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FURIO JESI RIGA n. 31 a cura di Marco Belpoliti e Enrico Manera Marcos y Marcos, pp. 351, 25 LO RICORDANO MAESTRI, AMICI, ALLIEVI A trent’anni dalla scomparsa, Riga rende omaggio a Furio Jesi, intellettuale multiforme.Nato a Torino nel 1941 (la sua breve, prodigiosa esistenza richiama alla memoria un’altra indigena, straordinaria testimonianza,quella di Piero Gobetti), andatosenetragicamente a Genova nel 1980, professore di Lingua e Letteratura tedesca,traduttore (da Rilke a Mann, da Bachofen a Canetti), collaboratore di giornali e riviste (da Comunità a Resistenza. Giustizia e libertà,a Tuttolibri ), allievo di Kerényi, ma in «dialogo» anche con Dumézil, Scholem, Lévi-Strauss, individuerà nel mito e nella mitologianel mondo antico il fil rouge dei suoi interessi. Il testo che pubblichiamoin anteprima, «Sui miti contemporanei» (titolo redazionale),rinvenuto nell’archivio privato,e fra i numerosi inediti accolti in volume, per gentile concessione della signora Marta Rossi Jesi. Con ogni probabilità è la matrice della voce «Mito», scritta per l’Enciclopedia Europea Garzanti intorno al 1976. Il volume di Riga, nata come rivista ed ora collana monografica di marcos y marcos, raccoglie testimonianze e interventi di Dumézil, Hartung, Cesare Cases, Giorgio Cusatelli, Gianni Vattimo, Giorgio Agamben,FerruccioMasini, Marco Belpoliti, Antonio Gnoli, Angelo d’Orsi, Enrico Manera, Riccardo Ferrari, David Bidussa, Margherita Cottone, Michele Cometa, Mario Pezzella, Leandro Piantini, Andrea Cavalletti. Di Furio Jesi, per i tipi di Aragno, è di recente uscito il libro La ceramica egizia e altri scritti sull’Egitto e la Grecia (1956-1973) , a cura di Giulio Schiavoni (pp. 639, 30). Dai totem ai robot, la vita è un mito Furio Jesi Uno dei nostri più originali ed eruditi intellettuali, prematuramente scomparso trent’anni fa: un ritratto a più voci e una raccolta di inediti, fra antropologia, filosofia e religioni FURIO JESI Il mito è una «storia ve- ra», accaduta al tempo delle ori- gini, che spiega come siano nate tutte le cose dell'universo e co- me abbiano fatto gli uomini, per la prima volta, a mangiare, a ri- prodursi, a fabbricare oggetti, a combattere ecc. Il mito fornisce così all'uomo «primitivo» o «an- tico» dei modelli di comporta- mento sempre validi. Tutto è già accaduto almeno una volta: per comportarsi conveniente- mente in ciascuna circostanza, occorre sapere come agì l'ante- nato mitico nella stessa circo- stanza, e imitarlo. Per questo, il comportamento delle società «primitive» è di solito rigorosa- mente conservatore: ogni muta- mento, ogni deroga alla tradizio- ne, è un assurdo o un grave ri- schio. Le novità oggettive (per esempio, l'arrivo del cargo) so- no ricondotte e bloccate negli schemi tradizionali del mito (il cargo, appunto, diviene una mi- tica nave della prosperità, come quella del progenitore, ecc.). Nel linguaggio moderno la parola «mito» significa al solito «storia non vera» o almeno «non del tutto vera». L'uomo possiede altri strumenti (scien- za) e altre forme organizzative, con cui affrontare i rischi di ciò che non conosce e con cui for- marsi di volta in volta un model- lo di comportamento. Tuttavia, dalla psiche degli uomini continuano ad affiorare spontaneamente dei miti; e altri miti vengono prodotti delibera- tamente, per servire a determi- nati scopi. Molto spesso i nuovi miti (o meglio le sopravvivenze moderne degli antichi miti) rap- presentano una fuga dalle restri- zioni e dai dolori della realtà sto- rica. Non potendo essere un «eroe», l'uomo si crea eroi esem- plari nelle persone che godono di particolare ricchezza, succes- so, notorietà, ecc. Non potendo possedere effettivi «tesori», l'uo- mo si crea tesori supremi in be- ni di consumo di cui gli viene suggerita l'importanza e il pre- stigio artificioso. Non potendo vivere in una comunità effettiva- mente solidale, l'uomo si crea comunità mitiche (dalle «socie- tà segrete» dei bambini a quelle degli adulti, dai gruppi di tifosi sportivi alle «comuni» hippies, ecc.). La produzione di questi miti è condizionata da una serie di elementi psicologici, sociali, economici, ecc., ed è comprensi- bile solo se si confrontano in pro- fondità i nuovi miti con gli anti- chi miti: se, dietro al mito appa- rentemente nuovo, si riesce a scoprire l'antico mito, pur alte- rato e stravolto. Il quadro dei principali miti di un'epoca permette di traccia- re una cartella clinica della so- cietà (i miti sono generalmente, nel mondo moderno, valori so- stitutivi: compensazioni di valo- ri assenti o non percepiti). Al tempo stesso, quel quadro per- mette anche di avanzare qual- che ipotesi sulla società succes- siva. I miti possono rivelare, in- fatti, le necessità ancora nasco- ste e le potenzialità latenti di un gruppo umano, e in tal modo co- stituire un primissimo sintomo rivelatore della direzione che prenderanno le trasformazioni del gruppo. Appunto per questo è accaduto talvolta che le imma- gini mitiche di un'epoca siano di- venute clamorosamente le «ve- rità» scientifiche, tecniche, so- ciali, dell'epoca successiva. I miti, infine, possono essere usati (e sono usati!) per esercita- re una vera e propria ipnosi su interi gruppi sociali, per impor- re determinate scelte (politiche, consumistiche, religiose, ecc.). Anche in questi casi, l'analisi del mito è particolarmente rivelatri- ce, poiché consente di superare la facciata del mito «tecnicizza- to» o di riconoscere le modalità e gli scopi del suo uso. Schema di sommario 1. Una prima definizione del concetto di mito. L'uomo «pri- mitivo» o «antico» che si chiude nel mito come in una campana di palombaro, prima di immer- gersi nella realtà. Il totem (cioè il palo totemico) degli indiani d'America: un racconto mitico, scolpito e posto in mezzo al vil- laggio, che spiega come sono na- ti e come sono fatti l'universo e gli uomini. La mitologia come «manuale» che prevede tutte le circostanze importanti dell'esi- stenza e spiega come ci si debba comportare in esse. 2. Nascita di un mito nuovo presso una popolazione «primi- tiva»: il mito del cargo. Come la mitologia si adegua alle circo- stanze. La mitologia è presente anche nella società moderna. Perché? Come? 3. Necessità di ampliamento dello spazio. I) Viaggi nel «gran- dissimo» (le peregrinazioni di S. Brandano e i grandi viaggi d'esplorazione - l'impresa degli Argonauti - l'astronautica). II) Viaggi nell'«infinitamente picco- lo» e nel «primordiale» («prece- denti» mitici della fisica atomi- E la copertina di Piperno, le recensioni, le classifiche Lunedì tuttoLIBRI iPad Edition A cura di: LUCIANO GENTA con BRUNO QUARANTA [email protected] www.lastampa.it/tuttolibri/ La lingua materia del contendere, porta stretta da cui si additano i mali dell'epoca attuale. Specchio bisunto dei tempi, l'idioma del nostro Paese è oggetto polemico di molti libri recenti. Invoca una manutenzione del vocabolario Carofiglio («La manomissione delle parole»). Denuncia il nesso fra stereotipi e pensiero unico Zagrebelsky («Sulla lingua del tempo presente»). Elenca tormentoni della parlata italiana Bartezzaghi («Non se ne può più»). Trifone, unico glottologo del gruppo, enumera stereotipi linguistici per discutere la sempreverde questione della disomogeneità d'Italia («Storia linguistica dell'Italia disunita»). Così, tocca a giuristi, scrittori ed enigmisti indicare i nessi fra parole e pensiero, lessici e società. Tacciono i linguisti, chiusi in un sapere specialistico che non sa farsi strumento di critica del presente. Non volendo o non sapendo riprendere il gesto sovvertitore di studiosi come Saussure, Jakobson o Barthes, che usavano proprio la linguistica per smascherare poteri e ideologie. Le parole, insegnavano, sono punte di iceberg: sotto di loro ci sono grammatica e sintassi, complessi sistemi di regole che, fondandole, commerciano segretamente col potere. Ma chi scava oggi la montagna di ghiaccio? tutto LIBRI Continua a pag. VI Furio Jesi, con i familiari (la consorte Marta Rossi e i figli Sophie e Stefano), in una foto del 1963 TUTTOLIBRI LA STAMPA LA VIDEOINTERVISTA Eco ci racconta i falsari di ieri e di oggi LA MEMORIA García Márquez: quell’autunno del Patriarca NUMERO 1742 ANNO XXXIV SABATO 27 NOVEMBRE 2010 GIANFRANCO MARRONE I LINGUISTI FANNO PAROLA MUTA Studiò i miti, antichi e contemporanei, come una cartella clinica della società: bisogni, valori, manipolazioni p Allievo di Kerény, enfant prodige con molteplici interessi, dall’egittologia alla critica letteraria SUL COMODINO Saviano: i tre titoli che porto via con me I

Tuttolibri n. 1742 (27-11-2010)

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Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - I - 27/11/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/01 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 26/11/10 21.42

FURIO JESIRIGA n. 31a cura di Marco Belpolitie Enrico ManeraMarcos y Marcos, pp. 351, €25

LO RICORDANO MAESTRI, AMICI, ALLIEVIAtrent’annidallascomparsa,RigarendeomaggioaFurioJesi, intellettualemultiforme.NatoaTorinonel1941(lasuabreve,prodigiosaesistenzarichiamaallamemoriaun’altraindigena,straordinariatestimonianza,quelladiPieroGobetti),andatosenetragicamenteaGenovanel1980,professorediLinguaeLetteraturatedesca,traduttore(daRilkeaMann,daBachofenaCanetti),collaboratoredigiornalieriviste(daComunitàaResistenza.Giustiziae libertà,aTuttolibri),allievodiKerényi,main«dialogo»ancheconDumézil,Scholem,Lévi-Strauss, individuerànelmitoenellamitologianelmondoanticoil fil rougedeisuoi interessi. Il testochepubblichiamoinanteprima,«Suimiticontemporanei»(titoloredazionale),rinvenutonell’archivioprivato,efra inumerosi ineditiaccolti involume,pergentileconcessionedellasignoraMartaRossiJesi.Conogniprobabilitàè lamatricedellavoce«Mito»,scrittaper l’EnciclopediaEuropeaGarzantiintornoal1976. IlvolumediRiga,natacomerivistaedoracollanamonograficadimarcosymarcos,raccoglietestimonianzeeinterventidiDumézil,Hartung,CesareCases,GiorgioCusatelli,GianniVattimo,GiorgioAgamben,FerruccioMasini,MarcoBelpoliti,AntonioGnoli,Angelod’Orsi,EnricoManera,RiccardoFerrari,DavidBidussa,MargheritaCottone,MicheleCometa,MarioPezzella,LeandroPiantini,AndreaCavalletti.DiFurioJesi,per itipidiAragno,èdirecenteuscitoil libroLaceramicaegiziaealtriscrittisull’EgittoelaGrecia(1956-1973), acuradiGiulioSchiavoni(pp.639,€30).

Dai totemai robot, la vitaè un mito

Furio Jesi Uno dei nostri più originali ed eruditi intellettuali,prematuramente scomparso trent’anni fa: un ritratto a più vocie una raccolta di inediti, fra antropologia, filosofia e religioni

FURIOJESI

Il mito è una «storia ve-ra», accaduta al tempo delle ori-gini, che spiega come siano natetutte le cose dell'universo e co-me abbiano fatto gli uomini, perla prima volta, a mangiare, a ri-prodursi, a fabbricare oggetti, acombattere ecc. Il mito forniscecosì all'uomo «primitivo» o «an-tico» dei modelli di comporta-mento sempre validi. Tutto ègià accaduto almeno una volta:per comportarsi conveniente-mente in ciascuna circostanza,occorre sapere come agì l'ante-nato mitico nella stessa circo-stanza, e imitarlo. Per questo, ilcomportamento delle società«primitive» è di solito rigorosa-mente conservatore: ogni muta-mento, ogni deroga alla tradizio-ne, è un assurdo o un grave ri-schio. Le novità oggettive (peresempio, l'arrivo del cargo) so-no ricondotte e bloccate neglischemi tradizionali del mito (ilcargo, appunto, diviene una mi-tica nave della prosperità, comequella del progenitore, ecc.).

Nel linguaggio moderno laparola «mito» significa al solito«storia non vera» o almeno«non del tutto vera». L'uomopossiede altri strumenti (scien-za) e altre forme organizzative,con cui affrontare i rischi di ciòche non conosce e con cui for-marsi di volta in volta un model-lo di comportamento.

Tuttavia, dalla psiche degliuomini continuano ad affiorarespontaneamente dei miti; e altrimiti vengono prodotti delibera-tamente, per servire a determi-nati scopi. Molto spesso i nuovimiti (o meglio le sopravvivenzemoderne degli antichi miti) rap-presentano una fuga dalle restri-zioni e dai dolori della realtà sto-rica. Non potendo essere un«eroe», l'uomo si crea eroi esem-plari nelle persone che godonodi particolare ricchezza, succes-so, notorietà, ecc. Non potendopossedere effettivi «tesori», l'uo-mo si crea tesori supremi in be-ni di consumo di cui gli vienesuggerita l'importanza e il pre-stigio artificioso. Non potendovivere in una comunità effettiva-mente solidale, l'uomo si creacomunità mitiche (dalle «socie-tà segrete» dei bambini a quelledegli adulti, dai gruppi di tifosisportivi alle «comuni» hippies,ecc.). La produzione di questimiti è condizionata da una seriedi elementi psicologici, sociali,economici, ecc., ed è comprensi-bile solo se si confrontano in pro-fondità i nuovi miti con gli anti-chi miti: se, dietro al mito appa-

rentemente nuovo, si riesce ascoprire l'antico mito, pur alte-rato e stravolto.

Il quadro dei principali mitidi un'epoca permette di traccia-re una cartella clinica della so-cietà (i miti sono generalmente,nel mondo moderno, valori so-stitutivi: compensazioni di valo-ri assenti o non percepiti). Altempo stesso, quel quadro per-mette anche di avanzare qual-che ipotesi sulla società succes-siva. I miti possono rivelare, in-fatti, le necessità ancora nasco-ste e le potenzialità latenti di ungruppo umano, e in tal modo co-stituire un primissimo sintomorivelatore della direzione cheprenderanno le trasformazionidel gruppo. Appunto per questoè accaduto talvolta che le imma-gini mitiche di un'epoca siano di-venute clamorosamente le «ve-rità» scientifiche, tecniche, so-ciali, dell'epoca successiva.

I miti, infine, possono essereusati (e sono usati!) per esercita-re una vera e propria ipnosi suinteri gruppi sociali, per impor-re determinate scelte (politiche,

consumistiche, religiose, ecc.).Anche in questi casi, l'analisi delmito è particolarmente rivelatri-ce, poiché consente di superarela facciata del mito «tecnicizza-to» o di riconoscere le modalitàe gli scopi del suo uso.

Schema di sommario1. Una prima definizione del

concetto di mito. L'uomo «pri-mitivo» o «antico» che si chiudenel mito come in una campanadi palombaro, prima di immer-gersi nella realtà. Il totem (cioèil palo totemico) degli indianid'America: un racconto mitico,scolpito e posto in mezzo al vil-laggio, che spiega come sono na-ti e come sono fatti l'universo egli uomini. La mitologia come«manuale» che prevede tutte lecircostanze importanti dell'esi-stenza e spiega come ci si debbacomportare in esse.

2. Nascita di un mito nuovopresso una popolazione «primi-tiva»: il mito del cargo. Come lamitologia si adegua alle circo-stanze. La mitologia è presenteanche nella società moderna.Perché? Come?

3. Necessità di ampliamentodello spazio. I) Viaggi nel «gran-dissimo» (le peregrinazioni di S.Brandano e i grandi viaggid'esplorazione - l'impresa degliArgonauti - l'astronautica). II)Viaggi nell'«infinitamente picco-lo» e nel «primordiale» («prece-denti» mitici della fisica atomi-

E la copertina di Piperno, le recensioni, le classifiche

LunedìtuttoLIBRIiPad Edition

A cura di:LUCIANO GENTAcon BRUNO QUARANTA

[email protected]/tuttolibri/

La lingua materia delcontendere, porta

stretta da cui siadditano i mali

dell'epoca attuale.Specchio bisunto dei

tempi, l'idioma delnostro Paese è oggettopolemico di molti libri

recenti. Invoca unamanutenzione del

vocabolario Carofiglio(«La manomissione

delle parole»).Denuncia il nesso frastereotipi e pensiero

unico Zagrebelsky(«Sulla lingua del tempo

presente»). Elencatormentoni della

parlata italianaBartezzaghi («Non se ne

può più»). Trifone,unico glottologo del

gruppo, enumerastereotipi linguistici per

discutere lasempreverde questione

della disomogeneitàd'Italia («Storia

linguistica dell'Italiadisunita»). Così, tocca a

giuristi, scrittori edenigmisti indicare i

nessi fra parole epensiero, lessici e

società. Tacciono ilinguisti, chiusi in un

sapere specialistico chenon sa farsi strumentodi critica del presente.

Non volendo o nonsapendo riprendere il

gesto sovvertitore distudiosi come Saussure,Jakobson o Barthes, che

usavano proprio lalinguistica per

smascherare poteri eideologie. Le parole,

insegnavano, sonopunte di iceberg: sotto

di loro ci sonogrammatica e sintassi,

complessi sistemi diregole che, fondandole,

commercianosegretamente col

potere. Ma chi scavaoggi la montagna di

ghiaccio?

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Continua a pag. VI

Furio Jesi, con i familiari (la consorte Marta Rossi e i figliSophie e Stefano), in una foto del 1963

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LASTAMPA

LA VIDEOINTERVISTA

Eco ci raccontai falsaridi ieri e di oggi

LA MEMORIA

García Márquez:quell’autunnodel Patriarca

NUMERO 1742ANNO XXXIVSABATO 27 NOVEMBRE 2010

GIANFRANCO MARRONE

I LINGUISTIFANNO

PAROLAMUTA

Studiò i miti, antichie contemporanei, comeuna cartella clinicadella società: bisogni,valori, manipolazioni

p

Allievo di Kerény,enfant prodigecon molteplici interessi,dall’egittologiaalla critica letteraria

SUL COMODINO

Saviano: i tretitoli cheporto via con me

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LORENZOMONDO

Italia come Félicité ecome Maria. Con tutte le va-rianti imposte dal contesto ge-ografico e temporale, dalla par-ticolare sensibilità, la protago-nista che dà titolo al romanzodi Marco Lodoli è una sorelladelle eroine di Flaubert e diLalla Romano. E’ un «cuoresemplice», un’espressione chenon vuole significare povertàintellettiva, ma l’adesione dirit-ta a sentimenti essenziali cheesigono una assoluta fedeltà.Italia, cresciuta in un istitutoper orfani, alla maggiore etàviene assegnata come domesti-ca a una famiglia borghese diRoma.

La famiglia Marziali è com-posta da un ingegnere che sisente frustrato nel suo lavoro,da una moglie perennementeansiosa, dai suoi tre figli. Assu-mendosi la funzione di angelotutelare, la ragazza vorrebbeestendere alle persone la suaapplicazione a tenere semprein ordine e pulita la casa.

Ma quello umano è un ma-teriale riottoso e sfuggente, se-gue imprevedibili percorsi, aItalia è concesso appena qual-

che momento di confidente ab-bandono, la richiesta di lenirele ferite dell’esistenza.

Il capofamiglia porta il co-cente rimorso d’essersi mac-chiato di sangue, al tempo incui militava nell’esercito di Sa-lò. E avverte come una punizio-ne il fatto che adesso il figlioTancredi costeggi le frangedel terrorismo nero. Marian-na, intrisa di bovarismo, sispreca in molteplici, rovinosiamori. Giovanni sembra il piùriuscito: intraprende la carrie-ra dello scrittore, ma ne speri-menta la vanità e finisce per ri-tirarsi in un consolante, ataras-sico rifugio agreste. La madresi rinserra in una solitudinesempre più svampita. MentreItalia sta sempre lì, a eseguireil compito che le è assegnato,di compatire, di soccorrerecon le parole e con lo sguardo.

Le capita di trovarsi da-vanti al cadavere di un giudi-ce assassinato (siamo neglianni di piombo) e così riflette:«Bisognerebbe occuparsi ditanta gente, di tutti quelli checi passano accanto, difenderlidal male, da se stessi, bisogne-rebbe avere un’anima grandecome questa città, ma la miaha la misura di casa Marziali

e non posso fare di più».Un atteggiamento apparen-

temente riduttivo, che denota in-vece la consapevolezza che, al dilà di ogni pur generosa astrazio-ne, conta lo spendersi fino in fon-do nella concretezza di una si-tuazione, nel proprio angolo dimondo. E’ così ferma, nella suadevozione, da rinunciare allo spi-raglio di un possibile legame sen-timentale, al desiderio di farsiuna sua famiglia. La figura di Ita-lia resta incisa nell’atto in cui, vi-gile fino a tarda ora sui suoi pro-tetti avvolti dal sonno, decide diassopirsi, «come una candelache non deve più illuminareniente e nessuno».

Questo romanzo breve (unaforma congeniale a Marco Lodo-

li) è condotto con grande finez-za. Il vivido dettaglio e le intensepause meditative si stemperanoin un sentimento acuto del tem-po che passa e accomuna gli uo-mini - dolorosamente e solidal-mente - in un analogo destino, in«una stessa vita raccontata inmille modi diversi».

Alla fine del racconto, dopola dissoluzione della famigliaMarziali, Italia torna all’Istitutoche aveva lasciato da tanti anni.Dove le dicono che dovrà riparti-re l’indomani, perché è attesa daun’altra famiglia. Alla decisionedi questo Istituto che giudica emanda, Italia non pensa di ribel-larsi. Così come ha accettato asuo tempo l’educazione severa,al limite di un punitivo asceti-smo, che le hanno impartito. Av-verti allora che non è stata pre-parata a una vita di serva, a unadecente sistemazione, ma a qual-cosa di più impegnativo e perfi-no sacrale. L’Istituto (designatosoltanto con la maiuscola, senzaulteriori attributi) appare unamisteriosa entità, che si potreb-be definire kafkiana, alla qualeItalia ha deciso di conformarsi.E’ un velo di ambiguità, più sug-gerita che risolta, che tende aproiettarsi sulla protagonista,conferendo un diverso spessorealla sua «semplicità», così con-creta e fattiva.

GIOVANNITESIO

Con il romanzonel grande show della demo-crazia appena pubblicatodalla nuova casa editriceLaurana, il quarantenneMarco Bosonetto non ab-bandona la sua cifra di sem-pre (minuscolo compreso),la sua fucina di personaggigrotteschi e di farseschi car-nevali.

E dunque di fatto nulla dinuovo quanto alla poetica,alla postmoderna fiera de-gli incroci, al melting pot digeneri e finzioni. La sua mi-sura è lo spiazzamento con-tinuo, il suo un narrare delcontrario e per contrari.

Un po' come se si dicesseche la verità va cercata al dilà di ogni nobile premessa edi ogni schieramento pro-tettivo. Una «morale» sco-moda, che è qui sottolineatadall'esergo di Vonnegut: senoi siamo quello che faccia-mo finta di essere, dobbia-mo stare molto attenti aquel che facciamo finta diessere. Avviso che il titolonon sembrerebbe smentire.

Ma a risultare ambigua -nel corso del romanzo - è ladirezione del senso: la de-

mocrazia interpretata toutcourt come show? Con il ri-schio che tutto si fermi al di-vertissement (scritto per al-tro assai bene, con vivacitàdi figure e varietà di regi-stri)? O una democrazia tra-sformata in show per colpe-vole deriva? Con tanto di av-vertimento che scavalchi ladenuncia implicita e un po'autoreferenziale?

La trama aiuta e non aiu-ta, anche perché tutto è affi-dato all'ironia continua, co-me mostra - a non dir d'al-tro - il manifesto che ad uncerto punto incombe da unapalazzina: «Non spegnerela democrazia, abbonati alcampionato di telefoto, ex-tra, backstage, intervistepersonalizzate al candida-to. Primarie. La repubblicaè il tuo spettacolo».

In due giornate di fattiche s'intrecciano ad alta ve-locità, la narrazione danzapiuttosto in un vorticoso cir-co di identità deviate: servi-zi inquinati, situazioni as-surde, inseguimenti folli,personaggi strani, di cui èimpossibile dar conto detta-

gliato.In un futuribile presente

di tunnel autostradali lunghi329 chilometri e di eliscooterche volano come api, Boso-netto convoca - insieme conRoma - le tre città (Torino,Cuneo, Piacenza) che piùstanno nelle sue corde, tiran-do capitolo dopo capitolo i fili(e anche le fila) di una benstridula invenzione.

Un fratello e una sorella inviaggio. Un ministro unico incarica che dà l'ordine di sop-primere il suo predecessoredi cui è il sosia perfetto. Un ri-

cattabile agente segreto e ilsuo irriducibile ex direttore.Un ex bodyguard gay che sidivide tra l'ex ministro unicoinseguito e un calciatore del-la Juventus e della Naziona-le. Un satanista benefico (giàpresente nel romanzo prece-dente, Requiem per un'adole-scenza prolungata), che sa amemoria Il maestro e Marghe-rita, e la sua compagna exfruttivendola. Con tanto digrande parodia finale che ri-mescola doppi e identità co-me nel gioco delle tre carte.

Maestro di un comico chenon ride, con nel grande showdella democrazia Bosonetto ciconsegna l'antropologica pa-tata bollente del consensoumano e nell'umore malinco-nico delle sue creature fa sal-tare ogni ossequio di realtà.Lasciandoci però con un dub-bio: se per raccontare la de-vianza della democrazia co-me grande spettacolo bastifare il verso al nuovo populi-smo - narrativamente ambi-guo, come del resto già eraaccaduto nel romanzo NonnoRosenstein nega tutto - del suoesito così esiziale.

SERGIOPENT

Perec, Queneau, Bor-ges, Calvino: i nomi che salta-no in mente - scorrendo il li-bro di de Majo con il lecito so-spetto di ogni esordio - sonoquelli. I grandi «deviati» dellaletteratura, i re dell'azzardo,quelli che sapevano avvincertie coinvolgerti con artifici esperimentazioni, senza spargi-menti di sangue, senza lacri-me di carta riciclata.

Diciamolo subito: la diffi-denza è d'obbligo, l'autore vaatteso e seguito, ma questo Vi-ta e morte eccetera di Cristianode Majo ha tutte le carte in re-gola per essere consideratoun esordio di lusso. Di quellisu cui - per fortuna - scommet-te ancora in minime dosi la no-stra editoria sempre più a cac-cia del «caso». E' un romanzointelligente ma anche scaltro,ricco ma tutto sommato sem-plice, una sfida che ricorda,appunto, i quattro Maestri ci-tati in apertura. Niente di stra-

no, volendo, nella traccia che ve-de il protagonista - il giovaneaspirante filologo MassimilianoScotti Scalfato - ripercorrere lavita del suo grande amico D.D.,a sua volta aspirante scrittoremorto di cancro a trentadue an-ni. Un omaggio e, insieme, an-che un disvelamento. Ma la pos-sibile linearità memoriale diquesto presunto «caso umano»si trasforma - nella labirintica ri-

costruzione a incastro di deMajo - in un trattato sull'arte divivere e di vendersi, sull'amici-zia e sugli inganni, sugli artificie i compromessi di cui, purtrop-po, abbonda la vita dei perdenti.

D.D. è morto lasciando di séun'unica traccia emblematica:«Io non sono morto, siete voi aessere morti», le ambigue ulti-me parole sul letto dell'addio, ri-volte all'amico Massimiliano, ai

genitori, alla sua donna Sveva.E l'amico cerca il ricordo, lo de-codifica e lo modella seguendole tracce di un grande romanzosulla borghesia napoletana,«Continente fantasma», del qua-le non c'è memoria se non nelleparole esaltate del defunto. So-no allora i diari, le lettere, i mo-nologhi incisi su nastro, le re-censioni impubblicabili di librisul cancro, a mettere insieme -

in qualche modo - la figura diquel sublime impostore che for-se fu D.D., povero creatore di il-lusioni autoreferenziali.

La traccia è tutt'altro che li-neare, poiché nel suo percorsoil biografo si lascia man manofagocitare da quel gioco di sug-gestioni create - in fondo - sulnulla. D.D. non è mai stato ilgrande scrittore che già affer-mava di essere. E' stato il figlio

esaltato di un'epoca di transizio-ne, il modello vuoto da imitareper cercare le proprie minimeconcretezze, il principe di un in-ganno collettivo che tuttavia -per assurdo - si fa davvero ro-manzo, nel tracciato ambivalen-te con cui il filologo ripercorrela storia, la assembla, la model-la, ne ricava un confronto postu-mo. E in questo confronto c'èspazio per tutto, per il ricordodi un'amicizia come per presun-ti racconti riveduti e corretti aifini di una memoria fedele.

Quando infine la memoria fa-gocita le intenzioni, il gioco è fat-to e il romanzo esiste per davve-ro. Ed è questo, insidioso ma sa-gace, quotidiano ma universalenel suo percorso che scherzacon la linearità narrativa ma siricompone, a tutti gli effetti, inuna costruzione precisa e com-patta, densa di colpi di scenastrutturali e soprattutto - e quide Majo vince davvero la suaprima scommessa - accattivan-te e anche umanamente strug-gente.

RENATOBARILLI

Giampaolo Rugarli sidistingue dalla pletora dei gial-listi dei nostri giorni in quanto,a differenza della maggior par-te di loro, prende solo un pas-saggio attraverso le astuziedel genere, ma le subordina adeffetti ben più sottili e sugge-stivi, rasentando i grandi terri-tori della metafisica e dell'alle-goria, appannaggio di pesimassimi come Kafka e Camus,magari nelle versioni più corsi-ve del troppo dimenticato Di-no Buzzati, o di un abile pro-dotto dell'ultima ondata comeVitaliano Trevisan.

Queste Galassie lontane con-fermano quanto l'autore ci ave-va già dato per esempio nellasua precedente impresa, Il buiodi notte. E' di scena un perso-naggio che si presenta in termi-ni di mediocrità perfino maso-chistica, come vittima di illusio-ni perdute, lui che sognava unagrande carriera bancaria ma èstato dirottato nel ramo morto

di un grande istituto, in un Nordbrumoso e livido, a gestire il set-tore delle assicurazioni, dove tut-to sembra procedere bene, vale adire in modo sonnacchioso, sottola direzione di un pavido come luiche i dipendenti chiamano Tre-macoda. Ma un brutto giorno gligiunge una lettera anonima conuna sinistra firma, Goebbels, aevocare spettri nazisti. E' comeuna voce dell'inconscio che gli di-

ce quanto l'io di superficie ha ten-tato di nascondere a se stesso:nella sua azienda si commettonocrimini, ovvero i controllori si ac-cordano con i sinistrati conce-dendo generose liquidazioni, lu-crando in cambio di generose bu-starelle.

L'inconscio del protagonistalo sa, ma per ignavia ha volutonascondere a se stesso la tristeverità, che ora gli appare come

una tela di ragno stretta attornoa lui, in una congiura generale,dall'ultimo dei dipendenti fino al-le alte sfere, tutte unite per tra-volgerlo in una caduta senza fre-ni. Ma c'è ben di peggio, l'ignaviadel protagonista si rivela anchenel fatto di nascondere a se stes-so il tradimento continuo dellamoglie, Michela, che pure repu-tava sinceramente legata a lui.Dovrà invece scoprire con racca-

priccio che la donna frequentaaddirittura degli equivoci alber-ghetti a ore, accompagnandosimagari con persone che sonomolto vicine, negli affari e negliaffetti, a colui che appare sem-pre più come un Tremacoda. Edunque, triste parabola di decli-no, morale, professionale, affetti-vo, perfino sessuale, di un sogget-to che passo passo si scopre tra-dito, ingannato da tutti.

Questo in una trama incalzan-te, depositata in un diario ad an-num che nei primi capitoli si affi-da a una fitta scansione, regi-strando in successione i fatti oc-corsi nel 1967, 1968 e 1969. Poi unsalto fino ad anni a noi più vicini,quanto il Tremacoda è ormai ab-bandonato a una solitudine sen-za scampo, a meditare sui fattilontani. Ma si tratta allora di unaflebile parabola crepuscolare?Non del tutto, infatti sappiamoquali siano le sorprese nel giocodialettico tra l'Io e il Lui, la distan-za dai lontani avvenimenti prece-denti permette al protagonista dicondurre una cauta e quasi prete-rintenzionale autoanalisi, che lorivela capace a sua volta di crimi-ni inauditi, che ha abilmente na-scosto a sé e a noi creduli lettori.Non c'è innocenza contro colpa,siamo tutti colpevoli, a ben vede-re, oppure viaggiamo in una soli-tudine stellare, dato che chi cre-devamo esserci vicino, ma a co-minciare dalla nostra coscienza,si trova in realtà nelle galassielontane annunciate nel titolo.

Vi racconto vitae morte del mioamico impostore

Se Goebbelsscrive al pavidoassicuratore

MIRELLASERRI

Si considerava simi-le a «un grano di pepe ne-ro». Proprio per via dellastatura minuscola e dell'in-carnato scuro si definiva co-sì la brevilinea Grazia Deled-da, piccola scrittrice che hafatto giganteggiare il nomedell'Italia nel secolo scorso.E' stata, infatti, la secondaautrice italiana, dopo Gio-suè Carducci, e la secondadonna al mondo a conqui-starsi il premio Nobel per laletteratura (prima di leic'era stata la svedese SelmaLagelorf).

E adesso quale destinospetta alla consistente pro-duzione del «granellino»?Sono scomparsi dagli scaffa-li quei racconti divorati damigliaia di donne in tutto ilmondo che il suo tradutto-re, ovvero il gran maestro dierotismo D. H. Lawrence,contribuì a divulgare? Sonodimenticate e lontane anniluce quelle sue figure femmi-nili che provavano ad alzarela testa e poi erano sconfittee calpestate, come in Canneal vento o in Cenere?

Non è sepolta in cantinama è più «viva» che mai lascrittrice sarda che parladi terre brulle e desolate, dionore violato, di supersti-zione e di sanguinose faide:questa è l'opinione del sag-gista Massimo Onofri nell'accurata e interessanteprefazione a una nuova edi-zione delle opere della De-ledda (da Il maestrale esceil primo di quattro tomimentre il volume Chi ha pa-ura di Grazia Deledda? a cu-ra di Monica Farnetti perIacobelli, arricchisce connuovi interventi il dibattitocritico).

Come mai tanta attenzio-ne? Il revival non è casuale:sono diventati un drappellodi notevole impatto gli scrit-tori sardi - da Salvatore Nif-foi a Sergio Atzeni, da Salva-tore Mannuzzu a MichelaMurgia a Milena Agus - che

si muovono sotto il segno diGrazia - grande madre, fino aoggi misconosciuta, di un filo-ne letterario che viene dallaterra dei nuraghi e che in que-sti ultimi anni ha mietuto allo-ri e avuto gran successo. Una

«corrente» insulare che haconquistato il continente sce-gliendo di affondare la pennanelle proprie radici e di rac-contare, proprio come la De-ledda, antichi riti e miti, di ri-scoprire una civiltà arcaica eprimitiva sotto il velo dell'emancipazione (come feceSalvatore Satta nel bellissi-mo Il giorno del giudizio.

Ma non basta. La Deleddacon le sue donne sensuali edeterminate, desiderose disciogliere i lacci che le tengo-no avvinte, spiana la strada aun' inedita immagine femmi-nile, quella delle «nuove» ita-liane scattanti e fiere, prontea occupare posti sempre piùdi rilievo nella modernità e

nel secolo che avanza. Le sueprotagoniste sono orgogliosee forti anche quando, costret-te al pentimento e all'obbe-dienza, si impegnano in unparticolare sacrificio, «quellodi chi non sa per quale ragio-ne rinunzia alla vita, immo-landosi in nome di valori (ed'un bene) di cui ignora, nondico la legittimità, ma persi-no la plausibilità e, nonostan-te ciò, continua a farlo», affer-ma Onofri. Fuggono dall'iso-la, tradiscono, lottano controi maschi di casa e poi tornanorassegnate. E pure in questaestrema accettazione sono as-sai libere e connotate da unaforte dose di speranza.

Da dove ha origine la spin-ta a fare a pezzi regole e con-suetudini? Viene dalla «natu-ra», dalla passione, dal richia-mo della carne: le inquietantipulsioni erotiche appartengo-no agli uomini «dai volti colorbronzo» che ballano la tondama anche alle «femmine» da-gli occhi ardenti, pervase dabrividi e tremori, come inElias Portolu o in Canne al ven-

to, in cui non manca nemme-no il sapore dell'incesto conNoemi che si interessa al ni-pote Giacinto.

Travolgimento e sensi in fi-brillazione, questa è la Deled-da che ci è più vicina e lo èpersino con la sua vita che,paradossalmente, assomigliaa quella di una delle sue tanteeroine. A svelarci il tratto piùsegreto della scrittrice e deisuoi inconfessati ardori arri-va ora un inedito carteggio,Amore lontano, curato congran rigore dalla studiosa An-na Folli per Feltrinelli.

Eccola Grazietta, come lachiamavano gli intimi, non an-cora ventenne ma pronta a la-sciarsi sedurre da un «gigan-te biondo»: è il nobile StanisManca che appartiene allaschiatta dei duchi dell'Asina-ra, firma articoli sulla Tribu-na e a Roma conduce un'esi-stenza scanzonata e monda-na. La Deledda, invece, vive aNuoro e quando scrive «nes-sun rumore umano giunge si-no al mio tavolino… attraver-so la finestra salgono a me iprofumi della valle solitaria».Si sono incontrati per corri-

spondenza il nobile di bellesperanze giornalistiche e lagiovanissima narratrice affat-to ingenua, umile e schiva co-me vorrebbe apparire è de-terminata a farsi conoscerenel continente. Si è organizza-ta un consistente archivio de-stinato a crescere negli annidove annota i nomi dei mag-giori critici e direttori di gior-nali, in modo da poterli con-tattare alla bisogna. Vuole

evadere, fuggire, emigrare.In questo la Deledda ha il

temperamento di un D'An-nunzio in gonnella: come ilVate percepisce che le moder-ne strade del successo devo-no battere anche quelle delrumore, dello scandalo e, an-nuncia, ogni volta che dà noti-zia a Stanis di una nuova pub-blicazione, che farà parlaresalotti, giornali e pubblica

opinione. Manca ne apprezzala penna ma non le qualitàfemminili. Anzi, in un giocosadico, non si nega nessunaferocia o violenza nei confron-ti dell'interlocutrice assogget-tata dal suo fascino. Così ilpresunto «gentiluomo» divul-ga a Sassari la voce che po-trebbe, se volesse, fare «sua»la famosa Grazia ma contem-poraneamente ne sottolineal'orribile aspetto fisico, desi-gnandola «una nana». Le rim-provera di aspirare alla «cele-brità», a «un consorte altolo-cato», e le dà dell'arrampica-trice sociale dicendole cheprostituisce «l'amicizia,l'amore, l'ingegno per finiegoisti».

E' una battaglia all'ultimosangue da cui Grazia riusciràvincitrice. Si conquisterà unmarito, si trasferirà a Roma eotterrà il massimo nel mondoletterario. Alla fine porterà acasa quella gloria con la maiu-scola tanto agognata a cuil'avevano destinata propriole sue provocatorie eroine, in-sospettabili ispiratrici dellepiù combattive donne italia-ne nel Novecento.

De Majo Un esordio promettente,sotto il segno di Perec e Calvino

Rugarli «Le galassie lontane»: gialloallegorico, crimini rimossi e inganni

pp Grazia Deleddap AMORE LONTANO. Lettere

al gigante biondo (1891-1909)p a cura di Anna Follip Feltrinelli, pp. 205, €14,50p Autori Varip CHI HA PAURA

DI GRAZIA DELEDDAp a cura di Monica Farnettip Iacobelli, pp. 312, €14,90

pp Grazia Deleddap I ROMANZI. Volume Ip a cura di Silvia Lutzonip prefazione di Massimo Onofrip Il Maestrale, pp. 1024, €12,90

Un romanzo brevecondotto con grandefinezza, tra echidi Salò, bovarismo,terrorismo nero

«Nel grande showdella democrazia»:un futuribilepresente dove tuttoè affidato all’ironia

La Repubblicaè un pazzospettacolo

Ma questaItalia non èuna serva

150O

Libri d’ItaliaVerso il 2011

pp Marco Bosonettop NEL GRANDE SHOW

DELLA DEMOCRAZIAp Laurana, pp. 246, €16,50

pp Giampaolo Rugarlip LE GALASSIE LONTANEp Marsilio, pp. 238, €18

pp Marco Lodolip ITALIAp Einaudi, pp. 104, €15

.

Lodoli Un cuore semplice, angelotutelare di una famiglia drammatica

Un inedito carteggiorivela i suoi giovaniliturbamenti, sedottae rifiutata da un nobile«gigante biondo»

Bosonetto Un ministro, un satanista,i servizi inquinati e altre stranezze

Un’inedita immaginefemminile, le «nuove»italiane prontea occupare posti di rilievonella modernità

Marco Lodoliè nato

a Romanel 1956.

Ha esorditocon una

raccoltadi poesie,

«PonteMilvio».

E’ autore,tra l’altro,di «Diario

di un millennioche fugge»

Revival Il secondo Nobel italiano dopo Carducci:una «grande madre» nella desolata terra dei nuraghi

Marco Bosonetto: un melting pot di generi e finzioni

pp Cristiano de Majop VITA E MORTE DI UN GIOVANE

IMPOSTORE SCRITTA DA ME,IL SUO MIGLIORE AMICOp Ponte alle Grazie, pp. 283, €17,50

Cristiano de Majo

Un ritratto giovanile di Grazia Deledda, premio Nobel nel 1926

Deledda, l’isoladelle fiere donne

Scrittori italianiIITuttolibri

SABATO 27 NOVEMBRE 2010LA STAMPA III

Giampaolo Rugarli

Page 3: Tuttolibri n. 1742 (27-11-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - III - 27/11/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/02 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 26/11/10 20.54

LORENZOMONDO

Italia come Félicité ecome Maria. Con tutte le va-rianti imposte dal contesto ge-ografico e temporale, dalla par-ticolare sensibilità, la protago-nista che dà titolo al romanzodi Marco Lodoli è una sorelladelle eroine di Flaubert e diLalla Romano. E’ un «cuoresemplice», un’espressione chenon vuole significare povertàintellettiva, ma l’adesione dirit-ta a sentimenti essenziali cheesigono una assoluta fedeltà.Italia, cresciuta in un istitutoper orfani, alla maggiore etàviene assegnata come domesti-ca a una famiglia borghese diRoma.

La famiglia Marziali è com-posta da un ingegnere che sisente frustrato nel suo lavoro,da una moglie perennementeansiosa, dai suoi tre figli. Assu-mendosi la funzione di angelotutelare, la ragazza vorrebbeestendere alle persone la suaapplicazione a tenere semprein ordine e pulita la casa.

Ma quello umano è un ma-teriale riottoso e sfuggente, se-gue imprevedibili percorsi, aItalia è concesso appena qual-

che momento di confidente ab-bandono, la richiesta di lenirele ferite dell’esistenza.

Il capofamiglia porta il co-cente rimorso d’essersi mac-chiato di sangue, al tempo incui militava nell’esercito di Sa-lò. E avverte come una punizio-ne il fatto che adesso il figlioTancredi costeggi le frangedel terrorismo nero. Marian-na, intrisa di bovarismo, sispreca in molteplici, rovinosiamori. Giovanni sembra il piùriuscito: intraprende la carrie-ra dello scrittore, ma ne speri-menta la vanità e finisce per ri-tirarsi in un consolante, ataras-sico rifugio agreste. La madresi rinserra in una solitudinesempre più svampita. MentreItalia sta sempre lì, a eseguireil compito che le è assegnato,di compatire, di soccorrerecon le parole e con lo sguardo.

Le capita di trovarsi da-vanti al cadavere di un giudi-ce assassinato (siamo neglianni di piombo) e così riflette:«Bisognerebbe occuparsi ditanta gente, di tutti quelli checi passano accanto, difenderlidal male, da se stessi, bisogne-rebbe avere un’anima grandecome questa città, ma la miaha la misura di casa Marziali

e non posso fare di più».Un atteggiamento apparen-

temente riduttivo, che denota in-vece la consapevolezza che, al dilà di ogni pur generosa astrazio-ne, conta lo spendersi fino in fon-do nella concretezza di una si-tuazione, nel proprio angolo dimondo. E’ così ferma, nella suadevozione, da rinunciare allo spi-raglio di un possibile legame sen-timentale, al desiderio di farsiuna sua famiglia. La figura di Ita-lia resta incisa nell’atto in cui, vi-gile fino a tarda ora sui suoi pro-tetti avvolti dal sonno, decide diassopirsi, «come una candelache non deve più illuminareniente e nessuno».

Questo romanzo breve (unaforma congeniale a Marco Lodo-

li) è condotto con grande finez-za. Il vivido dettaglio e le intensepause meditative si stemperanoin un sentimento acuto del tem-po che passa e accomuna gli uo-mini - dolorosamente e solidal-mente - in un analogo destino, in«una stessa vita raccontata inmille modi diversi».

Alla fine del racconto, dopola dissoluzione della famigliaMarziali, Italia torna all’Istitutoche aveva lasciato da tanti anni.Dove le dicono che dovrà riparti-re l’indomani, perché è attesa daun’altra famiglia. Alla decisionedi questo Istituto che giudica emanda, Italia non pensa di ribel-larsi. Così come ha accettato asuo tempo l’educazione severa,al limite di un punitivo asceti-smo, che le hanno impartito. Av-verti allora che non è stata pre-parata a una vita di serva, a unadecente sistemazione, ma a qual-cosa di più impegnativo e perfi-no sacrale. L’Istituto (designatosoltanto con la maiuscola, senzaulteriori attributi) appare unamisteriosa entità, che si potreb-be definire kafkiana, alla qualeItalia ha deciso di conformarsi.E’ un velo di ambiguità, più sug-gerita che risolta, che tende aproiettarsi sulla protagonista,conferendo un diverso spessorealla sua «semplicità», così con-creta e fattiva.

GIOVANNITESIO

Con il romanzonel grande show della demo-crazia appena pubblicatodalla nuova casa editriceLaurana, il quarantenneMarco Bosonetto non ab-bandona la sua cifra di sem-pre (minuscolo compreso),la sua fucina di personaggigrotteschi e di farseschi car-nevali.

E dunque di fatto nulla dinuovo quanto alla poetica,alla postmoderna fiera de-gli incroci, al melting pot digeneri e finzioni. La sua mi-sura è lo spiazzamento con-tinuo, il suo un narrare delcontrario e per contrari.

Un po' come se si dicesseche la verità va cercata al dilà di ogni nobile premessa edi ogni schieramento pro-tettivo. Una «morale» sco-moda, che è qui sottolineatadall'esergo di Vonnegut: senoi siamo quello che faccia-mo finta di essere, dobbia-mo stare molto attenti aquel che facciamo finta diessere. Avviso che il titolonon sembrerebbe smentire.

Ma a risultare ambigua -nel corso del romanzo - è ladirezione del senso: la de-

mocrazia interpretata toutcourt come show? Con il ri-schio che tutto si fermi al di-vertissement (scritto per al-tro assai bene, con vivacitàdi figure e varietà di regi-stri)? O una democrazia tra-sformata in show per colpe-vole deriva? Con tanto di av-vertimento che scavalchi ladenuncia implicita e un po'autoreferenziale?

La trama aiuta e non aiu-ta, anche perché tutto è affi-dato all'ironia continua, co-me mostra - a non dir d'al-tro - il manifesto che ad uncerto punto incombe da unapalazzina: «Non spegnerela democrazia, abbonati alcampionato di telefoto, ex-tra, backstage, intervistepersonalizzate al candida-to. Primarie. La repubblicaè il tuo spettacolo».

In due giornate di fattiche s'intrecciano ad alta ve-locità, la narrazione danzapiuttosto in un vorticoso cir-co di identità deviate: servi-zi inquinati, situazioni as-surde, inseguimenti folli,personaggi strani, di cui èimpossibile dar conto detta-

gliato.In un futuribile presente

di tunnel autostradali lunghi329 chilometri e di eliscooterche volano come api, Boso-netto convoca - insieme conRoma - le tre città (Torino,Cuneo, Piacenza) che piùstanno nelle sue corde, tiran-do capitolo dopo capitolo i fili(e anche le fila) di una benstridula invenzione.

Un fratello e una sorella inviaggio. Un ministro unico incarica che dà l'ordine di sop-primere il suo predecessoredi cui è il sosia perfetto. Un ri-

cattabile agente segreto e ilsuo irriducibile ex direttore.Un ex bodyguard gay che sidivide tra l'ex ministro unicoinseguito e un calciatore del-la Juventus e della Naziona-le. Un satanista benefico (giàpresente nel romanzo prece-dente, Requiem per un'adole-scenza prolungata), che sa amemoria Il maestro e Marghe-rita, e la sua compagna exfruttivendola. Con tanto digrande parodia finale che ri-mescola doppi e identità co-me nel gioco delle tre carte.

Maestro di un comico chenon ride, con nel grande showdella democrazia Bosonetto ciconsegna l'antropologica pa-tata bollente del consensoumano e nell'umore malinco-nico delle sue creature fa sal-tare ogni ossequio di realtà.Lasciandoci però con un dub-bio: se per raccontare la de-vianza della democrazia co-me grande spettacolo bastifare il verso al nuovo populi-smo - narrativamente ambi-guo, come del resto già eraaccaduto nel romanzo NonnoRosenstein nega tutto - del suoesito così esiziale.

SERGIOPENT

Perec, Queneau, Bor-ges, Calvino: i nomi che salta-no in mente - scorrendo il li-bro di de Majo con il lecito so-spetto di ogni esordio - sonoquelli. I grandi «deviati» dellaletteratura, i re dell'azzardo,quelli che sapevano avvincertie coinvolgerti con artifici esperimentazioni, senza spargi-menti di sangue, senza lacri-me di carta riciclata.

Diciamolo subito: la diffi-denza è d'obbligo, l'autore vaatteso e seguito, ma questo Vi-ta e morte eccetera di Cristianode Majo ha tutte le carte in re-gola per essere consideratoun esordio di lusso. Di quellisu cui - per fortuna - scommet-te ancora in minime dosi la no-stra editoria sempre più a cac-cia del «caso». E' un romanzointelligente ma anche scaltro,ricco ma tutto sommato sem-plice, una sfida che ricorda,appunto, i quattro Maestri ci-tati in apertura. Niente di stra-

no, volendo, nella traccia che ve-de il protagonista - il giovaneaspirante filologo MassimilianoScotti Scalfato - ripercorrere lavita del suo grande amico D.D.,a sua volta aspirante scrittoremorto di cancro a trentadue an-ni. Un omaggio e, insieme, an-che un disvelamento. Ma la pos-sibile linearità memoriale diquesto presunto «caso umano»si trasforma - nella labirintica ri-

costruzione a incastro di deMajo - in un trattato sull'arte divivere e di vendersi, sull'amici-zia e sugli inganni, sugli artificie i compromessi di cui, purtrop-po, abbonda la vita dei perdenti.

D.D. è morto lasciando di séun'unica traccia emblematica:«Io non sono morto, siete voi aessere morti», le ambigue ulti-me parole sul letto dell'addio, ri-volte all'amico Massimiliano, ai

genitori, alla sua donna Sveva.E l'amico cerca il ricordo, lo de-codifica e lo modella seguendole tracce di un grande romanzosulla borghesia napoletana,«Continente fantasma», del qua-le non c'è memoria se non nelleparole esaltate del defunto. So-no allora i diari, le lettere, i mo-nologhi incisi su nastro, le re-censioni impubblicabili di librisul cancro, a mettere insieme -

in qualche modo - la figura diquel sublime impostore che for-se fu D.D., povero creatore di il-lusioni autoreferenziali.

La traccia è tutt'altro che li-neare, poiché nel suo percorsoil biografo si lascia man manofagocitare da quel gioco di sug-gestioni create - in fondo - sulnulla. D.D. non è mai stato ilgrande scrittore che già affer-mava di essere. E' stato il figlio

esaltato di un'epoca di transizio-ne, il modello vuoto da imitareper cercare le proprie minimeconcretezze, il principe di un in-ganno collettivo che tuttavia -per assurdo - si fa davvero ro-manzo, nel tracciato ambivalen-te con cui il filologo ripercorrela storia, la assembla, la model-la, ne ricava un confronto postu-mo. E in questo confronto c'èspazio per tutto, per il ricordodi un'amicizia come per presun-ti racconti riveduti e corretti aifini di una memoria fedele.

Quando infine la memoria fa-gocita le intenzioni, il gioco è fat-to e il romanzo esiste per davve-ro. Ed è questo, insidioso ma sa-gace, quotidiano ma universalenel suo percorso che scherzacon la linearità narrativa ma siricompone, a tutti gli effetti, inuna costruzione precisa e com-patta, densa di colpi di scenastrutturali e soprattutto - e quide Majo vince davvero la suaprima scommessa - accattivan-te e anche umanamente strug-gente.

RENATOBARILLI

Giampaolo Rugarli sidistingue dalla pletora dei gial-listi dei nostri giorni in quanto,a differenza della maggior par-te di loro, prende solo un pas-saggio attraverso le astuziedel genere, ma le subordina adeffetti ben più sottili e sugge-stivi, rasentando i grandi terri-tori della metafisica e dell'alle-goria, appannaggio di pesimassimi come Kafka e Camus,magari nelle versioni più corsi-ve del troppo dimenticato Di-no Buzzati, o di un abile pro-dotto dell'ultima ondata comeVitaliano Trevisan.

Queste Galassie lontane con-fermano quanto l'autore ci ave-va già dato per esempio nellasua precedente impresa, Il buiodi notte. E' di scena un perso-naggio che si presenta in termi-ni di mediocrità perfino maso-chistica, come vittima di illusio-ni perdute, lui che sognava unagrande carriera bancaria ma èstato dirottato nel ramo morto

di un grande istituto, in un Nordbrumoso e livido, a gestire il set-tore delle assicurazioni, dove tut-to sembra procedere bene, vale adire in modo sonnacchioso, sottola direzione di un pavido come luiche i dipendenti chiamano Tre-macoda. Ma un brutto giorno gligiunge una lettera anonima conuna sinistra firma, Goebbels, aevocare spettri nazisti. E' comeuna voce dell'inconscio che gli di-

ce quanto l'io di superficie ha ten-tato di nascondere a se stesso:nella sua azienda si commettonocrimini, ovvero i controllori si ac-cordano con i sinistrati conce-dendo generose liquidazioni, lu-crando in cambio di generose bu-starelle.

L'inconscio del protagonistalo sa, ma per ignavia ha volutonascondere a se stesso la tristeverità, che ora gli appare come

una tela di ragno stretta attornoa lui, in una congiura generale,dall'ultimo dei dipendenti fino al-le alte sfere, tutte unite per tra-volgerlo in una caduta senza fre-ni. Ma c'è ben di peggio, l'ignaviadel protagonista si rivela anchenel fatto di nascondere a se stes-so il tradimento continuo dellamoglie, Michela, che pure repu-tava sinceramente legata a lui.Dovrà invece scoprire con racca-

priccio che la donna frequentaaddirittura degli equivoci alber-ghetti a ore, accompagnandosimagari con persone che sonomolto vicine, negli affari e negliaffetti, a colui che appare sem-pre più come un Tremacoda. Edunque, triste parabola di decli-no, morale, professionale, affetti-vo, perfino sessuale, di un sogget-to che passo passo si scopre tra-dito, ingannato da tutti.

Questo in una trama incalzan-te, depositata in un diario ad an-num che nei primi capitoli si affi-da a una fitta scansione, regi-strando in successione i fatti oc-corsi nel 1967, 1968 e 1969. Poi unsalto fino ad anni a noi più vicini,quanto il Tremacoda è ormai ab-bandonato a una solitudine sen-za scampo, a meditare sui fattilontani. Ma si tratta allora di unaflebile parabola crepuscolare?Non del tutto, infatti sappiamoquali siano le sorprese nel giocodialettico tra l'Io e il Lui, la distan-za dai lontani avvenimenti prece-denti permette al protagonista dicondurre una cauta e quasi prete-rintenzionale autoanalisi, che lorivela capace a sua volta di crimi-ni inauditi, che ha abilmente na-scosto a sé e a noi creduli lettori.Non c'è innocenza contro colpa,siamo tutti colpevoli, a ben vede-re, oppure viaggiamo in una soli-tudine stellare, dato che chi cre-devamo esserci vicino, ma a co-minciare dalla nostra coscienza,si trova in realtà nelle galassielontane annunciate nel titolo.

Vi racconto vitae morte del mioamico impostore

Se Goebbelsscrive al pavidoassicuratore

MIRELLASERRI

Si considerava simi-le a «un grano di pepe ne-ro». Proprio per via dellastatura minuscola e dell'in-carnato scuro si definiva co-sì la brevilinea Grazia Deled-da, piccola scrittrice che hafatto giganteggiare il nomedell'Italia nel secolo scorso.E' stata, infatti, la secondaautrice italiana, dopo Gio-suè Carducci, e la secondadonna al mondo a conqui-starsi il premio Nobel per laletteratura (prima di leic'era stata la svedese SelmaLagelorf).

E adesso quale destinospetta alla consistente pro-duzione del «granellino»?Sono scomparsi dagli scaffa-li quei racconti divorati damigliaia di donne in tutto ilmondo che il suo tradutto-re, ovvero il gran maestro dierotismo D. H. Lawrence,contribuì a divulgare? Sonodimenticate e lontane anniluce quelle sue figure femmi-nili che provavano ad alzarela testa e poi erano sconfittee calpestate, come in Canneal vento o in Cenere?

Non è sepolta in cantinama è più «viva» che mai lascrittrice sarda che parladi terre brulle e desolate, dionore violato, di supersti-zione e di sanguinose faide:questa è l'opinione del sag-gista Massimo Onofri nell'accurata e interessanteprefazione a una nuova edi-zione delle opere della De-ledda (da Il maestrale esceil primo di quattro tomimentre il volume Chi ha pa-ura di Grazia Deledda? a cu-ra di Monica Farnetti perIacobelli, arricchisce connuovi interventi il dibattitocritico).

Come mai tanta attenzio-ne? Il revival non è casuale:sono diventati un drappellodi notevole impatto gli scrit-tori sardi - da Salvatore Nif-foi a Sergio Atzeni, da Salva-tore Mannuzzu a MichelaMurgia a Milena Agus - che

si muovono sotto il segno diGrazia - grande madre, fino aoggi misconosciuta, di un filo-ne letterario che viene dallaterra dei nuraghi e che in que-sti ultimi anni ha mietuto allo-ri e avuto gran successo. Una

«corrente» insulare che haconquistato il continente sce-gliendo di affondare la pennanelle proprie radici e di rac-contare, proprio come la De-ledda, antichi riti e miti, di ri-scoprire una civiltà arcaica eprimitiva sotto il velo dell'emancipazione (come feceSalvatore Satta nel bellissi-mo Il giorno del giudizio.

Ma non basta. La Deleddacon le sue donne sensuali edeterminate, desiderose disciogliere i lacci che le tengo-no avvinte, spiana la strada aun' inedita immagine femmi-nile, quella delle «nuove» ita-liane scattanti e fiere, prontea occupare posti sempre piùdi rilievo nella modernità e

nel secolo che avanza. Le sueprotagoniste sono orgogliosee forti anche quando, costret-te al pentimento e all'obbe-dienza, si impegnano in unparticolare sacrificio, «quellodi chi non sa per quale ragio-ne rinunzia alla vita, immo-landosi in nome di valori (ed'un bene) di cui ignora, nondico la legittimità, ma persi-no la plausibilità e, nonostan-te ciò, continua a farlo», affer-ma Onofri. Fuggono dall'iso-la, tradiscono, lottano controi maschi di casa e poi tornanorassegnate. E pure in questaestrema accettazione sono as-sai libere e connotate da unaforte dose di speranza.

Da dove ha origine la spin-ta a fare a pezzi regole e con-suetudini? Viene dalla «natu-ra», dalla passione, dal richia-mo della carne: le inquietantipulsioni erotiche appartengo-no agli uomini «dai volti colorbronzo» che ballano la tondama anche alle «femmine» da-gli occhi ardenti, pervase dabrividi e tremori, come inElias Portolu o in Canne al ven-

to, in cui non manca nemme-no il sapore dell'incesto conNoemi che si interessa al ni-pote Giacinto.

Travolgimento e sensi in fi-brillazione, questa è la Deled-da che ci è più vicina e lo èpersino con la sua vita che,paradossalmente, assomigliaa quella di una delle sue tanteeroine. A svelarci il tratto piùsegreto della scrittrice e deisuoi inconfessati ardori arri-va ora un inedito carteggio,Amore lontano, curato congran rigore dalla studiosa An-na Folli per Feltrinelli.

Eccola Grazietta, come lachiamavano gli intimi, non an-cora ventenne ma pronta a la-sciarsi sedurre da un «gigan-te biondo»: è il nobile StanisManca che appartiene allaschiatta dei duchi dell'Asina-ra, firma articoli sulla Tribu-na e a Roma conduce un'esi-stenza scanzonata e monda-na. La Deledda, invece, vive aNuoro e quando scrive «nes-sun rumore umano giunge si-no al mio tavolino… attraver-so la finestra salgono a me iprofumi della valle solitaria».Si sono incontrati per corri-

spondenza il nobile di bellesperanze giornalistiche e lagiovanissima narratrice affat-to ingenua, umile e schiva co-me vorrebbe apparire è de-terminata a farsi conoscerenel continente. Si è organizza-ta un consistente archivio de-stinato a crescere negli annidove annota i nomi dei mag-giori critici e direttori di gior-nali, in modo da poterli con-tattare alla bisogna. Vuole

evadere, fuggire, emigrare.In questo la Deledda ha il

temperamento di un D'An-nunzio in gonnella: come ilVate percepisce che le moder-ne strade del successo devo-no battere anche quelle delrumore, dello scandalo e, an-nuncia, ogni volta che dà noti-zia a Stanis di una nuova pub-blicazione, che farà parlaresalotti, giornali e pubblica

opinione. Manca ne apprezzala penna ma non le qualitàfemminili. Anzi, in un giocosadico, non si nega nessunaferocia o violenza nei confron-ti dell'interlocutrice assogget-tata dal suo fascino. Così ilpresunto «gentiluomo» divul-ga a Sassari la voce che po-trebbe, se volesse, fare «sua»la famosa Grazia ma contem-poraneamente ne sottolineal'orribile aspetto fisico, desi-gnandola «una nana». Le rim-provera di aspirare alla «cele-brità», a «un consorte altolo-cato», e le dà dell'arrampica-trice sociale dicendole cheprostituisce «l'amicizia,l'amore, l'ingegno per finiegoisti».

E' una battaglia all'ultimosangue da cui Grazia riusciràvincitrice. Si conquisterà unmarito, si trasferirà a Roma eotterrà il massimo nel mondoletterario. Alla fine porterà acasa quella gloria con la maiu-scola tanto agognata a cuil'avevano destinata propriole sue provocatorie eroine, in-sospettabili ispiratrici dellepiù combattive donne italia-ne nel Novecento.

De Majo Un esordio promettente,sotto il segno di Perec e Calvino

Rugarli «Le galassie lontane»: gialloallegorico, crimini rimossi e inganni

pp Grazia Deleddap AMORE LONTANO. Lettere

al gigante biondo (1891-1909)p a cura di Anna Follip Feltrinelli, pp. 205, €14,50p Autori Varip CHI HA PAURA

DI GRAZIA DELEDDAp a cura di Monica Farnettip Iacobelli, pp. 312, €14,90

pp Grazia Deleddap I ROMANZI. Volume Ip a cura di Silvia Lutzonip prefazione di Massimo Onofrip Il Maestrale, pp. 1024, €12,90

Un romanzo brevecondotto con grandefinezza, tra echidi Salò, bovarismo,terrorismo nero

«Nel grande showdella democrazia»:un futuribilepresente dove tuttoè affidato all’ironia

La Repubblicaè un pazzospettacolo

Ma questaItalia non èuna serva

150O

Libri d’ItaliaVerso il 2011

pp Marco Bosonettop NEL GRANDE SHOW

DELLA DEMOCRAZIAp Laurana, pp. 246, €16,50

pp Giampaolo Rugarlip LE GALASSIE LONTANEp Marsilio, pp. 238, €18

pp Marco Lodolip ITALIAp Einaudi, pp. 104, €15

.

Lodoli Un cuore semplice, angelotutelare di una famiglia drammatica

Un inedito carteggiorivela i suoi giovaniliturbamenti, sedottae rifiutata da un nobile«gigante biondo»

Bosonetto Un ministro, un satanista,i servizi inquinati e altre stranezze

Un’inedita immaginefemminile, le «nuove»italiane prontea occupare posti di rilievonella modernità

Marco Lodoliè nato

a Romanel 1956.

Ha esorditocon una

raccoltadi poesie,

«PonteMilvio».

E’ autore,tra l’altro,di «Diario

di un millennioche fugge»

Revival Il secondo Nobel italiano dopo Carducci:una «grande madre» nella desolata terra dei nuraghi

Marco Bosonetto: un melting pot di generi e finzioni

pp Cristiano de Majop VITA E MORTE DI UN GIOVANE

IMPOSTORE SCRITTA DA ME,IL SUO MIGLIORE AMICOp Ponte alle Grazie, pp. 283, €17,50

Cristiano de Majo

Un ritratto giovanile di Grazia Deledda, premio Nobel nel 1926

Deledda, l’isoladelle fiere donne

Scrittori italianiIITuttolibri

SABATO 27 NOVEMBRE 2010LA STAMPA III

Giampaolo Rugarli

Page 4: Tuttolibri n. 1742 (27-11-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IV - 27/11/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/04 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 26/11/10 20.54

Centenario Il «maudit» che ha celebratoil furto, la delazione, la violenza, il sesso:un pasto di sapori forti per lettori impavidi

ELISABETTABARTULI

Nel 1942, mentre scon-tava la sua pena nel carcere diBursa, in Anatolia, Nazim Hik-met, all'epoca quarantenne,scriveva una delle sue poesiepiù note e struggenti: «Il piùbello dei mari / è quello che nonnavigammo. / Il più bello dei no-stri figli / non è ancora cresciu-to. / I più belli dei nostri giorni /non li abbiamo ancora vissuti.E quello / che vorrei dirti di piùbello / non te l'ho ancora detto»(in Poesie d'amore, trad. diJoyce Lussu, Mondadori,1963). Piace credere che Hik-met pensasse proprio a quel«non ancora detto» quando,nel 1962, un anno prima di mori-re nel suo esilio moscovita, die-de alle stampe Gran bella cosa èvivere, miei cari, romanzo e au-tobiografia insieme, raccontodella propria vita e contempo-raneamente rimando rielabora-to di tutte le - già bellissime, losappiamo - immagini poeticheche ha lasciato nei suoi versi e

nelle sue opere teatrali.Come per Il nuvolo innamo-

rato e altre fiabe (Mondadori,2000) - raccolta di favole popo-lari riscritte nella seconda me-tà degli anni Cinquanta per ibambini o forse solo per quelsuo figlio lontano, nato dopo lasua lunga prigionia - anche perquesto suo romanzo/non ro-manzo, Hikmet cerca, e trova,una voce inusitata, un ritmoparticolare, un artifizio lettera-rio che renda unico il suo lavo-ro. E si inventa un doppio prota-gonista. Quella che il narratoreracconta è la storia di Ahmet,un attivista che ripercorre letappe salienti della sua vita

mentre è costretto a una forzatareclusione in un capanno sperdu-to nell'Anatolia in attesa di capi-re se il cane che lo ha morso gliha trasmesso la rabbia.

Ma accanto a questa narra-zione in terza persona, d'improv-viso e fin dalla prima pagina, ec-co che appare un proseguo in pri-ma persona singolare. Eppure -magia dell'arte? - le brusche ster-zate che accompagnano la totali-tà del testo facendo diventare

Ahmet «io» e i suoi atti e pensieri«miei» non sono stranianti per illettore. Che si abitua all'istante e,da subito, ne avrebbe nostalgiase gli venissero a mancare.

Gran bella cosa è vivere, mieicari, potrebbe essere letto comela versione in prosa, ampliata eapprofondita, di quel poema cheva sotto il nome di Autobiografia,scritto appena un anno prima. Visi leggono lo stesso orgoglio mi-sto a imbarazzo per dei natali pri-vilegiati e per una vita densamen-te vissuta, lo stesso afflato mai so-pito per l'ideale politico di equitàsociale e per l'amore declinato inogni sua forma. E vi si trova an-che, in una cospicua parte, di cheiscrivere il romanzo in quel filo-ne, considerato canonico perquanto è praticato in alcune par-ti del mondo, che va sotto il nomedi «letteratura di prigionia», quiintesa come detenzione per reatid'opinione.

Una traduzione italiana di Au-tobiografia è pubblicata in Poesied'amore, ma qui ci piace citare, asinossi del romanzo, quella diGiampiero Bellingeri, parzial-mente inserita nella postfazione:«… / a tre anni ero ad Aleppo neipanni di nipote del Pascià / a di-ciannove a Mosca studente all'Università dei comunisti / … / hodormito nelle celle e in grandi al-berghi / …/ e sotto i sessantam'innamoro / così compagnimiei insomma / se pure sto cre-pando di tristezza qui a Berlino /che da uomo son vissuto potròsempre affermarlo».

MARIOBAUDINO

Il romanzo si apre conil funerale di Jean-Paul Sartre,nell’aprile del 1980, cui vengonotributati «gli onori di un Hugo odi un Tolstoj», e con la sconsola-ta riflessione sull’«assurdità direndere omaggio a un uomo chesi è sbagliato su tutto o quasi, co-stantemente fuori strada, e cheha usato il suo talento per difen-dere con convinzione l’indifendi-bile»; ma al fondo non è il filoso-fo, con tutti i suoi errori e la suadoppiezza intellettuale, il verobersaglio polemico di Jean-Mi-chel Guenassia, avvocato parigi-no noto anche come sceneggia-tore, che ha scritto un romanzodi formazione (e anche un ro-manzo politico) senza acredine,semmai con un tono fra lo stupi-to e il malinconico.

Il club degli incorreggibili otti-misti è stato in Francia un gran-dissimo successo di pubblico, eanche di critica. E’ un libro bril-lante, piacevole, di taglio narra-tivo tradizionale(il protagonistaè del resto un grande lettore, ap-passionato di scrittori russi);ma nello stesso tempo è un ro-manzo-mondo, dotato di una no-tevole complessità e di grandiambizioni. Guenassia raccontala sua educazione per così diresentimentale incrociando gli an-ni della guerra d’Algeria e so-prattutto della guerra fredda inuna Francia Paese d’asilo, gene-roso e avaro al tempo stesso. Ilclub menzionato nel titolo è lapolverosa stanzetta sul retro diun bistrot molto popolare e fre-quentato: un club di scacchi, icui membri sono politici e intel-lettuali fuggiti dal comunismoreale, rifugiati ormai apolidi checonducono una vita misera e as-sai ciarliera ai margini della so-cietà francese.

Vengono aiutati finanziaria-mente, con discrezione, proprioda Sartre e da un altro perso-naggio di primo piano nel Nove-cento francese: Joseph Kessel,eroe antifascista, croce di guer-

ra come Compagnon de la Libéra-tion, scrittore forse poco noto inItalia ma popolarissimo in Fran-cia, autore di una canzone che erastato una sorta di inno della Resi-stenza francese. L’adolescenteMichel Marini, famiglia paternadi immigrati italiani e materna, in-vece, di buoni borghesi francesi, liscopre intenti a giocare a scacchi,mentre per caso si infila nellastanzetta del club. Verrà adottatodalla composita confraternita lìriunita, che sembra riflettere nelsuo sradicamento la stessa incer-tezza identitaria dell’io narrante.

Il romanzo è un lunghissimoflash-back,dal giorno del funeraledi Sartre agli anni fra il ’56 e il ’64,

quelli che intercorrono fra la sco-perta del Circolo e la sua fine. Gliinguaribili ottimisti sono tali per-ché altrimenti non riuscirebberoa sopravvivere: fra loro c’è un me-dico che fa il taxista, o un ex amba-sciatore che campa di lavoricchiper i negozi di alimentari del quar-tiere. Viene pagato con cibo chedivide fra i suoi spesso affamatis-simi amici. C’è persino un ex gene-rale dell’aviazione sovietica: lui pe-rò è fuggito per amore, e per il re-sto continua a credere nell’Urss.Ma c’è soprattutto il fatto, comescoprirà Michel, che questi rifu-giati sono quasi tutti ebrei: e a un

certo punto cominceranno a pen-sare seriamente di emigrare inIsraele, ponendo fine a quella cheper lui è la grande avventura intel-lettuale e umana della vita.

Si sentirà abbandonato, persi-no tradito. La religione, chiede,non era l’oppio dei popoli?E quelligli rispondono: «Essere sionistinon è essere religiosi». C’è unaspetto quasi ilare, scanzonato, inun romanzo che ha al centro il tra-dimento, anzi i mille tradimenti diun secolo di ferro. E una conclu-sione dolceamara,che certo ne co-stituisce il fascino maggiore: an-che gli incorreggibili gettano laspugna, ma a ben guardare maidel tutto.

A GENOVA E A MILANO

Crimini e bancarelle= Genova in giallo. Si conclude oggi il festivaldella letteratura del crimine, «Crime & Drama2010» (Associazione culturale Satura, piazzaStella 5). Per info: www.satura.it.A Milano, dal 5 all’8 dicembre, sesta edizione del«Salone del Libro usato-Bancarelle in Fiera»(organizza la Fondazione Biblioteca di via Senato).Tra le preziosità: la prima edizione del Gattopardo, icodici preunitari, Il libraio inverosimile di GiovanniPapini, edito in sole ventuno copie, una letteraautografa di Metastasio. Per info: www.exlibris.it

GIOVANNIBOGLIOLO

Chi ama credere chel'estetica abbia poco o tantoda spartire con l'etica si ten-ga lontano dalla letteraturafrancese: troppi esempi vi sitrovano, da Villon a Sade, aVerlaine, a Céline, di grandi,grandissimi scrittori che so-no stati dei cattivi soggetti esi sono ben guardati di usarela loro arte per mascherare oriscattare i loro misfatti. An-zi, se ne sono serviti per rac-contarli, giustificarli, esaltar-li, lasciando, sì, sublimi testi-monianze di esistenze speri-colate e di abissi di abiezione,ma suscitando anche nei let-tori la tempesta di sentimentiinconciliabili come l'ammira-zione estetica e la repulsionemorale.

Si tenga lontano soprat-tutto da Jean Genet, che inquesta schiera appare digran lunga il più irriducibile,quello che non si è lasciato se-durre dalle lusinghe di una so-cietà che, in virtù dei suoi li-bri, era disposta a spalancar-gli le porte e, in cambio senon di un atto di contrizionealmeno di una silenziosa di-screzione, ad accettare la suadiversità.

A lui però, invece che una

terra promessa o un inspera-to approdo di pace, quell'assi-milazione è apparsa semprecome il luogo della vergognae dell'abominio. Troppo pre-sto e troppo radicalmenteaveva risposto al suo destinodi bambino abbandonato dal-la madre e cresciuto tra affidie case di correzione sceglien-do come ribellione supremaquella di assumere orgoglio-samente il ruolo del paria eimprontando prima la vita epoi anche l'opera a una scaladi valori rigorosamente capo-

volti, con l'infimo al posto dell'eccelso, il marchio dell'infamiacome un segno d'elezione e lapoesia intesa «come l'arte diutilizzare la merda e farvelamangiare».

Rientrare nei ranghi, seppu-re di fronte all'accoglienzatrionfale che la cultura france-se aveva riservato già ai suoiprimi scritti, avrebbe significa-to non solo smentire una conce-zione dell'esistenza dolorosa-mente maturata e tenacemen-te seguita, ma anche svuotare

l'opera della sua stessa ragio-ne costitutiva.

Così ha continuato fino allafine la sua vita di emarginatosempre in rivolta e in fuga, de-dicando alla letteratura e al te-atro solo due brevi, memorabi-li stagioni e alla fine votandosia un silenzio che solo la passio-ne politica - le Pantere Nere, labanda Baader-Meinhof, la cau-sa palestinese - lo avrebbero in-dotto occasionalmente a inter-rompere. E la sua opera - inparticolare quella narrativa,

con la sua ispirata celebrazio-ne del furto, della delazione,della violenza, della prostitu-zione maschile, del sesso e ilsuo fastoso e sconvolgente im-pasto di realtà e visione, raffi-natezze preziosistiche e trivialisgradevolezze - ha continuatoa dividere il pubblico tra ammi-ratori entusiastici e nauseatidetrattori, così come era acca-duto fin dall'inizio con, da un la-to, Cocteau che l'aveva patroci-nata e Sartre che l'aveva esal-tata come un'ascesi santifica-trice e Mauriac che l'aveva de-finita escremenziale.

Col tempo, la fila dei primisi è notevolmente ingrossata,ma il contrasto tra queste posi-zioni estreme, anche se la criti-ca - e Jacques Derrida in parti-colare - si è spinta molto avantinella decifrazione delle aporiegenetiane, è rimasto insanabi-le. C'è da sperare che i conve-gni, le rappresentazioni e lepubblicazioni che si succede-ranno in questo periodo di an-niversari (il 19 dicembre ricor-reva il centenario della nascitadello scrittore e il prossimo 15aprile saranno venticinque an-ni dalla sua morte) aiutino nontanto a comporlo, quanto acomprenderlo e ad accettarlo.

In questo senso è preziosa

la nuova edizione delle Operenarrative che Dario Gibelli eMassimo Fumagalli hanno cu-rato per Il Saggiatore. In luogodell'ampia antologizzazionedell'edizione precedente pro-gettata da Giacomo Debene-detti e curata nel 1975 da Gior-gio Caproni, offre le traduzioniintegrali dell'edizione canoni-ca licenziata dall'autore, tre adopera di Dario Gibelli (Notre-Dame-des-Fleurs, Miracolo dellarosa e Querelle di Brest) e una(Pompe funebri) di Yasmina Me-laouah. Solo per Diario del la-dro si è conservata la traduzio-ne di Caproni, ma sottoposta aun rispettoso lavoro di unifor-mazione.

I testi - in cui figurano an-che quelle due o tre pagine diPompe Funebri che trentacin-que anni fa Caproni avevaespunto perché «non facilmen-te presentabili in italiano» - so-no preceduti da un'Introduzio-ne che svolge con estrema chia-rezza ed efficacia la sua funzio-ne didascalica senza cadere insemplificazioni e senza elude-re le questioni più controversee da una Cronologia di Albert

Dichy, che di Genet è forse og-gi il massimo specialista. Nonmanca nulla insomma perchési possa affrontare una letturaseria e informata di un'operache, come succede a tutte quel-le che hanno infranto dei tabùe contribuito a spostare i limiticonvenzionali del lecito e del di-cibile, ha oggi molto affievolitola sua forza di scandalo.

Resta comunque un pastodi forti e contrastanti sapori,adatto a lettori impavidi e nontroppo schizzinosi, i quali nonmancheranno anche di apprez-zare, come un raffinato, inatte-so dessert, le gustose e pene-tranti pagine critiche di CarloEmilio Gadda che i curatorihanno messo in appendice.

L ars Kepler è lo pseudoni-mo dietro al quale si na-scondono i coniugi Ahn-

doril - Alexandra e Alexander- che da Stoccolma si sono av-viati sulla strada della gloriagialla con quello straordinarioIpnotista indicato da alcunicome la prima vera risposta al-la trilogia Millenium di Lars-son. L’invenzione era stataquella di far interagire, macon storie quasi autonome, lopsichiatra Erik Maria Bark el’investigatore Joona Linna.Un romanzo diviso in due, insostanza, che però confluiva inun gran finale condiviso.

Ne L’esecutore (trad. Bas-sini, Corbetta, Fagnoni, Lon-ganesi, pp. 573, €18.60) la tec-nica rimane grosso modo lastessa: Linna si prende la suametà. Ma il coprotagonista siscinde in tre-quattro per l’al-tra metà. Facendo entrare ingioco, in una sorta di intelli-gente moltiplicazione, altret-tante storie personali, ciascu-na in grado di vivere di vita

propria, per confluire infine nel-lo stesso comune fiume logico.

Così, di volta in volta, si vie-ne catturati dalla vicenda perso-nale di Penelope Fernandez, gio-vane pacifista nel mirino di unkiller professionista per via diuna fotografia in suo possesso(ma di cui ignora fino in fondo ilvalore dirompente) che ritraequattro volti compromessi nelmercato clandestino delle armi

verso il Sudan. Per passare poialla storia dei due fratelli Ries-sen, Alex e Robert: il primo, violi-nista mancato, incapace di pren-dere sonno se non tra le bracciadi una ragazzina disturbata,ora responsabile governativoper l’esportazione di armamen-ti, succeduto al suo predecessoreimpiccatosi, in modo del tutto in-spiegabile, al gancio del lampa-dario di casa. Il secondo, liutaio,

dalle non chiare ambizioni, irri-tabile e rancoroso.

Altro filone: quello della bel-lissima Saga Bauer, frustratarappresentante della Sapo, i ser-vizi segreti svedesi, sempre sul-l’orlo di una crisi di nervi inquanto perennemente bistratta-ta per essere la sola donna in unclan del tutto maschilista. Infi-ne, il diabolico burattinaio diogni mortale contrabbando, ilragno Raphael Guidi, che impa-nia tutti nella sua micidiale retegrazie al demoniaco «patto diPaganini», che si basa sulla leg-genda secondo la quale il virtuo-so genovese avesse venduto l’ani-ma al diavolo pur di portare al-l’estremo la sua arte.

Naturalmente densa e minac-ciosa è la presenza possente diJoona Linna, temperata però daun innamoramento tanto genti-le quanto inatteso. E dal suo ter-ribile soggiacere a lancinantiemicranie che lo annebbiano fi-no a perdere i sensi nei momenticruciali. Morti in quantità, rit-mo frenetico, buona scrittura.

TOM ROBBINS, TRA FAVOLA E WIKIPEDIA

Sono la Fata della Birra= Si tratti di lager, di pilsner o di stout, la birra nonrimanda soltanto alla chimica ma anche alla metafisica eall'ermeneutica, al punto che se siete una vispa e irrequietapargoletta di cinque anni (anzi, per l'esattezza, quasi sei)come Gracie, la protagonista di B come birra di Tom Robbins(tr. Salvatore G. Fichera, ill. Leslie LePere, B.C.Dalai, pp.134,€14) e ne bevete per disperazione o per dispetto una lattina,vi può capitare di incontrare la Fata della Birra che, per dirlacon le sue parole, non è né «una testimone di Geova» né «unascout che vende biscotti», bensì una creaturina più minuscoladella Trilly di Peter Pan, capace di farvi volare oltre la

«Cucitura», cioè aldilà di quel mondo comune che è alla finfine «la schiuma che fluttua sul mondo reale».Proprio a cavallo della Cucitura si colloca a sua volta questadeliziosa opera minore di Robbins, magica e surreale,irriverente e fiabesca, scanzonata ma lambìta dalle tristezzedella vita, capace di strizzar l'occhio con divertita e divertentecomplicità ai capricci e ai pianterelli dell'infanzia e insieme alledebolezze e alle miserie degli adulti: un incrocio solo di primoacchito assurdistico tra un manuale del fai-da-te, una schedadi Wikipedia sulla storia di questa bevanda (inventata dagliantichi Egizi ma esorcizzata dalle catechiste della scuoladomenicale) e una favola della buonanotte scritta a quattromani da Lewis Carroll e Gianni Rodari e condita con unpizzico di domestico humour alla maniera del vecchio

Woodehouse. Un raccontino che induce a ben sperare nellarinascita di una narrativa d'autore per famiglie, capace direcuperare la voglia e il gusto dell'immaginazione anzichéconcedersi alla virtualità virtuosistica della tecnologia.Come, su toni e timbri differenti, L'albero dei desideri, unlibretto scritto da William Faulkner nel lontano 1964 cherimanda ad Alice nel Paese delle Meraviglie e a Il mago di Oz(tr. Luca Scarlini, ill. E Guazzelli, Donzelli, pp.60, €13,50).Perché non regalare ai propri pargoli cose del genere anzichéil classico telefonino e leggerseli ogni tanto tutti insieme, conun risparmio ecologico di energia televisiva?Anche ad entrare in questo ordine di idee, può servire unaFata della Birra. Ruggero Bianchi

Genet, una vitanel segnodell’infamia

«Gran bella cosaè vivere, miei cari»:il poeta turco fonderomanzo, versi, teatroin autobiografia

«Il club degliincorreggibili ottimisti»:Guenassia ripercorrei mille tradimentidi un secolo di ferro

Nel bistrot finiscel’epoca di Sartre

Con Hikmettra amoree prigionia

A ROMA, I PICCOLI EDITORI

Più libri più liberi= «Più libri più liberi»: si inaugura il 4 dicembre,a Roma, la nona edizione della fiera nazionaledella piccola e della media editoria. Oltrequattrocento case, più di settecento ospiti. DaAndré Schiffrin (Il denaro e le parole, Voland) aLuis Sepúlveda, da Sandro Veronesi a AndreaCamilleri, da Lucio Dalla a Serena Dandini. Dirilievo, anche, il programma per i ragazzi:laboratori, spettacoli, tre mostre d’illustrazione,un premio riservato ai racconti ambientali. Perulteriori informazioni: www.piulibripiuliberi.it

pp Jean Genetp OPERE NARRATIVEp a cura di Dario Gibelli

e Massimo Fumagallip Il Saggiatore, pp. 1312, €55p Il volume raccoglie Notre-Dame-

des-Fleurs, Miracolo della rosa,Pompe funebri, Querelle diBrest, Diario del ladro

pp Jean-Michel Guenassiap IL CLUB DEGLI

INCORREGGIBILI OTTIMISTIp trad. di F. Brunip Salani, pp. 701, €18,60p Il romanzo di formazione politi-

ca di una generazione

IL GIALLO NORDICOPIERO SORIA

L’esecutore uccidesecondo Paganini

Nuova torbida storia di Lars Keplerdopo il grande successo dell’Ipnotista

pp Nazim Hikmetp GRAN BELLA COSA

È VIVERE, MIEI CARIp trad. di Fabrizio Beltramip a cura di Giampiero Bellingerip Mondadori, pp. 262, €19,50

Vita L’opera scritta nell’esiliomoscovita un anno prima di morire

Una lettura seriae informata delle Operenarrative che col tempohanno molto affievolitola loro forza di scandalo

Jean-Paul Sartre, ospite ed icona intellettuale del Café de Flore a Parigi

Un sogno Anni 50 Politici e intellettuali fuggiti dai Paesicomunisti a Parigi, quasi tutti ebrei, attratti da Israele

Nell’esistenzae sulla paginauna radicale rispostaal destino di bambinolasciato dalla madre

André Schiffrin

Un ritratto di Jean Genet

Tom Robbins

Scrittori stranieriIVTuttolibri

SABATO 27 NOVEMBRE 2010LA STAMPA V

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Centenario Il «maudit» che ha celebratoil furto, la delazione, la violenza, il sesso:un pasto di sapori forti per lettori impavidi

ELISABETTABARTULI

Nel 1942, mentre scon-tava la sua pena nel carcere diBursa, in Anatolia, Nazim Hik-met, all'epoca quarantenne,scriveva una delle sue poesiepiù note e struggenti: «Il piùbello dei mari / è quello che nonnavigammo. / Il più bello dei no-stri figli / non è ancora cresciu-to. / I più belli dei nostri giorni /non li abbiamo ancora vissuti.E quello / che vorrei dirti di piùbello / non te l'ho ancora detto»(in Poesie d'amore, trad. diJoyce Lussu, Mondadori,1963). Piace credere che Hik-met pensasse proprio a quel«non ancora detto» quando,nel 1962, un anno prima di mori-re nel suo esilio moscovita, die-de alle stampe Gran bella cosa èvivere, miei cari, romanzo e au-tobiografia insieme, raccontodella propria vita e contempo-raneamente rimando rielabora-to di tutte le - già bellissime, losappiamo - immagini poeticheche ha lasciato nei suoi versi e

nelle sue opere teatrali.Come per Il nuvolo innamo-

rato e altre fiabe (Mondadori,2000) - raccolta di favole popo-lari riscritte nella seconda me-tà degli anni Cinquanta per ibambini o forse solo per quelsuo figlio lontano, nato dopo lasua lunga prigionia - anche perquesto suo romanzo/non ro-manzo, Hikmet cerca, e trova,una voce inusitata, un ritmoparticolare, un artifizio lettera-rio che renda unico il suo lavo-ro. E si inventa un doppio prota-gonista. Quella che il narratoreracconta è la storia di Ahmet,un attivista che ripercorre letappe salienti della sua vita

mentre è costretto a una forzatareclusione in un capanno sperdu-to nell'Anatolia in attesa di capi-re se il cane che lo ha morso gliha trasmesso la rabbia.

Ma accanto a questa narra-zione in terza persona, d'improv-viso e fin dalla prima pagina, ec-co che appare un proseguo in pri-ma persona singolare. Eppure -magia dell'arte? - le brusche ster-zate che accompagnano la totali-tà del testo facendo diventare

Ahmet «io» e i suoi atti e pensieri«miei» non sono stranianti per illettore. Che si abitua all'istante e,da subito, ne avrebbe nostalgiase gli venissero a mancare.

Gran bella cosa è vivere, mieicari, potrebbe essere letto comela versione in prosa, ampliata eapprofondita, di quel poema cheva sotto il nome di Autobiografia,scritto appena un anno prima. Visi leggono lo stesso orgoglio mi-sto a imbarazzo per dei natali pri-vilegiati e per una vita densamen-te vissuta, lo stesso afflato mai so-pito per l'ideale politico di equitàsociale e per l'amore declinato inogni sua forma. E vi si trova an-che, in una cospicua parte, di cheiscrivere il romanzo in quel filo-ne, considerato canonico perquanto è praticato in alcune par-ti del mondo, che va sotto il nomedi «letteratura di prigionia», quiintesa come detenzione per reatid'opinione.

Una traduzione italiana di Au-tobiografia è pubblicata in Poesied'amore, ma qui ci piace citare, asinossi del romanzo, quella diGiampiero Bellingeri, parzial-mente inserita nella postfazione:«… / a tre anni ero ad Aleppo neipanni di nipote del Pascià / a di-ciannove a Mosca studente all'Università dei comunisti / … / hodormito nelle celle e in grandi al-berghi / …/ e sotto i sessantam'innamoro / così compagnimiei insomma / se pure sto cre-pando di tristezza qui a Berlino /che da uomo son vissuto potròsempre affermarlo».

MARIOBAUDINO

Il romanzo si apre conil funerale di Jean-Paul Sartre,nell’aprile del 1980, cui vengonotributati «gli onori di un Hugo odi un Tolstoj», e con la sconsola-ta riflessione sull’«assurdità direndere omaggio a un uomo chesi è sbagliato su tutto o quasi, co-stantemente fuori strada, e cheha usato il suo talento per difen-dere con convinzione l’indifendi-bile»; ma al fondo non è il filoso-fo, con tutti i suoi errori e la suadoppiezza intellettuale, il verobersaglio polemico di Jean-Mi-chel Guenassia, avvocato parigi-no noto anche come sceneggia-tore, che ha scritto un romanzodi formazione (e anche un ro-manzo politico) senza acredine,semmai con un tono fra lo stupi-to e il malinconico.

Il club degli incorreggibili otti-misti è stato in Francia un gran-dissimo successo di pubblico, eanche di critica. E’ un libro bril-lante, piacevole, di taglio narra-tivo tradizionale(il protagonistaè del resto un grande lettore, ap-passionato di scrittori russi);ma nello stesso tempo è un ro-manzo-mondo, dotato di una no-tevole complessità e di grandiambizioni. Guenassia raccontala sua educazione per così diresentimentale incrociando gli an-ni della guerra d’Algeria e so-prattutto della guerra fredda inuna Francia Paese d’asilo, gene-roso e avaro al tempo stesso. Ilclub menzionato nel titolo è lapolverosa stanzetta sul retro diun bistrot molto popolare e fre-quentato: un club di scacchi, icui membri sono politici e intel-lettuali fuggiti dal comunismoreale, rifugiati ormai apolidi checonducono una vita misera e as-sai ciarliera ai margini della so-cietà francese.

Vengono aiutati finanziaria-mente, con discrezione, proprioda Sartre e da un altro perso-naggio di primo piano nel Nove-cento francese: Joseph Kessel,eroe antifascista, croce di guer-

ra come Compagnon de la Libéra-tion, scrittore forse poco noto inItalia ma popolarissimo in Fran-cia, autore di una canzone che erastato una sorta di inno della Resi-stenza francese. L’adolescenteMichel Marini, famiglia paternadi immigrati italiani e materna, in-vece, di buoni borghesi francesi, liscopre intenti a giocare a scacchi,mentre per caso si infila nellastanzetta del club. Verrà adottatodalla composita confraternita lìriunita, che sembra riflettere nelsuo sradicamento la stessa incer-tezza identitaria dell’io narrante.

Il romanzo è un lunghissimoflash-back,dal giorno del funeraledi Sartre agli anni fra il ’56 e il ’64,

quelli che intercorrono fra la sco-perta del Circolo e la sua fine. Gliinguaribili ottimisti sono tali per-ché altrimenti non riuscirebberoa sopravvivere: fra loro c’è un me-dico che fa il taxista, o un ex amba-sciatore che campa di lavoricchiper i negozi di alimentari del quar-tiere. Viene pagato con cibo chedivide fra i suoi spesso affamatis-simi amici. C’è persino un ex gene-rale dell’aviazione sovietica: lui pe-rò è fuggito per amore, e per il re-sto continua a credere nell’Urss.Ma c’è soprattutto il fatto, comescoprirà Michel, che questi rifu-giati sono quasi tutti ebrei: e a un

certo punto cominceranno a pen-sare seriamente di emigrare inIsraele, ponendo fine a quella cheper lui è la grande avventura intel-lettuale e umana della vita.

Si sentirà abbandonato, persi-no tradito. La religione, chiede,non era l’oppio dei popoli?E quelligli rispondono: «Essere sionistinon è essere religiosi». C’è unaspetto quasi ilare, scanzonato, inun romanzo che ha al centro il tra-dimento, anzi i mille tradimenti diun secolo di ferro. E una conclu-sione dolceamara,che certo ne co-stituisce il fascino maggiore: an-che gli incorreggibili gettano laspugna, ma a ben guardare maidel tutto.

A GENOVA E A MILANO

Crimini e bancarelle= Genova in giallo. Si conclude oggi il festivaldella letteratura del crimine, «Crime & Drama2010» (Associazione culturale Satura, piazzaStella 5). Per info: www.satura.it.A Milano, dal 5 all’8 dicembre, sesta edizione del«Salone del Libro usato-Bancarelle in Fiera»(organizza la Fondazione Biblioteca di via Senato).Tra le preziosità: la prima edizione del Gattopardo, icodici preunitari, Il libraio inverosimile di GiovanniPapini, edito in sole ventuno copie, una letteraautografa di Metastasio. Per info: www.exlibris.it

GIOVANNIBOGLIOLO

Chi ama credere chel'estetica abbia poco o tantoda spartire con l'etica si ten-ga lontano dalla letteraturafrancese: troppi esempi vi sitrovano, da Villon a Sade, aVerlaine, a Céline, di grandi,grandissimi scrittori che so-no stati dei cattivi soggetti esi sono ben guardati di usarela loro arte per mascherare oriscattare i loro misfatti. An-zi, se ne sono serviti per rac-contarli, giustificarli, esaltar-li, lasciando, sì, sublimi testi-monianze di esistenze speri-colate e di abissi di abiezione,ma suscitando anche nei let-tori la tempesta di sentimentiinconciliabili come l'ammira-zione estetica e la repulsionemorale.

Si tenga lontano soprat-tutto da Jean Genet, che inquesta schiera appare digran lunga il più irriducibile,quello che non si è lasciato se-durre dalle lusinghe di una so-cietà che, in virtù dei suoi li-bri, era disposta a spalancar-gli le porte e, in cambio senon di un atto di contrizionealmeno di una silenziosa di-screzione, ad accettare la suadiversità.

A lui però, invece che una

terra promessa o un inspera-to approdo di pace, quell'assi-milazione è apparsa semprecome il luogo della vergognae dell'abominio. Troppo pre-sto e troppo radicalmenteaveva risposto al suo destinodi bambino abbandonato dal-la madre e cresciuto tra affidie case di correzione sceglien-do come ribellione supremaquella di assumere orgoglio-samente il ruolo del paria eimprontando prima la vita epoi anche l'opera a una scaladi valori rigorosamente capo-

volti, con l'infimo al posto dell'eccelso, il marchio dell'infamiacome un segno d'elezione e lapoesia intesa «come l'arte diutilizzare la merda e farvelamangiare».

Rientrare nei ranghi, seppu-re di fronte all'accoglienzatrionfale che la cultura france-se aveva riservato già ai suoiprimi scritti, avrebbe significa-to non solo smentire una conce-zione dell'esistenza dolorosa-mente maturata e tenacemen-te seguita, ma anche svuotare

l'opera della sua stessa ragio-ne costitutiva.

Così ha continuato fino allafine la sua vita di emarginatosempre in rivolta e in fuga, de-dicando alla letteratura e al te-atro solo due brevi, memorabi-li stagioni e alla fine votandosia un silenzio che solo la passio-ne politica - le Pantere Nere, labanda Baader-Meinhof, la cau-sa palestinese - lo avrebbero in-dotto occasionalmente a inter-rompere. E la sua opera - inparticolare quella narrativa,

con la sua ispirata celebrazio-ne del furto, della delazione,della violenza, della prostitu-zione maschile, del sesso e ilsuo fastoso e sconvolgente im-pasto di realtà e visione, raffi-natezze preziosistiche e trivialisgradevolezze - ha continuatoa dividere il pubblico tra ammi-ratori entusiastici e nauseatidetrattori, così come era acca-duto fin dall'inizio con, da un la-to, Cocteau che l'aveva patroci-nata e Sartre che l'aveva esal-tata come un'ascesi santifica-trice e Mauriac che l'aveva de-finita escremenziale.

Col tempo, la fila dei primisi è notevolmente ingrossata,ma il contrasto tra queste posi-zioni estreme, anche se la criti-ca - e Jacques Derrida in parti-colare - si è spinta molto avantinella decifrazione delle aporiegenetiane, è rimasto insanabi-le. C'è da sperare che i conve-gni, le rappresentazioni e lepubblicazioni che si succede-ranno in questo periodo di an-niversari (il 19 dicembre ricor-reva il centenario della nascitadello scrittore e il prossimo 15aprile saranno venticinque an-ni dalla sua morte) aiutino nontanto a comporlo, quanto acomprenderlo e ad accettarlo.

In questo senso è preziosa

la nuova edizione delle Operenarrative che Dario Gibelli eMassimo Fumagalli hanno cu-rato per Il Saggiatore. In luogodell'ampia antologizzazionedell'edizione precedente pro-gettata da Giacomo Debene-detti e curata nel 1975 da Gior-gio Caproni, offre le traduzioniintegrali dell'edizione canoni-ca licenziata dall'autore, tre adopera di Dario Gibelli (Notre-Dame-des-Fleurs, Miracolo dellarosa e Querelle di Brest) e una(Pompe funebri) di Yasmina Me-laouah. Solo per Diario del la-dro si è conservata la traduzio-ne di Caproni, ma sottoposta aun rispettoso lavoro di unifor-mazione.

I testi - in cui figurano an-che quelle due o tre pagine diPompe Funebri che trentacin-que anni fa Caproni avevaespunto perché «non facilmen-te presentabili in italiano» - so-no preceduti da un'Introduzio-ne che svolge con estrema chia-rezza ed efficacia la sua funzio-ne didascalica senza cadere insemplificazioni e senza elude-re le questioni più controversee da una Cronologia di Albert

Dichy, che di Genet è forse og-gi il massimo specialista. Nonmanca nulla insomma perchési possa affrontare una letturaseria e informata di un'operache, come succede a tutte quel-le che hanno infranto dei tabùe contribuito a spostare i limiticonvenzionali del lecito e del di-cibile, ha oggi molto affievolitola sua forza di scandalo.

Resta comunque un pastodi forti e contrastanti sapori,adatto a lettori impavidi e nontroppo schizzinosi, i quali nonmancheranno anche di apprez-zare, come un raffinato, inatte-so dessert, le gustose e pene-tranti pagine critiche di CarloEmilio Gadda che i curatorihanno messo in appendice.

L ars Kepler è lo pseudoni-mo dietro al quale si na-scondono i coniugi Ahn-

doril - Alexandra e Alexander- che da Stoccolma si sono av-viati sulla strada della gloriagialla con quello straordinarioIpnotista indicato da alcunicome la prima vera risposta al-la trilogia Millenium di Lars-son. L’invenzione era stataquella di far interagire, macon storie quasi autonome, lopsichiatra Erik Maria Bark el’investigatore Joona Linna.Un romanzo diviso in due, insostanza, che però confluiva inun gran finale condiviso.

Ne L’esecutore (trad. Bas-sini, Corbetta, Fagnoni, Lon-ganesi, pp. 573, €18.60) la tec-nica rimane grosso modo lastessa: Linna si prende la suametà. Ma il coprotagonista siscinde in tre-quattro per l’al-tra metà. Facendo entrare ingioco, in una sorta di intelli-gente moltiplicazione, altret-tante storie personali, ciascu-na in grado di vivere di vita

propria, per confluire infine nel-lo stesso comune fiume logico.

Così, di volta in volta, si vie-ne catturati dalla vicenda perso-nale di Penelope Fernandez, gio-vane pacifista nel mirino di unkiller professionista per via diuna fotografia in suo possesso(ma di cui ignora fino in fondo ilvalore dirompente) che ritraequattro volti compromessi nelmercato clandestino delle armi

verso il Sudan. Per passare poialla storia dei due fratelli Ries-sen, Alex e Robert: il primo, violi-nista mancato, incapace di pren-dere sonno se non tra le bracciadi una ragazzina disturbata,ora responsabile governativoper l’esportazione di armamen-ti, succeduto al suo predecessoreimpiccatosi, in modo del tutto in-spiegabile, al gancio del lampa-dario di casa. Il secondo, liutaio,

dalle non chiare ambizioni, irri-tabile e rancoroso.

Altro filone: quello della bel-lissima Saga Bauer, frustratarappresentante della Sapo, i ser-vizi segreti svedesi, sempre sul-l’orlo di una crisi di nervi inquanto perennemente bistratta-ta per essere la sola donna in unclan del tutto maschilista. Infi-ne, il diabolico burattinaio diogni mortale contrabbando, ilragno Raphael Guidi, che impa-nia tutti nella sua micidiale retegrazie al demoniaco «patto diPaganini», che si basa sulla leg-genda secondo la quale il virtuo-so genovese avesse venduto l’ani-ma al diavolo pur di portare al-l’estremo la sua arte.

Naturalmente densa e minac-ciosa è la presenza possente diJoona Linna, temperata però daun innamoramento tanto genti-le quanto inatteso. E dal suo ter-ribile soggiacere a lancinantiemicranie che lo annebbiano fi-no a perdere i sensi nei momenticruciali. Morti in quantità, rit-mo frenetico, buona scrittura.

TOM ROBBINS, TRA FAVOLA E WIKIPEDIA

Sono la Fata della Birra= Si tratti di lager, di pilsner o di stout, la birra nonrimanda soltanto alla chimica ma anche alla metafisica eall'ermeneutica, al punto che se siete una vispa e irrequietapargoletta di cinque anni (anzi, per l'esattezza, quasi sei)come Gracie, la protagonista di B come birra di Tom Robbins(tr. Salvatore G. Fichera, ill. Leslie LePere, B.C.Dalai, pp.134,€14) e ne bevete per disperazione o per dispetto una lattina,vi può capitare di incontrare la Fata della Birra che, per dirlacon le sue parole, non è né «una testimone di Geova» né «unascout che vende biscotti», bensì una creaturina più minuscoladella Trilly di Peter Pan, capace di farvi volare oltre la

«Cucitura», cioè aldilà di quel mondo comune che è alla finfine «la schiuma che fluttua sul mondo reale».Proprio a cavallo della Cucitura si colloca a sua volta questadeliziosa opera minore di Robbins, magica e surreale,irriverente e fiabesca, scanzonata ma lambìta dalle tristezzedella vita, capace di strizzar l'occhio con divertita e divertentecomplicità ai capricci e ai pianterelli dell'infanzia e insieme alledebolezze e alle miserie degli adulti: un incrocio solo di primoacchito assurdistico tra un manuale del fai-da-te, una schedadi Wikipedia sulla storia di questa bevanda (inventata dagliantichi Egizi ma esorcizzata dalle catechiste della scuoladomenicale) e una favola della buonanotte scritta a quattromani da Lewis Carroll e Gianni Rodari e condita con unpizzico di domestico humour alla maniera del vecchio

Woodehouse. Un raccontino che induce a ben sperare nellarinascita di una narrativa d'autore per famiglie, capace direcuperare la voglia e il gusto dell'immaginazione anzichéconcedersi alla virtualità virtuosistica della tecnologia.Come, su toni e timbri differenti, L'albero dei desideri, unlibretto scritto da William Faulkner nel lontano 1964 cherimanda ad Alice nel Paese delle Meraviglie e a Il mago di Oz(tr. Luca Scarlini, ill. E Guazzelli, Donzelli, pp.60, €13,50).Perché non regalare ai propri pargoli cose del genere anzichéil classico telefonino e leggerseli ogni tanto tutti insieme, conun risparmio ecologico di energia televisiva?Anche ad entrare in questo ordine di idee, può servire unaFata della Birra. Ruggero Bianchi

Genet, una vitanel segnodell’infamia

«Gran bella cosaè vivere, miei cari»:il poeta turco fonderomanzo, versi, teatroin autobiografia

«Il club degliincorreggibili ottimisti»:Guenassia ripercorrei mille tradimentidi un secolo di ferro

Nel bistrot finiscel’epoca di Sartre

Con Hikmettra amoree prigionia

A ROMA, I PICCOLI EDITORI

Più libri più liberi= «Più libri più liberi»: si inaugura il 4 dicembre,a Roma, la nona edizione della fiera nazionaledella piccola e della media editoria. Oltrequattrocento case, più di settecento ospiti. DaAndré Schiffrin (Il denaro e le parole, Voland) aLuis Sepúlveda, da Sandro Veronesi a AndreaCamilleri, da Lucio Dalla a Serena Dandini. Dirilievo, anche, il programma per i ragazzi:laboratori, spettacoli, tre mostre d’illustrazione,un premio riservato ai racconti ambientali. Perulteriori informazioni: www.piulibripiuliberi.it

pp Jean Genetp OPERE NARRATIVEp a cura di Dario Gibelli

e Massimo Fumagallip Il Saggiatore, pp. 1312, €55p Il volume raccoglie Notre-Dame-

des-Fleurs, Miracolo della rosa,Pompe funebri, Querelle diBrest, Diario del ladro

pp Jean-Michel Guenassiap IL CLUB DEGLI

INCORREGGIBILI OTTIMISTIp trad. di F. Brunip Salani, pp. 701, €18,60p Il romanzo di formazione politi-

ca di una generazione

IL GIALLO NORDICOPIERO SORIA

L’esecutore uccidesecondo Paganini

Nuova torbida storia di Lars Keplerdopo il grande successo dell’Ipnotista

pp Nazim Hikmetp GRAN BELLA COSA

È VIVERE, MIEI CARIp trad. di Fabrizio Beltramip a cura di Giampiero Bellingerip Mondadori, pp. 262, €19,50

Vita L’opera scritta nell’esiliomoscovita un anno prima di morire

Una lettura seriae informata delle Operenarrative che col tempohanno molto affievolitola loro forza di scandalo

Jean-Paul Sartre, ospite ed icona intellettuale del Café de Flore a Parigi

Un sogno Anni 50 Politici e intellettuali fuggiti dai Paesicomunisti a Parigi, quasi tutti ebrei, attratti da Israele

Nell’esistenzae sulla paginauna radicale rispostaal destino di bambinolasciato dalla madre

André Schiffrin

Un ritratto di Jean Genet

Tom Robbins

Scrittori stranieriIVTuttolibri

SABATO 27 NOVEMBRE 2010LA STAMPA V

Page 6: Tuttolibri n. 1742 (27-11-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VI - 27/11/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: SILRUF - Ora di stampa: 26/11/10 21.13

«Libro Rosso» Nell’Olimpo interiore di un padre fondatore della psicoanalisi: la suaelaborazione, alla ricerca di un nuovo equilibrio, dopo la rottura con il «padre» Freud

ALESSANDROMONTI

Roberto Calasso ci con-duce con L’ardore nel cuore pul-sante della civiltà vedica e congrande efficacia ci parla della con-trapposizione tra civitas, qui rap-presentata dal villaggio, luogo del-la convivenza, e la foresta, aran-ya, luogo che sembra negarsi alleleggi stesse del vivere sociale.L’aranya è il luogo tradizionaledell’esilio e del romitaggio: vana-prastha è ancora oggi nel lessicoinduista colui che si ritira nella fo-resta, vana, come stadio prelimi-nare a una vita di completa rinun-cia. Tuttavia per la società antica,e a noi semisconosciuta dei Veda,la dialettica villaggio-foresta si po-ne in modo diverso: la foresta è ilcentro di un percorso nomade se-gnato volta dopo volta da Agni, ildio vedico del fuoco; i villaggi so-no distrutti e ricostruitialtrove inun eterno movimento in avanti,ma il villaggio stesso è il luogo incui ardono di continuo i fuochi ri-tuali e dove s’innalzano rustici al-tari per i sacrifici, presto inghiot-titi dalla foresta. Ancora oggi nellessico induista agnihotri è l’appel-lativo riservato a un brahmanoche nella sua dimora tiene accesoun fuoco sacro perenne.

Da questo «ardore», che aprestrade nella foresta e nello stessotempo vede il villaggio come tap-pa di un errare che si lascia allespalle ciò che si è costruito, na-sce il concetto di tapas, un caloreche scalda l’interno del corpo esale sino alla bocca dello stoma-

co nutrendolo: nel mito induistadi Savitri è il padre stesso a gene-rarla, dentro di sé, dalla sua me-ditazione. Ed è appunto da que-sto incessante stordimento tra-scendentale che ha origine il ta-pasmarga, la «via dell’ardore»,ed è forse così che nel mondo in-duista si trascorre dall’ebbrezzamistica a fasi progressive e sem-pre più stringenti di omologazio-ne del rito rispetto all'ordine so-ciale.

Quindi, bisogna partire dallecorrispondenze che la mente ve-dica voleva o cercava di allaccia-re tra entità concettuali diverse.

Strumento di questa ricerca,che la successiva filosofia advai-ta della non-dualità potrà defini-re del principio unico, era il sacri-ficio, la cui meticolosa e ripetiti-va osservanza ritualistica finìcon l’essere equiparata al mododi vita ascetico. In altre parole, èforse lecito dire che al fuocoesterno del sacrificio, da cui è co-stituito lo spazio consacrante lacomunità, si sostituisce il fuocointerno nato dalla meditazione:un nutrimento interiore che asua volta genera vita.

Al principio di tutto vi è il sa-crificio (yajna), che rappresenta

l’ombelico (nabhi) dell’universo.D’altra parte Calasso ci indi-

ca come alla base del rito agiscaun processo, necessario e inelut-tabile, di interiorizzazione indivi-duale. Qui abbiamo un ulterioreindizio dei modi in cui può esser-si svolta la dialettica tra rito,ascesi e ordine sociale. Mi riferi-sco all’omologia che si compietra l’allontanamento, o segrega-zione, degli dèi dagli uomini, di-stanza questa che il sacrificantedeve a sua volta porre in atto peraccedere al rito sacrificale.

In un’ottica complementare,lo spazio sacrificale costituisceun luogo intermedio tra il mondodegli uomini e quello degli dèi.Possiamo credo prolungare que-sto stato di mediazione nella figu-ra interiorizzante del samnyasin,di colui che compie l’atto ultimo edefinitivo di rinuncia, uscendo co-sì dal mondo senza più rientrar-vi, a differenza del movimento dioscillazione a cui è tenuto il sacri-ficante vedico.

In definitiva, l’assorbimentocognitivo del rito conduce all’imi-tazione attraverso l’omologia; datale procedura che va oltre il ritopuro e semplice può nascere ilconcetto di autorizzazione, ovve-ro la possibilità di fondare ciòche è autorevole su confluenze diomologie tra il dio e chi all'origi-ne lo nutriva per mezzo del sacri-ficio. Questa forma introiettatadi cibo ci conduce al tapas, un ca-lore che cuoce salendo alla boccadello stomaco e alimentando l’es-sere con il cibo degli dèi. È in taleprospettiva che il termine tapas,ascesi, non può essere assoluta-mente confuso con la voce vrata,penitenza. Quest’ultima indicaconformità ai modelli dharmici,l’adeguarsi a valori prestabiliti.Ne fanno fede i miti in cui Kali laNera si sottopone come sposa diShiva a estenuanti vrata per di-ventare la candida Parvati, o dicome la moglie induista sia pati-vrata, colei che pratica vrata a be-neficio del marito.

ERNESTOFERRERO

«Non ti preoccupare,è letteratura», mi dice Rober-to Calasso quando gli confessola mia totale impreparazionead affrontare un testo vertigi-nosamente complesso comeL'ardore, settimo tassello dell'indagine che va conducendoda quasi trent'anni anni e hapreso avvio con La rovina diKasch. Ho ancora negli occhilo stupore dei ragazzi indianiche al Festival di Jaypur, ingennaio, ascoltano rapiti la lec-tio magistralis dello studiosoche, pur arrivando da tantolontano, si muove con tranquil-la famigliarità nella matassa,labirintica ed elusiva, di mitidi fondazione che si inseguo-no, sovrappongono, contraddi-cono. È quel che ci rimane dell'

India vedica: una civiltà di tre-mila anni fa che non ha lascia-to monumenti in pietra o per-sonaggi monumentali, comeHammurrabi o Ramses, ma siè espressa nelle parole di unalingua che è stata definita«perfetta», il sanscrito, e inuna liturgia minutamente sta-bilita e ossessionata dal sacrifi-cio, dove la sfera del mistico edel divino è una sorta di lunache si specchia nel mare disangue degli animali uccisi; do-ve l'esigenza del riscatto ri-guarda non solo gli uomini matutto il vivente, nella sua totali-tà; e dove infine l'unico mo-mento vero, e quindi reale, èproprio l'esperienza del divinoche nel sacrificio si realizza.

Nella loro «abissale eccen-tricità» i ritualisti vedici ave-vano il coraggio di affrontarequestioni cruciali: non offriva-no soluzioni, ma sapevano iso-lare e contemplare nodi chenon si sciolgono. Non è detto,dice Calasso, che il pensieropossa fare molto di più.

Non usavano nemmeno unapparato di simboli, che com-portano sempre una certaprecisione classificatoria. Illinguaggio vedico rimandapiuttosto ad affinità, legami,vincoli plurimi: assomiglia auna rete, è una possibilità incui l'analogico e il digitale, perusare concetti oggi usuali cheCalasso utilizza per illumina-re un contesto tanto remoto,riescono forse trovare una lo-ro composizione. E d'altraparte le metafore con cui siesprimono quegli spregiatoridella Storia e delle cronologiesembrano alludere proprio al-le moderne cosmologie: il fuo-co, a loro tanto caro, è quellodel Big Bang originario; la fe-roce guerra tra i Deva e gliAsura, dèi e antidèi, evoca loscontro fra materia e antima-teria; gli antenati dei brahma-ni risiedevano nei sette astridell'Orsa Maggiore ed eranocapaci di inghiottire intereparti dell'universo, propriocome i Buchi Neri.

Se i celebranti sono dei pas-seurs che non si stancano dimettere in comunicazione vi-ta, morte e rinascita, i testi ve-dici rappresentano un'esplora-zione dell'«inesplicito illimita-to» in cui il rischio continuodel naufragio fa parte del gio-co, è quasi un desiderio incon-scio, un'uscita dal sé per im-mettersi nel vuoto cosmicodell'inconoscibile. È la sfidaimpossibile che la vera lettera-tura si propone da sempre eche Calasso ha fatto sua, visto

che le certezze (le presunzioni)del razionalismo occidentalesembrano a fine corsa.

Tra raffinati scandagli eti-mologici e riflessioni antropolo-giche, Calasso si interroga inparticolare sul concetto di sacri-ficio, che nell'età moderna le so-cietà secolarizzate rifiutano e ri-muovono infastidite come resi-

duato di età barbariche. Eppureil Cristianesimo si fonda sul sa-crificio del figlio di Dio per la sal-vezza dell'umanità, e il concettodi sacrificio continua ad esserelegato, sia pure con qualche ec-cesso retorico, a qualcosa di no-bile, di alto, di etico (speciequando a sacrificarsi sono gli al-tri). Le domande che i testi vedi-

ci pongono con tanta elegantesottigliezza arrivano sì dalla not-te dei tempi, ma risultano piùutili delle banali risposte sempli-ficate che ci diamo per sopravvi-vere. Specie in una società che,rimosso il divino, sembra averrinunciato a rimettere in discus-sione anche i propri strumenticoncettuali.

VIENNA 1938

Casa Freud= «Si entrava nell’edificioattraverso un portone adarco...». Berggasse 19,l’indirizzo cardinale dellapsicoanalisi. Lo studio e lacasa di Sigmund Freud in unracconto per immagini(Abscondita, pp. 124, € 28).Lo stesso Edmund Engelman -ritrattista princeps delProfessore e del suo mondo -introduce la galleriafotografica: dallo studio allacucina, dal gabinetto medicoalla camera della figlia Anna.E’ il 1938, Freud, allargandosil’ombra nazista, ha appenaottenuto il permesso dilasciare la capitale austriacaper trasferirsi a Londra.

I SOGNI

A libro aperto= Inchiestasull’Interpretazione dei sogni,fra i libri cardinali dellamodernità. In Sognare a libroaperto (Bollati Boringhieri,pp. 237, € 22), Lydia Marinellie Andreas Mayer raccontanole vicende di un classico, la suagenesi e la sua fortuna. SeL’interpretazione dei sogniricevette lo status di testofondante della psicoanalisi,questo si deve al fatto che essaera stata destinata a daretestimonianza di un eventounico e irripetibile:l’autoanalisi di SigmundFreud».

TUTTI I SEGRETI

Sul divano

= Un divano come biografo.Il divano «vuota il sacco».Christian Moser, saggista,illustratore e autore di fumetti,immagina che in SigmundFreud (Raffaello Cortina ed.,trad. di Anna Castelli, pp. 149,€ 16) che il leggendarioarredo di Berggasse 19 sveli isegreti del Professore. Nellostudio e fuori di casa.

DA CIRCE A GIANO

Antichi miti= Un viaggio in tre tappenella storia delle origini. LiciaFerro Monteleone racconta iMiti romani (Einaudi, pp. 421,€ 14, con un saggio diMaurizio Bettini), da Giano, aRomolo e Remo, alle oche delCampidoglio.Luc Ferry illustra come«imparare a vivere» con Lasaggezza dei miti (Garzanti,pp. 372, € 18, traduzione diEmanuela Lana): nellamitologia vedendo «unapreistoria della filosofia, di cuiè indispensabile lo studio percomprendere non solo la suanascita, ma anche la suanatura più profonda».Sul Mito di Circe sisoffermano Maurizio Bettini eCristiana Franco (Einaudi, pp.402, € 28), ovvero immagini eracconti dalla Grecia a oggi.Nei secoli dei secoli, traletteratura, arte, film (comeUlisse di Camerini, con SilvanaMangano e Kirk Douglas.

AUGUSTOROMANO

Il sodalizio tra Sig-mund Freud e Carl GustavJung durò circa otto anni e fuintenso e tormentato. La cor-rispondenza tra i due fondato-ri della psicoanalisi (Letteretra Freud e Jung, Bollati Borin-ghieri) mostra in modo dram-matico le grandi aspettativereciproche - Freud ritenevaJung il suo erede spirituale equesti per qualche tempo con-siderò Freud come un padre -e insieme il sorgere e il consoli-darsi di un conflitto che alla fi-ne portò Jung a una traumati-ca separazione. Jung cadde al-lora in una condizione di solitu-dine e di disorientamento, ca-ratterizzata «da un’interna op-pressione, a volte così forte dafarmi pensare che potessi es-sere affetto da qualche distur-bo psichico».

Chi ha attraversato, o an-che soltanto osservato, situa-zioni analoghe sa che esse pos-sono avere esiti diversi: un Iopassivizzato subisce lo stato didisagio che, restando incon-scio nelle sue radici, tende acronicizzarsi e a progressiva-mente peggiorare; oppure l’Iopuò tentare di affrontare a oc-chi aperti l’inferno in cui è ca-duto e così, se la fortuna lo aiu-ta, uscirne rafforzato, portan-do alla luce della coscienzanuove idee e nuovi progetti.Lo storico della psichiatria H.Ellenberger parla a questoproposito di «malattia creati-va» e applica questo concettoalle esperienze di squilibrioemotivo attraversate sia daFreud che da Jung: occasioniuniche di incubazione dei ri-spettivi sistemi psicologici. Ilche mostra ancora una voltacome i mali più gravi possanoessere occasione di decisivetrasformazioni interiori.

Jung scelse la via del con-fronto e la percorse impavida-mente, cogliendo il premio di ri-tornare dal viaggio infero conuna personalità più solida econ una più matura consapevo-lezza della «realtà dell’anima».Come ebbe poi a scrivere, «glianni più importanti della mia

vita furono quelli in cui insegui-vo le mie immagini interiori. Aessi va fatto risalire tutto il re-sto. […]La mia vita intera è con-sistita nella elaborazione diquanto era scaturito dall’incon-scio, sommergendomi comeuna corrente enigmatica e mi-nacciando di travolgermi».

E’ un’affermazione che cipermette di aprire le porte diquesto libro eccezionale. In es-so non troverete ragionamen-ti e teorie, o sarete voi stessi aformularli, astraendo dallafantasmagoria di immagini incui il libro consiste, col rischioperò di perdere ciò che è es-senziale. Essenziali sono ap-punto le immagini, cioè le figu-re parlanti che, emergendodall’inconscio, intrecciano conJung dialoghi e azioni; e le im-magini che, prendendo spuntoda quegli incontri, Jung stessodipinge. Giacché c’è del meto-do in questa follia. E il metodoconsiste nel creare le condizio-ni perché l’inconscio si manife-sti in figure e nel mettersi «se-riamente» a confronto con lo-ro, comportandosi come sefossero persone reali. Questoè ciò che Jung più tardi chia-mò «immaginazione attiva».

Il Libro Rosso testimonial’impegno, anzi la dedizione re-ligiosa con cui Jung ha condot-to questa impresa: egli ha in-fatti trascritto in quel quader-no le fantasie prodotte nell’ar-

co di circa quindici anni e i suoicommenti spontanei, e lo ha fat-to in caratteri gotici, miniando icapilettera, modificando a se-conda delle circostanze dimen-sioni e colori delle lettere, e ag-giungendovi un profluvio di pit-ture colorate: il tutto riprodottocon grande cura, insieme allascorrevole traduzione italiana,in questo volume meraviglioso,nel senso specifico di ciò che de-sta meraviglia. Non c’è in que-

sta operazione traccia di auto-compiacimento; essa è sempli-cemente la manifestazione tan-gibile del fatto che ogni impresaestrema, da cui facciamo dipen-dere il nostro destino, richiedeun coinvolgimento totale, unafatica che è anche fisica. Al tem-po stesso, il monumento costrui-to con tale suprema accuratez-za rappresenta una sorta di con-tenitore ideale, l’equivalente diun gesto apotropaico contro i

pericoli dell’inconscio.La grandezza di questo libro

sta nell’essere l’illustrazione diun metodo in azione: scene trat-te dalla vita interiore si dispiega-no sotto i nostri occhi, in una for-ma a volte grezza a volte più raf-finata, ma in cui sempre il denu-damento dell’anima ha una sin-cerità sconcertante. Il rapportocon ciò che viene dal profondo èmesso sotto il segno della imme-diatezza e trova il suo fonda-

mento di verità nel fatto stessodell’incontro con le immagini incui l’inconscio si incarna. I con-cetti tornano a essere Potenze.E dunque la piena legittimazio-ne della fantasia come strumen-to di conoscenza ha come conse-guenza un processo di rimitizza-zione che non ha forse eguali nelmondo contemporaneo. Di que-sto Jung era certamente consa-pevole, come risulta dalla suapolemica antintellettualistica:

«Qualcosa accade sempre, noiperò non accadiamo, perché ilnostro dio è malato […]L’abbia-mo ucciso a forza di volerlo com-prendere».

L’Olimpo interiore di Jungbrulica di figure, alcune davve-ro terrificanti. Qui ricorderò al-meno quella di Filemone, mae-stro di imprendibilità, vecchiosaggio, misterioso, ambiguo, iro-nico, sibillino, mercuriale, sfug-gente, che tiene insieme gli op-posti e quindi conosce il «mon-do di sotto» ma non è disposto aparlarne, preferendo che l’adep-to ne faccia esperienza. Jung ri-conosce questa dura saggezza:«Tu non sei il Salvatore che sta-bilisce una verità eterna […]Cri-sto ha reso gli uomini avidi, per-ché da allora essi si aspettanodoni dai loro salvatori, senzanulla dare in cambio. La virtùdel donare è il manto celeste deltiranno. Tu sei saggio, Filemo-ne, non regali nulla».

Qualcuno chiederà: «Ma, al-la fine, cosa vuole questo incon-scio da Jung?». Non mi dilun-gherò su questo argomento, cheva lasciato alla lettura parteci-pe. Dirò soltanto che l’intero Li-bro Rosso è attraversato da duetemi che si rincorrono e si so-vrappongono costantemente.Uno è il tema della totalità, inte-so come esigenza di tenere insie-me gli opposti (conscio e incon-scio, bene e male, e così via) al-l’interno della psiche. L’altro èquello della «via individuale»:«Esiste un’unica via, ed è la tuavia; soltanto una redenzione, edè la tua personale redenzione».L’intreccio di questi temi portain primo piano la funzione tra-sformatrice del cosiddetto maleed esita nella relativizzazionedell’Io e delle sue certezze, nella

valorizzazione del conflitto e, in-fine, in un elogio del dubbio co-me inizio della saggezza, «giac-ché nel dubbio verità ed erroresi incontrano». Nessuna conso-lazione, ma la piena accettazio-ne della intrinseca contradditto-rietà del reale.

E per concludere: «Per coluiche ha visto il caos non c’è piùpossibilità di nascondersi, eglisa piuttosto che la terra gli oscil-la sotto i piedi e sa che cosa si-gnifica quel movimento. Ha vi-sto l’ordine e il disordine dell’in-finito, sa dell’esistenza di leggi il-legali. Conosce il mare e nonpuò più scordarlo».

La civiltà vedicailluminavillaggi e foreste

FURIO JESI

O ggi pomeriggio andiamoa restituire la visita a Ge-sù!». Così si sentì dire

dalla mamma il piccolo ArturoPaoli, mentre assaporava una de-liziosa cioccolata calda, offertadal parroco ai bambini che ave-vano appena ricevuto la primacomunione. Il pomeriggio di quelgiorno di festa Arturo lo avrebbecosì trascorso in un ospizio peranziani, dove la mamma rende-va mille servizi, «visitando» Ge-sù nel povero dopo averne ricevu-to la visita nell’eucarestia. Inquella semplice annotazione diuna madre mi pare racchiusal’intera esistenza - giunta in que-sti giorni ai 98 anni - di un uomodi fede, di speranza e di carità:Arturo Paoli non ha fatto altroche restituire continuamente lavisita a Gesù negli uomini e nelledonne cui si è fatto prossimo. E inquesto modo ha reso presente Ge-sù stesso agli ultimi, ai diseredatie agli emarginati della storia: pa-rabola di questa accoglienza reci-proca sono stati il pensare, il par-lare e l’agire di questo «piccolofratello» universale.

Silvia Pettiti in Arturo Paoli.Ne valeva la pena (San Paolo,

pp. 236, € 16) ricostruisce con com-petenza, partecipazione e affetto lavicenda di un uomo che ha attra-versato l’intero Novecento: branidi conversazioni con fr. Arturo,confidenze e documenti di amici econoscenti, materiale fotografico eantologico ci consentono di conosce-re dal di dentro non solo un limpi-do testimone del Vangelo, ma an-che le vicende della Chiesa italianae universale negli anni del fascismoe del dopoguerra, delle speranzeconciliari e delle attese latino-ame-ricane, della riscoperta del povero

come destinatario privilegiato del-la buona notizia di una salvezzache inizia già qui e ora.

«Giusto tra le nazioni» per lasua opera di protezione e salvatag-gio di diversi ebrei dopo le leggirazziali, attivissimo protagonistadell’Azione cattolica a livello loca-le come nazionale, Arturo Paolitrova nell’intuizione profetica difr. Charles de Foucauld la tradu-zione più adeguata del suo anelitoa una testimonianza radicalmenteevangelica: «uomo cosmico» lo ave-va definito un suo professore uni-

versitario, e il crogiolo del desertodel Sahara plasmerà la tempra diquest’uomo dalla profonda cattoli-cità - cioè capace di pensare e vede-re la realtà nella sua dimensioneuniversale -, ne farà un cristianomite e tenace come solo i miti san-no essere, capace ancora oggi diproseguire la sua corsa, spenden-dosi continuamente per quei pove-ri presso i quali sa di poter «resti-tuire la visita a Gesù».

Interrogato sul suo passato, co-sì lungo e fecondo, fr. Arturo nonpuò che affermare con forza: «Ne

valeva la pena». Sì, come recitavaPessoa: «Tutto vale la pena sel’anima non è piccola». E non è cer-to piccola l’anima di questo picco-lo fratello che ora, tornato nellasua Lucca dopo essere passato fa-cendo il bene per l’intera AmericaLatina, si sente come una leggerabarca senza remi che si lascia por-tare dalla corrente verso la focetanto attesa e desiderata. Per illettore risuona il dolce invito chechiude queste pagine: «Guardateil vecchio dalla riva; avete tempo,potete anche dialogare con lui per-ché l’acqua scorre molto lentamen-te... Non temete: l’Amico lo tieneper mano, soavemente o con ener-gia, e non lo lascerà fino all’incon-tro con l’Infinito».

Sì, Arturo Paoli è stato ed è unautentico testimone del Vangelonei nostri giorni. A volte non mi so-no trovato d’accordo con le sue po-sizioni, ma ho sempre nutritogrande rispetto e riconoscenza ver-so di lui. Per questo ho provato tri-stezza quando, al suo rientro inItalia, gli fu impedito di prenderela parola in un’importante assem-blea ecclesiale. Il lavoro della Pet-titi rende giustizia anche di que-sta ferita gratuita.

«Parinirvana», il nirvana comeestinzione della sofferenza,

l’esperienza che segue la morte, inattesa della rinascita: scultura

tardo V sec. d. C., grotta 26,Ajanta (India), dal volume

Buddhismo, edito da Electa

Un testo di vertiginosacomplessità, un viaggionel vuoto cosmicodell’inconoscibile,una sfida letteraria

Tra eremitica ascesie convivenza sociale,un eterno movimentoin avanti, il fuocosacro della meditazione

Calasso Alla scoperta dell’India di tremila anni faesplorando miti, divinità, rituali, simboli e mistica

LONTANO E VICINOENZO BIANCHI

Arturo, nostrofratello cosmico

«Ne valeva la pena»: il Novecentodi Paoli, «giusto tra le nazioni»

pp C.G. Jungp IL LIBRO ROSSOp a cura di Sonu Shamdasanip trad. di Maria Anna Massimello,

Giulio Schiavoni e Giovanni Sorgep Bollati Boringhierip pp. 371,€150

pp Roberto Calassop L'ARDOREp Adelphi, pp. 529, €35

Sacrificarsima con ardoresegue da pag. I

«Gli anni piùimportanti della miavita furono quelli incui inseguivo le mieimmagini interiori»

ca: il mito gnostico della luce-materia, la discesa alle originidella vita, i miti connessi al nu-mero 4 e le quattro valenze delcarbonio - il mondo del picco-lissimo, come copia in miniatu-ra del mondo del grandissi-mo). III) Viaggi dell'«anima»(l'esperienza del grandissimoe del piccolissimo - la vicendadi Gulliver e quella di Alice - il«viaggio» allucinatorio delladroga - le calate agli Inferi - il«mondo rovesciato» di Throu-gh the Looking Glass).

4. Dal «mondo rovesciato»alla «festa» in cui si sospendo-no il tempo e le abitudini con-suete: necessità di ampliamen-to del tempo («festa» e «tem-po libero» - la festa mitica gre-ca - la musica, la danza: Dioni-so, popolazioni «primitive», ilmito della musica liberatrice -musica underground - lo spet-tacolo teatrale (che evoca ocrea miti) come «festa» collet-tiva - il living Theater - il mitodell'attore o dell'attrice).

5. Dal mito dell'attore/attri-ce, al mito dell'«eroe» in gene-re: ampliamento dell'io (l'eroe«positivo» e «negativo» - eroenero -, e la donna mitica, nell'antichità, presso i «primitivi»,e oggi - il «Trickster», il mago -l'occultismo, l'occultismo tec-nicizzato (Batman) - due alter-native dell'eroe mitico attualeil mito del leader autocrate e ilmito dell'eroe benefico e pacifi-co (come Gandhi o Schweit-zer) - un'alternativa all'eroefortemente personalizzato (ag-gressivo o pacifico): l'eroe-sim-bolo, il campione sportivo, ilcantante, ecc. - l'eroe come co-lui che ha successo).

6. Miti della collettività: am-pliamento delle strutture so-ciali (l'eroe-simbolo, come em-blema della società del benes-sere - l'Atlantide e le altre so-cietà perfette del mito antico -i miti moderni delle perfettesocietà future - un'alternativa:il rifiuto delle verità offerte dal-la scienza moderna e strumen-talizzate nelle attuali struttu-re sociali: il mito come rifiutodel sistema, la contestazionegiovanile - i miti delle «comu-ni» hippies - un parallelo anti-co: miti di iniziazione, gruppiristretti e vincolati da un mitoda ripetersi - miti della cavalle-ria medievale - ieri e oggi, lacerca dell'Oriente; l'alternati-va «di destra»: fondamenta mi-tiche dallo Stato - la tripartizio-ne mitica delle società indoeu-ropee (G. Dumézil: sovranitàsacrale/ guerra/ produzione).

7. Miti della produzione edel consumo: ampliamentodell'attività e dei beni (miti sul-le origini della metallurgia odei lavori artigianali in genere- il mito moderno dell'uomoche «produce» - sua tecniciz-zazione - il valore della cosaprodotta - il "tesoro" dei mitiantichi e il moderno bene diconsumo che dà prestigio - tec-niche di «persuasione» che siservono di elementi mitici -condizionamento delle sceltedi massa; miti antichi e «primi-tivi» relativi alla sapienza e al-la conoscenza - miti moderniconnessi alla cibernetica e all'automazione (come conclusio-ne del «mito della macchina»)- dal mito alchemico dell'ho-munculus di Paracelso e dalmito qabbalistico del Golem almito dell'uomo non-uomo, ilrobot).

Letture

Freud visto da Christian Moser

p

I mitisecondo Jesidai totemai robot

Ma che cosa vuolel’inconscio da Jung?

L’immagine grande è tratta dal«Libro rosso»

di Jung tradottoda Bollati Boringhieri.

© 2009 by Stiftung der Werkevon C. G. Jung / W. W. Norton &

Company, New York

Un quadernodi fantasie, tracommenti spontaneie un profluviodi pitture colorate

Arturo Paoli compie 98 anni il 30 novembre

IdeeVITuttolibri

SABATO 27 NOVEMBRE 2010LA STAMPA VII

R

Page 7: Tuttolibri n. 1742 (27-11-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - VII - 27/11/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/06 - Autore: SILRUF - Ora di stampa: 26/11/10 21.13

«Libro Rosso» Nell’Olimpo interiore di un padre fondatore della psicoanalisi: la suaelaborazione, alla ricerca di un nuovo equilibrio, dopo la rottura con il «padre» Freud

ALESSANDROMONTI

Roberto Calasso ci con-duce con L’ardore nel cuore pul-sante della civiltà vedica e congrande efficacia ci parla della con-trapposizione tra civitas, qui rap-presentata dal villaggio, luogo del-la convivenza, e la foresta, aran-ya, luogo che sembra negarsi alleleggi stesse del vivere sociale.L’aranya è il luogo tradizionaledell’esilio e del romitaggio: vana-prastha è ancora oggi nel lessicoinduista colui che si ritira nella fo-resta, vana, come stadio prelimi-nare a una vita di completa rinun-cia. Tuttavia per la società antica,e a noi semisconosciuta dei Veda,la dialettica villaggio-foresta si po-ne in modo diverso: la foresta è ilcentro di un percorso nomade se-gnato volta dopo volta da Agni, ildio vedico del fuoco; i villaggi so-no distrutti e ricostruitialtrove inun eterno movimento in avanti,ma il villaggio stesso è il luogo incui ardono di continuo i fuochi ri-tuali e dove s’innalzano rustici al-tari per i sacrifici, presto inghiot-titi dalla foresta. Ancora oggi nellessico induista agnihotri è l’appel-lativo riservato a un brahmanoche nella sua dimora tiene accesoun fuoco sacro perenne.

Da questo «ardore», che aprestrade nella foresta e nello stessotempo vede il villaggio come tap-pa di un errare che si lascia allespalle ciò che si è costruito, na-sce il concetto di tapas, un caloreche scalda l’interno del corpo esale sino alla bocca dello stoma-

co nutrendolo: nel mito induistadi Savitri è il padre stesso a gene-rarla, dentro di sé, dalla sua me-ditazione. Ed è appunto da que-sto incessante stordimento tra-scendentale che ha origine il ta-pasmarga, la «via dell’ardore»,ed è forse così che nel mondo in-duista si trascorre dall’ebbrezzamistica a fasi progressive e sem-pre più stringenti di omologazio-ne del rito rispetto all'ordine so-ciale.

Quindi, bisogna partire dallecorrispondenze che la mente ve-dica voleva o cercava di allaccia-re tra entità concettuali diverse.

Strumento di questa ricerca,che la successiva filosofia advai-ta della non-dualità potrà defini-re del principio unico, era il sacri-ficio, la cui meticolosa e ripetiti-va osservanza ritualistica finìcon l’essere equiparata al mododi vita ascetico. In altre parole, èforse lecito dire che al fuocoesterno del sacrificio, da cui è co-stituito lo spazio consacrante lacomunità, si sostituisce il fuocointerno nato dalla meditazione:un nutrimento interiore che asua volta genera vita.

Al principio di tutto vi è il sa-crificio (yajna), che rappresenta

l’ombelico (nabhi) dell’universo.D’altra parte Calasso ci indi-

ca come alla base del rito agiscaun processo, necessario e inelut-tabile, di interiorizzazione indivi-duale. Qui abbiamo un ulterioreindizio dei modi in cui può esser-si svolta la dialettica tra rito,ascesi e ordine sociale. Mi riferi-sco all’omologia che si compietra l’allontanamento, o segrega-zione, degli dèi dagli uomini, di-stanza questa che il sacrificantedeve a sua volta porre in atto peraccedere al rito sacrificale.

In un’ottica complementare,lo spazio sacrificale costituisceun luogo intermedio tra il mondodegli uomini e quello degli dèi.Possiamo credo prolungare que-sto stato di mediazione nella figu-ra interiorizzante del samnyasin,di colui che compie l’atto ultimo edefinitivo di rinuncia, uscendo co-sì dal mondo senza più rientrar-vi, a differenza del movimento dioscillazione a cui è tenuto il sacri-ficante vedico.

In definitiva, l’assorbimentocognitivo del rito conduce all’imi-tazione attraverso l’omologia; datale procedura che va oltre il ritopuro e semplice può nascere ilconcetto di autorizzazione, ovve-ro la possibilità di fondare ciòche è autorevole su confluenze diomologie tra il dio e chi all'origi-ne lo nutriva per mezzo del sacri-ficio. Questa forma introiettatadi cibo ci conduce al tapas, un ca-lore che cuoce salendo alla boccadello stomaco e alimentando l’es-sere con il cibo degli dèi. È in taleprospettiva che il termine tapas,ascesi, non può essere assoluta-mente confuso con la voce vrata,penitenza. Quest’ultima indicaconformità ai modelli dharmici,l’adeguarsi a valori prestabiliti.Ne fanno fede i miti in cui Kali laNera si sottopone come sposa diShiva a estenuanti vrata per di-ventare la candida Parvati, o dicome la moglie induista sia pati-vrata, colei che pratica vrata a be-neficio del marito.

ERNESTOFERRERO

«Non ti preoccupare,è letteratura», mi dice Rober-to Calasso quando gli confessola mia totale impreparazionead affrontare un testo vertigi-nosamente complesso comeL'ardore, settimo tassello dell'indagine che va conducendoda quasi trent'anni anni e hapreso avvio con La rovina diKasch. Ho ancora negli occhilo stupore dei ragazzi indianiche al Festival di Jaypur, ingennaio, ascoltano rapiti la lec-tio magistralis dello studiosoche, pur arrivando da tantolontano, si muove con tranquil-la famigliarità nella matassa,labirintica ed elusiva, di mitidi fondazione che si inseguo-no, sovrappongono, contraddi-cono. È quel che ci rimane dell'

India vedica: una civiltà di tre-mila anni fa che non ha lascia-to monumenti in pietra o per-sonaggi monumentali, comeHammurrabi o Ramses, ma siè espressa nelle parole di unalingua che è stata definita«perfetta», il sanscrito, e inuna liturgia minutamente sta-bilita e ossessionata dal sacrifi-cio, dove la sfera del mistico edel divino è una sorta di lunache si specchia nel mare disangue degli animali uccisi; do-ve l'esigenza del riscatto ri-guarda non solo gli uomini matutto il vivente, nella sua totali-tà; e dove infine l'unico mo-mento vero, e quindi reale, èproprio l'esperienza del divinoche nel sacrificio si realizza.

Nella loro «abissale eccen-tricità» i ritualisti vedici ave-vano il coraggio di affrontarequestioni cruciali: non offriva-no soluzioni, ma sapevano iso-lare e contemplare nodi chenon si sciolgono. Non è detto,dice Calasso, che il pensieropossa fare molto di più.

Non usavano nemmeno unapparato di simboli, che com-portano sempre una certaprecisione classificatoria. Illinguaggio vedico rimandapiuttosto ad affinità, legami,vincoli plurimi: assomiglia auna rete, è una possibilità incui l'analogico e il digitale, perusare concetti oggi usuali cheCalasso utilizza per illumina-re un contesto tanto remoto,riescono forse trovare una lo-ro composizione. E d'altraparte le metafore con cui siesprimono quegli spregiatoridella Storia e delle cronologiesembrano alludere proprio al-le moderne cosmologie: il fuo-co, a loro tanto caro, è quellodel Big Bang originario; la fe-roce guerra tra i Deva e gliAsura, dèi e antidèi, evoca loscontro fra materia e antima-teria; gli antenati dei brahma-ni risiedevano nei sette astridell'Orsa Maggiore ed eranocapaci di inghiottire intereparti dell'universo, propriocome i Buchi Neri.

Se i celebranti sono dei pas-seurs che non si stancano dimettere in comunicazione vi-ta, morte e rinascita, i testi ve-dici rappresentano un'esplora-zione dell'«inesplicito illimita-to» in cui il rischio continuodel naufragio fa parte del gio-co, è quasi un desiderio incon-scio, un'uscita dal sé per im-mettersi nel vuoto cosmicodell'inconoscibile. È la sfidaimpossibile che la vera lettera-tura si propone da sempre eche Calasso ha fatto sua, visto

che le certezze (le presunzioni)del razionalismo occidentalesembrano a fine corsa.

Tra raffinati scandagli eti-mologici e riflessioni antropolo-giche, Calasso si interroga inparticolare sul concetto di sacri-ficio, che nell'età moderna le so-cietà secolarizzate rifiutano e ri-muovono infastidite come resi-

duato di età barbariche. Eppureil Cristianesimo si fonda sul sa-crificio del figlio di Dio per la sal-vezza dell'umanità, e il concettodi sacrificio continua ad esserelegato, sia pure con qualche ec-cesso retorico, a qualcosa di no-bile, di alto, di etico (speciequando a sacrificarsi sono gli al-tri). Le domande che i testi vedi-

ci pongono con tanta elegantesottigliezza arrivano sì dalla not-te dei tempi, ma risultano piùutili delle banali risposte sempli-ficate che ci diamo per sopravvi-vere. Specie in una società che,rimosso il divino, sembra averrinunciato a rimettere in discus-sione anche i propri strumenticoncettuali.

VIENNA 1938

Casa Freud= «Si entrava nell’edificioattraverso un portone adarco...». Berggasse 19,l’indirizzo cardinale dellapsicoanalisi. Lo studio e lacasa di Sigmund Freud in unracconto per immagini(Abscondita, pp. 124, € 28).Lo stesso Edmund Engelman -ritrattista princeps delProfessore e del suo mondo -introduce la galleriafotografica: dallo studio allacucina, dal gabinetto medicoalla camera della figlia Anna.E’ il 1938, Freud, allargandosil’ombra nazista, ha appenaottenuto il permesso dilasciare la capitale austriacaper trasferirsi a Londra.

I SOGNI

A libro aperto= Inchiestasull’Interpretazione dei sogni,fra i libri cardinali dellamodernità. In Sognare a libroaperto (Bollati Boringhieri,pp. 237, € 22), Lydia Marinellie Andreas Mayer raccontanole vicende di un classico, la suagenesi e la sua fortuna. SeL’interpretazione dei sogniricevette lo status di testofondante della psicoanalisi,questo si deve al fatto che essaera stata destinata a daretestimonianza di un eventounico e irripetibile:l’autoanalisi di SigmundFreud».

TUTTI I SEGRETI

Sul divano

= Un divano come biografo.Il divano «vuota il sacco».Christian Moser, saggista,illustratore e autore di fumetti,immagina che in SigmundFreud (Raffaello Cortina ed.,trad. di Anna Castelli, pp. 149,€ 16) che il leggendarioarredo di Berggasse 19 sveli isegreti del Professore. Nellostudio e fuori di casa.

DA CIRCE A GIANO

Antichi miti= Un viaggio in tre tappenella storia delle origini. LiciaFerro Monteleone racconta iMiti romani (Einaudi, pp. 421,€ 14, con un saggio diMaurizio Bettini), da Giano, aRomolo e Remo, alle oche delCampidoglio.Luc Ferry illustra come«imparare a vivere» con Lasaggezza dei miti (Garzanti,pp. 372, € 18, traduzione diEmanuela Lana): nellamitologia vedendo «unapreistoria della filosofia, di cuiè indispensabile lo studio percomprendere non solo la suanascita, ma anche la suanatura più profonda».Sul Mito di Circe sisoffermano Maurizio Bettini eCristiana Franco (Einaudi, pp.402, € 28), ovvero immagini eracconti dalla Grecia a oggi.Nei secoli dei secoli, traletteratura, arte, film (comeUlisse di Camerini, con SilvanaMangano e Kirk Douglas.

AUGUSTOROMANO

Il sodalizio tra Sig-mund Freud e Carl GustavJung durò circa otto anni e fuintenso e tormentato. La cor-rispondenza tra i due fondato-ri della psicoanalisi (Letteretra Freud e Jung, Bollati Borin-ghieri) mostra in modo dram-matico le grandi aspettativereciproche - Freud ritenevaJung il suo erede spirituale equesti per qualche tempo con-siderò Freud come un padre -e insieme il sorgere e il consoli-darsi di un conflitto che alla fi-ne portò Jung a una traumati-ca separazione. Jung cadde al-lora in una condizione di solitu-dine e di disorientamento, ca-ratterizzata «da un’interna op-pressione, a volte così forte dafarmi pensare che potessi es-sere affetto da qualche distur-bo psichico».

Chi ha attraversato, o an-che soltanto osservato, situa-zioni analoghe sa che esse pos-sono avere esiti diversi: un Iopassivizzato subisce lo stato didisagio che, restando incon-scio nelle sue radici, tende acronicizzarsi e a progressiva-mente peggiorare; oppure l’Iopuò tentare di affrontare a oc-chi aperti l’inferno in cui è ca-duto e così, se la fortuna lo aiu-ta, uscirne rafforzato, portan-do alla luce della coscienzanuove idee e nuovi progetti.Lo storico della psichiatria H.Ellenberger parla a questoproposito di «malattia creati-va» e applica questo concettoalle esperienze di squilibrioemotivo attraversate sia daFreud che da Jung: occasioniuniche di incubazione dei ri-spettivi sistemi psicologici. Ilche mostra ancora una voltacome i mali più gravi possanoessere occasione di decisivetrasformazioni interiori.

Jung scelse la via del con-fronto e la percorse impavida-mente, cogliendo il premio di ri-tornare dal viaggio infero conuna personalità più solida econ una più matura consapevo-lezza della «realtà dell’anima».Come ebbe poi a scrivere, «glianni più importanti della mia

vita furono quelli in cui insegui-vo le mie immagini interiori. Aessi va fatto risalire tutto il re-sto. […]La mia vita intera è con-sistita nella elaborazione diquanto era scaturito dall’incon-scio, sommergendomi comeuna corrente enigmatica e mi-nacciando di travolgermi».

E’ un’affermazione che cipermette di aprire le porte diquesto libro eccezionale. In es-so non troverete ragionamen-ti e teorie, o sarete voi stessi aformularli, astraendo dallafantasmagoria di immagini incui il libro consiste, col rischioperò di perdere ciò che è es-senziale. Essenziali sono ap-punto le immagini, cioè le figu-re parlanti che, emergendodall’inconscio, intrecciano conJung dialoghi e azioni; e le im-magini che, prendendo spuntoda quegli incontri, Jung stessodipinge. Giacché c’è del meto-do in questa follia. E il metodoconsiste nel creare le condizio-ni perché l’inconscio si manife-sti in figure e nel mettersi «se-riamente» a confronto con lo-ro, comportandosi come sefossero persone reali. Questoè ciò che Jung più tardi chia-mò «immaginazione attiva».

Il Libro Rosso testimonial’impegno, anzi la dedizione re-ligiosa con cui Jung ha condot-to questa impresa: egli ha in-fatti trascritto in quel quader-no le fantasie prodotte nell’ar-

co di circa quindici anni e i suoicommenti spontanei, e lo ha fat-to in caratteri gotici, miniando icapilettera, modificando a se-conda delle circostanze dimen-sioni e colori delle lettere, e ag-giungendovi un profluvio di pit-ture colorate: il tutto riprodottocon grande cura, insieme allascorrevole traduzione italiana,in questo volume meraviglioso,nel senso specifico di ciò che de-sta meraviglia. Non c’è in que-

sta operazione traccia di auto-compiacimento; essa è sempli-cemente la manifestazione tan-gibile del fatto che ogni impresaestrema, da cui facciamo dipen-dere il nostro destino, richiedeun coinvolgimento totale, unafatica che è anche fisica. Al tem-po stesso, il monumento costrui-to con tale suprema accuratez-za rappresenta una sorta di con-tenitore ideale, l’equivalente diun gesto apotropaico contro i

pericoli dell’inconscio.La grandezza di questo libro

sta nell’essere l’illustrazione diun metodo in azione: scene trat-te dalla vita interiore si dispiega-no sotto i nostri occhi, in una for-ma a volte grezza a volte più raf-finata, ma in cui sempre il denu-damento dell’anima ha una sin-cerità sconcertante. Il rapportocon ciò che viene dal profondo èmesso sotto il segno della imme-diatezza e trova il suo fonda-

mento di verità nel fatto stessodell’incontro con le immagini incui l’inconscio si incarna. I con-cetti tornano a essere Potenze.E dunque la piena legittimazio-ne della fantasia come strumen-to di conoscenza ha come conse-guenza un processo di rimitizza-zione che non ha forse eguali nelmondo contemporaneo. Di que-sto Jung era certamente consa-pevole, come risulta dalla suapolemica antintellettualistica:

«Qualcosa accade sempre, noiperò non accadiamo, perché ilnostro dio è malato […]L’abbia-mo ucciso a forza di volerlo com-prendere».

L’Olimpo interiore di Jungbrulica di figure, alcune davve-ro terrificanti. Qui ricorderò al-meno quella di Filemone, mae-stro di imprendibilità, vecchiosaggio, misterioso, ambiguo, iro-nico, sibillino, mercuriale, sfug-gente, che tiene insieme gli op-posti e quindi conosce il «mon-do di sotto» ma non è disposto aparlarne, preferendo che l’adep-to ne faccia esperienza. Jung ri-conosce questa dura saggezza:«Tu non sei il Salvatore che sta-bilisce una verità eterna […]Cri-sto ha reso gli uomini avidi, per-ché da allora essi si aspettanodoni dai loro salvatori, senzanulla dare in cambio. La virtùdel donare è il manto celeste deltiranno. Tu sei saggio, Filemo-ne, non regali nulla».

Qualcuno chiederà: «Ma, al-la fine, cosa vuole questo incon-scio da Jung?». Non mi dilun-gherò su questo argomento, cheva lasciato alla lettura parteci-pe. Dirò soltanto che l’intero Li-bro Rosso è attraversato da duetemi che si rincorrono e si so-vrappongono costantemente.Uno è il tema della totalità, inte-so come esigenza di tenere insie-me gli opposti (conscio e incon-scio, bene e male, e così via) al-l’interno della psiche. L’altro èquello della «via individuale»:«Esiste un’unica via, ed è la tuavia; soltanto una redenzione, edè la tua personale redenzione».L’intreccio di questi temi portain primo piano la funzione tra-sformatrice del cosiddetto maleed esita nella relativizzazionedell’Io e delle sue certezze, nella

valorizzazione del conflitto e, in-fine, in un elogio del dubbio co-me inizio della saggezza, «giac-ché nel dubbio verità ed erroresi incontrano». Nessuna conso-lazione, ma la piena accettazio-ne della intrinseca contradditto-rietà del reale.

E per concludere: «Per coluiche ha visto il caos non c’è piùpossibilità di nascondersi, eglisa piuttosto che la terra gli oscil-la sotto i piedi e sa che cosa si-gnifica quel movimento. Ha vi-sto l’ordine e il disordine dell’in-finito, sa dell’esistenza di leggi il-legali. Conosce il mare e nonpuò più scordarlo».

La civiltà vedicailluminavillaggi e foreste

FURIO JESI

O ggi pomeriggio andiamoa restituire la visita a Ge-sù!». Così si sentì dire

dalla mamma il piccolo ArturoPaoli, mentre assaporava una de-liziosa cioccolata calda, offertadal parroco ai bambini che ave-vano appena ricevuto la primacomunione. Il pomeriggio di quelgiorno di festa Arturo lo avrebbecosì trascorso in un ospizio peranziani, dove la mamma rende-va mille servizi, «visitando» Ge-sù nel povero dopo averne ricevu-to la visita nell’eucarestia. Inquella semplice annotazione diuna madre mi pare racchiusal’intera esistenza - giunta in que-sti giorni ai 98 anni - di un uomodi fede, di speranza e di carità:Arturo Paoli non ha fatto altroche restituire continuamente lavisita a Gesù negli uomini e nelledonne cui si è fatto prossimo. E inquesto modo ha reso presente Ge-sù stesso agli ultimi, ai diseredatie agli emarginati della storia: pa-rabola di questa accoglienza reci-proca sono stati il pensare, il par-lare e l’agire di questo «piccolofratello» universale.

Silvia Pettiti in Arturo Paoli.Ne valeva la pena (San Paolo,

pp. 236, € 16) ricostruisce con com-petenza, partecipazione e affetto lavicenda di un uomo che ha attra-versato l’intero Novecento: branidi conversazioni con fr. Arturo,confidenze e documenti di amici econoscenti, materiale fotografico eantologico ci consentono di conosce-re dal di dentro non solo un limpi-do testimone del Vangelo, ma an-che le vicende della Chiesa italianae universale negli anni del fascismoe del dopoguerra, delle speranzeconciliari e delle attese latino-ame-ricane, della riscoperta del povero

come destinatario privilegiato del-la buona notizia di una salvezzache inizia già qui e ora.

«Giusto tra le nazioni» per lasua opera di protezione e salvatag-gio di diversi ebrei dopo le leggirazziali, attivissimo protagonistadell’Azione cattolica a livello loca-le come nazionale, Arturo Paolitrova nell’intuizione profetica difr. Charles de Foucauld la tradu-zione più adeguata del suo anelitoa una testimonianza radicalmenteevangelica: «uomo cosmico» lo ave-va definito un suo professore uni-

versitario, e il crogiolo del desertodel Sahara plasmerà la tempra diquest’uomo dalla profonda cattoli-cità - cioè capace di pensare e vede-re la realtà nella sua dimensioneuniversale -, ne farà un cristianomite e tenace come solo i miti san-no essere, capace ancora oggi diproseguire la sua corsa, spenden-dosi continuamente per quei pove-ri presso i quali sa di poter «resti-tuire la visita a Gesù».

Interrogato sul suo passato, co-sì lungo e fecondo, fr. Arturo nonpuò che affermare con forza: «Ne

valeva la pena». Sì, come recitavaPessoa: «Tutto vale la pena sel’anima non è piccola». E non è cer-to piccola l’anima di questo picco-lo fratello che ora, tornato nellasua Lucca dopo essere passato fa-cendo il bene per l’intera AmericaLatina, si sente come una leggerabarca senza remi che si lascia por-tare dalla corrente verso la focetanto attesa e desiderata. Per illettore risuona il dolce invito chechiude queste pagine: «Guardateil vecchio dalla riva; avete tempo,potete anche dialogare con lui per-ché l’acqua scorre molto lentamen-te... Non temete: l’Amico lo tieneper mano, soavemente o con ener-gia, e non lo lascerà fino all’incon-tro con l’Infinito».

Sì, Arturo Paoli è stato ed è unautentico testimone del Vangelonei nostri giorni. A volte non mi so-no trovato d’accordo con le sue po-sizioni, ma ho sempre nutritogrande rispetto e riconoscenza ver-so di lui. Per questo ho provato tri-stezza quando, al suo rientro inItalia, gli fu impedito di prenderela parola in un’importante assem-blea ecclesiale. Il lavoro della Pet-titi rende giustizia anche di que-sta ferita gratuita.

«Parinirvana», il nirvana comeestinzione della sofferenza,

l’esperienza che segue la morte, inattesa della rinascita: scultura

tardo V sec. d. C., grotta 26,Ajanta (India), dal volume

Buddhismo, edito da Electa

Un testo di vertiginosacomplessità, un viaggionel vuoto cosmicodell’inconoscibile,una sfida letteraria

Tra eremitica ascesie convivenza sociale,un eterno movimentoin avanti, il fuocosacro della meditazione

Calasso Alla scoperta dell’India di tremila anni faesplorando miti, divinità, rituali, simboli e mistica

LONTANO E VICINOENZO BIANCHI

Arturo, nostrofratello cosmico

«Ne valeva la pena»: il Novecentodi Paoli, «giusto tra le nazioni»

pp C.G. Jungp IL LIBRO ROSSOp a cura di Sonu Shamdasanip trad. di Maria Anna Massimello,

Giulio Schiavoni e Giovanni Sorgep Bollati Boringhierip pp. 371,€150

pp Roberto Calassop L'ARDOREp Adelphi, pp. 529, €35

Sacrificarsima con ardoresegue da pag. I

«Gli anni piùimportanti della miavita furono quelli incui inseguivo le mieimmagini interiori»

ca: il mito gnostico della luce-materia, la discesa alle originidella vita, i miti connessi al nu-mero 4 e le quattro valenze delcarbonio - il mondo del picco-lissimo, come copia in miniatu-ra del mondo del grandissi-mo). III) Viaggi dell'«anima»(l'esperienza del grandissimoe del piccolissimo - la vicendadi Gulliver e quella di Alice - il«viaggio» allucinatorio delladroga - le calate agli Inferi - il«mondo rovesciato» di Throu-gh the Looking Glass).

4. Dal «mondo rovesciato»alla «festa» in cui si sospendo-no il tempo e le abitudini con-suete: necessità di ampliamen-to del tempo («festa» e «tem-po libero» - la festa mitica gre-ca - la musica, la danza: Dioni-so, popolazioni «primitive», ilmito della musica liberatrice -musica underground - lo spet-tacolo teatrale (che evoca ocrea miti) come «festa» collet-tiva - il living Theater - il mitodell'attore o dell'attrice).

5. Dal mito dell'attore/attri-ce, al mito dell'«eroe» in gene-re: ampliamento dell'io (l'eroe«positivo» e «negativo» - eroenero -, e la donna mitica, nell'antichità, presso i «primitivi»,e oggi - il «Trickster», il mago -l'occultismo, l'occultismo tec-nicizzato (Batman) - due alter-native dell'eroe mitico attualeil mito del leader autocrate e ilmito dell'eroe benefico e pacifi-co (come Gandhi o Schweit-zer) - un'alternativa all'eroefortemente personalizzato (ag-gressivo o pacifico): l'eroe-sim-bolo, il campione sportivo, ilcantante, ecc. - l'eroe come co-lui che ha successo).

6. Miti della collettività: am-pliamento delle strutture so-ciali (l'eroe-simbolo, come em-blema della società del benes-sere - l'Atlantide e le altre so-cietà perfette del mito antico -i miti moderni delle perfettesocietà future - un'alternativa:il rifiuto delle verità offerte dal-la scienza moderna e strumen-talizzate nelle attuali struttu-re sociali: il mito come rifiutodel sistema, la contestazionegiovanile - i miti delle «comu-ni» hippies - un parallelo anti-co: miti di iniziazione, gruppiristretti e vincolati da un mitoda ripetersi - miti della cavalle-ria medievale - ieri e oggi, lacerca dell'Oriente; l'alternati-va «di destra»: fondamenta mi-tiche dallo Stato - la tripartizio-ne mitica delle società indoeu-ropee (G. Dumézil: sovranitàsacrale/ guerra/ produzione).

7. Miti della produzione edel consumo: ampliamentodell'attività e dei beni (miti sul-le origini della metallurgia odei lavori artigianali in genere- il mito moderno dell'uomoche «produce» - sua tecniciz-zazione - il valore della cosaprodotta - il "tesoro" dei mitiantichi e il moderno bene diconsumo che dà prestigio - tec-niche di «persuasione» che siservono di elementi mitici -condizionamento delle sceltedi massa; miti antichi e «primi-tivi» relativi alla sapienza e al-la conoscenza - miti moderniconnessi alla cibernetica e all'automazione (come conclusio-ne del «mito della macchina»)- dal mito alchemico dell'ho-munculus di Paracelso e dalmito qabbalistico del Golem almito dell'uomo non-uomo, ilrobot).

Letture

Freud visto da Christian Moser

p

I mitisecondo Jesidai totemai robot

Ma che cosa vuolel’inconscio da Jung?

L’immagine grande è tratta dal«Libro rosso»

di Jung tradottoda Bollati Boringhieri.

© 2009 by Stiftung der Werkevon C. G. Jung / W. W. Norton &

Company, New York

Un quadernodi fantasie, tracommenti spontaneie un profluviodi pitture colorate

Arturo Paoli compie 98 anni il 30 novembre

IdeeVITuttolibri

SABATO 27 NOVEMBRE 2010LA STAMPA VII

R

Page 8: Tuttolibri n. 1742 (27-11-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - IX - 27/11/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/09 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 26/11/10 20.55

TRE ESEMPIIl seme della violenza (1955) diRichard Brooks, riflessione sullacriminalità giovanile, provocòproteste («la gioventù del miopaese è stata calunniata»,dichiarò l’ambasciatrice degliUsa Claire Booth Luce).All’anteprima de La dolce vita(1960, Fellini e Mastroiannisfuggirono a stento al linciaggio.L’Osservatore Romano chieseche il negativo venisse bruciato.Per Viridiana (1961) Luis Buñuelfu citato in tribunale a Milano,condannato ad un anno diprigione qualora avesse messopiede in Italia.

Cinema e censura Scene e battute tagliate,divieti e sequestri: una storia dell’intolleranza

La ghigliottinasu quel ben di Dio

GIORGIOPESTELLI

Che in Mozart il musi-cista e il drammaturgo sianouna sola persona, che la suamusica non sia un'aggiuntama la sostanza del suo teatro,sono opinioni confortate dauna lunga tradizione critica eoggi entrate ormai nella cultu-ra diffusa.

Ma nel saggio sulle sueOpere teatrali Schmid analiz-za e descrive proprio questofare teatro «attraverso la mu-sica», ed è naturale che unadescrizione così centrata sullinguaggio musicale porti tal-volta il discorso nel campotecnico; ma sempre con misu-ra, e senza la minima enfasiaccademica, l'autore riesce aparlare di tonalità, associazio-ni fra voci e strumenti, timbriorchestrali, struttura dei ver-si, sensibilità per i suoni e gliaccenti anche di entità mini-me fino alla sillaba.

Il lettore che già conosce ilDon Giovanni o Il flauto magi-

co, si trova e si rigira fra questepagine come a casa sua; ma an-che il lettore comune verrà cat-turato da uno sguardo che in-crocia dall'alto i generi, le lin-gue, le tradizioni nazionali conla lettura ravvicinata di queiparticolari che di colpo illumi-nano insieme il genio e il som-mo artigiano.

Primo pregio del libro è lasua densa brevità: tre capitoli

introduttivi su lingue e generidel teatro mozartiano, nascitae produzione, forme e tecnichemusicali: cioè l'ossatura diAria, Recitativo, Concertato,Coro, più un capitolo magistra-le su l'orchestra di Mozart, «at-tore segreto», di cui spettatorie recensori del tempo nemme-no notavano l'esistenza («se esi-stessero solo le fonti letterarie -scrive Schmid - dovremmo sup-

porre che l'opera fosse perti-nenza esclusiva del cantanti.Eppure è soltanto l'orchestra aprocurar loro lo spazio acusti-co immaginario dentro cui pos-sano muoversi. Questo spaziopossiede luci e ombre, si schia-risce e si rabbuia»).

Quindi tre capitoli su Ope-ra seria, Opera buffa, Opera te-desca, e per ogni categoria leopere esemplari, Idomeneo e

Clemenza di Tito per la prima,Nozze di Figaro, Don Giovannie Così fan tutte per l'opera buf-fa, Ratto dal serraglio e Flautomagico per quella tedesca; masenza rigidezze: ad esempio,queste ultime due, pur essen-do in lingua tedesca sono ope-re del tutto diverse, appuntoperché la loro natura è decisada musiche di origini e intentidifferenti.

L'autore ha il dono dellachiarezza e della sintesi (bastavedere come riesce in mezzapagina a raccontare la tramadelle Nozze di Figaro), ed è unpiacere seguirlo nel soppesareoscillazioni e differenze fra te-sto e musica, o nel tracciarequelle interferenze fra tradizio-ni diverse (vocali e strumenta-li) così congeniali a Mozart.

Alle spalle di questo libro co-sì essenziale in realtà formicolatutto il Settecento teatrale, edalla somma di tanti particola-ri salta fuori un Mozart sfaccet-tato, innamorato della melodiaitaliana, ma che preferiva ifrancesi per l'«effetto dramma-tico» e più di tutto avrebbe vo-luto creare una grande operatedesca precorrendo i tempi.Degna del contenuto l'elegantestampa dell'editore, da elogia-re anche per il tempismo e perla traduzione curata da Elisa-betta Fava, di cui il meglio chesi può dire è che non sembrauna traduzione, tanto la linguaè sciolta e appropriata.

FRANCESCOTROIANO

Che ci crediate ono, la prima opera censura-ta, sotto l’Ancien Régime,fu la Bibbia, dato che il cle-ro voleva esserne l’unico in-terprete: avere accesso altesto sacro, avrebbe con-sentito di contestar l’ordi-ne costituito. Così, con unadivertita ironia mai disgiun-ta da vis polemica s’espri-me Jean-Luc Douin - firmacinematografica di Le Mon-de e romanziere - introdu-cendo il proprio Dizionariodella censura nel cinema.

Il notevole interesse su-scitato dall’argomento ècorroborato da curiosità,notizie, aneddoti, che ren-dono il libro gustoso (anchese non privo d’inesattezzerilevanti, aggravate da unatraduzione ch’è eufemisti-co definire approssimati-

va): fa sorridere che un ba-cio in The Kiss (1896) fosseall’epoca considerato «be-stiale» e «disgustoso» daun critico, che un’innocuascena di danza del ventrein The Serpentine Dance ve-nisse occultata da delle stri-sce bianche per maschera-re gli ancheggiamenti lasci-vi della protagonista.

La censura - annota inol-tre l’autore - è versipelle:può essere emanata dall’al-to (ministri) o dal basso (as-sociazioni a difesa del buon-costume); mutila, taglia(una frase, una scena); po-ne divieti (ai minori, a tut-ti); agisce sia prima delle ri-prese (in fase di sceneggia-tura) che durante o dopo;sequestra, requisisce, con-danna i negativi al rogo.Con amarezza, lo storicoPascal Ory affermava «nonc’è libertà di espressione,

solo prove di libertà», ag-giungendo poi che la libertàinfinita non può esser che«d’essenza divina. Un’uto-pia»; di contro ThéodoreSchroeder, che dedicò tuttala propria esistenza al tema,sosteneva che «l’oscenitànon è che una condizione del-lo spirito di chi legge o chiguarda».

Pur se il volume è prevedi-bilmente francocentrico nel-le sue scelte, si occupa dimolti Paesi, adoprando adesempio Brancati per ritrar-re l’asfittica temperie cultu-rale d’Italia, nel fascismo co-

me nel dopoguerra. Scopria-mo, così, che il regime racco-mandava d’ignorare «il cine-ma di propaganda dell’ebreoChaplin» nel ‘41, ma che inepoca democristiana - per fa-re solamente un esempio - inBellissima (1951) di Viscontiveniva eliminata la battuta«chi se lo gode questo ben diDio», poiché detta espressio-ne era adoperata per indica-re le carni rigogliose di unadonna! Ed è non meno inte-ressante notare come Philip-pe Sollers, nel suo L’infini(Gallimard, 1991), denunci ilnuovo conformismo del «po-

liticamente corretto», chemirerebbe in maniera indi-retta ad omologare le opered’arte, tagliando ogni guizzo.

Tornando in Italia, va sot-tolineata la continuità censo-ria: se, per dirne una, MarioGromo - critico cinematogra-fico de La Stampa - notavache sotto il fascismo «il delin-quente è eliminato dalloschermo perché, nell’Italiafascista, la delinquenza nonesiste», non si può non con-statare come nel periodo1947-1962 ben 1569 film su5000 sian scartati, tagliati ovietati ai minori di 16 anni. E

riconduce ai concetti di travi-sato decoro, di malintesa di-gnità già della dittatura il lu-dibrio inflitto a Totò e Caroli-na (1953) di Monicelli, reo didipingere le forze dell’ordinein maniera poco rispettosa,se non di sovversione (per-ciò, ai lavoratori diretti a unincontro sindacale cantandoBandiera rossa, era messo inbocca un canto di originemontanara).

Coerentemente, in perio-di successivi, tutti i nostriprincipali autori - da Felliniad Antonioni, da Pasolini aBertolucci - incapperannonelle ire della censura: che,col pretesto di tutelare la mo-rale pubblica, colpisce leidee ed il pensiero non alline-ato. Ovviamente, pure al-l’estero l’insofferenza per iltalento scomodo a volte s’èfatto sentire: basti pensarealle peripezie patite dai film

di Buñuel nella Spagna fran-chista, od al destino subitoda L’impero dei sensi di Nagi-sa Oshima in patria.

Insomma, la ghigliottinadell’intolleranza mai mancadi sostenitori; lo dimostra,ancora una volta, Censurato!- Come ho messo il bavaglio aicomici più pericolosi d’Ameri-ca (Sagoma editore, pp.250,€18), in cui William G.Clotworthy - che in 42 annidi carriera ha limato infinitelingue taglienti, da EddieMurphy a Robin Williams -narra del proprio lavoro diforbici sulla comicità in tele-visione, negli Usa.

Tutto fino al giorno in cuici si deciderà a rispettare pu-re sull’argomento quantoesaltato dai giudici nel ver-detto di Norimberga, vale adire «il valore irrinunciabiledi ogni essere umano consi-derato individualmente».

Serio, buffo,tedesco: Mozartche attor segreto

Opere teatrali Uno sguardo cheillumina il genio e il sommo artigiano

GRAPHIC NOVEL DAL RACCONTO DI BARICCO

Senza sangue in bianco e nero= La vera storia di Novecento affidata alla matitadisneyana di Giorgio Cavazzano, il sodalizio tra TitoFaraci e Alessandro Baricco si rinnova nella trasposizionea fumetti di Senza sangue (Edizioni BD, pp. 92, €18),romanzo breve uscito per Rizzoli nel 2002. Al tavolo dadisegno, questa volta, troviamo Francesco Ripoli, di cuivi consiglio anche Ilaria Alpi edito da BeccoGiallo.Bene, se è vero che il fumetto si fonda sulla closure, ossiail completamento per inferenza in base all'esperienza - inpratica lo spazio bianco tra una vignetta e l'altra -, alloraSenza sangue aveva un destino segnato (o di-segnato).

Perché Senza sangue è intimamente una closure; unavicenda di cui si racconta solo lo stretto necessario, ches'affida, per essere colmata e definita, alla complicità di chila riceve, e che, per questo motivo, richiede al lettore unacerta passione creativa. Insomma, una storia che esige diessere abitata con generosità. Nina, da piccola, sopravvivea una rappresaglia: una guerra come tante, una vendetta.Forse persino giusta, quella vendetta. Ma nella vendetta sifa strada un gesto di improvvisa generosità, che penetra ilrancore e resta sepolto a lungo, in attesa di germinare.«Non si può seminare, senza prima arare» dice PedroCantos a Nina. «Prima si deve spaccare la terra».Anni dopo, Nina decide di tornare indietro, fino all'infernoche l'ha data alla luce, e abitare al fianco di chi, da

quell'inferno, l'aveva (quasi) tratta in salvo.Tito Faraci si attiene con fedeltà al racconto nella primaparte, lo trasforma con rispetto nella seconda: traduce, enon tradisce. Gioca con i piani temporali e con lunghesequenze mute. Mette al centro il disegno, al posto dellaparola. Francesco Ripoli si affida alla sola matita morbida -niente inchiostro, niente colore - e la scelta è vincente. Lapastosità del tratto affonda personaggi, azioni e luoghinella polvere del paese sudamericano in cui la storia èambientata (non è dato sapere quale), e nella nebbiadensa della memoria, quella nebbia che avvolge i ricordi diNina, la vita di Pedro Cantos, e, forse, il dolore di interegenerazioni. Fabio Geda

pp Manfred Hermann Schmidp LE OPERE TEATRALI DI MOZARTp trad. di Elisabetta Favap Bollati Boringhieri, pp. 131, €17

pp Jean-Luc Douinp DIZIONARIO DELLA CENSURA

NEL CINEMAp a cura di P. Bignaminip Mimesis, pp.624, €28

Da sinistra: il manifesto della versionefrancese di «La dolce vita»; tre scene,

rispettivamente, da «L’Impero deisensi», «Ultimo tango a Parigi» e

«Bella di giorno»

Sesso, politica, religionele tre cause delle forbici:da Visconti a Fellini,da Chaplin a Totò,da Buñuel a Oshima

Visioni TuttolibriSABATO 27 NOVEMBRE 2010

LA STAMPA IX

Nel «Dizionario»di Jean-Luc Douin,firma di «Le Monde»,film e autori vittimedella pubblica morale

.

Una tavola di Ripoli

Una scena dal «Don Giovanni»

Page 9: Tuttolibri n. 1742 (27-11-2010)

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318

94

24

2 53

9

458100

Appuntidi un venditoredi donneFALETTIB. C.DALAI

Torment

KATERIZZOLI

Solar

MCEWANEINAUDI

Il cimiterodi Praga

ECOBOMPIANI

6La cadutadei giganti

FOLLETTMONDADORI

L’oroscopo2011

FOXCAIROPUBLISHING

34

Il sorrisodi Angelica

CAMILLERISELLERIO

39 27

Narrativaitaliana

Io e te

AMMANITIEINAUDI

Cottoe mangiato

PARODIVALLARDI

Ragazzi

43

Le ricettedi casa Clerici

CLERICIRIZZOLI

TascabiliSaggistica

10

1

7

C ultura: la parola più abu-sata, il valore più calpe-stato. Non da tutti, per

fortuna. Anche nella nostra edito-ria esistono isole «felici». La buo-na notizia arriva da Genova, do-ve sta nascendo una UniversityPress grazie all’accordo di colla-borazione tra l’Ateneo e la DeFerrari, sigla molto radicata nelterritorio quanto di respiro nazio-nale. «Andiamo finalmente adaccrescere il numero delle editriciitaliane di eccellenza - dice il pro-rettore Pino Boero, che coordinail comitato editoriale del nuovomarchio - la nostra città meritadi allinearsi a Milano, Bologna,Roma sul terreno di una comuni-cazione ad alto profilo».

E Fabrizio De Ferrari, al ti-mone della «ditta» fondata dalpadre 25 anni fa, sottolinea: «LaGenova University Press è il con-cretizzarsi di un progetto nel qua-le la casa editrice ha fortementecreduto e implicitamente il rico-noscimento del lavoro svolto inquesto quarto di secolo».

All’inizio del 2011 le prime usci-te: diritto, medicina (Si fa presto adire Alzheimer), trasporti (Char-teryachts, frutto di studi rigorosiper un tema «gossiparo»), tenendod’occhio anche il lettore generali-sta. «Non ci chiuderemo - assicurail prof. Boero - dentro la torre deltesto iperspecialistico, ma apertu-ra totale e presenza in libreria».

Intanto la De Ferrari, 1300 tito-li in catalogo, 100 novità l’anno,sforna il suo «pacchetto» natalizio:dalla Milano della mala il cui au-tore Roberto Caputo è lo stesso chea fine estate ha rinunciato alla can-didatura per le primarie Pd, al li-bro-intervista a Marta Vincenzi,primo sindaco donna di Genova do-po 38 uomini, al singolare D’An-nunzio il genovese di Anita Ginel-la che testimonia il legame del Va-te con la città della Lanterna. E,per non farci mancare niente, pre-senterà, a dicembre, anche il suocontributo patriottico a cura diFrancesco De Nicola: Italia chia-mò - 150 anni di storia italiananelle pagine degli scrittori liguridove accanto ad un gruppetto di«quasi dimenticati» (da Manneri-ni sodale di De André a Ghiglione,poeta legato a Caproni) campeg-giano i grandi: De Amicis e Ruffi-ni, Sbarbaro, Montale, Calvino. Cisono Sanguineti, Fusco, Biamonti.E Orengo con La curva del latte:essere anche «ligure» a Nico nonsarebbe per nulla dispiaciuto.

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Varia

LA CLASSIFICA DI TUTTOLIBRI È REALIZZATA DALLA SOCIETÀ NIELSEN BOOKSCAN, ANALIZZANDO I DATI DELLE COPIE VENDUTE OGNI SETTIMANA, RACCOLTI IN UN CAMPIONE DI 900 LIBRERIE.SI ASSEGNANO I 100 PUNTI AL TITOLO PIÙ VENDUTO TRA LE NOVITÀ. TUTTI GLI ALTRI SONO CALCOLATI IN PROPORZIONE. LA RILEVAZIONE SI RIFERISCE AI GIORNI DAL 14 AL 20 NOVEMBRE.

AI PUNTILUCIANO GENTA

Maratonatra il falsarioe il venditore

1. Il mare dei mostri 12RIORDAN 17,00 MONDADORI

2. Sesto viaggio nel regno... 7STILTON 23,50 PIEMME

3. Addio, Fairy Oak 6GNONE 15,90 DE AGOSTINI

4. Finale a sorpresa 5GARLANDO 11,00 PIEMME

5. Il mio primodizionario. Nuovo MIOT 4- 9,90 GIUNTI JUNIOR

6. La storia di Cyrano... 4BENNI 12,90 L’ESPRESSO

7. Arriva Babbo Natale 4D’ACHILLE & WOLF 3,50 DAMI

8. Rapunzel. L’intreccio della torre 4- 3,50 WALT DISNEY

9. La storia de I promessi sposi 4ECO 12,90 L’ESPRESSO

10. Babbo Natale. Premi e ascolta 4WOLF 8,90 DAMI

L’ orologio della stazione èsempre fermo all’ora del-la tragedia, le 6,05 del

mattino. Adesso che il 20 novem-bre è passato, bisognerà aspettareun altro secolo perché venga solen-nemente celebrato l’anniversariodella morte di Tolstoj. Nella sta-zioncina di Ostapovo il weekendscorso c’erano, sotto la pioggia, pa-recchi visitatori e poche autorità.Cento anni prima la morte delloscrittore era stata uno dei grandieventi mediatici pretelevisivi, conmigliaia di persone attendate lun-go i binari in attesa e in preghiera,e migliaia di telegrammi che an-nunciarono simultaneamente almondo il suo ultimo respiro.

Cento anni dopo, cioè la setti-mana scorsa, solito divario fra uf-ficialità e popolo. Imbarazzate legerarchie pubbliche, e stitiche nel-le celebrazioni, forse perchéTolstoj fu scomunicato, e la scomu-nica confermata nel 2001 (ancorain vita, fu definito simultaneamen-te «il più grande credente cristia-no» e «il più grande degli atei»).

I lettori invece continuano a leg-gerlo, molto, ovunque, senza paure,nel centenario e certamente anche ol-tre: Tolstoj è cult in Cina, in Giappo-ne, e pure in Russia. Il premioBol’saja Kniga, cioè Grande Libro,premio importantissimo attribuitoda critici e lettori, è appena andatoa Lev Tolstoj: Begstvo iz raja, cioè«fuga dal paradiso», di Pavel Basin-

skij. Il saggio è sesto in classifica, enel sito Ozon.ru, la più grande libre-ria online russa, i commenti a que-sta ennesima ricostruzione degli ul-timi giorni di Tolstoj sono entusiasti-ci. Il vegliardo che fugge dal mondoe da se stesso rimane una metaforaossessiva per i russi.

Ma la giuria dei lettori del pre-mio Bol’saja Kniga, a dire il vero,aveva scelto non la biografia di unpadre della patria, bensì un libro as-sai più disturbante: T di Victor Pele-vin, ambientato in una stralunataRussia zarista che illumina con lasua potenza visionaria ciò che acca-de nella Russia di oggi. Protagoni-sta è il conte T, che come il conteTolstoj si schiera dalla parte degliumili: ma la sua versione della resi-stenza nonviolenta al male è, menoclassicamente, un’arte marziale chepermette di uccidere i nemici senzatoccarli, dunque in effetti senza vio-lenza. È un thriller, è satira, è un ro-manzo vitale. Chissà se in quest’an-no di celebrazioni la nuova letteratu-ra russa perforerà il ghiaccio dei let-tori occidentali.

Narrativastraniera

1. Lasolitudine deinumeriprimi 16GIORDANO 13,00 MONDADORI

2. Gomorra 13SAVIANO 10,00 MONDADORI

3. Il piccolo principe 11SAINT-EXUPERY 7,50 BOMPIANI

4. La regina dei castelli di carta 8LARSSON 13,80 MARSILIO

5. Uomini che odiano le donne 8LARSSON 13,80 MARSILIO

6. La bellezza e l’inferno 8SAVIANO 10,00 MONDADORI

7. Il giorno in più 8VOLO 12,00 MONDADORI

8. L’ombra del vento 8RUIZ ZAFÓN 13,00 MONDADORI

9. È una vita che ti aspetto 7VOLO 9,00 MONDADORI

10. Un posto nel mondo 7VOLO 12,00 MONDADORI

E co scende, Faletti sale: ma per ora il Falsario resi-ste al primo posto, secondo la Nielsen che rileva levendite nelle sole librerie, esclusa quindi la grande

distribuzione, terreno di conquista più propizio, si presu-me, per il Venditore di donne, e origine delle differenze trai «campioni» statistici degli istituti di ricerca che redigono«diverse» classifiche per i giornali (e gli editori). Sta di fat-to che i 100 punti di Sabatini valgono per noi un po’ più di16 mila copie, e Bravo ne conta un migliaio di meno. Sfidadunque più che mai aperta, gara di resistenza di qui al Na-tale, bipolarismo tra due aree di pubblico, due diversi modie stili di confezionare e condire il «romanzo popolare». Tra

i primi 10 sale McEwan, unica oasi di letteratura che pre-scinde dai dettami della fabbrica del bestseller, favorito pe-rò dal passaggio in tv chez Fazio. Come il maestro Muti, se-condo in saggistica, dove al 5˚ posto si affacciano Fruttero& Gramellini con la loro sapida storia patria in 150 date. Esempre la popolarità mediatica è un probabile volano perla Bignardi e la Gamberale, nella narrativa italiana. La se-conda novità della settimana nel gruppo di vertice, Tor-ment di Laren Kate, rivelatasi con Fallen, conferma lamielosa e romantica attrazione per angeli e demoni, ag-giornati all’epoca degli sms, eterna metamorfosi del fotoro-manzo. Così come adatta al contemporaneo dei e miti del-

l’Olimpo il Percy Jackson (altra sinergia libro e film) cheguida una sempre magra ed ansimante tabella dei ragazzi,in attesa dell’ossigeno natalizio. Mentre in fondo alla «va-ria» entra Forattini con Siamo uomini o giornalisti? Do-manda da girare al Fido Fede che vorrebbe «menare» glistudenti in piazza con i loro libri di gommapiuma a far dascudo, dal Chisciotte del Cervantes all’Arturo della Mo-rante. «Gentaglia» per lui, mentre Elsa - che ci lasciava piùtristi e soli proprio 25 anni fa (e ieri celebrata, deo gratias,da Radiotre) - li avrebbe annoverati tra i suoi ragazzinipazzarielli, dediti al «boicottaggio sistematico della Gran-de Opera»: sovvertire l’ordine ma per «salvare il mondo».

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1. La caduta dei giganti 34FOLLETT 25,00 MONDADORI

2. Solar 31MCEWAN 20,00 EINAUDI

3. Torment 27KATE 17,00 RIZZOLI

4. L’uomo inquieto 17MANKELL 19,00 MARSILIO

5. L’esecutore 16KEPLER 18,60 LONGANESI

6. Una ragazza da Tiffany 11VREELAND 18,00 NERI POZZA

7. Mangia prega ama 10GILBERT 18,50 RIZZOLI

8. Le valchirie 9COELHO 18,00 BOMPIANI

9. Limit 8SCHÄTZING 23,50 NORD

10. Cerulean 8HAMILTON 19,60 NORD

CHE LIBRO FA...IN RUSSIAGIOVANNA ZUCCONI

Tolstoje il conteThriller

PROSSIMAMENTE

MIRELLA APPIOTTI

D’Annunzioaccende

la Lanterna

1. Cotto e mangiato 43PARODI 14,90 VALLARDI

2. Le ricette di Casa Clerici 39CLERICI 15,90 RIZZOLI

3. L’oroscopo 2011 24FOX 10,00 CAIRO

4. L’unica cosa che conta 11MORELLI 17,50 MONDADORI

5. Tutto quello che non vi ho detto 10BRIGNANO 19,90 RIZZOLI

6. I cinque tibetani 7KELDER 8,90 MEDITERRANEE

7. The secret 7BYRNE 18,60 MACRO EDIZIONI

8. È facile smettere di fumare... 7CARR 10,00 EWI

9. Instant English 7SLOAN 16,90 GRIBAUDO

10. Siamo uomini o giornalisti? 5FORATTINI 18,50 MONDADORI

I PRIMI DIECI INDAGINE NIELSEN BOOKSCAN

Classifica TuttolibriSABATO 27 NOVEMBRE 2010

LA STAMPAX

1. La manomissione delleparole 21CAROFIGLIO 13,00 RIZZOLI

2. Prima la musica, poi le parole 16MUTI 20,00 RIZZOLI

3. Il cuore e la spada 16VESPA 22,00 MONDADORI

4. La pancia degli italiani 15SEVERGNINI 16,00 RIZZOLI

5. La patria, bene o male 14FRUTTERO & GRAMELLINI 12,00 MONDADORI

6. I segreti del Vaticano 13AUGIAS 19,50 MONDADORI

7. Terroni 13APRILE 17,50 PIEMME

8. Profumo di lavanda 13BROSIO 19,50 PIEMME

9. Leopardi 12CITATI 22,00 MONDADORI

10. Viaggi e altri viaggi 12TABUCCHI 17,50 FELTRINELLI

1. Il cimitero di Praga 100ECO 19,50 BOMPIANI

2. Appunti di un venditore... 94FALETTI 20,00 B. C. DALAI

3. Io e te 58AMMANITI 10,00 EINAUDI

4. Il sorriso di Angelica 53CAMILLERI 14,00 SELLERIO

5. Momenti di trascurabile... 23PICCOLO 12,50 EINAUDI

6. XY 20VERONESI 19,50 FANDANGO

7. Un karma pesante 20BIGNARDI 18,50 MONDADORI

8. Leielui 17DE CARLO 18,50 BOMPIANI

9. Le luci nelle case degli altri 14GAMBERALE 20,00 MONDADORI

10. Canale Mussolini 14PENNACCHI 20,00 MONDADORI

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Page 10: Tuttolibri n. 1742 (27-11-2010)

Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - XI - 27/11/10 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOLIBRI/11 - Autore: MARVIN - Ora di stampa: 26/11/10 20.55

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VASILIJ GROSSMAN

Vita e destinoAdelphi, pp. 1024, €34

«Un paesaggio storicoaffine al nostro. Anche danoi c’è un regime.Infinitamente più dolce»

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GOETHE

Viaggio in ItaliaMondadori, LVIII-856, €12,90

«Il libro di Goethe è ancorauna delle più belledichiarazioni d’amore per ilnostro Paese»

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MARIO PIRANI

Poteva andare peggioMondadori, pp. 430, €20

«Davvero stimolante. Sì,potevamo finire peggio,nonostante la cultura siaritenuta una cenerentola»

I PREFERITI Dal Corriere della Sera al Fai fondato 35 anni fa,un’inesauribile, ardimentosa passione per le bellezzeitaliane, contro il partito dell’urbanizzazione selvaggia

RENATORIZZO

Il titolo del libroche più ama sembra quasiun oroscopo azzeccato,una coincidenza esistenzia-le: Vita e destino, di VasilijGrossman. Sì, perché pareesserci un destino fissatoda sempre nella vita di que-sta signora di 87 anni cheha posseduto giornali, dia-logato e spesso bisticciatonella sua casa milanese,nei salotti più esclusivi enei palazzi del Potere, con igrandi della cultura, dellapolitica e della finanza, at-traversato oltre mezzo se-colo d’Italia infrangendoper carattere - e, forse, perprincipio - il «politicallycorrect». Ma lei, troppo ra-zionale e combattiva percredere a qualcosa che ac-cada indipendentementeda suo lottare, questo «de-stino» preferisce chiamar-lo «amore». E’ un senti-mento attivo, che diventadifesa «dell’identità, delleradici, delle risorse, dell’og-gi e del domani» di quelBelpaese creato da Dio inun momento di particolarebuon umore, secondo la de-finizione del critico d’arteFrancis Haskell.

Giulia Maria MozzoniCrespi - fondatrice e anima

del Fai, Fondo per l’Am-biente Italiano, da lei inven-tato 35 anni e del quale è,ora, presidente onorario -nel dichiarare questa pas-sione evita, come sempre,d’indossare i guanti di vel-luto che devono giacere,nuovi, in un mobile dellapiccola sala ottocentescatappezzata di librerie equadri dove ci riceve: «Sì,ho un amore feroce per ilmio Paese e mi indignoquando vedo persone, co-me i leghisti, che osteggia-no addirittura le manifesta-zioni per l’Unità». Forzaqualche data: «Già la Sibil-la, parlando ad Enea, gliaveva promesso che sareb-be approdato in una terrachiamata Italia. Ma “loro”,forse, credono che i Celti si-ano più vecchi di Enea».

Il suo impegno per l’am-biente non è stato sempreimmune da critiche. Qual-cuno l’ha accusata d’esse-re una radical chic che sioccupa di beni culturali edi paesaggio guardandolidall’alto del suo castello.

«La parola ecologia l’hoscoperta agli inizi degli An-ni 60, a mie spese. Ho avu-to un cancro e, se sono gua-rita, lo devo anche a unascelta di vita che privilegiaun cibo sano, frutto d’unanatura senza veleni. Tuttidevono poter godere diquesti diritti che si collega-no in una catena virtuosa:se difendo l’ambiente difen-do l’agricoltura e la salutee le radici culturali e l’eco-nomia e la bellezza e il turi-smo. Grandi temi legati alnostro esistere di cui, pri-ma ancora che nascesse ilFai, già mi occupavo a Ita-lia Nostra. Ho sempre sen-tito l’urgenza di lavorareper far crescere nell’opinio-ne pubblica una sensibilitàsu questi argomenti. E l’hofatto anche attraverso ilmio Corriere della Sera neiprimi Anni 70 invitando il

direttore Piero Ottone adanalizzare, attraverso il gior-nale, la questione ambienta-le: lui diede spazio a un gior-nalista insuperabile comeAntonio Cederna, mandògrandi firme come Buzzatie, poi, Montanelli a fare, peresempio, formidabili repor-tage sulla situazione di Vene-zia e sui disastri legati all’ur-banizzazione selvaggia».

Il Corriere della Sera. Risalea quei tempi un suo famo-so soprannome: «zarina».

«Cominciamo col dire chequel Corriere ha toccato pun-te di vendita mai più rag-giunte dimostrando di ri-scuotere un grande apprez-zamento tra i lettori. C’erachi mi imputava d’essere disinistra, la P2 mise in giro,addirittura, la voce che eroamica di Capanna. Pensi chequel signore l’ho conosciutoquattro anni fa. Ma questisono altri discorsi».

A proposito di comunismo,ha detto che è ammirata daquel «Vita e destino» in cuiGrossman racconta, appun-

to, vicende di uomini e don-ne all’interno della grandevicenda dell’Urss tra guerrae dopoguerra: dall’assediodi Stalingrado alla dittatu-ra, alle deportazioni, aighetti.

«E’ un libro magnifico. Dimo-stra quanto un’utopia si siarivelata, nel reale, un dram-ma, una tragedia. E rivela

che cosa ci sia dietro le quin-te della storia, le epoche tre-mende in cui l’uomo è succu-be del potere e non può esse-re artefice del proprio desti-no. Questo lavoro mi ricordaquello che per me è, forse, ilpiù grande romanzo d’ognitempo: Guerra e Pace. AdoroTolstoj. Ma sono tutti gliscrittori russi a coinvolger-mi emotivamente: Cechov

che mi fa ancora piangerequando leggo certi suoi Rac-conti, Gogol. A proposito diGogol, le racconto un episo-dio significativo. QuandoSergio Romano era amba-sciatore a Mosca diede un ri-cevimento in onore del Fai evenni presentata al ministrodella Cultura dell’Urss. Do-po un paio di convenevoli glidomandai: “Perché non con-sentite la pubblicazione del-le opere di Gogol?". Non mirispose neppure, mi girò lespalle e se ne andò. Ma mi la-sci tornare a Grossman».

Per dire che cosa?«Mi rendo conto che può sem-brare assurdo, ma nel paesag-gio storico che lui descrivecolgo affinità con quello delnostro Paese, oggi. Mi spiegomeglio: anche da noi c’è un re-gime. Infinitamente più dolce,ma c’è».

Il paragone sembra davve-ro un po’ azzardato.

«Faccio, ovviamente, le debi-te proporzioni, ma bastaguardarsi intorno: bisognastare attenti a muovere criti-

che a chi governa oppure, sesi decide di non farsi intimi-dire, occorre avere una buo-na dose di coraggio».

C’è davvero poco rosa sul-l’orizzonte della «sua» Ita-lia, signora Crespi.

«No, non è così, anche sequest’affermazione può ap-parire un controsenso dopoquello che le ho appena so-stenuto. Sto leggendo l’ulti-mo libro di Mario Pirani,davvero stimolante. Già il ti-tolo dice molto: Poteva anda-re peggio. Sì, potevamo fini-re peggio, nonostante tutto.Nonostante la cultura siaconsiderata una cenerento-la e il Bello qualcosa che nonsi mette in un panino, comedice Tremonti. Il quale Tre-

monti, tra l’altro, farebbe be-ne, secondo me, a tagliare al-trove: auto blu, consulenzemiliardarie. Ipocrita piange-re sulle alluvioni se non si èprotetto il territorio, inutilestracciarsi le vesti se crollala Domus dei Gladiatori. Po-vero Bondi, per la prima vol-ta mi ha fatto addirittura unpo’ pena: ha ragione quandosostiene che non è colpa sua,ma se so che la mia casa ri-schia di cadere chiedo soldiper ripararla. E se non me lidanno, tolgo il disturbo».

Poteva andare peggio, pe-rò.

«Pirani ripercorre quasi set-tant’anni di vita italiana.Quando parla della rinascitadel Paese dopo la guerra e ri-corda i protagonisti cultura-li di quella stagione duratasino agli Anni 70, ritrovotanti amici: Guttuso, Burri,Vespignani, Visconti, Felli-ni, Rosi, Paolo Grassi, Moni-celli. Persone con cui ho con-diviso ideali e fervori. L’Ita-lia - non solo quella degli in-tellettuali, ma anche quelladella gente comune abituataalla fatica e alla lotta per so-pravvivere - ha dimostrato,allora, d’essere fatta di terrabuona. La matrice non ècambiata. Me ne accorgo gi-rando per il Fai: la società ci-vile si sta sempre più sve-gliando, c’è malumore tra igiovani, ma anche desideriodi fare, di sacrificarsi, tantiesempi di solidarietà, fortevolontariato. Resiste la spe-

ranza. Le radici sono ancorasane».

Che libro suggerirebbe aquesti giovani?

«Ne consiglierei due, en-trambi di Goethe: Viaggio inItalia e Le affinità elettive. Ilprimo è ancora uno delle piùbelle dichiarazioni d’amoreper “il paese in cui fiorisco-no i limoni”. L’altro è deter-minante quando sottolineal’importanza di creare siner-gie tra le persone. E, alla fi-ne, ti fa capire che in tutti,persino negli esseri che sem-brano totalmente aridi, c’èqualcosa di buono. Più invec-chio, più la penso anch’io co-sì».

Davvero?«Davvero. Certo, però,

che quel Bondi e quella Bram-billa...».

«Piero Ottone schieròle migliori firme,da Cederna a Buzzati,a Montanelli perla difesa ambientale»

“Leggete Goetheper salvareil Paese dei limoni”

Diario di lettura TuttolibriSABATO 27 NOVEMBRE 2010

LA STAMPA XI

«Sto leggendo “Potevaandare peggio” di Pirani:vi ritrovo tanti amici,da Guttuso a Visconti,da Fellini a Grassi»

«Magnifico “Vitae destino” di Grossman,mi ricorda il romanzopiù grande di sempre,“Guerra e pace”»

«Chiesi al ministroper la Cultura dell’Urss:perché non lasciatepubblicare Gogol?Mi girò le spalle»

La vita. Appartenente a una delle più antiche famiglie lombarde il cui nome è legato a molte attività in campo industriale eculturale e, indissolubilmente, al Corriere della Sera, Giulia Maria Crespi Mozzoni nel 1975, lasciata la gestione editorialedel quotidiano, fonda il Fai, Fondo per l’Ambiente Italiano (di cui è presidente onorario). Un impegno ambientalistico che,fin dal ’65, l’aveva vista consigliere nazionale di Italia Nostra. Laurea honoris causa in Storia dell’Arte dall’Università diBologna e Cavaliere di Gran Croce, onorificenza concessale dal presidente Ciampi per l’ impegno civile, sociale e culturale.

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Giulia Maria Crespi

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