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1 TRASPOSIZIONE DIDATTICA: ASTRONOMIA E MATEMATICA 1 Sebastiana LAI 2 INTRODUZIONE Il titolo di questo articolo 3 richiama di primo acchito una lettura della congiunzione “edi tipo interdisciplinare. Occorre quindi fare subito una precisazione. L’astronomia, come le matematiche, e tutte le altre scienze sperimentali e/o osservative, si caratterizzano per la loro intrinseca qualità di intrattenere connessioni strette con diversi campi di sapere. La natura problematica della conoscenza scientifica mette in evidenza la complementarità ma anche la specificità dello sguardo disciplinare con il quale si osserva la realtà. Prima di essere inter-trans-multi una disciplina è un campo di sapere con un proprio oggetto, metodi di analisi, strumenti di misura che in un insieme coerente concorrono a fondare una disciplina e i suoi stessi fenomeni. La chiave di lettura di questo accostamento è data invece dalla “Trasposizione Didattica”, problematica relativa ai processi di insegnamento/apprendimento che riguarda la natura del sapere da insegnare, in riferimento alle necessarie manipolazioni e cambiamenti cui gli oggetti di sapere sono sottoposti per poter essere insegnati nelle Istituzioni scolastiche. Ciò che ci proponiamo di analizzare sono, quindi, le condizioni di insegnabilità dell’astronomia e dell’astrofisica in ambito scolastico, avanzando la tesi della necessità di una più esplicita visione matematizzata dell’astronomia come condizione epistemologica essenziale che fornisce il senso scientifico dello studio dei fenomeni astronomici, nella scuola. L’innovazione dei contenuti astronomici verso l’astrofisica 4 determina, d’altra parte, nuovi vincoli all’insegnabilità di questi argomenti, e, di conseguenza, si pone la necessità di assumere dei criteri espliciti e rigorosi di valutazione del suo impatto nel sistema didattico. Nel paragrafo1 si presentano le problematiche suscitate dalla Teoria della Trasposizione didattica per l’astronomia. Nel paragrafo 2 si analizzano le condizioni di insegnabilità dell’astronomia, attraverso lo studio (2.1) di un contenuto di insegnamento, (la misura del raggio della Terra), sia dal punto di vista dell’insegnante (2.2) che dell’alunno (2.3). Nel paragrafo 3 si prende in esame il Tempo didattico rispetto al quale si evidenziano le ragioni epistemologiche (3.1) e quelle didattiche (3.2) 1 Lavoro eseguito nell’ambito del co-finanziamento MIUR –2001. 2 Osservatorio Astronomico – INAF Cagliari. 3 Questo articolo approfondisce il tema trattato in un seminario svolto nell’ambito dei cicli di incontri, rivolti ad insegnanti in formazione o in servizio, organizzati annualmente dal CRSEM. 4 “Lo scopo dell’ astrofisica è quello di studiare la natura fisica e l’evoluzione di singoli oggetti cosmici compreso tutto l’Universo.La suddivisione dell’astrofisica si fa di regola in base agli oggetti di ricerca: fisica delle stelle, del Sole, delle nebulose, dei raggi cosmici, della cosmologia, ecc.”, da P. Bakulin, E. Kononovic, V. Moroz. (1984), in Astronomia Generale, Editori Riuniti. Dalla Enciclopedia dell’Universo di E.Proverbio (1982) leggiamo : « Si può…affermare che la ricerca astrofisica vera e propria si sviluppa agli inizi del XIX secolo, dopo la scoperta (1814) da parte di J. Fraunhofer (1787-1826) delle linee scure nello spettro solare.” (Teti editore, pag. 28). L’astrofisica è dunque datata.

TRASPOSIZIONE DIDATTICA: ASTRONOMIA E MATEMATICA … · 5 Uno studio della trasposizione didattica di contenuti di astronomia e astrofisica, secondo la teoria elaborata da Chevallard

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TRASPOSIZIONE DIDATTICA: ASTRONOMIA E MATEMATICA1

Sebastiana LAI2

INTRODUZIONE Il titolo di questo articolo3 richiama di primo acchito una lettura della congiunzione “e” di tipo interdisciplinare. Occorre quindi fare subito una precisazione. L’astronomia, come le matematiche, e tutte le altre scienze sperimentali e/o osservative, si caratterizzano per la loro intrinseca qualità di intrattenere connessioni strette con diversi campi di sapere. La natura problematica della conoscenza scientifica mette in evidenza la complementarità ma anche la specificità dello sguardo disciplinare con il quale si osserva la realtà. Prima di essere inter-trans-multi una disciplina è un campo di sapere con un proprio oggetto, metodi di analisi, strumenti di misura che in un insieme coerente concorrono a fondare una disciplina e i suoi stessi fenomeni. La chiave di lettura di questo accostamento è data invece dalla “Trasposizione Didattica”, problematica relativa ai processi di insegnamento/apprendimento che riguarda la natura del sapere da insegnare, in riferimento alle necessarie manipolazioni e cambiamenti cui gli oggetti di sapere sono sottoposti per poter essere insegnati nelle Istituzioni scolastiche. Ciò che ci proponiamo di analizzare sono, quindi, le condizioni di insegnabilità dell’astronomia e dell’astrofisica in ambito scolastico, avanzando la tesi della necessità di una più esplicita visione matematizzata dell’astronomia come condizione epistemologica essenziale che fornisce il senso scientifico dello studio dei fenomeni astronomici, nella scuola. L’innovazione dei contenuti astronomici verso l’astrofisica4 determina, d’altra parte, nuovi vincoli all’insegnabilità di questi argomenti, e, di conseguenza, si pone la necessità di assumere dei criteri espliciti e rigorosi di valutazione del suo impatto nel sistema didattico. Nel paragrafo1 si presentano le problematiche suscitate dalla Teoria della Trasposizione didattica per l’astronomia. Nel paragrafo 2 si analizzano le condizioni di insegnabilità dell’astronomia, attraverso lo studio (2.1) di un contenuto di insegnamento, (la misura del raggio della Terra), sia dal punto di vista dell’insegnante (2.2) che dell’alunno (2.3). Nel paragrafo 3 si prende in esame il Tempo didattico rispetto al quale si evidenziano le ragioni epistemologiche (3.1) e quelle didattiche (3.2) 1 Lavoro eseguito nell’ambito del co-finanziamento MIUR –2001. 2 Osservatorio Astronomico – INAF Cagliari. 3 Questo articolo approfondisce il tema trattato in un seminario svolto nell’ambito dei cicli di incontri, rivolti ad insegnanti in formazione o in servizio, organizzati annualmente dal CRSEM. 4“Lo scopo dell’ astrofisica è quello di studiare la natura fisica e l’evoluzione di singoli oggetti cosmici compreso tutto l’Universo.La suddivisione dell’astrofisica si fa di regola in base agli oggetti di ricerca: fisica delle stelle, del Sole, delle nebulose, dei raggi cosmici, della cosmologia, ecc.”, da P. Bakulin, E. Kononovic, V. Moroz. (1984), in Astronomia Generale, Editori Riuniti. Dalla Enciclopedia dell’Universo di E.Proverbio (1982) leggiamo : « Si può…affermare che la ricerca astrofisica vera e propria si sviluppa agli inizi del XIX secolo, dopo la scoperta (1814) da parte di J. Fraunhofer (1787-1826) delle linee scure nello spettro solare.” (Teti editore, pag. 28). L’astrofisica è dunque datata.

che portano alla impossibilità di una identità del Tempo dell’insegnamento e del Tempo dell’apprendimento. Nelle osservazioni conclusive, infine, si sintetizzano i risultati raggiunti rispetto alla trasposizione didattica dell’astronomia e dell’astrofisica e i problemi aperti.

1. L’ASTRONOMIA E LA SUA TRASPOSIZIONE DIDATTICA L’innovazione dei contenuti di astronomia a favore dell’astrofisica, sostenuto dalla comunità scientifica dei professionisti in Italia negli ultimi 10 anni, ha accentuato lo scarto5 tra il sapere da insegnare e il sapere insegnato e reso vero l’approdo, teoricamente prevedibile, dall’iniziale instabilità dei contenuti di astronomia, registrata nel corso di questi anni nei programmi e libri di testo, alla messa in discussione della stessa legittimità di questo insegnamento. La teoria della Trasposizione didattica spiega la maggiore o minore legittimità dei saperi da insegnare come il risultato di due distinti processi:

• L’invecchiamento (“biologico”) dei saperi insegnati rispetto all’evoluzione della ricerca scientifica, che richiama una innovazione dei contenuti.

• L’incompatibitilità di questi saperi con la società in generale, per cui può essere tacciato di obsolescenza un sapere che, pur mantenendo ancora un senso scientifico e un accordo con l’ambiente di apprendimento pratico degli allievi, non è più considerato importante, in quanto sapere “banale” e inutile, o appartenente al senso comune, come è spesso considerata l’astronomia classica, identificata con “i moti della Terra”: tutti sanno che la Terra gira intorno al Sole, che bisogno c’è, allora, di insegnarla a scuola?

L’innovazione è quindi la risposta del sistema scolastico per ristabilire un nuovo equilibrio scuola-scienza-società. In termini operativi questo equilibrio viene raggiunto attraverso la realizzazione di un nuovo testo di sapere, ossia una nuova sequenza di oggetti di sapere (i contenuti), che per essere “insegnati” devono rispettare tutti i vincoli del sistema didattico6. Appare evidente che la valutazione dell’efficacia della nuova trasposizione didattica va verificata nell’ambito della pratica effettiva dell’insegnamento/apprendimento in classe, luogo in cui è possibile ricercare le integrazioni con gli oggetti di sapere dei Programmi vecchi e creare le condizioni per una reale vivibilità dei nuovi oggetti di sapere nel sistema di insegnamento. Occorre ribadire qui un concetto importante sul carattere di “necessità” che accompagna la trasposizione: questa non è in sé “buona o cattiva”, ma è inevitabile, in quanto esiste la scuola con le sue leggi di compatibilità sociale e con le diverse filosofie di insegnamento, dettate dalle teorie dell’apprendimento più accreditate. Per quanto riguarda l’astronomia e l’astrofisica si può affermare, senza tema di smentita, che, mentre l’astronomia classica scompare dai programmi istituzionali, l’astrofisica, parte dei programmi di fisica, ma ancora presente nei libri di testo di Scienze della scuola secondaria superiore, stenta a trovare spazio tra i saperi insegnati. Resta dunque aperto, ancora oggi, il problema di come rispondere alla presunta obsolescenza

5 Uno studio della trasposizione didattica di contenuti di astronomia e astrofisica, secondo la teoria elaborata da Chevallard (1985), è sviluppata in S. Lai, 2002a. 6 Una analisi dei vincoli per la scolarizzazione dei contenuti disciplinari è contenuta in Lai 2002a, pag. 19-20.

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dell’astronomia e di conseguenza quali condizioni di insegnabilità si danno per l’insegnamento/apprendimento di questi due rami affini e contigui della scienza: l’astronomia, codificata saldamente in un sistema teorico abbastanza stabile e “conosciuto”, e l’astrofisica, sapere di frontiera e in continua evoluzione, i cui modelli teorici sono in costruzione, che fornisce i nuovi oggetti di sapere verso i quali si orienta l’innovazione scolastica. In altri termini, la Scuola deve/può rinunciare ad insegnare l’astronomia classica e deve/può concentrare i suoi sforzi nell’insegnamento dell’astrofisica? L’astrofisica deve/può essere insegnata? Qual è il senso di un curriculum di astrofisica? Dalla teoria della Trasposizione didattica sappiamo che un “oggetto di sapere”, che, lo ricordiamo, costituisce il primo anello della catena della trasposizione, non si impone come tale alla coscienza degli attori del sistema didattico, (quindi, nemmeno all’insegnante). Non esiste cioè una istituzione stabile7 (del sistema scolastico o del mondo della ricerca) da cui “prendere” degli oggetti già confezionati e pronti da trasformare in oggetti da insegnare. Con le parole di Chevallard8 possiamo dire che se si può affermare in generale che essi preesistono al passaggio che li identifica come tali, più spesso di quanto si potrebbe credere «essi sono delle vere creazioni didattiche, suscitati dai «bisogni dell’insegnamento» (Chevallard, 1985, pag. 39). In altri termini, gli oggetti da insegnare (secondo anello della catena della trasposizione) in virtù della loro origine didattica assumono, nella messa in testo, che li organizza per l’insegnamento, uno statuto epistemologico che è specifico del loro funzionamento didattico in classe, ossia in relazione a ciò che diventerà per l’insegnante e per gli alunni sapere insegnato (ultimo anello della catena della Trasposizione didattica). La distinzione, introdotta da Chevallard per le matematiche, di tre categorie, nozioni matematiche, paramatematiche e protomatematiche, per descrivere il diverso funzionamento dei saperi nel sistema didattico consente di prevedere, infatti, le modalità di insegnamento/apprendimento caratterizzanti ognuna di queste categorie, e il tipo di situazioni didattiche che si possono attivare in classe relativamente a ciascuna di queste categorie di saperi. Le nozioni matematiche danno luogo a un insegnamento esplicito, esse sono dunque costruite, e per questa ragione sono suscettibili di definizioni, se ne conoscono o se ne possono dimostrare le proprietà principali, se ne conosce un certo numero di occasioni di impiego. Solo le nozioni matematiche possono essere valutate direttamente dall’insegnante. Invece le nozioni paramatematiche sono normalmente precostruite, non costituiscono oggetto di insegnamento : sono delle nozioni strumento (ausiliarie) dell’attività matematica (ad es. formula, parametro, equazione, fattorizzazione,…) necessarie all’insegnamento (e all’apprendimento) degli oggetti matematici propriamente detti. “Esse devono essere « apprese” (o piuttosto «conosciute»), ma non sono «insegnate». Ma questi oggetti si presentano in qualche modo alla percezione didattica dell’insegnante e si dà loro un nome. Le nozioni protomatematiche sono mobilitate solo implicitamente , esse non hanno nemmeno un nome». (Chevallard, 1985, pag. 51). Ciò che distingue fondamentalmente queste tre categorie è, dunque, la possibilità di costruzione/non costruzione in classe dei saperi disciplinari che si presentano organizzati

7 L’Università ad esempio come luogo di produzione di Sapere. 8 La traduzione dal francese delle citazioni di Chevallard e di Brosseau sono ad opera dell’autrice.

(sequenzializzati) nel testo di sapere. In un curriculum di astronomia, ad esempio, la presenza preponderante di “nozioni astronomiche”, piuttosto che “protoastronomiche” e “parastronomiche9 implica per l’insegnante, se ci si sofferma a studiare il passaggio dal sapere da insegnare al sapere insegnato, la necessità della ricerca di integrazione tra programmi di discipline diverse (per esempio la matematica o la fisica) che forniscono concetti e linguaggio appropriati a formulare “definizioni”, “dimostrazioni”, regole per lo svolgimento di esercizi, strumenti per “modellizzare” i fenomeni astronomici, ed inoltre l’esplicitazione delle competenze minime da valutare negli studenti. Non si può capire senza la geometria, ad esempio, la definizione del concetto di latitudine come equivalente alla altezza del polo sull’orizzonte. L’osservazione della stella polare non è di per sé assimilabile a questa definizione. La modellizzazione della Terra come sfera, i teoremi sulla eguaglianza degli angoli, l’assunzione del parallelismo dei raggi luminosi provenienti dagli oggetti celesti lontani, sono invece alcuni dei concetti alla base di questa definizione operativa. Tutto ciò determina una sequenzializzazione dei saperi da apprendere molto rigorosa. E la conseguente verifica e valutazione dei concetti appresi è funzione dei saperi introdotti. L’analisi del Programma e della programmazione dell’insegnante consente dunque a-priori di prevedere il ruolo dell’alunno nel processo di insegnamento/apprendimento relativamente ai saperi da insegnare: la messa in testo è lo strumento di previsione di ciò che è considerato insegnabile e pertinente nel sistema didattico. Sappiamo, comunque, che il lavoro dell’insegnante non si esaurisce nella programmazione dei saperi da insegnare. E’ infatti totalmente a suo carico il lavoro di contestualizzazione di tali saperi nella classe. Le scelte che l’insegnante deve fare per trasformare il sapere da insegnare in sapere insegnato devono tener conto sia delle difficoltà abituali degli studenti nell’acquisire i concetti che gli si vuol far apprendere10 sia delle situazioni didattiche che l’insegnante deve mettere in campo per raggiungere gli obiettivi prefissati. La presa in conto dell’insegnamento in atto nella classe introduce una ulteriore variabile nel sistema didattico, che è il tempo della didattica, non riducibile alla linearità del tempo dell’insegnamento, deducibile dalla sequenzializzazione del testo di sapere. Il tempo come variabile che modellizza la relazione didattica Insegnante-Allievo-Sapere rappresenta la chiave di lettura dei fenomeni didattici osservabili in classe ed è sull’analisi di questa variabile che appunteremo la nostra attenzione per identificare meglio la posizione dell’alunno nella relazione didattica che si realizza quando si costruiscono dei nuovi saperi. Seguiremo dunque il filo rosso del costruito/non costruito nell’insegnamento/apprendimento dell’astronomia e astrofisica per distinguere ciò che è insegnabile da ciò che non lo è. La trasposizione didattica di un contenuto di astronomia che presentiamo nel prossimo paragrafo, rappresenta un esempio di come si può costruire un curriculum innovativo puntando sull’insegnamento/apprendimento dell’astronomia classica. La trasposizione dell’astronomia che ne scaturisce ridisegna un profilo epistemologico di questa antica

9 Un esempio di trasposizione dell’astrofisica prevalentemente proto e para astrofisica è contenuta in Lai 2002a, pag. 20-21. 10 L’insegnante acquisisce queste conoscenze dalla letteratura della ricerca didattica o più realisticamente dalla propria esperienza.

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disciplina molto più vicino alle origini da cui si è sviluppata più di quanto i libri di testo e le esperienze descrittive che circolano nella pratica della scuola non consentano di fare. Essa funge da prototipo e da riferimento per riflettere sulla insegnabilità dell’astronomia e dell’astrofisica nel sistema scolastico.

2. INSEGNABILITÀ DELL’ASTRONOMIA Lo studio dell’origine degli oggetti di sapere nell’ambito della teoria della Trasposizione didattica rivela la natura processuale della elaborazione delle conoscenze scientifiche, la cui forma sintattica e logica sono il frutto di un laborioso lavoro di manipolazione sui risultati di ricerca ad opera degli stessi ricercatori, finalizzato alla comunicazione nell’ambito della comunità scientifica più vasta di quella nella quale nascono11. Ciò vuol dire rendere ogni sapere funzionale all’istituzione nella quale esso deve vivere. Un sapere non esiste, infatti, in vacuo, ogni sapere è il sapere di una istituzione. Poiché l’intento di questo articolo è quello di mostrare la compatibilità dell’astronomia classica con l’esigenza di innovazione che viene dal sistema scolastico occorre, allora, esplicitare la genesi degli oggetti di sapere astronomici che devono essere trasformati in oggetti da insegnare. Il processo di identificazione di questi oggetti richiede l’assunzione di un punto di vista epistemologico sulla disciplina e sulle finalità educative attribuite all’insegnamento scientifico in generale nella scuola. Il punto di vista epistemologico mette in luce, infatti, la struttura logica della disciplina e determina il senso con i quali i saperi da insegnare compaiono nel curriculum, i cui significati devono essere rintracciabili operativamente nella messa in testo e nella istituzionalizzazione12 del sapere insegnato in classe. La domanda: che cosa insegnare? si riscrive, dunque, nel sistema scolastico, come: che cosa è insegnabile? Cominciamo, dunque, col fornire brevemente il nostro punto di vista epistemologico sull’astronomia, appoggiandoci sulla “psicanalisi” della scienza operata da Bachelard ,1938, di cui citiamo un lungo brano. “Rendere geometrica la rappresentazione, vale a dire descrivere i fenomeni e ordinare in serie gli eventi decisivi di una esperienza: ecco il compito primario in cui si afferma lo spirito scientifico. E’ in questo modo, infatti, che si giunge alla quantità figurata, a mezza strada fra il concreto e l’astratto, in una zona intermedia dove lo spirito pretende di conciliare la matematica con l’esperienza e le leggi con i fatti. Ma il compito di questa geometrizzazione13, che si è creduto spesso di aver realizzato (…) finisce sempre col rivelarsi insufficiente. Prima o poi, nella maggior parte dei domini scientifici, si è costretti a constatare che quella prima rappresentazione geometrica, fondata su un 11 Una analisi di questo processo è contenuta in Lai 2002a. 12 Una presentazione della necessità e complessità di questo processo conclusivo nella costruzione di una nuova conoscenza è contenuta in Polo 2002, pag. 10. 13 Bachelard individua tre stati per lo spirito scientifico: “Lo stato concreto, dove lo spirito si diverte con le prime immagini del mondo; Lo stato concreto-astratto, dove lo spirito aggiunge degli schemi geometrici all’esperienza fisica e si basa su una filosofia della semplicità. Lo spirito, però, si trova ancora in una situazione paradossale: è tanto più sicuro della sua astrazione quanto più tale astrazione è chiaramente rappresentata da un’intuizione sensibile. Lo stato astratto, dove lo spirito mette in atto informazioni volontariamente sottratte all’intuizione dello spazio reale, volutamente separate dall’esperienza reale e persino apertamente in polemica con la realtà primitiva, sempre impura e sempre informe.” (Bachelard, 1938-1999, pag. 5)

realismo ingenuo delle proprietà spaziali, implica rapporti più nascosti, leggi topologiche meno nettamente solidali con le relazioni metriche immediatamente apparenti; insomma, legami più profondi di quelli offerti dalla familiare rappresentazione geometrica. A poco a poco, si sente il bisogno di lavorare per così dire sotto lo spazio, al livello delle relazioni essenziali che sostengono sia lo spazio che i fenomeni (…). Il ruolo della matematica nella fisica contemporanea supera quindi decisamente la semplice descrizione geometrica. Il matematismo non è più descrittivo, ma formativo. La scienza della realtà non si accontenta più del come fenomenologico; essa cerca il perché matematico. Dal momento che il concreto già accetta, dopotutto, l’informazione geometrica ed è correttamente analizzato dall’astratto, perché non ammettere allora di porre l’astrazione come la pratica normale e feconda dello spirito scientifico?” (Bachelard, 1938-1999, pag.1-2, Discorso preliminare). In questo passo viene esaltata la natura ipotetico-deduttiva della scienza, che ha bisogno dei modelli per rappresentare e spiegare la realtà, per i quali lo strumento matematico appare essenziale. In ciò consiste la formazione dello spirito scientifico. A questo obiettivo deve dunque tendere un nuovo testo di sapere dell’astronomia. Ciò risponde anche ad una esigenza più profonda della costruzione del pensiero scientifico che riguarda il rapporto ontologico soggetto epistemico/realtà. Sul rapporto ontologico più avanti nel capitolo 11 si legge: ”Una conoscenza oggettiva immediata è necessariamente una conoscenza errata per il fatto stesso di essere qualitativa (…) Una conoscenza immediata è soggettiva nel suo stesso principio (…). D’altro canto, sarebbe sbagliato pensare che una conoscenza quantitativa sfugga in linea di principio ai rischi della conoscenza qualitativa. La grandezza non è qualcosa di automaticamente oggettivo (…). Visto che l’oggetto scientifico è sempre, per certi versi, un oggetto nuovo, si capisce subito perché le determinazioni primitive riescano fatalmente male (…) Queste osservazioni diventeranno più pertinenti se si caratterizzerà l’influenza dell’ordine di grandezza umano su tutti i nostri giudizi di valore (...). Su questo problema delle misure, tanto povero in apparenza, possiamo riconoscere anche il divario fra il pensiero del realista e il pensiero dello scienziato. Il realista tocca subito con mano l’oggetto particolare. Lo descrive e lo misura perché lo possiede (…). Lo scienziato, al contrario, si avvicina a quest’oggetto inizialmente mal definito. E innanzitutto si appresta a misurarlo. Egli ne discute le condizioni di studio determinando la sensibilità e la portata dei suoi strumenti, quindi descrive piuttosto il suo sistema di misura che l’oggetto della sua misurazione. L’oggetto misurato non è più che un grado particolare dell’approssimazione del sistema di misura. Lo scienziato crede al realismo della misura più che alla realtà dell’oggetto (…). L’oggettività viene allora affermata al di qua, non al di là della misurazione, come metodo discorsivo e non come intuizione diretta dell’oggetto. Occorre riflettere per misurare e non misurare per riflettere.” (Bachelard, 1938-1999, pag. 249 –252). E’ descritto e definito in questo passo in forma essenziale, e nello stesso tempo con una portata generale, il processo della conoscenza scientifica. La scienza è inscindibile dall’azione del separare, del ritagliare nel reale gli oggetti di studio per mezzo della misura, ed ogni disciplina emerge con la propria specificità in relazione ai sistemi di misurazione. Conoscere è pertanto misurare. Non occorre insistere oltre nel mettere in risalto il modo in cui la matematica e in particolare la geometria diano forma ai

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fenomeni astronomici, ne costituiscano la struttura fondante come scienza e ne forniscano gli strumenti per la modellizzazione e spiegazione dei fenomeni studiati. L’analisi del contenuto di astronomia e la progettazione della sua realizzazione in classe, che proponiamo nel paragrafo seguente, raccoglie tutti gli spunti teorici fin qui esposti. L’argomento scelto riguarda una attività sperimentale abbastanza conosciuta e diffusa nella scuola italiana; si tratta dell’esperienza di Eratostene: la misura del raggio della Terra. Perché proporla se è già così diffusa? 14 Perché riteniamo che essa rappresenti bene in nuce che cosa si debba intendere con curriculum di astronomia, e possa mostrare l’innovazione come effetto di un nuovo testo di sapere, non solo come una metodologia dell’insegnante. I punti caratterizzanti questo segmento di curriculum di astronomia sono i seguenti:

• E’ indispensabile la misura: questa attività mostra l’importanza delle ipotesi teoriche sottese alla osservazione del fenomeno astronomico (altezza del Sole sull’orizzonte) e alla misura degli angoli, sui quali si basa il calcolo della misura del raggio della Terra.

• E’ presupposta una “modellizzazione” di tipo geometrico del fenomeno osservato e misurato, che consenta di passare dalla pratica della misura nel cortile della scuola alla rappresentazione sul modello Terra dello stesso fenomeno.

• L’ambiente di apprendimento consente l’emergere di “ostacoli epistemologici”, di tipo spaziale soprattutto, il cui ruolo fondamentale nella costruzione di nuove conoscenze è approfondito in questo lavoro nel paragrafo 3.

• Risponde ai vincoli “tipici” del curriculum, imposti dalla scolarizzazione dei saperi da insegnare:

o messa in testo, ossia possibilità di uno sviluppo cronologico dei contenuti proposti (cronogenesi)

o Attività pratica ed esercizi per gli studenti (topogenesi). Esistono delle tecniche di soluzione dei problemi posti. E’ presa in conto l’evoluzione concettuale dei contenuti implicati, attraverso la realizzazione di successive fasi di lavoro per gli studenti.

o Il sapere si presenta come un tutto strutturato; è, cioè, riconoscibile una organizzazione del sapere più ampia di ciò che è insegnato. Sussistono infatti le tutte le condizioni peculiari della scienza:

a) esistono delle teorie generali; b) dei piccoli teoremi ad esse inerenti; c) degli esercizi o dei problemi, d) per i quali si possono utilizzare i teoremi e delle tecniche per risolverli; ) e i risultati sono controllabili.

2.1 Analisi a-priori del sapere Quali saperi sono implicati e come sono tra loro collegati nella procedura ideata da Eratostene per misurare la circonferenza della Terra, senza quasi muoversi da casa?

14 Esiste anche un sito internet, Rete di Eratostene, a cura della Fondazione IDIS, Città della Scienza che ha sede a Napoli.

Eratostene ha sfruttato le proprietà matematiche contenute in figura 1, conoscendo la distanza fra Siene ed Alessandria. Ne mettiamo in evidenza gli elementi portanti. Prima modellizzazione dell’esperienza

La modellizzazione matematica permette di prevedere che se conosciamo la distanza SA (arco di circonferenza) allora poiché archi uguali sottendono angoli uguali, conoscendo l’angolo α si può con una proporzione ricavare la misura della circonferenza. I saperi matematici presupposti nella soluzione di questo problema sono i seguenti: • E’ supposta la Terra sferica • E’ rappresentata una intersezione delle sfera con un piano • Rapporto archi e angoli di un cerchio • Proporzioni

A

S

O

Figura 1

La modellizzazione matematica riduce il problema alla ricerca di un modo per misurare l’angolo al centro α. A questo punto entra in gioco l’astronomia, i suoi fenomeni e in particolare i suoi metodi di misura , identificabili con gli strumenti di misura di angoli. Posizione, distanze, movimenti degli oggetti celesti sono, infatti, riconducibili a relazioni angolari. Quali fenomeni astronomici sono prevedibili supponendo la Terra sferica, posta al centro di una grande sfera che contiene tutti gli astri visibili? La 1° modellizzazione suggerisce il percorso della ricerca della misura dell’angolo α e conduce alla previsione ad esempio della diversa altezza del Sole in meridiano in rapporto alla diversa latitudine dei punti della Terra. Ciò implica la possibilità di misurare e confrontare angoli nei medesimi istanti di osservazione del Sole, utilizzando un semplicissimo strumento quale è lo gnomone, ben conosciuto dai greci. La relazione che lega l’altezza sull’orizzonte di un astro (h) o meglio la sua distanza zenitale (z = 90 - h), alla declinazione δ (altezza dell’astro rispetto all’equatore) nell’istante della sua culminazione superiore in meridiano è data dalla semplice formula: z = ϕ – δ (o da z = δ – ϕ, se δ ≥ ϕ). Se si considera lo stesso oggetto, in questo caso il Sole, nel medesimo istante (a mezzogiorno vero) sullo stesso meridiano di due località differenti, situate per semplicità a latitudini medie del nostro emisfero (cioè ϕ ≥ δ), avremo che:

z1 = ϕ1 – δ

9

z2 = ϕ 2 – δ

da cui per differenza si ottiene: z2 – z1 = φ 2 – φ 1. Ovvero nella località di latitudine maggiore il Sole è visto ad una distanza zenitale maggiore (e quindi a una altezza minore sull’orizzonte). Misurando simultaneamente la distanza zenitale del Sole in meridiano in due località diverse è possibile ottenere la differenza delle latitudini in gradi e di conseguenza la misura in gradi dell’angolo al centro a, come si può vedere dalla fig. 2, coincidendo la latitudine con l’angolo formato dalla verticale con il piano equatoriale. Due osservatori posti sullo stesso meridiano che osservino simultaneamente il Sole (o qualsiasi altro oggetto) sono perciò in grado di determinare la distanza in gradi tra le due località e, se questa è nota anche in unità lineari (per es. in Km), si ha immediatamente una misura del raggio della Terra. Eratostene sapeva che a Siene (che Eratostene assume essere a Sud di Alessandria), il Sole è circa allo zenit a mezzogiorno del solstizio d’estate. Nello stesso momento ad Alessandria il Sole forma un angolo con la verticale del luogo, che è misurabile con lo gnomone. In questo caso la distanza zenitale z1= 0 (a Siene). Bastava quindi ad Eratostene, dal punto di vista sperimentale, effettuare solo la misura z2 (ad Alessandria). La misura dell’angolo tra le verticali delle due città permette la seconda modellizzazione dell’esperienza, riportando nel modello precedente i dati provenienti dall’osservazione, come in fig. 2.

A

O

α

φ1

φ2

Figura 2

Seconda modellizzazione dell’esperienza. Si riportano sul modello i dati dell’esperienza: lo gnomone, l’orizzonte, i raggi paralleli del Sole, il Sole; l’angolo di altezza del Sole ad Alessandria.

φ1 è la latitudine di Siene ed è z1 = 0; φ2 è la latitudine di Alessandria ed è z2 (misurato con lo gnomone) = φ2 – φ1 = α La matematica modellizza l’esperienza fenomenica: si sfruttano teoremi matematici per inferire conoscenze relative alla realtà fenomenica astronomica. In particolare per misurare l’angolo al centro si sfrutta il teorema di Talete. L’angolo al centro, infatti, risulta:

α = z2 (essendo questi angoli alterni interni).

L’esperienza di Eratostene può essere ripetuta adattandola a luoghi e a tempi di osservazione diversi dal solstizio d’estate.15. La situazione realizzata a Cagliari è relativa al solstizio d’inverno, e il confronto è quindi con un punto sul Tropico del Capricorno. L’analisi a priori dei saperi in gioco nell’esperienza di Eratostene mettono ben in evidenza il legame tra conoscenze matematiche, astronomiche e storiche (ma non solo). Capire l’astronomia è capire la geometria “intrinseca” degli “eventi” astronomici. Cosa si può fare nella scuola dipende, quindi, dalla costruzione di un percorso interdisciplinare che sfrutti tutte le conoscenze presenti nei Programmi. Realizzare questa esperienza porta all’esigenza di andare, probabilmente, contro la sequenza dei libri di testo, spesso omologati ai Saperi provenienti dai luoghi dove essi vengono prodotti. E’questo un compito dell’insegnante. Egli ha, infatti, il ruolo, la funzione, il potere di modificare le sequenze dei libri di testo e/o, in qualche misura, dei Programmi, in funzione dei processi reali di apprendimento degli alunni. 2.2 Il punto di vista della posizione docente: analisi a-priori di un sapere da insegnare L’analisi a priori del sapere da insegnare produce una sequenza di contenuti legati tra loro da una logica interna alla disciplina, ma che appaiono nello specifico riorganizzati in funzione del problema da risolvere (misura del raggio della Terra). Ciò fa assumere alla sequenza una necessità rispetto alla cronologia del loro insegnamento e nello stesso tempo una linearità che deve essere messa a confronto con il contesto reale dell’apprendimento di questi stessi concetti. È dunque ora necessario identificare i punti nodali sui quali si deve far leva in classe per creare “il problema” e farlo diventare il “problema di tutta la classe”. 2.2.1 Da un oggetto da insegnare ad un oggetto insegnato. L’organizzazione di una sequenza operativa equivale a indicare la previsione di un percorso possibile in classe. Nelle scelte dell’insegnante devono dunque essere chiari non solo gli snodi concettuali previsti nella sequenza lineare, ma anche le domande e le risposte attese/non attese degli studenti su tutti questi punti nodali. La scelta di fondo che guida tale previsione è strettamente dipendente dall’idea che l’insegnante si fa rispetto a ciò che può essere costruito dagli studenti e ciò che, invece, può solo essere dato (più o meno “interattivamente” a seconda del loro ruolo nell’esperienza). Se si vuole “rifare” l’esperienza di Eratostene, si tratta di decidere che cosa dire e non dire agli alunni, rispetto all’esperienza originale realizzata dall’astronomo greco. Si tratta anche di accertarsi del “che cosa sanno” gli alunni sui concetti “dati” come pre-costruiti, e “come” essi li “sanno”. Ed infine su ciò che gli alunni dimostrano di sapere occorre valutare se essi sono consapevoli delle implicazioni pratiche di ciò che dimostrano di conoscere in termini “scolastici”. Un possibile cammino per rispondere a queste domande è rappresentato dalla ulteriore analisi a priori del sapere da insegnare vista in funzione del sapere insegnato. Nell’esperienza di Eratostene da noi proposta, l’attività di misurazione ed osservazione è preceduta dalla visione storica dell’esperienza, dall’acquisizione critica della forma della

15 Una analisi dei casi possibili è contenuta in ESCP- Scienze della Terra, volume A, Zanichelli, 1974, pag. 37-40.

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Terra, dalla esplicitazione di tutte le conseguenze osservabili o prevedibili di questa assunzione, dalla modellizzazione in termini geometrici dei fenomeni astronomici da cui è possibile trarre indicazioni di altri eventi, fenomeni prevedibili la cui esistenza diventa “prova”, o al contrario “confutazione” del modello proposto. L’esperienza è articolata nelle seguenti fasi:

1. Prima fase - Introduzione all’esperienza – (1 ora) 2. Seconda fase - Attività di misurazione con lo gnomone – (1 ora) 3. Terza fase - Lavoro di gruppo in classe (2 ore) – ricostruzione della misura

della circonferenza terreste (esperienza di Eratostene) 4. Quarta fase - Sintesi del lavoro di gruppo mediante una discussione collettiva

gestita dall’insegnante di classe (1 ora)

Analisi a-priori delle prime tre fasi: la posizione insegnante

Verificare se gli studenti sanno chi era Eratostene e quando è vissuto. Far risaltare il contesto sociale e culturale del periodo ellenistico: l’importanza delle misure della Terra e della geografia che ridisegnava con l’unificazione dell’impero di Alessandro Magno nuovi e più ampi confini. E’ in questo ambiente di interazioni e confronto che nasce e si sviluppa la scienza greca, culla del pensiero scientifico occidentale. Eratostene ne rappresenta un autorevole esempio. Egli ha misurato la circonferenza della Terra: come? Che cosa sapeva?

• La forma della Terra e tutte le implicazioni fenomeniche. Le proprietà geometriche legate a questa forma.

• La proporzione angoloα360° = distanza d

circonferenzaC

Angolo α : 360° = distanza d : circonferenza C

• Distanza d tra Alessandria e Siene = 5000 stadi – 1 stadio = 157, 5 m • Misura dell’angolo α = 1/50 di 360° • Dai dati precedenti Eratostene ricavò Circonferenza C = 5.000 x 50 = 250.000

stadi che equivalgono a Circonferenza C = 39.375 Km Desumere da questa presentazione i due punti cruciali dell’ipotesi di Eratostene e sottoporli a verifica critica tra gli studenti. Punto a) La forma della Terra. Quali fenomeni osservati suggeriscono l’idea che la Terra è necessariamente sferica e non è piatta come sembrerebbe suggerire la nostra percezione locale? Proponiamo alcune domande per la discussione in classe.

• Se la Terra fosse piatta, come apparirebbe un animale e un essere umano sul nostro orizzonte? E se invece un essere umano emerge dal picco di una collina rotondeggiante?

• E una stella come appare? Orientarli verso la posizione della stella polare: la sua altezza sull’orizzonte equivale alla latitudine del luogo; quindi a latitudini diverse corrisponde una altezza diversa.

• Se la Terra è rotonda (in prima approssimazione ciò può essere considerato vero), allora possiamo sfruttare le sue proprietà geometriche e prevedere tutte le implicazioni fenomeniche dovute alla sua “rotondità”.

Punto b). Proprietà geometriche della sfera. Mostrare tutte le implicazioni: angoli e archi, e la proporzione angoli e circonferenza. Il primo problema da risolvere è quindi: Come misurare questo angolo α?

E’ prevedibile che gli studenti non abbiano nessuna idea di come si misura questo angolo. E’ dunque necessario mettere in relazione il punto a) ed il punto b), attraverso la “mostrazione” dei fenomeni legati alla forma della Terra, e far emergere la necessità di concentrarsi sugli “angoli” misurati in Astronomia. Problematizzare per creare il “problema in classe”. Questi gli snodi fondamentali.

• Soffermiamoci sugli oggetti celesti: Il Sole, le stelle, La Luna. E’ esperienza comune constatare che l’altezza di questi oggetti varia, nel corso di una giornata per esempio. Ma che cosa è l’altezza (h) di una stella? Dare la definizione di altezza come misura angolare, di zenit, di meridiano e di orizzonte astronomico. Materializzazione dello zenit con il filo a piombo.

• Se la Terra è rotonda cambia l’altezza di uno stesso oggetto sull’orizzonte in funzione del luogo di osservazione.

Per focalizzare il” problema della classe” occorre fare ancora un ulteriore passo nella contestualizzazione dei fenomeni evocati assumendo il Sole, che è una stella, quale oggetto da osservare nella ricerca di una strada che porti verso l’individuazione degli angoli significativi per la soluzione del problema di Eratostene .

• Constatazione del comportamento del Sole durante l’anno, nel nostro orizzonte locale (sorgere e tramontare in punti diversi, cambia la max. h).

• Comportamento del Sole nello stesso giorno nei diversi punti della Terra, alle diverse latitudini. Le fasce astronomiche. Mostrare una immagine.

• Confrontabilità dell’altezza del Sole in Meridiano tra due luoghi differenti. • Come misurare l’altezza del Sole? Misura con lo gnomone: il triangolo:

gnomone, ombra, direzione (raggio) del Sole. • Al solstizio d’inverno quali paesi hanno il Sole allo zenit? E a Cagliari quanto

misura l’altezza? Che relazione hanno queste misure con l’esperienza di Eratostene? Come possiamo sfruttare questa circostanza di raffronto tra angoli (h diverse del Sole in meridiano a diverse latitudini) per trovare l’angolo α? Questo è il nostro problema.

Si assume finalmente il problema da risolvere e si indica un percorso per risolverlo. 2° Fase In cortile: Tre gruppi di studenti.

Sistemazione dello gnomone sul terreno per ciascun gruppo. Verifica della sua verticalità. Misura delle ombre 1/2 ora prima e dopo il mezzogiorno vero. Modalità di lavoro: Ogni gruppo di studenti è suddiviso in sottogruppi: chi cronometra; chi misura; chi segna le ore e le misure corrispondenti alle ore segnate.

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In classe: Si disegna il triangolo ombra-gnomone-raggio del Sole in scala; Si discute dell’errore di misura delle ombre e degli angoli. Si misurano gli angoli con il goniometro e si assume come misura della h (o della distanza zenitale) la media delle misure dei tre gruppi.

3° Fase In classe: calcolo della misura del raggio della Terra. Nel seguito sono descritte le condizioni della situazione didattica, rispetto alla quale sono specificati anche i compiti dell’insegnante e la consegna per gli alunni.

4° Fase: riepilogo e discussione del lavoro fatto. 2.3 Il punto di vista della posizione studente: analisi a-priori del sapere in atto Prima del lavoro di gruppo, l’insegnante richiama il lavoro da fare e consegna il materiale16. Durante il lavoro di gruppo:

1. Può ricordare la definizione dello zenit–misura della distanza del sole dallo zenit: (da 0°, a 90°)-senza la rappresentazione dei raggi del sole; che l’angolo al vertice misurato sull’orizzonte locale tra lo gnomone e il raggio del sole può essere definito come distanza dallo zenit.

2. Non deve suggerire che si può identificare l’orizzonte locale con la tangente al punto di osservazione (Alessandria-Cagliari e Siene-Walsvibaai).

3. Non deve suggerire che i lati dell’angolo al centro sono la prosecuzione degli gnomoni situati sulla superficie della Terra nei punti di osservazione.

4. Non deve suggerire che l’angolo al centro è corrispondente all’angolo al vertice del triangolo realizzato (gnomone, raggio, ombra).

5. Se nessuno trova la soluzione, può suggerire in ordine le risposte ai punti precedenti da 1 a 3

Il Teorema di Talete e in particolare l’uguaglianza degli angoli alterni interni, può essere suggerita nel momento in cui è stata ben impostata la soluzione del problema, ossia i punti precedenti da 1 a 2 . Presentiamo un esempio di strategia di soluzione del problema da parte degli studenti: traccia di una arco di circonferenza sotto il disegno riportato in carta millimetrata dello gnomone/ombra/angoli. Ciò ha permesso di schematizzare l’orizzonte come piano tangente alla superficie della Terra e quindi di risolvere il problema e di validare il risultato confrontando la misura ottenuta con quella di Eratostene.

16 Si veda la scheda data agli studenti in allegato 1.

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Nella Tabella seguente sono riassunte le fasi del lavoro, gli obiettivi e i fenomeni didattici ad esse associate:

Fasi-costruito/non costruito -

Obiettivi generali Obiettivi specifici

Competenze- Abilità- Atteggiamenti

Fenomeni del sistema didattico

1° Fase Non costruito

Presa di coscienza delle basi storiche della cultura scientifica occidentale

Passaggio da uno statuto di “azione” ad uno di “formulazione” per i pre-requisiti di carattere astronomico

Acquisizione di procedure operative nel sapere astronomico e matematico

origine del processo di devoluzione

2° Fase Costruito

Acquisire una mentalità scientifica: dall’ipotesi alla misura

Misurare in Astronomia (altezza di oggetti in Meridiano; Ombre; Orizzonte astronomico) con la Matematica: (Angoli, triangoli simili, proporzioni…)

Utilizzare procedure operative nella osservazione diretta di un fenomeno; schematizzare e analizzare situazioni reali

Processo di Devoluzione

3° Fase Costruito Non costruito

Acquisire una mentalità scientifica: dalla misura, al modello

Calcolo della misura del raggio della Terra. In Matematica utilizzazione del Teorema di Talete

Saper analizzare e schematizzare situazioni reali. Saper esaminare i fatti e ricercare riscontri obiettivi delle proprie ipotesi

Situazione a-didattica. Validazione

4° Fase Consapevolezza dell’acquisizione di una mentalità scientifica

Gli errori di misura e la pratica della scienza

Il “fare” come veicolo del progettare, eseguire, interpretare i dati acquisiti

Istituzionaliz- zazione del sapere da parte dell’Insegnante

3. TEMPI DELL’INSEGNAMENTO E TEMPI DELL’APPRENDIMENTO La distanza che esiste tra il progetto dell’insegnante (ossia costruzione della sequenza di insegnamento/apprendimento di un sapere dato) e la sua realizzazione in classe è spiegata sia nell’ambito della Teoria della Trasposizione didattica che nella Teoria delle Situazioni come conseguenza della natura non lineare dell’apprendimento di nuove conoscenze da parte degli alunni. Nell’ambito del paradigma delle teorie dell’apprendimento interazioniste l’assunzione del soggetto epistemico che costruisce in interazione con l’ambiente le proprie conoscenze è ciò che conduce a concepire la complessità dell’atto conoscitivo. Si ripresenta nel processo di apprendimento lo stesso rapporto ontologico che si pone nella più vasta costruzione della scienza. 3.1 Testo di sapere e ragioni epistemologiche Il richiamo a Bachelard e alla sua elaborazione del concetto di ostacolo epistemologico17 per spiegare il progresso della scienza poggia sull’assunzione dell’esistenza di questo stesso processo conflittuale come fondativo del rapporto uomo/realtà, che si può estendere ad ogni singolo soggetto che si appresta ad apprendere conoscenze nuove. In La Formazione dello spirito scientifico è per dar conto di questo rapporto che Bachelard introduce questo concetto, di cui riportiamo il brano seguente: “Quando si ricercano le condizioni psicologiche dei progressi della scienza, ci si convince ben presto che è in termini di ostacoli che bisogna porre il problema della conoscenza scientifica. E non si tratta di considerare ostacoli esterni, come la complessità e fugacità dei fenomeni, oppure di incolpare la debolezza dei sensi e dello spirito umano, perché è all’interno dell’atto stesso del conoscere che, per una specie di necessità funzionale, appaiono lentezze e confusioni. (…) Si conosce, infatti, contro una conoscenza anteriore, distruggendo conoscenze mal fatte…(Bachelard, 1938, ed. 1999, pag. 11) Ritroviamo in questa elaborazione le radici del conflitto vecchio/nuovo che Chevallard considera alla base dell’apprendimento in classe, che giudica affatto assimilabile alle modalità della ricerca scientifica."Una ricerca appare così come una successione di rimbalzi dove un problema risolto (o provvisoriamente scartato) porta altri problemi, posti, da risolvere. Il processo di insegnamento, differisce fondamentalmente, rispetto a questo riguardo, dal processo di ricerca : i problemi non sono la molla dell’avanzamento; questa è costituita da una certa contraddizione vecchio/nuovo.» (Chevallard, 1985, pag, 65) Alla stessa teoria attinge Brousseau quando ricerca le condizioni didattiche negli apprendimenti per adattamento. «L’ostacolo è costituito come una conoscenza, con degli oggetti, delle relazioni, dei metodi di apprendimento, delle previsioni, con delle evidenze, delle conseguenze dimenticate, delle diramazioni impreviste. (…) Egli oppone resistenza al rigetto, tenterà, come può, di adattarsi localmente, di modificarsi con il minimo costo, di ottimizzarsi su un campo ridotto (riducendo il campo, seguendo un processo di accomodazione ben conosciuto. (…) Così, il superamento di un ostacolo esige un lavoro della stessa natura della costruzione di una conoscenza, ossia delle

17 Una analisi degli ostacoli epistemologici in Astronomia è contenuta in S.Lai, 2002 b.

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interazioni ripetute, dialettiche dell’allievo con l’oggetto della sua conoscenza.» (Brousseau, 1978, pag.123) La concezione costruttivista della conoscenza implica la necessità della messa in campo di situazioni didattiche che consentano l’evoluzione delle conoscenze/ostacolo verso le conoscenze accreditate della scienza che si vuol far apprendere. L’ambiente di apprendimento (le milieu) si struttura, in questo caso, come sistema antagonista per l’alunno nel quale egli ha la possibilità di effettuare azioni/reazioni e questo conflitto scatena la dialettica “vecchio/nuovo”, attraverso il quale prende corpo la conoscenza nuova che si vuole costruire18. Sono queste situazioni a-didattiche. Si configura, in queste situazioni, una progressione dell’acquisizione dei saperi non lineare, in quanto frutto dei processi di assimilazione/accomodamento personalizzati e individuali, che danno vita in classe, a conoscenze “provvisorie” sulle quali è non solo possibile ma necessario ritornare per ridefinire senso e significati nuovi alla luce di nuove esperienze. Di questo processo non si trova traccia nella messa in testo del sapere sui cui si basa la cronogenesi dell’insegnamento. Si delineano dunque due modelli temporali differenti: lineare, cumulativo e in quanto tale irreversibile nel testo di sapere, non lineare, con ritorni indietro, e quindi reversibile, nella topogenesi. Chevallard propone di riferirsi al concetto freudiano di après-coup per descrivere e comprendere meglio questo processo. Occorre precisare che non è il “vissuto” in generale che è rimaneggiato après-coup “ma selettivamente ciò che, nel momento in cui lo si è vissuto, non ha potuto integrarsi pienamente in un contesto significativo (…)“. (Laplanche e Pontalis, 1973, p. 34 citazione di Chevallard, 1985, pag. 87). L’esistenza di après-coup rivela, in ultima analisi, l'impossibilità di una identità dei tempi di insegnamento/tempi dell’apprendimento e crea come fenomeno didattico la topogenesi didattica. Il fatto che essa esiste impedisce che l’insegnante possa ignorarla nella cronogenesi del suo insegnamento perché essa crea il posto dell’allievo (con i suoi apprendimenti) e solo ciò che è dichiarato acquisito può entrare nella istituzionalizzazione da parte dell’insegnante, creando il sapere della classe. Tale identità è, dunque, una finzione didattica, necessaria per organizzare la programmazione dell’insegnante, ma assolutamente non coincidente con la pratica del lavoro in classe. Rispetto alla complessità dei processi reali di apprendimento, P. Guidoni e S. Caravita (2002) sottolineano opportunamente il “ruolo cruciale della percezione e dell’azione come modello implicito primario nei confronti di ogni organizzazione cognitiva. (Questo avviene a partire dal sistematico aggiustamento e integrazione risonante fra i dati dei canali sensoriali primari, punto di snodo nel definire ogni senso e ogni significato: coinvolgendo, sempre, sia tutto quello con cui si inter-agisce nel mondo esterno, sia tutto quello che si trova schematicamente “duplicato” nel mondo cognitivo interno all’individuo, e nell’ambiente culturale). Alla percezione/azione, e alla loro sofisticata dinamica, ci si deve perciò sistematicamente ed esplicitamente riferire: non solo nell’avviare concretamente un percorso didattico, ma anche per indirizzarlo attraverso tutti i vari livelli del pensiero astratto.“

18 Si tratta della situazione a-didattica, definita da G. Brouseau. Si veda in Bessot A., 1994, Panorama del quadro teorico della didattica della Matematica in Francia, L'educazione matematica, n°1 Febbraio, pag.37/74, ED. C.R.S.E.M.. Cagliari.

Ma se è auspicabile che nella scuola si estendano sempre di più le situazioni a-didattiche, nelle quali il sapere, posta in gioco della situazione, sia costruito, non si può nemmeno ipotizzare la possibilità di eliminare tutto il precostruito dall’atto dell’insegnamento/apprendimento in ambito scolastico. Nella pratica didattica si impone la necessità anche di fare con il precostruito. Come scrive Chevallard esso è ineliminabile dalla esperienza cognitiva dell’individuo, costituisce «la componente di base della nostra ontologia e della nostra rappresentazione spontanea del mondo; ma questa componente esiste nella costruzione scientifica del reale, ed esiste anche... nella costruzione didattica del sapere e gioca un ruolo essenziale e specifico, nell’economia del sistema didattico.” (Chevallard, 1985, pag. 89). Come si integra il precostruito nel soggetto epistemico? Cosa si deve necessariamente costruire (nozioni) e cosa si può dare come precostruito (para e proto concetti) nella scuola? Come si caratterizzano le posizioni insegnante/alunno nel sistema didattico nelle due differenti situazioni? Sono queste le domande alle quali si vuole rispondere nel paragrafo seguente. 3.2 Testo di sapere e didattica: cronogenesi e topogenesi La trasformazione del sapere da insegnare in sapere insegnato richiede da parte dell’insegnante una attenta analisi del testo di sapere, per verificare ciò che può solo essere pre-costruito, e che esige après-coup, al fine di produrre in classe ciò che invece è da realizzare del curriculum. Ma come entra nella relazione didattica il precostruito? L’esistenza e la permanenza di questa precostruzione è consentita dalla disponibilità nel linguaggio di parole per nominare questi oggetti. Si tratta, come dice Chevallard, di un tipo di linguaggio assertivo: “L’oggetto non è costruito ma presentato, attraverso un deixis che è un appello alla complicità nel riconoscimento ontologico” (Chevallard, 1985, pag. 91). Il riconoscimento di questi oggetti è costruito su una sorta di narrazione dove l’apertura semantica delle parole non ha bisogno di essere “interrogata”, se la narrazione si snoda come una storia. Come in un romanzo. Ne La Tavola fiamminga di Perez Reverte (1999), non è necessario essere dei profondi conoscitori del gioco degli scacchi per capire la vicenda che è al centro dell’intreccio tra la partita giocata sulla scacchiera e l’analoga partita giocata sulla vita dei protagonisti. I rapporti causa-effetto sono esplicitati dalle regole utilizzate nel romanzo e spiegate ai fini della previsione degli accadimenti della storia narrata (quindi, certamente limitate nel senso, per chi non conosce tutte le regole del gioco degli scacchi…). La narrazione è un tipo di trasposizione didattica, ma evidentemente essa non permette un “apprendimento operatorio”, non si possono fare degli esercizi, non dà all’alunno se non lo spazio dell’empatia nel racconto. In altre parole non esiste topogenesi, perché non è previsto un posto per l’alunno, egli non deve produrre, in quanto soggetto didattico, nessun nuovo sapere. Nell’insegnamento, la manipolazione dei pre-costruiti è sottomessa ad una logica pratica, definita da un codice di condotta non esplicitabile. Il sapere che l’alunno apprende, come dice Chevallard “(…) è dunque un sapere fragile, senza robustezza poiché è dipendente dal contesto della situazione: non regge la variazione. Per accedere a uno statuto che lo faccia entrare in una attività teorica, dove sia sottoposto a critica , esso dovrà dunque essere ripreso, rifondato, costruito.” (Chevallard, 1985, pag. 93-94).

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La nostra analisi sulla trasposizione didattica dell’astrofisica in alcuni testi di scienze (Lai 2002a, pagg. 20-21), ha messo in evidenza lo statuto di para e protoastronomia, la cui struttura narrativa è consentita dall’uso di “parole”, associate a concetti non definiti nel testo (quali ad es. magnitudine, luminosità, classe spettrale, equivalenza, evoluzione….), recuperati dal linguaggio comune, o dalla divulgazione, o anche dalla fisica, ma che tuttavia non sono oggetto di insegnamento nei Programmi svolti a scuola. La didattica che il testo di sapere autorizza, è una illusione, è come la narrazione. La narrazione può proseguire perché il narratore ha sempre l’illusione che il suo uditorio lo segua, che egli sia comprensibile. Altrettanto la messa in testo del sapere permette al professore di avere l’illusione che gli allievi lo seguano. Ma, come abbiamo già avuto modo di dire, la pratica reale si sviluppa sulla topogenesi. E’ la topogenesi che mette in evidenza ciò che funziona e ciò che non funziona più in classe: se gli allievi non seguono più le spiegazioni del professore non può sussistere la topogenesi; il professore, in questo caso, non può più assegnare compiti da svolgere agli alunni, perché questo sarebbe qualcosa di incomprensibile per loro (al limite del ridicolo). E, d’altra parte, se non c’è un posto per l’allievo, se egli non ha “nulla da fare”, il professore non può far altro che una narrazione! Ma questa narrazione non può durare che un certo tempo, sarebbe a dire che una narrazione nel mondo della didattica non è possibile. Nella didattica è condizione necessaria che l’alunno si possa separare, staccare da ciò che il professore racconta. L’estinzione del sistema didattico che lega Insegnante/Alunno/Sapere in fase di costruzione è insito in una teoria dell’insegnamento/apprendimento dove è prevista l’istituzionalizzazione dei saperi costruiti, che segna una nuova fase della relazione al sapere, per l’insegnante che non ha più il compito di insegnarlo, ma anche per l’alunno, che deve rendere conto di ciò che ha imparato riutilizzando le conoscenze apprese. Questo vuol dire quindi, in altri termini, che una topogenesi esiste, deve esistere, e che l’alunno diventa responsabile del proprio sapere grazie alla topogenesi: essa marca la progressione dell’allievo nella costruzione (per sé) di un testo di sapere di cui egli ha la padronanza, che fa proprio, e che sarà capace di ricostruire con ciò che ha appreso. E’ su questo terreno che si situa la problematica didattica, che la teoria della trasposizione ci mostra. La finzione del tempo didattico è però funzionale e necessaria al processo didattico: l’insegnante deve credere, in un certo modo, alla finzione della durata didattica di cui è l’ordinatore. Esiste necessariamente un tempo legale, progressivo, cumulativo e irreversibile, ma dentro questo tempo il soggetto didattico deve potersi porre con la propria soggettività, con la dialettica vecchio/nuovo, dunque con la propria storia personale, quindi interpellato in quanto soggetto didattico, senza per questo pensare di identificare il tempo didattico con l’alunno. Non bisogna dimenticare, infatti, che il tempo legale si impone come una norma all’insegnante, che gli impone sia una accelerazione ma anche un freno, nel proprio lavoro in classe. Occorre riflettere sul fatto che la possibilità per l’insegnante di fare o no certi argomenti viene anche dalla trasposizione didattica e cioè da come gli argomenti sono collocati nel programma. Ciò impone il rispetto di certe sequenze didattiche, che non sono, come sappiamo, decise solo dall’insegnante. La costruzione di una teoria delle situazioni didattiche adeguate al processo di insegnamento/apprendimento presuppone, dunque, un cambiamento di temporalità, o

piuttosto la presa in conto del problema dell’articolazione tra molte temporalità non isomorfe. Su queste argomentazioni si valuta l’insegnabilità dei saperi, su questi vincoli si costruisce la risposta sull’insegnabilità dell’astronomia e dell’astrofisica.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE L’innovazione deve misurarsi con i vincoli del sistema didattico fuori e dentro la classe. L’innovazione richiede uno studio di fattibilità delle proposte avanzate. “(…) in questo lavoro intervengono delle condizioni dette ecologiche da Chevallard: un sapere da insegnare deve trovarsi la nicchia opportuna, non può destabilizzare troppo le relazioni fra oggetti di sapere già insegnati”( R. Floris, 2002). C’è dunque tutto un lavoro da fare per legittimare l’insegnamento dell’astronomia, e ancor di più per individuare la nicchia dove collocare alcuni temi di astrofisica. A nostro parere, l’obsolescenza che caratterizza l’astronomia classica si può superare recuperando sul piano epistemologico la connotazione di scienza osservativa, matematizzata, originaria, che ne fa una “disciplina”, problematicamente interrelata ad altri saperi, e questa interrelazione assume una pregnanza culturale e formativa in relazione agli aspetti cognitivi e metacognitivi della persona/soggetto epistemico, che sono gli alunni nel sistema didattico. Le competenze matematiche che servono per questo rilancio esistono già come saperi da insegnare nei programmi di matematica, che possono finalmente mostrare il valore conoscitivo più profondo nella soluzione di problemi “quotidiani”, come sono molti fenomeni astronomici. La topogenesi esiste, come dimostra il nostro esempio sulla misura del raggio della Terra, gli esercizi danno risultati validabili, i saperi coinvolti identificano un sistema organico di conoscenze. Si può costruire un curriculum. La risposta all’insegnabilità dell’astrofisica è invece ancora tutta da verificare in una trasposizione dentro la fisica, che sola può fornire “parole” e concetti sui quali costruire conoscenze nuove. Ci sono argomenti, a nostro parere, sui quali si può lavorare per creare un testo di sapere dove è possibile anche costruire concetti, agganciando l’astronomia classica per andare oltre: Le distanze, scale di grandezza, i modelli, che richiedono paradigmi nuovi attraverso i quali scoprire il senso dell’affermazione del “primato della teoria nella creazione dei suoi oggetti “osservativi”. Si potrebbero rompere schemi geocentrici, che aiuterebbero a guardare “lontano”. Si darebbe seguito al progetto di formare una mentalità moderna che già Bachelard vedeva necessaria a metà del secolo scorso: “Ciò che intralcia il pensiero scientifico contemporaneo (…) è l’attaccamento alle intuizioni abituali, l’esperienza comune presa secondo il nostro ordine di grandezza. Occorre allora rompere con le abitudini (...) L’abbandono delle conoscenze del senso comune è un sacrificio difficile. Non dobbiamo stupirci allora delle ingenuità accumulate nelle descrizioni iniziali di un mondo sconosciuto.” (Bachelard, 1939- 1999, pag. 267) Tutto questo richiede naturalmente una maggiore consapevolezza da parte degli insegnanti del proprio ruolo e della propria responsabilità nella sequenzializzazione dell’attività didattica; richiede anche che si attivino di più nelle sedi della Formazione i corsi di didattica disciplinare se si vuole restituire alla scuola la funzione formativa ed educativa specifica di questa istituzione, e ultimo che si sviluppi ed estenda la ricerca didattica, linfa di ogni cambiamento e sperimentazione nella scuola.

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BIBLIOGRAFIA Bachelard, G.: 1939, La formazione dello spirito scientifico, ried. 1999, Cortina. Brousseau, G.: 1998, Théorie des situations didactiques, La Pensée Sauvage, Grenoble Chevallard, Y.: 1985, La Transposition Didactique, La Pensée Sauvage, Grenoble Floris, R:2002, ‘Dalla trasposizione didattica alla valutazione delle singole proposte di scenari d’insegnamento: problemi da studiare, ricerche da intraprendere’ in Lai, S-Calledda, P. (a cura di) Supplemento n° 3, Giornale di Astronomia, Vol.28, n°1, , I.E.P.I., Pisa-Roma, 46-49. Lai, S.: 2002a, ‘Trasposizione didattica: vincoli del sistema scolastico’, in Lai S-Calledda P. (a cura di) Supplemento n° 3, Giornale di Astronomia, Vol.28, n°1, I.E.P.I., Pisa-Roma, 13-27. Lai, S.: 2002b, ‘Analyse des conditions d’enseignabilité de l’Astronomie et de l’Astrophysique’, Mémoire de l'Université de Provence, UFR de Psychologie, Science de l’Education. P. Guidoni e S. Carovita: 2002, in Fare scuola - che scuola fare - a livello di base, Università e Scuola, 2. Perez Reverte, A.: 1999, La Tavola fiamminga, Tropea, MI. Polo, M.: 2002, ‘La Didattica disciplinare: modello teorico e campo di indagine’, in Lai, S-Calledda, P. (a cura di) Supplemento n° 3, Giornale di Astronomia, Vol.28, n°1, I.E.P.I., Pisa-Roma, 5-12.

ALLEGATO 1 Incentrato sul tema “L’esperienza di Eratostene: un approccio sperimentale”, dal punto di vista del percorso formativo degli studenti coinvolti, l’intervento fa propri gli obiettivi generali e specifici del Progetto19. “Acquisire una mentalità scientifica per conoscere il mondo complesso della nostra società, acquisire alcuni passaggi fondamentali della storia della scienza”. Dal punto di vista metodologico, la scelta degli esperti prevede un’attività di ricerca-azione che vede coinvolti studenti-insegnanti ed esperti nella messa in opera dei seguenti elementi di qualificazione interni al Progetto: esperienze di laboratorio, elemento indispensabile per rendere l’alunno protagonista attivo che, insieme agli altri, impara ad osservare i problemi concreti e a risolverli, formulando ipotesi, progettando e attuando strategie risolutive; integrazione con le attività curricolari della scuola.

MATERIALE CONSEGNATO AGLI STUDENTI NELLA FASE DI LAVORO IN CLASSE Avete due ore di tempo per risolvere il problema e scrivere una sintesi del lavoro fatto. Un rappresentante del gruppo si deve incaricare di esporla alla classe

************************* Il problema da risolvere: calcolare la misura della circonferenza della Terra Modalità di lavoro Riportare in scala le misure del triangolo trovate sperimentalmente e determinare la misura degli angoli. Mettere in relazione le misure degli angoli del triangolo con l’angolo α (angolo al centro nella schematizzazione dell’esperienza di Eratostene – come in figura 1.) Determinare la misura della circonferenza sapendo che la distanza tra Cagliari ( C ) e un punto sul tropico del Capricorno, al largo di Walsvibaai nell’Africa del Sud Ovest - località che in questo periodo (solstizio d’inverno, al Tropico del Capricorno) “riceve i raggi allo Zenit“ - è di Km. 6889. Domande guida: 1. Che relazione esiste tra l’angolo α e la misura degli angoli del vostro triangolo ? 2. Quale dei due angoli misurati nel vostro triangolo corrisponde all’angolo α ? 3. Argomentate (anche per iscritto) la vostra risposta aiutandovi anche con un disegno. Materiale a disposizione 1. Le ipotesi di Eratostene : terra sferica e sue proprietà geometriche – la luce proveniente dalle stelle (stella polare, sole,…) giunge sulla terra secondo fasci di raggi paralleli - distanza di una stella - Zenit – piano dell’orizzonte – meridiano terrestre. 2. Le misure trovate sperimentalmente degli elementi del triangolo (Ombra-Gnomone-direzione dei raggi) riportate su un foglio di carta millimetrata.

19 L’intervento, realizzato nel dicembre 2002 presso l’Istituto Magistrale “De Sanctis” di Cagliari nell’ambito del Progetto Sguardo concreto alla realtà con un approccio fisico matematico, ha visto coinvolte due quarte, una quinta. Si ringraziano, insieme alle studentesse e agli studenti che hanno partecipato all’esperienza, le insegnanti di matematica delle classi coinvolte Emma Calabresu, Giuliana Demurtas, Carla Naitza