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Rassegna Il progetto del paesaggio per una nuova qualità e sostenibilità della città e del territorio Felicia Bottino, p. 41 Una ricerca sul paesaggio di San Marino Anna Laura Palazzo, Biancamaria Rizzo, p. 43 Territorio, paesaggio e architettura si raccontano nel “Museo La Valle” Marino Baldin, Franco Alberti, p. 45 Il modello di perequazione del nuovo Prgc di Catania Filippo Gravano, p. 47 Il piano urbanistico comunale di Salerno Roberto Gerundo, Isidoro Fasolino, p. 49 Urbanpromo 2007: Le tematiche dell’edizione 2007 Valentina Cosmi, p. 51 Aperture Politiche Urbane Francesco Sbetti, p. 3 Agenda La guerra tra poteri non producono paesaggi Angela Barbanente, p. 4 ...si discute: La civiltà dei superluoghi Marco Guerzoni, p. 5 Paesaggio e formazione universitaria a cura di Massimo Sargolini, Michele Talia, p. 7 Paesaggio e governo del territorio Massimo Sargolini, p. 8 Le nuove responsabilita’dell’urbanistica Roberto Gambino, p. 11 Nuovi architetti per il paesaggio Alberto Clementi, p. 13 Urbanistica e Paesaggio. Verso l’attuazione della CEP Franco Zagari, p. 16 La gestione per la conservazione Carlo Blasi, p. 18 Cittadinanza attiva e riconoscimento dei paesaggi Alberto Magnaghi, p. 20 Una sfida per l’università italiana Michele Talia, p. 22 Le Fondazioni per lo sviluppo delle città a cura di Francesco Sbetti, p. 25 Dimensioni e caratteristiche delle nuove (e poco conosciute) emergenze abitative Mario Breglia, p. 26 Le fondazioni di origine bancaria e l’housing sociale Giuseppe Guzzetti, p. 29 Gli interventi delle Fondazioni per la nuova domanda abitativa Francesco Sbetti, Francesco Palazzo, p. 35 una finestra su: Buenos Aires a cura di Marco Cremaschi, p. 55 Spazi (des)aparecidos Claudia Gatti, p. 55 Costruire la memoria Claudia Gatti, p. 60 Il Club Atlético Ana María Careaga, p. 63 Opinioni e confronti Pianificare nell’epoca della trasformazione Dionisio Vinello, p. 65 Dire e fare urbanistica nel paese con la cammicia Ugo Baldini, p. 68 Dia, superdia, sottodia, infradia, ecc... Anonimo Ministeriale, p. 69 Gli strumenti pianificatori di adattamento del territorio Stefano Boato, p. 71 Crediti urbanistici Project financing e programmi integrati: soluzioni ibride per i progetti urbani Ezio Micelli, p. 76 Riforma urbanistica Riflessione sul disegno di riordino dell’Urbanistica trentina Sezione Inu Trentino, p. 79 Eventi L’Ex Aurum a Pescara Valentina Carpitella, p. 81 L’Inu XXVI Congresso INU, p. 84 Assurb a cura di Daniele Rallo, p. 86 Libri ed altro a cura di Ruben Baiocco, p. 89 Indice Indice

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RassegnaIl progetto del paesaggio per una nuovaqualità e sostenibilità della città edel territorioFelicia Bottino, p. 41

Una ricerca sul paesaggio di San MarinoAnna Laura Palazzo, Biancamaria Rizzo, p. 43

Territorio, paesaggio e architetturasi raccontano nel “Museo La Valle”Marino Baldin, Franco Alberti, p. 45

Il modello di perequazione del nuovoPrgc di CataniaFilippo Gravano, p. 47

Il piano urbanistico comunaledi SalernoRoberto Gerundo, Isidoro Fasolino, p. 49

Urbanpromo 2007:Le tematiche dell’edizione 2007Valentina Cosmi, p. 51

AperturePolitiche UrbaneFrancesco Sbetti, p. 3

AgendaLa guerra tra poterinon producono paesaggiAngela Barbanente, p. 4

...si discute:La civiltà dei superluoghiMarco Guerzoni, p. 5

Paesaggio e formazioneuniversitariaa cura di Massimo Sargolini,Michele Talia, p. 7

Paesaggio e governo del territorioMassimo Sargolini, p. 8

Le nuove responsabilita’dell’urbanistica Roberto Gambino, p. 11

Nuovi architetti per il paesaggioAlberto Clementi, p. 13

Urbanistica e Paesaggio.Verso l’attuazione della CEPFranco Zagari, p. 16

La gestione per la conservazioneCarlo Blasi, p. 18

Cittadinanza attiva e riconoscimentodei paesaggiAlberto Magnaghi, p. 20

Una sfida per l’università italianaMichele Talia, p. 22

Le Fondazioni per lo sviluppodelle città a cura di Francesco Sbetti, p. 25

Dimensioni e caratteristiche delle nuove(e poco conosciute) emergenze abitativeMario Breglia, p. 26

Le fondazioni di origine bancaria el’housing socialeGiuseppe Guzzetti, p. 29

Gli interventi delle Fondazioni per lanuova domanda abitativaFrancesco Sbetti, Francesco Palazzo, p. 35

una finestra su: Buenos Aires a cura di Marco Cremaschi, p. 55

Spazi (des)aparecidosClaudia Gatti, p. 55

Costruire la memoriaClaudia Gatti, p. 60

Il Club AtléticoAna María Careaga, p. 63

Opinioni e confrontiPianificare nell’epoca dellatrasformazioneDionisio Vinello, p. 65

Dire e fare urbanistica nel paesecon la cammiciaUgo Baldini, p. 68

Dia, superdia, sottodia, infradia, ecc...Anonimo Ministeriale, p. 69

Gli strumenti pianificatori diadattamento del territorioStefano Boato, p. 71

Crediti urbanistici Project financing e programmi integrati:soluzioni ibride per i progetti urbaniEzio Micelli, p. 76

Riforma urbanisticaRiflessione sul disegno di riordinodell’Urbanistica trentinaSezione Inu Trentino, p. 79

Eventi L’Ex Aurum a PescaraValentina Carpitella, p. 81

L’InuXXVI Congresso INU, p. 84

Assurba cura di Daniele Rallo, p. 86

Libri ed altro a cura di Ruben Baiocco, p. 89

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dell’affitto è anche una necessità di marketing urbano, cioèè una condizione per rendere competitivi i nostri sistemiurbani, per attrarre i nuovi lavoratori della conoscenzacaratterizzati da una forte mobilità interna ed internaziona-le.La lezione dei programmi complessi, partendo dal principiodella integrazione (funzionale, di interventi, risorse e sog-getti) ha inaugurato un nuovo approccio, contribuendo asedimentare la consapevolezza della necessità non più diinterventi unici ed epocali, bensì di azioni articolate, inte-grate, differenziate. La soluzione di costruire nuovi alloggi pubblici non sembra,infatti, la più adatta, per l’enorme impegno finanziarionecessario e la difficoltà sempre più evidente di gestire unpatrimonio pubblico frammentato nell’utilizzazione e larga-mente obsoleto, che dovrà quindi essere progressivamenterecuperato e sostituito, ma non più alienato. Meglio quindiun programma serio e consistente di “aiuto alla persona”,che consente maggiori condizioni di flessibilità e di equitànella gestione.A queste misure di fondo, si devono aggiungere quelle atti-vabili dalla pianificazione urbanistica locale con il nuovomodello perequativo – compensativo ormai largamente spe-rimentato: l’acquisizione gratuita di aree per l’edilizia socia-le in ogni ambito di trasformazione urbanistica; l’acquisizio-ne gratuita di diritti edificatori pubblici; l’acquisizione diquote di edilizia sociale nell’ambito di trasformazioni rile-vanti; il sostegno a programmi gestiti da “fondi etici” atempo determinato. Tutte iniziative già utilizzate daiComuni, ma che devono essere garantite da norme certe (peresempio, la perequazione e la fiscalità nella riforma), che lefacciano uscire dalla sperimentazione e entrare nella praticaordinariaUna ulteriore considerazione riguarda l’assimilazione dell’e-dilizia sociale ad una dotazione territoriale. Questa innova-zione, contenuta in alcuni piani urbanistici e nel citato dise-gno di legge dell’Ulivo sul governo del territorio, ha il dop-pio pregio di individuare una strada per acquisire gratuita-mente le aree necessarie all’edilizia sociale e, insieme, diaffermare l’integrazione sociale come valore, di proporrecioè un modello urbano in cui la qualità dei quartieri è nellapluralità sociale e generazionale dei residentiIl contributo dell’urbanistica (anche attraverso la riforma)per una risposta efficace e coerente ai problemi che oggiriguardano non solo la situazione abitativa in Italia, ma piùin generale le politiche urbane delle nostre città può esseresintetizzato nei seguenti punti:la definizione di edilizia residenziale sociale come dotazioneterritoriale.il piano come luogo dell’integrazione delle politiche e delladefinizione degli obiettivi strategici in materia residenziale.la perequazione come strumento per reperire aree in cessio-ne gratuita e comunque come strumento per contenere eripartire equamente la rendita fondiaria.le procedure concorsuali basate su regole certe per un rap-porto pubblico-privato trasparente ed efficace e per l’otteni-mento dei maggiori benefici per la comunità e della migliorequalità degli interventi.

L’attenzione delle politiche urbane nel corso del 2007 si èconcentrata in modo quasi esclusivo nei confronti delladomanda e delle emergenze abitative, invertendo, se così sipuò dire, la rotta rispetto agli inizi degli anni 2000 quandol’attenzione era tutta concentrata verso l’attuazione dei pro-grammi di trasformazione urbana giunti in molti casi a ter-mine dopo una stagione di tanti progetti e poche realizza-zioni.La nuova attenzione alle politiche abitative rischia però,quando si limita a chiedere finanziamenti (certamente giusti,certamente indispensabili e certamente bisognosi di conti-nuità), di ridursi ad una “manovra” per distribuire risorsealle Regioni senza individuare ed in qualche misura concen-trare l’azione politica nei confronti del vero cuore della que-stione che è rappresentato dalla assoluta carenza di abita-zioni in affitto.Le case in affitto costituiscono oggi il nodo strutturale checomprende contemporaneamente problemi sociali, modelli disviluppo economico delle nostre città, ruolo dei piani urba-nistici e ancora una volta la necessità della riforma urbani-stica che significa, letta da questa prospettiva, riforma delregime dei suoli e degli strumenti per costruire le dotazioniurbanistiche che comprendono anche l’edilizia residenzialesociale.Il progressivo disimpegno pubblico nel campo delle politicheabitative è coinciso con: l’affermarsi di nuove povertà, dagliimmigrati alle famiglie in formazione a quelle monoreddito,che hanno portato un bisogno diffuso e inedito, costretto arivolgersi ad un libero mercato proibitivo o ad arrangiarsi(coabitazioni, ricorso alla solidarietà); un patrimonio pubbli-co sempre più esiguo, degradato e improduttivo; la soprav-valutazione della capacità regolativa del mercato e, soprat-tutto, la miope considerazione di questo come di un proble-ma isolabile e circoscrivibile a un segmento marginale dellasocietà.La difficoltà di accesso alla casa, in particolare per i giova-ni, è strettamente legata al lavoro, a redditi precari e quindialla difficoltà di muoversi per crearsi occasioni migliori ecostruirsi progetti di vita. Il maggiore dinamismo produttivorichiede, oltre che politiche sociali del lavoro, città più pron-te ad offrire abitazioni temporanee. Il rilancio del mercato

ApertureAperture

Politiche UrbaneFrancesco Sbetti

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ApertureAperturere nuove entrate negli oneri di urbanizzazione, destinabilidal 2001 anche alla spesa corrente.Ritenendo le colpe della distruzione del paesaggio imputabilinon a singole categorie o livelli istituzionali, ma assai diffu-se nel nostro paese e sicuramente legate al tipo di sviluppoperseguito, lo sforzo da compiersi consiste nell’affrontare ilproblema alla radice, costruendo strategie condivise checonsiderino il paesaggio il principale bene patrimoniale perrealizzare un futuro socioeconomico durevole e sostenibileper le comunità locali. La realizzazione di dette strategie inPuglia è affidata non solo al nuovo Piano paesaggistico o aprovvedimenti di vincolo, ma a una gamma di strumentidiversi, di indirizzo, di pianificazione e di programmazione.Fra gli altri, il Documento Regionale di Assetto Generale(DRAG) in vigore da fine agosto, assieme ai Programmi diriqualificazione delle periferie (PIRP) e ai Programmi inte-grati di sviluppo urbano e territoriale, rispettivamente previ-sti dal Piano Casa Regionale e dalla Programmazione deifondi strutturali 2007-2013, orientano gli attori locali versola riqualificazione e il risanamento delle città, per porrerimedio ai tanti danni sociali e ambientali prodotti dall’e-spansione urbana degli ultimi cinquant’anni e per frenarnela prosecuzione.Il Documento programmatico del nuovo Piano PaesaggisticoTerritoriale regionale, elaborato dal coordinatore scientificoAlberto Magnaghi e discusso con la società pugliese lo scorso15 novembre1, lancia una sfida fondamentale: passare dall’ap-proccio del Piano paesaggistico vigente teso a ‘difendere’ sin-gole aree di eccellenza dallo sviluppo, a un approccio checonsidera i paesaggi dell’intero territorio regionale comerisorse strategiche per lo sviluppo. Questo in coerenza con laConvenzione europea del Paesaggio (Firenze 2000) che richie-de agli Stati membri di rilanciare le politiche a favore delpaesaggio integrando le stesse, oltre che nelle politiche di pia-nificazione urbana e territoriale, in quelle a carattere cultura-le, ambientale, agricolo, sociale ed economico. La qual cosanon significa, come talvolta si sostiene in base a interpreta-zioni un po’ grossolane, disconoscere il valore di esistenza delpaesaggio, ma implica l’orientamento delle strategie locali disviluppo verso la tutela e riqualificazione del paesaggio.D’altronde, l’esperienza dovrebbe averci insegnato l’importan-za di conciliare ambiente ed economia: nella competizione fraragioni dell’ambiente e ragioni dell’economia, una difesa delleprime unicamente basata su norme vincolistiche, siano esseimposte dallo stato o dalle sue articolazioni territoriali, èspesso destinata a soccombere specie nei territori ove abusivi-smo e prassi derogatorie sono più radicati. La strategia delineata dal Documento programmatico delnuovo Piano paesaggistico pugliese interpreta il paesaggiocome realtà dinamica, in continua trasformazione, frutto del-l’azione combinata delle “genti vive”. Essa richiede nuoveregole per salvaguardare adeguatamente il patrimonio di sto-ria, cultura, competenze, attività, ambiente che forma il pae-saggio e iniziative per proseguirne la costruzione storica conmateriali, tecniche, tipi edilizi e insediativi non indifferentialle peculiarità dei luoghi e capaci di elevarne la qualità peruno sviluppo diffuso e durevole. Ne consegue un impegnostraordinario per sviluppare una “coscienza di luogo” in

Il Convegno “Sos Paesaggio: aggiornarsi per intervenire”,organizzato ad Assisi il 10 novembre scorso dal Fondo perl’ambiente italiano (Fai), ha avuto dai media un’attenzionemaggiore di quella abitualmente prestata al tema del pae-saggio nel nostro Paese. Particolare rilievo è stato dato allaparte dell’intervento di Rutelli sulla scarsa qualità della pro-gettazione in Italia, nei titoli giornalistici ridotta allo slogan“Basta con i geometri. Più spazio agli architetti e agli urba-nisti”. Magari gli scempi del paesaggio potessero essere evi-tati sostituendo ai geometri gli architetti e gli urbanisti. Laquestione è ben più complessa. Vi è chi, come l’architettopaesaggista tedesco Andreas Kipar, individua la colpa prin-cipale degli scempi del paesaggio italiano nell’insensibilitàsociale. E chi, come la Presidente del Fai, Giulia MariaCrespi, nella mancanza di una strategia volta a coniugaretutela paesaggistica e sviluppo economico, confermata dallamodesta quota di PIL destinata al settore, in Italia pari allo0,7 %, contro l’1,1% della Francia e addirittura l’1,35% dellaGermania. Lo stesso Rutelli, su Repubblica del 16 novembre,ha dovuto precisare il suo pensiero ammettendo l’incapacitàpervasiva di rendere “conveniente” la qualità delle trasfor-mazioni urbane e di migliorare la vita nelle città.Pretendere di risolvere il problema della tutela e riqualifica-zione del paesaggio italiano mettendo gli architetti al postodei geometri appare semplicistico quanto affidarne la solu-zione, come da più parti proposto, alla mera sostituzionedello Stato alle Regioni, delle Regioni ai Comuni e così via.D’altra parte, per comprendere come una visione neocentra-listica sia quanto meno parziale basti pensare ai nulla ostaaccordati dalle Soprintendenze ad opere da eseguirsi daparte di amministrazioni statali in aree sottoposte a vincolopaesaggistico ex D.Lgs. n. 42/2004 e alle vivaci opposizionida parte di gruppi e poteri locali che spesso suscitano. Per laverità, la mancanza di sensibilità per i valori del paesaggio edi una coerente strategia di sviluppo fondata sulla tutela delterritorio ha accomunato, in modi e tempi diversi, tutti ilivelli di governo. Dallo Stato, che negli ultimi anni hainferto duri colpi all’integrità del paesaggio con i continuicondoni e la cartolarizzazione anche di beni culturali dema-niali per “fare cassa”, ai Comuni, oltre che dalle pressionidel passato, spinti oggi dalle ristrettezze di bilancio a cerca-

Angela Barbanente

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Le guerre tra poteri nonproducono paesaggi diqualità

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chiunque contribuisca a produrre paesaggi: istituzioni, abitan-ti, operatori economici. Tale prospettiva è cruciale in unaregione del Mezzogiorno gravata da strutturali problemi didisoccupazione, esclusione sociale, disagio abitativo cui si èaggiunto di recente il declino di rilevanti comparti produttivi.D’altronde, la strada del ‘rimedio’ è resa impraticabile dallascarsità di risorse disponibili per un’estesa azione di restauroe risanamento dei tanti paesaggi degradati che lo sviluppodissennato degli ultimi decenni ci ha lasciato in eredità: l’uni-co emendamento alla finanziaria sulla materia istituisce pres-so il Ministero dei Beni Culturali un “fondo per il ripristinodel paesaggio” che stanzia 15 milioni di euro annui per i sitidichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Per averequalche termine di confronto, basti pensare che in Pugliapossono beneficiarne Alberobello e Castel del Monte e che perla demolizione del solo ecomostro di Punta Perotti il comunedi Bari ha speso 1,2 milioni di euro.Nel nuovo Piano paesaggistico pugliese il Forum del paesaggioè strumento per sviluppare la consapevolezza sociale del valo-re patrimoniale dei beni comuni territoriali da parte degli abi-tanti e dei produttori di paesaggi attraverso processi partecipa-tivi accompagnati da iniziative, eventi e progetti sperimentaliche facciano “capire dal vivo” come si può valorizzare il patri-monio territoriale coniugando identità di lunga durata e inno-vazione di breve periodo, paesaggio ed economia, valore diesistenza e valore d’uso in forme durevoli e sostenibili.Alla costruzione di una prospettiva di sviluppo incentratasulla tutela e il risanamento del paesaggio non giovano nél’incertezza normativa e le divergenze istituzionali sul testodella commissione Settis di modifica del D.Lgs. n. 42/2004, néla chiave tutta legislativa di trattamento della materia, chetrascura una condizione essenziale per esercitare un’efficaceazione di tutela: l’adeguamento della dotazione di personale emezzi sia delle Regioni sia del Ministero per i Beni e le attivi-tà culturali, specie nelle sue articolazioni territoriali delleSoprintendenze. Convinti come siamo della necessità di raf-forzare con atti concreti la cooperazione istituzionale in que-sto campo, come ci ricorda una sentenza della Corte(341/1996) richiamata proprio in un articolo di Settis2, inPuglia la sigla dell’atto d’intesa fra Regione e Ministeri per ilnuovo Piano paesaggistico è stata assunta non come atto for-male, ma come tappa di un percorso comune che coinvolge idiversi livelli di governo e le genti di Puglia nella scrittura dinuove regole e strumenti d’intervento condivisi per produrrepaesaggi di qualità.

Note1. Nella stessa sede è stato siglato l’atto d’intesa per la redazione del nuovo Pianopaesaggistico regionale fra il presidente della Regione Nichi Vendola e i Ministeriper i Beni e le attività culturali e dell’Ambiente rappresentati dalle sottosegretarieMazzonis e Marchetti. 2. Il Piano Urbanistico Territoriale Tematico/Paesaggio approvato in attuazionedella Legge Galasso nel dicembre del 2000.« il paesaggio costituisce, nel nostro sistema costituzionale, un valore etico-cultu-

rale (...) nella cui realizzazione sono impegnate tutte le pubbliche amministrazioni,e in primo luogo lo Stato e le Regioni, in un vincolo reciproco di cooperazioneleale». S. Settis, La lunga guerra tra Stato e Regioni. Un po’ di storia e le aporieirrisolte di un rapporto difficile alla vigilia di un passaggio importante: la revisionedel Codice, la Repubblica, 28.11.2007.

La rassegna bolognese dal titolo “la civiltà dei superluoghi,notizie dalla metropoli quotidiana”, che si è chiusa lo scorso7 novembre, si pone l’obiettivo di “riprendere un discorso” aproposito di una irrinunciabile responsabilità di governo deifenomeni urbani. Partendo dal presupposto che oggi la grande maggioranzadel “consumo di suolo” deriva dalle trasformazioni terziarie(commercio, logistica, trasporti e mobilità, servizi, ecc.) eproduttive (o paraproduttive) - tutte funzioni a “bassa densi-tà” - si previene facilmente a due considerazioni: la prima, escontata, ha che fare con la necessità di contrastare la proli-ferazione patologica di queste trasformazioni (limitandolealle reali necessità della collettività, dirigendole prioritaria-mente sui tessuti dismessi della città e del territorio); laseconda, ha che fare con la necessità di proporre ipotesiconcrete di qualificazione (o riqualificazione) dello sviluppoinsediativo conseguente all’esplosione della città da un lato(il noto effetto della dispersione insediativa) e, dall’altrolato, all’emergere - in quello stesso territorio “nebulosa” - diaddensamenti, di “nodi”, la cui identità, le cui forme e i cuicontenuti, sono del tutto differenti dalla città fordista;nuove forme di sviluppo del territorio che sono l’esito mate-riale di un dialogo incompiuto, di un conflitto continuo1 cherimandano continuamente alle forme di globalizzazione chesi concentrano sui luoghi fisici, sui paesaggi sociali, sullecomunità, nelle dinamiche di mercato; verso le quali lanostra civiltà non ha ancora saputo trovare forme equilibra-te (cioè eque e durature) di governo. Quelli che ho appena chiamato “nodi” sono stati anchenominati quasi vent’anni fa - com’è assai noto - “non luo-ghi”. Sebbene fosse una materia non del tutto nuova (MichelFoucalt, per esempio, molti anni prima, aveva affrontato iltema delle “eterotopie”) da allora, in una folta letteratura, siè dibattuto sull’etica e sull’estetica di queste forme dell’iper-modernità; come sempre accade quando si cercano catego-rizzazioni, si sono sviluppate correnti e fazioni, contrapposteo alleate, di pensatori che hanno prodotto ingenti analisi ealtrettante diagnosi. Nel frattempo una parte di quelle stessedinamiche sociali, economiche, territoriali, da cui sono sca-turite le teorizzazioni sui non luoghi, si sono evolute - aduna velocità assai più alta di quella del pensiero degli intel-

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...si discute:...si discute:

La civiltà dei superluoghiMarco Guerzoni*

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che “stressano” - dal lato urbanistico della vicenda - territo-ri (strategicamente) inadeguati e impreparati a riceverli;strategie d’impresa che poggiano il loro business su cicli divita del “prodotto” assai limitati, oltre la quale il futuro diterritori così pesantemente trasformati è molto incerto; pernon parlare dello sviluppo urbano “low cost” (cioè banale,spontaneo, parassitario) che si innesca in questi tessuti.Anche qui - credo - si tratta di intendersi circa l’analisi delproblema: c’è un esigenza collettiva (non locale ma globale)di relazione, integrazione e di “contatto” di vasto raggio; c’èuna risposta “privata” (spesso) a questa esigenza collettiva;dall’incontro delle due sono nati spazi di flusso non pianifi-cati che impongono oggi - e subito - di attivare politiche diregolazione ad una scala che non è più esclusivamentequella urbanistica, ma che deve investire diversi livelli ediverse capacità di governo. Ora, entrambi questi fatti che ho riassunto brevemente,rimandano ad una questione centrale per l’indagine propo-sta a Bologna: la comunità rappresentata dalla “vita quoti-diana” stessa. Vita quotidiana come comunità del banale edell’ordinario, ma anche dell’improvvisazione, dell’intuizionee del “gioco”; comunità “dell’aver luogo” e non “del luogo”4. Costruire una visione su un possibile (o desiderabile) proget-to di futuro, a partire dalle questioni che ho sommariamentericordato (insieme a molte altre) e che abbia al suo centro la“comunità della vita quotidiana”, è l’obiettivo dell’indaginepromossa a Bologna, per tentare di rispondere ad alcunedomande: questi “nodi” della metropoli contemporanea pos-sono essere ricondotti, “riarticolati” e “compresi” nel proget-to di città futura? Si possono costruire sinergie – tra sogget-ti, attori, comunità, poteri ecc. - utili ad evitare la “periferiz-zazione” di questi spazi, per impedirne la deriva nello ster-minato e indistinto paesaggio della dispersione spontanea?A quali tecniche progettuali ricorrere per ridurre il conflittocausato dalla complessità che li rappresenta, tutelando ilpaesaggio storico e naturale?

* Inu Emilia Romagna.

Note1. C’è chi sostiene – come Aldo Bonomi – che questo conflitto non sia più tracapitale e lavoro (come è avvenuto nella città fordista) ma tra flussi e luoghi; con-flitto mediato dal territorio (Bonomi A., il trionfo della moltitudine, BollatiBoringhieri, Torino, 1996).2. A questo proposito, non mi sembra cruciale per il “governo del territorio” inter-rogarsi sull’etica della grande distribuzione (è giusto o sbagliato che esistano imall? I cittadini ci vanno per libera scelta o per “obbligo culturale”?); interrogativoassai interessante ma che rimanda a questioni di politica, di economia, non riduci-bili a strumenti di governo urbanistico. Mi sembra cruciale invece, ribadisco, ilgoverno del fenomeno in quanto tale, e il ragionamento attorno alle forme di“controllo sociale” che questi modelli di consumo propongono.3. Non si deve sottovalutare la capacità della società di “dare senso ai luoghi”,anche se si tratta di luoghi finalizzati al mero consumo. 4. Si veda: Amin A., Thrift N., Città, ripensare la dimensione urbana, Il Mulino,Bologna, 2005.

lettuali - in nuove forme, con nuovi contenuti, con differen-ti e straordinari impatti, che abbiamo il dovere - di nuovo -di saper vedere: rappresentare la realtà, cercando modelliinterpretativi, è il primo passo per produrre terapie efficaci. A qualcuno sfuggirà l’evoluzione di cui parlo, quindi è appe-na il caso di proporre due fatti, che considero esemplari.Intanto il livello di “esplosione” di questi “nodi”: nell’ultimadecade del secolo scorso sembrava fossimo davanti all’eca-tombe della civiltà, alla crisi definitiva dei valori identitari ecomunitari, alla disgregazione completa della società. Oggiscopriamo - con il rammarico di chi ha sbagliato l’oroscopo- che la città tradizionale è viva più che mai (certo conqualche problema), e che lo sono pure questi “nodi”: e cheentrambi sono vissuti dagli stessi cittadini che non sonocaduti - fortuna loro - nella trappola delle categorizzazioni;vivono, creano comunità, danno “senso” al luogo, nei centristorici e nelle piazze di quartiere, come nel centro commer-ciale2 (anche senza comprare nulla3); hanno elevatissimecapacità di movimento (fisico e intellettuale), cercano dimassimizzare i propri interessi e obiettivi, “scegliendo”, met-tendo cioè in fila le proprie utilità, redigendo una chiaraclassifica di valori, chiedendo alla metropoli risposte alleloro esigenze: residenzialità, pedonalità, accessibilità, sicu-rezza, prossimità, lavoro, educazione ecc. Domande colletti-ve cui è necessario rispondere; risposte che se ben congenia-te possono stare anche fuori dalle mura della città fordista,e contemporaneamente possono opporsi all’idea di unagenerica città “infinita” (lavorando seriamente e concreta-mente - per esempio - sui temi della “riarticolazione” delladispersione insediativa tramite severe politiche di mobilitàpubblica, di integrazione funzionale, di “policentrismo reti-colare”, di limitazione del consumo di suolo ecc.). Altro fatto relativo all’evoluzione del fenomeno di cui sopra,è la democratizzazione della mobilità di vasto raggio.Impensabile fino a qualche anno fa - almeno non nei nume-ri con cui oggi ci confrontiamo - la mobilità aerea transna-zionale e intercontinentale sta favorendo il ridisegno dialcuni concetti: prossimità, integrazione, diversità, per esem-pio. Producendo alcuni fenomeni comunitari relativamentenuovi: in un recente studio prodotto dall’UniversitàPolitecnica di Catalogna si rileva che una parte importantedei viaggi aerei giornalieri ”a basso costo” dal Regno Unitoverso Girona, hanno come obiettivo l’acquisto di tabacco.Da Manchester si fa la spesa settimanale o mensile deltabacco da pipa in uno spaccio di Girona in Catalogna, dovei prezzi sono 5 volte più bassi, e dove questa nuova morfo-logia sociale ha obbligato - per esempio - una parte dellacittà ad imparare la lingua inglese, ad offrire servizi adegua-ti ad una nuova clientela, a confrontarsi con la diversitàecc. Questa nuova geografia “low cost”, ha tuttavia unimpatto territoriale rilevantissimo: flussi di merci e persone

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sitare criticamente esperienze consolidateanche in altre realtà europee, che hannoperfezionato da tempo opportune meto-diche volte a superare la visione dicoto-mica tra conservazione e innovazione.Alcuni, in particolare, hanno evidenziatocome anche in Italia si stia indebolendol’impulso a mantenere le risorse naturalie culturali “al riparo dal pericolo delprogetto”, facendo sì che le forme inno-vative della gestione strategica possanoprendere il posto della pratica della tute-la passiva. In tal senso la nuova leggeper il governo del territorio, che da trop-po tempo è in attesa di un varo parla-mentare, introduce interpretazioni strate-giche e strutturali che potrebbero offriresolide sponde a politiche paesistico-ambientali di nuova generazione.Un altro orientamento che è emersodagli interventi tende invece all’integra-zione tra le politiche paesistiche e lealtre discipline di intervento, che spazia-no dalla riorganizzazione insediativa alpotenziamento della rete infrastrutturale,e dai programmi di sviluppo rurale allaridefinizione dei grandi nodi industriali.Secondo un punto di vista ormai egemo-ne questa convergenza meta-disciplinarepuò favorire la ricerca di forme coopera-tive d’intervento sul paesaggio capaci dicontemperare e valorizzare le differentiangolazioni, che talora sono concepitecome opzioni alternative, ma che invecepossono sostenere la dilatazione deicampi d’interesse delle politiche paesisti-che e ambientali, e favorire nuove ibri-dazioni, contaminazioni e alleanzevicendevoli.

* Università di Ascoli Piceno.

Paesaggio e formazione universitariaa cura di Massimo Sargolini*, Michele Talia*

Al fine di stimolare la riflessione suinuovi processi formativi richiesti dallapianificazione del paesaggio, abbiamoorganizzato un Forum al quale hannopartecipato alcuni dei principali speciali-sti del settore, e a cui abbiamo rivoltouna serie di domande:- quali evoluzioni disciplinari sononecessarie per consentire all’urbanisticadi raccogliere le sollecitazioni che pro-vengono dalla Cep?- quali ripercussioni possono derivaredalla sostituzione progressiva dellanozione di urbanistica con quella digoverno del territorio?- quali contributi possono pervenire daldibattito internazionale sulla pianifica-zione del paesaggio in una fase di pro-fonda e radicale ridefinizione dei profilidi offerta di competenze progettuali e diricerca?- in che modo l’apertura ad altre scuoledi pianificazione può favorire la trans-izione da un approccio, di tutela/valoriz-zazione “per isole”, ad una dimensione,in grado di porre in relazione paesaggidi eccellenza e paesaggi degradati?- in che modo la disciplina urbanisticapuò far leva sulla sua vocazione interdi-sciplinare per stimolare la convergenzadi saperi e competenze normalmentepresenti negli staff di progettazioneimpegnati nella pianificazione dei parchie delle aree protette, ma più spessoassenti nei curricula formativi predispo-sti dalle università italiane?Le risposte che abbiamo ottenuto hannoevidenziato l’opportunità di definirenuovi paradigmi di intervento nel campodella pianificazione e della progettazionedel paesaggio, e ci hanno esortato a rivi-

Il superamento di una concezione delpaesaggio come “grande museoall’aperto”, che oggi apparerestrittiva, ma che fino ad alcunianni fa molti ritenevano coincidessecon un approccio avanzato ai temidella tutela e della riqualificazione,costituisce un chiaro segnale dellarapida dinamica evolutiva di questoesteso campo di riflessione. I ritmiconcitati che hanno accompagnato ilprocesso di progressiva estensionedel significato di questo termine -che è stato ribadito da un recenteintervento legislativo di ratifica dellaConvenzione europea del paesaggio(legge n. 14/2006) - hannoalimentato una certa confusioneinterpretativa, aggravata dallamancanza di un impegno concretonel campo della formazioneuniversitaria, e nel recepimento deinuovi profili professionali che eranostati evocati in quella sede.La territorializzazione del paesaggio,che investe di nuove responsabilitàle politiche e gli strumenti per ilgoverno del territorio, porta con séesigenze d’innovazione cheriguardano l’intera culturaurbanistica, e che i contributiraccolti in questa sezione dellaRivista cercano di documentare.

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fenomeni territoriali, fisici e biologici.La consonantia universalis che regolagli equilibri naturali è preceduta dauno stadio di pura contemplazioneestetica che accresce il senso dellavisione complessiva.Si aprono, dunque, nuove prospettived’intervento e si sollecita un nuovoimpegno da parte dei ricercatori. Laterritorializzazione del paesaggio, cheinveste di nuove responsabilità le poli-tiche e gli strumenti per il governo delterritorio, induce ad osservare conattenzione non solo i paesaggi celebrima anche quelli ordinari, e persinoquelli degradati, che debbono tenderead un innalzamento della loro qualità.Con il declino delle forme di difesapassiva del paesaggio, cui si sostituiscela ricerca di intriganti visioni strategi-che, si carica di nuove aspettative iltema della trasformazione del territorio.Operare per il paesaggio significa met-tere in conto un dialogo interdiscipli-nare che, oltre a stabilire profondeinterazioni tra settori di competenzericonosciute e catalogabili (dalle scien-ze della terra a quelle naturali, dall’ar-chitettura all’economia, dall’ingegneriaalla sociologia), sappia estendersi adaltri “saperi” più indecifrabili, più labi-li, dai contorni più incerti, basati sul-l’intuizione, sui sentimenti, sul sogget-tivismo individuale e collettivo dellecomunità locali. In tal senso, negliultimi anni, il paesaggio è diventatouno dei luoghi ideali in cui si raduna-no gli indagatori della complessità e,insieme alla questione ambientale edella conservazione della natura e dellesue risorse (peraltro, strettamente lega-

Paesaggio e governo del territorio

poi estendersi alle scienze dell’urbani-stica e dell’ecologia), sia il modo in cuigli stessi caratteri vengono percepitiattraverso le sensazioni e le emozioniindividuali, comunicabili artisticamentecon linguaggi figurativi e verbali, giàpresenti nelle espressioni della pittura edella letteratura del tardo medioevo.Questa “plasticità semantica”, come ciricorda Giuseppe Dematteis (o que-st’ambiguità, come talora appare), vasenz’altro salvaguardata perché arric-chisce il concetto ed il senso del pae-saggio. La reductio ad unum e le con-seguenti scorciatoie semplificatriciinvocate da alcune scuole di pensiero,che tendono a privilegiare approcciunilaterali, perdono la ricchezza dellediverse, molteplici ed intrecciate, visio-ni. Sembrano, dunque, destinate ascomparire (o, almeno all’insuccesso)sia le interpretazioni esclusivamentefondate su aspetti scenografici, di per-cezione estetica, di mera ricerca archi-tettonica di equilibri formali, sia levisioni neo-deterministiche di alcunescuole di scienze della natura cherinunciano al confronto con quellecomponenti della cultura socio-econo-mica, storica e architettonica altrettan-to rilevanti nella definizione dei carat-teri paesistici di un territorio. Nel con-tempo si sperimentano, con incorag-gianti segnali di successo, incontri ereciproche integrazioni tra la pianifica-zione paesaggistica e la landscape eco-logy. Sulla scia della pionieristica elucida intuizione di Alexander VonHumboldt, il motivo estetico e la con-templazione della natura non sonoantitetici allo studio scientifico dei

Questo momento di confronto e didibattito, che affidiamo alle pagine di“Urbanistica Informazioni”, non è cheuna delle tante occasioni in cui, alivello locale o internazionale, inreport di ricerche scientifiche o in rivi-ste ad alta divulgazione, si parla dipaesaggio. Basta scorrere la pubblicistica degliultimi quindici - venti anni per verifi-care come il tema paesaggio sia semprepiù oggetto di attenzioni straordinarie.Sono diversi i soggetti culturali cheaffrontano e tentano di approfondire,da angolature originali e tra le più dis-parate, questa tematica. Qualsiasi stru-mento di progettazione, pianificazioneo programmazione, a scala locale od’area vasta, in corso di formazione, orecentemente varato, sembra volerdedicare speciale attenzione, almenostando ai documenti programmaticiiniziali, alla conservazione ed allavalorizzazione delle risorse dell’am-biente e del paesaggio, salvo poi con-statare una mancata ricaduta dellediverse enunciazioni di principi nelleazioni di governo concrete. Il termine “paesaggio” può essere rife-rito a molti settori del pensiero con-temporaneo e si sta consolidando unasua concezione plurale, aperta, polie-drica e quindi inclusiva. Naturalmente,si tratta di una polisemia insita nel ter-mine stesso che tende ad indicare sial’oggetto che la sua rappresentazione:sia i caratteri territoriali (morfologici,ambientali, socio-economici, ...) di unaregione, come concetto scientifico cheoriginariamente si sviluppa nelle disci-pline geografiche dell’Ottocento (per

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Urbanistica INFORMAZIONI

alcuni ambiti disciplinari, con partico-lare attenzione all’urbanistica, lata-mente intesa, cui la CEP assegnagrandi compiti e grandi responsabilitàrispetto ai processi di conservazione,riqualificazione e creazione di nuovipaesaggi. L’urbanistica, per poter adeguatamenteaffrontare, in prima linea, queste pro-blematiche deve essere in grado di rin-novarsi, di far percepire la sua utilitànell’attivare fecondi processi di gover-nance. Alcuni passaggi sono irrinun-ciabili e da affrontare senza esitazioneperché l’urbanistica possa divenire(come la CepEP auspica) il luogo del-l’integrazione delle politiche paesisti-che in quelle territoriali e in quelle acarattere culturale, ambientale, agrico-lo, sociale ed economico, “...nonchénelle altre politiche che possono avereun’incidenza diretta o indiretta sulpaesaggio”:1, l’argomentazione delle scelte, attra-verso un uso appropriato dei riconosci-menti strutturali e delle sintesi strate-giche interdisciplinari, in cui possanoconvergere i contributi dei diversisaperi cointeressati. L’interpretazionestrutturale e strategica, come concepitanelle nuove emanazioni legislative sulgoverno del territorio che molte regio-ni hanno prodotto anticipando ilgoverno centrale, e come sperimentatain diversi casi di piani di aree protet-te potrebbe essere una buona base dipartenza;2, il raccordo con la progettazionearchitettonica e urbana, con la proget-tazione specialistica e di settore (grandiimpianti, viabilità, infrastrutture, ...)nonché con la programmazione a scalaregionale (basti pensare alla rilevanzadelle politiche per lo sviluppo rurale) econ quella complessa a partecipazionepubblico-privato. In altre esperienzeeuropee di paesi notoriamente piùavanzati in questo campo (Francia,Germania, Gran Bretagna e Spagna)l’attenzione al paesaggio contamina econdiziona ogni intervento di trasfor-mazione, a livello urbano e territoriale;3, l’estensione delle valutazioni e delleinterpretazioni progettuali dal bene alsuo ambito relazionale, dalla città alsuo contesto territoriale (dal townplanning al town and countryplanning, come già esortava Geddes).

stati membri che hanno aderito allaCep si espliciterà in politiche e misurein grado di favorire la qualità delladimensione paesaggistica nell’interoterritorio nazionale, coinvolgendo le“popolazioni interessate” nei rilevantiprocessi decisionali. Le ragioni di taleimpulso alla partecipazione sono daricercare anche nella Convenzione diAarhus (1998), richiamata espressa-mente nel Preambolo della Cep, cheintende favorire l’informazione, ilcoinvolgimento nel processo decisiona-le e l’accesso alla giustizia in materiaambientale da parte delle comunitàlocali. In questa prospettiva, la parteci-pazione cessa di essere una buona pra-tica volontaria per divenire un passag-gio vincolante di ogni processo gestio-nale e non deve sorprendere se l’attua-zione della Cep incontra resistenze edopposizioni nel nostro Paese, soprattut-to nel mondo delle Soprintendenze checontinua a segnare profondi e graviritardi nel dibattito sulla gestione deibeni ambientali e paesistici.Avvicinare il più possibile le decisioniai cittadini presuppone, però, un inten-so programma di attività formative alfine di conseguire una generale cresci-ta della sensibilità delle istituzioni edelle società locali nei confronti delpaesaggio. Diversamente, richiedere lacondivisione di una scelta senza lapreventiva formazione e informazione,significherebbe aprire spazi ad approccidemagogici e populisti. L’Articolo 6.Bdella Convenzione, riguardante“Formazione e educazione” prevede, atal riguardo, che ogni Stato contraentesi impegni a promuovere sia “la forma-zione di specialisti nel settore dellaconoscenza e dell’intervento sui pae-saggi”, che “insegnamenti universitariche si riferiscano, nell’ambito dellerispettive discipline, ai valori relativi alpaesaggio ed alle questioni riguardantila sua salvaguardia, la sua gestione edil suo assetto”.Rafforzare l’insegnamento la conside-razione delle tematichepaesistiche,tema del all’interno di cia-scunnei programmi formativi dei setto-rie scientifico-disciplinari e suscettibilediche possono maggiormente contri-buire all’obiettivo al perseguimentodegli obiettivi fondamentalie della CEP,significa intervenire precipuamente su

te ed in alcuni casi dipendenti dallaquestione paesistica), si pone al centrodell’Agenda legislativa dell’UnioneEuropea.La Convenzione europea del paesaggio(Cep), ratificata dallo Stato Italiano conlegge n. 14 del 09/01/2006, sembrafornire i giusti presupposti per avanza-re un cammino adeguato alla portatadel tema, pur presentando dal punto divista tecnico-operativo un taglio anco-ra, preminentemente, orientativo. Essaridefinisce il paesaggio come “unaparte di territorio, così com’è percepitadalle popolazioni, il cui carattere deri-va dall’azione di fattori naturali e/oumani e dalle loro interrelazioni” eindica con gestione del paesaggio “leazioni volte, in una prospettiva di svi-luppo sostenibile, a garantire il gover-no del paesaggio al fine di orientare edi armonizzare le sue trasformazioniprovocate dai processi di svilupposociali, economici ed ambientali”. Ilparadigma paesistico (anche dal puntodi vista giuridico) si avvicina dunqueal territorio, pur mantenendo una suaspecificità e include in sé il paradigmaambientale.E’ con questa concezione di paesaggio,espressa in termini politici molto chiarie netti, che le attività di pianificazionedovranno confrontarsi nei prossimianni, mettendo in conto uno sforzo dirigenerazione, riorganizzazione e ride-finizione degli approcci ricognitivi,valutativi e progettuali. Se la dimensione paesaggistica del ter-ritorio rappresenta dovunque una com-ponente essenziale dell’ambiente divita delle popolazioni, “espressionedella diversità del loro patrimoniocomune culturale e naturale, fonda-mento della loro identità e risorsa eco-nomica per il loro sviluppo sostenibi-le”, diventa ineludibile l’aspirazione adun disegno del paesaggio condivisodalle popolazioni interessate. Si trattadi ricercare un engagement, un coin-volgimento diretto del soggetto nelprocesso di formazione dell’esperienza,sulla traccia delle sperimentazioni (Artand engagement) di Philadelphia del1991. Lo stesso compito di “decifrare ilpaesaggio” dovrà avvenire, secondoDenis Cosgrove, con il supporto ed inrelazione alla comunità che lo ha pla-smato. In tal senso, l’impegno degli

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L’esperienza delle unità di paesaggio,intese come ambiti spaziali, non neces-sariamente circoscrivibili, in cui con-vergono differenti relazioni con valoreidentitario tra componenti eterogeneeed interagenti, ha segnato, nell’interoquadro europeo, una feconda stagionedi produzione di strumenti di pianifi-cazione di area vasta (dai grandi parchinazionali ai piani territoriali provincia-li e intercomunali).Il riordino dei settori disciplinari di cuitanto appassionatamente si discute inquesti giorni, non sembra, invece,tener conto di queste complesse pro-blematiche, né sembra voler cogliere lemolteplici opportunità che si offrono,mancando la tensione verso un con-fronto serrato con l’universo dellepotenzialità e delle fragilità messe incampo dalla cultura e dalla natura.Se i nuovi profili formativi vengonoconcepiti promuovendo una drasticasemplificazione delle discipline, senzaneppure tentare di superare quello ste-rile riduttivismo implicito nel paradig-ma estetico e nello stesso paradigmaecologico dominante, si continua aperdere di vista il vero terreno di scon-tro che è il controllo delle dinamicheterritoriali che producono il paesaggio.La missione di orientamento strategicoe “visionario” che pure si vorrebbericonoscere al progettista di paesaggiorischia di non essere supportata da unaformazione adeguata capace di tenerconto delle modalità sempre più com-plesse in cui si presentano i processi digovernance e dell’esigenza crescente dirivolgersi ad un’ampia platea di sogget-ti e attori pubblici e privati, significati-vamente interrelati ed operanti sulmedesimo contesto territoriale, nei con-fronti dei quali attivare efficaci formedi stewardship e di cooperazione.In conclusione, si ha la sensazione chein molti stiano tentando di dare unarisposta ad una domanda sbagliata, oalmeno mal posta e cioè: “A chi appar-tiene il paesaggio?”; mentre la veraquestione da affrontare dovrebbe esse-re: “In quale modo i diversi saperi, lediverse competenze, i molteplici livellidi intervento e di azione (che riguarda-no il territorio) possono incidere sulpaesaggio?”.

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Volume n. 48

Piano di assetto delterritorio del Comunedi Verona

A cura di Paolo Boninsegna e Cristina Salerno

Con i lavori di panificazione strategica Veronaapre una nuova prospettiva in cui riconosce econserva la propria posizione di città metropo-litana, sviluppa il suo ruolo di guida verso losviluppo sostenibile del territorio, avvia formedi concertazione con la grande conurbazioneche la circonda. Ed è proprio con il metodo che il piano strate-gico interagisce con il piano di assetto del ter-ritorio, negoziando anziché imponendo, dialo-gando con i soggetti interessati anzichéimporre atti amministrativi.

Pagine 128, formato cm. 23,5 x cm. 29 Tavola fuori testo Illustrazioni a colori e b/n Isbn 978 – 88 – 7603 – 016 – 1 Issn 1129 - 6526 Edizione 2007

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Volume n. 47

Progetto Conspace.Esperienze per la nuova pianificazione delVeneto.

A cura di Franco Alberti e Luca Lodatti

È con questa esperienza, unitamente alle altregià effettuate e alle prossime che verranno, laRegione Veneto intende dare il proprio contri-buto per la costruzione di un Europa delleRegioni.

LLaa ccoollllaannaa ddeeii QQUUAADDEERRNNII èè uunnaa ddeellllee pprroo--dduuzziioonnii ddii mmaaggggiioorr pprreeggiioo ddeellll’’IIssttiittuuttoonnaazziioonnaallee ddii uurrbbaanniissttiiccaa

Dal 1995 i Quaderni costituiscono uno stru-mento privilegiato per la diffusione delleinformazioni e la divulgazione diretta adambiti e contesti specifici composti di profes-sionisti, enti, istituti di ricerca e operatori dellapianificazione territoriale.

Gli Enti ed Istituti che hanno elaborato i mate-riali di studio e le attività di pianificazioneprovvedono alla raccolta e cura dei testi affi-dandone poi a INU Edizioni gli aspetti redazio-nali e la diffusione. Una diffusione specifica, di un mirato numerodi copie, viene inoltre effettuata direttamentedagli Enti stessi.

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cenno alle più drammatiche emergenzeambientali (legate o meno al cambia-mento climatico incombente) è suffi-ciente a richiamarne la complessitàdelle implicazioni paesistiche. E’ chiaro che i ripensamenti di cuisopra comportano l’ulteriore dilatazio-ne del campo d’attenzione dell’urbani-stica (nella direzione peraltro giàsegnata dal vecchio Dpr 616), determi-nando la definitiva impossibilità dirinchiuderlo in un preciso “settoredisciplinare”. Anzi, se si guarda alleposizioni più innovative sul tema delpaesaggio o ai cosiddetti “nuovi para-digmi” nel campo della conservazionedella natura, la stessa nozione di“governo del territorio” appare restrit-tiva – ed infatti sempre più spesso sca-valcata da quella di “governance”.Quest’ultima evoca infatti, con tutta lasua ambiguità, l’ampia latitudine degliinteressi colpiti nella produzione emodificazione incessante della qualitàdel territorio, e quindi anche la plurali-tà irriducibile dei soggetti istituzionali,degli attori economici e sociali e deiportatori di interessi coinvolti nei pro-cessi decisionali che in vario modoinvestono il territorio stesso. E’ in que-sto contesto flessibile, aperto ed inclu-sivo –in cui è sempre più difficile rico-noscere un referente unico o dominan-te – che si calano le attività di governoe di pianificazione cui si allude con lavecchia nozione di Urbanistica, solleci-tando una revisione profonda del sensostesso della “regolazione pubblica” deiprocessi di trasformazione. Ciò da unlato accresce e diversifica le responsa-bilità dell’Urbanistica (mettendo a

Le nuove responsabilità dell’urbanistica Roberto Gambino*

è all’art. 6-C, ma anche per quest’a-spetto lo sfondo teorico è molto artico-lato, includendo temi come quello dellasussidiarietà, della costruzione demo-cratica delle regole, della certificazionesociale delle scelte, ecc.).Mi sembra importante notare cheentrambe le sfide si sono da qualchetempo profilate anche in altri campidell’azione pubblica, in primo luogo inquello della conservazione della natu-ra, in cui l’Unione mondiale dellanatura (Iucn) ha preso da più di undecennio posizioni marcatamente favo-revoli alla “territorializzazione” dellepolitiche ambientali e alla cooperazio-ne decentrata nella gestione dellerisorse ambientali. Se nel Congresso diDurban del 2003 si affrontava il pro-blema di come estendere le politiche diconservazione e valorizzazioneambientale sull’intero territorio (“al dilà delle frontiere” delle aree istituzio-nalmente protette), in quello successivodi Bangkok, 2004, si poneva l’accentosulla inscindibilità dei problemi econo-mici e sociali (e in particolare dellapovertà e dell’equità nell’accesso e nel-l’uso delle risorse, come tipicamentel’acqua) da quelli della conservazionedella biodiversità, delle risorse vitali edella qualità ambientale, a scala localecome a scala planetaria. In questo qua-dro complesso che lega natura e socie-tà (“People and nature: only oneworld”), si è evidenziato a Bangkokcome in altre occasioni il ruolo dellepolitiche del paesaggio ai fini della sal-vaguardia complessiva della qualità delterritorio, percepita e vissuta dallepopolazioni. D’altronde, un pur fugace

Sta diventando evidente che le speri-mentazioni e le riflessioni connesseall’attuazione della Convenzione euro-pea del paesaggio (Cep) mettono indiscussione non tanto o soltanto le tra-dizionali delimitazioni disciplinari –accanitamente contese da contrappostecorporazioni - quanto l’intera “culturaurbanistica” in senso antropologico(operatori tecnici ed amministrativi,apparati di gestione, professionalità,statuti disciplinari, ecc.). La discussionemuove dall’assunto che al paesaggiodeve essere attribuito un significatoassai più ampio e pervasivo di quellotradizionalmente attribuitogli (in parti-colare quello di fondamento delleidentità locali minacciate dalla globa-lizzazione) e che la valenza paesisticariguarda non più soltanto singoli braniod ambiti di eccezionale interesse, mal’intero territorio. Ciò premesso, due misembrano le sfide principali propostedalla Cep:a) l’integrazione delle politiche paesi-stiche ed ambientali nell’insieme dellepolitiche plurisettoriali incidenti sulterritorio (il riferimento è all’art. 5-d,ma lo sfondo teorico è vasto e com-plesso, includendo temi da tempodibattuti, come la “territorialità” delpaesaggio), integrazione che non can-cella l’esigenza di approcci specialisticie di strumenti d’azione diversificati;b) la considerazione nelle politichepaesistiche ed ambientali – e di conse-guenza, seppure in forme diversificate,in quelle urbanistiche e territoriali insenso lato – delle “percezioni”, delleattese e degli interessi locali e delle“popolazioni interessate”(il riferimento

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all’urbanistica un ruolo demiurgico odi regìa sul piano operativo – e di con-seguenza sul piano formativo. Tuttavianon si può negare che in molte espe-rienze non solo italiane, particolar-mente quelle riguardanti i paesaggid’area vasta o le grandi aree protette,la “cultura urbanistica” latamente inte-sa ha contribuito in maniera determi-nante a costruire un terreno di conver-genza multi-disciplinare, a coordinarele valutazioni e le proposte degli spe-cialisti, a evidenziare i conflitti emer-genti e i modi per risolverli. Nel farciò, ha avuto spesso un ruolo crucialenello stimolare l’allargamento delcampo d’attenzione e la presa in caricodella molteplicità dei contributi dachiedere agli specialisti, in una visionetendenzialmente “progettuale”, orienta-ta alla soluzione di problemi. Questoorientamento, ben radicato nella cultu-ra urbanistica italiana, riduce il rischiodi un’assunzione a-critica e de-finaliz-zata delle problematiche paesistiche eambientali, aiuta a respingere la falsaidea che “l’ambiente è un dato neutraleed oggettivo”, richiama il ruolo impre-scindibile del progetto nella pianifica-zione territoriale. Questo atteggiamentonon contrasta necessariamente con lacoscienza dei limiti del progetto e conil rispetto dei condizionamenti com-plessi che provengono dalla natura edalla storia. Paradossalmente, puòessere proprio la consapevolezza dellapropria insufficienza disciplinare afronte della complessità del reale –anziché l’arrogante pretesa di un pri-mato disciplinare spesso vantata daalcune scuole - a conferire all’urbani-stica una capacità centrale nella deter-minazione delle politiche dell’ambientee del paesaggio.

* Politecnico di Torino.

Ai fini dell’integrazione trans-settorialedelle politiche pubbliche incidenti sul-l’ambiente e il paesaggio, il ricorso allapianificazione è irrinunciabile, comedel resto, nel nostro stesso paese, èattestato dall’evoluzione del quadrolegislativo, dalla L 431/1985 alla L183/1989, alla L 394/1991 al Codicedei beni culturali e del paesaggio del2004. Ciò non può non trovare riscon-tro nella programmazione dell’offertaformativa, in linea con quanto previstodalla Cep, soprattutto nel senso che:a) la formazione dei pianificatori, intutti i settori, non può evitare diaffrontare i temi paesistici e ambientali;b) occorre assicurare, nei programmiformativi, quella centralità che la legis-lazione attribuisce alla pianificazionenei confronti delle politiche dell’am-biente e del paesaggio.Questa duplice esigenza non esauriscel’impegno dei programmi formativi perl’ambiente e il paesaggio. Data la com-plessità dei temi coinvolti, è ragione-vole attendersi che essi siano affrontatiin un ampio ventaglio di settori disci-plinari (dall’architettura alla storia,dall’ecologia all’estetica, dalla geogra-fia all’economia, ecc.), mantenendotuttavia la piena consapevolezza delsignificato olistico del paesaggio edella imprescindibilità dell’integrazionetrans-settoriale delle politiche d’inter-vento. E’ questa anche la condizioneche dovrebbe essere rispettata per dareefficacia e legittimità culturale ai pro-grammi volti alla formazione degli“specialisti” del paesaggio previsti dallaCep all’art. 6-B. E’ chiaro che questacondizione è tanto più avvertibilequanto più si rammenta che, secondola Cep, le politiche del paesaggio nonpossono limitarsi alle “isole d’eccellen-za” ma devono prestare attenzioneall’intero territorio, dando adeguatapriorità agli interventi di varia naturanecessari nelle situazioni di degrado,d’anomia, di de-semantizzazione o diabbandono. E’ soprattutto in questadirezione che la specializzazione delsapere esperto deve coniugarsi conl’integrazione degli approcci e delleproposte d’intervento.Riconoscere la centralità della pianifi-cazione “territoriale” ai fini delle poli-tiche dell’ambiente e del paesaggio nonsignifica necessariamente attribuire

nudo i rischi di “indifferenza etica”delle relative attività tecnico-scientifi-che), dall’altro svuota le arroganzeauto-referenziali del pianificatore, lesue pretese di “mettere ordine” nelleturbolente dinamiche dei processi reali.Di ciò si dovrebbe tener conto anchenell’impostazione dei programmi for-mativi, che possono svolgere un ruolocruciale ai fini di una piena assunzionedelle proprie responsabilità da partedella cultura urbanistica. Il dibattito e le esperienze internazio-nali in tema di ambiente e paesaggiohanno già contribuito significativa-mente alla re-impostazione dei pro-grammi di ricerca e delle prospettiveprogettuali, per es. nel senso dicostringere a superare le tradizionaliseparazioni natura/cultura (basti pen-sare all’interesse registrato in paesicome gli USA per la tutela e la valoriz-zazione dei “paesaggi culturali”), o ariconnettere gli obiettivi conservativicon gli imperativi di sviluppo dei paesie delle comunità svantaggiate, o a spa-lancare le finestre nelle realtà localiverso ciò che succede nei panoramisovralocali. In molte sedi (ultima laConferenza Aesop di Napoli, 2007) si èprofilata una stimolante mutua fecon-dazione tra due importanti matriciconcettuali, quella delle Scienze regio-nali, in cui l’urbanistica “moderna” haimportanti radici, e quella delle Scienzenaturali, che offrono indispensabilisupporti alla conoscenza e al tratta-mento dei problemi paesistici eambientali. Un esempio può veniredalle contaminazioni del paradigma“reticolare”, che induce ad una consi-derazione integrata di temi apparente-mente slegati, quali quello da un latodelle reti ecologiche e dall’altro quellodelle reti urbane o quello delle reti ditrasporto. Un altro esempio concerne latrans-scalarità, che in entrambe lematrici può essere perseguita, per tenerconto dello “scaling up” dei problemiterritoriali e dei nuovi rapportilocale/globale in cui si muovono le“identità mutevoli” dei territori con-temporanei. La fecondità di questiapprocci teorici non deve peraltro fardimenticare la separatezza che tuttoracaratterizza in larga misura le pratichecognitive e pianificatorie e le politichepubbliche conseguenti.

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zionali sotto il profilo delle qualitàpaesaggistiche conseguite. A partiredagli anni Sessanta, anche grazie alcontributo determinante dellaCommissione parlamentare“Franceschini”, è andato imponendosiinvece il modello della tutela passivadando largo spazio alle posizioni deigiuristi. Si è da allora letteralmenteabdicato alla progettualità e al governoattivo del mutamento, a favore di unavisione vincolistica rivolta soprattuttoalla conservazione dell’esistente,immaginando il nostro Paese come ungrande museo all’aperto.L’esperienza dei piani paesistici regio-nali degli anni ’80 - ‘90, non comunein Europa per la vastità dell’ impegnoe per la quantità di risorse profuse,avrebbe potuto cambiare lo stato dellecose. Ma purtroppo l’occasione è anda-ta sostanzialmente perduta. I pianifica-tori del paesaggio italiani non hannosaputo acquistare rilievo e visibilità sulpiano internazionale, forse anche perla convenzionalità delle soluzioni spe-rimentate in quella congiuntura a cui èmancato generalmente il soffio di unavisione innovativa .

Nuovi scenari

Con la Convenzione europea del pae-saggio lo scenario è destinato a cam-biare profondamente. Non c’è da sor-prendersi delle forti resistenze incon-trate dalla Convenzione nel nostroPaese. Si tratta di ripensare a fondo ilruolo del paesaggio e le strategie per lasua conservazione- trasformazioneabbandonando il rassicurante paradig-ma benculturalista del grande museo

Nuovi architetti per il paesaggioAlberto Clementi*

Ma tutto ciò non basta. Esistono ragio-ni a mio avviso ancora più profonde,che risalgono in gran parte al diversomodo di intendere il trattamento delpaesaggio.Nel nostro Paese si sono fronteggiate alungo due ispirazioni di natura assaidifferente. Una (la “tutela passiva”)assume il paesaggio come valore iden-titario , ovvero come un patrimonio datrattare nell’ambito delle politiche deibeni culturali, attribuendo un ruolodeterminante alla rete delle soprinten-denze di Stato e successivamenteanche alle Regioni. L’obiettivo di fondoè tutelare i paesaggi di riconosciutovalore estetico ( poi anche di valorenaturalistico-ambientale a seguito dellalegge Galasso ) , considerati alla stre-gua di super-beni monumentali daproteggere attraverso rigorosi vincoliimposti per decreto e amministratidagli esperti del settore .L’altra (la “gestione strategica”) fa rife-rimento invece al paesaggio come ter-ritorio, quindi come uno spazio assog-gettato a processi di mutamento cherinviano a molteplici progettualità eche richiedono strategie attive digestione delle risorse nel segno dellasostenibilità e della efficacia per ibenefici generati dagli investimentioltre che naturalmente di qualità delleforme visibili .Negli ultimi decenni questi dueapprocci hanno conosciuto alterne for-tune. Nella fase della Ricostruzionepostbellica si sono completati grandiprogrammi di bonifica e riorganizza-zione dei territori rurali, soprattutto nelMezzogiorno, con risultati spesso ecce-

Come è noto, l’Italia è un Paese uni-versalmente conosciuto per l’ eccezio-nale qualità del suo patrimonio stori-co-culturale e per la bellezza dei suoipaesaggi.La cura attiva del patrimonio, assecon-data da leggi di tutela assai avanzate,ha condotto allo sviluppo di competen-ze nell’ambito della conservazione edel restauro di assoluto rilievo incampo internazionale.Invece per il paesaggio le cose sonoandate diversamente. Oggi gli architettiitaliani non sono particolarmenteapprezzati per la loro capacità di con-servare i paesaggi tramandati dallastoria, e ancor meno di configurare inuovi paesaggi del nostro tempo. Altriarchitetti, in Francia, in Gran Bretagna,in Olanda e recentemente anche inSpagna si sono distinti per le loroesperienze di progettazione del paesag-gio. E tra le figure di paesaggisti piùnoti nel patinato mondo dello star-system, raramente appaiono gli italia-ni.Quali sono le ragioni di questo singo-lare scarto tra le vicende del restauro edella paesaggistica?Di certo, conta molto la domandaespressa dalle istituzioni e dal mercatoprofessionale . Sappiamo tutti quantosia stata decisiva per le fortune dellascuola di Versailles la scelta del gover-no francese di accompagnare la realiz-zazione delle grandi opere infrastruttu-rali con impegnativi interventi sul pae-saggio. Oppure quanto le poderose tra-sformazioni degli spazi costieri e ruraliabbiano inciso nell’ esperienza paesag-gistica dell’Olanda.

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maldestri tentativi di questi tempi voltia riaccorpare saperi eccessivamenteframmentati dalle perverse pulsionialla separatezza e all’autonomia disci-plinare. Proprio il paesaggio sembra essere unapreda quanto mai ambita da molteplicisettori disciplinari che se ne contendo-no accanitamente l’ appropriazione , inuno scenario che al contrario invitaalle convergenze a favore di una tra-sversalità richiesta anche ai diversipoteri amministrativi in gioco.Pur consapevole delle enormi difficoltàdi agire in controtendenza per riforma-re questo deprimente stato delle cose,proverò comunque a delineare alcunepossibili ricadute sulle scuole di archi-tettura dello scenario appena evocato.Con la consapevolezza che rispostebell’e pronte non sono a portata dimano, e che il confronto tra le diversetradizioni di studio e le loro capacitàdi proposta per il futuro è davvero unpassaggio obbligato per ridefinire iprofili formativi nella prospettiva diuna più marcata riconoscibilità dell’e-sperienza italiana in Europa.Intanto, se è vero che il paesaggio vaassunto come valore fondativo di ognitrasformazione urbana e territoriale,allora occorre evitare una sua indebitasettorializzazione, per lo meno per icorsi del primo triennio di laurea perl’architetto Ue. Al contrario, occorre promuovere per-vasivamente una nuova cultura pro-gettuale landscape sensitive , chedovrebbe permeare tanto le disciplinedella progettazione architettonica cheurbanistiche, storiche e perfino quelletecnologiche e della rappresentazione.Si tratta innanzi tutto di valutare criti-camente se e quanto le posizioni disci-plinari di riferimento sappiano tema-tizzare adeguatamente il paesaggio. Edi offrire poi nuove prospettive , allaluce di una moderna e pertinente inter-pretazione del ruolo del paesaggio nelprogetto contemporaneo, alle diversescale per la città e il territorio. Saranno poi le lauree magistrali e lesuccessive scuole di dottorato a con-sentire una caratterizzazione più mar-cata dell’offerta formativa, combinan-do variamente i saperi dell’architetturacon quelli specialistici dell’ambiente edella storia, fino a quelli delle scienze

In questa prospettiva il paesaggio cometotalità contestuale e come struttura disenso a valenze anche estetichedovrebbe diventare un valore pervasi-vo, capace di permeare di sé ogni azio-ne sull’esistente, legittimando la pro-pria importanza con la dimostrazionetangibile della efficacia dei proprieffetti ai fini dello sviluppo sostenibile,competitivo e coeso di un territorio edella società che lo abita. Per il suo governo si dovrebbe ricorreresempre di più a strategie attive e inter-settoriali, votate al progetto quanto alvincolo, affidate al partenariato multi-livello e alla condivisione multiattoria-le piuttosto che all’affermazione di unsingolo punto di vista, per quantoautorevole e competente possa essere.Sono indirizzi che valgono in tuttal’Unione europea, perché riconosciutidalla Convenzione per il paesaggio. Main Italia potrebbero acquistare unaforza del tutto speciale, se solo siriuscisse a coniugare il rigore dellanostra tradizione statale della conser-vazione con la progettualità di unagestione strategica del mutamento,fondata sul riconoscimento dei dirittiinvalicabili del contesto quanto sullamobilitazione delle molte individualitàche fanno la ricchezza del nostroPaese.

Ricadute formative

L’Università deve misurarsi con questiscenari di profondo mutamento delruolo del paesaggio nell’economia enella società quando sono ancora allostato nascente, ed incerta appare laloro effettiva concretizzazione . E devefarlo non subendo passivamente ladomanda delle altre istituzioni o delmercato, ma con il protagonismo diuna propria visione, qualificata cultu-ralmente e aperta alle necessarie evo-luzioni interdisciplinari. E’ vero, nelle nostre università stiamoattraversando una prolungata congiun-tura critica, oppressi da superficialiazioni di riforma che, pur muovendoda obiettivi spesso condivisibili, tendo-no a deteriorare ulteriormente situazio-ni già fortemente provate per le irre-sponsabilità dei docenti oltre che dellapolitica e delle istituzioni parlamentari.Ed è davvero sconfortante assistere ai

all’aperto, associato alle emergenze dimaggior valore estetico-naturalistico.Il paesaggio si riavvicina sensibilmenteal territorio, pur mantenendo una suaspecifica connotazione culturale (comeforma estetica e simbolica che offreuno specifico orizzonte di senso al ter-ritorio), ed evitando così il dissolversitanto nel paradigma pan-ambientalistache in quello pan-territorialista.L’architettura e l’urbanistica vengonoinvestite di nuove responsabilità intan-to che tende a riemergere il modellodella gestione strategica, e dunque laresponsabilità progettuale in alternati-va al vincolo per decreto.Si profila ora l’ inedita possibilità ditrovare una via italiana che –come peril restauro- finalmente possa trarreappieno partito dalla bellezza residuadei nostri paesaggi, considerati sì comepatrimonio culturale da conoscere etutelare, ma soprattutto come risorsestrategiche da utilizzare per un nuovomodello di sviluppo sostenibile. Questo modello premia l’ unicità deipaesaggi come condizione di attrattivitàturistica e anche come marchio di qua-lità complessiva delle produzioni madeby Italy, dall’agroalimentare alla modafino al design. Valorizza l’offerta dibeni posizionali sfuggendo alle logichedella delocalizzazione a cui il nostrosistema imprenditoriale è particolar-mente vulnerabile nell’era della produ-zione globalizzata. Trova infine nell’emergente economia dell’esperienza unapreziosa opportunità per rafforzare l’importanza del paesaggio in tutti gliatti delle amministrazioni pubbliche maanche nei comportamenti del mercato.Diversamente allora dai Paesi in cui ilpaesaggio tende a configurarsi soprat-tutto come un’articolazione significati-va delle qualità di un territorio (comein Catalogna) , o dell’ambiente (comein Germania) o come un’espressioneestetica degli assetti morfologici e fun-zionali dello spazio (come in GranBretagna), l’ architettura e l’urbanisticaitaliana è chiamata dunque a reinter-pretare in modo innovativo il tema delpaesaggio, senza abbandonare la speci-ficità delle proprie tradizioni, ma anzifacendole valere in un fecondo intrec-cio dialettico tra le diverse valenze sto-rico-culturali, territoriali, ambientali ed estetiche.

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alle scienze giuridiche e sempre piùprobabilistiche, da affrontare con leresponsabilità proprie dell’azione pro-gettuale.Una prospettiva convincente provienead esempio dal Landscape Urbanism,una felice definizione coniata daWaldheim che si aggiunge a quella diArchitettura del Paesaggio da tempodiscutibilmente invalsa da noi per desi-gnare uno specifico settore scientifico-disciplinare.Questa disciplina, ancora allo statoliminale negli Usa e in Gran Bretagna,tende ad incorporare nel campo del-l’urbanistica i processi e le tecnicheche hanno storicamente modulato ilpaesaggio, contribuendo in particolaread elaborare nuovi quadri cognitivi emetodi di azione alla confluenza delle“ ingegnerie ambientali e studi sul pae-saggio con le strategie di sviluppourbano e produttivo”.Proprio il riferimento al recente emer-gere del Landscape Urbanism dimostral’importanza di una riflessione sulletendenze della ricerca e della formazio-ne che non sia troppo condizionatadalla ripetizione degli schemi concet-tuali ereditati e dalla inevitabilecoazione alla sopravvivenza dei settoridisciplinari esistenti.Più che di contrapposizioni sul mododi accaparrarci il paesaggio, abbiamobisogno di visioni prospettiche che ciaiutino a scoprire le potenzialità offer-te da interpretazioni innovative di ciòche intendiamo per paesaggio e deimetodi con cui agire per il progettosostenibile del suo mutamento.Per concludere : per l’immediato futu-ro, ci auguriamo non prove di forzaaccademiche, ma progetti culturaliargomentabili intersoggettivamente,capaci di dare senso e plausibilità allenecessarie ricomposizioni dei saperi sulpaesaggio alla luce delle ricerche incorso e delle domande istituzionaliprevedibili.Sapranno il CUN e le comunità accade-miche interessate farsi interpreti diquesto lungimirante bisogno d’innova-zione che il ministero non può com-prendere da solo?

* Preside della Facoltà di Archiettura, Pescara.

XXSS- ExtrasmallCentri storici minori,

terre di sviluppo

Il centro di ricerca Fo.Cu.S.(Formazione Cultura Storia),dell’Università “La Sapienza” diRoma, sulla “Valorizzazione egestione dei centri storici minori edei relativi sistemi paesaggistico –ambientali”, e la societàMonti&Taft, che opera nel campodel management culturale e delmarketing territoriale, organizzanoper il 2008 la Festa itinerante deicentri storici minori.

Quando si parla di centri storici,soprattutto minori, si pone general-mente l’attenzione sul “borgo”, maun centro storico minore è ancheil suo territorio vasto, che puòestendersi a più comuni e ad altricentri storici; è la potenzialità diquesta dimensione a svilupparsi, inmaniera integrata, attraverso risor-se endogene ed esogene. Per que-sto, accanto al marchio XS-Extrasmall, il sottotitolo evidenziail termine terre di sviluppo.

La “festa” intende promuovere lecapacità di scambio, attivandoconoscenze e rapporti nell’ottica diuna crescita culturale ed economicadi questi sistemi territoriali.

Il primo appuntamento è a Orvietoil 15-16 febbraio 2008.

UUrrbbaanniissttiiccaa IInnffoorrmmaazziioonnii, cheultimamente ha dedicato ampiospazio a questa tema, partecipaalla Festa come mmeeddiiaa ppaarrttnneerr.

ecologiche, agrarie e forestali, giuridi-che ed economiche secondo le oppor-tunità concesse dalla recente revisionedelle classi di laurea e dei relativi cre-diti formativi.Per inciso, vorrei osservare che se siassume come riferimento la figuraeuropea di un architetto italiano versa-to al paesaggio in base alla sua speci-fica tradizione, appare poco produttivaper noi l’ articolazione dei profili for-mativi secondo la prevalenza dell’ap-proccio ecologico-ambientale, o stori-co-culturale, o estetico-morfologico. Piuttosto diventa interessante appro-fondire la formazione paesaggisticarispetto ad alcuni temi della trasforma-zione che segnano il nostro tempo,come ad esempio la realizzazione dellereti infrastrutturali, la riqualificazionedelle città e delle loro campagne circo-stanti, la tutela e valorizzazione deiterritori aperti. Su questi temi dovreb-be essere organizzata una specificaofferta formativa, di sicura utilità perle diverse amministrazioni pubblichecoinvolte, dallo Stato alle Regioni, alleProvince e ai Comuni.

Ripensare l’urbanistica

La prospettiva di una visione olisticadel paesaggio come totalità contestua-le, insieme a quella della progressivaconvergenza con le logiche di territorioe soprattutto della gestione strategicadel mutamento in considerazioneanche della partecipazione dei diversiattori alle scelte per il paesaggio, raf-forza notevolmente il ruolo dell’urba-nistica, anche oltre la sua tradizionaleattitudine alla pianificazione a serviziodei piani paesistici regionali . Ma proprio la complessità e la novitàdelle prestazioni richieste dai nuoviscenari induce a rielaborare profonda-mente gli stessi statuti disciplinari,oltre che i processi di accumulazione etrasmissione delle conoscenze.Non si tratta di estendere unilateral-mente al paesaggio la tradizione disci-plinare dell’urbanistica, quanto piutto-sto di sperimentare nuove combinazio-ni e ibridazioni di saperi che meglioriflettano la natura evolutiva e indeter-minata dei processi di mutazione delpaesaggio, con visioni sempre menonormativo-deterministiche associate

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della comunicazione, dove assumonopeso strategico valori anche immate-riali. E’ un pensiero che è mosso dall’e-sigenza di un movimento rifondativogenerale. “L’estetica, dice Dostoevskij, èla madre dell’etica”. E’ forse questo unofra i valori che il paesaggio possiede e,di conseguenza, non secondaria è laforza innovativa del linguaggio(“Paesaggistica e linguaggio grado zerodell’architettura”, Zevi a Modena, set-tembre 1997). L’impegno civile per l’ecologia e l’am-biente motiva spesso a parlare di tema-tiche ambientali e paesistiche comeun’unica categoria, con non pochirischi di equivoci, paesaggio e ambien-te essendo due entità fra loro dialetti-che, in molti casi potenzialmente con-flittuali. In un documento molto inte-ressante, Linee guida della politica del-l’ambiente (Belli, Boitani, Brancaccio,Copertino, Funiciello, Gambino,S.Garano, Giannattasio, Pignatti, Rossi,Secchi, Vendittelli), leggevo: “Ciò cheal nostro Paese manca o sembra spessomancare è una chiara consapevolezzadelle relazioni che intercorrono tratemi e problemi ambientali, temi e pro-blemi territoriali ed urbanistici, temi eproblemi economici, sociali e politici”.Credo che l’affermazione sia giusta, macredo anche che queste “relazioni”siano meglio comprensibili proprio acominciare da un approccio attraversoil progetto di paesaggio, su ogni aspet-to di degrado dell’habitat, a cominciareda quello urbano. La missione dell’urbanistica è di defini-re e controllare le condizioni fisiche edi uso del territorio predisponendo

Urbanistica e Paesaggio. Verso l’attuazione della CepFranco Zagari*

parti di una stessa concezione che vedeil paesaggio come un organismovivente in perenne evoluzione, cherichiede una continua azione proget-tuale. Si noti che “pianificazione” in questasede indica “le azioni fortemente lun-gimiranti, volte alla valorizzazione, alripristino o alla creazione di paesaggi”.Il termine italiano è una traduzioneimpropria del testo ufficiale, “aménage-ment” (in francese) e “planning” (ininglese, che va corretta o integrata nelsenso di creazione, innovazione, valo-rizzazione.Ora l’urbanistica guarda con crescenteinteresse al paesaggio come un temada privilegiare. E’ una posizione moltoimportante perché impegna una comu-nità scientifica di primo ordine in unmomento di relativa indifferenza dellapolitica, non ostante eccezioni eccel-lenti nell’iniziativa di alcuni enti locali,cito la Regione Calabria perché quellaa me più vicina. Il motivo della suaattrazione è in parte naturale, collo-candosi il paesaggio spesso a grandescala, ma credo sia più profondo.L’urbanistica moderna si è specializzataper approntare teorie e tecniche per ilcontrollo dei suoli, con zone e norma-tive, un’epopea con un marcato impe-gno politico che progressivamente daitemi dell’espansione è passata alladifesa e al recupero del territorio,anche al prezzo di una inerzia conser-vatrice. Oggi molti segnali, e fra questiproprio l’interesse per il paesaggio,sono sintomatici di un’evoluzione piùumanistica, che guarda al futuro atten-ta alle domande poste dalla cultura

Molti temono ancora il termine pae-saggio perché generico, perché propriodi molte discipline e di nessuna in par-ticolare, perché abusato, perché ambi-guo. Ma il paesaggio, se inteso come unaparticolare qualità del nostro habitat,ha oggi uno statuto giuridico, ha quin-di una definizione ben precisa. LaConvenzione europea del paesaggio(Cep) nasce da un disegno politico chestoricamente viene dalle comunitàlocali, ed è una forte novità nel nostroquadro legislativo. Tutte le disciplineche si occupano di paesaggio devono,in stretta concertazione fra loro, fareun grande sforzo comune per attuarla.Le due reti europee che si sono costi-tuite con questo fine, delle comunitàlocali (Recep) e delle università(Uniscape) offrono una preziosa occa-sione di monitoraggio e confronto. Frai principi fondativi: il porre le popola-zioni come protagoniste nei processidecisionali pubblici che riguardano ilpaesaggio, uno statuto che lo tutelavirtualmente estensibile a tutto il terri-torio, il mettere in primo piano il suovalore economico, anche indipendente-mente dalla sua qualità estetica,ponendo alla stessa stregua “paesaggidi eccellenza e paesaggi degradati”,cioè sostenendo che la qualità di pae-saggio può essere evocata non solodove sia già esistente, ma dove si ritie-ne che possa essere necessaria. La Cepdefinisce con precisione le competenzedel progetto di paesaggio, ponendo insequenza diretta momenti fra loro con-venzionalmente separati: la protezione,la gestione e la pianificazione. Sono

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anche con ampio uso di installazionireversibili, grandi progetti di comuni-cazione e di partecipazione;- ristabilire un equilibrio fra un partitoprogettuale di attacco - linee di indi-rizzo propositive, che si spingano apiani e progetti puntuali, per temi defi-niti e circoscritti nei tempi, che affer-mino una politica di trasformazione - eun partito di difesa - regole generali ditutela, estese a tutto il territorio, chedifendano l’interesse comune, chiare eincisive e per questo emanate conestrema misura e attenzione -;- a realtà fisicamente discontinue sipuò rispondere con progetti anch’essidiscontinui, per punti e linee, non soloper superfici:- ridefinire strumenti attuativi che aqualsiasi scala integrino valori estetici,etici e di conoscenza o, se preferite,venustas, firmitas, utilitas;- cercare modalità di reazione istanta-nea alla domanda del Paese – sociale,economica, culturale - che è in peren-ne mutamento, anzi per quanto è pos-sibile anticiparla;- l’analisi del contesto non dovrebbemai precedere ma interagire in ognifase con il progetto, urbanistico, archi-tettonico, paesaggistico. Le campagnedi rilievo a scala satellitare sono moltoutili nei loro limiti di strumenti stati-stici, fornendo dati preziosi come iconsumi energetici, le mappe del calo-re, la biomassa, le fitopatologie, ladensità dei flussi di traffico;- dovrebbe smontarsi la logica delladiscesa a cascata di scelte e strumentidal generale al particolare. Non visono più, credo, competenze di scalacosì chiare. La programmazione e ilprogetto sono, di fatto, interscalari.Il dialogo fra discipline è un cardine diuna forte iniziativa intellettuale, pensoche nella pratica, caso per caso, saràuna a guidare un progetto e le altre aseguire. Insieme dovremmo affinaremetodi e strumenti.

* Università degli studi Mediterranea, Reggio Calabria.

rilevante. Le sue competenze specifichesono diverse e complementari rispettoa quelle dell’urbanistica e di moltealtre discipline sorelle. Anch’essa èdotata di una vocazione specifica alavorare con altri saperi. In Italia la figura del paesaggista nonha ancora una collocazione istituziona-le matura nel mondo del lavoro e del-l’insegnamento. E’ indispensabile unafigura che abbia già nel suo DNA unapreparazione specifica per la lettura ela interpretazione di questa qualità chechiamiamo paesaggio. Credo che sia necessario avere corsi distudio specifici a tutti i livelli della for-mazione universitaria e che questaprofessione trovi accoglimento neinostri ordinamenti, come chiede laCep. In questo senso si stanno seguen-do diverse strade: corsi di studi diarchitettura con un indirizzo dedicato(Venezia), corsi specifici nella classe diurbanistica (Roma Bracciano), corsispecifici nella classe dell’edilizia (conti-nuazione delle scuole di Genova, RomaQuaroni, Reggio Calabria). Molte altreesperienze ancora vantano una lungatradizione (Napoli, Firenze, Palermo,Milano…).Chi è, cosa fa il paesaggista?Contrariamente a quanto si pensi il suocontributo non si limita certo alla par-ticolare frequentazione del mondovegetale. E’ una figura particolarmenteversata a lavorare sui temi che riguar-dano l’attuazione della Cep. Ha unapproccio per relazioni e sistemi, unabuona competenza naturalistica e un’e-sperienza nelle pratiche partecipative edi comunicazione. Più che di “oggetti”in sé, il paesaggista si occupa di “rela-zioni” fra tutti quei fattori che, unavolta mesi in sequenza, possano deter-minare qualità di paesaggio. E’ un pro-gettista abituato al confronto interdi-sciplinare che opera con specifichecompetenze diagnostiche e interpretati-ve dei contesti per la tutela, la gestionee la valorizzazione del paesaggio.

Metodi e strumenti

L’attuazione della Cep è ovviamenteuna questione di guida politica e diadeguata classe dirigente, ma la cultu-ra deve provocare e anticipare. - molta sperimentazione, laboratori,

strumenti per l’esercizio virtuoso delgoverno, obiettivo irrinunciabile per unPaese civile. Questa disciplina, che hale sue radici in una storia di lotte pro-gressiste, nel tempo presente affrontauna nuova realtà sociale, economica,culturale che esprime tendenze nonsempre rassicuranti, ma non prive dienergia creativa. E’ soprattutto lavariabile del tempo che cambia. Stiamovivendo una rapida trasformazione deicomportamenti, con scenari assoluta-mente nuovi: la crisi ambientale, l’af-fermazione della cultura dell’informa-zione e della comunicazione, le nuovecondizioni produttive e del consumo,l’incremento della mobilità di uomini edati. Ma sono l’incertezza del quadropolitico e il basso profilo dell’economiache danno a queste tendenze un colorea volte deprimente. La città denota unacrescente discontinuità, con disfunzionigravi di funzionamento e un’incredibi-le velocità di metabolizzazione eaccentua la ricerca di nuove vocazioni,per essere competitiva. Ecco emergerenuove strategie di centralità, nel pub-blico e nel privato, soprattutto nei set-tori di eccellenza, con una forte logicacommerciale.

Il Paesaggio

Molte sono le discipline che concorronoal progetto del paesaggio: architetti,ingegneri, urbanisti, ecologi, agronomi,ingegneri, geologi, esteti, economisti,comunicatori, semiotici e via dicendo.Penso che rispetto alla trasformazionedell’habitat il paesaggio sia una qualitàdel tutto particolare, da difendere,gestire, valorizzare e creare ex-novo, senecessario, un gioco di fattori sia fisiciche immateriali in perpetua evoluzione,che con aspetti di ragionevole stabilitàmanifesti in un luogo un’unità seman-tica che una comunità possa riconosce-re come propria e comunicare.Il paesaggio è anche una disciplina, uncorpo di teorie e tecniche per analizza-re e interpretare i fenomeni di trasfor-mazione dell’habitat, dove questi espri-mano valori riconoscibili come insiemirappresentativi e comunicabili. Ha unasua storia ormai consolidata, attivacome insegnamento da oltre un secolo(Harvard), con suoi maestri e con uncorpo di ricerca teorico e applicato

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integrazione tra componenti almenonelle lauree magistrali. Siamo convinti altresì che perdendoquesta capacità di integrazione e discambio culturale non si possa parlaredi paesaggio. In questo senso, c’è unaesigenza immediata di rivedere i per-corsi formativi perché il paesaggiodeve poter fecondare molti settori dellaformazione, e deve poter divenire unadisciplina presente, con obiettivi ancheleggermente diversi, in tanti corsi dilaurea dove le singole disciplinedovranno tener conto del fatto chesaranno chiamate a dare risposte allascala del paesaggio.La formazione professionale di chidovrà lavorare su questi temi è dunqueun problema cruciale, come la Cepribadisce in più punti. In tal senso,ritengo essenziale la figura dell’urbani-sta, con il quale l’ecologo del paesag-gio riesce, quasi sempre, a lavoraremolto proficuamente, in sinergia, valo-rizzando le complementarietà tra ledue formazioni, e attraverso un’affinitàdi linguaggi e di metodiche che datempo abbiamo potuto sperimentare.L’ecologo del paesaggio introduce unaprogettazione spazio-temporale; eglipuò dare alla pianificazione la scaden-za temporale, il cambiamento dell’oc-cupazione dello spazio nel tempo, chenella progettazione del paesaggio èfondamentale, perché un conto è pro-gettare una facciata di una chiesa, unconto è competere con un sistemanaturale che naturalmente evolve.L’ecologo del paesaggio può, dunque,contribuire alle scelte di composizionedegli oggetti, tentando ovunque possi-

La gestione per la conservazioneCarlo Blasi*

chiusura del bosco per riuscire a con-servare non uno stadio temporale,bensì l’efficienza funzionale di un eco-sistema. In questo senso, la conserva-zione ha bisogno della gestione. Dalpunto di vista scientifico-conservazio-nistico, la posizione del “non agire”, inun Paese con 60 milioni di abitanti ead alta densità antropica come ilnostro, non ha molto senso. Diversosarebbe il caso di quelle regioni geo-grafiche dove la presenza della popola-zione è molto più debole, e dove puoilasciare che la natura trovi la forza diriequilibrarsi; lasciando cadere a terragli alberi marcescenti, e ricostituendospazi per radure. Solo in quel casoavremmo un picco di biodiversità cre-scente, e su questa linea, ad esempio,sono state condotte le scelte di zoniz-zazione per il Parco del Cilento (cui holavorato proprio con Gambino eSargolini), e dove le riserve integralinon superano il 7%.La gestione paesistico-ambientale devebasarsi sull’integrazione tra saperi. Nonsi perviene ad alcun risultato con lacelebrazione della figura del coordina-tore unico che immagina di essere ingrado di riconoscere, valutare ed inter-pretare progettualmente un territorio,senza l’ausilio degli altri specialisti.Con riferimento alla formazione uni-versitaria, va rilevato che la riformaBerlinguer, forse esagerando nel nume-ro degli esami, aveva favorito moltoquesta integrazione. Con la riduzionedegli esami, si torna al nocciolo duro.Nei corsi di laurea di scienze naturali escienze ambientali, stiamo tentando dioffrire questa feconda possibilità di

Con il varo della Convenzione europeadel paesaggio (Cep), si aprono straordi-narie opportunità per tutti noi che cioccupiamo di paesaggio, ambiente eterritorio. Questo nuovo approccioribadisce, con fermezza, quel rapportostretto tra uomo e natura, oggetto diun dibattito scientifico che ha segnatogli anni Sessanta (si veda il progettointernazionale MAB - Man AndBiosphere). In questo senso, dunque, laCep non è una novità; essa rimarca, inun momento opportuno (quando sem-bra cioè che il paesaggio debba essereaffrontato con altri sistemi e strumen-ti), che il cuore della riflessione suitemi paesistico-ambientali debba met-tere insieme urbanisti e ecologi, bota-nici e geologi, naturalisti e sociologi,come Valerio Giacomini ci insegnava,già diversi decenni fa. Diverse sono lericadute in ambito applicativo e neicampi della formazione di questoapproccio.Valerio Giacomini, che considero anco-ra come il “mio maestro”, pionieristica-mente rispetto ad altri ecologi, eracontrario alla tutela per isole, ai recintie ai semplici divieti perché lui intuiva,già in quegli anni, che l’attenzione dichi gestisce l’ambiente deve concen-trarsi sulle dinamiche naturali e nonsulle visioni cristallizzate e statiche. Laconservazione si fa dunque attraversola gestione; se questo era vero neglianni Settanta, lo sarà ancora di piùoggi. Basti pensare, ad esempio, che cisono tre milioni di ettarinell’Appennino che sono diventati ostanno diventando bosco. Il vero pro-blema che si pone è come frenare la

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drammatica biforcazione tra una evo-luzione potenziale, certamente auspica-bile, e le dinamiche reali, che puntanoad una distruzione sistematica deivalori paesaggistici. Basti pensare, adesempio, a quanto è avvenuto nellaPianura Padana in prossimità diFerrara, dove l’uomo ha eliminato ilbosco per fare spazio ad una produzio-ne intensiva di mais (a livelli di 140quintali/ettaro), e dove il ricercatorenon può fare a meno di sottolineareche la vocazione principale di quelsistema insediativo sarebbe in realtà laforesta, per cui quando gli amministra-tori cercano di aumentare l’attrattivitàdi questo territorio sfruttando la vici-nanza al Parco del Delta del Po’ e sirendono conto che questo “mare dimais” non attrae i turisti, egli develimitarsi ad osservare: “certo, se qui cifosse un bel bosco…!”.

* Facoltà di Scienze, Università la Sapienza, Roma.

con le altre possibili alternative. E sap-piamo inoltre che non esiste mai unsolo percorso, anzi molto spesso gliapprocci sono infiniti, anche se ènecessario che coloro che sono desti-nati a prendere le decisioni siano ingrado di conoscere in precedenza lepossibili evoluzioni di un sito.In questa prospettiva, la pianificazionepartecipata è, probabilmente, unobbiettivo ambizioso che, però, vale lapena di perseguire con tutte le forze.Alcune esperienze recentemente con-dotte per la gestione delle discariche diNapoli, o la vicenda Tav, ci ricordanoche i risultati sono catastrofici quandosi agisce senza il coinvolgimento dellepopolazioni interessate. Nello stessotempo però è necessario evitare atteg-giamenti demagogici, e prendere attoche non è inevitabile che ciò che deri-va dalle percezioni collettive corri-sponda sempre alla valenza scientificadi un territorio, o alla vocazione ecolo-gica o alle vocazioni naturalistiche equindi paesistiche. Tutti coloro che si occupano di paesag-gio debbono saper analizzare e classifi-care gli elementi che determinano unpaesaggio e che lo qualificano. Nel miocampo disciplinare, questo è un fattoessenziale. Ad esempio il clima, la lito-logia e la morfologia sono elementiche determinano un paesaggio, mentrel’uso attuale del suolo tende a qualifi-carlo. Nell’area romana la coltivazionedelle nocciole, almeno fino alla metàdel secolo scorso, era limitata ai vallo-ni freschi del viterbese, per cui definirei caratteri del paesaggio osservandol’uso del suolo era in questo caso unpassaggio concettuale immediato. Madal momento che le leggi di mercato,negli anni Cinquanta e Sessanta,hanno diffuso la coltivazione dellenocciole anche in zone che erano privedi una specifica vocazione (in partico-lare in alcune aree poste in prossimitàdella Capitale), ma dove era possibileovviare alle condizioni climaticheavverse con l’irrigazione a goccia econ altri sistemi colturali. In tali circostanze il gruppo di lavorointerdisciplinare deve definire, come siè detto, quali sono gli elementi chedeterminano una unità di paesaggio, equali tendono invece a qualificarlo,magari scoprendo l’esistenza di una

bile di passare dalle coerenze formali aquelle biologiche, mentre la formazio-ne del progettista del paesaggio deveorientarsi a cogliere le diverse compe-tenze e deve essere capace di racco-gliere i diversi saperi, coordinare ovun-que possibile le elaborazioni collegialiin modo tale che non si perdano lediverse specificità individuali. Mi accorgo che in questo modo alludopiuttosto direttamente all’attività cheviene svolta da sempre dall’urbanista, edunque da un progettista che in passa-to ho frequentemente criticato per lasua tendenza a ricorrere troppo poco alcontributo offerto dagli altri saperi.Nello stesso tempo, però, devo ammet-tere che la formazione dell’urbanista(quando correttamente interpreta ilproprio ruolo) è quella che sembra piùadatta a cogliere l’integrazione (lavicendevole contaminazione e non lasemplice somma) tra i diversi saperi,proprio perché progettare il paesaggiosignifica mantenere un contatto moltointenso tra il mondo della natura,quello dell’architettura e quello socio-economico, ivi inclusa la considerazio-ne del punto di vista delle popolazioniinteressate di cui ci parla la Cep.La nozione di “percezione collettiva”che il paesaggio ci spinge ad approfon-dire va ben al di là di quel concetto dipercezione che è ovviamente molto inuso nel campo dell’Architettura.Secondo me essa ci spinge ad effettua-re un riconoscimento dei valori del ter-ritorio che presuppone che quest’ulti-mo abbia un proprio carattere, unapropria struttura, una propria identità.La percezione collettiva, andando oltrela “lettura” individuale di un paesaggio(condizionata troppo spesso da sensa-zioni soggettive di ciò che riteniamobello o piacevole) ci permette di rico-noscere le identità dei luoghi e di indi-viduare le diverse tipologie di paesag-gio. Il compito degli ecologi è proprioquello di essere di contribuire al rico-noscimento delle diverse vocazioni ter-ritoriali, decifrando i messaggi che unterritorio lancia, ma senza cadere neldeterminismo. Sappiamo infatti cheuna buona conoscenza ed interpreta-zione dei luoghi non impedisce al pro-gettista di assumere decisioni ancheestranee al carattere dei luoghi, purchéampiamente motivate e confrontate

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esito sensibile di processi di territoria-lizzazione di lunga durata, un approc-cio storico (in campo geografico, eco-logico, antropologico, etnografico,archeologico, territoriale) per indivi-duare codici genetici e identità dei luo-ghi consolidati nel tempo dallo svilup-po delle relazioni coevolutive fra inse-diamento urbano/rurale e ambiente, eper interpretare le relazioni fra “pae-saggio naturale” e “paesaggio cultura-le”. Lo studio delle relazioni co-evoluti-ve fra insediamento umano e ambientepuò costituire il ponte fra l’ecologia delpaesaggio che persegue equilibri ecosi-stemici, e l’approccio storico che perse-gue l’individuazione delle regole diriproducibilità delle strutture identitariedi lunga durata (invarianti strutturali,statuti dei luoghi).Questa complessificazione dell’approc-cio paesistico contribuisce a ridefiniregli approcci allo sviluppo locale fonda-ti sulla valorizzazione dei beni patri-moniali, ovvero sulla capacità di inno-vare, produrre e scambiare beni chesolo in quel luogo del mondo possonovenire alla luce in quanto espressioneculturale di una identità di lunga dura-ta che il paesaggio, a ben interpretarlo,racconta.Le ripercussioni del passaggio dalla“pianificazione” al “governo” del terri-torio possono essere positive o negative.Negative se con il concetto di governodel territorio si intende mettere insecondo piano la “carnalità” dellescienze territoriali spostando l’epicen-tro della pianificazione sulle scienzepolitiche ed economiche: il territoriocome ambiente concreto di vita sfuma

Cittadinanza attiva e riconoscimento dei paesaggiAlberto Magnaghi*

za delle diverse componenti sociali eportare i diversi attori all’individuazio-ne degli elementi costitutivi e condivisidel bene comune “paesaggio” e a rico-noscersi appartenenti ad un comuneambiente di vita in cui il concetto di“popolazione” evolve verso quello dicittadinanza attiva e consapevole.Queste discipline sono rese necessarienon solo dalla Convenzione, ma dallamaturazione nelle politiche locali del-l’esigenza di inserire la democraziapartecipativa nei processi decisionalicome forma ordinaria di governo intutti i settori e a tutti i livelli dell’am-ministrazione locale (questo è l’obietti-vo di fondo, ad esempio, della leggeregionale sulla partecipazione delleRegione Toscana in corso di discussio-ne al Consiglio).Un’altra evoluzione disciplinare riguar-da il fatto che la Convenzione si appli-ca a tutto il territorio di una regione(cosi come per gli “ambiti paesistici”nel Codice dei Beni culturali e delPaesaggio), includendo dunque lemetodologie e le tecniche dell’analisipaesaggistica nei quadri conoscitivi epatrimoniali dei piani urbanistici e ter-ritoriali. Questo comporta che, oltreall’approccio estetico-percettivo (cheindividua le eccellenze e i quadri diinsieme delle bellezze naturali e deigiacimenti culturali da conservare) eall’approccio dell’ecologia del paesag-gio (che individua e tratta le qualitàambientali del paesaggio, la sua strut-tura ecologica e i flussi energetici fra ivari ecosistemi e i biotopi che lo com-pongono), assume importanza, in unavisione strutturale del paesaggio come

Le evoluzioni disciplinari che laConvenzione europea richiede all’urba-nistica sono molte. Innanzitutto l’evo-luzione dalle discipline relative allagovernance, in particolare sui temidella programmazione negoziata fraattori in quanto rappresentanze diinteressi, verso le discipline che studia-no metodologie e tecniche dei processipartecipativi, processi essenziali perl’applicazione degli artt. 1 a), 1 c), 5 c)della Convenzione. Studiare il paesag-gio come “parte del territorio cosicome è percepita dalle popolazioni”,per “formularne le aspirazioni.. perquanto riguarda le caratteristiche pae-saggistiche del loro contesto di vita”non è semplice; è un percorso nonrisolubile con semplici interviste, mache richiede la promozione di processidi sviluppo di cittadinanza attivanecessari a decodificare il senso comu-ne, a ricostruire senso di appartenenzae riconoscimento dei paesaggi, adaccrescere la “coscienza di luogo”;questi processi dovrebbero condurrealla risemantizzazione collettiva e allariprogettazione sociale degli ambientidi vita. E’ ovvio che le “popolazioni” diun luogo, sono oggi “trattabili” solo alplurale: abitanti storici, recenti, tempo-ranei, city users, ospiti, migranti, ecc.tutti caratterizzati da specifiche e diffe-renti sensibilità e médiances culturalinella percezione del paesaggio e deiproblemi della sua cura e valorizzazio-ne. Solo l’attivazione di luoghi dellapartecipazione (attraverso istituti,metodologie, strumenti, tecniche) puòavviare un processo di confronto fradiversi e contradditori punti di parten-

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governo del territorio e qualora questescienze trovino anche nei curriculaformativi una loro coerenza di statutomultidisciplinare, finalmente l’urbani-sta potrebbe smettere di esercitare sup-plenze in molti campi disciplinari e,nell’ambito di un dialogo sistematicocon le altre competenze, intrinseco aglistatuti di governo del territorio, ritro-vare il suo ruolo specifico in un conte-sto conoscitivo e progettuale multiset-toriale e integrato.Questo ruolo, che riguarda l’analisi e ilprogetto dell’ambiente fisico, in quantoterritorio costruito, nelle sue compo-nenti ambientali, storiche e paesaggi-stiche, non dovrebbe più praticarsiautisticamente in universi settoriali,ma ricomposti sinergicamente nell’am-bito dei quadri conoscitivi e operatividelle scienze di governo del territorio.L’esperienza che conduco nel Corso dilaurea in Pianificazione di Empoli(Firenze), mi ha mostrato che l’incon-tro fra urbanisti, architetti, ingegneri,agronomi, ecologi, forestali, idrogeolo-gi, storici, antropologi, economisti,informatici, per costruire una figuracomplessa di Pianificatore urbano, ter-ritoriale, ambientale, paesistico, stariposizionando i ruoli iniziali di cia-scuno di noi.Dopo sei anni di sperimentazione di unprocesso formativo innovativo, gli sta-tuti disciplinari di ciascuno sono evo-luti verso una maggiore precisazionedei propri compiti e contemporanea-mente verso una definizione dei lin-guaggi e dei codici di relazione con lealtre discipline per un agire non gerar-chico, ma sinergico e cooperativo sianella conoscenza che nel progetto.

* Università di Firenze.

definizione di “rilevanza” che ho adot-tato per il Piano paesaggistico dellaRegione Puglia:“L’attribuzione di valore di ogni speci-fico ambito territoriale-paesistico devesuperare un approccio puramente este-tico-visuale-percettivo o storico-monu-mentale, con classificazioni escludenti,ma riferirsi ad una griglia complessa diindicatori della consistenza dei valoripatrimoniali che riguardano, oltre chela qualità estetico-percettiva:- la rilevanza istituzionale ( densità equalità di beni e aree protette);- la rilevanza ecologico-naturalistica(complessità ecosistemica e biodiversità;fertilità dei suoli; struttura idrogeomor-fologica; qualità della rete ecologica)- la rilevanza storico-culturale;(qualitàe densità delle persistenze di sedimentimateriali e cognitivi di lunga durata)- la rilevanza simbolico /percettiva (divalori desunti dalle pratiche d’uso edalla percezione sociale del valore pae-saggistico dei beni da parte della popo-lazione /Convenzione europea delPaesaggio); - la rilevanza fruitiva (accessibilità epercorribilità del territorio, itineraripaesistici, servizi legati alla fruibilitàpubblica;- la rilevanza economica in quantogiacimento di risorse economiche,energetiche, culturali, legate alle pecu-liarità del territorio, ecc;- la rilevanza relativa alla rarità delbene (es. Capitanata, come spazio aper-to di rilevanza internazionale), e cosivia;”In una visione di questo tipo in cui lavalutazione della rilevanza di un pae-saggio deriva dalla combinazione pon-derata di elementi di diversa natura, èevidente che il concorso di differentiapprocci disciplinari e pianificatori(dell’ecologia, dell’archeologia, dellastoria, della geografia, dell’economia,dell’antropolologia), trova poi sinergiee nuovi modi integrati di operare nellaprogettazione e gestione delle trasfor-mazioni del paesaggio, volti a superarela dicotomia fra aree protette (dallosviluppo) e aree della trasformazione(per lo sviluppo) senza regole di prote-zione.In una ridefinizione della pianificazio-ne del territorio come capitolo rilevan-te (ma non esaustivo) delle scienze di

da una parte nel territorio astratto,inteso come mero supporto di processipolitico-economici e dall’altra nellavisione delle “piattaforme” (infrastrut-turali, logistiche, produttive, nodali,reticolari ecc;): un territorio di rettan-goli cerchi e quadrati, in cui sfumanole peculiarità dei luoghi (identitarie,paesaggistiche, culturali, locali) comebase per politiche di sviluppo sosteni-bili.Positive se il concetto di governo for-nisce all’urbanistica, in quanto scienzadel riconoscimento dei valori patrimo-niali del territorio, delle regole statuta-rie della sua trasformazione, dei pro-getti strategici della trasformazionestessa, processi e strumenti volti asuperarne il carattere settoriale, vinco-listico, attivando progetti integrati,multidisciplinari e multisettoriale, chetengono in conto il patrimonio territo-riale nelle trasformazioni socioecono-miche.Penso soprattutto alla ridefinizioneprofonda che sta avvenendo nelle rela-zioni fra pianificazione degli spazicostruiti e degli spazi aperti, sia nellepolitiche di riqualificazione delle prin-cipali regioni urbane e metropolitaneeuropee (dove il trattamento deglispazi aperti diviene la matrice rifonda-tiva della pianificazione territoriale eurbana per la riqualificazione ambien-tale e paesistica delle aree urbanizzate)sia nelle nuove relazioni fra piani disviluppo rurale e piani territoriali,urbanistici, ambientali e paesaggistici.La ricerca PRIN che coordino “Il parcoagricolo: un nuovo strumento di piani-ficazione territoriale degli spazi aperti”in stretta correlazione con la Scuola dipaesaggio di Versailles (Donadieu,Fleury), nello sviluppare il concettodella multifunzionalità dell’agricolturae soprattutto della produzione di beni eservizi pubblici (in campo ecologico,idrogeologico, paesaggistico, energeti-co, economico) in aree urbane e metro-politane, nei bacini fluviali, nei territo-ri collinari e montani, contribuisce aridefinire profondamente le relazionifra le discipline urbanistiche, agrofore-stali paesaggistiche e geografiche.Per esemplificare la necessaria relazio-ne, nei piani paesaggistici di nuovagenerazione, fra paesaggi di eccellenzae paesaggi degradati mi rifaccio alla

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Nel procedere ad un aggiornamento o,più correttamente, ad una radicalerevisione dei programmi formativi,l’Università deve porre al centro dellasua riflessione una attenta e rigorosaindividuazione dei nuovi compitidisciplinari e tecnico-amministrativiche attendono sia i progettisti, siacoloro che operano nel campo dellatutela tanto all’interno quanto all’e-sterno della pubblica amministrazione.In relazione ai primi è opinione di chiscrive che lo snodo cruciale di questainnovazione debba risiedere nel supe-ramento della tradizionale dicotomiatra la dimensione progettuale propria-mente detta e quella analitico-valutati-va, e la tendenza ad inserire questaultima tra gli ingredienti essenziali checoncorrono – attraverso il ricorso alletecniche della ricerca operativa, del-l’inserimento paesaggistico, dellasimulazione, delle verifiche di impattoe dell’esame dei conflitti che si deter-minano tra il manufatto di nuova rea-lizzazione e l’ambiente ricettore – allaconfigurazione dell’idea progettuale.Si tratta di un arricchimento dei conte-nuti formativi che nelle scuole di pae-saggio è in molti casi già presente, mache, per la necessità di disporre di quel“terreno comune” di cui si è detto inprecedenza, è necessario che interessiun numero assai più ampio e crescentedi curricula formativi, a partire daquelli che si occupano del paesaggiosolo in via subordinata, e che assegna-no un ruolo caratterizzate da un latoalla progettazione architettonica, e dal-l’altro alla pianificazione delle grandireti infrastrutturali.

Una sfida per l’università italianaMichele Talia

vincolo, ad un approccio, inevitabil-mente più dinamico, che invece vor-rebbe spostare l’attenzione di speciali-sti ed operatori sulle questioni postedalle strategie di riqualificazione e divalorizzazione delle risorse paesisti-che.Nei “giochi a somma positiva” che lenuove politiche del paesaggio potreb-bero attivare proprio mettendo a fruttoquesta nuova alleanza tra l’inevitabilerigidità della norma e l’adattabilitàdella politica e del progetto è dunquenecessario adottare formule più inclu-sive, in cui tutti i contributi disciplina-ri e tutte le risorse potenzialmente dis-ponibili possano trovare una opportu-na armonizzazione.In questa prospettiva la pubblicaamministrazione e, soprattutto, le isti-tuzioni locali hanno il compito didimostrare che la definizione dei valo-ri del paesaggio contemporaneo siconfigura come un processo collettivo,che deve e può svilupparsi riducendoentro limiti fisiologici il conflitto conle esigenze postulate da quanti opera-no nel campo della conservazione edel restauro del patrimonio storico-culturale. Ma è altresì necessario chequesta assunzione di responsabilità siafavorita da un parallelo riconoscimen-to della funzione di apripista che con-viene assegnare alla Università, laquale deve dimostrare la capacità diprodurre sintesi più avanzate delle dif-ferenti esigenze (fino ad oggi ritenutecontrapposte) del nostro territorio, e diformare tecnici e progettisti in gradodi dare compiuta attuazione a questonuovo paradigma di governo.

Nel corso degli ultimi anni il dibattitospecialistico che è tradizionalmentepiù attento ai temi paesistici ha regi-strato un crescente consenso sullanecessità di far convergere una quotasignificativa delle risorse che il Paeseè in grado di destinare al governo delterritorio su politiche attive di tutela edi riqualificazione del paesaggio, talida estendere in misura significativa lanozione stessa di questo ambito com-plesso di studio e di iniziativa.Pur con significativi distinguo e inevi-tabili contrapposizioni – che i contri-buti ospitati in questo servizio diUrbanistica Informazioni almeno inparte documentano – si tende ormai aconvenire che la ratifica dellaConvenzione Europea del Paesaggioabbia rappresentato un importantemomento di svolta lungo un percorsoche ha già favorito il progressivo inde-bolimento delle angolazioni settoriali edelle rivendicazioni corporative checaratterizzano sovente il confronto tragli addetti ai lavori, e che ora potrebbedar vita ad un processo che dovrebbemirare ad una più risoluta integrazionetrans-settoriale delle politiche pubbli-che, le quali tuttora tradiscono leincomprensioni e le fratture del passa-to. Il successo delle iniziative che pun-tano in questa direzione si affida pro-prio alla dilatazione del campo di inte-resse delle politiche paesistiche eambientali operata dalla Convenzione,per effetto della quale non sembra piùnecessario alimentare ulteriormente laquerelle che vede il contrapporsi diuna tutela “passiva”, che si affida pre-valentemente ad una cultura statica del

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delle esperienze di contaminazione deisaperi. In mancanza di collegamentipiù stretti una parte considerevole delsistema universitario italiano (e dun-que non solo la componente relativaalle discipline incentrate sulla cono-scenza, la tutela e la modificazione delpaesaggio) ha dunque finito per privi-legiare un approccio “generalista” neiconfronti dei possibili sbocchi profes-sionali che si aprivano ai laureati, conla conseguenza di appiattire le specifi-cità di ciascun profilo, e di scoraggiarela sperimentazione di percorsi formati-vi mirati nei confronti di quelle appli-cazioni che altrove avevano già rac-colto importanti consensi, ma che inItalia erano ancora in attesa di ricevereuna compiuta validazione. Invertendo questa prassi assai diffusa,che appare più miope che prudente, èpossibile diversificare la formazione dicompetenze specialistiche, e maturareal tempo stesso una ragionevole cer-tezza che i comportamenti ammini-strativi e il sistema di pianificazionedel territorio e del paesaggio non tar-deranno a raccogliere le molte oppor-tunità che potranno derivare dalla pre-senza di un’offerta di profili professio-nali tendenzialmente più ricca.Quanto più questo clima cooperativoriuscirà ad affermarsi, tanto più si saràin grado di introdurre anche in Italiaquei modelli formativi di eccellenzache possono rispondere efficacementealla richiesta di un numero ridotto, maestremamente qualificato, di progetti-sti ed esperti da inserire in alcuni ruoli“chiave” della funzione pubblica e diquelle imprese che operano nei settoridel restauro e della valorizzazione(società di ingegneria, grandi impresedi costruzione, ecc.). Solo in questomodo si riuscirà a correggere, almenoper quanto riguarda il segmento apica-le del percorso formativo, quell’auten-tico paradosso che vede convivere inuno stesso sistema di formazionesuperiore sia l’inefficienza della uni-versità di massa, sia la sostanziale ini-quità di una regolamentazione degliaccessi che privilegia le esigenze dellestrutture didattiche a quelle ben piùrilevanti, ma non sufficientementeindagate, del mercato di lavoro piùqualificato.

all’insegnamento universitario. Pur inpresenza delle carenze strutturali e deivizi ben noti (ma non per questo menogravi) delle istituzioni di formazionesuperiore, è auspicabile che tale cam-biamento possa tradursi in un sostegnoconvinto a progetti di riforma degliordinamento didattici che contribui-scano alla diffusione di una nuova cul-tura paesistica.In primo luogo è ipotizzabile che laricerca e la formazione in materia dipaesaggio contagi favorevolmente nonsolo le Facoltà di Architettura e diIngegneria, ma diffonda i nuovi criteried orientamenti ad un ventaglio benpiù ampio di percorsi formativi, checomprenda le scuole e i corsi di laureain Scienze dei Beni Culturali, inScienze naturali e in ScienzeEconomiche, e le molte lauree specia-listiche che ne sono derivate(Antropologia culturale, Architetturadel paesaggio, Conservazione dei beniarchitettonici e ambientali,Conservazione della natura e delle suerisorse, Conservazione e restauro delpatrimonio storico artistico, ecc.).Nella misura in cui si riuscirà ad evita-re di far corrispondere a questa proli-ferazione dell’offerta formativa unarelativa omologazione dei tratti distin-tivi di ciascuna proposta, la mobilita-zione del mondo universitario nonmancherà di riflettersi su una accre-sciuta convergenza tra la domanda el’offerta di conoscenze specialistiche.Grazie a questa capacità di “penetrare”nella tradizionale classificazione disci-plinare, così rigidamente divisa persettori disciplinari, la nuova culturapaesistica potrà favorire ibridazioniimpreviste e nuove alleanze, con effet-ti indubbiamente positivi per favorirel’evoluzione di una tradizione accade-mica che tende all’arroccamento e,paradossalmente, al rifiuto dei com-portamenti innovativi.Una seconda conseguenza, anch’essapositiva, può essere individuata nelsuperamento della reciproca estraneitàtra istituzioni universitarie e mondodel lavoro, che si è tradotto finora nonsolo nella difficoltà di varare politichepubbliche efficaci in materia occupa-zionale, ma anche in una notevolelimitazione al trasferimento delle inno-vazioni (di prodotto e di processo) e

Per quanto riguarda invece la forma-zione delle nuove figure professionaliche si rendono necessarie per rispon-dere alla domanda di modernizzazioneche proviene dalla pubblica ammini-strazione tanto a livello centrale, quan-to nelle sue articolazioni periferiche, èragionevole supporre che nel prossimofuturo tenderà ad aumentare la doman-da di competenze giuridiche e ammi-nistrative tali da consentire il passag-gio dalla prassi burocratica fondata suconcezioni verticistiche e autoritative,oggi dominante, a processi decisionaliben più complessi e flessibili. Si trattanella maggioranza dei casi di formuleche si richiamano al modello dellagovernance, e che subordinano la defi-nizione dell’itinerario che è necessarioseguire per la formazione delle deci-sioni al rispetto del principio di sussi-diarietà, e alla verifica della sostenibi-lità degli effetti che possono consegui-re da ciascuna scelta.Il graduale abbandono di sistemi deci-sionali che si caratterizzano per unmarcato orientamento gerarchico nonrisponde semplicemente all’esigenzadi pervenire ad una riduzione dellaconflittualità, e dunque di assicurarel’allargamento degli spazi di democra-zia presenti nella società e nelle istitu-zioni. Tendono infatti ad emergereulteriori benefici di questa differenteimpostazione, che si manifestanoquando si riesce ad aumentare sensi-bilmente la produttività dei processidecisionali, e di conseguenza a garan-tire una riduzione significativa deicosti (sia in termini di efficacia che diflessibilità delle scelte) determinati daun contenzioso che si limiti a farsicarico di una soluzione ex-post deiconflitti, mentre è invece possibilericercare una più estesa mobilitazionedelle risorse private in vista dellaattuazione delle politiche di tutela e diriqualificazione del paesaggio.Dalle considerazioni svolte finora, edalle molte suggestioni che sono con-tenute nei contributi pubblicati in que-sta sezione della Rivista, emerge dun-que la convinzione che l’accresciutaconsapevolezza della natura multidi-mensionale del paesaggio possa tra-dursi in un marcato impulso alla modi-ficazione degli obiettivi formativi chevengono attribuiti nel nostro Paese

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gli anziani e gli extracomunitari.I caratteri di questa domanda di “allog-gio temporaneo” e la dimensione cheva assumendo hanno assunto oggi icaratteri di una vera e propria emer-genza, in quanto la sua consistenza siscontra, entrando in concorrenza, conil mercato immobiliare sempre più rigi-damente compreso tra una ancora cre-scente quota in proprietà a scarsamobilità e un mercato dell’affitto datroppi conteso.La documentazione e la riflessioneproposta intende da un lato indagare ledimensioni del fenomeno, dall’altraverificare le politiche attuate e previstedalle Fondazioni nelle diverse realtàitaliane.

Le fondazioni per lo sviluppo delle cittàa cura di Francesco Sbetti

Le odierne problematiche legate al dis-agio abitativo non riguardano più lesole fasce deboli della popolazione checontinuano a soffrire un’esigenza abi-tativa primaria. Accanto a queste si stasviluppando una nuova domanda abi-tativa caratterizzata dalla richiesta dimaggiore qualità degli alloggi e del-l’ambiente circostante, oggi spessocaratterizzati da diffusi fenomeni didegrado. Si sovrappongono a questa schematicaripartizione un’insieme di soggetti cherisultano “deboli” nei confronti delmercato abitativo non tanto e nonsempre in ragione delle loro capacitàeconomiche quanto in relazione dellerigidità e caratteristiche che ha assuntoil sistema casa. Tra questi si possonoevidenziare le giovani coppie, quanti siaccingono per la prima volta alla ricer-ca di una casa e quanti più in generaledevono “muoversi” da una situazioneconsolidata.L’elemento nuovo che caratterizza l’e-mergenza dell’abitare negli anni 2000risulta costituito da una domandamolto diversificata e articolata, acco-munata questa volta non tanto da fat-tori socio-economici quanto dalla tipo-logia del fabbisogno: uno spazio abita-tivo, non necessariamente una casatradizionalmente intesa, a tempo spes-so definito.Si trovano accomunati da questa tipo-logia di domanda abitativa, anche se lesoluzioni e i mercati di riferimentosono diversi, gruppi sociali moltodistanti tra loro quali: gli studenti, igiovani in cerca di lavoro, i dirigentid’impresa che devono cambiare sede,

La condizione abitativa nel corso degliultimi anni è profondamente mutata, edin particolare sono mutate le emergenzeabitative. A questa domanda sociale datempo le Fondazioni di origine bancariahanno rivolto la loro attenzione. Unaattenzione, documentata dalle schedeche descrivono gli interventi progettatied in corso, che evidenzia la presenzasempre più importante di questo “nuovoattore” economico con capacità diinterpretare i bisogni e che sempre piùlo troviamo affiancato a enti locali eoperatori privati nel quadro dellepolitiche sociali nelle nostre città.L’attività delle Fondazioni nel settoreimmobiliare e in particolare nei progettidi housing sociale risulta in molti casiparticolarmente efficace in quanto nonsoggetta ai tempi della politica e noninfluenzata dall’andamento dei mercatifinanziari. Questi fattori incentivano leFondazioni a sostenere progetti innovatiche non sempre producono benefici nelbreve periodo. In questo senso, dalpunto di vista finanziario, gli interventiimmobiliari delle Fondazioni possonocontenere rischi maggiori legati allasperimentazioni di nuovi modelliabitativi, rispetto ai normali operatoriprivati maggiormente orientati adottenere dei rendimenti nel breve-medioperiodo.

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Info

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Rispetto alla media nazionale si trattadi una casa più piccola e in genere inpeggiori condizioni. Il 15 per centodegli anziani vive in affitto, ma soli-tamente in case vecchie e non funzio-nali. Gli anziani che vivono in affittohanno in gran numero pensioni moltobasse.Quindi il disagio abitativo spesso siconiuga con quello economico, molti-plicando le difficoltà ad intervenire. Le residenze per anziani in Italia sono5.405, (tavola 1) con una grande dis-omogeneità distributiva tra le variearee del Paese. Il loro numero - seconfrontato alle altre nazioni europee- è modesto e inoltre si tratta diun’offerta rivolta a persone (o fami-glie) con redditi medio e medio alti.Rare le case-famiglie o soluzioni ditipo innovativo, che rientrerebbero nelconcetto di “non casa”. In realtà dopoqualche iniziativa dei primi anni ‘80,anche queste sperimentazioni risulta-no abbandonate.La crescita dei valori immobiliari,inoltre, ha reso gli anziani “prigionieridella propria casa”. Infatti spesso lafamiglia allargata impedisce loro divendere la nuda proprietà per disporredi un reddito per vivere in un istituto(o per godersi la vita). Pertanto anche se i numeri indicanoun potenziale di mercato molto altoper le residenze specializzate (sullabase di un crescente universo di rife-rimento) nella realtà ci sono troppiostacoli di tipo culturale ed economi-co, perchè si trasformi - se non inmodo contenuto - in una vera oppor-tunità.

Dimensioni e caratteristiche delle nuove(e poco conosciute) emergenze abitativeMario Breglia*

tradizionale in termini:- fisici (dimensioni, caratteristiche,servizi annessi)- modalità di fruizione (singoli, ingruppo)- tempo di utilizzo: pochi mesi (diri-genti d’impresa), una fase del ciclo divita (anziani), un periodo dell’anno(studenti) - localizzazione: sedi di università,centri industriali e terziari, areemetropolitaneIn secondo luogo si tratta, nelle suearticolazioni, di una domanda che haassunto in molte realtà la forma del-l’emergenza, in relazione:- al rapporto domanda /offerta, nelsenso che l’offerta non è in grado disoddisfare modalità abitative diversedalla casa tradizionale- alla ridotta consistenza dell’offertain affitto nelle aree metropolitane - alla marginalità dell’offerta pubblicaOvviamente si tratta di gruppi dipopolazione diversi tra loro e anchecon tipologie di richieste/redditi/esi-genze molto differenziate. L’elementocomune è che si tratta di segmenti didomanda in costante aumento. Eccogli approfondimenti per i vari gruppi.

Gli anziani

La popolazione con età superiore a 65anni è pari a 11,6 milioni di persone,quasi il 20 per cento (19,7) dellapopolazione italiana. Fra meno didieci anni un italiano su quattro avràpiù di 65 anni. Quasi l’85 per cento delle famiglie incui c’è un capofamiglia con più di 65anni vive in un alloggio in proprietà.

In uno scenario abitativo caratterizza-to da una società di proprietari dicasa e con un mercato locativo sem-pre più marginale e inarrivabile (perlivello dei canoni e per le rigidità del-l’offerta) emergono nuove emergenzeabitative.L’ondata migratoria che ha interessatol’Italia negli ultimi anni ha ripropostoil tema della domanda debole dalpunto di vista economico. Il settorepubblico, a livello locale e nazionale,è impreparato culturalmente (primache economicamente) ad affrontarequesta nuova emergenza che richiedeuna risposta rapida con “case popola-ri” a basso costo di realizzazione ecanone minimo.In questo testo si analizza invece unadiversa domanda insoddisfatta dalmercato abitativo non tanto e nonsempre in ragione della capacità eco-nomica, quanto in relazione alla rigi-dità e alle caratteristiche che haassunto il sistema dell’offerta.Si fa riferimento ad una domandamolto diversificata e articolata acco-munata non tanto da fattori socio-economici ma dalla tipologia del fab-bisogno: uno spazio abitativo, nonnecessariamente una casa tradiziona-le, a tempo definito, più o menolungo.I fattori che hanno indotto a conside-rare congiuntamente queste nuovedomande abitative si possono far risa-lire sostanzialmente a due tematiche.In primo luogo si tratta di unadomanda espressa da soggetti diversidalla famiglia e che si rivolge spessoad un oggetto differente dalla casa

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Urbanistica INFORMAZIONI

Studenti universitari

Lo scorso anno accademico risultava-no iscritti alle università italiane 1,8milioni di studenti, di cui circa unterzo residenti in una provincia diver-sa. Solo il 10 per cento di questa per-centuale trova ospitalità in una delle319 residenze universitarie presenti inItalia (tavola 2). Per tutti gli altri c’è la sola rispostadel mercato privato della locazione,con canoni che sono mediamente il25 per cento più alti che per le fami-glie. Possiamo ipotizzare una domandaannuale di locazione compresa tra le300 e le 400mila stanze/minialloggi.La capacità di pagare un canone è ingenere presente. Si tratta quindi di unmercato dal grande potenziale (comedimostrano le interessanti esperienzefrancesi), ma ancora inesplorato dallegrandi società private o pubbliche.

Dirigenti d’azienda

I dirigenti iscritti al fondo di previ-denza della categoria sono 74mila,(tavola 3) ma il numero raddoppia seconsideriamo anche altre categorie dimanager (multinazionali, enti pubbli-ci,ecc.). Non ci sono dati sicuri sullaloro mobilità, ma incrociando stimefornite da alcune società leader e daricerche di mercato, si può stimareuna mobilità annua di circa il 15 percento di tale universo. In praticasignifica che ci sono tra 20mila e25mila manager che si spostanoannualmente per motivi di lavoro. Dato il tipo di sviluppo economicodegli ultimi anni, i flussi principalisono stati in direzione Milano (e pro-vincia) e Roma, seguito da Bologna el’asse Verona-Padova.Alle loro esigenze abitative pensa(anche se sempre meno) l’azienda cheprivilegia l’albergo o il residence. Sulmercato è difficile trovare case inaffitto ad uso foresteria. Diversesocietà hanno dovuto costruire diret-tamente case per i dirigenti o per glioperai.Rispetto agli operai (che cercano unacasa tradizionale) la domanda deidirigenti si orienta verso una “noncasa”, cioè una soluzione abitativa

Info

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Tavola 1 - Le residenze per anziani in Italia

Città Numero residenze per anziani Residenze per anzianiogni 1000 abitanti

Roma 137 0,05Provincia di Roma 170 0,04Totale Roma e Provincia 307 0,05

Milano 61 0,05Provincia di Milano 118 0,03Totale Milano e Provincia 179 0,03

Napoli 40 0,04Provincia di Napoli 86 0,03TToottaallee NNaappoollii ee PPrroovviinncciiaa 126 0,03

Genova 79 0,13Provincia di Genova 78 0,09Totale Genova e Provincia 157 0,10

Bari 22 0,07Provincia di Bari 85 0,05Totale Bari e Provincia 107 0,06

Bologna 36 0,10Provincia di Bologna 119 0,13Totale Bologna e Provincia 155 0,12

Firenze 35 0,10Provincia di Firenze 54 0,06Totale Firenze e Provincia 89 0,07

Palermo 92 0,14Provincia di Palermo 40 0,03Totale Palermo e Provincia 132 0,07

Torino 34 0,04Provincia di Torino 200 0,09Totale Torino e Provincia 234 0,07

TOTALE ITALIA 5.405 0,09

Fonte: Elaborazione Scenari Immobiliari su fonti diverse

Tavola 2 - Le residenze universitarie in Italia

Città N° residenze N° iscritti Residenze universitarie universitarie

ogni 1000 iscritti

Roma 10 220.913 0,05Milano 60 182.171 0,33Napoli 5 153.943 0,03Genova 8 35.180 0,23Bari 5 60.078 0,08Bologna 22 88.525 0,25Firenze 9 59.627 0,15Palermo 6 62.491 0,10Torino 10 88.217 0,11TOTALE ITALIA 319 1.780.743 0,15

Fonte: Elaborazione Scenari Immobiliari su fonti diverse

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Urbanistica INFORMAZIONI

ziali disparate: dalla convivenza confamiglie italiane fino agli alloggiimpropri e in genere in cattive condi-zioni igieniche.E’ chiaro che la “non casa”, cioèun’offerta abitativa temporanea,potrebbe aiutare subito una plateaenorme, come situazione intermediatra la fase attuale di disagio (più omeno forte) e quella di piena integra-zione che passa per l’acquisto ( o lalocazione) di un alloggio adeguato.

* Scenari Immobiliari, Istituto indipendente di studi ericerche.

provvisoria nel tempo, dato che spes-so la famiglia rimane nel luogo di ori-gine e raramente si sposta.

Gli immigrati

Tra il 2004 e il 2006 i lavoratoriimmigrati regolari sono aumentati del32 per cento, arrivando a 3,7 milionidi persone.Anche se non ci sono dati certi sullaloro condizione abitativa, si può stima-re che poco meno di un milione vivein case di proprietà.Soprattutto negli ultimi anni, grazie atassi di interesse più bassi e maggiorefacilità di accesso alle procedure, è cre-sciuto il trend dei compratori prove-nienti da fuori Europa, e dallaRomania (tavola 4).Almeno due milioni di persone vivonoin affitto, spesso (indagine Sunia) incondizioni di sovraffollamento epagando canoni che sono più alti dal10 al 20 per cento rispetto agli italia-ni. Secondo un’indaginedell’Associazione dei proprietari dicase, il 57 per cento di loro non vuoleaffittare ad extracomunitari.La quota restante di persone (circa700mila) vive in situazione residen-

Info

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Tavola 3 - Ripartizione dei dirigenti iscritti al Previndai al 31-12-2006 in base alla regio-ne di servizio

Regione Numero dirigenti iscritti %

Lombardia 28.935 39,0Lazio 8.986 12,1Piemonte 7.487 10,1Emilia Romagna 7.412 10,0Veneto 7.052 9,5Toscana 2.930 3,9Liguria 2.252 3,0Friuli Venezia Giulia 1.604 2,2Campania 1.502 2,0Marche 1.136 1,5Abruzzo 867 1,2Puglia 756 1,0Sicilia 708 1,0Trentino Alto Adige 995 1,3Umbria 543 0,7Sardegna 466 0,6Basilicata 177 0,2Valle D'Aosta 165 0,2Calabria 161 0,2Molise 99 0,1Estero 1 0,0Totale 74.234 100,0

Fonte: Previndai Bilancio al 31-12-2006 Paesaggidella montagna umbraA cura di Sandra camicia

Nell’ambito del Progetto europeo LOTO(Landscape opportunities for territorialorganization), la Regione Umbria cogliel’opportunità per approfondire ed indi-viduare indirizzi di metodo e strumentioperativi attraverso cui governare letrasformazioni paesaggistiche, al fine digarantire la conservazione e valorizza-zione dei caratteri identitari più rilevan-ti del territorio.Particolarmente curato l’apparato ico-nografico di questo volume nel qualeemerge il percorso tracciato dalle foto-grafie “monumento” di Guido Guidi.

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Info

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immobiliare. Si tratta di un’area diattività con una gamma piuttostoampia di possibili interventi: da pro-getti emblematici e sperimentali, comele residenze per “il dopo di noi” (inter-venti nei quali un disabile è inserito inun contesto abitativo che preserva lasua normalità, anche dopo l’eventualescomparsa dei genitori), difficilmenterealizzabili senza contributi a fondoperduto, ad alloggi ordinari, destinatia persone che soffrono un disagioquasi esclusivamente economico, untipo di domanda che – a determinatecondizioni – si può cercare di soddi-sfare senza contributi a fondo perduto.Quest’ultima è una fascia sociale infortissima crescita: la riduzione del-l’intervento pubblico, la liberalizzazio-ne del mercato degli affitti e la cresci-ta generalizzata dei valori immobiliarihanno contribuito ad acuire il bisognoabitativo dei più deboli ma anche dicategorie che fino a qualche anno fa sisarebbero considerate ‘solide’. Oltrealla tradizionale area del bisogno, rap-presentata dai soggetti con livelli direddito al di sotto della soglia dipovertà, l’emergenza casa si è infattiestesa verso le fasce sociali intermediee si è identificata sempre più con lanecessità di dare risposte anche aibisogni di gruppi sociali quali giovanicoppie – spesso con impiego precario– anziani, studenti, immigrati e altrisoggetti con bisogni abitativi tempora-nei (schema 1).Le fondazioni bancarie, grazie allastretta relazione che le lega al territo-rio e alla loro possibilità di intercetta-re con anticipo i bisogni emergenti,

Le fondazioni di origine bancaria e l’housing socialeGiuseppe Guzzetti*

ancora maggiore della missione socialesulle scelte di impiego del patrimonio,è quello di realizzare investimenti fun-zionali a particolari programmi filan-tropici o sociali (anche detti ProgramRelated Investment). In questo caso, ilrendimento atteso dall’investimentopuò essere anche ridotto – a patto checomunque mantenga nel tempo ilvalore del patrimonio della fondazione– e l’interesse per gli interventi immo-biliari nasce in genere dall’attenzioneper categorie di persone o di serviziche rischiano l’esclusione dal contestocittadino per motivi legati alla dispo-nibilità di un alloggio o di spazi ade-guati, che il mercato non è in grado dioffrire.La quarta modalità di intervento nelsettore immobiliare, che si collocaall’estremo opposto rispetto alla prima,è quella dell’erogazione di contributi afondo perduto. Le fondazioni elabora-no una propria strategia di erogazionee selezionano dei progetti – tipicamen-te proposti da operatori no profit opubblici – che senza contributi nonpotrebbero essere realizzati (es. strut-ture di prima accoglienza per personesenza dimora). In questo caso non hasenso parlare di scelte di investimentoné di rendimenti attesi, in quanto l’e-rogazione a fondo perduto – attivitàtradizionale delle fondazioni di originebancaria – non prevede alcuna formadi ritorno economico.Quello che viene tipicamente definito“housing sociale”, o settore immobilia-re sociale, ricade soprattutto nelle ulti-me due modalità di impegno delmondo delle fondazioni nel settore

Le fondazioni di origine bancaria pos-sono1 sviluppare la propria attività nelsettore immobiliare con modalitàmolto diverse.A un estremo vi è l’investimento inimmobili di una parte del patrimonio,inteso come una delle possibili sceltedi diversificazione della gestione patri-moniale, tesa ad equilibrare rischio erendimento. In questo caso, l’obiettivodelle fondazioni è quello di otteneredal patrimonio investito in immobiliun rendimento di “mercato” che, alnetto delle spese e degli accantona-menti di legge, contribuisca a generarerisorse disponibili per le erogazioni.Secondo questo modello, la gestionedel patrimonio e il perseguimentodella missione istituzionale attraversol’erogazione di contributi vengonocondotte separatamente.Un modo relativamente nuovo diinterpretare l’investimento immobiliaredelle fondazioni è di associarlo a logi-che di sviluppo e di promozione deisistemi locali, ad esempio investendoin strutture strategiche per il territoriocome quelle per l’istruzione, il turismoe i servizi. In questo secondo caso, lefondazioni riescono a coniugare rendi-menti finanziari discreti con il perse-guimento delle finalità istituzionali: lamissione filantropica e sociale non siapplica più alle sole strategie di eroga-zione dei contributi e influenza anchealcune scelte di investimento del patri-monio, sia pur con un impatto gene-ralmente limitato sulle attese di rendi-mento.Un terzo possibile approccio al settoreimmobiliare, che prevede un’influenza

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di Risparmio di Torino, subordinata-mente alla conformità delle politichedi investimento della SGR alla policydell’Ente torinese e alle autorizzazionia procedere da parte della Bancad’Italia; l’ingresso nella SGR è funzio-nale al conferimento a REAM dell’in-carico per la strutturazione, l’istituzio-ne e la gestione di un Fondo Comunedi Investimento Immobiliare – concaratteristiche e finalità etiche – per larealizzazione di interventi diretti allavalorizzazione del territorio in cui laFondazione opera.Anche la Compagnia di San Paolo diTorino ha avviato nel 2007 un pro-gramma triennale di “HousingSociale”, rivolto alle persone che perragioni economiche, sociali e familiarivivono in una condizione di precarietàe sono a rischio di povertà. Il pro-gramma è nato dalla considerazioneche nell’attuale situazione congiuntu-rale la casa rischia di essere l’innescodi situazioni di “nuova povertà”. Tra lepriorità del programma, partito in viasperimentale con una dotazione di 4milioni di euro, vi è la realizzazione diuna residenza temporanea (o “albergosociale”) per 40 - 50 nuclei familiariche vi risiederanno al massimo per un

milioni di euro resi disponibili in partiuguali dalla fondazione e dallaRegione Piemonte. Nell’ambito dellaristrutturazione è stato realizzatoanche un nuovo centro riabilitativo(Borsalino, da cui prende il nome ilprogetto), con uno schema che havisto dapprima l’immobile conferito daparte dell’azienda ospedaliera a unasocietà costituita ad hoc, poi la ristrut-turazione, e infine la locazione dallostesso all’azienda ospedaliera con uncanone annuo pari a circa 1 milione dieuro.All’inizio del mese di novembre del2007 la Fondazione Cassa diRisparmio di Alessandria e FondazioneCassa di Risparmio di Asti, sempre incollaborazione con il gruppo immobi-liare Norman 95 S, hanno inoltre rile-vano la maggioranza del capitale azio-nario di REAM SGR (già di proprietàdi Alerion S.p.A., che mantiene unapartecipazione al 10% delle quote).La missione di REAM SGR sarà quelladi sviluppare attraverso fondi immobi-liari iniziative orientate allo sviluppodel territorio e al soddisfacimento delbisogno abitativo. Ha manifestato ilproprio interesse ad entrare nel capita-le di REAM anche la Fondazione Cassa

sono già da qualche anno al lavoro suiquesti temi e stanno conducendo,attraverso diversi percorsi, delle speri-mentazioni molto interessanti.La Fondazione Cassa di Risparmio diAlessandria, ad esempio, ha intrapresoun progetto pilota – dedicato a giova-ni, anziani, stranieri, studenti, famigliemonoparentali o monoreddito e dis-abili – che prevede la realizzazione didue immobili residenziali con caratte-ristiche che favoriscono l’integrazionesociale e la qualità della vita. La fon-dazione ha costituito Oikos 2006,società a cui partecipano anche ilComune di Alessandria (partner pub-blico, con il 19%) e il Gruppo Norman(partner operativo, con il 10%), e haavviato un’iniziativa che tra qualcheanno sarà in grado di offrire agliinquilini la possibilità di versare unaffitto/mutuo, senza anticipi, e didivenire proprietari delle unità immo-biliari nell’arco di 35 anni, fatta salvala possibilità di riscatto anticipato.Un secondo fronte sul quale si è impe-gnata sempre la Fondazione Cassa diRisparmio di Alessandria è stata laristrutturazione dell’ospedale cittadino,devastato dall’alluvione del ‘94, un’o-perazione finanziata con circa 15

Urbanistica INFORMAZIONI

Info

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1. Normali investimenti

immobiliari

Gestione

patrimonio

Missione fil.

e sociale

Gestione

patrimonio

Missione fil.

e sociale

2. Investimenti strategici per

il territorio

3. Program Related

Investments

4. Erogazione di contributi a

progetti immobiliari -sociali

Gestionepatrimonio

Missione fil.e sociale

Gestionepatrimonio

Missione fil.e sociale

Gestionepatrimonio

Missione fil.e sociale

Gestionepatrimonio

Missione fil.e sociale

Gestionepatrimonio

Missione fil.e sociale

Gestionepatrimonio

Missione fil.e sociale

Rendimento compatibile con quello

dei progetti (deve almenoassicurare il mantenimento del

valore del patrimonio nel tempo)

Modalità di intervento

nel settore immobiliare

Rendimento atteso

Contenuti e obiettivi

L’erogazione di contributi a fondoperduto non prevede alcuna forma

di rendimento

Investimento in immobili, società

immobiliari, fondi immobiliari ecc.

Diversificare e massimizzare il

rendimento del patrimonio perdisporre di fondi per le erogazioni

(vedi p.to 4)

Rendimento di mercato

Il rendimento può essere

leggermente inferiore al mercato

Investimenti associati a logiche di

sviluppo e di promozione deisistemi locali (es. istruzione,

turismo, servizi ecc.)

Ottenere un rendimento discreto

attivando investimenti coerenti

con la missione sociale della

fondazione

Iniziative che rendono disponibili

alloggi e spazi a persone e

servizi che il mercato tenderebbea escludere dal contesto cittadino

Abbinare l’investimento a

particolari programmi filantropicio sociali

Progetti che non possono essere

realizzati senza contributi (es.

residenze per la primaaccoglienza)

Perseguire la missione

filantropica e sociale con lostrumento tradizionale

dell’erogazione

Housing sociale

Schema 1. L’housing sociale nelle politiche di intervento immobiliare delle fondazioni di origine bancaria

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Urbanistica INFORMAZIONI

bito dell’edilizia residenziale pubblica),per la realizzazione di appartamenti daconcedere in affitto a canone conven-zionato (circa 50 euro / anno / mq).Attraverso questo programma la fon-dazione prevede che in due anni pos-sano essere realizzati 150 appartamen-ti con un investimento pari a circa 25milioni di euro.La Fondazione Cassa di Risparmio diForlì ha avviato nel 2007 un bando,“Territori dell’accoglienza”, impostandoun programma di co-finanziamento cheprevede l’erogazione di contributi asoggetti pubblici e privati che cerchinodi dare risposte concreta alla crescentedomanda abitativa da parte sia diimmigrati italiani e stranieri che lavo-rano nel territorio, sia della popolazio-ne locale in condizione di disagio. Ilbando si proponeva in particolare dipremiare i progetti più idonei sotto ilprofilo della qualità sociale e ambienta-le e di incrementare la disponibilità diabitazioni da concedere in locazione acosti calmierati. Al bando hanno parte-cipato oltre 20 istituzioni pubbliche,cooperative ed enti: ciò ha consentitodi finanziare 14 interventi riguardantisia ristrutturazioni che costruzioni exnovo. Nel bilancio previsionale per il2008 la Fondazione ha stanziato per lenuove iniziative dedicate allo sviluppolocale e all’edilizia popolare complessi-vamente 450.000 Euro.La Fondazione Cariplo, spinta dall’a-cuirsi dei problemi abitativi nellaregione Lombardia, si occupa di hou-sing sociale dal 1999 e ha ripartito ilsuo impegno su due fronti:- il primo – gestito in modo diretto –è quello dell’housing sociale intesocome erogazione di contributi a inter-venti di prima accoglienza (es. persoggetti come “i senza dimora”) e diseconda accoglienza (es. strutture abi-tative temporanee per ex-carcerati oex-tossicodipendenti);- il secondo – per il quale ha costitui-to un nuovo soggetto operativo, laFondazione Housing Sociale – è quellodell’housing sociale inteso come inve-stimento per interventi di terza acco-glienza (soluzioni abitative stabili percoloro che non siano comunque ingrado di sostenere le condizioni dimercato per l’accesso ad un’abitazionedignitosa).

deciso di impegnarsi nel settore dell’e-dilizia universitaria, in partnership conun gestore specializzato, realizzandoun pensionato universitario di mediedimensioni nella terraferma veneziana.Significativo è l’impegno intrapresodalla Fondazione Cassa di Risparmiodi Bologna che già nel 1998 ha inizia-to la propria attività di sostegno a unaccordo sottoscritto dalla Provinciacon i Sindaci dell’area bolognese,avente per oggetto un programma dicostruzione di alloggi da affittare acanone contenuto a favore di unafascia di utenza che, pur non rientran-do per reddito nell’ambito dell’EdiliziaResidenziale Pubblica, non è in gradodi sostenere i costi degli alloggi dimercato. La fondazione interviene conun contributo a fondo perduto pari al23% del costo di costruzione oltre checon un abbattimento degli interessi suifinanziamenti della parte rimanentedei costi. La progettazione e la costru-zione degli alloggi è curata dalla loca-le Acer (l’ex Iacp) mentre i Comuni sioccupano del reperimento delle aree edelle urbanizzazioni. Il programma haconsentito di realizzare circa 55 allog-gi, mentre circa 100 sono in fase diprogettazione e sono state identificateulteriori 3 aree e immobili per i quali itempi di realizzazione non sono preve-dibili. Oltre a queste iniziative sono incorso le valutazioni, menzionate piùsopra, relative a un possibile maggioreimpegno nel settore dell’housingsociale condotte con l’assistenza diSinloc S.p.A.Molto rilevante è anche l’impegnodella Fondazione Monte dei Paschi diSiena che ha avviato un Piano Caseprioritariamente destinato a progetti diedilizia abitativa che si estende a tuttiquei soggetti che a fronte di un cicloeconomico fortemente negativorischiano di rappresentare un ampiobacino di “nuove povertà”. I Comunidella Provincia hanno così individuatoterreni edificabili e immobili da recu-perare a fini abitativi mentre la fonda-zione si è impegnata a valutare lerichieste di contributo, sottoscrivendonel 2004 un accordo di programmacon Siena Casa SpA (l’ex Iacp, parteci-pata dai Comuni della Provincia) e conil Sindaco di Siena, in qualità di presi-dente del LODE (Livello ottimale d’am-

anno: “non assomiglierà ai casermonidi residenza popolare, che spessodiventano ghetti e luoghi di disagiocollettivo, bensì a case temporaneeconfortevoli e abitate da persone divario genere e origine”. L’iniziativadella Compagnia prevede anche aiutiper chi intende auto-costruire la pro-pria abitazione e si integrerà con pro-dotti finanziari, come i mutui agevola-ti, offerti dalla banca.Un’altra fondazione che si è attivatanel settore dell’housing sociale è laFondazione Cassa di Risparmio diPadova e Rovigo (Cariparo). Dopo averpromosso per qualche anno iniziativedi sostegno ai mutui per l’acquisto ola ristrutturazione della prima casa, lafondazione ha aderito nel 2006 al pro-getto di housing sociale promossodalla Fondazione “La Casa Onlus”2

dedicato a giovani coppie, immigrati epersone in situazione di disagio abita-tivo. Da tale progetto è nata una col-laborazione con la Regione Veneto econ altri enti locali regionali, che haportato la Fondazione a esplorareassieme con Sinloc S.p.A. (societàoperativa a cui partecipano anche laCompagnia di San Paolo, laFondazione Cassa di Risparmio diBologna e altre) quali opzioni sianopossibili per un intervento più estesonel settore dell’housing sociale. Lafondazione ha finanziato il progettocon un contributo di 1,3 milioni dieuro, di cui 1 milione per un fondo dirotazione che consente riduzioni neitassi dei mutui (concessi dalla Cassa diRisparmio ai soggetti individuati dallaFondazione La Casa), e i restanti 300mila euro per un fondo che garantiscel’incasso delle rate dei mutui.Sempre in Veneto la Fondazione Cassadi Risparmio di Verona, dopo appro-fondite valutazioni (nel 2005 era statoavviato uno studio per il progetto“Casa dell’Immigrato”), intende pro-muovere a partire dal 2007 un’iniziati-va pluriennale che sia in grado di sti-molare risposte concrete al bisogno dicasa. Il nuovo progetto “Casa aiMeritevoli” potrà comportare anchel’acquisizione e il recupero di patrimo-nio immobiliare pubblico da destinarea edilizia sociale, con una dotazioneiniziale di 5 milioni di euro.La Fondazione di Venezia ha invece

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vengono sempre realizzate con deipartner, molto spesso operatori noprofit o ex IACP, talvolta anche opera-tori privati;- sono sempre previsti rapporti di col-laborazione e di sussidiarietà con glienti pubblici: i Comuni sono tipica-mente i soggetti che reperisconoimmobili o aree, la Regione e leProvince si occupano del finanziamen-to e dell’indirizzo (con strumenti comeprotocolli di intesa, accordi di pro-gramma ecc.);- alcuni progetti nascono da sollecita-zioni di soggetti esterni, altri da valu-tazioni autonome delle fondazioni. Nelprimo caso esiste già in partenza, ingenere, un modello di intervento daapplicare (tipicamente quello dell’entepubblico o no profit che richiede uncontributo). Nel secondo caso, l’attiva-zione è preceduta da una fase diriflessione sulle possibili modalità diintervento delle fondazioni, con risul-tati che – dato il diverso punto divista delle fondazioni e la loro possi-bilità di sostenere iniziative emblema-tiche e sperimentali – possono dare uncontributo al dibattito e alla ricerca incorso nel settore con riferimento agliobiettivi sociali, agli strumenti utiliz-zabili, alla intersettorialità delle rispo-ste;- la maggior parte delle fondazioniinterviene soprattutto con la tradizio-nale modalità dell’erogazione a fondoperduto, dove il livello di incidenzadel contributo rispetto ai costi com-plessivi dei progetti è in genere diret-tamente proporzionale al livello deiloro contenuti sociali;- dato che le risorse per le erogazionisono estremamente scarse, alcune fon-dazioni stanno cercando di attivareanche strumenti che prevedono l’uti-lizzo del patrimonio. Questa nuovamodalità di intervento comporta ilpassaggio dalla logica erogativa aquella dell’investimento che, sia purcon rendimenti contenuti e al di sottodel livello di mercato, rappresentaun’attività economica in senso pieno –con problematiche gestionali e rischidi carattere imprenditoriale – per laquale le fondazioni tendono a nonimpegnarsi in modo diretto, ma piut-tosto ad attivare nuovi soggetti opera-tivi (fondazioni, società, fondi ecc.) e a

Per sperimentare ulteriori modalità diintervento, che consentissero l’avvio diprogetti immobiliari - sociali di mag-giori dimensioni e complessità, eanche per coinvolgere altri partnerpubblici e privati usando le risorsedella fondazione come catalizzatore,nel 2004 è stato avviato assieme conla Regione Lombardia e l’AnciLombardia il progetto “HousingSociale”.Gli interventi previsti dal progettovengono in particolare promossi da unnuovo ente (la Fondazione HousingSociale o FHS) e realizzati dal fondoimmobiliare “Abitare Sociale 1” (pro-mosso dalla FHS in collaborazione conla società di gestione di fondi CAAMSGR), un fondo che assume la qualifi-ca di etico in quanto specializzato inedilizia sociale e, soprattutto, in quan-to gli investitori che vi partecipanopercepiscono un rendimento pari al2% oltre l’inflazione (particolarmenteridotto e tenuto conto anche delladurata di 20 anni del fondo). Il collo-camento del fondo ha consentito disuperare l’obiettivo iniziale di 50milioni di euro: alla chiusura definiti-va, nel mese di gennaio 2007 le ade-sioni al fondo hanno raggiunto 85milioni di euro (oltre alla FondazioneCariplo hanno investito anche laRegione Lombardia, la Cassa Depositie Prestiti, il Gruppo Intesa San Paolo,la Banca Popolare di Milano, la Cassadei Geometri, Generali Assicurazioni eil Gruppo Pirelli / Telecom).Gli interventi previsti dal progettovengono realizzati attraverso dei rap-porti di partenariato con le ammini-strazioni locali: i primi quattro proget-ti allo studio sono l’esito di accordicon il Comune di Milano (su 3 aree,per complessivi 750 alloggi) e con ilComune di Crema (1 area, per circa100 alloggi).Sulla base di questa breve e non esau-stiva rassegna di iniziative, con delledoverose scuse alle fondazioni che nonsono state menzionate, si può tentareuna prima riflessione su quali siano glielementi ricorrenti che connotano lepolitiche di intervento delle fondazionidi origine bancaria nell’housing socia-le, evidenziando alcune delle tendenzein atto:- le iniziative immobiliari - sociali

Con riferimento all’housing sociale ditipo erogativo, i primi interventi risal-gono al 1999, quando la fondazioneha iniziato a sostenere l’attività dialcune organizzazioni no profit cheprendevano in affitto e ristrutturavano(con il contributo della fondazione)appartamenti che le ex Iacp non pote-vano essere affittati perché fuori stan-dard. Queste organizzazioni no profitassegnavano poi gli appartamenti asoggetti svantaggiati che, oltre adavere la possibilità di accedere a unalloggio, erano anche oggetto di pianiintervento personalizzati e venivanomessi in contatto con la rete dei servi-zi sociali (pubblici e privati). Da questeprime iniziative sono nati dei bandi dihousing sociale più formalizzati chehanno consentito, nell’arco di quattroanni, di finanziare molti interventisignificativi nelle aree dove si è mag-giormente accresciuta la tensione abi-tativa (ad esempio a Milano i progettiBarona e Stadera, a Bergamo gli inter-venti dell’Associazione Casa Amica).Nel periodo più recente la fondazioneha specializzato sempre di più il suointervento. I bandi proseguono, masono destinati principalmente a finan-ziare interventi di seconda accoglienza,cioè strutture abitative temporanee persoggetti che provengono da esperienzedi particolare difficoltà e hanno biso-gno – prima di gestire autonomamenteun appartamento – di un periodo incui “riprendere in mano la propria esi-stenza”. In questo campo si è visto chele organizzazioni no profit sono ingrado di produrre progetti assai signi-ficativi e che la fondazione può limi-tarsi a fornire un sostegno economico.Un discorso diverso vale invece per la“prima accoglienza”, cioè la rispostaalle domande abitative, spesso emer-genziali, dei soggetti che manifestanoforti gradi di “anomia sociale” (senzadimora, malati psichici, ecc.). In questocaso la fondazione ha avviato un pro-getto sperimentale (EmergenzaDimora) insieme ad alcuni soggetti diterzo settore (Caritas Ambrosiana eFondazione Mia di Bergamo) per veri-ficare l’efficacia e la sostenibilità dipiccole strutture di accoglienza tempo-ranea – in opposizione ai grandi dor-mitori – gestite prevalentemente darisorse volontarie locali.

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peculiarità strutturali e organizzative.Sono soggetti finanziariamente solidi,che possono sostenere il costo di fasidi approfondimento e di valutazioneprima di intervenire. Hanno struttureorganizzative sottili, che consentonodi procedere in modo flessibile, inte-grando l’attività di settori diversi, eadatti, modificando i contenuti e glistrumenti sulla base degli sviluppidelle iniziative. Non essendo diretta-mente esposte ai cicli della politica néalla valutazione dei mercati finanziari,che spingono tipicamente verso i risul-tati di breve – medio termine, possonoaffrontare progetti che danno risultatidi medio – lungo periodo. In quantoistituzioni al servizio del territorio,sono in genere percepite favorevol-mente e hanno una buona capacità dimettersi in relazione tanto con sogget-ti pubblici, che con soggetti no profite privati.Da queste considerazioni emerge ilpotenziale del mondo delle fondazionidi origine bancaria nel settore dell’-housing sociale. In un periodo di crisidegli strumenti dell’edilizia sociale, acui dal 19983 non vengono più dedica-te risorse rilevanti, dove anche i gran-di patrimoni immobiliari residenzialidi banche, assicurazioni e aziendepubbliche (si pensi alle Ferrovie delloStato, all’Enel, alla Telecom, agli entiprevidenziali), che pure contribuivano

(per trovare un lavoro, per inserirsi inun contesto sociale e così via), mentregli interventi che utilizzano il patri-monio si pongono il problema dell’ac-quisto dell’abitazione da parte deilocatari. Vi è una forte e diffusa perce-zione che la qualità sia uno dei trattidistintivi del modo di intervenire dellefondazioni;- dal punto di vista finanziario gliinterventi possono essere anche piut-tosto articolati. L’utilizzo di strumenticome il Fondo comune di investimen-to, di schemi di abbattimento del costodei finanziamenti (con fondi rotativi efondi di garanzia), l’allungamentodella durata delle operazioni di finan-ziamento (fino a 35 anni), indicano lacapacità di mettere a disposizione nonsolo risorse ma anche strutture difinanziamento;- l’orizzonte temporale delle fondazio-ni, a differenza di quello della grandemaggioranza degli operatori di merca-to, può essere di medio – lungo perio-do;- se le fondazioni ritengono che un’i-niziativa abbia particolare rilevanzaper la loro missione, possono accettarerendimenti ridotti a condizione che ciònon minacci il mantenimento delvalore del loro patrimonio nel tempo.Le modalità di attivazione delle fonda-zioni di origine bancaria nel settoredell’housing sociale riflettono le loro

cercare dei partner che rafforzino ilprofilo delle iniziative;- mentre per l’attività di tipo erogativoi possibili target sociali possono esseremolto vari, nei casi in cui viene fattouso del patrimonio, è necessario defi-nire il target sociale in modo più selet-tivo cercando una mediazione tra gliobiettivi sociali e filantropici, da unaparte, e la sostenibilità degli interventidall’altra. Per questa ragione vari pro-getti hanno evidenziato come targetsociale “coloro che sono troppo ricchiper accedere all’edilizia residenzialepubblica e troppo poveri per accedereal mercato”, una definizione che agrandi linee equivale a “coloro che afronte di un ciclo economico forte-mente negativo rischiano di rappre-sentare un ampio bacino a rischio di“nuove povertà”;- gli interventi delle fondazioni sonosempre attenti alla qualità.Quest’ultima viene intesa – soprattuttonelle iniziative più avanzate – comecapacità di effettuare interventi checontribuiscano a restituire agli utenticondizioni di massima autonomia, cosìda non trasformarli in soggetti peren-nemente assistiti, caratteristica invecefrequente nell’intervento pubblico.Seguendo questa logica, gli interventia fondo perduto privilegiano le solu-zioni residenziali temporanee e gliinterventi sociali di accompagnamento

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Punti di forza

Nel partenariato con enti pubblici complessità e tempi della

politica possono creare tensioni per lo sviluppo dei progetti

Se non vi è confronto con gli stakeholders e verifica dei

risultati, l’attività tende a diventare autoreferenziale

Punti di debolezza

Opportunità Minacce

Banalizzazione del ruolo delle fondazioni, se vengono

considerate comemeri finanziatori o erogatori di contributi

Nel caso di attività di investimento o imprenditoriali vi sono

rischi operativi e reputazionali

Attivare dei laboratori di innovazione sociale per

sperimentare strategie e strumenti di interesse sociale

Associare le scelte di investimento del patrimonio al

perseguimento della missione filantropica e sociale

La diversità rispetto agli altri operatori e le disponbilità

finanziarie consentono di attivarsi in modo innovativo

Si possono intraprendere anche progetti di lungo periodo

Buone capacità relazionali con stakeholders e territorio

Schema 2. Punti di forza, di debolezza, opportunità e minacce per le fondazioni di origine bancaria nell’housing sociale

La divesità rispetto agli operatori e le disponibilità finan-ziarie consentono di attivarsi in modo innovativo. Si possono intraprendere anche progetti di lungo periodo.Buone capacittà relazionali con stakeholders e territorio.

Nel partenariato con enti pubblici complessità e tempi dellapolitica possono creare tensioni per lo sviluppo dei progetti.Se non vi è confronto con gli stakeholders e verifica deirisultati, l’attività tende a diventare autoreferenziale.

Attivare dei laboratori di innovazione sociale per sperimen-tare strategie e strumenti di interesse sociale. Associare le scelte di investimento del patrimonio al perse-guimento della missione filantropica e sociale

Banalizzazione del ruolo delle fondazioni, se vengono con-siderate come meri finanziatori o erogatori di contributi.Nel caso di attività di investimento o imprenditoriali visono rischi operativi e reputazionali

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fondazioni in questo settore, sarà pro-babilmente rappresentato dalla ricercadi un maggiore coordinamento e dallapredisposizione di piattaforme e distrumenti comuni, che consentano diesprimere sinergie a partire dalle espe-rienze maturate da ciascun ente sulproprio territorio.

*Presidente Acri e Cariplo.

Note1. Il Dl 143/2003 consente alle fondazioni di originebancaria di effettuare investimenti immobiliari diver-si da quelli strumentali per una quota non superioreal 10% del patrimonio.2. La Fondazione La Casa è stata costituita nel 2001da Camera di Commercio di Padova, Acli provinciali,Cooperativa Nuovo Villaggio e Banca Popolare Etica,con il sostegno della Diocesi di Padova e dellaFondazione Cariparo. Successivamente vi hanno ade-rito anche le Province di Padova, Venezia e Rovigo, iComuni di Camposampiero e di Vigonza e la RegioneVeneto. La fondazione è sostenuta anche da soggettiprivati e imprese.4. Anno in cui è cessata la Gescal, prelievo forzosodell’1% sulla massa dei salari dei lavoratori destinatoa finanziare l’Edilizia Residenziale Pubblica.

relazione con gli enti pubblici. Comesi è potuto vedere, pressoché tutte leiniziative vengono sviluppate attraver-so forme di partenariato con Comuni,Provincie, Regioni o ex-Ipab. Moltospesso accade che i rapporti di parte-nariato – elemento necessario e pre-zioso per le fondazioni – trasferiscanoall’interno dei progetti la complessità,le tensioni e i tempi della politica,annullando alcuni dei principali van-taggi di cui può godere un’iniziativasviluppata all’interno di una fondazio-ne di origine bancaria (flessibilità, spe-rimentazione, interdisciplinarità ecc.).Si tratta di una tematica presenteanche in moltissimi progetti sviluppatiin collaborazione tra il mondo pubbli-co e il mondo privato dove tuttavia ilmondo delle fondazioni, nonostantesia privato ma con finalità sociali efilantropiche, fatica a trovare strumen-ti specifici ed efficaci per attivarsi.L’ultimo rischio, anche questo tipicodel mondo delle fondazioni, è l’autore-ferenzialità. Per le fondazioni nonessere esposte a un controllo “elettora-le” né, tanto meno, ad un controllo daparte dei mercati finanziari, comportail rischio di perdere il contatto con ilmondo esterno e di perseguire progettiche non costituiscono un’allocazioneefficace delle risorse disponibili. Sitratta di un rischio che rappresentaallo stesso tempo uno dei punti diforza della diversità delle fondazionidi origine bancaria, che tuttavia vasempre presidiato con attenzioneattraverso un costante dialogo con ipropri stakeholders (le comunità diriferimento con le loro istituzioni) eattraverso la verifica e il confronto deirisultati dell’attività (Schema 2). In conclusione, sono ormai largamentediffuse le iniziative di edilizia socialeintraprese dalle fondazioni bancarie,rientranti a pieno titolo fra gli scopistatutari. Esistono diverse modalità diintervento: dal semplice sostegno eco-nomico a iniziative comunali, alla rea-lizzazione delle abitazioni diretta otramite società di progetto, alla crea-zione di fondi di investimento o difondi di garanzia per facilitare l’acces-so all’affitto o a mutui per l’acquistodella prima casa. I prossimi passi, in termini di evolu-zione dell’attività e dell’impegno delle

ad attenuare il disagio abitativo, sonostati dismessi, e di difficoltà generaledegli schemi tradizionali di intervento,le fondazioni possono assumere unruolo estremamente rilevante di sussi-diarietà e di innovazione rispetto aproblematiche di interesse pubblico esociale.Si tratta di un percorso che già dalleprime esperienze ha mostrato anchevari rischi.Il primo, consueto, è quello di banaliz-zazione del ruolo delle fondazioni,identificandole esclusivamente comeenti che si occupano dell’erogazione dicontributi e, nei casi più evoluti, delfinanziamento di iniziative. Erogarecontributi e finanziare iniziative dihousing sociale non è certamente sba-gliato. Ma bastano due conti per capi-re che se queste attività non sono l’e-sito di una riflessione accurata sulruolo delle fondazioni e se non si pre-figgono l’obiettivo di mettere a siste-ma le possibilità di una fondazione, lerisorse dedicate all’housing socialefiniscono per disperdersi e per genera-re un’utilità sociale solo modesta. Perquesto motivo le fondazioni in generecercano di sostenere interventi emble-matici, che spingano altri a ripeterel’esperienza, o interventi che speri-mentino soluzioni innovative o cherispondano a nuovi bisogni, in mododa produrre esempi e strumenti chemassimizzino le esternalità positive deiprogetti sostenuti.Un secondo rischio è quello di naturaimprenditoriale. Per passare dall’attivi-tà erogativa all’investimento diretto ènecessario disporre di risorse – nonsolo finanziarie – adeguate. I rischi,anche reputazionali, sono maggiori inquanto lo sviluppo delle iniziative puòrichiedere alle fondazioni di prendereposizioni potenzialmente scomode neiconfronti di soggetti che sono general-mente partner ma che, nello specifico,si trovano a essere controparti. Anchese per fini sociali e non per il profitto,l’investimento è comunque un busi-ness.Un terzo rischio – menzionato damolte testimonianze nell’ambito delconvegno “Fondazioni, politicheimmobiliari e investimenti nello svi-luppo locale” tenutosi a Urbanpromo2006 – è quello di natura politica e di

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“domanda silenziosa”. Questa rappre-senta una domanda diversa rispetto aquella indirizzata verso la casa tradi-zionalmente intesa (richiede un usotemporaneo, spesso con servizi comu-ni) ma che coinvolge un numero cre-scente di soggetti: anziani, studenti,lavoratori in mobilità (immigrati e no),(poveri e no), disabili. Le Fondazioni hanno da tempo rivoltola loro attenzione verso questi soggetti,attraverso il sostegno economico allarealizzazione di case di cura, case peranziani, case per studenti. Oggi però siassiste anche ad una innovazione nellemodalità di intervento che derivanoanche dalle modalità nuove (non soloassistenziali) con cui si presenta questadomanda.Una doppia ricognizione sui bilanci2005 pubblicati in internet sui siti delleFondazioni e attraverso un’indagine

Gli interventi delle Fondazioni perla nuova domanda abitativa

alla caratterizzazione delle loro inizia-tive che le porta in molti casi a realiz-zare percorsi in partenariato concomuni, enti pubblici, aziende ospeda-liere, università e altri ancora.Partenariato che può sviluppare unaspecifica attitudine e sensibilità neiconfronti dei sistemi locali di cui leFondazioni possono assumere un ruoloimportante di riferimento.L’attenzione posta negli anni recenti aldisagio abitativo ha coinvolto anche leFondazioni di origine bancaria cheprime in Italia hanno colto l’importan-za di quel segmento che oggi vienecomunemente chiamato social housing.Nei confronti di questa nuova doman-da, un’attenzione specifica per le suecaratteristiche e per lo stesso ruolosociale che assume nelle nostre città, siè voluta porre a quella componenteche Mario Breglia ha definito la

Le Fondazioni e la nuova domandaurbana

Da tempo, da quando cioè la Legge212/2003 ha introdotto la possibilità diinvestire una quota del patrimonio(non superiore al 10%) delleFondazioni in immobili non strumen-tali, si assiste ad un interesse crescenteper il ruolo che le Fondazioni stannoassumendo e possono assumere comeprotagonisti dello sviluppo locale edella riqualificazione urbana.Un recente studio1 mette in evidenzacome il patrimonio delle 88 Fondazionipresenti in Italia ammonti a quasi 46miliardi di euro e la consistenza delpatrimonio immobiliare (misurata sulpatrimonio netto) è pari all’1,4%, dis-tribuito per l’81,2% in immobili stru-mentali all’attività e per il 18,8% innon strumentali. Per quanto attieneagli interventi immobiliari la ricercaregistra una duplice operatività:- di consolidamento patrimonialeattraverso l’acquisto della sede dellaFondazione;- di intervento diretto e/o di partners-hip, nella realizzazione/trasformazionedi immobili da destinare ai settori dimandato delle Fondazioni. La lettura che emerge da questo scena-rio2, evidenzia un’azione che sembraancorata al singolo intervento immobi-liare e meno agli effetti di questo sullosviluppo sociale ed urbanistico dellacittà.L’elemento nuovo di interesse nei con-fronti dell’operatività delle Fondazionisi deve però rivolgere: alla capacità disostenere con le procedure dell’”eroga-zione” tanti piccoli e grandi progetti,

Le Fondazioni per lo sviluppo delle città

a cura di Francesco Sbetti, Francesco Palazzo*

Tabella 1- Interventi promossi dalle Fondazioni per la realizzazione di residenze speciali

Categorie di Tipologia struttura Fondazionisoggetti destinatari degli interventi Grandi Medie Medio-piccole Totale

v.a % v.a % v.a % v.a %

Anziani 10 34,5 6 20,7 13 44,8 29 38,7

Studenti 6 50,0 3 25,0 3 25,0 12 16,0

Disabili 6 60,0 0 0,0 4 40,0 10 13,3

Soggetti condisagio 10 71,4 1 7,1 3 21,4 14 18,7socio-economico

Degenti struttureospedaliere 4 40,0 3 30,0 3 30,0 10 13,3

Totale 36 48,0 13 17,3 26 34,7 75 100,0

Fonte: indagine Fondazione di Venezia- Sistema snc, bilanci di missione 2005

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fondi necessari per attrezzare struttureidonee ad accogliere questo tipo diattività. L’altro aspetto rilevante appartiene alledinamiche demografiche che inesora-bilmente sanciscono un continuoinvecchiamento della popolazione ita-liana. Anche qui l’equazione è sempli-ce: più anziani significa per le istitu-zioni pubbliche mettere a disposizionedella collettività più servizi dedicati aquesta fetta sempre più consistentedella popolazione e quindi reperire unasempre maggiore quantità di fondi dadestinare alle politiche di assistenzasocio-sanitaria. In questo scenario èovvio che gli accordi pubblico-privatidiventano fondamentali per il pubblicoche da solo non riuscirebbe a far fron-te alla crescente domanda di assistenzaproveniente dalle fasce più deboli dellapopolazione (Tabella 1).I bilanci delle Fondazioni suddividonole erogazioni messe a disposizione pergli investimenti immobiliari in settoridi intervento. Pertanto, nel caso speci-

Nel 2005 le principali realizzazioniimmobiliari promosse dalle Fondazionisi rivolgono agli anziani (38,7%) e aisoggetti con situazioni di disagiosocio-economico (18,7%). La prevalen-te predisposizione a intervenire infavore dei soggetti anziani può essereriferita a due ragioni di ordine socialee demografico. Innanzitutto si assisteormai da tempo ad una progressivadisgregazione della famiglia, la cuicomposizione si assottiglia sempre dipiù rispetto all’ormai vecchio modellodi “famiglia allargata”, in cui spessoconvivevano all’interno dello stessospazio diverse generazioni di individui.Questa struttura che si fondava su unalogica solidaristica di tipo familiaregarantiva, tra l’altro, un certo livello diassistenza alle persone più anziane. Laprogressiva frammentazione della com-posizione familiare ha spinto moltianziani a provvedere autonomamentead assicurarsi forme di assistenzasocio-sanitaria, in cui, il settore pub-blico spesso trova difficoltà a reperire i

Urbanistica INFORMAZIONI

diretta alle Fondazioni che hannointerventi in corso, ha consentito dimettere in luce l’impegno verso questosettore, le modalità operative, i soggettidestinatari degli interventi e le formedi partenariato attivate.

Interventi delle Fondazioni neibilanci 2005

L’indagine effettuata a partire daibilanci 2005, limitata quindi all’opera-tività riferita a quell’anno e per taleragione incapace in qualche misura direstituire l’intero impegno finanziario,ma anche progettuale e di mandato neiconfronti della domanda abitativadebole, prende in considerazione ilruolo delle Fondazioni di origine ban-caria, come soggetti che attraversooperazioni finanziarie (erogazioni/con-tributi) sostengono lo sviluppo del set-tore immobiliare. Rispetto alle dinami-che riferibili a questo settore, uno spe-cifico approfondimento, viene dedicatoalla produzione di residenze tempora-nee, destinate a diverse tipologie disoggetti (anziani, studenti, disabili,soggetti con situazioni di disagiosocio-economico e degenti in struttureospedaliere). L’analisi quantitativa relativa al nume-ro di interventi promossi dalleFondazioni si compone di una primavalutazione sulle categorie di soggettidestinatari degli interventi (anziani,studenti, disabili, soggetti con situazio-ni di disagio socio-economico, degentiin strutture ospedaliere) e una secondavalutazione sui settori in cui si collo-cano i singoli interventi (volontariato,filantropia e beneficenza; educazione,istruzione e formazione; assistenza aglianziani; salute pubblica, medicina pre-ventiva e riabilitativa).Un primo dato è rappresentato dallaconsistenza delle Fondazioni che preve-dono interventi diretti a sostegno dellaresidenzialità (posti letto/alloggi) persoddisfare questa domanda. Nel 2005 su14 Fondazioni di grande dimensione èstato possibile individuarne 10 impe-gnate nella realizzazione di interventi diresidenza temporanea. Le Fondazionimedie che si sono attivate in questoramo del settore immobiliare sono 9 su16, mentre per le Fondazioni medio-pic-cole sono 17 su 57.

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Tabella 2 - Settori di intervento delle Fondazioni con cui sostengono i progetti di residenzespeciali

SSeettttoorrii ddii iinntteerrvveennttoo TTiippoollooggiiaa ssttrruuttttuurraa FFoonnddaazziioonnii

Volontariato Grandi Medie Medio-piccole Totale

Realizzazione/adeguamento centro 10 1 3 14accoglienza/residenze persone in stato didisagio socio-economico

Realizzazione/adeguamento strutture 6 0 3 9residenziali disabili

Realizzazione/adeguamento alloggi 2 0 1 3per familiari degenti strutture ospedaliere

Realizzazione/adeguamento centri polivalenti 2 0 0 2accoglienza/residenza per persone in statodi disagio, disabili e anziani

Totale 20 1 7 28

EducazioneRealizzazione/adeguamento residenze universitarie 4 3 0 7Realizzazione Polo Universitario con residenze 2 0 3 5Totale 6 3 3 12

Assistenza anzianiRealizzazione/adeguamento centri residenziali 10 5 13 28Realizzazione/adeguamento alloggi 4 1 1 6Totale 14 6 14 34

Salute pubblicaRealizzazione/adeguamento strutture ospedaliere 4 3 3 10Totale 4 3 3 10

Totale 44 13 27 84

Fonte: indagine Fondazione di Venezia- Sistema snc, bilanci di missione 2005

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Urbanistica INFORMAZIONI

operano prevalentemente nel settoredel volontariato, mentre le medie e lemedio-piccole sono presenti in modopiù consistente nel settore dell’assi-stenza agli anziani.Le Fondazioni di grande dimensionesono inoltre quelle che più delle altreintervengono nel settore “educazione,istruzione e formazione”, con la realiz-zazione di residenze universitarie e diCampus universitari con la presenza dialloggi per studenti (Tabella 2). Sulla consistenza delle erogazioniemesse dalle Fondazioni per investi-menti immobiliari, il 25% è destinato aresidenze temporanee. Con riferimentoal totale degli investimenti immobiliarieffettuati dalle singole tipologie di

disabili. I temi del disagio sociale edeconomico e in particolare quello della“disabilità”, stanno ricevendo negliultimi anni un’attenzione crescente daparte delle istituzioni pubbliche che sistanno facendo carico di un problemache fino ad un recente passato incom-beva quasi completamente sulle fami-glie. Come per il settore dell’assistenzaagli anziani, il settore pubblico, nonriuscendo sempre a sopportare il costosociale derivante da situazioni di gravedisagio socio-economico e dalla disabi-lità deve ricorrere a finanziamenti pri-vati, come quelli concessi dalleFondazioni di origine bancaria sotto-forma di erogazioni/contributi.Le Fondazioni di grande dimensione

fico dei finanziamenti concessi peropere riconducibili alla residenzialitàtemporanea, tra i settori considerati, ilvolontariato e l’assistenza agli anzianiassorbono il maggior numero di realiz-zazioni. Su un totale di 84 interventi,34 sono stati destinati al settore “assi-stenza agli anziani” e 28 al settore“volontariato, filantropia e beneficen-za”. Il primo settore comprende la rea-lizzazione e l’adeguamento di centriresidenziali e alloggi, mentre nel setto-re del volontariato le categorie in cuisi è maggiormente investito sono quel-le della realizzazione /adeguamento diresidenze per persone con disagi socio-economici e della realizzazione/ade-guamento di strutture residenziali per

Info

37

Tabella 3- Consistenza degli interventi/erogazioni per la realizzazione di residenze speciali

SSeettttoorrii ddii iinntteerrvveennttoo

TTiippoollooggiiaa ssttrruuttttuurraa FFoonnddaazziioonnii Volontariato Educazione Assistenza Salute Totaleanziani pubblica

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erogazioni (%)

Incidenza settore di intervento/erogazioni 7,6 2,4 11,4 0,9 22,3interventi immobiliari (%)

Medie (Totale erogazioni�117.021.376 € Erogazioni per settore di intervento (€) 500.000 3.000.000 6.163.490 1.573.000 11.236.490di cui interventi immobiliari�41.285.505 €) Incidenza settore di intervento/totale 0,4 2,6 5,3 1,3 9,6

erogazioni (%)

Incidenza settore di intervento/erogazioni 1,2 7,3 14,9 3,8 27,2interventi immobiliari (%)

Medio-piccole (Totale erogazioni�58.557.818 € Erogazioni per settore di intervento (€) 1.457.136 1.399.201 2.184.312 2.584.804 7.625.453di cui interventi immobiliari�16.304.114 €) Incidenza settore di intervento/totale 2,5 2,4 3,7 4,4 13,0

erogazioni (%)

Incidenza settore di intervento/erogazioniinterventi immobiliari (%) 8,9 8,6 13,4 15,9 46,8

Totale Fondazioni(Totale erogazioni�985.874.576 € Erogazioni per settore di intervento (€) 14.854.453 8.394.201 27.731.068 5.765.804 56.745.526di cui interventi immobiliari�227.433.296 €) Incidenza settore di intervento/totale 1,5 0,9 2,8 0,6 5,8

erogazioni (%)

Incidenza settore di intervento/erogazioni 6,5 3,7 12,2 2,5 25,0interventi immobiliari (%)

Fonte: indagine Fondazione di Venezia- Sistema snc, bilanci di missione 2005

05 le Fondazioni (215) 28-12-2007 11:37 Pagina 37

Page 38: UI215

Urbanistica INFORMAZIONI

Info

38

Tabella 4 - Casi di studio: gli interventi promossi dalle Fondazioni

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05 le Fondazioni (215) 28-12-2007 11:37 Pagina 38

Page 39: UI215

Urbanistica INFORMAZIONI

Info

39

(segue) Tabella 4 - Casi di studio: gli interventi promossi dalle Fondazioni

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Urbanistica INFORMAZIONI

COUNCIL FOR EUROPEANURBANISM

The Third International C.E.U.Congress

Climate change and urban designScience, Policy, Education and

Best Practice

14 - 16 September 2008Oslo, Norway

Abstracts Due February 1, 2008Announcements of Accepted

Papers March 1, 2008Completed Drafts Due

June 1, 2008

Following successful Congresses in Berlin2005 and Leeds 2006, the Council forEuropean Urbanism will hold its thirdinternational congress in Oslo, Norwayfrom the 14th to 16th September 2008. The central theme of the congress will beClimate Change and Urban Design.Papers are invited on the consequences ofthe climate change agenda for urbandevelopment internationally. We willexplore practical solutions to reduce cli-mate gas emissions from urban settle-ments and transportation.The congress will be for planners, archi-tects, government officials, social scien-tists, ecologists, developers, local commu-nity activists, and all other developmentstakeholders who feel a responsibility tocontribute to more sustainable urbandevelopment.We invite authors involved in urban devel-opment and sustainability from all partsof the world to submit paper proposalswith abstracts by February 1, 2008.Announcements of accepted proposalswill be on March 1, 2008, Completed drafts of papers will be due byJune 1, 2008.

Themes Within the Topic We welcome your papers on one of the sixthemes below. Where necessary, a papermay combine two or more themes. - theme one: Climate Change and Urban

Morphology- theme two: Climate Change and Best

Practice in Urban Design- theme three: Climate Change, Urban

Design and Public Policy - theme four: Climate Change, Education

and Research - theme five: Case Studies of Urban

Projects and Their Impacts- theme six: Innovative New Strategies

Please submit proposals with abstracts tothe following email address:[email protected] the official site:http://www.ceunet.org

soggetti con disagi sociali ed economi-ci (giovani coppie, anziani, studenti,stranieri, ecc.), come quelli promossidalla Fondazione Cariplo per i comunidi Crema e Milano e dalla FondazioneCassa di Risparmio di Cesena per ilcomune di Cesena. Si tratta di progettiche prevedono la costruzione di quar-tieri urbani in cui oltre alla presenza diaree destinate all’edilizia economica epopolare, viene garantita una quota diservizi e di spazi pubblici attrezzati,oltre all’eventuale presenza di areecommerciali e direzionali.Le Fondazioni di origine bancaria, nelcaso delle residenze temporanee, ope-rano prevalentemente in due modi dif-ferenti. In alcuni casi agiscono comeveri e propri enti assistenziali che sem-plicemente erogano denaro per operesociali, ad enti pubblici o istituzioniprivate impegnate in attività di assi-stenza socio-sanitaria. In altre situazio-ni le Fondazioni partecipano comeattori diretti nella realizzazione di pro-getti specifici con finalità sociali, insie-me ad altri soggetti pubblici e privati.Gli interventi immobiliari destinati adaccogliere usi legati alla residenzatemporanea sono sostenuti nella mag-gior parte dei casi da accordi traFondazioni ed enti pubblici (comuni,province e regioni) e in misura minoreda alleanze tra Fondazioni/enti privatie Fondazioni/enti privati/enti pubblici. Solitamente le erogazioni delleFondazioni non superano quasi mai il50% del costo complessivo degli inter-venti e in media si attestano intorno al35%.

* Urbanista.

Note1. “Fondazioni, politiche immobiliari e investimentinello sviluppo locale”, Marsilio 20072. “I progetti delle Fondazioni bancarie per le città”,Urbanistica Informazioni n. 209, 2006

Fondazione (grandi, medie, medio-pic-cole), sono le Fondazioni medio-picco-le quelle che in termini percentualierogano una quantità maggiore difinanziamenti per residenze tempora-nee (46,8%). Le Fondazioni di grandedimensione sul totale degli interventiimmobiliari, destinano il 22,3% delleerogazioni alle residenze temporanee,soprattutto nei settori dell’assistenzaagli anziani (11,4%) e del volontariato(7,6%), contro il 27,2% delleFondazioni di medie dimensioni, cheinvestono maggiormente nei settoridell’assistenza agli anziani (14,9%) edell’educazione (7,3%). Le Fondazionidi medio-piccole dimensioni si orienta-no verso erogazioni nei settori dellasalute pubblica (15,9%) e dell’assisten-za agli anziani (13,4%) (Tabella 3).

I settori e le modalità di intervento:casi studio

L’indagine diretta alle Fondazioni chehanno interventi immobiliari in corsoha permesso di cogliere alcuni datisignificativi rispetto alle tipologie diintervento, ai modelli di partnership(intese con altri soggetti privati e conil settore pubblico) e alla consistenzadelle erogazioni (vedi Tab. 4).Le tipologie di intervento individuatepossono essere raggruppate in: case-alloggio, alloggi e housing sociale.Le case-alloggio sono strutture cheospitano solitamente disabili, anziani estudenti, le cui superfici sono destinatead alloggi, spazi di socializzazione,attività culturali.La seconda tipologia di interventi con-siste in ristrutturazioni e costruzioniex-novo di appartamenti prevalente-mente per disabili e anziani. Quella degli alloggi per anziani auto-sufficienti rappresenta una nuovaofferta abitativa che tiene conto dinuovi modelli sociali/comportamentalie che produce anche azioni importantinel mercato abitativo, “liberando”spesso alloggi di dimensioni medio-grandi che rimangono a disposizionedei figli, che li abitano o li immettononel mercato immobiliare. L’housing sociale comprende in genereinterventi più complessi e sono rivoltialla realizzazione di abitazioni in loca-zione a canoni calmierati, destinati a

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Romagna, ANCI e UPI, è stata realizzatauna prima esperienza di laboratori pro-gettuali, condotta in diverse realtà terri-toriali (Bologna, Ferrara e Rimini), permisurare su temi particolari e partico-larmente interessanti l’effettiva capacitàdi rispondere attraverso la chiave pae-saggistica in termini progettuali piùadeguati all’obiettivo di una qualitàurbana e territoriale diffusa. Si è volutosperimentare quanto la tematica pae-saggistica, così come affrontata e defi-nita in termini nuovi dalla ConvenzioneEuropea del Paesaggio, possa rappresen-tare non un semplice, qualificato attri-buto né solo un valore aggiunto ma untema centrale per la qualità stessa dellosviluppo sociale ed economico dei terri-tori. E’ necessario, prima di motivare inmaniera articolata questa affermazione,premettere due considerazioni di fondo.Innanzi tutto una riflessione sull’attualequadro della pianificazione urbanisticae, più in generale, degli strumenti concui gli Enti Locali si trovano oggi adesercitare la funzione di controllo egestione delle trasformazioni urbane eterritoriali. E’ ormai incontestabile, inquanto riconosciuto oggi in maniera piùgeneralizzata e non più come qualchetempo fa solo da alcune voci critica-mente antesignane, l’inadeguatezza del-l’attuale sistema di pianificazione arispondere in modo efficace e tempesti-vo agli obiettivi preordinati. Dopo alcu-ni anni di sperimentazione urbanisticain una comparazione territoriale che, inegual misura, può riguardare realtàregionali diverse, dalla Puglia al Veneto,all’Emilia-Romagna, la strumentazioneurbanistica viene da molti considerata

Il progetto del paesaggio per una nuova qualità esostenibilità della città e del territorioFelicia Bottino*

invece il primato che il paesaggio detie-ne comunque a conclusione di qualsiasitrasformazione urbana e territoriale cheintervenga per fini diversi (tipo infra-strutturale, insediativo, commerciale,produttivo…..) attraverso la formazionedi luoghi e non luoghi, modificando lenostre città nel loro tessuto e nel loroskyline: sempre e comunque si riaffer-mano alla fine nuovi paesaggi, belli obrutti che siano.Ed è appunto sulla capacità di costruirenuove identità urbane dotate di un suf-ficiente livello di qualità, o di recupera-re e riqualificare i paesaggi degradati,frutto di quell’espansione urbana chesembra comunque non avere mai fine,che occorre intraprendere una vera sfidasul piano progettuale e apprestarci cul-turalmente in modo appropriato. Questoè quello che viene richiesto, in ultimaanalisi, da uno sviluppo economico chevoglia misurarsi in termini di attrattivitàe competitività del territorio a livelloglobale sia in termini sociali che econo-mici. Per un paese come il nostro, carat-terizzato da una forte componentestrutturale e paesaggistica, è imprescin-dibile avere come riferimento i paesaggid’eccellenza della nostra identità storicae culturale, sia che si tratti di paesaggiagrari, sia che si tratti di paesaggi stori-ci (medievali, rinascimentali, ecc.), ocollinari, o fluviali, ecc., proprio pun-tando ad una maggiore qualità dellaprogettazione nei processi di trasforma-zione urbana e territoriale.Ed è proprio in questo senso che, nelrispondere a un preciso progetto forma-tivo istituito da Ministero per i Beni e leAttività Culturali, Regione Emilia-

Mi piace ricordare, a poco più di unanno dalla sua scomparsa, Lucio Gambicome uno dei cultori del paesaggio piùpreparati e convinti; ma soprattuttocaratterizzato da un’impostazione chepur storicamente datata, risulta oggifortemente innovativa, un’impostazioneche ha retto nel tempo e che, con estre-ma attualità, costituisce una puntaavanzata della stessa cultura che inmateria è stata assunta a livello euro-peo: il paesaggio è il territorio, la suastruttura fisica, geografica e storica, ilprodotto di una attività umana cosìcome viene vissuta, letta e percepita.Parto da questa considerazione anchecon un senso di riconoscenza, perché lasua ostinata affermazione di tale conce-zione mi convince - proprio nel cercaree proporre risposte a nuove azioni sia dipianificazione e progettazione, sia diformazione e didattica sul tema del pae-saggio - che questa è l’unica chiave dilettura e di interpretazione adeguata.Sempre che il fine condiviso sia quellodi poter e voler corrispondere appienoed in modo efficace ad un rinnovatocompito di governo del territorio tantoimportante quanto facilmente, ancorauna volta, eludibile: e cioè di coniugareassieme salvaguardia e valorizzazionedelle risorse naturali e ambientali equalità dello sviluppo. Una concezioneche lega assieme cultura e progetto,analisi e azione, storia e futuro e chevede nel paesaggio, assieme alle sueintrinseche componenti urbane e terri-toriali, i suoi risvolti sociali e culturali.Un passo in avanti che deve vedereinvertita la tradizionale subordinazionedel paesaggio al territorio, per affermare

Rassegna

06 Rassegna (215) 28-12-2007 11:52 Pagina 41

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Urbanistica INFORMAZIONI

riprende il filo di questa evoluzione cul-turale, riproponendo il tema del paesag-gio in modo trasversale a quelli che,nella nostra Regione, sono stati indivi-duati come sistemi, zone ed elementi eaffiancando ai paesaggi di eccellenza ipaesaggi della riqualificazione e dellavita quotidiana, compresi i paesaggiurbani, fino ad oggi sostanzialmenteignorati sia dalla pianificazione paesi-stica che dalla pianificazione ordinaria.Vari sono i motivi per cui OIKOS haaccettato con entusiasmo di collaborarealla realizzazione di questo progettoformativo sperimentale. Il primo perchéera l’occasione per mettere in relazione,proprio sul piano progettuale, l’espe-rienza che il Centro Studi ha maturatonello specifico settore disciplinare,incrociando le attività formative conquelle di vera e propria ricerca. Ilsecondo in quanto l’attività ha previstola realizzazione di un percorso formati-vo-laboratoriale che ha messo in campomolteplici competenze disciplinari,diversificate quanto fortemente interre-late, allo scopo di produrre un quadrodisciplinare compiuto che, proprio suquesti temi, oggi anche le stesse univer-sità faticano a realizzare. Terzo obiettivo, la sfida rappresentatadalla specifica composizione delle auleche hanno visto riuniti in un’esperienzacollegiale didattica e soprattutto proget-tuale figure professionali diverse sia perpercorso professionale che per ruoloistituzionale (tecnici della pubblicaamministrazione, soprintendenze, pro-fessionisti privati). Ciò ha consentito dimettere direttamente a contatto portato-ri di esperienze e conoscenze diverse trasettori che, ad di là degli specificiadempimenti, molto spesso faticano acolloquiare.Forti del successo di questa esperienzache - va detto - ha avuto un ottimoriscontro da parte dei partecipanti, comeci è stato dato modo di verificare ripe-tutamente durante lo svolgimento,auspichiamo che progetti come questipossano essere portati avanti nellanostra come in altre regioni che voglia-no perseguire una strada veramenteincisiva e di rinnovamento sui paesaggiurbani e territoriali.

*Architetto urbanista, Professore ordinario IUAV.

degli organismi tecnici di controllo(regionali e provinciali). Tutto ciò, anzi-ché risolvere, ha finito infatti per accre-scere ulteriormente la difficoltà di indi-rizzare e gestire in maniera efficace esollecita i processi di trasformazione eper fallire in ambedue gli obiettivi prio-ritari della pianificazione oggi: da unlato, il contenimento del consumo delsuolo e la tutela ambientale, dall’altroun adeguato livello di efficienza territo-riale.Quando la Regione Emilia-Romagnainnescò il progetto di costruzione delPiano Paesistico Territoriale, lo scenarioche si poteva e si voleva ipotizzare,trattandosi di adempimento di leggeordinatorio (31/12/86), era di una diffu-sione su tutto il territorio nazionale diindirizzi e norme capaci, attraversodiversi gradi di tutela, di salvaguardareil paesaggio del Bel Paese nella suastruttura estetica, culturale e fisica. Cosìnon è stato. Il percorso seguito dallediverse regioni è stato quello o dell’as-senza completa di adempimento all’ob-bligo di legge o, in maniera più ridotta,la realizzazione di Piani paesistici nonbasati sulla valenza dell’intero territorioregionale. Sta di fatto che oggi l’Emilia-Romagna è, assieme a poche altre, unadelle poche regioni dotate di uno stru-mento generalizzato di tutela. Il checostituisce senz’altro una buona base dipartenza per impostare, sul sistema esi-stente di norme e indirizzi quelle opera-zioni di tutela attiva e di valorizzazioneindispensabili e che gli stessi obiettividel piano già prevedevano. Non è casuale infatti che, già a pochianni di distanza dall’adozione del PianoTerritoriale Paesistico, ritenemmo diorganizzare un momento di confronto edibattito disciplinare dal titolo “Oltre ilPiano”. Chiaramente ciò non volevasignificare il subordine o il superamentodello strumento della pianificazionebensì richiamare l’attenzione sul fattoche il Piano, allo stesso modo in cuiaveva prodotto efficacemente nella suaelaborazione e prima applicazione unacultura di tutela, necessitava per la suacompleta attuazione di trovare un’orga-nica traduzione in una cultura di pro-gettazione capace di rispondere alladomanda di qualità urbana e territorialein modo più diffuso.La Convenzione Europea del Paesaggio

fallimentare: rispetto sia a quelladomanda di qualità, attratività ed effi-cienza territoriale che carica oggi più diieri le città di un ruolo determinante nelconcorrere allo sviluppo economico, siaalle nuove emergenze che i processisociali e ambientali (e tanti sono i temiche si possono sotto questa voce anno-verare dal degrado urbano e sociale alfenomeno dell’immigrazione, dalla sicu-rezza al consumo delle risorse finite,ecc.) pongono con sempre maggioreurgenza. Si tratta infatti di problemati-che, tutte, che devono essere affrontatecon nuove politiche ma per le quali nonè assolutamente ininfluente anche unaprecisa e diversa organizzazione di usi efunzioni della città, di progettazioneurbana, di operazioni di decentramentoo di individuazione di scelte di mobilitàinfrastrutturali, cioè di scelte fortementeintrecciate tra politica e pianificazione.Proprio la complessità di relazione tra idiversi sistemi (sociali, economici e ter-ritoriali), e il conseguente aumento diconflittualità tra settori e strumenti, hainfatti determinato, con l’obiettivo perlo più illusorio di tenere sotto controllola realtà, una rilevante dilatazione tem-porale e compilativa degli apparati nor-mativi e procedurali. Non è infatti piùpossibile sottacere, pena l’essere colpe-voli di omissione, che in quasi tutte leregioni che si sono dotate di una nuovalegislazione urbanistica negli ultimianni – anche le più riformiste come lanostra – si è creato un sistema che,ammesso e non concesso potesse regge-re sul piano teorico, si è poi tradotto inuna capacità operativa che ne ha com-pletamente deformato le caratteristicheinnovative sul piano dei contenuti e deimetodi: dalla costruzione dei quadriconoscitivi, che indagano in ugualmodo su tutta l’articolata realtà dicarattere urbanistico e ambientale siaper i grandi che per i piccoli comuni edai quali difficilmente poi si fanno deri-vare le scelte di piano, alla intricata ela-borazione dei piani strutturali, che ven-gono ancora costruiti con le modalitàdei vecchi piani regolatori basatisostanzialmente sulla zonizzazione esulla individuazione “a tavolino” dellescelte progettuali, senza alcuna preven-tiva operazione di concertazione e con-divisione strategica, alla burocraticaazione di controllo esercitata da parte

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gine identitaria di San Marino, darestituire ai suoi abitanti e da convo-gliare all’esterno attraverso i flussituristici, l’attività ricognitiva dellerisorse territoriali, delle strutture inse-diative storiche e delle pratiche ammi-nistrative che ne assicuravano la tutelae la conservazione, passa attraversol’utilizzo delle “memorie di governo” -gli antichi statuti della Repubblica e icatasti particellari. In questa accezioneil paesaggio è l’espressione compiuta diuna secolare interazione tra uomo eambiente, che riverbera valori percetti-vi generalmente condivisi dalla collet-tività, almeno sul piano dei principi. Il nodo problematico è qui rappresen-tato da una interrogazione sulla “per-manenza” che vada al di là di unasemplice ricognizione dei segni super-stiti: il tema investe non solo questionidi conservazione materiale, ma anchela funzionalità e il senso di quegli stes-si segni. Attualizzare la memoria signi-fica assumere responsabilità condivisenei riguardi degli assetti territoriali chesi intendono preservare, senza che ciòcomporti una sorta di “congelamento”nelle pratiche di vita.

Il paesaggio degli “insider”

La parte della ricerca più innovativa esperimentale si propone di sondare ilmodo in cui il paesaggio sammarineseviene percepito dai suoi cittadini, inriferimento al dettato dellaConvenzione europea, che pone obiet-tivi di qualità pertinenti con le “aspira-zioni delle popolazioni per quantoriguarda le caratteristiche paesaggisti-

Una ricerca sul paesaggio di San Marino

Convenzione europea” si propone diattuare i principi sopra elencati, predi-sponendo una metodologia che eviden-zi l’identità paesaggistica sammarineseper come viene restituita dai documen-ti storici (Catasto Baronio), dall’analisidelle caratteristichenaturalistico/ambientali e dalla perce-zione dei suoi abitanti, e la confronticon l’immagine attualmente offerta aivisitatori esterni, in un’ottica di ricon-versione e miglioramento del settoreturistico in termini di sostenibilità.Di fatto, i primi risultati della ricerca ciportano a rilevare che il richiamo turi-stico della Repubblica di San Marinotende oggi a riverberarsi unicamentenella immagine-icona del centro stori-co. Il nodo problematico, evidenziatodai dati raccolti e da interviste aglistakeholders, è rappresentato da un usodi territorio che produce congestione enon manifesta impatti positivi al di làdella remunerazione delle attività dis-locate lungo i percorsi di maggioreaffollamento. Con la crisi di questo modello di turi-smo, prevalentemente giornaliero ditipo “pendolare” (le presenze si sononotevolmente ridotte nel giro di pochianni), amministratori e operatori delsettore iniziano a riconvertirsi suun’offerta diversificata e altrimentiqualificata, imperniata su circuiti dipiù ampia fruizione nello spazio e neltempo, per le crescenti nicchie didomanda interessate alla “autenticità”dell’esperienza dei luoghi.

Il paesaggio come forma e memoria

In un ottica di ridefinizione dell’imma-

Le profonde revisioni del concetto dipaesaggio hanno fatto registrare intempi recenti una inedita apertura neiriguardi del “sapere comune”, ossia diquelle forme di conoscenza a caricodella società civile nel suo insiemechiamate ad affiancare i cosiddetti“saperi esperti” nel riconoscimento deivalori attivi della natura e della storiae nella loro quotidiana gestione.Aspetti qualificanti della Convenzioneeuropea, sottoscritta nel 2000 danumerosi Stati, tra cui la Repubblica diSan Marino, sono: “il riconoscimentogiuridico del paesaggio quale compo-nente essenziale del contesto di vitadelle popolazioni, espressione delladiversità del loro comune patrimonioculturale e naturale e fondamento dellaloro identità”; la definizione e attua-zione di “politiche paesaggistiche voltealla salvaguardia, alla gestione e allapianificazione dei paesaggi tramitemisure specifiche”; l’avvio di “procedu-re di partecipazione del pubblico, delleautorità locali e regionali e degli altrisoggetti coinvolti nella definizione enella realizzazione delle politiche pae-saggistiche con misure specifiche perla sensibilizzazione, la formazione ededucazione rispetto al valore del pae-saggio”; l’integrazione del paesaggio“nelle politiche di pianificazione delterritorio, urbanistiche e in quelle acarattere culturale, ambientale, agrico-lo, sociale ed economico”.

Una ricerca per rilanciare ilpaesaggio

La ricerca dal titolo “Il paesaggio diSan Marino dal Catasto Baronio alla

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Anna Laura Palazzo*, Biancamaria Rizzo **

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la regolamentazione e gestione delleriserve naturali, ecc.L’incrocio delle valutazioni sui datipaesaggistici (storici e percettivi) enaturalistico/ambientali avviene all’in-terno di matrici relative ai diversi com-parti paesaggistici basate su un sistemadi indicatori capaci di restituire inmaniera sintetica le interazioni uomo –ambiente. Lo scopo sostanziale è valutare inmodo integrato gli elementi che costi-tuiscono l’identità paesaggistica sam-marinese; identificare e analizzare inmodo sistematico i cambiamenti, i pro-blemi prioritari, i rischi cui va incontroil paesaggio, al fine di supportare iprocessi decisionali, incrementandol’importanza delle considerazioni pae-saggistiche e ambientali nelle politichelocali turistiche e non solo. Lo strumento di supporto alla gestionedel territorio cui la ricerca intende per-venire nella sua fase conclusiva, è unManifesto del Paesaggio sammarinese,ossia una sorta di “Carta dei diritti edoveri” in cui delineare, a valle delquadro conoscitivo, i presupposti, iriferimenti (best practices) e gli stru-menti finalizzati a perseguire politicheper il paesaggio in linea con i dettamidella Convenzione europea.

* Prof. Associato presso Università di Roma 3.** Docente a contratto presso Università di Roma 3.

che del loro contesto di vita”. Ladimensione circoscritta del caso studioha consentito di intercettare un cam-pione significativo di residenti (circa800 famiglie), cui sono stati inviati deiquestionari che, una volta compilati,verranno inseriti ed elaborati all’inter-no di un apposito data base.Il questionario è incentrato sulla corre-lazione tra stili ed aspirazioni di vita elivello di percezione delle qualità delpaesaggio e delle sue problematicità.L’articolazione delle domande avvieneper macro-aree, che riguardano il livel-lo di soddisfazione rispetto ad aspettimateriali e immateriali della conviven-za sociale e ai servizi pubblici e priva-ti, all’offerta culturale, ecc.; ad aspettirelativi alle condizioni personali/fami-liari degli individui, con particolareriguardo a condizione abitativa, mobi-lità sul territorio, ecc.; ad aspettiimmateriali individuali quali l’attacca-mento alla comunità, il livello di parte-cipazione, ecc. La parte conclusiva delquestionario comprende domande arisposta libera, atte a sondare la pre-senza percepita di uno o più luoghievocativi del paesaggio passato e pre-sente; tali domande traducono in cate-gorie affettive (il rimpianto, la volontàdi preservare) i concetti familiari all’a-nalisi economica di “disponibilità apagare” per mantenere i luoghi inalte-rati.

I comparti paesaggistici e ilManifesto del Paesaggio

Ai dati ottenuti dalle analisi storica epercettiva si affiancano quelli dell’ana-lisi naturalistico/ambientale, basata suun’idea di paesaggio come manifesta-zione di biodiversità.Se la percezione comune tende a mar-care la propria distanza da saperi eproblematiche di settore, di difficilecondivisione, è pur vero che le esigen-ze di tutela e “riproducibilità” dellerisorse ambientali forniscono all’agen-da della sostenibilità temi “territoriali”che meritano un trattamento adeguatoanche a livello di landscape design,come il mantenimento della permeabi-lità dei suoli, la tutela della continuitàambientale ed ecologica a garanzia diuna permanenza e varietà dei biotopi,la costituzione di percorsi naturalistici,

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Lo spazio europeo a livello localea cura di Igor Jogan eDomenico Patassini

Quale sarà nel prossimo futurol’influenza esercitata dalle istitu-zioni europee sulle pratiche dipiano a livello locale? Questovolume si propone di avviare unariflessione da prospettive diversee su oggetti specifici: dalle varia-bili di sistema (strumenti, compe-tenze) all’attuazione dei progetti,dalle problematiche di caratteremetodologico a quelle propriedelle politiche di valorizzazionedell’informazione tecnica e geo-grafica.

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montagna, con quelle del rispetto delpaesaggio e dei suoi caratteri fondanti.A questo proposito sono utili alcuneriflessioni sul rapporto tra paesaggio eluogo, e di come il paesaggio risultiformato da un insieme di luoghi anchediversi tra loro e da una coesistenza dicaratteristiche naturali ed antropiche.La valenza di un paesaggio è spessodeterminata dall’armonia tra questedue fondamentali componenti.Il concetto di “luogo” è di sovente ebanalmente sostituito da quello di“paesaggio” che evidentemente rappre-senta un concetto astratto se disgiuntodall’analisi delle sue specifiche compo-nenti. E’ analizzando le sue componen-ti che si arriva alla comprensione dellasua specificità. Un luogo è tale se èriconoscibile la sua identità che dipen-de dalla sua collocazione geografica eculturale, dalla configurazione spazialee dalle caratteristiche della sua artico-lazione. Un luogo per definirsi taledeve quindi possedere i requisiti peressere spazio “identitario, relazionale estorico”. In questo senso, l’uomo“abita” un luogo e lo rende coerentecon il suo portato culturale e la suacoscienza spontanea. L’architetturaquindi diventa la mediazione tra gliaspetti naturali di un luogo e la neces-sità dell’uomo di abitare.La funzione dell’architettura è perciòquella di comprendere la “vocazione”del luogo interpretando quello che quel“luogo vuole essere” rispetto all’am-biente naturale; solo quando vi è que-sta comprensione l’architettura è ingrado di contribuirvi.Abitare un luogo ha significati diversi

Territorio, paesaggio e architettura si raccontano nel “Museo La Valle”Marino Baldin*, Franco Alberti**

Tale rete, costituita dai villaggi e dagliinsediamenti temporanei, configura unsistema insediativo policentrico che hasaputo coniugare le esigenze dell’abita-re e del vivere in montagna, con quelledel rispetto del paesaggio e dei suoicaratteri fondanti.Risulta evidente come l’articolata ecomplessa struttura orografica dellamontagna abbia condizionato lo svi-luppo degli insediamenti in quantoessa ha rappresentato l’elemento domi-nante di un paesaggio naturale rispettoal quale gli insediamenti si sono rap-portati sia sotto il profilo funzionaleche nei rapporti spaziali. Infatti l’asset-to morfologico degli insediamentirisponde a precise “regole” di forma-zione che sono espressione non solo discelte localizzative e di disegno urba-no, ma anche di mediazione culturalecon utilizzo di modelli abitativicoerenti con le necessità funzionali delterritorio e che oggi, a prescindere dalloro interesse architettonico e paesag-gistico, sono luoghi della memoria,custodi di una importante ereditàmateriale e immateriale.Questo museo propone quindi un rac-conto dei luoghi e come essi si sonomodificati per la secolare azione del-l’uomo, raccontando di uno sviluppoarmonico dell’architettura e degli inse-diamenti nel paesaggio, spiegando leregole, semplici e ordinate, con cui sisono sviluppati gli insediamenti e letipologie edilizie tradizionali nel rispet-to del contesto culturale.Tali insediamenti configurano un siste-ma complesso che ha saputo coniugarele esigenze dell’abitare e del vivere in

Il 6 ottobre scorso, all’interno delle ini-ziative sulla divulgazione del patrimo-nio culturale alpino, è stato inauguratoa La Valle Agordina (BL) il “Museo LaValle” alla presenza delle autoritàcomunali, provinciali e regionali.Si tratta di una iniziativa abbastanzasingolare nel panorama dell’offertamuseale, in quanto non ci troviamo difronte alla consueta proposta di unsemplice contenitore di “cose dellamemoria”, bensì di un museo che poneal centro del suo racconto la compo-nente “territorio”, attraverso la descri-zione dei suoi processi di formazioneed in particolare soffermandosi sugliaspetti del paesaggio e delle sue com-ponenti naturali e culturali.Il tema trattato dal museo ha specificiriferimenti territoriali che si innestanosulle tematiche del paesaggio montanoveneto e più in generale su quello alpi-no, ma dà una chiave di lettura inte-ressante anche a prescindere da conte-stualizzazioni di carattere culturale perle modalità con cui fornisce informa-zioni sotto il profilo tecnico e scientifi-co anche attraverso le opportunitàinformatiche che facilitano gli aspettidella comunicazione e divulgazione diconoscenze. Nello specifico il percorso del museotratta le trasformazioni del paesaggioche viene descritto come il prodotto diuna secolare economia rurale e dell’a-zione dell’uomo che, mediante unavera e propria colonizzazione, ha dis-seminato nei fondo valle e versanti,una rete di “segni” lungo i percorsidelle migrazioni avvenute nel corso deisecoli.

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con la differenza che l’esplorazione delterritorio avviene su un modello digi-tale che descrive un territorio nonattuale (primi ottocento) e consenteuna “frequentazione” virtuale del pas-sato in cui gli occhi del visitatorehanno l’opportunità di fare un viaggiovideo-realistico nel paesaggio dellamemoria. La sezione “ architettura” esamina letipologie edilizie prevalenti in epocastorica prendendo a spunto i disastriche si sono abbattuti sull’abitato(piene, incendi, ecc.) e analizza comequesti hanno rimodellato la tipologia ela struttura dell’abitato incidendo pro-fondamente sul modello “dell’abitare”la montagna. Come spunto e comeeccellente marker di stratificazione sto-rica sono stati presi due edifici dellafrazione di Cugnago: “Il Casàl”, la cuitrave di colmo riporta una data 1418,ma che, nella sua parte più antica risa-le quasi certamente al 12° secolo, ed il“Talvadon”, struttura rurale multiplacomposta da più aggregazioni stalla-fienile riunite in un unico fabbricatorisalente al 17° secolo, costruito partein sassi e calce, e parte in legno contravatura a blockbau. Al centro di que-sta seconda sala è posta la statua dellaMadonna di Loreto “Madona Neigra” ,miracolosamente salvata dall’eccezio-nale evento di piena avvenuto nel 1701il quale distrusse l’antica Chiesa di SanMichiel , risalente probabilmente al 12°secolo che sorgeva ove trova luogoattualmente il cimitero. La statuarecentemente restaurata è divenuta ilsimbolo del radicamento di questacomunità al suo territorio. L’allestimento museale è così riuscito aconiugare la realizzazione di unamemoria territoriale permanente cheimpone al paesano ed al visitatore direcarsi all’esterno, sul territorio, perapprofondire gli spunti dati dall’esposi-zione così da “fermare” un modellonella mente di quanti, urbanisti e pro-gettisti, devono quotidianamente stu-diare ed applicare soluzioni in relazio-ne alla necessità del vivere e permane-re in montagna. Il Museo La Valle avràanche una parte ancor più viva: la rea-lizzazione di mostre tematiche annualicon la presentazione dell’oggettisticastorica che un gruppo di ricercatorivolontari è riuscito a recuperare ed a

epoche anteriori perché sia il paesaggioche l’architettura ne parlano.L’indagine si ferma agli anni ‘50, aglialbori della trasformazione industrialee turistica che ha poi profondamentemodificato usi, costumi, cultura, archi-tettura e paesaggio di tutta l’area alpi-na. Il museo vuole rappresentare le tra-sformazioni indotte dall’abitare il terri-torio di montagna, l’adattamento dellostesso alle esigenze di vita e l’adatta-mento della singola abitazione e delborgo alla natura dei luoghi. Il Museoha l’ambizione di proporre un’esperien-za culturale innovativa (e per questodifficile) da sviluppare, in un momentosuccessivo, all’ambito geografico circo-stante in modo da costituire un centrodi documentazione e ricerca sull’archi-tettura e il paesaggio delle DolomitiVenete.Il museo risulta diviso fondamental-mente in due sezioni: “territorio” e“architettura tradizionale”. La sezione “territorio” espone ed ana-lizza l’ambito della ricerca, con l’ausi-lio di data base interattivi che consen-tono la “visitazione” tramite immaginistoriche dei luoghi e un centro diascolto di interviste a persone anzianenell’idioma locale. In questa sezionetrova anche posto una parte archivisti-ca per la conservazione del materialepergamenaceo dell’archivio storicocomunale.Di grande effetto, a centro sala, unmodello tridimensionale del territoriodi La Valle Agordina completamentebianco e pressoché spoglio di informa-zioni, proprio per rendere l’esatta mor-fologia territoriale senza distorsioni. Tale modello fa da contraltare all’inno-vazione tecnologica rappresentata dallapresenza di due grandi monitor suiquali, con l’ausilio di grafica tridimen-sionale, scorrono in contemporanea fil-mati digitali a “volo d’uccello” deimedesimi luoghi, rappresentati in duediversi periodi: 1800 e 2000, consen-tendo l’esplorazione delle modificheintrodotte nel paesaggio nel corso didue secoli.E’ una operazione, che coinvolge inmodo particolare il visitatore e chetrova riscontro anche nella suggestivarappresentazione dell’ambiente monta-no effettuata nel “Museo delle Alpi”presso il Castello di Bard (Val d’Aosta),

rispetto al vivere in un determinatoluogo, in quanto posso vivere in unluogo e non avere senso di apparte-nenza ed identificazione con esso, maal contrario abitare un luogo significaessere in coerenza culturale con lostesso.Questo è il principio su cui si fonda laformazione di un luogo e a cui rispon-dono gli insediamenti storici che con-notano lo spazio dolomitico, cioè quel-lo di luoghi che fedelmente interpreta-no le risorse identitarie e culturali dellegenti di montagna.Tali considerazioni su paesaggio, archi-tettura, tradizione culturale e risorseidentitarie, luogo e coscienza sponta-nea, che sono il filo conduttore delprogetto museale, si ritrovano lungotutto il percorso del museo raccontatein modo innovativo con l’utilizzo ditecnologie digitali, rappresentazionitridimensionali di cartografie storiche edatabase interattivi, le quali si coniu-gano con i tradizionali modi di rappre-sentazione grafica presenti nel museo(disegni, mappe, poster, ecc.). II Museo analizza le caratteristiche delterritorio di La Valle Agordina, le rela-tive risorse e i conseguenti insedia-menti, non trascurando le relazionidell’ambito in esame con il contestocircostante, con particolare riferimentoal basso Agordino e allo Zoldano.Queste aree rappresentano la naturaleconterminazione, non solo geografica,per la Comunità di La Valle che sicaratterizza comunque per una spiccataautonomia. Emergono dalle ricercheforti legami con Zoldo e importantiimplicazioni con Valle Imperina, men-tre Agordo sembra aver acquisitoimportanza soprattutto in anni piùrecenti. Inoltre sembra che le comuni-cazioni est-ovest, lungo le antichedirettrici minerarie descritte tra gli altrida Edoardo Gellner e Tiziano De Col,abbiano effettivamente rappresentatoanche per il territorio di La Valle,soprattutto in epoche lontane, vie pre-ferenziali di sviluppo. Il Museo analiz-za il territorio citato e le relative tra-sformazioni dello stesso a partire dal1702, anno in cui una gigantesca frana(“boa”), in due momenti successivi,sconvolse la vallata distruggendo unafrazione e l’antica chiesa parrocchiale.Non mancano comunque richiami ad

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del Prof. Cervellati, potesse crearecondizioni di grande vantaggio perquei pochi privilegiati proprietari diaree rese edificabili. I contenuti di questa proposta eranoquindi ispirati alla costruzione diforme di pari trattamento tra tutti iproprietari di aree interessate da pro-cessi di trasformazione urbana. Si trat-tava in sostanza di una forma di pere-quazione che solitamente viene defini-ta perequazione immobiliare, proprioperché attenta principalmente a garan-tire valori immobiliari uniformi, ed aridurre la conflittualità derivante dalledifferenti destinazioni d’uso dei suolicontenuta nei piani.Per il raggiungimento di queste finali-tà, sotto il profilo più strettamenteoperativo, la proposta prevedeva di‘spalmare’ su tutte le aree oggetto ditrasformazione (sia quelle destinate anuova residenza, ma anche quelledestinate a servizi) una facoltà edifica-toria uniforme, attribuita attraverso unplafond (indice edificatorio fondiarioespresso in mc/mq), ottenuto dal rap-porto tra la nuova volumetria com-plessiva prevista dal Prg e la totalitàdelle aree impegnate dal piano in pro-cessi di trasformazione urbana.A seguito di una lunga e articolatariflessione durata più di tre anni, inConsiglio Comunale è tuttavia matura-ta la consapevolezza che questa moda-lità di applicazione della perequazionelasciava di fatto irrisolte due grandiquestioni: la prima legata ad una piùampia visione del principio di giustiziadistributiva e la seconda al reperimen-to delle risorse finanziarie necessarie

Considerazioni al modello di perequazione del nuovoPrgc di CataniaFilippo Gravagno*

In queste brevi note sono contenute,seppur sinteticamente, alcune conside-razioni in ordine alle modalità con cuiil principio della perequazione èimpiegato nell’ultima versione dellavariante di prg proposta dall’ammini-strazione comunale di Catania, facen-do rilevare come esse stravolgano icriteri ed il metodo adottato nella ste-sura dello schema di massima adottatoin Consiglio comunale nel 1999.A questo scopo va ricordato che lepolitiche perequative sono nate perridurre o annullare alcune ingiustizieche derivano dalle differenti scelte edai contenuti dei tradizionali strumen-ti di pianificazione nell’uso dei suoli edel territorio. E’ tuttavia opportunoprecisare anche che esistono tante edifferenti modalità e finalità di appli-cazione di principi perequativi, allequali corrispondono effetti, diretti eindiretti, di natura diversa. A secondadel modello perequativo adottato pos-siamo infatti produrre condizioni digiustizia per alcuni attori e soggettiinteressati dal piano, ma anche nuovee significative forme di ingiustizia e diesclusione.Per meglio comprendere alcuni pas-saggi e alcuni dei concetti dopoespressi è anche opportuno ricordareche a Catania il principio della pere-quazione è stato proposto nel 1995 daalcuni consiglieri comunali attraversouna integrazione alla originaria deli-bera sulle direttive di piano. Con que-sta delibera i consiglieri comunaliintendevano impedire che la ridottaprevisione di crescita urbana propostadal piano elaborato con la consulenza

salvare da sicura dispersione. La“banca oggetti” è stata completamenteinventariata e stoccata nella attualesoffitta del museo che, data la suaaccessibilità, potrebbe essa stessa, infuturo, completare gli spazi espositividel Museo di La Valle.

Enti e soggetti coinvolti

Comune di La Valle Agordina – ParcoNazionale Dolomiti Bellunesi con ilcontributo di: Ministero per i Beni e leAttività Culturali, Soprintendenza per iBeni Architettonici e per il Paesaggiodel Veneto Orientale e Archivio diStato di Venezia – Regione Veneto,Direzione Urbanistica – FondazioneBenettonCuratore Scientifico: architetto MarinoBaldinAllestimento: architetti Clelia (Lietta)Secco e Giuliana ZanellaDisegni: Marino Baldin, FabioCappelletti, Clelia (Lietta) Secco – Fotoattuali: Franco Alberti, Marino Baldin,Andrea Bonato, Fabio Cappelletti –Materiale etnografico: Silvio De Zorzi,Alcide Zas Friz – Plastico: AntonioVenturelli – Progetto e realizzazionemultimediale: Andrea Bonato e AndreaMancuso – Restauro: Stefania De Zorzi– Ricerca antropologica: SerenellaBergamini e Tatiana Zanette – Ricercastorica e toponomastica: Corrado DaRoit – Testi: Franco Alberti, MarinoBaldin, Serenella Bergamini, CorradoDa Roit – Verifica e sintesi del mate-riale grafico: Clelia (Lietta) Secco Progetto e realizzazione apparato gra-fico e didattico: berger+mondini comu-nicatori associatiHanno inoltre collaborato AlessioBrustolon, Tiziano De Col, EnricoVettorazzo e la Popolazione di La ValleAgordina per le foto storiche e il mate-riale etnografico

*Architetto progettista incaricato della realizzazionedel museo.*Dirigente del Servizio Pianificazione della DirezioneUrbanistica della Regione del Veneto.

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complessivo, l’effetto derivante dall’in-cremento del plafond previsto nell’at-tuale proposta di piano, rispetto aquello indicato dagli studi condotti dalCresme. Con il plafond proposto il tra-sferimento di risorse al pubblico deri-vanti dai processi di trasformazioneurbana riesce infatti a coprire quasiesclusivamente il fabbisogno prodottodalle nuove volumetrie riducendo dra-sticamente l’aliquota volta al soddisfa-cimento del gap pregresso di servizi.Anche questa stessa aliquota presentapoi, nell’attuale Prgc, una scarsa pos-sibilità di attuazione. La spropositataofferta di suoli edificatori, infatti, pro-durrà con molta probabilità la cadutaverticale del mercato immobiliarecatanese, facendo venir meno ogniinteresse economico e finanziario pergli imprenditori, soprattutto nelle areemarginali. Come conseguenza, le areerisorsa dei quartieri periferici trove-ranno grandi difficoltà di attuazione,mantenendo con ciò l’assenza di servi-zi proprio laddove se ne ha maggiorenecessità.Per meglio comprendere questo con-cetto è opportuno tenere presente chela superficie disponibile per insediare iservizi volti a coprire i deficit pregres-si laddove il plafond di edificabilità èpari a 0,5 mc/mq per ogni nuovo vanoè pari a circa 30 mq mentre essa siriduce a meno di 7 mq nel caso in cuiil plafond sale a 1 mc/mq.Resta così irrisolto il principale obiet-tivo del piano, che era legato al soddi-sfacimento dei fabbisogni di serviziindividuata - già nella delibera delledirettive di piano – come principalecausa della assenza di qualità urbananella nostra città.È pertanto priva di qualsiasi fonda-mento scientifico e tecnico la possibi-lità di poter rispondere, impiegando ilmodello perequativo proposto nel redi-gendo Prgc, al fabbisogno di servizi edi qualità posto dalla città: l’incre-mento della disponibilità di aree edifi-cabili non permette di migliorare ladotazione di servizi, ma anzi neaggrava la domanda e la fattibilitàfinanziaria.

sta di piano applica un modello pere-quativo che non solo ripropone loschema della perequazione immobilia-re (quindi in contrasto non solo conquanto già approvato con lo schemadi massima, ma soprattutto con quan-to emerso dalla complessa e articolatariflessione portata avanti in C.C. sinoal 1999 ), ma che soprattutto non offrerisposte convincenti ai problemi indi-viduati come prioritari per il pianodalle direttive generali ed in specialmodo quelli relativi alla carenza diservizi e standard in tutti i tessutidella periferia.Ciò che in particolare stravolge ilmodello precedente è legato, nell’at-tuale proposta di Prg, all’incrementoabnorme e privo di qualsiasi ragione-vole giustificazione di due fattori: ildimensionamento del piano che passadai 320.000 abitanti insediabili ainuovi 390.000 e del plafond edificato-rio assegnato alle aree risorsa che inalcuni casi risulta anche raddoppiato.La conseguenza diretta di tali incre-menti è la perdita di quasi tutti gli ele-menti di equilibrio, in primo luogofinanziario, che contraddistinguonol’impianto del precedente schema dimassima.L’aumento degli abitanti insediabili,ma anche il fatto che essi verrannoinsediati per la maggior parte in areeche presentano i caratteri delle Zoneterritoriali omogenee C (al contrario diquanto avveniva nello schema di mas-sima in cui la maggior parte delle areerisorsa ricadeva in zone A o B), nellequali devono essere previsti 18mq/abitante di servizi (non più i 9mq/abitante che erano sufficienti perle ZTO A e B), provoca una enormecrescita del fabbisogno di servizi.Questa è quantificabile in un incre-mento pari ad almeno il 40% rispettoa quello previsto nello schema di mas-sima. In termini finanziari ciò compor-ta in primo luogo che, a fronte dei1200 mld delle vecchie lire necessarieper la realizzazione dei servizi stimatedallo schema di massima e al nettodelle rivalutazioni e delle attualizza-zioni di questa stima, si debba preve-dere oggi per questa voce un incre-mento complessivo di 500-600 mlddelle vecchie lire.Ma ancora più pesante è, sul bilancio

per attuare le previsioni di piano. Inparticolare il Consiglio riconosceva,infatti in primo luogo la necessità diestendere parte dei vantaggi derivantidalle scelte di piano a tutta la città enon solo ai proprietari di suoli urbani;in secondo luogo, riconoscendo i limitidella finanza pubblica nella realizza-zione dei servizi previsti dal redigendoPrg cercava di ricavare dalla crescitaurbana parte delle risorse necessarie alrecupero del gap pregresso.Nella costruzione del modello di poli-tica perequativa adottato con lo sche-ma di massima (dove la perequazioneprende il nome di perequazioneurbana) si è pertanto cercato di porrel’attenzione sul trasferimento al pub-blico della maggiore parte possibiledelle risorse finanziarie derivanti dallescelte di piano, pur nel rispetto di tuttii limiti di legge derivanti da quei prin-cipi costituzionali che non permettonodi riconoscere alla proprietà un valoreinferiore a quello di esproprio. A talfine ed in coerenza con i risultati diuno studio redatto dall’Istituto diricerca CRESME, si prevedeva di asse-gnare alle aree risorsa interessate dainterventi di trasformazione urbana unplafond variabile da un minimo di0,15 mc/mq (per le aree più esterne)ad un massimo di 0,5-0,6 mc/mq (perle aree più centrali) in cambio dellacessione al pubblico di circa il 50%delle superfici di ciascuna area risorsa.Questa modalità di applicazione delprincipio della perequazione urbana,consente di allargare lo spazio dellagiustizia distributiva e di interveniresulla economia complessiva del piano,contribuendo al soddisfacimento diparte dei deficit di servizi e di stan-dard pregressi di cui soffre la città. Inparticolare, a fronte di un deficit diservizi corrispondente ad un impegnofinanziario pari ad almeno 1200 mlddelle vecchie lire (circa 650 mln dieuro), da questa politica perequativa loschema di massima prevedeva di recu-perare ben 300 mld di lire (circa 160mln di euro). (Rimaneva tuttavia undeficit di circa 900 mld delle vecchielire, che andava recuperato attraversol’Ici o altre forme di finanziamento etrasferimento di risorse pubbliche.)Da quanto appreso dai documenti sinoad oggi resi pubblici, la nuova propo-

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gli specifici e concreti fabbisogni loca-li, sia ad un consenso circa le scelte didettaglio da effettuare nell’ambito del-l’intelaiatura definita con il Puc. Tale approccio sarebbe particolarmenteutile, ad esempio, per decidere, rispettoad una serie di destinazioni generica-mente individuate come standard urba-nistici dal Puc, quale sia, invece, laspecifica attrezzatura o il particolarespazio pubblico da realizzare in undeterminato quartiere. La scelta potreb-be riguardare non solo la tipologiadello standard da realizzare, ma anchela forma di gestione dello stesso. Opportune forme di partecipazione,prevedendo anche specifiche figure difacilitatori, potrebbero essere di parti-colare utilità nell’accompagnare lacostituzione dei consorzi di proprietariai fini dell’attuazione dei comparti, dicui si sono rilevate delle oggettive econnaturate criticità nei meccanismiprocedurali di attuazione. D’altrocanto, inerzie e vertenzialità tra i pro-prietari non possono essere tutte supe-rate con il ricorso all’espropriazioneper pubblica utilità, vanificando l’ap-proccio perequativo e ponendo unserio problema quanto a risorse pub-bliche necessarie per gli interventi. Dei contributi di un idoneo e convintoapproccio partecipativo potrebbe util-mente beneficiare anche il regolamen-to edilizio e urbanistico comunale(Ruec), approvato unitamente al Puc,data la possibilità di un progressivoadeguamento dei contenuti di talestrumento che, essendo modificabile inConsiglio comunale, si presta ad esseredinamicamente verificato e aggiorna-

Il piano urbanistico comunale di SalernoRoberto Gerundo*, Isidoro Fasolino*

alla luce del nuovo piano, si candidanoa operare, a vario titolo, nella città diSalerno.E’ peraltro di fondamentale importan-za la valorizzazione delle professiona-lità e la partecipazione dei cittadini edelle Associazioni alla formazionedelle decisioni, allo scopo di favorirela migliore tutela degli interessi collet-tivi. Probabilmente, il percorso del Prg,prima, e del Puc, poi, dal 1992, epocadell’incarico, al 2007, anno in cui èapprovato, è avvenuto in un tempotroppo lungo per consentire di orga-nizzare forme di ascolto, partecipazio-ne e coinvolgimento attivo.Ma è evidente per Salerno l’assolutanecessità di andare oltre il dettato del-l’art.24 della Lr 16/2004, relativamentealla consultazione delle organizzazioni,per allinearsi alle realtà più avanzate,e in linea con i principi fondamentalidelle direttive europee, in materia digoverno del territorio. A tal fine, l’uffi-cio di piano dovrà mettere in campouna forma di partecipazione capillaree permanente, definendo un ruolo atti-vo per cittadini, Ordini professionali eAssociazioni, soggetti che vanno tuttipuntualmente individuati e coinvolti. Una partecipazione ampia e perma-nente, da organizzare, ad esempio,costituendo tavoli o laboratori locali,decentrati per circoscrizione o perquartiere, potrà utilmente concorrere aconferire maggiore efficacia ed effi-cienza al Puc. Tali forme di coinvolgimento potran-no, a avviso, consentire di perveniresia alla condivisione di quelli che sono

La Lr 16/2004 ha dato inizio inCampania a una nuova stagione per ilgoverno del territorio, introducendosignificative novità rispetto alla nor-mativa urbanistica precedente, a parti-re dalla riarticolazione e ridenomina-zione degli strumenti urbanistici comu-nali. Il Comune di Salerno è stato fra i primicomuni della regione a vedere appro-vato il proprio piano urbanistico comu-nale (Puc), pervenendo ad un nuovoquadro di regole, cui dovranno farseguito procedure rapide e tempi certiper l’attuazione. Si apre la impegnativa fase dellagestione di tale strumento e della veri-fica sul campo della sua impostazioneconcettuale e programmatica. L’Ordine degli Ingegneri dellaProvincia di Salerno ha seguito sindall’inizio i lavori di formazione delPuc di Salerno, rivolgendo prevalente-mente la propria attenzione allanecessità di garantire qualità nelle tra-sformazioni edilizie ed urbanistiche,allo stesso modo con cui, anche nellapresente fase, continua nella sua atti-vità di comprensione, approfondimen-to e divulgazione di tale innovativostrumento.L’Ordine ritiene di dover individuare,anche nello spirito di una utile colla-borazione istituzionale con il Comunedi Salerno, un momento di osservazio-ne sulle dinamiche attuative del Puc,con l’obiettivo di individuarne even-tuali limiti e carenze e migliorarnecontenuti e livelli prestazionali, nell’in-teresse dei cittadini, degli ingegneri edi tutti i soggetti che operano, o che,

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cretamente obiettivi di sostenibilità eordinato assetto del territorio. Rispetto a tutto quanto sopra, è evi-dente il ruolo che possono svolgeretutti gli Ordini professionali e leAssociazioni, ciascuno in base alleproprie competenze e vocazioni. Tuttigli Ordini sono coinvolti in quanto ilPuc, per sua natura, è strumento inter-disciplinare. Il ruolo che l’Università potrebbe averenel processo di attuazione del Puc diSalerno non può essere che quello diproporsi quale supporto tecnico-scien-tifico per l’approfondimento e lo svi-luppo, concettuale e metodologico, ditemi e questioni aperte, quali: la valu-tazione ambientale, la definizione didiverse modalità attuative del Puc, lamessa a punto degli atti di program-mazione, ecc., individuando percorsiper possibili soluzioni di criticità chela fase attuativa del Puc potrebbe faremergere. Di notevole utilità sarebbe l’apertura,su un’apposita pagina del sito web delComune di Salerno, di una casella diposta elettronica dedicata a osserva-zioni e quesiti sul Puc. L’utilizzo di unindirizzo mail sarebbe una modalitàsemplice e potente attraverso la qualetutti potranno contribuire alla costru-zione del destino urbanistico e allacrescita della città di Salerno.

*Università di Salerno.

to. Con il Ruec è, inoltre, possibileandare oltre il perseguimento dellaqualità puntuale, che avviene median-te la realizzazione di grandi opered’autore, come quelle in corso o giàprogrammate, in quanto strumentoorientato anche, o soprattutto, allaqualità diffusa delle trasformazioniedilizie ed urbanistiche. E alla qualitàdiffusa, secondo il concetto aziendaledi qualità, si fornisce una rispostaascoltando gli utenti di un determina-to bene o servizio, in questo caso i cit-tadini e gli altri fruitori della città.Non da meno, il Ruec dovrebbe occu-parsi di disciplinare anche le formeautorizzative derogatorie, quali, adesempio, quelle inerenti all’ex art.5 delDpr 447/1998. Con riferimento all’incremento resi-denziale complessivo previsto dal Puc,la quota del 40% che esso riservaall’Edilizia residenziale pubblica appa-re apodittica. Alla luce delle nuoveproposte circa le politiche per la casa,che vedono nell’Edilizia residenzialesociale una nuova forma di vero eproprio standard urbanistico per ilfuturo, anche per il Puc di Salerno, leforme di ascolto strutturato dovrannoessere in grado di intercettare ladomanda reale di alloggi, che si formasulla base di specifiche esigenze (sin-gle, anziani, studenti, giovani coppie),cui dare una risposta mirata, evitandodi demandare tutto al mercato. Occorre, probabilmente, recuperare undeficit di partecipazione anche perquanto concerne la valutazioneambientale, in vista della sua previstariformulazione. Essa è stata certamen-te redatta con scrupolo e attenzione,in una condizione di incertezza quan-to ad indirizzi e metodologia in meri-to, ma è carente di un aspetto fonda-mentale, con riferimento al dettatodella Direttiva europea 2001/42/Ce chela introduce e al suo recepimento nel-l’ordinamento nazionale con il Dlgs152/2006, che è proprio quello dellapartecipazione integrata, cioè relativaall’intero iter di formazione e attuazio-ne dello strumento urbanistico. Nellafase di monitoraggio del Puc si potràpensare di recuperare tale deficit.Tanto, anche ai fini di non rendere laVas un mero adempimento burocrati-co, ma con l’intento di perseguire con-

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TEMI DELLE SEZIONI PRINCIPALI

Editoriale (P. Avarello).

Sezione Problemi, politiche, ricercheCentri storici minori: i percorsi dellavalorizzazione (a cura di M. Ricci).Interventi di R. Lazzaretti, G. Biallo,Roberto Fiorentino, G. Agusto, C. Mat-togno, P. L. Cannas, M. Melis, A.Abate, R. Argento, I. Rossi.

Sezione Progetti e realizzazioniSan Benedetto del Tronto e il Prg:una scelta una sfida (a cura di P. Bel-lagamba). Interventi di L. Caimani, F.Panzini, R. Angelici.

Il piano strutturale di Grosseto e lamemoria della pianificazione (a curadi P. Scattoni). Interventi di M. Martel-lini, M. Nencioni, G. Tomassoni, M. DeBianchi, M. Migliorini, P. Sacconi, L.Carbonara, L. Gracili, P. Pettini, C.A.Garzonio, L. Favali, M. F. Morini, C.Salvestroni, M. Ricci.

Sezione Profili e praticheIl premio Urbanistica (a cura di V.Cosmi). Presentazione P. Avarello.Interventi di M. Cavallaro, S.Steffilon-go, E. Piacentini, A. M. Soulié, L.Panizzi, F. Saraci, F. Zuliani, R. Bar-bieri, O. Niglio, M. Barducci, R. Caval-lucci.

Sezione Metodi e strumentiI conflitti nel territorio delle reti (E.Zanchini). Lo sviluppo locale in terri-tori fragili (F. Governa e G. Pasqui).Compensazione ecologica preventivaper un “nuovo” governo del territorio(P. Pileri). La pianificazione comeproblema (F. Ventura).

N. 133 (maggio - luglio 2007) Rivista quadrimestralePagine 144, illustrazioni b/n e colori, € 27Abbonamento annuale (tre fascicoli) € 68

PER INFORMAZIONI:INU EDIZIONI, PIAZZA FARNESE 44 – 00186 ROMATel. 06-68195562, Fax 06-68214773Mailto: [email protected]

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nio edilizio esistente attraverso program-mi di recupero e riqualificazione; insecondo luogo, la sostenibilità è affron-tata nella sua accezione ecologica: inrelazione alle recenti normative in mate-ria energetica, anche la pianificazioneurbanistica e il governo del territoriosaranno sempre più coinvolti nel perse-guimento degli obiettivi di risparmioenergetico e tutela ambientale.Come sottolineano le esperienze presen-tate dalla Provincia di Pesaro e Urbino edalla Provincia di Savona, è di primariaimportanza la condivisione delle lineestrategiche di sviluppo da parte di tutti isoggetti coinvolti nella pianificazione: lapubblica amministrazione, gli attori pri-vati che operano nel territorio, i cittadi-ni, ecc. Il percorso partecipativo, dunque,assume un ruolo rilevante e articolato supiù livelli. Innanzitutto il dialogo tral’intera comunità – articolata in cittadiniresidenti e rappresentanti delle categorieeconomiche – e le istituzioni pubblicheporta ad un processo di progressivaresponsabilizzazione della cittadinanzanelle scelte intraprese; in secondo luogola concertazione risulta essere necessariatra i differenti livelli di governo, così dacreare una cooperazione tra gli entilocali coinvolti e le aziende pubblicheper il raggiungimento di uno svilupposinergico.Uno degli obiettivi dei processi di con-certazione risiede nella definizione dialcune “visioni” sulla città futura. Lapianificazione strategica ha la funzionedi coordinare gli attori per il raggiungi-mento delle previsioni di sviluppo urba-no e territoriale e per l’attuazionecoerente dei singoli progetti di trasfor-

Urbanpromo 2007: le tematiche dell’edizione 2007Valentina Cosmi*

li della manifestazione, sia per la suaattualità che per il numero di casi pre-sentati. Questo tema è iluustrato adUrbanpromo nella sua accezione piùampia che non si limita al PianoStrategico come strumento di program-mazione volontario, ma prende in consi-derazione tutti i piani o programmi che,introdotti dalle recenti leggi urbanisticheregionali, contengono delle linee d’indi-rizzo alla programmazione in grado diproporre uno sviluppo urbano e territo-riale in chiave strategica. L’esperienza della pianificazione strategi-ca coinvolge realtà territoriali moltodiverse tra loro, come dimostrano inumerosi casi presentati alla mostra e aiconvegni: in genere riguarda realtà terri-toriali di area vasta come province,regioni o città metropolitane che neces-sitano di linee d’indirizzo definite peruno sviluppo coerente delle singole pro-poste progettuali, ma può riguardareanche il comune di piccole o mediedimensioni che trova nel PianoStrategico un’occasione per accrescere lapropria competitività nel territorio. Purnella eterogeneità delle esperienze illu-strate e dei soggetti coinvolti, è possibileindividuare aspirazioni e indirizzi comu-ni che avvicinano le proposte presentate.Un ruolo centrale nell’ambito di nuovipercorsi di governo delle città e del terri-torio è assegnato al concetto di sosteni-bilità, nelle sue molteplici accezioni. Inprimo luogo, la sostenibilità è declinatacome uso delle risorse esistenti, sia intermini di patrimonio naturalistico chestorico- architettonico, con progettiattenti a limitare il consumo incondizio-nato del suolo e a rivalutare il patrimo-

Urbanpromo è giunto quest’anno allasua quarta edizione, affermando all’in-terno del panorama delle manifestazionisimilari, un proprio ruolo distintivo. Lamanifestazione si conferma, anno dopoanno, la principale vetrina nazionale deiprogetti di trasformazione urbana pro-grammati o realizzati non solo nelle cittàmetropolitane o in ambiti d’intervento diampia scala quali province o regioni maanche in comuni di medie dimensioni.Nei quattro giorni della manifestazione isingoli progetti sono messi a confronto:si discutono e si analizzano i punti diforza e di debolezza, i processi virtuosiinnescati e talvolta anche gli sviluppimancati di cui ogni esperienza è porta-trice. I soggetti chiamati ad interveniresono molteplici e conferiscono allamanifestazione una natura pluridiscipli-nare: gli aspetti progettuali si intreccianocon gli argomenti di carattere ammini-strativo e con le valenze proprie degliinvestimenti immobiliari.Per l’edizione 2007 sono stati individuaticinque filoni tematici particolarmenterappresentativi delle tendenze in atto inambito urbanistico: pianificazione strate-gica, progetti in partenariato pubblico-privato, marketing territoriale, real esta-te, trasporti e mobilità. I cinque temi cherappresentano il filo conduttore dell’edi-zione 2007 saranno, da un lato, esami-nati e argomentati all’interno dei nume-rosi convegni che animeranno le quattrogiornate di manifestazione, dall’altro,documentati dai progetti esposti nellediverse sezioni della mostra.La pianificazione strategica, apparsa conalcune prime esperienze dell’edizione2006, rappresenta uno dei temi principa-

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è strumento d’ambito specifico in gradodi divenire occasione di definizione diun quadro strategico per lo sviluppo diprogetti e di politiche urbane legato, inparte, all’insediamento di nuove attivitàimprenditoriali.Nella sezione real estate, si segnala lapresentazione in anteprima del Puv -Piano unitario di valorizzazione – daparte dell’Agenzia del Demanio e delComune di Bologna: si tratta di unnuovo strumento operativo introdottodalla finanziaria 2007 che consente lariqualificazione e rifunzionalizzazione diaree e fabbricati di rilievo strategico, ori-ginariamente attinenti al ramo dellaDifesa e ora transitati nel patrimonioimmobiliare pubblico.Nella sezione riguardante i progetti inpartenariato pubblico-privato, spiccanotre realtà del nostro paese che hanno

tegico grandi aree industriali dismesseche aumentano l’attrattività del territoriograzie all’insediamento di centri per laricerca e produzioni qualificate, e grazieall’integrazione tra formazione, ricerca erealizzazione. Nella definizione degliscenari evolutivi della città contempora-nea è essenziale l’inserimento di funzionid’eccellenza fortemente integrate tra loroquali gli spazi destinati alla didatticauniversitaria e alla ricerca scientifica,con i luoghi per l’insediamento di attivi-tà imprenditoriali innovative.Parallelamente, parte della sezione riser-vata al marketing territoriale è dedicataalle esperienze di organizzazione di cen-tri commerciali naturali, come formazio-ne di un sistema di offerta di beni e ser-vizi tipologicamente differenziato neltessuto urbano. Il Pcs – Piano del centrostorico – presentato dal Comune di Forlì

mazione programmati. Le previsioni disviluppo di una città sono strettamenteconnesse alle attività economiche che visono insediate: i piani e i progetti pre-sentati ad Urbanpromo 2007 pongonol’accento su questa problematica indivi-duando nelle attività ad alto contenutotecnologico il motore per innescare pro-cessi di valorizzazione e di capacitàcompetitiva nel territorio. Il Comune diVenezia prevede nel proprio piano stra-tegico politiche a favore di attività pro-duttive di tipo innovativo: il Comunepresenta quattro progetti localizzatilungo il waterfront urbano che si carat-terizzano per l’insediamento di nuoveimprese, di spazi per la ricerca, di fun-zioni direzionali o ancora di attività cul-turali e ricreative. Una seconda cittàmetropolitana del nord Italia, la città diTorino, individua nel proprio piano stra-

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Figura 1: Programma Unitario di Valorizzazione presentato dall’Agenzia del demanio e dal Comune di Bologna

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sentati dai tre operatori privati dell’areanapoletana illustrano la realizzazione diopere pubbliche – un grande spazio perspettacoli al coperto, un primo comples-so sportivo con campi da tennis, unsecondo complesso sportivo per attivitàal coperto e all’aria aperta – con l’ausiliodi una disciplina urbanistica che consen-te la realizzazione dell’opera pubblica daparte di operatori privati mediante la sti-pula di una convenzione che regolamen-ti l’uso dell’opera realizzata.Un terzo gruppo di progetti caratterizzatida forme partenariali – generalmentepubblico/pubblico, ma talvolta anchepubblico/privato – è costituto delle ini-ziative realizzate con il finanziamentodelle Fondazioni Bancarie. Un’ampiasezione dei progetti delle Fondazionibancarie è stata protagonista adUrbanpromo 2006; quest’anno la loropresenza si consolida mediante l’esposi-zione di progetti in cui il ruolo di questorecente soggetto istituzionale, operantedal 1998, si distingue da quelli tradizio-nalmente coinvolti nel processo di riqua-lificazione urbana. Se il percorso auto-rizzativo è gestito dai Comuni e il per-corso progettuale è prerogativa deglistudi di progettazione e società di inge-gneria, le Fondazioni, sulla base dellostatuto che le regolamenta, si fanno pro-motrici di progetti con forti valenzesociali, come nel caso dell’housingsociale, o culturali, come nella riqualifi-cazione del patrimonio storico-architet-tonico.

attento delle funzioni previste e inter-connesse. Filo conduttore degli strumentiurbanistici a diversa scala è il migliora-mento della qualità della vita di coloroche interagiscono con l’area milanese inquanto residenti o lavoratori nella zona.Elevare gli standard qualitativi di vitasignifica aumentare la competitivitàdelle attività produttive, della ricerca, delsettore terziario e direzionale, e accresce-re l’attrattività dei quartieri residenziali.La presenza dei soggetti privati, parallelaa quella dei soggetti istituzionali, dimo-stra come i piani presentati dai soggettiistituzionali (Comune e Provincia) si tra-ducano nella realtà in una serie di pro-getti concreti. I progetti dei developerimmobiliari presenti ad Urbanpromo,infatti, concretizzano gli obiettivi dellapianificazione con la definizione dinuovi quartieri residenziali e produttivi,dove la qualità della vita è ricercatamediante una forte attenzione alla pre-senza del verde e il notevole incrementodi servizi alla persona.Una seconda famiglia di progetti in par-tenariato pubblico-privato è presentatadal Comune di Napoli e da tre soggettiprivati che operano nell’area napoletana.La peculiarità dei casi presentati da que-sti soggetti risiede nell’oggetto dell’inter-vento: attrezzature ad uso pubblico.Molto spesso l’esperienza dimostra comele Amministrazioni pubbliche nonriescano a soddisfare la previsione delleopere pubbliche indicate nei documentidi programmazione comunale a causadella mancanza di fondi. I progetti pre-

fatto della collaborazione tra soggettiistituzionali e attori privati un’occasioneper il conseguimento degli obiettivicomuni – benefici sociali per la pubblicaamministrazione e benefici economiciper gli imprenditori – in un arco tempo-rale ridotto.Una prima realtà è rappresentata daSistema Milano, partnership fra attoripubblici e privati dell’area milanese,coordinata da OSMI - Borsa Immobiliare.La partecipazione del Sistema Milano èfunzionale ad illustrare gli ingenti pro-cessi di trasformazione urbana innescatiall’interno dell’area milanese, benefician-do da un lato della posizione strategicadel capoluogo lombardo dal punto divista infrastrutturale, dall’altro dellacapacità di attivare processi di riuso diaree urbane centrali, le cui funzionierano divenute obsolete, con progettiarchitettonici ed urbanistici di qualità. Lacompresenza nella manifestazione diattori sia pubblici che privati enfatizza ilruolo svolto da ognuno di essi all’inter-no del processo di trasformazione di unagrande città. Il Comune e la Provincia,infatti, illustrano, mediante la presenta-zione di strumenti urbanistici di nuovagenerazione, i temi centrali per la buonariuscita dei processi in atto. Dal punto divista del governo della città, risulta diprimaria importanza uno sviluppo diret-to verso un sistema policentrico, chenecessità da un lato di una rete dellamobilità diffusa e differenziata in rela-zione ai modi d’uso (mobilità lenta emobilità veloce), dall’altro di uno studio

Figura 3: Progetto per la casa della musica e degli spettacoli, realizzato da Palaponticelli Srl su progetto di corvino+multari

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la maggior parte delle quali sequestra-ta, torturata, uccisa e, a volte, privatadei figli e dei beni.In questi ultimi trenta anni, le numero-se associazioni nate con lo scopo didenunciare i crimini di lesa umanitàimputati alla giunta militare hannoscelto l’intervento nella città fisicacome strumento principale di lotta. Lacostruzione di una memoria collettivamette inoltre al centro della storiarecente il dramma dei desaparecidos edelle loro famiglie; stigmatizza inoltreuna politica economica violenta edescludente che mostra oggi le sue con-seguenze.La marcia del giovedì pomeriggio delleMadri in Piazza di Maggio e le parteci-pate manifestazioni che riunisconotutti i movimenti in difesa dei dirittiumani non sono le uniche forme diappropriazione dello spazio pubblico.Le pratiche relative di memoria urbanasono state messe in atto dalla societàcivile per tenere alta l’attenzione ditutta l’opinione pubblica su criminiche, nonostante il ritorno delle istitu-zioni democratiche, non hanno maitrovato una piena giustizia.

a cura di Marco Cremaschi

Spazi (des)aparecidosClaudia Gatti

Buenos Aires: Piazza di Maggio èfamosa in tutto il mondo più per laMadri che da 30 anni denunciano lascomparsa dei loro figli, che non per leadunate storiche di Peròn. Le madri dicoloro che successivamente verrannoindicati come desaparecidos, iniziaronoa denunciare le azioni della giuntamilitare già nei mesi immediatamentesuccessivi all’instaurazione del regime,attraverso l’appropriazione pacifica ecostante della piazza da sempre simbo-lo del potere: la Piazza di Maggio. Nel 2003 la Legge n.1128 del Governodella Città Autonoma di Buenos Airesha intitolato degli spazi verdi alleMadri di Piazza di Maggio; e la Leggen.1653 del 2005 ha dichiarato, “SitoStorico” della città lo spazio attornoalla piramide di Piazza di Maggio incui sono disegnati i fazzoletti bianchisimbolo delle Madri. Questa tappa èsolo l’esito di un processo lungo ecomplesso che parte dalla società civilee arriva a coinvolgere le istituzioni.

Pratiche di memoria urbana

La parte di storia che attualmente leistituzioni hanno accettato di includerenella memoria urbana di Buenos Airesriguarda il Terrorismo di Stato perpe-trato durante la dittatura militare auto-denominatasi “Processo diRiorganizzazione Nazionale”, che hadetenuto il potere tra il 1976 ed il1983. Terrorismo di Stato che ha signi-ficato la scomparsa di 30.000 persone,

Che Buenos Aires racconti; che lasocietà ricordi… Questo il programmadi recupero degli spazi-caserme,magazzini…- che la dittatura hausato negli anni Settanta -un periododi grandi scontri sociali e grandisperanze di rinnovo- per far sparire‘la meglio gioventù’ del paese. Lacapitale è città di un argentino sutre, ma è la memoria collettiva dellanazione intera, quella nazionecelebrata dalle vie intitolate ai padrifondatori, ai presidenti, ma anche agenerali e colonnelli golpisti. La nazione si mostra magnifica emaestosa al turismo internazionale,rispolverando i tesori di famiglia: ilCabildo, la Casa Rosada, il TeatroColón e sfoggiandone di nuovi,Puerto Madero in primis. Una nazione che lentamente e conmolta fatica sta iniziando a fare iconti con un passato forse tropporecente, un passato che qualcunovorrebbe definitivamente rimosso, mache invece è ancora molto presentenella mente e nel corpo di uomini edonne che con determinazione, datrenta anni, lo rendono presente allamemoria collettiva scavando,recuperando, sottolineando le tracceche ha lasciato nella città fisica.

Buenos Aires

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che negli ultimi 30 anni hanno costan-temente denunciato i crimini di lesaumanità della giunta militare, da seipersonalità con un importante e rico-nosciuto percorso di lotta per la difesadei diritti umani e da una rappresen-tanza del Governo e del Parlamento diBuenos Aires. La Legge n. 961/2002 istituisce lo IEMcome “ente autarchico dal punto divista economico e finanziario e conautonomia nei temi di sua incomben-za”: ciò significa che gli organismi deidiritti umani hanno piena libertà suicontenuti e sulle modalità di trasmis-sione, anche se la realizzazione delleattività dipende dall’approvazione delbilancio da parte del Governo dellaCittà. Lo IEM rappresenta, per gli orga-nismi dei diritti umani, la conquista diuno spazio di interrelazione e comuni-cazione tra società civile e Stato.Nonostante gli organismi riconoscanoche una specifica congiuntura politicaabbia favorito la nascita dello IEM, allostesso tempo dichiarano che nessuncambiamento politico potrebbe metterea repentaglio l’esistenza stessa dell’IEM,per il grado di coscientizzazione rag-giunto dalla società argentina rispettoalla tematica in questione. Gli organismi per i diritti umani sonoriusciti a inserire nel concetto di“Memoria del Terrorismo di Stato” nonsolo i crimini di lesa umanità commes-si, ma anche gli antecedenti della stra-tegia della tensione e le conseguenzesociali ed economiche. Gli organismi rifiutano la definizione di“Museo per la Memoria” e pretendonoche lo IEM sia uno “Spazio per laMemoria”. Luogo in cui si possano dis-cutere e mettere in questione anche leconseguenze attuali della strategia delterrore. Un luogo in cui la riflessionesul passato sia di stimolo alla criticadel presente. In questo caso la richiestadi “Giustizia Legale”, la condanna deirepressori, si lega al concetto di“Giustizia Sociale”, la diminuzione deldivario socio-economico che caratteriz-za l’Argentina attuale, ritenuto frutto diuna politica economica per attuare laquale sono state fatte scomparire30.000 persone. I desaparecidos di que-sta decade sarebbero quindi i milioni dipoveri ed indigenti argentini, la cuicondizione l’Istituto si promuove di

zione dei desaparecidos che vivevano olavoravano nel quartiere in questione.Al lavoro di ricerca segue un interven-to di trasmissione della memoria che èallo stesso tempo economico ed imme-diato: nei marciapiedi, in corrispon-denza dell’abitazione deidesaparecidos, vengono inserite delletarghe in cui viene riportato nome,cognome e data del sequestro, nonchél’attività svolta dalla persona, suppo-stamente causa del sequestro, spessosintetizzata in “militante popolare”. Questi comitati sono oggi riuniti sottoil “Coordinamento dei Quartieri per laVerità e la Giustizia” il cui proposito èrendere evidente come il genocidioabbia colpito ciascuna strada, ciascunacasa: le targhe vogliono simboleggiarele orme lasciate dai propri vicini, affin-ché essi e le loro idee non venganodimenticati.

Una città che ricorda

Nel 2002 la città autonoma di BuenosAires, di fronte alle denuncie dei crimi-ni commessi dal terrorismo di stato, haassunto formalmente il compito diattuare una politica di trasmissionedella memoria di tali crimini, attraversol’istituzione dell’Istituto Spazio per laMemoria (IEM – Instituto Espacio parala Memoria). Lo IEM é composto da 12 organismi

Addirittura, la legge del 1985 cono-sciuta come “Punto finale”, quella del1986 conosciuta come “ObbedienzaDovuta”, e l’indulto del 1989 hannorichiesto un nuovo impegno nella lottaall’oblio portata avanti dagli organismiper la difesa dei diritti umani, in quan-to prevedevano e prevedono l’impunitàdella maggior parte degli imputati per icrimini commessi durante la dittatura.Una delle modalità più innovative diappropriazione dello spazio è l’escra-che (smascheramento), messo in attodall’associazione H.I.J.O.S. (dove l’acro-nimo sta per Figli e Figlie per l’Identitàe la Giustizia contro l’Oblio e ilSilenzio), fondata nel 1995 da figli didesaparecidos (e non), che ha l’obietti-vo di denunciare pubblicamente, sma-scherare appunto, i militari non ancoraprocessati ed i loro complici. L’escracheconsiste nel segnalare pubblicamentela casa presso la quale risiede l’“impu-nito”, attraverso una manifestazionerumorosa ed improvvisa che ne sma-schera e rivela l’identità ed i criminicommessi con slogan, cartelloni escritte sui muri. Si tratta di un’azionetemporanea ma che, grazie all’intensitàdell’intervento, riesce ad ottenere ungrande effetto comunicativo.Diversi comitati di quartiere o vicinatohanno da tempo iniziato un lavoro diricerca che ha portato alla ricostruzio-ne di storie locali, ossia all’individua-

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Il recupero dei CDC

Il recupero dei Centri di DetenzioneClandestini (CDC) é sicuramente l’inter-vento di maggiore impatto nella cittàfisica, ed è uno degli esempi più chiaridella dinamica tra pratiche e politicheprecedentemente menzionata. Se si pensa che nella Capitale Federale iCDC accertati sono 45, si può benimmaginare il tipo di impatto che talerecupero può avere sulla memoria urba-na. I lavori di ricerca sui CDC sono statisolitamente intrapresi da gruppi disopravvissuti o di familiari di desapare-cidos o da gente del quartiere che senti-va l’esigenza di riappropriarsi di unastoria al tempo stesso personale, localee nazionale. Ai lavori di ricerca ed indi-viduazione dei CDC sono seguite mani-festazioni ed interventi locali (colloca-zione di cartelli, scritte sui muri, mura-les) con lo scopo di denunciare cosafosse accaduto in quel luogo durante ladittatura militare. Trattandosi di localidi natura privata (case, magazzini, ecc.)e pubblica (commissariati, caserme, ecc.)degli interventi più “radicali” nonsarebbero stati praticabili dagli organi-smi dei diritti umani: la strada dellarichiesta dell’esproprio rimaneva l’unicaalternativa possibile. Questo é stato ilpercorso che ha portato all’emanazionedelle leggi precedentemente citate che

Le pratiche si riproducono: oggi ci tro-viamo di fronte alla posizione di targheche ricordano i morti dell’insurrezionepopolare del 19 e 20 dicembre 2001.Non solo, nell’aprile 2007, laCommissione per la Memoria e laGiustizia della Paternal e Villa Mitredenuncia la distruzione di una targa inmemoria del dicembre 2001 e di unmurales realizzato dall’Assemblea diVilla Mitre e Santa Rita nel 2002 daparte dell’impresa che ha realizzato laristrutturazione della piazza. Denunciala loro distruzione, e annuncia chesono già partiti i lavori di ricostruzionedi entrambe le opere perché “questifatti costituiscono un colpo alla memo-ria del nostro quartiere”.

denunciare. La politica sulla memoriadel Governo della Città di Buenos Airesè frutto della capacità di imporre lamemoria del Terrorismo di Stato come“problema pubblico” attraverso anni dilotta e di denuncie. E poi il risultato diuna serie di pratiche che hanno trasfor-mato (quello che voleva essere relegatoa problema personale ) la desaparición,la tortura, a problema dell’intera socie-tà argentina. Un gran numero di leggi mostra l’effet-to delle pratiche sulle politiche. Lo IEMpromuove il recupero dei “siti dellamemoria” accompagnando e coordi-nando iniziative e interventi esistenti,portati avanti da anni dai differentiorganismi che lo compongono.

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Clandestino durante tutta la dittatura. E’sicuramente il CDC più rappresentativoper il numero di sequestrati (circa5.000), e per l’imponenza del complessoedilizio (comprende 35 edifici) che inqualche modo simboleggia il poteredetenuto dalla Marina Militare durantela dittatura. Proprio per l’importanzarivestita dall’edificio e per l’ampiezzadella struttura, il processo decisionaleriguardante le funzioni da collocarvi ela maniera in cui amministrarle é com-plesso e dall’esito tuttora incerto. In linea con la filosofia generale diintervento, gli edifici in cui erano rin-chiusi i detenuti verranno conservaticosì come sono.IIll CClluubb AAttllééttiiccoo rappresenta oggi l’unicoesempio di CDC di cui è possibile recupe-rare le strutture originarie degli anni 70.Il CDC ha funzionato tra il febbraio ed ildicembre 1977 nel piano interrato di unedificio di tre piani del principio del XX

hanno dichiarato tali luoghi “SitiStorici” e ne hanno disposto l’esproprioquando necessario. Per ognuno di questiCDC è stata costituita una Commissionedi Lavoro e Consenso, composta gene-ralmente dagli Organismi dei dirittiumani, da sopravvissuti e familiari didesaparecidos del CDC in questione, daComitati di quartiere e da rappresentan-ti del Governo della Città. Ogni com-missione prende autonomamente ledecisioni riguardanti gli interventimateriali nel CDC e le iniziative dasvolgervi; e non vi è un coordinamentostabile tra le commissioni, se non nel

caso dell’organizzazione di eventi speci-fici. Quello che tutte condividono é la lineagenerale di intervento sulle strutturefisiche dei CDC: preservare le strutturecosì come sono attraverso interventi direstauro e consolidamento, collocandoaltrove gli ambienti e le notizie di ciòche in tali strutture si è verificato.Tra i CDC recuperati se ne distaccanotre:LLaa EESSMMAA (Scuola di Meccanicadell’Armata) rappresenta l’emblema delTerrorismo di Stato dato che ha funzio-nato come Centro di Detenzione

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Le iniziative di recupero di C.G.

Per quanto riguarda i compiti attribuiti per legge allo IEM, specificati nell’articolo3 della Legge n. 961/2002, è da sottolineare che il “comma c” parla esplicitamen-te di intervento nella città fisica: “Recuperare gli edifici o i luoghi nella città in cuiabbiano funzionato Centri di Detenzione Clandestini o siano successi altri avveni-menti emblematici dell’epoca, promuovendo la loro integrazione alla memoriaurbana”.Anche prima del 2002 erano state emanate delle leggi che, pur non essendo inte-grate in un’unica politica, promuovevano la memoria urbana:- Legge n. 46/98 – Istituisce, lungo la fascia costiera del Río de la Plata, il Parcodella Memoria che ricorda i desaparecidos con monumenti ed opere d’arte.- Legge n. 392/00 – Sancisce la restituzione alla Città di Buenos Aires del com-plesso di edifici in cui ha funzionato la Scuola di Meccanica dell’Armata dellaMarina Militare (ESMA) -uno dei più grandi Centri di Detenzione Clandestini, ossiadei luoghi in cui i repressori detenevano e torturavano i sequestrati - e lo destinaa “Museo della Memoria”.Precedente al 2002 è anche l’attribuzione di nomi di desaparecidos ad edifici sco-lastici: Rodolfo Walsh, María Claudia Falcone, Maestro Eduardo Luis Vicente,Carlos Alberto Carranza.Possono invece considerarsi integrate nella politica di trasmissione della memoriaurbana, e frutto del maggior dialogo tra Governo della Città di Buenos Aires eorganismi dei diritti umani, le leggi riferite specificamente al recupero e valoriz-zazione dei luoghi in cui hanno funzionato i Centri di Detenzione Clandestini:- Legge n. 1197/03 – Dichiara Sito Storico della Città di Buenos Aires l’edificio incui funzionò il Centro di Detenzione Clandestino “El Olimpo”.- Legge n. 1454/04 – Dichiara di utilità pubblica e soggetto ad esproprio l’edificioin cui funzionò il Centro di Detenzione Clandestino “Virrey Cevallos”.- Legge n. 1794/05 – Dichiara Sito Storico i resti archeologici del Centro diDetenzione Clandestino “Club Atlético”, anche se gli scavi erano già iniziati nel2002 e nel 2003 un decreto del Capo di Governo aveva già istituito il “Programmadi Recupero della Memoria del Centro di Detenzione Clandestino Club Atlético”.- Legge n. 2111/06 – La Città di Buenos Aires dona al municipio di Morón dei ter-reni di sua proprietà che saranno destinati agli scavi archeologici nei luoghi in cuifunzionò il Centro di Detenzione Clandestino “Atila”, alla costruzione di un parcosportivo “Gorki Grana” e alla preservazione dello spazio occupato dalla “Casa dellaMemoria e della Vita”.- Legge n. 2112/06 – Dichiara di utilità pubblica e soggetto ad esproprio l’edificioin cui funzionò il Centro di Detenzione Clandestino “Automotores Orletti” e che fubase operativa del “Plan Condor”.

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volta smantellato il CDC. Attualmente illavoro di recupero delle tracce architetto-niche ha permesso di individuare il setto-re smantellato, costituito da 4 file di 10celle separate da un corridoio, latrine,docce ed un lavatoio. Nell’altra sezionedell’edificio, denominta settore degli“incomunicati” erano presenti 6 celle chedavano sulla strada ed una sala di tortu-ra; il settore centrale era riservato ai tor-turatori. Questa parte dell’edificio non éancora accessibile al pubblico; nellerestanti strutture sono invece presenti gliuffici della Commissione e si stanno ulti-mando i lavori di quella che sarà unabiblioteca specializzata in Diritti Umani eche ospiterá una sezione di libri proibitidurante la dittatura. Nelle pareti esternedell’edificio verranno realizzati dei mura-les scelti attraverso un concorso banditonelle scuole di arte. Nell’enorme spaziocoperto da tetto in lamina, vengono rea-lizzate iniziative come conferenze oproiezioni video.

BibliotecaA.A.V.V., 2006: Un Espacio para la Memoria- MemoriaAnual 2006, Instituto Espacio para la Memoria, BuenosAires.A.A.V.V., 2007: Cuadernos de la Memoria- 1. LEYES.Principales Instrumentos Legales sobre DerechosHumanos y Memoria, Instituto Espacio para laMemoria, Buenos Aires.Ass. Progetto Sur, Ass. Fotografi Senza Frontiere,H.I.J.O.S., 2007: spazi (des)aparecidos. Argentina.Edizioni dell’Arco, Bologna.

www.institutomemoria.org.arwww.barrioymemoria.blogspot.com/

Club Atlético verrà ospitato in un edifi-cio che verrà costruito al lato del CDC.Di fronte al sito invece, è in via di ulti-mazione la costruzione della Piazza dellaMemoria che verrà inaugurata il 22 ago-sto. Nella piazza è prevista l’ubicazionedi un altro edificio dedicato alla spiega-zione del Terrorismo di Stato in generale,ai suoi precedenti così come alle sueconseguenze. LL’’OOlliimmppoo, a differenza degli altri CDC, éstato costruito appositamente per essereutilizzato come Centro di DetenzioneClandestino ed ha funzionato tra l’agosto1978 ed il gennaio 1979. Quello che siconosce come “Olimpo” faceva parte delun circuito “Club Atlético- Banco-Olimpo”, ossia si tratta di una strutturacostruita all’interno di quelli che eranogli ampi spazi della Divisione Automotoridella Polizia Federale per “ospitare” idetenuti provenienti dal CDC Banco chea sua volta ospitava quelli provenientidallo smantellato Club Atlético. Nel giu-gno 2005 l’edificio è stato trasferito dallaNazione al Governo Autonomo dellaCittá di Buenos Aires e, grazie alle conti-nue manifestazioni della Commissione,viene trasferito il presidio di poliziaancora presente è stato spostato altrove.La Commissione sta portando avanti,parallelamente al lavoro di ricerche stori-che, un lavoro di rilievo archeologico edarchitettonico delle strutture fisiche delCDC, infatti il settore in cui venivanoreclusi i sequestrati, venne distrutto, una

secolo che apparteneva alla PoliziaFederale. Il CDC venne smantellato a fineanni ’70, e contemporaneamente l’edifi-cio venne demolito per permettere lacostruzione dell’autostrada “25 diMaggio” (altro simbolo urbano del poteremilitare che divise in due la città).Questo evento permette oggi, tramite unlavoro di archeologia urbana, di recupe-rare le strutture originarie del CDC eduna serie di oggetti dell’epoca intrappo-lati nel materiale di riempimento a soste-gno dell’autostrada. Fino ad oggi è statoscavato un settore che i sopravvissutidescrivono come il “consiglio” che com-prende tre celle di isolamento, un mon-tacarichi ed una sala di guardia.Attualmente si sta scavando il settoreche, secondo la pianta ricostruita daisopravvissuti, dovrebbe riguardare l’in-fermeria ed il bagno. Già agli inizi deglianni ‘80 si era a conoscenza che in quelluogo aveva funzionato un CDC, e difatto sono molte le tracce di denuncialasciate sui piloni che circondano loscavo: scritte, murales, incisioni.Il Programma di Recupero avviato nel2003 prevede il recupero delle strutturearchitettoniche del Club Atlético e lacatalogazione degli oggetti rinvenuti;una ricerca storica sul funzionamentodel CDC; un archivio biografico per rico-struire la storia dei circa 1.500 detenutidesaparecidos (ad oggi ne sono statiindividuati 300). Il materiale rinvenutonel sito archeologico e la storia del CDC

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rischio che il nostro paese possa correreè che la società non sia cosciente diquello che è successo.

E voi come IEM cosa fate, coordinatequesti interventi?

Noi possiamo appoggiare queste inizia-tive e farle diventare iniziative propriedell’Istituto. Ad esempio, nel quartieredi San Cristobal alcune piazze portano inomi delle Madres desaparecidas; noiabbiamo fatto un rilevamento per vede-re quante piazze conservano ancora ilnome, a quali manca il cartello, e

vissuta. Essi possono raccontare allenuove generazioni cosa è successo inArgentina. E’ necessario che si conoscaciò che è accaduto affinché non accadaun’altra volta, affinché i giovani sap-piano che lo Stato può arrivare adattuare una strategia del terrore. Cisono alcune date come il 24 di marzo-o il 16 settembre, la notte delle matitespezzate (il sequestro di un gruppo distudenti)- che sono stabilite dal calen-dario scolastico; altre devono ancoraessere stabilite come momenti emble-matici della repressione. Questa storiariguarda tutta la società, ed il maggior

Costruire la memoriaClaudia Gatti

Intervista ad Ana María CareagaDirettrice Esecutiva dell’IstitutoSpazio per la Memoria (IEM).Rapita a 16 anni, è stata detenutaper 4 mesi nel Centro di DetenzioneClandestino denominato “ClubAtlético”, ed è figlia di una delleMadri di Piazza di Maggiosequestrate nella Chiesa Santa Cruz epoi gettate vive in mare.

Qual è la specificità che distingue loIEM dalle altre istituzioni ed organismiche si occupano della difesa dei dirittiumani in Argentina?

La peculiarità è che per la prima voltac’è un’articolazione tra società civile,rappresentata da tutti gli organismi deidiritti umani e da sei personalità vinco-late alla lotta per i diritti umani, egoverno. In questa articolazione loStato si fa carico per la prima voltadella responsabilità che gli compete peri crimini commessi durante la dittaturamilitare. Quindi l’Istituto rappresenta lapossibilità di implementare le politichesui diritti umani che gli organismihanno sostenuto da trenta anni, attra-verso azioni concrete di lotta: possonoora contare su uno strumento, sicura-mente da costruire e rafforzare, ma checomunque permette loro di realizzareazioni educative, di trasmissione dellamemoria, di archiviazione, di costruzio-ne di centri di documentazione, direcupero dei centri di detenzione clan-destini; ossia tutto ciò che riguarda lalotta per i diritti umani può essere con-cretizzato grazie a questo strumento, aquesto spazio.

Uno dei compiti dell’IEM è di incorpo-rare nella memoria urbana fatti emble-matici della dittatura: che importanzaha questo compito rispetto agli altri?

Ha un’importanza rilevante perchériguarda la storia recente del nostropaese, storia che può essere ancora rac-contata dai protagonisti che l’hanno

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una targa in sua memoria. Quello chesi cerca di fare con questi interventi èriscattare il nome e l’identità della per-sona, specificando il tipo di lotta cheha portato avanti per una società piùgiusta.

E’ stato difficile ottenere che questi luo-ghi, alcuni pubblici, altri privati, dive-nissero luoghi di tutti, luoghi dellamemoria?

All’inizio sì, è stato difficile. Credo chein un dato momento sia stato difficiledare rilevanza al tema della memoria, aldramma della desaparición. Ed in que-sto senso quello che si sta richiedendo èche anche negli altri luoghi, al di là diquelli già menzionati, vengano messedelle targhe in memoria dei desapareci-dos. Ad esempio nei commissariati chehanno funzionato come CDC e cheovviamente ancora oggi ospitano leforze della repressione, ossia la polizia.

Quali sono le reazioni dei giovani chevisitano questi CDC?

In generale ciò che stupisce è che ci siamolta ignoranza al riguardo. I giovani,che sono i figli della parte di generazio-ne dei desaparecidos rimasta in vita. Igenitori non parlano del tema; i ragazzi

scuole del quartiere hanno realizzatosulle pareti esterne dell’edificio delleopere di pittura che denunciano larepressione commessa durante gli annidella dittatura. Spesso si mettono anche delle targhecommemorative nelle scuole: si fa unatto di omaggio al desaparecido chefrequentava quella scuola e si mette

quanti cartelli bisogna ricollocare. Poisiamo andati insieme a chiedere all’areadel Governo della Città, che avevadeciso l’assegnazione di tali nomi allepiazze, di provvedere alle mancanzerilevate. Un altro gruppo di vicini, dopoaver identificato i desaparecidos delquartiere, ha piantato degli alberi ed hamesso delle targhe lungo viale SanJuan. Alcune di queste targhe sonostate poi distrutte durante la notte equindi stiamo lavorando all’identifica-zione delle targhe mancanti e alla lororicollocazione. Altri interventi urbani molto importantiriguardano il lavoro “Quartieri per laMemoria”, svolto per individuare idetenuti desaparecidos e porre delletarghe che li ricordino sulle loro case.Di solito si scrive: “I quartieri marcianodietro le orme dei compagni; che imarciapiedi su cui hanno transitatoparlino di loro. Quartieri per laMemoria e la Giustizia”. E si aggiungeil nome della persona, la data in cui èstata sequestrata, ed il resto. Nel caso della chiesa di Santa Cruz èstata messa sulla porta e sul marciapie-de una targa che ricorda il sequestro di12 desaparecidos, cosicché la gentepossa conoscere parte della storia. Dove ha funzionato il CDC “El Olimpo”è stato messo un grande cartello. Le

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posteriore della macchina. Poi quandomi trovavo nel Centro mi hanno messouna benda che era stata fatta da loro eche era una specie di tela azzurra onera che cucivano e riempivano colcotone, ed intorno ci cucivano un ela-stico nero. Erano bende molto sporchea causa della tortura, perché eranosempre le stesse per tutti i desapareci-dos che passavano di là; e per questotutti avevamo la congiuntivite.In questa situazione, è riuscita a farsiun’immagine del posto?

Totalmente. Con tutte le volte che sonoandata e venuta… Sempre con gli occhibendati; facevamo sempre lo stessopercorso tutti i giorni, più volte al gior-no. Loro venivano la mattina a portarciuna tazza di metallo (ne è stata trovatauna in uno scavo) con mate cocido(infuso di erba mate n.d.t.). Quando siapriva la porta dovevamo alzarci, poi cisedevamo e ci davano il mate. Poiandavano a posare le tazze e tornavanoper farci uscire e portarci al bagno.Bisognava uscire, girarsi ed attaccarsialle spalle di quello davanti e poi ciportavano al bagno che si trovava dallaparte opposta dell’edificio. Durantequesto percorso, fatto molte volte, ini-ziavamo a farci un’immagine del luogo:sapevamo che c’erano delle colonneperché qualche volta ci sbattevamocontro. Sapevamo che c’era un altrogruppo di celle perché si sentiva ilrumore delle porte o magari per qual-che commento. Quando ci portavano afarci la doccia (ce la facevano fare tuttiinsieme, uomini e donne) ci toglievanola benda ma dovevamo stare con gliocchi chiusi sotto dei tubi di metallobucati; ci lasciavano nudi, uno dietrol’altro, e sebbene uno non vedesse, adun certo punto si faceva una qualcheimmagine del luogo. In realtà anchecon la benda, guardando in basso qual-cosa si riusciva a vedere. Per esempiouna volta mi hanno portato in inferme-ria, ed io ogni volta che stavo in infer-meria mi rendevo conto che si trovavavicino alla strada perché si sentiva ilrumore delle auto; inoltre c’era unabocca di lupo e, se stavi in piedi, vede-vi l’ombra dei passanti. C’erano alcuni punti di riferimento; sepoi perdi uno dei sensi, la vista, ne raf-forzi altri come l’olfatto, l’udito. L’udito

credo che le esperienze di recupero deiCDC contribuiscano a scoprire il traumae iniziare ad elaborarlo. Sarà un per-corso lungo, perché il reato di lesaumanità in Argentina è ancora vigentein quanto ci sono ancora i figli sottrattidai militari ai desaparecidos ed inseritiin famiglie complici, che oggi sonogiovani adulti ma non hanno ancorarecuperato la loro identità. Questi gio-vani fanno parte di una generazioneche, a sua volta, ha dei figli che hannoaltrettanto diritto a recuperare la pro-pria identità. E’ quindi un compitoimportante perché la società sta ancoravivendo questo trauma, ossia ci sonogenerazioni ancora totalmente legatealla desaparición.

Tra gli interventi fisici per il recuperodella memoria urbana i CDC sembranoassumere un ruolo di primo piano. Leistessa ha vissuto il dramma del seque-stro e della prigionia: che tipo diimpatto ha avuto con lo spazio delCDC, nel suo caso il “Club Atlético”?

Diciamo che sono sempre rimasta ben-data, quando sono entrata, quandosono uscita e per tutto il tempo chesono rimasta dentro. Mi hanno bendatacon un pezzo di tela bianca non appe-na mi hanno fatto salire sulla parte

ci dicono “i miei genitori non voglionoparlare di questo”. Entrare in contattocon il tema in ambito più istituzionale,in ambito educativo, fa in modo chepossano condividere l’esperienza con iloro pari: li facciamo lavorare in labo-ratori, li portiamo a vedere delle mostredi diversi centri o di organizzazioni deidiritti umani. C’è molta ignoranza e,allo stesso tempo, molto interesse versoquello che è successo. Abbiamo fattoqualche visita nei CDC però le esperien-ze di recupero sono ancora incipienti,nessuno di essi è aperto al pubblico conuna attività continua. Al momento sifanno visite su richiesta e molto specifi-che, facendo lavorare i ragazzi con fotoed altri materiali.

Quindi lei crede che questi spazi fisicipossano avere la capacità di ricreareuno spazio sociale di problematizzazio-ne ed allo stesso tempo di superamentodel trauma sociale legato alla dittatura?

Io credo di sì, non si può mai pensareall’elaborazione di un trauma senzaaccedere ad esso, senza “sporcarsi lemani”: anche se uno dice di no, pernon soffrire, il trauma in qualche modoemerge. Io quindi credo che la società,per quanto possa essere doloroso,debba farsi carico di questa storia, e

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Il Club AtléticoAna María Careaga*

Il ritrovamento del posto è stato moltoimportante: è stato come alzare uncoperchio e trovare un CentroClandestino intatto. Ora l’idea è preser-vare il posto. Bisogna discutere insie-me ai familiari, alle organizzazioni didiritti umani, alle persone che sonostate detenute lì, ai vicini, e agli altrisul modo in cui preservarlo: che tipodi visite organizzare (non possiamopermettere un accesso continuo alpubblico in un luogo in cui le paretihanno la tinta originale, e presentanole iscrizioni dei detenuti), se si debbafare una passerella e fino a dove, se le

sento l’odore del disinfettante mi ricor-do: alcune cose mi fanno tornare allamente il luogo.

E quando dopo vari anni ha rivisto illuogo in cui era stata detenuta, qualisono state le prime emozioni che haprovato?

Tra tutte le volte, l’emozione più forte èquando sono tornata nel Centro conmia figlia. E’ stato duro perché leiguardò insieme a me, ma non dissemolto…e poi quando siamo andate viaha iniziato a piangere e non riusciva asmettere. E mi diceva che quando cer-cava sulle pareti i segni, cercava nomi,cercava il mio nome, quando in realtàmi avrebbe potuto chiedere “tu mammahai scritto il tuo nome?”. Ma era diffici-le che noi scrivessimo dei nomi perchéli avrebbero potuti scoprire; lì non sipotevano usare i nomi legali. Questa èuna esperienza che ognuno vive inmaniera differente, per esempio c’èstata una persona che è tornata per laprima volta nel Centro in cui era statoimprigionato solo lo scorso 24 marzo, eprima non era potuto scendere; altri, daquando sono iniziati gli scavi non pas-sano più lì davanti con l’autobus pernon vederli. Ossia, esistono differentiforme di affrontare il trauma. E per me,tra le varie volte che sono scesa, lasensazione più forte l’ho provata quan-do sono scesa con mia figlia.

E ha provato le stesse emozioni quandoha visto gli altri CDC?

La ESMA è un posto che mi mette indifficoltà. Quando vado cerco di rima-nere sola nel posto in cui era -o in cuiio credo che fosse- imprigionata miamadre, e rimango lì per un po’. Sonoquestioni più intime, relative alla sferaprivata, che riguardano i modi per pro-cessare fatti tanto traumatici. Lasciarsiandare di fronte al dolore permette diaffrontarlo e di rielaborarlo.

** Dottorato in ‘Politiche territoriali e progetto locale’,Università degli Studi Roma Tre.

L’intervista è stata rilasciata a Roma nell’aprile 2007in occasione della presentazione del libro fotograficodedicato ai Centri di Detenzione Clandestini “spazi(des)aparecidos. Argentina”, prodotto e realizzato dalleONG Progetto Sur, Fotografi Senza Frontiere eH.I.J.O.S.

aveva a che vedere con la fame: lafame era esasperante, così esasperante…si era sempre in attesa. Loro portavanoda mangiare con un carrello che parti-va dall’altro estremo dell’edificio. Sesentivi i rumori dei cucchiaini, ti rende-vi conto che stava per arrivare il cibo.Era tale la disperazione che io iniziavoa contare -uno, due, tre, quattro…- finoa sessanta per passare il minuto, e cosìvia, per la disperazione della fame. Ilrumore del carrello faceva immediata-mente pensare :“bene, adesso arriva ilcibo”. Questo significa aguzzare l’uditoo anche l’olfatto per l’odore del cibo. Ilcibo era però spaventoso … Quandosono uscita, ho fatto una pianta delluogo: dal punto di vista della distribu-zione, per lo meno degli ambienti piùconosciuti, era più o meno simile aquella fatta da gente a cui era statatolta la benda.

Una volta fuori che sensazioni e cheimmagini del CDC hai conservato?

E’ difficile dare una risposta a questadomanda. Spesso mi trovavo ad affer-mare un concetto che mi fa pensare alcampo di concentramento: è il concettodi “ sinistro” che in psicologia si usaper dar conto di quello che per il sog-getto è la cosa più familiare ed allostesso tempo la cosa più sconosciuta,più estranea, ciò che non si può spiega-re con le parole. Io pensavo: “descrive-re la morte, essere vivo dentro la morteè un campo di concentramento…; ècome la transizione verso la morte, ècome stare all’inferno, se esiste l’infer-no è un campo di concentramento”. Nelcampo non hai identità, non hai nome,sei spersonalizzato, non puoi avere nes-sun tipo di sentimento, di affetto, nonpuoi parlare, condividere.

Quindi l’immagine fa riferimento ademozioni, sensazioni, alla nozione di“sinistro”, più che a suoni, voci, odori…

E’ legata ai segni che lascia l’esperienzapsichica nel corpo, piuttosto che adun’immagine spaziale. Mi può succede-re di ascoltare un rumore… molte volteho ascoltato il rumore delle catene del-l’ascensore; e questa associazione…Oppure odori, a volte pulivano con ildisinfettante. Mi succede che quando

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Anche nel caso della ESMA-Scuola diMeccanica dell’Armata si è deciso dinon fare interventi diretti, bensì di pre-servare il luogo e lasciarlo così com’è,in linea con la nostra idea di recupero,cercando sempre di raccontare la storiadei CDC altrove. Con uno stile sobrio,cartelli che includano testimonianze econ visite guidate, si spiega cos’è suc-cesso in ogni parte dell’edificio. Datoche l’edificio è stato più volte modifi-cato saranno esposte delle piante chene mostreranno l’evoluzione.

re immutato tutto ciò che si incontravadell’edificio, ovviamente preservando-lo. Dato che il sito in cui si sta scavan-do si trova sotto un’autostrada (l’edifi-cio in cui si trovava il Centro diDetenzione era stato demolito percostruire l’autostrada), si è deciso dichiedere al Governo della Città diBuenos Aires che ci fosse concesso l’e-dificio di fronte per fare una piazza, lapiazza della memoria, con il nome“30.000 desaparecidos presenti” e chein quel luogo si costruisse un edificioin cui poter raccontare la storia delCDC. Invece di raccontarla nell’edificiooriginale, al fine di preservarlo intattocosì come è oggi, si vuole organizzareun centro di documentazione e diesposizione degli oggetti ritrovati nel-l’edificio di fronte, un centro in cuiorganizzare anche conferenze e attivitàdi trasmissione della memoria. E dalpunto di vista dell’architettura e del-l’urbanistica si manterrà lo stesso stilee la stessa linea.

visite saranno guidate. Bisognerà dis-cutere anche il come mostrare il Centrorecuperato alla società. Il posto è aperto, lo si vede camminan-do e quindi dovrebbero esserci delleindicazioni, e di fatto ci sono. Ci sonocartelli che dicono “Qui ha funzionatoun Centro di Detenzione Clandestino”.C’è anche una pianta di quello che erail Centro di Detenzione Clandestino aquel tempo, così la gente che passa sirende conto di quello che è successo.Per un periodo nel palazzo di fronte c’èstata la sede del ciclo di base (primoanno di università comune a tutte lefacoltà n.d.t.) e quindi passavano cen-tinaia di studenti al giorno proprioquando il gruppo di archeologi stavalavorando sul recupero di ciò che sitrovava in loco. Dato che la gente faceva delle doman-de abbiamo deciso che ci doveva essereuna persona a dare le riposte e spiega-re cosa fosse successo in quel posto.Poi è stata presa la decisione di lascia-

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un solo esempio Fintecna – l’ex Iri, giàproprietario delle grandi aree indu-striali della siderurgia di Stato – le hagià completamente valorizzate; in por-tafoglio non ne ha praticamente più.Sono passati più di 10 anni dall’avviodel processo e siamo ormai in grado difare un bilancio delle varie operazioni.È quello che sta facendo Audis propo-nendo la “Carta delle trasformazioni”con l’obiettivo di indicare le “buonepratiche” da suggerire agli operatori,pubblici e privati.

Il riuso degli immobili pubbliciNegli ultimi anni ha preso il via unaseconda importante stagione: il riusodei grandi immobili pubblici.Fortificazioni, caserme, carceri, ospeda-li, manifatture ed opifici, mercati gene-rali, impianti tecnici, centrali elettriche,stazioni ferroviarie, colonie marine emontane, e quant’altro. Complessi datempo inutilizzati perché non più ido-nei allo svolgimento delle attività ori-ginarie, che ora possono invece essereriadattati per nuove funzioni che pos-sono giocare un ruolo importante nellacittà in quanto situati in posizioni stra-tegiche nel contesto urbano, in zonepiù centrali rispetto alle aree industrialidismesse e spesso addirittura nei centristorici.Lo Stato ha avviato già da tempo ladismissione del proprio patrimonioimmobiliare. Prima attraverso opera-zioni di cartolarizzazione, quest’anno,con la finanziaria 2007 e con i duedecreti del Febbraio e del Luglio, è par-tita la grande operazione “Valorepaese”. Sono stati immessi nel mercato

Pianificare nell’epoca della trasformazioneDionisio Vianello*

In quel periodo la città leader fu senzadubbio Torino. Ma molte altre città,grandi e medie, soprattutto nel Nord enel Centro, ci lavorarono con entusia-smo e passione. In questa prima fase fuassente Milano, ma il motivo c’era, eserio. Milano aveva anticipato tutti,non dimentichiamo infatti che i pro-grammi complessi sono nati con lalegge Verga del 1992, che aveva inven-tato i Programmi integrati. Ma poivenne tangentopoli, e in quegli anniMilano aveva purtroppo ben altro a cuipensare.Ai Pru succedettero i Prusst, e poi tuttala numerosa famiglia dei programmicomplessi regionali. Il recupero dellearee dismesse è proseguito alla grande,modificando radicalmente l’asfitticopanorama delle città italiane.Anche il mondo delle imprese è cam-biato radicalmente: dall’immobiliare alreal estate, dal costruttore al developer.Basta vedere il numero delle impreseitaliane presenti al Mipim di Cannes, lagrande vetrina internazionale del mer-cato immobiliare: quelle che si conta-vano sulle dita di una mano nei primianni ’90, ora sono vicine al centinaio.Nella nuova fase, caratterizzata dallatrasformazione della città esistentepossiamo riconoscere almeno quattrostagioni.

Le aree industriali dismesseLa prima fase è stata quella delle areeindustriali dismesse. Oramai più che alfuturo ne possiamo parlare al passatoed al presente. Buona parte delle vec-chie zone industriali sono state recupe-rate o sono in via di recupero. Per fare

La pratica del rinnovo urbano è abba-stanza recente nella storia dell’urbani-stica italiana, ed ha una data di nascitaben precisa: il dicembre 1994 con l’in-troduzione dei “programmi di riqualifi-cazione urbana” (Pru). Prima la situa-zione languiva da anni, tempi biblici,incertezza su procedure e risultati. Unasomma di fattori negativi che scorag-giava gli investitori ad intervenire nelcampo del recupero, preferendo la viapiù semplice e collaudata dell’espan-sione urbana.Alla fine del ’94, tutto cambiò. Conl’introduzione dei Pru veniva final-mente avviata la stagione dei grandiprogetti urbani, che, dopo tanti anni distasi, sta cambiando il volto dellenostre città. I nuovi strumenti hanno conosciuto ungrande successo. I Comuni, ma soprat-tutto i privati, ne hanno fatto, e nestanno facendo, un uso sempre piùampio e diffuso; forse addiritturaeccessivo.Due le grandi novità portate da questistrumenti. Primo, la semplificazionedelle procedure per le varianti urbani-stiche. Con i Pru i tempi necessari peruna Variante sono passati dai 10/15anni precedenti a 2/3 anni. Secondo, lacospicua dotazione di finanziamenti –circa 800 miliardi dell’epoca – checonsentì di finanziare un centinaio diprogrammi con contributi che furonoessenzialmente utilizzati per pagare(almeno in parte) i costi delle bonifi-che, pareggiando in tal modo i costidegli interventi di riqualificazione conquelli tradizionali delle zone di espan-sione.

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in particolare dall’esperienza dei pro-grammi complessi? Tutti (o quasi tutti)sono stati fatti in variante rispetto alleprevisioni dei piani regolatori. Sia chesi tratti di varianti sostanziali – quan-do i Prg erano troppo vecchi e superati– sia di varianti di aggiustamento,come è successo in presenza di Prgrecenti. Anche nel caso più noto, quel-lo di Torino con il Prg Gregotti appenaapprovato, ben 10 Pru su 13 erano invariante.Sono troppe le cose che non si posso-no sapere quando si lavora alla forma-zione di un Prg, ma ciò nonostante sipretende di regolamentare minuziosa-mente e rigidamente tutto quello cheverrà fatto dopo. Mancano infatti idati fondamentali per prendere deci-sioni così definitive. Ad esempio nonsono noti l’assetto delle proprietà ed ilruolo degli operatori, non si conosco-no i livelli d’inquinamento e quindi icosti di bonifica, né tanto meno l’an-damento futuro dei valori immobiliarisui quali si basano i business plan deipromotori, e così via. Non possiamosapere a priori se un certo progettootterrà contributi pubblici, nel qualcaso i costi verrebbero diminuiti epotrebbe invece essere aumentata laquota pubblica.Ma sono soprattutto i tempi della pia-nificazione – almeno con le attualiprocedure - che appaiono troppo lun-ghi, e comunque non compatibili conla velocità delle trasformazioni cheinvestono l’economia e la società.A questo punto bisognerà pur fare unariflessione. Occorre finalmente ricono-scere che in questa fase storica caratte-rizzata dalla trasformazione la variantenon è una eccezione negativa dademonizzare quasi fosse un peccatooriginale, ma deve essere il modo nor-male ed ordinario di fare pianificazio-ne.Di conseguenza anche gli strumenti dipianificazione andrebbero adeguati aquesto principio, smettendola di rin-correre il mito di un piano immutabilecome le tavole della legge, macostruendo non tanto un piano quantoun processo che possa essere rapida-mente adeguato alle nuove istanze.In Italia si sono affermate due lineefondamentali: quella milanese-lombar-da ed il resto d’Italia. Tutte le altre

La riqualificazione del territorioL’ultimo capitolo – che deve ancorapartire – è quello della riqualificazionedel territorio rimediando ai guasti del-l’urbanizzazione selvaggia. E’ un pro-blema che riguarda molte regioni ita-liane. L’elenco sarebbe lungo: l’urba-nizzazione diffusa in Lombardia e nelVeneto, la cementificazione delle fascecostiere e delle aree montane più pre-giate, l’edilizia abusiva nel Sud, e vialamentando.Già qualche comune più avveduto, osemplicemente perché ha esaurito tuttele aree disponibili, sta cercando diinvertire la tendenza e riparare ai gua-sti prodotti nel passato. Ma è evidenteche per questi ambiti ci sarà bisogno diun grande programma di riqualificazio-ne territoriale ed ambientale, mettendoinsieme tutte le forze – Stato, Regioni,Comuni – e le risorse disponibili.Non occorrono tanti piani. Quandopenso a cosa si dovrebbe fare per eli-minare – o almeno ridurre – i guastidella campagna urbanizzata nel Venetocentrale e nella pedemontana l’unicoesempio valido che mi viene in menteè quello della Ruhr.Nella Ruhr sono partiti da un semplicema chiaro documento di obiettivi. Masoprattutto hanno attuato una gestionecorretta ed integrata dei progetti edelle risorse finanziarie. Le risorse sonostate concentrate in un unico centro dispesa, e non disperse in tante linee difinanziamento come si fa in Italia.Tutti potevano presentare progetti –dal Land ai Comuni ai privati – mavenivano finanziati sono quelli coeren-ti con il documento degli obiettivi. Ecosì in 10 anni – tanto è durata l’IBARuhr-Emscher Park – e con soli 5.000miliardi di vecchie lire la Ruhr, che eraun tempo l’inferno d’Europa, è diven-tata una regione dove la qualità del-l’ambiente è ritornata più che accetta-bile, ed i nuovi interventi attirano turi-sti da tutta Europa.La conclusione che si può trarre è che,almeno in prospettiva temporalemedio-lunga il cor business della pia-nificazione sarà centrato sul rinnovourbano e sulla riqualificazione del ter-ritorio.In questa prospettiva qual è la lezioneche si può trarre dalle vicende passate,

circa 400 immobili, che verranno valo-rizzati congiuntamente dallo Stato, daiComuni e dai privati, ed altri 2500sono il lista di attesa.I problemi sono abbastanza diversirispetto a quelli delle aree industrialidismesse. Si tratta spesso di immobilidi valore storico-architettonico o diarcheologia industriale, che vannoquindi conservati integralmente o inbuona parte, per cui l’intervento nonpuò essere di semplice demolizione, madi ristrutturazione edilizia e spesso direstauro. Diventa centrale la questionedell’inserimento di nuove funzioni intipologie edilizie nate per tutt’altroscopo; problema di non facile soluzio-ne, specialmente nel caso di immobilivincolati. Come procedura, anche questi inter-venti avvengono, ed avverranno, uti-lizzando i programmi complessi.L’ultimo nato di questa prolifica gene-razione, sempre per distinguerlo daiprecedenti, si chiama Puv, Programmaunitario di valorizzazione. E’ facile prevedere che anche questainiziativa riscontrerà un forte successopresso gli enti locali e le imprese;anche se dalla normativa riportatanella finanziaria emergono tutta unaserie di problemi che non sarà facilerisolvere. In particolare suscita perples-sità la scelta dell’istituto della conces-sione per tutti gli immobili, anche perquelli che verranno ceduti ai privatimediante asta pubblica.

Le città da rottamareNell’ultimo convegno nazionale, tenu-tosi a Roma nel dicembre scorso, Audisha sollevato un tema nuovo, le città darottamare. Si tratta di quelle parti dicittà, soprattutto i grandi complessi diErp realizzati negli anni ’50-’60, il cuiciclo edilizio è ormai terminato e per iquali si pone inevitabilmente l’esigenzadella loro sostituzione.Alcuni episodi, legati tra l’altro a testi-monianze significative dell’epoca comeil Corviale a Roma, Scampia a Napoli,Zen a Palermo, sono saliti alla ribaltanazionale, se non altro per l’impressio-nante disagio sociale connesso allesituazioni di degrado urbano. Molti comuni e regioni si stanno giàmovendo. Milano e la Lombardiafanno ancora da battistrada.

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corrispondere all’ente pubblico oltre aquelli di legge. Va segnalato che anche qui laLombardia è all’avanguardia. Con larecente Lr1/2007 ha imposto aiComuni di predisporre un “Documentodi inquadramento dei programmi inte-grati” dove, oltre al coordinamentourbanistico devono essere precisate lemodalità per regolare il rapporto pub-blico-privato. E già da alcuni comunilombardi sono stati prodotti interes-santi lavori. Il panorama non sarebbe completosenza un ultimo cenno sulla pianifica-zione territoriale. Il principio generaleè che sopra il comune ci deve essereun solo livello di pianificazione. Lapresenza concomitante – prevista damolte Lur – di due piani, provinciale eregionale, produce quasi sempre confu-sioni e contraddizioni che si ripercuo-tono pesantemente nell’attività deicomuni. Il nodo fondamentale restaquello – da sempre non risolto – dellapianificazione intercomunale; ed aquesto obiettivo va finalizzata la piani-ficazione territoriale. Sarebbero più chesufficienti dei piani di area vasta – masolo dove serve, e quindi non necessa-riamente coincidenti con i limiti terri-toriali delle province – coordinati daun snello programma (vedi sempre l’e-sempio Ruhr) a livello regionale. Unpiano però dotato dei necessari poteri,attribuendo quindi alleAmministrazioni Regionali precisecompetenze in tema sia di interdizioneche di incentivo. Mettendo in secondopiano il tanto osannato criterio dicopianificazione che molto spesso, inpresenza di posizioni contrapposte tra ipartecipanti alla conferenza di pianifi-cazione, rischia di bloccare tutto ilprocesso rinviando all’infinito la con-clusione dei lavori.

*Vice Presidente AUDIS, Associazione aree urbanedimesse.

Regioni come la Toscana, che giusta-mente ha fatto della salvaguardia delterritorio la sua bandiera; ma dove gliinterventi di trasformazione sono limi-tati.Ci sarà il tempo per approfondire que-sti argomenti. Possiamo però anticiparefin d’ora alcune linee fondamentali allequali dovrebbe ispirarsi una pianifica-zione all’insegna della trasformazione.Come nella Lur lombarda il quadro dicompatibilità delle politiche urbanepotrà essere assicurato attraverso unquadro d’insieme snello e flessibile(documento programmatico o altro)che coordina un insieme di strumentifinalizzati essenzialmente alle due pro-blematiche più rilevanti. Strumenti nonnecessariamente contestuali, con l’ec-cezione del piano delle regole che vacollegato al quadro generale. Il primo di questi strumenti devegarantire gli obblighi e le esigenze ditutela, individuando quello che non sideve toccare (le famose invarianti) oche si deve trattare con le dovute cau-tele, ambiente, paesaggio, centri storici,beni culturali, ecc. Ambito per il quale,almeno nelle regioni più avanzate, saràsufficiente riproporre le indicazioni giàin gran parte contenute nei pianivigenti.Il secondo strumento tratta l’ambitodelle trasformazioni, che si riferisce inpratica a tutto ciò che non è sottopostoa tutela. Anche qui c’è bisogno diregole – che definiremmo di processoper distinguerle dalle precedenti, chesono di prodotto – per disciplinare iprocessi di trasformazione. Questo perevitare trattative singole con la logicadel caso per caso, con tutti i rischi(anche penali) che questa proceduracomporta. In fondo anche i privati simuovono meglio perchè possono fare iloro conti prima, valutando la conve-nienza dei loro investimenti.Regole e criteri che sono assolutamentenecessari per garantire la governancepubblica dei grandi progetti urbani. Inparticolare per dare una soluzioneaccettabile al problema fondamentale,quello di stabilire la quota del plusva-lore generato dai programmi complessiche deve essere attribuita al pubblico.In pratica si tratta di indicare i criteriper la determinazione dei cosiddettioneri aggiuntivi che il privato deve

regioni hanno scelto lo schema dei duelivelli alla scala comunale, quellostrutturale e quello operativo. In que-sto modo però si rende più lungo ecomplesso l’iter della pianificazione,anche perché sempre di due piani sitratta. Il piano strutturale, che non èconformativo, va tuttavia approvatocon la normale procedura di un pianoregolatore. Il piano operativo viene adassomigliare al vecchio Prg, con milledecisioni da prendere in poco tempo, etutti gli inconvenienti di rigidità edimprecisione da sempre lamentati.Solo Milano – e successivamente laLombardia con la Lr 11/2005 – è anda-ta controcorrente, mettendo in soffittail vecchio piano regolatore e sostituen-dolo con un sistema articolato di stru-menti – il piano delle regole, il pianodei servizi, il regolamento urbanistico-edilizio – coordinati da un semplicedocumento programmatico.Quale di queste due linee è la più adat-ta per meglio governare gli interventidi trasformazione? Senza peraltrodiminuire le necessarie garanzie ditutela e salvaguardia, che devonorestare sempre prevalenti sugli altriaspetti? Questo è il problema a cuibisogna dare risposta.A mio parere – anche sulla scorta direcenti esperienze - la più adatta èsenza dubbio la linea milanese-lom-barda, anche perché fin dall’inizio èstata studiata e finalizzata apposita-mente per questi scopi. I tempi diapprovazione dei progetti sono dimolto inferiori a quelli delle altreregioni. Ma anche in fase di controllole cose funzionano meglio, perché cisono regole semplici ma precise maanche perché le amministrazioni e lestrutture tecniche locali si sono datempo attrezzate per gestire le proce-dure negoziali con i privati.L’altra linea, quella dell’urbanisticariformista – anche perché concepitaall’inizio degli anni ’90, e quindi allafine dell’epoca dell’espansione e primadell’inizio della trasformazione (laprima legge è stata quella Toscana del1995) - si poneva in una prospettiva direvisione del precedente modello senzatuttavia cambiarne radicalmente l’im-postazione. E’ un sistema che privilegiaessenzialmente la tutela e la conserva-zione, e come tale può andar bene per

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fronto, sul mercato dei servizi dellaformazione, con l’offerta mondiale, nelmentre che una politica dello Stato edelle Regioni si decidesse a privilegiarerealmente le esigenze formative deglistudenti (ricorrendo in modo assai piùmarcato che per il passato a borse distudio da spendersi qui e nel mondo),anche per cercare di recuperare il gapdi produttività che continua a pesarenei confronti degli altri paesi della U.E:più diplomati per 100 attivi, più lau-reati, più ricercatori, più brevetti, .....Potremmo chiedere risorse operativealla solidarietà delle Regioni a statutospeciale per consentire anche agli altriterritori di perseguire responsabilmentele proprie scelte di sviluppo nelle con-dizioni di un federalismo fiscale benpraticato.Potremmo chiedere risorse di innova-zione e di sviluppo alle imprese, inmodo che le dinamiche economiche sitraducano più spesso in crescita civile,meno orientate ad incassi a breve,senza costi ambientali irreversibili e ingrado di contribuire tangibilmente amantenere un welfare ri-adeguato alsecolo delle migrazioni.Potremmo chiedere alla pubblicaamministrazione di rivedere radical-mente la propria idea di efficacia e diefficienza in funzione delle esigenzereali e impellenti dei cittadini, dellefamiglie e delle imprese, oltrechè delleforme di auto-organizzazione solidaledella società: fare meglio con meno ...Potremmo chiedere a tutti di dare mag-giore valore al paesaggio (come patri-monio comune del Paese, come benepubblico) e riconoscere forme di remu-

Dire e fare urbanistica nel paese con la cammiciaUgo Baldini*

a questo punto della storia - per inve-stire nel recupero di efficienza e difiducia che è necessario, volendo gio-carsi un futuro con meno incognite?Potremmo chiedere risorse di tempo edi esperienza a quella parte del Paeseche è disposta ad allinearsi con il restodell’Europa restando al lavoro quantoserve per contrastare la perdita dicapacità produttiva in atto e pergarantire il principio di equità interge-nerazionale.Potremmo chiedere risorse di equità edi efficienza ad un sistema giudiziarioche volesse essere tanto rigoroso conse stesso quanto ha voluto mostrarsicon altri. L’efficienza di un sistemagiudiziario che passi all’esame del con-fronto con le altre grandi democrazieeuropee oggi è un fattore di coesioneformidabile. Nicola Rossi - per fare solo un esempio- ha di recente ricordato come la man-canza di una informatizzazione delsistema giudiziario sia fonte di iniquitàsociale, penalizzando i ceti menoabbienti, e come, tra le ragioni dellascelta di una età pensionabile più sen-sibile all’aumento marcato della spe-ranza di vita, ci possa stare anche l’op-portunità di reperire in tal modo lerisorse necessarie: una dimostrazioneconvincente della necessità oggi diavere una classe politica capace di dia-gnosi incisive sulle condizioni delPaese e disposta a giocarsi (“chi sbagliapaga” ...) su delle soluzioni chiare econcrete, da rendicontare ai cittadini.Potremmo chiedere risorse di cultura edi pensiero creativo al nostro sistemauniversitario, messo finalmente a con-

Camicia: si dice con due emme e siscrive con una.La capacità adattativa di un sistema èuna componente importante della suaintelligenza e del suo orientamento alfuturo.Ma il sistema oggi è strabico e incerto,la sua intelligenza (di sistema) è messain dubbio dagli esperti ed è messa incrisi dal calo di fiducia che si sta regi-strando ormai da tempo.Sfiducia sulle capacità e sulla moralitàdella classe dirigente sempre più auto-referenziale e conservativa, fatta salvaquella frazione di galantuomini e diinnovatori che provano ancora a parlarchiaro in un ambiente che ha fatto del-l’ipocrisia e del cinismo una virtù.“Camicia si pronuncia con due emme esi scrive con una” dicono le maestrecalabresi ai loro bimbi cercando diadattare un codice - e una missione -nazionale allo spirito tenace dei luoghie delle tradizioni.Fare recuperare efficienza al Paesecome condizione per servire gli obietti-vi di crescita, di equità e di coesionerichiede un sapiente e impegnativoimpiego dei due codici: ma chi sta aiu-tando le maestre calabresi? Chi si assu-me l’onere e il rischio di rinnovare ilPaese?Rinnovare il Paese vuol dire rimetterlocon i piedi per terra, vuol dire ripren-dere il controllo del territorio, per met-terlo finalmente in gioco verso oriz-zonti nuovi di sostenibilità senzaorpelli e balzelli, senza omissioni,omertà e scorciatoie, con regole benfondate e patti chiari per tutti.Bene. Su quali risorse si può contare -

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carraio, all’occupazione di suolo pub-blico, alla autorizzazione della ASL,alla consegna dell’estratto del PRG erelative norme, ecc. Sento già l’obie-zione: certo, dal momento che con ladenuncia di inizio attività è possibile,appunto, demolire e ricostruire edifici,è ovvio che la “taratura” della docu-mentazione deve essere sulla massimaeventualità. Vero! Ma, siccome lamaggior parte delle DIA ha assorbitol’articolo 26 della L. n. 47/85, sarebbeuna cosa “normale” prevedere deimodelli “semplificati” e ridotti perquesta casistica che interessa la mag-gioranza delle famiglie italiane. Lepersone normali, che non hanno intasca normative, d.P.R., leggi e regola-menti dovrebbero poter essere aiutatead avere dei comportamenti corretti enon spinte verso la violazione dellenorme che devono avere un’attuazioneamministrativa di merito e non soloformale. Dico questo, perché mi sonorivolto ad un collega che si occupa, inmodo continuativo di queste praticheil quale, dopo che gli ho spiegato lasituazione, mi ha detto: “devi sapereche questo viene richiesto e questodevi dare, altrimenti la pratica nonviene acquisita”. Invero, ha usatoun’altra espressione più colorita, circala posizione che si deve assumere difronte ai tecnici comunali. Va bene,rispondo io, ma gli chiedo: “perché ilcomune mi chiede l’estratto del PRGche dovrebbe possedere?” e ancora,“perché mi chiede l’aereofogrammetri-co, tra i documenti obbligatori, quan-do si tratta di opere interne?” Devoconfessare che la mia voglia era quella

Dia, superdia, sottodia, infradia,ecc., ecc.Anonimo Ministeriale

Chiunque di voi abbia avuto la ventu-ra di dover fare dei lavori a casa, deisemplici lavori di manutenzione chericomprendano anche qualche minimademolizione e ricostruzione di tramez-zi o altri normali “aggiustamenti” perun miglior uso della propria abitazio-ne, si sarà sentito in dovere di presen-tare una “denuncia di inizio attività”ai sensi del d.P.R. 380/2001. Anche io,qualche mese fa, in occasione di lavoriche interessavano una abitazione diconoscenti, ho dato loro questo consi-glio e ho scaricato dal sito delMunicipio i modelli da presentare.Oltre a lavori di manutenzione ordina-ria si prevedeva di demolire due tra-mezzi e di ricostruirne, parzialmente,altri due. Preparo la documentazione egli elaborati, sono pronto per presen-tarla. Ma essendo passato qualchemese, per diversi motivi, mi viene loscrupolo di vedere se i modelli fosseroancora quelli da me utilizzati: e quan-do mai! Sono rimasto sgomento dalfatto che da una semplice domanda,una relazione tecnica asseverata e glielaborati dell’ante e post operam, si èpassati alla dotazione di documenti edelaborati – sono circa 25 pagine dimodelli, carattere 8,5 punti – utili perdemolire e ricostruire un edificio, inzona vincolata, con rischio idrogeolo-gico, soggetta a pareri di altri enti(regione, parco, ecc.), comportantemodifiche alle essenze arboree, conproduzione di rifiuti inerti, con denun-cia per zona sismica, oltre alla certifi-cazione di scarico delle acque reflue,al pagamento di oneri di urbanizzazio-ne, all’eventuale apertura del passo

nerazione a chi lo conserva integro,sicuro, fruibile, in ultima istanza iden-tificabile. A tutti, e in particolare a quei territoriche con le proprie dinamiche insediati-ve generano una domanda crescente diambiente e di natura, alla cui soddisfa-zione debbono responsabilmente con-correre, compensando quei territori,rurali e montani, che questi servizioffrono.La si fa troppo facile? È un modo -lavorare assieme, all’agenda del Paese- per contrastare quelli che la rendonodifficile... Un modo ingenuo, ma nonper questo disarmato.Dovremmo chiedere “all’urbanistica” dipreoccuparsi che i processi di valoriz-zazione generati nelle trasformazioniurbane e territoriali vengano per unaparte non marginale sottratti alla ren-dita fondiaria e, per essa, anche alleforme più o meno lecite di sostegnoalla politica che sovente registriamo,quando non alle pratiche malavitose diriciclo del denaro sporco, non solo aGomorra.Sottratti e reinvestiti per rendere piùvivibile, più funzionale e più solidalela città pubblica (pensiamo al pesanteritardo accumulato sin qui nelle politi-che di social housing), così da fareapprezzare ai vecchi e ai nuovi abitantiil senso della “cittadinanza” comunquela si pronunci.Camicia vs cammicia: a volte la capa-cità adattativa di un sistema non simanifesta come virtù, bensì comeespediente per portare nella modernitàle solidarietà illiberali delle societàarcaiche che consentono/impongono aigiovani cottimisti calabresi di coniuga-re i consumi opulenti della PadaniaFelix in cui vivono con il mondo dellairregolarità e dell’illegalità dei cantieriin cui quell’opulenza si produce.Potremo non farci travolgere tutti dal-l’ossimoro (imprigionare nella trappola)di una modernità obsoleta e ambigua,se ognuno farà la sua parte, sentendosiparte dello stesso Paese e non ostaggiodella propria Ditta. Solo per questa viapotremo sciogliere i condizionali, in unprogetto di futuro convincente e con-diviso.

* Presidente Caire Urbanistica.

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tazione, sono limitati alla eliminazionee allo spostamento di tramezzi, allacreazione di cucine e di nuovi bagni,nonché a modifiche o inserimento diimpianti, ecc. Cosa assai diversa, adesempio, sono gli interventi strutturali,pur ricompresi nella manutenzionestraordinaria, che comportano verifi-che e attestazioni da parte di un tecni-co abilitato. Per chiudere e per farriflettere, riporto un articolo di unRegolamento edilizio del 1926: “arti-colo X. Chiunque inizia, amplia orestaura, entro il perimetro dell’abitatofabbriche di qualsiasi sorta deve, inprecedenza, farne denuncia al Sindaco,eccettuati i casi di pericolo imminente[per i quali] deve immediatamenteprovvedere, dandone, nel contempoconoscenza all’Autorità Municipale. Ledisposizioni di questo articolo non siapplicano ai restauri interni, né aquelli esterni che variano la strutturae le dimensioni dei fabbricati. Il

Sindaco, sentita la commissione edili-zia, entro venti giorni dalla denuncia,potrà far conoscere all’interessato se ein quali parti le opere progettate pos-sono eseguirsi, perché tali da produrreun deturpamento dell’aspetto dell’abi-tato o da violare le disposizioni dileggi e regolamenti. Trascorsi ventigiorni, senza osservazioni, il privatosarà libero di eseguire i lavori denun-ciati, salvo l’osservanza delle leggi edei regolamenti ed il rispetto del suolopubblico […] Sono passati più di 70anni, ma mi sembra che in questo arti-colo ci sia già tutto: da allora se n’è fatta di strada sultema della “semplificazione” delle pro-cedure edilizie! Non sarà il caso dimeditare sull’attuazione amministrati-va della norma sulla denuncia di ini-zio attività, visto che doveva servire,anch’essa, a semplificare?

di consigliare di non fare proprionulla, soprattutto quando il mio colle-ga mi dice che la documentazionefotografica doveva essere stampata daun fotografo e accompagnata dalloscontrino fiscale, per attestare la veri-dicità della data delle foto stesse, perla quale evidentemente non basta iltimbro dell’Ordine e la sottoscrizionedel professionista. Non voglio passareper un eversore, ma vorrei che ci fosseuna maggiore intelligenza nel gestirenorme che hanno la necessità di essereinterpretate anche in funzione deldestinatario e della natura dell’inter-vento. Credo, infatti, che uno degliaspetti di maggiore importanza perfacilitare il rispetto delle leggi e, inparticolare, di quelle che riguardanol’edilizia, sia la corretta taratura degliadempimenti a carico del richiedente,in quanto la massima parte dei casi ilavori di “manutenzione straordinaria”realizzati dalle famiglie, interni all’abi-

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CARO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO ROMANO PRODI E PRESIDENTI DELLE GIUNTE REGIONALI,mentre auspichiamo che, con sempre maggior convinzione, l’iniziativa governativa persegua una pratica di governo del territorio che sap-pia coniugare sostenibilità dello sviluppo e competitività territoriale, vorremmo sottolineare l’importanza di una piccola riforma che ai nostriocchi appare di grande rilevanza.Non solo più recentemente, date le ristrettezze di bilancio dei Comuni, ma ormai da decenni le Amministrazione comunali sempre più hannoindividuato nelle trasformazioni del territorio uno strumento per recuperare risorse finanziarie. Non più quindi urbanizzazioni del territo-rio in funzione di bisogni individuati e ben ponderati, ma piuttosto in funzione di “fare cassa”, come oggi si suole dire. In sostanza in molteamministrazioni locali le entrate che derivano dai processi di urbanizzazione (oneri di urbanizzazione, spesso monetizzazione degli standard,ecc.) finiscono nel bilancio complessivo del comune. Tali risorse non sono utilizzate, come si dovrebbe, per dotare il territorio di quelle attrez-zature necessarie ad una vita civile delle città, ma per far fronte alle spese generali del comune. Questa prassi produce due effetti negativi: da una parte si urbanizza parte di territori senza necessita, alimentato il consumo di suolo (edanche la speculazione), dall’altra parte queste nuove urbanizzazione risultano private delle infrastrutture e attrezzature necessarie (scuole,parcheggi, verde, e anche in alcuni casi strade e fognature).Viene in questo modo azzerata quella che a giusta ragione resta la più importante riforma urbanistica degli ultimi cinquant’anni, l’unicache poteva garantire quella “qualità urbana” che ancora oggi, dopo decenni di applicazione di piani, molto spesso di “carta”, con cui illu-soriamente pensavamo di tenere sotto controllo tutta la realtà ancora ci ritroviamo a reclamare. Si tratta della Legge 10 del 1977 che haintrodotto l’obbligo delle opere di urbanizzazione come attrezzature indispensabili ai nuovi e vecchi insegnamenti.Chi, come molti di noi, ha partecipato con passione a quella riforma e alla sua tempestiva e corretta applicazione non può che rammari-carsi oggi di una grande occasione perduta valutando, peraltro, che la stessa pratica della perequazione oggi inventata finirà egualmente aforaggiare le spese ordinarie.Vorremmo chiedere quindi di spezzare questo perverso processo di urbanizzazione rendendo obbligatorio per i comuni di spendere tutti ifondi (e non solo il 30%) che derivano dalle nuove costruzioni esclusivamente per realizzare i tradizionali ma, perché no, anche nuovi e oggipiù adeguati servizi urbani. Sarebbe una piccola norma che può contribuire sia a salvare il territorio, sia a migliorare la qualità di vita dellecittà. Sperando di essere in qualche modo considerati, inviamo i più sentiti auguri di buon lavoro.

Felicia BottinoLa direzione di urbanistica informazioni condivide l’appello al Presidente del Consiglio e alle Regioni

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zione successivi ai danni provocati. Il rap-porto Nicolas Stern per il governo britan-nico (30 ott. 2006) argomenta efficace-mente sull’opportunità anche economicadell’azione preventiva; le azioni successi-ve e i risarcimenti costano spesso enorme-mente di più di quelle preventive dimanutenzione, disciplina e governo delterritorio, e avendo il carattere dell’indif-feribilità e urgenza hanno effetti stravol-genti sulla programmazione della spesapubblica.

L’aggravarsi dei processi e dei fenomenidi dissesto e degrado ambientale delterritorio

Accanto ai più gravi eventi calamitosi(frane, alluvioni, mareggiate, incendiboschivi,…) che in genere portano a inter-venti postumi di tipo emergenziale, negliultimi decenni si sono venuti accentuandoe aggravando processi e fenomeni territo-riali-ambientali di dissesto e di degradoche chiedono una attività, oggi spessoassente, continua e sistematica di monito-raggio, manutenzione, pianificazione, pre-venzione e gestione anche perché spessocreano le condizioni per eventi più gravi.Alcune di queste criticità saranno partico-larmente indotte o aggravate da accen-tuati cambiamenti climatici e anche perquesto motivo richiedono una specificaattenzione. E’ complesso e difficile usciredalla logica degli interventi di emergenza,individuare e valutare i fenomeni ed ela-borare norme di salvaguardia e prescrizio-ni sull’uso del suolo, azioni e interventiper la rimozione delle cause, la riduzioneo mitigazione dei danni e dei rischi e perl’adattamento dei territori agli effetti nonevitabili.

Gli strumenti pianificatori di adattamento del territorio

sione e prevenzione, una precisa articola-zione nelle norme di salvaguardia, nelleprescrizioni, nella programmazione dell’u-so del suolo, nella gestione. Soprattuttodeve essere garantito un governo del ter-ritorio coerente che con l’insieme sistema-tico delle politiche e delle pratiche quoti-diane realizzi le finalità e gli obiettivi spe-cifici faticosamente individuati.In particolare va fatta una sistematicavalutazione delle aree già individuatecome vulnerabili, dissestate, degradate e arischio e idrogeologico per individuarequelle che chiedono interventi prioritari epossono avere un maggior aggravio inconseguenza dei cambiamenti climatici.Non serve solo una verifica delle situazio-ni sino ad oggi già pianificate con diversistrumenti (Piani di Bacino, Piani stralcio,Piani di Assetto Idrogeologico, PianiTerritoriali e Piani Paesaggistici) e dellostato di avanzamento del processo di pia-nificazione nelle altre situazioni, occorreanche una rivalutazione e una compara-zione degli strumenti stessi: metodologie,prescrizioni sugli usi del suolo, priorità,efficacia e qualità delle azioni in rapportoai differenti contesti. Ad esempio la rivisi-tazione del piano del Bacino dell’Arno, inbase a questi criteri, ha portato a modifi-care la qualità degli interventi e a ridurrela programmazione di spesa ad un quintodel preventivato.Le ricerche, i piani e le esperienze digestione sino ad oggi esperite possonoconsentire inoltre di classificare per tipo-logie gli interventi territoriali sui dissesti,sui degradi e sui rischi nelle diverse situa-zioni e quindi di costruire riferimentiquantitativi dei costi differenziati trainterventi preventivi e interventi di ripara-

La necessità di una pianificazionecompatibile e sostenibile

I cambiamenti climatici in corso, la proie-zione del loro consolidarsi e aggravarsi ele loro possibili conseguenze sull’assetto esull’organizzazione del territorio accen-tuano la necessità, comunque già presen-te, di orientare la pianificazione ambien-tale e paesaggistica, l’articolazione territo-riale e urbanistica e la progettazionesecondo principi e criteri di compatibilitàe sostenibilità incorporandoli nell’ elabo-razione (e non riducendoli a verifiche expost). In realtà è lo stesso impegno e pro-cesso di pianificazione che va riaffermatoe rilanciato essendo troppo spesso disatte-so perché si privilegiano i progetti dellesingole opere: clamoroso ad esempio ilcaso del progetto Mose, sbagliato e con-troproducente, realizzato in assenza di unPiano “per garantire l’equilibrio ambienta-le dinamico della laguna di Venezia sullungo periodo” (Commissione nazionaleVIA , 1998). Talvolta, quando ci sono, ipiani si limitano a dare indirizzi e diretti-ve generali troppo liberamente interpreta-bili, talaltra gli stessi Enti disattendono leproprie prescrizioni o non le fanno rispet-tare: in generale manca un governo delterritorio che garantisca la corretta elabo-razione e attuazione degli strumenti pia-nificatori. E il processo di pianificazione per esserecredibile ed efficace prima ancora delrestauro, della riduzione dei danni e del-l’adattamento ai fenomeni territoriali devepoter garantire il non aggravio quotidia-no, giorno per giorno, dei dissesti deidegradi e dei rischi ambientali. Gli stru-menti della pianificazione sostenibiledevono avere, dopo la capacità di previ-

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Stefano Boato*

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ambientali e paesaggistiche non riprodu-cibili, specialmente in una fase di grandi enon completamente prevedibili cambia-menti climatici che accelerano ed estre-mizzano fenomeni non del tutto definiti,non è sufficiente garantire un reale pro-cesso di controllo, pianificazione e gestio-ne degli usi del territorio troppo spessodisatteso, occorre garantire anche che l’e-laborazione i piani, i progetti, i program-mi, le normative, le azioni e gli interventisiano coerenti con alcuni principi fonda-mentali e siano elaborati con particolaricriteri, metodologie e modalità.1) Vi sono valori ambientali e paesaggisti-ci che per loro natura scientifica e cultu-rale, per ruolo e funzionalità territoriale (eper le leggi: vedi Codice Ambientale ePaesaggistico) sono sovraordinati rispettoalle altre variabili e valenze. Il territoriova indagato e interpretato per valutarepreventivamente e pianificare le vocazioni,le compatibilità e le sostenibilità ambien-tali; la tutela attiva e il ripristino dellevalenze ambientali e paesaggistiche, natu-rali e storiche, vanno garantiti a priori; aquesti valori e a queste valenze sovraordi-nate vanno comunque subordinati gli usidel suolo, soprattutto le eventuali nuoveurbanizzazioni e infrastrutture; a maggiorragione con questi criteri vanno progettatisingoli interventi e opere rilevanti (e nonvalutati ex post) se non sono inseriti inpiani d’insieme per un uso coerente erazionale delle risorse. 2) In tutta la letteratura scientifica mon-diale è ormai riconosciuto il principio dellimite. Il territorio non può essere sottopo-sto ad un aggravio di rischi e a “pesi”ambientali superiori alla propria capacitàdi sostenerne il carico. Ma, visto il disse-sto ambientale del nostro paese, è eviden-te che fino ad ora questo principio non èstato applicato. E anche il degrado pae-saggistico ha ormai investito persino learee di maggior valenza. Così l’interventoantropico ha rotto gli equilibri ambientalie compromesso i valori paesaggistici pree-sistenti. In Italia l’Impronta Ecologica (gliettari di terra biologicamente produttivanecessari per il consumo di beni e servizipro capite) è di 4,2 ettari globali e in con-tinua crescita, con un deficit ecologicopari a 3,1 ettari pro capite (WWF, 2006).In molte aree si sono sicuramente superatii limiti di sostenibilità, vedi ad esempiosituazioni di particolare inquinamentoproduttivo, impatto insediativo o di non

- l’artificializzazione della gestione delleacque nei territori agricoli con il tomba-mento di fossati e scoline e l’intubamentoanche di corsi d’acqua adduttori e dirogge;- l’aumento e lo spreco del consumo disuolo per edificazione inutile, sovradi-mensionata o sottoutilizzata (capannonivuoti, residenze sparse, seconde case)anche nei territori agricoli, montani e dicosta;- l’impermeabilizzazione dei suoli urba-nizzati e infrastrutturati;- l’ accentuarsi e l’aggravarsi dei fenome-ni di piena a causa dei processi sopracitati;- l’ accumulo di sedimenti, spesso inqui-nati, nei bacini idrici con la drastica ridu-zione sia della capacità volumetrica diinvaso sia, anche per briglie e traversesuccessive, dell’apporto dei sedimenti allecoste;- il degrado ambientale delle aree urba-nizzate produttive e residenziali;- l’insostenibilità ambientale e socialedella mobilità urbana e territoriale.Per prevedere, prevenire e ridurre, perquanto possibile, questi processi, per miti-garne gli effetti e adattare il territorio èinnanzitutto necessario ricostruire unsistema di monitoraggi e controlli continuie sistematici disattesi da molti anni;occorre individuare, uniformare e codifi-care gli indicatori generali di “vulnerabili-tà”, i parametri specifici e i metodi di rife-rimento per misurare e comparare glieffetti dei fenomeni di dissesto e di degra-do ( subsidenza, eustatismo, erosione,impermeabilizzazione, consumo di suolo,deflusso, franosità, smottamento, inaridi-mento, desertificazione, deforestazione,ecc.). In particolare la valutazione dei fattorimeteoclimatici e ambientali suscettibili dicondizionare la distribuzione dei fenome-ni e il confronto delle diverse situazioniregionali può permettere di cominciare adelineare primi credibili scenari nazionalie regionali dell’evoluzione nei prossimidecenni, a partire non da ipotesi modelli-stiche ma dalla misurazione sul campo deiprocessi in atto.

Principi, criteri, metodologie e modalità

In una situazione di progressivo dissesto edegrado territoriale che vede sempre piùridursi e deteriorarsi le risorse e le valenze

A titolo esemplificativo si ricordano alcu-ni processi che, anche quando vengonoindividuati, ben raramente sono affrontatinegli strumenti di pianificazione e gestio-ne del territorio, anzi spesso vengonoconsiderati “danni accettabili” o addirittu-ra aggravati da piani e interventi incom-patibili con le qualità del territorio e inso-stenibili nel lungo periodo:- le erosioni delle coste, i mancati ripasci-menti delle spiagge, l’aumento dell’inclina-zione e l’abbassamento dei fondali di costa(si attuano ripascimenti artificiali conti-nuamente vanificati dalle mareggiate);- la depressurizzazione e l’abbassamentodelle falde freatiche (per mancate ricarichee eccessive captazioni) con i conseguentifenomeni di subsidenza non più recupera-bili;- il dissesto e la mancata tenuta delledifese a mare (si progettano ulteriori irri-gidimenti);- l’avanzamento del cuneo salino nellefalde freatiche sia nei territori costieri, sialungo i tratti terminali dei fiumi e deicorsi d’acqua (non si affronta la depressu-rizzazione delle falde e la ridotta portatad’acqua ma si progettano ingegneristichebarriere mobili alle foci dei fiumi perimpedire l’avanzamento delle maree);- la mancata tenuta dei sistemi arginalidei corsi d’acqua e delle gronde lagunariinterni ai territori di costa (si risponde conulteriori artificializzazioni);- l’arginamento delle valli da pesca e ilmancato funzionamento del sistema di“monta” e di “smonta” delle specie itticolenelle aree lagunari (si acquista e si immet-te il “ novellame”);- la riduzione del franco di bonifica deiterreni agricoli di costa con la morte dicoltivazioni e vegetazioni;- il continuo rilascio e aumento delle cap-tazioni (e la mancanza di controlli) e lariduzione della portata, anche minima, deifiumi;- l’inquinamento non solo dei corsi d’ac-qua e dei fiumi, ma anche delle faldefreatiche e delle stesse acque di risorgiva(mancato controllo e gestione dei reflui inpercolazione sul territorio);- la distruzione della vegetazione median-te incendi dolosi (prevalentemente) o col-posi;- la deforestazione persino su parchinaturali, e l’urbanizzazione nelle aree pre-parco, con la conseguente dequalificazio-ne dei suoli;

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Elaborare le “Linee fondamentali di asset-to del territorio nazionale con riferimentoai valori naturali e ambientali e alla difesadel suolo, nonché con riguardo all’impattoambientale dell’articolazione territorialedelle reti infrastrutturali, delle opere dicompetenza statale e delle trasformazioniterritoriali” (Legge sulle aree protette del1991 e Codice dell’Ambiente Dlgs 152/2006) a partire dalla situazionedocumentata (Carta della Natura) e giuri-dicamente riconosciuta (Parchi nazionaliregionali e provinciali; riserve; rete Natura2000) definendo un sistema interconnessoe unitario di spazi naturali di livellonazionale e interregionale. Programmare e realizzare la rete ecologicanazionale e potenziare, per quanto possi-bile, le aree naturali protette, per costituireun sistema tendenzialmente in grado dicompensare e riequilibrare le aree di mag-gior urbanizzazione, edificazione e conge-stione del paese. Garantire la tutela attivadei Siti di interesse comunitario (S.I.C.) edelle Zone a protezione speciale (Z.P.S.)con normative, procedure delle autorizza-zioni e gestione di maggiore efficaciarispetto alle Valutazioni di incidenzaambientale oggi troppo facilmente e siste-maticamente aggirate nella sostanza.Costruire un sistema di misure, prescrizio-ni e incentivi, volto al contenimento deiprocessi di frammentazione delle matriciambientali e del territorio aperto con par-ticolare riferimento a una pianificazione,progettazione e realizzazione delle infra-strutture e delle grandi reti tecnologicheche garantisca la salvaguardia dellevalenze naturali.2) La difesa del suoloGarantire in tutto il territorio nazionale lanon urbanizzazione di aree a rischio idro-geologico e adeguare i piani urbanisticigià approvati contrastanti con i Piani diBacino o con i Piani di AssettoIdrogeologico. Impedire ulteriori pratichedi deforestazione e, anche con iniziativeesemplari, incentivare azioni di riforesta-zione specialmente in situazioni di smot-tamento e di frana, garantendo che gliinterventi vengano progettati e realizzaticon specie e tecniche che stabilizzano iversanti (orientate alla relativa forma cli-max) e che, anche con il sottobosco, ridu-cono al massimo il decorso delle acque avalle. Vietare (con prescrizioni di piano)l’ulteriore tombamento e l’artificializzazio-ne del sistema di drenaggio e decorso

lerata, con materiali opere e tecnologienon consolidate, occorre che i piani siconfigurino come processi, con continuitàma in evoluzione modificabile, e che iprogetti abbiano caratteri di reale speri-mentalità, siano cioè verificabili neltempo (come realizzato per secoli dallaRepubblica di Venezia in un ambientequanto mai complesso: vedi sperimenta-zione dei nuovi canali, chiamati “scomen-zere”, riorientabili se si rivelavano nonsostenibili negli equilibri delle correntilagunari). Dovendo monitorare gli effettidelle azioni e verificare se l’evoluzione deiprocessi corrisponde a quanto ipotizzato,occorre che l’attuazione dei piani vengaprogrammata con gradualità di fasi, conmoduli di realizzazione, tipo e tempi delleverifiche. In ogni caso, per effetti o risul-tati non previsti e desiderati e comunquenon accettabili o addirittura controprodu-centi o per sopravvenute modifiche delcontesto e dei fenomeni ambientali socialied economici, proprio nelle azioni e negliinterventi di maggior impegno deve esserepreventivamente garantita la possibilereversibilità, parziale o anche totale.In situazioni nelle quali i fenomeniambientali assumano caratteri moltodiversi, anche contraddittori e conflittuali,a seconda dei periodi climatici le azioni egli interventi possono dover assumereanche caratteri di “stagionalità” (vedinelle lagune l’eccessiva idrodinamica d’in-verno e la maggior necessità di ricambio eossigenazione d’estate).

Che fare? Piani, programmi, azioni dimitigazione e adattamento

In molte situazioni del nostro paese lacondizione ambientale del territorio èandata deteriorandosi, particolarmentenella seconda metà del secolo scorso, adun punto tale per cui non solo difficil-mente si potranno ricostruire gli equilibrie le compatibilità precedenti ma saràcomunque difficile promuovere interventie innescare processi che portino a nuoviequilibri sostenibili nel lungo periodo. Inquesta fase è quindi indispensabile che ilcontrollo, i piani e la gestione del territo-rio evitino per quanto possibile il deterio-ramento ulteriore della situazione, l’accen-tuarsi dei fenomeni di dissesto e di degra-do. In linea generale sono evidenziabilialcune linee di indirizzo e di azione: 1) I sistemi naturali

sopportabile afflusso turistico. Nelle situa-zioni più gravi bisognerebbe non solo fer-mare l’aumento quantitativo dei carichisul territorio ma invertire il processo: nonsolo porre un limite ma puntare a ridurrele quantità e a migliorare le qualità. Tuttociò è molto difficile anche per la mancataautorevolezza delle autorità pubbliche chegovernano con un’ottica di breve respiro ela forte pressione di settori e categorieeconomiche (vedi ad esempio la richiestadi sempre nuovi impianti di risalita insituazioni montane già congestionate econ innevamento non più garantito). Quando non è più possibile ripristinare gliequilibri preesistenti, i piani e i program-mi devono porsi l’obbiettivo di realizzareun nuovo equilibrio compatibile con ilcontesto attuale e sostenibile nel lungoperiodo. Se comunque non sono facil-mente individuabili gli effetti di determi-nate azioni e i carichi compatibili e quindii limiti di sostenibilità occorre regolarsisecondo il principio di precauzione.3) Inoltre, particolarmente in questa fase,nell’elaborazione degli strumenti di pianoè fondamentale rispettare criteri, metodo-logie e modalità evidenziatisi in esperien-ze ormai consolidate. Per quanto ancora possibile occorreaffrontare e rimuovere anche parzialmen-te le cause delle criticità, non limitandosialla mitigazione degli effetti. In genere èopportuno tendere a difendere, ricreare orealizzare gli equilibri possibili non conuna unica grande opera, di grande impe-gno e solitamente anche di grande impat-to e spesa, risolutrice di ogni problema,ma con un insieme di norme, usi delsuolo, azioni e interventi che affrontanonel loro complesso i problemi e sono piùfacilmente compatibili con il territorio. Leopere e gli interventi devono avere perquanto possibile caratteri non di artificia-lità e rigidità ma di naturalità, elasticità eflessibilità, con qualità fisiche e funzionali(per materiali, tecnologie e modalità ope-rative) che agevolino le possibilità di resi-lienza, la capacità del territorio di adattar-si e “assorbire” i cambiamenti, di reagire erecuperare rispetto agli stress ambientali,di mantenersi e autodepurarsi, ciò in par-ticolare in ambiti montani, fluviali, lacu-stri, lagunari e costieri di “interfaccia” e ditransizione (ad esempio non irrigidimentodelle coste e tutela o ricostruzione deisistemi dunali costieri). Dovendo agire insituazioni in evoluzione continua e acce-

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il drenaggio e il trattamento delle acquemeteoriche (Run Off) ripermeabilizzandosuperfici e gestendo il complessivo siste-ma di decorso delle acque con progettiflessibili di qualità che non provochino ildegrado di aree naturali. Pianificare eregolamentare le aree di nuova urbaniz-zazione impedendo comunque l’aggraviodel rischio idraulico e dell’inquinamento,garantendo la permeabilità dei suoli nonedificati, promuovendo il carattereambientale dei tetti (tetti vegetati), crean-do situazioni di drenaggio nelle aree verdio in vasche sotto le aree urbanizzate(occorre riverificare le tecniche, le opere ele tecnologie per la ritenuta,il trattamentoe il riuso delle acque meteoriche urbane).Avviare Piani di Riqualificazione delle areeurbane incorporando i problemi ambientali(inquinamento atmosferico acustico elet-tromagnetico termico e luminoso, rischi),recuperando e organizzando a sistemacontinuo le aree a standards (aree a verdee pedonali; attrezzature sportive, scolasti-che e socio- culturali; …) e i percorsi pedo-nali e ciclabili. Mettere i comuni in condi-zione di poter espropriare o comunqueacquisire le aree a standards senza dovernecontrattare la parziale edificazione.Riprogettare e riorganizzare le periferie,evitando ulteriore dispersione urbanasocialmente e ambientalmente degradata,riqualificando i servizi e gli spazi per con-tribuire alla vivibilità e alla sostenibilità.Garantire che il processo di bonifica erecupero delle aree degradate (contempe-rando rischio sanitario, qualità ambientalee costi) e di riuso delle aree dimesse siaprincipalmente volto a fornire alla cittàaree verdi, spazi pedonali, attrezzature eservizi pubblici; non un’operazione priori-tariamente di valorizzazione immobiliarema occasione unica per recuperare areealla riqualificazione della vivibilità urbana.Riorganizzare la mobilità urbana privile-giando e potenziando i trasporti pubblici(bus, tram, sistemi metropolitani di superfi-cie), organizzare intermodalità e parcheggiall’esterno delle aree urbane, disincentivarel’accessibilità in automobile e aumentaregli spazi pedonali e le aree ad accessibilitàlimitata; localizzare eventuali nuove areeinsediative nel territorio principalmentepresso i centri collocati lungo gli assi deltrasporto pubblico su rotaia. Riverificare gliimpatti e i rischi delle grandi reti tecnolo-giche nei percorsi territoriali e soprattuttonelle aree urbane e suburbane.

depressurizzazione delle falde); garantire oricostruire le situazioni di ricarica dellefalde e verificare la possibilità di reperirnedi nuove. Per i fiumi e i corsi d’acquadefinire un Minimo Deflusso Vitale maiinferiore alle portate di magra storicamen-te documentate, vietare ogni captazione,anche minima, in periodo di magra.4) Il paesaggioAttuare correttamente e prima possibile ilCodice dei Beni Paesaggistici (Dlgs n. 42/2004 e 157/2006, art. 135.3 e 145.3) conl’elaborazione e l’approvazione dei PianiPaesaggistici “definendo per ciascunambito paesaggistico specifiche prescrizio-ni e previsioni ordinate:a) al mantenimento delle caratteristiche,degli elementi costitutivi e delle morfolo-gie dei beni sottoposti a tutela,b) all’individuazione delle linee di svilup-po urbanistico ed edilizio compatibili coni diversi livelli di valore e con il principiodel minor consumo del territorio ecomunque tali da non diminuire il pregiopaesaggistico di ciascun ambito,c) al recupero e alla riqualificazione degliimmobili e delle aree compromessi odegradati al fine di reintegrare i valoripreesistenti , nonché alla realizzazione dinuovi valori paesaggistici coerenti e inte-grati” e ”stabilendo norme di salvaguardiain attesa dell’adeguamento degli strumentiurbanistici”. In particolare salvaguardare evalorizzare le qualità ambientali e paesag-gistiche del territorio delle Alpi e degliAppennini con il sostegno alle attivitàagro-silvo-pastorali, alla manutenzioneterritoriale, all’agriturismo e al turismoecologico; con lo spostamento di trasportidalla strada al ferro e il contenimentodegli insediamenti turistici e dell’accessibi-lità (soprattutto degli impianti di risalita)nelle aree più vulnerabili e già oggi con-gestionate. Per rendere credibile la tutela attiva e lavalorizzazione delle valenze paesaggisti-che devono essere garantiti il controllo sulterritorio e l’eliminazione dell’abusivismoedilizio. 5) Gli insediamenti e le infrastruttureRidurre il consumo di suolo; in particolarecondizionare l’approvazione di nuovipiani di urbanizzazione, insediativi o pro-duttivi, al (quasi) completo uso o riusodelle aree già urbanizzate e/o approvate.Impedire l’edificazione e l’urbanizzazionesparsa nei territori agricoli. Avviare, conpiani e programmi in tutte le aree urbane,

delle acque nei territori agricoli, incenti-vare iniziative di riqualificazione e rico-struzione almeno dei sistemi dei preesi-stenti fossati naturali. Definire le fasce dipertinenza fluviale, lacuale e costiera,garantirne la tutela idraulica in connessio-ne a quella paesaggistica (con l’adegua-mento dei piani urbanistici contrastanti),avviarne processi di rinaturazione e riqua-lificazione. Nell’approccio al problemadelle piene anziché velocizzare il decorsoa valle, per quanto possibile, ricreare eorganizzare le potenzialità di drenaggio sututto il territorio a monte, anche recupe-rando ove possibile aree di pertinenza delletto originario del fiume. In ogni caso neipiani va privilegiata la disciplina del suolorispetto alle opere di difesa, la manuten-zione e la prevenzione dei dissesti rispettoa opere di protezione passiva e rigida.Ricreare le condizioni tecniche e giuridi-che, modificando la legislazione e le con-cessioni vigenti, per una gestione nell’in-teresse pubblico dei bacini idrici e dellefasce di pertinenza fluviale, questo perpoter garantire sia l’uso della capacitàvolumetrica di invaso delle acque (perprevenire il rischio di piena e per l’utilizzodella risorsa), sia l’apporto dei sedimentisino alle coste, con modifica ove necessa-rio di briglie e traverse.3) L’ uso sostenibile delle acque.Garantire la tutela integrata degli aspettiqualitativi e quantitativi delle acque nel-l’ambito di ciascun bacino idrografico,innanzitutto prevenendo e riducendo l’in-quinamento all’origine.Realizzare misure per l’utilizzo razionale,la conservazione, il risparmio, il riutilizzoe il riciclo delle risorse idriche. In linea generale non approvare nuoveconcessioni di captazione idrica per inte-ressi privati. Ricostruire un catasto delleconcessioni. Ridurre l’insieme delle con-cessioni, che superano la disponibilitàdella risorsa acqua, e riportarle a compati-bilità con il bilancio idrico. Attivare i con-trolli. In particolare verificare e ridurre siale concessioni irrigue (che consumano lamassima parte delle risorse) incentivandola modifica dei sistemi di irrigazione e lacoltivazione di specie a minor consumod’acqua, sia le concessioni energetiche,anche alla luce di nuovi piani energeticinazionale e regionali.Mettere sotto controllo il sistema dei pozziche ormai si spingono a centinaia di metridi profondità (data la sempre maggior

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blici e un disincentivo alla mobilità priva-ta, dando un contributo strategico, indi-spensabile urgente e possibile, alla vivibi-lità e alla sostenibilità ambientale;- occorre arrivare a coordinare la gestionedel fabbisogno energetico nel territorio edel bioclima nelle città. Con una specifi-cazione regionale delle norme statali (Dlgs311/2006, Linee Guida in preparazione,…)e una pianificazione in grado di valoriz-zare le diversità e verificare i fabbisogniterritoriali, con stimolanti regolamenti einiziative dei Comuni (v. Bolzano) e conmisure di defiscalizzazione e incentivi sipuò arrivare a promuovere un conteni-mento dei consumi energetici nei territorie quasi raggiungere, ove il contesto loconsente, l’autosufficienza negli edifici.

Un maggior coordinamento però, siimpone innanzitutto a livello generale.

Per realizzare le finalità prefissate di miti-gazione e adattamento ai cambiamentiglobali è necessario avviare un confrontoe coordinamento tra i ministeri e un pro-cesso di negoziazione tra governo e regio-ni per specificare, quantificare e definirele diverse responsabilità per raggiungerenei tempi dati gli obiettivi di risparmioenergetico e idrico e di riduzione delleemissioni inquinanti articolando leresponsabilità per piani e programmi disettore e regionali (energia, attività agro-forestali, attività industriali, trasporti, pro-duzione edilizia...). Questa capacità dicoordinamento e responsabilizzazione èanche la miglior premessa e garanzia cul-turale, amministrativa e gestionale perchèl’avvio di un rinnovato processo di piani-ficazione per la riduzione delle criticità el’adattamento del territorio ai cambiamen-ti climatici sia sostenuto, incoraggiato ereso credibile a tutti i livelli e in tutti icampi.

*Rappresentante del MATTM.**Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici Roma12 13 sett. 2007.Relazione alla Sessione Plenaria conclusiva su “gliStrumenti di Adattamento” fatta a nome del MinisteroAmbiente e Tutela del Territorio e del Mare (MATTM).

Bibliografia essenziale- A.A.V.V. Ambiente e pianificazione Atti del convegno “La ricerca per una pianificazione terri-toriale ambientalmente orientata”25-27 marzo 1996. Dipartimento di Urbanistica IUAV - S. Boato Aspetti territoriali dei Piani di bacino. La rottu-ra degli equilibri in Piani di Bacino e sicurezza idraulicaI.V.S.L.A. Venezia 2003

generali e gli obbiettivi specifici dichiaratie formalmente approvati. Inoltre c’è lanecessità di un maggior coordinamentotra la grande varietà degli strumenti dipiano con caratteristiche, competenze,gestioni, livelli di azione molto diversi.Ad esempio nei rapporti tra i Piani diBacino e i Piani di gestione delle acque(Direttiva europea 2000/60, Codice del-l’ambiente) delle Autorità statali e i Pianidi tutela delle acque delle Regioni occorrerecuperare la visione d’insieme portandoin particolare tutti gli enti e gli attori afarsi carico delle determinazioni sulBilancio idrico, sui Fabbisogni d’acqua,sul Minimo deflusso vitale dell’interobacino idrografico. Le “Intese per l’elabo-razione congiunta dei Piani paesaggistici”stipulate tra le Regioni, il Ministero deiBeni Culturali e Paesaggistici e ilMinistero dell’Ambiente e della Tutela delterritorio (art. 143.3 del Codice delPaesaggio) per non ridursi ad un atto for-male e inefficace devono garantire la for-mazione di gruppi di lavoro compositi einterdisciplinari per coordinare realmentele prescrizioni paesaggistiche e le indica-zioni di compatibilità e sostenibilitàambientali con le prospettive territoriali.In generale dopo le esperienze dell’ultimodecennio si è evidenziata la necessità diuna maggior interrelazione e congruità,sin dall’impostazione, tra i Piani dei baci-ni idrografici e i Piani Paesaggistici e glialtri strumenti di pianificazione territorialee urbanistica che soli possono specificarel’uso e l’organizzazione del territorio. Inparticolare:- i Piani territoriali regionali e provincialicon un’elaborazione qualitativa e condivi-sa devono poter garantire una coerentearticolazione territoriale per sotto-baciniidrografici e ambiti paesaggistici sapendoriconoscere, valorizzare e specificare leesigenze e le direttive troppo generali;- i Comuni nei Piani regolatori urbanistici(e anche nell’adeguamento di quelli giàapprovati a suo tempo con minor consa-pevolezza) devono farsi carico per primidelle criticità e dei valori ambientali epaesaggistici oggi evidenziati che indica-no le compatibilità per gli usi del suolonel loro territorio;- i piani e la gestione della mobilità,devono. sempre più promuovere un radi-cale cambiamento delle modalità e delleintermodalità nell’uso delle infrastrutture,con un potenziamento dei trasporti pub-

L’elaborazione e i rapporti tra glistrumenti di piano.

In una fase di accelerati cambiamenti cli-matici e di accentuazione dei fenomeni dirottura degli equilibri ambientali si eviden-ziano innanzitutto alcune problematicherelative alla elaborazione degli strumenti: - i caratteri di sostenibilità dei piani (e dicompatibilità dei progetti) vanno garantitiincorporandoli sin dall’inizio nell’interoprocesso di elaborazione degli strumenti(individuazione delle finalità e degli obiet-tivi specifici, elaborazione e comparazionedelle alternative, predisposizione dellostrumento) applicando correttamente, noncome semplice approvazione finale, lavalutazione ambientale strategica (Vas);- le “ragionevoli alternative” previste dallanormativa europea e italiana, e le diversepossibili opzioni di adattamento ai cam-biamenti climatici vanno individuate ecomparate non per aspetti secondari masu elementi e caratteri strutturali e funzio-nali, elaborando le analisi costi-benefici econfrontando le compatibilità e sostenibi-lità ambientali, sociali ed economiche inuna prospettiva di lungo termine;- la più ampia partecipazione possibiledella popolazione, degli enti locali e delleassociazioni va promossa e organizzata,proponendo al dibattito e alle valutazionile comparazioni delle alternative e delleopzioni come condizione fondamentaleper garantire, nell’uso delle risorse, unavisione generale e articolata degli interessiin campo non riducibile ad alcuni partico-lari operatori economici. Un’ampia e realepartecipazione è anche la condizione perincorporare nel processo di piano le cono-scenze diffuse delle caratteristiche, dellequalità, delle vocazioni e delle compatibi-lità del territorio;- gli strumenti per essere efficaci devonoda un lato avere chiare norme di salva-guardia e di tutela, prescrizioni, indicazio-ni di modalità e metodologie di interven-to, dall’altro devono poter programmarel’attuazione per fasi individuando precisepriorità con una analisi comparata dellegravità delle criticità e dell’efficacia dellediverse azioni possibili;- il processo di attuazione e aggiorna-mento dei piani deve essere sostenuto dauna volontà di governo, un insieme dipolitiche e di pratiche coerenti con glistrumenti che sole possono garantire unagestione del territorio verso le finalità

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degli interventi in ambito urbano.La soluzione prevista dal legislatore èduplice. Si tratta di rendere più caldeopere tiepide o fredde – seguendo iltradizionale gergo del settore – inprimo luogo mettendo in gioco partedel patrimonio immobiliare pubblico dicui si riconosce il sottoutilizzo o lanatura non più strategica nell’assolvi-mento di una funzione pubblica. Sinoti come in questo caso l’amministra-zione possa simultaneamente risolvere,attraverso il contributo attivo del set-tore privato, un problema di nonminore rilievo legato alla valorizzazio-ne di immobili di proprietà pubblica.La seconda strada per rendere appetibi-li investimenti altrimenti prerogativadella finanza pubblica è rappresentadall’impiego dello strumento dellavariante urbanistica o di specifici attiautorizzativi che consentano al promo-tore di recuperare redditività attraversointerventi di sviluppo immobiliare, siacon interventi privati che con opere dipubblica utilità che abbiano fruibilitàpubblica.Lucidamente, Urbani1 coglie comericorrendo alla cessione di potenzialevolumetrico e alla valorizzazione dipatrimonio immobiliare pubblico, ilproject financing non è “puntuale maha un vero e proprio ambito territorialee spaziale di riferimento con il che siprospetta la possibilità che questamodalità non riguardi la singola operapubblica (ad es. il parcheggio sotterra-neo) ma coinvolga nuovamente l’asset-to del territorio”.Consideriamo ora lo strumento delprogramma integrato. I suoi fondamen-

Project financing e programmi integrati:soluzioni ibride per i progetti urbaniEzio Micelli*

rato intento di rilanciarne le condizionidi operatività.Con particolare riferimento allo svilup-po di progetti urbani, le nuove proce-dure prevedono che l’amministrazioneconcedente possa integrare il prezzo –ovvero la quota di risorse messe ingioco dall’amministrazione al fine direndere appettibile la redditività del-l’intervento – grazie alla cessione inproprietà o in diritto di superficie dibeni dell’amministrazione che nonassolvono più a funzione di interessepubblico, o che possono essere consi-derati connessi all’opera pubblica, suiquali il concessionario può realizzareanche interventi privati. Le norme pre-vedono inoltre la possibilità da partedel concessionario di eseguire lavoristrutturalmente e direttamentecollegati: in questo modo si permetteche il concessionario possa candidarsia realizzare opere private anche su areedi sua proprietà. Infine, il legislatoreha previsto anche la possibilità di rea-lizzare opere di pubblica utilità – ovve-ro di opere private che abbiano unafruibilità pubblica (ad esempio: uncinema multisala) – la cui realizzazionepermetta di integrare il prezzo dell’o-pera oggetto di project financing assi-curandone la corretta redditività.Il senso economico degli interventiriformatori è chiaro. Il limitato succes-so del project financing non spiegasolo in ragione delle difficoltà burocra-tiche, delle carenze dell’amministrazio-ne nella programmazione e nel suppor-to dell’attività dei privati, ma anche esoprattutto di strutturali limiti econo-mici legati alla modesta redditività

L’asimmetria tra la complessità dei pro-getti di trasformazione della città e lerisorse – non solo finanziarie, maanche tecniche e gestionali – a disposi-zione del soggetto pubblico rende ine-ludibile il partenariato tra pubblico eprivato nei processi di trasformazionedella città. La prassi delle amministra-zioni non solo decreta il successo dialcuni strumenti rispetto ad altri, mapermette di intuire forme evolutive dico-operazione non previste nei disegnidel legislatore che invece si impongo-no per la loro capacità di dare soluzio-ne ai problemi ritenuti prioritari nellagestione dei progetti e dei piani.Tra i casi più interessati al riguardo viè una nuova classe di progetti promos-si attraverso il ricorso a formule ibrideche uniscono – sotto il profilo dellalogica economica – la tecnica del pro-ject financing, con quella dei program-mi integrati.Procediamo con ordine e proviamo aclassificare sotto il profilo economico egiuridico i due strumenti. La ratio eco-nomica del project financing è nota: ilpromotore del progetto realizza un’o-pera pubblica o di pubblico interesserichiedendo come controprestazione lapossibilità del suo sfruttamento econo-mico per un certo numero di anni. Altermine della durata della concessione,l’opera ritorna nella piena disponibilitàdell’amministrazione concedente.Introdotto in Italia con la leggeMerloni nel 1994, il project financingha conosciuto uno sviluppo modestogiustificando successivi interventi dellegislatore prima con la legge 415/98 equindi con legge 166/2002, nel delibe-

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ma nulla vieta che possa riguardareanche opere in grado di generare bene-fici. Si consideri ad esempio la possibi-lità per un promotore di intervenirenella logistica realizzando un interpor-to: in questo caso, l’accordo con il pri-vato permette la realizzazione di unintervento in cui l’attribuzione di ren-dita può risultare più contenuta inragione dei flussi reddituali derivantidalla gestione economica del progetto.Sotto il profilo economico, il temapotrebbe essere affrontato sia comeintervento in project financing, in cuil’eventuale prezzo pagato dall’ammini-strazione assicura un tasso di rendi-mento adeguato a remunerare il capi-tale di rischio dell’investitore, sia comeaccordo pubblico/privato nell’ambito diun programma complesso in cui la ces-sione di volumetria a destinazione pri-vata si riduce in quanto il privatoottiene un beneficio dalla gestione del-l’intervento.Le sperimentazioni condotte dalleamministrazioni in questi ultimi anniconfermano l’interesse per formuleibride che coniugano project financinge programmazione complessa. Lariqualificazione dei mercati generali aRoma, gli interventi nella portualitàturistica a Napoli, la riqualificazione diparti urbane a Genova – tutti progettiin cui il project financing si fonde congli strumenti della programmazionecomplessa – evidenziano il rilievo chequesti nuovi strumenti potranno averenello sviluppo delle nostre città.Alle opportunità offerte devono tutta-via essere affiancate anche le criticitàlegate a simili sperimentazioni: pur divedere realizzate opere e attrezzatureritenute strategiche, le amministrazionipotrebbero trovarsi nella situazione dipromuovere varianti non coerenti conil quadro di sviluppo complessivo dellacittà. Il fenomeno – noto a chi si èoccupato di programmi complessi –prevede la riclassificazione degli stru-menti urbanistici e gestionali in leve diprelievo parafiscale grazie alle qualicompensare i minori trasferimenti dalleamministrazioni sovraordinate.In altre parole, l’amministrazione nonparte più dalla necessità di riqualificareun’area, e dunque dalla possibilità diattribuire nuova capacità edificatoria,valutando poi quanta parte del plusva-

dovuto per legge. In realtà, le esperien-ze di numerose amministrazioni hannoevidenziato una ripartizione sostanzial-mente paritetica del plusvalore esitodella variazione degli strumenti urba-nistici. Ad esempio, i piani di recuperourbano del Comune di Bologna hannoprevisto la ripartizione a metà del plu-svalore determinato dalle nuove regoleurbanistiche, mentre dalle normeapprovate dal Comune di Padova sievinceva un ripartizione moderatamen-te più favorevole all’amministrazione,con il recupero minimo del 60% dellarendita aggiuntiva a seguito dellavariazione degli strumenti urbanistici.La convergenza tra i due strumentiappare chiara. Se prima delle innova-zioni normative del 1998 e del 2002, ilproject financing poteva essere impie-gato solo per opere puntuali nella pro-spettiva di una loro esecuzione egestione da parte di un operatore pri-vato, le nuove possibilità offerte dallegislatore per elevare il rendimento diopere altrimenti non convenienti sottoil profilo economico-finanziario allar-gano in modo significativo il campo diapplicazione dello strumento, alteran-done tuttavia la natura e il rilievosotto il profilo urbanistico. Il projectfinancing smette di essere tecnica dimera attuazione di un programma diinterventi per divenire strumento cheassicura simultaneamente lo sviluppodella programmazione e della pianifi-cazione della città e le condizioni dellasua effettiva operatività. Poiché è ilplusvalore determinato dalle scelteamministrative a rendere credibile l’in-tervento del promotore – determinandonuove volumetrie o modificando lepossibilità di sviluppo del propriopatrimonio immobiliare – il projectfinancing resta solo in apparenza stru-mento attuativo delle scelte program-matiche dell’amministrazione, mentrene altera più o meno significativamen-te norme e prescrizioni urbanistiche.L’evoluzione degli strumenti può essereconsiderata anche a partire dai pro-grammi integrati. Con questi ultimi,l’amministrazione ha tradizionalmentescambiato rendita con capitale fissosociale, la cui articolazione era funzio-ne delle priorità pubbliche. Lo scambioè semplice per opere fredde (ad esem-pio, per la realizzazione di una piazza),

ti giuridici sono in ordine alla legisla-zione nazionale – la L 179/92 – ma ilsuo sviluppo è legato alle numeroselegislazioni regionali che ne hannorecepito e sviluppato i contenuti. Conil programma integrato l’amministra-zione modifica gli strumenti urbanisticivigenti per una parte soltanto del suoterritorio con un intervento in cuiaspetti funzionali, progettuali ed eco-nomico-gestionali sono messi a sintesi,superando così la tradizionale indiffe-renza dei piani tradizionali sia nel con-fronti del progetto urbanistico e archi-tettonico, sia nei confronti delle con-crete modalità gestionali. L’interessemostrato per i programmi integrati sispiega soprattutto in considerazionedelle potenzialità economiche che essiesprimono per le amministrazioni: inuovi strumenti consentono infatti ilco-finanziamento di attrezzature einfrastrutture pubbliche altrimenti acarico delle finanze locali.I termini dello scambio tra pubblico eprivato sono chiari sotto il profilo qua-litativo. L’amministrazione comunalepuò concedere capacità edificatoria,oltre a modificarne le destinazionid’uso. Il privato a sua volta può invececedere all’amministrazione suoli in piùrispetto a quanto dovuto per gli stan-dard di legge, opere pubbliche ecce-denti i tradizionali oneri di urbanizza-zione primaria e secondaria e infineservizi, eventualmente integrati allagestione degli interventi realizzati abeneficio della comunità. Se consideriamo le quantità, lo scam-bio deve consentire un beneficio perentrambi i partecipanti al negoziato.Con le parole della teoria dei giochi,l’accordo deve risultare a somma posi-tiva: sia l’amministrazione che il pro-motore del programma integrato devo-no ritenere vantaggioso parteciparealla realizzazione del nuovo intervento.L’amministrazione attraverso la levaurbanistica determina plusvalore fon-diario, rendita nel lessico dell’econo-mia classica. Tale plusvalore, funzionedell’ammontare del potenziale volume-trico attribuito alle proprietà private eai valori immobiliari dell’area, deveessere perlomeno in grado di compen-sare i costi marginali del promotoreprivato necessari a sostenere gli inter-venti collettivi eccedenti quanto già

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lore così attribuito debba ritornare allacomunità nella forma di aree od opere.Compie invece il percorso inverso:prima individua le opere ritenute prio-ritarie prive di copertura finanziaria eprocede quindi all’attribuzione di capa-cità edificatoria per determinarne, inpartnership con i privati, le condizionidi fattibilità economica. Il rischio è dunque quello di scardinarequalsiasi ragionevole attività di pro-grammazione – anche di tipo strutturale/strategico – pur di pervenireall’obiettivo rappresentato dall’opera odall’intervento pubblico in generale. Vatuttavia sottolineato come la scarsitàdelle risorse, non solo finanziarie, maanche tecniche e gestionali renda pococredibile il ritorno a modelli in cui alsettore privato veniva chiesta la meraattuazione di quanto previsto neglistrumenti urbanistici e infrastrutturalidell’amministrazione. La sfida, in altritermini, è la regia delle trasformazioniurbane entro quadri capaci di fissare ilperimetro di negoziati comunquecoerenti con ciò che la comunità ritie-ne essere l’interesse generale di cuidevono essere note le soglie di flessibi-lità e variazione. Senza nostalgie perl’esercizio d’autorità della mano pub-blica, e senza enfatiche adesioni all’ar-te del negoziato.

* Iuav, Università di Venezia.

Note1. Paolo Urbani, Territorio e poteri emergenti. Le poli-tiche di sviluppo tra urbanistica e mercato,Giappichelli, Torino, 2007.

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MASTER IN MANAGER DELLE POLITICHEE DEI PROGRAMMI DI SVILUPPO E COESIONE

CCoonnssoorrzziioo PPoolliitteeccnniiccoo ddii MMiillaannoo,, UUnniivveerrssiittàà BBooccccoonnii MMiillaannoo,, UUnniivveerrssiittàà ddii NNaappoollii FFeeddeerriiccoo IIII

Obiettivi del MasterIl Master si propone di formare esperti nel campo delle politiche di sviluppo e coesioneterritoriale che siano in grado di svolgere attività di management di progetto, con par-ticolare attenzione all’aspetto della relazione tra politiche integrate territoriali a scalalocale e altre politiche settoriali e integrate di diversa scala.

Programma Il Master è caratterizzato da un orientamento fortemente diretto all’acquisizione dicompetenze “politecniche”integrate e di carattere progettuale, nel campo delle politi-che di sviluppo, oltre ad offrire corsi di approfondimento delle discipline economiche,giuridiche e dell’amministrazione pubblica. Sono previsti corsi di ingresso; corsi fonda-mentali tematici e corsi fondamentali disciplinari.

StageLa faculty del Master stabilirà relazioni con enti di diversa natura per l’attivazione diesperienze che permettano agli studenti di partecipare direttamente ad attività di pro-grammazione, progettazione e valutazione di politiche di sviluppo, sia a scala locale inamministrazioni comunali, società di progettazione, istituti di ricerca e agenzie di svi-luppo sia a scala sovralocale, sia all’estero.

Scadenza domande di ammissione: 10 dicembre 2008

Prova di ammissione presso il Politecnico di Milano: 17 dicembre 2008

Informazioni generali

Il master si svolge dal 15 gennaio 2008 al 15 dicembre 2008.

Sede: Politecnico di Milano – Dipartimento di architettura e pianificazione, Via Bonardi3, 20133, MilanoOrario: per le lezioni, da gennaio a giugno, da lunedì a venerdì dalle 10 alle 13 e dalle14 alle 17. Da luglio a dicembre attività di stage presso enti concordati con gli iscrittiQuota di iscrizione: ? 6000 (sono previste 10 borse di studio a copertura totale e 10 acopertura parziale)

Recapiti: Politecnico di Milano - Dipartimento di architettura e pianificazione Via Bonardi 3, 20133 Milano Dott.ssa Marina Bonaventura Tel. 02-23995165 - [email protected]

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li ed un allineamento alla dimensionecomunitaria. In questa prospettiva lalegge deve definire il ruolo dei diversisoggetti pubblici e privati in termini diresponsabilità, competenza e adegua-tezza. Si rileva che l’assenza dellavalutazione di compatibilità strategicanel nuovo Pup indebolisce la credibili-tà del piano, ovvero le scelte di pianoappaiono prive della necessaria verifi-ca e la norma generale ne esce inde-bolita.

Pianificare territorio e paesaggio: ilpiano territoriale di comunità

Alla pianificazione d’area vasta,Comunità di Valle, il disegno di leggedella Giunta Provinciale ha assegnatoun ruolo di tipo strutturale e strategi-co, in cui non vi sono elementi certi dicogenza, riservando il vero ruolo stra-tegico ed operativo ai piani di livellocomunale, tale impostazione appareinsoddisfacente in quanto svuota ilPup del suo ruolo di salvaguardiastrutturale cancellando allo stesso l’in-dirizzo strategico territoriale, nonchélasciando ai Comuni compiti che nonsono in grado di svolgere. La pianifi-cazione di Comunità deve giocare apieno il ruolo strategico per decisionie azioni di livello sovralocale e deveoperare dal punto di vista strutturaletrattando le tematiche di area vastasulle quali le amministrazioni comu-nali operano con maggiore difficoltà.In tale modo si assegnerebbero aicomuni le competenze operative, entroun quadro temporale ben definito. Ciòsi lega con la capacità conformativadel piano, quindi all’imposizione fisca-

divisibile, preoccupa la labilità dialcune scelte di fondo che necessita-no nel prossimo futuro di una miglio-re definizione e salvaguardia.I rapporti, la collaborazione, il con-fronto sono momenti essenziali peruna comunità che sa riflettere e deci-dere: e se gli atti conclusivi appaionodelineati non lo sono le procedure e ipassaggi di maturazione delle scelte,ancor oggi si registra la mancata dis-ponibilità allo scambio di informazio-ni essenziali e basilari tra i differentilivelli istituzionali, in termini dirisorse ciò rappresenta diseconomie,nella dialettica necessaria alla matu-razione delle scelte, con il rischio chepossano inficiare il meccanismo stes-so della co-pianificazione.

Un percorso di maturazione del pianoe di conoscenza condivisa

I soggetti, istituzionali e non, interagi-scono nella costruzione di scenari disviluppo e degli assetti spaziali neiquali si collocano i diversi progetti,spesso tra loro conflittuali; questainterazione deve trovare, nelle diversemodalità della pianificazione, unasoluzione delle conflittualità nellaricerca della coerenza possibile maanche di una compatibilità con leragioni del territorio, dell’ambiente edel paesaggio, come peraltro impegnaa fare la direttiva europea sulla valu-tazione ambientale dei piani e dei pro-grammi. La condivisione dei quadriconoscitivi ai diversi livelli nella lorotrascalarità e nella loro interdisciplina-rietà costituisce un avanzamento nellacultura del territorio delle società loca-

Sezione Inu Trentino

L’Ordinamento urbanistico e il nuovoPup per la sussidiarietà responsabile

Una “legge” di riorganizzazione delgoverno del territorio appare indi-spensabile per dare rilancio e nuovestrumentazioni alla gestione del terri-torio; ciò sia per riordinare una mate-ria in parte disorientata dalle senten-ze e dalle interpretazioni giuridiche,che hanno anche in parte stravolto lospirito originale dei provvedimentilegislativi nazionali, provvedimenti aiquali, pur con i gradi di libertà che civengono dalla Statuto di Autonomia,ispiriamo la nostra stessa normativaurbanistica, sia per impostare sunuovi criteri di responsabilità dell’a-zione di governo. La terza revisione del Piano urbani-stico provinciale, rappresenta la con-clusione della fase centralistica pro-vinciale e l’avvio di assetti specificinelle singole valli anche a fronte dipossibili politiche differenziate persingoli ambiti ponendo con ciò lebasi per valorizzare le conoscenze ele sensibilità diffuse.Dall’altra, per non disperdere lagestione complessiva del territoriotrentino in rivoli tra loro contraddito-ri, il nuovo atto di indirizzo provin-ciale deve avere linee di riferimentochiare, forti e semplici al tempo stes-so, proprio per unificare sotto unalogica unica applicazioni che potran-no trovare differenti interpretazioni,ma che in questo passaggio appaiononel nuovo Pup non del tutto mature edefinite. Quindi se l’impostazione del nuovoOrdinamento è sostanzialmente con-

Prime riflessione sul disegno di riordinodell’Urbanistica Trentina

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che gli indirizzi di sviluppo-program-mazione delle disponibilità pubbliche.La previsione edificatoria decade conla decadenza del piano, la mancataattuazione delle previsioni costituiscedi per se motivazione per non rinno-vare la previsioni urbanistica che puòessere invece prorogata solo a valle dispecifiche e ben motivate argomenta-zioni.

La fiscalità urbanistica

La fiscalità locale deve svolgere unruolo sempre di più determinante nelgoverno del territorio: anche se si trat-ta di un obiettivo ambizioso e nonfacile da raggiungere, anche in ragio-ne della più complessiva politica fisca-le del nostro Paese, il nuovo“Ordinamento” dovrà quindi contenerealcune misure che evidenzino taleruolo e che ne indichi anche i futurisviluppi.Si tratta quindi di affrontare e risolve-re alcune questioni, in particolare: - l’applicazione dell’Ici deve essereprevista per le previsioni conformativedel Piano operativo e relativamentealle trasformazioni, che sul “costruitoesistente” disciplinato dalRegolamento urbanistico-edilizio enon sulle scelte programmatiche delPiano strutturale, che non possonoessere in alcun modo trasformate indiritti;- deve essere reintrodotta la non tas-sabilità, già citata in precedenza, deitrasferimenti volumetrici nell’ambitodell’applicazione della modalità pere-quativa/compensativa;- devono essere definiti disincentivifiscali (sempre attinenti alla fiscalitàlocale) per sostenere interventi di riqua-lificazione, manutenzione e concorsoallo sviluppo e qualificazione della“città pubblica” nella città esistente conparticolare riferimento alla riqualifica-zione energetica e funzionale.

Pubblico e privato nella costruzionedella città - Le dotazioni pubbliche

La pianificazione attuativa non deveessere la progettazione edilizia a scalaterritoriale, ma la definizione in termi-ni programmatori degli interventi con-nessi a carico del pubblico e del priva-to con localizzazione nel dettaglio del-l’assetto distributivo dell’area, tempo-rizzazione delle fasi attuative e relativicosti.Appare necessario che nell’articolo 2del nuovo Ordinamento sia indicato inmodo esplicito tra le finalità dellalegge l’aumento del patrimonio didotazioni pubbliche in particolaredelle urbanizzazioni primarie, labuona cura e manutenzione del patri-monio esistente, nonché il corretto eparsimonioso uso delle risorse territo-riale.

La perequazione

La perequazione è ormai entrata sta-bilmente nelle leggi regionali riformi-ste come la modalità ordinaria perattuare realmente la parte pubblicadelle trasformazioni per insediamenti eservizi, previste dal Piano operativo, ecome lo strumento più convenienteper l’acquisizione delle necessarie areepubbliche; in tale contesto, l’esproprioviene invece normalmente indicatocome misura straordinaria, quando lamodalità attuativa ordinaria non risul-ti praticabile. L’esproprio è comunqueindispensabile per la realizzazionedelle opere pubbliche e per l’acquisi-zione delle aree che non sono collega-te a trasformazioni: saranno i Comunia scegliere quale strumento utilizzareper realizzare le previsioni dei propripiani, pensando al migliore interessepubblico da perseguire.

I diritti edificatori e il residuo di piano

Il problema del “residuo di piano”,cioè delle possibilità di modificare leprevisioni residue dei piani previgenti,costituisce un elemento da disciplinarecon la nuova legge nel senso espressoal punto 3, anche perché tale proble-ma rappresenta un ostacolo assai rile-vante per una affermazione del nuovomodello di pianificazione, sia perquanti riguarda il dimensionamento

le e alla produzione delle plusvalenzeconnesse alle previsioni urbanistiche.La fiscalità si attiverebbe solo nel casodella effettiva attuabilità delle previ-sioni di piano, mentre trascorso untempo congruo, varrebbe la decadenzadelle previsioni di trasformazioniurbanistica attivando meccanismi disalvaguardia totale.La Provincia, attraverso il potenzia-mento del Sita, dovrebbe svolgere unruolo di coordinamento delle politichesettoriali, oggi trascurata nel nuovoPup, anche rappresentando in modocoordinato le previsioni contenute daisingoli strumenti di programmazionesettoriale. Il Ptc deve quindi risolvere iconflitti d’interesse scegliendo gliassetti più opportuni nella visione diinteresse locale, mediata con le politi-che strategiche generali.

La pianificazione comunale e quellaattuativa

La necessaria articolazione dell’attualelivello comunale in una componentestrategica a carico della Comunità diValle ed una operativa a responsabilitàcomunale appare una scelta indispen-sabile e meglio definita rispetto all’at-tuale formulazione normativa. Tutti gli interventi che interessano ter-ritori di entità significativa, e che pos-sono essere esemplificati nell’ordine dialcune-poche unità abitative, sono daassoggettare a procedura attuativa. Lo specifico strumento urbanisticodeve essere redatto prevedendo quotepreviste dal Prg di “città pubblica” e diedilizia comunque convenzionata, age-volata o sociale da attuare secondouna convenzione sottoscritta tra leparti, quindi l’approvazione del Pianoda parte del Consiglio comunale.L’approvazione del Piano attuativodeve poi valere come riordino fondia-rio e determinare gli oneri a carico deiprivati per la realizzazione della cittàpubblica che nasce, o si rafforza, conla loro iniziativa. La concorrenzaquindi alla costruzione della cittàpubblica da parte delle iniziative ditrasformazione territoriale è obbliga-toria e deve essere a carico dell’Entepubblico solo per gli interessi divalenza sovralocale (urbanizzazionisecondarie).

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Valentina Carpitella*

EventiEventi

In un panorama di struttureindustriali dismesse recupe-rate per la realizzazione dicentri per l’arte e la creazio-ne contemporanea che sem-pre più si afferma sul pianonazionale e internazionale, apartire dal modello dellaFactory di Andy Wharol, ilrecupero dell’Ex Aurum aPescara rappresenta un casorilevante per l’importanzadal punto di vista architetto-nico e urbanistico e perl’ambizioso ruolo che siintende attribuire alla strut-tura.La riqualificazione dell’edifi-cio e l’attribuzione di unnuovo uso, quello di fabbri-ca degli eventi, si inseriscein una logica da un lato dipromozione delle diverseforme di espressione dellacultura contemporanea, dal-l’altro di creazione di unsistema di spazi e servizi chene rafforzino l’attrattività,divenendo laboratori di spe-rimentazione e luoghi dieventi1.In tal senso, il tentativo èquello di tendere alla valo-rizzazione dell’espressionenell’arte, nel cinema e nellaletteratura attraverso ilpotenziamento di struttureesistenti e la creazione dinuovi spazi, al fine diattrarre un pubblico esternoproveniente dalle aree inter-

ne della Regione e dalCorridoio Adriatico.Tale sforzo coglie una seriedi potenzialità oggi in nucenella città, caratterizzata dauna forte vivacità delleassociazioni socio-culturaliche promuovono un numeroelevato di iniziative culturalie artistiche (dagli spettacoliteatrali alle mostre d’arte aiconcerti).A questa vivacità non corri-sponde, tuttavia, la presenzadi spazi simbolici e rappre-sentativi in cui la città siriconosca. L’ex liquorificioAurum, esempio rilevante diarcheologia industriale, puòessere in tal senso non solocontenitore culturale inseritoin una rete di rilievo inter-nazionale, elemento centraledel distretto culturale dellaProvincia di Pescara2, maanche architettura-monu-mento che rappresenti lacittà sia per chi la vive cheper chi la fruisce come turi-sta.L’Ex Aurum, vincolato dallaSoprintendenza nel 1999,dopo vari passaggi di pro-prietà, viene acquisito nel2003 dall’Amministrazionecomunale in occasione dellastipula dell’Accordo diProgramma per la realizza-zione del nuovo polo uni-versitario e giudiziario.Nello stesso anno il recupero

strutturale dell’edificio vieneinserito nel programma digovernodell’AmministrazioneComunale come interventostrategico.L’investimento complessivoè stato pari a 9.450.000euro, con un finanziamentocomunale del 75%, regiona-le del 20% e statale (Cipe)del 5%, ed i lavori sonodurati circa due anni.L’Ex Aurum costituisce perPescara e per i Pescaresi unluogo di forte identità peruna serie di motivi. In primoluogo perché, nel suo nucleooriginario, al centro dellacittà giardino pensata nellazona della Pineta D’Avalosnel piano di Liberi; talenucleo era costituito dalKursaal, attrezzatura ricetti-va turistica inaugurata nel1910 e costituita da tre livel-li con loggia centrale a dop-pio ordine di arcate. Insecondo luogo perché ex-fabbrica, e dunque legatoall’immaginario della produ-zione. Infine per il fatto dirappresentare un monumen-to, un piccolo colosseo, pro-gettato a partire dal 1939 daGiovanni Michelucci comeampliamento della fabbricapreesistente. La struttura diMichelucci, a forma di ferrodi cavallo su tre livelli, èrivestita da laterizio faccia avista ed aperta simmetrica-mente sull’interno e l’ester-no attraverso ampie finestread arco e si affaccia su uncortile centrale adibito adeventi sin dalla originariadestinazione d’uso dell’edifi-cio.L’Ex Aurum, dopo la suadismissione negli anni ’70,viene più volte utilizzato perdibattiti, feste cittadine emostre d’arte, tra le quali ledue edizioni di Fuori Usodel ’90 e ’95; questa manife-stazione d’arte contempora-nea, che si svolge annual-

mente a Pescara, si muovesecondo la filosofia di recu-perare spazi abbandonati edismessi attraverso l’inter-vento di artisti di rilievointernazionale. Le edizionisvolte all’interno dell’Aurumne hanno colto le potenzia-lità connesse ad una nuovadimensione culturale, chediverrà la sua caratteristicadistintiva, ed hanno arric-chito la struttura con alcuneopere d’arte3, alcune dellequali in via di restauro. Al momento dell’inserimen-to del recupero dell’ExAurum nel programma digovernodell’AmministrazioneComunale, dato il forte statodi degrado e abbandono del-l’edificio, è stato consideratoprioritario un intervento sta-tico che rendesse sicura lastruttura. Dal punto di vistafunzionale il recupero,secondo le intenzioni deiprogettisti, ha voluto mirarealla massima versatilitàdegli spazi, e ciò è statodovuto all’assenza, in sededi appalto concorso, di pre-cise indicazioni relative alledestinazioni d’uso. Totalmente assente è statopure il progetto di un’archi-tettura gestionale che ren-desse realmente competitivolo spazio, considerando que-sto aspetto secondariorispetto appunto al recuperostatico dell’edificio. Se effet-tivamente le condizionistrutturali richiedevano unintervento immediato, per-ché forte era il rischio dicollasso della struttura, èpur vero che realizzare “unmoderno contenitore cultu-rale multifunzionale” che siinserisca nello scenariointernazionale comporta lanecessità di confrontarsi conanaloghe istituzioni che giàoperano in altri paesid’Europa e nel Mondo. Edimplica costi di gestione

L’Ex Aurum a Pescara

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Page 82: UI215

Urbanistica INFORMAZIONI

molto elevati, che possonoessere sostenuti solo se lastruttura diviene competiti-va anche economicamente.L’ideazione ed il coinvolgi-mento di operatori privati,che diviene essenzialeaffinché la struttura restivitale, comportano un lavo-ro di progettazione ecostruzione di reti almenopari a quello che è statocompiuto per la riqualifica-zione dell’edificio.Parallelamente, la ricchezzadel tessuto associativo loca-le e degli operatori che giàlavorano nel settore dellacultura, può divenire risorsanella costruzione di uncontenitore che sia motoreper l’economia locale.Gli spazi realizzati, nellaloro articolazione, pur seflessibili, hanno in qualche

modo tenuto conto dell’esi-genza di attività d’impresa,compatibili, a sostegnodelle spese. In tal senso cia-scun piano, accanto asuperfici museali (che ospi-teranno rispettivamente lastoria dell’Ex Aurum e del-l’ambiente circostante e lastoria della città di Pescarae della Regione Abruzzo), asuperfici di servizio e acco-glienza, ad un piccolo audi-torium per 60 posti (salaincontri letterari e musica-li), a due grandi saloniespositivi, ad una terrazza,ad una superficie di acco-glienza ed una di rappre-sentanza, ad un’area dicreazione-comunicazioneper laboratori e workshop,accoglie alcune superficiproduttive per ospitare caf-fetterie, librerie, bar, inter-

net-shop, artigianato-shop,spazi per meeting.Dalla sua inaugurazione l’e-dificio ha ospitato una seriedi manifestazioni ed alcunerappresentazioni teatrali. Intali occasioni sono stateallestite alcune mostre edesposte due opere: un’in-stallazione di GiulioTurcato, donata dall’omoni-ma Fondazione ed unavideoinstallazione di RaulGabriel. Gli eventi promossi per l’i-naugurazione dell’ExAurum, realizzati dal 19 al21 luglio, si sono caratteriz-zati, da un lato, per il coin-volgimento di gran partedella cittadinanza, che hapotuto assistere a spettacoli,concerti, proiezioni di film,mostre, dall’altro per unprofilo internazionale, come

testimoniato dal dialogo traPasqual Maragall, ex sinda-co di Barcellona, e LucianoD’Alfonso, sindaco diPescara, sull’Europa e lecittà. In questa occasione siè discusso del ruolo dellegrandi città come luoghi diconcentrazione di servizi,diversità culturali e movi-mento di persone, diritti edidee e si è sottolineato ilparallelismo esistente traPescara e Barcellona.

*Prof. a contratto di Urbanistica pressol’Università G.d’Annunzio di Chieti ePescara.

Note1. Piano strategico della città diPescara.2. Goodwill, Studio di fattibilitàDistretto culturale Provincia di Pescara,Bologna, 2004.3. Si tratta di tre opere-ambiente rea-lizzate nel 1995 da Julian Opie, SylvieFleury e Getulio Alviani.

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82

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Urbanistica QUADERNICollana di monografie

sulle attività di pianificazioneCollana di monografie

sulle attività di pianificazione

DAL 1995, TITOLI DISPONIBILI

Il progetto preliminare del Prg di Reggio Emilia

La proposta dell’Inu per la riforma urbanistica apartire dalla formazione della Legge del 1942

Prospettive perequative per un nuovo regimeimmobiliare

Consorzio del lodigiano. Trent’anni dipianificazione territoriale

Studi per il Pit delle Marche

Programma di riqualificazione della darsena diRavenna

Pip Regione Valle d’Aosta

Programma di riqualificazione della fasciaferroviaria del Comune di Modena

Il Prg di Piacenza

G. Mascino e Ancona

Piano dei tempi della città di Pesaro

Ppc della Provincia di Pesaro - Urbino

Pit della Regione Marche

Variante al Prg di Belluno

Ptp della Provincia di Venezia

Ptc della Provincia di Rimini

Ptc della Provincia di Macerata

Regione Veneto. Piani d’area vasta: Tonezza - Fiorentini, Quadrante Europa, Auronzo - Misurina, Fontane Bianche

Variante al Prg di Cremona

Preliminare al Prg di Vicenza

Pianificazione comunale in Toscana

Regione Veneto. Piani di area vasta: Delta del Po

Ptc della Provincia di Siena

La pianificazione del sistema delle aree protette delComune di Roma.

Ptc della Provincia di Terni

1999 - 2003, SERIE ARCHIVIO

Il piano strutturale di Cesena

Il Prit Emilia Romagna 1998-2010

Riqualificazione della strada statale Marecchiese inProvincia di Rimini

Cesena: Prg e tutele ambientali

I parchi di riordino delle attività economiche nellaprovincia di Rimini

Aree di protezione ambientale nella provincia diRimini

sconto del 20% sul prezzo di copertina per i lettori di Urbanistica Informazioni

NOME COGNOME VIA/PIAZZA

CAP CITTÀ PR TELEFONO E-MAIL

Prego inviare i Quaderni n Serie Archivio n. Per un totale di Euro Detraendo lo sconto del 20% l’importo è pari ad EuroHo effettuato versamento anticipato scegliendo la seguente modalità di pagamento: � c.c.p. 16286007 intestato a “INU Edizioni SrI, Piazza Farnese, 44 - 00186 Roma”� Cartasì � Visa � Mastercardn. scadenza� contrassegno al postino

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[email protected]

Direttore Massimo Olivieri

TITOLI RECENTI

N. 39 – 2003 (a cura di M. Fantin)Variante al Piano regolatore per i centri storici del Comune di Vittorio VenetoPagine 124, illustrazioni b/n e colori, € 21,00

N. 40 - 2004 (a cura di S. Bolletti e G. F. Di Pietro)Il piano territoriale di coordinamento della provinciadi ArezzoPagine 184, illustrazioni b/n e colori, € 35,00

N. 41 - 2004 (a cura di A. Bortoli e R. Manzo)Provincia di Venezia. La pianificazione territoriale e urbanistica per la sicurezza del territorioPagine 160, illustrazioni b/n e colori, € 30,00

N. 42 - 2004 (a cura della Segreteria regionale alterritorio) Regione Veneto, provincia di Treviso.Piano d'area vasta. MontelloPagine 124, illustrazioni b/n e colori, € 25,00

N. 43 - 2004 (a cura di F. Balletti e R. Bobbio)Il Piano territoriale della Regione LiguriaPagine 184, illustrazioni b/n e colori, € 30,00

N. 44 - 2004 (a cura di M. Olivieri)Regione Umbria. Vulnerabilità urbana e prevenzioneurbanistica degli effetti del sisma: Nocera UmbraPagine196, illustrazioni b/n e colori, € 30,00

N. 45 - 2004 Il piano territoriale di coordinamento della Provinciadi PistoiaPagine 136, illustrazioni b/n e colori, € 30,00

N. 46 - 2006 Milano verso il pianoPagine 170, illustrazioni b/n e colori, € 40,00

N. 47 - 2006 Progetto Conspace. Esperienze per la nuovapianificazione del VenetoPagine 124, illustrazioni b/n e colori, € 25,00

N. 48 - 2007 Comune di Verona. Piano di assetto.Pagine 128, illustrazioni b/n e colori, tavola f.t.€ 35,00

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ConvegnoIl convegno è composto da sessioni tematicheattinenti al tema del congresso, presentazione distudi e ricerche, illustrazione dei risultati delleattività propedeutiche all’evento, dibattiti sui casiesposti.

MostraI progetti relativi al tema del congresso, illustratida appositi manifesti, vengono esposti nellamostra, che si svolge all’interno della MoleVanvitelliana contemporaneamente al Congresso.

DossierPreliminarmente al Congresso vanno raccolte esistematizzate le attività di avvicinamento alCongresso che saranno pubblicate in un dossierda distribuire insieme al materiale di lavoro e adaltre pubblicazioni.

Rapporto 2007Presentazione del “Rapporto dal Territorio 2007”Assemblea dei sociNell’ultima giornata si svolgel’assemblea nazionale per l’elezionedei nuovi organi direttivi dell’Istituto.

Calendario

Congresso

giovedì 17 aprile 2008 › Ridotto Teatro delle MuseApertura del congresso, convegno, dibattiti,presentazioni, incontri, sessioni di lavoro.

venerdì 18 aprile 2008 › Teatro delle MuseConvegno, dibattiti, presentazioni, incontri,sessioni di lavoro.

Assemblea socisabato 19 aprile 2008 › Ridotto Teatro delle MuseAssemblea nazionale soci INU

Mostragiovedì 17 aprile 2008 Mole Vanvitellianaapertura dell’esposizione

domenica 27 aprile 2008 Mole Vanvitellianachiusura dell’esposizione

Comitato Scientifico NazionaleFederico Oliva | Sauro MogliePierluigi Properzi | Ornella SegnaliniSimone Ombuen | Carlo Alberto BarbieriMassimo Giuliani | Roberto Lo GiudicePaolo Avarello | Laura PoglianiFrancesco Sbetti | Claudio CentanniFabio Sturani | Oriano GiovannelliAntonio Sorgi | Emilio D’Alessio

Responsabili delle tre aree tematicheMarisa Fantin “Il piano locale”Roberto Lo Giudice “Il piano territoriale”Francesca Pace “Il piano territoriale”Franco Marini “I temi trasversali”

Responsabile Dossier CongressoMichele Talia

Comitato Operativo LocaleConsiglio Direttivo INU Marche

Segreteria Nazionale INUPiazza Farnese, 44 - 00186 RomaTelefono +39 06 68801009e-mail [email protected]@inu.itsito web www.inu.it

ARTICOLAZIONEDEL CONGRESSO

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Palermo

Milano

Milano

Bologna

Perugia

Cesenatico

Milano

Poggibonsi

Ascoli Piceno

Senigallia

Venezia

Venezia

Palermo

Napoli

Gorizia

Firenze

Milano

Salerno

Torino

Potenza

Aquila

Roma

Taranto

Brindisi

Venezia

Perugia

Napoli

Roma

Roma

Torino

Torino

21-feb-07

26-feb-07

3-apr-07

17-apr-07

18-apr-07

20-22 settembre 2007

27-set-07

18-ott-07

8-nov-07

16-nov-07

21-nov-07

24-nov-07

29-30 novembre 2007

11-dic-07

25-gen-08

30-gen-08

Dal 31 Marzo al4 aprile 2008

dic-07

gen-08

gen-08

inizi 2008

inizi 2008

inizi 2008

gen-08

feb-08

feb-08

feb-08

La legge di principi per il Governo del Territorio e le proposte dell'INU qualipossibili effetti ed indirizzi per la legge regionale

La legge quadro sul governo del territorio e la posizione dell’Istituto Nazionaledi Urbanistica

La politica della casa nelle aree metropolitane

L'evoluzione del rapporto pubblico/privato nei programmi di trasformazioneurbana. Esperienze a confronto

La questione urbana nella nuova programmazione comunitaria

L’elaborazione del PSC in attuazione della LR 20/2000

"La città, i progetti, le opere: pianificazione operativa e governo della qualità urbana"

Energia e paesaggio

Per un’urbanistica comunicata e partecipata

Pianificazione energetica e politiche del clima nel nuovo piano

Riforma fiscale e riqualificazione delle città

Itinerari di pianificazione strategica

VII Congresso Regionale della Sezione Sicilia “Territori costieri: quali politicheper un governo integrato”

Il regolamento n. 834/2007 in attuazione della Legge regionale 16/2004.La Pianificazione urbanistica comunale: letture e proposte

Una nuova pianificazione territoriale per il Friuli Venezia Giulia – problemi eprospettive dopo l’entrata in vigore della nuova legge urbanistica regionale

Politiche e strumenti per la residenza sociale. Il contributo dell’urbanistica perl’edilizia residenziale sociale

X Rassegna Urbanistica Regionale

Portualità integrata e sostenibilità dello sviluppo nel Mezzogiorno

Verso la nuova legge urbanistica del Piemonte: le conferenze di copianificazio-ne e l’assistenza tecnica al processo di pianificazione

A un decennio dalla nuova legge urbanistica regionale

Paesaggi regionali e Quadri strategici

Rassegna regionale Abruzzo

Piani territoriali di coordinamento provinciali

La pianificazione strategica

La pianificazione territoriale d’area vasta

Il governo del territorio e le trasformazioni del paesaggio

La nuova pianificazione d’area vasta. Verso la revisione della L.R. 28/95

Sviluppo, clima e paesaggio nel PTC della Provincia di Napoli

La nuova legge urbanistica regionale e il nuovo PTR

Roma: dal nuovo piano comunale alla pianificazione della città capitale

La valutazione nei programmi complessi e le trasformazioni urbanistiche

Gli investimenti privati nelle trasformazioni urbane

Le conferenze di pianificazione

Presentazione delle due ricerche nazionali (conferenze di pianificazione e assi-stenza tecnica)

Pianificazione, valutazione, partecipazione

Il paesaggio delle aree produttive

Il paesaggio urbano

Inu Sicilia, Dipartimento Città e Territorio, Univ. di Palermo

Inu Lombardia, Ordine degli Architetti PPC della Provincia diMilano

Inu Lombardia, Provincia di Milano

Inu Emilia Romagna

Inu Umbria

Inu Emilia Romagna, ANCI e UPI regionali

Inu Lombardia

Inu Toscana

Inu Marche, Comune di Ascoli Piceno, Facoltà di Architetturadi AP, Dip. ProCamInu Marche, Comune di Senigallia, Alleanza per il Clima conInu Puglia, Inu Toscana, Commissione nazionale politiche infra-strutturaliUrbanpromo 2007, Inu-Ance

Urbanpromo 2007, Inu- RecsInu Sicilia

Inu Campania

Inu Friuli Venezia Giulia

Gruppo di Lavoro Nazionale

Inu Lombardia, Regione Lombardia

Commissione nazionale politiche infrastrutturali, Comune diSalerno, Comune di Battipaglia, Inu Campania e Inu PugliaInu Piemonte, Regione Piemonte

Inu Basilicata, Inu Abruzzo, Regione Abruzzo, Sphera

Inu Abruzzo

Inu Lazio, UPI Lazio

Inu Puglia, Ordine degli Architetti PPC della Provincia diTarantoInu Puglia, Provincia di Brindisi

Inu Veneto, Provincia di Venezia

Inu Umbria, Regione dell’Umbria

Inu Campania, Provincia di Napoli

Inu Friuli Venezia Giulia

Inu Lazio, Comune di Roma, Provincia di Roma, Regione Lazio

INU Lazio

Inu Piemonte, ITP

Inu Piemnte

ANCI e UPI regionali

Inu Toscana

Inu Veneto

Inu Veneto, IUAV

INIZIATIVE GIÀ SVOLTE

INIZIATIVE GIÀ PROGRAMMATE

INIZIATIVE IN PROGRAMMAZIONE

ALTRE INIZIATIVE PREVISTE

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Info

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paio d’anni a rinnovarsi inmodo considerevole.Oggi1 l’insieme delleUniversità italiane offre 22corsi di laurea (I ciclo) e 12corsi di laurea specialistica(II ciclo) in pianificazione.I primi due cicli di studi,frequentati all’interno di unprogramma sinteticamentedefinibile “urbanistica epianificazione”2, sono quelliche danno diritto a sostene-re l’esame di Stato per l’e-sercizio della professione,con riferimento rispettiva-mente alle sezioni B e A,pianificatori, dell’Albonazionale degli architetti,pianificatori e paesaggisti.Le modalità d’insegnamentosono in larga maggioranzaconvenzionali (a contatto),con l’eccezione di due corsitriennali che funzionano inteledidattica (il corso inSistemi Informativi per ilTerritorio di Venezia e quel-lo della G.Marconi, Roma).L’organizzazione è general-mente semestrale, salvo perla laurea triennale offertadall’Università dellaCalabria, articolata in tri-mestri. Vi è un unico corsodi studio (triennale) attivatoda un’università privata, laG.Marconi di Roma.La distribuzione territorialedei corsi di studio in urba-nistica e pianificazione èrelativamente paritetica traNord, Centro, Sud e isole,come si può evincere dairiferimenti che seguono(L=laurea; Ls= laurea spe-cialistica) Tab. 1.Il rapporto generale di 2:1fra lauree e lauree speciali-stiche si ritrova grossomodo tale e quale a livellodi macroaggregazioni terri-toriali.Il dato relativo al totaleimmatricolati3, pur scontan-do alcune imprecisioni4, è

Come vacambiando laformazione universitaria delpianificatoreterritoriale eurbanistaAnna Marson

Nei prossimi mesi il profiloformativo dei futuri urbani-sti e pianificatori italianisarà ridisegnato per dareattuazione alla riformaintrodotta dal D. lgs 270 del2004, che potrà essere rece-pita a partire dall’annoaccademico 2008-09, e inogni caso dovrà esserloentro l’a.a. successivo.L’organizzazione complessi-va della formazione univer-sitaria mantiene l’articola-zione in tre cicli: la forma-zione di base (i tre anni chesi concludono con la lau-rea); una formazione piùavanzata (i due anni cheportano alla laurea finora“specialistica”, d’ora in poi“magistrale”); la formazionealla ricerca (i tre successivianni del dottorato di ricer-ca). Ciò che cambia sono ivincoli che oggi legano fraloro primo e secondo ciclo,considerevolmente allentati;i crediti minimi di ciascuninsegnamento che si con-clude con una prova d’esa-me, destinati ad aumentare;i requisiti, calcolati indocenti strutturati di disci-pline caratterizzanti, cheogni ateneo deve possedereper attivare nuovi corsi distudio. Non solo i singolicorsi di studio, ma lo stessoquadro dell’offerta comples-siva di formazione universi-taria alla pianificazione èquindi destinata entro un

analisi della decisione collet-tiva e gestione dei processi,con particolare attenzionealle forme della programma-zione negoziata e dellademocrazia rappresentativa.Ad ogni “nucleo” corrispondeuna quantità di crediti for-mativi comuni per l’interoterritorio nazionale oscillantetra 60 e 90 crediti sui 180della triennale. Questo haportato anche a tracciare unaprima bozza di risultati attesinel percorso formativo dellalaurea triennale:il primo anno deve portaregli studenti a saper svolgereuna analisi di contesto e asaperla rappresentare inmodo adeguato;il secondo anno deve portaregli studenti a saper costruireuno schema di progetto e asaperlo rappresentare e argo-mentare;il terzo anno gli studentidevono essere in grado diapplicare le metodologie e letecniche di base per l’inter-pretazione e la progettazione,tenendo conto delle compo-nenti territoriali, ambientali epaesistiche e sapendo argo-mentare le scelte compiute.Le prossime tappe riguarde-ranno le lauree magistrali.

Per informazioni:[email protected]. (gdl).

Continua il dibattitoall’interno del Coordinamentonazionale Corsi di studiouniversitari in pianificazione

Il giorno 25 Giugno 2007 si ètenuta a Roma, presso ilDipartimento di Urbanistica ePianificazione territorialedell’Università di Roma “LaSapienza” la seconda riunio-ne del Coordinamento nazio-nale dei corsi di studio inpianificazione territoriale eurbanistica, dopo quella diEmpoli (vedi UI 214). Scopodell’incontro è stato quello diapprofondire i contenutiguida per la costruzione diun core curriculum condivi-so, al fine di garantire unaformazione sostantiva comu-ne, ottenendo con ciò ancheun più agevole reciprocoriconoscimento delle laureetriennali.Sono stati individuati quattro“nuclei” di conoscenza tipicodella laurea triennale:analisi delle diverse compo-nenti di contesto e delle lororeciproche relazioni, corre-lando e integrando i diversicontributi disciplinari;metodi e tecniche di rappre-sentazione del territorio,ambiente e paesaggio;attitudine alla definizione ecostruzione del progetto diterritorio;

ASSOCIAZIONE NAZIONALE URBANISTIPIANIFICATORI TERRITORIALI E AMBIENTALI

Membro effettivo del Consiglio Europeo degli Urbanistiwww.urbanisti.it

a cura di Daniele Rallo

13 Assurb (215) 28-12-2007 13:44 Pagina 86

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nella banca dati delMinistero, emergono invecealcuni dati curiosi, se noninquietanti. Se la maggio-ranza dei corsi di studiooffre infatti un congruonumero di ore per entrambigli insegnamenti diUrbanistica e Tecnica e pia-nificazione urbanistica, eun numero più ridotto neprevede soltanto uno deidue, vi sono casi (sia pursporadici) di corsi di laureain pianificazione che nonprevedono nessuno di que-sti insegnamenti, oppureche li prevedono ma nonhanno docenti strutturatidel settore. In compenso,molti corsi di studio dichia-rano docenti in decisosoprannumero (in assenzadel vincolo di ‘incardina-mento’ in un unico cds) peraltri settori scientifico-disciplinari non semprecoerenti rispetto al progettoformativo.Una certa pluralità dei pro-getti formativi è peraltroevidenziata dalla semplicelettura dei titoli dei 22Corsi di laurea della classeUrbanistica e scienze dellapianificazione territoriale eambientale.Se insieme a questi consi-deriamo i titoli dei 12 corsidi laurea specialistica dellaclasse di Pianificazione ter-ritoriale, urbanistica eambientale.…questa pluralità tendeahimé a divenire confusio-ne, perlomeno nella corri-spondenza tra denomina-zione e livello della laurea.In ogni caso sarebbe oppor-tuno un riallineamento“sensato” tra denominazio-ne e obiettivi formatividichiarati, spesso eccessivi enon sempre pertinenti conle classi di studio di riferi-mento5.

Relativamente ad alcuni deiproblemi fin qui assai sinte-ticamente richiamati lariforma di cui si sta avvian-do l’attuazione offre alcunicorrettivi mirati, aprendotuttavia spazi di libertàancora maggiori. Il coordinamento nazionaledei corsi di studio in urba-nistica e pianificazione (ilriferimento organizzativo èla sede dei cds in pianifica-zione di Empoli: [email protected]), sta lavo-rando da alcuni mesi percostruire un percorso con-diviso di ridefinizione deidiversi progetti formativi inpianificazione. L’obiettivo èin particolare quello diindividuare una base for-mativa comune capace digarantire le specifiche com-petenze della figura del pia-nificatore (junior e senior),pur rilevando la ricchezzadi una articolazione cuiconcorrono i diversi profilidi ciascun Ateneo, la plura-lità dei progetti culturali ela crescente territorializza-zione dei percorsi formativi.

Note1. I dati riportati fanno riferimentoalla banca dati OFF.F del Miur,aggiornata al 31.12.2006.2. In realtà la classe di laurea trienna-le di riferimento per urbanisti e piani-ficatori è ufficialmente denominata“urbanistica e scienze della pianifica-zione territoriale e ambientale”, men-tre la classe di laurea specialistica è in“pianificazione territoriale, urbanisticae ambientale”.3. Studenti che si iscrivono per laprima volta a un corso di studi.4. Attribuibili al fatto che le rilevazio-ni sono state compiute quando alcunicorsi di studio avevano i termini perl’iscrizione ancora aperti.5. Tra gli obiettivi del corsi di laureaofferto dall’Università G.Marconi diRoma figura ad esempio che “…il lau-reato potrà svolgere attività professio-nale riguardante…progettazione, dire-zione dei lavori e dei cantieri nelcampo delle costruzioni civili…”.

ducibili a contingenzeopportunistiche quali ilsoddisfacimento dei requisi-ti minimi richiesti dalMinistero in termini didocenti o l’occupazione dinicchie di mercato:Al di là delle Facoltà diriferimento, è comunqueinteressante considerare lapresenza, nei diversi corsidi studio in urbanistica epianificazione offerti daqualsivoglia ateneo, la pre-senza degli insegnamenticosiddetti “caratterizzanti”:per l’appunto Urbanistica(corrispondente alla siglaICAR/21) e Tecnica e piani-ficazione urbanistica(ICAR/20). Le altre materiecostituiscono infatti unsempre fertile e spessonecessario arricchimentodel bagaglio culturale edelle tecniche operative, mapresuppongono comunqueun riferimento insostituibilealle basi disciplinari.Da una rapida analisi deidiversi ordinamenti deicorsi di studio, depositati

intorno al migliaio di unità,con una larga prevalenza(due terzi del totale) di stu-denti maschi. Le diversesedi sono aggregabili, perquanto riguarda il numerodegli immatricolati, in tregrandi classi: quelle dameno di venti a circa qua-ranta immatricolati, gene-ralmente corrispondenti asedi prive di una tradizioneconsolidata nel campo dellapianificazione; quelle conun numero d’immatricolatiprossimo al centinaio, ingenere corrispondenti adatenei con una forte tradi-zione nel campo disciplina-re; infine il caso unico diRoma la Sapienza, che coni diversi corsi offerti da piùfacoltà supera i duecentoimmatricolati complessivi.Le facoltà di riferimento peri diversi corsi di studio inpianificazione sono varie eplurali, evidenziando unacerta vivacità d’iniziativa econtaminazioni potenzial-mente assai interessanti,pur essendo a volte ricon-

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Tab. 1 - Distribuzione territoriale dei corsi di studio delle classi di piani-ficazione

Nordest 4L + 1,5 Ls (Ve 2L+1,5Ls ; Pd 1L, Ts 1L)Nordovest 3L + 2Ls (Mi 1L+1Ls, To 1L + 1 Ls, Ge 1L)Centro 8L + 4 Ls (Fi 1L + 1Ls, Chieti-Pescara 1L, Camerino 1L,

Urbino 1L, Roma 4L + 2Ls, Tuscia 1Ls)Sud 3L + 2Ls (Na 1L + 1 Ls, Rc 1L + 1 Ls, Rende 1 L) Isole 4L + 2,5 Ls(Pa 2L + 1Ls, Ct 1L, Ss 1L+ 1,5Ls)

Tab. 2 - Facoltà che hanno attivato corsi di studio in pianificazione

• architettura (9L, 7Ls)• architettura e ingegneria (2L)• architettura, ingegneria e formazione (1L)• architettura e giurisprudenza (1L)• architettura e economia (1L, 1Ls)• architettura e scienze naturali (1L)• agraria (1L, 2Ls)• agraria e scienze naturali (1L)• scienze e tecnologie applicate (1L)• giurisprudenza e scienze ambientali (1L)• pianificazione (2 L, 2 Ls)

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Meneghetti, che riconosce ilvalore dell’opera di trasfor-mazione (non di sviluppo!)del territorio attribuibile siaall’azione “popolare” sedi-mentata nel tempo sia all’ar-chitettura colta, ma sembranutrire una profonda sfiducianella possibilità dell’architet-tura contemporanea di rileg-gere e reinterpretare in modopositivo le caratteristiche deisiti: più volte il tema è ripre-so in termini molto critici inriferimento a Milano, dovepure “la nozione e la realtàdi contesto ereditate dalMovimento Moderno, è dasempre un punto d’onoredella progettazioneall’Università”.Parole molto forti sono spesein difesa del paesaggio,attaccato da interventi anchelegittimati dalle scelte urba-nistiche e dalle procedure,che tuttavia hanno effettiabnormi nel territorio: traMilano e Torino “sovrappas-si, entrate e uscite coi lorobravi quadrifogli, trifogli,anelloidi come nemmeno neivecchi album di Gordon el’imperatore giallo Ming,bordure, barriere, muraglie,pannelloni, reti, piastroni…palesemente inutili…”. Ma èsoprattutto all’abusivismoche Meneghetti dedica variinterventi appassionati, dacui traspare quasi una perso-nale sofferenza nel descriverela distruzione di siti chehanno testimoniato il megliodel paesaggio italiano: parolepolemiche, con forti accentimoralistici, estremamenteattuali in questo mese diagosto 2007 in cui un graveincidente in costiera amalfi-tana ha riacceso i riflettorisugli esiti della colpevoleinsufficienza nella repressio-ne dell’abusivismo. Altro tema che ritorna piùvolte è quello della casa, conaccenti che rimandano espli-citamente ed in prospettiva

storica agli aspetti strutturalidella “questione delle abita-zioni” ed al ruolo delle poli-tiche pubbliche in un conte-sto in cui “sono sparite leparole giuste, casa, popolare,economico”.Infine Milano: ricordi di unacittà che non si riconoscepiù, ammirazione per leopere dei maestri che hannoprogettato il QT8, critica epreoccupazione per le realiz-zazioni recenti e per i grandiprogetti in corso. A Milano èdedicato anche l’ultimo arti-colo, dal titolo esplicito“Lamentazione milanese”.Non si può certo dire cheLodo Meneghetti usi il fioret-to nella sua interpretazionedi fatti urbanistici recenti epassati: la sua è una visionepiuttosto manichea e senzasfumature dei fatti e degliattori (individuali e collettivi)che si sono mossi e si muo-vono sulla scena del territo-rio italiano: da un lato i“buoni” come AntonioCederna, Vittorio Emiliani, ilWWF e Italia Nostra alle cuibattaglie si riconosce unacristallina coerenza; dall’altroi “cattivi” dagli immobiliari-sti agli “architetti e urbanisticompiacenti” che hannoaccettato le pratiche negozia-li, a Legambiente e allo stes-so Istituto Nazionale diUrbanistica accusato di noncontrastare la “totale priva-tizzazione dell’urbanistica”.Una visione che può esserecondivisa in tutto, in parte,respinta: ma a L.M. va sicu-ramente riconosciuto l’impe-gno e il merito di continuarea difendere e diffondere quel-la “saldatura fra valore socia-le dell’opera, coscienza mora-le, senso collettivo della pro-fessione” (e aggiungo, nel suocaso, dell’insegnamento) dalui indicato come principiodella rivoluzione moderna.

Corinna Morandi

Lodovico Meneghetti.L’opinione contraria.Libreria Clup, Milanodicembre 2006

Quest’ultimo libro di LodoMeneghetti è di agile e velo-ce lettura, ma nello stessotempo è molto “pesante” perla quantità di temi che pro-pone alla riflessione, primadi tutto degli architetti edegli urbanisti e, più ingenerale, di tutti coloro chehanno a cuore le sorti delterritorio italiano, anche diquelli che non sono d’accor-do con l’impostazione asser-tiva e priva di mediazionicon cui l’autore li propone.Dunque un libro agile, inquanto si tratta di una rac-colta di testi presentati inwww.eddyburg.it, il sitodiretto da Eddy Salzano cheè diventato da tempo,comunque si valutino leprese di posizione che vivengono espresse sui temiurbanistici e sulle politichepubbliche, una importantesede di discussione e ancheun punto di riferimento e diaggiornamento per un dibat-tito su molte questioni digrande attualità.Per questa sua natura di rac-colta di testi è difficile sinte-tizzarne il contenuto: vorreiquindi limitarmi da un latoad enucleare alcune questio-

ni che ricorrono con maggio-re frequenza, alcuni fili rossirintracciabili nella trama deiragionamenti che l’autoresviluppa; dall’altro lato, com-mentare brevemente alcunesue posizioni.Un’affermazione che nonammette replica viene piùvolte ribadita: l’abbinamentodei termini “sviluppo sosteni-bile” dà luogo ad un ossimo-ro privo di significato, cosìcome “sviluppo del territorio”appare a Lodo Meneghettiuna frase insensata e …inso-stenibile.Dietro questa posizione, cheviene presentata come un’e-videnza non discutibile, siarticolano molti ragionamen-ti, che quasi sempre prendo-no spunto da episodi com-mentati, che hanno cometema comune i rischi didistruzione dell’ambiente equindi la necessità di un’a-zione incisiva, forte, polemi-ca per la sua difesa. La difesadell’ambiente viene propostanella sua accezione piùampia, dalla questione delrisparmio energetico e dellatutela del suolo alla salva-guardia del paesaggio, vistonella sua unitarietà di aspettinaturalistici e di antropizza-zione. E su questo tema forsesi potrebbe trovare un primopunto di franca dialetticacon la posizione di Lodo

a cura di Ruben Baiocco

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Andreas Faludi (ed.), TheTerritorial Cohesion in theEuropean Model of Society,Lincoln Institute of LandPolicy, Cambridge,Massachusetts, 2007.

Dopo un primo periodo chepotremmo definire di assi-milazione, gli anni che ciseparano dalla pubblicazio-ne nel 1999 dello ESDP(European SpatialDevelopment Perspective)sono stati per molti urbani-sti europei anni di attesa.All’inizio del 2007 la presi-denza tedesca rende pubbli-ci due documenti, l’Agendaterritoriale e Lo stato delterritorio (www.bmvbs.de)che costituiscono, a livelloformale, la ripresa dellatematica territoriale e quin-di la risposta alle aspettati-ve formatesi negli anni pre-cedenti attorno ad una piùtangibile traduzione delleprevisioni dello ESDP, e delsuo poi trascurato Pianod’Azione, nelle normative disettore e alla speranza divedere i concetti spazialieuropei ricevere maggioraccoglienza nelle sceltedegli Stati membri. A que-ste attese si sono affiancatianche i timori che le fasidella politica europea (pas-saggio di mano tra Prodi eBarroso, bocciatura francoolandese della carta costitu-zionale) potessero influirein modo negativo sui pro-cessi territoriali così fatico-samente avviati negli anni’90. La raccolta di saggi chepresentiamo riflette fedel-mente queste esigenze difronte ad una situazioneche veniva percepita comestagnante. Il libro attraversain modo analitico i discorsiche fluiscono attraverso leistituzioni europee e le sedidel dibattito culturale edisciplinare, con l’intenzio-

ne di districare per quantopossibile il folto intrecciofra parole e fatti, concetti eretoriche, atti compiuti eatti mancati o attesi.L’obiettivo dichiarato delreader è quello di proporsiad un pubblico americano,da sempre terribilmentescettico sulla capacità delvecchio continente di potercompetere con l’Americandream, ma che in questianni si è fatto, come tuttipossiamo facilmente imma-ginare, meno self-confident,grazie anche ad alcunepalesi prese di posizione afavore del modello europeoavanzate da intellettualiamericani. Per quanto illibro parli ad un pubbliconon europeo, esso rappre-senta in realtà un ottimaoccasione per ripercorrereconcetti e scelte inerentialla pianificazione territo-riale al fine di capiremeglio verso quale futuro(territoriale) tentano di con-durci i decisori europei.Il tema della coesione terri-toriale (d’ora in poi CT) nonè per niente nuovo. Glistessi coautori di questaraccolta hanno in passatospeso non poche parole alfine di capire e farci capiredi cosa si tratti. Nel readerdi Faludi il lettore troveràperò elementi nuovi a parti-re dall’accostamento dellaCT al modello sociale euro-peo (d’ora in poi MSE) checostituisce una novità nellapanoramica della saggisticasul planning europeo inquanto consente di guarda-re alla CT non tanto comedevice di carattere spaziale,ma come elemento di un’ar-chitettura complessiva,costruita da chi, comeJacque Delors e altri, avevacapito che la politicamacroeconomica europeanon poteva essere lasciata ase stessa, senza il sostegno

di un sistema di protezionesociale. Sotto questo profilol’appartenenza della CT alquadro delle politiche postein atto nel perseguire l’ideadel MSE è data da unasemplice constatazione (chediventa tanto più efficacequando il discorso europeoviene affiancato alla realtàamericana) di un esigenzatutta europea: quella di raf-forzare i vincoli che leganoil cittadino europeo al pro-prio territorio. In questoquadro il concetto di CTassume una chiarezza che,nel nostro campo, raramen-te gli viene riconosciutasoprattutto da chi, nonaccontentandosi giustamen-te della dimensione conti-nentale, tende a muoversisu scala territoriale e sul-l’apparato concettuale chele è proprio.Inutile forse aggiungere chequesto rapporto tra econo-mia e società, o meglio traefficienza economica (quin-di competitività) e protezio-ne sociale, è andato semprepiù trasformandosi in questianni in un dilemma politi-co. L’adagiarsi dell’econo-mia europea su tassi di cre-scita appena oltre la sogliadella stagnazione ha stra-volto la prospettiva dellepolitiche di sviluppo, com-prese quelle relative aicomparti extraeconomici.La crescita economica e lastrategia di Lisbona che nedettaglia il profilo, diventadi necessità l’obiettivo ege-mone della Commissione.“[…] high public expenditu-re is no recipe for success.Growth is of paramountimportance, amongst othersfor the sustainability of theEuropean model.”. Sullestesse pagine del suo con-tributo Faludi ci ricorda lasimpatica gaffe dell’attualepresidente dellaCommissione che, al

momento del suo insedia-mento, per rassicurare chilo vedeva troppo espostosul fronte dei mercato,invocò la metafora dei suoitre figli (in senso figurato:economia, società eambiente). All’economiaandava in quel momento(giugno 2004) la sua atten-zione maggiore in quantotrattavasi di un “figliomalato”. Solo dopo la suaguarigione, e quindi nellungo periodo, la sua atten-zione sarebbe stata ripartitaequamente tra tutti e tre i“discendenti”. Queste affer-mazioni fanno intravedereuna scala di priorità diffi-cilmente condivisibile poi-ché subordina la presa incarico dei problemi extrae-conomici al momento in cuii tassi di crescita potrebberopermetterlo, contraddicendocosi un opinione molto dif-fusa (tra la popolazione cosicome tra la tecnocraziaeuropea) che vede le politi-che ambientali come possi-bile se non principale sboc-co alle politiche di svilup-po. Come sembrano dimo-strare le ricerche diEurobarometer, se gli euro-pei dovessero decidere aquale dei propri “figli”offrire maggior sostegnonon avrebbe dubbi a rivol-gere la propria attenzioneall’ambiente. Parrebbe inol-tre che questa divaricazioneinterpretativa sugli scenarifuturi di un “Europa possi-bile” sia stata l’ostacoloprincipale all’approvazionedella Costituzione europeain Francia e Olanda.Ostacolo che non pareabbia avuto ancora effettitangibili sull’operato dellaCommissione. C’è da chiedersi se sonoquesti i motivi della appa-rente “ambiguità” del con-cetto di CT che viene spessorichiamata da molti autori

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della raccolta o anche delsuo carattere “reattivo” o“difensivo” come vienesostenuto da Robert. Pareche il concetto di CT abbiasostituito completamentenei documenti quello dispatial planning. Forseun’ennesima riprova delfatto che la tematica terri-toriale appartiene alla reto-rica europea solo ed esclu-sivamente quando questatende a compensare ladurezza del modellomacroeconomico? “Europa,forza gentile” direbbe PadoaSchioppa (2001).Anche se questo sospettopuò emergere dalla letturadi questo libro, attribuibilepiù alle impressioni di unlettore malizioso che all’ef-fettivo contenuto dell’opera,rimane il fatto che, se daun lato la CT si coniugabene al discorso economico,non altrettanto avviene perle narrazioni e visioni dicarattere territoriale. Da quii tentativi, non necessaria-mente tra di loro allineati,dei saggi della raccolta direstituire a questo concettoun interpretazione convin-cente o quanto meno divalutarne le potenzialitàsotto il profilo pratico, utiliquindi alla conoscenza ealla decisione. Il quadro chene deriva è estremamentecomplesso e variegato. Perlo più è possibile coglierenei singoli contributi unadiffusa sensazione di per-plessità a fronte ad unoscillante quanto anelatogoverno del territorio euro-peo, che non riesce a faremergere proposte chiare,validabili sotto il profilodisciplinare.Tra gli autori meno diffi-denti Camagni che vedenella CT la “dimensione ter-ritoriale della sostenibilità”:prospettiva senza alcundubbio allettante, che l’au-

tore considera essere piena-mente incastonata nel qua-dro esistente delle politicheeuropee, soprattutto daquando (PresidenzaLussemburghese del 2005) ilconcetto di capitale territo-riale assunse, come molti loavevano predetto, piena cit-tadinanza nell’ambito dellastrategia di Lisbona. Sinoad allora, il territorio eraconsiderato come unavariabile implicita dello svi-luppo. L’ipotesi di Camagniè che spetti agli Stati mem-bri e alle regioni perseguirela CT ricorrendo al propriocapitale territoriale lungo letre componenti della soste-nibilità territoriale: qualità,efficienza e identità territo-riali. Sembra sostenere l’au-tore che non vi sia contra-sto tra politiche globali esostenibilità locale, e che diconseguenza l’attivazionedelle buone pratiche locali,sostenute dal quadro euro-peo, possa e debba scaturiredai contesti regionali e per-seguire gli obiettivi propridel concetto di territoriosostenibile e quindi dellaCT.Se quanto appena dettopotrà essere vero nel lungoperiodo, al momento le ten-sioni tra i vari livelli sonoancora forti. Nell’analisicondotta da Backtel ePolverari sull’impiego deiFondi Strutturali nel perio-do 2000-06 e sul livello diallineamento delle sceltedegli Stati membri rispettoalle enunciazioni contenutenei documenti europei,quali gli Orientamenti stra-tegici per il periodo 2007-13 (CEC, 2006), dove il rin-vio alla CT è particolarmen-te marcato. Da questa ana-lisi emerge la grande varia-bilità negli approcci diintervento a scala nazionalee regionale che vanno daquelli più “reattivi” (volti al

risanamento di situazioniurbane compromesse) aquelli più “proattivi” (pochiin realtà) in cui si cerca diindividuare gli ambiti dimaggior potenziale e lavo-rare su quelli. Non si puòdire che le conclusioni a cuigiungono gli autori sianoincoraggianti. Tre sono glielementi di conflitto chevengono individuati: (i) lecompetenze e le capacitàdei sistemi istituzionali, (ii)gli approcci nel considerarei centri urbani come nodidella strategia regionale,(iii) il grado di apertura deigoverni nazionali nei con-fronti alle linee guida dellaCommissione. Tutto ciòrichiederebbe una “riformaradicale della politica dicoesione”. In passato l’at-tenzione è stata spessorivolta allo OMC (OpenMethod of Coordination)che, come è stato ribadito,ha dato in altri settori pre-gevoli risultati. Ma anchesu questa prospettiva dilavoro crescono oggigiornole perplessità soprattutto inconsiderazione del recenteallargamento dell’Unione.Allora è evidente che biso-gna tornare ad affrontare ilproblema alla radice datoche pare improbabile cheprocessi virtuosi si possanogenerare autonomamentenei territori europei. Datoche non esistono vie breviad una migliore concettua-lizzazione della CT, la chia-ve di volta è costituita dal-l’interfaccia tra conoscenzae decisione livello europeoil rapporto tra conoscenza edecisione e come questorapporto venga tradotto nelfunzionamento di alcuneistituzioni europee prepostealla raccolta e restituzionedell’informazione (ESPON eEUROSTAT). Qui prevale il“modello tecnico razionale”che presuppone un tipo di

epistemologia che è datempo oggetto di critica inquanto tende a deproblema-tizzare il rapporto tra cono-scenza scientifica e decisio-nalità. L’autrice invoca untipo di conoscenza “delibe-rativa ed inclusiva” (nego-ziale?) che possa risponderemaggiormente alle nuoveforme di proceduralità(Open Method ofCoordination) in cui sianotrattati in modo più esplici-to i sistemi di riferimentoentro i quali si muove sial’analisi che la decisione. Lacritica va in primo luogo aimetodi quantitativi impie-gati che appaiono forte-mente condizionati daquanto viene definito comeegemonia degli indicatorieconomici (ad esempio ilPIL) su quelli sociali edambientali. In secondoluogo alle forme di gestioneed organizzazione del net-working conoscitivo e deimodi in cui la politicariesce ad influenzare il fra-ming anche nella ricercascientifica. Paradossalerisulta il fatto che questisistemi non siano fino adora riusciti a tradurre ilconcetto di CT in terminioperativi.Le questioni sollevate dal-l’autrice sono di grandeattualità anche se, bisognadirlo, non è un caso che ilcosiddetto “modello tecnicorazionale” continui aimperversare, con pocheeccezioni, nel compartopubblico ed in particolarenegli apparati informativieuro. Probabilmente ilmodo più efficace peraffrontare il problema èquello suggerito daZonneveld nel suo saggio dichiusura della raccolta.L’autore si chiede in chemisura questo concettopossa contribuire a svelarequelle strutture territoriali

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che appaiono essere il pre-requisito di ogni processocognitivo a livello territo-riale. Lo spatial visioningconsentirebbe di tradurre iconcetti della pianificazionespaziale in immagini delterritorio europeo declinatoal futuro. E’ probabilmentequesto il modo più efficaceper raccogliere attorno allatematica territoriale nonchéal MSE l’attenzione degliattori, incanalarne l’azione,stimolare gli interessi,suscitare confronto, consen-so e cooperazione. Il visio-ning deve diventare prioritànegli anni a venire e partecostitutiva dei programmidi conoscenza condivisa.

Igor Jogan

Riferimenti

CEC, 2006, Orientamentistrategici comunitari inmateria di coesione, OfficialJournal of the EuropeanUnion, 21.10.2006,L 291/11Faludi, A., 2005, “PolycentricTerritorial Cohesion Policy”,in Town Planning Review,vol. 76, n. 1.Faludi A., 2006, La politica

europea di coesione territori-ale attraversa una fase distasi?, in Jogan I. PatassiniD., a cura di., Lo spazioeuropeo a livello locale, INUEdizioni, RomaGrasland C., Hamez G., 2002,“Vers un indicateur européende cohésion territoriale?”, inEspace Géographique, vol. 2,pp. 97-116 Owen S., Rayner T., Bina O.,2004, “New agendas forappraisal: reflections on the-ory, practice, and research”,in Environment and PlanningA , vol. 36, pp. 1943 -1959Padoa Schioppa T., 2001,Europa, forza gentile, IlMulino, BolognaSchout J. A., Jordan A. J. ,2007, “From Cohesion toTerritorial Policy Integration(TPI): Exploring theGovernance Challenges inthe European Union”, inEuropean Planning Studies,vol. 15, n. 6, pp. 835 – 851Vettoretto L., 2006,Orientamenti e pratiche nellepolitiche territorialidell’Unione Europea. Limiti,paradossi, potenzialità, inJogan I. Patassini D., a curadi., Lo spazio europeo a livel-lo locale, INU Edizioni, Roma

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Urbanistica DOSSIER98Politica della casanell’area metropolitanamilanese

a cura di Sara Pace,Pierluigi Mutti

Nel prossimo numero:

Il nuovo Piano

I piani strategici

A sud delle politiche urbane

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