degli interventidi nuova edificazione, sia attraverso ilrecupero e la riqualificazione delle areeinsediate esistenti. Tali politicheconsentono, da un lato, di contrastareil fenomeno della dispersioneinsediativa e, dall’altro, di tutelare ilpatrimonio storico e naturale e levocazioni agricole ed ambientali delterritorio, anche attraverso il ricorso amisure di compensazione ecologica el’utilizzo di tecniche perequative.Inoltre, il Ptr prevede lapredisposizione, da parte della Regioneed in collaborazione con le provincepiemontesi, di un sistema dimonitoraggio finalizzato alla creazionedi un sistema informativo coerente econdiviso, definendo nel contempocriteri e metodologie per ilcontenimento del consumo di suolo(banche dati, linee guida, buonepratiche). Alle province è richiesto didefinire, attraverso i propri strumentidi pianificazione territoriale, sogliemassime di consumo di suolo percategorie di comuni, in coerenza conle previsioni del Piano PaesaggisticoRegionale ed in ragione di una serie di

il consumo a carico dei suoli in primaclasse (i migliori suoli a livellopiemontese ed italiano in termini dipotenzialità produttiva) ha raggiuntoquasi i 2.000 ettari, portandone ladotazione regionale al di sotto dellasoglia dei 100.000 ettari.Un tavolo di lavoro per la condivisionedi una metodologia di misurazioneLa complessità del fenomeno delconsumo di suolo, unitamenteall’eterogeneità dei dati disponibili edalla mancanza di una metodologiaunivoca di riferimento per la suamisurazione, ha evidenziato,nell’ambito delle politiche regionali perla tutela e la salvaguardia delterritorio, la necessità di istituire unTavolo di lavoro composto da varieDirezioni regionali con l’obiettivo dimonitorare, in maniera condivisa, ilconsumo di suolo.Il Tavolo, supportato anche da CsiPiemonte e Ipla, costituisce unostrumento di riferimento conoscitivo eoperativo, finalizzato a rafforzare eintegrare tra loro le misure regionalivolte alla riduzione del consumo disuolo ed al contenimento delladispersione insediativa.Nello specifico, le attività intrapresesono finalizzate a mettere a punto unametodologia, condivisa anche con glienti locali, per misurare in manieraadeguata ed efficace il consumo disuolo in Piemonte, a scale diverse esulla base di dati confrontabili. Sonoallo studio una serie di indicatori eindici da condividere e mettere adisposizione dei soggetti che operanosul territorio, a supporto delladefinizione di politiche territoriali e delcoordinamento delle diversepianificazioni.

Le politiche per il contenimento delconsumo di suolo della RegionePiemonte

Come avviene ormai nella gran partedei paesi europei, anche la RegionePiemonte da tempo cerca di mettere apunto strategie per contenere l’utilizzodi aree libere a favore del riutilizzo diquelle già urbanizzate. È evidente,infatti, la necessità di attivare politichein grado di innescare strategie virtuosecapaci di intervenire

1:10.000). La base dati prodottacostituisce un supporto neutroutilizzabile per finalità e studi specifici(rappresentazioni cartografiche,geostatistiche e pubblicazioni on-line ecartacee). Il dato relativo alle superficiconsumate è stato utilizzato per lacreazione di indicatori utili all’analisidel fenomeno, focalizzandol’attenzione principalmente sui concettidi consumo, frammentazione edispersione, intendendo per:- Consumo di suolo: l’insieme degli usidel suolo che comportano la perditadei caratteri naturali del suolo dandoorigine ad una superficieartificializzata che non producebiomassa utilizzabile;- Frammentazione: stato di alterazionestrutturale dovuto alla parcellizzazionedel territorio, del paesaggio e deglihabitat a cui consegue la perdita didiversità biologica e paesistica, in unoscenario complessivo di congestione edisarticolazione spaziale. Le cause ditale processo vanno individuate nellapervasività e nella congestione deglisviluppi insediativi ed infrastrutturali;- Dispersione: espansione dellasuperficie urbanizzata, in manieradiffusa, rada e disordinata,accompagnata dalla nascita di nuoviinsediamenti tendenzialmente isolati acarattere monofunzionale. Sicontrappone al concetto dicompattezza della forma urbana e puòessere collegata al fenomeno dellaframmentazione.I dati che derivano dal monitoraggiodelle trasformazioni territoriali inPiemonte nel periodo 1991-2005evidenziano un aumento costante delconsumo di suolo. La figura 2 dettagliail consumo nelle diverse provincepiemontesi con riferimento alletipologie di suolo consumato. Complessivamente, in quattordici anni,si sono consumati in Piemonte circa20.000 ettari di suolo, al ritmo mediodi circa 4 ettari al giorno. Di questi laquota più consistente, circa 14.600ettari, ha riguardato proprio i suolidelle prime tre classi di Capacità d’uso.Nel 1991 il suolo ricadente nelle primetre classi, disponibile per l’agricoltura,era pari a 770.607 ettari, di cui 101.080ettari di suoli di prima classe, 356.357di seconda e 312.989 di terza. Inoltre,

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sistema complesso unitariamenteinteso. Pratiche pianificatorie “rigide”come la zonizzazione “funzionale” sisono nel tempo rivelate inadeguate,così che si assiste a una tendenza piùgenerale di auto-definizione dellospazio urbano, che risulta più adattaall’interpretazione degli equilibrilocali.La caratterizzazione di un sistemacomplesso dipende infatti fortementedalle leggi con le quali i suoi elementiinteragiscono mutuamente. E proprioin ragione di tale complessità anche lasemplice definizione di cosa sia unametropoli appare ancora compito nonda poco. Meno evidente appare chequesta non possa esistere, se nonesiste una rete di collegamenti.Interessarsi di reti stradali significaquindi occuparsi di un elementofondante delle città, l’unico, inoltre, inpiena disponibilità delleamministrazioni comunali.Comprendere il suo funzionamentopuò condurre a nuovi strumenti digestione e ottimizzazione dell’apparatourbano.Dei concetti di complessità einterazione si occupano al più altogrado ricercatori di meccanicastatistica e di teoria delle reti, i qualisviluppano metodi di indagine sulleproprietà che emergono in sistemicomposti da N elementi, quando sianodefinite le loro relazioni reciproche(network). Con loro, cercando unponte di unione fra elementidell’apparato urbano e gli strumenti diqueste teorie, abbiamo deciso dioccuparci di reti stradali urbane e

Il traffico su reti urbane

Gestione e ottimizzazione delle grandicittà sono divenute negli ultimi anniuno dei temi nodali per il successodelle nostre società. Le relazioni diprossimità, motore dell’aggregazioneurbana, portano infinite chancescompetitive, ma contestualmentealtrettante esternalità negative. Lasempre maggiore concentrazione diattività umane in pochi luoghi dellaterra paga infatti il confronto con unbene, quello dello spazio, che èdecisamente finito. In Europa lediseconomie da congestione da trafficoin ambiente urbano costano, frainquinamento e ore perse in coda,circa 100 m.di di euro, pari a 1% delPil Eu. Per questo la Commissioneeuropea redige annualmente documenti(es. 1), nei quali si identificanocriticità, potenzialità e indirizzi per lecittà.Parafrasando A. J. Scott si può direche quanto è maggiore il volumesocio-economico di unaconcentrazione urbana, tanto più èpossibile riorganizzarne la strutturainterna. Questa può essere intesa comeindice della complessità dell’aggregatourbano stesso esprimendo una misuradelle relazioni che ne caratterizzano ilfunzionamento. Al crescere delledimensioni urbane, cresceesponenzialmente il volume delle suerelazioni. Un approccio riduzionistadiviene quindi sempre meno adatto adescrivere e risolvere le attualiproblematiche urbane. In genere nonci è infatti dato sapere come levariazioni di un parametro incidanosul funzionamento generale di un

caratteristiche quali la superficiecomplessiva del territorio comunale, lafascia altimetrica, le classidemografiche, la superficie delterritorio comunale non trasformabilea causa della presenza di vincoli, lasuperficie urbanizzata, le dinamicheevolutive del consumo di suolonell’ultimo decennio o quinquennio ela densità del consumo di suolo inrelazione alle diverse destinazionid’uso. Il problema del contenimentodell’urbanizzazione è affrontato dal Ptranche in termini quantitativi poiché, inassenza della definizione delle soglieindicate, ammette che i comunipossano prevedere incrementi diconsumo di suolo ad uso insediativo(ogni 5 anni) non superiori al 3% dellasuperficie urbanizzata esistente.Anche l’impianto normativo del Pianopaesaggistico regionale è attraversatotrasversalmente dai temi relativi alconsumo di suolo, al suo usosostenibile, nonché alla prevenzionedei fenomeni di erosione, dissestoidrogeologico e deterioramento delsuolo. In particolare, per quantoriguarda le aree agricole, il Ppr poneobiettivi di salvaguardia per le primeclassi di capacità d’uso del suoloincentivando la conservazione e lacorretta gestione delle aree rurali adelevata biopermeabilità, delle aree dielevato interesse agronomico e dellearee rurali di specifico interessepaesaggistico.

* Direzione Programmazione strategica, Politicheterritoriale ed Edilizia – Regione Piemonte** Direzione Agricoltura – Regione Piemonte*** Csi Piemonte

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Gabriele Achler*

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leggere quale sia l’incrementomassimo del numero di auto incircolazione sulla rete, associato a uncerto innalzamento di α, senza chequesto comporti congestione.Parimenti sarà preventivabilel’incidenza sul traffico dellalocalizzazione di talune funzioni, inbase al carico di utilizzazione dellarete ad esse associato o dallasottrazione di strade da una rete adata connettività. Potremmo poiriflettere sul fatto che la progettazionedi una rete in base a classificazionefunzionale possa non essereconveniente, quando questa significhiper i suoi utilizzatori una riduzione (diconoscenza) della connettività dellarete stessa.Conoscendo quali siano i limiti diutilizzo della rete stradale disponibile,e quali siano i costi indotti dallacongestione, potremmo infineintraprendere azioni volte aminimizzare quest’evento. Ad esempio,si potrebbe incentivare lalocalizzazione di funzioni in porzionidi rete che supportino un Ú criticomaggiore di altre, e dunque nuovepolitiche per la mobilità. Non potendoqui discutere in dettaglio risultati eimplicazioni di questo studio, bastidire che molti dei problemi di cuisoffrono le nostre metropoli sonodescrivibili in forma simile a quellaqui usata per descrivere la dinamica ditraffico. Si è cercato un metodo diindagine che fosse in grado, oltre ognipeculiarità, di focalizzare i limiti diesercizio delle reti stradali in unsistema urbano.

* Architetto.

Riferimenti1. EU, “GREEN PAPER, towards a new culture forurban mobility”, COM(2007)551;2. A. Cardillo, S. Scellato, V. Latora, S. Porta,Structural properties of planar graphs of urban streetpatterns, “Phys. Rev.” E 73, 066107, 2006.3. M. Barthelemy, A. Flammini, Modeling urbanstreet patterns, “Phys. Rev.” Lett. 100, 138702 (2008)

Definiamo allora α in [0,1] laconnettività della rete, tale che,attraverso la sua variazione, sipossano descrivere le caratteristiche digran parte delle reti stradali esistenti.Essendo α sostanzialmente unarelazione di densità dell’uso di suolo,a favore della rete, per bassi valori diα verranno rappresentate reti stradalia maglia larga, tipiche delle parti dicittà disegnate “a favore” di unacrescente mobilità privata. Alcontrario, incrementando laconnettività (su unità di area) sidescriveranno reti la cui densità diincroci e strade è tanto alta daequivalere a piante tipiche dei centristorici, in cui l’uso della rete fu persecoli poco più che pedonale (fig. 1).In meccanica statistica (l’approcciostatistico è necessario volendosiinteressare al funzionamento di unsistema composto da milioni dielementi), le proprietà della dinamicadi un sistema di elementi autonomi einteragenti, è assimilabile alladinamica del sistema traffico,composto da un certo numero diautomobili autonome e interagenti(secondo il codice della strada).Chiamata ϕ in [0,1] la fluidità cheesprime il regime di congestione dellarete, attraverso un modello disimulazione appositamente creato,testiamo la capacità delle reti stradaliin termini di fluidificazione deltraffico, al variare della connettività ·della rete e della densità ρ in [0,1] ditraffico. Affrontato attraverso quantità(α, ρ, ϕ) indipendenti da questionitopologiche, ma proprie di qualunquerete, abbiamo una relazioneformalmente valida per ogni retestradale corrispondente all’intervallodi α. Il diagramma di fase metterà inluce, l’andamento della congestione ϕal variare di α e di ρ.La curva con valore ϕ = 1 esprime illimite in cui il traffico ragginge lostato di congestione. Alla sua destra,troviamo tutti i valori di densità ditraffico che su qualunque α induconostati di congestione. Se guardiamo ρ,ρ = 1 è il numero di auto che satural’area dell’intera rete stradale, notiamoche si verifica congestione, anche almassimo della connettività, per ρmaggiori di 0.25. Possiamo inoltre

della dinamica di traffico su di esse,essendone la traduzione più immediatain termini matematici.Nella Teoria delle reti una rete è uninsieme di vertici (punti) connessi fraloro in diversi modi da link. Una voltachiamati incroci i vertici, e strade ilink, l’analogia con una rete stradaleparrebbe immediata. Fissata in piantauna legge di distribuzione del numerodi incroci e di strade su unità di area,e del loro grado di interconnessione, sipuò descrivere la rete di unadeterminata città, basandoci surilevazioni reali e risultati di studidegli ultimi anni [es. (2),(3), etc].

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Figura 1: incremento di α su unità di area 2.5 Km2.

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potrebbe servire tanto per rispondereegregiamente alla domanda ditrasporto pendolare regionale o zonale,quanto per fornire una vitale offerta ditrasporto turistico, integrata a quellad’altri servizi delle città d’arte o di sitid’alto valore ambientale o storico-monumentale.È utile ricordare l’ipotesi, formulataqualche decennio fa dalle Ferroviedello Stato, di gestire le linee a scarsotraffico come tratte tranviarie,piuttosto che ferroviarie,semplificandone la gestione: moltelinee statali ed in concessione,considerate erroneamente rami secchi,potrebbero, attraverso l’applicazione diquello studio, essere interessate seancora in servizio, dal potenziamentodel medesimo o addirittura riattivate,nel caso di quelle chiuse all’esercizioregolare. Questa soluzione esaudirebbesia le sopraccitate esigenze di mobilitàpendolare sia quelle della mobilitàturistico-diportistica, a vantaggio dellavalorizzazione del territorioattraversato e degli insediamentiserviti, peraltro impreziositi dalcollegamento con un sistema ditrasporto collettivo a basso impattoambientale.

Casi europei

Il territorio italiano, caratterizzato daun’urbanizzazione diffusa lungo gliassi viari collimanti in gran parte conquelli della rete delle strade consolari esecondarie romane, ben si prestaall’adozione del tram-treno, soluzionedi trasporto che permetterebbe lospostamento tra diverse città e/o tra

Soluzioni di trasporto ferrotranviario

situazione inerente al disagevoleobbligo di cambiare mezzo perspostamenti anche inferiori ai cinquechilometri. Lo sviluppo di una pluralitàtecnologica di sistemi di trasportocollettivo ibridi, a metà strada trafilovie e tranvie o tra metropolitane efunicolari, ecc., ripropone i limiti dellesoluzioni di trasporto a guidavincolata, sposandoli a quelli tipici deitrasporti su gomma: costi energeticisuperiori, minore capacità di trasportoe scarso comfort. Filovie a guidavincolata, tranvie su gomma, sistemietto metrici, scelti come linee di Tpl, alposto di tranvie, sono solo alcune delleofferte di soluzioni non ancorasufficientemente testate che stafacendo perdere di vista alle PubblicheAmministrazioni locali la sensibilità dipossedere già parecchi chilometri dilinee, tratte e raccordi ferroviarisottoutilizzati o addirittura fuoriservizio, ma non disarmati ed indiimmediatamente disponibili alpossibile riutilizzo. Queste linee equesti raccordi dei quali non sirenderebbe necessaria unaricostruzione ex novo, costituiscono ilsubstrato infrastrutturale per ladiffusione di soluzioni di trasporto cherappresentino la fusione tra serviziferroviari interregionali, regionali,suburbani ed urbani e quelli tranviariurbani ed extraurbani, ideali proprioper l’ottimizzazione dell’offerta deltrasporto su ferro nelle grandi areemetropolitane e nelle conurbazioni dimedia grandezza. Imponente, inoltre, èil numero di tratte ferroviarie fuoriservizio regolare o sottoutilizzate che

Il riequilibrio modale dei trasporti inItalia, promosso e favorito dallepolitiche comunitarie è un obiettivoancora lontano: se da un lato si cercadi ovviare al monopolio stradale edautostradale del trasporto mercipesante, ancora non abbastanza si faper quanto riguarda il Tpl - Trasportopubblico locale, nelle areemetropolitane e nelle conurbazioniminori, ad eccezione, forse, delle cittàdi Milano e Torino. Uno dei motiviprincipali inerente la scelta del mezzoprivato e la conseguente riduzionecomplessiva dell’utenza-clientela delTpl, negli ultimi anni, è il rifiuto, daparte di ciascun potenziale passeggero,di dover cambiare diversi mezzi ditrasporto pubblico nell’ambito deglispostamenti quotidiani. Ripercussionidirette di questa situazione sonol’aumento dell’inquinamento, dellacongestione, dell’incidentalità e d’altreesternalità generate dal trafficoprivato, che determinano ilrallentamento e la riduzione dellavelocità commerciale del Tpl sugomma, in zone prive di corsieriservate ad esso. A complicarel’incremento del trasporto privato degliultimi anni, in seno alla dotazioneinfrastrutturale del trasporto collettivoed all’offerta garantita dal medesimo sista profilando in Italia una paradossalesituazione: stanno affiorando casi dicittà - pilota di aree metropolitane econurbazioni di media estensione,dotate di reti di Trasporto PubblicoLocale caratterizzate da una eccessivadiversificazione tipologica di sistemi ditrasporto collettivo, il che complica la

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Alberto Routher-Rutter*

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diffusamente applicato sulla retetranviaria e su quella ferroviariaregionale che collega Karlsruhe ad altriinsediamenti urbani del Baden, inGermania. Indi è stato adottato daaltre città tedesche (Kassel,Nordhausen, ecc.), francesi (Parigi, ed èallo studio a Strasburgo), spagnole(Alicante), olandesi (L’Aia).Il tram-treno non è l’unica soluzioneche vede fondersi le funzioni dell’erededella carrozza (il tram, appunto), conquella della diligenza (il treno), ma adesso si antepone il treno-tram, ovveroil caso del treno che svolge serviziotranviario in area urbana, comeavviene tra la città elvetica di Coira ela località di Arosa, storicamentecollegate da un servizio simile delleFerrovie Retiche. La prima città adotarsi di un moderno servizio ditreno-tram caratterizzato da materialeferroviario leggero è stata però la cittàsassone di Zwickau.Altri sistemi, affini al tram-treno, manon propriamente assimilabili ad esso,consistono nella circolazionepromiscua di tram e treni, su percorsicondivisi, come avviene a Saarbrückene nella città alsaziana di Mulhouse,oppure nella sostituzione onell’integrazione del servizioferroviario con quello tranviario,metrotranviario o di metropolitanaleggera, come avviene a Manchester,nel Regno Unito di Gran Bretagna ed,in Italia, a Cagliari e Sassari. Molte linee, se non la maggior partedelle linee di tram-treno tedesche sonostate aperte riutilizzando generalmenteinfrastrutture esistenti fuori servizio olinee dedicate esclusivamente allemerci (ove il servizio di tram-trenoconvive con quello dei treni merci), male tratte aperte ex-novo,contribuiscono, come accade nel casodella moderna concezione di tramurbano alla rivalorizzazione o anchealla riqualificazione delle aree urbane,suburbane ed extraurbane attraversate.Analizzando i potenziali effettiurbanistici del tram – treno nellegrandi città e nei centri abitati grandiattrattori di traffico andrebberoraggruppati nelle seguenti categorie:1. gli effetti generali sulla mobilità,quali:a) la riduzione del numero di cittadini

l’utilizzo di questi servizi a tutte lecategorie di passeggeri, compresepersone affette da ridotta capacitàmotoria, quali anziani o diversamenteabili, risolvendo anche importantiimplicazioni sociali. (Tab. 1)Condividono le origini del tram-trenoin chiave moderna tanto la cittàsvizzera di Zurigo (soluzioni analogheapplicate alla rete tranviariaextraurbana), quanto quella tedesca diChemnitz. Il tram-treno è stato tuttavia

diversi insediamenti minori, senzadover cambiare fisicamente veicolo diTpl tra centro storico e centro storico,distanti anche parecchie decine dichilometri: l’ideale per le areemetropolitane e le medio-piccoleconurbazioni. Il comfort di accesso, dimarcia e di deambulazione internagarantiti dai veicoli leggeri adibibili aqueste finalità, sono assai elevati (aparità di una notevole accelerazionedei medesimi), il che rende possibile

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Tab. 1 Principali applicazioni del tram-treno ed altri sistemi affiniTRAM-TRENO

LLiinneeaa oo rreettee NNaazziioonnee CCiittttàà AAbbiittaannttii DDaattaa aappeerrttuurraa LLuunngghheezzzzaa rreettee((kkmm))

Tranvie zurighesi e CH Zurigo 350.125Forch-bahn (S18)

Chemnitz - Stollberg D Chemnitz 245.700 2002 23,1

Karlsruhe - D Karlsruhe 286.327 1992 130,8Baden Baden; K.-Heilbronn

D Kassel 193.518 1995 184

Linea dell’Hartz e D Nordhausen 48.000 2004 6,8tranvie urbane diNordhausen

Tram - Metropolitana E Alicante 322.673 2003 14de Alicante

T4 (Linea dei F Parigi 2.168.000 2006 8Coquetiers)

L’Aia-Zoetermeer / NL L’Aia 473.941 2006 35Rotterdam Rotterdam 584.058(Randstadrail) Zoetermeer 118.024

Trenton– Camden USA Trenton 83.923 2004 55(River Line)

TRENO-TRAM

LLiinneeaa oo rreettee NNaazziioonnee CCiittttàà AAbbiittaannttii DDaattaa aappeerrttuurraa LLuunngghheezzzzaa rreettee ((kkmm))

Coira-Arosa CH Coira 32.441

Glück a.C. – D Zwickau 96.786 1999 19,1Zwickau Zentrum

SISTEMI PROMISCUI

LLiinneeaa oo rreettee NNaazziioonnee CCiittttàà AAbbiittaannttii DDaattaa aappeerrttuurraa LLuunngghheezzzzaa rreettee ((kkmm))

Saarbahn D Saar-brücken 177.800 1997 42,8

F Mul-house 110.900 1996 19,7

SISTEMI (METRO)TRANVIARI (O DI METROPOLITANA LEGGERA) INTEROPERABILI

LLiinneeaa oo rreettee NNaazziioonnee CCiittttàà AAbbiittaannttii DDaattaa aappeerrttuurraa LLuunngghheezzzzaa rreettee((kkmm))

I Cagliari 158.041 2008 6,3

I Sassari 129.086 2006 >_ 2,4

Metro-link UK Manchester 442.800 1992-1999 36,6(2.553.800)

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eventualmente serviti dal tracciato. Larealizzazione di parcheggid’interscambio a fini turistici dadistribuire lungo il percorso delle lineeservite dal tram-treno, permetterebbeai turisti di raggiungere la localitàfinale esclusivamente con questosistema. Anche il treno-tram, sarebbefacilmente applicabile a casi italiani,su tratte ferroviarie fuori servizioimmediatamente riapribili. Il riequilibrio modale dei trasporti(passeggeri e merci leggere), utileanche a tutelare e valorizzare le cittàd’arte ed insediamenti e siti diindiscutibile interesse storico-monumentale o ambientale, trovadunque una soluzione pressochéesclusiva nel potenziamento delle lineeed i raccordi ferroviari sottoutilizzati onella riattivazione di quelli fuoriservizio ma non demoliti. Gliinsediamenti collocati lungo questitracciati ferrotranviari, sarebberofavoriti dal ripristino di servizi che licollegherebbero ad altrettanti centri enuclei abitati, serviti da lineeferroviarie tuttora attive della rete inservizio regolare, contribuendone alpotenziamento ed allo sviluppo,attraverso l’ottimizzazione dell’offertaqualitativa e quantitativa di trasporto,integrandolo e rendendolo piùcapillare. Le reti ferrotranviariericonfigurabili attraverso questiprincipi si delineerebbero come sistemidi trasporto autonomo, capace diinteragire, ma non subordinati ad altremodalità di trasporto, quali quelle sugomma, sostituendo egregiamenteanche molte funzioni di queste ultimein altrettanti servizi oggi espletati damigliaia di furgoni adibiti alla piccolaed alla grande distribuzione cheassediano le nostre città nelle ore dipunta.

*Urbanista.

abitati dell’area metropolitana oecumenopolitana precedentemente nonserviti da linee di TPL a guidavincolata e trasformazione deimedesimi in nodi attrattori di traffico)ed anche benefici alla mobilità privata(contribuendo ad una maggioreelasticità nella scelta della collocazionedei parcheggi d’interscambio ed allarivalutazione di quelli pertinenziali).

Una strada da percorrere

L’adozione diffusa del tram-treno inItalia, è stata rallentata per anni damotivi legislativo-normativi, inerenti idiversi regimi di circolazione e disicurezza degli impianti e dei veicoliferroviari e tranviari. Inoltrel’omologazione del materiale rotabileferroviario e di quello tranviariocompetono a due distinte istituzioni. Ilrecente varo dell’accordoprogrammatico intersindacale chesancisce la riduzione da due ad unconducente a bordo dei treni,parificando l’Italia agli altri Paesieuropei e gli sforzi degli Enti prepostimiranti all’omologazione del materialerotabile adatto ai servizi di tram -treno, fan ben sperare nella rapidadiffusione di questa soluzione ditrasporto. Il tram-treno, inoltre,faciliterebbe, proprio grazie alprincipio che ne giustifica l’adozione(la possibilità di unire località distantianche parecchie decine di chilometri),le necessità di mobilità e trasportotipiche dei distretti turistici. Tanto iltram-treno quanto sistemi affini,potrebbero rispondere adeguatamentead esse, coordinando e coniugando peresempio le esigenze di tutela e divalorizzazione dei centri e dei nucleituristici pedonalizzati o preclusi allacircolazione del trasporto privato conquelle degli insediamenti di seconde eterze case. L’adozione delle soluzioni ditrasporto ferrotranviario citateconsentirebbe anche una diffusaapplicazione del modello Zermatt,ovvero la riorganizzazionedell’accessibilità e della mobilitàinterna agli insediamenti turisticibasata sul trasporto collettivo e non suquello privato, a salvaguardia di centri,nuclei e siti di interesse storico-monumentale o naturalistico,

pendolari che optano per unasoluzione di spostamento monomodalegeneratrice di congestione,inquinamento chimico, acustico evolumetrico ed altre esternalitànegative;b) aumento del comfort e della celeritàdi spostamento tra città di una stessaconurbazione.2. gli effetti sull’offerta del servizio diTPL:a) per le città già dotate di retetranviaria urbana e suburbana ,nonché extraurbana , ritrasformazionedella rete di TPL su rotaiaconvenzionale in “sistema”;b) la riduzione dell’estensione delleautolinee extraurbane;c) la riduzione della frequenza delservizio urbano e suburbano lungo unitinerario comune tra tram (o altrimezzi di TPL) e tram-treno .3. gli effetti generali immobiliari:a) soggettivi, particolareggiati, locali,subordinati, frammentari…b) crescita del valore e influenze sulladomanda/offerta (aumento dei prezzi)del mercato immobiliare in prossimitàdella linea di tram/treno nei centri enei nuclei abitati dell’areametropolitana o ecumenopolitana.4. gli effetti socioeconomici, quali:a) fornitura di servizi commerciali edaffini a bordo dei veicoli (ristorazione,rivendita giornali e cancelleria,ludoteche, etc.), sulle linee di tram-treno più lunghe;b) trasformazione delle abitudinituristico-diportistiche. Una politica delTPL che permetta di non cambiare daveicolo adibito al TPL urbano a trenoregionale e viceversa, permetterebbeanche un maggior utilizzo del TPL daparte dell’utenza/clientela turistica ediportistica, con indubbi benefici perl’industria turistica e del tempo libero,specie in località d’alto pregioartistico-monumentale, storico onaturalistico, spostamenti a piedi o inbicicletta di maggiore lunghezza,usando per l’avvicinamento e/o ilritorno il tram-treno.Nelle città subordinate e nei centri onuclei abitati minori l’adozione deltram treno apporterebbe effetti positivisul ruolo territoriale dei sopraccitatiinsediamenti (quali la crescitadell’importanza dei centri e dei nuclei

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Costituzionale n.94/2007, nella quale siesprime, tra le varie argomentazioni,come sia riservata alla competenzaesclusiva dello Stato la definizione deilivelli di offerta minima di ediliziasociale, nonché l’emanazione diprincipi fondamentali sulla base deiquali le Regioni e gli Enti localipossono declinare, in via concorrente,rispettivamente le proprie funzionilegislative e amministrative in talemateria. La Corte, peraltro, escludequalunque funzione amministrativadello Stato nella definizione dei criterie nell’attuazione di programmi diedilizia residenziale pubblica. Taleconsiderazione è, ovviamente, mitigatadalla eventuale attivazione dello Statoin aderenza della formulazionedell’art.119 Cost., in base al quale, esso[…] destina risorse aggiuntive edeffettua interventi speciali in favore dideterminati Comuni, Province, Cittàmetropolitane e Regioni. Quello chedovrebbe risaltare, ai fini dell’eserciziodi funzioni statali nella materia inargomento, in base all’art.119 Cost,sono alcuni aspetti significativi: lapromozione della coesione e dellasolidarietà sociale; la facilitazionedell’esercizio dei diritti della persona;la natura aggiuntiva delle risorse delloStato per tali scopi. In altri termini,una eventuale azione dello Stato nelcampo dell’housing sociale dovrebbepossedere oggi alcune caratteristichespecifiche: a) essere destinata ad intercettare erisolvere un “disagio abitativo” dinatura strutturale di origine lontana,che ha assunto oggi livelli di peculiare

Una “road map” per la casaRosario Manzo*

della società italiana contemporanea;d’altra parte, non si può essere deltutto convinti che il “Piano edilizia”(proviamo a chiamarlo così, perevitare confusioni?) attraverso ledemolizioni e le ricostruzioni conampliamento possa essere di supportosostanziale per la soluzione deldisagio abitativo. Ma anche in questocaso, occorre sospendere il giudizio,almeno fino a quando non sarannodispiegati gli effetti delle varienormative regionali già approvate e diquelle che sono ancora in corso diapprovazione. Peraltro, non in tutte ledisposizioni normative regionali silegge una “sensibilità” in tal senso,mentre appare ormai evidente come visia un regime di grandedifferenziazione tra cittadini chevivono in varie parti del territorionazionale tale da giustificare i dubbi,nella manovra anticiclica sull’edilizia,su di una corretta applicazione delprincipio di uguaglianza sottesoall’art.3 della Costituzione. Vorrei svolgere, tuttavia, alcuneconsiderazioni molto sintetiche esicuramente non esaustive, partendodal presupposto che sia necessaria,ormai, la formulazione di una vera epropria “road map” sulla Casa, inanalogia con quanto è indispensabilefare nelle situazioni di grave crisi“diplomatica”. Proprio per lacomplessità, la differenziazione delfabbisogno abitativo, oltre che per lasua vastità, penso che sia quasinecessario istituire una “unità di crisi”,la cui missione possa essere desuntadalla lucida sentenza della Corte

È stato firmato oggi il Dpcm diattuazione del “Piano Casa”, chedovrebbe produrre 100.000 alloggi incinque anni, secondo quanto dichiaratodal Ministro delle infrastrutture e deitrasporti. I numeri della questione,come ho avuto modo di esporre in unaltro commento1 sono ormai noti datempo e, a mio avviso, le iniziativefino ad oggi adottate non sonoproporzionate all’entità, alla diffusionee alla gravità dell’ormai acclarato“disagio abitativo”. Sarà comunquequesta la ricetta giusta? Lo vedremo. Difatto, è possibile solo dare attuazioneallo “sblocco” già effettuato dal CIPE di200 milioni di euro dei 550 giàprogrammati dal 2006 e, in termini dieffetto rispetto al fabbisogno, glialloggi realizzati daranno una risposta“sostenibile” a meno del 10% dellefamiglie in situazione di disagioabitativo e, forse, al 2% delle famiglieche hanno necessità di una abitazionedi edilizia sovvenzionata. Rimane, sullosfondo, la sensazione che nell’Agendapolitica del Governo il tema della Casacontinui ad essere oggetto diprovvedimenti “tampone”,sostanzialmente rivolti a chi si possapermettere comunque di pagare uncanone di locazione “calmeriato” maredditivo per un investitore “free riskrate” e non anche alla buona quota difabbisogno che, viceversa, dovrebbeessere a carico della collettività la cuirisposta, di conseguenza, dovrebbeessere gestita con grande efficienza edefficacia. Non ho la pretesa di sapere come sipuò curare una così grave malattia

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Urbanistica INFORMAZIONI

Note1. Piano casa. Facciamo qualche conto… in“Urbanistica informazioni” n.223, novembre-dicembre 2008 2. In tal senso può essere letta la normativaintrodotta dall’art.1 co.258 e 259 della legge 244/07che, nelle more della definizione della riformaorganica del governo del territorio, consentono,rispettivamente, ai comuni di prevedere meccanismidi compensazione urbanistica, al fine diincrementare la disponibilità di alloggi a canoneconcordato, calmierato e sociale, nonché la facoltàper il comune di consentire, nell’ambito delleprevisioni degli strumenti urbanistici, aumentivolumetrici premiali nei limiti di incremento massimidella capacità edificatoria prevista per ambiti dipianificazione definiti per interventi finalizzati allarealizzazione di edilizia residenziale sociale; dirinnovo urbanistico ed edilizio; di riqualificazione emiglioramento della qualità ambientale degliinsediamenti.

vari fabbisogni e, più in generale, contutti gli interessati al tema della casa.Sul fronte della programmazione, sipone la questione dell’individuazionedi finanziamenti a “regime”, delcoordinamento dei sussidi, dei ruolidelle Amministrazioni centrali, diquelle regionali e locali e, non daultimo, la costruzione di un quadro diriferimento certo per far esprimere almeglio le potenzialità dei partenariatipubblico-pubblico e pubblico-privato. Altri aspetti significativi riguardano ladefinizione legislativa eamministrativa del nuovo fabbisognoabitativo - ad esempio, il termine“housing sociale” quanto è coincidentecon l’edilizia residenziale pubblica alivello nazionale? Quale è la suadeclinazione economica e sociale inambito regionale e locale? - lagraduazione e l’indirizzo deglistrumenti finanziari (Fondi, SIIQ) perl’investimento nel settore dellalocazione residenziale, la revisionedella legge sulla locazione el’inclusione in un percorso unitariodelle risposte “spontanee” alfabbisogno abitativo (autocostruzione,agenzie per la casa, ecc.). Altri filonidella “road map” sono sicuramente lariforma delle strutture, delle funzioni edelle missioni degli Ater/Iacp e laverifica delle potenzialità esprimibilidalle “riserve tecniche” delleAssicurazioni per un loro indirizzoverso la locazione a canoni sostenibili.Infine, sarebbe necessario meditare inmodo sistematico sull’utilizzocoerente, massimizzato ed equo delpatrimonio immobiliare pubblico asupporto delle politiche disoddisfacimento del fabbisognoabitativo, nonché su altre forme di“copertura” pubblica come, adesempio, il fondo di garanzia perproprietari privati per il rischio dimorosità e il mancato rilasciodell’appartamento in locazione. Inconclusione, potrebbe essere arrivato ilmomento di meditare sulle “nuovepolitiche nazionali per l’ediliziaresidenziale e per la qualitàdell’abitare”, ad ormai più ditrent’anni dal piano decennale dellalegge 457/1978.

*Architetto.

emergenza, al fine di incentivare unaofferta adeguata e a regime in rispostaa tale fabbisogno. Ad esempio,l’intervento può essere rivolto conintensità per risolvere la difficoltàdelle famiglie per l’accesso ad alloggia canoni o a prezzi sostenibili per ilproprio reddito nelle areemetropolitane e nei comuni condinamiche immobiliari di forteincremento di canoni e valori dicompravendita; b) allocare risorse aggiuntive rispettoa quanto reso disponibile dalleRegioni, sia tramite proprie risorse cheattraverso le politiche di governo delterritorio, per il reperimento diimmobili da destinare ad ediliziaresidenziale sociale, all’interno dellapianificazione della trasformazione edello sviluppo del territorio ancheincentivando, tramite confrontocompetitivo, la partecipazione disoggetti privati2; c) interpretare il concetto di“intervento speciale” non solo inmodo “fisico” ma anche con lacostruzione di strumenti economico-finanziari innovativi e, soprattutto, diattivazione di una governance deisoggetti titolari di funzioni e compitidiversi di finanziamento (Fondazionibancarie, Enti previdenziali eassicurativi, ecc.), di “tecnicalità” e distrumenti economico-finanziari (Fondiimmobiliari, Società immobiliariquotate, ecc.), di pianificazione delterritorio (Regioni, Province, Cittàmetropolitane) per concorrere a “faresistema” nel settore delle politicheabitative. Rispetto al quadro teorico sopraesposto continua a rimanereindeterminata a livello nazionale laqualificazione e la quantificazione delfabbisogno, per localizzazione, pertipologia (dalla marginalità sociale aldisagio diffuso). Nonostante alcuneindagini relativamente recenti, infatti,non si riesce ad ottenere una“piattaforma” informativa condivisa.Difficile decidere come allocare risorseper definizione scarse, se mancaquesto presupposto. Forse sarebbeopportuna la creazione di un sistemadi comunicazione e di “ascolto” perinformare e dialogare con i soggettiorganizzati portatori degli interessi dei

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mento della proprietà immobiliare: allaproprietà delle aree destinate a processidi trasformazione urbanistica è richiestauna contribuzione - nella forma di unamancata plusvalenza - che non vienerichiesta alle altre categorie di proprieta-ri, a cui qualsiasi beneficio ottenuto aseguito di scelte urbanistiche o di naturainfrastrutturale (ad es la realizzazione diuna nuova strada, il nuovo tracciato diuna metropolitana) è riconosciuto senzaprelievi aggiuntivi rispetto a quello fisca-le.

2) Nelle tradizionali illustrazioni dellaperequazione urbanistica si evidenziacome tutte le aree di un comparto sianobeneficiarie di una quota di plusvalore,senza differenze rispetto al loro futuroutilizzo finale. Implicitamente, si sottoli-nea il carattere orizzontale dell’equitàurbanistica: proprietari di suoli analoghiottengono lo stesso beneficio dalle sceltedi piano e concorrono in eguale misuraalla contribuzione fondiaria per infra-strutture e attrezzature pubbliche.Lo sviluppo urbanistico della città tutta-via non riguarda necessariamente suoliche presentano caratteri simili. Le areeoggetto di trasformazione urbana posso-no ad esempio avere aspetti giuridici ecaratteri fattuali profondamente diversitra loro. Ad esempio, vi possono esserearee dismesse localizzate in aree centraliche sono destinate al piano a nuove fun-zioni, mentre altre aree possono essereaggiunte al perimetro del centro abitatoesistente sottraendole al perimetro deisuoli destinati al settore primario.A proprio fondamento, la perequazionepropone un superiore livello di equità

L’equità nelle decisioni di pianoEzio Micelli

di perequazione, lo strumento si rivelaefficace a condizione vi sia una trasfor-mazione urbanistica, intesa come unamodifica fisica e/o funzionale di unaparte di città nella quale l’amministrazio-ne acquisisca superfici destinate a servizicollettivi. Un simile meccanismo è resopossibile dal nuovo patto che la proprie-tà stabilisce con l’amministrazione: setutti i proprietari sono beneficiari di unaquota di plusvalore, allora è credibile chele aree funzionali allo sviluppo della cittàpubblica, ed eccedenti quanto già dovutoper legge, passino all’amministrazionecomunale senza il ricorso all’esproprio.Al contrario, se non vi è trasformazioneurbanistica la perequazione è inefficace.Essa infatti non si trova nelle condizionidi poter operare: sotto il profilo urbani-stico, non vi sono aree messe in giocoper nuove funzioni pubbliche e private;sotto il profilo economico, in assenza diuna variazione di rendita a mezzo didecisione urbanistica, non può essereattivato lo scambio tra proprietà e ammi-nistrazione. La locuzione di perequazione generaliz-zata è in questo senso fuorviante. Laperequazione non può essere estesa, per isuoi limiti costitutivi, alle parti della cittàche non si trasformano sotto il profilourbanistico. Ne deriva che la perequazio-ne non si applica - in modo necessario enon contingente - alle aree della cittàconsolidata e in fase di completamento ealle aree a destinazione agricola e quindila sua eventuale generalizzazione è lega-ta alla sola classe di suoli destinati a tra-sformazione.I limiti strutturali della perequazione sol-levano un problema di equità di tratta-

Il successo della perequazione urbanisti-ca può essere spiegato dalla capacitàdiquesto strumento di risolvere simulta-neamente due problemi: una superioreequità del piano e una maggiore effi-cienza allocativa e quindi, in altri termi-ni, una più corretta ripartizione dei bene-fici legati alla creazione di valore fondia-rio e immobiliare a seguito delle decisio-ni urbanistiche. Se il tema dell’equità delpiano è stato al centro delle riflessionialla base della formulazione del nuovostrumento, l’enfasi si è successivamentespostata sul tema del recupero del plu-svalore in termini di dotazioni territoriali(quando non sul tema del recupero dirisorse finanziarie a mezzo di piani urba-nistici), con l’effetto di una minore atten-zione sul tema della giustizia distributivanella ripartizione del plusvalore esitodelle scelte di pianificazione.Ritornarealle forme in cui si attua l’equità delledecisioni urbanistiche appare decisivosoprattutto per la legittimità dello stru-mento e per la solidità del suo impiegoin piani e progetti.

1) La perequazione è uno strumento checonsente l’acquisizione di aree destinate ainfrastrutture e attrezzature pubblichesenza che l’amministrazione debba ricor-rere all’esproprio per pubblica utilità. Iparchi, le attrezzature sportive, i servizialla città possono dunque essere realizzatisu aree acquisite senza procedimentiautoritativi e con il concorso della pro-prietà, comunque beneficiaria di unaquota di rendita opportunamente distri-buita su tutte le aree senza distinzioni tradestinazioni pubbliche e private.Se restiamo a questa definizione classica

Creditie debiti urbanistici

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Urbanistica INFORMAZIONI

de riconoscere. In altri termini, l’ammini-strazione può distinguere tra ambiti rite-nuti disomogenei sotto il profilo delvalore all’interno della classe di suoli giàcompresi nel perimetro urbano. Adesempio, aree centrali dismesse possonoessere distinte da ambiti marginali perquanto già oggetto di insediamenti urba-ni; aree ad elevata qualità ambientale,che evidentemente scontano modestacapacità di carico urbanistico in ragionedelle loro caratteristiche intrinseche, pos-sono essere differenziate dai restantisuoli sottratti all’uso e agricolo e destina-te a funzioni urbane. Simili processi di differenziazione sonotesi a riconoscere diversi livelli di renditadifferenziale e riflettono la sensibilitàdell’amministrazione nei confronti dellediverse posizioni proprietarie interessatedai processi di trasformazione urbanisti-ca della città.

4) La declinazione del concetto di equitànelle decisioni di piano non è priva diconseguenze operative: se non seguespecifiche regole di attuazione, il metodoperequativo semplicemente non si rivelacoerente con i presupposti a proprio fon-damento. La classificazione delle areenulla dice del progetto di città - e dun-que degli indici edificatori che ne sonoespressione - poiché è incentrata sullecaratteristiche delle aree al momento cheimmediatamente precede le decisioni dipiano. La successiva fase di attribuzionedelle potenzialità edificatorie succedetemporalmente e soprattutto logicamentealla fase della classificazione dei suoli eriflette ciò che il piano propone proget-tualmente per lo sviluppo della città.A queste condizioni, la perequazionesostituisce alla tradizionale iniquità fon-diaria una meno ingiusta distribuzionedei benefici legati al plusvalore con-seguenza delle decisioni amministrative.Nel caso invece la fase della classifi-cazione venga debolmente sviluppata -quando non del tutto ignorata - l’effettoè, nel migliore dei casi, di pervenire aduna equità di comparto senza tuttaviache ben superiori ed evidenti iniquitàdistributive caratterizzino l’elaborazionee la attuazione del piano: risultatodavvero modesto date le premesse el’ampiezza degli obiettivi di uno dei piùrilevanti strumenti della nuova stagioneurbanistica del Paese.

materia, aree edificabili e aree agricolevengono nettamente distinte: se perentrambe il valore dell’indennizzo si basasulla ricognizione dei prezzi di mercato,esse nondimeno vengono distinte comeparti di ambiti chiaramente riconoscibilisotto il profilo giuridico e fattuale.Sotto il profilo economico, le aree chedivengono urbane a seguito delle deci-sioni del piano sono aree che beneficiano- principalmente quando non esclusiva-mente - della rendita assoluta, intesocome lo scarto tra il valore agricolo e ilvalore minimo delle aree destinate a usiurbani. Le aree già comprese nel perime-tro urbano beneficiano invece della solarendita differenziale legata alla modificadelle destinazioni d’uso e delle potenzia-lità di edificazione promosse dallo stru-mento urbanistico.Risulta dunque evidente come le dueclassi di aree siano intrinsecamentediverse e come ogni soluzione che mirialla omologazione del loro trattamento siriveli paradossalmente promotrice diforme inique di trattamento.Al loro interno, le aree già comprese nelperimetro urbano possono essere artico-late in tre sottoclassi: la prima è quelladelle aree legittimamente edificate desti-nate a trasformazione per volumetria efunzioni; la seconda è quella delle areeedificabili non attuate; la terza è infinequella delle aree con vincolo preordinatoall’espropriazione destinate a servizi col-lettivi e mai acquisite. Nel primo caso e nel secondo caso, larendita assoluta è già contenuta nei fab-bricati e nei suoli soggetti a trasforma-zione, mentre nel secondo le aree sono,di norma, suoli che da agricoli sono stateinclusi nel perimetro urbano in attesadell’acquisizione da parte dell’ammini-strazione. Tali suoli possono non esseremai stati oggetto di sviluppo e presenta-no spesso i tratti di un’area a destinazio-ne agricola o comunque non urbana ed èutile sottolineare come, qualora il proce-dimento espropriativo avesse avutoluogo, il valore del loro indennizzosarebbe stato commisurato al valoreagricolo dell’area, e non a quello di un’a-rea edificabile. Nel grafo della classificazione delle aree,ulteriori livelli di articolazione delle pro-prietà possono essere individuati operan-do delle distinzioni basate sulle renditedifferenziali che l’amministrazione inten-

per una categoria specifica di proprietàinteressate da processi di trasformazioneurbanistica. Appare dunque difficilesostenere come un simile strumentopossa trovare applicazione grazie ad ununico insieme di regole, e in particolaregrazie ad un unico indice di edificabilità,laddove il piano operi su aree e comples-si immobiliari significativamente diversi.A fronte di differenze riconoscibili devo-no corrispondere altrettante diversemodalità di trattamento delle proprietàinteressate: la classificazione delle areeappare fondamentale per il corretto svi-luppo della perequazione nella gestionedei piani. La proposta di una perequazio-ne a indice unico - eredità del plafondlegal de densité francese che ha ispiratoper decenni un nuovo regime dei suolianche in Italia - è errata sotto il profilodel metodo perché confonde la semplici-tà della soluzione (a tutti i proprietari lostesso ammontare di diritti) con la suaequità, che sulla base delle diverse situa-zioni proprietarie consente di determi-nare condizioni di superiore giustizianella determinazione delle regole di svi-luppo delle aree di trasformazione urba-nistica.

3) L’articolazione delle posizioni proprie-tarie richiede che vengano fissati i criteridi un percorso di classificazione organiz-zato nella tradizionale forma del grafoad albero. La rilevanza di criteri di orga-nizzazione del processo di classificazionedeve tenere conto dei fattori che concor-rono massimamente alla formazione delvalore: sotto il profilo economico, laperequazione è uno strumento per unapiù giusta ed equa ripartizione del plu-svalore fondiario determinato dal piano,e quindi i criteri di classificazionedovranno necessariamente tenere contodelle caratteristiche che ne condizionanola formazione. La classificazione dellearee di trasformazione urbanistica indivi-dua primariamente due classi di suoli infunzione della loro diversa destinazioneurbanistica prima delle scelte di piano. Inparticolare, la discriminante nell’organiz-zazione del grafo divide tra le aree pre-cedentemente destinate a uso agricolo equelle invece già parte del perimetrourbano. Si noti che una simile distinzio-ne riprende la divisione che il legislatoreindividua per la determinazione dell’in-dennità espropriativa. Nel Testo Unico in

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EventiEventiaperto sul tema dellatrasformazione urbanasostenibile e che,soprattutto, tentava didelineare fecondi intreccicon innovativi e parallelipercorsi di ricerca portatiavanti da gruppi di ricercalocali e professionalitàquali João Antonio Nunes,Chiel Boonstra, PeterBrandon, Thomas Herzog,Andreas Kipar, solo percitare alcuni dei più notinomi presenti fra gli ospitistranieri. La seconda fase delprocesso si preannuncia,invece, con un carattere dimaggiore operatività, dariconoscere innanzitutto apartire dal panorama degliattori coinvolti, che ad untavolo politico-istituzionalecostituito da esponenti diRegione Piemonte,Provincia di Torino,Comune di Torino, Enteparco e Amiat accosteràalcuni soggetti a cuiverranno demandatispecifici compiti tra cui:FOAT, Finpiemonte,Environment Park eAgenzia Energia Ambiente. Innanzitutto, dovrannoessere costruite le linee diindirizzo attraverso alcuneprincipali azioniprogrammatiche: ladefinizione di unmasterplan per l’ambito divia Reiss Romoli esteso finoai confini delle città diBorgaro, Venaria Reale eSettimo Torinese; losviluppo di un fuoco diapprofondimentosull’ambito Amiatfunzionale al piano direcupero specifico per l’areadell’attuale discarica;l’individuazione di unasocietà pubblico-privata chesvilupperà gliapprofondimentiprogettuale e darà inizioagli interventi. Da qui

l’evoluzione dei temiindividuati e discussi giàdurante la prima fase diindagine progettuale: losviluppo del ragionamentosull’utilizzo di energiaalternativa in ambitourbano; la valorizzazionedel Waterfront; larealizzazione del parcotematico per lavalorizzazione del sistemadelle antiche cascine.Governare un processo diprogettazione su un’area ditale complessità non saràcerto cosa facile. Ciò che èchiaro è che un’esperienzanata nell’alveo della sferaculturale quale confrontointernazionale sul temadello “sviluppo urbanosostenibile” ha incontratoun così vasto consenso diattori politici e diamministratori locali darichiedere di sviluppare unragionamento su qualistrumenti urbanisticiprocedurali dovranno esseremessi in campo persostenere un’operazione ditale portata. Fra le novitàintrodotte, inoltre, è dariconoscere anche un piùstretto rapporto fra mondodella ricerca universitaria,le amministrazionipubbliche e gli imprenditoriimmobiliari che,tradizionalmente, operanoseparatamente. È questo ilnodo su cui ci si dovràcontinuare a confrontare.

* Assegniste di ricerca DIPRADI -Politecnico di Torino.

Torino - Bassedi SturaBarbara Melis,Angelamaria Molinari*

Ripartirà il processoprogettuale ditrasformazione sostenibileche porterà allariqualificazione dell’area diBasse di Stura, una dellepiù compromesse areeperiferiche della città diTorino. L’innesco delprocesso è stato cardine delprogetto “Trasmettere laCittà sostenibile”, nato dalpatto tra istituzioni locali elanciato nell’ambitodell’importante cornice delXXIII Congresso MondialeUIA, Torino 2008.A seguito della carrellata dieventi culturali organizzatada FOAT1 a partire dalmarzo 2007 e terminati nelfebbraio 2008 (il workshopdi progettazione, i focus diapprofondimento intermedi,la mostra e la conferenzafinale Comunicare la cittàsostenibile) il processo diprogettazione su Basse diStura coordinato dall’arch.Pier Giorgio Turi, inoltre, siè recentemente articolato inun ulteriore evento dicarattere culturale, ancorapromosso da FOAT

(Fondazione dell’Ordinedegli Architetti,pianificatori, paesaggisti econservatori della Provinciadi Torino), “Abitare lacittà”, sviluppato in unaserie di lecture esperimentazioni progettualicon lo scopo di indagareinnovative forme diresidenzialità sempre sullosfondo dell’area Nord diTorino. Nel frattempo, ilsecondo Protocollo d’intesasulla riqualificazione diBasse di Stura è giunto adun’avanzata forma didefinizione da parte diRegione Piemonte,Provincia e Comune diTorino, Ente Parco eAMIAT. Ma quali sono le novità delsecondo protocollo?La prima fase (2007–08) siarticolava in una serie diconfronti con studiosi eprofessionisti italiani estranieri con lo scopo diportare il ragionamentosulla trasformazionedell’area di Basse di Sturaal di fuori dell’ottica locale,proiettandolo, al contrario,all’interno di un contestointernazionale di studi e diesperienze progettuali. Sidava in questo modo vitaad un originale processo diprogettazione fondato suldialogo e sul confronto

a cura di Carolina Giaimo

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decrescenti a fronte diesigenze ed obiettivicrescenti, politiche di spesadi ateneo da un lato dirisparmio e dall’altro, diconseguenza, selettivesecondo criteri e obiettiviorientati non proprio almiglioramento dell’offerta edal posizionamentoqualitativo, ma invece allarispondenza a requisiti, purcomprensibili, di buonaamministrazione (o, meglio,di amministrazione di fattoquasi “commissariata”).Come è evidente, lamaggiore sperimentalitàdovuta alla condizioneinterfacoltà ha comportatoulteriori difficoltà, non tantodel progetto formativo(scontata la rigidità delsistema “discipline di base,caratterizzanti, affini”, eraproprio questa la prerogativacostitutiva dei due CCdL!),quanto di naturaorganizzativa e derivantidalla minorerappresentatività nell’offertacomplessiva per il pesonumerico di studenti iscrittiai due CCdL1, consideratobasso rispetto ai parametri divalutazione quantitativaassunti in sede ministerialeper CCdL/Facoltà/Atenei.Ciò nondimeno, il lavorocongiunto svolto in questiotto anni tra le due Facoltàdella “Sapienza” di Roma,Architettura “LudovicoQuaroni” ed Economia, hacondotto ad esiti che oggiriteniamo di un certointeresse e che ci fannopensare di avere speso beneil tempo e l’impegnoprofusi2.

L’idea del profilo integrato

Il bilancio complessivodell’esperienza rappresenta,dunque, un frammentosignificativo e in qualche

strada della suavalorizzazione.Diciamo subito che a frontedella scarsa significativitàdelle lauree triennali (sonopochi, infatti, i laureati diprimo livello che non siiscrivono alla biennalespecialistica), il “3 e 2” delDm 270 potrebbe comunquemigliorare le prestazioni delsistema formativo,ampliando l’accessibilità allelauree specialistiche aprescindere dall’offertapropria di filiera. Nella logicatriennio/biennio questoappare un approccio piùconvincente, ma a fronte didebiti formativi “sostanziali”che rischiano di costituire unforte disincentivo alla sceltapiù libera della laureaspecialistica (soprattutto sedebiti anche “formali”).Nell’insieme, dunque, larazionalizzazionequantitativa dell’offerta, idebiti formativi e la carenzadi risorse dedicate, rischianoancora una volta dicompromettere l’ennesimoaggiustamento di sistema. Di tutto questo, del Dm 509e del passaggio al Dm 270,ha risentito l’esperienzainterfacoltà dei Corsi diLaurea in Pianificazione eGestione del Territorio edall’Ambiente, PGTA(VALGESTA l’acronimooriginario), e inPianificazione e ValutazioneAmbientale, Territoriale eUrbanistica, PIVAT, attivatialla “Sapienza” Università diRoma; esperienza avviata nel2001 appunto per coglierel’opportunità di ripensare laformazione di urbanisti epianificatori rispetto almodello tradizionale, econdotta tra le moltedifficoltà che hannocaratterizzato la vita di tantiCCdL ex Dm 509: risorse

509 ha comportatodifficilmente può esserepositivo. Per la parzialitàappunto delle misure, ingenerale per l’assenza di undisegno organico e realmenterifondativo, per lademagogia che hacaratterizzato gli stessiprovvedimenti di solarazionalizzazione.L’Università – pubblica –,infatti, è stata vistasoprattutto come un“problema”, per molti versiriconducibile a quello piùgenerale di una P.A. costosae inefficiente. In misurairrilevante si è percorsa la

Dal Dm 509 al Dm 270

Con l’attuazione piena delDm 270/2004 dovrebberealizzarsi dall’annoaccademico 2009/2010l’auspicata razionalizzazionedel modello di offertaformativa che l’universitàitaliana aveva avviato nel2001 con il “3+2” ex Dm509/1999. Razionalizzazionecon differenze rilevanti circail funzionamento della filieratriennale/biennale.Ad oggi, intanto, come inpassato era già avvenuto, unbilancio complessivo dellaparziale riforma che anche il

ASSOCIAZIONE NAZIONALE URBANISTIPIANIFICATORI TERRITORIALI E AMBIENTALI

Membro effettivo del Consiglio Europeo degli Urbanistiwww.urbanisti.it

Cosa resta del profilo del ProjectManager?L’esperienza del CdL e CdLS interfacoltà PGTA e PIVATdella “Sapienza” di Roma Francesco Karrer, Bruno Monardo, Saverio Santangelo

Nei numeri 217 e 218 di UI abbiamo cominciato apresentare l’offerta universitaria nel campo dellapianificazione territoriale e urbanistica [classe di laureeLM48 e L21]. Continuiamo in questo numero, e in quelliche seguiranno, convinti che uno dei degradi della cattivagestione del territorio italiano risiede proprio nell’esistenzadi diversi percorsi formativi, che producono figureprofessionali più attente alla progettazione edilizia chenon alla pianificazione e alla gestione del territorio. GDL

a cura di Giuseppe De Luca

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(Laboratori di progettazioneurbanistica e simulazioneeconomica e finanziaria deipiani e dei progetti) e losvolgimento di stages pressoenti, amministrazionipubbliche o private,organizzazioni professionalio di categoria,organizzazioni nongovernative e nel “terzosettore”.

Risposte culturali e criticitàorganizzativo/gestionali

Di conseguenza è apparsachiara la necessità dicostruire nuovi segmenti dipercorso formativo ancherelativamente a insegnamentigià impartiti nelle rispettivearee tematiche, disegnandoper quanto possibileprogrammi mirati infunzione della domandaespressa dal profilo del“project manager”.La declinazione attuativa delprogetto formativo dal puntodi vista culturale, avendopresenti le perplessitàespresse da alcunisull’eccessivaspecializzazione di un profilointerfacoltà di questo tipo,teoricamente pococompatibile, in particolare,con una semplice Laureatriennale, si è preoccupata distabilire forme dicollaborazione, sinergia ecoordinamento nellacostruzione e sviluppo deiprogrammi dei diversiinsegnamenti non soltantonei rispettivi, fisiologicidomini di Facoltà, ma anche,per quanto possibile, inmodo incrociato. Era paleseinfatti la necessità di evitarela creazione di un profilo“bifronte”, dotato di elementidi base in campoeconomico-giuridico eurbanistico, ma privod’identità precisa e della

capacità di stabilireun’organica integrazione trai diversi contesti disciplinari.Le risposte in termini dilivelli di maturazione daparte dei laureati, dopo unainevitabile fase iniziale diassestamento, hanno fornitotuttavia un quadroprogressivamente piùrassicurante. Obiettivamentesi può affermare che il semegettato con costanza daidiversi insegnamenti peraffinare la capacità distabilire ponti logici,connessioni e integrazionitra le conoscenze acquisite incampo economico eurbanistico, ha contribuito aschiudere e consolidare unorizzonte aperto ad unapproccio piùinterdisciplinare,tendenzialmente “olistico”,pur attraverso passaggicaratterizzati da notevolidifficoltà per discenti edocenti. Anche se latendenza dei laureatitriennali è stata orientataalla prosecuzione delpercorso verso il bienniospecialistico “naturale”, nonsono stati infrequenti i casidi potenzialità di sbocco nelmondo del lavoro attraversoil superamento degli Esamidi Stato per laureati triennaliin Classe 7 (Ordine delPianificatore junior).

Un esito inatteso e un po’…amaro

Possiamo dunque valutarepositivamente l’esperienzaPGTA/PIVAT riferendocisoprattutto agli esiti finalidel “3 + 2”, quindi alle tesidella specialistica biennale,nelle quali si coglie il fruttodell’intero percorso.Mediamente, infatti, sonoevidenti i caratteri distintividell’approccio interfacoltà“Urbanistica-Economia” e

dell’Ordinamento e deiManifesti degli Studi, oltreche al campo tradizionale,veniva posta particolareattenzione al ruolo decisivodella preparazione in campogiuridico, gestionale-aziendale, storico eambientale.Un laureato capace non solo,dunque, di operare ocoordinare equipe diprogettazione, pianificazionee gestione della città, delterritorio e dell’ambiente(piani, programmi e progettia scala urbana e territoriale,generali, attuativi e disettore, regolamenti enormative), ma in gradod’individuare strumenti difinanziamento per i progettidi investimento pubblici eprivati e contribuire acostruire e valutare scenarialternativi di sviluppo eintervento in coerenza conprincipi, missioni e strategiedi amministrazioni,istituzioni, imprese, soggettiemergenti e nuoviprotagonisti delle comunitàurbane e territoriali.In definitiva, unacompetenza in grado difornire solide risposteall’esigenza di determinaregli impatti economici efinanziari derivanti dallascelte di trasformazione delterritorio, figure e capacitàsempre più richieste dallepolitiche di accessibilitàselettiva e di competizionetra soggetti per icofinanziamenti nel contestodei programmi d’interessenazionale e dell’Unioneeuropea.Da qui, la necessità diequilibrare la dimensioneteorica della conoscenza coni risvolti applicati,prevedendo nell’iterformativo la frequenza alaboratori specifici

modo emblematicamentecontraddittorio dellacomplessa declinazione dellepolitiche di rinnovamentoformativo di livellouniversitario concepite congrande enfasi alla fine deglianni novanta.L’idea del profilo formativoche un ristretto ma motivatomanipolo di docenti delleFacoltà di Architettura “L.Quaroni” e di Economia hainteso promuovere, nascevadall’oggettivo ritardo con ilquale le istituzioniuniversitarie si erano attivateper un’offerta specifica diesperti in grado dipadroneggiare i temi dellavalutazione e gestione dipiani, programmi, progetti ditrasformazione della città edel territorio, a fronte di unacrescente, esplicita domandaespressa in tale direzione giàa partire dagli anni ottantada pubblicheamministrazioni centrali, entilocali, imprese, societàd’investimento private emiste, altri soggetti portatorid’interesse in grado diincidere sulla scenainsediativa.In effetti, seguendo lefisiologiche specificitàdistintive tra il livello di base(triennale) e superiore(specialistico), il nuovoprofilo ha disegnatoun’identità ben precisa,caratterizzata dalla sinergiatra la consolidata formazionenelle discipline nel campodella Pianificazione urbana,territoriale e ambientalesecondo gli stili della Scuoladella Facoltà di Architettura“L. Quaroni” della «Sapienza»e il collaudato e robustopatrimonio di conoscenzedella Scuola di ScienzeEconomiche dello stessoAteneo. Al riguardo, fin dalleprime fasi di costruzione

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salve le fasi transitorie)dell’esperienza dei due Corsidi Studio che per decisionecongiunta delle due Facoltànon sono programmati per“migrare” verso la nuovaveste delineata dal Dm 270.Al di là degli aspetti, purrilevanti ma meramentequantitativi della riformaMoratti (questione deirequisiti minimi), apparesorprendente lacontraddizione tra quanto èstato sempre dichiarato dalcontesto istituzionale –anche pubblicamente e aimassimi livelli – circal’importanza e la sostantivitàdel profilo formativo da unlato e la deludentemobilitazione “politica” perrimodulare il progettodidattico in funzione deldecreto dall’altro, purmantenendonecaratterizzazione innovativae distintività. Troppo rigidesi sono rivelate, al riguardo,le visioni di porzioni nontrascurabili dell’apparatoaccademico per disegnare econvergere su un percorso insinergia con altri CdL daattivarsi nelle areedisciplinari comuni.

Note1. Ad oggi, per l’anno accademico2008/2009, gli immatricolati efrequentanti il primo anno dellatriennale sono una cinquantina, ilsecondo anno della biennale circa venti. 2. I due CCdL sono il frutto dell’attivitàdi progettazione e gestione inparticolare di Francesco Karrer, BrunoMonardo e Saverio Santangelo, dellaFacoltà di Architettura “LudovicoQuaroni”, e di Claudio Cecchi e PietroValentino, della Facoltà di Economia.Questo gruppo di docenti si è anchefatto carico di un consistente impegnodidattico volto a coprire le esigenzeformative distintive del progetto ed afronte della necessità di ricorrere ilmeno possibile ai contratti esterni.All’attività didattica hanno poicontribuito altri docenti strutturati delledue facoltà che in questi anni si sonoriconosciuti nel progetto.

soddisfacenti i livelli dipreparazione raggiunti inordine a: i) integrazione frale principali componentidisciplinari, urbanistica epianificazione, dirittourbanistico ed economia; ii)capacità, in questo senso, dianalizzare e valutare progettianche complessi ditrasformazione urbana eterritoriale; iii) estensionedella copertura tematica siadei percorsi formativi chedelle tesi; iv) attenzione alleproblematiche emergenti.In generale, nonostante lascarsezza complessiva dimezzi a disposizione, lavalutazione dei risultati dalpunto di vista culturalemette in evidenza unaforbice ristretta tra risultaticonseguiti sul campo eobiettivi delineati a priori.Segnatamente i laureatispecialistici rivelano una piùmatura assimilazionedell’approccio di tipointegrato che rappresenta la“conditio sine qua non” perla costruzione del modernoprofilo del “project manager”,un professionista le cuicompetenze siano facilmentespendibili tanto a livello dipubblica amministrazione,quanto nel mondodell’imprenditoria privata.La stabile collocazione o lacollaborazione di un discretonumero di laureati PGTA ePIVAT con Enti locali esocietà d’investimento esviluppo urbano e territorialemisti o privati rappresenta lapiù indiscutibile cartina ditornasole della validitàcomplessiva degli assunti delprogetto formativointerfacoltà intrapresoall’inizio del duemila.Proprio per questo è ancorapiù singolare e un po’malinconico ratificare ladefinitiva conclusione (fatte

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a cura di Ruben Baiocco

Librie altroLa scelta di intraprendereun’indagine sulla città diBolzano è attribuita a treragioni.Innanzi tutto la chiarezza“didattica” della sua formaurbana. Diversamente daaltre forme di città, lamorfologia urbana diBolzano si è costituita neltempo per addizionisuccessive, senza particolarialterazioni delle struttureinsediative precedenti. Sipresenta come unacomposizione discontinua,un puro assemblaggio didisegni a tramedifferenziate ognuno deiquali corrisponde ad unaprecisa fase dello sviluppourbano: i nuclei degliinsediamenti originari,l’espansione ottocentescadella Neustadt, la “cittàgiardino” disposta sotto lependici delle alture a norddell’abitato, la rete dei vialie gli apparati monumentalidella Bolzano italiana aovest del fiume Talvera, laZona industriale a suddell’Isarco, le espansionipiù recenti sorte sulla tramadel piano di Piccinato, cosìdense da delineare il limitenetto dell’agglomeratoverso una campagnaintensamente coltivata,ancora oggi resistenteall’urbanizzazione.Osservando la forma dellacittà attuale è dunquepossibile leggere, con lachiarezza di un testo, la suabiografia, la sua formazioneper fasi successive. Aidifferenti tempi dellosviluppo urbanocorrispondono differentiluoghi formalmente definiti.Ne risulta unacomposizione per partidistinte, che restituiscenell’insieme l’idea di unastruttura urbanaformalmente compiuta edimensionalmente satura.

La seconda ragioneriguarda la consolidataattitudine della città alcambiamento e allasperimentazione. A partiredalla metà dell’OttocentoBolzano si sottopone asuccessivi processi diradicale trasformazione inperfetta sintonia conquanto avviene nelleprincipali città europee.Successivamente sitrasforma in un vero eproprio laboratorio delpiano e del progettourbano, un terreno disperimentazione dove siconfrontano ipotesiprogettuali alternative e siverificano strategiepianificatorie e tipologiearchitettoniche innovative.Come nel caso dellacompetizione del 1929 peril piano della Bolzanoitaliana, in cui i diversicontributi di professionistiaffermati e di giovanipromesse dell’architetturamoderna come Muzio,Merlo, Chiodi, SottsassLibera, Pollini, restituisconol’ampio respiro delconfronto tra generazioni elasciano alla cittàun’importante patrimoniodi idee, nonostantel’epilogo autoritario delpiano di Piacentini cheproprio di quelle idee si ènutrito. O come nellavicenda del piano diedilizia pubblica progettatoda Carlo Aymonino nel1979 che prevedeva, insostituzione del più radocomplesso delle case“semirurali” edificate neglianni ’30, la realizzazione digrandi unità edilizie acorte, parzialmenterimpiazzate, in faseattuativa, da uninsediamento più estensivo,fedele ai modelli delle newtowns inglesi. Oggi le dueparti di quel quartiere,

La città come laboratorio.Indagini e sperimentazioniprogettuali sulla formaurbana di Bolzanoa cura di Carlo AlbertoMaggiore e StefanoRebecchiMaggioli EditoreSaggi di Silvano Bassetti,Oswald Zoeggeler, SilviaSpada, Ermanno Filippi

La lezione di BolzanoNon sono molte le cittànella cui forma sia ancorapossibile riconoscere lapermanenza fino ad oggi diun rapporto virtuoso tracomunità locale einsediamento, soprattuttotra quelle che non hannorinunciato a crescere e arinnovare le propriestrutture architettoniche eurbane. Una di queste èBolzano, una città bendefinita e compiuta nellamorfologia delle sue partima allo stesso temposempre disponibile adaggiornare la meccanicagenerale delle sue relazioniinterne. Un’attitudine allatrasformazione testimoniatadalla sua particolarevicenda storica,caratterizzata da repentinisalti di scala, e confermatadalle sperimentazioni incampo urbanistico eambientale che da qualche

tempo ne fanno unlaboratorio permanente,dove si applicano strategieinnovative e si mettono apunto modelli di sviluppoda esportare.Partendo da un’esperienzadidattica maturata neiLaboratori di ProgettazioneArchitettonica alPolitecnico di Milano tra il2002 e il 2008, il libro cheCarlo Alberto Maggiore eStefano Rebecchi hannodedicato alla città diBolzano propone un’ampiariflessione sui caratteri e gliordinamenti della cittàcontemporanea,ripercorrendo le complessevicende della formazione,dei successivi ampliamenti,fino ai più recentiinterventi ditrasformazione.Gli esercizi di descrizionedella forma urbana e lesperimentazioni progettualisvolte su diverse aree dellacittà sono anticipate da unapprofonditoinquadramento storico-critico, illustrato da unricco repertorio dicartografie, fotografie edisegni, in alcuni casiinediti, che documentano lediverse fasi dello sviluppourbano e prendono inesame le emergenzearchitettoniche della città.

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dotate degli stessi indici didensità territoriale, sicontrappongono una difronte all’altra offrendo,con le loro differentimorfologie, una formidabilelezione comparativa sulrapporto tra piano eprogetto. Sul medesimotema si sono esercitati i piùrecenti programmi didensificazione urbanapromossidall’amministrazione diSilvano Bassetti che hannoaperto un nuovo confrontointernazionale e hannoispirato le sperimentazionidei quartieri Resia eCasanova. La terza ragione riguardainfine la questione dellasostenibilità di cui Bolzanorappresenta una sorta diparadigma. Questa buonareputazione della città haradici lontane, in quellacultura della sostenibilitàurbana ed ambientale che èespressione stessa delpermanere nel tempo di unrapporto virtuoso tra lacomunità locale e il suoinsediamento. Qui la storicacondizione di scarsità disuolo, tipica dei nucleialpini, ha alimentato neltempo una solida culturadella parsimonia,dell’economia, dell’usointensivo delle risorsefinalizzato a massimizzarela qualità e a contenere glisprechi. L’anomalia dellaforma urbana di Bolzano neè una diretta conseguenza.La persistenza fino ad oggidi una netta distinzione tracittà e campagna sembrarivelare una chiara adesioneper il modello insediativodell’originario borgomercantile medievale,quello della città compattain opposizione alladispersione insediativa.Vi è in questocondizionamento

un’opportunità didattica peril progetto. Operando nellerestrizioni di un contestolimitato, caratterizzato daimprescindibili vincoli dieconomia, il progettoarchitettonico è costretto adarsi una disciplina, ariflettere sulle condizionistesse della sua necessità, averificare ogni volta la suasostenibilità, la suaconsistenza.Carlo Alberto Maggiore,Stefano Rebecchi eMassimiliano Nocchiaprono la pubblicazioneinterrogandosi sul ruolodella didatticanell’interpretazione degliattuali fenomeni ditrasformazione urbana esulle condizioni disciplinaridel progetto architettonicoe urbano. Richiamando leragioni teorichedell’originario rapporto traarchitettura e città, chevincolava il progetto adun’irrevocabile“responsabilità urbana”,viene sottolineata lanecessità di tornare adesercitare il potenzialeinvestigativo propriodell’attività progettuale, inopposizione alla tendenza aridurre l’architettura allapura dimensione visibile,apparente delle sueimmagini edificate orenderizzate. La didatticadel progetto viene indicatacome il luogo privilegiatodell’indagine sulla città,intesa come sistemacomplesso e variabile in cuiinteragiscono componentidiversi: dai segnidiscontinui della suaformazione nel tempo, aicaratteri strutturali delpaesaggio, alle dinamicheche orientano letrasformazioni future. E’per queste ragioni che gliautori hanno assuntoproprio la città o, più

precisamente, un casoparticolare di città comelaboratorio del progetto.Non una generica città“globale” ma una specificacittà “normale”.Nella seconda parte dellibro Silvia Spada edErmanno Filippi, giàcuratori di mostre e autoridi diverse pubblicazionisulla storia della città esull’arte del Trentino AltoAdige, ricostruiscono laBolzano medievale, laformazione della città inrapporto all’architettura delnucleo gotico-mercantile,delle chiese, dei palazzi edei castelli. Un interessantesaggio di Oswald Zoeggelersu Marcello Piacentini aBolzano ripercorre lavicenda del piano per laBolzano italiana e prendein esame gli edificiprogettati dall’architettoromano come capisaldidella nuova strutturaurbana. Sono poi dasegnalare i due scritti,lasciati da Silvano Bassettiprima della sua scomparsaun anno fa. Il primo trattadella “cifra europea” checaratterizza la Bolzano difine Ottocento e il secondoillustra le più recentistrategie di densificazione eriqualificazione urbana dalui stesso intraprese duranteil suo mandato comeAssessore all’Urbanistica delComune. Ricordiamo cheBassetti è stato per diversianni anche consiglierenazionale e presidenteprovinciale dell’INU. Anchequesta pubblicazione è statada lui stesso ispirata inseguito alla suapartecipazione appassionataalle correzioni finali dellaboratorio.Nella parte conclusiva dellibro le esercitazioni deglistudenti del laboratoriosono introdotte da un

singolare montaggio chericostruisce la forma urbanadi Bolzano componendo traloro i diversi piani,realizzati e non, quasi adelineare un contestoparallelo, una ideale “cittàdi piani” che sopravviveaccanto alla città reale.Simmetricamente i materialidi progetto, elaborati sullediverse aree assegnate, sonostati riportati sulla mappadella città contemporanea aformare i capisaldi di unrinnovato sistema di spazipubblici che ha negli alveidei fiumi la sua strutturaportante. Le linee difrattura che separano lediverse parti della città sitrasformano qui in undispositivo diricomposizione eintegrazione tra lemolteplici identitàmorfologiche, fondato sullavalorizzazione deglielementi ambientali epaesaggistici. Vi è unedificio che può essereconsiderato il paradigmaarchitettonico di questospostamento dallacontrapposizione allaricongiunzione tra lediverse parti della città. Sitratta dell’attuale sededell’Accademia Europea diBolzano (EURAC), realizzatatrasformando e ampliandola precedente struttura dellaCasa GIL edificata neglianni ’30 come propileod’ingresso alla nuova “cittàitaliana” verso la “cittàtedesca”, che oggi sipropone invece comepropulsore di un nuovoprocesso di integrazioneurbana. Dedicare un libro ad unacittà può sembrareun’operazione inattuale,soprattutto se condottadichiarando apertamente lafinalità progettualedell’indagine, procedura che

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sembra riportarci ai tempiin cui l’analisi urbana eraposta al servizio dellaprogettazione architettonicaquasi a legittimarne lescelte. Ma la motivazionedidattica che resta sullosfondo del libro permetteagli autori di rivendicare lanecessità di un recuperodelle capacità descrittive einterpretative del progetto,senza cedere a facili eillusorie tentazioni dirifondazione teorica. Lascelta di perseguire lacoscienziosa ricerca diun’architettura per la cittàsi contrappone alla derivaautoreferenziale di unapratica architettonica oggisempre più chiusa nella suadimensione “oggettuale”.Contro la ritirata delprogetto dall’impegnointerpretativo e visionario,che da sempre caratterizzala sua specificitàdisciplinare, e contro l’ideaconsumata e sterile di unacittà globalizzata edestrutturata dalla formamuta e instabile, la “cittàcome laboratorio”rappresenta il contesto dainterrogare, il terreno fertiledella ricerca consapevole, illuogo in cui il progetto puòritrovare la sua stessaragion d’essere.

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Urbanistica DOSSIER

113TOSCANAI Piani Integrati di SviluppoUrbano Sostenibile (PIUSS)

a cura cura diLuigi Pingitore,Leonardo Rignanese

Nel prossimo numero:

Politiche urbane in materiadi mixité

Rassegna urbanistica

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