Torquato Tasso - Il Ficino Overo de l'Arte

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    Torquato Tasso

    Il Ficino overo de larte

    Op.Grande biblioteca della letteratura italiana

    ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

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    Edizioni di riferimentoelettroniche

    Liz, Letteratura Italiana Zanichelli

    a stampaTorquato Tasso,Dialoghi, a cura di E. Raimondi, Firenze, Sansoni, 1958

    DesignGraphiti, Firenze

    Impaginazione

    Thsis, Firenze-Milano

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    Op.Grande biblioteca della letteratura italiana

    ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

    Torquato Tasso Il Ficino overo de l'arte

    Il Ficino overo de larte

    Interlocutori: Cristoforo Landino, Marsilio Ficino.

    C.L. Che cosa arte, o dottissimo Ficino?

    M.F. E1 certa ragione.

    C.L. E la natura, qual cosa diremo chella sia?

    M.F. Ragione similmente.

    C.L. Dunque certa similmente.

    M.F. Cos estimo, perchessendo larte imitazione de la natura, non pu esseralcuna certezza ne larte, che non sia prima ne la natura: oltre acci, comevoi sapete da Cicerone e da Boezio e da gli altri Latini, luna e laltra annoverata ne le cause costanti, come quelle choperano per lo pi.

    C.L. Io credeva che la certezza consistesse ne loperar sempre in uno istesso modo:laonde la natura, operando, per lo pi ne listessa guisa, non pare che sipossa chiamar certa, n so imaginarmi che sia alcuna certezza ne diluv, neterremoti, ne tuoni, ne fulmini, ne le tempeste e ne venti e ne laltre cosecos fatte, le quali son pur operazioni de la natura.

    M.F. Queste cose avvengono per cagione de la materia, la quale detta ancornatura, e pu dirsi mala natura e peggior natura: per procede nel suooperare senza alcuno ordine e con molta confusione; ma la forma, chdetta buona natura e miglior natura, cagione duno ordine certo e costan-te ne le sue operazioni: per il gentile e ingegnoso poeta Ovidio, avendoparlato del caos e de la sua confusione, con la quale gli antichi volseroaccennare lagitazione de la materia informe, disse:

    Hanc litem Deus et melior natura diremit,

    volendo intender de la forma, la qual per opinione dAristotele una mi-glior natura. E in questa parte Aristotele fu di miglior giudicio e di moltopi sottile avvedimento che non erano stati gli antichi fisici, i quali nonavevano conosciuto altra natura che la materia: laonde ebbero opinione chela mutazione de le forme fosse pi tosto una alterazione, e per conseguentenegarono la generazione e la coruzione de le cose: ma forme ancora si pos-sono dire le separate da la materia, come lidee, secondo lopinione di Pla-tone e de Platonici, ne le quali non alcuna incertitudine o incostanza.

    C.L. Ne larte ancora, o in molte de larti, io non conosco alcuna certezza, comein quella del lanciare o del medicare o del guerreggiare o del navigare e intutte quelle che son dette congetturali.

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    M.F. Queste ancora paiono incerte per lo soggetto nel quale sono adoperate e per lamateria: nondimeno ne lanimo de lartefice uno abito di cotale arte stabile ecostante, il quale quasi una certa ragione del fare le cose che si fanno.

    C.L. Se la natura dunque certa ragione e larte certa ragione, larte e la natura listessa.

    M.F. Cotesto sarebbe vero, sa la diffinizione de luna e de laltra non saggiun-

    gesse altra differenza; ma io direi che la natura fosse una certa ragione diquelle cose channo in se medesime il principio del movimento e de laquiete: larte pi tosto certa ragione di quelle cose channo il principio inaltri, come afferma Aristotele ne suoi libri de la Divina filosofia: e queste ilpi volte son mosse con violenza, comerano le machine dArchimede conle quali egli si sarebbe vantato di tirare unaltra terra a s. E cos fatte sonolarti del lanciare, del guerreggiare e del navigare e laltre de le quali purdianzi parlaste; ma tutte muovono lopere fatte da loro artificiosamente conmoto esteriore e quasi violento: in questa guisa mossa la nave da l temonee da remi o pur da venti, e il dardo e laltra arme da lanciare dal braccio delsoldato. Ma suole alcuna volta avenire che larte pare un intrinseco princi-pio di movimento; perchil ballarino mosso da larte del ballare, la quale

    in lui, come il corpo da lanima: laonde pare che questa differenza ancoranon sia a bastanza. Diremo adunque chil muovere de la natura sia un darforma a le cose, come fu da me scritto nel primo libro de la Providenziasovra Plotino, non alterando solamente, ma compartendo lessere a le coseformate a guisa darte e di ragione; laonde in quelle medesime cose larte la ragione e la ragione la natura, ma ragione assai diversa da quella chdetta arte con propio nome: perch la natura una ragione seminaria delmondo, ma larte non ragione seminaria, perch da le statue non ci nasco-no le statue, n gli archi da gli archi o le colonne da le colonne, come lerbenascono da lerbe, gli alberi da gli alberi e gli animali da gli animali.

    C.L. Diceste ancora, se ben mi rammento, sovra il libro de la Providenziache leragioni del mondo erano contenute ne la natura, e quelle de la natura nelanima e quelle de lanima ne la mente; ma se queste cose son vere, lanatura contenuta ne larte, la quale uno abito de lanima o de la mente.

    M.F. Quando io scrissi che le ragioni de la natura erano contenute ne lanima equelle de lanima ne la mente, non intesi de la mente o de lanima umana,ma de lanima del mondo e de la mente divina, ne la quale si contengonosenza dubbio tutte le cose: e che altro sono lidee che ragioni e forme de lecose? Ma le forme corruttibili de le cose inferiori sono quasi imagini efigure: laonde in comperazione de le idee possono esser dette imaginichappaiono ne lacque, ne le quali non alcuna stabilit o fermezza.

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    C.L. S vera questa opinione, la natura nel suo operare non sar priva di cogni-zione, ma operer conoscendo; ma sella conosce, sar anima o mente. Mala natura, se l vero nintesi, non n luna n laltra: anzi fra la natura elanima gran differenza, e maggior fra la natura e la mente. Ma se lanatura opera senza cognizione, non ragione o non opera con ragione: enon operando con ragione, non pu operare con alcuno essempio.

    M.F. Se ci fosse, sarebbe vera lopinione di Leucippo e di Democrito, i qualiessistimarono che loperazioni de la natura fossero a caso e per fortuna:laonde si darebbe dal mondo essilio a la providenza; ma di questa opinioneniuna pu imaginarsi n pi vana n pi sciocca. Diremo adunque che lanatura operi artificiosamente e con gran magisterio e con molta ragione.

    C.L. Fra loperare a caso e loperare con essempio peraventura alcun mezzo:perch la natura opera, come dice Alessandro Afrodiseo nel primo de la

    Metafisica, con alcuni numeri definiti e ordinati e quasi con alcuni periodidi cose, i quali non possono esser fatti a caso: e perci molti furono mossi acredere chella, operando, riguardasse ne lessempio: il che tutta volta non vero, perchella non ragionevole n opera con ragione. E qual, per dio,

    sar lessempio in cui risguardi la natura? Certo niuno, perchassai spessoluno nasce simile a laltro, come si legge dArtemone e del re Antigono, diMessala e di Menogene, di Dibio e del gran Pompeo, dun giovine di bassacondizione e dAugusto e di due altri giovani, lun dAsia e laltro dEuropa,venduti da Toranio a M8 Antonio, e di altri e che sono stati similissimi,tuttoch sian nati in paesi lontanissimi e di padre diverso e non generati aduno essemplare. Pu ancora avenire chalcuno ci nasca simile a quel chenon si trova: onde, quantunque non sia pi Socrate, potrebbe nascerci al-cuno a Socrate somigliante, come voi sete, o a Temistocle e a Pericle, come il magnanimo Lorenzo de Medici. E se l mondo eterno, e de le cosechora si fanno niuna sene fa con lessemplare e di quelle che si facevano ne

    tempi passati niuna sene fece giamai, avegna che tutte le cose che si fannonaturalmente siano singulari e sian fatte da qualche cosa singulare, comequesto da quello uomo, questo da quel cavallo, questa da quella arte. Malidee sono cause universali in cui non pu risguardare chi privo di cogni-zione e dartificio come la natura.

    M.F. La natura opera senza fallo con ragione, ma questa ragione non sua propia:ma se sia duna intelligenza non errante che l guida ne loperare, grandubbio ne le scuole e spesse volte ha affaticati i filosofanti. Ma io nontemerei daffermare quel che pare inconveniente ad Alessandro Afrodiseone listesso luogo da voi addotto, cio che la natura sia una certa arte divina,

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    la qual non faccia cosa alcuna senza ragione: e voi sapete che san Tomaso egli altri nostri affermano che la natura altro non che la volont e la ragiondivina, la quale cagione de le cose create e conservatrice desse.

    C.L. Questa definizione, per quel cha me ne paia, si conviene a quella naturach detta natura naturante, la quale per opinione de filosofi Dio medesi-mo; ma la naturata, di cui parliam pi tosto, non la ragion divina n lacausa, ma leffetto.

    M.F. Segli effetto di ragione o di causa divina, non in modo alcuno irragio-nevole: niente dunque monta il dire pi ne lun modo che ne laltro, odicendo che la natura sia ragione o effetto di ragione, sol chogni caso, ognifortuna, ogni temerit sia esclusa da gli effetti de la natura, la quale, comeabbiam detto, costantissima ne loperare.

    C.L. Lordine e la costanza si pu ancora ritrovare ne le cose cattive, come sonole febri, le ferite, le posteme, i tumori: oltre acci sono alcuni animalucci iquali ci nascono con alcuno ordine costante, come i vermi, i pulci e lecicale; laonde io non posso concedere agevolmente che questa natura di cuiparliamo, quantunque sia costantissima ne loperare, sia ragionevole e ope-

    ri a lessempio.M.F. Credete almeno che l mondo sia fatto con essempio?

    C.L. Segli eterno, come pu esser fatto con essempio? Ma concedendo cheglisia stato formato a lidea, come piacque a Timeo, o sia eterno o non sia, nonposso concedere che la natura operi a lidea.

    M.F. La natura di Dio imitatrice.

    C.L. Cos dicono.

    M.F. E larte de la natura.

    C.L. Similmente.

    M.F. Ma se voi concedete che l mondo fosse creato da Iddio a similitudine delidea chegli prima naveva fatto, e se mi concedete ancora che lintellettoumano faccia molte cose a lessempio, come mi potrete negare che la natu-ra, che de luno imitatrice, da laltro imitata, operi senza conoscenza de lecose fatte da lei e senza essempio di cosa superiore?

    C.L. Ci aviene per mio aviso perch limitazione si fa con intelligenza e conragione: per non maraviglia che luno intelletto imiti laltro e, io dicoche lumano imiti il divino; ma la natura, ch priva dintelletto, non operacon imitazione.

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    M.F. Dunque la natura pi imperfetta del nostro intelletto? Oltre acci nonsar vero che larte imiti la natura; o s vero quel che tutti dicono de larte,cio chella sia de la natura imitatrice, necessario che la natura faccia le sueopere con qualche essemplare, altrimenti larte non potrebbe ci fare, comecinsegna Siriano nel secondo de laMetafisica: concedasi dunque che sianolidee e le forme quasi disegni o modelli de le fabriche, ne le quali moltoprima risguardi la natura, dapoi larte.

    C.L. Si potrebbe ancora da scherzo concedere che la natura imitasse larte, comedisse quel poeta:

    ... Natura simulaverat artem.

    M.F. La natura pu imitar larte, ma non ogni arte, ma la divina solamente:perch la natura non suole errare, ma ne limitazione de le cose peggiori grandissimo errore; laonde la natura errarebbe imitando larte degli uomi-ni, perchella imitarebbe cosa men buona di se medesima. Imita dunquesolamente larte degli iddii o dIddio grandissimo; anzi ella medesima larte dIddio: quel che non conobbe Alessandro.

    C.L. Come pu essere arte dIddio e imitar larte dIddio, se diverso limitatoreda limitato?

    M.F. Cotesto vero con quella distinzione chabbiam gi detto: perch la naturane lun significato larte divina, ne laltro imitazione del divino artificio.

    C.L. Invano adunque se ne va superbo il nostro intelletto, volendo contenderecon la natura o non volendo cederli: e peraventura, quando larte contendecon la natura, una ribellione e una empiet de larte. Ma io avrei credutoaltramente che larte del pietoso intelletto contendesse con la natura comeil cozzone co l cavallo o lagricoltore con la pianta infeconda o distorta ocome si fa con le cose prive dintelletto e insensate, n perci fosse empioma pietoso ne limitazione del primo artifice, il quale, essendo fabro de

    luniverso, volle che la natura non si sdegnasse dubbedire a lintelletto umanoo almeno consentisse talvolta desser signoreggiata: perch, sempiet fosseil contendere con la natura o l soggiogarla, empio sarebbe il temperanteche fa forza al suo piacere, empio il forte che resiste a la sua timidit, empioil liberale che soggioga la sua avarizia e soggiogata la manda in esilio, edempio in somma ciascuno che drizza la sua inclinazione, la quale torta dala natura medesima e rivolta al peggio. Per, sio ben mi rammento, dice

    Aristotele ne suoi Problemiche poche son le cose buone in rispetto de lemalvagie e che la natura per lo pi si rallegra de le cattive.

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    M.F. Gi, se non minganno, a largomento abbiamo risposto, perch tutto ilmale che si pu dire de la natura si conviene a la peggior natura, ch lamateria, la quale o la malizia istessa e la falsit o non senza falsit, emalizia, se pur : bench si pu dire in alcun modo chella non sia, perchle cose false e le malvagie non sono. A lincontro la forma, ch la migliorenatura, buona cosa anzi che no e degna di tutte le lodi: laonde il conten-der con lei sarebbe ingiusta contesa. Ma per ventura impossibile che lin-

    telletto umano contenda con la forma, perch contenderebbe seco medesi-mo: e se volesse far contrasto con le forme immateriali e separate, che sonolidee, e cacciarle dal cielo, sarebbe in ci simile a que giganti i quali volseroguerreggiar con gli iddii e toglier loro la signoria, come si legge ne poeti.

    C.L. Non dee dunque il nostro intelletto contendere con le forme, ma con lamateria.

    M.F. Non solamente contendere, ma vincerla: perch da questa vittoria procedeogni virt e ogni bellezza de lanima.

    C.L. Ma segli contendesse con le forme?

    M.F. O contenderebbe seco medesimo o con le forme peggiori o con le migliori

    di lui.

    C.L. E l contender con se stesso cosa degna di laude o di biasimo?

    M.F. Di laude, quando si contende e si vince se stesso in quel modo che feceBeatrice: Vincer parea qui se stessa antica.Il qual luogo non ha bisogno daltraesposizione che de la vostra medesima: per no l dichiaro altrimenti.

    C.L. Ma l contendere con le forme di lui peggiori, come sono le materiali, giusta contesa, e giusta la vittoria che se ne riporta: l dove il contender conle forme divine sarebbe ribellione ed empiet simil a quella de giganti.

    M.F. Non si pu negare quel che voi dite.

    C.L. Dunque il nostro intelletto dee contendere e vincer la natura, la quale forma ne la materia; e perch dee vincerla, non dee imitarla, avegnach ilvincere con limitare sia mala arte e difetto peraventura dingratitudine, manon dee contendere con le forme migliori di s, che sono le divine e separa-te da ogni materia, ma imitarle solamente. E perch le forme divine sonointelletti, luno intelletto de laltro imitatore, ma niuno imita la natura,bench gli inferiori si sforzino dimitar non la natura ma i vestigi de supe-riori intelletti, che sono impressi ne la natura. In questa guisa, se crediamoa Temistio, lumano intelletto, portando seco lappetito contra il propiomovimento de la potenza concupiscibile, imita il moto del primo cielo, il

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    quale, movendosi da loriente a loccidente, tira gli altri che si volgono a la parteopposta. Ma, sio non minganno, il nostro intelletto imitatore del divinointelletto, co l quale, egli non fa guerra, tuttoch possa non solo contrastare masignoreggiare i corpi celesti. Per si legge: Sapiens dominabitur astris.

    M.F. Che vorreste conchiudere?

    C.L. Che lintelletto umano non imiti la natura, quantunque fosse natura cele-

    ste, ma cerchi di signoreggiarla e di congiungersi a gli intelletti divini senzaalcun mezzo di natura corporea, o corruttibile o incorruttibile chella sia.

    M.F. Questa pare assai nova, nondimeno alta filosofia e non molto discorde danostri princpi; ma da chi lavete appresa?

    C.L. Dal signor Lorenzo de Medici, al quale se voi o l Pico non lavete insegna-ta, lanima sua lappar insieme con le vostre molto prima che discendessein questo corpo, o lebbe per rivelazione, come pi tosto credibile.

    M.F. Felici maestri che possono imparare dagli scolari: quel che non volle o nonseppe far Platone; ma voi mi costringete quasi ad una ribellione. Ma iovoglio pi tosto contradire a Platone chal magnanimo Lorenzo: direm dun-

    que che l nostro intelletto sia imitatore del divino; laonde, come il divinofabric prima di questo mondo sensibile il mondo intelligibile nel qualesono lidee di tutte le cose, cos il nostro intelletto, illustrato dal suo lume,figura in se medesmo le forme di tutte le cose, anzi in lor si trasforma inguisa chegli diviene le cose intese; e intendendole tutte, si pu dire chelintelletto umano sia il tutto o luniverso: perciochegli ha in se stesso leforme degli elementi, de misti, de le piante e degli animali e de cieli e de lestelle; e intendendo gli intelletti immortali e, o gli angeli che vogliam dirli,diviene quasi angelico, e divino si fa con la contemplazione de la divinit, ala quale sunisce in modo che lintendere non altro che toccare: perch, scome il tatto pi certo di tutti gli altri sentimenti, cos il tatto intellettualeavanza la certezza di tutte le dimostrazioni. E questa la felicit de lumano

    intelletto e il fine di quella arte con la quale egli adopera.

    C.L. Questa arte pi tosto scienza o sapienza che arte: per vorrei da voi intende-re pi distintamente quel che stimate larte e quel che la scienza; e se fra lunoe laltro di questi nomi o di questi abiti necessaria alcuna distinzione.

    M.F. Gi abbiam detto che larte una certa ragione e una vera ragione: e perchella uno di que cinque abiti chAristotele nel sesto de lEticaripone ne lintel-letto umano, consideriam, se vi piace, come da Aristotele siano distinti. Gliabiti sono lintelletto, la scienza, la sapienza, la prudenza e larte; di questi itre primi sono abiti de lintelletto speculativo, il quale ha per oggetto le cose

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    eterne: e luno abito de princip, laltro de le conclusioni, il terzo quasicomposto dambodue. Gli altri due sono abiti de lintelletto prattico, il qualconsidera le cose variabili, quelle, dico, che possono esser o non essere: equeste sono raccolte in due generi, luno de le cose agibili, laltro di quelleche si fanno; ne luno si dimostra la prudenza, ne laltro larte; quella definita un abito che ne lazioni opera con vera ragione, questa uno abitoche fa con vera ragione, e a lin contro linerzia, chi Greci dicono atekna,

    uno abito che fa con falsa ragione: e limprudenza si potrebbe dir simil-mente uno abito choperasse con falsa ragione. In questa guisa da Aristoteleson distinte le potenze da gli oggetti, dico lintelletto contemplativo dalpratico, perch luno considera le cose eterne, laltro le sottoposte a la mu-tazione. Sono distinti ancora gli abiti e i generi de le cose ne le quali ciascu-no de gli abiti si dimostra: laonde de la prudenza propio genere o propiamateria lazione, e particolarmente quella degli uomini civili; de larti quelche si fa, come sono gli edifici, le navi e le machine e laltre cose s fatte:laonde per sua opinione possiamo conchiudere che larte non sia di quellecose che si fanno per natura, n di quelle ancora che sono necessariamente;e oltre acci, come egli dice, artem effectionis esse, non actus, necesse est. Tuttavolta soggiunge per opinione dAgatone: atqui circa eadem versatur ars et

    fortuna, quemadmodum Agathon dicit: quippe ars fortunam, fortuna diligitartem. Ma concedendo che sia vera questa opinione, se la fortuna nelazioni, larte ancora sar ne lazioni: e chi pu negare che ne lazioni sia lafortuna? O chi non la conosce ne lazione di Ciro, dAlessandro, dAlcibiade,e particolarmente in quelle di Timoleonte corintio, il qual fu dipinto con laFortuna che gli prendeva le citt ne la rete, mentre egli dormiva? Ma se vla fortuna, v larte: larte dunque si dimostra ne lazioni non altrimentiche la prudenza; e la prudenza ancora negli artifici si pu dimostrare: altri-menti a loratore non sarebbe necessaria la prudenza ne larte oratoria, n alcapitano ne larte militare; ma ci non si pu affermare senza grandesconvenevolezza, perch loratore e l capitano imprudente non pu esser

    tolerato. Non sono dunque distinti i generi, non gli obietti, non gli abiti delarte e de la prudenza, ma larte prudenza e la prudenza arte, o luna dalaltra contenuta. Laonde per mia opinione larte de loratore si potrebbedifinire una prudenza di ben parlare, e a lincontra la prudenza del cittadi-no si difinirebbe assai convenevolmente una arte de la vita civile.

    C.L. Io avrei pi tosto seguita lopinione dAristotele nel distinguer larte da laprudenza che quella de gli altri nel confonderla: e non mi piacque mailopinione di Massimo Tirio, il quale pone tre generi darti, il primo dequali consiste ne la contemplazione, il secondo ne lazione, il terzo ne lecose che si fanno: laonde per suo aviso sarebbe quasi bestemmia il dire che

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    la filosofia non fosse arte. Ma io stimo altrimenti, percioch la distinzione causa del sapere, e la confusione de lignoranza: laonde chi non distinguerlarte da la prudenza, non conoscer quel che si convenga al prudente oquel cha lartifice sia conveniente, perch molte cose si convengono a lora-tore come a buono oratore o a larchitetto coma buono architetto, le qualiperaventura non si ricercarebbono da buon cittadino: e quinci aviene cheleloquenza di Demostene non fu mai ripresa da alcuno, n da Eschino

    medesimo, ma la prudenza trov molti riprensori. Ma se fosse il medesimoabito quel de larte e de la prudenza, come a voi pare, listesso sarebbeleloquentissimo e l prudentissimo.

    M.F. Questa risposta ancora vha insegnato il Pico e l magnanimo Lorenzo, nelquale in guisa congiunta la prudenza con leloquenza che non si possonoconoscere per abiti diversi. Ma voi sete troppo amico de le distinzioni, enon sapete, o non volete sapere, chAristotele medesimo ha confusi questinomi darte e di prudenzia e di scienza e di sapienza: perch ne libriMoralidice che larte essattissima chiamata sapienza, come fu quella di Fidia nelo scolpire; ne Civilichiama la prudenza arte; nel primo de la Metafisicaarti le matematiche; negli altri pone due generi di scienze, luno ne la spe-

    culazione, laltro ne lopere: e, se ben mi sovvengono, le parole son queste.Laonde per sentenzia dAristotele ancora possiamo onorar larti co l nomedi scienza e di prudenza.

    C.L. Aristotele nel confondere simile a gli altri, nel distinguere a se medesimo:laonde ne luoghi propi impariamo assai con le sue distinzioni, che non si facon la dottrina dalcuno altro. Tutta volta questo ancora estimo che si possaraccogliere da la sua dottrina e da quella de suoi seguaci, che larti, quantosono pi essatte, sono pi certe: e perch de le cose certe luomo non siconsiglia, larti s fatte non hanno bisogno di prudenzia; ma ne laltre, chesono piene dincertitudine, peraventura ha alcun luogo la prudenzia. E1 dun-que la prudenza de gli artifici argomento de limperfezione de lartificio.

    M.F. Cotesto vero, se noi ci contentiamo duna considerazione de larti assaiumile e bassa anzi che no, ne la qual fu assai diligente Giovanni Grammati-co, che da lamore de la fatica ebbe nome Filopono: perciochegli estimache ne larti esquisite non abbia parte la prudenza o l consiglio. A mesarebbe molto pi piaciuta la compagnia de larte e de la prudenza chequella de larte e de la fortuna: laonde desiderarei di vederle congiunte perauttorit dun nuovo e pi felice Agatone. Ma se mi concederete chio minalzida la considerazione di questi infimi artific de mortali a la contemplazionedel magistero divino, io dir insieme con Basilio il Magno che quelle paroledIddio ne la creazione de luomo: Faciamus hominem ad imaginem et

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    similitudinem nostram, sian parole di persona che si consulti: laonde, silconsiglio ha luogo ne larte divina, non si pu dubbitare che non labbia nelarte essatissima.

    C.L. Di nuovo togliete larte da lintelletto prattico e la riponete nel divino.

    M.F. Anzi io la ripongo ne luno e ne laltro, ma nel divino come essemplare, nelaltro comessempio o imagine. Dir dunque che prima larte sia ne lintel-

    letto divino, il quale da Platonici fu chiamato intellectus artifexoopifex, poine la natura. E ci non vi pu dispiacere, perch confermato da lautoritdel vostro Dante, il quale disse:

    Certo natura, quando lasci larteDi s fatti animali, assai fe bene,Per tor cotali essecutori a Marte.

    E altrove:

    Lo motor primo a lui si volge lietoSovra tanta arte di natura;

    e ultimamente la port ne lintelletto de luomo, la qual arte in terzogrado lontana dal divino artificio; laonde dal medesimo Dante fu detto:

    Per vostra arte a Dio quasi nepote.

    E in ci i poeti cristiani non sono molto diversi da poeti gentili, i qualiposero larti mecanice ne gli iddii, lassignando a Vulcano e a Ciclopi lartedel fabro, a Minerva e a Proserpina quella del cucire, come nota Siriano nelsecondo de laMetafisica; nel qual luogo egli, ricercando quel che sia l artene gli iddii, risponde per opinione di Parmenide, di Platone, di Plotino, diIamblico, di Porfirio chaltro non sia larte divina che lintendere.

    C.L. Ma io ricerco quel che sia larte umana, la quale a me pare di conoscere pi

    tosto ne le mani o ne la lingua che ne lintelletto de lartifice. Per nonestimarei che fosse soverchio errore il chiamarla un abito del corpo essercitato,quantunque Dante dicesse:

    E1 simile a lartista,Cha labito de larte e man che trema.

    M.F. Peraventura vero quel che voi dite ne larti ignobili e mecanice, come sidicono: ma di queste ancora vogliono che siano le cause essemplari ne lamente, come afferma Siriano ne listesso luogo.

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    C.L. Io avrei creduto pi tosto che de le forme artificiali non fossero idee, perchle forme artificiali sono accidenti; ma le idee sono sostanze, e se non sonoidee de le forme artificiose, come le possono esser ne la mente le causeessemplari?

    M.F. Per aventura le cause essemplari de larti non sono ne la mente divina, mane lumana, assai prima de lopere fatte a lor simiglianza.

    C.L. Voi originate larte da la mente; ma Aristotele e i suoi commentatori ne laMetafisicale danno pi tosto origine dal senso, perciochegli dice che dalsenso nasce la memoria, e da molte memorie lesperienza e da molte espe-rienze larte: laonde per suo giudicio larte nata dopo lesperienza; e inalcune cose, come ne le particolari, cede lartifice a lesperto. Ma voi date alarte antichissima origine, riponendola ne la mente, forse prima dognisenso e dogni esperienza.

    M.F. E1 necessario che ne la mente siano avanti le forme essemplari di tutte lecose, ma ne la mente divina le sostanze solamente, perch de le cose artifi-ciose non sono le divine idee; ma ne lanima de lartifice per opinionedAristotele ancora sono le ragioni artificiali de le cose operate, come di-

    chiara Siriano nel XII de laMetafisica: e queste da noi sono chiamate idee,e cos chiam Marco Tullio quella del suo oratore, ed Ermogene le formedel parlare. Ma lidee de le cose artificiali sono anchesse senza fallo moltoprima ne lintelletto de lartista, e dapoi a quella similitudine si fanno lope-re esteriori. E ci fu dichiarato da Aristotele medesimo nel primo libro de leParti de gli animali, l dove egli lasci scritto che larte una ragione delopera, ma separata da la materia: laonde per suo aviso fu molto primalarte del far le statue che le statue medesime.

    C.L. Senza dubbio fu prima ne la mente di Fidia o di Prassitele la ragione del fareil simolacro di Giove Olimpio o di Minerva che non furono i simolacriistessi; ma se questa arte e questa ragione fu separata da la materia in quella

    guisa che sono i cerchi, i triangoli e laltre figure de matematici, convieneche prima fosse considerata ne la materia: e la consider Fidia o Prassitelene le statue di Dedalo. Laonde larte di questi pi moderni si fece dopo chefurono fatte le statue de pi antichi.

    M.F. Cotesto vero: vero ancora per opinione dAristotele che le forme delanima nostra non siano generate ne lanima ab eterno, ma abbiano originedal senso e da le forme materiali, da le quale sono separate, e quasi spogliateda le qualit sensibili. Tutta volta larte, quantunque abbia origine dal sen-so, prima e pi antica de le cose artificiali: laonde le statue di Dedalo,bench fossero prima de le statue di Fidia, furono fatte dopo larte di Deda-

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    lo, e assolutamente larte del far le statue prima de le statue, e larte delfare i poemi pi antica de poemi: per senza dubbio larte con la qualeDante fece le sue poesie era molto pi antica ne lanimo suo, e quella diVirgilio e dOmero, di Museo e dOrfeo similmente. Laonde si pu assolu-tamente affermare che prima dalcun poema, o greco o italiano o ebreo odaltra lingua, fosse larte e la ragione del poetare, nata peraventura insiemecon lanima nostra, la qual fu da Iddio composta di numeri armonici e di

    musiche proporzioni. Per larmonia e il concento interiore cagione diquesta melodia esteriore che ci lusinga gli orecchi con la variet de le voci:n solo gli dei mondani sono pieni de le Muse, come disse Omero, ma glianimi nostri similmente: per disse un altro poeta: Est Deus in nobis; e perquesta cagione Dante invoca la sua mente medesima, ch la sua musa,come Orfeo avea fatto assai prima. E non maraviglia che la poesia sianaturale negli animi umani, se Dio medesimo, da cui furono create, poe-ta, e larte divina con la qual fece il mondo fu quasi arte di poetare; e poema l cielo e l mondo tutto, al cui altissimo e dolcissimo concento sonoperaventura sordi e rinchiusi gli orecchi de mortali, come da Pitagora fugiudicato: e in questa nostra navigazione, perch navigazione la vita uma-na, ciascuno ha turati gli orecchi con la cera de la stupidit a guisa dUlisseperseguitato da lira di Nettuno, ma con ragione assai peggiore, percheglile tur a le sirene del senso, e noi le tegnamo chiuse a lintellettuali, chesono le celesti sirene: laonde farebbe di mestieri non di cera per turarle, madi purgazione per rimover la bruttura da la qual son rinchiuse.

    C.L. Peraventura le sirene fuggite dUlisse non furono le cattive, come moltiavisano: perchelle non promettono altro piacere di quello che procede da lescienze; e ci si pu raccogliere da que versi tradotti da Cicerone:

    O decus Argolicum, quin puppim flectis Ulysses,Auribus ut nostros possis agnoscere cantus?Nam nemo haec unquam est transvectus caerula cursuQuin prius astiterit vocum dulcedine captus,Post variis avido satiatus pectore Musis,Doctior ad patrias lapsus pervenerit oras.Nos grave certamen belli clademque tenemus,Graecia quam Troiae divino numine vexit,Omniaque e latis rerum vestigia terris.

    Ma il piacer de limparare devrebbe esser fine di tutte larti, o almeno de lanobilissima.

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    M.F. Larti, come insegna Aristotele nel principio de laMetafisica, furono trovateper la necessit degli uomini e per lutilit; e perch la vita avea bisogno diquiete e di piacere, larte ancora, che ci sono ministratrici de piaceri, furnoridutte in questo ordine.

    C.L. Che diremo di quelle le quali par che pi tosto abbiano per fine lambizio-ne de regi o de gran principi o la maraviglia, come furono le piramidi degli Egiz, in cui con vanissima, anzi con pazza superbia furono affaticatetante migliaia duomini, gittata tanta copia doro e dargento, consumatocos lungo tempo, quasi volessero far guerra al cielo e a la natura, inalzandole sepolture de corpi morti, channo origine da la terra, lontano dal locodove deono ritornare, e appressandole a quelle eterne e sublimi regionidove non possono mai pervenire o per miracolo de lor dei esser trasportati?Che diremo de le colonne, che del laberinto de medesimi o di quello diDedalo o de laltro di Porsenna, che volse imitar la barbarica vanit? In qualordine riporremo gli archi, i teatri, gli anfiteatri, le colonne e le terme deRomani? O qual luogo daremo a le fabriche de gli Indiani, i quali hannovoluto contendere di grandezza e di spesa con gli uni e con gli altri, se purmeritano fede le relazioni de pi moderni, mentre essi cercano di togliere

    autorit a la virt e a la gloria de gli antichi?M.F. Larti, come ho detto, ebbero origine da la necessit, laccrebbe il piacere,

    lutilit e lonore, il qual, come dice Marco Tullio, quel che le nutrisce.Laonde si dee credere che non sol per utilit, ma per ornamento e per gloriade la patria e per memoria degli antecessori abbiano avuto accrescimento, eparticolarmente quelle che sono pi nobili come la pittura, la scoltura elarchittettura; e in questa, se crediamo a Strabone, i Romani superaronogli Egiz e tutte laltre nazioni, avendo maggior riguardo a lutilit e al deco-ro chad una vana ostentazione di potenza; bench dapoi Caio e Neronecon la smisurata ampiezza de le propie abitazioni volessero quasi far dunagrandissima citt una casa conveniente a la maest de limperio, comessi

    credevano, o pi tosto a lanimo, per la prosperit de la fortuna incapace dela propia grandezza, tutta volta desideroso di maggiore: e non maravigliase, non capendo in se stessi, dimostrassero la medesima dismisura e lorgo-glio medesimo ne gli edifici maravigliosi. Ma, comunque sia, tutte le cosedeono esser drizzate ad un fine, e linfinite non han luogo ne luniverso,perch luniverso ordinato e linfinito non pu ordinarsi: parliamo dun-que di quelle che possono ordinarsi, e assomigliamo, s lecito, le cose mag-giori a le minori. Dico adunque che, s come ne larsenale de Vinizianisono molte arti con incredibile industria e con maravigliosa sollecitudine eprestezza essercitate, luna nondimeno a laltra ordinata e l fine di ciascu-

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    na drizzato al fine de la sua principale, ch quasi architettonica, cosparimente ne la vita i fini di tutte larti servono o deono servire a quello dela divina filosofia, la qual o sola o sovra laltre tutte si gloria di libert:perciochella arte de larti e scienza de le scienze, e l suo fine, sio nonsono errato, non il diletto, ma l sapere o la sapienza o Dio stesso, ch lavera sapienza, quantunque con questo fine inseperabilmente sia congiuntoil piacere. Ecco il nettare celebrato da poeti, ecco i vivi fonti dacqua perpe-

    tua e inessicabile ne quali si spengono la sete gli altissimi ingegni: e a questicinvita larmonia e la misura de movimenti celesti. Ascoltate le voci delcielo e del mondo medesimo, ascoltatele ne le parole di Plotino o di s.

    Augustino, perch la mia lingua non basta a suono cos alto e cosmaraviglioso.