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Risorse e turismo sostenibile Valentina Carpitella, p. 33 Cultura e dinamiche di attrazione territoriale Pierluigi Sacco, p. 35 Turisti e mobilità Mauro D’Incecco p. 37 La promozione Turistica Raffaella Radoccia, p. 40 Il nuovo Piano strutturale comunale di Ravenna Il nuovo Psc Fabio Poggioli, p. 43 Il fattore tempo nel processo di piano Gianluigi Nigro, p. 46 La concertazione progressiva Franco Stringa, p. 48 Rassegna Orientamenti e strategie del Quadro strategico nazionale 2007-2013 Carmela Giannino, p. 51 Housing sociale a Bologna Bruno Alampi, p. 54 Il distretto culturale di Faenza Cecilia Conti, p. 56 Politiche per il paesaggio toscano Luciano Piazza, p. 58 Riqualificazione del centro coloniale a Salvador Bahia Elena Tarsi, p. 60 Aperture Emergenza casa e nuove politiche abitative Francesco Sbetti, p. 3 Agenda Le politiche di sviluppo urbano Angela Barbanente, p. 4 …si discute: l’urbanistica dalle riviste di urbanistica Giulio Ernesti, p. 5 Che fine hanno fatto i centri storici? a cura di Anna Laura Palazzo, Filippo Lucchese, Biancamaria Rizzo, p. 7 Proposte di legge per i centri storici minori Manuela Ricci, p. 9 Il bando Provis della Provincia di Roma Simone Ombuen, p. 11 Una strategia per i piccoli centri Filippo Lucchese, p. 14 Diversità e prossimità: la provincia di Avellino Giuseppe Mazzeo, p. 16 Dinamiche socio-economiche e territoriali nel reatino Carlo Cellamare, p. 19 Agrigento: centro storico e problematiche territoriali Teresa Cannarozzo, p. 21 Siena e Isernia due piccole città capoluogo Ottavia Aristone, p. 23 Rivitalizzazione dei centri storici di Colle di Val d’Elsa Anna Delera, p. 25 Piano strategico per la città storica di Reggio Emilia Biancamaria Rizzo, p. 27 Turismo e sostenibilità in Abruzzo a cura di Raffaella Radoccia, p. 29 Turismo e impatto sulle risorse locali Valter Fabietti, p. 31 una finestra su: Bogotà a cura di Marco Cremaschi, p. 63 Verso un paesaggio urbano della paura Charlotte Boisteau, p. 65 Violenza e trasformazione urbana a Bogotà Charlotte Boisteau, p. 65 Degrado e criminalità Aziz Al Muhtasib, p. 68 Bogotà-Roma Lorenza Baroncelli, p. 68 Opinioni e confronti Rivitalizzazione, dimensione culturale e sense of place Gabrio Celani, Massimo Zupi, p. 71 Ascolto il tuo cuore antico, o città! Iginio Rossi, p. 73 Centri storici in Sicilia: problematiche e indirizzi Teresa Cannarozzo, p. 76 Crediti urbanistici La Lr Toscana e la perequazione Ezio Micelli, p. 79 Riforma urbanistica a cura di Sandra Vecchietti, p. 81 L’esperienza piemontese per la legge di governo del territorio Sergio Conti, p. 81 Bolzano. Legge Urbanistica provinciale Peter Morello, Roberto Nicoli, p. 83 Eventi Un filo rosso lungo tutta una vita Giuseppe Campos Venuti, p. 86 L’Inu Stadi e operazioni immobiliari in Emilia-Romagna Inu Emilia-Romagna, p. 88 L’urgenza di riaprire e aggiornare la questione dell’abitazione Elena Campo, p. 89 Assurb L’offerta formativa universitaria in pianificazione territoriale e urbanistica Daniele Rallo, p. 91 Libri ed altro a cura di Ruben Baiocco, p. 94 Indice Indice

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Risorse e turismo sostenibileValentina Carpitella, p. 33

Cultura e dinamiche di attrazione territorialePierluigi Sacco, p. 35

Turisti e mobilitàMauro D’Incecco p. 37

La promozione TuristicaRaffaella Radoccia, p. 40

Il nuovo Piano strutturalecomunale di Ravenna

Il nuovo PscFabio Poggioli, p. 43

Il fattore tempo nel processo di pianoGianluigi Nigro, p. 46

La concertazione progressivaFranco Stringa, p. 48

Rassegna

Orientamenti e strategie del Quadrostrategico nazionale 2007-2013Carmela Giannino, p. 51

Housing sociale a BolognaBruno Alampi, p. 54

Il distretto culturale di FaenzaCecilia Conti, p. 56

Politiche per il paesaggio toscanoLuciano Piazza, p. 58

Riqualificazione del centro coloniale aSalvador BahiaElena Tarsi, p. 60

ApertureEmergenza casa e nuove politiche abitativeFrancesco Sbetti, p. 3

AgendaLe politiche di sviluppo urbano Angela Barbanente, p. 4

…si discute:l’urbanistica dalle riviste di urbanisticaGiulio Ernesti, p. 5

Che fine hanno fatto i centristorici?a cura di Anna Laura Palazzo,Filippo Lucchese, Biancamaria Rizzo, p. 7

Proposte di legge per i centri storici minoriManuela Ricci, p. 9

Il bando Provis della Provincia di RomaSimone Ombuen, p. 11

Una strategia per i piccoli centriFilippo Lucchese, p. 14

Diversità e prossimità:la provincia di AvellinoGiuseppe Mazzeo, p. 16

Dinamiche socio-economiche e territorialinel reatinoCarlo Cellamare, p. 19

Agrigento: centro storico eproblematiche territorialiTeresa Cannarozzo, p. 21

Siena e Isernia due piccole città capoluogo Ottavia Aristone, p. 23

Rivitalizzazione dei centri storicidi Colle di Val d’ElsaAnna Delera, p. 25

Piano strategico per la città storicadi Reggio EmiliaBiancamaria Rizzo, p. 27

Turismo e sostenibilitàin Abruzzoa cura di Raffaella Radoccia, p. 29

Turismo e impatto sulle risorse localiValter Fabietti, p. 31

una finestra su: Bogotà a cura di Marco Cremaschi, p. 63

Verso un paesaggio urbano della pauraCharlotte Boisteau, p. 65

Violenza e trasformazione urbana a Bogotà Charlotte Boisteau, p. 65

Degrado e criminalitàAziz Al Muhtasib, p. 68

Bogotà-RomaLorenza Baroncelli, p. 68

Opinioni e confrontiRivitalizzazione, dimensione culturale esense of placeGabrio Celani, Massimo Zupi, p. 71

Ascolto il tuo cuore antico, o città!Iginio Rossi, p. 73

Centri storici in Sicilia:problematiche e indirizzi Teresa Cannarozzo, p. 76

Crediti urbanisticiLa Lr Toscana e la perequazioneEzio Micelli, p. 79

Riforma urbanisticaa cura di Sandra Vecchietti, p. 81

L’esperienza piemontese per la legge digoverno del territorio Sergio Conti, p. 81

Bolzano. Legge Urbanistica provincialePeter Morello, Roberto Nicoli, p. 83

EventiUn filo rosso lungo tutta una vitaGiuseppe Campos Venuti, p. 86

L’InuStadi e operazioni immobiliariin Emilia-RomagnaInu Emilia-Romagna, p. 88

L’urgenza di riaprire e aggiornarela questione dell’abitazioneElena Campo, p. 89

AssurbL’offerta formativa universitaria inpianificazione territoriale e urbanisticaDaniele Rallo, p. 91

Libri ed altroa cura di Ruben Baiocco, p. 94

IndiceIndice

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del non occupato si è ridotto, ma si sono moltiplicati i con-tratti temporanei a prezzi elevati che fanno assomigliare l’uso(e soprattutto i contratti) di una quota non marginale dellostock abitativo, a quello di alberghi, di residence e di foreste-rie.A fronte della ridotta disponibilità di risorse la dimensione delproblema casa, nonostante un tasso di abitazioni in proprietàpari a oltre il 70%, è assolutamente rilevante. Questa nuovadimensione quantitativa e qualitativa del fabbisogno e delladomanda abitativa, cresciuta e aggravata dopo la fine delpiano decennale per l’edilizia, per l’assenza di politiche diret-te, ha sollecitato, nel corso degli anni ’90, anche in mancan-za di un quadro di riferimento nazionale, una serie di azionida parte dei comuni, i quali sempre più “disarmati” e costan-temente pressati dall’emergenza, hanno sviluppato strategiedi “contenimento” attraverso: la graduazione degli sfratti,l’uso di una parte degli alloggi ERP per i casi di emergenzasociale e attraverso i “contributi all’affitto”. Oggi però siamodi fronte ad una situazione dove soluzioni di questo tipo sonosolo, appunto, di contenimento e non è più immaginabile unastagione di investimenti nel campo dell’edilizia sociale similea quello che ha caratterizzato le generazioni dei grandi PEEP,sia per il progressivo indebolimento delle risorse pubbliche,sia per gli esiti che queste politiche hanno prodotto; le peri-ferie sono lì a dimostraci la inadeguatezza di quei modelliincapaci di produrre città. Inoltre la lezione dei programmicomplessi, partendo dal principio della integrazione ha inau-gurato un nuovo approccio, contribuendo a sedimentare laconsapevolezza della necessità non più di interventi unici edepocali, bensì di azioni articolate, integrate e differenziate. Tra le esperienze a sostegno dell’offerta residenziale pubblicasignificativi sono gli strumenti di pianificazione e negozia-zione urbanistica promossi dalle amministrazioni e gli stru-menti sviluppati dal terzo settore entro i quali è possibilericondurre i fondi immobiliari finalizzati al social housing.Nell’ambito degli strumenti di pianificazione diffuse sono leesperienze che prevedono di destinare, nell’ambito del pro-cesso attuativo del piano, quote di superfici (aree o immobili)per edilizia abitativa sociale. È il caso delle esperienze di pia-nificazione a livello strutturale che aderiscono al principioper cui l’offerta di superfici destinate alla residenza pubblicarappresenta una dotazione territoriale di interesse pubblico ingrado di promuovere offerta residenziale destinata al settoresociale. Entro tali chiavi interpretative è possibile accomuna-re gli impianti delle recenti leggi urbanistiche regionali edesperienze di pianificazione strutturale promosse dalle singo-le amministrazioni comunali.Nel panorama delle esperienze attuali, la discontinuità rispet-to alle politiche abitative promosse mediante strumenti dipianificazione è rappresentata dalla sperimentazione di unodispositivo mutuato dal mercato finanziario - i fondi immo-biliari d’investimento – nell’ambito dell’offerta residenzialesociale in analogia ad alcune esperienze del centro e nordEuropa. Promossi dal basso questi strumenti presuppongono un’al-leanza di natura etica e finanziaria intorno all’offerta di resi-denza a canone moderato tra soggetti che tradizionalmente sisono impegnati nella produzione di residenza sociale (le

Il problema della casa è tornato ad essere una priorità anchenell’Agenda della politica. La legge 9/07 malgrado non indi-vidui nuovi canali di finanziamento, dà un segnale di dis-continuità e il “Tavolo di Concertazione” che prevede, si puòconfigurare come una opportunità per dare risposte non epi-sodiche in materia di edilizia residenziale pubblica. L’articolo4 della legge definisce che il Ministero delle Infrastrutturepredisponga un programma nazionale contenente obiettivi edindirizzi finalizzati all’incremento del patrimonio da conce-dere in locazione sia a canone sociale che a canone concor-dato, oltre a proposte in materia fiscale e per la normalizza-zione del mercato immobiliare.Questa svolta, per ora dichiarata, di costruire un programmanazionale, con al centro la ripresa di un flusso costante difinanziamenti statali che possano assicurare la necessariacontinuità alle nuove politiche per la casa, richiede però diriflettere attentamente, senza ripercorrere le strade delle poli-tiche di emergenza, così come richiede di riconoscere i carat-teri che oggi presenta il problema casa e il contributo attivoche, diversi soggetti, in primo luogo i comuni, in questi annihanno dato attraverso gli strumenti delle politiche abitative edi quelle urbanistiche.Molti sono gli elementi che in Italia portano nuovamente iltema della casa e del disagio abitativo in primo piano. Da unlato, le modifiche strutturali della società, che fanno emerge-re bisogni inediti che si aggiungono alle nuove povertà, dal-l’altro sono dieci anni, da quando è cessato il prelievo Gescalche non esiste più un flusso certo e costante di risorse dadestinare al settore. A questo si aggiungono decenni di poli-tiche finalizzate a promuovere la proprietà della casa e unpatrimonio pubblico sempre più esiguo e improduttivo. Inquesto scenario di crescita delle famiglie e di ridotte politichepubbliche la questione dell’affitto, che significa una ridottadisponibilità d’abitazioni in locazione e comunque offerte aprezzi elevati, rappresenta sicuramente il nodo del problemacasa in tutte le città italiane e specificamente in quelli dovela tensione abitativa è alimentata da processi di concorrenzatra diversi tipi di domande: giovani coppie, lavoratori inmobilità, studenti, turisti, cittadini stranieri. La legge 431/98,come è stato evidenziato in molte analisi, ha avuto il pregiodi far emergere molte situazioni nascoste e oggi il fenomeno

ApertureAperture

Emergenza casa e nuovepolitiche abitativeFrancesco Sbetti

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amministrazioni e le imprese) e nuovi operatori (fondazioni,no profit, gestori sociali). Sul fronte degli obiettivi, i fondi immobiliari destinati alsocial housing si propongono di perseguire una missionesociale – incrementare l’offerta di residenza per fasce socialideboli - ed un obiettivo di natura finanziaria legato al rag-giungimento di rendimenti inferiori a quelli di mercato. Ilvincolo di redditività finanziaria del fondo è connessa allasua competitività rispetto al libero mercato ed è garantitomediante il perseguimento di vantaggi sia sul fronte del costodi produzione/gestione del patrimonio che nella differenzia-zione dell’offerta. Di fronte ai diversi bisogni, alla loro articolazione geograficae sociale, non è più possibile agire attraverso un’unica leva,quella tradizionale dell’edilizia residenziale pubblica, è inve-ce necessario agire attraverso un ventaglio di politiche. E’necessario, da un lato, un’articolazione, anche nuova dell’Erp,pensata non più come soluzione per la vita, ma come solu-

zione per i bisogni e per la durata dei bisogni, a cui affianca-re il ricorso alla finanza etica e l’introduzione di progetti perfinanziare il social housing attivando attori nuovi e tradizio-nali. Dall’altra si deve pensare l’utilizzo dei piani regolatoricome strumenti per tornare a fare politiche abitative, attra-verso l’acquisizione di aree e il ridisegno di diritti edificatoriattribuiti in tempi spesso lontani. La possibilità di sostenereun ventaglio articolato di politiche impone a Stato e Regioni,impegnati nel Tavolo di Concertazione e nella predisposizio-ne del Programma Nazionale, di approfondire le conoscenzesui caratteri del fabbisogno abitativo, di prevedere, nel qua-dro della nuova legge urbanistica nazionale, l’inserimento delservizio abitativo sociale tra i livelli minimi delle dotazioniterritoriali come uno dei diritti di cittadinanza e, certamentenon ultimo, di prevedere la ripresa di un flusso costante difinanziamenti statali in grado di assicurare la necessaria con-tinuità alle nuove politiche della casa.

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In ricordo di Gigi ScanoAll’urbanistica ci era arrivato in modo atipico e personale, nel corso della battaglia per Venezia, un impegno che dopo la alluvione del 1966 aveva messoinsieme persone le più diverse, per età, origini e motivazioni. A Venezia e in Italia. Lì la sua ispirazione politica, di repubblicano, e la sua formazione profes-sionale, di impronta giuridica, avevano trovato il campo ideale per cimentarsi con una causa alta, durevole e straordinariamente complessa. Ciò che serve aun giovane, razionale quanto entusiasta, per dedicare il meglio della propria energia, intellettuale e morale. L’urbanistica aveva finito per diventare sua com-pagna di strada, non per scelta ma di fatto, come campo di concreta composizione delle relazioni tra ambiente e società. Dove la nozione di ambiente rias-sumeva tutto lo spessore di una grande storia pregressa e delle maggiori sfide ecologiche della modernità industriale. E la società si riverberava nelle con-torsioni della politica. Tra un centro storico millenario, una laguna antropizzata, e il primo polo chimico nazionale. Il tutto in pochi chilometri quadrati diterra e acqua. Di qui una crescente specializzazione a indagare il quadro normativo che potesse tradurre questa convivenza in prassi di gestione, diffusa econdivisa, addossata alle istituzioni e, quel che è più difficile, al gioco contrastato degli interessi politici. Che a Venezia assumono valenza simbolica e river-bero di opinione di rilievo internazionale. Perché di lì comunque si doveva passare.Dalla politica, dai partiti, e dai loro rappresentanti. A Venezia come a Roma. Gigi non era un empirico, e neanche un cinico. La sua onestà intellettuale e ilsuo entusiasmo operativo ne avevano fatto un protagonista della prima legge speciale di Venezia, nel 1973; dei piani particolareggiati, nel 1974; degli indi-rizzi per il piano comprensoriale, nel 1975. E dei lavori del piano comprensoriale anche oltre il quinquennio successivo. Anni cruciali di una storia che daallora è proseguita. Sempre tra forti contrasti. Speranze e delusioni. Che Gigi tendeva a vivere come personali. Badando più a quelle che a se stesso, senzail minimo sospetto di trascurare con questo parte sostanziale della propria esistenza. Ma anche senza alcuno spirito missionario; in modo laico, argomenta-to, coerente, generoso. Per temperamento non si arrabbiava e non trascendeva, quasi mai, anche quando ne avrebbe avuto motivo. Piuttosto si indignava,quello sì. Nei suoi schemi non trovava posto ciò che non era riconducibile a finalità generali, scisse da quelle strumentalità personali che aveva allontana-to da sé ma certamente intorno a sé era in grado di cogliere, in silenzio. Di impegno politico era imbevuto, ma non poteva fare il politico, per eccesso dilinearità. E infatti, distaccandosi lentamente, non senza amarezza, dall’impegno totale su Venezia, si era trovato tra le mani quel bagaglio di esperienza nor-mativa che gli aveva consentito di cimentarsi con tanti altri contesti in Italia. In campo urbanistico, ma sempre con quella ispirazione ambientale che costi-tuiva una sorta di imprinting originario irrinunciabile. Degli anni giovanili al Ceses, un centro studi di Confindustria, gli era rimasta la familiarità di con-frontarsi con un ampio spettro di argomenti, e dalla formazione giuridica gli derivava la consuetudine a fissare in norma gli obbiettivi che l’urbanistica per-segue col piano.L’approdo all’Inu, fin dai primi anni ottanta, era dunque un esito inevitabile, per ragioni professionali e per legami personali, formatisi nel lavoro e consoli-datisi in veri e propri sodalizi umani. Quando poi le burrasche dell’Istituto lo avevano indotto ad altre scelte aveva saputo tenere ben distinte le disputedisciplinari dalle relazioni personali. Al di là di ogni retorica postuma, per Gigi impegno e lavoro erano realmente ragione di vita, di quella vita di cui aveva deciso di fare un uso disinvolto,immerso nel presente senza curarsi del futuro. Di quello suo proprio, di cui gli amici di vecchia data, più ancora di lui, solevano preoccuparsi come per chiun-que che, dopo la stagione degli entusiasmi e dell’impegno, inesorabilmente viene richiamato alla necessità di predisporsi verso un cammino di serenità e disicurezza. Neppure dopo che il suo fisico, negli anni più recenti, gli aveva mandato un segnale inequivocabile, forte e chiaro, di prudenza e di maggior rego-latezza. Che Gigi aveva voluto considerare a modo suo, allontanando, da sé e dagli altri, ogni fondata preoccupazione. Nel ricordo di chi lo ha conosciutosul piano umano, politico e professionale restano profondi l’amarezza e il rimpianto di una vicenda finita troppo presto. Non so se di questa incompiutez-za Gigi sarebbe stato disposto a prendere atto. O se, in profonda solitudine, non avesse intimamente maturato l’idea che l’unico stile di vita è quello chequotidianamente ti convince e ti soddisfa, lasciando ad altri l’onere di fare quei bilanci che troppo spesso non tornano. Non certo a detrimento del suoimpegno, ma per aver laicamente constatato come spesso i risultati non restituiscono l’impegno che i singoli protagonisti hanno inteso profondere nellecose in cui credono.

Franco Migliorini

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tempo e con forza sostenuto dall’Unione Europea per persegui-re obiettivi complessi di sviluppo urbano sostenibile, nei qualiqualità ambientale, inclusione sociale e crescita economicaappaiono indissolubilmente intrecciati, e per garantire,mediante la compartecipazione di un ampio ventaglio di attoripubblici, privati e no-profit, la realizzazione di detti obiettivi.Tale approccio, in verità, appare più proclamato che effettiva-mente praticato: la domanda di integrazione, che è certamentecrescente in una società complessa ed è resa imperativa dallaprospettiva della sostenibilità, si scontra con settorialità pro-fessionali e politiche gelosamente custodite e con l’accentuataframmentazione dei contesti istituzionali e amministrativi. Contro il superamento delle suaccennate difficoltà e la costru-zione di politiche urbane più efficaci milita in Italia la man-canza di una cultura della valutazione, quest’ultima non intesa- come spesso accade proprio nella prevalente interpretazionedei criteri operativi europei - quale obbligo di misurare l’in-commensurabile o di comparare l’incomparabile ma coltaquale stimolo all’apprendimento dall’esperienza, ossia allariflessione sui limiti degli interventi realizzati nella precedenteprogrammazione per correggerne errori e introdurvi elementid’innovazione. La scena delle politiche europee appare invece,almeno nella regione nella quale lavoro, dominata da organiz-zazioni tecniche e politiche inclini ad autocelebrare i proprimeriti piuttosto che a migliorare le proprie prestazioni, arroc-cate su posizioni difensive del proprio operato e chiuse all’in-novazione che può venire sia dall’ascolto attivo del contesto edalla verifica pubblica degli assunti alla base delle politiche,sia dalla valutazione degli effetti di queste ultime e degli even-tuali danni ambientali e costi sociali dalle stesse prodotti.Lo stesso Quadro Strategico Nazionale per la politica regionaledi sviluppo 2007-2013, nella parte dedicata alle “lezioni dellaprogrammazione 2000-2006” per le città e i sistemi urbani, èlargamente dedicato a mettere in risalto la piena rispondenzafra l’approccio integrato adottato dalle politiche europee e i“progetti integrati” promossi in Italia negli anni 1990, limitan-dosi a individuare i punti di debolezza del settennio preceden-te negli strumenti di programmazione e pianificazione suiquali i progetti integrati si sono innestati, nella difficoltà ditradurre obiettivi ambiziosi in realizzazioni economicamentesostenibili, nell’adozione di criteri di selezione incapaci di per-seguire la qualità.Così declinato, l’apprendimento dall’esperienza appare eserci-zio inutile. Esso, infatti, per essere produttivo richiederebbe unatteggiamento di apertura al confronto pubblico e al cambia-mento: la disponibilità a sottrarsi alla generica ripetitività deidiscorsi per concentrarsi sull’esame accurato delle pratiche diprogettazione e trasformazione del territorio, a riflettere appro-fonditamente sugli (inevitabili) esiti inattesi degli interventirealizzati, a ritornare sugli errori commessi per correggerli. E’di tutta evidenza peraltro che, allorquando gli atteggiamentichiusi e difensivi prevalgono, i momenti partecipativi, chevanno diffondendosi nelle politiche urbane anche grazieall’impulso comunitario, mancano di conseguire alcuni deiloro più rilevanti obiettivi: il trasferimento di idee innovativeal processo politico e la produzione di politiche più efficaci.

* Assessore all’Assetto del Territorio, Regione Puglia

AgendaAgenda

Le politichedi sviluppo urbano

Nell’agenda politica europea le aree urbane stanno assumendoimportanza crescente per la realizzazione di alcuni obiettivichiave della strategia di Lisbona, primo fra tutti la capacità diattrarre investimenti e di far crescere l’occupazione, comedimostra con particolare chiarezza il documento della commis-sione “La politica di coesione e le città: il contributo delle areeurbane alla crescita e all’occupazione nelle regioni” (COM,2006, 385). La maggiore attenzione ai problemi delle areeurbane, quali punti di attrazione e di snodo rispetto alle strate-gie di sviluppo dei territori, appare fra le principali novitàdella programmazione strutturale per il periodo 2007-2013. Aldi là delle retoriche europee, cui fanno eco i documenti di pro-grammazione nazionali e regionali, competitività economica ecoesione sociale non sono così facilmente conciliabili nellamessa a punto e realizzazione delle politiche urbane. Nel mez-zogiorno d’Italia, ove le città sono gravate da problemi parti-colarmente acuti di disoccupazione, povertà, criminalità,degrado fisico e disagio sociale, tale conciliazione trova anco-ra maggiori difficoltà di realizzazione. Diverse sono le ragioni.Esse attengono sia ai contenuti sia alle forme delle politiche.Quanto ai contenuti, un primo problema riguarda la selezionedelle città e delle parti di città sulle quali concentrare l’atten-zione: le aree che maggiormente richiedono un apporto dirisorse esterne per risolvere i problemi di degrado fisico edesclusione sociale spesso coincidono con quelle che presentanominori potenzialità di sviluppo economico e, d’altro canto,non è per nulla scontato che l’aumento della competitività diun’area comporti miglioramenti delle condizioni sociali di chivi abita. Inoltre, se la società moderna è essa stessa produttricedi squilibri territoriali e di svantaggi cumulativi per determina-ti gruppi sociali, è probabile che il rafforzamento della “com-petitività e attrattività delle città”, in assenza di adeguatemisure di mitigazione e compensazione, avvantaggi i territorie i soggetti più forti. Peraltro, è particolarmente difficilecostruire una strategia di intervento efficace e consensualeallorquando i suaccennati problemi interessano la maggiorparte delle città o dei loro quartieri: le difficoltà attengono siaalla scelta dei luoghi ove concentrare gli interventi sia alladefinizione dei modi di progettazione e messa in opera di que-sti ultimi.Quanto alle forme d’intervento, l’approccio integrato è da

Angela Barbanente*

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costante offerta di studi che comunque consolidano il campo delleconoscenze nell’ambito delle esperienze di trasformazione dellacittà, in Italia e all’estero. Sicuri di averne dimenticate alcune sipuò dire che quelle citate comunque siano in grado di costituireun significativo quadro di riferimento. Quadro dal cui interno èpossibile far emergere alcuni temi comuni ed alcuni tentativi digeneralizzazione sulle questioni che con più forza sembrano cata-lizzare per ora l’interesse del lettore urbanista. Si riconosce unapresenza consistente della questione ambientale, con l’invito (equesto mi pare venga soprattutto dalle pagine di Urbanistica) aduna trattazione critica tendenzialmente non ideologizzata, identifi-cando correttamente l’urgenza della questione ambientale e dellesue relazioni con il sapere urbanistico. Questo per porre all’atten-zione il tema della resistenza della città ad affrontare se stessa neitermini proposti dalle sollecitazioni provenienti dalla questioneambientale, la cui presenza sulle riviste si rintraccia ormai da unaquindicina di anni, almeno in quelle riferibili al corpus delle pub-blicazioni INU con la loro articolazione non casuale. Tra le “cate-gorie” che rimandano alle sfide che le trasformazioni del contestourbano e territoriale e delle società, nelle loro forme a volte assaiimprevedibili di territorializzazione, muovono al sapere urbanisti-co, si possono inserire anche quelle riguardanti la rivisitazionedella concezione del pubblico interesse; in questo senso con un’attenzione alla pluralizzazione della nozione stessa di pubblico,con l’invito a far tesoro della pluralizzazione del pubblico comerisorsa e non come fastidioso ingombro e quindi favorendo i ten-tativi di ridefinire il pubblico come trans-località. Direi ponendoun tema, come in alcuni scritti sparsi qua e là e’ stato posto, difondo: su quali territori e dove attivare politiche a fronte di unapluralizzazione della percezione del territorio all’interno della vitadegli individui. Un altro tema, quindi è quello della necessitàdella conoscenza delle infinite forme di territorializzazione deisoggetti e della loro potenzialità di attori, delle popolazioni cheabitano, percorrono, vivono, interpretano il territorio. Conseguentee coerente il tema della partecipazione, segnalando però come nonsia adeguatamente recepita all’interno del numero dei frequentato-ri della disciplina; la sua potenziale rilevanza come forma diconoscenza e quindi come pratica pianificatoria in termini di effi-cacia, oltre che di costruzione sia dei problemi sia delle soluzioni,ovvero delle politiche. Nei numeri di Urbanistica degli ultimi 4-5anni e più recentemente in Urbanistica Informazioni e nelGiornale dell’Architettura compare come riferimento costante ilruolo giocato dall’Europa, propulsivo e critico allo stesso tempo.Non ultimo e a questo forse legato è quello del welfare o delnuovo welfare, ovvero delle forme che riflettono sul benessereindividuale e collettivo ricercando modalità di adattamento allenuove popolazioni e categorie della società, riferendosi alle speci-ficità dei tessuti sociali delle società locali, alle volontà e desideriespressi dal basso. Modelli di planning, forme della razionalità,sistemi delle decisioni si stagliano sullo sfondo del senso e delruolo della città nella società contemporanea uscendo, (tentandodi uscire credo) negli ultimi anni da quelli che forse stavanodiventando stereotipi forzati. Queste, molto sinteticamente e inmodo un po’ approssimativo, sembrano le questioni messe incampo per recepire le continue sollecitazioni esterne e la loro inte-razione con le sollecitazioni interne, ovvero disciplinari.

*Università IUAV di Venezia.

Una ricognizione, molto informale e sicuramente molto incomple-ta, delle riviste che possono essere riconoscibili come riviste diurbanistica e di pianificazione, vuole essere l’occasione per riflet-tere sui differenti interessi e saperi che gravitano attorno all’urba-nistica. Naturalmente in questo elenco ci sono Urbanistica,Urbanistica Informazioni, Urbanistica Quaderni, UrbanisticaDossier, CRU (Critica della Razionalità Urbanistica). Poi ancoraTerritorio, Rassegna dell’architettura e di urbanistica, rivista chefu di Michelucci e che ha ripreso da alcuni anni le proprie edizio-ni, dove il rimando all’urbanistica è un’associazione o l’esplicitarsidi una relazione. Dopo di che, continuando lo spoglio l’area dipertinenza sembrava farsi più incerta. Perché non riprendereEdilizia Popolare che nel tempo poteva vantare una tradizione diinteresse per le questioni di urbanistica proprio a partire dalla spe-cifica angolazione dell’edilizia popolare storicamente fondamenta-le per la pianificazione. Altre, invece, possono essere ricondotte adun’area specificamente ambientale. Settoriali, ma in prospettivadel fatto che il proprio campo di sapere possa essere generatore dinuove visioni complessive. All’interno di questa stessa area pote-vano trovare collocazione Paesaggio Urbano ma ancor di piùEstimo e Territorio, Acqua e Aria e così via. Un’altra rivista la cuicollocazione è apparentemente incerta anche se attribuibile sicura-mente al campo - incerta, perché consente di aprire il discorso adulteriori articolazioni e approfondimenti - e’ sicuramente Archiviodi studi urbani regionali. Tra le riviste più recenti va citataFoedus, nella sua doppia veste: alternando uscite che si richiama-no più esplicitamente alla politica e alle politiche ad altre in cui lepolitiche sono declinate attraverso riflessioni che provengono dauna riconoscibile cultura disciplinare. Tra le uscite recenti vi èsicuramente Gomorra dove temi e questioni che riguardano rela-zioni fra città e atti di progettazione e di trasformazione dellasocietà urbana assumono una declinazione a volte provocatoria,ma e’ il senso della rivista. Per tornare ad una rivista più settorialesi cita Metronimie concentrata sui problemi della pianificazionedell’area bolognese ma con una serie di rubriche cui destina ilruolo di aprirsi a dibattiti di più ampio respiro. Oppure rivistecome Oltre il ponte dove vengono affrontati temi sicuramenterilevanti per la pianificazione del territorio attraverso la chiaveinterpretativa delle grandi trasformazioni dei tessuti produttivi, deimodelli di organizzazione della società e della economia e le spe-cifiche ricadute territoriali. Non lontana, Storia Urbana con la sua

...si discute:...si discute:

L’urbanistica dalle rivistedi urbanisticaGiulio Ernesti*

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cui funzione di presidio in chiavesocio-economica e ambientale apparefondamentale. Le possibilità di rilancio possono reali-sticamente giocarsi, secondo le situa-zioni, nella condizione di prossimità,per la verità più spesso subita che“attiva”, a città maggiori, o nella pro-mozione di federazioni intercomunalisotto forma di cooperazione in rete peruna possibile integrazione dell’offertadi tipo urbano: non tutti hanno tutto,ma ciascuno sviluppa una particolare“utilità”, e tutti sono reciprocamenteaccessibili.Qui la matrice dell’intervento ha unforte aggancio alla risorsa “territorio”,anche nella sua componente di capita-le umano, impone sinergie tra diffe-renti politiche di settore, come quelledi tipo ambientale e turistico, e puòtrovare un trattamento entro strumentidi area vasta, come già avviene all’in-terno delle aree protette.Alcuni saggi traguardano la dimensio-ne dell’offerta legislativa e operativadiretta ai comuni, con particolare rife-rimento a quelli minori, per cui è pos-sibile immaginare traiettorie evolutivecomparabili tra loro per effetto di uncomune modus operandi, sia essodeclinato in chiave localista o dirigi-stica, secondo le opzioni legislative(M. Ricci), ovvero nel set di “misure”attivabili con bandi provinciali in fun-zione di una valorizzazione dei patri-moni urbani, seppur generalmenteinterpretate in forma eccessivamentesemplificata da amministratori ed ope-ratori, come nel caso romano (S.Ombuen).

Che fine hanno fatto i centri storici?a cura di Anna Laura Palazzo*, Filippo Lucchese**, Biancamaria Rizzo***

1. Sguardi d’insieme

I tre saggi ospitati nella sezioneOpinioni e confronti provano a fare ilpunto sui meccanismi di funziona-mento nella rigenerazione di parti sto-riche di contesti urbani spesso assaipiù estesi: da un lato, viene indagatoil tema dell’identità - il sense of place-, paradossalmente deficitario nellaprogrammazione dei destini urbani (G.Celani, M. Zupi), ma anche nella defi-nizione delle vocazioni più strettamen-te incardinate alla funzionalità e vita-lità del settore commerciale nella cittàstorica (I. Rossi); dall’altro, sono evi-denziate le opportunità aperte da stru-mentazioni di indirizzo per l’interven-to, come quella recentemente messa apunto dalla Regione Siciliana, chesembrano autorizzare un cauto ottimi-smo (T. Cannarozzo).Sullo sfondo di questi bilanci e pro-spettive, la rilevanza dei centri minorisi impone all’attenzione delle politichedi riequilibrio territoriale che, entrostrumentazioni di tipo più o meno tra-dizionale (programmazioni di settore,pianificazioni di area vasta, iniziativecomunitarie), provano a contrastare glieffetti di isolamento, declino economi-co e demografico che minaccianodirettamente il patrimonio urbano dellearee “interne” o “periferiche”: degli8.100 Comuni italiani, 5.836 hannouna popolazione inferiore ai 5.000 abi-tanti, 3.651 inferiore ai 2.000, 1.971inferiore ai 1.000 e ben 845 inferioreai 500. Complessivamente, essi ospita-no poco meno del 20% della popola-zione su di un territorio corrispondentea circa il 54% del totale nazionale, la

È proprio vero che dopo un lungodibattito teorico e sperimentazioni diavanguardia nel nostro Paese si èspento l’interesse per le località che aqualche titolo meritano l’appellativodi “storiche”? Se negli anni recentipubblicistica e convegni hannoscarsamente compulsato questocampo tematico, diversi indizisuggeriscono oggi l’apertura di unanuova stagione di attività e riflessioni.Lo conferma, indirettamente, anche lanutrita serie di contributi originati daquesta occasione di confronto, cheiniziamo a pubblicare nel presentenumero di UI (il tema saràriproposto). Ciò che è apparsoevidente è la prevalenza di saggirivolti a sondare situazioni, singole oplurime, di centri piccoli e medi,rispetto a contributi relativi a casi dimaggior respiro urbano. Come sigiustifica la fase di relativa stancadelle grandi città rispetto allaquestione? Che la specificitàdell’approccio alla storia abbia cedutole armi ad esigenze più complessive digoverno urbano? E come si spiega lavitalità di riflessioni e sperimentazionirelative a una dimensioneestremamente locale dello sviluppolocale? Proviamo a svolgere alcuneconsiderazioni.

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no relazioni fisiche, infrastrutturali,visive, oltre che economiche e sociali.Questa tendenza centrifuga ha caratte-rizzato (almeno fino agli anni ’60)soprattutto le città medio/grandi, chehanno rivolto i propri interessi (inlarga misura edificatori) soprattuttoverso l’esterno, lasciando al propriocentro storico un ruolo sostanzialmen-te autoreferenziale.Oggi, in tempi di arresto della crescitaurbana, di riqualificazione e di allarga-mento del concetto di storicità a partianche periferiche della città e al pae-saggio rurale, sempre più spesso lepolitiche urbane puntano a riallacciarei rapporti interrotti tra città storica eterritorio, al fine di costruire strategiedi sviluppo centrate sull’identità com-plessa dei luoghi. Questa istanza risulta pressante in tuttii casi analizzati: in quello di Agrigento(T. Cannarozzo), in cui al valore e allaproblematicità del contesto corrispondela latitanza degli strumenti di pianifi-cazione, a partire da quelli per il recu-pero del centro storico; in quello diColle Val d’Elsa (A. Delera), in cui lariqualificazione passa anche attraversopratiche di ascolto e partecipazione; inquello di Isernia (O. Aristone), in cui lapromozione del territorio vuole esserestrumento di rivitalizzazione e supera-mento dell’abbandono; in quello diSiena (O. Aristone), dove si proponel’allargamento della nozione di “inte-resse storico” a fronte della riconosciu-ta qualità della città e della campagnae della rispettiva esposizione a processidi dissipazione; in quello di ReggioEmilia (B. Rizzo), in cui si punta, attra-verso l’individuazione di assi strategicicondivisi con la cittadinanza, a trasfor-mare il centro storico in polarità d’ec-cellenza, in rappresentanza sia dellacittà (marketing urbano), che del terri-torio d’area vasta (marketing di pro-dotto).

* Professore associato presso l’Università di RomaTre, (§ 1).** Dottorando presso la Facoltà di Ingegneriadell’Università de L’Aquila, (§ 2).*** Docente a contratto presso l’Università di RomaTre, (§ 3).

corso, per gestire più che creare oppor-tunità; è questo un forte limite, soprat-tutto in considerazione del fatto che cisi riferisce a soggetti territoriali spessodeboli.Occorrerebbero scelte coraggiose echiare, che soltanto una vera presa dicoscienza dell’urgenza e della comples-sità dei problemi può garantire.

3. Culture della complessità

Per ciò che riguarda i centri di mag-giori dimensioni, il futuro delle partistoriche tende ad essere inquadratoentro un più complessivo e complessodestino urbano e territoriale, conmodalità che se da un lato comportanodei rischi di omologazione (sotto formadi banalizzazione degli usi, consumodegli spazi, corrosione della immagine,ecc.), dall’altro provano ad affermare epraticare pienamente i valori dellacontemporaneità nel palinsesto urbano. Piani, progetti e politiche ricercanonello spessore che solo la storia puòdare agganci utili per la riqualificazio-ne e il rilancio selettivo della interacittà, con approcci che potremmo defi-nire di tipo “biografico”: nella diversitàdei casi un tratto comune è costituitodalla individuazione di traiettorie disviluppo e competizione con altre real-tà urbane a partire da vocazioni anti-che in grado di esaltare le radici, esibi-te come vantaggi competitivi tanto pergli insiders che per gli outsiders.L’elemento comune ai casi qui presen-tati sembra essere il tentativo o la sem-plice necessità di ricostituire un rap-porto col proprio territorio. Sta di fattoche, nel corso dei secoli, abbiamo assi-stito ad un progressivo distacco dellacittà dal suo intorno: dapprima la cittàmurata aveva precisi rapporti formalioltre che funzionali con la sua campa-gna; con l’espansione extramoenia ilconfine urbano/rurale diviene semprepiù labile e meno chiare appaiono lerelazioni fra centro, cui si attribuisceun connotato di “storicità” quasi avolerlo fissare nel ruolo statico dellatestimonianza, e città “nuova”, dinami-ca sede delle trasformazioni.L’urbanizzazione ulteriore crea unospazio periurbano che allontana inelut-tabilmente il centro città da quel terri-torio a cui, originariamente, lo legava-

2. Piccolo è bello?

D’altronde è questa una fase crucialenell’evoluzione storica dei piccoli cen-tri; è probabile che le scelte strategichedi oggi faranno sentire i propri effetti,positivi o negativi, a lungo termine. Èinnegabile, infatti, che la globalizza-zione offre notevoli opportunità, comedimostrano le incoraggianti prospettiveturistiche, che stanno anche trovandoconfortanti riscontri nella domanda;d’altro canto, però, notevoli sonoanche i rischi, legati ad una competi-zione sempre più ampia, che, comenoto, ha mandato e sta mandando incrisi molti settori tradizionali dellanostra economia (F. Lucchese). L’anellopiù debole è chiaramente rappresentatoproprio da quelle realtà territoriali che,per dimensione e posizione, dimostra-no una minore capacità e, probabil-mente, anche una minore possibilità diadeguarsi e reagire tempestivamente; è,almeno in parte, anche il casodell’Irpinia (G. Mazzeo).Volendo, invece, porre l’accento sulleopportunità, auspicando che i beneficipromessi da potenziali possano diven-tare reali, è bene sottolineare che saràindispensabile sapersi collocare nelmodo giusto in un mercato ormaiestremamente ricco ed articolato. Giàquesto non è affatto un obiettivo scon-tato, soprattutto in realtà frammentateed interessate da crisi spesso struttura-li; ma, pur ipotizzando un sostanzialesuccesso nel mercato globale del pro-dotto territoriale e turistico, ciò di persé potrebbe non essere sufficiente, dalmomento che non è detto che i benefi-ci che ne deriverebbero sapranno poiprodurre davvero effetti di carattereterritoriale, consistenti e duraturi, veroobiettivo di ogni seria politica in que-sto settore.Come dimostra il caso-studio relativoalla provincia di Rieti (C. Cellamare), larealtà propone situazioni molto diver-sificate in aree limitrofe, che lascianointendere come gli esiti delle politichee delle iniziative di sostegno e rivita-lizzazione dipendano quasi esclusiva-mente dalla capacità organizzativadegli attori e dei promotori di volta involta interessati. Le politiche finisconocosì per accompagnare, più che deter-minare ed indirizzare, i processi in

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“dimensione” dei comuni e degli stru-menti da utilizzare per la riqualifica-zione.La proposta di legge (capo 3) non fariferimento esplicito ad alcuna dimen-sione, presupponendo che le aree pro-tette siano caratterizzate da “un tessutourbano fatto di piccoli e piccolissimicomuni”2.Il disegno di legge, invece, articola ilprovvedimento in ben tre dimensionidi centri: pari o inferiore rispettiva-mente a: 2.000 abitanti, a 5.000 (centristorici-borghi antichi) e a 15.000. Dettaarticolazione viene utilizzata per diffe-renziare l’attribuzione delle quote delfondo nazionale per il recupero e latutela dei centri storici e dei “borghiantichi”:- di cui almeno il 50% va ai comunicon popolazione pari o inferiore a15.000 abitanti: la scelta è quindi difavorire i piccoli comuni;- il rimanente 50% (o meno) del fondova ai comuni con più di 15.000 abitan-ti; per questi si presuppone una mag-giore disponibilità finanziaria; sirichiede, infatti, una partecipazionediretta dell’ente locale in forma di cofi-nanziamento.Il riferimento alla dimensione serveanche a stabilire, soltanto all’internodei comuni con soglia inferiore ouguale a 5.000 abitanti, altri due ele-menti: zone di particolare pregio archi-tettonico e culturale (a questi comuniviene assegnato il marchio di “borghiantichi d’Italia”) e strumenti da utiliz-zare per la riqualificazione, vale a direinterventi integrati pubblici e privatirivolti alla esclusiva realizzazione di

Proposte di legge per i centri storici minoriManuela Ricci *

recupero e la riqualificazione dei centristorici”.Entrambi, attualmente in discussionein Comitati ristretti, hanno subito alcu-ne modifiche rispetto agli articolatioriginali.La proposta di legge Realacci, promos-sa su iniziativa di numerosi parlamen-tari, vanta ormai un lungo iter parla-mentare (atto camera 1174, XIV legis-latura del 2001), approvata allaCamera, è rimasta nelle secche delSenato della XIV legislatura; l’articola-to più recente (28 aprile 2006), attual-mente in discussione, ha modificato iltitolo originario1 (“Misure per il soste-gno e la valorizzazione dei comuni conpopolazione pari o inferiore a 5.000abitanti”), introducendo una nuovaparte che riguarda i comuni situatiall’interno di aree protette (che presen-tano quasi tutti connotazioni storiche):si tratta, in particolare del capo 3 chesi riferisce a “interventi di recupero deicentri storici” e ai “nuclei rurali”. Per quanto riguarda il disegno di leggeper il recupero e la riqualificazione, leproposte (ben tre, Foti e 2 versioniIannuzzi, con alcune differenziazionitra loro) sono del maggio 2006. Allostato attuale si è giunti a un testo uni-ficato, elaborato da un Comitatoristretto (novembre 2006), rispetto alquale sono state già proposte modifi-che, in sede di Comitato stesso. Il qua-dro sinottico a fine articolo segue pro-pone una lettura che confronta i dueprovvedimenti su alcuni elementi rite-nuti prioritari.Preme in prima istanza riflettere sucome viene posta la questione della

La materia dei centri storici minoridal punto di vista dei provvedimentiè notevolmente frazionata: insostanza dipende dal punto di vistada cui li si guarda: edilizia, sviluppolocale, demografia, ambiente, attivitàcommerciali e via dicendo. Ognuno di questi aspetti è,generalmente, normato da leggi disettore che, alcune volte, riescono amettere insieme più aspetti e aintegrarli tra loro

Va evidenziato che parte della norma-tiva sui centri storici (minori) si è svi-luppata nel nostro Paese a partire dastanziamenti finanziari da concedere,da parte delle regioni alle amministra-zioni locali, in relazione a parametridefiniti: ed è proprio la definizione ditali parametri (non di rado delegata aibandi piuttosto che alle leggi) che con-duce a configurarne i profili e le carat-teristiche, in relazione alla politicheche le singole regioni intendono svi-luppare. A livello nazionale, sono attualmentein discussione due provvedimenti,l’uno attento in particolare alla ridottadimensione demografica e l’altro alrecupero e alla riqualificazione. Si trat-ta, rispettivamente, della proposta dilegge, cosiddetta Realacci, “Misure peril sostegno e la valorizzazione deicomuni con popolazione pari o inferio-re a 5.000 abitanti nonché dei comunicompresi nelle aree protette”, e deldisegno di legge “Disposizioni per il

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Parametri per una lettura Proposta di legge: Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con Disegno di legge: Riqualificazione e ecupero centri storicisintetica popolazione pari o inferiore a 5000 abitanti nonché dei comuni compresi (testo unificatoelaborato dal Comitato ristretto).

nelle aree protette (Capo II, disposizioni concernenti le aree protette).

Ambiti di applicazione Centri storici e nuclei abitati ruralicompresi, in tutto o in parte, nelle aree Centri storici, come definiti dalla normativa vigente, dei comuni protette (parchi nazionali, parchi naturali regionali, di cui al V aggiornamento con popolazione pari o inferiore a 200.000 abitanti.dell’elenco ufficiale delle aree naturali protette (1).

Subambiti di applicazione Individuazione di zone urbane e rurali soggette al recupero del patrimonio Zone di particolare pregio dal punto di vista della tutela deiedilizio e urbanistico esistente, mediante interventi rivolti alla beni architettonici e culturali da individuare all’interno delriqualificazione ambientale e urbanistica, edilizia e ambientale, attraverso perimetro dei centri storici e degli insediamenti urbanistici - i programmi integrati di intervento (art.16, legge 179/1992) le cui procedure definiti con decreto del Ministero delle infrastrutture,di adozione e il relativo coordinamento con altri piani e programmi sono di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturalidefiniti nelle leggi regionali. (da emanare entro 3 mesi dalla data in vigore della legge) –

in comuni con non più di 5.000 abitanti, da equiparare acentri storici ai fine della legge e ai quali assegnare il marchiodi “borghi antichi d’Italia”.

Definizione di parametri Il MI, sentita l’Anci, definisce i parametri qualitativi di naturastorica, architettonicae urbanistica per il decreto di cui sopra.

Obiettivi - politica di sviluppo per tutela e valorizzazione del patrimonio storico e Promuovere lo sviluppo e rimuovere gli e delle attività culturaliartistico e del paesaggio; squilibri economici e sociali- salvaguardia e tutela della presenza antropica (recupero centri storici enuclei abitati rurali);- garantire un complesso integrato e organico di interventi relativi a funzionie servizi urbani nonché il recupero degli edifici e degli immobili dismessi el’adeguamento degli standard di qualità abitativi e ambientali;- promuovere attuazione e gestione diretta degli interventi di recupero ancheattraverso l’intervento pubblico e privato;- utilizzare gli enti parco come filtro operativo per l’azione di incentivazione,promozione e gestione del patrimonio abitativo (2);- attuare le misure di incentivazione previste dalla legge 394/1991.

Finanziamenti Le regioni possono destinare parte delle somme loro attribuite per il recupero È istituito presso il Ministero dell’economia il Fondo nazionaledel patrimonio edilizio esistente (ai sensi della vigente normativa) alla per il recupero e la tutela dei centri storici e dei borghi antichiformazione e alla realizzazione dei programmi integrati. I fondi possono essere d’Italia. Almeno il 50% del fondo va ai comuni con popolazioneassegnati direttamente ai comuni che ne fanno richiesta e possono essere pari o inferiore a 15.000 abitanti, ed ripartita con decreto delutilizzati, nei limiti determinati dai rispettivi enti parco, anche per il MEF, di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei beni etrasferimento e la sistemazione temporanea delle famiglie negli immobili delle attività culturali (da emanare entro 6 mesi dall’entrata in interessati dagli interventi. vigore della legge). Il decreto stabilisce anche le modalità di

riparto della quota rivolta ai comuni con più di 15.000 abitanti,attribuendo priorità agli interventi degli enti locali disposti a cofinanziare nella misura prevista dal decreto.L’ammontare del fondo per il 2007-08-09 è pari a 25 milionidi euro annui.

Strumenti -Programmi di riqualificazione ambientale (art.18): recupero paesaggistico e Nei “borghi antichi d’Italia” si possono realizzare interventi ambientale, realizzazione complesso organico e integrato di interventi relativi integrati pubblici e privati finalizzati alla riqualificazionea funzioni e servizi urbani, recupero edifici e immobili dimessi, utilizzo di forme urbana. Tali interventi (approvati dai comuni in base alle leggie materiali appropriati al contesto ambientale. Sono attuati nei perimetri regionali vigenti) sono volti al: risanamento e recupero delurbani dei centri abitati per le tipologie egli agglomerati urbani considerati patrimonio edilizio da parte dei privati, realizzazione di opereincongruenti con il contesto ambientale. pubbliche, miglioramento degli arredi e dei servizi urbani e - Programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale consolidamento statico e antisismico degli edifici storici.(art.19): riprogettazione degli insediamenti, valorizzazione dell’identità storica,culturale e ambientale, anche attraverso un complesso integrato e organicodi interventi riguardanti l’adeguamento degli standard abitativi, ladeterminazione delle condizioni di efficienza e di fruibilità dei servizi, ilrecupero di edifici e immobili dimessi. Sono individuati nell’ambito deiperimetri dei centri storici e in caso di mancata adozione dei relativi strumentiurbanistici nei perimetri degli ambiti storici individuati dai comuni in sededi redazione dei programmi integrati d’intervento e nei perimetri dei nucleiabitati rurali.

Note1. Approvato con delibera della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (GU n.205, 4/9/2003).2. Ai comuni ed alle province il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco nazionale, e a quelli il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parconaturale regionale è, nell’ordine, attribuita priorità nella concessione di finanziamenti statali e regionali richiesti per la realizzazione, sul territorio compreso entro i confini del parco stesso, dei seguen-ti interventi: impianti ed opere previsti nel piano per il parco, tra cui: a) restauro dei centri storici ed edifici di particolare valore storico e culturale; b) recupero dei nuclei abitati rurali.

Quadro sinottico: confronto dei due provvedimenti su alcuni elementi ritenuti prioritari

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Le principali componenti dei processiin corso sono così riassumibili: abban-dono da parte della popolazione giova-ne, che si orienta verso condizioni abi-tative e standard edilizi attuali; scarsaaccessibilità con il mezzo privato, chenelle realtà minori non trova realisti-che alternative nei mezzi pubblici;costi di ristrutturazione edilizio-urba-nistica più alti del costo di costruzioneex novo, che disincentivano il riatta-mento del patrimonio esistente allenuove esigenze; marginalità economicache porta alla chiusura dei piccoli eser-cizi commerciali storici; scarsa proget-tualità degli enti locali, in ritardo nelprogrammare interventi rispetto allavelocità dei fenomeni di degrado.L’assessorato avvia così le riflessioni suquali modalità assumere. Una rapidaricognizioni sulle possibili disponibilitàdi bilancio nella programmazionetriennale fa emergere una disponibilitàcomplessiva di 21 M in un triennio,provvista economica di certo significa-tiva ma anche insufficiente a garantireinterventi adeguati in tutti i comunidella provincia. Né d’altra parte appareopportuno garantire interventi a piog-gia anche nei confronti di comuniinattivi o in condizioni di produrre unaadeguata progettualità. Emerge così laconvinzione della opportunità di assu-mere modalità programmatiche di tipoevoluto, attraverso un bando concor-renziale fra comuni in grado di perse-guire efficacia e operatività alla spesa.Data l’assenza di specifiche professio-nalità su tali aspetti l’assessorato,facendo leva su una convenzione-qua-dro firmata fra la Provincia e la società

Il bando Provis dellaProvincia di Roma Simone Ombuen*

Nel giugno del 2003 si tiene in provin-cia di Roma il voto per l’elezione delnuovo Presidente della Provincia e perla formazione del nuovo Consiglio pro-vinciale, elezioni che vedono la vittoriadel centrosinistra e la nomina aPresidente di Enrico Gasbarra, giàVicesindaco di Roma. Il nuovo assesso-re alle politiche del territorio, AmaliaColaceci, avvia in autunno un giro diincontri con gli amministratori dei 120comuni della provincia, per compren-dere la scala delle urgenze e delle prio-rità per i temi territoriali. Emerge inmodo chiarissimo come la principale epiù ampiamente condivisa richiesta daparte degli amministratori si concentrisugli interventi nei centri storici.I motivi di tale indicazione risalgono afattori che riguardano i comuni minoridella stragrande maggioranza dellerealtà territoriali italiane. Salvo i rela-tivamente pochi casi nei quali il cen-tro storico assume un valore storico-culturale così alto da attivare consi-stenti flussi turistici, la gran parte deicentri storici minori italiani versa oggiin condizioni non particolarmente feli-ci, ed in molti casi addirittura dram-matiche.

L’esperienza dei programmi divalorizzazione degli insediamentistorici (Provis) promossa dallaProvincia di Roma mostra lo scartotra vitalità amministrativatestimoniata dai comuni e capacitàdi veduta prospettica nelperseguimento delle azioni avviate

opere fisiche (vedi tabella sinottica), làdove per “servizi urbani” si può pre-supporre, dato il carattere dell’articola-to, che si tratti di attrezzature per l’e-rogazione di servizi piuttosto che diservizi veri e propri.La proposta di legge sui piccoli comuni(capo 3), a differenza del ddl, assumeesplicitamente come strumento d’inter-vento i programmi integrati di cuiall’art.16 della legge 179/1992 (vedi“strumenti” nel quadro sinottico).Sembra emergere un uso distorto deiprogrammi integrati (o interventi inte-grati) all’interno di entrambi gli artico-lati. “Distorto” perché “meccanico”: lostrumento non viene declinato rispettoai piccoli centri (se non formalmente) esoprattutto viene applicato a unadimensione troppo ristretta: comune, oaddirittura ambiti di centro storico ozone di pregio, circostanza che non dàil giusto respiro al concetto d’integra-zione che ben si applicherebbe invecea un contesto intercomunale e a unmix di interventi, anche di tipo imma-teriale, che gli articolati certamentenon propongono. Sembrerebbe quasiche ormai sia diventato un “obbligo”fare ricorso ai programmi integrati, nelruolo di deus ex machina; ma non èdetto che debba sempre essere così!

* Docente di Urbanistica, Università di Roma “LaSapienza”.

Note1. Cfr. Manuela Ricci, “Una legge che non andrà lon-tano”, in UI 193/2004.2. Dalla relazione del testo del 28 aprile 2006.

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tivi, ma anche con studi di fattibilità eprefattibilità i quali, più leggeri nellaformazione e più attenti alle condizio-ni finanziarie e gestionali, rendono lagestione progettuale più flessibile egarantiscono comunque l’iscrivibilitàall’interno della programmazionetriennale delle opere pubbliche; vieneprevista già in bando la possibilità dipoter usufruire di una assistenza tec-nica da parte della Provincia per laredazione delle proposte.L’ammontare complessivo degli importia disposizione viene infine ripartito suitre assi, e in tre annualità, con l’idea dipoter finanziare nelle annualità succes-sive le progettualità finanziate con laprima.

Gli esiti del bando

Il lancio del bando dei Provis (pro-grammi di valorizzazione degli inse-diamenti storici) avviene negli ultimigiorni dell’agosto 2004, con scadenza afine novembre. In realtà, proprio graziealla fase di audit iniziale, i comuniattendevano già l’iniziativa, e moltigruppi di progettazione sono già allavoro. Di tale fatto dà esaurientemen-te conto l’esito della fase di raccoltadelle domande di adesione. Alla datadel 19 novembre, data di scadenza ter-mini, risultano pervenute ben 176domande di ammissione a cofinanzia-mento di progetti, presentate da 101comuni su 120, e da una unione dicomuni. Una risposta assolutamenterilevante, sia per quantità di proposteche per l’amplissimo numero di comu-ni partecipanti, soprattutto rispetto adaltre programmazioni precedenti dilivello regionale.Al termine di un lungo lavoro di valu-tazione, reso più ampio dalla necessitàdi completare vari atti formali necessa-ri alla validità piena delle proposte(fatica delle amministrazioni), gli esitirisultano i seguenti.Asse 1) Recupero degli ambiti di inter-vento con particolare attenzione altema della vivibilità dei centri storiciper la popolazione residente, al fine di:riqualificare il sistema degli spazi pub-blici e del verde con particolare riguar-do all’accessibilità plurimodale e alsuperamento delle barriere architetto-niche; promuovere riqualificazione edi-

per i casi nei quali le azioni propostevedono la coerente compartecipazionesia finanziaria che operativa di altrisoggetti.Terzo elemento rilevante, assumendouna logica propria degli strumenti ope-rativi ed a elevata efficacia, si decidedi articolare il bando secondo assi,misure e sottomisure, e di premiare lacapacità delle amministrazioni comu-nali di interpretarlo con proposte tra-sversali, in grado di perseguire con-temporaneamente più obiettivi afferen-ti ad assi diversi, come nelle esperienzedella programmazione europea polifon-do.Altrettanto interessante la selezione dialcune metodiche e di alcuni obiettivispecifici: così si promuove il cablaggioinformatico dei centri storici per dif-fondervi la larga banda, vista comeelemento di ricostruzione di interessilocalizzativi potenzialmente compati-bili con le caratteristiche e le fragilitàdegli insediamenti storici; vengonoesplicitamente finanziate le diverseforme di progettualità necessarie alfine di sottrarre le amministrazioni alricatto del finanziamento (Si tratta delnoto dilemma della progettazione,molto simile al Comma 23 di unfamoso libro Robert Heller: l’ammini-strazione per ottenere un finanziamen-to deve presentare un progetto; ma laredazione del progetto viene finanziatasolo insieme al finanziamento dell’o-pera); i criteri di valutazione sulla basedei quali verrà compilata la graduato-ria dei comuni ammessi a finanzia-mento vengono esplicitati dichiarandocontestualmente anche il relativo ordi-ne di priorità; viene istituito un massi-male di finanziamento per singolocomune, come pure una quota percen-tuale di cofinanzimento dei costiespressi a scalare man mano che cre-sce la dimensione demografica delcomune, al fine di sostenere di più isoggetti amministrativi più deboli econ minori dotazioni tecniche proprie;viene stabilita una posta premiale per iprogetti basati su coordinamenti inter-comunali, anche in riferimento a corpiterritoriali complessi (strade del vino edell’olio, parchi intercomunali, ecc.);viene esplicitata l’opportunità dirispondere al bando non solo con tra-dizionali progetti preliminari o defini-

Risorse per Roma, la multiutility pro-gettuale costituita dal Comune diRoma, decide di assegnare ad essa, edalle sue trascorse esperienze di gestio-ne di programmi complessi, il compitodi redigere il bando relativo al pro-gramma.Francesco Rubeo, direttore di RpR, nelmomento in cui riceve il compito disvolgere l’incarico, decide di dotarsi diun piccolo gruppo di consulenti, parti-colarmente esperti nel campo dellagestione di programmi complessi, conil cui ausilio svolgere al meglio l’assol-vimento dell’incarico.Nella successiva fase di lavoro, instretta interazione fra assessorato egruppo di lavoro, vengono individuatialcuni criteri-obiettivo per la stesurabando.Un primo elemento è quello di orien-tarsi a favorire l’applicazione dellainnovativa definizione del territorioper gli insediamenti storici che la Lr38 del 1999 dà al suo art. 60. Come ènoto ai lettori più attenti diUrbanistica Informazioni la leggeurbanistica regionale del Lazio per unamolteplicità di motivi è per lo piùinapplicata, tanto che ancor oggi inuovi piani urbanistici presentati inregione sono redatti sostanzialmentesulla base delle norme previgenti allalegge. Tale aspetto assume particolaregravità proprio per lo svolgimento diazioni di tutela e valorizzazione delpatrimonio storico, poiché una delimi-tazione della città storica secondo icriteri previsti dal Dm 1444/1968,come pure il nuovo Prg di Roma haopportunamente messo in luce, nonsolo non esprime il livello di matura-zione raggiunto dalla consapevolezzadiffusa riguardo ai valori storico-antropici costituenti l’identità dei terri-tori, ma di fatto deprime le capacitàoperative necessarie al dispiegamentodi tutele attive, non solo vincolistiche.Un secondo principio è l’assunzione diuna prospettiva nella quale l’azioneprovinciale si integra in modo sussi-diario con le azioni in corso da partedegli altri soggetti istituzionali e nonistituzionali, anzitutto con la RegioneLazio e con i comuni, ma anche consoggetti privati. In tal senso, secondo ilprincipio di addizionalità, nel bandovengono introdotti elementi premiali

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tamento opportunistico, con richiestadi variante ad hoc per poter partecipa-re al Bando, comportamento addirittu-ra controproducente visto che è ilBando stesso a chiedere la coerenzarispetto al quadro pianificatorio inessere;- una concezione ancora arretrata dellacomponente storica degli insediamentiche, nonostante gli espliciti richiamiinseriti in bando, viene ancora fattasostanzialmente coincidere con le vec-chie zone A dei Prg per come definitedal Dm 1444/1968; ciò ha portato anon comprendere esattamente la porta-ta ed i possibili effetti sui territori ampiche i programmi finanziabili con ilBando possono innescare.Quanto alla comprensione della effetti-va praticabilità delle modalità partena-riali pubblico-private, esplicitamentepromosse dal Bando, è emersa una dif-fusa incapacità delle Amministrazionia motivare opportunamente alla lucedell’interesse pubblico le iniziativedestinate a coinvolgere i privati; ciò,oltre che mettere a repentaglio l’am-missibilità dei programmi proposti,segnala la necessità di avviare una dif-fusa opera di risemantizzazione dell’in-tervento in nome dell’interesse pubbli-co, che nel sistema dei comuni in pro-vincia di Roma risulta essere insospet-tabilmente e criticamente scarso.Quali indicazioni emergono quindicome insegnamento da questa espe-rienza? Quali le prospettive per ilsecondo bando atteso nel 2007? 1 - le modalità operative necessarie alpassaggio da vecchi modelli ammini-strativi ad una nuova capacità di inci-dere sulle trasformazioni, che necessitail concetto di governo del territorio,non è ancor oggi un patrimonio piena-mente presente nei comuni della pro-vincia, e le future programmazionidovranno assumere questo problemaper fissare nuovi obiettivi di apprendi-mento istituzionale per affermare unamaggiore e più ampiamente diffusa econdivisa pratica di programmazionemultilivello.2 – Troppo spesso il rapporto tra obiet-tivi di interesse pubblico e specificheopere tende a sbilanciarsi nella deter-minazione di circostanziali aspetti pro-gettuali della soluzione edilizia, per-dendo di vista la funzione-obiettivo

Un secondo elemento è lo scarso gradodi “mobilitazione istituzionale” segna-labile. Il numero di responsabili di pro-cedimento effettivamente attivi è risul-tato basso, mentre gran parte del lavo-ro è stato svolto tramite il coinvolgi-mento di tecnici esterni. In tali affidamenti si può intravedere,almeno in alcuni casi, il tentativo diammettere a finanziamento alcuneprogettazioni già svolte indipendente-mente, e scarsamente dotate dei requi-siti di coerenza e intersettorialitànecessari per soddisfare gli obiettivi delBando.Ciò mette anche in luce una ridottacapacità di partecipazione delle strut-ture interne dei comuni alla formazio-ne ed implementazione delle politicheterritoriali provinciali, di cui pure ilbando in oggetto rappresenta elementodi notevole importanza nel quadrodelle iniziative di legislatura, comepure segnalano i documenti di pro-grammazione strategica provinciale(Peg, Pod). Di tale scarsa capacità delresto la provincia ha poi potuto riscon-trare la permanenza nelle attività par-tecipative svolte con gli uffici deicomuni nel corso della redazione delpiano territoriale provinciale, ormaiprossimo all’adozione.Sul piano tecnico si è potuto riscontra-re poi un basso grado di competenzanell’uso della Lr 38/1999, che pureresta a legislazione vigente uno stru-mento fondamentale di riferimento perla produzione degli atti di governo delterritorio. In particolare le carenzeemerse riguardano due aspetti, piùdegli altri:- una scarsa dimestichezza con le pro-cedure di formazione e variazione deipiani urbanistici generali, ancorasostanzialmente percepiti come vincoloal fare, anziché indispensabili quadri dicoerenza che rendano le attività di tra-sformazione del territorio più argo-mentabili e complessivamente piùsostenibili, dando trasparenza alla for-mazione delle scelte e certezze in meri-to alle trasformazioni infrastrutturaliportanti per lo sviluppo e la riqualifi-cazione degli insediamenti; a causa ditale ritardo in molti casi il pianovigente, obsoleto e tecnicamente arre-trato, viene vissuto come ostacolo e ciòha portato in vari casi ad un compor-

lizia volta al miglioramento degli spazipubblici; consolidare o ricostituire larete di attività artigianali/piccolo pro-duttive e di servizi commerciali diprossimità a servizio dei residenti delcomune; ottenere una integrazioneprogettuale fra le precedenti finalità,con formazione di un più alto livellodi varietà delle funzioni offerte.Per tale asse vengono giudicati finan-ziabili 16 progetti, per un importocomplessivo di contributi provincialipari a 4,8 milioni di Euro e idonei altri8 progetti per un ulteriore 1,2 Meuro. Asse 2) Sviluppo di forme di partena-riato pubblico e privato per l’avvio diprogrammi complessi di recupero eriqualificazione degli ambiti di inter-vento. Per l’asse 2 viene giudicatofinanziabile un solo progetto per 0,5Meuro. Asse 3) Redazione della strumentazioneurbanistica e di settore e della proget-tazione preliminare degli interventi inessa ricompresi ricadenti negli ambitidi intervento. Per l’asse 3 vengono giu-dicati finanziabili 15 progetti per 1,0Meuro e idonei altri 16 progetti perulteriori 0,5 Meuro. Per i comuni patrimonio Unesco vienegiudicato finanziabile un progetto per0,7 Meuro.Complessivamente, 33 progetti ammes-si a finanziamento per complessivi 7,0Meuro e altri 24 progetti dichiaratiidonei per ulteriori 1,7 Meuro. Vienecosì ammesso a finanziamento il18,7% dei progetti presentati, mentreun ulteriore 13,6% viene dichiaratoidoneo.

Le criticità emerse

Dalla valutazione delle risposte emer-gono vari elementi. Anzitutto si segna-la la scarsa capacità di coordinamentodelle proposte a livello intercomunale,con una sola proposta. Ciò avvienepersino in quegli ambiti (valle delTevere nord, Tolfa-Braccianese, areatiburtina, Castelli Romani) nei qualialtre attività di programmazione nego-ziata e di sviluppo concertato svilup-pate nell’ambito del Por mettono a dis-posizione delle Amministrazioni comu-nali ampie platee di partenariato siaintercomunale che pubblico-privato giàformate.

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diamento. Accanto al fattore meramentedimensionale, anche se spesso in rela-zione con esso, si possono poi operarevalutazioni anche di carattere socio-eco-nomico, così da definire “minore” unpiccolo centro che attraversa la fasediscendente della propria parabola evo-lutiva e storica; il venir meno dellemotivazioni di carattere logistico (maanche politico, ecc…) che originariamen-te avevano assegnato al centro un preci-so ruolo nel proprio contesto territoriale,giustificandone la nascita e lo sviluppo,è in genere la causa strutturale chemette in crisi molti piccoli centri,costretti ad inventarsi, o a tentare difarlo, un nuovo ruolo. Non a caso l’ag-gettivo “storico” spesso è stato fin quiomesso in quanto, almeno nel nostroPaese, si riscontra, nella maggior partedei casi, una sostanziale biunivocità trai concetti di “centro storico minore” e di“centro minore”, proprio per l’inferioregrado di dinamicità che ha caratterizza-to i nuclei insediativi di più ridottedimensioni, portandoli spesso ad unlento, apparentemente inesorabile pro-cesso di abbandono. È evidente cheoccuparsi di questo tipo di “centro stori-co” implica la comprensione di proble-mi assolutamente specifici e diversi daquelli che si possono riscontrare nelcentro storico di una città media ogrande, dove si tratta di gestire, con ilnecessario equilibrio, il rapporto con lesuccessive stratificazioni urbane.

Rivitalizzazione: un processoconsapevole o virtuale?

È dunque opportuno e necessario che,alla specificità del soggetto, possa cor-

Una strategia per i piccoli centriFilippo Lucchese*

All’interno del vasto e complesso temadei “centri storici”, il soggetto “centristorici minori” rappresenta una partico-lare categoria che, prima ancora di esse-re contestualizzata, merita alcune consi-derazioni preliminari. Non si tratta dicedere alla tradizionale tendenza allaclassificazione che caratterizza la disci-plina urbanistica, né di definire e sele-zionare un particolare ambito di studioper finalità contingenti o puramenteaccademiche; al contrario, il tema inesame assume connotazioni diverse e,in parte, addirittura opposte in relazionealla dimensione a cui si fa riferimento.In realtà, parlare semplicemente di“dimensione” per definire la categoria“centri storici minori” non consente dichiarire in modo univoco i limiti entrocui ci si vuole collocare. Se, infatti, ci siriferisce ad una dimensione fisica, ilcentro minore coincide con il “piccolocentro”, una caratterizzazione non asso-luta, ma relativa al contesto territorialein cui esso è inserito. Se ci si riferiscealla dimensione demografica, può valerela stessa considerazione, tenendo tutta-via presente che talora l’evoluzione sto-rica può produrre effetti, in ambitodemografico, non necessariamente coin-cidenti con lo sviluppo fisico dell’inse-

I piccoli centri rappresentano, nelnostro Paese, un notevole patrimoniostorico, culturale ed economico. Solouna nuova e diffusa consapevolezzadi ciò può far sperare in un processodi riscoperta e valorizzazione reale enon virtuale

che è alla base della motivazione. Ciò ètanto più rilevante quando ai dirigenticomunali è chiesto di giudicare i con-tenuti di interesse pubblico all’internodelle proposte presentate da soggettiprivati. 3 - il volontarismo di comuni e pro-vince può solo in modesta misura sup-plire all'azione di rinnovamento dellacultura amministrativa e delle prassioperative ed in particolare di quelle diprogrammazione che è compito specifi-co della regione svolgere. Da questopunto di vista il discreto successo deiProvis non costituisce tanto fattore diconforto, ma stimola una riflessionepiù ampia sul rilevante ritardo che laRegione Lazio, sotto la guida di giuntedi ogni colore politico, continua adaccumulare a fronte di rilevanti e cre-scenti necessità espresse dal territoriolaziale.

*Ricercatore in urbanistica, Università Roma Tre, con-sulente di RpR per la scrittura del bando Provis e perl'assistenza ai comuni.

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scelta di questo tipo possa definirsi“strategica”, la decisione e la convinzio-ne con cui la si assume devono esseretali da garantire il perseguimento dell’o-biettivo senza se e senza ma, superandoogni scorciatoia che, lasciando intrave-dere utili immediati, veri o presunti,comporti, nel tempo, una deviazionerispetto al percorso prescelto.In questo caso la scelta deve esserechiara ed esplicita a maggior ragioneperché, in generale, dovrebbe portarenon ad assecondare, ma a modificarequello che finora è sembrato un destinoineluttabile per una vasta porzione delterritorio del nostro Paese; si comprendecosì ancora meglio l’importanza didotarsi di una legge quadro che ricono-sca ed identifichi il problema a livellonazionale. Solo a quel punto si potranno affronta-re con la giusta consapevolezza i tantinodi che il territorio propone di volta involta, con Regioni ed Enti Locali incari-cati di tradurre la strategia in provvedi-menti di carattere strutturale (chiara aquesto punto la differenza) ed operati-vo, adeguando gli strumenti disponibiliagli specifici obiettivi ed ai tempi.Riqualificare i centri minori non signifi-cherà così più semplicemente riproporresoluzioni analoghe ad uno o più model-li “di successo”; troppe volte, infatti, sisono predisposte e si continuano a pre-disporre politiche di rilancio fondate surisorse solo virtuali, non tenendo inalcuna considerazione le soglie al di làdelle quali anche le misure più brillantifiniscono col risultare inefficaci edimproduttive.Inoltre è importante sottolineare che, ingenere, i piccoli centri sono nati e sisono evoluti sviluppando relazioni reci-proche di carattere politico, sociale edeconomico, dando vita così a sistemiterritoriali fondati sul principio di com-plementarietà. L’esigenza di stabilirerapporti di cooperazione tra i soggettiterritoriale più deboli si pone, dunque,spesso in continuità con percorsi storiciriconoscibili; d’altro canto, l’evoluzioneeconomica e tecnologica ha ormaisostanzialmente annullato i tradizionalilimiti territoriali, imponendo costantirapporti di tipo competitivo ad ampioraggio. È dunque indispensabile saperimpostare relazioni territoriali equilibra-te: da un lato, infatti, la cooperazione

- promozione delle peculiarità del terri-torio;- affermazione del concetto di rete,necessario trattandosi di soggetti terri-toriali caratterizzati potenzialmente daun ridotto grado di autonomia;- esigenza del mantenimento e delpotenziamento di un livello di servizi(commercio, sanità, scuola, forze del-l’ordine, ecc…) tale da rendere non solopossibile, ma anche favorevole vivere inquesti piccoli centri e godere dei van-taggi che essi garantiscono sotto moltipunti di vista (ambientale, sociale, cul-turale, ecc…).Si aggiunga l’esigenza di promuovere lariscoperta del senso di appartenenza alproprio territorio d’origine, facendo adesempio risultare i figli, anche se parto-riti nei vicini centri medio-grandi, comenati nel piccolo comune di residenza deigenitori.Queste misure erano in gran parte con-tenute proprio all’interno del disegno dilegge nazionale sui piccoli comuni,ripresentato, come detto, parzialmentemodificato in Parlamento anche nellanuova legislatura; tuttavia, le esperienzepassate e la consolidata e cronica ten-denza del mondo politico nazionale asottovalutare le problematiche del terri-torio ed a rinviare l’adozione dellemisure necessarie a fornire adeguaterisposte strutturali non lasciano moltospazio all’ottimismo.Eppure la tempestività delle scelte edegli interventi rappresenta un fattoredeterminante per poter dare ai centristorici minori delle prospettive credibilidi sopravvivenza e rilancio; il processodi abbandono e degrado finisce, infatti,per generare un’inevitabile e progressivaperdita proprio di quei valori che rap-presentano una parte consistente dellerisorse a loro disposizione. Nel tempo sipotrebbe così arrivare paradossalmente,ma realisticamente, a mettere in discus-sione la stessa legittimità del problemadella loro conservazione.Si tratta di decidere il destino di unconsistente patrimonio fisico, culturale,sociale; perciò, se c’è un ambito nelquale si richiede oggi un forte e convin-to intervento di natura “strategica”,questo è proprio rappresentato dai cen-tri storici minori. Data l’ambiguità chespesso si riscontra nell’uso (o abuso) deltermine, giova precisare che, perché una

rispondere un’adeguata e diffusa con-sapevolezza da parte di quanti, nelcampo della pianificazione, sono chia-mati ad operare su di esso; il riferi-mento, più che al livello tecnico, èsoprattutto al livello politico delledecisioni, cui spetta il compito di defi-nire e gestire le priorità.In questo senso grandi speranze edaspettative aveva generato la propostadi legge sui piccoli Comuni (meno di5.000 abitanti) denominata “Realacci-Bocchino”.L’aspetto più significativo della propostaera ed è rappresentato proprio dal fattodi essere un provvedimento di caratterenazionale; alcune Regioni ed alcuni EntiLocali, infatti, si sono da tempo dotatidi misure volte a gestire il problema deipiccoli centri, anche se in modo nonsistematico e talora inadeguato. Ciò chemanca è una più forte e generale presadi coscienza, un indirizzo più struttura-to, che sappia affermare ed imporrel’assoluta importanza, la peculiarità el’urgenza di un tema che coinvolgecirca il 70% degli 8.100 comuni italiani,per un totale di circa 10 milioni di per-sone.Gli argomenti per giustificare l’attenzio-ne nei confronti del problema nonmancano certo; se anche considerazionidi carattere culturale (conservazione deivalori diffusi) e sociale non riuscissero asuscitare la necessaria sensibilità, baste-rebbe ricordare, in ambito economico edambientale, le conseguenze che l’abban-dono progressivo del territorio ha com-portato e comporterà in tema di dissestoidrogeologico.In questo senso, in realtà, non sembraipotizzabile, allo stato attuale, chel’Italia sappia andare oltre la “tradizio-nale” politica della gestione delle emer-genze e non della loro prevenzione; unpunto di riferimento legislativo nazio-nale sarebbe stato e sarebbe sicuramen-te un segnale forte di cambiamento.Nel merito, le possibili misure in gradodi fornire risposte adeguate ai punti cri-tici più significativi possono essere cosìriassunte:- incentivi fiscali ed economici per chirisiede nei piccoli comuni e per chiintende trasferirvi la propria residenza;- riconoscimento della specificità delleesigenze di quanti vivono e lavorano incomuni di piccola dimensione;

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Nel contesto della Regione Campania laprovincia di Avellino conta 437.414abitanti su una popolazione complessi-va di 5.790.929 abitanti (2005). Questosignifica che l’intera popolazione dellaprovincia è pari a meno della metàdella popolazione della sola città diNapoli e ad un decimo di quella presen-te nella conurbazione metropolitanacostiera.La provincia si connota per una struttu-ra urbana caratterizzata da una rete dipiccoli centri. Su 119 comuni solo 2superano i 20.000 abitanti, 5 sono com-presi tra i 10.000 e i 12.500, mentre nelcomplesso solo 19 comuni superano i5.000 abitanti. 53 comuni, inoltre,hanno una popolazione inferiore a2.000 abitanti e 18 inferiore a 1.000. Idue comuni con popolazione superiorea 20.000 abitanti (Avellino e ArianoIrpino) rappresentano, nella strutturadel territorio, i due centri polarizzanti,mentre per pochi altri si può parlare diun ruolo sovralocale.Per quanto concerne le dinamiche evo-lutive della popolazione si evidenziacome i comuni più prossimi al capoluo-go di provincia abbiano un andamentopositivo nel trend di crescita; ciò èdovuto al ruolo predominante diAvellino nel contesto provinciale maanche alla relativa vicinanza dello stes-so a Napoli (circa 40 chilometri) e allalenta formazione di un secondo asse disviluppo in direzione di Salerno, favori-to anche dall’insediamentodell’Università a Fisciano, quasi a metàstrada tra i due capoluoghi.La lettura fatta sulla struttura dei centriè confermata dall’analisi messa a punto

Diversità e prossimità:la provincia di AvellinoGiuseppe Mazzeo*

La struttura del sistema urbano campa-no è altamente polarizzata lungo lacosta tirrenica, avendo subito negliultimi cinquant’anni fenomeni di urba-nizzazione che hanno formato un con-tinuum quasi ininterrotto da nord asud. Tale fenomeno, che è particolar-mente evidente intorno ai due poli diNapoli e Salerno, ha inciso sulle areeinterne della regione riducendole permolto tempo a semplice bacino di emi-grazione.Il terremoto del 1980 può essere consi-derato il momento della svolta; i feno-meni economici che le aree internehanno messo in moto a partire da quel-la data si basano sulla sempre maggioreconsapevolezza delle potenzialità insitein questi territori. C’è poi da aggiungereche la scarsa densità abitativa e la dif-fusa naturalità del territorio hannofavorito la persistenza di un ordinesociale che molte zone della costa sem-brano smarrire in maniera sempre piùrilevante; è evidente, però, che talipunti di forza possono rapidamente tra-sformarsi in punti di debolezza nel pro-cesso di sviluppo delle aree interne, lad-dove le difese nei confronti di fenomenidegenerativi provenienti dall’esterno sidimostrino deboli.

I territori interni della Campania,aree a bassa densità insediativa,hanno in atto processi didifferenziazione e traiettorie disviluppo autonome. Di seguito sipresentano alcune considerazionirelative alla provincia di Avellino

ad una determinata scala territoriale sipone l’obiettivo di garantire una mag-giore competitività alle scale superiori;dall’altro, senza un certo grado di com-petizione interna, è alto il rischio di unprogressivo ed improduttivo appiatti-mento.Tenendo conto di questi fattori, ognisoluzione può risultare funzionale all’o-biettivo, purché derivi da una strategiachiara e consapevole; ad esempio, dauna prospettiva turistica si può spessoindurre una rivitalizzazione più profon-da dei tessuti sociale ed economico, cosìcome non si può escludere, in qualchecaso, persino un processo consapevole econtrollato di “ruderizzazione” del cen-tro, inteso come un’azione di conserva-zione attiva di un bene architettonico divalore storico ormai svuotato della pro-pria funzione originaria.Lo stesso tema del potenziamento infra-strutturale potrebbe trovare finalmenteun adeguato e diffuso livello di appro-fondimento, dato, ad esempio, che nonè affatto detto che una migliore accessi-bilità verso centri medi e grandi garan-tisca di per sé migliori prospettive a ter-ritori in crisi; talora, al contrario, si puòprovocare una definitiva perdita diidentità presso interi subsistemi territo-riali che, per tempi di raggiungimento equalità, si ridurrebbero al ruolo di sem-plice periferia (ovviamente nel sensomeno edificante del termine).Se l’auspicato salto di qualità non cisarà, si rischia seriamente di assistere adun governo delle aree in difficoltà e deipiccoli centri che le caratterizzano sem-pre più basato (solo?) sugli slogan,tanto che già oggi si ha la sensazioneche concetti come “specializzazione”,“diversificazione”, “identità locale” fini-scano troppo spesso per non essere altroche abusati sinonimi di “omologazione”.

* Dottorando presso la Facoltà di Ingegneriadell’Università de L’Aquila.

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nel 2004 erano censite 75 unità alber-ghiere con 3.946 posti letto e 243.439presenze; rispetto al dato regionale(1.509 alberghi, 98.222 posti letto e14.432.816 presenze) questi numerisono quasi insignificanti. Inoltre, lepoche strutture alberghiere sono sotto-utilizzate: infatti mettendo in relazionele giornate di presenza con i posti lettosi ha un valore di 0,2 per la provinciadi Avellino contro lo 0,4 dellaCampania.

Le problematiche insolute dellapianificazione di area vasta

A partire dalle specificità presenti nelterritorio provinciale, il Piano territo-riale regionale campano classifica lagran parte del territorio provincialecome area debole a naturalità diffusa ocome area valliva irrigua con tendenzaa specializzazione produttiva. Le traiet-torie di sviluppo ipotizzate per il terri-torio irpino si basano sul suo elevatolivello di naturalità residua e portano aprefigurare aree di connessione dellereti a naturalità protetta e aree in cuila vocazione agricola sia favoritaanche da un uso più razionale di tecni-che ecocompatibili. Entrambe le lineedi intervento si connettono alla pre-senza di parchi regionali a sud e adovest della provincia.Diversa è la posizione assunta dallaProvincia con il preliminare di Ptcp.Una pianificazione attenta alle vocazio-ni specifiche del territorio è capace dicreare sviluppo e di rinforzare la strut-tura socio-economica di riferimento:sulla base di questo presupposto laProvincia ha individuato una serie diidee-forza, da approfondire in fase diredazione del piano, che vanno dallasalvaguardia attiva alla valorizzazionedelle risorse, dalla qualità diffusa allapromozione del turismo, dallo sviluppoequilibrato del territorio allo sviluppocompatibile delle attività produttive,alla accessibilità diffusa. Da questeidee-forza dovrà discendere un nuovoruolo per la provincia di Avellino e peri suoi centri, un ruolo di cerniera traovest ed est e tra nord e sud, in unaposizione particolarmente delicata delterritorio meridionale.Gli strumenti di pianificazione territo-riale sopra menzionati, pur nella loro

Nonostante la forza del settore indu-striale l’immagine economicadell’Irpinia è legata al settore agricolo ealle sue produzioni di qualità (vini,nocciole e castagne) che hanno rag-giunto notevoli livelli di riconoscibilitàsia per quanto riguarda i prodotti finiti(vini) che per i prodotti di base utilizza-ti nelle industrie di trasformazione.Altre produzioni sono presenti sul terri-torio ma non hanno il rilievo di quelleelencate sopra.Tutte le produzioni agricole, comunque,non sembrano creare filiere occupazio-nali degne di nota, rimanendo legate astrutture imprenditoriali a conduzionefamiliare; sul totale delle imprese pre-senti in provincia (38.677 al 2005) ben13.459 (34,8% contro il 17,5 dell’interaregione) sono impegnate in agricoltura.A fronte del rilevante numero di impre-se, il numero di occupati in agricolturarappresenta solo il 6,3% del totale (con-tro un 4,7 dell’intera regione), a riscon-tro del fatto che, benché di forte inte-resse, l’agricoltura irpina non dà ancoraun sostanziale contributo alla crescitaeconomica della provincia.Agricoltura di qualità vuol dire anchesviluppo della ristorazione di qualità,basata sui prodotti del territorio.Iniziative come “Mesali.org” e “Stradedei vini e dei sapori d’Irpinia” o lasegnalazione di strutture ristorativenelle principali guide nazionali costitui-scono un fenomeno che va analizzato eseguito con attenzione in quanto evi-denzia la crescita di un tipo di turismo- legato alla qualità dei prodotti eall’offerta di ristorazione – che muoveuna fetta di domanda in crescita, ali-mentata anche dalla prossimità con learee urbane costiere.Una più forte tutela del territorio è labase per lo sviluppo di una agricolturadi qualità ma è anche la base per unmaggiore sviluppo del settore turistico;nella realtà mancano sia reali sistemi diofferta nel settore turistico che forti“motivazioni territoriali” (poli turistici)che possano crearle; la mancanza diuna programmazione del sistema turi-stico è sottolineata sia dalla scarsa uti-lizzazione delle strutture esistenti chedalla scarsa incidenza del settore sulterreno occupazionale e sulla produzio-ne dei redditi.Secondo i dati dell’Istituto Tagliacarne

in fase di formazione del PianoTerritoriale di Coordinamento provin-ciale. Realizzata sulla base di un set didiciassette indicatori relativi al settoredei servizi, essa ha individuato quattrolivelli gerarchici: al primo livello c’è ilcapoluogo Avellino, al secondo ArianoIrpino, al terzo livello dodici comunidistribuiti sul territorio provinciale; tuttigli altri si pongono al quarto livello.Proprio la terza fascia rappresenta uninteressante campo di analisi in quantoi centri che ne fanno parte presentanouna serie di interessanti “mutazioni”nella struttura tradizionale e nel ruoloricoperto; tra i casi più interessanti èquello di Lioni, la cui trasformazionediscende non tanto da un incrementodel numero di abitanti o dall’insedia-mento di particolari servizi ed attrezza-ture pubbliche, quanto dalla rapidaevoluzione del sistema commercialelocale che si sta indirizzando versoforme organizzative tipicamente urbane(centro commerciale, supermercati, mul-tisala, punti di vendita in franchising,…) e che stanno provocando un impattonegativo sulla struttura commercialepreesistente, con ricadute anche neicomuni limitrofi. Un ruolo più consoli-dato è quello che mantiene il centrourbano di Solofra, polo industriale conuna radicata tradizione nella conciadelle pelli; esso però deve fare i conticon processi economici più ampi, percui la struttura produttiva locale si vedecostretta alla competizione, spessodurissima, con le economie dell’Europaorientale e dell’Asia.Il sistema produttivo irpino è incentra-to, in particolare, sul settore dei servizi(pubblici nello specifico) e su una rile-vante dotazione di imprese nel settoreindustriale; le attività produttive (pelli,autoveicoli, componenti per autoveicoli,alimentari) dopo un periodo di crisisono in fase di rilancio. Il peso del set-tore industriale nell’economia della pro-vincia è evidenziato dal fatto che oltreil 30% degli occupati è da assegnare aquesto settore, contro un 24% dellaCampania (Istituto Tagliacarne, 2006).Ciò rappresenta un elemento rilevantenell’analisi economica del territorio, inquanto evidenzia come la produzione diricchezza derivi da una fondamentalecomponente industriale che è necessariocontinuare a coltivare.

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bra subire eccessive variazioni, sonoconsistenti i flussi di spostamento daicentri più periferici verso il capoluogo ei centri di corona posti nella parte occi-dentale della provincia, con effetti pola-rizzanti anche nel sistema locale.La terza discende dalla prossimitàdell’Irpinia con l’area metropolitana diNapoli e con l’area urbana di Salerno.Se ciò ne favorisce gli scambi e ne raf-forza la struttura urbana, non sono dasottovalutare le negatività che sembra-no riversarsi sul tessuto sociale ed eco-nomico della provincia. Date le dimen-sioni dei sistemi esterni, la provincia diAvellino è da ritenersi particolarmenteesposta alla diffusione di fenomeni tipi-camente metropolitani e, anche se iltessuto socio-economico della provinciasembra tenere, la stasi e l’invecchia-mento progressivo della popolazionerappresentano a lungo termine fattori dicrisi potenziale, soprattutto perché

favoriscono la diffusione di modellimetropolitani negativi e l’omologazionea stili di vita nei confronti dei quali ipiccoli centri sono inermi.La quarta ed ultima deriva dal fatto chele zone interne tendono autonomamen-te ad assumere connotazioni e traietto-rie di sviluppo via via più diversificaterispetto al sistema costiero. La provinciadi Avellino è al centro di un asse cheda nord a sud collega il casertano inter-no con il salernitano interno, conagganci verso est nell’alta Lucania, ilMolise e la Puglia; ne deriva che i pro-cessi di connessione tra queste areepossono tendere a favorire, in un futuroanche non lontano, il rafforzamento direlazioni sempre più indipendenti daitradizionali legami amministrativi conle aree costiere.

* Ricercatore – Consiglio Nazionale delle Ricerche c/oDIPIST - Università degli Studi di Napoli Federico II.

significatività, hanno la necessità diapprofondire analiticamente almenoquattro problematiche di fondamentaleimportanza per il futuro di questa partedel territorio compano. La prima è rela-tiva al ruolo che gli strumenti di piano(in specie il Ptr) assegnano alla provin-cia. Un ruolo secondario rispetto aquello preponderante assegnato allafascia costiera e al sistema Napoli –Caserta, in cui manca il riconoscimentodi una qualche centralità della reteinfrastrutturale, oltre che del sistemaproduttivo locale; manca, inoltre, unprogetto di sviluppo valido (cosa bendiversa da un elenco di interventi)basato sulle risorse del territorio, sull’u-tilizzazione delle energie rinnovabili,sul razionale utilizzo delle fonti idriche.In secondo luogo la struttura dellapopolazione dei centri della provinciadi Avellino è caratterizzata da una per-sistente debolezza: se il totale non sem-

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Oggi l’attenzione sembra rivolgersi aicentri storici minori più per alcuniaspetti, anche diametralmente oppostirispetto al grido di allarme degli anni’70 e ‘80, come: il riconoscimento del-l’irrecuperabilità di alcune realtà ormaicompletamente abbandonate, da unaparte, e le strategie di valorizzazione edi marketing territoriale (anche moltoarticolate e complesse), dall’altra.

Differenti situazioni dei centri storiciminori nel centro Italia

Per cogliere più profondamente ladiversità delle situazioni, può essereutile percorrere uno spaccato territoria-le del centro Italia, la Provincia diRieti1; Provincia interessante perchésempre considerata marginale e nontravolta dalle grandi trasformazionisocio-economiche sviluppatesi in moltearee dagli anni ’80 in poi. È anche unaProvincia che, in quanto poco nota, ingenere viene considerata come ununico blocco, un’area abbastanza omo-genea.La Provincia di Rieti può essere artico-lata invece in ambiti molto differenti(la Sabina, il Montepiano reatino con ilcomplesso retrostante dei MontiReatini, la Valle del Velino,l’Amatriciano, le due valli del Salto edel Turano) cui corrispondono dinami-che socio-economico e territorialidiverse e diverse situazioni dei centristorici minori, a loro volta articolateanche all’interno di queste stesse aree2.Nell’Amatriciano, ad esempio, accantoal centro principale di Amatrice, cheha una sua vitalità ed è caratterizzatoda forme di valorizzazione, esiste una

Dinamiche socio-economiche territoriali nel reatinoCarlo Cellamare*

indubbiamente ai primi posti, riorien-tando spesso massicciamente le politi-che turistiche e dello sviluppo dellearee una volta considerate “marginali einterne”. Se questa prospettiva, inmolte aree del Nord Italia, si è tradottain una attentissima organizzazione diattività e servizi adeguati (compresi icampi avventura, le aree gioco per ibambini in alta montagna, ecc.; pen-siamo al Trentino e all’Alto Adige) conuna perizia ed una qualità ormai forseirraggiungibili, ma anche falsificantein maniera crescente i contesti naturalie storici; in alcune aree del Centro-Sudappenninico e della Sardegna, decisa-mente meno attrezzate, ha comunquedato origine (anche se in misura quan-titativamente molto minore) a flussi dipersone con interessi simili, ma piùorientati alla wilderness (permessa dalprogressivo abbandono dei centriminori e delle aree di montagna), alladimensione familiare dell’ospitalità,alla veracità dei contesti umani e deiprodotti enogastronomici. Emergono quindi atteggiamenti ambi-valenti: la valorizzazione dei centristorici può avere la doppia faccia dellasalvaguardia e del marketing territoria-le; la tutela dei centri storici può inse-rirsi in una politica dei parchi naturalio in una prospettiva di grande “parcogiochi”; ecc.. Lo stesso “sviluppo loca-le” è diventato una parola d’ordine,quasi uno slogan, e le politiche pubbli-che sviluppate in queste aree non pos-sono non far riferimento a questo con-cetto e a questa prospettiva, al di là diqualsiasi chiarezza di interpretazione efondatezza di contenuti.

Il reatino è un contesto di “centriminori” che presentano variesfaccettature che consentono dicogliere differenti percorsi evolutivie differenti stadi di maturazione econsapevolezza dei medesimi

Se anche per le realtà minori e nonsolo per i grandi nuclei urbani, il temadei centri storici ha avuto una recente,seppur non particolarmente intensa,fiammata di rinnovata attenzione, nonsi può dire che questa sia avvenutariaccendendo allo stesso modo passionie tensioni culturali che hanno caratte-rizzato il tema in altre fasi storiche. Diverso è il contesto socio-culturalecosì come diverse sono le situazionieconomiche e territoriali, se teniamoconto delle dinamiche della globalizza-zione, ma anche di altre tendenze –spesso molto diverse tra loro – comequelle della diffusione del turismo, del-l’affermarsi dell’attenzione ai centristorici minori negli itinerari di italianie stranieri, dell’emergere con forza deitemi dello sviluppo locale, della valo-rizzazione dei centri storici in una pro-spettiva di marketing territoriale. E,ancora, bisogna considerare una parti-colare attenzione emergente ai temidella qualità della vita, della lentezza,della ricerca di una dimensione di vitaa misura d’uomo, fino a questionicome lo slow food e la qualità e speci-ficità dei prodotti agro-alimentari.Tutti aspetti, questi ultimi, in cuil’Italia (e, in particolare, la parte cen-tro-settentrionale dell’Italia centrale) è

Che fine hanno fatto i centri storici?

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Urbanistica INFORMAZIONI

opportunità sono state sfruttate (purnei limiti delle capacità organizzativedi amministrazioni pubbliche spessotroppo piccole per sostenere iniziativeche sono di fatto molto onerose, anchein termini gestionali). È il caso dellaSabina, dove sono stati sviluppati pro-getti legati al programma Leader (pen-siamo a tutto l’impegno nel campodell’olio, della sua promozione, dellaStrada dell’Olio), ma anche iniziative dicoordinamento istituzionale ed ammi-nistrativo (Unioni di Comuni, Museodell’Agro Foronovano), tutte iniziativedi piccola portata e con molte difficol-tà a sopravvivere e a svilupparsi, masicuramente significative all’interno diun tessuto provinciale complessiva-mente debole. Dove non esiste questacapacità dirigente e imprenditoriale,alcune opportunità non sono state atti-vate o, se presenti, non sono state pie-namente utilizzate. Pensiamo alla pre-senza di aree protette, come i parchi osemplicemente le riserve, che spesso –in territori molto deboli e marginali –costituiscono l’unica opportunità perconvogliare finanziamenti, progetti ediniziative. In molti casi (come, adesempio, per la Riserva dei MontiCervia e Navegna) rimangono comple-tamente paralizzate da miopie politichee questioni di basso profilo. In pocheparole, queste opportunità non sonostate in grado di attivare capacità diiniziative e imprenditoriali, né laProvincia (se non marginalmente) èstata in grado di coordinare e sostenerele realtà più deboli, pur essendo questoun suo ruolo potenzialmente fonda-mentale e di grande importanza.D’altronde, dove le iniziative sonostate attivate, hanno assunto percorsidiversi, anche qui in relazione allecapacità dirigenti e imprenditoriali ealle culture esistenti. Ovvero possonoessere state sfruttate per realizzare pro-getti che hanno avuto vita breve (perlo più indirizzati alla modernizzazione)o aver creato una prospettiva di piùampio respiro, seppur debole.Sicuramente del primo tipo è il casodel Patto territoriale che non ha maicostituito un motore di sviluppo locale.Diversamente, all’interno del contestoreatino, il Consorzio Asi ha saputosfruttare le proprie potenzialità e capa-cità di iniziativa.

Qui le iniziative sono deboli, non pos-sono contare neanche sulla stessarisorsa umana, e tanto meno su unparticolare tessuto produttivo o su unacapacità imprenditoriale. Un po’ diver-sa è la situazione, in questo contesto,di alcuni paesi del Salto – Cicolano chesi sono dimostrati più dinamici, por-tando avanti alcune iniziative di valo-rizzazione e di promozione anche seancora molto deboli. E qui nuovamenteritroviamo alcuni borghi completamen-te ristrutturati, praticamente integri dalpunto di vista architettonico e in posi-zione dominante sul lago (RoccaVittiana, ecc.), frutto dell’iniziativa dichi ritorna in questi luoghi.Completamente diversa è la realtà dellaSabina, un contesto estremamentedinamico, con un forte sviluppo inse-diativo (diversamente caratterizzatoterritorialmente) condizionato anchedalla vicinanza di Roma. Anche all’in-terno della Sabina abbiamo situazionidiverse: aree investite da una fortedinamica di sviluppo, anche insediati-vo e infrastrutturale (spesso anche inaree lontane dai centri storici, a carat-tere diffuso o a carattere annucleato inveri e propri nuovi paesi); aree caratte-rizzate (e ricercate) per la qualità del-l’insediamento dove la riqualificazionedel centro storico ha un significatoreale e profondo (anche simbolico), e siintegra alle complessive politiche disviluppo locale (anche legate al temadell’olio); aree più marginali e lontanedalle principali infrastrutture, dove icentri storici soffrono dinamiche diabbandono e gli insediamenti si trasfe-riscono “a valle” o lungo le vie dicomunicazione.

La capacità progettuale e diiniziativa

In questi contesti alcuni strumenti ope-rativi e di programmazione (come ilPatto territoriale o i Gal) non hannoavuto la capacità di risolvere, di per sé,i problemi o di introdurre radicaliinversioni di tendenza3. Tali strumentied opportunità hanno, di fatto, asse-condato le dinamiche e le capacità diiniziativa esistenti. Vale a dire che,dove esiste già una capacità dirigente eimprenditoriale, sia delle amministra-zioni pubbliche che dei privati, queste

rete di borghi minori caratteristici diquel sistema insediativo e connotatistoricamente. Tali borghi, spesso dipiccole dimensioni, pur soggetti afenomeni di abbandono di popolazioneresidente stabile, sono caratterizzati daintensi fenomeni di recupero e riquali-ficazione soprattutto con obiettivi dicarattere turistico, destinati sia ai vec-chi abitanti o – sempre più – ai lorofigli che ritornano nei week-end e neiperiodi di vacanza (fenomeno partico-larmente intenso in più o meno tutta laprovincia reatina), sia a flussi turisticidi origine più lontana. Tale fenomenoha portato alla ristrutturazione di interiborghi, presi nel loro complesso; ed èanche un fenomeno strettamente con-nesso alla grande distanza dai princi-pali centri urbani e alla istituzione delconfinante Parco Nazionale Gran Sassoe Monti della Laga. Prospettiva che èstata interpretata in maniera positivadagli amministratori locali anche a finidi una produzione di qualità (Poloagro-alimentare del parco) e cheapprofitta di una complessiva qualitàdei servizi e del sistema insediativo;anche se non assume i caratteri di unaforte imprenditorialità e di una parti-colare dinamicità del sistema socio-economico connesso. Altri borghi, nel reatino, hanno seguitola strada del complessivo recupero eriqualificazione a fini di fruizione,anche turistica, dopo massicci fenome-ni di abbandono, ed in particolarequello ben noto di Labro, ai confinidella piana reatina verso l’Umbria ed ilLago di Piediluco, un borgo dalla for-tissima omogeneità dei caratteri archi-tettonici e dalla profonda integrazionecon la morfologia dei luoghi.Altre aree sono caratterizzate, invece,da forti fenomeni di abbandono, legatialla marginalità, all’invecchiamentodella popolazione e alla mancanzaquasi assoluta di attività produttive.Questa situazione caratterizza le duevalli del Salto e del Turano, ma anchealtre piccole realtà, ad esempio lungola Valle del Velino (ad esempio, i pic-coli borghi del sistema insediativo diCastel Sant’Angelo, situati sulle collineintorno alla Piana di San Vittorino) esulle pendici dei complessi montuosicircostanti, compresi i Monti Reatini(ad esempio, il paese di Micigliano).

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polo universitario), lottizzazioni abusi-ve, impianti sportivi, spesso non com-pletati, zone in cui si sovrappongonodisordinatamente attività industriali,commerciali e abitazioni. Sul territorio collinare che guarda ilmare si trova la magnifica Valle deiTempli, sito Unesco e Patrimonio del-l’umanità, sintesi sublime di archeolo-gia, paesaggio agrario e insediamentistorici puntuali connessi all’utilizzazio-ne agricola del territorio.Agrigento, oggi, è famosa nel mondoquasi esclusivamente per via del patri-monio archeologico della Valle deiTempli. Il centro storico, arroccatosopra la cima del colle di Girgenti,nascosto alla vista dai volumi smisura-ti dell’edilizia più recente, costituisceuna parte molto trascurata e quasimisconosciuta, della città consolidata.Esso è stato letteralmente accerchiatoda una edificazione massiccia ad anelliconcentrici sviluppatasi a partire dallametà degli anni ’50. Il sovraccaricoedilizio realizzato nel dopoguerra suifianchi della collina in forme pervasivee illegali provocò la frana del 19 luglio1996, che portò Agrigento sulla scenanazionale. La frana interessò in particolare ilmargine occidentale del centro storicocostituito dal quartiere di Santa Croceche ricadeva nel Ràbato (dal toponimoarabo Ribad) abitato prevalentementeda contadini e lasciò senza casa 200famiglie. La popolazione fu trasferitanel quartiere popolare di Villaseta adalcuni chilometri di distanza. Per sop-perire alla lontananza e al disagiodegli abitanti (senza per altro riuscirvi)

Agrigento: centro storico eproblematiche territorialiTeresa Cannarozzo*

Agrigento e il suo territorio costitui-scono uno degli ambiti più problemati-ci della Sicilia, in cui si materializzanoi conflitti e i contrasti più stridenti: lamagnificenza della Valle dei Templi el’abusivismo più tenace; la commoven-te bellezza e il degrado del centro sto-rico assediato da volumi edilizimostruosi; la quieta eleganza dell’otto-centesco viale della Vittoria e lo svi-luppo di periferie miserabili; orti urba-ni e giardini lussureggianti che siincuneano anche all’interno degliaggregati condominiali; la realizzazio-ne miliardaria di opere viarie invasivee ingombranti che hanno aggrovigliatoil sistema della viabilità in un dedalodi viadotti, complanari, bretelle, chefanno perdere l’orientamento e ostaco-lano la circolazione. L’espansione urbana più recente, gui-data (si fa per dire) da un Prg redattonella seconda metà degli anni ‘70, èorganizzata per nuclei diffusi nel terri-torio, costituiti da edilizia residenzialepubblica e privata, opere pubblichesparse in tutte le direzioni (come ilnuovo ospedale, il nuovo tribunale, il

Agrigento comprende diverse realtàtra loro poco integrate se non inconflitto: la Valle dei Templi, ilcentro storico, le periferie, ilpaesaggio agrario, la costa e il mare.La compresenza di molteplici risorsepregiate potrebbe generare un nuovomodello di sviluppo in armonia conla cultura del territorio

Rimane quindi come problema centralein queste politiche la costituzione diun “gruppo motore”, un gruppo di sog-getti (in particolare quelli imprendito-riali e amministrazioni pubbliche ingrado di svolgere una funzione dicoordinamento e di supporto tecnico,come la Provincia) che sia capace diattivare e di utilizzare appieno questistrumenti di programmazione e inter-vento.

*Professore associato presso la Facoltà di Ingegneria,Università “La Sapienza” di Roma.

Note1. Le considerazioni relative alla provincia reatinadiscendono anche da studi e ricerche connesse all’ela-borazione dello schema di Ptpg (Piano territorialeprovinciale generale; Provincia di Rieti - DAU, 2001)e attualmente del Bilancio Ambientale provinciale (inpieno svolgimento), nonché da un impegno di docen-za nell’ambito del Corso di laurea in IngegneriaAmbiente e Territorio della sede decentrata a Rietidell’Università “La Sapienza” di Roma.2. Anche gli studi per il progetto APE (Ministerodell’Ambiente e della Tutela del Territorio, 2003) arti-colano variamente la Provincia, spesso in sintoniacon quanto qui esposto, ma l’uso del livello comunalecome unità di riferimento distorce molto le valutazio-ni, senza essere a grana sufficientemente “fina”, dauna parte, e contemporaneamente senza coglierecomportamenti socio-economici e territoriali articolatiper aree o ambiti.3. Tra l’altro non si tratta di iniziative di particolareportata, tant’è vero che gli studi su APE individuanoquesto come un sistema territoriale locale debole.

Che fine hanno fatto i centri storici?

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no ancora oggi una sconfitta per lacomunità agrigentina, che non èriuscita ancora a condurre in porto ilpiano particolareggiato di recuperoprevisto dalla Lr 70 del 1976 né adutilizzare i finanziamenti previsti dallastessa legge. Per il recupero del centro storico diAgrigento la Regione aveva infattiemanato la suddetta legge speciale n.70 (destinata anche al recupero delcentro storico di Siracusa, Ortigia) cheimponeva la redazione di un pianoparticolareggiato. Mentre per Ortigia, è stato fatto, non-ostante varie difficoltà, un buon piano,che ha avuto anche riconoscimentinazionali, e che ha innescato concreta-mente il recupero del centro storico, adAgrigento le cose sono andate inmaniera molto diversa. Il piano parti-colareggiato per il centro storico diAgrigento, infatti, è stato bocciatodalla Regione nel 1998 e attualmente èdi nuovo all’esame degli organi regio-nali. Come che sia, il recupero del centrostorico di Agrigento è un obiettivoirrinunciabile per disporre di una bio-grafia completa delle fascinose vicendedel territorio agrigentino e per farediventare la città storica parte signifi-cativa del sistema di risorse territorialipregiate su cui fondare un nuovomodello di sviluppo della comunità.

* Inu Sicilia.

La trama viaria, che sembra scavatanella continuità del costruito, è costi-tuita in realtà da due sistemi intercon-nessi: la rete primaria, costituita daipercorsi in direzione est-ovest, che sisvolge seguendo l’andamento dellecurve di livello e la rete secondariacostituita dai percorsi nord-sud, strut-turata mediante ripide scale, cordonatee passaggi voltati, cui fa da sfondo,verso sud il paesaggio della Valle deiTempli.Anche se molti edifici sono abbando-nati e i materiali impiegati sono estre-mamente poveri e fatiscenti, è ancorapossibile cogliere tutta la portata dellaqualità architettonica e spaziale rac-chiusa nella città storica, fondata suun rapporto di raro equilibrio tra ivolumi costruiti e gli spazi di relazioneed esaltata da fondali d’eccezione incui si sovrappongono e si integrano ilcielo e il mare.Purtroppo le condizioni attuali delcentro storico di Agrigento costituisco-

si costruì il primo e più famoso deiviadotti agrigentini: il viadottoMorandi che affonda i piloni su unanecropoli nel cuore della Valle deiTempli.La città storica ha una planimetriacompatta vagamente ellittica e un dise-gno urbano minuto e intricato. Lì sitrasferirono le popolazioni che già nelV secolo avevano abbandonato lagrande città classica sottostante. Laparticolare qualità della pietra locale haconsentito che si realizzassero in alcu-ne zone abitazioni scavate nella roccia,le cui tracce sono ancora visibili.

La struttura edilizia è costituita da iso-lati dal perimetro irregolare, di spesso-re variabile, alti due o tre piani, solcatiall’interno da una trama di cortili, digiardini pensili e di ripidi vicoli. Glispazi inedificati costituiscono il siste-ma di accesso alla residenza, spessoincrementato da belle scale esterne conandamenti multiformi.

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A sud il tracciato curvilineo del viadotto Morandi. Lungo il margine meridionale del centro storico loscavo del fascio ferroviario e nella parte terminale, a ovest, il quartiere del Rabato interessato dallafrana del 1966. Lungo il lato nord si vedono le grandi fabbriche dell’Istituto Giorni, del Seminario edella Cattedrale. Si leggono le direttrici est-ovest di via Garibaldi-via Atenea e il tracciato nord-sud divia Matteotti (già Bac Bac). Le pendici meridionali sono state edificate in modo intensivo mentre quellesettentrionali presentano un fitto rimboschimento.

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preta la città antica secondo le formevariegate e complesse dell’abitare con-temporaneo, in un contesto nel quale lamisura e le forme dello sviluppo localetendono a mettere in atto processi diesclusione e di marginalizzazione, pro-prio in virtù della loro forza e della pre-ferenza di spazi nuovi più facilmenteadattabili alle nuove funzioni. È il caso,a titolo esemplificativo, di Modena incui politiche di marketing urbano e rea-lizzazione di progetti, per lo più pubbli-ci, di riutilizzo di importanti contenitoriurbani, costituiscono il contesto perricollocare il centro antico in una posi-zione di rinnovata eccellenza. O ancoradi Reggio Emilia, che con il ForumProgetti per il centro storico redige l’a-genda degli interventi prevalentementeorientati ad azioni di manutenzione e didiversificazione degli usi del “quartierecentro storico”. Un secondo ambito si precisa nel rico-noscimento di una operatività del patri-monio storico come fattore primario disviluppo locale, declinato contestual-mente con l’ambiente naturale e rurale eil paesaggio. Alcune esperienze più recenti sonocaratterizzate da un linguaggio pianoche non indugia in elogi rituali dellacittà storica ma che tenta di individuarenella sua presenza un elemento, spessocostitutivo, altre volte di sostegno eintegrazione, atto a favorire lo sviluppoe la competizione con altre realtà terri-toriali. In questo sfondo, l’universo dis-corsivo è orientato secondo direzioniche mutuano linguaggi, senso e sapericonsolidati da città storiche e città con-temporanee, da spazi insediati e spazi

Siena e Isernia due piccole città capoluogoOttavia Aristone*

lungo queste direzioni e possono essereinterpretate secondo due coppie di signi-ficati: la prima, abbandono/sovraesposi-zione, riguarda la condizione del luogo;la seconda, insider/outsider, la posizionedell’osservatore. Le vicende attuali mostrano una diffusadivaricazione relativa al “consumo” dellacittà antica e pertanto della sua “tenuta”negli ambiti urbani e territoriali, il cuirango non contrassegna, nella sostanza,la differenza. Si intende affermare chesensibili fenomeni di abbandono riguar-dano tanto alcune piccole località in ter-ritori marginali o interni, quanto i centriantichi di città capoluogo. Il fenomenodella sovraesposizione, più selettivo, èeffetto di processi di distorsione esostanziali e rapide ridefinizioni degliusi. In secondo luogo, si può sostenere chela posizione dell’osservatore, insider/out-sider, genera un orizzonte di senso pro-fondamente diverso, laddove le ragioniestetiche e culturali, o anche di apparte-nenza, possono o meno prevalere rispet-to alla perdita di senso e impoverimentoche rilevanti parti della società attribui-scono alla città contemporanea a frontedi una maggiore complessità e compli-cazione funzionale.La misura comune del “guardare e sal-vaguardare” i materiali della storia acco-glie e interpreta di volta in volta temiprevalenti differenti.Un primo campo tematico riguarda l’in-tegrazione dello spazio fisico: rete infra-strutturale e funzionale, attività svolte,varietà e molteplicità dei residenti, curamanutentiva dei materiali. Si dipanaattraverso un procedimento che reinter-

Parlare di città storiche può sembrareconvenzionale. Pur tuttavia gliimmaginari collettivi sono invasi dalleretoriche della visibilità e dellaselettività grazie ai quali siattribuiscono importanti legittimazionia queste parti del territorio

Negli ultimi anni questo campo tematicoè segnato da un’importanteridefinizione. Scarsamente trattato su unpiano circoscritto esclusivamente allaparte urbana, si posiziona nel più com-plessivo ripensamento sulla città abitatae ancor più quale carta da giocare nelrilancio competitivo dei territori, anchealla luce delle politiche comunitarie edell’allargamento dei mercati. In terminigenerali, si va affermando una lineainterpretativa secondo la quale i mate-riali fisici e culturali della città storicamutuano in prevalenza senso, strategie eoperatività dai contesti urbani e territo-riali correlati, o con i quali è possibile,in qualche modo, stabilire una connes-sione fisica, funzionale, tematica equant’altro. La tematizzazione dei conte-sti locali, nei termini di sviluppo e com-petitività è quindi, secondo questa lineainterpretativa, il presupposto che orientae definisce il campo di azione così comeil linguaggio e l’insieme dei saperi tecni-ci messi in campo.Le nozioni di patrimonio e risorsa relati-ve alla città storica - ampiamente tratta-ti a partire dagli anni sessanta secondoun significato pressoché di lunga duratae articolato attraverso successivimomenti di definizione e stabilizzazione- trovano attualmente riconoscimento

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Urbanistica INFORMAZIONI

ritorio, pure associata all’interesse stori-co e ambientale, è di fatto soggetta aforti indebolimenti grazie agli interventipuntuali di trasformazione previsti6. Èindubbio però la difficoltà che comportasostenere l’immagine della città, ancheall’esterno e come fattore di migliora-mento, a fronte della scelta di favorireimportanti, e un po’ occasionali, inter-venti di trasformazione atti a incorag-giarne un presumibile uso. Questiapprocci estesi al tema definiscono uncampo d’azione entro il quale la storia,in quanto tale, non definisce necessaria-mente un’operatività; essi sostengono,invece, una progettualità complessa,strettamente commisurata ai singolicontesti, attenta a intercettare e favoriregli eventi in corso, anche di scarsa visi-bilità, piuttosto che a promuoverne.

*Ricercatore presso la Facoltà di Architetturadell’Università “G. D’Annunzio” di Pescara.

Note1. Il capoluogo conta 55.000 abitanti, il territorio pro-vinciale 260.000.2. “Interesse storico è accezione ampia, comprensiva dialtre che nel tempo si sono accumulate e intersecate(interesse monumentale, artistico, storico, panoramico,naturale, paesaggistico, ambientale, scientifico, ecc.) inuna babele tassonomica, tutte suggerite, però, dal rico-noscimento di alcuni valori da tutelare, da sottrarre alladistruzione. […] si applica ad aree e sottozone, edificatee non, comprese nella città antica e in quella recente,nel territorio urbanizzato e in quello agricolo. La disci-plina per aree e sottozone di interesse storico è ispiratadal criterio generale della conservazione variamentedeclinato”. Siena, Prg, Nuove regole per la città e il ter-ritorio, 2006.3. Il capoluogo conta 21.500 abitanti, il territorio pro-vinciale 90.000.4. Programma Pluriennale di Interventi Diretti aFavorire la Ripresa Produttiva del Molise, 10.12.2004.5. Piano regolatore generale, Approvato con deliberazio-ne di C.R. n. 179 del 7.09.’04, Norme Tecniche diattuazione:Art. 12 - Zone di Interesse Storico-Ambientale (A)1 - Individuazione1.1. Le zone di interesse storico-ambientale comprendo-no le parti del territorio interessate da insediamenti pre-valentemente residenziali che rivestono carattere stori-co, artistico e di particolare pregio ambientale, compre-se le aree circostanti che possono considerarsi parteintegrante degli agglomerati stessi.1.2. A seconda delle caratteristiche morfologiche e tipo-logiche il PRG individua le seguenti sottozone.1) Centro storico (A/1)Comprende la parte antica del capoluogo comunale.2) Nuclei storici (A/2)Comprende i nuclei storici minori: (borgate).1.3. Le zone residenziali di interesse storico-ambientalesono considerate di categoria A ai sensi del D.M.1444/1968.6. Per il patrimonio edilizio esistente le categorie diintervento consentite nelle zone di Interesse Storico-Ambientale sono quelle previste dalla legge 457/78; peri manufatti e le aree libere indicati in cartografia è con-sentito l’intervento diretto di sostituzione o nuova edifi-cazione secondo indici e parametri assegnati.

aperti. Si stabiliscono, di volta in volta,nuove alternanze con il ricorso a valoripercettivi, estetici, culturali, funzionalied economici, nel senso di distribuzionee redistribuzione della rendita e deivalori fondiari. Nel caso di Siena1 coesi-stono, secondo modalità virtuose, un’e-conomia matura legata all’offerta turisti-ca e una tradizione, consolidata dalungo tempo, di restauro conservativodei manufatti storici. A fronte della defi-nizione di centro storico quale invarian-te, si propone l’allargamento dellanozione di “interesse storico”2, qualifi-cando i luoghi all’interno di uno spazionon differenziato, a fronte della ricono-sciuta (consumata) qualità reciprocadella città e della campagna e dellaesposizione a processi di dissipazione.In altre aree del Paese, la promozionedel territorio è circostanza di rivitalizza-zione e superamento dell’abbandono. Apartire dalla metà degli anni novanta delsecolo scorso, nella città di Isernia3 e neicomuni limitrofi la propensione alla dif-fusione insediativa, tardiva rispetto adaltre aree del Paese, si realizza a vantag-gio dei piccoli nuclei e in misura infe-riore di case sparse: slittamento lungo lalinea infrastrutturale principale e allar-gamento nelle aree di corona alla cittàcapoluogo a discapito degli insediamentiin altura, gli incastellamenti medievali.Il processo di abbandono dei centri anti-chi, inizialmente esito del progressivospopolamento, ha subito una forte acce-lerazione a seguito dell’evento sismicodel 1984. L’obiettivo di contrastare l’ab-bandono è sotteso, in vario modo, alleazioni pubbliche degli ultimi due decen-ni – rifunzionalizzazione delle unità abi-tative, interventi negli spazi pubbliciaperti e negli edifici istituzionali e cultu-rali - volte a riconsegnare la parte dicittà alle attività urbane. Tuttavia, gliesiti prodotti non sono significativi,anche a fronte dei Programmi regionali4

esplicitamente orientati a favorire l’usoturistico del territorio: progetti di recu-pero dei beni storici diffusi, promozionedei siti archeologici e del sistemamuseale e valorizzazione dell’ambientenaturale. Il piano regolatore generale5

vigente mutua nel linguaggio la consi-derazione per le questioni ambientali. Inun orizzonte non differenziato si asso-ciano la città antica e i nuclei insediatisparsi nel territorio. L’immagine del ter-

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“La Nuova Programmazione Comunitaria2007 - 2013 e la Pianificazione Strategica:Il Quadro Strategico Nazionale, I ProgrammiOperativi Regionali ed Altri Strumenti per

l’Accesso ai Fondi Comunitari Europei”

Roma 28 e 29 maggio 2007 - CentroCongressi Cavour - Via Cavour 50/a.

* * * * * * * * * * * * *1° giornata

Introduce e coordina - Nicolò Savarese“Il QSN e la nuova stagione di programmazione deifondi comuntari e nazionali 2007-2013”Carlo Sappino“Il QSN ed il ruolo dei sistemi urbani e territoriali nellaprogrammazione nazionale e comunitaria”Gaetano Fontana“Struttura generale e percorsi attuativi del QSN”Giampiero Marchesi“Obiettivo Convergenza: il contributo degli Enti Localialla “programmazione unitaria” delle politiche di svi-luppo 2007-2013 per il Mezzogiorno”Francesco Monaco“Obiettivo Competitività e Occupazione: analisi di PORcentro settentrionale e meridionali”Stefano Sampaolo“Sistemi urbani, reti terrritoriali e modelli di sciluppodello spazio comunitario”Seconda giornataRoberto Camagni

* * * * * * * * * * * * *2° giornata

Introduce e coordina - Stefano Stanghellini“Obiettivo Cooperazione Territoriale e nuovi strumentidella politica europea di prossimità”Rossella Rusca“La priorità ricerca e innovazione nelle politiche comu-nitarie e nel 7° Programma Quadro”Mario Scalet“La filiera delel risorse culturali, ambientali e turisti-che: continuità e discontinuità tra il ciclo di program-mazione 2000-2006 e 2007-2013”Oriana Cuccu“Trasporti e mobilità: QSN ed il nuovo Piano Generaledella Mobilità”Gian Paolo Basoli“Le priorità ambientali nella programmazione 2007-2013, la VAS e il nuovo regolamento LIFE+Alessandra Fidanza“Sintesi delle questioni aperte”Nicolò Savarese

www.fondazioneastengo.com

Iniziativa formativa della

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soluzione parzialmente ipogea che neattenuerà l’impatto, celebrando ade-guatamente la vocazione storica diColle quale primario distretto del cri-stallo3.

L’ascensoreIl programma individua un percorsodi collegamento tra l’accesso allacittà, previsto in prossimità del par-cheggio dello scalo merci o del par-cheggio della Fabbrichina, e la cittàstorica attraverso piazza Arnolfo e viaGaribaldi, e mira alla rivitalizzazionedi queste zone urbane.In questo quadro, l’impianto di risali-ta, già funzionante 24 ore su 24 egratuito, è stato progettato per agevo-lare il collegamento pedonale tra ledue parti storiche della città, ColleAlta e Colle Bassa, separate da un dis-livello di circa 40 metri. Il progetto hainserito, al termine del cunicolo, unacoppia di ascensori in cristallo utiliz-zabile da pedoni e ciclisti.

Piazza Arnolfo e lo scalo merciPiazza Arnolfo, luogo d’incontro sto-rico della città, è stata realizzata nellaseconda metà dell’ottocento con trelati porticati, uno dei quali è occupatodalla ex stazione ferroviaria.Il progetto, che è stato presentato allacittadinanza nell’aprile 2006 e che èstato al centro del confronto con leindicazioni degli alunni delle scuolecolligiane che nel 2005 hanno svilup-pato l’iniziativa “Vivi e progetta latua città”, si pone l’obiettivo di rivita-lizzare la piazza attraverso il connu-bio tra arte e architettura. In questo

Rivitalizzazione dei centri storicidi Colle di Val d’ElsaAnna Delera*

immobiliari sfitte, il programma deglieventi d’interesse turistico – culturalesvolto dal Comune e dalla Proloco.L’intervento parte nel 1997, per ini-ziativa del Comune di Colle di Vald’Elsa e di Colle Promozione Spa2, dalriuso di un’area industriale dismessaadiacente il centro urbano di Collebassa che viene sviluppato da JeanNouvel anche attraverso altri progetti.

La Fabbrichina, la Mediateca e ilCentro del cristallo

L’area della Fabbrichina, zona artigia-nale ormai dismessa e sede dellaprima fabbrica di cristallo, si è svilup-pata nei primi anni del novecento inoccasione della costruzione della fer-rovia. Questa area, collocata in unaposizione strategica rispetto alla città,diventerà un punto nodale per l’ap-prodo a Colle e per lo smistamentodel traffico urbano. Alcuni fabbricatidel complesso produttivo sarannoristrutturati, consentendo di riutilizza-re gli spazi per attività di servizio,come nel caso dell’immobile dellaFabbrichina, o per negozi, residenze eservizi, come per la ex Vulcania. Ilcomplesso comprenderà anche unazona pubblica pedonale.Gli interventi di recupero dell’areasaranno completati dalla realizzazionedi una Mediateca che, reinterpretandoin chiave moderna le funzioni dellabiblioteca comunale, fornirà nuoveopportunità di fruizione dell’offertaculturale integrate con servizi diaggregazione sociale.Il nuovo insediamento ingloberàanche il Centro del cristallo con una

Un rilancio pianificato che, daiprogetti di Jean Nouvel, “costruisce”,attraverso percorsi di ascolto epartecipazione, strumenti, azioni einterventi specifici, calibrati suicaratteri sociali, culturali edeconomici del luogo

Il programma di rivitalizzazione in attoa Colle di Val d’Elsa, denominato“Fabbrica Colle. La città in movimen-to”1, si propone di risolvere la riqualifi-cazione urbana nel senso più ampiodel termine attraverso l’adozione diuno strumento costituito appositamen-te per rispondere alle specificità locali.Si tratta del “Master plan degli spazipubblici” che agisce con azioni d’inte-grazione e coordinamento sul miglio-ramento dell’efficienza degli interventicondotti dai vari settori della pubblicaamministrazione e riguardanti le tra-sformazioni urbane, la manutenzione,la promozione culturale ed economica,i servizi sociali, ecc.Il Master plan integra specifici stru-menti attuativi in un’area che com-prende il centro storico di Colle Alta eil centro ottocentesco di Colle Bassa eche ha una dimensione di circa 30ettari. La città è in provincia di Siena,si colloca lungo il fiume Elsa e ha20.000 abitanti. L’azione coordina:piani di recupero, piani integrati dirivitalizzazione delle attività commer-ciali, piani delle insegne e dell’arredourbano, piani di sviluppo economicolocale, ma anche interventi più pun-tuali, per esempio, il riuso delle unità

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Urbanistica INFORMAZIONI

direttivo seguendo le consuete logichemanageriali improntate all’autonomia eall’equilibrio di bilancio.

Rivitalizzazione partecipataNegli ultimi mesi del 2006 un gruppodi abitanti ha espresso la volontà dicostituire un focus permanente permigliorare i programmi di riqualifica-zione della città.Per dare una risposta adeguata allarichiesta e ottimizzare il processo diredazione del Master plan, è stataavviata un’iniziativa di partecipazioneche si aggiunge al coinvolgimentodegli alunni, ai focus group, ai perio-dici forum e che è riconducibile allametodologia del “community plan-ning”.Il significato di questa azione sta nel-l’innalzare il grado d’efficienza delfunzionamento del territorio, o di unasua parte, affinché la qualità dellavita sia la migliore possibile per iresidenti, gli operatori, gli utenti, ifrequentatori, i turisti, ecc.Alla base sta la costruzione dello sce-nario che è coordinata dagli espertiche conducono il programma FabbricaColle5. Il Gruppo di lavoro multidisci-plinare6 aiuta i partecipanti al com-munity planning ad analizzare eosservare fenomeni e argomentisecondo punti di vista molto operativie utili alla realizzazione di progetti,politiche urbane, misure di agevola-zione, ecc.Questo percorso e le altre iniziative dipartecipazione della Comunità avven-gono in appositi luoghi dislocati neidue centri storici di Colle e denomina-ti “Spazio Collegamenti”. Informare,ascoltare, costruire relazioni e propo-ste, sono queste le principali attivitàsvolte dagli Spazio Collegamenti, mapartecipazione e ascolto a Colle sonosostenuti anche dalla trimestrale newsletter “Fabbrica Colle”, dal Sitowww.fabbricacolle.it, dagli eventi chesi rivolgono a tutti: ai bambini e aglianziani; ai commercianti e agli arti-giani; alle donne e agli uomini; ainativi di Colle e agli stranieri, perchéè nella “diversità” che Colle definiscela propria “ricchezza”.

* Professore Associato al Politecnico di Milano,Dipartimento BEST - Responsabile “Ascolto e parte-cipazione” del Programma Fabbrica Colle.

Il riutilizzo dei locali dismessi, nel2003 su 520 attività ben il 25 % risul-tava abbandonato, è una delle azionicentrali del Ccn che è sviluppata con lelocali agenzie immobiliari e consentedi ottenere un riequilibrio tra la zonadei nuovi insediamenti e il tessuto esi-stente al fine di aumentare l’attrattivitàdi tutta la città. Nel corso del 2006hanno riaperto 12 attività dislocate neidue centri storici seguendo percorsi diaccompagnamento gestiti direttamentedal Suap comunale, mentre l’organi-smo di gestione del centro commercia-le naturale ha curato gli aspetti mer-ceologici e promozionali.Il percorso istitutivo del Ccn è partitocon un Protocollo d’intesa - alla finedi giugno 2005 il Comune di ColleVdE, Colle Promozione, Camera diCommercio di Siena, Associazionisocioculturali e di categoria, nonchésingoli operatori, hanno siglato i prin-cipi ispiratori del rilancio urbano cheproprio nel momento della sottoscri-zione ha consentito la creazione del-l’ente Comitato di coordinamento cit-tadino (Ccc).Colgirandola dispone di fondi assegnatidal Comune e provenienti da privatima gestiti da un apposito Consiglio

senso sono stati coinvolti artisti con-temporanei di fama internazionale:Daniel Buren, disegno della pavimen-tazione; Lewis Baltz, trattamento dellagora e del fosso di Sant’Agostino;Bertrand Lavier, arredo urbano;Alessandra Tesi, trattamento dei porti-ci e illuminazione.

Centro commerciale naturale“Colgirandola”La strategia di riposizionamento delleattività miste esistenti e di amplia-mento dell’offerta merceologica, che èil frutto di uno studio di fattibilitàcondotto da Iginio Rossi nel 2003 perConfesercenti di Siena, è perseguitacon il centro commerciale naturale(Ccn); denominato “Colgirandola”,attraverso un concorso promosso tragli abitanti.“Il Ccn rappresenta la forma piùmoderna ed evoluta di considerare lepiazze e le strade, storicamente carat-terizzate dalla presenza di attivitàmiste al fine di realizzare un insedia-mento, efficiente per la vita dellacomunità, e frutto dell’integrazionetra gli interventi di riqualificazionedei luoghi e quelli di aggiornamento eadeguamento delle imprese”4.

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Il programma “Fabbrica Colle” sfrutta i flussi tra le polarità esterne al centro storico per rivitalizzare leattività dislocate lungo gli assi maggiormente frequentati che possono essere paragonati ai percorsidegli elefanti, ma nella città.

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una sua percezione come bene culturaleunitario, dall’altro quella connessa a unsistema di azioni e interventi tesi adattrarre investimenti e irradiare valori equalità nei confronti dell’intera città e delterritorio: attraverso l’individuazione diassi strategici condivisi con i cittadini, ilcentro storico dovrà trasformarsi in pola-rità d’eccellenza, in rappresentanza dellacittà (marketing urbano) e del territoriod’area vasta (marketing di prodotto). Seisono gli obiettivi strategici del Pianorispetto all’esistente: promuovere il patri-monio edilizio, riqualificare il sistemaurbano, implementare i servizi, incenti-vare l’uso residenziale, favorire nuoveattività e riorganizzare la mobilità. Leazioni di intervento sono poste su duelivelli: marketing urbano (ossia potenzia-lità da promuovere rispetto all’esistente) enuovi obiettivi strategici (ossia potenziali-tà da sviluppare rispetto a scenari futuri).Questi ultimi sono organizzati sostanzial-mente in quattro sottosistemi urbani, incui intervenire secondo logiche settorialiriferite ad un unico sistema di progettiintegrati: i viali della Circonvallazione(riorganizzazione mobilità), la via Emilia(favorire nuove attività), la zona Nord(implementare i servizi) e la zona Sud(incentivare l’uso residenziale). Quello diReggio Emilia può essere considerato uncaso sperimentale di valorizzazione attivadella città storica, che risulta innovativoin un contesto culturale come quello ita-liano, in cui al termine “storico” si asso-cia quasi sempre il concetto di tutelapassiva e di semplice vincolo. Alcunedomande al Dirigente dell’Unità diProgetto, Massimo Magnani, possonoutilmente puntualizzare e chiarire i con-

Piano strategico per la città storicadi Reggio EmiliaBiancamaria Rizzo*

Intervista a Massimo Magnani**

Reggio Emilia è il caso di un centro dimedie dimensioni che propone la cittàstorica come luogo di eccellenza per l’in-sediamento di attività e attrezzature aservizio del proprio hinterland ma anchenella logica del mercato globale. Il capoluogo presenta una parte storica(traguardata dai viali di circonvallazione)che, ad oggi, intrattiene scarse e malstrutturate relazioni con il resto dellacittà: una sua ridotta porzione viene per-cepita come ambito di pregio in grado diattrarre funzioni e promuovere relazioni.Per tali ragioni, l’Amministrazione haistituito un apposito Assessorato allaCittà storica supportato da una Unità diprogetto, autorevole e indiscussa sede diresponsabilità politica in grado di gestireazioni tese alla promozione, riqualifica-zione e cura del centro storico e dei suoirapporti col resto della città. L’Unità diprogetto Città storica riveste competenzeprimarie per il centro storico, per la cittàdel ‘900, per i nuclei storici delle frazioni,per gli edifici di interesse storico/architet-tonico e per i sistemi territoriali di inte-resse ambientale, svolgendo ruoli diversi:dalla “committenza” alla progettazione,dal monitoraggio territoriale alla comuni-cazione. La redazione del Piano strategicodi valorizzazione del centro storico, confi-gurato come processo trasversale di indi-rizzo e determinazione delle priorità daperseguire, ha consentito di instaurareuna sinergia con gli altri strumenti dipianificazione, primo fra tutti il Pianostrutturale comunale (Psc), e di qualifica-re il rapporto pubblico-privato. Il Pianostrategico lavora su una doppia valenzadel centro storico: da un lato quella di

Note1. I promotori fanno capo a Colle Promozione spa,al Comune di Colle di Val d’Elsa e a New Colle srl.Inoltre sono coinvolti altri soggetti: Camera diCommercio di Siena; Indis Unioncamere;Confcommercio; Confesercenti; Confartigianato;Confederazione nazionale artigianato; AziendaSpeciale Multiservizi; Cristallo Toscana; Proloco;CAT Confesercenti; CAT Confcommercio .2. Colle Promozione è una società per azioni costi-tuita dallo stesso Comune, che detiene la maggio-ranza con il 51,5%, dal Comune di Casole d’Elsa0,5% e da soggetti privati: Monte dei Paschi diSiena 12%, Calp 12% - industria del cristallo,Baldassini e Tognozzi 12% - impresa di costruzioni,Cooperativa Edile Montemaggio 10% e CooperativaOlimpia 2% - settore dei servizi) e New Colle (socie-tà a responsabilità limitata costituita da CollePromozione, che detiene la maggioranza con il 51%,MPS Banca per l’Impresa 34% e Calp 15%).3. La locale Calp spa è la titolare del marchio CRC dirilevanza internazionale.4. I. Rossi, “Politiche urbane e commerciali”, inDisciplina del commercio, INDIS Unioncamere,Istituto Nazionale della Distribuzione, Roma, 2001.5. “La città in movimento. Rivitalizzazione del cen-tro storico di Colle di Val d’Elsa”, INDISUnioncamere, Roma, 2005.6. Fanno parte del Gruppo di lavoro: Iginio Rossi,ideatore e responsabile del “Programma di rivitaliz-zazione” e del “Master plan degli spazi pubblici”;Veronica Becchi, responsabile “Spazio Collegamenti”,punti di ascolto e partecipazione; Stefano Bianchi,presidente Colle Promozione SpA; Anna Delera,responsabile “Ascolto e condivisione”; Marco Gonzi,Centro Mercurio, Confesercenti di Siena, responsabi-le “Indagini”; Claudio Mori, dirigente “Urbanistica”Comune di Colle VdE; Marco Mucciarelli, coordina-tore del turismo per il Comune di Colle VdE; JeanPierre Panighini, responsabile “Piano di commercia-lizzazione”; Alberto Rabazzi, responsabile SUAP,Sportello unico attività produttive del Comune diColle VdE; Gruppo Ribes, vari rappresentanti dellasocietà specializzata nella realizzazione di sitiInternet; Ufficio Tecnico, Colle Promozione, architet-ti del progetto esecutivo “La Fabbrichina”; LucaTrapani, avvocato, difensore civico Comune ColleVdE; Maria Cristina Venanzi, amministratore delega-to GRM, società specializzata in comunicazione.

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tendo dal contatto con la città ed il terri-torio. L’urban center ha il compito diospitare associazioni, categorie, tecnici,cittadini, istituzioni per raccogliere parerie suggerimenti relativi al Piano strategiconell’ottica che strategie, gerarchia delleazioni e sistema integrato degli interventinon siano fissi, ma sensibili di aggiorna-menti e rielaborazioni. Un “patto con lacittà” che si realizza attraverso un siste-ma di relazioni e verifiche dell’imprendi-torialità locale e non.

Ad oggi quali sono i risultati più soddi-sfacenti e i limiti più evidenti di questaesperienza?Da oltre un anno l’effetto più immediatodel Piano strategico può essere riscontra-to nell’incidenza decisionale sulla pro-grammazione degli interventi: attraversoun quadro di unione condiviso è moltopiù semplice definire progetti e attuareopere di arredo urbano e/o pavimenta-zione o assegnare priorità a finanziamen-ti per qualsiasi opera pubblica.L’Unità di progetto della Città storica hasviluppato (con proprie professionalità)moltissime indicazioni del Piano, trasfor-mandole in progetti esecutivi, opere pub-bliche e gare d’appalto. Il Piano si è rile-vato utile per favorire le formule dellaFinanza di Progetto e della Società diTrasformazione urbana. Attualmente èstata presentata e discussa solo la primafase del Piano riguardante il riordinourbano, dunque ritengo che, per enuncia-re i limiti di questa esperienza, sia oppor-tuno attendere la presentazione e ildibattito della seconda parte relativa almasterplan. Nella seconda fase, che con-tiene molti stimoli alla partecipazioneprivata e sollecita una grande sinergiaoperativa tra assessorati diversi, si incon-treranno probabilmente maggiori ostacoliperché saranno poste in gioco le princi-pali tematiche riguardanti i più elevatiinteressi pubblico/privati, collegate inevi-tabilmente alla capacità operativa dellaGiunta e alla volontà di collaborazionedegli imprenditori.

* Docente a contratto presso l’Università di Roma Tre.** Dirigente Unità di Progetto Città Storica.

Note1. L’architetto Massimo Casolari ha già applicato questometodo in realtà quali Urbino, Assisi, Amalfi,Portovenere, Caserta, Napoli, Pompei ed in ambito inter-nazionale: India, Germania, Austria, Spagna.

rizzazione commerciale...) e come vienegestita la trasversalità del Piano rispettoai diversi soggetti istituzionali(Assessorati…) che di volta in volta ven-gono coinvolti?Il Piano strategico, ponendosi come prin-cipale obiettivo attrarre investimenti pub-blico/privati, interagisce con tutte letematiche e le filiere produttive: cultura,tempo libero, turismo, artigianato, com-mercio, industria, servizi, mobilità, tra-sporto, ecc., coinvolgendo tutti gli asses-sorati, sia sul piano politico che tecnico-gestionale.Si può affermare che il Piano strategicosvolga una doppia funzione:- di simulatore di scenari, per facilitare lescelte politiche;- di coordinamento per la programmazio-ne degli interventi con gli altri strumenti.Il livello operativo offre alla Giuntacomunale la possibilità di interfacciarsicon il complessivo Piano delle strategieper verificare e confrontare piani setto-riali (piano urbano mobilità, programmadi promozione residenziale, ecc.), al finedi individuare sinergie e collaborazioni.Nel rapporto con le istituzioni sovraco-munali, sino al livello ministeriale e dellaUnione europea, il Piano strategico per-mette di collocare qualsiasi tematicapuntuale nelle logiche della politica disviluppo socio-economico e della compe-titività d’area vasta. Questo approcciopermette l’attivazione di protocolli d’inte-sa e accordi di programma in grado dicoinvolgere partner privati e istituzionalisu tematiche previste dal Piano (master-plan), da cui far discendere convenzioniper progetti esecutivi e opere di interessepubblico-privato.

In che modo i soggetti privati interagisco-no con quelli pubblici nella costituzione egestione del Piano?Il Piano, essendo essenzialmente unostrumento di relazioni, necessita di esserecomunicato e promosso per raggiungereil più vasto consenso e attrarre il mag-gior numero di investimenti privati.L’Amministrazione di Reggio Emilia haistituito un primo processo comunicativoche dovrà sfociare nella creazione di unvero e proprio urban center, con esposi-zione permanente degli elaborati delPiano, salette riunioni e sala di presenta-zione, ossia uno spazio concepito perelaborare il futuro della città storica par-

tenuti di questa esperienza.

In che modo viene attuata per la cittàstorica una strategia di marketing urbanoe di marketing di prodotto?Per corrispondere al mandato elettorale,che includeva anche la rivitalizzazionedel centro storico, l’Amministrazionecomunale di Reggio ha attivato una col-laborazione esterna con lo Studio Agoraaper applicare alla realtà urbana lo stessometodo utilizzato per i Piani di gestionedei siti Unesco. La prima fase riguarda unrilievo critico accurato: scansione dellaqualità urbana, analisi dei segni urbani,verifica delle funzioni, studio delle rela-zioni. Viene effettuato un vero check-updel nucleo storico per farne emergere ipunti di criticità e le potenzialità al finedi intervenire con un percorso metodolo-gico teso a rafforzare l’identità comevalore aggiunto al patrimonio, ad esalta-re il ruolo come volano dell’economialocale, ad implementare le funzioni qualinuove attività per servizi alla persona edal territorio e a creare visibilità per svi-luppare le tematiche della reputazione,per attrarre consenso tra i cittadini, colla-borazione con le istituzioni e partecipa-zione con partner locali e non1. Dallacondivisione delle criticità, si passa allacollaborazione pubblico-privato perintervenire sulle potenzialità, coinvolgen-do tutti gli attori del territorio. Il lavoro èincentrato su di un presupposto fonda-mentale: il centro storico non salva sestesso ma, collocato all’interno di unsistema di relazioni (politiche di svilup-po), rappresenta e rafforza il sistema cittàed il sistema d’area vasta. Il marketingurbano e di prodotto serve per supportarel’Amministrazione pubblica di fronte allaresponsabilità di individuare e realizzareun modello di sviluppo sostenibile, ingrado di riorganizzare le risorse locali.Attraverso il marketing si comunica lamission della città nel territorio, gli assistrategici per il ruolo del centro storicoed il masterplan delle azioni e degliinterventi prioritari per coinvolgere leforze private nel progetto complessivo dirilancio del centro storico.

In che modo il Piano strategico riesce acoordinare diversi strumenti settoriali e/oprogrammatici applicati alla città storica(Piano urbano mobilità, Programma dipromozione residenziale, Progetto di valo-

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Alla ricerca di un rapportofiduciario tra cultura locale econsuetudini importate

Se in Italia il dibattito sul turismosostenibile appare ormai aperto e perlo più rivolto a capire il rapporto traofferta di servizi e domanda effettivao potenziale di turisti, l’esperienzadegli anni recenti appare averci inse-gnato che la sostenibilità deriva dalconciliare valori e saperi, dal definireobiettivi, dall’adottare regole pruden-ziali e precauzionali4. In Abruzzo adesempio la sfida alla sostenibilitàappare ancora incerta, sebbene rivoltaalla ricerca di soluzioni diversificate,che rispettino le specificità territoriali,che si appoggino alla capacità diinvenzione locale, che sappiano atti-vare cambiamenti e lavorare sull’esi-genza di allargare le relazioni con imercati esterni5. La programmazioneregionale si è orientata, negli ultimidieci o quindici anni, a raggiungere ilduplice obiettivo di estendere le aree aparco e le riserve naturali e di soste-nere il perpetuarsi di tradizioni stori-che e di feste folcloristiche, più omeno conosciute. Negli anni piùrecenti le amministrazioni locali sisono confrontate con il cambiamentoe con la diversificazione degli stili divita turistici, potendo osservare lacrescita di turisti alla ricerca sia dibeni di lusso e di prodotti tipici, sia dioccasioni di divertimento notturno, direlax balneare e di benessere termale.Dunque dai primi anni del duemila adoggi, l’Abruzzo si inserisce nell’anda-mento più generale del turismo italia-no6, fino a cercare di intercettare i

Turismo e sostenibilità in AbruzzoRaffaella Radoccia*

In un periodo in cui si registra unarilevante attenzione per i rischiambientali, per le esigenze di inclusio-ne sociale e di crescita economica,molte città e molte parti del territorioitaliano stanno registrando una pre-senza crescente di turisti. I recentistudi del Censis, di Unioncamere, diLegambiente e delle Agenzie regionaliper la protezione ambientale (Arps)dimostrano come il turismo stia pro-ducendo fenomeni di congestione abi-tativa, di scontro tra capacità di acco-glienza locale e pressione esercitatadal movimento, non solo stagionale,dei vacanzieri. In molte regioni italia-ne la programmazione territoriale sista occupando di far incontrare lacapacità di carico, ecologica edambientale, sociale e culturale, con ilmovimento crescente dei flussi turisti-ci2. Anche in Abruzzo si sta discuten-do sul sostegno alle vecchie e nuoveattività recettive, sulla differenza trale diverse possibilità di sviluppo turi-stico nelle aree montane e nelle areecostiere, sugli esiti che tale sviluppoturistico può produrre sulle forme delgoverno locale. Ovvero come in altreregioni, anche in Abruzzo si sta dis-cutendo sulla necessità di programma-re uno sviluppo sostenibile del turi-smo, cercando di affrontare questionilegate alla crescita dell’economiaregionale, all’interazione tra compor-tamenti esterni e tradizioni locali, aiproblemi del consumo del suolo, a finituristici, rispetto alle esigenze di tute-la dell’ambiente e del paesaggio3.

Nel corso del 2006 la sezione InuAbruzzo e Molise ha avviato ungruppo di studio1 che si propone diindagare le dinamiche del turismoabruzzese e le molteplici questionilegate alla sua sostenibilitàterritoriale. La sezione di UIraccoglie, senza alcuna ambizione diesaurire questioni e spunti diapprofondimento, le prime riflessionisul rapporto tra domanda ed offertadi servizi, pubblici e privati,sull’opportunità sociale e paesisticadi istituire sistemi turistici locali,sull’impatto opposto dalle grandiinfrastrutture stradali, sullepossibilità creative ed inclusive,introdotte dai distretti culturali,sull’opportunità di posizionarel’economia abruzzese nel mercatodegli scambi turistici nazionali edeuropei.

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Urbanistica INFORMAZIONI

Questa sezione di UrbanisticaInformazioni raccoglie contributidiversi, che affrontano il tema delturismo sostenibile in Abruzzo, sianell’ottica nazionale dell’interpretazio-ne delle tendenze dei flussi turistici,sia nell’ottica locale della nuova pro-grammazione regionale, collocandosinel dibattito internazionale sullo svi-luppo sostenibile avviato dalla primaConferenza ONU a Rio de Janeiro nel1992, e articolatosi attraverso ilSummit Mondiale a Johannesburg nel2002 , fino alle numerose iniziativeper uno sviluppo sostenibile delle atti-vità turistiche, promosse dallaComunità europea dal 2001 ad oggi: il“Libro Bianco sui Trasporti”, l’ “e-Europe 2005”. Valter Fabietti introduce il tema dellacreazione sostenibile di nuove risorseturistiche in Italia (e in Abruzzo),analizzando la trasformazione delladomanda di vacanze, in relazioneall’affermarsi di un nuovo modello diofferta turistica, più legato alla valo-rizzazione delle risorse presenti indeterminate aree e porzioni del terri-torio. Valentina Carpitella affronta iltema dell’istituzione dei Sistemi turi-stici locali (Stl) in Abruzzo attraversola Lr 17 del 2004, sia come occasionedi potenziamento del sistema dell’ac-coglienza locale, sia come strumentodi riqualificazione urbana e territoria-le, sia come networking, finalizzatoad un’integrazione virtuosa tra ammi-nistratori pubblici locali ed operatoriprivati. Pier Luigi Sacco introduce laquestione, non ancora pienamenteesplorata in Italia, del distretto cultu-rale, sia come sfida per la re-inven-zione creativa del paesaggio e delletradizioni dei luoghi turistici, siacome alternativa, sostenibile, aldistretto industriale, nel percorso dicrescita abruzzese. Mauro D’Inceccocolloca la questione della sostenibilitàdell’espansione turistica nella dimen-sione ampia delle politiche e degliinterventi per la mobilità, riflettendosui diversi equilibri emergenti tra esi-genze prestazionali e risorse ambien-tali non rinnovabili, nelle diverse areedella regione. Nel corso dell’intervista,Carlo Costantini ripercorre le linee,più recenti, della politica abruzzesesul turismo, mettendo in evidenza

flussi turistici, anche in manierainformale, e possono legarsi a reti diinteresse nazionale, quindi innescaremeccanismi di sostegno allo sviluppolocale? Quali sono gli strumentiattualmente usati per programmare ilturismo sostenibile ed in quale quadrodi politiche nazionali ed europee siinnestano? In sintesi osservare il modo in cui siincontrano le tradizioni locali con leesigenze introdotte dall’esterno - ilmodo in cui i movimenti dei turistimodificano gli spazi ed introducononuove relazioni e nuovi attori - con-sente di capire come il turismo possasostenere oppure ostacolare lo svilup-po abruzzese e quindi condurci aduna definizione di sostenibilità, il piùpossibile agganciata alle specificitàabruzzesi.

Dinamiche turistiche tra produzionelocale e risorse per il futuro

La riflessione avviata dal gruppo distudio Inu Abruzzo si svolge secondoun duplice percorso, che possa, da unlato, descrivere gli interventi sul turi-smo sostenibile avviati nelle diversearee della regione, d’altro lato confe-rire a tali interventi una dimensioneallargata, sovra-regionale, nazionaleed europea. Ricostruendone la storia,le relazioni con il tessuto locale, cer-cando di portarne alla luce le dinami-che meno conosciute e più cariche diimplicazioni per i prossimi indirizzidella programmazione regionale, nelloscenario più strutturato della pro-grammazione europea. Cercando dicomprendere il rapporto tra vocazionee produzione turistica locale e conver-tirlo in risorse di sviluppo per il futu-ro della regione. Al momento la rifles-sione si articola sia attraverso l’osser-vazione delle esperienze pilota, incorso nei borghi storici delle monta-gne aquilane: il paese albergo diSanto Stefano di Sessanio o laFondazione di Bolognano, sia attra-verso lo studio delle nuove dinamichee dei nuovi valori introdotti dai flussituristici in alcuni comuni costieri,come: Martinsicuro o Alba Adriatica.Più sullo sfondo sono tenuti i capo-luoghi o le aree protette, luoghi di unturismo più tradizionale e conosciuto.

flussi europei del turismo organizzato,pur rimanendo in una dimensione dinicchia, rispetto ad altre regioniadriatiche o centro-meridionali7. Oggiil turismo in Abruzzo sembra accredi-tarsi sia come un’occasione importan-te di crescita per l’economia locale,segnata da un’instabile terziarizzazio-ne produttiva8, sia come l’elemento diuna strategia di rinnovamento del-l’immagine regionale, sulla scenanazionale ed europea, sia come unostrumento di trasformazione di cittàed aree attrezzate o di conservazionedi borghi storici e parchi. In questo senso la sostenibilità deipiani, dei progetti e degli interventi diinteresse turistico si pone, con impor-tanza crescente, agli amministratorilocali, agli esperti di settore ed aglioperatori, aprendo una serie di que-stioni disciplinari non trascurabili. Alcune questioni riguardano le dina-miche culturali, sociali - e sociologi-che - del rapporto più o meno fidu-ciario tra cultura turistica locale econsuetudini di vita importate, e pon-gono la ricerca di autenticità dei luo-ghi come un fattore di cambiamento,in grado di delineare l’intervento dinuovi attori della produzione e del-l’intermediazione turistica e quindi di(re)-inventare l’offerta di servizi,insieme con i turisti e non per ituristi9. In quali luoghi in Abruzzo sistanno sperimentando forme di turi-smo, più o meno sostenibile? Come sipuò ridefinire la sostenibilità rispettoalla società, alla cultura, alle tradizio-ni locali abruzzesi, oltre che all’am-biente ed al paesaggio? Il turismosostenibile abruzzese si configuraanche come una pratica insediativaspecifica o ambisce ad integrarsi conle pratiche più consuete? Altre questioni riguardano la costru-zione delle politiche sostenibili localie hanno a che fare con una logica dicostruzione di reti locali, che mira aconciliare esigenze di sviluppo edimensionamento del luogo - intesocome prodotto - in un mercato il piùpossibile allargato. Quali sono gli ope-ratori privati e le pubbliche ammini-strazioni, che partecipano o intendonopartecipare allo sviluppo turistico delterritorio abruzzese? Esistono reti direlazioni, che agiscono localmente sui

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zazione di strutture ricettive sia collet-tive che individuali (e, al più, sullaaccessibilità) nel convincimento che ladomanda turistica richiedesse unica-mente una piena soddisfazione nelproprio insediamento temporaneo.La modificazione della domanda divacanze - che negli anni settanta eottanta, anche per un maggior benes-sere economico, appare in costanteaumento - riguarda soprattutto la tra-sformazione dei bisogni da questaespressi. Emerge, di conseguenza, undiverso modo di intendere l’interventoturistico, a sua volta connesso adun’accezione più evoluta del concettodi risorsa turistica.La fonte primaria di attrazione turisticasi modifica fino a comprendere, oltrealle caratteristiche ambientali e storico– artistiche, sedimentatesi nel corso deltempo, le attrezzature, le infrastruttureed i servizi (di trasporto, ricettivi, cul-turali, etc.), che divengono essi stessiattrazione turistica. La carenza di ser-vizi e attrezzature o una loro paleseinsufficienza rispetto alla domanda simanifesta non solo come inefficienzadi quel territorio, ma anche comedeterrente alla vocazione turistica, for-mando un vero e proprio impedimentoall’utilizzo delle risorse turistiche “tra-dizionali”, comunque presenti.

Il modello di intervento che si vaaffermando, in sostanza, considera lepreesistenze naturali come punto dipartenza che non esaurisce la defini-zione della tipologia d’offerta turistica.Sono le attrezzature offerte a caratte-rizzare la vacanza ed il loro livello di

Turismo e impatto sullerisorse localiValter Fabietti*

Dopo un lungo periodo pionieristico, ilsettore del turismo ha registrato inItalia, nel corso degli ultimi trent’anni,una significativa trasformazione: da unlato, si è verificato un progressivo slit-tamento del concetto di offerta turisti-ca dalla semplice accoglienza in alber-ghi e residenze private ad un più arti-colato range di servizi turistici tesi afidelizzare la domanda e ad attrarresempre maggiori tipologie di turisti;dall’altro lato, si è maggiormente diffe-renziato e complessificato il profilo didomanda, il cui effetto è stato unaforte frammentazione e specializzazio-ne dell’offerta. Fino a tutti gli anni ’60, l’uso turisticodelle risorse locali, quelle storico cultu-rali ma anche quelle ambientali, consi-steva nello sfruttamento intensivo dellepeculiarità del territorio senza troppopreoccuparsi di quanto era (o, meglio,avrebbe potuto essere) offerto “inaggiunta”. L’azione di promozione siconcentrava prevalentemente sullaresidenzialità turistica, sebbene nonfossero del tutto assenti casi esemplaridi marketing turistico ante litteram. Lo schema dominante di intervento eraorientato a sfruttare la presenza dirisorse naturali e storiche come fattoreprimario di attrazione turistica: la con-formazione del territorio, la presenzadi manufatti e aggregati urbani storicidi riconosciuto valore erano posti allabase dello sviluppo turistico senzaporsi troppe domande sul consumo diquelle fonti di attrazione proprio acausa dell’attività turistica generata.Gli interventi nelle aree “a vocazioneturistica” si concentravano sulla realiz-

come gli interventi, mirati a sostenerel’economia locale, siano diventatiun’occasione per allargare le relazionitra l’Abruzzo e le altre regioni italia-ne, posizionando in modo nuovo epiù stabile la regione nello scenariodello sviluppo sostenibile europeo.

*Direttivo Inu Abruzzo e Molise / UniversitàG.d’Annunzio Chieti e Pescara.

Note1. Il Gruppo di Studio Inu Abruzzo e Molise sul turi-smo sostenibile è coordinato dal prof.Valter Fabiettie costituito da Valentina Carpitella, Mauro D’Inceccoe Raffaella Radoccia, reciprocamente autori e cura-trice degli articoli di questa sezione di UI. 2. Tra le altre una ricerca significativa sulle implica-zioni del turismo sostenibile nella programmazioneregionale è stata svolta da Arpav (Agenzia Regionaleper la Prevenzione e Protezione Ambientale delVeneto) nel 2005: Arpav (a cura di) A proposito di…turismo sostenibile Padova 2005. 3. Cfr. R.Camagni, M.C.Gibelli, P.Rigamonti (a curadi) I costi collettivi della città dispersa AlineaFirenze 2002. 4. C.Donolo (a cura di) Il futuro delle politiche pub-bliche Mondatori Milano 2006.5. Cfr. P.Guidicini e M.Castrignano (a cura di)Antropologia di un luogo turistico Angeli Milano2002. 6. UnionCamere (a cura di) Rapporto sul Turismo inItalia anno 2005. 7. G.Mauro “Distretti Industriali e crescita economi-ca. Il caso dell’Abruzzo” Cresa 2005. Inoltre Cfr. laletteratura locale e di settore, in particolare le rifles-sioni e le analisi condotte da: P.Landini, G.Mauro,G.Viesti, A.Mutti, S.Piattoni in C.De Felice (a curadi) “Il modello abruzzese. Un caso virtuoso di svi-luppo regionale” Meridiana Cosenza 2001.8. Per i temi del rapporto tra sviluppo locale, tra-sformazioni territoriali e tessuto produttivo inAbruzzo rimando alla mia partecipazione ad occa-sioni di discussione allargata, come: la prima e laseconda Giornata di studi Inu Campania -“Metropoli IN transizione” e “Visioni di territorio” -o alla mia partecipazione al n. 201 di UrbanisticaInformazioni, all’interno della sessione sui distrettiindustriali, curata dal prof. F.D.Moccia. 9. D. Mac Cannell The Tourist. A new Theory of theLeisure Class. University of California Press 1974.

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Urbanistica INFORMAZIONI

traddittori di salvaguardia e crescitaturistica1. In un interessante lavorosvolto dall’Arpav sulla definizione diuna politica sostenibile di sviluppoturistico2 è proposta una strada opera-tiva che, partendo da alcuni assunti diturismo sostenibile3, individua nellaintegrazione e nella pianificazione par-tecipata e condivisa uno dei capisaldiper il perseguimento dellasostenibilità4.

I primi obiettivi che il settore turisticodeve porsi per operare il salto di quali-tà, necessario a divenire un “motore”di sviluppo durevole sono, dunque, ilpotenziamento e la qualificazione -riqualificazione non solo delle struttu-re, ma anche dei protocolli di promo-zione turistica (quale quello promossodal citato progetto “eco label”), chenascano da una azione condivisa disviluppo. Questione particolarmentespinosa, proprio per le attuali caratteri-stiche del settore, tutto orientato versouna offerta parziale e frammentata,magari perché facente capo a diverseamministrazioni locali, a diversi pro-motori privati, a diversi circuiti orga-nizzativi. Un modello più evoluto diimprenditorialità turistica dovrebbe, alcontrario, considerare congiuntamente(nelle due accezioni del termine) lerisorse già esistenti e quelle da realiz-zare, esaltando il carattere del luogonel dotarlo di strutture idonee alla suafruizione, ma al tempo dovrebbe salva-guardare il “capitale” naturale e cultu-rale su cui fonda la propria attivitàattraverso una azione congiunta tra idiversi attori del settore. La concezionepiù evoluta delle risorse turistiche e ilconnesso diverso atteggiarsi dell’inter-vento comportano, va da sé, ancheipotesi di risoluzione del problemadella residenza per turismo meno inva-sive e più legate al tipo di bisogni chela visita ai luoghi intende soddisfare.Tali considerazioni di carattere genera-le valgono tanto più per i luoghi mon-tani o marini, dove i turisti, più che il“costruito”, apprezzano le salvaguardiadei luoghi e la valorizzazione dell’esi-stente e, nel contempo, ricercano strut-ture di servizio che consentano diarricchire le dotazioni naturali. Mavale anche, e sempre più, per gli ambi-ti urbani a quali sempre più spesso si

iniziative e l’azione di adeguate politi-che di intervento, coordinate ad un piùampio livello territoriale: nei diversitentativi compiuti a livello nazionale eregionale di individuare ambiti diattrazione turistica (Distretti, Stl), oltreal ruolo significativo assegnato allacomponente ricettiva, si fa spesso rife-rimento alla capacità di individuarearee d’offerta specializzata in cui unruolo di grande rilievo hanno gli attoridel milieu locale e le loro azioni positi-ve di trasformazione. Il riconoscimento dei beni naturali eculturali come “ambiente turistico”,ovvero la loro considerazione comecomponente, ancorché primaria, dellapromozione e dello sviluppo localeporta con se alcune questioni di nonpoco conto, solo accennate nella primaparte di questo articolo.Il rapporto tra ambiente e turismoappare, in questa peculiare interpreta-zione, di natura conflittuale e coopera-tiva al tempo stesso: i beni naturali eculturali sono una delle componenti disviluppo, ma allo tempo stesso lo svi-luppo generato dal turismo esercita sudi essi un impatto negativo, spessoanche di rilevante intensità. Impattoche non si limita al solo “uso” da partedei turisti dei beni attrattori, ma siamplifica nel processo di valorizzazio-ne che, perseguendo una maggioreattrattività di mercato, tende a realiz-zare strutture ed attrezzature, infra-strutture e servizi, concentrati proprionelle aree più sensibili. Si pensi, adesempio, agli interventi in area monta-na o nelle aree costiere, ma anche alsovraccarico di servizi (privati) nelleparti urbane più turistiche e alla conse-guente congestione, di molto superiorealla loro capacità di sopportazione(carriyng capacity), di quelle porzionidi città.Coniugare ambiente e turismo, cercan-do di perseguire una migliore vivibilitàed una maggiore durevolezza dei benituristici (in una parola una “sostenibi-lità” del turismo) richiede di porre inessere azioni a “somma positiva” in cuisia lo sviluppo, sia la conservazione,risultino vincenti. A fronte di questoapparente ossimoro, stanno emergendoesperienze di promozione e gestioneturistica che tentano di perseguire con-temporaneamente i due obiettivi con-

specializzazione diviene un fattoredeterminante di attrattività sul merca-to. Gli elementi che fungevano da sup-porto alla fruizione di risorse primariefanno ora premio sulle risorse, riuscen-do a generare essi stessi attività turisti-ca e divenendo, pertanto, settore pro-duttivo.Nell’intervento turistico si è così regi-strato il graduale passaggio da unalogica puramente speculativa, legata aidifferenziali di valori naturali e/o cul-turali, ad una logica imprenditorialelegata alla produzione di risorse turisti-che (attrezzature, servizi, infrastrutture)ormai in fase molto avanzata.Elemento centrale di questa logica dipromozione turistica è dunque il tradeoff tra risorse (naturali o culturali) eintervento turistico, logica che porta aridimensionare il peso attribuibile alla“eccezionalità” dei luoghi aprendo, percontro, un nuovo “spazio turistico” peraree non contrassegnate in origine da“unicità” ma che a parità di “valoreestetico” con altri luoghi divengonopiù attraenti in virtù della qualità edella diversificazione dei servizi offerti.Interventi in tal senso appaiono, inuna visione economica del turismo,ancor più giustificati ove si considerila diversificazione subìta dalle esigenzedegli utenti, per vari motivi sempre piùorientati a forme di godimento attivodelle risorse turistiche, piuttosto che,come in passato, a vacanze di tipocontemplativo.La promozione turistica di un’area cherisponda alle esigenze cui ora si èaccennato comporta una valorizzazio-ne delle risorse presenti nell’area stessao la creazione di nuove, soprattutto sele prime non sono agevolmente fruibilio, addirittura, scarsamente attrattive.

Ambiente turistico e turismoconsumatore d’ambiente

Affinché le potenzialità turistiche pos-sano esprimersi è necessario farneemergere le “qualità nascoste”, conun’azione coordinata di promozione evalorizzazione in grado di attivarecongiuntamente risorse umane, territo-riali ed economiche. La sempre più evi-dente trasformazione in senso produtti-vo del settore turistico rende, infatti,necessaria la programmazione delle

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dimensione sovra-regionale (Dd. mm 18novembre 2003 e 11 novembre 2004),ma che, localmente, possono essere pro-mossi da enti pubblici e soggetti privatiattraverso la concertazione tra enti fun-zionali, associazioni di categoria e sog-getti pubblici e privati.L’Abruzzo, accanto al consolidatoambiente turistico costiero, a quello scii-stico ed alla quota crescente di turismoche investe le città capoluogo, presentaoggi alcune risorse diffuse che sonometa di un turismo specializzato, esito,da un lato, di operazioni di riqualifica-zione urbana e territoriale o di promo-zione delle risorse locali condotte da pri-vati, dall’altro di processi guidati dagliEnti Locali per sviluppare percorsi dipromozione delle specificità locali edinnalzare la qualità ambientale del pro-dotto turistico. A titolo esemplificativo,nel primo tipo di azioni rientra l’espe-rienza di Santo Stefano di Sessanio, incui un imprenditore privato ha investitonel recupero dell’antico borgo spopolatotrasformandolo in un albergo diffuso,attraverso un restauro conservativo; maanche l’esperienza maturata nel settoredella cultura, e dell’arte contemporaneain particolare, attraverso la costruzionedi centri come la Fondazione Il luogodella Natura. Servizi e magazzini dellapiantagione Paradise a Bolognino3. Nelsecondo alcuni comuni costieri(Abbateggio, Alba Adriatica, Giulianova,Martinsicuro, Tortoreto, Villa Rosa) chehanno aderito ad Ecolabel4 attraverso lapartecipazione a progetti promossi daLegambiente. Si tratta di strutture priva-te (camping e alberghi) che attraversol’impegno nella riduzione degli impatti

Risorse e turismo sostenibileValentina Carpitella*

Negli ultimi anni si è assistito ad un cre-scente interesse da un lato rivolto all’or-ganizzazione e coordinamento di sog-getti economici che operano nel settoreturistico, dall’altro alla messa in rete delterritorio e delle risorse in esso presential fine di accrescerne il potenziale attrat-tivo ed assicurarne lo sviluppo sostenibi-le.Questo processo risponde ad una serie ditendenze in atto: l’affermarsi di pro-grammi di sviluppo su base territorialeper coinvolgere maggiormente le realtàlocali; il mutamento delle condizioni dimercato che, per una varietà di fattori1,determinano la necessità di integrazionetra fattori di offerta per competere suimercati internazionali; la crescente con-divisione da parte dei vari soggetti coin-volti e in generale dell’opinione pubblicadel concetto di turismo sostenibile, inte-so come “ecologicamente sostenibile nellungo periodo, economicamente conve-niente, eticamente e socialmente equonei riguardi delle comunità locali”2.Gli elementi citati candidano di fatto lereti locali di offerta integrate territorial-mente, ed i sistemi turistici locali in par-ticolare, a strumenti per riorientare eriorganizzare le risorse presenti su unterritorio secondo i criteri della sosteni-bilità. Il Sistema Turistico Locale è definitodalla legge 135 del 2001 come contestoturistico “omogeneo e integrato” in cuisi offrono al turista risorse culturali,ambientali, legate alle produzioni localio connotato dalla forte presenza diimprese turistiche singole o associate.Sistemi Turistici Locali che, al livellonazionale, vengono finanziati se di

richiede un carattere intimo, familiare,d’antan.

Nell’utilizzo ottimale delle risorse loca-li, un’accorta politica turistica devevalorizzare l’esistente per promuovereuno sviluppo “compatibile” non perse-guendo solo gli effetti reddituali del-l’investimento bensì, in considerazionedei valori e delle risorse da privilegia-re, anche concorrere alla determinazio-ne delle stesse modalità di attuazionedegli interventi, nella consapevolezzache opere che causassero modifichesostanziali o comunque non rispettosedell’ambiente determinerebbero danniirreversibili. E proprio nel duplicescopo di un intervento sono rintraccia-bili nuove prospettive per aree ambien-tali caratterizzate da deboli equilibriecologici, dalla presenza di risorse sen-sibili così come per aree meno dotatedi caratteri “eccellenti”: la possibilità diperseguire obiettivi molteplici attraver-so singoli interventi (ancorché connessitra loro) rappresenta indubbiamenteuna modificazione di atteggiamentorispetto al passato, ma ancora di più loè il passaggio da un’ottica di promo-zione di mercato delle aree turistichead una territorialista e, per dirlomeglio, di governo del turismo.

*Ordinario di Urbanistica Università G.D’AnnunzioChieti-Pescara.

Note1. Si pensi, ad esempio, all’esperienza cheLegambiente turismo sta conducendo con il progettoEco Label o alle attività Unep1, orientate alla defini-zione, attraverso un Piano d’Azione per ilMediterraneo, di una metodologia di analisi (carryingcapacity assessment) per un processo di pianificazionee di gestione sostenibile del turismo. 2. “A proposito di ...Turismo Sostenibile” a cura dell’AAgenzia regionale per la Prevenzione e Protezioneambientale del Veneto, disponibile sul sito Internetdell’Arpav (www.arpa.veneto.it).3. “Le attività turistiche sono sostenibili quando sisviluppano in modo tale da mantenersi vitali in un’a-rea turistica per un tempo illimitato, non alteranol’ambiente (naturale, sociale ed artistico) e non osta-colano o inibiscono lo sviluppo di altre attività socialied economiche” definizione formulata dallaOrganizzazione mondiale del turismo nel 1998.4. Secondo l’Arpav, il turismo è più in generale losviluppo sostenibile deve essere: rispettoso dell’am-biente, durevole, integrato e diversificato, pianificato, economicamentevitale e partecipato, cfr. A proposito di … op cit.

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Urbanistica INFORMAZIONI

qualità dell’offerta di una destinazioneturistica11.Permane la distinzione tra aggregazionisu base territoriale e su base produttiva12,ma, rispetto al passato, la visione propo-sta fa riferimento a pochi Stl “sufficien-temente estesi, potenti per organizzare inmodo adeguato l’offerta, non necessaria-mente a carattere provinciale (diremmoanzi decisamente interprovinciali, ecomunque diretti dall’omogeneità delsistema e non da ambiti preesistenti),alcuni a carattere interregionale”. Lemacroaree su cui il documento si fondasono la costa, l’entroterra e le città, egrande attenzione è rivolta alla promo-zione di un prodotto turistico unicoregionale.Il sistema turistico locale non può dun-que essere autodeterminato dal bassosecondo criteri meramente quantitativi(in tal senso si parla di condizione“necessaria ma non sufficiente”) mapiuttosto essere individuato attraverso ilricorso ad un approccio “mediato”, ossiaesito del confronto tra Regione e sistemilocali, fra pre-candidature manifeste eanalisi delle opportunità condotte subasi scientifiche. Fine ultimo è quello dinon differenziare il prodotto turisticoregionale proponendolo separatamentesui mercati, ma di arricchirlo attraversol’individuazione di sub-aree dotate dispecifica identità. Per tale motivo nonc’è contribuzione della Regione perquanto attiene marketing e spese di fun-zionamento interno del Stl, mentre risul-tano ammissibili tutte le spese tese adampliare progetti e azioni previsti nelprogramma di interevento.Nonostante il più volte riconosciutoopportunismo delle aggregazioni volon-tarie su base territoriale, è da sottolinea-re come la creazione di reti di connes-sione tra risorse contigue presenti sulterritorio regionale rappresenti un’oppor-tunità per Enti pubblici e operatori pri-vati, sia per costruire un sistema diofferta maggiormente competitivo cheper qualificare il prodotto turistico. Ciòche, a partire dal quadro delineato,potrebbe rappresentare un’opportunitàda non lasciarsi sfuggire, è la costituzio-ne di consorzi su base territoriale cheinizino autonomamente il proprio per-corso, “agganciandosi” ad occasioni chevia via gli si presentino. L’ipotesi consi-ste nella possibilità, successiva alla

turismo come asse strategico dello svi-luppo locale”. Tra gli elementi da stimarequantitativamente per la costituzionedegli Stl sono compresi la coerenzarispetto ai documenti di programmazio-ne regionale, la presenza di un’adeguatadimensione territoriale, la contiguità deiComuni coinvolti (almeno sette), la con-sistenza del sistema ricettivo stimatoattorno ai 3000 posti letto, la partecipa-zione in maggioranza degli operatori delsettore.Ad una prima fase caratterizzata daalcune proposte di promozione dal bassodi reti integrate di offerta (il riferimentoè al caso del Sistema Turistico LocaleAbruzzo italico cuore dell’Appennino),che però non hanno avuto ancora esito,è seguita una notevole variazione dell’o-rientamento regionale sul tema inesame.Al progetto per la costituzione delSistema Turistico Locale Abruzzo italicopartecipano la Comunità Montana AltoSangro e Altopiano delle Cinquemiglia9,la Comunità Montana Peligna10 ed ilComune di Sulmona. Il piano di svilup-po turistico per il riconoscimento del Stlè del Giugno 2005 e prevede, per la suacostituzione, il ricorso alla Conferenzadei Servizi, che è incaricata, tra l’altro, diformalizzare la costituzione del SistemaTuristico Locale, concertare le azioni diprogrammazione dello sviluppo turistico,definire il progetto di sviluppo, promuo-vere e realizzare l’Agenzia turistica (verofulcro della proposta). Quest’ultima èconcepita come Consorzio Locale di ope-ratori pubblici e privati ed ha comeobiettivi la valorizzazione delle risorsedisponibili, la creazione di un’immagineunitaria del Sistema turistico locale, ilconsolidamento e la creazione di unaRete di accoglienza e informazione.Tuttavia nel piano triennale di sviluppoturistico 2006-2008 della RegioneAbruzzo i Sistemi turistici locali perdonocentralità nella programmazione regio-nale. Ciò avviene nonostante tra i puntidi debolezza del settore si individui ilrallentamento “del processo di integra-zione tra gli operatori sotto forma diconsorzi, club, catene di marchio, prassidi qualità” ed il mancato decollo delprocesso di integrazione territorialeattraverso il ricorso ai Sistemi turisticilocali. E sebbene l’integrazione-aggrega-zione sia considerata essenziale per la

ambientali e nella promozione delle spe-cificità locali, vogliono dare vita a per-corsi di valorizzazione dell’offerta turi-stica. Sulle stesse finalità l’iniziativalegata al recupero del centro storico diAnversa degli Abruzzi5, tra ecocompati-bilità e promozione dello sviluppo turi-stico; azione affiancata dalla proposizio-ne di un concorso per la progettazionedi oggetti e manufatti di uso pubblico dalocalizzare nell’Oasi Wwf delle Gole delSagittario.Dunque se sul territorio esistono iniziati-ve locali promosse per rendere maggior-mente sostenibile lo sviluppo turistico,altrettanto non si può dire per la crea-zione di ambiti di offerta più estesi cherenderebbero maggiormente competitivoil settore e, allo stesso tempo, permette-rebbero il riorientamento della promo-zione delle risorse secondo i criteri dellasostenibilità. Eppure, dopo un primo riconoscimento6

da parte della Regione di cinque macro-distretti7 accanto ad ambiti legati daun’integrazione di prodotto8, la leggeregionale abruzzese n°17 del 2004 defi-nisce puntualmente i Sistemi TuristiciLocali e ne esplicita modalità organizza-tive e opportunità di finanziamento. Inparticolare la legge definisce i soggettipartecipanti (pubblici e privati diretta-mente operanti nel settore turistico edimprese attive nei settori collegati –commercio, agricoltura, artigianato eservizi), la necessità del riconoscimentoda parte della Regione degli STL peraccedere a contribuzioni previste daglistrumenti di programmazione ordinariae straordinaria, le finalità dei progetti.Queste ultime riguardano, tra l’altro, laqualificazione del sistema di accoglienza,l’informazione e assistenza ai turisti, ilpotenziamento dell’offerta turistica e lariqualificazione urbana e territorialeattraverso interventi intersettoriali edinfrastrutturali, la promozione di certifi-cazioni di qualità ed ecologiche e del-l’immagine del prodotto turistico locale.Il Decreto della Giunta Regionale 175del 2005 “Linee di indirizzo e procedureper il riconoscimento degli Stl” ne indi-vidua due tipologie: quelli legati ad areeturisticamente sviluppate e con diffusapresenza di servizi turistici e quelli rela-tivi ad aree a vocazione turistica chepresentino un grado di sviluppo nonancora soddisfacente “che scelgano il

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creta di questa impostazione “meccani-cistica”, il cui principale limite è quellodi ritenere che la forma organizzativadistrettuale contenga in sé la capacitàdi generare sviluppo locale, mentreessa rappresenta invece semmai l’im-pronta organizzativa di una vitalitàproduttiva e sociale che, come ci inse-gna la letteratura ormai classica sul-l’argomento, preesiste ad essa e le dàforma e contenuto. Se il modello diorganizzazione distrettuale avesse unqualche senso nel campo della valoriz-zazione, quegli stessi territori chehanno dato vita ai distretti industriali,e che spesso comprendono aree ad altadensità di patrimonio culturale, avreb-bero con naturalezza trasferito compe-tenze imprenditoriali ormai consolidateai nuovi campi di attività. Se questonon è avvenuto, è perché semmai leopportunità connesse alla valorizzazio-ne economica della cultura, lungi dalpotersi conformare meccanicamente almodello distrettuale, presentano pro-blemi del tutto analoghi a quelli chehanno contribuito alla messa in crisidel modello stesso del distretto.Sappiamo ormai fin troppo bene che laconcorrenza dei paesi emergenti richie-de alle realtà socio-economicamentepiù avanzate di mantenere sul proprioterritorio soltanto le attività di filierapiù direttamente connesse alla direzio-nalità, all’innovazione e alla creatività,e che anzi la priorità principale è quel-la di una radicale riconversione inno-vativa e creativa dell’intero sistemaeconomico locale. Sappiamo anche chequesto scenario, che richiede capacitàdi investimento e una visione strategi-

Cultura e dinamiche di attrazioneterritorialePier Luigi Sacco*

La crisi del modello del distretto indu-striale porta con sé nuovi interrogativie nuove sfide. In varie occasioni si èsostenuto che a fronte del declino pro-duttivo del paese, una possibile viad’uscita andasse trovata in una riedi-zione del modello distrettuale, applica-ta questa volta al “tesoro nascosto”dell’Italia: il suo patrimonio culturale.Nasce così l’idea del distretto culturalecome prolungamento della logica deldistretto al settore della valorizzazioneturistica dei beni culturali, rispetto aiquali l’Italia potrebbe vantare una“posizione dominante” in termini didotazione a fronte del progressivoindebolimento dei fattori di vantaggiocompetitivo in altri settori. Al di làdegli ingenui quanto vaghi trionfalismicirca un supposto primato culturale diun paese che ha un livello di sviluppoumano tra i più bassi del mondo indu-strializzato, questa rivisitazione delmodello distrettuale, purtroppo, non hafondamento: il distretto “classico” èbasato sulla produzione di beni, mentrela valorizzazione ha a che fare soprat-tutto con i servizi (a meno che non sivoglia seriamente sostenere che il mer-chandising culturale e l’artigianatoartistico possano creare economie ana-loghe a quelle del tessile o della mec-canica); inoltre, i distretti industrialinascevano per auto-organizzazionedelle forze imprenditoriali locali, men-tre il distretto culturale nasce comeoperazione esterna alle logiche e spes-so agli attori del territorio. Differenzenon banali, che spiegano le deludentiricadute economiche dei pure nonnumerosi esempi di applicazione con-

costruzione di reti di operatori eAmministrazioni Locali, di strutturareagenzie di sviluppo turistico dal basso,per promuovere migliori condizioni diofferta ed un’immagine territoriale fon-data sulla sostenibilità, dunque ricono-scibile e costruita su valori identitari.

*Università Gd’A Chieti-Pescara.

Note1. Come evidenziato da F. Pollice, tra questi rientrano lapredilezione per aree turistiche a forte integrazione diofferta e lo spostamento della competizione turistica cheoggi non si configura più tra operatori appartenenti almedesimo contesto territoriale ma a regioni con sistemidi offerta simili. F. Pollice, I territori del turismo. Unalettura geografica delle politiche del turismo, FrancoAngeli, Milano, 2002.2. Secondo la definizione proposta dall’art.1 della Cartadi Lanzarote.3. Il dibattito sulla presenza diffusa in Abruzzo, esoprattutto nella Provincia di Pescara, di strutture perl’arte contemporanea e di artisti (come documentatodalla mostra I love Abruzzo, curata da A. Rosica e M.Scuderi nel 2006) è di grande attualità ed ha dato luogoad una serie di proposte. Tra le ipotesi quella “di pensa-re ad un laboratorio diffuso sul territorio come sistemacostituito da punti diversamente specializzati” (M.Scuderi, Segnali certi, certissimi anzi probabili, in FlashArt n. 257 del 2006). Uno studio di fattibilità consisten-te sulla possibilità di costituire un distretto culturale èstato condotto dalla società Goodwill e coordinato daPier Luigi Sacco per la Fondazione Pescara-Abruzzo.4. E’ da sottolineare come l’attuale piano di sviluppoturistico regionale preveda tra le iniziative finanziabilil’adesione ad iniziative di marchi di qualità per le risor-se territoriali, ad alta visibilità nazionale ed europea.5. Convenzione tra Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara, Comune, Wwf, Riserva naturale regionale Goledel Sagittario.6. Si fa qui riferimento al documento “Linee di sviluppodel turismo in Abruzzo – triennio 2000-2002”, in cui siintroduce la necessità dei distretti turistici integrati ter-ritorialmente o tipologicamente.7. Si tratta della Costa teramana ed entroterra limitrofo;della Costa chietina ed entrotrerra limitrofo; del ParcoNazionale d’Abruzzo/Altipiani Maggiori/Parco Nazionaledella Maiella; dell’Asse L’Aquila-Teramo/Altopiano delleRocche/Gran Sasso-Laga; dell’area metropolitanaPescara-Chieti.8. Costa (prodotti: balneare, sportivo, affari); Parchi(prodotti: naturalismo, sportivo, relax estivo); Neve(prodotti: sci, relax inverno); luoghi d’arte, cultura ereligione (prodotti: città d’arte, religioso, eventi); turi-smo rurale (prodotti: agriturismo, eno-gastronomia,laghi, artigianato e tradizioni).9. Comuni di Alfedena, Ateleta, Barrea, Castel diSangro, Civitella Alfedena, Opi, Pescasseroli,Pescocostanzo, Rivisondoli, Rocca Pia, Roccaraso,Scontrone, Villetta Barrea.10. Comuni: Anversa degli Abruzzi, Bugnara, Campo diGiove, Cansano, Cocullo, Corfinio, Introdacqua,Pacentro, Pettorano sul Gizio, Pratola Peligna, Prezza,Raiano, Roccacasale, Scanno, Villalalgo, Vittorito.11. Lo stesso documento individua tale variabile comeessenziale affinché il sistema non risulti “scollegato,povero di valore aggiunto e di servizi, incapace di pro-durre più valore per gli ospiti”.12. Anche se, in questo caso, si specifica la differenzia-zione tra natura omogenea e riferita ad una specificaarea locale, eterogenea e riferita ad una specifica arealocale, omogenea o eterogenea e su base regionale ointerregionale ma riferita ad uno specifico prodotto-seg-mento.

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Il museo è senz’altro una delle realtàsu cui si concentrano più speranzequando si pensa ad un nuovo modellodi distretto culturale che sappia inseri-re i meccanismi dell’offerta culturaleall’interno di uno scenario vitale ecompetitivo di sviluppo economicolocale. Ma se il museo non può avereall’interno del modello distrettuale ilruolo di centro di profitto, quale ruolopuò svolgere in concreto? Una casisti-ca internazionale ormai ampia mostracome il museo abbia due funzioniimportanti all’interno del sistemadistrettuale: quella di attrattore e quel-la di attivatore. Il museo di arte con-temporanea si presta particolarmente asvolgere queste funzioni in quantoesso diventa il luogo in cui si esprimecon la massima compiutezza ed effica-cia tutto il mondo simbolico su cui sicostruiscono le moderne catene delvalore: in altre parole, nel museo sirealizzano proprio quelle condizioniideali da ‘laboratorio di ricerca e svi-luppo’ in cui si elaborano e divengonoaccessibili, al di fuori di immediatiobiettivi commerciali, tutte le declina-zioni più interessanti ed innovativedell’universo simbolico della culturacontemporanea, che vengono poi‘metabolizzate’ all’interno della propriacatena del valore dal sistema produtti-vo, generando idee di comunicazione,di design, di packaging ma anchemodelli relazionali, stili di vita, idee diprodotto: né più né meno che il panequotidiano dell’azienda post-industrialedal cui successo competitivo dipende ilfuturo delle nostre economie e dellenostre società. Da un lato, il museo agisce comeattrattore nella misura in cui è ingrado di aumentare la visibilità delsistema locale a cui appartiene, contri-buendo all’orientamento di flussi turi-stici, di decisioni di investimento, dicopertura mediatica ecc., tutte risorsepreziose nei moderni processi di svi-luppo locale. Limitandoci soltanto acasi europei, il Guggenheim Bilbao, laTate Modern a Londra, il nostro MART,il KIASMA di Helsinki sono tutti esem-pi di musei con una chiara vocazionedi attrattore. Dall’altro, il museo agisce come attiva-tore nella misura in cui le sue iniziati-ve e i suoi contenuti sollecitano l’e-

Rotterdam o Lille, due esempi recentidi Città Europee della Cultura (nel 2001e 2004, rispettivamente) che grazie alperseguimento di strategie particolar-mente innovative di infrastrutturazioneculturale finalizzata allo sviluppo delleindustrie creative hanno acquistatouna centralità economica determinantenelle rispettive euroregioni, attuandocon pieno successo una riconversionepost-industriale di sistemi produttiviun tempo essenzialmente legati allagrande industria pesante.Nasce così quella che potremmo chia-mare la prospettiva del distretto cultu-rale evoluto: un modello distrettualedel tutto nuovo, nel quale il genius locisi manifesta non nella specializzazionemono-filiera ma nell’integrazione crea-tiva di molte filiere differenti, e in cuila cultura non ha valore in quanto creaprofitti ma perché aiuta la società adorientarsi verso nuovi modelli di usodel tempo e delle risorse (come quellidescritti da Richard Florida nel suocelebre libro sull’ascesa della classecreativa) e così facendo produce a suavolta economie. E’ il passaggio dalmodello dissociato, tipico del contestoitaliano, della cultura per i turisti almodello della cultura per i residenti,che non esclude il turismo culturalema lo integra in una catena del valorepiù ampia e più solida che non rinnegail passato industriale ma contribuisce aringiovanirne la visione e le prospetti-ve strategiche.La cultura agisce dunque nel nuovoscenario post-industriale come un veroe proprio ‘agente sinergico’ che inqua-dra i singoli interventi in una ridefini-zione complessiva dell’identità delsistema urbano e delle comunità che loabitano. Le varie iniziative culturalidiventano un linguaggio che, coinvol-gendo profondamente la dimensionerazionale come quella emotiva, aiuta icittadini a capire come la trasformazio-ne della città implichi una potenzialetrasformazione delle possibilità di vita,delle opportunità professionali, degliobiettivi esistenziali da perseguire. Lacultura è sempre di più un laboratoriodi idee che procede con una logicasimile a quella della ricerca scientifica:apre nuove possibilità di senso, indicanuovi modelli di comportamento, diazione, di interpretazione del mondo.

ca sofisticata e orientata ai risultati dimedio-lungo termine, si scontra con lalogica della piccola e media impresafamiliare distrettuale orientata al brevetermine e capace di concepire l’innova-zione più che altro come piccolimiglioramenti incrementali di prodottie di processi già esistenti. E’ possibilerivitalizzare il modello distrettuale inmodo da permettergli di fronteggiare lenuove sfide dell’innovazione radicale enon più incrementale? Se dobbiamoguardare alle esperienze internazionalipiù avanzate in questo senso, dobbia-mo constatare che è proprio la culturaa giocare un ruolo di primo piano, eche il ruolo economico della cultura vacercato anche e soprattutto nella capa-cità di rendere questi processi di ricon-versione creativa ed innovativa social-mente sostenibili nel lungo termine: lacultura è cioè un fattore di sistema lacui funzione è quella di creare nuovemodalità di interfacciamento e nuovecomplementarità produttive tra quelle“teste” di filiere diverse che identifica-no il nuovo modello di specializzazio-ne territoriale, e che sono accomunateda una stessa tensione verso l’esplora-zione del nuovo e la capacità di cana-lizzarlo in una cultura di processo e diprodotto. Se le esperienze di consumoculturale si sedimentano profondamen-te nei modelli di comportamento enelle aspettative di qualità della vitadella comunità locale, allora il territo-rio riesce a manifestare una costantetensione verso l’innovazione e la crea-tività di cui beneficiano tutti i settoriad alta intensità di conoscenza. E aquesto punto anche l’industria cultura-le locale diviene un possibile centro diprofitti, come accade ad esempio inuna città come Montreal in cui nonsoltanto grandi eventi culturali come ilFestival del Jazz divengono colonneportanti dell’economia locale, ma incui un’istituzione culturale come ilCirque du Soleil cresce fino a diventarela più importante multinazionale delpaese e diviene il fulcro di un progettodi riurbanizzazione di un’area social-mente critica straordinariamente inno-vativo che abbina i temi della forma-zione e dell’orientamento professionale,dell’integrazione multiculturale, delrecupero ambientale e del risparmioenergetico. O come accade a città come

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Europea per lo Sviluppo Sostenibile(2001) ed infine gli sforzi compiuti permettere a punto i documenti prepara-tori per la costituzione dell’Agenda 21per il turismo sostenibile.

I “progetti pilota” per la mobilità

Nell’ambito delle politiche di settorespecificatamente individuate dallaCarta di Rimini, al fine di perseguire ilsuo obiettivo di fondo e prioritario, lamobilità assume un ruolo certamentenon irrilevante. Il documento sottoli-nea con determinazione l’importanzadi attuare azioni specifiche finalizzateal sostegno ed alla realizzazione di“progetti pilota” locali. La finalità ètesa a dimostrare l’esistenza delle con-dizioni di fattibilità per l’adozione disistemi di trasporto e modelli di eserci-zio, da impiegare anche nell’ambito delTPL, alternativi e sostenibili a parità dicaratteristiche prestazionali (efficienzaed efficacia). Analizzare in questa sedetutti i “progetti pilota” rischia didiventare tediante e per giunta nonesaustivo, tuttavia è possibile menzio-narne alcuni. Una prima proposta è destinata adindividuare una pluralità di azionisistematiche, da perseguirsi ai varilivelli di governo del territorio (euro-peo, nazionale e locale), facenti levasul sistema tassativo e tariffario deitrasporti conformemente a quantodefinito dalla Strategia dell’UnioneEuropea per lo Sviluppo Sostenibile. Inparticolare, per quanto concerne lemodalità e le tariffe per il soggiorno elo spostamento delle presenze turisti-che sul territorio viene messa in atto

Turisti e mobilitàMauro D’Incecco*

Sono ormai trascorsi ben cinque annidalla Conferenza internazionale sulturismo sostenibile che si tenne aRimini nell’anno 2001 ed il tema sem-bra aver assunto una portata di estre-ma rilevanza. Il risultato dei lavorisvolti venne ricondotto nell’ambitodella “Carta di Rimini”, per l’appunto,che raccoglie gli obiettivi, le linee diindirizzo e le proposte orientate all’a-zione, adottate da tutti i partners, isti-tuzionali e non, che parteciparonoall’evento (Provincia di Rimini,Regione Emilia Romagna ed un nutritogruppo di rappresentanti d’interessiadespoti).La Conferenza e la sua Carta rappre-sentarono certamente un eventoimportante per l’Italia poiché sancironol’apertura del territorio nazionale ad untema emergente dando seguito aglisforzi già compiuti in altre Conferenzee dalle precedenti Carte prodotte inambito internazionale: la Conferenzainternazionale di Lanzarote (1995); laConferenza internazionale di Calvià(1997); il Congresso internazionale diSant Feliu de Guixols (1998); il CodiceGlobale di Etica per il Turismo (1999)prodotto dal World TourismOrganisation; il Mediterranean ActionPlan on Tourism (1999)**; la TourOperators Iniziative, in partnership traUNEP, WTO e UNESCO.Anche, la Commissione Europea ebbeoccasione di definire una pluralità distrategie destinate all’uso turisticocompatibile del territorio. È possibilericordare la Strategia Europea sullaGestione Integrata delle Zone Costiere- ICZM (2000), la Strategia dell’Unione

mergere di nuovi progetti imprendito-riali, la formazione e la selezione dinuove professionalità, il varo di pro-getti di responsabilità sociale rivoltialla comunità, la rilocalizzazione diattività produttive e residenziali all’in-terno del sistema urbano. Esempi dimusei-attivatori, sempre restando nelcontesto europeo, sono Ars Electronicaa Linz, Baltic a Gateshead, il Palais deTokyo a Parigi, il CAC a Vilnius.In tutti i casi di studio di successo,tanto quando emerge con particolareforza la funzione-attrattore che quella–attivatore, si nota chiaramente che,accanto alla necessaria capacità dicatalizzare energie e risorse provenien-ti dal di fuori del contesto locale, ilmuseo riesce con successo a mobilitaree coinvolgere attivamente anche ilpubblico e le risorse economiche delsistema locale che lo esprime. In altreparole, il museo che ‘funziona’, a pre-scindere dalla sua vocazione e dallesue caratteristiche specifiche, è unmuseo che è vissuto e utilizzato comerisorsa in primo luogo da coloro che,vivendo nella città o nel sistemametropolitano che lo ospita, godono dicondizioni fisiche di accesso facilitatee privilegiate. Piuttosto che inseguireformule predefinite, accorre allora farein modo che sia il dialogo tra il museoe il suo territorio a definire il modellodi uso dello spazio e dei tempi delmuseo stesso. Un dialogo che presup-pone un forte investimento del territo-rio in una crescita delle proprie com-petenze culturali, della propria capacitàprogettuale, dell’apertura al nuovo ealle esperienze internazionali.

*Ordinario di Politica Economica IUAV Venezia.

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AZIONI ATTORIATTORIEffettuare una mappatura dei percorsi e dei Comuni, Associazioni ambientalistepunti di interesse anche attraverso latabellazione dei percorsi e un’appropriatamanutenzione.

Rendere maggiormente fruibili i percorsi Comuni, Associazioni ambientalisteesistenti nei Parchi attraverso adeguatacartellonistica, pubblicizzazione conmanifesti e cartine collocate nei percorsitracciati.

Creare percorsi alternativi a quelli classificati Comuni, Associazioni ambientalistecon finalità culturali alternative.

Realizzare un uso integrato e razionalizzato Comuni, Associazioni ambientalistedei mezzi pubblici treno e bus ecologico.

Potenziare i mezzi pubblici (città-casa, Provincia (collegamento fra i città-città, città-stazioni parco, città-paesi) comuni), Comuni, Società difavorendone la maggiore frequenza e trasportocapacità oraria.

Regolamentare l’accessibilità dei Comuniluoghi turistici.

Incentivare l’uso dei parcheggi scambiatori Comunie navette a metano e limitare l’accessibilitàdiretta ai luoghi turistici con l’auto privata.

Estendere servizio “bici-sharing” Comuniagli altri comuni.

Vietare il transito alle auto private nei Comune, Provincia, Universitàtratti stradali ambientalmente eculturalmente significativi prevedendo e vie d’acqua.

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microregione di Szentl?rinc (Ungheria),prevede, nell’ambito delle varie areed’implementazione, anche una speri-mentazione nell’ambito della ComunitàMontana del Medio Sangro “Zona R”.È opportuno segnalare in fine un ulti-mo progetto pilota che riguarda ilsostegno alla realizzazione di reti inte-grate di mobilità pedonale e ciclabilenell’ambito delle città e dei territorilimitrofi.Dai “progetti pilota” derivanti dallaCarta di Rimini, seppur brevementecitati, è possibile desumere una serie diobiettivi di rilevanza strategica da per-seguirsi per un uso durevole delle risor-se impiegate nel settore del turismo.

sono state le esperienze messe in attonegli ultimi anni attraverso il DemandResposive Sistem, tuttavia il servizio haperlopiù riguardato l’integrazione tra-sportistica nelle aree periurbane.Diversamente, un tentativo di speri-mentazione in ambiti rurali a bassadensità abitativa e a vocazione turisti-ca è stato recentemente attivato attra-verso un PIC Interreg denominato“TWIST - Transport WIth a SocialTarget” di cui la Regione Abruzzo èLead Partner. Il progetto, che coinvolgequattro regioni italiane (Marche,Abruzzo , Molise e Puglia), il distrettodell’Oberhavel (Berlino-Brandegurgo),la Prefettura di Joannina (Grecia) e la

una politica promozionale di pacchettiintegrativi dei servizi erogati che si statentando di sperimentare anche inAbruzzo, almeno nell’ambito dei com-prensori sciistici.Più in generale, tra le varie propostepresentate, è distinguibile la necessitàdi perseguire il miglioramento dell’at-trattività del trasporto collettivo e abasso impatto ambientale. Ne deriva ilrafforzamento categorico dell’integra-zione e della riduzione delle soluzionidi continuità tra le differenti modalitàdel trasporto pubblico locale. Le moda-lità d’integrazione sono certamentemolteplici e pongono all’attenzione, sial’integrazione infrastrutturale dei siste-mi di trasporto terrestri (gomma, ferroe fune) con quelli aerei e marittimi, sial’integrazione oraria del servizio TPLtramite un coordinamento tra i variambiti amministrativi di programma-zione (regionale, provinciale e sub pro-vinciale). Alla luce di quanto esposto, èpiuttosto evidente che, nell’ambito delturismo, la ricerca dell’integrazionedella mobilità non può che essere cer-cata a partire almeno dalla scalanazionale, tuttavia la Regione Abruzzonon è ultima nel proporre iniziative.Alle soluzioni d’integrazione infrastrut-turale è possibile ascrivere esperienzeeccellenti quali il progetto dello “sky-train” che coniuga, sia l’accessibilitàferroviaria al comprensorio dell’AltoSangro con quella a fune dedicata alBacino sciistico dell’Aremogna attra-verso una fermata di linea in combina-zione con la stazione funiviaria, siauna proposta d’integrazione tariffariatra i servizi sciistici e quelli trasporti-stici. Analogamente sta avvenendo perl’integrazione oraria e tariffaria delTPL, attraverso lo sviluppo del SistemaFerroviario Metropolitano Regionale(SFMR) e del Sistema TariffarioIntegrato Regionale (STIR), senza trala-sciare le possibili aperture offerte dallerelazioni transadriatiche (si pensi aitentativi di integrazione oraria tra iservizi di trasporto terrestri e marittimiproposti dall’Interreg III B “SeaBridge”).Un ulteriore progetto pilota riguarda lapromozione di sistemi e servizi di tra-sporto innovativi come ad esempio ilcar sharing, il bus a chiamata, i taxicollettivi, il car pooling, ecc. Molteplici

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Mobilità ai Piani Generali del TrafficoUrbano) ed extraurbani (dai PianiRegionali dei Trasporti ai Piani diBacino del Trasporto Pubblico Locale),sulla loro capacità di gestire la separa-zione dei traffici locali da quelli di attra-versamento, nonché dei flussi leggeri daquelli pesanti. In taluni casi, questi stru-menti vengono accompagnati da altristrumenti innovativi destinati all’orga-nizzazione degli orari di attività di alcu-ni esercizi pubblici (es. Piani dei Tempi edegli Orari dei Pubblici Esercizi).Lo sviluppo di forme di comunicazionesostenibili tra pianura, costa e collinapuò essere assunto come una ulteriorelinea d’azione strategica atta a recupera-re eventuali reti di percorsi alternativilenti che avvalendosi di percorsi già esi-stenti consentono la “mise en valeur” diquella pluralità di risorse minori dicarattere storico, enogastronomico, osemplicemente rurale che contraddistin-guono profondamente la gran parte delterritorio nazionale.Infine, ma non per ordine di importanza,è utile segnalare alcune ulteriori esigen-ze. Se da un lato si attende un migliora-mento della sicurezza della viabilitàpedonale e ciclabile, dall’altro restaaugurabile una estensione dell’esiguarete attualmente in dotazione delle città,magari accompagnata da campagne disensibilizzazione all’uso del mezzo nonmotorizzato (così come in molte cittàd’Italia sta avvenendo con il noleggiogratuito delle biciclette).A partire dalla Carta di Rimini, alcuneazioni rilevanti per il perseguimentodegli obiettivi e delle strategie enunciate,sono state individuate nella tabella alle-gata. Accanto all’enunciazioni del ridot-to set di azioni cantierabili, è stata postauna particolare enfasi nella ricerca deipossibili partners coinvolgibili per l’at-tuazione delle stesse, non tanto per leragioni che le rendono amministrativa-mente o proceduralmente fattibili, maper il prerequisito irrinunciabile che staalla base di ogni forma di integrazione ecoordinamento: la collaborazione.

*Università G.D’Annunzio Chieti-Pescara.

**Il lavoro svolto dall’Unep con il MediterraneanAction Plan on Tourism (grazie al contributo diBP/RAC e PAP/RAC) e con le Indicazioni formulatedalla Commissione per lo Sviluppo Sostenibile delMediterraneo è stato adottato dalle parti contraentialla C.

Gli obiettivi strategici: la mobilitàper il turismo

La complessa ed articolata reticolarità,interna all’arena degli attori che parteci-pano alle politiche del turismo, attribui-sce agli obiettivi da perseguire unadimensione strategica nell’ambito deivari settori interessati dagli interventi. Al fine di garantire una rinnovabilitàdelle risorse, di natura non esclusiva-mente ambientale, impiegate nel turismoè possibile desumere alcune linee dicondotta, da assumere da parte dellapluralità di soggetti coinvolti (istituzio-nali e non), per la messa in atto dellepolitiche della mobilità.In primo luogo, occorre assumere comeobiettivo prioritario la ricerca dell’equili-brio tra gli aspetti prestazionali del siste-ma di trasporto e quelli di tutela dellerisorse non rinnovabili presenti sul terri-torio. In questa ottica, se incentivarel’uso di mezzi di trasporto pubblici neiconfronti dell’utenza turistica consentedi migliorare l’efficacia del servizio ero-gato (in aree spesso a domanda debole ocon notevole variazione delle presenze)e altresì vero che la regolamentazione ela vigilanza sulla mobilità privata nel-l’ambito di aree di rilevante e ricono-sciuto valore paesaggistico diventa unaprecondizione alla salvaguardia dellostato dell’ambiente e dei valori del pae-saggio. D’altro canto, l’introduzione dimezzi di trasporto ecologici da partedegli stessi operatori turistici non puòche enfatizzare l’effetto di tutela neiconfronti del patrimonio paesaggisticodi cui sono principali gestori.Una seconda strategia riguarda diretta-mente le aree costiere interessate da unturismo molto stagionalizzato poiché dinatura perlopiù balneare. Il concentrarsidelle presenze in un periodo estrema-mente circoscritto dell’anno determinaun forte innalzamento del livello delleemissioni, acustiche ed atmosferiche,dovuto all’impatto ambientale delle autoche si addensano sulla costa. Pertanto,s’impone all’attenzione la necessità digiungere ad una razionalizzazione deltraffico automobilistico verso la costa,sulla costa e di attraversamento dellacittà. Una tale strategia non può che farleva sull’efficienza degli strumenti propridell’organizzazione della mobilità e deitrasporti urbani (dai Piani Urbani della

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Progetto Conspace.Esperienze per la nuovapianificazione del Venetoa cura di Franco Albertie Luca Lodatti

“È con questa esperienza, unitamentealle altre già effettuate e alle prossimeche verranno, che la Regione Venetointende dare il proprio contributo per lacostruzione di un’Europa delle Regioniche assuma come elemento fondanteuna comune visione strategica su temiche abbisognano di una risposta comu-ne, come la gestione e promozione delpatrimonio storico e naturale, lo svilup-po territoriale, il policentrismo e lamobilità”.

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cati internazionali, con una capacità diimpatto e di penetrazione ridottissima.Molto spesso ciascuna regione dà unmessaggio diverso rispetto alle regioniconfinanti e quindi veicola un messag-gio promozionale improprio per il turi-smo italiano, magari durante la stessafiera o lo stesso workshop. Il trasferi-mento delle funzioni turistiche dalloStato alle Regioni ha di fatto parcelliz-zato la promozione turistica italiana eha tolto valore alla marca Italia, cheinvece è l’elemento trainante sul mer-cato internazionale. E’ il made in Italyche tira nel mondo. Le regioni si sonomesse in competizione con le provincee con i comuni. In uno stesso territoriotroppi soggetti pubblici diversi concor-rono nel fare promozione turistica. Espesso tali soggetti si muovono al difuori di una visone strategica. Adesempio in Abruzzo in una piccola cit-tadina possono concorrere le pro-loco,il Comune, la Provincia, la Regione, laComunità Montana ed il Sistema turi-stico locale, se costituito.Per questa ragione il governo ha decisodi rafforzare l’Agenzia nazionale delturismo (Enit) per sostenere la marcaitalia nel suo insieme, istituendo uncoordinamento nazionale delle politi-che regionali per il turismo. In questoambito un investimento rilevante èstato previsto per mettere in rete lacomunicazione e la promozione turisti-ca a livello locale e nazionale. Lo stu-dio UnionCamere del 2006 mette inevidenza come almeno il 6% dei turistisi muova ormai utilizzando internet, inmaniera automa rispetto alle agenzieed ai tour operator. Al momento la

La promozione turisticaRaffaella Radoccia*

di bilancio della Regione vanno messiin proporzione al numero degli abitantie quindi alla ricchezza prodotta dalturismo. L’Abruzzo risulta essere agliultimi posti in Italia per ricchezza pro-dotta dal turismo, sebbene la quota diPil assoluta abbia un’incidenza impor-tantissima nell’economia locale. Il turi-smo in Abruzzo non sarà mai come aRoma, Firenze, Venezia, o inCampania, Puglia o Sicilia. Il turismoabruzzese incide molto sul Pil locale,ma incide poco in termini nazionali.Questa considerazione va fatta perinquadrare il fenomeno del turismo inAbruzzo e quindi per capire la qualitàe l’incidenza della sua promozioneturistica nel territorio regionale enazionale.

Quale è la logica del messaggio promo-zionale abruzzese? Quali sono i soggettipubblici che si muovono attualmenteper fare la promozione turistica? Permane purtroppo una certa disomo-geneità del messaggio turistico. Oggi lafunzione amministrativa della promo-zione turistica è dispersa in molti rivo-li. La riforma del Titolo V dellaCostituzione ha trasferito la competen-za legislativa sul turismo, dallo Statoalle Regioni. Proprio dal 2001 la cre-scita turistica in Italia ha perso posi-zioni nei mercati internazionali, rispet-to alle altre nazioni europee. Ad esem-pio la Spagna acquista punti perchériesce a promuovere la marca spagnolanel suo insieme, pur promuovendoanche le città e le regioni. Mentre inItalia, dal 2001, ogni regione si èmessa in proprio nello scoprire i mer-

Intervista a Carlo CostantiniL’intervista a Carlo Costantini si è svol-ta in chiusura del suo mandato comepresidente delle Agenzia di promozioneturistica regionale abruzzese (neldicembre 2006) e si è articolata attra-verso una serie di questioni legate siaalle dinamiche del turismo in Abruzzo,sia alle scelte delle promozione turisti-ca nei mercati internazionali, a partiredalla ricostruzione delle relazioniavvenute ed in corso con gli interlocu-tori amministrativi e con gli investitoriprivati, fino a delineare le linee dellosviluppo turistico sostenibile regionale.

Cos’è “Sorridi sei in Abruzzo?” Qualisono le risorse utilizzate dalla RegioneAbruzzo per la promozione turisticafino ad ora?“Sorridi sei Abruzzo” è il nuovo sloganche l’Aptr ha studiato per promuovere,in Abruzzo, la cultura dell’ospitalità edell’accoglienza. Perché c’è un datosorprendente, che forse non molticonoscono e che va messo in relazionecon i finanziamenti e con gli investi-menti erogati dagli enti pubblici. Unaquota maggioritaria di turisti viene etorna in Abruzzo e in Italia per il pas-saparola, ovvero per la qualità dell’ac-coglienza e dell’ospitalità che ha rice-vuto. Un’indagine di Unioncamere del2006 conferma questo dato e mette inevidenza la diminuzione della quotapercentuale dei turisti, che viene attra-verso i canali tradizionali, come:workshop, fiere, agenzie di viaggio.La promozione turistica abruzzese ha,da sempre, disponibilità di bilanciopiuttosto contenute. Gli stanziamenti

Turismo e sostenibilità in Abruzzo

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altre regioni, trasformando il turismoin un fenomeno sociale, in contro-ten-denza rispetto alle consuetudini diintervento tradizionali e nella consape-volezza che, nel breve e nel lungo ter-mine, l’investimento debba avere unapenetrazione nella cultura locale. Ilturismo come fenomeno sociale ha unapossibilità di crescita reale se cresceinsieme con la società, la cultura equindi con l’economia locale, non tra-scurando le relazioni tra residenti eturisti, ma cercando di creare nuove estabili forme di collaborazione. Ungrande tema emergente in Abruzzo èlegato alla conservazione dei borghistorici in particolare nelle aree monta-ne. Ad esempio gli investimenti fatti aSanto Stefano di Sessanio vanno pro-tetti attraverso un’attenta interpreta-zione e/o revisione della normativaurbanistica ed ambientale regionale.Perché non controllare la trasformazio-ne del territorio circostante può com-promettere lo sviluppo delle iniziativeturistiche in casi simili al paese-alber-go di Santo Stefano di Sessanio.

Come è organizzata l’Aptr nel territorioregionale? Quali sono i suoi interlocu-tori amministrativi e con quale livellodi coinvolgimento? L’Azienda di promozione turisticaregionale nasce nel 1997 dalla con-fluenza delle vecchie aziende di sog-giorno, su iniziativa della Regione.L’organizzazione territoriale è ramifica-ta in cinque presidi ed in alcune decinedi sportelli per l’accoglienza turistica,gestiti attraverso la presenza di perso-nale interno. Il modello organizzativova rivisto sia attraverso la collabora-zione con i Comuni, sia attraversol’aumento dei punti di accoglienza, masenza oneri aggiuntivi per l’Aptr, chenon dispone di grosse risorse proprie.Occorre incrementare il rapporto contutti gli enti locali, unificando gli spor-telli informativi e di accoglienza alturista degli enti, attraverso un proces-so condiviso e continuo. E’ un proces-so di riforma dell’organizzazionedell’Aptr ormai avviato, ma non com-pletato.L’Aptr è l’ente strumentale dellaRegione Abruzzo e quindi i suoi inter-locutori amministrativi sono definitidalle linee delle politiche regionali.

all’Abruzzo: la Germania, l’Inghilterra,la Russia, la Polonia, la RepubblicaCeca…. Questi turisti sono ancoraattratti dall’eccellenze del territorioabruzzese – come le riserve ed i parchisul Gran Sasso e sulla Majella - piutto-sto che da un’offerta turistica integratae più ampia, che non è stata ancoracomunicata al meglio.

L’Abruzzo è in grado di confrontarsicon le politiche turistiche di altri paesieuropei, come ad esempio la Francia?Ovvero i pacchetti abruzzesi seguirannol’esempio di altre nazioni europee oavranno un profilo proprio?Bisogna tenere distinte le competenzeurbanistiche da quelle della promozio-ne turistica. L’Aptr Abruzzo considerail turismo un mercato, dove la strutturapubblica segue l’iniziativa o il fiutodell’investitore privato, non sostituen-dosi a lui nella produzione e nella pre-sentazione di pacchetti sul mercato.Nel 2006 l’Aptr ha seguito e supportatoil progetto di un imprenditore turisticoabruzzese orientato ad investire nelmercato russo. L’Aptr si muove in unalogica di costruzione di reti pubblichee private, ove il privato si confrontacol mercato e quindi il pubblico losegue in maniera non invasiva. Questoè in linea con la prossima presenzadell’Abruzzo al Bit, che vede la presen-tazione di prodotti completi e trasver-sali alle ripartizioni amministrative. Nesarà un esempio l’offerta del turismoreligioso.

Quale è lo scenario prossimo per ilturismo sostenibile in Abruzzo? Ovveroquale scenario si può prevedere per unturismo che possa mettere insieme esi-genze sociali, crescita economica evalorizzazione della Regione sui merca-ti internazionali? Il turismo in Abruzzo, come in altreregioni, è legato a dinamiche interna-zionali e a fattori congiunturali e quin-di ad oscillazioni non del tutto preve-dibili. Ma se si pensa al turismo comead un fenomeno sociale, allora è possi-bile che si affermi in maniera sosteni-bile. In questo senso si parla di culturadell’accoglienza, andando oltre larichiesta di certificazione della qualitàdei servizi. In Abruzzo è possibile vin-cere la sfida della concorrenza con le

varietà dei siti degli enti locali e delleregioni non rende possibile una comu-nicazione mirata ed utile verso il turi-sta straniero, affossando la marcaItalia. Per questa ragione il governo haistituito un sito nazionale con unaserie di link regionali, provinciali elocali, sancendo il cambiamento dellapromozione turistica. Ovvero il gover-no promuove ed utilizza nei mercatiinternazionali la marca Italia e pro-muove a cascata le regioni ed i lori iprodotti/luoghi tipici.

Quali sono le linee della programma-zione turistica regionale? Dal 2006, per la prima volta, laRegione Abruzzo gioca un ruolo preci-so nel proprio territorio, introducendole linee-guida di programmazioneregionale attraverso il Piano turisticotriennale. Ovvero la Regione si con-fronta con gli altri soggetti pubblici,prevedendo l’erogazione di finanzia-menti solo sulla base di un progettospecifico e definito nel suo insieme.Questo consente di razionalizzare gliinterventi per il prossimo futuro.All’interno del Piano turistico triennaleil Piano operativo annuale prevede ladistribuzione dei fondi per la costru-zione di progetti, anche tematici, cheoffrano un prodotto abruzzese comple-to sul mercato internazionale. Il verolimite che l’Abruzzo sconta all’estero èdato dalla mancanza di un’offerta turi-stica completa. In Abruzzo va sostenu-ta la nascita di una cultura imprendi-toriale mirata agli interventi turistici.La Regione ha introdotto proprio nelPiano triennale stanziamenti significa-tivi per sostenere progetti integrati dicostruzione di pacchetti turistici daoffrire all’estero. L’Abruzzo è l’unicaregione in Italia che può proporre unprodotto turistico realmente integrato.In Abruzzo è possibile in breve arco ditempo dedicarsi ad attività ricreative esportive diverse: sciare, visitare unborgo storico, ritrovarsi immersi nelverde di un parco e di una riserva,intraprendere un percorso di degusta-zione di prodotti tipici eno-gastrono-mici, andare a cena sul trabocco. Da quali destinazioni provengono ituristi che vengono in Abruzzo? Ci sono molti bacini nei paesi europeiche sono fortemente interessati

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Teramo è attiva, ma si appoggia tradi-zionalmente alle iniziative degliimprenditori privati, che portano avan-ti un trend ormai stabilizzato neglianni, soprattutto per l’offerta balneare.La Provincia di Chieti è consapevoledelle opportunità offerte dal turismocostiero, pur all’interno di uno scena-rio di notevole antropizzazione dellearee costiere e in quadro economicofortemente legato alla produzioneindustriale, ancora crescente.In questo senso va interpretata larecente approvazione, da parte delSenato, dell’emendamento che dà laprelazione agli amministratori pubbliciper quello che riguarda l’interventosulla fascia costiera, ex-ferroviaria,conosciuta come: “la Costa deiTrabocchi”.

mare il tessuto locale, col sostegnodella Regione. Le diverse capacità diintervento provinciale sono spesso det-tate dalle esigenze e dalla differenzeterritoriali. La Provincia di Pescara puòcostruire e proporre pacchetti eno-gastronomici per la facilità degli spo-stamenti e dell’accessibilità del territo-rio. La Provincia di L’Aquila è moltoattiva ed aggressiva, sia nell’intercetta-re i fondi per gli investimenti, sia nellaprogrammazione e nella realizzazionedegli interventi.Questa capacità di iniziativa va messain relazione alla recente, ma pervasiva,crisi della produzione industriale e alladiversificazione del territorio, che offreoccasioni di sviluppo, ma anche moltedifficoltà, a partire dal collegamentotra i piccoli centri. La provincia di

Tradizionalmente l’Aptr coinvolge sia iComuni e più in generale gli enti loca-li, sia le Province. Il Comitato regiona-le per il Turismo si riunisce periodica-mente per definire le scelte della pro-grammazione regionale di concerto traRegione e Province. In particolare leProvince sono coinvolte sia nella fasedella programmazione regionale e dellescelte di intervento strategico sul terri-torio, sia nella fase competitiva inrisposta ai bandi periodicamente pub-blicati dalla Regione. Questo delineauno scenario di consapevole e fruttuo-sa competizione territoriale tra leamministrazioni, che premia gli inter-venti migliori. Le Province sono chia-mate sia a coinvolgere altri soggettidella società e dell’economia locale, siaa sostenere interventi specifici per ani-

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OBIETTIVI DEL CORSO

L’obiettivo del corso è quello di aggiornare gli utenti sulle evoluzioni normative a livello comunitario, nazio-nale e locale in tema di valutazione ambientale, fornendo competenze professionali avanzate, in grado divalorizzare la preparazione scientifica sulla VAS. L’orizzonte fondante del corso sarà quello di supportare lanecessità dell’integrazione della VAS nellapianificazione, considerando entrambe come un unicum imprescindibile per la corretta interpretazione edapplicazione della valutazione ambientale ex direttiva 2001/42/CE.Per le ragioni di cui sopra, è importante il processo di VAS, proprio perché uno dei punti da approfondire èquello della nuova impostazione da assumere per tutto l’iter di pianificazione: il momento valutativo veroe proprio non è che una fase del processo decisionale.Il corso intende fornire una metodologia operativa per le analisi delle problematiche necessarie ad effet-tuare le valutazioni richieste oggi nella redazione dei Piani e Programmi urbanistici, introducendo criteri disostenibilità ambientale, sociale ed economica negli strumenti di pianificazione.In particolare saranno presentate buone pratiche applicate a strumenti di programmazione, con riferimentoalle tecniche e procedure per la prassi valutativa.Per un più proficuo approfondimento dei temi, alcuni moduli formativi avranno carattere di laboratorio conrelative esercitazioni.

ISTAO: Villa Favorita - Via Zuccarini, 15 - 60020 Ancona Tel. +39 071 2901144 - Fax +39 071 2901017E-mail: [email protected]

CORSO DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALESUL PROCESSO UNITARIO DI PIANIFICAZIONE

E VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA EX DIRETTIVA 2001/42/CE

Ancona, maggio 2007

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Il nuovo Piano strutturale comunale di RavennaFabio Poggioli*

Il 27 febbraio 2007 il Consigliocomunale di Ravenna ha approvatoil nuovo Piano Strutturale, un attoimportante ma per la nostracomunità non eccezionale: dal 1973ad oggi si è provveduto, concadenza decennale,all’aggiornamento dellastrumentazione urbanistica generale.Questo ha fatto sì che la storia deipiani di Ravenna non trovi molteanalogie nel panorama urbanisticonazionale, esperienza che siarricchisce della recenteapprovazione del Psc: in Regioneuno dei primi Comuni capoluogo adadeguarsi pienamente alla Lr 20del 2000.

L’impegno assunto dall’amministrazio-ne non è il rispetto di una usanzaquanto la volontà di alimentare lafiducia negli strumenti di pianificazio-ne che la nostra comunità ha dimostra-to in questi ultimi trent’anni: una ideadel Piano quale riferimento fondamen-tale per il governo del territorio, unoscenario sempre adeguato grazie allaregolarità con cui lo strumento urbani-stico generale si aggiorna rispetto allemutate condizioni territoriali, sociali edeconomiche e che ha consentito dirispondere alla domanda di flessibilitàdel piano con la continuità del proces-so di pianificazione. Sempre in questocontesto si inserisce l’esperienzariguardante i Programmi complessi(Pru, Psd’A, Prusst, Piau), che aRavenna hanno risposto esclusivamen-te ad una logica di attuazione delPiano regolatore generale, e mai comeoccasioni per un suo superamento.Per garantire continuità a questo tren-tennale processo si è scelto un percorsocapace di coinvolgere la comunitàravennate fin dall’avvio del processo diformazione dello strumento, chiaman-dola a partecipare nei momenti piùpregnanti: prima sul Documento preli-minare poi sulla bozza di Piano.Proprio a questo scopo gli elaborati diquesta fase tentavano di superare lebarriere tecniche attraverso un lin-guaggio più accessibile, le “tavole dellacomunicazione”, allargando quanto piùpossibile il coinvolgimento:Circoscrizioni, Agenda 21 Locale, Cittàeducativa etc. Sono stati attivati speci-fici incontri e laboratori da sommarealle oltre cinquanta iniziative pubbliche

a cui hanno partecipato le organizza-zioni economiche e sociali ma anche isingoli cittadini. Attività che hannoavuto come supporto uno spazio,Ravenna.informa, che è diventato ilcantiere per la costruzione del nuovostrumento urbanistico generale, spaziodi pubblicizzazione delle varie fasi dielaborazione e di confronto con i citta-dini di Ravenna, un luogo che è diven-tato sede permanente di incontri edesposizioni sui temi della città e dellesue trasformazioni.Questo lungo lavoro ha portato all’ap-provazione di uno strumento che rico-nosce assoluta centralità alla sostenibi-lità ambientale e sociale, proponendoun assetto che parte da una attenta let-tura del territorio e della sua comunità.Il comune di Ravenna è uno dei piùestesi d’Italia, con i suoi 654 kmq, conun sistema territoriale particolarmentearticolato: il capoluogo con il suopatrimonio storico-artistico, il porto, illitorale, le emergenze naturalistiche, ilforese con le oltre sessanta frazionioltre ad uno spazio agricolo di notevo-le interesse. Una dimensione territorialed’area vasta che necessita di uno stru-mento che sia in grado di perseguireuna forte integrazione fra queste partial fine di ricercare un equilibrato rap-porto tra le varie vocazioni, con unaparticolare attenzione rispetto ai con-sumi di risorse naturali, in particolaredi nuovo territorio, e alla sostenibilitàsociale delle scelte. Uno strumento chepone un limite alla dispersione insedia-tiva e alla bassa densità ma al tempostesso evita di “soffocare” il capoluogocon nuove pesanti espansioni. Così il

Il nuovo Piano strutturale di Ravenna

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zone naturalistiche; le aree portualicommerciali e produttive; le aree dis-messe della raffineria ex Sarom, desti-nate a parco tecnologico dedicato allacantieristica da diporto; il recuperodella Darsena di città, che rappresentauna delle previsioni più importanti del-l’intero Piano sia in termini strategiciche dimensionali. Sulla Darsena di cittàsi andrà a realizzare il connubio fra levarie vocazioni attraverso il riutilizzodell’antico specchio d’acqua per ospita-re, oltre che attività terziarie sopratuttodi carattere ricreativo-ricettivo, iniziati-ve espositive e fieristiche legate allanautica da diporto e al tempo stessoattracco per piccole crociere. Questoluogo si dovrà caratterizzare quale“piazza d’acqua” in continuità con ilsistema delle piazze del centro storico,riacquistando, in forma più specializza-ta, quel ruolo di “porto-emporio”2 chestoricamente svolgeva, riproponendo

cazione delle tipologie merceologichemovimentate. Il Piano propone il com-pletamento e il potenziamento dellapiattaforma logistica portuale ancheattraverso un disegno fortemente inte-grato con il sistema infrastrutturalecomplessivo e con l’ampio territorioretrostante; vengono così individuatialcuni ambiti concentrati e specializzatinell’entroterra complementari alle atti-vità dello scalo marittimo, sia rispettoalla vocazioni commerciali e produttivema anche per quelle turistiche. Il cana-le portuale, lungo 12 km, che dal marearriva a lambire il centro storico, rap-presenta un “campione” che raccoglietutti i ”sistemi e spazi” che compongo-no il territorio ravennate. Il Psc alriguardo offre una lettura organica diquesto contesto, con un disegno capacedi connettere, salvaguardare e svilup-pare le varie vocazioni: i due avampor-ti, destinati alla portualità turistica; le

Piano mantiene ferma l’attuale esten-sione della città, confermando la “cin-tura verde” quale limite della crescitaurbana e al tempo stesso grande infra-struttura ecologica, proponendo di otti-mizzare l’utilizzo delle aree interne aquesto limite anche attraverso inter-venti in ambiti da riqualificare e con-vertire. Ma “la città si ricrea anchefuori dalle sue mura”1, così il sistemainsediativo trova appoggio anche suicentri maggiori del forese che, per qua-lità dei collegamenti e dotazione deiservizi, sono in grado di supportarenuovi sviluppi residenziali.Anche per il sistema produttivo e logi-stico il Psc offre soluzioni articolateche partono da riconoscimento dell’in-frastruttura portuale quale asset strate-gico fondamentale: uno fra i maggioriscali italiani, il principale per gli scam-bi con il Mediterraneo orientale, che sicaratterizza anche per la forte diversifi-

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Planimetria del Psc relativa al Capoluogo con indicati gli ambiti a programmazione unitaria e concertata S1/S2/S3/S4.

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ad ottenere grazie alle modalità con cuiabbiamo applicato l’art. 18 della Lr20/2000. Ci siamo particolarmenteinterrogati sul come e sul quando atti-vare questa opportunità prevista dallalegge regionale. Abbiamo scelto difarlo fin dal Psc per dare il massimoriconoscimento a questi contributi giànella fase strutturale. Rinviare questapossibilità esclusivamente a fasi suc-cessive, al Poc, a nostro parere potevasignificare o limitarla ad aspetti “ope-rativi”, oppure interpretarla in chiavederogatoria, forzando lo scenario appe-na definito e condiviso! E’ a tal fineche il comune di Ravenna, dopo l’ap-provazione del Documento preliminare,ha dato la massima pubblicità e traspa-renza a questo momento, all’interno diun quadro di riferimento definito dagliindirizzi e dalle scelte di piano, attra-verso l’attivazione di un bando pubbli-co che indicava i requisiti di ammissi-bilità delle proposte avanzate dai pri-vati.Tutto questo per evitare scelte dis-crezionali al fine di garantire appunto,attraverso il primato del Piano, l’inte-resse pubblico che in questo caso èrappresentato anche dai circa 83 milio-ni di euro che verranno sottratti allarendita per essere redistribuiti ai citta-dini di Ravenna. Al tempo stesso que-sto ampio confronto con la comunitàravennate ci ha consentito di raccoglie-re e ricondurre nel disegno di Pianonon solo proposte di carattere “immo-biliare”, legate alla richiesta di valoriz-zazione di terreni, ma di stimolare evalutare iniziative, anche di carattereimprenditoriale, che diversamenterischiavano di rimanere soffocate sottoil peso della rendita. Tutto questo èstato possibile anche grazie alla conti-nuità e alla incisività dell’ attività dipartecipazione, quale momento nego-ziale dell’interesse pubblico; che nonvuole essere il contraltare della “con-certazione“ ma di sicuro è il collanteper un patto sociale su cui costruire ilfuturo del nostro territorio.

* Assessore all’urbanistica del Comune di Ravenna.

Note1. F. Indovina, catalogo della mostra: L’esplosionedella città, 2005.2. G.Spalla, G.Scarsi, B.Sciutto, S.Stura, Il porto diGenova. Atti del Convegno: Le città e il suo porto:nuovi scenari euromediterranei, 2002.

gono individuate le dotazioni pubbli-che (cintura verde, servizi, etc). Nellacostruzione dell’indice infatti unaquota è destinata al proprietario delfondo, un’altra parte deriva da quote“ospitate” e una parte è la capacità edi-ficatoria attribuita all’amministrazione,circa il 20%; grazie a questa capacità ilpubblico attiverà in questi contesti pro-prie politiche di edilizia pubblica, senzache questo vada ad intaccare le altredotazioni pubbliche. E’ questo un inter-vento che, attraverso una ridistribuzio-ne della rendita, contribuisce a dareuna risposta al problema della casa,che in molti consideravano risolto, conparticolare riguardo alle fasce piùdeboli che non riescono ad accedere almercato libero, ma anche con l’obbiet-tivo che un intervento pubblico di que-sta dimensione possa contribuire a cal-mierare i prezzi di mercato. Questo è un risultato che siamo riusciti

così la sua originaria vocazione qualenuova centralità; tutto questo graziealla fattiva collaborazione fra ilComune e l’Autorità portuale. La Darsena di città da sola assorbe

circa un terzo dell’intera capacità edifi-catoria del Psc, dimensione che vieneconfermata rispetto al Prg 93, e cheviene messa in relazione con la realiz-zazione della cintura verde. Questascelta, come altre, è perseguita attra-verso meccanismi di perequazione, dicui il comune di Ravenna è stato pre-cursore, con una particolare attenzionealla capacità edificatoria che questaproduce e considerando questo stru-mento non sostitutivo dell’esproprio,ma capace di innestarsi su di unimpianto pianificatorio predefinito. Unmeccanismo che consente, fra l’altro, lapossibilità di ridurre la discriminazionefra le proprietà interessate dalle aree ditrasformazione e quelle sulle quali ven-

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La forma del Piano: spazi e sistemi.

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piano nonché lo spessore della funzionepubblica atta a promuoverle.Soffermarmi sul modo con il quale ilPsc di Ravenna ha costruito, avvalendo-si delle opportunità offerte dalla leggeregionale e facendo tesoro della grandeesperienza della città in materia di pro-grammi complessi (il Pru della Darsena èstato uno dei primi in Italia) ed in mate-ria di concertazione (la “cintura verde” èil frutto di una concertazione, anchesofferta, partita alcuni lustri fa), unarisposta “di processo” alla citata questio-ne, risposta che ritengo degna di atten-zione per la sua valenza rispetto a tuttigli aspetti in gioco nella pianificazioneurbanistica della contemporaneità: daquelli giuridico-formali a quelli socio-culturali, da quelli della sostenibilitàambientale e della fattibilità economicaa quelli della equità e della qualità inse-diativa.Ritengo che il governo del territorio edella città per poter essere condiviso,equo ed efficace, per poter dar luogo aprocessi di valorizzazione e trasforma-zione sostenibili e fattibili, per poterpromuovere qualità insediativa e coesio-ne sociale non possa prescindere dallapianificazione urbanistica ed in partico-lare da una pratica sistematica di revi-sione ed aggiornamento della disciplinaurbanistica generale del territorio comu-nale secondo visioni unitarie coerenticon il funzionamento sistemico del terri-torio, secondo visioni generali orientateal contemperamento dei conflitti trafinalità collettive e finalità individuali, esoprattutto secondo un processo dipiano che faccia emergere gli interessipubblici in gioco nelle diverse fasi edalle diverse scale. Ma quella che necessi-ta è una pianificazione le cui caratteri-stiche tecnico-giuridiche siano tali dapermettere l’esercizio della funzionepubblica in condizioni di non sudditan-za rispetto agli interessi particolari.Com’è noto, la pianificazione tradiziona-le, quella praticata ai sensi della legisla-zione urbanistica nazionale, sembrainvece favorire questa sudditanza, pro-prio a causa della caratterizzazione tec-nico-giuridica del Prg. A quest’ultimo èinfatti affidato il compito di definire, inun unico strumento e per l’intero territo-rio comunale, la disciplina urbanisticagenerale che diventa praticamente irre-versibile, per le destinazioni private, spe-

(in particolare: l’articolazione del pianoin tre strumenti: Psc, Rue, Poc; l’istitu-zione degli Accordi con i privati daassumere nella pianificazione) hannoconsentito di caratterizzare in modosignificativo la variante alla disciplinagenerale urbanistica del territorio diRavenna del Prg ’93, sia nelle scelte dimerito (il Prg 2003 è stato definito “ilpiano della valorizzazione consapevole esostenibile delle qualità locali per l’affer-mazione di Ravenna nelle reti globali”),sia nei suoi contenuti di innovazionedisciplinare nel campo della pianifica-zione urbanistica.Tralascio i contenuti di merito, per iquali rinvio al contributo di FabioPoggioli in questo stesso numero.Tralascio anche alcuni aspetti dell’inno-vazione disciplinare che sono riconduci-bili a pratiche che si vanno diffondendonelle più recenti esperienze di pianifica-zione comunale, anche se ritengo chenell’esperienza di Ravenna queste prati-che abbiano raggiunto un livello dicompletezza e maturità difficilmenteriscontrabili altrove. Mi riferisco in par-ticolare: alla scomposizione e ricomposi-zione a fini progettuali della realtà terri-toriale in Spazi e Sistemi e relative com-ponenti (Spazio naturalistico, Spaziorurale, Spazio portuale, Spazio urbano;Sistema paesaggistico-ambientale,Sistema della mobilità, Sistema delledotazioni territoriali), ed al conseguentesuperamento della zonizzazione tradizio-nale basata sulla classificazione delDecreto Interministeriale sugli standarddi quarant’anni fa; al riconoscimento edalla attribuzione alla proprietà di quanti-tà edificatorie secondo criteri di equitàin rapporto alle situazioni giuridiche e difatto; alla riserva pubblica, nelle situa-zioni di nuovo impianto e ristrutturazio-ne urbanistica più consistenti, di edifica-bilità e superfici fondiarie per l’ediliziaresidenziale pubblica ovvero per com-pensazioni finalizzate alla acquisizionenegoziale di aree per standard o allariqualificazione urbana.Intendo invece soffermarmi qui su unaquestione specifica, che ha sempre rap-presentato uno dei punti deboli dellapianificazione urbanistica e cioè delruolo del fattore tempo nel percorso dipiano; laddove è noto che da questoruolo dipendono, in termini di metodi econtenuti, l’efficacia e la qualità del

Il fattore tempo nelprocesso di pianoGianluigi Nigro*

Il senso dell’esperienza che Ravenna staconducendo nella costruzione del Prg2003 (Piano strutturale comunale,Regolamento urbanistico-edilizio, Pianooperativo comunale) pone il suo fonda-mento in due circostanze. Innanzituttoquella di essere la quarta scadenzadecennale che dal 1973 vede la cittàimpegnata con periodicità a ripensare ilproprio futuro ed a rinnovare le regoledel proprio sviluppo urbanistico (Prg ’73,Prg ‘83, Prg ’93); in secondo luogo quel-la di essere una delle prime significativeoccasioni di applicazione della Lr20/2000 (il primo Capoluogo provincialedella regione Emilia-Romagna a dotarsidel Psc) e di rappresentare, anche perquesto, un caso di studio di indubbiointeresse nel panorama della pianifica-zione comunale innovativa che si vadelineando in Italia, in particolare nelleRegioni che hanno legiferato in materia.Quarant’anni di periodica e sistematicapratica della pianificazione generalecomunale costituiscono una circostanzanon banale che ha esiti materiali e visi-bili ed esiti immateriali meno visibili,ma assai significativi. Quanto agli aspet-ti materiali e visibili, il funzionamento el’assetto della città restituiscono oggiuna sensazione di ordine del disegnourbanistico e trasmettono l’idea che c’èqualcuno che pensa, in modo organico econ continuità, alla città, al suo divenireed al suo trasformarsi. Quanto agliaspetti più immateriali e meno visibili,essi sono rinvenibili nella accumulazio-ne di una cultura di piano diffusa parteintegrante della dimensione civile dellacomunità ravennate, nell’autorevolezzaespressa con continuità dalla dirigenzapolitica, nell’organizzazione delle strut-ture amministrative e tecniche comunali,ormai tutte esercitate e coinvolte conprofessionalità nella costruzione e nellagestione del piano, nonché nella presen-za efficace dell’Ufficio di Piano che dàcorpo con continuità alla funzione pub-blica della pianificazione urbanistica.Queste due circostanze e le opportunitàofferte dalle innovazioni strumentali eprocedurali introdotte dalla Lr 20/2000

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delle opere di urbanizzazione primariaed eventualmente secondaria).Per superare questo modello di piano,considerato inadeguato, forse anche per-ché riduttivo e mortificante la funzionepubblica nella pianificazione urbanistica,molte Regioni hanno legiferato in mate-ria e proposto l’articolazione del pianourbanistico generale comunale in piùstrumenti. Per l’Emilia-Romagna, com’ènoto, il processo di piano è articolato intre strumenti: il Psc, il Rue ed il Poc;non solo, ma è arricchito anche dall’isti-tuto dell’Accordo con i privati che puòcostituire parte integrante dello stru-mento cui accede. Questa doppia inno-vazione introdotta dalla Lr 20/2000 èstata assunta dal Psc di Ravenna inmodo integrato e sinergico, proprio perdisporre di un modello di piano, diffe-renziato e processuale, capace di costrui-re regole diversamente caratterizzate perscala di definizione progettuale, per ope-ratività e per efficacia giuridica: dalletrasformazioni edilizie e funzionali dimodesta entità e diffuse ad attuazionediretta, definitivamente disciplinate dalRue (Tessuti della Città Storica e dellaCittà consolidata o in via di consolida-mento) alle trasformazioni urbanistichepoco complesse e di relativa limitataconsistenza la cui disciplina generale èstabilita definitivamente dal Poc, subitoa valle del Psc (Ambiti ad attuazioneindiretta ordinaria), alle trasformazioniurbanistiche più complesse che richiedo-no una preliminare azione di program-mazione per poter essere, anche progres-sivamente, inserite nei Poc per la defini-zione della relativa disciplina generale(Ambiti ad attuazione indiretta a pro-grammazione unitaria: di iniziativa pub-blica nel caso dei Pru, dei Corsi e dellaStandiana; ovvero concertata o di possi-bile concertazione, nei casi degli Accordicon i privati definiti o di possibile defi-nizione in sede di Poc; ovvero di inizia-tiva pubblica e o privata, nel caso degliAmbiti di valorizzazione naturalistica enelle Aree di riqualificazione ambientale,ecologica e paesaggistica).Gli Accordi con i privati, la cui defini-zione è avvenuta attraverso una com-plessa procedura di evidenza pubblicadescritta nel contributo di FrancoStringa in questo stesso numero al qualerinvio, sono inseriti, come si è visto, nelPsc come Ambiti a programmazione

e per gli anni a venire non può di fattorivisitare e ridurre le previsioni (penarisarcimenti e compensazioni, specie sesulle previsioni è stata applicata l’Ici) mapuò esercitarsi solo in corrispondenzadegli atti formali di osservazione deiprogetti edilizi o dei piani urbanisticiattuativi, comunque nei limiti fissatidalla legge (conformità dei progetti edi-lizi ed applicazione degli oneri conces-sori; convenzionamento urbanistico aifini dell’impegno dei privati alla cessio-ne delle aree per gli standard, alla ces-sione delle aree ed alla realizzazione

cie per quanto riguarda le previsioni dinuovo impianto insediativo o di ristrut-turazione urbanistica, mentre ha effica-cia limitata nel tempo, eventualmentereiterabile previo risarcimento, per ledestinazioni pubbliche preordinate all’e-sproprio. Una volta approvato, un pianodi tal genere, mentre rappresenta unagaranzia per i privati possessori dei suolie degli immobili da trasformare ai qualiil piano stesso attribuisce o riconoscediritti di trasformazione e/o di edifica-zione, costituisce un limite rilevante allafunzione pubblica, che da quel momento

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Mappa dei 27 accordi con i privati sottoscritti in fase di approvazione del Psc.

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degli atti di pianificazione territoriale eurbanistica, nel rispetto della legisla-zione e pianificazione sovraordinatavigente e senza pregiudizio dei dirittidei terzi. L’accordo costituisce parteintegrante della strumentazione urbani-stica cui accede”.

Il documento preliminare del PscL’elaborazione del Psc ha preso avviocon un documento d’indirizzi adottatodal Consiglio C. nel 2002.Successivamente è stato approvato nelmaggio del 2003 il “Documento preli-minare del Psc”, oggetto di accordo dipianificazione con la Provincia;Documento preliminare che al punto1.4.4 specifica i criteri per l’applicazio-ne dell’art. 18 in sede di formazionedei nuovi strumenti urbanistici:“L’accordo con i privati è uno strumen-to che si intende usare nelle diversefasi della formazione del Psc, del Poc edel Rue, in quanto utile per favorire lafattibilità delle previsioni di piano. Ilcoinvolgimento dei privati infatti, con-sente una maggiore possibilità di atti-vare pratiche di acquisizione gratuitadi suoli e di diritti edificatori da partedell’Amministrazione, indispensabiliper promuovere politiche significative ediffuse di qualificazione e riqualifica-zione urbana, politiche perequative,politiche sociali nei settori delle abita-zioni e dei servizi sociali. All’interno di un quadro di riferimentodefinito dagli indirizzi e dalle scelte dipiano il Comune attiverà forme di con-certazione ai sensi dell’art.18 o valuteràproposte avanzate dai privati, per rea-lizzare politiche o interventi pubblici e/odi interesse generale, al fine di stipulareaccordi tesi a definire “oneri e onori” acarico del privato nonché gli impegnidell’Amministrazione comunale.Si ritiene che detti accordi debbanoessere finalizzati a:- realizzazione di servizi di livello ter-ritoriale;- attuazione della cintura verde e ser-vizi di quartiere;- realizzazione di viabilità e infrastrut-ture a servizio del Capoluogo e deiCentri;- interventi di riqualificazione ambien-tale, recupero e riabilitazione urbana.Si ritiene che il Psc debba, oltre checontenere gli esiti di accordi con i pri-

La concertazioneprogressivaFranco Stringa*

Per una approfondita comprensione delsignificato degli “Accordi coi privati” aisensi dell’art. 18 della Lr 20/2000, del-l’iter seguito dal Comune di Ravennanella sua applicazione in sede di for-mazione del Piano strutturale comunale(Psc) e alla particolare connotazioneche gli si è voluto dare come “concerta-zione progressiva” articolata sui trelivelli del Psc, del Piano operativocomunale (Poc) e del Piano urbanisticoattuativo (Pua) si rinvia ai “Criteri”allegati alla relazione di Psc e allo“Schema tipo di Accordo” approvatodal C.C. nel maggio 20051. Descrivonelle note seguenti le modalità con cuisi è applicato, nel corso di elaborazionedel Psc, questo innovativo strumentodell’ ”Accordo coi privati”. Non si credeche quanto ciò possa rappresentare unmodello, stante le particolari caratteri-stiche del Comune di Ravenna, ma unutile esperienza e possibile riferimentoper altri.Per particolari caratteristiche si intende:- la conformazione fisica del territoriocomunale assai ampio (oltre 65.000Ha), con 40 km di costa, 9.000 Ha diaree di valore naturalistico, l’ambitoportuale di 1.800 Ha, oltre 60 centriabitati con 150.000 abitanti, che portail piano ad assumere una dimensionedi area vasta- la continuità della pianificazione coni Prg del 73/83/93 che testimonia lacultura del piano e garantisce oggi cre-dibilità all’amministrazione pubblica- la presenza di un ufficio di Pianoformatosi nel 1971 e sempre operativocon l’apporto di consulenze esterne(prima Vittorini, Crocioni, oggi Nigro ePreger).

La Legge regionaleL’art. 18 della Lr dell’Emilia-Romagna20/2000 prevede che: “Gli enti localipossono concludere accordi con soggettiprivati per assumere nella pianificazio-ne proposte di progetti e iniziative dirilevante interesse per la comunitàlocale, al fine di determinare taluneprevisioni dal contenuto discrezionale

unitaria concertata o di possibile concer-tazione. Essi si riferiscono alle situazionipiù strategiche e più complesse, che pro-prio per questo sono state oggetto diaccordo a partire dal Psc e per le qualisono previste, dagli stessi accordi sotto-scritti, successivi livelli di concertazione,in particolare all’atto dell’inserimentodelle previsioni nei Poc e, ancora suc-cessivamente, in occasione della forma-zione dei Piani urbanistici attuativi. Ciògarantisce l’esercizio della funzione pub-blica nei momenti cruciali della proget-tazione urbanistica alle diverse scale,della definizione degli atti convenzionalidi impegno degli operatori edell’Amministrazione, della operabilitàdei diritti di trasformazione e edificatori.Questo modello di piano, che assumesignificato in quanto costruito a partiredal Psc, sembra essere in grado di assi-curare che ci sia sempre corrispondenzaed adeguatezza tra la consistenza e lacomplessità della trasformazione e lacomplessità e la procedura degli attiamministrativi attraverso i quali si eser-cita la funzione pubblica; tra la scala delprogetto urbanistico ed il livello di defi-nizione progettuale, integrata e completarispetto a tutte le valenze in gioco(sostenibilità, fattibilità, condivisione,qualità insediativa, capacità di coesionesociale, etc.); tra l’assunzione di impegnioperativi da parte dei soggetti privati ela conformazione operabile dei diritti ditrasformazione e di edificazione ricono-sciuti alla proprietà. Un modello dunquenon soltanto in grado di assicurare unaoperatività generica ma anche un’effica-cia rispetto agli obiettivi alle diversescale posti a base del piano.Mi sembra sufficientemente allusivo allesue caratteristiche sintetizzare il modellotestè descritto come piano/pianificazionea definizione progressiva e coordinata,alle diverse scale, dei contenuti proget-tuali, della concertazione e della confor-mazione dei diritti proprietari di trasfor-mazione dell’uso del suolo e di edifica-zione.

*Consulente generale per la formazione del Prg 2003 delComune di Ravenna.

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“dare e dell’avere”, cioè si è ricercatoun equilibrio e una omogeneizzazionedei comportamenti attraverso la defini-zione di oneri aggiuntivi, (oltre glioneri di U1 e U2), che permettesseroalla collettività di recuperare, in termi-ni di aree pubbliche, opere pubbliche,edilizia pubblica, entrate finanziarie,parte della valorizzazione patrimonialeche viene determinata con le scelte dipiano. Infatti per ogni ambito, a fronte dipossibilità edificatoria concessa al pri-vato, da approfondirsi e verificarsi insede di Poc e in relazione alle prescri-zioni e prestazioni definite per singolascheda anche a seguito delle risultanzedella Valsat, si sono individuate impor-tanti opere pubbliche da realizzare daparte degli stessi privati e/o rilevantiaree da cedere gratuitamente alComune destinate ad usi pubblici e/odi valore paesaggistico-ambientale.Per le diverse zone territoriali, si sonorappresentate le principali opere e areeda realizzare e/o da cedere, i valoriunitari per la definizione dei loro costie per la cessione delle aree pubbliche afronte della definizione di oneriaggiuntivi espressi in euro/mq disuperficie utile2.La somma degli oneri aggiuntivi per i28 ambiti determina per il Comune unentrata pari a circa 83 milioni di euro,ciò senza considerare i “valori sociali”derivanti anche da particolari dotazio-ni di Edilizia residenziale pubblica(20% del fabbisogno complessivo) e/odi altri servizi e/o usi d’interesse gene-rale, valori non stimabili economica-mente.

poi dovevano trovare ulteriore defini-zione in sede di Poc ed in sede di Puain un processo di progressiva definizio-ne. Tali ambiti a volte hanno coincisosostanzialmente con proposte presenta-te (12 ambiti), a volte le hanno sostan-zialmente modificate (10 ambiti), avolte (6 ambiti) hanno proposto diretta-mente una concertazione a privati, ori-ginariamente da loro non richiesta. E’quindi solo in relazione alle scelte delpiano che è stata attivata la concerta-zione, istituendo 28 tavoli permanentidi concertazione che hanno lavoratodal novembre 2004 al maggio 2005.Per ogni ambito è stata poi predispostauna scheda tecnica (con valore vinco-lante) e una scheda grafica (con valored’indirizzo), la prima riporta:- proprietà (superfici - elenco proprietà);- obiettivi (desunti dal disegno di Psc);- usi (pubblici/privati/e standards dilegge);- quantità (potenzialità edificatoria conindici composti e perequati);- prescrizioni – prestazioni (prescrizioniobbligatorie relative al “dare” – presta-zioni/attenzioni/verifiche da applicarein fase progettuale/attuativa - Poc/ Pua- anche in relazione alle criticità indi-viduate dalla Valsat).Per il conteggio delle quantità sonostati utilizzati criteri e indici omogeneiper le diverse zone territoriali: delcapoluogo – frangia – litorale – forese,all’interno di un meccanismo perequati-vo articolato e generalizzato per tuttigli ambiti, in specifico per il capoluogo,a titolo esemplificativo (vedi tab. 1).Contestualmente ad obiettivi, quantità,usi, prescrizioni si è definita l’entità del

vati, regolamentare il successivo ricor-so all’accordo con i privati in vistadella formazione rispettivamente delPoc del Rue e dei Pua”.

Il bando pubblicoNel luglio 2003 è stato approvato dallaGiunta e quindi pubblicato il bandopubblico per l’attivazione delle proce-dure al fine di acquisire le proposte diprogetti e iniziative da parte dei priva-ti, richiamando i criteri già definiti neldocumento Preliminare del Psc.A seguito della pubblicazione delbando sono pervenute n. 136 proposte.In sede di elaborazione del Psc le pro-poste sono state valutate dall’Ufficio,ai fini della redazione del Psc, nonattivando alcun confronto col privatoin questa fase, in relazione ai seguentiparametri:- obiettivi strategici di pianificazionecoerenti col disegno di Psc;- coerenza con obiettivi e azioni delDocumento preliminare approvatodalla Giunta comunale;- coerenza con i criteri e contenuti delbando;- interesse pubblico derivante dallaproposta.

La bozza di Psc e gli ambiti a program-mazione unitaria e/o concertataIl disegno della bozza di Psc denomina-to “Comunicazione” e presentato nel-l’ottobre 2004 ha individuato 28 ambitia programmazione unitaria e/o concer-tata ricadenti in diverse zone territoriali(capoluogo, frangia, litorale e forese),ambiti all’interno dei quali si concretiz-zano rilevanti scelte strategiche delpiano, ambiti connotati anche da unapplicazione estesa dei principi dellaperequazione, sia di quella “fondiaria”(aree cedute al comune gratuitamenteper verde e servizi pubblici con poten-zialità edificatoria collocabile a distan-za), già sperimentata e applicata aseguito del Prg ‘93, e di quella integra-ta (cessione di aree pubbliche e operepubbliche aggiuntive realizzate dai pri-vati).Tali ambiti definiti unitari, principal-mente in relazione alle loro caratteristi-che fisiche ed urbanistiche, potevanoanche essere oggetto di concertazionecoi privati al fine di addivenire in sededi Psc a specifici accordi; accordi che

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Tab. 1

CAPOLUOGO

per comparti prevalentemente residenzialiUT = 0.15 mq/mq sulla superficie territoriale delle aree di nuovo impianto+ UT = 0.075 mq/mq ospitata da parchi o cintura verde o da altre aree destinate

ad usi pubblici+ UT = 0.025 mq/mq premio per la superficie utile ospitata (pari ad 1/3)+ UT = 0.05 mq/mq Erp (edilizia residenziale pubblica)

per comparti prevalentemente terziariUT = 0.12/0.13 mq/mq + UT = 0.03/0.05 mq/mq ospitata + premio (1/3)

per comparti prevalentemente produttiviUT = 0.19 mq/mq + UT = 0.04 mq/mq ospitata in regime

perequato + premio (1/3)

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fasi, partendo dagli obiettivi strategici,dalla possibilità di operare anche sceltealternative in caso di non accordo,senza subire logiche derogatorie e/o dibasso profilo in sede di pianificazioneoperativa;3. che il processo concertativo imponestrutture operative, coerenza politica etecnica, trasparenza nella ricerca delpunto di equilibrio fra convenienzepubbliche e private4. che si creano con tale processomaggiori garanzie di attuabilità delpiano e minori probabilità di conten-zioso col privato.

* Architetto, Capo Area Pianificazione territoriale delcomune di Ravenna.

Note1. Tutti i documenti relativi al Psc sono scaricabili dalsito del Comune (www.comune.ravenna.it) alla voce “IServizi: urbanistica” – Ulteriore documentazione èleggibile dal sito www.rif.ra.it. Si rinvia inoltre allaNewSletter dell’Area Pianificazione Territoriale:“TerritorioNews” del mese di marzo 2007 accessibilealla voce “urbanistica” già citata.2. Valori assegnati al mq di superficie utile (distintiper usi) per determinare l’onere aggiuntivo da appli-care negli ambiti a programmazione untiaria e con-certata (segue schema)

Conclusioni

Dall’esperienza maturata si può sen-z’altro dire:1. che la scelta del Comune di Ravennadi estendere il meccanismo perequativoa tutte le aree per le quali il Psc preve-de rilevanti trasformazioni urbanistichee per le quali appare strategica:- l’acquisizione di patrimoni fondiaristrumentali alla realizzazione di infra-strutture e di attrezzature collettive (coltrasferimento di diritti edificatori);- la realizzazione diretta da parte diprivati di importanti opere pubblicheper la città (con l’introduzione anchedegli oneri aggiuntivi); si rende mag-giormente e sostanzialmente possibilecon il processo concertativo e quindiindividuando la concertazione comestrumento per attuare la perequazione;2. che la concertazione progressiva sutre livelli (Psc, Poc e Pua) consente unprogressivo approfondimento della pia-nificazione e programmazione, metten-do in capo al Comune non solo il pri-mato del piano, ma la possibilità diesercitare il suo “potere” e la sua“autorevolezza ed efficacia” nelle varie

L’accordo tipoParallelamente e a seguito della con-certazione attivata, dopo la presenta-zione della bozza di Psc, con l’aperturadi 28 tavoli di confronto coi privatiche hanno operato dal novembre 2004al maggio 2005, si è definito, d’intesacon la Regione e la Provincia, un“Accordo tipo” per la fase di primolivello, il Psc ponendo nel contempo lebasi per i due livelli successivi. In que-sta prima fase si è ovviamente privile-giata la definizione degli obiettivi e irelativi impegni, non imponendo onerieconomici ai privati. L’accordo tipostabilisce che esso è impegnativo per ilprivato fin dalla sua sottoscrizione,mentre per il Sindaco prevede esclusi-vamente l’impegno a presentarlo inConsiglio C. contestualmente e comeparte integrante della proposta di Psc.Per l’amministrazione comunale l’ac-cordo è impegnativo solo ad avvenutaapprovazione del Psc e al momentodella sua successiva stipula. L’accordotipo è stato approvato dal Consiglio C.in data 9 maggio 2005.

Adozione e approvazione del PscA conclusione del complesso e impe-gnativo lavoro di concertazione con-dotto dall’Ufficio, ad avvenuta condivi-sione della Giunta, prima dell’adozionedel Psc sono stati sottoscritti 25Accordi dai privati su 28 ambiti (siveda elaborato Psc 4.1 e art. 13 delleNta) che sono divenuti parte integrantedel Psc adottato dal Consiglio C. il 25giugno del 2005.In fase di pubblicazione del Psc sonopervenute varie osservazioni interes-santi detti ambiti; nella fase di contro-deduzione alcune di queste sono stateaccolte ed è stato riattivato il processodi concertazione su 4 ambiti raggiun-gendo l’accordo su altri due ambiti.Pertanto nel Psc approvato (27 feb-braio 2007) ben 27 ambiti a program-mazione unitaria sono stati concertatie si è giunti alla sottoscrizione delprimo livello degli Accordi, accordi chevedranno una loro ulteriore e necessa-ria precisazione in sede di Poc e di Puaconcludendo così quindi una concerta-zione progressiva che accompagna tuttii livelli di pianificazione, articolandosie specificandosi secondo il livello delpiano a cui accede.

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SCHEMA VALORIZZAZIONE

Zona Valore Unità Tipo Superficie

Capoluogo residenziale libera 200 euro/mq di Su propriaCapoluogo residenza universitaria 50 euro/mq di Su propriaCapoluogo terziario 100 euro/mq di StCapoluogo terziario (ipercoop) 150 euro/mq di StFrangia residenziale 150 euro/mq di Su propriaFrangia terziario 100 euro/mq di StFrangia produttivo 50 euro/mq di StForese residenziale 100 euro/mq di Su propriaForese ristrutturazione (da prod. Ares.) 30 euro/mq di StForese terziario/ricettivo 50 euro/mq di StForese produttivo nuovo 30 euro/mq di StLitorale residenziale (Punta Marina, Lido Adriano) 300 euro/mq di Su propriaLitorale residenziale (Casalborsetti e Lidi sud) 200 euro/mq di Su propriaLitarole ricettivo 50 euro/mq di Su propriaU2 (a eventuale scomputo) 56 euro/mq di Su tot.

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2013 si presenta, quindi, come unasorta di Dpef che orienta in modo uni-tario le politiche delle amministrazionicentrali e regionali per lo sviluppo ter-ritoriale.

La dotazione finanziaria

Il Quadro Strategico nazionale 2007-2013 avrà a disposizione circa 122mld di euro, di questi al mezzogiornosarà dedicato l’85% dei fondi naziona-li destinati alla politica regionale paria circa 100 mld di euro. Le regioni ita-liane interessate al regime transitoriosono la Basilicata, con circa 0,4 mld dieuro, in uscita per effetto statisticophasing out dall’obiettivo“Convergenza” ex Obiettivo 1, e laSardegna, con circa 0,9 mld di euro,che passa dall’obiettivo 1, di cui face-va parte nella programmazione 2000-06, al nuovo obiettivo 2“Competitività e occupazione” phasingin.Il riparto programmatico delle risorsedestinate agli investimenti nel sudsegna una svolta innovativa rispetto alperiodo 2000-06, puntando sulla valo-rizzazione delle risorse umane (dal 4,8al 9% ed, in particolare per l’istruzionedall’1 al 5%), sulla ricerca e l’innova-zione per la competitività (dal 9 al14%); sull’uso sostenibile delle risorseambientali (dal 10 al 16%); sulla salu-te, sull’inclusione sociale e i serviziper la qualità della vita (dal 3 al 9%);sulla competitività e l’attrattività dellecittà e dei sistemi urbani (dal 2,6 al7,2%); sulla valorizzazione delle risor-se naturali culturali e per il turismo(da 8 a 9%).

Orientamenti e strategie del Quadro strategiconazionale 2007-2013Carmela Giannino*

concreto, se una Regione voleva rea-lizzare una strada che richiedeva 7anni per essere costruita e ipotizzavadi averne una parte in quota fondistrutturali e una parte in quota Fas, sipoteva imbattere, come è accadutonella maggioranza dei casi, in difficol-tà perché la parte di risorse in quotacomunitaria seppure con una percen-tuale di cofinanziamento nazionale erasupportata da un impegno finanziariocerto per 7 anni; mentre la parte dirisorse in quota Fas poteva contare suun impegno finanziario certo per soli3 anni.

La nuova politica regionaledi sviluppo

Stato centrale e Regioni in Italia hannodeciso di dare seguito alla riformadella politica di coesione comunitaria,unificando la programmazione dellapolitica regionale comunitaria conquella della politica regionale naziona-le Fas. Per la prima volta si potrà con-tare, congiuntamente, sia di risorse deifondi strutturali e del relativo cofinan-ziamento nazionale, sia di risorse delfondo aree sottoutilizzate Fas. Stabilireche gli obiettivi strategici nazionalivengono realizzati sia con i fondistrutturali comunitari settennali, siacon il Fas anch’esso settennale, graziealla novità introdotta con laFinanziaria 2007, significa dare cer-tezza alla programmazione attraversola pluriennalità della dotazione finan-ziaria, alla quale potrà corrispondereuna più tempestiva ed efficiente pro-grammazione degli interventi. Il Quadro strategico nazionale 2007-

Il Quadro Strategico Nazionale (Qsn),previsto del Rg Ce 1083/2006 art. 27sui fondi strutturali europei, è il docu-mento di orientamento strategico chel’Italia ha presentato alla CommissioneEuropea in attuazione della politica dicoesione comunitaria.La sua definizione rappresenta il risul-tato di una intensa e prolungata con-sultazione del partenariato istituziona-le ed economico sociale, attraverso l’i-stituzione di specifici tavoli e gruppisulle priorità del Qsn e con il coordi-namento del Dps, al fine di definire gliobiettivi, le priorità e le regole dellapolitica regionale di sviluppo.

La precedente programmazione?

Prima d’ora per dare attuazione allapolitica di coesione comunitaria equindi per realizzare gli obiettivi stra-tegici per lo sviluppo e la competitivi-tà del nostro Paese si predisponeva unQuadro strategico nazionale il cuibacino finanziario era costituito solodalle risorse dei Fondi strutturalicomunitari che, come noto, rappresen-tano possibilità di impegno finanziariosettennale. Mentre, dall’altro lato, ilFondo nazionale per le aree sottouti-lizzate Fas “viaggiava” su altri binari:vale a dire con procedure proprie euna possibilità di impegno finanziariopari a tre anni. In questo modo loStato e le Regioni per realizzare i pro-pri obiettivi (investimenti infrastruttu-rali, ambientali, nell’ambito dellaricerca, della formazione, dell’istruzio-ne), avevano non solo due canali diprogrammazione diversi ma anchetempi diversi. Per fare un esempio

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generali e specifici in cui si articola alivello territoriale e/o settoriale,secondo criteri di condivisione e pro-porzionalità, sono attuati e conseguitisulla base di un processo di program-mazione articolato in tre livelli diattuazione da adottare e attivare pro-gressivamente nel corso del primoanno di programmazione: a. il livello di programmazione dellastrategia specifica (territoriale e/o set-toriale) della politica regionale unita-ria, cui è associata, per ogniAmministrazione centrale e regionaleche partecipa al processo, la definizio-ne delle modalità con cui si concorreagli obiettivi generali di tale politica el’individuazione e indicazione dellepriorità del Quadro al cui consegui-mento concorrono: i fondi comunitari(in modo che i singoli Programmi

saranno articolate con intensità emodalità differenziate fra le duemacro-aree geografiche, Centro Nord eMezzogiorno e fra gli obiettivi comu-nitari di riferimento, “Convergenza”,“Competitività regionale e occupazio-ne”; “Cooperazione territoriale”.

Il quadro sarà attuato attraversoProgrammi operativi regionali Por enelle regioni dell’Ob. Convergenza(Campania, Calabria, Puglia e Sicilia),anche attraverso cinque Programmioperativi nazionali Pon Fesr, tre PonFse e due Programmi operativi interre-gionali Poi con il contributo del Fesr.

La nuova governance

La strategia della politica regionaleunitaria, le priorità e gli obiettivi

Le fasi di attuazione e modalitàattuative

Con l’approvazione da parte del Cipe e,previo parere favorevole dellaConferenza Unificata, dic. 2006, si èchiuso il processo naturale di defini-zione del Quadro strategico nazionaleQsn per la politica regionale di svilup-po 2007-2013. Dopo la sua trasmissio-ne alla Commissione si apre ora la fasedel dialogo prevista dai regolamenticomunitari, per assicurare un approcciocomune, Stato membro-CE, alla pro-grammazione 2007-2013. In tal modoviene spianata la strada per l’avviodella nuova generazione di programmioperativi, dopo il loro invio allaCommissione previsto entro marzo2007 e la loro successiva approvazio-ne, che secondo la tempistica previstadal regolamento generale dei fondistrutturali, dovrà avvenire entro 4 mesidalla presentazione ufficiale.

La strategia del quadro è articolata inquattro macro obiettivi:1. sviluppare i circuiti della conoscenza; 2. accrescere la qualità della vita, lasicurezza e l’inclusione sociale nei ter-ritori; 3. potenziare le filiere produttive, i ser-vizi e la concorrenza; 4. internazionalizzare e modernizzarel’economia, la società e le amministra-zioni;coniugati in 10 priorità tematicheincentrate su obiettivi di produttività,competitività ed innovazione, che

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Totale risorse finanziarie Fondo aree sottoutilizzate Fondi strutturaliin mld di euro * in mld di euro ** in mld di euro

Italia 122,7 64,4 28,8nel mezzogiorno*** 101,4 54,7 23,0* comprende anche una stima di massima del cofinanziamento nazionale che è pari circa alla percentuale dei FS;** il FAS fa riferimento alla Legge finanziaria 2007;*** nel Mezzogiorno sono incluse anche le Regioni dell’area che partecipano all’Obiettivo Comunitario “Competitività regionale e occupazione”, ovvero Abruzzo, Molise e Sardegnain regime di sostegno transitorio

Priorità del Quadro Strategico Nazionale Allocazione programmatica delle risorse della politica

regionale nazionale ecomunitaria (valori percentuali

al netto della Riserva)

1 Miglioramento e valorizzazione delle risorse umane 9,0

di cui: programma comune sull’istruzione 5,0

2 Promozione, valorizzazione e diffusione della Ricerca

dell’innovazione per la competitività 14,0

3 Uso sostenibile e efficiente delle risorse ambientali per lo sviluppo 15,8

di cui: progetti interregionali per l’energia rinnovabile e risparmio energetico 2,8

4 Inclusione sociale e servizi per la qualità della vita e l’attrattività territoriale 8,8

di cui: programma comune sulla sicurezza 1,4

5 Valorizzazione delle risorse naturali e culturali per l’attrattività dello sviluppo 9,0

di cui: progetti interregionali su attrattori culturali, naturali e turismo 2,3

6 Reti e collegamenti per la mobilità 17,0

7 Competitività dei sistemi produttivi e occupazione 16,0

8 Competitività e attrattività delle città e dei sistemi urbani 7,2

9 Apertura internazionale e attrazione di investimenti, consumi e risorse 1,2

10 Governance, capacità istituzionali e mercati concorrenziali e efficaci 2,0

Totale (al netto della Riserva) 100

QSN 2007-2013Dotazione indicativa per obiettivo

in mld di euro

Convergenza 21.640.425.294Competitività 6.324.890.095Cooperazione 846.453.517Totale Fondi strutturali 28.811.768.906

Mezzogiorno - Ripartizione programmatica tra le Priorità del QSN delle nuove risorse della politicaregionale per il 2007-2013

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Urbanistica INFORMAZIONI

indicherà le modalità di coordinamen-to in grado di adottare soluzioni effi-caci per sostenere l’integrazione trasoggetti, risorse e strumenti, richiestadalla politica regionale unitaria.

Le regole di attuazione della politicadi coesione 2007-2013

Il regolamento Ce 1828/06 - pubblicatosulla Guce L 371/2006 - rappresental’ultimo tassello della politica regionalee di coesione dell’Unione Europea peril periodo di programmazione2007/2013, il cui elemento centrale èrappresentato dal regolamento Ce1083/06, norma rispetto alla quale ilregolamento 1828/06 si pone qualeindispensabile strumento di attuazione.

Bibliografia:QSN per la politica regionale di sviluppo 2007-2013 – Dicembre 2006; Nota di sintesi del QSN; Allegato 1. La politica regionale nazionale delFAS; Allegato 2. Indicatori e Target;Su http://www.dps.tesoro.it/qsn/qsn.asp

c. il livello dell’attuazione e quindidegli specifici strumenti con cui lastrategia di politica regionale unitariasi realizza.I principi della governance multilivellocui è ispirata tale politica richiedonoquindi una notevole attività di coordi-namento che deve dispiegarsi a tutti ilivelli coinvolti nella programmazionee gestione degli interventi. Accanto alla individuazione delleamministrazioni capofila per fondorispettivamente Ministero dello svi-luppo economico – Dps per il Fesr eMinistero del Lavoro e dellaPrevidenza Sociale per l’Fse e allaidentificazione delle Autorità digestione e Autorità di certificazionedei singoli programmi operativi, ladelibera Cipe di attuazione del Quadro

La nuova programmazione 2007-2013Immagine tratta da: http://ec.europa.eu/regional_policy/atlas2007/fiche_index_en.htm

operativi siano distinguibili e al livel-lo di dettaglio richiesto dai relativiregolamenti) e le altre risorse dellapolitica regionale di coesione unitaria(esplicitando la destinazione program-matica delle risorse Fas);

b. il livello della condivisione istitu-zionale delle priorità, degli obiettivi,degli strumenti e delle responsabilitànell’ambito dell’Intesa Istituzionale diProgramma che definisce: 1. le priorità da conseguire in ambitodi cooperazione istituzionale Stato-Regione e/o fra più Regioni; 2. le modalità e le regole di coopera-zione istituzionale; 3. le specifiche responsabilità attuative; 4. i conseguenti strumenti di attuazio-ne della politica regionale unitaria;

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edilizia sociale come dotazione territo-riale aggiuntiva a quelle di legge. I tempi di attuazione di questo obietti-vo strategico non hanno fatto perderedi vista da un lato la situazione con-tingente e dall’altro le molteplici sfac-cettature che la problematica presentasul territorio, in riferimento anzituttoalla diversa articolazione dei fabbiso-gni e per fare questo è stato adottatoun sistema di strategie articolate sulmedio, breve e lungo periodo attraver-so il quale definire le nuove modalitàdell’intervento pubblico mettendo alprimo posto tre principali caratteristi-che:- aumento dell’offerta di alloggi pub-blici e privati in affitto a canone con-cordato ai sensi della Legge 431/98;- possibilità di coinvolgere tutti i sog-getti (pubblici, privati e privato sociale)che offrano la disponibilità a fornire ilproprio contributo in un clima di reci-proca collaborazione con il sistemadegli Enti pubblici;- implementazione di programmi e diprogetti che abbiano caratteristica diforte innovazione riguardo agli aspettifinanziari.Di questo programma strategico chedovrà necessariamente confrontarsicon le modifiche normative che ilgoverno ha in corso di definizione pareutile illustrare di seguito due diverseiniziative che hanno il pregio di esserestate implementate con gli strumentiattualmente disponibili: la prima ha ilvantaggio di facilitare l’utilizzo dirisorse esistenti indirizzandolo verso lefinalità pubbliche ed è “l’Agenziametropolitana per l’affitto”; la seconda

Housing sociale a BolognaBruno Alampi*

secondo l’attuale schema di intervento,è esclusa dalle graduatorie ERP manello stesso tempo non riesce a soste-nere i canoni di locazione del mercatolibero né ad acquistare un alloggio inproprietà. Partendo da queste considerazioni ana-litiche di base, la modalità praticaadottata dagli Enti locali bolognesi peraffrontare il problema e trovare solu-zioni condivise è stata quella di dotarsidi un organismo finalizzato a coordi-nare le politiche territoriali che avven-gono sul territorio provinciale da partedella Conferenza metropolitana deiSindaci, denominato Comitato interisti-tuzionale per l’elaborazione condivisadei Psc. Ciò partendo dalla considera-zione che le politiche abitative sono inprimo luogo un problema di pianifica-zione territoriale ed urbanistica, inriferimento all’equilibrio complessivotra le diverse funzioni che devonoessere contenute all’interno delle nostrecittà.Il comitato, in riferimento a questotema, si è posto l’obiettivo strategico direalizzare uno stock di nuovi alloggi diedilizia sociale - denominata “non con-venzionale”1 - da realizzare nel territo-rio provinciale nell’arco “dei prossimidue mandati amministrativi” per unammontare complessivo di 5.000 allog-gi. Ciò in quanto saranno i nuovi PianiStrutturali redatti dai Comuni e dalleAssociazioni intercomunali2 chepotranno sviluppare in pieno le strate-gie individuate per raggiungere questorisultato e che sono rappresentate dallaperequazione urbanistica e dalla nego-ziazione coniugate dalla nozione di

Il sistema degli Enti locali dell’AreaMetropolitana Bolognese si è posto ilproblema di trovare forme di interven-to maggiormente caratterizzate ed inci-sive nella ridefinizione del ruolo dellepolitiche pubbliche del settore abitativopartendo dalle due principali questionisul tavolo nel nostro paese, che sonorappresentate dalla forte diminuzionedel flusso di finanziamento stataleavvenuto con la cessazione dellaGescal e dall’alta percentuale di fami-glie (il 70-75 %) che vive nella casa dicui è proprietaria.La combinazione di questi due fattoriproduce come effetto il fatto che lamancanza di abitazioni in affitto aprezzi sostenibili dalle famiglie medierappresenti, oltre ad una situazionecrescente di sofferenza e di insicurezzanelle persone che non riescono a pro-grammare e progettare i propri percorsidi vita, un vero e proprio fattore limi-tante per lo sviluppo economico delleimprese e dei territori.Ad aggravare questa situazione, il pro-gressivo indebolimento economico delceto medio ha allargato a fasce dipopolazione più ampie il disagio abita-tivo prima rappresentato solo dallecategorie più marginali. E’ quella chegli analisti hanno definito “fascia gri-gia”, che ha caratteristiche difficili daparametrare in assoluto in quantospesso la differenza non è redditualema è rappresentata dall’abitare o menoin una casa in proprietà. Tale “fasciagrigia”, in genere possiede una capaci-tà di spesa non trascurabile che nonconsente di equipararla alle “fascesociali” tradizionali e per questo,

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dell’Accordo si articola nel seguentemodo:- il comune interessato dall’interventomette a disposizione un’area edificabiledi proprietà e ne realizza le urbanizza-zioni; - la Fondazione eroga un finanziamen-to a fondo perduto pari a circa il 20 %del costo di costruzione e si fa garantenei confronti della Cassa di Risparmioin Bologna riguardo all’erogazione diun prestito a tasso agevolato; - l’Acer è titolare del prestito bancario,attuatore del progetto ed introita i pro-venti dei canoni di locazione per ilperiodo di tempo utile ad ammortizza-re i costi di costruzione;- gli inquilini vengono selezionati conprocedure ad evidenza pubblica sullabase del reddito e sulla capacità apagare un canone concordato;- alla fine dell’ammortamento deicosti, gli alloggi diventano di proprietàdel Comune. L’Accordo è in avanzata fase di attua-zione e sono già stati realizzati e con-segnati un numero di alloggi pari acirca la metà di quelli complessivi (chesono 240) oltre ad avere una program-mazione articolata per quelli in corsodi realizzazione, ma l’elemento piùimportante riguarda la messa a puntodi un modello di interventopubblico/privato sociale che sta dandoimportanti risultati e che pare utilereplicare utilizzando le modalità attua-tive già collaudate.Infatti, nel panorama nazionale degliinterventi delle Fondazioni bancarieche riguardano l’housing sociale3, l’ini-ziativa in oggetto si è caratterizzatacome particolarmente incisiva riguardoalla partnership pubblico/privato-sociale rispetto alle seguenti principaliquestioni:- la Fondazione Cassa di Risparmio inBologna ha già impegnato ad oggi suquesto progetto 2,5 milioni di euro;- gli immobili realizzati diventerannodi proprietà delle amministrazionicomunali dopo l’ammortamento deicosti;- il coinvolgimento diretto dell’Acer diBologna, azienda di proprietà deiComuni e della Provincia e che negestisce i patrimoni immobiliari;- il processo virtuoso che ha portatoun sensibile abbattimento dei costi ed

so bandi pubblici nei quali verrannoprivilegiati i fabbisogni riscontrati alivello locale, mantenendo un rapportomassimo di incidenza del canone dilocazione sul reddito del 30 %. Facendo una valutazione di massimadel processo virtuoso che si potrà atti-vare è realistico stimare entro ilmigliaio il numero di alloggi (privati epubblici di proprietà degli Enti locali,delle ex Ipab e dell’Acer) che l’Agenziariuscirà a gestire entro i primi tre annidi attività, che sarà svolta attraversoun monitoraggio continuo dei risultatid’esercizio.Superata questa soglia sarà possibileerogare servizi di maggiore dettaglioquali:- la possibilità di far ripristinare allog-gi non abitabili all’Agenzia e diammortizzare tali spese mediante icanoni di affitto, - di sostenere finanziariamente le spesedi accesso all’alloggio da parte degliinquilini, - di consentire a proprietari anzianinon autosufficienti la possibilità dicambiare il proprio alloggio non piùadeguato con uno messo a disposizionedell’Agenzia con caratteristiche compa-tibili alle sue condizioni. Nel frattempo si stanno avviando lemodalità di definizione gestionale perprogetti mirati a specifiche categorie diutenti come ad esempio i lavoratoriprovenienti da fuori regione e gli stu-denti fuori sede.

Il Programma di alloggia canone contenuto

La Provincia di Bologna ha promossola sottoscrizione di due Accordi diProgramma con i Comuni della provin-cia, la Fondazione Cassa di Risparmioin Bologna e l’Acer di Bologna, finaliz-zato alla realizzazione di alloggi dadestinare alla locazione permanente acanone contenuto al fine di attuare unintervento qualificato nel settore abita-tivo per dare una risposta concreta allefamiglie che si trovano in grave diffi-coltà economica a causa degli alti costidei canoni di affitto del libero mercatodell’area bolognese e delle difficoltà diaccesso agli alloggi di edilizia residen-ziale pubblica dei comuni del territorio. Lo schema di funzionamento

rappresenta una felice sperimentazionedi collaborazione tra Enti pubblici eprivato sociale ed è il “Programma direalizzazione di alloggi a canone conte-nuto con il contributo della FondazioneCassa di Risparmio in Bologna”.

L’Agenzia metropolitana per l’affitto

Il progetto nasce dall’esigenza diincentivare il mercato delle locazioni,agevolando l’incontro tra domanda eofferta ed utilizzando gli strumentinormativi esistenti per favorire l’acces-so alla locazione a canone concordatodelle famiglie che hanno redditi inter-medi garantendo comunque gli interes-si della proprietà immobiliare.La forma societaria scelta per mante-nere l’autonomia finanziaria ed opera-tiva rispetto ai soggetti aderenti èquella dell’Associazione, che si è costi-tuita il 22 gennaio 2007 ed i cui socifondatori sono Provincia e Comune diBologna, i Comuni dell’area metropoli-tana, l’Azienda Casa Emilia-Romagnadella Provincia di Bologna oltre alleassociazioni dei proprietari immobilia-ri, ai sindacati degli inquilini ed alleassociazioni imprenditoriali.Il sistema di garanzie per la proprietàimmobiliare fanno riferimento princi-palmente all’istituzione di un fondo,finanziato dalle Fondazioni bancarieed alimentato con una quota pari al 3% del canone di locazione, che permet-tono di:- percepire un canone di locazionesenza correre rischi di morosità;- avere riconsegnato l’immobile nellostato originario, fatta salva la normalevetustà;- avere la possibilità della tutela legalein caso di controversie;- affidare la completa gestione delcontratto, dalla predisposizione fino alrilascio dell’immobile, all’Agenzia, conuna minimizzazione dei costi ammini-strativi e degli adempimenti burocrati-ci;- godere delle agevolazioni fiscalilegate al canone concordato.In cambio di queste garanzie vienechiesto ai proprietari che metteranno adisposizione dell’Agenzia i propriimmobili di darli in locazione a fami-glie selezionate seguendo liste di prio-rità che i Comuni redigeranno attraver-

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dal 2004 un piano di comunicazione edi fundraising per lo sviluppo di unacultura sostenibile e ha creato unfondo che, grazie alle risorse raccolte,si occuperà di garantire alla città bene-fici di lungo periodo. Siviglia ha inclu-so all’interno del “Plan EstratégicoSevilla 2010”, centrato sulla capacità diinnovazione, sulla competitività deltessuto produttivo e su nuove forme digestione capaci di raccogliere consensoe attivare partnership, un piano strate-gico specificamente dedicato alla cul-tura.Questi sono solo alcuni esempi di comela cultura possa rappresentare una verae propria forma di welfare per i cittadi-ni, spingendo questi ultimi a riscoprirela propria città, a dare voce ai propribisogni, a partecipare ai processi dipianificazione locale, a cogliere tutte leopportunità offerte dal centro urbano.Non solo. In un contesto di crescentecompetitività, si determina con forzaun confronto su base locale sempre piùcentrato sul coordinamento e sull’inte-grazione tra performance economiche,qualità della vita, offerta culturale ecoinvolgimento delle componentisociali, per attrarre risorse umane edeconomiche e per attivare network conaltre realtà a livello nazionale e inter-nazionale. Le città divengono così protagonistedel recupero delle caratteristiche fon-damentali del patrimonio locale e sonochiamate dalla normativa comunitaria,nazionale e regionale a riconsiderarel’esercizio concreto di attività di inte-resse generale non solo per quantoconcerne i rapporti tra livelli istituzio-

Il distretto culturale di FaenzaCecilia Conti*

Tra gli anni ’80 e gli anni ’90 si dif-fonde con sempre più forza l’idea cheil miglioramento dell’immagine dellacittà, lo sviluppo economico locale,l’integrazione sociale, l’aumento dellaqualità della vita, l’internazionalizza-zione, il richiamo di investimenti etalenti si realizzano attraverso lariqualificazione urbana e culturale.Si moltiplicano, in Paesi quali laGermania e l’Inghilterra, i casi in cui laprogrammazione culturale e la costru-zione di infrastrutture per la culturadiventano parte di un progetto piùampio. Così l’amministrazione comu-nale di Francoforte ha definito unastrategia di pianificazione urbana, pre-vedendo la creazione di un vero e pro-prio quartiere dei musei. Liverpool haattribuito un ruolo di primo piano allacultura per la riqualificazione di areeindustriali dismesse e socialmentedegradate, attraverso il recuperodell’Albert Dock. Glasgow ha intrapresola stessa strada, ottenendo notevolirisultati anche in virtù di un’intensacampagna pubblicitaria e della nominaa Capitale Europea della Cultura nel1990. Stavanger, Capitale della culturaeuropea nel 2008, ha avviato a partire

In un contesto di crescentecompetitività, il confronto su baselocale per attrarre risorse umane edeconomiche è sempre più centratosull’integrazione tra economia,qualità della vita, offerta culturale ecoinvolgimento delle componentisociali

ha permesso che in una realtà in cui ilcosto di costruzione si aggira intornoai 1.200 - 1.300 euro/mq. si è riuscitiad appaltare lavori a meno di 900euro/mq. (prezzi 2006) e prezzi dicostruzione medi degli alloggi di55.000 euro.Più che le quantità messe in gioco, chein ogni caso non si sarebbero potuterealizzare in altro modo, il vero valoreaggiunto di questa sperimentazione èrappresentato proprio da questo pro-cesso virtuoso che da un lato dimostrache è possibile costruire a costi inferio-ri a quelli di mercato mantenendo glistessi standard di sicurezza e con qua-lità apprezzabile, nel coinvolgimentoattivo dell’Acer con un ruolo che vaoltre la gestione dei patrimoni immobi-liari dei Comuni oltre che dal contribu-to della Fondazione che ha rappresen-tato il vero e proprio impulso che neha permesso l’implementazione.

* Responsabile Politiche abitative della Provincia diBologna.

Note1. per distinguerla dalla tradizionale edilizia residen-ziale pubblica.2. Il Ptcp della Provincia di Bologna prevede, infatti,nelle Disposizioni attuative (art. 15.3) la “Promozionedella formazione dei Piani Strutturali Comunali informa associata”.3. Si fa riferimento principalmente a quelle presentatead Urbanpromo 2006 ed alla rassegna fatta nel nume-ro di Urbanistica Informazioni n. 209 del settembre-ottobre 2006.

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ottobre con l’intento non tanto di rap-presentare un punto di arrivo, quantodi aprire un confronto tra l’ammini-strazione locale, le istituzioni culturali,l’associazionismo cittadino, gli impren-ditori, i cittadini, gli studiosi e gliesperti internazionali, chiamati a con-dividere idee, competenze ed esperien-ze tra loro diverse. Il dibattito si è arti-colato in quattro sessioni, ciascunadedicata ad una linea strategica, conl’intervento degli attori locali e diesperti internazionali e la presentazio-ne di casi di eccellenza: HannesLeopoldseder, co-fondatore di ArsElectronica (Linz, Austria), per la lineastrategica dell’identità culturale, MariaSätherström, Vice AmministratoreDelegato dell’Ideon Science Park (Lund,Svezia), per la linea strategica dellariconversione innovativa, SimonRoodhouse, docente di CreativeIndustries presso la University of ArtsLondon e autore del libro “CulturalQuarters, Principles and Practice”, perla linea strategica formazione, RiccardoMarini, City Design Leader del CityCouncil di Edimburgo, per la lineastrategica immagine del territorio.Tutta la città ha partecipato al conve-gno, anche grazie all’organizzazione daparte di associazioni e istituzioni diuna serie di eventi collaterali, a testi-monianza della vivacità culturale delterritorio.Il convegno “Motod’idee, Faenza versoil distretto culturale evoluto” ha per-messo di testare le capacità di intera-zione e di partecipazione degli attoridel territorio. L’intersezione tra le lineestrategiche e la comunicazione orienta-ta al coinvolgimento hanno fattoemergere già in questa prima fase dipresentazione del progetto la visionverso la quale si intende andare: met-tere al centro la cultura e permettere aigiovani di essere protagonisti dellacostruzione del futuro della città.Nei primi mesi del 2007 la PubblicaAmministrazione ha avviato la faseoperativa del progetto. A tale scoposono stati costituiti quattro gruppi dilavoro ristretti, costituiti dal Comune,dalle associazioni culturali, dall’ISIA -Istituto Superiore per le IndustrieArtistiche - e da goodwill. Ai gruppi èaffidata l’implementazione delle lineestrategiche, la definizione del piano di

colare, lo studio approfondisce lepolitiche culturali del Comune e indi-vidua associazioni e istituzioni che avario titolo contribuiscono a formarel’offerta culturale della città, indaga gliaspetti economici e demografici più ril-evanti dell’area di riferimento,descrive, attraverso un benchmarkinternazionale dei casi in cui la culturarappresenta il volano per lo sviluppodel territorio.Le considerazioni emerse conduconoall’individuazione di quattro linee stra-tegiche, fra loro legate dall’eccellenzache caratterizza la città in ambito cul-turale, economico e formativo: la cera-mica. Le linee strategiche sono identità cul-turale, riconversione innovativa, for-mazione, immagine della città, e perciascuna vengono individuati uno opiù “progetti chiave”. In particolare, la prima linea strategica,che considera la relazione tra cultura ecittadini determinante per lo sviluppodell’identità, del senso di appartenenzae della coesione sociale, propone larealizzazione di un centro culturalepolifunzionale, secondo quanto elabo-rato dal “Laboratorio Cultura”, di unospazio non profit dedicato all’arte con-temporanea, sul modello delle kun-sthalle tedesche, e di un festival del-l’arte contemporanea3.La linea “riconversione innovativa”,per rinnovare in chiave creativa l’illu-stre tradizione ceramica della città eper sostenere l’imprenditorialità giova-nile, identifica nel “Parco delle Arti edelle Scienze E. Torricelli” il punto diincontro tra ricerca, formazione esistema produttivo.La “formazione” consolida nellaCittadella della Cultura, spazio destina-to dalla pubblica amministrazione aicorsi universitari, il programma forma-tivo della città, dotandolo di una pro-pria specificità e ponendolo in relazio-ne con altri istituti di formazione alivello nazionale e internazionale.La linea “immagine della città” rappre-senta il comune denominatore dellealtre tre linee strategiche e propone larealizzazione del brand Faenza.Il piano strategico è stato protagonistadel convegno internazionale“Motod’idee. Faenza verso il distrettoculturale evoluto”, svoltosi lo scorso

nali, ma anche per gli accordi tra pub-blico e privato. È proprio la creazione di sinergie tra ilsettore produttivo, formativo e cultura-le ciò a cui tende la città di Faenza,secondo la teoria del distretto culturaleevoluto. Con tale espressione Pier LuigiSacco1 indica un approccio di sviluppolocale in cui la correlazione tra cultura,nell’accezione più ampia del termine, eterritorio risulta motore propulsivo perla creazione di un sistema integrato diattori. Le dinamiche dell’economia del-l’innovazione e della conoscenzarichiedono, infatti, forme nuove di net-working territoriale, nelle quali al tra-dizionale schema distrettuale monofi-liera si sostituisce un forma di integra-zione orizzontale, in cui il tessuto con-nettivo è rappresentato dalla cultura.Il comune di Faenza accoglie questomodello e dall’ambizione condivisa daenti pubblici e da soggetti privati difare della città romagnola un centro diproduzione culturale innovativo ecompetitivo è nato il progetto del“distretto culturale evoluto di Faenza”. Sono alcune associazioni culturali cit-tadine a sensibilizzare per prime lapubblica amministrazione, attraverso laproposta di realizzare un centro cultu-rale polifunzionale, il LaboratorioCultura. Questo diviene il punto di par-tenza per la creazione di un tavolo dilavoro, a cui partecipano la pubblicaamministrazione, le associazioni delLaboratorio Cultura e goodwill2, comeconsulente esterno, creando così uncontinuo scambio di idee, un’integra-zione di ruoli e di know how differenti,una comune valutazione delle prioritàe degli obiettivi da perseguire. Tuttoquesto avviene sotto la riconosciutagovernance della pubblica amministra-zione, per garantire ai cittadini la tra-sparenza delle azioni intraprese, ilrispetto dei tempi e la coerenza con ibisogni e le risorse del territorio.Obiettivo del tavolo di lavoro è disegnare e avviare, a partire da uno studio di fattibilità fino alla sua implementazione, il percorso per la realizzazione del distretto culturale evoluto della città.Lo studio di fattibilità porta alladefinizione di un piano strategico arti-colato su un arco temporale triennale,che vede nel 2008, anno delle manifes-tazioni torricelliane, il momento diconsolidamento delle sinergie tra ilsettore culturale, formativo e produtti-vo, dopo un biennio dedicato alla con-divisione e al coordinamento dellelinee di sviluppo del progetto. In parti-

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ma solo se compatibile con le sue esi-genze di mantenimento e di conserva-zione. Necessiterebbe pertanto di unsupporto pubblico in termini program-matici, per favorirne l’inserimento incircuiti territoriali virtuosi, ma anchein termini economici, per garantirneuna manutenzione continua nel tempo. Siffatte politiche di salvaguardia risul-tano più facilmente applicabili a “pae-saggi circoscritti”, ovvero a “compo-nenti paesaggistiche” che, per persi-stenza nel tempo e ruolo territorialeacquisito, costituiscono ormai i capi-saldi riconosciuti dell’identità locale.Più difficile, invece, è ipotizzare lasostenibilità economica e sociale dipolitiche di salvaguardia applicate a unprogetto territoriale di “dimensioniregionali”. - Le politiche di gestione3 presuppon-gono di orientare e di armonizzare, inuna prospettiva di sviluppo sostenibile,le inevitabili trasformazioni cui unpaesaggio “vissuto” viene sottoposto invirtù dei processi di sviluppo sociale,economico e ambientale. Queste politi-che dovrebbero caratterizzarsi per laloro capacità di orientare una evolu-zione coerente, possibile solo a partiredal riconoscimento e dalla condivisio-ne dei caratteri identitari del paesag-gio, di quello che potremmo cioè defi-nire il suo “codice genetico”. Per noncorrere il rischio di approcci soggettivie improvvisati, dovremmo dunque pro-vare a decifrare questo codice, comin-ciando dalla individuazione delle“componenti” del paesaggio4 nelle lororeciproche relazioni5, quale presuppostoper comprenderne le “regole” di

Per una politicadel paesaggio toscanoLuciano Piazza*

Le politiche del paesaggio1 costituisco-no uno dei maggiori impegni dellagovernance territoriale e, come tali,presuppongono una partecipazionecorale delle comunità locali. Esserichiedono tuttavia risposte preliminaricondivise, di carattere politico e cultu-rale, a questioni sostanziali che risulta-no troppo spesso rimosse. Facendoriferimento alle politiche proposte dallaConvenzione europea del Paesaggioqueste questioni possono essere cosìrichiamate:- Le politiche di salvaguardia2 presup-pongono azioni di conservazione e dimantenimento dei paesaggi di partico-lare valore, che proprio per questosono considerati patrimonio della col-lettività. Ebbene, in presenza di pae-saggi documentali, storicizzati e forte-mente antropizzati come quelli toscani,che per conservare i propri caratteristorico-culturali necessitano di unacontinua manutenzione “fuori merca-to”, è forse inevitabile garantire undeciso supporto programmatico ed eco-nomico ai proprietari. Dovrebbe esserela collettività, in sostanza, e non il sin-golo, magari gravato da un vincolo, afarsi carico della conservazione di unpatrimonio, che, se lasciato a se stesso,rischierebbe di perdere in poco tempo ipropri caratteri peculiari e conseguen-temente il proprio valore. Così inteso,il paesaggio diverrebbe una “emergen-za” decontestualizzata, rispondente ainteressi più ampi di quelli locali e nonparteciperebbe a pieno titolo alle dina-miche territoriali. Dovrebbe essernegarantito un “utilizzo”, insito nel con-cetto stesso di risorsa e di patrimonio,

azioni e dei tempi, la convocazione digruppi allargati per lo sviluppo condi-viso e partecipato dei progetti. I quat-tro gruppi si occuperanno rispettiva-mente del centro culturale polifunzio-nale, del festival dell’arte contempora-nea e di due progetti trasversali alpiano del distretto culturale evoluto: ilprimo riguarda l’organizzazione diincontri periodici con i giovani, ilsecondo prevede l’implementazione ela cura dei contenuti del sitowww.motodidee.org, nato in occasionedel convegno.La cultura diviene per Faenza la “piat-taforma di innovazione dell’interasocietà” per uno sviluppo partecipatodel territorio, che propone, a partiredall’integrazione delle punte di eccel-lenza della città, la generazione dinuove idee e la realizzazione di nuoviprogetti. Per fare ciò, il distretto cultu-rale evoluto, tramite la valorizzazionedell’identità culturale della città, lacoesione sociale, la riconversione crea-tiva del sistema produttivo, il rafforza-mento dell’offerta formativa, aiuta icittadini a ripensare se stessi in rela-zione ai cambiamenti sociali, culturalied economici che i centri urbani dipiccole e medie dimensioni sono chia-mati ad accogliere e ad affrontare constrategie sostenibili e innovative, attra-verso la partecipazione di tutte le com-ponenti locali.

* Cecilia Conti è project manager di goodwill.

Note1. Pier Luigi Sacco è pro rettore alla Comunicazione eall’Editoria dell’Università IUAV di Venezia e direttorescientifico di goodwill (www.good-will.it); è direttorescientifico del progetto “Faenza verso il distretto cul-turale evoluto”.2. goodwill (www.good-will.it) è uno studio di consu-lenza strategica per il fundraising, la corporate e pri-vate philanthropy, la comunicazione fundraisingoriented, la progettazione del territorio secondo ilmodello del distretto culturale evoluto.3. Il festival dell’arte contemporanea “Presente conti-nuo/Present continuous” si svolgerà a maggio 2008 esarà anticipato da un convegno previsto per ottobre2007. Il Comitato scientifico del festival è compostoda Carlos Basualdo, Angela Vettese e Pier LuigiSacco, direttore scientifico del progetto “Faenza versoil distretto culturale”.

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Urbanistica INFORMAZIONI

stato costruito da soggetti sociali incondizioni sociali che oggi non esisto-no più; se il paesaggio, di contro, peressere vivo deve esprimere, a pienotitolo, anche le attuali condizioni divita e di lavoro dell’uomo, le sue esi-genze, i suoi desideri, il suo modo dipensare; se tutto questo è vero, comepuò un paesaggio ereditato da altreepoche, costruito per finalità (utilitari-stiche e di loisir) completamente diver-se da quelle attuali, conservare le suecaratteristiche e, al tempo stesso, esserefunzionale alle esigenze di oggi? Dovesono i soggetti che possono riproporre,a grande scala, una utilizzazione pro-duttiva dei terreni paragonabile a quel-la dei mezzadri? E dove sono i soggettiche possono introdurvi elementi for-mali così raffinati come facevano iprincipi, con le loro dimore e con iloro giardini di delizia?Oggi siamo di fronte a ben altri feno-meni sociali: con le aziende agrarieche allargano e rimodulano i terrazza-menti, ma che più spesso necessitanodi spazi ampi per le lavorazioni mecca-nizzate ed eliminano le articolazionimorfologiche, le vecchie sistemazioniagrarie, il sistema dei campi chiusi,sostituendo le monocolture specializza-te alle colture promiscue; con l’esercitodegli agricoltori amatoriali, che esaspe-ra il frazionamento fondiario, mesco-lando colture ortive a improbabili giar-dini della domenica; con l’invasionedelle seconde case, degli agriturismo,delle strutture ricreative, che concepi-scono l’agricoltura come ornamento eche si mostrano poco interessate allesue finalità produttive; con le nuoveattività escursionistiche, di ricerca e diprotezione della natura, di per sé legit-time, ma certamente diverse rispettoalle attività tradizionali della campa-gna. Altre esigenze sociali dunque, maanche nuovi fenomeni corrosivi, comela rendita fondiaria e la speculazioneedilizia, particolarmente virulente inun territorio così ambito dai mercatiinternazionali. La prima, che vorrebbe“fermare” il paesaggio toscano, senzaporsi concretamente il problema dicome conservarlo, di chi dovrebbeconservarlo, con quali mezzi, per qualifini, e che, affermando di volerlo sal-vare, non lo riproduce, non lo attualiz-

“bel” paesaggio toscano, e dalla qualitàsociale, condizione indispensabile perla saldatura con le attuali esigenze divita e di lavoro, visto che il paesaggioè una “… componente essenziale delcontesto di vita delle popolazioni, …”9.Senza dimenticare però l’equilibrio, lamisura, l’armonia, la bellezza, al paridella cultura, così presenti nell’espe-rienza toscana.Una qualità paesaggistica, dunque, chetenga insieme natura, cultura, società,economia ed estetica, muovendosi nel-l’ottica dello sviluppo durevole. Se inpassato esisteva un codice capace diconiugare tutti questi ingredienti, infunzione però di due sole grandi cate-gorie sociali produttrici di paesaggio (imezzadri e i “signori”), oggi, in unasocietà ben più articolata e complessa,malgrado le norme e i vincoli che cidovrebbero condizionare, non dispo-niamo di uno strumento così efficace:nella vasta pluralità di soggetti cheagiscono sul territorio, infatti, ciascunosi muove a suo piacimento, sulla basedi esigenze particolari, producendopaesaggi frammentati, casuali, incoe-renti, privi di qualità. Anche in questo caso, dunque, è neces-sario elaborare un nuovo codice fonda-tivo, che, stante la diversità degli inte-ressi in gioco, non potrà che esserecondiviso e basato su regole chiare,nelle quali tutti possano riconoscersi,trovandovi soddisfazione per le proprieesigenze individuali.Queste politiche, così come le questioniche sono ad esse sottese, vengono pur-troppo ignorate quando il paesaggiodiventa oggetto di scontro ideologicotra conservatori e innovatori. Ciò rimuove il problema centrale, concui invece è indispensabile confrontarsie che può essere così riproposto: se ilpaesaggio è un palinsesto, risultatodelle stratificazioni storiche delle rela-zioni tra uomo e natura; se nel paesag-gio toscano le impronte antropiche piùprofonde sono quelle lasciate dai mez-zadri e dai “signori”, che hanno datoluogo a un ecomosaico unico in Italia,formato da macchie di bosco, oliveti,vigneti, seminativi, frutteti, pascoli,case coloniche, ville, dimore signorili,parchi, giardini, siepi, filari alberati epoi, ancora, terrazzamenti, ciglioni,acquidocci …; se questo paesaggio è

costruzione nel corso del tempo. Ciòconsentirebbe di riferirsi a quelle stesse“regole” per impostare politiche di evo-luzione coerente, sulla base delle qualil’identità del paesaggio potrebbe rinno-varsi senza perdere di vista la suanatura profonda. Le inevitabili trasfor-mazioni che interessano il paesaggio,compreso quello toscano così forte-mente intriso di impronte storico-cul-turali, potrebbero così incorporare ilpatrimonio genetico, prefigurando altempo stesso ulteriori stadi evolutivi,armonizzando, cioè, le sue trasforma-zioni provocate dai processi di svilup-po sociali, economici ed ambientali.Tutto questo richiede un forte impe-gno, politico e culturale, per definiremetodi di lettura, di valutazione e diinterpretazione del paesaggio, ad usodi quanti6 ogni giorno vi operanosenza disporre di adeguati strumentioperativi7. Di contro troppo spesso,nella nostra esperienza, prevale la ten-denza a “non codificare”, per paura dibanalizzare e di inibire le capacitàindividuali di elaborazione. Così facen-do, tuttavia, rischiamo di consentireazioni improvvisate, contraddittorie,affidate alle sensibilità individuali o,peggio, legate agli interessi di parte. Proprio il contrario di quanto richiede-rebbe, in Toscana, una buona gestionedel paesaggio, costruito nei secoliattraverso processi coerenti di trasfor-mazione, che, in maniera più o menoconsapevole, facevano riferimento a uncodice comune. Il paesaggio toscano,infatti, non è frutto della casualità, maderiva dalla applicazione di regole pre-cise, a volte codificate dalla manuali-stica, spesso derivate dall’esperienza,per lungo tempo indotte dal contestosociale e dai rapporti di produzione. - Le politiche di pianificazione8 presup-pongono azioni lungimiranti, volte allavalorizzazione, al ripristino o allacreazione di nuovi paesaggi ed inter-vengono dove questi hanno perso leloro qualità originarie. Queste politichedovrebbero dunque perseguire la crea-zione di una nuova qualità paesaggi-stica. Ma in cosa dovrebbe consisterequesta nuova qualità? Potremmo provare a definirla partendodalla qualità ecologica, già condizioneimprescindibile dei paesaggi “sani” diogni epoca e presupposto fondativo del

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colta delle miniere del Planalto brasilia-no. Ancora alla fine del XIX secolo lapopolazione schiava oltrepassava moltoil numero degli abitanti liberi.3 La piùgrande città negra4 fuori dall’Africa, rac-coglie l’eredità della resistenza dei grup-pi negri che organizzarono una com-plessa rete di istituzioni e comunità, lacui matrice marca profondamente ilcarattere e l’identità brasiliana.Resistenza e memoria costituiscono unaforte base di affermazione della culturaafro-discendente: dalla formazione dicomunità di schiavi fuggiti5, attraversola lotta per l’indipendenza e le insurre-zioni urbane del secolo XIX fino allabattaglia, ancora in atto, per la demo-crazia razziale. “Le pietre del selciatosono nere come gli schiavi che vi sisederono, ma quando il sole di mezzo-giorno brilla più intensamente, esseriflettono il colore del sangue”6: cosìJorge Amado descrive il Pelourinho nelcui Largo venivano puniti pubblicamen-te gli schiavi ribelli.Il Pelourinho, luogo di residenza deiproprietari terrieri del Recôncavo finoagli inizi del secolo passato, concentròtutte le attività di controllo economico eamministrativo, la vita culturale e poli-tica della città e si mantenne il centroquasi assoluto della città fino all’iniziodegli anni Sessanta, quando si diedeinizio ad una redistribuzione delle fun-zioni nelle aree vicino al centro, paral-lelamente alla creazione di un centroturistico nel quartiere Barra. In seguitole opere di infrastruttura viaria costruitea partire dalla fine degli anni Sessanta,alterarono completamente la capacità dicircolazione di veicoli e persone in

Riqualificazione del centrocoloniale a Salvador BahiaElena Tarsi*

Salvador rappresenta un importanteriferimento in Brasile: con i suoi 450anni di storia è una delle colonizzazioniurbane più antiche dell’America Latina.La densità storica e culturale le conferi-sce una forte identità nel processo ditrasformazione contemporaneo. Creatanel 1549 per ordine della corona porto-ghese fu, fino al 1763, sede amministra-tiva della colonia, “luogo originario delBrasile composto d’Africa, pensato inEuropa e localizzato in America.”1

Centro del Recôncavo2, strutturata a par-tire della fine del secolo XVI dall’econo-mia dello zucchero, la città presidiò lamaggior rete urbana creata nelleAmeriche dal potere coloniale europeo edivenne un centro di cultura, la cui artereligiosa e architettura lasciarono unodei maggiori patrimoni barocchi fuoridall’Europa. Il centro storico entrò nel1985 nelle liste dei luoghi dichiaratidall’Unesco Patrimonio culturaledell’Umanità come la “più brillante urbedelle colonie portoghesi d’oltremare”.L’enorme ricchezza che vi si concentròsoprattutto tra il 1650 e il 1800 fu lega-ta allo sfruttamento indiscriminato dellerisorse del territorio e della mano d’ope-ra degli schiavi deportati dall’Africa.Salvador e il Recôncavo, durante laprima metà del secolo XVIII, furonoinfatti al centro del ciclo minerario,come mercato di schiavi e base di rac-

“Toda a riqueza do baiano, em graça ecivilização, toda a pobreza infinita,

drama e magia nascem e estãopresentes nessa antiga parte da cidade”

Jorge Amado

za e, di conseguenza, rischia di perder-ne la qualità nel tempo. La seconda,che invece vorrebbe “consumare” ilpaesaggio toscano, soprattutto nei luo-ghi di pregio, e che, guidata da finalitàdi convenienza economica immediata,ne supera le capacità di carico, gene-rando nuovi paesaggi volgari privi disenso estetico, ecologico e spesso fun-zionale.È possibile allora conciliare la qualitàdi questo paesaggio “ereditato” dalpassato con la complessità e la mute-volezza delle condizioni di oggi, evi-tando l’onere insopportabile, per ragio-ni economiche e sociali, di doverlomantenere “artificiosamente” in vita?L’alternativa è davvero tra la conserva-zione a tutti i costi e la trasformazionesenza regole? A questi interrogativi l’articolazionedelle politiche (di salvaguardia, digestione, di pianificazione) propostedalla Convenzione Europea sembrarispondere efficacemente. Esse merita-no tuttavia di essere esplicitate, a livel-lo locale, nei presupposti e nelle moda-lità applicative, per conseguire pienaefficacia e pregnanza operativa.

*Inu Toscana.

Note1. “Paesaggio: designa una determinata parte di terri-torio, così come è percepita dalle popolazioni, il cuicarattere deriva dall’azione di fattori naturali e/oumani e dalle loro interrelazioni”, Convenzione euro-pea del paesaggio, articolo1, Firenze 20 Ottobre 2000.2. “Salvaguardia dei paesaggi: indica le azioni di con-servazione e di mantenimento degli aspetti significati-vi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suovalore di patrimonio derivante dalla sua configurazio-ne naturale e/o dal tipo d’intervento umano”, idem3. “Gestione dei paesaggi: indica le azioni volte, inuna prospettiva di sviluppo sostenibile, a garantire ilgoverno del paesaggio al fine di orientare e di armo-nizzare le sue trasformazioni provocate dai processi disviluppo sociali, economici ed ambientali”, idem4. Fisiche, naturali, culturali, sociali, ecc. 5. Storiche, ecologico, formali, funzionali, ecc.6. Amministratori locali, tecnici, imprenditori, ecc.7. Strumenti culturali, disciplinari, normativi, ecc.8. “Pianificazione dei paesaggi: indica le azioni forte-mente lungimiranti, volte alla valorizzazione, al ripri-stino o alla creazione di paesaggi”, idem9. Convenzione europea del paesaggio, articolo5,Firenze 20 Ottobre 2000.

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Artistico e Cultural da Bahia – IPAC, lacui prima iniziativa fu quella di trasfor-mare il Pelourinho in un centro turisti-co.8 Cominciarono così una serie di pro-getti di riqualificazione che si fondava-no su interventi puntuali di recupero esulla speranza di creare un effetto “acascata” al quale il mercato avrebbereagito espandendo il riscatto a tuttal’area. I risultati furono però piuttostoframmentati a causa soprattutto deilimiti della legislazione e della margina-lità sociale dell’area.Solo a partire dell’inizio degli anniNovanta, la città fu oggetto di impor-tanti investimenti pubblici attraversotrasformazioni urbanistiche di grandeportata: da sottolineare il recupero e lariqualificazione degli spazi culturali,teatri e musei esistenti, quasi tutti loca-lizzati nel centro storico.Nel 1991 parte il progetto di riqualifica-zione del Pelourinho, che ha comeobiettivo quello di creare un centro diattrazione turistica e di attività culturalie per lo spettacolo e di promuovere ilrecupero fisico dell’area. Rispetto aiprogetti passati, l’intervento risulteràefficace per vari motivi tra cui l’attentaoperazione di marketing politico e urba-no condotta dal Governo dello Stato e ilvolume degli investimenti ottenuti9 chedarà credibilità all’intervento, la centra-lizzazione della proprietà nelle manidello Stato attraverso il regime dicomodato, e la politica di espulsione deivecchi residenti con una ridefinizionedel profilo sociale. Si ottiene infatti ilrestauro dei più importanti edifici storiciai quali vengono dati nuovi usi di com-mercio e servizi per il turismo, il recu-pero degli spazi pubblici, il potenzia-mento delle infrastrutture di base, alcosto però dell’abbandono radicale dellaproposta di migliorare le abitazioni conla permanenza della popolazione e conl’adozione di un’operazione di “pulizia”sociale: gli antichi abitanti furonoobbligati a lasciare le proprie abitazioniper quartieri meno valorizzabili.Si sovrappose a questa trasformazioneun processo intenso di investimentosimbolico del Pelourinho da parte digruppi culturali negri: ciò che successefu il rinforzo del turismo come vocazio-ne della città di Salvador combinatocon un potente movimento di afferma-zione dell’identità negra e una nuova

degrado delle strutture e deterioramentodella qualità urbana accompagnato dal-l’estrema povertà e marginalità dellapopolazione. Questa perdita del dinami-smo del centro antico di Salvador coin-cide, sul piano nazionale con la ridefi-nizione della politica brasiliana di pre-servazione del patrimonio storico e cul-turale. Gli anni Settanta cercheranno,sul piano ideologico, una nozioneampia di patrimonio storico per lacostruzione di una identità nazionalestimolata dal regime militare. Nel 1967viene creata dal governo statale, laFundaçao do Patrimonio Artistico eCultural, attuale Istituto do Patrimonio

forma tale che il centro storico rimasemarginale rispetto ai processi più dina-mici di trasformazione della strutturaurbana. Vari organi pubblici furonoprogressivamente spostati dal centro,mentre una deliberata politica che favo-riva gli investimenti distanti dall’areaconsolidata portò allo stiramento dellamaglia urbana e all’istallazione di nuovicentri d’affari, aree residenziali di altaqualità e grandi quartieri programmatiin zone distanti.7 È in questo periodoche il vecchio centro viene pian pianoabbandonato economicamente e comin-cia a subire un rapido processo di svuo-tamento delle funzioni tradizionali,

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Rete Interdottorato inPianificazione Urbana

e TerritorialeVII Convegno Nazionale

Palermo, 3-4-5 ottobre 2007

Facoltà di Architetturadi Palermo

Dipartimento Città e TerritorioDottorato in Pianificazione

Urbana e Territoriale

ll VII Convegno Nazionale della ReteInterdottorato in PianificazioneUrbana e Territoriale si svolgerà nelsettembre del 2007 presso la Facoltàdi Architettura di Palermo. Preziosa occasione di incontro edibattito tra differenti soggetticoinvolti a vario titolo nell’ambitodell’urbanistica e della pianificazio-ne, il convegno intende affrontare iltema della ricerca condotta all’in-terno dei Dottorati italiani, con par-ticolare riferimento tanto ai temiquanto al metodo. Il fine è quello dimettere a confronto l’attività dellediverse sedi sul tema del “fare ricer-ca” attivando forme di conoscenza eprocessi di apprendimento con unosguardo rivolto alla dimensionenazionale ed internazionale. La par-tecipazione al Convegno è aperta aidottorandi italiani e stranieri chia-mati ad intervenire su alcune dellequestioni che animano l’attualedibattito disciplinare attraversocontributi relativi al proprio percor-so di ricerca.

Info: [email protected]

6. Jorge Amado, Bahia de Todos os Santos. Guia deruas e mistérios, Rio de Janeiro, Record, 1977, p.677. Maria de Azevedo Brandao, Uma proposta de valo-rização do Centro de Salvador in Marco Aurelio A. deFilgueiras Gomes org., Pelo Pelò: historia, cultura ecidade, Editora da UFBA, Facultade de Arquitetura,Maestrado em Arquitetura e Urbanismo, Salvador1995, p. 96 8. La prospettiva del Turismo è stata riconosciutacome di vitale importanza per la traiettoria economi-ca di Bahia, luogo con una speciale vocazione per unmercato crescente a livello mondiale. All’inizio deglianni 90 il turismo rappresentava 3% del PIB baianocon possibilità di ampliamento degli investimenti chegià erano in corso. 9. In particolare i finanziamenti della CaixaEconomica Federal e del Projeto Monumenta finanzia-to dal Banco Interamericano de Desenvolvimento.10. Marco Aurelio A. de Filgueiras Gomes, AnaFernandes, Pelourinho: turismo, identidade e consumocultural in Marco Aurelio A. de Filgueiras Gomesorg., Pelo Pelò: historia…op. cit. p.5411. Maurizio Memoli, La città immaginata…op. cit. p.2212. Livio Sansone, O Pelourinho dos Jovens Negro-Mestiços de Classe Baixa da Grande Salvador inMarco Aurelio A. de Filgueiras Gomes org., Pelo Pelò:historia…op. cit. p.59

articolazione della questione della difesaculturale e della partecipazione ai cir-cuiti mercantili della cultura. Un esem-pio è la proliferazione dei blocchi car-nevaleschi di ispirazione afro: Filhos deGandhi creato nel 1950, Ylè-Ayè nel‘70, Olodum nel ‘79.10

Come ci ricorda Memoli citando Harvey,“se l’immagine serve a stabilire un’iden-tità sul mercato sarà anche fondatricedell’identità della città stessa” 11 e conti-nua: “non potendo riprodurre la realtànella sua complessità, le immagini pren-dono in considerazione solo parti delterritorio, adeguandosi alla capacità e allinguaggio del mezzo utilizzato: l’esi-genza globale di creare un’immagineidentitaria forte diventa anche un mezzopolitico per coinvolgere gli strati emar-ginati della popolazione in un senso diappartenenza a quell’immagine.”Così il Pelourinho ha visto cambiare piùdi una volta durante la storia la suaimmagine simbolica: centro del poterebianco per eccellenza, centro dei mise-rabili, centro della cultura negra, centrodel “Bahia-Tour”. Ma nonostante laridefinizione delle sue caratteristiche edelle attività, il centro mantiene l’iden-tità di referenza culturale e di cittadi-nanza. Si tratta di uno spazio vissuto datutte le classi e i gruppi sociali doveavvengono le più espressive manifesta-zioni culturali e politiche. Inoltre questeimmagini non sono omogenee: grandearchitettura, baixaria, negritude e grifepossono e devono coesistere, disgrazia-tamente ancora al prezzo di una presen-za massiccia e spesso esagerata delleforze dell’ordine.12

*Architetto, dottoranda presso il DUPT dell’Universitàdi Firenze.

Note1. Maurizio Memoli, La città immaginata. Spazisociali, luoghi, rappresentazioni a Salvador de Bahia,Franco Angeli, Milano, 2005, p. 152. Il Reconcavo è la regione che circonda la Baia deTodos os Santos. Sul funzionamento del sistema colo-niale si consiglia Gilberto Freyre, Casagrande e sanza-la, Record, Rio de Janeiro, 19983. Per approfondimenti vedere Antonio Riseiro, UmaHistoria da Cidade da Bahia, Versal Editore, Rio deJaneiro, 20064. Si sceglie di utilizzare il termine “negro” comeviene utilizzato in Brasile, ovvero come indicativo delconcetto di appartenenza ad una cultura comune diorigine africana.5. Le comunità formate dagli schiavi fuggiti prendonoil nome di Quilombos. Per approfondimenti vedereReis João José, Gomes Flávio dos Santos org.,Liberdade por um fio. História dos quilombos noBrasil. São Paulo: Companhia das Letras, 1996

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politica? Infatti, per via del carattereemotivo, il sentimento di insicurezzadetermina una amplificazione dei fatti,una confusione tra voci e informazionee può perfino provocare conflitti socia-li. La nascita di forme di autodifesapuò arrivare fino al linciaggio. Il senti-mento di paura finisce per minacciare ifondamenti delle società democratiche.

Tra repressione e prevenzione

Le risposte pubbliche alla criminalitàpresentano due aspetti, la repressione ela prevenzione. Per affermare controlloe disposizione a punire, la repressioneesercitata dai governi centrali permigliorare la sicurezza, si traduce conl’aumento degli effettivi di polizia,l’aumento della durata della detenzionee l’applicazione di teorie repressivecome quelle del ”grado zero di tolle-ranza”; il coprifuoco per i minori; oancora, l’abbassamento dell’età diresponsabilità giudica. La scelta della repressione ha il van-taggio di avere degli effetti immediatiche possono soddisfare a breve terminela domanda dell’opinione pubblica e lanecessità di efficienza della classe poli-tica. Ma i risultati a lungo terminedelle politiche repressive di sicurezzasono messi in discussione; molte cittàhanno provato che i risultati ottenutiin termini di riduzione di criminalitànon giustificano l’investimento econo-mico conseguente per la costruzione dinuove prigioni, e il dispiegamento diaccresciuti effettivi di polizia(Wacquant 1999). La prevenzione della violenza vienerealizzata attraverso due campi di

a cura di Marco Cremaschi

Verso un paesaggiourbano della paura1

Charlotte Boisteau*

Il discorso sulla violenza urbana si èsignificativamente arricchito da duedecenni, e tuttavia non si tratta di unfenomeno nuovo. Le violenze urbaneesistono da quando esistono le città eaumentano proporzionalmente all’at-tenzione che ricevono. Le statistiche e idati quantitativi messi a disposizionedalle organizzazioni interessate a que-sto problema (l’Interpol, il WorldHealth Centre e -dal mondo Onu-l’Interregional Crime and JusticeResearch Institute, il DevelopmentProgram e l’Office for Drugs andCrime) confermano questa convinzione,ma le cifre disponibili e rese pubblichesono poco affidabili e rimane difficile,addirittura impossibile - tanto che nonsarà creato un osservatorio mondialedelle violenze o della sicurezza urbana- provare quantitativamente le tenden-ze della criminalità internazionale.Recentemente, d’altra parte, le NazioniUnite ammettono la necessità dimigliorare i dati sul crimine esistenti ela necessità di riunire le organizzazionicompetenti, anche al suo interno, perlavorare su questo soggetto.Sembra tuttavia importante considerarel’amento della paura del crimine, comemostrano le inchieste realizzate fino adoggi. Nella maggior parte dei paesi delmondo, i cittadini dicono di sentirsi inuno stato di insicurezza: ma hanno lapercezione obiettiva del rischio di sub-ire una manipolazione mediatica e/o

Il fenomeno della violenza urbana eil sentimento di insicurezza sono alcentro delle dinamiche urbanecontemporanee. Per rispondere alladomanda di sicurezza che viene daicittadini, strumenti privati ocollettivi sono messi a disposizionedalle nuove politiche urbane dellegrandi metropoli. Ma lo Stato,benché eserciti forme di violenzalegittima, non ne ha più ilmonopolio, e le politiche pubblichedi sicurezza, anche locali, mostrano ipropri limiti di fronte alla violenzadelle città, e il bisogno di sicurezza èsoddisfatto da azioni collettive e dastrategie private. La violenza,“l’insicurezza” e la sicurezza sonooggi all’origine di unatrasformazione radicale della città edelle abitudini dei suoi abitanti,attraverso un incremento delleframmentazioni spaziali e sociali. Leviolenze dell’urbanizzazione sisostituiscono alle violenze urbane?La sicurezza in tutte le sue forme èun ritornello che deve essere dibeneficio per tutti.

Bogotà

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paesi il numero di agenti di sicurezzaprivati sorpassa quello dei poliziottiimpiegati dallo stato.A causa dell’assenza o dell’inadegua-tezza della risposta pubblica, in parti-colare statale, alla percezioni e ai fatticriminali, il settore privato escogitasoluzioni il cui impatto sulla qualità divita e l’accessibilità della città non èné durevole né equo. Vengono creatinuovi ghetti, parti della città sonoescluse o si auto-escludono, si creanodelle barriere nel tessuto urbano e lamobilità delle persone è minacciata.Molte ricerche si sono occupate di pro-blemi di sicurezza del nuovo urbanesi-mo (Davis 1999; Caldeira 2000; Baires2003) ed alcuni architetti cercano dirispondere con il disegno urbano e lascelta dei materiali ai problemi di sicu-rezza. Se si segue la “scuola california-na” (Davis 1999; Soja 2001) lo spaziopubblico si è convertito in questi ulti-mi anni nello spazio della ‘paura’, nelquale alcuni utenti vengono considera-ti a priori invasivi o aggressivi. La ten-denza mondiale è alla privatizzazionedello spazio urbano e l’esclusionesociale: passiamo da un’epoca in cui leviolenze erano urbane ad un’epoca incui le violenze sono indotte dall’urba-nizzazione (Pedrazzini 2005).L’esistenza di comunità chiuse e ghet-

Strategie private ed azioni collettivedi sicurezza

Esiste un legame evidente tra la decen-tralizzazione delle competenze inmateria di sicurezza e l’aumento degliattori privati in questo settore. Lo statocentralizzato è incapace di rendereconto della situazione eterogenea diinsicurezza percepita o vissuta su undato territorio nazionale. Le città offro-no gia un ventaglio ampio di situazio-ni rispetto alla criminalità: quartieri aforte tendenza delittuosa, altri dove sicommettono pochi azioni criminali etuttavia il sentimento di insicurezzagiunge al suo apogeo. Di fronte a que-sta molteplicità di fattori e di attori dicriminalità lo stato e le amministrazio-ni locali decentrano ancora fino allapiù piccola amministrazione comunale.L’aspetto positivo è che l’analisi dellacriminalità e dell’insicurezza divienesempre più corretta2. Ma questa ha diperverso che ogni amministrazione rin-via la responsabilità sull’altra e allafine le responsabilità governative chedevono garantire la sicurezza cittadinanon sono più assicurate da nessuno.Il campo della sicurezza è percorso danuove strategie economiche presentatecome soluzioni alternative alla prote-zione statale. Una globalizzazione delletecnologie di sicurezza è in atto,affiancata da una ideologia di sicurez-za altrettanto globalizzata. Si osservaoggi una tendenza alla trasnazionaliz-zazione delle società private di sicurez-za e alla diversificazione delle loroattività dal momento che operanoormai di volta in volta come agenzie disicurezza privata, servizi di spionaggioindustriale , protettori di sistemi politi-ci corrotti e perfino, in alcuni casicome nuove forme di mercenariato.Queste soluzioni proposte sono costosee il mercato mondiale della sicurezza èin costante progressione. SecondoHabitat, nel 2000 il costo globale dellasicurezza raggiungeva il 5-6% del Pildei paesi del nord e l’8-10% di quellidel sud, con il corollario dello svilupposenza precedenti delle imprese di sicu-rezza privata. Queste ultime hannoraggiunto alla fine del secolo scorsouna crescita annuale del 30 % neipaesi del sud contro l’8% nei paesi delnord (Vanderschueren 2000). In molti

azione: l’uno, centralizzato, fa dellapolizia il principale attore in materia;l’altro, decentralizzato si poggia sulleautorità locali o le associazioni dellasocietà civile, o entrambe. Per un certonumero di esperti, la prevenzione restaun pilastro centrale di tutta la lottademocratica contro la criminalità(Bromberg 2003; Lahosa 2000;Sansfaçon 2004). Essa non si opponepertanto alla repressione, non fa altroche definirne i limiti e tenta di farscendere il livello di criminalità cer-cando di intervenire soprattutto sullesue cause (Vanderschueren 2000).Secondo alcuni esperti il miglior modoper far rispettare le norme o le regole,sarebbe dunque di creare le condizioniper diminuire le situazioni di infrazio-ne o di garantire l’applicazione dellalegge con un controllo sociale a montedel crimine e della delinquenza; la pre-venzione rimane certo un principio dieducazione sociale e civile, ma ancheindividuale: far progredire l’individuoa tutti i livelli è allontanarlo dalla vio-lenza.L’analisi degli ultimi decenni del XXsecolo, rivelano un cambiamento delparadigma nelle politiche pubbliche disicurezza (Tuck 1998). Questo cambia-mento è principalmente caratterizzatodal richiamo alle comunità a partecipa-re alla re-definizione delle politiche disicurezza. Tre nuovi concetti hannovisto la luce: la comunità, l’associazio-ne e la prevenzione (Crawford 1997).La comunità diventa il cavallo di bat-taglia delle politiche pubbliche chetentano di legittimare la loro azionenascondendosi dietro il concetto diprevenzione e corresponsabilità.Le politiche locali di prevenzione dellacriminalità si sono così moltiplicate inquesti ultimi anni mettendo il cittadinoal centro delle loro strategie di inter-vento e di mantenimento dell’ordine.La semantica preventiva valorizza il“benessere”, il “vivere insieme”, la“cultura democratica cittadina”, il“civismo”... Ma la nuova semanticanasconde spesso i principi di una“guerra preventiva” contro il crimine ela delinquenza, mettendo in pericolo lagioia cittadina dei diritti democratici diuso dello spazio pubblico e della liberaespressione.

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Violenza e trasformazio-ne urbana a Bogotà1

Ch. B.

Se la città di Bogotà riceve, nel novem-bre 2006, un premio onorifico in occa-sione dalla biennale di Veneziad’Architettura, è come riconoscimentodegli sforzi intrapresi da una quindicinad’anni da parte dalle sue autorità localiper capovolgere una situazione divenutaterribilmente preoccupante durante glianni ‘90, soprattutto sul piano dellasicurezza. E’ opportuno portare uno sguardo criti-co sull’esperienza di questa città, sia purricordando i suoi innegabili successi.Tuttavia, secondo un’inchiesta di victi-misation realizzata dalla camera dicommercio, il 47% della popolazione aBogotà si sentiva in stato di insicurezzanel dicembre 2005; nel giugno 2000 erail 58%, ma di nuovo il 58% dell’agosto

Note1. Tradotto da L. Baroncelli.2. Per la metodologia della ‘micro-caractérisation‘,che ho sviluppato nella ricerca-azione ‘VUPS :Violences Urbaines et Politiques de Sécurité’, si veda:Guzmán 2006.

BibliografiaBaires S. (2003), La nueva segregación urbana enAmerica Latina: los barrios cerrados en el area metro-politana de San Salvador-El Salvador, papier doctoralnon publié.Bauman Z. (2005), «Entretien avec Zygmunt Bauman:les usages de la peur dans la mondialisation», Esprit,juillet 2005.Boisteau Ch., a cura di, (2006), Construire le vivre-ensemble: Aménagement urbain et politiques de sécu-rité, EPFL et UNITAR, Cahiers du LaSUR et de laCoopération, Lausanne.Boisteau Ch. (2003), Sécurité, dynamiques urbaines etprivatisation de l’espace à Johannesburg, mémoire deDEA, Institut Universitaire d’Etudes duDéveloppement, Genève, Suisse.Boisteau Ch. (2005) “ Dynamics of exclusion:Violence and Security Policies in Johannesburg”, inSegbers K. et al., Public Problems-Private Solutions?Globalizing Cities in the South, Ashgate, England.Boisteau Ch. (2006), in Patiño F.& al., Guía para lagestión local de la seguridad y convivencia, Secretaríade Gobierno, Alcaldía Mayor de Bogotá, DC,Programa de Naciones Unidas para los AsentamientosHumanos UN-HABITAT.Bromberg P. et al. (2003), Reflexiones sobre culturaciudadana en Bogotá, Bogota, Observatorio de CulturaUrbana.Caldeira P.R. T. (2000), City of Walls, Crime,Segregation, and Citizenship in São Paulo, UniversityCalifornia UP.Ca?mara de Comercio de Bogota?, Superintendenciade Vigilancia y Seguridad Privada y la asesori?ate?cnica del Grupo de Investigacio?n en DerechoPu?blico y Econo?mico CREAR de la UniversidadSergio Arboleda (2005). Gui?a Para la Contratacio?nde Servicios de Vigilancia y Seguridad Privada. Crawford A. (1997), The Local Governance of Crime:

tizzate (« ghettoed » communities) è ilrisultato di una percezione spessoparanoica dei rischi percorsi. La globa-lizzazione culturale ha permesso diesportare una specificità architettonicae urbanistica americana verso numero-se società. Questi spazi chiusi hanno conseguenzenon solo simboliche sulle popolazioniche vivono all’esterno del perimetro:per esempio, impediscono l’attraversa-mento per raggiungere il supermercatoo la scuola più vicina. Una vessazioneingiustificata per quella fetta di popola-zione che spesso non ha i mezzi perprocurarsi una macchina e una priva-tizzazione a volte illegale dello spaziopubblico, un attentato alla mobilità checiascuno ha il diritto di rivendicare. La criminalità e la sensazione di insi-curezza hanno così creato uno spaziocontrollato (Sze Tsung Leong 2000)che tende a divenire la figura egemo-nica dell’agglomerazione. Lo spaziourbano diviene ogni volta meno inclu-sivo e non assicura più la sua funzionedi legame sociale, stigmatizzando lavecchia strada come pericolosa. Allageografia della violenza corrispondeuna geografia della sicurezza, nuovadeclinazione della geopolitica degliineguali.

* Sociologa e politologa a l’Ecole PolytechniqueFédérale de Lausanne

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privata”. La Sovrintendenza stabilisce lecondizioni etiche e giuridiche relativa-mente alla condotta, prima di essereapprovate e rispettate dai servizi di sicu-rezza o vigilanza che lei accredita(anche se è obbligatorio si stima che piùdella metà delle imprese che esercitanole funzioni di sicurezza o di vigilanzanon siano dichiarate). Infine laSovrintendenza mette a disposizione delcittadino una guida permettendogli dimisurare i rischi che corre.Evidentemente, il cittadino che vi faricorso non vedrà minimizzata la suapaura. Gli è giudiziosamente consigliatodi fare appello ai servizi di polizianazionale, e se questi non soddisfano ladomanda di sicurezza, allora il cittadino,se ha i mezzi finanziari, potrà ricorrereai servizi di sicurezza privata o aprireuna sua impresa di vigilanza.È così che numerosi cittadini si raggrup-pano, generalmente per quartieri (duecondizioni sono richieste: essere dinazionalità colombiana, il gruppo nondeve superare le 25 persone) e formanouna entità di vigilanza autorizzata alporto d’armi e controllano a loro giudi-zio il quartiere, La Sovrintendenza qua-lifica questi raggruppamenti di indivi-dui, desiderosi garantire la propria sicu-rezza, come “imprese comunitarie divigilanza e sicurezza” o meglio come“assemblee di azione comunale e coope-rative comunitarie”. Ma queste comunitàdi vicinato (neighbourhood watch) che simoltiplicano principalmente nei paesidove la sicurezza non è stato mai

zata per garantire la sicurezza personaleè il rafforzamento dei mezzi di protezio-ne degli accessi alle abitazione (cancelli,porte blindate, allarmi, video-vigilanza,etc…): il 41% delle 61 persone intervi-state (da Ch. Boisteau e V. Rodriguez nelquadro del progetto VUPS) ha privile-giato questo mezzo come meccanismodi riduzione della percezione di insicu-rezza .In Colombia i servizi di vigilanza e disicurezza privata, sono gestiti da una“super” entità denominata“Sovrintendenza di vigilanza e sicurezza

2005. Come noto, la percezione delrischio è lungi dal corrispondere al peri-colo reale incorso; e il sentimento diinsicurezza non è proporzionale alla cri-minalità. Infatti, Bogotà registrava nel2005 909 morti violente contro i 1.318del 2000 (secondo l’ufficio di medicinalegale: http://www.suivd.gov.co).La stampa contribuisce largamente allarappresentazione che gli abitanti hannodella violenza. Ogni giorno, ci sono inmedia tre articoli che trattano il temadelle violenze urbane che sono pubbli-cate nel quotidiano El Tempo (rilievo del2005). Ora, ciò che si dice, ciò che siscrive della violenza, forgia la rappre-sentazione e influenza i comportamentisociali e spaziali degli abitanti. Oggi,ciascuno fugge la violenza, ma contri-buisce così a delle trasformazioni demo-grafiche, sociali e spaziali talvolta cari-che di conseguenze…A Bogotà, la reazione dei residenti delleperiferie ricche di fronte alla minacciadel crimine si esprime attraverso unauto-isolamento, con l’obbiettivo di iso-lare fisicamente la povertà , giudicatacausa principale dell’insicurezza, ma altempo stesso la ricchezza, con il pretestodi metterla al riparo. Una inchiesta chenoi abbiamo condotto presso gli abitantidel centro storico della città (località diSantafé, Martires, Candelaria) mostrache la prima forma di protezione utiliz-

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cittadina’, secondo l’ambigua espressio-ne di Antanas Mockus che reinviavainsieme alla sicurezza dei cittadini e allasicurezza gestita dai cittadini. I sindaci Mockus-Bromberg (1995-1997), Peñalosa (1998-2000), Mockus(2001-2003) e infine Garzón (2004-2007) hanno tutti dirette le proprie poli-tiche sulla sicurezza cittadina, responsa-bilizzando i cittadini della propria sicu-rezza cercando di fare loro i mezzi.Dopo la prima amministrazioned’Antanas Mokus, le politiche locali pre-ventive si sono moltiplicate, e il cittadi-no è stato posto con continuità al cen-tro delle loro strategie d’intervento e dimantenimento dell’ordine, fatto chesembra avere permesso una riduzionesignificativa della criminalità.Il sindaco Garzón ha introdotto nel2005 i patti per la sicurezza e la vita incomune nei quali si stipula che “la sicu-rezza è compresa come un soggetto chedipende dalla responsabilità degli abi-tanti di un territorio a partire dalla co-responsabilità e dall’apporto collettivo”(SUIVD). Nel frattempo, l’industria dellasicurezza privata generava in Colombiabenefici da 3.000 miliardi di pesos (1,08miliardi di euro) e, nel 2005, Bogotàcontava 10.500 poliziotti per più di86.000 agenti di sicurezza privata. Cisono dunque più di 8 agenti di sicurez-za privata per ogni poliziotto.Il numero degli impiegati del settoredella sicurezza privata è pari a 86.419secondo il governo colombiano nel giu-gno 2005. Il Segretario Generale per laSovrintendenza della Vigilanza eSicurezza Privata, Luis Gonzalo PérezMontenegro, ha recentemente dichiaratoche: “contiamo su un personale operati-vo di più di 120.000 uomini, 2500 canie 3.462 veicoli che esercitano un’attivitàdi sicurezza privata… Quando affermoche ci sono 200.000 uomini nella sicu-rezza privata [in Colombia], faccioesclusivo riferimento alle persone eimprese che operano legalmente, chesono formalizzate e controllate. Masono anche consapevole che ci sonoalmeno altrettanti se non più addettiillegali”.

Note1. Tradotto da L. Baroncelli.2. Intervista a J. M. Ospina, Secretario del Governo diBogotà, 10 mars 2006.

gnare i nuovi territori di queste popola-zioni. Oggi, le associazioni di vicinatolottano per non riceverli, li percepisconocome violenti e pericolosi per i loriquartieri: nuovi profughi che si chiudo-no, malgrado loro, nel circolo infernaledella “mobilità” della povertà. Ora, l’in-sicurezza di queste popolazioni è reale,prima di tutto economica, sanitaria, ali-mentare e umana infine. Si è “frantu-mato” il problema senza risolverlo. Lalotta contro il commercio informale fuuna delle priorità del Plan Centro, il cuiobiettivo esplicito è il recupero dellospazio pubblico nel centro storico. Ivenditori ambulanti non fanno ormaipiù parte del paesaggio urbano e anchese l’80% della popolazione aveva l’abi-tudine di fare i propri acquisti presso diloro, la loro presenza era percepita comeuna minaccia, il che ha portato alladecisione di “ri-orientarli”…È come sempre il povero, il vagabondo,lo straniero, il profugo, che si guardacome indesiderabile e minaccioso, comeportatore di patologie sociali, come per-turbatore del sistema organizzato. Ilpassaggio all’atto violento può essereallora una reazione alla perdita di iden-tità, a una situazione in cui l’individuo èalienato da un dominio esterno, comequello delle differenti forme di segrega-zione socio-spaziale. La segregazioneraramente è istituzionalizzata ma imper-versa negli animi. Ora, si constata che iquartieri (distretti) socialmente e spazial-mente più frammentati sono i più incli-ni a un certo tipo di criminalità: Suba,quartiere particolarmente frammentato,conta 271 furti con scasso nel 2005; iquartieri più omogenei e meno segregaticome Santafé e San Cristobal ne conta-no rispettivamente 8 e 24. La rappresen-tazione della violenza (insicurezza)influisce sulla violenza stessa.

Amministrazione pubblica e poliziaprivata

Dopo l’amministrazione di EnriquePeñalosa (1998-2000) che si era appog-giata soprattutto sulla teoria cosiddettadella ‘broken window ‘ (Wilson eKelling 1982), la città non ha mai fattoapertamente la scelta di una politicarepressiva in materia di criminalità. Il discorso pubblico si era focalizzato, apartire dal 1995, sull’idea di ‘sicurezza

appannaggio dello Stato nazionale, sonomolto spesso all’origine di un numeroconsistente di delitti.In effetti, quando non possono offrirsi iservizi industriali i cittadini tentano difar regnare l’ordine loro stessi. Il vigi-lantismo sconfina così da una parte nelruolo della polizia -che non detiene piùil “monopolio della violenza legittima”,poiché i gruppi “vigilanti” consideranole loro azioni violente legittime- e d’al-tra parte nel ruolo della giustizia, impie-gando mezzi violenti per estorcere delleconfessioni e punire.Così, i programmi di prevenzione comu-nitaria, spesso portati dai poteri pubblicisotto il nome della partecipazione pos-sono giungere fino a legittimare l’azionedi gruppi armati (paramilitarismo) o lacostituzione di comunità chiuse (gatedcommunities) rimodellando così la fisio-nomia delle città a partire da un princi-pio di segregazione, sempre più presentenella pianificazione urbana. Purtroppo ivalori comunitari non sono buoni “pernatura”: una comunità può portare eveicolare i valori di una società demo-cratica e protettrice dei diritti dell’uomo,così come può veicolare una ideologiatotalitaria e condurre a delle azionidevastanti.Parallelamente, per lottare contro lafuga delle classi medie e agiate e deicapitali nazionali e internazionali versole periferie ricche delle città, le autoritàlocali, responsabili dei piani urbanistici,ne riabilitano in massa i centri storici.Queste operazioni di rinnovo urbanopartono tutte da una diagnosi di insicu-rezza e slabramento, per ripulire i centridelle città dai poveri, dagli indigenti,dagli “indesiderabili”. Le trasformazioniurbane generano allora l’esclusione e lacreazione di “ban-lieue” moderne.A Bogotà, la prima operazione del “PlanZonal del Centro” fu lo sgombero delquartiere nominato il Cartucho (da “car-tuccia” per il commercio incessante diarmi e munizioni che vi si svolgeva)giudicato allora troppo indigente e oggiconvertito in Parco del Terzo Millennio.Questa operazione di trasformazioneurbana radicale è un esempio di abban-dono e di stigmatizzazione delle popola-zioni più povere che furono spostate intutta la città al punto che lo stessogoverno non esita più a parlare di “car-tuchitos”2 (“piccole cartucce”), per desi-

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come da esperimento di Zambardo-favorisce lo sviluppo della criminalitàe provoca ulteriore degrado. Per man-canza di controllo, la ‘terra di nessuno’si trasforma in breve un’area controlla-ta dalla criminalità.

*Dottore di ricerca Università Roma Tre.

BibliografiaWilson J., Kelling G., “Broken Windows: The Policeand neighborhood safety”, Atlantic Monthly, mars1982, pp. 29-38.Aziz Al Muhtasib, Politiche di sicurezza e qualitàurbana, dottorato di ricerca in “Politiche territoriali eprogetto locale”, xvi ciclo, Roma 2006.

Bogotà - RomaLorenza Baroncelli*

La Biennale di Venezia ha assegnatonel 2006 il Leone d’Oro per le città aBogotà, per come ha affrontato i pro-blemi dell’integrazione sociale, e leinnovazioni nel settore dei trasporti.Inoltre, la Biennale aveva invitato 23Facoltà di Architettura a partecipare adun concorso internazionale su comevivere in modo sostenibile le megalo-poli del futuro (1). Scopo del concorsoera approfondire le riflessioni, preva-lentemente analitiche e poco critiche,in esposizione all’Arsenale. L’invitosuggeriva di scegliere una città lontanaper analizzare le repentine trasforma-zioni dell’ambiente urbano e le relazio-ni che queste trasformazioni hannosulla qualità della vita delle persone esulle risorse del pianeta. Come noto, le scuole di architetturaperdono spesso di vista il valore del-l’apprendimento dalle pratiche urbanee sono catturate invece dalla smania disfoggiare plastici con materiali hi-teche illuminazioni accattivanti. Il risulta-to? Venti scuole, stipate in due piccolestanze, si sono sfidate su chi riusciva atenere il volume più alto, perdendol’occasione del confronto. Il Premiospeciale per le scuole di architettura èstato conferito alla I Facoltà diArchitettura Politecnico di Torino per ilprogetto su Mumbai, con la motivazio-ne della preparazione scientifica non-ché l’impegno collettivo nella progetta-zione di nuove case per famiglie indi-genti. Si sono distinti anche gli inglesi,che hanno sintetizzato la complessità

ore la macchina era ridotta allo schele-tro. L’auto di Palo Alto dopo una setti-mana non era stata toccata. AlloraZambardo prese una mazza, spaccò ilvetro di uno sportello e diede qualchecolpo alla carrozzeria. Dopo una setti-ma si erano verificate le stesse coseaccadute nel Bronx. Secondo lo psicologo americano, ildegrado viene percepito come mancatocontrollo, che favorisce lo sviluppo diatti “criminali” e avviene in tutti i con-testi sociali. La criminalità diffusa e lamicrocriminalità dipendono molto dalfattore opportunità: non basterebbecioè volere compiere un atto criminale,ma si deve presentare anche l’occasio-ne. Le rapine e altri crimini più perico-losi, invece, vengono studiati ed orga-nizzati.L’esperimento di Zambardo mostra cheil degrado, e quindi il mancato con-trollo, innescano in alcuni individuil’intenzione di compiere piccoli atticriminali. Una parte di queste personearriva effettivamente a compierli, masolo se se ne presenta l’opportunità. Ildegrado trasmette al cittadino un sensodi insicurezza, da un lato soggettiva,perché segnala che la zona è poco con-trollata sia in modo formale che infor-male; dall’altro oggettiva, perché -

Degrado e criminalità?Aziz Al Muhtasib*

Jemes Wilson e Gorge Kelling, due cri-minologi americani, pubblicarono nelmarzo 1982 un articolo con il titoloBroken Windows su The AtlanticMonthly.Secondo loro, la criminalità si diffondein modo esponenziale in presenza deldegrado “fisico” e indipendentementedal contesto sociale. La teoria si basasu un divertente ed importante speri-mento svolto da Philip Zambardo, unopsicologo americano dell’Università diStanford nel 1971. L’esperimento -svol-tosi nelle strade di due quartieri estre-mamente diversi- dimostra che ildegrado è un segnale che viene perce-pito e letto dalla popolazione nellastessa maniera anche in contesti socialimolto differenti tra loro. Zambardocollocò due automobili prive di targaposteriore nel Bronx e a Palo Alto, unquartiere benestante dove si trova lasede di Stanford, abbandonandoleentrambe con il cofano leggermenteaperto. La prima auto, lasciata nelBronx venne saccheggiata di tuttoquello che poteva essere smontato, acominciare dalla batteria, il radiatore,il motore ecc. Nell’arco di ventiquattro

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viaggio fatto a Roma alla ricerca dellacomunità colombiana, muniti di teleca-mere e un po’ di voglia di divertirsi peraffrontare l’instancabile spirito suda-mericano. Voci, racconti, sogni e pauredi una realtà che a Roma non contache poco più di qualche migliaio dipersone, stupite di incontrare qualcunodesideroso di andare oltre la ormaidominante immagine di risanamentodella Bogotà degli ultimi anni.

Bogopotenziali è il metodo di analisi.Bogotà ha uno sviluppo fisico nord-

la ‘pelle’ e per le ‘risorse’ su cui si pog-gia. La domanda più frequente nei primigiorni di lavoro è stata dunque comecomprendere questa complessità pursenza poterla vivere. Seguita dall’inter-rogativo su come ribaltare la distanzaesistente con la conoscenza attivabile.Prima risposta: progettando prima glistrumenti con cui affrontare la fase dianalisi poi. Seconda: ricercando unmetodo di approccio capace di svelaree/o innescare processi virtuosi nellacittà. Infine, non accettando soluzionipredeterminate. A questo scopo, ilgruppo ha elaborato quattro strumenti-progetto.

Bogo-Roma è un video-racconto del

del Brasile inventando la trama di unatelenovelas; e i greci che hanno adot-tato uno stile “ finto-povero ”. Roma Tre ha lavorato proprio suBogotà e, nutrita da genuina umiltàfavorita anche dalla limitatezza difondi, ha portato a Venezia un pulmi-no con dieci tra studenti e neo-laurea-ti, due docenti, una tutor; nonché untentativo di profonda riflessione ericerca collettiva. I due mesi di ricercaspesi nella sede del Dipartimento diStudi Urbani sono stati segnati dallaconsapevolezza che i problemi com-plessi non possono essere semplificati,ma che le potenzialità nascoste posso-no essere svelate da un progetto, per-ché una città come Bogotà si caratte-rizza non per il suo costruito, ma per

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Fase di allestimento dei 20 gruppi universitari nella sala espositiva a loroassegnata.

Installazione di Roma3.

Il video (in posizione centrale) mette in relazione le macchine (sinistra) con delle aree definite dellacittà (destra).

I desplazatos (A), cacciati dalle campagne, sonouna risorsa umana e culturale in grado di metterein moto un processo di riscoperta e promozionedelle colture tipiche (B). Oltre ad offrire il sosten-tamento primario, la terra costituisce un motoredi sviluppo per l’economia del paese (C).

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scuole, piazze, miniere, autocostruzio-ni, densità abitativa, ricchezza media.

Le mappe psicogeografiche: raccontirandom puntualmente rappresentati suuna cartina: nuove immagini di città. Ilconfronto diretto con immigrati colom-biani in Italia ha suggerito che aBogotà ogni quartiere è un’isola, bolledi protezione/controllo, nelle quali sientra barattando la propria individuali-tà con il diritto alla vita. Le aree tra unquartiere e l’altro sono zone di sogliapericolose. La polarizzazione socialedominate si svolge sugli assi correlati:ricchi, poveri; nord, sud.

Bogomacchine: i potenziali diventanomeccanismi di macchine con un vagogusto ‘dada’ che sintetizzano la nostraprogettualità. L’obbiettivo è di metterein connessione e riprodurre in modo

caledoscopico le relazioni tra le prati-che sociali e le forme legali e illegali diriappropriazione dello spazio. Lacerarelo strato di città comune a tutte lemegalopoli e riscoprire la terra nuda ei suoi archetipi. In conclusione, proprio il filtro dellalontananza ha insegnato l’importanzadel metodo nello studio e nella proget-tazione di una città; e soprattutto, adanteporre la volontà di comprendere aldesiderio di lasciare un segno.

*Laurea specialistica in Architettura e ProgettoUrbano, Università Roma Tre.

Foto: immagini della mostra di Lorenza Baroncelli.

Note1 Tra queste l’Architectural Association, London;Berlage Institute, Rotterdam; Bilgi Universitesi,Istanbul; Harvard University; UniversidadIberoamericana, Ciudad de México; MIT School ofArchitecture and Planning, Cambridge; ArchitectureDepartment, Cair

sud, un confine fortemente disegnatodall’orografia. Il Serro, montagna a est,è origine della città e delle sue risorse.Il centro storico si cela alle pendici delmonte e si apre verso ovest; qualchepuntuale tentativo di conquistarlo èriservato solo ai più ricchi. Oltre, ‘laterra di nessuno’: e quindi il territoriodel conflitto armato. Un articolatosistema a pettine fa discendere dalSerro cinque fiumi, dimenticati perdegrado dai Bogotani, e che si oppon-gono all’asse quasi esclusivamentenord-sud del sistema di trasporto. Ifiumi coincidono con i confini ammi-nistrativi dei quartieri ed è l’unicosignificato che riescono a conservare.Bogopotenziali rappresenta la città chesistematizza/valorizza i potenziali fisi-ci, sociali, economici dei vuoti urbani,dando un valore aggiunto alla vicinan-za al fiume. Chiese, centri commerciali,

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Objective of SE-SB07 conferenceThe SE-SB07 Torino conference is part of a series of 12 SB07 international conferences being held around the world that is co-sponsoredby iiSBE, CIB and UNEP. The objective of the SB conferences is to elucidate the sustainable building issues in different regions of the world.The SE-SB07 conference is aimed to cover the region of South Europe and it is targeted to all the stakeholders in sustainable building:researchers, academics, professionals, investors, policy makers, etc. A report on the current state of sustainable construction in SouthEurope will be submitted to the global SB08 conference that will take place in Melbourne (Australia) in September 2008.

Call for papersSubmission procedure for abstracts The abstracts have to be in English, no longer than 2000 characters (Arial, 10 pt) and submitted andsent by March 15 in MSWord format to [email protected]. The format for the abstract is available in the conference web site www.eco-efficiency.net. It must include the following information: title, full names of the authors, e-mail of the main authors, specific conference topic,key words.

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diamenti coinvolti, quanto le città ameri-cane, dove sono le dinamiche economi-co-commerciali la principale discrimi-nante. La riqualificazione urbana puòdefinirsi come la “trasformazione di unluogo (residenziale, industriale o spazioaperto) che mostra sintomi di declinoambientale (fisico), sociale e/o economi-co o, meglio, come l’infusione di nuovavitalità a comunità, industrie e luoghi indeclino portando miglioramenti sosteni-bili e a lungo termine alla qualità dellavita locale in termini economici, sociali eambientali”3.Negli ultimi anni, l’orientamento genera-le nei confronti di questo tema, sullascorta di esperienze di matrice prevalen-temente anglosassone, prevede unapproccio basato su strategie competitivedi promozione territoriale che intendonoriorganizzare lo spazio urbano in terminidi offerta di servizi cercando, al tempostesso, di proporre modalità di gestioneinnovative, basate su partenariati pubbli-co-privati. Sulla base di questo approc-cio, l’obiettivo dell’incremento del livellodi competitività del centro storico è per-seguito attraverso il rafforzamento diofferte a carattere culturale, da legareattraverso un approccio filologico avocazioni endogene al sistema urbano,ma anche mediante il reinserimento diattività commerciali, l’accoglimento diuna quota delle nuove domande deter-minate dalla maggiore disponibilità ditempo libero ed il miglioramento dellacapacità di attrarre nuovi investimenti equindi nuovi residenti.Tuttavia, questa ricerca di soluzioni stra-tegiche di riqualificazione è ancoramateria esclusiva degli amministratori

Rivitalizzazione, dimensione culturale e sense of placeGabrio Celani*, Massimo Zupi**

Per molti decenni i centri delle cittàamericane (i quartieri in cui si trovano levie principali e l’area commerciale) sonostati molto fiorenti dal punto di vistaeconomico, mantenendo un’estensionemedia di circa 17 chilometri, che consen-tiva agli abitanti di spostarsi facilmenteper andare a lavorare. La costruzione delsistema autostradale interstatale america-no (alla fine degli anni ’50) diede allepersone la possibilità di spostarsi piùlontano dai centri città e, conseguente-mente, vennero costruite migliaia dinuove zone residenziali nei sobborghiperiferici. Successivamente sorsero iprimi centri commerciali suburbani, cheinaugurarono un modello di vendita effi-cace e facilmente riproducibile (basatosull’omologazione dei prodotti) che can-cellava inevitabilmente i caratteri distin-tivi delle singole comunità.Conseguentemente si determinò il decli-no di numerosi negozi di quartiere agestione familiare, sostituiti da rivendito-ri di livello nazionale e grandi magazzini“discount”, i quali, però non essendodirettamente coinvolti nell’economialocale, non reinvestivano i loro guadagniall’interno della comunità, ma li inviava-no alla sede centrale che li destinava allarealizzazione di nuovi discount, localiz-zati altrove. Questi meccanismi determi-narono il collasso economico dei centricittà e conseguentemente il deteriora-mento fisico degli immobili2.In base a quanto descritto, la tematicadella riqualificazione urbana, urban rege-neration nella definizione anglosassone,accomuna tanto le città europee, conuna specificità legata al valore storico-testimoniale di buona parte degli inse-

Buona parte delle problematiche degliorganismi urbani di antica formazionesono efficacemente riassunte dal terminestesso che abitualmente viene utilizzatoper individuarli. La denominazione “cen-tro storico”, infatti, sottende la loroodierna appartenenza ad un sistema piùampio, la città moderna, che li ingloba.Si tratta di una condizione fortementeriduttiva, rispetto allo status originario dicittà completa e autonoma, ulteriormenteenfatizzata nelle situazioni in cui l’e-spansione urbana ha prodotto la margi-nalizzazione della parte antica della città,che non occupa più il centro geograficodell’insediamento. Questa perdita diautonomia, assieme alla pressione eserci-tata dagli usi non compatibili che, pur seesclusi dalla parte storica, si accumulanonei quartieri adiacenti, determinanoprima il decadimento della qualità dellavita, poi il degrado degli scenari fisici.Nei pochi esempi che sono sfuggiti almeccanismo sopra descritto, la sensazio-ne di appartenere ad una città completa,piuttosto che ad un pezzo, ad un bran-dello o ad una appendice periferica,accentua il senso di appartenenza dellecomunità insediate. A Lucca, dove lacittà murata non si limita ad essere ilcentro della città contemporanea, ma siconfigura come un insediamento com-piuto, con il suo centro, i suoi spazi pub-blici e le sue zone verdi, gli abitantiusano dire che “si viene a Lucca adimparare il garbo”1.Una volta accettato questo ordine diidee, può risultare non eretico il confron-to tra i processi che hanno investito icentri storici europei e quelli che hannoriguardato le downtown statunitensi.

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centri storici, è possibile proporre unastrategia che operi a livello strutturale,perseguendo il radicamento della culturanella società e consentendo alle comuni-tà di appropriarsi in prima persona deiprocessi di sviluppo urbano innescati.Operazioni di questo tipo, attraverso unmix equilibrato di globale e locale, con-sentono egualmente di realizzare unritorno economico, ma al tempo stessocreano le condizioni per la permanenzadelle piccole e medie imprese nel settoreculturale e del tempo libero. Il raggiungi-mento di questo obiettivo strategico puòavvenire attraverso l’adozione di precisetattiche di intervento e la precisazione dispecifici ordini di priorità: i destinatariprivilegiati degli interventi devono esse-re, in prima battuta, cittadini e imprendi-tori locali, poi i turisti; è essenziale agiresul miglioramento della qualità della vitae dell’abitare dei residenti, prima cheimpegnarsi per promuovere un’immagineaccattivante verso l’esterno; bisognaimplementare iniziative finalizzate allaproduzione culturale prima ancora che alconsumo; è preferibile avviare azioniimmateriali basate sulla promozione diattività e programmi, prima di dedicarsiall’inserimento di nuovi contenitori espazi pubblici. Il miglioramento dellaqualità della vita delle persone nei centristorici non può infatti essere affidatoesclusivamente all’effetto delle contenutetrasformazioni fisiche che si possonoprodurre in pochi anni. Tale modo diprocedere consente da un lato di eludererischi di omologazione e di svilimentodell’immagine complessiva del centroantico, dall’altro di interpretare le speci-ficità e le peculiarità del centro storicocome un effettivo valore aggiunto e non,in omaggio a logiche estreme di conser-vazione, come un elemento di vincolo edi freno alle politiche di sviluppo.

* Professore Associato di Urbanistica – Dipartimento diPianificazione Territoriale – Unical.** Dottore di Ricerca, Dipartimento di PianificazioneTerritoriale – Unical.

Note1. Vedi L. Benevolo, L’architettura del nuovo millennio,Laterza, Bari 2006.2. Su questi aspetti vedi le esperienze del “ProgrammaMain street” in www. Mainstreet.org.3. Vedi G. Evans e P. Shaw , The Contribution of Cultureto Regeneration in UK: a Review of Evidence, A Reportto DCMS, LondonMet 2004.4. Vedi G. Laino, Condizioni per l’efficacia dei program-mi di riqualificazione nell’ottica dello sviluppo locale inASUR, N.70, 2001.

coltà di affermazione, in un paese comeil nostro, dove ogni pietra nasconde unpatrimonio di storie, di memorie, di tra-dizioni. Allora proprio la dimensioneculturale può rappresentare la discrimi-nante che caratterizza l’intervento diriqualificazione nei centri storici. Taliprocessi di rigenerazione urbana fondatisulla cultura non dovrebbero però tende-re verso modelli di città multi-culturale,validi per realtà urbane diverse da quellestoriche, ma dovrebbero essere orientateal recupero dell’identità del luogo, dellastoria e dell’appartenenza alla comunitàlocale. Identità, intesa non come anco-raggio a nostalgie passatistiche, ma comegrado di consapevolezza e di coinvolgi-mento attivo nello sviluppo del proprioambiente di vita. In Europa, negli ultimianni, si sono avviati grandi progetti cul-turali, ai quali si chiede non solo diriqualificare l’immagine della città, maanche un concreto ritorno in termini diattrazione di attività economiche e turi-stico-commerciali. L’archetipo di questeoperazioni è senza dubbio Bilbao, che hagenerato numerosi tentativi di emulazio-ne basati sul tentativo di stimolare lavitalità dei centri urbani attraverso pro-getti su larga scala (musei e gallerie d’ar-te, teatri e impianti sportivi di grandedimensione, centri direzionali e polifun-zionali) che richiedono ingenti investi-menti. Tali esperienze, spesso, partonodall’assunto che esista una ricetta per lepolitiche di rigenerazione a carattere cul-turale, buona per tutte le occasioni e pertutti i contesti, anche per i centri storici,senza comprendere che il successo dell’o-perazione è determinato dalla capacità diinterpretare le specificità del luogo e simisura in funzione del suo impatto sullacomunità e sul livello di qualità di vitache consente di raggiungere. È indubbioche questi interventi determinano unatrasformazione e una rivitalizzazionedella città, con rilevanti conseguenzeanche in termini di occupazione e dipartecipazione culturale, ma spesso lamancanza di qualunque riguardo neiconfronti dei presidi locali, specie incontesti più delicati come quelli storici,fa si che le grandi majors internazionali,spingano fuori dal mercato i piccoli etradizionali operatori locali, conducendoalla perdita dei fattori di unicità e distin-tività.In alternativa a questo modello, per i

locali, che ricorrono a fondi strutturalieuropei, a misure di contributo da partedi enti sovralocali e ad altre forme disostegno finanziario, nell’ottica di realiz-zare progetti di rilancio che spesso tra-scurano quell’aspetto relativo “all’infu-sione di nuova vitalità alle comunità”che abbiamo visto essere un punto quali-ficante della definizione di riqualificazio-ne urbana. Al contrario, molti esempi disuccesso, principalmente negli StatiUniti, dimostrano come per rendere effi-cace un processo di rivitalizzazione, siaindispensabile creare un senso di comu-nità, il sense of place, che coinvolge ivari attori in un processo condivisibile eperciò più facilmente perseguibile.Certo, anche in Italia, la maggior partedelle iniziative avviate negli ultimi anniprevedono il coinvolgimento diretto dellapopolazione locale, ma con un approcciodi tipo semplificante, volontaristico eoccasionale che si limita al confronto traopinioni. Le iniziative volte alla contami-nazione del sapere esperto con quellocomune, mediante le interviste a gruppidi abitanti, l’organizzazione di occasionidi ascolto, il coinvolgimento delle fascedeboli per raccogliere le loro opinionisulle condizioni di vita e sulle possibilitrasformazioni urbane sono sicuramenteportatrici di contributi significativi, marestano ancora lontane dalla creazione diun reale senso di comunità.Per ottenere questo risultato è infattinecessario un salto di scala, che compor-ti il coinvolgimento diretto delle personee non soltanto delle loro opinioni. Ciòsignifica pervenire al trattamento moltoconcreto di problemi reali, alla costruzio-ne di occasioni concrete di lavoro, allapromozione di associazione e partenaria-ti, superando la logica delle iniziative atermine condotte da professionalità nonradicate nel territorio di riferimento, perapprodare ad un radicamento duraturoche produca non tanto riunioni e assem-blee, quanto pratiche concrete di vita4.È peraltro singolare che le pratiche piùavanzate finalizzate alla creazione ed alconsolidamento del sense of place, pro-vengano da una realtà, come quella sta-tunitense, relativamente giovane e appa-rentemente priva di riferimenti forti aiquali agganciare tale senso di apparte-nenza, (sappiamo del resto che il popoloamericano ha fatto di capacità una forzafondante) e trovino, invece, tanta diffi-

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Sono anni difficili anche per lo scam-bio disciplinare. Gli economisti teoriz-zano soglie che in breve porteranno allumicino le formule tradizionali, inparticolare, grandi magazzini, piccolinegozi e mercati ambulanti. Per questiultimi, il tempo dimostrerà l’infonda-tezza della previsione, ma per gli altriil declino non sarà avvertito.La città attira risorse lontano dal cen-tro. Il danno non è tanto quello pro-dotto dalla migrazione degli investi-menti, ma dal distacco culturale subitodal centro storico che soffre un isola-mento sempre maggiore, nei terminidelle prospettive e delle strategie, tantoche nel 1990 parte un avvertimento: ècrisi per i centri storici2. La preoccupa-zione prende forma con una ricercache ne evidenzia la trasformazione eche, però, avviene senza orientamentiallo sviluppo, ma soprattutto senzaindividuare una strategia per il piccolocommercio.

Lusinghe immobiliari negli anni ‘90

La mancanza di opportunità vieneinterrotta dalla sequenza di studi cheriguardano i centri storici. Nei primianni Novanta, all’interno di alcunipiani del commercio, di cui alla leggen. 426/71, si sviluppano approcci mul-tidisciplinari che anticipano il marke-ting urbano3 e che si occupano dellavalorizzazione dal punto di vista delrilancio dell’offerta. Tante esperienze,espressione di caratteri morfologicimolteplici, progetti di percorsi, ipotesid’intervento, sono tutti questi gliaspetti che fanno sperare nel successodella rivitalizzazione.

Ascolto il tuo cuore antico, o città!Iginio Rossi*

centrale ha prodotto molte soluzioni“sulla carta” e poche esperienze con-crete, un abbondante confronto ealtrettante linee d’indirizzo, estese -puntigliose modalità di analisi e piccoli- inadeguati interventi, rispetto arichieste e valenza dei luoghi.L’entità di cosa non ha funzionato è,quindi, maggiore di quella che ha fun-zionato. Eppure “l’ottimismo dellavolontà” prevale sul “pessimismo dellaragione” e, quindi, si continua cercan-do di fare tesoro degli errori.L’insegnamento principale, dopo 25anni, ingiunge di abbandonare l’ap-proccio progettuale, degli strumentiurbanistici e delle opere architettoni-che, per impugnare l’approccio dellepolitiche di rivitalizzazione in cui stru-menti e opere sono parte di un proces-so articolato e partecipato che coinvol-ge la città.

Declino ignorato negli anni ‘80

Il percorso parte, dunque, con unastrategia di riqualificazione che le fortispinte della crescita urbana, galvaniz-zate dalla “nascente” industria dei cen-tri commerciali che in Italia solo nel1988 crescono di ben 10 impianti,avrebbero dovuto intercettare, ovvia-mente con sagacia.In quel periodo, il governo del com-mercio è relegato nei piani della retedistributiva che controllano i fenomenidi crescita con barriere all’entrata.Siamo lontani dalla visione che asse-gna al commercio il ruolo di volanodella riqualificazione. È cieca l’urbani-stica che considera sconveniente occu-parsi dei “bottegai”.

La revisione critica di 25 anni rivoltialla rivitalizzazione dei centri storici,presenta un bilancio sfavorevole sovra-stato dalla mancanza di politiche dedi-cate, ma dagli errori si possono trarreutili insegnamenti. “Oggi è convinzione comune che sidebba procedere il più rapidamentepossibile a un riequilibrio delle funzio-ni urbane nell’area centrale. Come ciòdebba o possa avvenire, fa parte deldibattito, spesso acceso e non privo diradicali contrasti, tuttora in corso tra levarie linee ideologiche. Nel procedereall’analisi di quale ruolo assuma la dis-tribuzione commerciale nel processo direvisione, occorre tenere presente cheil commercio è una delle componentidi un assetto equilibrato delle areemetropolitane ed è in stretto collega-mento con i più generali ruoli propridel territorio urbano. La distribuzionecommerciale è, in effetti, un elementoestremamente importante dell’assettodi un centro storico; nella misura incui sussistano le condizioni suddette, ilsistema distributivo può rappresentareun potente volano, capace di trainarealtri settori al fine del raggiungimentodi una corretta e positiva centralitàurbana”1.Le considerazioni fin qui riportateaprivano un approfondimento deiprimi anni Ottanta. Questa data èanche l’inizio di un impegno di studio,didattico e professionale, condotto conun assiduo lavoro di “ascolto” delcuore antico della città che oggi èancora mantenuto.In 25 anni, di altalena degli umori, l’o-stinazione di volere rilanciare l’area

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quadro delle principali realizzazioni inItalia e lo stato del dibattito, non rac-coglierà più dei casi invitati dal cura-tore.La lezione, proveniente dalle esperien-ze, avverte il rischio del marketingurbano che, considerando le città comedei prodotti, può portare alla banaliz-zazione di tessuti complessi. Unapproccio più adeguato sembra esserequello dell’antropomorfismo urbano. Lecittà sono come persone con caratterifisionomici, sessuali, emozionali, pre-stazionali, ecc. Quindi si deve procede-re con strumenti “calibrati” e, in parti-colare, in grado di sviluppare integra-zione e avviare processi di rilancio. Inaltri termini, quando si chiude il can-tiere non si conclude l’opera, ma sideve iniziare la vera e propria azionedi rivitalizzazione.Proprio questi criteri sono alla base delProgramma integrato del centro storicodi Perugia (2002), voluto dagli assesso-ri al Centro storico e allo Sviluppoeconomico, che ricerca una strategia ingrado di mettere a sistema le risorsepubbliche e private afferenti i settoridel sociale, della cultura, delle attivitàeconomiche, della mobilità, dell’urba-nistica, dei lavori pubblici, dell’am-biente, ecc. Gli indirizzi che ne derive-ranno non avranno la fortuna di fareparte delle priorità dell’amministrazio-ne subentrata dopo le elezioni, non-ostante la continuità politica. I nuoviassessori non perseguiranno la gestio-ne integrata del centro storico.La necessità di estendere il confronto èmolto sentita. Territorio9 presenta lametodologia di analisi percettiva dellerelazioni tra attività e spazi pubblici.Dal dettaglio dei luoghi derivano crite-ri, indirizzi e soggetti della partnershippubblico e privato in grado di condur-re la riqualificazione.Il Piano di settore della Provincia diVarese (2003) rappresenta l’occasioneper proporre l’inquadramento dellepolitiche che valorizzano la forza ditrascinamento degli interventi asso-ciando, a questi ultimi, finalità dipotenziamento della rete tradizionale.Il rilascio dell’autorizzazione comunaleè collegato al sostegno delle attivitàtradizionali anche attraverso lo svilup-po di nuove formule che sono sintetiz-zate dal motto “la grande distribuzione

lativa arriva però in ritardo.

Oggi e domani, ricucire le trameurbaneIl dilagare degli shopping center peri-ferici spinge il Consiglio Nazionale deiCentri Commerciali6 a ricercare unasoluzione per la rivitalizzazione che siconcretizza con un progetto pilota(1999). Lo studio considera due piazzedi un’area semi centrale di Roma conestesa presenza di negozi e condizionidegradate degli spazi pubblici. La pro-posta di centro commerciale naturale7 èorganizzativa e cerca d’integrare l’ini-ziativa in un parcheggio interratosfruttando l’effetto volano della nuovarealizzazione anche per ottimizzarel’introito degli oneri. Ma il prototiporesterà una proposta in quanto riscon-trerà: l’impossibilità di aggiungere alladestinazione pertinenziale anche larotazione; il disinteresse del nuovoassessore, subentrato con il cambiodella Giunta; l’attrito dellaConfcommercio cittadina con i com-mercianti locali; la valutazione dellaCircoscrizione di una ridotta prioritàper il progetto.L’adeguamento del Piano regolatoregenerale del Comune di Gallarate(2001) alla legge lombarda del com-mercio, è l’occasione per affrontare amonte il governo della valorizzazioneintegrata. Lo strumento si occupa deiparametri per le medie e grandi super-fici, ma inserisce il concetto di compe-tizione legato alla qualità degli inse-diamenti, questi ultimi, però inseriti inprogrammi integrati con una previsio-ne temporale determinatadall’Amministrazione comunale.La soluzione consente di porre sulmercato dei suoli un numero maggioredi opzioni, con destinazione commer-ciale, di quello che in realtà potrà esse-re realizzato e, di conseguenza, agisceanche da calmiere per i valori immobi-liari. Ma questo meccanismo verràcontratto dalle sceltedell’Amministrazione che invece man-terrà le procedure di confronto e nego-ziazione.Le numerose iniziative, registrate neiprimi anni, suggeriscono d’interpretareil fenomeno. Urbanistica Informazioni8

dedica un approfondimento, ma lasezione, pur riuscendo a delineare il

Laddove gli studi erano stati “suggeri-ti” dall’associazione di categoria(Bologna, Perugia, Valdagno, Vicenza)purtroppo non si determineranno lecondizioni di un reale rapporto conl’amministrazione comunale e gli studirimarranno chiusi nei cassetti.Laddove le iniziative, invece, eranostate volute dal municipio (Belluno,Pesaro, Piacenza, Thiene), associazionidi categoria e operatori non darannoseguito alle scelte comunali.Identica sorte capiterà alle azioni deglienti camerali che, con previdenza, ave-vano messo a disposizione dei comunistudi di valorizzazione. Aprilia, Fondi,Formia, Gaeta, Latina, Sezze eTerracina, nessuno di questi svilupperàle opportunità loro offerte dai progettidella Camera di commercio di Latina.Anche il Piano particolareggiato delcentro storico di Reggio Emilia (1997),che amplia la consueta trattazione acommercio e funzioni integrate, purconsentendo la sistematizzazione dellerelazioni tra attività e spazi pubblici,nonostante l’individuazione dei sistemiportanti la vitalità dell’area centrale,non andrà oltre la ricerca disciplinare.Il disinteresse, di amministratori e ope-ratori, verso le indicazioni di strategiaprogettuale per l’area antica della cittàevidenzia come le soluzioni di maggio-re successo siano quelle lusinghieredegli interventi di recupero sviluppatidal sistema immobiliare che realizza,spesso, su percorsi deboli di passaggi,gallerie e cortili, superfici che sonodestinate alla vendita, invece che allalocazione, e che restano vuote.Le esperienze condotte in questodecennio hanno chiarito, però, unaspetto robusto. “Negozi, attività arti-gianali e della ristorazione, attrezzatureper lo sport e la cultura compongonol’offerta “mista” delle nostre città e illoro rilancio può assumere un signifi-cato più preciso solo se gli interventidi valorizzazione sono integrati in unprocesso di riqualificazione urbana,che ha radici in ambiti economico-strutturali, politico-amministrativi eurbanistici”.4 L’affermazione segue lariforma del commercio5 che concludela stagione dell’urbanistica commercia-le riportando la funzione distributivaall’interno della pianificazione del ter-ritorio. La positività della scelta legis-

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mercio nel centro storico, scaturisce loscenario attuale. Il programma di rivi-talizzazione si fonda sul rispetto dialcune condizioni irrinunciabili: indivi-duazione dei caratteri specifici inerentiil funzionamento dei luoghi nei con-fronti dell’abitare; ascolto e partecipa-zione degli abitanti, senza distinzionedi categoria e appartenenza, già nellescelte preliminari del processo proget-tuale; messa in atto di misure che nonvincolano le scelte, per esempio, deglioperatori, ma le rendono convenienti;coinvolgimento della comunità neiprocessi di pianificazione, programma-zione, gestione integrata e progettazio-ne degli strumenti più adeguati peravviare, condurre e monitorare il pro-cesso di rivitalizzazione.

* Docente di Analisi economica urbana al Politecnicodi Milano.

Note1. I. Rossi, “Il ruolo del commercio nei centri storici”,in Largo Consumo, n. 7-8, Milano, 1982.2. I. Rossi, “È crisi per i centri storici italiani”, in

Largo Consumo, n. 6, Milano, 1990.3. Iscom E. R., “Marketing urbano. Valorizzazione delcommercio nei centri storici”, Etas, Milano, 1994.4. I. Rossi. “Il commercio e l’artigianato dentro lecittà. Esperienze di riqualificazione urbana”, EtasLibri, Milano, 1998.5. D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 114.6. Associazione di categoria, che raggruppa le impreseoperanti nell’industria dei centri commerciali, aderen-te a Confcommercio e componente dell’InternationalCouncil of Shopping Centers di New York. Nel 1999 ilpresidente è Livio Buttignol, Amministratore delegatodi Generale supermercati spa.7. “È la forma più moderna ed evoluta di considerarepiazze e strade, storicamente caratterizzate dalla pre-senza di negozi, esercizi dell’artigianato, servizi eagenzie, bar e ristoranti, attività per il tempo libero,ecc.”, da Prototipo di centro commerciale urbano,Comune di Roma, VI Circoscrizione, Roma, 2001.8. “Rivitalizzare il commercio nei centri storici”, in UI176/2001. La Sezione raccoglie contributi della ricercauniversitaria, ma anche di amministratori locali.9. “Valorizzare il sistema di attività miste per abitaremeglio la città, i centri storici”, in Ricerche, Territorion. 23/2002, Franco Angeli, Milano, 2002. La sezioneillustra le ricerche del Dipartimento di architettura epianificazione, del Politecnico di Milano, nei centristorici di Pavia e Cantù.10. D.C.R. 2.10.2006, n. VIII/215, Programma triennaleper lo sviluppo del settore commerciale 2006-2008.

organizzata adotta il negozio di mon-tagna”. Le indicazioni avranno succes-so, acquisiranno maggiore legittimitàentrando nel Piano territoriale di coor-dinamento e verranno riprese dallaRegione Lombardia10 per il rilanciodelle aree marginali. Volendo cogliere l’opportunità offertada alcune regioni, che nei primi annidel 2000 avevano disposto specifichemisure per la riqualificazione commer-ciale consistenti in finanziamenti diinterventi vari: infrastrutturali, gestio-nali, promozionali, formativi, ecc. sonostati proposti a Comuni e Associazionidi categoria processi partecipati per ladefinizione di programmi di rivitalizza-zione in cui inserire gli interventifinanziati. Purtroppo è prevalso l’obiet-tivo di prendere il finanziamento e leopere realizzate non hanno avviatopercorsi virtuosi.Con l’esperienza di Colle di Val d’Elsa(2003), tutt’ora in corso, che si occupaanche di risolvere il declino del com-

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CIVIL PROTEC 20071a Fiera specializzata per calamità e protezione civile

Bolzano, 18 - 20 maggio 2007

Proseguono a pieno ritmo i preparativi della nuova rassegna specializzata di FieraBolzano: Civil Protec prenderà il via il 18 maggio e per tre giorni trasformerà ilquartiere fieristico in una grande vetrina di prodotti e servizi per calamità e prote-zione civile.

Da decenni l’Alto Adige svolge un ruolo primario nei settori del soccorso e dellaprotezione civile. Numerosi Paesi ci invidiano. L‘Associazione provinciale di soc-corso Croce Bianca è un esempio tangibile che un‘organizzazione fondata sulvolontariato può funzionare ottimamente a patto che vengano garantite alcunecondizioni. La fiera specializzata Civil Protec è, a nostro avviso, il luogo ideale ovepresentare il nostro operato, i nostri programmi futuri e per interagire con altri“,così si esprime il dott. Ivo Bonamico, Direttore dell‘Associazione provinciale disoccorso Croce Bianca.La manifestazione bolzanina tratterà i settori della previsione, della prevenzione,dell‘intervento, del ripristino e verrà arricchita da un articolato programma dimanifestazioni di contorno. Il congresso internazionale „Rischi idrogeologici egestione dei rischi“ verterà in particolare sull‘acqua e avrà luogo nel centro con-gressi della Fiera/Four Points Sheraton. I lavori prenderanno il via il 17 maggio,dunque un giorno prima dell‘apertura della fiera specializzata, e proseguiranno il18 maggio. Il congresso verrà suddiviso in quattro blocchi nel corso dei qualinumerosi relatori tratteranno svariati argomenti tra cui il rischio idrogeologico,l‘analisi e la gestione integrale del rischio, la cultura del rischio e il rischio resi-duo.Nel programma degli interventi del primo blocco figurano, tra gli altri, questitemi:- la difesa delle catastrofi naturali nel passato. Esempi dall‘Oetztal (Nordtirolo,

Austria).- effetti delle mutazioni climatiche globali sul territorio alpino.- analisi del rischio e pianificazione territoriale in Svizzera.

- il centro funzionale, una nuova struttura nella protezione civile.- movimenti di massa e colate di detriti: dall‘analisi dei pericoli alla valutazio-

ne del rischio.Per informazioni dettagliate sugli interventi che figurano nei programmi deiquattro blocchi del congresso e per la pre-registrazione è possibile consultare lapagina www.civilprotec.it

Nel padiglione fieristico verrà allestito nei tre giorni di fiera il Civil Protec Forum,uno spazio presso il quale si terranno relazioni e presentazioni su tematiche diattualità. La mattina del 19 maggio ad esempio avrà luogo una tavola rotondaorganizzata dall‘Associazione provinciale di soccorso Croce Bianca in collabora-zione con il Soccorso Alpino, con l‘Unione provinciale dei corpi vigili del fuoco econ l‘Associazione provinciale soccorso subacqueo. La discussione verterà sullavoro dei volontari della protezione civile in Alto Adige, sulla situazione nei Paesiconfinanti, nei Paesi dell‘Unione europea e in altri Stati, sulle responsabilità deivolontari nei vari settori della protezione civile. La quota di partecipazione alle iniziative che si svolgeranno nel forum è inclusanel biglietto d‘ingresso a Civil Protec. Non è richiesta la pre-registrazione. Leaziende espositrici che desiderano organizzare presentazioni dei propri prodotti edei propri servizi possono farlo nel forum in grado di ospitare un centinaio di visi-tatori.In occasione della 1a Fiera specializzata per calamità e protezione civile CivilProtec verrà organizzato un concorso provinciale nell‘ambito del quale volontarie collaboratori della Croce Bianca potranno competere tra loro per aggiudicarsiil titolo di „squadra di soccorso dell‘anno“.

Per ulteriori informazioni sull‘evento e sul programma delle manifestazioni idea-te a cornice della fiera specializzata bolzanina ci si può collegare al sitowww.civilprotec.it.

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rica. Per molti decenni i Comuni hannosempre cercato di restringere al massi-mo le zone A all’interno dei piani rego-latori per via del regime più restrittivodi tali zone.Nonostante il poco interesse della poli-tica siciliani verso la normativa urbani-stica, dimostrata dall’inesistenza di unalegge urbanistica aggiornata, qualcheramo dell’amministrazione regionale,pur in un quadro di contraddizioni, senon di vero e proprio conflitto con altrisettori del medesimo apparato, ha cer-cato di suggerire nella seconda metàdegli anni ‘90 un nuovo modello di svi-luppo regionale e di assetto del territo-rio, basato sulla migliore utilizzazionedelle risorse culturali, insediative, natu-ralistiche e ambientali per tentare didare alla Sicilia un nuovo ruolo econo-mico e produttivo nell’ambito nazionalee internazionale.Ci si riferisce in particolare alle LineeGuida del Piano territoriale paesisticoregionale approvate nel 1999 (Ptpr), e adue circolari sulla pianificazione comu-nale e sul recupero dei centri storici,emanate nel 2000. Nel Ptpr la Regione aveva messo final-mente a fuoco il tema dell’intervento direcupero dei “Centri e nuclei storici”consolidando e ampliando l’orienta-mento culturale espresso succintamentenell’art. 55 della Lr 71/78 e nelle leggispeciali. Il Ptpr, infatti per la primavolta,“individua quali centri e nucleistorici le strutture insediative aggregatestoricamente consolidate delle qualioccorre preservare e valorizzare le spe-cificità storico-urbanistiche-architetto-niche in stretto e inscindibile rapporto

Centri storici in Sicilia: problematiche e indirizziTeresa Cannarozzo*

abbondanti risorse finanziarie, consentìdi acquisire centinaia di immobili e per-mise di attuare una serie di interventi direstauro su edifici di pregio senzaattendere la redazione di uno strumentourbanistico, che per altro non è statoancora definito. Trapani, Caltanissettaed Enna non dispongono di piani speci-fici finalizzati al recupero dei rispettivicentri storici, ma mentre Trapani hasubito alcuni interventi di riqualifica-zione urbana realizzati in occasionedell’America’s Cup nel 2005, i centristorici di Caltanissetta ed Enna conti-nuano a esprimere abbandono, degradoe marginalità.Vi sono anche altre dinamiche in attocon riferimento alle città di mediadimensione e ai centri minori: le cittàmedie più vitali vedono profonde tra-sformazioni del patrimonio edilizio sto-rico residenziale, tramite radicali sosti-tuzioni o sopraelevazioni; molti centriminori dell’interno sono affetti da spo-polamento, abbandono e decadenza delpatrimonio edilizio monumentale e resi-denziale; alcuni centri storici, comeOrtigia, Cefalù, Taormina, marcianoverso una valorizzazione turistica spin-ta, con tutto quello che ne consegue.

Nuovi indirizzi progettualiIn Sicilia, sia nella legislazione specialeche in quella ordinaria, si prevedevache il recupero dovesse attuarsi tramitela redazione di piani particolareggiati,strumenti urbanistici complessi e costo-si, e per questo utilizzati molto rara-mente. Basti pensare che solo Siracusae Palermo sono dotate di piani partico-lareggiati che coprono l’intera città sto-

I centri storici siciliani risentono del-l’appartenenza a contesti urbani e terri-toriali molto diversificati con riferimen-to alla dimensione delle città, alla col-locazione geografica, alla vitalità deicontesti socio-economici, all’esistenzadi piani e politiche urbanistiche finaliz-zati alla riqualificazione urbana e alrecupero del patrimonio edilizio storico. I centri storici di Palermo e Cataniasono investiti da un processo di valo-rizzazione, anche se disorganico e senzapolitiche pubbliche sul ruolo che posso-no svolgere nel contesto urbano emetropolitano. Nel caso di Palermo ilprocesso di recupero del centro storicoè stato guidato dal PianoParticolareggiato Esecutivo per il recu-pero del centro storico commissionatoda Orlando a Cervellati e Benevolo,denominato comunemente P.P.E.,approvato dalla Regione nel 1993 eassistito da una legge regionale che hacanalizzato notevoli risorse finanziariea favore degli interventi di recuperopubblici e privati. Agrigento e Siracusa hanno goduto diuna legge speciale, la legge regionale n.70 del 1976 che imponeva la redazionedi un piano particolareggiato e asse-gnava risorse finanziarie al Comune eai privati. Mentre a Ortigia opera dal1990 un piano particolareggiato che neha innescato concretamente il recuperoe la valorizzazione, ad Agrigento ilpiano particolareggiato non è ancoraandato in porto e il centro storico versain pessime condizioni. Per il recupero del centro storico diRagusa fu predisposta la legge regiona-le 61 del 1981, che dotò il Comune di

Opinioni e confronti

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Urbanistica INFORMAZIONI

conoscitivi appropriati e strutturati infunzione degli gli obiettivi da raggiun-gere. In particolare, la circolare n. 3/2000Aggiornamento dei contenuti degli stru-menti urbanistici generali e attuativiper il recupero dei centri storici intro-duce lo strumento urbanistico dellavariante generale per la zona “A” e pre-vede l’intervento diretto, limitando l’u-tilizzazione dei piani particolareggiatiad aree che presentano problematicheparticolari. Essa costituisce una vera epropria guida tecnica e culturale perstrutturare i piani urbanistici finalizzatialla riqualificazione e al recupero deicentri storici.Data la difficoltà del tema e la pocasperimentazione effettuata, la circolaresuggerisce in maniera didascalica ilnumero e la qualità degli elaborati daredigere, le scale di rappresentazione, leanalisi da svolgere, le destinazioni d’usocompatibili con la rivitalizzazione dellacittà storica.Il patrimonio edilizio storico e gli spaziinedificati dovranno essere analizzati eclassificati attraverso l’analisi tipologi-ca, che non deve essere basata sull’usodi “tipi” aprioristicamente determinati,ma su studi e indagini dirette sul“campo” relazionate alla storia e alletradizioni locali.Al fine di facilitare la comprensionedegli argomenti trattati, è allegata allacircolare una nota che contiene la “ter-minologia” e l’elenco delle “destinazionid’uso”.Il nuovo strumento urbanistico dellavariante generale per la zona A haavuto successo e una ventina di comu-ni, in attesa di aggiornare i piani rego-latori generali, hanno cominciato arivedere la pianificazione all’interno deicentri storici intraprendendo la via dellaformazione della variante generale, piùsnella e meno costosa del piano parti-colareggiato. Le varianti generali assicurano quadriorganici e aggiornati di riferimentoentro cui collocare i soggetti attuatori ele risorse finanziarie, condizioni richie-ste dall’Unione Europea per erogare ifinanziamenti necessari alla realizzazio-ne degli interventi.

* Inu Sicilia.

con quelle paesaggistico-ambientali”.Per i centri storici il Ptpr indica: - criteri oggettivi e scientifici di perime-trazione come zone A; - indirizzi per la pianificazione territo-riale che deve tendere a consolidare erivalutare i ruoli storici dei centri e deinuclei nell’ambito dell’intero sistemainsediativo regionale;- indirizzi per l’attività urbanisticaall’interno dei centri storici che deveessere basata sulla conservazione evalorizzazione dei caratteri spaziali,architettonici e tipologici esistenti, limi-tando le trasformazioni ad ambiti prividi valore storico-testimoniale o almiglioramento della qualità urbana edelle condizioni abitative.Come si evince da quanto sopra, l’inter-vento di recupero dei centri storici èstato finalmente promosso anche inSicilia come obiettivo irrinunciabile equalificante per conseguire un assettodel territorio regionale culturalmente edeconomicamente aggiornato, per ilquale si sollecita una adeguata atten-zione da parte delle amministrazionilocali e si comincia ad assegnare risor-se. Per raggiungere pienamente l’ob-biettivo era necessario però aggiornaretecnicamente e culturalmente anche ilcontenuto dei piani urbanistici finaliz-zati al recupero dei centri storici. Per conseguire questo risultato, anchein assenza di sostanziali modifichelegislative, l’Assessorato RegionaleTerritorio e Ambiente ha emanato duecircolari sulla pianificazione comunalee sul recupero dei centri storici, che,pur muovendosi nell’ambito della nor-mativa vigente, hanno determinato unnuovo modo di fare i piani regolatori,privilegiando finalmente la riqualifica-zione urbana e il riuso del patrimonioedilizio storico.I due provvedimenti hanno avuto l’o-biettivo di utilizzare al meglio anche ilcontributo della pianificazione locale,che è obbligatoria per legge e soggettaa rinnovamento periodico, per pervenireanche “dal basso” al riordino e allariqualificazione del territorio regionale,facendo appello alla responsabilità degliamministratori locali. Ambedue le circolari veicolano un mes-saggio di fondo: che le scelte proget-tuali devono scaturire da analisi appro-fondite dello stato di fatto, da percorsi

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Lo spazio europeo a livello localea cura di Igor Jogan eDomenico Patassini

Quale sarà nel prossimo futurol’influenza esercitata dalle istitu-zioni europee sulle pratiche dipiano a livello locale? Questovolume si propone di avviare unariflessione da prospettive diversee su oggetti specifici: dalle varia-bili di sistema (strumenti, compe-tenze) all’attuazione dei progetti,dalle problematiche di caratteremetodologico a quelle propriedelle politiche di valorizzazionedell’informazione tecnica e geo-grafica.

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Creditiurbanistici

cole sono altri e diversi gli strumentiche l’amministrazione deve mettere incampo per sviluppare dinamiche dipartenariato con gli operatori privati eper giungere a superiori livelli di equi-tà di trattamento economico. Il secondo comma dell’art. 16 del rego-lamento scioglie il nodo della colloca-zione del nuovo strumento della pere-quazione nel processo di pianificazio-ne. Il regolamento conferma con chia-rezza quanto sinteticamente indicatoall’art. 55 della legge regionale: gliambiti soggetti alla perequazione sonoindividuati per mezzo del regolamentourbanistico o con i piani complessi diintervento, ovvero i piani che richieda-no “l’esecuzione programmata e conte-stuale di interventi pubblici e privati”(art. 56 della Lr 1/2005).Il problema non è solo della RegioneToscana. Lo strumento della perequa-zione è stato impiegato variamente neidue livelli di pianificazione – il pianostrutturale e quello operativo – conscelte anche assai diverse tra loro. Agliestremi opposti, troviamo chi ha sceltodi specificare le regole di impiego dellaperequazione nella pianificazionestrutturale (si consideri, ad esempio, ilPiano strutturale di Ravenna) oppure lecittà che hanno preferito limitarsi, inquesta fase della pianificazione, aenunciare il ricorso allo strumentodemandando al piano operativo e aipiani attuativi il compito di specificar-ne i contenuti (si veda il caso, adesempio del Piano di assetto del terri-torio di Verona).Con il nuovo regolamento, la RegioneToscana conferma l’orientamento evi-

strumento grazie a cui pervenire a unasuperiore giustizia fondiaria e immobi-liare relativamente ai benefici indottidal piano urbanistico. Con la perequa-zione si pone fine alla differenza ditrattamento delle proprietà interessatedalla trasformazione della città, chetradizionalmente si dividevano in duecategorie: quelle beneficiarie di impor-tanti plusvalori legati alla modificadelle loro destinazioni d’uso, e quelleche invece si vedevano attribuire unvincolo preordinato all’espropriazioneper pubblica utilità con benefici econo-mici risibili.Il secondo elemento riguarda le moda-lità con cui si giunge a tale superioregiustizia fondiaria: le volumetrie dicarattere privato – alla base del plu-svalore determinato dalla scelte urba-nistiche – devono essere distribuiteegualmente fra tutti i proprietari inte-ressati dalla trasformazione urbanisticadella città, senza più differenze traproprietari di immobili che condivido-no una medesima condizione di fatto edi diritto. Più problematico è il terzo aspetto chesi evince dalla lettura del testo delprimo comma. La perequazione urbani-stica potrebbe apparire, ad una primalettura, di applicazione assai ampia: ilregolamento parla infatti di “trasfor-mazione degli assetti insediativi, infra-strutturali ed edilizi”. In realtà, sullabase delle esperienze più significativedi piani perequativi, l’ambito in cuiquesto strumento dispiega la sua ope-ratività è quello delle aree di trasfor-mazione urbanistica. Nelle aree dellacittà consolidata come nelle aree agri-

Ezio Micelli

La perequazione è uno degli elementiqualificanti delle leggi urbanisticheregionali di nuova generazione. Gliarticoli dedicati alla perequazione nelleleggi regionali sono tuttavia stringati esintetizzano in poche righe le nuovemodalità con cui le amministrazionicomunali devono operare nei confrontidella proprietà immobiliare interessatadalla trasformazione della città. Lalegge 1/2005 della Regione Toscananon fa eccezione: all’articolo 60 istitui-sce la perequazione, limitandosi tutta-via all’enunciazione di un principiosenza articolarne gli aspetti attuativi.Con il Regolamento di attuazione delledisposizioni del Titolo V della Lr1/2005, la Giunta regionale proponeun quadro più articolato delle azioniche le amministrazioni devono intra-prendere nella gestione di piani pere-quativi, approfondendo il passaggiodal principio perequativo alla prassi dipiani e progetti.Riprendiamo i temi posti dal regola-mento. Il primo comma ritorna sulladefinizione della perequazione e sullesue finalità: l’impiego del nuovo stru-mento ha come scopo il “superamentodella diversità di condizione giuridico-economica che si determina tra le pro-prietà immobiliari per effetto della pia-nificazione urbanistica”. Ciò si traducenella promozione di una “equa distri-buzione dei benefici e degli oneri deri-vanti dagli interventi di trasformazionedegli assetti insediativi, infrastrutturalied edilizi del territorio comunale”.Gli elementi che emergono dall’analisidel testo sono principalmente tre. Ilprimo riguarda la perequazione come

La Lr Toscana e la perequazione

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Urbanistica INFORMAZIONI

dettaglio dell’intero ambito interessato.Gli accordi proprietari per la ricompo-sizione fondiaria del comparto sonovincolanti e non facoltativi: il rilasciodei permessi di costruire è subordinatoinfatti alla sottoscrizione di atti daiquali sia possibile evincere come leproprietà abbiano effettivamente tra-dotto il principio perequativo in for-mule di ricomposizione della proprietàin grado di tradurre lo spirito dellalegge in prassi.Il regolamento regionale assume così –almeno implicitamente – che sia ilmercato a promuovere l’aggregazione ela ricomposizione delle proprietà per lagestione operativa dei comparti. Delresto, sotto il profilo operativo, pro-prietari e developer sono consapevolidella necessità di promuovere questotipo di azione preliminare allo sviluppoimmobiliare vero e proprio. Con laperequazione tuttavia il perimetro dellearee da aggregare e ricomporre rispettoai tradizionali piani attuativi di inizia-tiva privata si amplia: per promuovereil comparto non sono necessari solo gliimmobili destinati allo sviluppo dellacittà privata, ma gli operatori privatidevono farsi carico anche di integrarele proprietà destinate a divenire cittàpubblica. Se ai proprietari e ai develo-per compete l’onere di un coordina-mento più ampio che in passato,all’amministrazione spettano tuttaviacompiti nuovi. Il disegno dei compartideve tenere conto delle diverse pro-prietà e delle strategie che ciascuna diesse promuove allo scopo di facilitare– nel rispetto di una visione complessi-va promossa dal piano – lo sviluppodegli interventi. Ciò non solo per favo-rire l’iniziativa di proprietari e imprese,ma anche e soprattutto nella consape-volezza che il meccanismo perequativofunziona se la città privata si trasformaassicurando aree e immobili a quellapubblica: con le nuove regole delgioco, l’inerzia della prima pregiudicaqualsiasi sviluppo della seconda.

* Università Iuav di Venezia.

denziato nella legge di riforma e spostaa valle, nella fase di pianificazioneoperativa, le scelte in merito alla pere-quazione con il solo vincolo di rispet-tare gli indirizzi fissati dal piano strut-turale. Si tratta di una scelta di rilievoche potrebbe guidare in futuro le sceltedi altre regioni, oggi alle prese condocumenti di indirizzo, quando noncon vere e proprie modifiche delleleggi di riforma, tesi a guidare leamministrazioni verso un più consape-vole impiego degli strumenti gestionalidi nuova generazione.Al terzo comma dell’articolo 16, ilregolamento procede a definirne i con-tenuti operativi della perequazione.Quali effetti determina l’assoggetta-mento di un’area alla disciplina pere-quativa? Il terzo comma specifica icosti e i benefici derivanti dall’impiegodel nuovo strumento di gestione urba-nistica. Il regolamento urbanistico o ilpiano complesso di intervento specifi-cano l’ammontare dei diritti edificatoriattribuiti alle proprietà interessate dallatrasformazione urbanistica e si curanodi determinarne l’equa ripartizione.Inoltre, il regolamento urbanistico o ilpiano complesso di intervento devonodeterminare la distribuzione degli onerilegati allo sviluppo delle aree e degliimmobili: in misura proporzionale aidiritti edificatori attribuiti sono ancheassegnati gli oneri relativi alle opere diurbanizzazione e agli eventuali ulterio-ri interventi di interesse pubblico acarico dei privati; le aree a standard equelle aggiuntive ottenute dall’ammi-nistrazione per mezzo della perequa-zione; i costi legati alle quote di edili-zia residenziale che abbiano naturasociale e che dunque comportino valoria sconto rispetto al loro potenziale dimercato.L’ultimo aspetto su cui l’art. 16 con-centra la propria attenzione riguarda ilrapporto tra la pianificazione attuativae la struttura fondiaria e immobiliaredegli interventi. Il regolamento regio-nale prevede un elaborato aggiuntivorispetto a quelli tradizionalmenterichiesti: i comparti perequativi pre-suppongono “la redazione di un pianodi ricomposizione fondiaria”, alloscopo di evidenziare le permute o lecessioni immobiliari tra le proprietà epredisposto sulla base del progetto di

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IL 5 PER MILLEPER SOSTENERE L’INU

I costi dell’attività culturale dell’IstitutoNazionale di UrbanisticaL’attività culturale ed editoriale dell’INU è incostante aumento ed ormai rappresenta unpunto di riferimento per il dibattito disciplina-re sulla pianificazione urbanistica nel nostropaese.Il sistema INU nello scorso anno ha realizzatooltre 60 iniziative convegnistiche a livellonazionale e regionale, corsi di formazione perfunzionari pubblici, amministratori e profes-sionisti.Alcune iniziative come Urbanpromo si sonoaffermate nel panorama nazionale comeeventi di grande rilievo per il dibattito sulletrasformazioni urbane.Le riviste Urbanistica, Urbanistica Informazio-ni, Urbanistica Dossier e Urbanistica Quadernirappresentano ormai da molti anni un puntodi riferimento per il dibattito disciplinare.Tutte queste attività vengono svolte dall’Istitu-to grazie al sostegno dei soci, mentre i contri-buti pubblici continuano a diminuire rendendosempre più critico il bilancio dell’Istituto.

Contribuire alle entrate dell’INU con il 5per milleDa quest’anno è possibile contribuire all’attivi-tà culturale dell’Istituto attraverso il versa-mento del 5 per mille sull’imposta IRPEF deicontribuenti.Questa sottoscrizione non prevede costiaggiuntivi per il contribuente e consente all’I-NU di ricevere dall’Agenzia delle Entrate unaquota del 5 per mille delle tasse versate.

Come dare il 5 per mille all’INUPer effettuare il versamento del contributo afavore dell’INU basta compilare l’appositacasella contenuta nelle dichiarazioni dei reddi-ti riportando il codice fiscale dell’INU che è 80206670582Per facilitare questa operazione abbiamo alle-gato i modelli 730-1 ed UNICO PERSONE FISI-CHE redditi 2006, dove sono riportate le indi-cazioni necessarie alla compilazione dellasezione relativa al contributo del 5 per mille.

Per qualsiasi informazione relativa al 5 permille è possibile contattare la segreteria alnumero 06/68801190-68809671Email: [email protected]

Il Presidente Federico Oliva

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Riformaurbanistica

vedimento, il documento “Per unalegge di governo del territorio delPiemonte” che anticipa i contenuti delfuturo atto legislativo e il percorso,politico e istituzionale, da intraprende-re per giungere in tempi ravvicinatiall’elaborazione di una sua primabozza. In tale documento si afferma,focalizzando il proprio obiettivo difondo, che il concetto di governo delterritorio non può essere ricondotto auna “materia” in senso tradizionale, népuò essere limitato alla regolazionedegli usi del suolo che costituisconotradizionalmente la disciplina urbani-stica e, in questo senso, l’idea digoverno del territorio non può, infatti,non comprendere il paesaggio, la dife-sa del suolo, lo sviluppo locale, lamobilità e le infrastrutture, la prote-zione degli ecosistemi, la valorizzazio-ne dei beni culturali e ambientali. Quale ulteriore contributo al dibattito,nonché al fine di anticipare in viasperimentale alcuni punti nodali dellariforma (le Conferenze di copianifica-zione e il coinvolgimento delleProvince nel processo decisionale sullepolitiche territoriali), è stato varato undisegno di legge (attualmente in fasedi approvazione definitiva dall’aulaconsigliare) teso a modificare modi etempi di approvazione delle variantistrutturali degli strumenti urbanistici.Il disegno di legge, che intende speri-mentare alcune procedure innovativein attesa della promulgazione dellacomplessiva e organica riforma, costi-tuisce il banco di prova per il sistemaPiemonte (gli enti competenti, gliapparati tecnici e le strutture, i profes-

delle norme e di definizione degli stru-menti di pianificazione capace dimodificare profondamente il quadroesistente e, nel contempo, di introdur-re principi innovati per il governo delterritorio regionale. L’avvio in contemporanea della forma-zione dei Piani e della stesura degliatti necessari alla revisione della legis-lazione in materia ha messo in motoun percorso in grado di invertire ladirezione nella quale il Piemonteaveva finora camminato restando, nelpanorama nazionale, una delle pocheRegioni a non aver dato seguito alleprincipali riforme nazionali degli ulti-mi anni ed alla modifica costituzionaledel 2001. La legge regionale vigente (56/77) –tra le più avanzate all’atto della suapromulgazione sotto l’egida diGiovanni Astengo – nonostante neglianni sia stata oggetto di molte modifi-che, si presenta inadeguata nel suoimpianto e contenuto tali da renderenecessario un progetto legislativo dinuova generazione. A fronte di questa situazione, che diper sé sconsiglia interventi frammen-tari di adeguamento dell’apparato nor-mativo esistente, il Piemonte ha sceltola strada di elaborare una nuova eorganica legge in grado di governarele materie territoriali. Proprio per rispondere a questa faseinnovativa la Giunta regionale haavviato il percorso di scrittura dellariforma presentato – nel corso di unconvegno svoltosi il 6 febbraio 2006 –alla discussione di tutte le parti inte-ressate, in vista della stesura del prov-

a cura di Sandra Vecchietti

L’esperienza piemon-tese per la legge digoverno del territorioSergio Conti*

Il contesto regionale

Il percorso politico e istituzionale chela Regione Piemonte ha intrapreso peravviare la riforma legislativa e disci-plinare si compone di alcuni elementifondamentali che, nel loro insieme,costituiscono una complessiva azionea sostegno del governo del territorio. Infatti l’insieme degli elementi messiin gioco (a partire dalla redazione delnuovo strumento di pianificazione ter-ritoriale e del piano paesaggistico)rappresenta uno degli elementi portan-ti del programma di governo dellaGiunta regionale del Piemonte. In questo spirito la Regione Piemonteha avviato la stesura dei nuovi stru-menti e della legge di riforma ricono-scendo, all’insieme di questi elementi,la centralità politica con la qualegiungere a una visione di governo delterritorio attenta ai problemi dellatutela, ma capace di affrontare le sfidee risolvere i problemi di sviluppo cheattendono il Piemonte nei prossimianni.

L’avvio del percorso di riforma

A partire dall’insediamento dellanuova maggioranza, che governa laRegione dall’aprile 2005, l’Assessoratoalle Politiche Territoriali ha avviato unarticolato processo di ristrutturazione

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Urbanistica INFORMAZIONI

territorio. Anzi, una serie di elementiinnovativi non potranno essere corret-tamente affrontati e risolti dalle leggiregionali in assenza di alcune basi nor-mative nazionali. In questo contesto è certamente urgen-te che il Parlamento affronti il temadella riforma, pena il mantenimento diuna situazione di stallo, ed è impre-scindibile dal raggiungimento di qual-siasi risultato innovativo e coordinato.La riforma nazionale, ormai attesa daoltre sessant’anni (e per molti anni resainutile dai troppi interventi straordinarimessi in atto), deve essere intesa e rap-presentare il punto di avvio di unacomplessiva riforma che (cogliendo ilsignificato profondo della costituziona-le natura concorrente del governo delterritorio) non potrà che basarsi sulleesperienze regionali – arricchite dalcomplessivo operato dell’intero sistemadelle autonomie – intese quale imple-mentazione di una politica necessaria agovernare un bene collettivo come ilterritorio. Un bene, ed è meglio ricordarlo, chenon riconosce i confini amministrativicome elementi di discontinuità, ma chenell’unitarietà degli strumenti di piani-ficazione e di governo configura il suooperato e che potenzialmente, in con-seguenza a ciò, è in grado di assolvereal meglio al proprio compito di gover-no della tutela e dello sviluppo. In questa complessiva accezione laRegione Piemonte attende fiduciosa laconclusione di un iter di riformanazionale (al quale offre il propriocontributo e collaborazione) essenzialeper affrontare al meglio il governo delproprio territorio, con una visione uni-taria con le altre regioni e in formacoordinata con gli stati dell’Unioneeuropea.

*Assessore alle Politiche Territoriali della RegionePiemonte.Intervento inviato in occasione del ConvegnoNazionale Inu “Le regioni per la legge nazionale sulgoverno del territorio”, Firenze, 17 novembre 2006.

- dell’essenza processuale dell’attivitàdi pianificazione; - del riconoscimento delle diversenature (strutturale, strategica e operati-va) dei piani; - dell’operatività per l’attuazione dellapianificazione ai diversi livelli; - della necessità che la legge compren-da, oltre all’assetto del territorio, lapianificazione del paesaggio; - del sostegno tecnico della Regione edelle Province al processo della pianifi-cazione per il governo del territorio.

Nel disegno tracciato dai possibili titolidelle componenti della riforma si puògià sin d’ora intravederne il significatoe la portata che, basandosi sul concettodi sussidiarietà, pone al centro del pro-cesso di governo del territorio il livellocomunale pur sapendo che i principi diautonomia locale e di sussidiarietà, nelcampo del governo del territorio,dovranno essere contemperati con ilprincipio di adeguatezza e nella consa-pevolezza che i sistemi ambientali,economici e sociali, insediativi e infra-strutturali devono essere governati allivello della loro reale rilevanza territo-riale per gli effetti che essi producono.Si afferma quindi la necessità di unnetto passaggio verso una logica pro-cessuale che trascenda quella gerarchi-ca e di sistema attualmente in vigore. Quindi la futura legge, “riformata” incoerenza con il quadro generale diriferimento, individuerà, ai diversilivelli istituzionali, gli strumenti e lemodalità di attuazione delle politichedi governo del territorio che, come giàaffermato, si fondano sulla cooperazio-ne (tra i diversi soggetti competenti) ela copianificazione (tra i diversi stru-menti di pianificazione). Il lavoro per la redazione della legge,sorretto da una serie di incontri istitu-zionali e tecnici, ha prodotto un primoarticolato di “Legge della pianificazio-ne per il governo del territorio”, pre-sentato alla Giunta regionale nellaseduta del 23 ottobre 2006.

La necessità di una legge nazionale

La riforma regionale non potrà, purnella sua autonomia, che fondarsi suiprincipi che saranno dettati dallo Statonella legge nazionale di governo del

sionisti) a fronte dell’innovazione, nonsolo normativa, delle nuove azioni digoverno del territorio.

I contenuti della riforma

Al fine di definire i contenuti che lanuova legge di governo del territoriodebba avere è necessario partire dallaconstatazione che la legge regionale 56del 1977, se è stata una buona legge diprima generazione, presenta attual-mente un impianto e contenuti tali darendere inequivocabilmente necessarioun progetto legislativo di nuova gene-razione. Ciò trova peraltro giustifica-zione nell’avvenuta modifica del TitoloV della Costituzione. Nel 2001, com’ènoto, si ha l’introduzione del piùampio concetto di governo del territo-rio, in luogo di urbanistica, qualemateria concorrente dei poteri legislati-vi dello Stato e delle Regioni e inragione del processo legislativo attual-mente in corso nel Parlamento italiano. È l’insieme complesso di funzioniriconducibili al concetto di governo delterritorio che costituisce riferimento epiù forte motivazione per una leggeregionale che sia in grado di: - definire gli strumenti idonei per undel territorio e del paesaggio con inuovi indirizzi normativi europei(Convenzione europea del paesaggio eDirettiva sulla Valutazione ambientaledei piani) e nazionale (Codice dei beniculturali e del paesaggio); - riconsiderare e, anche in questo caso,integrare e coordinare la legislazionedel Piemonte relativamente alla tutelaefficace coordinamento e integrazionedell’attività di pianificazione e valoriz-zazione dei beni culturali, ambientali epaesaggistici, alle disposizioni concer-nenti la compatibilità ambientale e leprocedure di valutazione (con partico-lare riguardo all’applicazione a piani eprogrammi), alle disposizioni concer-nenti gli studi geologici e idrogeologicia supporto della pianificazione urbani-stica o alla pianificazione di bacino (apartire dal Pai redatto dall’Autorità dibacino del Po). Nell’intento di diffondere e consolidarequesti nuovi concetti di governo delterritorio, la Regione vuole coglierel’opportunità di promulgare una leggeche affermi la centralità:

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nale, di interesse provinciale, allequali sono assimilate anche zone perdestinazioni particolari (turistiche,lavorazione di ghiaia, per parcheggiodi autocarri e macchine edili, ecc.);- Zone per attrezzature collettive,anche di iniziativa privata (art. 16della LUP 13/97).

Viceversa non sono previste zone adestinazione mista, né zone specifi-catamente destinate ad attività ter-ziarie e/o per il commercio al detta-glio (sostanzialmente per limitare pro-cessi di terziarizzazione e di diffusio-ne del commercio al di fuori dellezone abitate). Tali funzioni possonooggi trovare collocazione, con preciselimitazioni stabilite dalla LUP, esclusi-vamente nelle zone per insediamentiattualmente previste.L’attuazione delle zone di nuovoimpianto, e in alcuni casi anche per lezone di completamento, avviene attra-verso lo strumento del piano di attua-zione ed una procedura che prevedel’istituto dell’esproprio e della asse-gnazione dell’area ad aventi titolo.Non ha avuto luogo in Alto Adige,invece, la lunga fase di sperimentazio-ne dei programmi complessi, che sullabase di norme nazionali e regionali,ha caratterizzato dagli anni ’90 la pia-nificazione delle aree dismesse nelresto del paese.Quando si è dovuto intervenire suaree dismesse di dimensione superioreall’edificio per promuovere interventidi ristrutturazione urbanistica si sonoutilizzati strumenti quali:- il piano di recupero per aree preva-

Bolzano. Legge Urbanistica provincialePeter Morello, Roberto Nicoli*

quali i piani di riqualificazione urba-nistica sul modello delle altre regioniitaliane.

1.2 Quadro normativo di riferimen-toNella disciplina e nella pratica si staconsolidando in Italia un modello dipianificazione urbanistica che tendead individuare nel piano urbanisticocomunale lo strumento per la defini-zione delle scelte di fondo e nonnegoziabili relativamente all’uso delterritorio, demandando agli strumentiurbanistici esecutivi la concreta defi-nizione delle opzioni attuative.Nella specifica realtà dell’Alto Adige,il quadro di riferimento normativo ècostituito dalla Legge UrbanisticaProvinciale (L.P. 13/1997), dal suoregolamento di esecuzione (D.P.G.P.5/98) e dal LEROP, quale strumento diprogrammazione e pianificazione dilivello provinciale (approvato con L.P.3/1995).La zonizzazione urbanistica è definitadalla LUP (art. 15) ed in modo piùdettagliato dalla “Unificazione dellesegnature di legenda e delle norme diattuazione dei Piani urbanistici comu-nali” (D.G.P. 5059/1999 e 4179/2001).Oltre alle zone di paesaggio naturale,alle aree verdi e per impianti ricreati-vi, alle aree per la viabilità (tra lequali la “zona ferroviaria”), sono pre-viste le aree per insediamenti sostan-zialmente distinte in:- Zone residenziali (A-Centro storico,B- Zona di completamento, C- Zonadi espansione);- Zone produttive di interesse comu-

Proposta di articolato normativo inmateria di zone di riqualificazioneurbanistica**

1. Premessa1.1 Questioni aperte dai casi diBolzano e Merano: operatori, desti-nazioni d’uso e strumentiAttualmente le aree centrali diBolzano e di Merano, nei pressi dellestazioni ferroviarie, sono interessateda consistenti progetti di riorganizza-zione delle infrastrutture di trasportoe di viabilità e da processi di dismis-sione delle funzioni ferroviarie o pro-duttive. Si pongono quindi due que-stioni:- quali sono i soggetti deputati adintervenire sull’area e con qualimodalità potranno acquisirne la dis-ponibilità;- quali sono le modalità di modificadelle destinazioni d’uso ammesse equali gli strumenti urbanistici diintervento attuativo.Per la prima questione a Merano ilpassaggio alla Provincia dell’arealeferroviario è già avvenuta, mentre aBolzano sono in corso trattative. Inentrambe i casi dovranno essere defi-nite le modalità attraverso le qualiverranno coinvolti operatori pubblicie privati nelle operazioni di riqualifi-cazione urbanistica di tali aree.Per quanto riguarda la zonizzazione egli strumenti urbanistici le possibilitàsono da un lato quelle previste dallanormativa provinciale (zonizzazionemonofunzionale, piano attuativo o direcupero) o l’introduzione nella legis-lazione provinciale di nuovi strumenti

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urbanistica, ottenere zone polifunzionalie coinvolgere una pluralità di soggettipubblici e privati.

2. Proposta di articolatoAd integrazione del CAPO VI - Zone direcupero, che viene rinominatoCAPO VIZone di recupero e zone di riqualifi-cazione urbanisticasi propogono i seguenti articoli:

65 bis. Individuazione delle zone diriqualificazione urbanistica(1) I comuni possono individuare, nel-l’ambito dei piani urbanistici comunali,le zone ove per necessità di riqualifica-zione urbanistica, edilizia ed ambientalesi renda necessario un intervento orga-nico ed unitario di ristrutturazioneurbanistica. Tali aree possono essereindividuate all’interno del centro edifi-cato ai sensi dell’art. 12 della L.P.15.04.1991, n. 10 e non possono inte-ressare, se non marginalmente ed inquanto necessarie per assicurare l’unita-rietà e la funzionalità dell’intervento, lezone di verde agricolo.(2) La riqualificazione riguarda in parti-colare:a) il riordino degli insediamenti esistentie il ripristino della qualità ambientale;b) la riorganizzazione e l’ammoderna-mento delle urbanizzazioni primarie esecondarie con particolare riferimentoalle infrastrutture e alle reti di trasportoe della mobilità; c) il riuso di aree dismesse, degradate,inutilizzate, o irrazionalmente dislocatenel tessuto urbanizzato, anche medianteil completamento dell’edificato.(3) Le zone di cui al comma 1 vengonodenominate “zone di riqualificazioneurbanistica” e per le stesse deve esserepredisposto un piano di attuazionedenominato “Piano di riqualificazioneurbanistica” (PRU).(4) Il PRU è caratterizzato dall’unitarietàdella pianificazione e dalla presenza di: a) pluralità di funzioni; b) integrazione di diverse tipologie omodalità di intervento ivi comprese leopere di urbanizzazione; c) possibile concorso di risorse pubbli-che e private; d) dimensione tale da consentire il per-seguimento delle finalità di cui aicommi 1 e 2.

1.4 Proposta di integrazione dellalegge urbanistica provincialeI riferimenti principali nelle esperienzedelle altre regioni italiane sono i pro-grammi complessi, e tra questi in parti-colare i Piani integrati di riqualificazio-ne urbanistica, che si affiancano agliordinari strumenti di pianificazionecomunale nella ricerca di soluzioni piùsnelle e negoziali fra i diversi attori chepartecipano al processo di riqualifica-zione e trasformazione.Le caratteristiche dei Piani integrati diriqualificazione urbanistica si possonoriassumere nei seguenti punti:- pluralità di funzioni insediate;- integrazione fra le diverse tipologie ele modalità di intervento;- concorso di risorse pubbliche e priva-te.Inoltre quasi tutte le leggi regionali pre-vedono che l’ambito territoriale oggettodel Piano sia abbastanza ampio dagarantire il perseguimento degli obietti-vi di riqualificazione urbana.Il Piano integrato di riqualificazioneurbanistica consente di intervenire nel-l’ambito di aree per le quali i tradizio-nali strumenti non appaiono efficaci.Un ulteriore elemento interessante èrappresentato dalla convenzione. Questodocumento, parte integrante del piano estrumento finalizzato alla sua attuazio-ne, esplicita i compiti dei soggetti pub-blici e privati stabiliti in fase negozialee le forme in cui pubblico e privatoconcorrono alla realizzazione del pro-getto sulla base di specifiche valutazionidi natura economico-finanziaria. Sottoil profilo della realizzazione delle opere,la convenzione definisce i compiti delsoggetto privato e pubblico in meritoall’attuazione del piano e delle operepubbliche previste.Le considerazioni fin qui esposte evi-denziano la necessità di intervenire conun provvedimento legislativo chepotrebbe, come già avvenuto in casisimili, configurarsi come una legge spe-cifica per le singole due aree in questio-ne dove vengono definite le funzioniinsediabili e i parametri urbanisticioppure assumere caratteri più generaliper tutti quei casi, che sempre più sipresentano anche nel contesto dellaProvincia di Bolzano quando si vuoleintervenire in aree dismesse per attivareprocessi complessi di ristrutturazione

lentemente residenziali;- il piano di attuazione per zone pub-bliche o produttive e l’istituto dell’e-sproprio.Se gli strumenti previsti dalla normativain vigore risultavano inadeguati o insuf-ficienti per la dimensione e/o le funzioniche si intendevano insediare nell’area sisono introdotte specifiche modifiche allaLUP in grado di rispondere in modopuntuale ai problemi posti.Si possono citare alcuni tra i casi piùnoti:- le Semirurali per permettere, a fiancodell’edilizia residenziale pubblica, l’in-serimento di alloggi in cooperativa;- le numerose modifiche alla normati-va per le zone produttive per permet-tere cubature a destinazione terziaria;- il caso delle Terme di Merano e dellaFiera di Bolzano per permettere strut-ture di carattere terziario, di commer-cio al dettaglio, ecc.;- il caso recente dell’area pubblica diPiazza Verdi per permettere cubaturecommerciali superiori al 15% ammes-so dalla LUP.

1.3 Strumenti urbanistici attuativiIl “tradizionale” Piano di attuazione siconfigura, in questi casi per realtàcome quelle di Bolzano e Merano,come uno strumento inadeguato adaccogliere le diverse funzioni (residen-za pubblica e privata, terziario dire-zionale, uffici, commercio, artigianatoe attività di trasporto e logistica) chesi intendono insediare.Mentre non si pongono problemi perle aree a prevalente carattere residen-ziale, produttivo o pubblico, risultaevidente la difficoltà di individuare lazonizzazione specifica per alcune fun-zioni che si intendono attivare (terzia-rio e commercio) e soprattutto perprevedere una adeguata polifunziona-lità nei singoli comparti.È stata ipotizzata la possibilità di clas-sificarle quali “zona residenziale A -Centro storico” con Piano di Recupero.Tale ipotesi risulta non praticabile inparticolare in quanto vi è una consi-stente prevalenza di nuova cubaturarispetto a quella preesistente (la leggeprevede al massimo cubatura esistentepiù 5%) e perché si porrebbero proble-mi in ordine alla possibilità di diffe-renziazione delle destinazioni d’uso.

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caso di interventi sul patrimonio edili-zio esistente deve indicare le categoriedi intervento di cui all’art. 59.b) Un eventuale atto unilaterale d’obbli-go ovvero uno schema di convenzioneavente il seguente contenuto minimo: 1) i rapporti intercorrenti tra i soggettipubblici o privati e il Comune per l’at-tuazione degli interventi; 2) il piano finanziario con la ripartizio-ne degli oneri, distinguendo tra risorsefinanziare private ed eventuali risorsefinanziarie pubbliche; 3) le garanzie di carattere finanziario; 4) i tempi di realizzazione del piano; 5) la previsione di sanzioni in caso diinadempimento degli obblighi assunti.c) Una integrazione alla relazione illu-strativa che deve precisare in particola-re: 1) la rappresentazione del piano in ter-mini economici sintetici con particolareriguardo ai benefici derivanti ai soggettipubblici e agli altri soggetti attuatori; 2) il piano finanziario di attuazione;3) uno schema per la costituzione dellacomunione e/o divisione materiale deiterreni, nonché la procura speciale adun comune rappresentante nel procedi-mento.

65 quater. Procedure di approvazionedel piano di riqualificazione urbani-stica(1) La procedura di approvazione delpiano di riqualificazione urbanisticasegue quanto previsto dall’art. 55,commi 1, 2 e 3.(2) L’individuazione delle zone di riqua-lificazione urbanistica equivale adichiarazione di pubblica utilità ancheper le aree non interessate da operepubbliche.(3) L’acquisizione delle aree non già diproprietà del Comune, o dei soggettipubblici o privati proponenti il piano,possono avvenire anche mediante ilricorso alle procedure di esproprio daparte del Comune.

Bolzano, 28.02.07

* Inu Alto Adige.** Proposta elaborata per conto dei Comuni di Bolzanoe Merano, inoltrata dal Consorzio dei Comuni alConsiglio Provinciale nell’ambito delle modifiche incorso alla Legge Urbanistica Provinciale.

(5) Nell’individuazione di tali zone nelpiano urbanistico comunale devonoessere definiti:a) la densità edilizia territoriale;b) i rapporti minimi e massimi relativi aciascuna delle destinazioni d’uso urba-nistiche previste, ai sensi dell’articolo75, comma 2, garantendo un assettopolifunzionale all’area;c) la quota parte della cubatura a desti-nazione residenziale da destinarsi all’e-dilizia abitativa agevolata, che non puòessere inferiore al 55%;d) le dotazioni minime relative aglistandard urbanistici (verde pubblico,parcheggi, attrezzature collettive a livel-lo di quartiere e urbano) e gli standardprestazionali degli interventi edilizi(casa clima, RIE, ecc.)(6) Per le aree interessate dal PRU siapplica il seguente principio di perequa-zione urbanistica:a) vengono confermati i diritti di cuba-tura derivanti da edifici esistenti condestinazione d’uso di cui alle lettere a),b), c) ed f) dell’articolo 75, comma 2,anche se previsti in demoricostruzione ocon altra collocazione dal PRU;b) viene riconosciuto un indice di den-sità fondiaria pari a 1,5 mc/mq ai pro-prietari delle aree inedificate o di areesulle quali insistono cubature con desti-nazione d’uso di cui alle lettere d) ed e)dell’articolo 75, comma 2, che vengonosottoposte dal piano a modifica delledestinazioni d’uso;c) la maggior quota di cubatura deri-vante dall’indice di densità edilizia ter-ritoriale assegnato all’area è attribuita alComune;d) nel caso la proprietà delle aree sia inparte o totalmente già pubblica, laquota parte di cubatura non utilizzataper opere ed insediamenti di interessepubblico potrà essere alienata a favoredi soggetti privati tramite procedura dievidenza pubblica.

65 ter. Proponenti e contenuto delpiano di riqualificazione urbanistica(1) Il piano di riqualificazione urbanisti-ca è predisposto dal Comune ovveropresentato al Comune da soggetti pub-blici o privati singolarmente o riuniti inconsorzio o associati tra loro, che pos-siedano i tre quarti dell’area compresanel PRU, e deve contenere: a) Gli elaborati di cui all’art. 38 e nel

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TEMI DELLE SEZIONI PRINCIPALI

Editoriale (P. Avarello).

Sezione Problemi, politiche, ricercheDemolire e ricostruire per riqualifi-care parti di città (a cura di M. Ricci).Interventi di V. Di Palma, L. Forgione,G. Rota.

Sezione Progetti e realizzazioniLe sfide del progetto urbanistico nellecampagne urbane (a cura di M. V.Mininni). Interventi di S. Volpe, G.Dispoto, A. Di Lorenzo, F. Gandolfi, B.Rizzo, G. Ferraresi.Un documento preliminare per unterritorio da ripensare (a cura di A.Balducci, P. Pucci). Interventi di V.Fedeli, S. Carbonara, V. Fabietti, F.Manfredini, L. Romano, A.Meneghetti, B. Seraglio.

Sezione Profili e pratichePrevenzione del rischio sismico.Rappresentazione della pericolositàper i piani territoriali provinciali (A.Manicardi, L. Martelli). Cambridge Futures: un referendumper la sostenibilità (A. Mercandino e F.Cassaro)I piani strategici in Italia: rischi e cri-ticità (a cura di F. Gastaldi). Interventodi S. Ombuen.

Sezione Metodi e strumentiA proposito di sostenibilità e formaurbana (A. L. Palazzo).

Sezione Libri ricevuti (A. P. Latini).

N. 132 (gennaio - giugno 2007) Rivista quadrimestralePagine 128, illustrazioni b/n e colori, € 27Abbonamento annuale (tre fascicoli) € 68

Per informazioni:INU Edizioni, Piazza Farnese 4400186 RomaTel. 06-68195562, Fax 06-68214773Mailto: [email protected]

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rali e politiche allora diver-se; in un clima che Adrianoriusciva a creare. Da quandoper vedere dal vero l’urbani-stica e l’architettura moder-na realizzate, affrontavointerminabili viaggi in trenoper raggiungere Ivrea daRoma; ma a venticinqueanni, le terze classi con isedili di legno che ancoraesistevano, valevano bene lameta che mi aspettava.Ad Ivrea era in via di elabo-razione il piano regolatoredi Piccinato e di Quaroni edera già realizzata o in corsodi completamento l’urbani-stica di via Jervis e di viaTorino; con le splendidearchitetture che la compon-gono, tutte firmate daimigliori architetti italianiviventi. Fu allora e neglianni seguenti che, confron-tando i quartieri diCastellamonte e CantonVesco con il quartiere InaCasa di Bellavista, la ieraticaarchitettura razionalista deidue primi cominciò ad affa-scinarmi più dell’architetturaorganica del terzo, apparte-nente alla scuola romananella quale ero nato. E senzafare un torto agli autori, fuallora che cominciai a pen-sare a quei quartieri come ai“quartieri olivettiani”; per-ché di Adriano Olivetti rap-presentavano l’immagine,

così come l’insieme dellesplendide architetture checontinuavano a far crescerela cittadina.Non a caso la cultura urba-nistica sviluppata dall’Inudurante la sua presidenza enegli anni subito dopo lasua scomparsa, era larga-mente influenzata dai con-cetti e perfino dalle paroled’ordine, che nella Ivrea diAdriano Olivetti trovavanospesso origine e conferma.Anche se il modello cultura-le olivettiano, è stato per meassai più un costume meto-dologico, che il riflesso diuna icona da rispettare. Einfatti, il piano di Ivrea alquale ho lavorato con i mieipiù giovani amici tanti annidopo, testimonia come leesperienze mi abbiano spes-so guidato a superare vec-chie posizioni, non più suf-ficenti ad affrontare i nuoviproblemi sul tappeto.Dalla storica sottovalutazio-ne dell’urbanistica modernaitaliana nei confronti deltrasporto su ferro, alla con-vinzione che la salvaguardiadei tessuti storici dovessearrestarsi al limite temporaledella rivoluzione industriale,fino al legame fideistico conil meccanismo della acquisi-zione onerosa - via mercatoo via esproprio -, per l’at-tuazione dei piani urbanisti-ci. Vecchie posizioni che ilnuovo piano a cui ho lavo-rato per Ivrea, non ha pernulla rispettato.Infatti nel progetto di pianoapprovato sul finire del2006, non abbiamo trascu-rato l’importanza dei colle-gamenti stradali, anche deipiù impegnativi, attribuendoperò un ruolo strategico altrasporto su ferro e allanuova centralità legata allaStazione ferroviaria. Ancorpiù abbiamo profittato dellaeccezionale condizione diIvrea, per proporre una

grande innovazione alla cul-tura urbanistica italiana: lanuova concezione della CittàStorica, la cui disciplina disalvaguardia arriva - proprioad Ivrea - ad investire i tes-suti urbani moderni, deiquali si riconosce il valorestorico. Questa innovazioneè stata proposta contempo-raneamente per il pianoregolatore di Roma, in uncaso cioè, la cui grandedimensione si incarica diconfermare la plausibilitàdella scelta fatta per la pic-cola Ivrea.Anche per il piano di Roma,al quale ho lavorato come aquello di Ivrea, ho seguitotanti anni dopo per la stra-tegia urbanistica - sia purecriticamente - i percorsisegnati da Piccinato e daQuaroni. Certo a Roma èforte la presenza dei quartie-ri dell’Ottocento e del primoNovecento, dei quali è diffi-cile contestare il valore sto-rico; anche se, fra gli storicimoderni, c’è chi ne avevaauspicato la demolizione,credendo in tal modo di sal-vare il centro preindustriale.Così anche a Roma si è arri-vati ad affermare la storicitàdi quartieri moderni firmatida Ridolfi e da Quaroni, chead Ivrea sono presenti con illoro edifici. Se però ad Ivrea l’Ottocentoe il primo Novecento nonsono largamente presenti, lapresenza strepitosa di tessutiurbani e di architetturemoderni, ha invece una taledimensione rispetto allacittà intera, da farci consi-derare il suo caso come ilprototipo della Città Storicamoderna; che ha per questopienamente giustificato lanascita del Museo a cieloaperto dell’ArchitetturaModerna. E che viene defi-nito museo, soltanto perchéorganizza la visita dell’urba-nistica e delle architetture

EventiEventi

Giuseppe Campos Venuti

Martedì 6 marzo presso laSala Roberto Olivetti dellaFondazione Adriano Olivettidi Roma, si è tenuto unincontro sulle trasformazioniche negli ultimi anni hannoinvestito la città di Ivrea apartire dai temi che le rivi-ste monografiche“Parametro” n. 262, e“Urbanistica” n. 127, hannorecentemente proposto. Diseguito l’intervento diGiuseppe Campos Venuti.

Siamo qui per parlare delleriviste Urbanistica eParametro, che hanno dedi-cato due numeri speciali adIvrea. Ricordando subito chel’urbanistica di oggi e didomani, ad Ivrea è possibileperché Adriano Olivetti hareso possibile quella di ieri.Per me l’urbanistica moder-na, Adriano Olivetti edIvrea, sono uniti da un filorosso che mi lega da oltremezzo secolo. Da quandoero uno dei pochi giovaniromani attivi nell’IstitutoNazionale di Urbanistica eAdriano era il mioPresidente. Da quando nellesale di Comunità di viaPorta Pinciana a Roma,impegnati in difesa dell’ur-banistica moderna - che poiavremmo chiamata riformi-sta -, ci incontravamo pro-venienti da posizioni cultu-

Un filo rosso lungo tuttauna vita

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tornare ad Ivrea, dopo tantianni, per lavorare al suonuovo piano urbanistico,devo ringraziare la suaAmministrazione Comunale,lungimirante e tenace; che -in un momento assai diffici-le per la città - ha deciso dicostruire, con coraggio econ realismo, un nuovofuturo sulle splendide, masolide fondamenta delrecente passato. Così hocontinuato a seguire il lungofilo rosso che mi lega adIvrea, ad Adriano Olivetti,all’urbanistica modernariformista. Un percorso divita che ha seguito le tappeproposte da quel filo rosso:avendo negli anni raggiuntoanch’io quella cattedra diurbanistica che i miei mae-stri-amici dell’Inu avevanoconquistato a fatica; avendoaccettato in un momentodifficile la presidenzadell’Inu, che aveva vistotanti anni prima l’inegua-gliabile prestigio di AdrianoOlivetti; e avendo assuntosei anni orsono la presiden-za del Consiglio Superioredei Lavori Pubblici, che adun urbanista non era maitoccata; per concludere oggiil lavoro del nuovo pianoregolatore di Ivrea, al qualein passato gli uominidell’Inu avevano già lavora-to con successo. Un filorosso, il mio, lungo più dimezzo secolo, un legameindissolubile di tutta unavita.

olivettiane, secondo la logi-ca museale; ma rappresentail caso unico di museovivente, mezza città discipli-nata dal piano per la salva-guardia e l’osservazione einsieme per l’uso urbano diuna normale città.L’ultima delle vecchie posi-zioni culturali e operativeche il nuovo piano di Ivreaha scelto di superare, è quel-la della acquisizione onerosaper l’attuazione. Che, se adIvrea fu spesso mezzo secolofa sostituita dal mecenati-smo olivettiano, oggi pertutta l’urbanistica italiana -Ivrea compresa - è affidataagli espropri; che sonoimpossibili da realizzare peri costi esorbitanti e per ladrastica riduzione a cinqueanni dei tempi disponibiliper l’attuazione. Pur inmancanza di una leggeregionale riformista - che inPiemonte stanno ancora dis-cutendo -, il nuovo piano diIvrea per affrontare questedifficoltà, ha utilizzato lacompensazione perequativa,che rappresenta uno deiprincipali pilastri della legis-lazione innovativa. Propriomentre l’Istituto Nazionaledi Urbanistica sta ripropo-nendo anche questa sceltaper la riforma generale, conuna legge di principi per ilgoverno del territorio; nellasperanza che questa siafinalmente la volta buona,dopo quella per la qualeanch’io mi impegnai senzasuccesso, oltre quarant’annifa. Scegliendo, comunque, adIvrea di dimezzare le previ-sioni insediative futurerispetto al piano precedente;ma assegnando oggi ai pri-vati i nuovi diritti edificatori- contrariamente a quantofin’ora si è fatto -, soltantoin cambio della cessionegratuita di tutte le areenecessarie alla città per il

verde e i servizi. Si tratta di82 ettari, che applicando ilmeccanismo espropriativosarebbero costati 31 milionidi Euro; una somma di cui ilComune di Ivrea non avreb-be mai avuto la disponibili-tà. Ne sa qualcosa ilComune di Roma, dove lasinistra radicale ha impostoil meccanismo espropriativoper ragioni ideologiche edove il costo degli impossi-bili espropri ammonta a5.700 milioni di Euro. Di piùche ad Ivrea, in proporzioneagli abitanti; con la diffe-renza che ad Ivrea questocosto insopportabile è statorisparmiato, ma le aree per ilverde e i servizi sarannotutte acquisite gratuitamen-te. Mentre anche a Roma lasomma non è disponibile,ma - se qualcosa non cam-bia in futuro - i nuovi servi-zi pubblici previsti in granparte della città esistente,non saranno realizzati.Questa grande quantità diaree pubbliche ottenute adIvrea per verde e servizi, hasuggerito anche di riservareun’ampia quota di verde pri-vato, con valore ecologico ecommerciale nei nuovi inse-diamenti. In tal modo neinuovi interventi previsti dalpiano, i due terzi dellasuperficie totale sarannoattrezzati a verde pubblico oprivato; con la garanzia dialberature piantate in misu-ra tale, da offrire un contri-buto decisivo all’assorbi-mento della anidride carbo-nica prodotta dalla circola-zione automobilistica. Unascelta in linea oggi con l’at-tuazione del Protocollo diKyoto sull’ambiente; maanche un esplicito richiamoall’abbondanza di verde, chei quartieri olivettiani diCastellamonte e di CantonVesco hanno realizzato oltremezzo secolo fa.Se io ho avuto la fortuna di

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zione e non a concessionisingolarmente contrattate,con irregolari baratti urbani-stici, ma piuttosto all’attua-zione di operatori privati, chepotranno aggiudicarseli erealizzarli a proprie spese, inun regime di aperta concor-renza. Per quanto riguarda ilmerito delle operazioniimmobiliari, a Bologna sipropone di decentrare inaperta campagna fra Imolaed il capoluogo, un grandeinsediamento isolato, doveinsieme al nuovo stadio tro-vino posto un migliaio dialloggi e massicce attivitàcommerciali e turistiche. Ungrande polo funzionale oggitotalmente privo di accessibi-lità, in spregio totale dellastrategia generale del PianoTerritoriale Provincialeapprovato nel 2004 d’intesacon la Regione, strategiabasata sulla valorizzazioneinsediativa delle direttrici fer-roviarie e in modo particolaresulla direttrice nord.Soluzione che, inoltre, è inaperta violazione del PianoPaesistico Regionale perquanto riguarda la salvaguar-dia del corso d’acqua checosteggia il nuovo impianto.L’operazione richiede che glistrumenti urbanistici istitu-zionali vigenti siano modifi-cati, per regalare alla proprie-tà dell’area prescelta, destina-zioni insediative oggi inesi-stenti, allo scopo di procurarealla costruzione dello stadio, ifinanziamenti che i promotorialtrimenti non garantiscono.Pur volendo accettare la logi-ca del decentramento dellostadio, questa soluzione risul-ta, dunque, inaccettabile.Nulla vieta, però, di ricercareuna soluzione organica allastrategia del Ptcp per l’AreaMetropolitana, individuandosulla direttrice di sviluppoprivilegiata i luoghi idonei ele condizioni ambientali e diaccessibilità ferroviaria e

stradale, che sono indispen-sabili alla sostenibilità dellagrande attrezzatura.Evitando, comunque, per lanuova localizzazione, qua-lunque baratto urbanistico,nel quale gli oneri siano tuttidella comunità e i vantaggitutti della proprietà immobi-liare. Per il nuovo stadio diRimini, invece, l’operazioneimmobiliare proposta - tesa atrasformare completamente lostadio esistente -, investediverse ubicazioni urbane convarianti che ne aumentanopesantemente le previsioniurbanistiche vigenti ed altrene cambiano; sempre peraccrescere il valore delle rela-tive aree e finanziare in talmodo l’intervento sullo sta-dio, che i promotori nonritengono di poter fare a pro-prie spese. Anche in questocaso, in contrasto con ilPiano Territoriale Provincialevigente e con quello nuovoin via di elaborazione. E ciòmettendo di fronte al fattocompiuto il futuro PianoStrutturale Comunale rinviatoda sette anni e da iniziareproprio in questi giorni, alquale non resterebbe cheprenderne atto. Né si vedecome questa operazioneimmobiliare, possa rientrarenel rispetto delle più elemen-tari regole urbanistiche.L’Inu e la Sezione EmiliaRomagna si rivolge, in con-clusione, alla Regione, alleProvince e a tutti i Comuniinteressati, perché si faccianocarico di affrontare la com-plessa vicenda degli stadi,ispirandosi alla responsabilelinea politica del Governonazionale e a quella lineaurbanistica legata ai principiriformisti e al rispetto dellalegge, che per tradizionecaratterizza da tempo le isti-tuzioni rappresentativedell’Emilia Romagna.

Bologna, 8 febbraio 2007

territoriale; e sollecita i priva-ti a realizzarne le previsioni,con la cessione gratuita ditutte le aree pubbliche neces-sarie alla città, in contropar-tita dei diritti edificatori attri-buiti dal piano. Senza scam-bi, né contropartite per operedi rilievo e senza valorizza-zioni premiali di particolariaree private, come si propo-ne, invece, a Bologna per unnuovo stadio a “Romilia” e aRimini per il rinnovo dellostadio Neri.A maggior ragione le opera-

zioni immobiliari per gli stadiin Emilia Romagna, sono inaperta contraddizione con lanuova legge di principi per ilgoverno del territorio, che iparlamentari dell’Ulivo stan-no presentando alla Cameradei Deputati; disegno di leggeispirato anche dalla leggeriformista dell’ EmiliaRomagna. E non sembra chele operazioni immobiliaripromosse per gli stadi aBologna e a Rimini, sarebbe-ro un buon biglietto da visitaper la nuova e impegnativariforma urbanistica nazionale.L’obiettivo di restituire lospettacolo sportivo alla suanormalità di attività ricreati-va, va perseguito, quindi,affidando la scelta degli stadida rinnovare o da decentrare,alle decisioni consapevolidella Pubblica Amministra-

InuInu

L’Inu con la Sezione EmiliaRomagna apprezza la tempe-stività con cui il Governonazionale sta cercando diaffrontare, per la prima voltaseriamente, i fenomeni pato-logici che si manifestano nelmondo del calcio spettacolo;in particolare per quantoriguarda gli stadi, tentando direnderne una volta per tuttesicura l’agibilità. L’ Inu rileva,però, che il modo con cui ilproblema degli stadi è affron-tato in questi giorni aBologna e a Rimini, desta lapiù viva preoccupazione e lapiù severa valutazione critica,per le scelte di metodo e dimerito. Per quanto riguarda ilmetodo adottato, l’Inu ricordache in entrambe i casi le ope-razioni immobiliari propostesi presentano come il “barat-to di uno stadio contro dirittiedificatori privati”. Sistemache contrasta apertamentecon la legislazione nazionaleancora vigente, per la qualesi presenta come “interesseprivato in variante di vincoliurbanistici”; ma ancor piùconfligge totalmente con lospirito e con la lettera dellalegge, che dal 2000 ha realiz-zato la riforma urbanisticadella Regione EmiliaRomagna. Legge che attribui-sce esclusivamente alle istitu-zioni elettive la proposta pro-grammatica della struttura

Sezione Inu Emilia-Romagna

Stadi e operazioni immo-biliari in Emilia-Romagna

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torio, per il quale alla tra-sformazione urbanistica ècorrelata la cessione gratuitadelle aree, non solo per leopere di urbanizzazionestrettamente intese, ma ancheper servizi pubblici ad esseassimilabili e quindi perinterventi di edilizia sociale.Una tale accezione sarebbe,peraltro, coerente alla possi-bilità di garantire l’obiettivodella mixitè urbana, richie-dendo, tuttavia, alle ammini-strazioni di assumere unruolo di “management strate-gico” e, pertanto, di sviluppa-re capacità negoziali al finedi perseguire l’interesse pub-blico.L’housing sociale corrispondeall’esigenza di una funzionedecisiva per la società e perl’economia dei sistemi urbanimoderni, ha sostenutoLuciano Caffini, presidentedell’Associazione nazionalecooperative di abitanti(Ancab), proponendo di svi-luppare, in particolare, duetemi: il primo che attiene allacasa come infrastrutturanecessaria ad un equilibratosviluppo della società (forma-zione di nuove famiglie,mobilità lavorativa, integra-zione e inclusione sociale), ilsecondo che riguarda la casacome tema di solidarietà, nelsenso che tutti hanno dirittoad una abitazione dignitosa.Se tale questione entra nel-l’agenda politica, ha sensoformulare alcune linee guidadi auspicabili politiche pub-bliche che, sempre secondoCaffini, possono essere sinte-tizzate in un’articolazione dicriteri. Le politiche e le prati-che urbanistiche devono con-sentire di acquisire nei pianidi espansione o di riqualifi-cazione percentuali realisti-che di housing sociale, risul-tato di una composizionedegli interessi pubblico-pri-vato che preveda esplicita-mente il fabbisogno abitativo

di housing. Deve essere con-sentita l’attuazione di inter-venti con assegnazione deglialloggi a canone moderatomediante l’affidamento adoperatori accreditati (adesempio cooperative di abi-tanti e cooperative a proprie-tà indivisa) di aree a costoprossimo allo zero. Occorrericonoscere la validità di sog-getti quali le fondazioniautenticamente no profit dis-ponibili a realizzare abitazio-ni come servizi abitativi tem-poranei, nonché favorire esostenere iniziative di moder-na finanza immobiliare quali,per esempio,e il fondo hou-sing sociale etico dellaFondazione Cariplo inLombardia.Dopo l’identificazione dell’i-stanza sociale con l’architet-tura e l’urbanistica, che haraggiunto il suo apice nelcorso del movimento moder-no il sociale si è eclissatodall’agenda architettonica esi è rarefatta la visione pro-spettica di una urbanisticasociale, ha ricordato LucaImberti, segretario di InuLombardia, affrontando leproblematiche tipologiche.Oggi risulta nuovamentenecessaria una riflessionedisciplinare che sia in gradodi rispondere ai problemiemergenti, quali: aumentodel divario tra quota di red-dito disponibile e quotanecessaria per l’accesso allacasa; la nuova composizionesociale della domanda dicasa implica nuovi modelli dicomportamento e quindi evi-denzia l’inadeguatezza deimodelli prevalenti di merca-to; affermazione degli obiet-tivi di sostenibilità, qualitàedilizia e urbana, stima deicosti di gestione per l’interadurata degli edifici.Le carenze qualitative dell’of-ferta, caratterizzata da tipolo-gie abitative molto ripetitive,trovano le loro ragioni negli

dibattito sulla legge quadronazionale e sulla legislazioneregionale relativa al governodel territorio, maggiormenteattento alla problematica deidiritti edificatori.E’ quindi necessario tentaredi coniugare politiche legisla-tive tese ad una nuova disci-plina dei diritti edificatoriattenta alla funzione socialeche la Costituzione attribui-sce alla proprietà privata eduna disciplina legislativa tesaa garantire il perseguimentodell’obiettivo sociale deldiritto all’abitazione, ponen-do peraltro in relazione iproblemi di ordine finanzia-rio ed i problemi urbanisticiche attengono la problemati-ca in esame. Innanzitutto, si tratta diapplicare modelli perequati-vi-compensativi, in luogo deimodelli espropriativi, ancheal fine di contribuire all’ab-battimento dei costi dell’edi-lizia sociale, intendendo que-st’ultima come servizio pub-blico - “finalizzato a garanti-re per le fasce più deboli ildiritto all’abitazione” - inquanto edilizia destinata per-petuamente all’affitto a cano-ne sociale. L’accezione di ser-vizio pubblico riconosciutaall’edilizia sociale, consenti-rebbe di introdurre un princi-pio nella legislazione statale,relativa al governo del terri-

Elena Campo*

Compendio del Seminario“Il problema della casa oggi”promosso dalla Sezione InuLombardia il 5 ottobre 2006,Palazzo delle Stelline,Milano.Il tema della casa non è statooggetto di tutte le necessarieod opportune attenzioni siain sede legislativa sia in sedecultural-politica sia nellevarie sedi amministrative;esso è riconducibile alla disa-mina della questione delleabitazioni e all’affermazionedel diritto all’abitazione. Sela questione delle abitazionisi pone come ricognizionedei dati e dei fatti che ogget-tivano il composito problemain argomento nei termini diemergenza, il diritto all’abita-zione richiama la competen-za esclusiva dello Stato,affermata dall’art. 117 dellaCostituzione, relativa ai livelliessenziali delle prestazioniminime concernenti i diritticivili e sociali che devonoessere garantiti anche con ilnecessario impegno finanzia-rio su tutto il territorionazionale.Con queste premesseFortunato Pagano, presidentedi Inu Lombardia, ha apertoil seminario promosso dallaSezione lombarda rilevando,inoltre, che il diritto all’abita-zione non è stato sufficiente-mente trattato nemmeno nel

L’urgenza di riaprire eaggiornare la questionedell’abitazione

Inu

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Urbanistica INFORMAZIONI

squilibri del settore edilizio ederivano da almeno treaspetti. Si costruisce ciò chesi vende (il commercialedetermina tagli, tipi edilizi,dotazioni e orienta le sceltedi produzione, pilotando l’in-contro tra domanda e offertain termini riduttivi e moneta-ri. Il prezzo del bene casasegue i valoriimmobiliari/posizionali senzaconcorrenzialità se non terri-toriale. Le eventuali innova-zioni progettuali produconoeffetti sui margini imprendi-toriali e non sui prezzi.Il mercato non è sufficiente agarantire offerta, qualità edeconomicità della produzionee non ha visione prospetti-ca/strategica, afferma Imbertiche, inoltre, segnala come leproblematiche tipologichedevono essere correlate ad unampio quadro di interventi,non strettamente disciplinari,volto a far si che nuove spe-rimentazioni incidano nelciclo edilizio, con particolareriferimento alla rilevanzadella legge quadro nonché diprovvedimenti e programmiarticolati a livello nazionale.La necessità, non solo inItalia ma in tutta Europa, diun rilancio del patrimonio diedilizia residenziale pubblicaattraverso nuovi investimentie nuove politiche di interven-to, è stata condivisa ed affer-mata anche da Anna Delera,professore associato dePolitecnico di Milano, eMaria Finzi, revisore deiconti di Inu Lombardia, lequali, in particolare, hannoposto l’accento sull’importan-za del coinvolgimento direttodegli abitanti nei processi diriqualificazione e sul ruolodelle politiche europee per ilsettore.Lo sguardo rivolto all’Europaha posto in evidenza che sista modificando l’utenza diriferimento a cui viene rivol-to l’intervento pubblico,

coinvolgendo, oltre alle tra-dizionali famiglie a bassoreddito, anche gruppi piùdeboli quali gli immigrati, glianziani, i giovani. Si tratta dicategorie di persone chepotrebbero trovare una rispo-sta nel patrimonio a caratteretemporaneo, ma che necessi-tano anche di servizi sociali.E’ stato, inoltre, segnalato unseminario europeo sull’allog-gio sociale, svoltosi recente-mente a Bologna e organiz-zato dal Cecodhas –Associazione europea per laCasa Sociale – nel corso delquale è stato effettuato unbilancio sulle politiche dellacasa nei diversi stati. Infatti,hanno sostenuto Finzi eDelera, la realizzazione dialloggi sociali costituisce perl’Unione europea un serviziodi interesse economico gene-rale (Sieg) in quanto la casa èriconosciuta essere un dirittofondamentale, un bene diprima necessità, fattore chia-ve di coesione economica eterritoriale, nonché unaimportante componente disviluppo urbano anche inrelazione al tema della soste-nibilità, malgrado esistano, alivello comunitario, almenotre grandi e diverse concezio-ni di alloggio sociale.Nell’area nordeuropea la casaè un bene di pubblica utilità,fortemente sovvenzionatodallo Stato. Nei paesi dell’a-rea britannica le politicheabitative in funzione dellecategorie più svantaggiatesono state integrate da pro-grammi di accompagnamentosociale. Nell’Europa meridio-nale la costruzione di alloggisociali è avvenuta attraversola contribuzione diretta deilavoratori e del sistemaimprenditoriale mediantetrattenute sulla retribuzione,abolite in Italia nel 1998. Oggi le politiche, nel nostropaese, sono prevalentementeorientate all’elargizione di

aiuti economici diretti allapersona. A fronte di tale qua-dro estremamente compositodelle politiche rivolte all’al-loggio sociale in ambitoeuropeo, è stato recentementepromosso, all’interno delquinto Programma Quadrodell’Unione europea, il pro-getto di ricerca “Restate”. Sitratta di un progetto che hal’obiettivo di ristrutturare ilvasto patrimonio edilizio pre-sente in tutte le città europeedefinendo buone pratiched’intervento e fornendo indi-cazioni per costruire periferiee città sostenibili. Tale ricercaha sottolineato come moltiquartieri si siano trasformatida periferie urbane a periferiesociali e come le città dell’e-poca della globalizzazionecontinuino a produrre luoghidi relegazione sempre piùspinti ai margini della socie-tà. L’enfasi è posta sull’affer-mazione che oggi ogni inter-vento di riqualificazione edi-lizia deve essere consideratoanche come intervento socia-le di lotta alla povertà e diricostruzione della democra-zia e dei sensi di appartenen-za locale e di cittadinanza. E’questa la logica perseguitadagli strumenti straordinarifinalizzati alla riqualificazio-ne dei quartieri pubblicidenominati in Italia e inBelgio Contratti di quartiere eche in altri paesi europeihanno assunto la denomina-zione di Programma città esolidarietà in Germania;Solidarietà e rinnovo urbanoin Francia; programmi inte-grati molto simili ai nostri inPortogallo.Lo strumento dei Contrattidi quartiere individua treambiti di sperimentazione,che presuppongono altret-tante ricadute normative(qualità morfologica, qualitàecosistemica, qualità fruiti-va) con obiettivi di interven-ti: fisici sugli edifici e sulle

infrastrutture, azioni socialie culturali, coinvolgimentodegli abitanti.La prima tornata deiContratti di quartiere del1997 ha prodotto, sempresecondo Finzi e Delera, inalcune occasioni, sperimenta-zioni interessanti con proget-ti di grande qualità. Oltre aigià noti casi dei Comuni diTorino e di Cinisello, è statarichiamata l’esperienza attua-ta nel quartiere Savonarola aPadova, nella quale sonostati centrali gli interventi disostenibilità edilizia eambientale mediante l’appli-cazione dei principi dellabioarchitettura e del rispar-mio delle risorse.Con il primo bando del 1997,la gestione del concorso e ladistribuzione dei finanzia-menti ai Comuni erano con-dotti a livello centrale,garantendo in questo modouna distribuzione equa dellerisorse disponibili sul territo-rio nazionale, mentre, nelsecondo bando del 2005, leRegioni acquisiscono unruolo centrale nell’attuazionedei Contratti di Quartiere,infatti, predispongono lelinee guida, definiscono ipunteggi attraverso i qualisaranno valutati i progettipresentati dai Comuni e co-finanziano per il 35% gliinterventi. Proprio questoruolo fondamentale del rap-porto, pubblico – privato,purtroppo mostra un perico-loso rischio, cioè che ildecentramento regionale,insieme alla possibilità per iprivati di partecipare coninterventi e finanziamentipropri, potrebbe produrre dis-torsioni degli obiettivi prima-ri dello strumento e forti dif-ferenze tra Regioni ricche eRegioni povere, tra il nord eil sud del paese.

*Sezione Inu Lombardia.

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE URBANISTIPIANIFICATORI TERRITORIALI E AMBIENTALI

Membro effettivo del Consiglio Europeo degli Urbanistiwww.urbanisti.it

Agrigento). Nuova figuraprofessionale completamentediversa da quella dell’archi-tetto e dell’ingegnerecivile/edile mirata alla rea-lizzazione del manufattofisico.Questa situazione di parten-za nel mondo universitarioitaliano rimase sostanzial-mente inalterata fino allametà degli anni Novanta,quando venne attivato uncoevo Corso di laurea alPolitecnico di Milano (1995)e poi all’Università diPalermo (1999). Ma è solocon i cosiddetti “decretiZecchino” che l’offerta for-mativa germoglia in modosignificativo.In cinque anni, con ilnuovo regolamento univer-sitario, i corsi di laureasono proliferati e sonodiventati 36 (vedi tabella)tra triennali e quinquennali,sparsi in tutte le regioni. In8 atenei sono attivi sia icorsi di laurea triennale(Classe 7), sia i corsi di lau-rea specialistica (Classe54/S). In 12 atenei sonoattivi solo i corsi di laureatriennali, in 2 solo quelliquinquennali (a Venezia vene sono 4; due triennali edue quinquennali).La maggior parte dei corsisono stati attivati all’internodelle scuole di architettura(20) o legati a queste con lescuole dell’ingegneria (2),dell’ingegneria e della for-mazione (1), dell’economia(1), della giurisprudenza (1),delle scienze naturali (1). Glialtri seguono percorsi for-mativi partendo da altrescuole: agraria (3), agraria escienze naturali (1), econo-mia, ingegneria e scienzenaturali (1), scienze e tecno-logie applicate (1), giuri-sprudenza e scienze ambien-tali (1). A Venezia, unico

mento utile, ancorché neces-sario, per avviare un proces-so di ridefinizione delmodello di governance dellefacoltà con il coinvolgimen-to diretto degli attori esternialla realtà accademica.L’obiettivo deve essere quel-lo di immettere sul mercatolaureati “professionalizzati”facilmente inseribili nelmondo del lavoro. In altreparole bisogna interrogarsiassieme al “mondo dellaproduzione, dei servizi edelle professioni” su quantilaureati sono necessari e suquali curricula offrire aglistudenti in una fase storicain cui, con l’autonomia diateneo, l’università si stasempre di più regionalizzan-do (con tutti gli aspetti con-tradditori che ciò produce).

L’offerta

Per trent’anni i Corsi di lau-rea in urbanistica attivatinelle Università italianesono stati essenzialmentesolo due: quello “storico”fondato da GiovanniAstengo a Venezia nel 1970e quello aperto pochi annidopo a Reggio Calabria(artefice Enrico Costa).Entrambi attivati con decre-to ministeriale all’internodelle Facoltà di Architettura.La nascita del Corso di lau-rea in urbanistica (questa ladenominazione originaria) sirese necessaria per la crea-zione di una nuova figuraprofessionale capace di leg-gere e progettare i fenomeniterritoriali in un periodo incui si iniziava a discutere diprogrammazione (con iprimi governi di centro-sini-stra) e dopo gli eventi cata-strofici che avevano colpitoil Paese (l’alluvione diVenezia e Firenze, la trage-dia del Vajont, lo scaccodella valle dei templi di

c) i crediti assegnati a cia-scuna attività formativa, d) le caratteristiche dellaprova finale per il consegui-mento del titolo di studio.

Tali determinazioni devonoessere assunte dalle univer-sità “previa consultazionecon le organizzazioni rap-presentative a livello localedel mondo della produzione,dei servizi e delleprofessioni” (comma 4).La consultazione delle partisociali, con l’attivazione diun Comitato di indirizzo,rappresenta una importanteinnovazione procedurale per(ri)definire un processo diascolto e consultazione conla finalità di raccordare l’of-ferta formativa alla doman-da espressa dal territorio edalla società civile.Interrogarsi sulla domandadiventa indispensabile perattivare e produrre unaofferta tendenzialmente inlinea con le richieste delmondo economico e profes-sionale. E’ questo uno stru-

Il Decreto Ministerialen. 509 del 1999 ha avviatola nuova riforma universita-ria con l’approvazione delRegolamento recante normeconcernenti l’autonomiadidattica degli atenei a firmadell’allora Ministrodell’Università e dellaRicerca scientifica OrtensioZecchino. Il regolamentodetta “disposizioni concer-nenti i criteri generali perl’ordinamento degli studiuniversitari e determina latipologia dei titoli di studiorilasciati dalle università” eall’art. 11 fissa i criteri a cuisi devono attenere gli ateneinella stesura e approvazionedei propri “regolamenti (oordinamenti) didattici”.L’ordinamento didattico,approvato con DecretoRettoriale, deve determinare:a) le denominazioni e gliobiettivi formativi dei corsidi studio, indicando le rela-tive classi di appartenenza;b) il quadro generale delleattività formative da inserirenei curricula;

L’offerta formativa universitariain pianificazione territoriale eurbanisticaDaniele Rallo

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Tabella: Offerta formativa in pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale in Italia

Sede Titolo corso laurea triennale Titolo corso laurea specialistica

Percorsi formativi nelle scuole di architettura

Firenze/Empoli Urbanistica e pianificazione territoriale e ambientale Pianificazione e progettazione della città e del territorio

IUAV/Venezia • Scienze della pianificazione urbanistica e territoriale • Pianificazione della città e del territorio• Sistemi informativi territoriali • Pianificazione e politiche per l’ambiente

Milano Politecnico Urbanistica Pianificazione urbana e politiche territoriali

Napoli 1 Urbanistica e scienze della pianificazione territoriale Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientalee ambientale

Palermo Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale

Reggio Calabria Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale

Roma 1/Bracciano Progettazione e gestione dell’ambiente

Roma Urbanistica e sistemi informativi territoriali Pianificazione territoriale e ambientale

Sassari/Alghero Pianificazione territoriale, urbanistica ed ambientale

Torino Politecnico Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale Pianificazione territoriale urbanistica e ambientale

Percorsi formativi nelle scuole dell’architettura e dell’ingegneria

Genova Tecniche per la pianificazione urbanistica, territoriale e ambientale

Palermo Sistemi informativi territoriali

Percorsi formativi nelle scuole dell’architettura, dell’ingegneria e della formazione

Trieste/Gorizia Politica del territorio

Percorsi formativi nelle scuole dell’architettura e della giurisprudenza

Camerino Pianificazione del territorio e dell’ambiente

Percorsi formativi nelle scuole dell’architettura e dell’economia

Roma 1 Pianificazione e gestione del territorio e dell’ambiente Pianificazione e valutazione ambientale, territoriale e urbanistica

Percorsi formativi nelle scuole dell’architettura e delle scienze naturali

Chieti-Pescara Tecniche dell’ambiente e del territorio

Percorsi formativi nelle scuole dell’agraria

Padova/Legnaro Tutela e riassetto del territorio

Sassari Pianificazione e gestione dell’ambiente e del territorio rurale

Tuscia/Viterbo Pianificazione del territorio e dell’ambiente rurale

Percorsi formativi nelle scuole dell’agraria e delle scienze naturali

Catania Tecnologie e pianificazione per il territorio e l’ambiente

Percorsi formativi nelle scuole dell’economia, dell’ingegneria e delle scienze naturali

Calabria/Rende Scienze Geo-topo-cartografiche, territoriali, estimative ed edilizie

Percorsi formativi nelle scuole delle scienze e tecnologie applicate

Telematica Marconi Scienze Geo-topo-cartografiche, territoriali, estimative ed edilizie

Percorsi formativi nelle scuole di giurisprudenza e scienze ambientali

Urbino Tecnico del territorio

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con il superamento dell’esa-me di stato, permettono l’i-scrizione all’Albo rinnovatodegli Architetti,Pianificatori, Paesaggisti eConservatori, sezione B.Nella classe delle lauree spe-cialistiche (o Magistrali,secondo la più recente tito-lazione) le denominazionisono meno variegate:Pianificazione territoriale,urbanistica e ambientale èsempre presente con l’ag-giunta talvolta della locu-zione “valutazione” (Roma1), “gestione” e “ambienterurale” (Sassari eViterbo/Tuscia). A Firenze eVenezia è introdotto anche ilriferimento alla città:Pianificazione e progettazio-ne della città e del Territorionella prima, Pianificazionedella città e del territorionella seconda.Non ancora sono disponibilidati aggiornati sugli iscrittie sui laureati, anche se unastima grossolana può esserefatta. Facendo una media di50 iscritti al primo anno nederiva un dato complessivo(triennale e quinquennaleassieme) di 1.700studenti/anno che corrispon-dono ad una “produzione”di laureati/anno di 1.400circa (stima 15% di abban-dono). Di contro i laureaticon il previgente ordina-mento (trent’anni) possonoessere stimati attorno ai3.000. Una riflessione sullaquantità e sul recepimentodel mercato diventa a questopunto ineludibile.

caso, l’ateneo ha istituito laFacoltà.Pur rimanendo all’internodelle Classi fissate dal mini-stero, le denominazioniassunte dai vari corsi sonoleggermente diversificate,soprattutto nelle triennali,prospettando percorsi for-mativi differenziati. Ladenominazione più ricorren-te è quella ministeriale:Pianificazione territoriale,urbanistica e ambientale conle varie declinazioni diScienze della pianificazioneurbanistica e territoriale(Venezia), Urbanistica escienze della pianificazioneterritoriale e ambientale(Napoli 1), Urbanistica(Milano Politecnico),Pianificazione dell’ambientee del territorio (Camerino),Pianificazione e gestione delterritorio e dell’ambiente(Roma 1). Le altre privilegiano invecela locuzione delle “tecni-che”: Tecniche per la piani-ficazione urbanistica, terri-toriale e ambientale(Genova), Tecniche dell’am-biente e del territorio(Chieti-Pescara), Tecnologiee pianificazione per il terri-torio e l’ambiente (Catania),Tecnico del territorio(Urbino). Altre ancora risentono mag-giormente della base di par-tenza delle scuole diversedalla architettura: Scienzegeo-topo-cartografiche, ter-ritoriali, estimative ed edili-zie (Calabria/Rende eTelematica Marconi), Tutelae riassetto del territorio(Padova/agraria). Tre percorsi formativi sonolegati ai Sistemi informativiterritoriali (Venezia,Palermo, Roma).Tutte però dovrebbero asse-gnare il titolo di “pianifica-tore territoriale junior” che,

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Librie altropiù complesso e attento secompletato da indagini sle-gate dai modi tradizionalidi mappare e codificare iprocessi, dall’altro come ilgoverno del territorio sidebba concentrare su prati-che di concertazione,abbandonando la rigiditàdelle scelte “calate dall’al-to”. Il testo si articola, così,nella descrizione dellaCalabria attraverso questenuove categorie, che sisommano e/o si sovrappon-gono a quelle della ricercaITATEN degli ambienti inse-diativi locali, e che sembra-no meglio predisposte aduna lettura dei nuovi feno-meni che investono unaregione a tutti gli effetticontemporanea. La valle delCrati diventa quindi un ter-ritorio non più formato dacittà, ma da una multicittàdi 450.000 abitanti in unraggio di 70 Km compostada 40 comuni, l’asse infra-strutturale della Salerno-Reggio Calabria diventa un“corridoio tematico” ed iltutto risulta immerso nellearee naturali della Piana delSibari, del Pollino e dellaSila, dove spicca l’ormainoto progetto di Gregottidell’Università dellaCalabria come gate tra retiglobali e locali.A queste letture, che costi-tuiscono un arcipelago di“sequenze disomogenee”secondo l’immagine dellefractal-cities, fanno seguitoalcune proposte progettualilegate soprattutto all’indi-cazione degli strumentiurbanistici, rinnovati neicontenuti e passati in rasse-gna, per far fronte a questanuova condizione calabrese(i Programmi d’Area, i PianiStrategici Comunali coordi-nati, i Ptcp, il Quadro terri-toriale regionale), ma anchead una serie di dispositivi(vision e scenari) per la

costruzione di un futuroequilibrio territoriale. Ilvolume si conclude conalcuni esempi di mappingche tentano di restituire ilterritorio calabrese attraver-so le categorie descritte,anche se più efficace sem-bra essere la restituzionefotografica presente nell’ul-timo capitolo a cura diMario Cresci, ElisaScaramuzzino e AndreaPavesi.Il Mezzogiorno vede quindiun ennesimo sforzo diinterpretazione, aggiungen-do un altro tassello all’infi-nita discussione sul suofuturo e costituendosi anco-ra come laboratorio provo-legiato dell’urbanistica: unamoltiplicazione di immaginiche allontana sempre di piùlo schema dicotomico del“l’osso e la polpa”, versouna nuova condizione plu-rale del territorio.

Marco Patrono

Stephen Graham and SimonMarvin, SplinteringUrbanism, Routledge,London 2001, pp. 479

A più di cinque anni dallapubblicazione di SplinteringUrbanism può suscitareancora un certo interessepresentare al pubblico ita-liano l’importante lavorodei geografi StephenGraham e Simon Marvin,già autori del celebreTelecommunications and theCity (1996). Splintering Urbanism, infat-ti, non solo ha segnato for-temente il dibattito all’in-terno della geografia dellereti -disciplina d’apparte-nenza dei due ricercatoriinglesi- ma costituisce ilprimo e più completo spac-cato di quelle pratiche di“frantumazione” (splinte-

Pino Scaglione, Nuovi terri-tori. Verso l’innovazione inCalabria Meltemi editore,Roma, 2006, pp. 211, euro18.50

Ormai da parecchi anni, glistudi sulla realtà meridio-nale del nostro Paese pro-pongono punti di vistamolteplici alla ricerca diuna possibile comprensionedei fenomeni territoriali,sociali ed economici,offrendo di queste areevisioni “instabili”, chevanno al di là della sempli-cistica immagine “del ritar-do”. Alla visione statica diun Mezzogiorno fermo edimmobile nella sua arretra-tezza, si sono così sovrap-poste, soprattutto in tempirecenti, immagini di estre-ma dinamicità e pluralitàdei contesti, per lo più al difuori degli stereotipi dilunga durata che da sempresi accostano a questi terri-tori.Nuovi territori. Verso l’in-novazione in Calabria sem-bra dare un lucido contri-buto in questa direzione,mettendo in luce in partico-lare la vivacità nascosta diuna regione da sempre con-siderata “fanalino di coda”dello sviluppo e dellagestione del territorio.L’autore, infatti, da tempo

attento agli studi sul meri-dione, propone questo testocome integrazione e com-pletamento dell’ampia ricer-ca condotta su questaregione e pubblicata inCalabria, paesaggio-città;tra memoria e nuoviscenari, Rubettino 2003, maanche come il risultato dellavoro condotto in qualitàdi esperto per la formazionedelle Linee Guida dellalegge regionale 19/2002.

Sin dalla premessa risultanochiari i riferimenti che l’au-tore prende a modello, neltentativo di ridefinire i qua-dri interpretativi nella lettu-ra del territorio: il gruppospagnolo Actar Arquitecturacon la nota ricercaMetapolis, si legge chiara-mente nell’uso dei terminicome iperterritori, multicit-tà, geourbanità, nebuloseurbane o infrastruttureti,ma anche gli AtlantiEclettici dell’indagine diMultiplicity in USE appaio-no evidenti nella restituzio-ne della realtà pulviscolaresu cui sui reggono le rela-zioni tra i luoghi, propo-nendo un “Atlante dellaConoscenza della Calabria”.Un apparato concettualeche sembra evidenziarecome, da un lato, lo studiodel territorio possa essere

a cura di Ruben Baiocco

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ring significa proprio ridu-zione in frammenti) e“segregazione” del territoriourbanizzato che sono oggidivenute così frequente-mente oggetto di descrizio-ne da parte di ricercatoriafferenti a campi discipli-nari diversi. Il libro descrivegli effetti sulla geografiadella città, e implicitamentesulla società che la abita,dei processi di trasforma-zione di reti infrastrutturali(stradali, di telecomunica-zione, dell’acqua, elettricitàetc.) avvenuti negli ultimitrent’anni del ventesimosecolo, utilizzando unapproccio volutamente mul-tidisciplinare e prendendoin esame una miriade dicasi studio. Attraverso unavasta analisi storica, teoricaed empirica il lettore èaccompagnato in un lungoviaggio attraverso i distrettidegli affari di Tokyo e NewYork, i grandi centri di smi-stamento e logistica, i gran-di aeroporti, gli “shoppingmall” delle metropoli ame-ricane e asiatiche, le nume-rosissime “gate community”che fioriscono ad Istanbul,San Paolo del Brasile cosìcome a Manila e LosAngeles. In un chiaro edesplicito tentativo di supe-rare le tradizionali separa-zioni geografiche tra paesisviluppati e in via di svi-luppo, tra democrazie occi-dentali e regimi post comu-nisti, gli autori riconosconoun carattere “globale” aquei processi di smembra-mento (“unbundle” è il ter-mine che ricorre spessissi-mo nel libro) delle retiinfrastrutturali urbane cosìfortemente segnate dai pro-cessi di liberalizzazione,privatizzazione e deregola-mentazione, e alla conse-guente frammentazione deltessuto sociale e materialedella città. Contrariamente

all’idea haussmanniana epoi moderna di rete infra-strutturale come vero e pro-prio strumento per unaconoscenza olistica dellacittà e del progetto di retecome strumento di norma-lizzazione e regolarizzazio-ne del tessuto urbano, esorpassato quel paradigmache vedeva nella rete, forsetroppo semplicisticamente,la possibilità di connessioneglobale e di appartenenzaallo “spazio dei flussi”come valore in sé, i duericercatori inglesi ci raccon-tano di un mondo in cui laspecializzazione delle reti ela loro differenziazione inpiù livelli e i gradi di acces-sibilità, producono unacondizione urbana semprepiù discretizzata in partiimpermeabili tra loro. Se la drammaticità di talecondizione, può essere con-trastata da pratiche di resi-stenza “dal basso”, attraver-so manifestazioni di dissen-so, movimenti culturali,attività sociali o normecomportamentali, è altret-tanto rilevante chiedersiquale possa essere infine ilruolo del progetto dellacittà. Seguendo il percorsotracciato dai due autori,non si può non istituire unpassaggio tra l’idea “fisica”di parti discrete nel territo-rio urbanizzato e la nozionepolitica di centralità.Centralità come risultatodel processo di discretizza-zione del territorio dell’ur-banizzazione ma soprattuttocome luogo identificabile eportatore di un progetto“esplicito” di consapevolez-za civica e urbana. Infine,merita una segnalazione labibliografia posta alla finedel libro, ricca e aggiorna-tissima miniera di riferi-menti.

Martino Tattara

Arturo Lanzani, ElenaGranata, Christian Novak,Isabella Inti, DanieleCologna, Esperienze e pae-saggi dell’abitare. Itinerarinella regione urbana mila-nese, Abitare Segesta,Milano, 2006. ill. b/n, pp.298, euro 39,00Il volume raccoglie gli esitidi una ricerca sulle praticheabitative nella regioneurbana milanese e si ponecome ulteriore tassello diun’indagine che un gruppoarticolato di studiosi con-duce ormai da qualcheanno. Il territorio che cam-bia. Ambienti, paesaggi eimmagini della regionemilanese (Boeri, Lanzani,Marini, 1993), Cina aMilano (Farina, Cologna,Lanzani, Breveglieri, 1997),Africa a Milano (Cologna,Breveglieri, Granata, Novak,1999) e Asia a Milano(Cologna, 2003) sono alcu-ne delle ricerche promosse epubblicate in questi ultimianni dall’AIM (AssociazioneInteressi metropolitani),associazione non-profitnata nel 1987 per iniziativadi un gruppo di imprese,banche ed enti milanesi conl’obiettivo di sostenereMilano e la sua area metro-politana nello sviluppo eco-nomico, tecnologico, socialee culturale, attraverso lapromozione di ricerche,studi e pubblicazioni. Illibro esce più o meno con-temporaneamente alla ricer-ca per certi versi parallelacondotta da Stefano Boeri eMultiplicity.lab (Milano.Cronache dell’abitare,Bruno Mondadori, 2007)con cui condivide impor-tanti momenti di contatto edi scambio reciproco.L’abitare viene indagato,nella sua accezione piùampia, come rapporto conun territorio: non solo pra-tica intima di un sé e di

un’internalità, ma comepratica dell’altro e dellospazio collettivo, inserita inuna dimensione relazionaledel vivere quotidiano.Contesti e situazioni vengo-no svolti in dieci itinerariche costituiscono il disposi-tivo centrale della ricerca,nonché l’ordito dentro cuiviene raccontata una plura-lità di storie, case e perso-ne. Si tratta di dieci percor-si che volutamente nondistinguono la dimensioneanalitica da quella narrati-va, esito di una scelta espo-sitiva che cerca di tenere incontinua tensione la pro-fondità verticale delle storiepersonali e l’orizzontalitàestesa delle reti relazionali.L’abitare “in forma di rac-conto” viene articolato traelementi strutturali e spazidell’abitare, tra le persone ele loro case, tra le questionidi governo messe in campoe le idee e rappresentazionidi città cui gli svariati atto-ri fanno riferimento inmodo più o meno esplicito. Obiettivo della ricerca èosservare Milano attraversoquel “pulviscolo di praticheabitative” che attraversa lacittà e il suo territorio, eche frequentemente rimaneai margini delle ricerche, inparte a causa della evidentedifficoltà di rendere questacomplessità in cui scelte divita e sistemi di valori simescolano a strutture inse-diative in una continua re-invenzione del quotidiano.Se, infatti, da un lato lastruttura complessa del rac-conto e dei diagrammi col-locati alla fine di ogni iti-nerario sembra in grado direstituire un percorso diricerca non banale, altret-tanto forse non si può diredell’apparato cartografico edella serie di mappe un po’generiche poste in appendi-ce al volume e con cui il

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resto fa fatica a dialogare.A fronte di alcuni filoni diricerca consolidati, quali ilruolo del mercato immobi-liare e delle politiche abita-tive, questo studio portaavanti due ipotesi fonda-mentali: che le pratichecapillari e marginali dell’a-bitare costituiscono unodegli oggetti di riflessionepiù interessanti sul muta-mento in corso, “spie” perleggere il cambiamento; eche è in atto una profondascollatura tra pratiche abi-tative e rapporto con l’al-loggio e con il territorio, traflessibilità dei modelli fami-liari e rigidità delle struttu-re abitative. Di fronte allascomposizione del nessolineare casa-famiglia-lavoro- un nodo centrale dellanostra cultura - l’abitarenon può più essere intesocome un mestiere che vieneereditato, ma, esito di uncontinuo lavoro di ridefini-zione delle strategie, comeun mestiere che va appreso. Il libro attraversa la campa-gna della metropoli, icomuni intorno alla città, lenuove residenze urbane, itessuti periferici, i centristorici, la collina, in unasorta di navigazione (figurapiù volte richiamata neltesto) tra nomadismo eradicamento, libertà e soli-tudine. Nel film Ferro 3(Kim Ki-Duk, Leone d’ar-gento per la regia alla 61°Mostra del cinema diVenezia - 2004), il giovaneprotagonista si introduce, inassenza dei proprietari, incase non sue di cui si pren-de cura con estrema dedi-zione e serietà, in un’appar-tenenza temporanea chedura sì il tempo di qualchenotte, ma che comporta lacura delle cose e delle per-sone che si incontrano eche si amano. ErmannoOlmi, nella bella intervista

raccolta in questo volumesuggerisce che intraprende-re il “mestiere dell’abitare”è come intraprendere unviaggio: “..dobbiamo esserecome in treno. Se tu guardiall’interno della carrozzastai fermo, se guardi fuori timuovi”.

Cristina Renzoni

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Territori di una Italiastrategica

Le aree dimesse

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Urbanistica DOSSIER94Il documento degliobiettivi.Il nuovo pianostrutturale associatodell’alto ferrarese

a cura diFrancesco Alberti

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