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In copertina:SebaStian MünSter, Cosmographie Universelle, 1544.

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G. Giappichelli Editore – Torino

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Direttore antonio tizzano

4/2015

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Coordinamento della Redazione

Susanna Fortunato

La Rivista pubblica articoli attinenti direttamente o indirettamente ai profili giuri-dico-istituzionali del processo d’integrazione europea.Gli articoli, redatti in italiano, francese, inglese o spagnolo, devono essere originali e inediti. La loro pubblicazione è subordinata ad una rigorosa selezione qualitati-va. A tal fine, i contributi vengono valutati, senza indicazione del nome dell’autore o altri riferimenti che ne consentano l’identificazione, da qualificati studiosi della materia, anche esterni alla redazione della Rivista. I revisori potranno indicare le modifiche ed integrazioni che giudicano necessarie; in questo caso, la pubblicazio-ne dell’articolo sarà subordinata al rispetto di tali indicazioni da parte dell’autore.L’accettazione del contributo impegna l’autore a non pubblicarlo altrove nella sua interezza o in singole parti, se non previo consenso scritto della direzione della Rivista e alle condizioni da essa stabilite.Gli articoli devono essere inviati tramite posta elettronica all’indirizzo mail della redazione ([email protected]) in formato word (est. doc), con carattere Times New Ro-man, corpo 12, interlinea singola, completi di un sommario e dell’apparato di note a piè pagina. Essi devono essere corredati dalla traduzione del titolo in inglese e da un breve (non più di 10 righe) abstract, ugualmente in inglese.

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VII Il Diritto dell’Unione Europea Fasciolo 4| 2015

Il Diritto dell’Unione EuropeaFascicolo 4| 2015

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Susanna Fortunato

DOTTRINA

F. MUNARI, Da Pringle a Gauweiler: i tor-mentati anni dell’unione monetaria e i loro effetti sull’ordinamento giuridico eu-ropeo (From Pringle to Gauweiler: the troubled years of the monetary union and their effects on the European legal order) 723

S. SCIARRA, Il diritto sociale europeo al tempo della crisi (European social law at the time of the crisis) 757

COMMENTI

S. MARINO, La risoluzione alternativa delle controversie tra mercato interno e tutela del consumatore (Alternative dispute resolution in between internal market and consumer protection) 779

G. RUGGE, Il ruolo dei triloghi nel processo legislativo dell’UE (The role of trilogues in the EU legislative process) 809

F. SPITALERI, L’equilibrio istituzionale fra Parlamento europeo e Consiglio europeo nella nomina del Presidente della Com-missione (The institutional balance between the Euro-pean Parliament and the European Council in the appointment of the President of the Com-mission) 839

F. VISMARA, Rilievi in tema di sussidiarietà e proporzionalità nella proposta di direttiva in materia di sanzioni doganali (Critical notes on the issue of subsidiarity and proportionality in the proposal for a directive on custom sanctions) 865

GIURISPRUDENZA

F. GENCARELLI, Recenti sviluppi della giuri-

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VIII Il Diritto dell’Unione Europea Fasciolo 4| 2015

sprudenza europea in materia di indicazioni sulla salute fornite sugli alimenti (Recent developments of the case-law on health information provided on foodstuff) 881

S. LATTANZI, Il conflitto tra norma interna e norma dell’Unione priva di effetti diretti nella vicenda dei precari della scuola italiana (The conflict between internal and EU rules lacking direct effects in the situation concerning Italian schools’ workers in precarious employ-ment) 897

NOTIZIE SUGLI AUTORI 923

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Da Pringle a Gauweiler: i tormentati anni dell’unione monetaria e i loro effetti sull’ordinamento giuridico europeo Francesco Munari

SOMMARIO

I. Considerazioni introduttive: la difficile lettura dell’ordinamento dell’Unione dopo la c.d. cri-si dell’euro. – II. La scarsa attenzione dei giuristi di fronte alle regole dell’UEM … – III. … e i bruschi risvegli imposti da sentenze emergenziali: “mondo MES” e “mondo UEM” a confronto nel caso Pringle. – IV. Il principio di condizionalità tra misure di politica economica e scelte di politica monetaria. – V. Politica economica e politica monetaria nelle sentenze Pringle e Gau-weiler: rule of law o Realpolitik? – VI. Diritti e libertà fondamentali alla prova del MES. – VII. Il progressivo condizionamento del Bundesverfassungsgericht sulle regole dell’UEM e dell’U-nione. Quousque tandem? – VIII. Le contrapposte tensioni provenienti dalla sponda Sud del-l’Unione, ma non solo. – IX. La sentenza Gauweiler e il suo possibile impatto sugli assetti del-l’UEM. – X. Conclusioni.

I. Sono ormai decorsi alcuni anni dalla c.d. crisi dei debiti sovrani, e dalle turbolenze caratterizzanti la UEM. Nonostante gli apprezzatissimi sforzi com-piuti soprattutto dalla BCE per scongiurare derive irreversibili, e l’accordo raggiunto nell’agosto 2015 relativamente al terzo salvataggio della Grecia, credo sia pacificamente acquisita la necessità di una riforma dell’attuale asset-to normativo dell’UEM, e probabilmente della stessa costituzione economica (e politica) dell’Unione. Inoltre, appare illusorio immaginare che, in assenza di riforme, sia escluso per il futuro il verificarsi di altri gravi rischi sistemici, benché apparentemente le istituzioni europee e gli Stati membri siano stati in grado, ove più, ove meno, di superare i pericoli, alcuni davvero notevoli, di una disgregazione degli assetti ordinamentali europei. Basti pensare, al di là delle vicende greche, aventi natura eminentemente politica, alla sentenza della Corte di giustizia nel caso Gauweiler

1, che ha legittimato il programma di

1 Corte giust. 10 giugno 2015, C-62/14, Gauweiler e a., non ancora pubblicata.

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operazioni di mercato aperto (le c.d. outright monetary transactions, in segui-to OMT) della BCE, nonostante l’evidente – e forse non così elegante – tenta-tivo della Corte costituzionale tedesca di condizionare la pronuncia della Corte con quesiti pregiudiziali costruiti in modo quasi retorico 2.

È pur vero che, anche di recente, sono stati pubblicati importanti contributi dottrinali, nei quali si sviluppa ben più di un mero tentativo di offrire un qua-dro ricostruttivo dell’attuale “sistema costituzionale” dell’Unione europea e dell’UEM 3; ed è altrettanto vero che, da qualche anno, gli studi giuridici sul-

2 Sul rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale tedesca v. anche, nella dottrina italiana, R. CAPONI, La Corte costituzionale tedesca e la crisi dell’eurozona e G. RIVOSECCHI, La Corte costituzionale tedesca e la crisi dell’eurozona, entrambi in Giorn. dir. amm., 2014, p. 469 ss. Nella dottrina straniera, v. Editorial, An unintended side-effect of Draghi’s bazooka: An oppor-tunity to establish a more balanced relationship between the ECJ and Member States’highest courts, in Common Market Law Rev., 2014, p. 375 ss.; I. PERNICE, A Difficult Partnership be-tween Courts: The First Preliminary Reference by the German Federal Constitutional Court to the CJEU, in Maastricht Jour. Eur. & Comp. Law, 2014, p. 3; nonché U. DI FABIO, Karlsruhe Makes a Referral; F.C. MAYER, Rebels Without a Cause? A Critical Analysis of the German Constitutional Court’s OMT reference; D. MURSWIEK, ECB, ECJ, Democracy, and the Federal Constitutional Court: Notes on the Federal Constitutional Court’s Referral Order From 14 January 2014; J. BAST, Don’t Act Beyond Your Powers: the Perils and Pitfalls of the German Constitutional Court’s Ultra Vires Review; K.F. GÄRDITZ, Beyond Symbolism: Towards a Con-stitutional Actio Popularis in EU affairs? A Commentary on the OMT Decision of the Federal Constitutional Court; M. KUMM, Rebel Without a Good Cause: Karlsruhe’s Misguided Attempt to Draw The CJEU Into A Game Of “Chicken” and What the CJEU Might Do About it; K. SCHNEIDER, Questions and Answers: Karlsruhe’s Referral for a Preliminary Ruling to the Court of Justice of the European Union; A. THIELE, Friendly or Unfriendly Act? The “Histor-ic” Referral of the Constitutional Court to the ECJ Regarding the ECB’s OMT Program; M. GOLDMANN, Adjudicating Economics? Central Bank Independence and the Appropriate Stan-dard of Judicial Review; C. GERNER-BEUERLE, E. KÜÇÜK, E. SCHUSTER, Law Meets Economics in the German Federal Constitutional Court: Outright Monetary Transactions on Trial; N. PE-TERSEN, Karlsruhe Not Only Barks, But Finally Bites-Some Remarks on the OMT Decision of the German Constitutional Court; D. SCHIEK, The German Federal Constitutional Court’s Rul-ing on Outright Monetary Transactions (OMT) – Another Step Towards National Closure?; T. BEUKERS, The Bundesverfassungsgericht Preliminary Reference on the OMT Program: “in the ECB We Do Not Trust. What About You?; A. PLIAKOS, G. ANAGNOSTARAS, Blind Date Between Familiar Strangers: the German Constitutional Court Goes Luxembourg!, tutti in German Law Jour., 2014, p. 107 ss. La sentenza era stata preceduta – il 14 gennaio 2015 – dalle conclusioni, conformi, dell’Avvocato generale Cruz Villalòn, su cui cfr. il commento di S. CAFARO, Della legittimità del programma OMT della BCE, per ora … ovvero: le conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nel caso Gauweiler et alii c. Deutscher Bundestag, in www.sidi-isil. org/sidiblog/?p=1272.

3 V. K. LENAERTS, EMU and the European Union’s Constitutional Framework, in Europ. Law Rev., 2014, p. 753 ss. Sul punto v. anche E. CHITI, P.G. TEIXEIRA, The constitutional impli-cations of the European responses to the financial and public debt crisis, in Common Market

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l’Unione economica e monetaria occupano una parte importante delle riviste specializzate, in Italia e non solo 4, tra l’altro in netto contrasto rispetto all’as-sai meno intenso interesse di cui aveva goduto la materia per lunghi anni 5.

Tuttavia, pare indubitabile che, nello sforzo di salvaguardare l’UEM, e con essa l’Unione, il complessivo tasso di coerenza del sistema abbia subito rile-vanti forzature sul piano giuridico, e che in questa prospettiva gli stessi princi-pi della rule of law, su cui si è costruito l’ordinamento unionale in tutti questi decenni, risultino indeboliti 6.

Non è questa la sede per ripercorrere nel dettaglio tutti i passi della c.d. cri-si dell’euro 7, e le misure che sono state attivate medio tempore, dai regola-

Law Rev., 2013, p. 683 ss.; P. LEINO, J. SALMINEN, Should the Economic and Monetary Union Be Democratic after All; Some Reflections on the Current Crisis, in German Law Jour., 2013, p. 844 ss.; J. TOMKIN, Contradiction, circumvention and conceptual gymnastics: The impact of the adoption of the ESM Treaty on the state of European democracy, in German Law Jour., 2013, p. 169 ss.; M.P. MADURO, B. DE WITTE, M. KUMM (eds.), The Democratic Governance of the Euro, RSCAS PP 2012/08, Badia Fiesolana, 2012; F. ALLEN, E. CARLETTI, S. SIMONETTI (eds.), Governance for the Eurozone: Integration or Disintegration?, Philadelphia, 2012.

4 Solo per citare i più recenti contributi apparsi in Rivista, e per riferimenti, cfr. R. CISOTTA, Disciplina fiscale, stabilità finanziaria e solidarietà nell’Unione europea ai tempi della crisi: alcuni spunti ricostruttivi, in questa Rivista, 2015, p. 57 ss.; M.F. CUCCHIARA, Fiscal Compact e Meccanismo Europeo di Stabilità: quale impatto sull’equilibrio istituzionale dell’Unione?, ibidem, p. 91 ss.; C. CARUSO, M. MORVILLO, Economic governance and budgetary rules in the European context: a call for a new European constitutionalism, ibidem, 2014, p. 699 ss.; M.L. TUFANO, S. PUGLIESE, Il nuovo strumento di convergenza e competitività: verso una governan-ce negoziata per l’UEM?, ibidem, p. 317 ss.; F. DONATI, Crisi dell’euro, governance economi-ca e democrazia nell’Unione europea, ibidem, 2013, p. 337 ss.; O. PORCHIA, Il ruolo della Cor-te di giustizia dell’Unione europea nella governance economica, ibidem, p. 593 ss.; R. BARAT-TA, Legal Issue of the Fiscal Compact – Searching for a mature democratic governance of the euro, ibidem, 2012, p. 647 ss.; L.S. ROSSI, “Fiscal Compact” e Trattato sul Meccanismo di Stabilità: aspetti istituzionali e conseguenze sull’integrazione differenziata nell’UE, ibidem, p. 293 ss.; A. VITERBO, R. CISOTTA, La crisi del debito sovrano e gli interventi dell’UE: dai primi strumenti finanziari al “Fiscal Compact”, in questa Rivista, 2012, p. 323 ss.

5 V. anche infra, il § II. 6 Da ultimo cfr. A. VON BOGDANDY, M. IOANNIDIS, Systemic deficiency in the rule of law:

what it is, what has been done, what can be done, in Common Market Law Rev., 2014, p. 59 ss.; G. BECK, The Court of Justice, the Bundesverfassungsgericht and Legal Reasoning during the Euro Crisis: The Rule of Law as a Fair-Weather Phenomenon, in Eur. Pub. Law, 2014, p. 539 ss. Più in generale, v. L. BESSELINK, F. PENNINGS, S. PRECHAL (eds.), The Eclipse of the Le-gality Principle in the European Union, Alphen aan den Rijn, 2011.

7 In tema, v. A. DE STREEL, The evolution of the EU economic governance since the treaty of Maastricht: an unfinished task, in Maastr. Jour. Eur. & Comp. Law, 2013, p. 336 ss.; M. MEGLIANI, Verso una nuova architettura finanziaria europea: un percorso accidentato, in Dir. comm. int., 2013, p. 67; A. VITERBO, R. CISOTTA, op. cit.; G. PERONI, La crisi dell’euro: limiti e

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menti che compongono il c.d. Six Pack 8 fino all’adozione addirittura dei due

trattati Fiscal Compact e MES 9. Né appare utile agli scopi di questo lavoro

rimedi dell’Unione economica e monetaria, Milano, 2012; G.L. TOSATO, L’integrazione euro-pea ai tempi della crisi dell’euro, in Riv. dir. int., 2012, p. 681 ss.

8 Trattasi, per la precisione, dei reg. (UE) n. 1173/2011 (GUUE L 306 del 23 novembre 2011, p. 1 ss.), n. 1174/2011 (ibidem, p. 8), n. 1175/2011 (ibidem, p. 12), n. 1176/2011 (ibi-dem, p. 25), nonché n. 1177/2011 (ibidem, p. 33), e della dir. n. 2011/85/UE (ibidem, p. 41).

9 Sui due trattati cfr., nella dottrina italiana, G. BOGGERO, P. ANNICCHINO, Who Will Ever Kick Us Out?: Italy, the Balanced Budget Rule and the Implementation of the Fiscal Compact, in Eur. Pub. Law, 2014, p. 247 ss.; C.M. CANTORE, G. MARTINICO, Asymmetry or Disinte-gration? A Few Considerations on the New ‘Treaty on Stability, Coordination and Govern-ance in the Economic and Monetary Union, Eur. Publ. Law., 2013, p. 463 ss.; R. BARATTA, op. cit.; L.S. ROSSI, op. cit.; F. DONATI, op. cit.; G. COGLIANDRO, L’impatto del fiscal compact sul sistema di governance europea, in Dir. com. scambi int., 2013, p. 337 ss.; G. DELLA CANANEA, L’ordinamento giuridico dell’Unione Europea dopo i nuovi accordi intergovernativi, in Co-munità int., 2012, p. 3 ss.; G. NAPOLITANO, La risposta europea alla crisi del debito sovrano: il rafforzamento dell’Unione economica e monetaria, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, p. 747 ss.; G. NAPOLITANO, Il Meccanismo Europeo di Stabilita e la nuova frontiera costituzionale dell’Unione, in Giorn. dir. amm., 2012, p. 461 ss.; per la dottrina straniera, cfr. L. GOCAJ, S. MEUNIER, Time will tell: the EFSF, the ESM, and the Euro Crisis, in Jour. Eur. Integr., 2013, p. 239 ss.; C.A. STEPHANOU, Building Firewalls: European Responses to the Sovereign Debt Crisis, in O. HIERONYMI, C.A. STEPHANOU (eds.), International Debt: Economic, Financial, Monetary, Political and Regulatory Aspects, Basingstoke, 2013, p. 127 ss.; ED., Some thoughts concerning the Draft Treaty on a Reinforced Economic Union, in Common Market Law Rev., 2012, p. 1 ss.; E. BARON CRESPO, S. HOLLAND, Resolving the Eurozone Crisis and Enhancing Global Governance, in Comunità int., 2012, p. 13 ss.; L.F.M. BESSELINK, H. REESTMAN, The Fiscal Compact and the European Constitution: Europe Speaking German, in Europ. Const. Law. Rev., 2012, p. 1 ss.; C. CALLIESS, From Fiscal Compact to Fiscal Union? New Rules for the Eurozone, in Cambr. Year. Eur. Leg. Stud., 2011-2012, p. 101 ss.; C. CALLIESS, C. SCHOEN-FLEISCH, Auf dem Weg in die europäische “Fiskalunion”? – Europa – und verfassungsrecht-liche Fragen einer Reform der Wirtschafts – und Währungsunion im Kontext des Fiskalver-trages, in JuristenZeitung, 2012, p. 481 ss.; P. CRAIG, The Stability, Coordination and Govern-ance Treaty: Principle, Politics and Pragmatism, in Eur. Law Rev., 2012, p. 231 ss.; A. DE GREGORIO MERINO, Legal developments in the Economic and Monetary Union during the Debt Crisis: The Mechanisms of Financial Assistance, in Common Market Law. Rev., 2012, p. 1613 ss.; A. DE STREEL, J. ETIENNE, Le Traité sur la stabilité, la coordination et la gouvernance au sein de l’Union économique et monétaire, in Jour. dr. eur., 2012, p. 182 ss.; T. MIDDLETON, Not Bailing Out ... Legal Aspects of the 2010 Sovereign Debt Crisis, in M. ARPIO SANTACRUZ (et al.), A Man for All Treaties: liber amicorum en l’honneur de Jean-Claude Piris, Bruxelles, 2012, p. 421 ss.; A. KOCHAROV (eds.), Another Legal Monster? An EUI Debate on the Fiscal Compact Treaty, EUI Working Paper Law n. 2012/09; J.V. LOUIS, The unexpected revision of the Lisbon Treaty and the establishment of a European Stability Mechanism, in D. ASHIAGBOR, N. COUNTOURIS, I. LIANOS (eds.), The European Union after the Treaty of Lisbon, Cambridge, 2012, p. 284 ss.; J.C. ZARKA, Le traité sur la stabilité, la coordination et la gouvernance dans l’union économique et monétaire, in Recueil Dalloz, 2012, p. 893 ss.; J.V. LOUIS, Les réponses

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soffermarci sui limiti delle competenze e sulla legalità delle iniziative che, in questi anni, e in questi mesi, la BCE ha adottato e ancor prima aveva dichiara-to di voler adottare, in attuazione dei poteri e della missione conferitile dal TFUE, in particolare il suo art. 127, notoriamente oggetto di interpretazioni di-vergenti 10.

Scopo di questo lavoro è piuttosto quello di evidenziare queste forzature, e come esse sono state gestite, in particolare nella giurisprudenza. Quanto sopra anche al fine di comprendere in quale misura le stesse possano condizionare il possibile percorso di riforma, ovvero gli eventuali sviluppi dell’UEM a legi-slazione invariata.

II. Il punto di partenza di un ragionamento concernente le regole della go-vernance economica dell’Unione europea deve muovere da una riflessione sulla qualità delle norme contenute nel TFUE, e comunque delle norme che diedero origine all’UEM.

Forse noi giuristi ci siamo immaginati che, essendo regole volte a discipli-nare processi eminentemente economici, e più precisamente macroeconomici, il nostro apporto dovesse essere esclusivamente di tipo descrittivo, e anzi nar-rativo: in fin dei conti, queste regole parevano concernere fenomeni molto tecnici, e insieme molto politici, rispetto ai quali gli stessi giuristi verosimil-mente erano male attrezzati a compiere il lavoro normalmente richiesto loro, e cioè quello di leggere le norme, e ancora prima di scriverle, nell’ottica di rego-lare eventi non solo passati, ma soprattutto presenti e futuri, sulla base di un’a-nalisi di scenari prevedibili, e cioè di opzioni interpretative e applicative pos-sibili e disponibili.

Così, mentre si sezionavano (quasi) tutte le altre regole dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, l’analisi giuridica sulle questioni economiche e monetarie appariva, in generale, più superficiale 11. Questo approccio non ri-

à la crise, in Cahiers droit. europ., 2011, p. 353 ss.; C. OHLER, The European Stability Mecha-nism: The Long Road to Financial Stability in the Euro Area, in German Year. Int. Law, 2011, p. 47 ss.; M. RUFFERT, The European Debt Crisis and European Union Law, in Common Market Law Rev., 2011, p. 1777 ss.

10 V. F. BASSAN, Le operazioni non convenzionali della BCE al vaglio della corte costitu-zionale tedesca, in Riv. dir. int., 2014, p. 361 ss.

11 Per alcune prime riflessioni v. però R. SMITS, The European Constitution and EMU: An appraisal, in Common Market Law Rev., 2005, p. 425; J.V. LOUIS, The Economic and Mone-tary Union: Law and Institutions, ibidem, 2004, p. 575 ss.; M.J. HERDEGEN, Price stability and budgetary restraints in the Economic and Monetary Union: The law as guardian of economic wisdom, ibidem, 1998, p. 9 ss.; J.V. LOUIS, A legal and institutional approach for building a Monetary Union, ibidem, 1998, p. 33 ss.; H.J. HAHN, The Stability Pact for European Mone-

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sparmiava neppure alcuni aspetti davvero centrali e anzi “costituzionali” del-l’Unione europea, quali il funzionamento dell’UEM, il rapporto tra competen-ze esclusive dell’Unione, ex art. 3, lett. c) TFUE, e coordinamento delle com-petenze in materia di politica economica ex art. 5.1 TFUE, nonché gli stessi poteri attribuiti al SEBC – e alla BCE – dall’art. 127 TFUE, a tacere degli ar-ticoli 122 e 125 TFUE.

Ancor più grave, quanto meno ex post, era la carenza di analisi critiche sull’esistenza di possibili rimedi – e tanto meno di rimedi appropriati – in caso di patologie del sistema. Così, e in primo luogo, ci si illudeva che l’euro fosse totalmente immune da rischi, e che l’adesione alla moneta europea fosse capa-ce esclusivamente di garantire vantaggi per tutti, dagli Stati ai cittadini: dalla riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico, alla capacità di acquistare beni e servizi in modo molto più agevole rispetto a prima, alla stabilità dei prezzi ormai irreversibilmente garantita dalla moneta europea. In secondo luo-go, le pur riconoscibili lacune dei trattati nella materia venivano derubricate a già viste… malattie infantili dell’Unione europea: così, si riteneva che, come altre volte la storia dell’integrazione europea aveva insegnato, l’importante era porre le basi normative – benché incomplete – per uno sviluppo del sistema, poiché la messa a punto dello stesso sarebbe avvenuta pragmaticamente, ma-gari grazie al solito contributo della Corte di giustizia 12. E quando pure le prime crepe cominciavano ad apparire, ci si contentava di definire le norme rilevanti come «stupide», secondo la celeberrima patente che l’allora presiden-te della Commissione Romano Prodi attribuì alle regole contenute nel patto di stabilità e crescita, di cui ai regolamenti n. 1466/97 e 1467/97 13.

Del resto, la dimostrazione della circostanza secondo cui la materia fosse ostile a una rigorosa analisi giuridica si era avuta nella prima rilevante contro-versia sottoposta all’attenzione della Corte di giustizia: nella sentenza sul Pat-

tary Union – Compliance with deficit limit as constant legal duty, ibidem, p. 77 ss.; A. TIZZANO, Qualche considerazione sull’Unione economica e monetaria, in questa Rivista, 1997, p. 455 ss.; L. DANIELE, Unione economica e monetaria, obblighi degli Stati membri e poteri sanzionatori delle istituzioni, ibidem, 1996, p. 931 ss.; J. PIPKORN, Legal Arrangements in the Treaty of Maastricht for the Effectiveness of the EMU, in Common Market Law Rev., 1994, p. 263 ss.; F.B. JACOBS, The European Parliament and Economic and Monetary Union, ibidem, 1991, p. 361 ss.

12 Al riguardo, v. anche M.F. CUCCHIARA, op. cit., p. 91 ss. 13 Reg. (CE) n. 1466/97 (GUCE L 209 del 2 agosto 1997, p. 1 ss.) e n. 1467/97 (ibidem, p.

6 ss.). Com’è noto, i due regolamenti sono oggi superati dal c.d. six pack, dal c.d. two pack, e pure dal Fiscal Compact che tuttavia incide sulla materia da una prospettiva esterna all’ordi-namento UE. Per i riferimenti v. sopra, nota 9.

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to di stabilità del 2004 14, appare piuttosto evidente la difficoltà per la Corte di inquadrare secondo schemi giuridici una questione eminentemente politica, e cioè la decisione di sospendere le procedure per disavanzo eccessivo di due importanti Stati membri (Germania e Francia), discostandosi dalle raccoman-dazioni che la Commissione aveva adottato in applicazione delle citate regole sul patto di stabilità.

Così, magari anche a causa di qualche errore d’impostazione – o di previ-sione – compiuto dagli stessi economisti che avevano concepito il sistema UEM ritenendolo più forte di qualsiasi pressione esterna, si è arrivati imprepa-rati alla crisi del 2007, come giuristi ma non solo. Soltanto a partire da quel momento si è avuta la percezione della reale inadeguatezza del dato normati-vo, e ciò ha generato situazioni inedite nel quadro ordinamentale europeo: ba-sti pensare alle contrapposte impostazioni economiche e politiche (ad esem-pio, il mantra del rigore contrapposto a quello della crescita), o alla pressione dei mercati, ambedue originate dall’assenza di un sistema di norme precise.

In un primo momento, e sull’urgenza di provvedere ad ogni costo e spesso in poche ore, sono state prodotte regole e istituti piuttosto imbarazzanti per la loro “artigianalità”: per tutte, il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (FESF), società a responsabilità limitata di diritto privato lussemburghese, costituita in una notte di giugno del 2010 dagli allora 17 Stati membri dell’eurozona, e ca-pitalizzata in pochi giorni con circa 190 miliardi di euro per sostenere i piani di assistenza finanziaria a favore di Grecia, Portogallo e Irlanda con obbliga-

14 Corte giust. 13 luglio 2004, C-27/04, Commissione c. Consiglio, I-6649. Per un commento, nella letteratura italiana v. P. DIMAN, M. SALERNO, Sentenza Ecofin: gli equilibri della Corte tra tensioni politiche, Costituzione economica europea e soluzioni procedurali, in Dir. pubbl. comp. eur., 2004, p. 1842 ss.; E. PRESUTTI, La Corte di giustizia e il patto di stabilità e di crescita: com-mento alla sentenza del 13 luglio 2004, in Dir. com. scambi int., 2005, p. 65; L. PATRUNO, Il Pat-to di stabilità e crescita tra rilegittimazione istituzionale europea e consenso nazionale, in Demo-crazia e diritto, 2005, p. 225 ss.; L. PATRUNO, La crisi del Patto di stabilità e la "legalità" tradita: Stati versus Commissione?, in Democrazia e diritto, 2004, p. 147 ss.; .G. RIVOSECCHI, Patto di stabilità e Corte di giustizia: una sentenza (poco coraggiosa) nel solco della giurisprudenza co-munitaria sui ricorsi per annullamento, in Giur. it., 2005, p. 899 ss. Nella dottrina straniera, V. I. MAHER, Economic policy coordination and the European Court: excessive deficits and ECOFIN discretion, in Europ. Law Rev., 2004, p. 831 ss.; D. DOUKAS, The Frailty of the Stability and Growth Pact and the European Court of Justice: Much Ado about Nothing, in Legal Iss. Ec. Int., 2005, p. 293 ss.; R. TORRENT MACAU, ¿Cómo gobernar aquello que se desconoce?: el caso de la Comunidad Europea en tanto que Unión Económica y Monetaria, in Rev. Der. Com. Eur., 2005, p. 47 ss.; T. DE LA QUADRA-SALCEDO JANINI, La discrecionalidad política del Ecofin en la aplicación del procedimiento por déficit excesivo: reflexiones tras la Sentencia del Tribunal de Justicia de 13 de julio de 2004, in Rev. Est. Pol., 2004, p. 15 ss.

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zioni a lungo termine 15. E in questo contesto, un po’ tanto forzata appare an-che la base giuridica di questo e degli altri strumenti provvisori adottati nel pe-riodo, e cioè l’art. 122.2 TFUE, pensato per assistenze finanziarie giustificate da … calamità naturali o circostanze eccezionali probabilmente assai diverse da quelle cui tali strumenti intendevano far fronte 16.

Successivamente, gli Stati e le istituzioni europee si sono dati regole più stabili e ragionate, ma per le quali – pur dato atto di essere riuscite a tampona-re il deragliamento dell’UEM – è lecito quanto meno sospendere un giudizio definitivo, per diversi motivi. Innanzitutto, perché la loro adozione ha compor-tato l’uscita, almeno parziale, dal sistema costituzionale dell’Unione europea: i trattati Fiscal Compact e MES sono infatti, notoriamente, esterni ai trattati UE e FUE 17.

Inoltre, perché il contenuto di queste regole, almeno per quanto valgono i comportamenti degli Stati interessati, ma anche le stesse istituzioni, risulta tut-tora assai poco “maturato” come rule of law: ciò è dimostrato da reiterate ri-chieste di modificare o “reinterpretare” queste regole, nell’ottica dichiarata di una loro rilettura, implicante, da parte di alcuni, una decisa rinegoziazione dei loro contenuti, ipotesi peraltro che progressivamente sta maturando in un cre-scente numero di Stati membri e istituzioni europee.

Ancora, e forse soprattutto, perché gli effetti ultimi di questo nuovo assetto “costituzionale” dell’Unione e dell’UEM sono tuttora alquanto incerti, e forse non così lineari. Basti pensare che, per effetto del trattato MES, l’Italia, la quale ha una partecipazione di poco superiore al 17% del capitale, si è impe-gnata a sottoscrivere e versare quote del MES medesimo per oltre 125 miliardi di euro; peraltro, ai fini di mantenere un rating elevato, il MES si è dato la re-gola di investire in titoli ad alta qualità e liquidità, anch’essi quindi con un rat-

15 Sostituito dal MES, dal 1° luglio 2013 il FESF ha come scopo residuo quello di gestire i finanziamenti erogati e incassare i crediti dai suoi tre debitori (per maggiori informazioni, cfr. www.efsf.europa.eu).

16 In tema, cfr. P. ATHANASSIOU, Of Past Measures and Future Plans for Europe’s Exit from the Sovereign Debt Crisis: What is Legally Possible (and What is Not), in Europ. Law Rev., 2011, p. 558 ss.

17 In argomento, cfr. P. CRAIG, Pringle and Use of EU Institutions Outside the EU Legal Framework: Foundations, Procedure and Substance, in Europ. Const. Law. Rev., 2013, p. 263 ss.; S. PEERS, Towards a new form of EU law? The use of EU Institutions outside the EU Legal Framework, in Europ. Const. Law. Rev., 2013, p. 65 ss.; S. PINON, Crise économique européenne et crise institutionnelle à tous les étages, in Rev. Marché commun Union Europ., 2013, p. 218 ss. V. anche infra la nota 19.

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ing molto elevato 18. Con la conseguenza che il nostro Paese, tramite il MES, finisce per finanziare col proprio debito pubblico economie meno indebitate (ovvero, nella vulgata … più “virtuose”). Si può discutere se questo sia il prezzo per avere un fondo salva Stati, ma non sfugge un certo grado di strabi-smo delle regole che ci si sta dando a questo riguardo.

Last, but not least, ad oggi non si conoscono le regole di un eventuale “piano B”, e cioè delle modalità con cui, nonostante ogni sforzo, dovesse risultare im-possibile per alcuni Stati continuare a partecipare all’UEM. La tesi secondo cui l’adesione all’euro è irreversibile appare insistita, ma non è univoca, e neppure così persuasiva: in primo luogo, la perdurante esistenza di alcuni Stati membri dell’Unione che hanno mantenuto le proprie monete nazionali dimostra il con-trario. E soprattutto, in contrasto col dogma dell’irreversibilità, nelle calde set-timane estive precedenti il terzo bail out della Grecia, erano circolate anticipa-zioni anche piuttosto concrete su come si sarebbe potuti gestire la c.d. Grexit.

Dal punto di vista politico, è abbastanza comprensibile – e anche piena-mente giustificabile e opportuno – che un piano “B” non sia normativamen-te disciplinato, se non altro perché, come l’esperienza pare aver insegnato, si accenderebbero immediatamente fenomeni speculativi e di opportunismo, politico, economico e finanziario. È quindi apprezzabile che, sul piano normativo e su quello operativo, Stati e istituzioni europee si siano soprat-tutto impegnate a costruire puntelli per rafforzare l’UEM: basti pensare, sot-to il primo profilo, oltre al MES e al Fiscal Compact, all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (c.d. AESM) 19 e all’unione banca-

18 Secondo il rapporto di Moody’s Investor Service, del 6 ottobre 2014, «The ESM operates conservative capital and liquidity management policies to ensure that there is no shortfall of liquid assets to service ESM’s own obligations, even if a borrower defaults. The paid-in capital cannot be used in lending operations but has to be invested (together with the reserves) in high– quality and liquid securities. As of end-March 2014, nearly all of the investments were in Aaa and Aa– rated securities. In accordance with the Investment Policy approved by the Board of Directors, the ESM’s liquidity pool is divided in two separate portfolios» (p. 7); il testo completo del rapporto Moody’s (e di altre agenzie) è reperibile sul sito MES (www.esm. europa.eu/investors/rating/index.htm).

19 Cfr. Reg. (UE) n. 1095/2010 (GUUE L 331 del 15 dicembre 2010, p. 84 ss.). In argo-mento, per tutti, v. M. ANDENAS, I.H.Y. CHIU, Financial Stability and Legal Integration in Fi-nancial Regulation, in Europ. Law Rev., 2013, p. 335 ss.; T. TRIDIMAS, Financial supervision and agency power: reflections on ESMA, in L. GORMLEY, N.N. SHUIBHNE (eds.), From Single Market to Economic Union: Essays in Memory of John A. Usher, Oxford, 2012; N. MOLONEY, Reform or revolution. The financial crisis, EU financial markets law, and the European Secu-rities and Markets Authority, in Int. Comp. Law Quart., 2011, p. 521 ss.; P. SCHAMMO, The Eu-ropean Securities and Markets Authority: Lifting the veil on the allocation of powers, in Com-

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ria 20; sotto il secondo profilo, alle iniziative messe in campo dalla BCE, quali il programma OMT o il quantitative easing, ormai da qualche mese in piena attività 21.

Nondimeno, all’evidenza, il modus operandi è inedito, e sul piano squisi-tamente giuridico il sistema non è chiuso, se non altro perché, in assenza di norme e procedure sul recesso degli Stati dall’UEM, la chiusura del sistema presupporrebbe davvero la creazione di una c.d. unione fiscale, ovvero una reale integrazione delle politiche economiche, ovvero infine una messa in co-mune – almeno in parte – dei debiti nazionali, con superamento della c.d. no bail out clause di cui all’art. 125 TFUE 22. Soluzioni giuridicamente concepi-bili, ma com’è noto tuttora politicamente acerbe.

mon Market Law Rev., 2011, p. 1879 ss.; P.G. TEIXEIRA, The regulation of the European finan-cial market after the crisis, in P. DELLA POSTA, L.S. TALANI (eds.), Europe and the Financial Crisis, Londra, 2011, p. 9; N. MOLONEY, EU Financial Market Regulation after the Global Fi-nancial Crisis: “More Europe” or more Risks?, in Common Market Law Rev., 2010, p. 1317 ss.

20 Come è noto, l’unione bancaria si compone del c.d. meccanismo unico di vigilanza, di cui al reg. (UE) n. 1024/2013 (GUUE L 287 del 29 ottobre 2013, p. 63 ss.), e del c.d. meccani-smo di risoluzione unico, di cui ai Reg. (UE) n. 806/2014 (GUUE L 225 del 30 luglio 2014, p. 1 ss.) e n. 2015/81 (GUUE L 15, del 22 gennaio 2015, p. 1 ss.). In tema, nella letteratura italia-na v. S. CASSESE, La nuova architettura finanziaria europea, in Giorn. dir. amm., 2014, p. 79 ss.; S. ANTONIAZZI, L’unione bancaria europea: i nuovi compiti della BCE di vigilanza pruden-ziale degli enti creditizi e il meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie, Parti I e II, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2014, p. 359 ss. e p. 717 ss.; F. CAPRIGLIONE, L’unione bancaria euro-pea: una sfida per un’Europa più unita, Torino, 2013; A. DI MARCO, Il controllo delle banche nell’UEM: la (problematica) nascita di un sistema integrato di vigilanza prudenziale, in questa Rivista, 2013, p. 549 ss. Nella letteratura straniera v. inoltre N. MOLONEY, Banking Union: As-sessing Its Risks and Resilience, in Common Market Law Rev., 2014, p. 1609 ss.; B. WOLFERS, T. VOLAND, Level the Playing Field: The new supervision of credit institutions by the European Central Bank, in Common Market Law Rev., 2014, p. 1463 ss.; A. WITTE, The Application of National Banking Supervision Law by the ECB: Three Parallel Modes of Executing EU Law, in Maastricht Jour. Eur. & Comp. Law, 2014, p. 89; G. LO SCHIAVO, From National Banking Supervision to a Centralized Model of Prudential Supervision in Europe: The Stability Func-tion of the Single Supervisory Mechanism, in Maastricht Jour. Eur. & Comp. Law, 2014, p. 110 ss.; L. WISSINK, T. DUIKERSLOOT, R. WIDDERSHOVEN, Shifts in Competences between Mem-ber States and the EU in the New Supervisory System for Credit Institutions and Their Conse-quences for Judicial Protection, in Utr. Law Rev., 2014, p. 92 ss.; J. DAMMANN, The banking union: flawed by design, in Georg. Jour. Int, Law, 2014, p. 1057 ss.; R.M. LASTRA, Banking un-ion and Single Market: conflict or companionship?, in Ford. Int. Law jour., 2013, p. 1190 ss.

21 Ma v. anche infra, al § X, per ulteriori interessanti evoluzioni del sistema. 22 Sul tema cfr. R. PALMSTORFER, To Bail Out or not to Bail Out? The Current Framework

of Financial Assistance for Euro Area Member States Measured against the Requirements of EU Primary Law, in Europ. Law Rev., 2012, p. 771 ss.; J.V. LOUIS, The No-Bail Out Clause and Rescue Packages, in Common Market Law Rev., 2010, p. 971 ss.

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In questa situazione, al giurista interessato alle questioni europee non resta che dar conto degli scricchiolii nello stato di diritto cui eravamo abituati, non senza qualche preoccupazione. È questo, appunto, il senso delle considerazio-ni che seguono.

III. Nel paragrafo precedente si è dato conto delle regole per certi versi qualitativamente inadeguate contenute nei trattati UE e FUE riguardo alle que-stioni economiche e monetarie, e delle altrettanto non così adeguate norme che sono state affrettatamente concepite nell’emergenza della crisi dell’euro e nei limiti del mandato politico e negoziale a disposizione dei rappresentanti degli Stati membri.

Non stupisce quindi se, alla prima occasione in cui queste regole sono state portate all’attenzione della Corte, e mi riferisco al caso Pringle

23, la loro ela-borazione giurisprudenziale si sia rivelata … luci ed ombre: in particolare, a fronte del sollievo per una sentenza che ha confermato la legittimità degli stru-menti normativi coi quali si era concepito il salvataggio dell’UEM, e forse della stessa Unione, non sono passate inosservate le forzature di ordine giuri-dico imposte alla Corte dalla necessità di acquisire questo risultato.

Il primo elemento di perplessità suscitato dalla sentenza Pringle riguarda il tema delle competenze: alla Corte era richiesto di accertare se il nuovo art. 136.3 TFUE 24 travalicasse la materia della mera politica monetaria e di coor-

23 Corte giust. 27 novembre 2012, C-370/12, Thomas Pringle c. Irlanda e a., ECLI:EU: C:2012:756. Per un commento alla sentenza cfr., nella dottrina italiana, P. MENGOZZI, Il trattato sul Meccanismo di stabilità (MES) e la pronuncia della Corte di giustizia nel caso Pringle, in Studi int. europ., 2013, p. 129 ss.; E. CHITI, Il Meccanismo europeo di stabilità al vaglio della Corte di giustizia, in Giorn. dir. amm., 2013, p. 148 ss.; E. GAMBARO, F. MAZZOCCHI, Le regole dell’Unione europea alla prova della crisi dei debiti sovrani: il caso Pringle, in Dir. comm. int., 2013, p. 545 ss. Nella dottrina straniera, cfr. S. ADAM, F.J. MENA PARRAS, The European Stability Mechanism through the Legal Meanderings of the Union’s Constitutionalism: Comment on Pringle, in Europ. Law Rev., 2013, p. 848 ss.; V. BORGER, The ESM and the European Court’s predicament in Prin-gle, in German Law Jour., 2013, p. 113 ss.; P. CRAIG, Pringle: Legal Reasoning, Text, Purpose and Teleology, in Maastricht Jour. Eur. & Comp. Law, 2013, p. 1 ss.; B. DE WITTE, T. BEUKERS The Court of Justice approves the creation of the European Stability Mechanism outside the EU legal order: Pringle, in Common Market Law Rev., 2013, p. 805; M. NETTESHEIM, Europarechtskon-formität des Europäischen Stabilitätsmechanismus, in Neue Juristische Wochenschrift, 2013, p. 14 ss.; P.A. VAN MALLEGHEM, Pringle: A paradigm shift in the European Union’s monetary constitu-tion, in German Law Jour., 2013, p. 141 ss.; D. THYM, M. WENDEL, Préserver le respect du droit dans la crise: la Cour de Justice, le MES et le mythe du déclin de la communauté de droit, in Ca-hiers droit. europ, 2012, p. 733 ss.; R. CISOTTA, Disciplina fiscale, cit., spec. p. 64 ss.

24 Tale disposizione, com’è noto, è stata adottata con decisione n. 2011/199/UE (GUUE L 91 del 6 aprile 2011, p. 1).

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dinamento delle politiche economiche degli Stati membri e comportasse in realtà un emendamento alle competenze attribuite in tali settori, in ragione del conferimento agli Stati membri della facoltà di istituire meccanismi di assi-stenza finanziaria al di fuori di quelli previsti dal TFUE medesimo, e dunque, in sostanza, in aggiunta alle (pur inadeguate) disposizioni dell’art. 122 TFUE, ovvero dell’art. 143 TFUE per i paesi non membri dell’euro 25. Se così fosse stato, tale disposizione avrebbe tuttavia inciso non solo sulla parte terza, ma anche sulla prima del TFUE, in violazione delle norme sulle modifiche dei trattati; infatti, l’art. 136 TFUE è stato integrato mediante la procedura sempli-ficata prevista dall’art. 48.6 TUE, in attuazione cioè delle disposizioni del TUE sulla revisione semplificata di cui all’art. 48.6, primo e secondo comma, TUE, possibili solo se le modifiche incidono esclusivamente su disposizioni della parte terza del TFUE.

Com’è noto, la Corte ha risposto negativamente al quesito, chiarendo che «alla luce degli articoli 4, paragrafo 1, TUE e 5, paragrafo 2, TUE, gli Stati membri la cui moneta è l’euro sono competenti a concludere tra di loro un ac-cordo relativo all’istituzione di un meccanismo di stabilità» 26, implicitamente escludendo che il MES sia proprio quel meccanismo di stabilità previsto dal-l’art. 136.3 TFUE e qualificandolo anzi come estraneo alla UEM. Come se, in altri termini, la modifica del TFUE fosse pleonastica, se non casuale.

Lo scotto pagato dalla Corte per questa conclusione non è tuttavia di poco momento, e la costringe a sviluppare una serie di considerazioni non così per-suasive 27.

In primo luogo, con riguardo al generale tema delle competenze esterne degli Stati membri, e in particolare sulla loro facoltà di concludere, al di fuori

25 Com’è noto, il par. 3 dell’art. 136 come introdotto dalla citata decisione 2011/199/UE prevede che «[g]li Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di sta-bilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo in-sieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccani-smo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità».

26 Cfr. causa C-370/12, Pringle, cit., punto 68. 27 Non sono personalmente così convinto del ragionamento svolto da R. CISOTTA, Discipli-

na fiscale, cit. p. 72 ss., secondo cui la soluzione data dalla Corte in Pringle sarebbe “legittima-ta” da una sorta di «vuoto riguardante la tutela della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme», e dal fatto che sia stata esclusa, nella fattispecie, la possibilità di cui all’art. 352 TFUE per intervenire nella materia. È senz’altro corretto ritenere che questa sia la conclusione ex post chiaramente scaturente dall’analisi di quello che è successo, dove in effetti le decisioni sono state prese dagli Stati, i quali hanno anche deciso di coinvolgere le istituzioni UE all’interno del “mondo MES”. Non senza tuttavia le forzature ampiamente descritte nel presente lavoro.

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del sistema dell’Unione, accordi internazionali vertenti su materie disciplinate dal diritto UE 28. È vero che il MES è stipulato da soli Stati membri, ma ciò non rileva; tanto che, per proteggere l’ordinamento dell’Unione da accordi in-ternazionali (anche inter-state) che ne mettano in gioco la piena efficacia, in Pringle la Corte ha ricordato l’obbligo degli Stati membri di rispettare il dirit-to dell’Unione nell’esercizio delle proprie competenze, e lo ha fatto menzio-nando un proprio precedente, il caso Elisa Gottardo, nel quale veniva in rilie-vo un trattato stipulato con Stati terzi 29.

Dunque, per proteggere il MES dalla censura di invalidità per essere venu-to in essere in violazione delle competenze dell’Unione, Pringle è costretta a consentire la stipulazione di accordi internazionali tra Stati membri sovrappo-nibili a competenze dell’Unione ma esterni ad essa, a condizione che gli ob-blighi scaturenti da tali accordi rispettino il diritto UE 30. Trattasi, indubbia-mente, di un passo indietro in rapporto alla teorica del parallelismo delle com-petenze interne ed esterne affermato per la prima volta nella sentenza AETS

31 e divenuto poi parte integrante del diritto primario UE, come testimoniano l’art 3.2 TFUE e, ad abundantiam, l’art. 216 TFUE 32.

L’indipendenza del MES rispetto ai meccanismi di stabilità pur espressa-mente previsti dall’art. 136.3 TFUE costringe la Corte ad altre fatiche argo-mentative, questa volta riguardo al tema se, visto il coinvolgimento delle isti-

28 Con specifico riferimento alla politica economica e monetaria, in tema di relazioni ester-ne v. già A. MALATESTA, C. RICCI, Le relazioni esterne della Comunità europea in materia mo-netaria, in questa Rivista, 2002, p. 229 ss.; C.W. HERRMANN, Monetary sovereignty over the euro and external relations of the euro area: competences, procedures and practice, in Europ. Foreign Aff. Rev., 2002, p. 1 ss.; R. BASSO, Sulle relazioni esterne della Comunità europea in materie riguardanti l’Unione economica e monetaria, in Riv. dir. int., 2001, p. 111 ss.; N. WEINRICHTER, The world monetary system and external relations of the EMU: fasten your safe-ty belts!, in Eur. integ. online papers, 2000, p. 10 ss.

29 Corte giust. 15 gennaio 2002, C-55/00, Gottardo c. INPS, I-413, punto 32. 30 «[L]a rigorosa condizionalità cui il meccanismo di stabilità subordina la concessione di

un’assistenza finanziaria in forza del paragrafo 3 dell’articolo 136 TFUE, il quale costituisce la disposizione su cui verte la revisione del Trattato FUE, è diretta a garantire che, nel suo fun-zionamento, tale meccanismo rispetti il diritto dell’Unione, comprese le misure adottate dall’U-nione nell’ambito del coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri» (cfr. la sentenza Pringle, cit., punto 69).

31 Corte giust. 31 marzo 1971, 22/70, AETS, p. 263. 32 In tal senso, nell’attuale stato del diritto primario, l’esperienza Schengen non sarebbe più

possibile. Si può, naturalmente, immaginare di guardare a tale esperienza come paradigma per inglobare il MES nella UEM (cfr. M.F. CUCCHIARA, op. cit., spec. 98 ss.), ma certamente le ba-si di legalità di partenza sono molto diverse.

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tuzioni dell’Unione previsto espressamente nel trattato MES, si sia realizzato per tale via un allargamento delle competenze dell’Unione stessa, o delle sue istituzioni 33. Tale allargamento non avrebbe potuto essere infatti disposto con una norma, il nuovo art. 136.3 TFUE, posta in essere conformemente alle re-gole sulla modifica semplificata dei trattati.

Qui la risposta della Corte è ancor più ellittica, essendo sostanzialmente basata sull’assunto secondo cui, visto che il MES è estraneo alle norme UEM, quali che siano i contenuti del MES anche rispetto al coinvolgimento delle istituzioni UE, tutto ciò non equivale a una modifica delle loro competenze.

È un peccato che la Corte non abbia osato di più, impostando invece la propria costruzione giuridica sull’assunto che il MES è sostanzialmente un ac-cordo in qualche modo “derivato” dall’art. 136 TFUE, e soggetto ad esso. Tale approccio avrebbe certamente implicato qualche approfondimento sul piano del diritto internazionale, e magari anche alcune acrobazie in ordine al quesito se il MES abbia modificato qualche competenza. Ma in tal modo si sarebbe potuta anche ridimensionare … l’estraneità del MES rispetto all’architettura “costituzionale” dell’Unione, riconfermando e argomentando meglio la centra-lità di quest’ultima rispetto al primo. E si sarebbe soprattutto offerta una lettu-ra prospettica – e un autorevole suggerimento – di come il sistema anche ordi-namentale del MES potrebbe domani essere incorporato nell’UEM, soluzione questa, che a mio avviso appare la più naturale e opportuna per ricompattare l’architettura costituzionale europea.

Anche perché, come abbiamo visto e come vedremo, l’approccio invece “orizzontale” e “parallelo” di MES e UEM lascia comunque notevoli perplessi-tà. Ad esempio, quando la Corte assume che il MES non esclude comunque azioni di sostegno finanziario interne al sistema UE, basate sull’art. 122 TFUE, ciò essendo sufficiente a concludere che il MES «non è tale da incidere su nor-me comuni dell’Unione o da modificarne la portata». Francamente, l’ipotesi non appare così realistica, visto che un meccanismo di stabilità pare più che suffi-ciente.

Altrettanto poco persuasivo è il passaggio della sentenza in cui, pur doven-do dare atto dell’esistenza di significativi punti di contatto tra sistema MES e UEM, la Corte liquida rapidamente la circostanza secondo cui il MES assume-rà, tra le altre funzioni, il ruolo fino ad allora assegnato temporaneamente al-l’EMSF, e cioè uno strumento di assistenza finanziaria temporanea, istituito tuttavia in attuazione dell’art. 122.2 TFUE 34.

33 Sentenza Pringle, cit., punti 71 ss. 34 Sentenza Pringle, cit., punto 103.

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In sintesi, la Corte individua due mondi paralleli, uno interno all’UEM, l’altro esterno ad essa, ambedue compatibili e suscettibili di coesistere senza mo-dificare le competenze unionali o quelle degli Stati membri: e in Pringle il si-stema MES sarebbe comunque e necessariamente coerente con le norme UE, non potendo gli Stati membri assumere obblighi contrastanti con queste.

Con il dovuto rispetto, e a tacer d’altro, il ragionamento non pare del tutto lineare: sembra difficile assumere che due strumenti, tra loro interscambiabili, possano coesistere, e contestualmente escludere che il funzionamento dell’uno possa incidere sulle funzioni dell’altro. Eppure, come vedremo tra poco, que-sta conclusione viene in sostanza ribadita dalla Corte anche nella sentenza Gau-weiler.

IV. I “mondi paralleli” scaturenti dalla compresenza del MES con le norme e gli strumenti dell’UEM si prestano a ulteriori criticità sotto il profilo del-l’impatto del MES sulle regole in materia di coordinamento della politica eco-nomica stabilite a livello UE.

A questo proposito, la Corte è piuttosto lapidaria nell’affermare che «il MES non ha ad oggetto il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, bensì rappresenta un meccanismo di finanziamento» 35, tale as-sunto servendo a escludere che, mediante il MES, si siano modificate le sfere di competenza al riguardo vigenti tra gli Stati membri, e tra essi e l’Unione. Tuttavia, meno persuasivo è il ragionamento della Corte quando qualifica i condizionamenti sulla politica economica degli Stati derivanti dall’attivazione dell’assistenza finanziaria mediante l’utilizzo del MES come semplici «conse-guenze indirette» di tale strumento. Infatti, le misure di politica economica so-no imposte agli Stati dal principio di condizionalità, la cui applicazione pre-suppone l’assistenza finanziaria: è vero che, a rigore, non c’è un coordinamen-to, ma, appunto, una imposizione. Ma le norme del TFUE sul coordinamento delle politiche economiche implicano una discrezionalità degli Stati membri – e quindi spazi di sovranità loro riservati – assai più intensi rispetto a quelli che residuano nei confronti degli Stati che abbiano chiesto l’attivazione dell’assi-stenza finanziaria 36.

In effetti, e in disparte di ogni considerazione sulla carenza di legittimazio-ne democratica del sistema, ormai è chiaro a tutti – e soprattutto ai membri del-l’eurozona – che l’ordinamento si è evoluto nel senso che quelle norme sul

35 Sentenza Pringle, cit., punto 110. 36 Sul tema della condizionalità v. M. IOANNIDIS, EU Financial Assistance Conditionality

After «Two-Pack», in ZaöRV, 2014, p. 100 ss.; C.J. ROGERS, The IMF and European econo-mies: crisis and conditionality, Basingstoke, 2012.

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coordinamento delle politiche economiche, di cui al sistema UEM, hanno un ambito di applicazione fino a quando la situazione è fisiologica. Quando uno Stato membro si trova invece a dover accedere a forme di assistenza finanzia-ria, si esce dall’UEM e si entra nel mondo MES, attivando meccanismi di con-dizionalità che di fatto commissariano quello Stato membro, limitandone for-temente la sovranità. Secondo la Corte, tutto ciò è conforme ai trattati, perché il MES è altro rispetto alla UEM, e a nulla importa che vi sia una disposizione, appunto l’art. 136.3 TFUE, che prevede proprio il medesimo scambio tra assi-stenza finanziaria e condizionalità, e che implicitamente tuttavia deve restare lettera morta (anche se formalmente può tranquillamente coesistere col MES), perché diversamente il suo funzionamento altererebbe l’assetto delle compe-tenze intra-UEM, esito non consentito dai meccanismi di riforma dei trattati.

I limiti di questo ragionamento diventano evidenti, considerato che l’assi-stenza finanziaria MES è solo uno degli elementi disponibili, e utilizzati, per aiutare uno Stato membro in difficoltà: basti pensare al ruolo della BCE, for-tissimo nel tamponare per mesi gli sconquassi della crisi greca, che tuttavia nella costruzione giuridica della Corte perde il suo connotato, reale, di stru-mento complementare e anzi fondamentale per arginare e gestire le crisi, e di-venta un mero strumento di politica monetaria che, quasi per caso, produce qualche conseguenza anche in ambiti diversi.

E infatti, in Gauweiler la Corte si deve districare proprio con le stesse «conseguenze indirette» che l’attuazione del programma OMT può avere (o necessariamente ha) sulle politiche economiche degli Stati beneficiari dell’a-cquisto sui mercati secondari dei loro titoli di Stato da parte della BCE, in par-ticolare poiché tale programma «favorisc[e] così, in una certa misura, la rea-lizzazione degli obiettivi di politica economica» dei programmi di aggiusta-mento macroeconomico degli Stati membri interessati. Ma ancora una volta, secondo la Corte, tutto ciò non modifica né la natura, né l’ambito, delle com-petenze del SEBC, che restano confinate alla politica monetaria 37.

Insomma, pur con tutta la benevolenza e l’apprezzamento che si debbono avere quando si chiede a un Giudice di intestarsi soluzioni che fuoriescono largamente dalla sfera del diritto, non sfuggono al lettore le forzature cui la Corte è costretta. Per fortuna, e quanto meno tra le righe, in Gauweiler mi pare che la Corte si sforzi di ancorare il proprio ragionamento a qualche principio dell’ordinamento unionale: mi riferisco a quello di leale cooperazione tra isti-tuzioni (nella specie, la Corte stessa e la BCE), che serve alla Corte per saldare il principio di assoluta autonomia del SEBC e le impedisce di censurare sul

37 Sentenza Gauweiler, cit., punti 58 ss.

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piano giuridico scelte di natura eminentemente tecnico-discrezionale, come ap-punto il programma OMT, qualificandole come esorbitanti l’ambito delle com-petenze attribuite al SEBC o alla BCE. Anzi, come diremo anche in appresso, Gauweiler ha il merito innegabile di … riportare su basi di principio l’interpre-tazione e l’applicazione di norme per loro natura programmatiche come quelle relative all’UEM, disinnescando gli attacchi volti a delegittimare la BCE e, conseguentemente, a indebolire complessivamente il sistema ordinamentale europeo rispetto ai singoli Stati membri (e soprattutto ad alcuni di essi).

V. Vi sono, tuttavia, altre forzature nel ragionamento giuridico della Corte, in particolare a proposito dell’ampiezza della politica monetaria. Nella neces-sitata impostazione volta a ridimensionare il MES e, a monte, l’art. 136 TFUE modificato, in Pringle la Corte delinea l’ambito e gli obiettivi della politica monetaria in modo marcatamente rivolto alla sola stabilità dei prezzi. Inequi-voci in tal senso sono, tra gli altri, i punti 56-57 della sentenza, nei quali la Corte qualifica l’obiettivo perseguito dal MES come quello «di salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo complesso», aggiungendo poi che «esso si distingue chiaramente dall’obiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi, che costituisce l’obiettivo principale della politica monetaria dell’Unione. Infatti, anche se la stabilità della zona euro può avere ripercussioni sulla stabilità della moneta utilizzata in tale zona, una misura di politica economica non può esse-re equiparata ad una misura di politica monetaria per il solo fatto che essa può avere effetti indiretti sulla stabilità dell’euro». In questa prospettiva, la Corte precisa poi anche che «la concessione di un’assistenza finanziaria ad uno Stato membro non rientra manifestamente nella sfera della politica monetaria».

Anche questo ragionamento pecca tuttavia di qualche schematismo, essen-do politica economica e politica monetaria assai più intrecciate di quanto la Corte non voglia dire. E infatti, come si ricordava, la BCE non è affatto estra-nea al sistema MES, addirittura fin dalla sua nascita, avendo persino reso un parere sulle condizioni di compatibilità dell’art. 136 novellato con l’art. 125 TFUE, pr ima dell’adozione della decisione 199/2011 38. In quest’ottica, poi,

38 Del che, tra l’altro, la Corte dà atto nella motivazione della sentenza, nel senso che «[c]ome emerge dal punto 5 del parere della BCE sul progetto di decisione del Consiglio euro-peo che modifica l’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea relativa-mente a un meccanismo di stabilità per gli Stati membri la cui moneta è l’euro, l’attivazione di un’assistenza finanziaria ai sensi di un meccanismo di stabilità come il MES è compatibile con l’articolo 125 TFUE solo qualora essa risulti indispensabile per salvaguardare la stabilità fi-nanziaria della zona euro nel suo complesso e sia soggetta a condizioni rigorose» (cfr. causa C-370/12, Pringle, cit., punto 136).

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diventa anche più difficile ragionare in termini di ambito dei poteri della BCE: perché se la soluzione data dalla Corte nel caso Pringle ha senso nell’ottica del salvataggio di meccanismi e soluzioni istituzionali e interstatali dettate dal-l’urgenza, il precedente è servito alla Corte costituzionale tedesca nel rinvio pregiudiziale Gauweiler

39 per criticare il programma OMT, proprio muoven-do dall’interpretazione restrittiva che in Pringle la Corte aveva dato della poli-tica monetaria.

A questo riguardo, e soprattutto ex post, forse non tutto il male è venuto per nuocere, visto che, nella sentenza Gauweiler, e in chiara contrapposizione con gli argomenti sollevati dal Bundesverfassungsgericht, la Corte compie invece una significativa apertura rispetto all’ambito delle competenze del SEBC e agli obiettivi della politica monetaria, sottolineando che, «fatto salvo [l’obiet-tivo della stabilità dei prezzi], il SEBC sostiene le politiche economiche gene-rali dell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi di que-st’ultima, come definiti all’articolo 3 TUE». Nulla di nuovo, per carità, visto che quanto sopra corrisponde al tenore letterale dell’art. 127 TFUE. Ed è anzi assolutamente condivisibile che il SEBC non sia vincolato al solo mandato della stabilità dei prezzi, come forse piacerebbe ad alcuni, legati al proprio modello nazionale di banca centrale.

È un fatto, tuttavia, che in questa prospettiva le competenze del SEBC e del MES davvero tendono a sovrapporsi, e che allora l’interpretazione delle nor-me qui in rilievo offerta in Pringle, sembra essere (as)servita esclusivamente a finalità contingenti. Insomma, alla rule of law la Corte ha anteposto una chiara Realpolitik

40. La stessa Realpolitik, peraltro, si intravede talora anche in Gauweiler:

preso atto dell’identità, di fatto, del programma OMT con l’attività del MES – in ambedue i casi si tratta di acquisti di titoli di Stato sui mercati secondari subordinatamente al rispetto di un programma di aggiustamento macroeco-nomico – la Corte esclude comunque qualsiasi qualificazione del citato pro-gramma OMT come misura estranea alla politica monetaria, semplicemente precisando che «la differenza tra gli obiettivi perseguiti dal MES e quelli perseguiti dal SEBC è, a questo riguardo, decisiva. Mentre … un programma come quello controverso nei procedimenti principali può essere attuato sol-tanto nella misura necessaria al mantenimento della stabilità dei prezzi, l’in-tervento del MES mira invece a preservare la stabilità della zona euro, obiet-

39 V. sopra, nota 2, nonché in appresso, i §§ VII e IX. 40 Mi pare condivida questa conclusione anche R. CISOTTA, Disciplina fiscale, cit., spec. p.

70 ss., il quale offre tuttavia una lettura della sentenza Pringle forse più generosa.

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tivo quest’ultimo che non rientra nella politica monetaria» 41. Insomma, una volta che, nell’esercizio delle proprie potestà «in modo indi-

pendente» e immune da «qualsivoglia pressione politica» 42, il SEBC abbia in-dividuato l’obiettivo della sua azione come finalizzato alla stabilità dei prezzi, tanto basta, secondo la Corte, ad arrestare qualsiasi sindacato di ordine giuri-dico sul rispetto del principio delle competenze attribuite. Come vedremo, per fortuna in Gauweiler il ragionamento svolto dalla Corte appare un po’ più or-ganico e completo, e si fonda su principi generali di diritto comunque consueti nel ragionamento giuridico, con un risultato complessivo senz’altro più con-vincente.

VI. Vi è un ultimo profilo problematico da sottolineare in questo contesto, riguardante per vero solo la sentenza Pringle, ma sintomatico del … segno dei tempi in cui la c.d. crisi dell’euro ha precipitato l’Unione: nella parte finale della pronuncia, si afferma che i sistemi di governance attivati al di fuori del-l’ambito dell’Unione non sono soggetti ad alcuna verifica sotto il profilo della loro compatibilità con i diritti fondamentali previsti dalla Carta. Ciò perché «gli Stati membri non attuano il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, allorché instaurano un meccanismo di stabilità come il MES per l’istituzione del quale … i Trattati UE e FUE non attribuiscono al-cuna competenza specifica all’Unione» 43.

L’argomento è, apparentemente, ineccepibile, ed è anche logicamente con-sequenziale alla ratio decidendi sviluppata nella sentenza. Tuttavia, neanche stavolta è persuasivo. Se non altro nella misura in cui, dovendo per definizione MES e UEM … andare a braccetto 44, riesce difficile pensare che gli Stati mem-bri e le istituzioni che in ambito UEM adottano misure di politica economica o monetaria siano tenute al rispetto della Carta, ma ciò possa non aver luogo quando le stesse o analoghe misure vengono adottate in ambito MES, magari all’interno (com’è avvenuto proprio in occasione della crisi greca), di un unico piano di salvataggio di uno Stato membro.

In tal senso, lascia un po’ perplessi la circostanza secondo cui la Corte, pur correttamente argomentando in ordine alla non applicazione della Carta, si sia

41 Sentenza Gauweiler, cit., punto 64. 42 Sentenza Gauweiler, cit., punto 40. Non sfugge, anche qui, la caratura didascalica di

questo passaggio motivazionale della sentenza, nell’acceso dibattito (tutto politico) sui limiti dei poteri e delle prerogative della BCE.

43 Sentenza Pringle, cit., punto 180. 44 V. sopra, il § III.

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ben guardata finanche di accennare alla possibilità che, almeno in teoria, il si-stema MES debba essere quanto meno conforme se non altro ai principi relati-vi ai diritti e alle libertà fondamentali risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

L’omissione, tuttavia, non può essere casuale. Certo, il riferimento alle tradi-zioni costituzionali comuni – e a fortiori l’ancor più impegnativo eventuale ri-chiamo alla CEDU – avrebbero evocato e forse “rivitalizzato” l’art. 6.3 TUE 45, smentendo il dogma dell’estraneità del MES rispetto ai Trattati UE e FUE. Ma se avesse voluto, la Corte sarebbe stata sicuramente in grado di sviluppare li-nee di ragionamento analoghe a quelle che, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, progressivamente integrarono i diritti fondamentali della persona nel-l’ordinamento europeo. È dunque da ritenere che la Corte abbia deliberata-mente taciuto il proprio pensiero su queste tematiche. E al riguardo si pongono due possibili spiegazioni: la prima potrebbe essere quella di una sorta di self-restraint rispetto a un fenomeno del tutto nuovo e così dirompente per l’ordi-namento giuridico unionale, con l’idea forse di attendere un’occasione succes-siva e meno acuta per tornare in argomento. Infatti, resta sempre fermo il sin-dacato della Corte rispetto alle regole di governance economica, e magari an-che un suo scrutinio alla luce di principi o diritti fondamentali 46.

La seconda spiegazione, meno ottimistica e più problematica, consiste nella probabile circostanza secondo cui la Corte abbia forse già interiorizzato – in sintonia con quanto non hanno mancato di rilevare la dottrina, e alcune corti nazionali 47 – l’esistenza di qualche problema di coerenza tra questi nuovi stru-menti di assistenza finanziaria con alcuni diritti fondamentali dell’individuo.

Ai nostri occhi, quest’ultimo appare un elemento di sicuro interesse per il giurista, perché dimostra come l’applicazione delle misure a salvaguardia del-l’euro stiano cominciando a creare problemi di tenuta dei valori costituzionali all’interno degli Stati membri, di quelle stesse tradizioni costituzionali comuni su cui, peraltro, la stessa Unione dovrebbe fondarsi, a norma del preambolo e dello stesso art. 2 TUE, e del principio della rule of law con cui noi giuristi eu-ropei siamo abituati a convivere da molti decenni.

45 La disposizione pare ormai aver perso gran parte della sua utilità con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona e il formale ingresso della Carta, sia pur per il tramite di un rinvio, nel sistema di diritto primario dell’Unione europea (cfr. Corte giust. 26 febbraio 2013, C-617/10, Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, ECLI:EU:C:2013:105).

46 Ne è convinta ad esempio O. PORCHIA, op. cit. 47 In argomento, cfr. le perspicue considerazioni di R. BARATTA, op. cit., spec. p. 673 ss.,

nonché M. STARITA, Il Consiglio europeo e la crisi del debito sovrano, in Riv. dir. int., 2013, p. 384 ss. Per la giurisprudenza nazionale, v. infra, il § VIII.

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E a questo riguardo, va aggiunto che, anche dopo Pringle, pur ripetutamen-te richiesta di pronunciarsi, la Corte di giustizia ha escluso di volersi in alcun modo ingerire dell’impatto sui diritti e sulle libertà fondamentali degli indivi-dui scaturenti dalle «conseguenze indirette» delle misure di assistenza finan-ziaria adottate all’interno dei nuovi strumenti europei: ne sono testimonianza i due casi Sindicato dos Bancàrios do Norte e Sindacato Nacional dos Profis-sionais de Seguros e Afins, in occasione dei quali la Corte ha scelto di non oc-cuparsi affatto del tema, individuando soluzioni tecnicamente ineccepibili quan-to asciutte nei contenuti, al fine di non dare, neanche a livello di obiter dictum, alcuna indicazione 48. Il che, per inciso, rende forse ancora meno persuasiva la prima delle spiegazioni del self-restraint di cui abbiamo appena scritto. Fortu-natamente, in argomento qualche primo aiuto sembra essere recentemente ar-rivato dalle altre istituzioni, ma di questo tratteremo in prosieguo 49.

VII. Giova ora cercare di capire se, nei tormentati anni che stiamo vivendo, vi siano altri attori sulla scena. E a questo riguardo, credo che un contributo non secondario alle difficoltà nelle quali si dibatte da qualche anno la gover-nance economica europea sia giunto dalla giurisprudenza della Corte costitu-zionale tedesca: infatti, fin dal celeberrimo Lissabon-Urteil del 30 giugno 2009 essa ha affermato l’esistenza di soverchie limitazioni insite nel Grundge-setz a sviluppare ulteriori forme di integrazione europea 50.

A distanza di qualche anno, e in una prospettiva più compiuta, si può oggi ripercorrere in sequenza il percorso sviluppato dal BVG, che ha saputo coglie-re il segno dei tempi e disseminare il cammino dell’integrazione europea di numerosi ingombranti ostacoli di ordine costituzionale interno, quindi forte-mente condizionanti la capacità negoziale e politica internazionale della Ger-

48 Cfr. Corte giust ord. 7 marzo 2013, C-128/12, Sindicato dos Bancários do Norte e altri c. Banco Português de Negócios, ECLI:EU:C:2013:149 e ord. 26 giugno 2014, C-264/12, ECLI:EU:C:2014:2036. Le due questioni pregiudiziali sono state (giustamente) dichiarate irri-cevibili e risolte quindi con ordinanza, ma a fronte della più che chiara volontà dei giudici a quo di domandare alla Corte quanto meno un segnale, la chiusura di quest’ultima appare fin troppo eloquente della fortissima riluttanza con cui essa intende trattare l’argomento.

49 V. infra, il § X. 50 Non è certamente questa la sede per trattare nell’argomento. Sul Lissabon-Urteil (ricorsi

nn. 2 BvE 2/08, 2 BvE 5/08, 2 BvR 1010/08, 2 BvR 1022/08, 2 BvR 1259/08, 2 BvR 182/09, in www.bverfg.de/entscheidungen/es20090630_2bve000208.html), la letteratura è peraltro ster-minata: per tutti, e per riferimenti, cfr. M. POIARES MADURO, G. GRASSO, Quale Europa dopo la sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona ?, in questa Rivista, 2009, p. 503 ss., e E. CANNIZZARO, M.E. BARTOLONI, Continuità, discontinuità e catastrofismo. Sulle reazioni della dottrina al Lissabon-Urteil, ibidem, 2010, p. 1 ss.

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mania, e cioè dello Stato più potente dell’Unione. Con una rilevante revivi-scenza delle teorie dei c.d. contro-limiti, le quali parevano oramai un retaggio storico nell’integrazione europea, tanto più che, negli ultimi decenni, le uniche battute d’arresto erano state di ordine politico, o referendario, quindi non cer-tamente tecnico-giuridico 51.

Ebbene, nel 2009 la crisi dei debiti sovrani era tutt’altro che manifesta in tutta la sua gravità, ma il Bundesverfassungsgericht comprende forse meglio di molti altri le crepe dell’UEM, e fissa un argine idoneo a proteggere l’ordi-namento tedesco.

Nel Lissabon-Urteil si stabilisce allora in modo compiuto il funzionamento delle c.d. Einzelermächtigungen, e cioè una lettura del principio delle compe-tenze attribuite dal punto di vista dell’ordinamento degli Stati membri, e della Germania in particolare: proprio perché le competenze sono «attribuite», l’U-nione non può aumentarle senza violare la sovranità degli Stati membri e il lo-ro sistema costituzionale, richiedendosi quindi per tali eventualità specifiche misure attributive del potere di modificare le competenze, da esercitarsi volta per volta.

Le ricadute di ragionamento sull’ordinamento dell’Unione sono evidenti, poiché impattano sulla clausola di flessibilità, di cui all’art. 352 TFUE, me-nomandone fortemente le potenzialità applicative. Ed ecco perché, ad esem-pio, due anni dopo il Lissabon-Urteil, l’Unione – o meglio, gli Stati membri – sono costretti a modificare i trattati novellando l’art. 136 TFUE, norma cui viene richiesta una capacità espansiva davvero eccezionale, se si leggono in quest’ottica le difese che, per ragion di Stato, la Corte è costretta a sviluppare in Pringle

52. Non solo. Anche i meccanismi di funzionamento del sindacato di costitu-

zionalità delle leggi tedesche sono idonei a offrire al BVG ripetute occasioni per dettare le condizioni al proprio governo e parlamento, e quindi alle istitu-zioni dell’Unione 53, in primis Consiglio europeo e Consiglio. Segnatamente, usando lo strumento del c.d. Verfassungsbeschwerde (i.e. il ricorso diretto al BVG), e rispondendo alle letteralmente migliaia di ricorsi arrivati al BVG stesso da cittadini, professori, organizzazioni e finanche partiti politici tede-schi 54, la Corte ha modo di precisare e rafforzare i limiti di ordine costituzio-

51 In merito al tema dei contro-limiti, cfr., da ultimo, B. NASCIMBENE (a cura di), Costa/Enel: Corte costituzionale e Corte di Giustizia a confronto, cinquant’anni dopo, Milano, 2015.

52 V. sopra, i precedenti §§ III-VI. 53 In argomento v. K. F. GÄRDITZ, op. cit. 54 Il riferimento è al partito die Linke, i cui ricorsi al BVG la rendono un fiero avversario

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nale interno rispetto all’adozione di tutte le principali misure c.d. salva-Stati che si sono avvicendate all’interno e all’esterno del sistema UE, dal piano di salvataggio della Grecia fino al Trattato MES 55.

Così, grazie all’affermazione del principio di democrazia, tutelato dal Grund-gesetz, e quindi della … sovranità del popolo tedesco, e per esso il Bundestag, a mantenere il controllo delle principali decisioni di bilancio, il BVG pone un’ipoteca notevole – e anzi, più propriamente, “costituzionale” – sul metodo intergovernativo e sulla stessa possibilità di modificare i trattati nell’ottica di individuare strumenti dinamici per riformare la governance economica all’in-terno dell’Unione. Infatti, una volta escluso il potere del governo tedesco di introdurre meccanismi di salvataggio che non siano ratificati dal Bundestag, o meglio, che non siano da esso decisi, si anticipa una valutazione critica, sul piano della legittimità costituzionale interna, di qualsiasi norma tedesca che, in adesione ad accordi stipulati in ambito UE, ovvero anche ad essa esterni, in-troducesse meccanismi open-end per provvedere all’assistenza finanziaria de-gli Stati, dovendo i singoli effetti economico-finanziari di tali meccanismi sul sistema tedesco essere sempre e comunque decisi a livello parlamentare 56.

dei programmi di assistenza finanziaria a favore dei Paesi del sud Europa, in grado di gravare sulle tasche dei cittadini tedeschi. A conferma che della dimensione internazionale vi è ormai poca traccia anche nei partiti che pur dovrebbero ispirarsi al socialismo, i cui principi di solida-rietà nei confronti dei più deboli si arrestano quindi, apparentemente, in prossimità dei confini nazionali. Ciò detto, va quanto meno dato atto al BVG di limitare al minimo le occasioni per pronunciarsi sul rapporto tra Grundgesetz e questioni relative all’euro, vista la percentuale molto modesta di ricorsi diretti che la Corte finisce poi per trattare nel merito.

55 Sui ricorsi promossi contro il piano di salvataggio della Grecia (ricorso n. 987/10 del 7.9.2011, in www.bverfg.de/entscheidungen/rs20110907_2bvr098710.html) e contro il Trattato MES (ricorsi nn. 2 BvR 1390/12, 2 BvR 1421/12, 2 BvR 1438/12, 2 BvR 1439/12, 2 BvR 1440/12 e 2 BvE 6/12, in www.bverfg.de/entscheidungen/rs20120912_2bvr139012.html), cfr. nella dottrina italiana, per riferimenti, M. LO BUE, Crisi economica e trasformazione delle isti-tuzioni europee. Meccanismi istituzionali di governo della recessione, Torino, 2013, p. 158 ss. e 202 ss. Nella dottrina straniera v. invece C. CALLIESS, The Future of the Eurozone and the Role of the German Federal Constitutional Court, in Year. Eur. Law., 2012, p. 402 ss.; J. CUR-ZAN, A Critical Linkage: the Role of German Constitutional Law in the European Economic Crisis and the Future of the Eurozone, in Fordham Int’l Law Jour., 2012, p. 1543 ss.; S.K. SCHMIDT, A sense of déjà vu? The FCC’s Preliminary European Stability Mechanism Verdict, in German Law Jour., 2013, p. 1 ss.; M. WENDEL, Judicial restraint and the return to open-ness: The Decision of the German Federal Constitutional Court on the ESM and the Fiscal Treaty of 12 September 2012, in German Law Jour., 2013, p. 21 ss.; K. SCHNEIDER, Yes, but… One more thing: Karlsruhe’s ruling on the European Stability Mechanism, in German Law Jour., 2013, p. 53 ss.

56 Come diremo, in Gauweiler la Corte di giustizia assume invece una posizione nettamente diversa (v. infra, il § VIII).

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In tale prospettiva, l’assenso dato dal BVG al governo e allo Stato tedesco sia sull’assistenza finanziaria concessa alla Grecia nel 2012, sia sulla capita-lizzazione del MES da parte della Germania, benché vissuti nell’immediato essenzialmente come fatti positivi, appaiono in realtà limitativi di possibili so-luzioni di più ampio respiro. Infatti, il vincolo di ordine costituzionale interno posto dalla Corte costituzionale nei confronti di uno degli Stati membri rende alquanto più ridotto il novero delle possibili soluzioni idonee a far uscire l’UEM e l’Unione dall’attuale incompiutezza, e a risolvere le contraddittorietà del si-stema come sopra brevemente schematizzate.

Tanto più che, da un punto di vista di ordine generale, la necessaria ricerca di un consenso parlamentare interno su questioni internazionali presta il fianco a possibili strumentalizzazioni giustificate da esigenze di politica interna; e ciò può indebolire indirettamente ma in modo significativo le stesse istituzioni eu-ropee rappresentative degli Stati, e quel metodo comunitario che per decenni ha segnato la reale diversità tra l’Unione e le altre organizzazioni internazionali.

Al di là dei chiari condizionamenti di natura politica interna posti dalla giu-risprudenza del Bundesverfassungsgericht, sono quindi evidenti anche le limi-tazioni di tipo giuridico che essa pone allo stesso governo tedesco quale “par-te” nei negoziati europei, e alla stessa Unione.

Non stupisce, in questo crescendo, che nel suo primo rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE il BVG formuli i quesiti alla Corte in modo assertivo e quasi retorico, espressamente indicando al Giudice dell’Unione le condizioni alle quali, ad avviso del primo, sono compatibili col diritto dell’Unione europea le misure annunciate dalla BCE nell’ambito del c.d. programma OMT 57. E in realtà, a ben vedere, il BVG chiede alla Corte di dichiarare non conforme tale programma coi Trattati, all’uopo utilizzando le debolezze contenute nella sen-tenza Pringle, in particolare con riferimento all’ambito della politica moneta-ria – e quindi della stessa missione della BCE – per come descritta dal TFUE.

57 In tal senso v. A. DE PETRIS, Un rinvio pregiudiziale sotto condizione? L’ordinanza del Tribunale Costituzionale Federale sulle Outright Monetary Transactions, in federalismi.it, n. 4/2014. Per maggiori informazioni v. http://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2012/html/pr1 20906_1.en.html; http://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2012/html/is120906.en.html; http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp130902.en.html. In letteratura, v. anche C. AL-TAVILLA, D. GIANNONE, M. LENZA, The financial and macroeconomic effects of OMT an-nouncements, BCE working paper series n. 1707/2014, in www.ecb.europa.eu/pub/pdf/scpwps/ ecbwp1707.pdf; T. PETCH, The compatibility of Outright Monetary Transactions with EU law, in Law & Fin. Mark. Rev., 2013, p. 133 ss.; P. COUR-THIMANN, B. WINKLER, The ECB’s non-standard monetary policy measures the role of institutional factors and financial structure, BCE working paper series n. 1528/2013, reperibile in http://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/scp wps/ecbwp1528.pdf.

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La diretta contrapposizione tra un’istituzione europea e il giudice supremo di uno degli Stati membri è inedita nella storia del diritto dell’Unione europea, e in qualche modo “rompe” anche il principio della leale cooperazione di cui all’art. 4.3 TUE, principio che naturalmente, dal punto di vista del Bundesver-fassungsgericht, forse è la BCE a violare. Ma la vicenda altera anche il dialo-go tra giudici nazionali e Corte di giustizia, insito nell’istituto del rinvio pre-giudiziale per come lo abbiamo conosciuto in tutti questi decenni 58.

Come vedremo, la Corte non si è fatta condizionare da questo metodo, e anzi ha voluto innanzitutto rimarcare in modo quasi didascalico l’esclusività della propria prerogativa di interprete del diritto dell’Unione europea, e la for-za vincolante delle proprie pronunce pregiudiziali nei confronti di qualsiasi giudice nazionale 59. Con alcune conseguenze di rilievo: la prima, più imme-diata, è quella di legittimare il programma OMT alla luce del diritto dell’Unio-ne europea, indicando peraltro anche una linea sistemica sul sindacato che es-sa intende svolgere a proposito delle scelte della BCE circa gli strumenti da utilizzare nell’assolvimento dei propri compiti 60; la seconda, assai più compli-cata, è quella di aprire un fronte potenzialmente problematico per la Germa-nia, alla quale, dopo Gauweiler, spetta di gestire il dilemma tra rispettare il di-ritto dell’Unione europea come interpretato nelle sentenze pregiudiziali della Corte di Giustizia e superare le rigidità di ordine costituzionale che la giuri-sprudenza del BVG ha progressivamente sviluppato 61.

VIII. Ma non è solo il Bundesverfassungsgericht a incrinare le … tradi-zioni costituzionali comuni degli Stati membri. Infatti, a un’interpretazione delle proprie norme primarie funzionale a difendere una lettura e una posi-zione politica di massimo rigore nell’esegesi delle disposizioni europee (unionali e non) in tema di assistenza finanziaria agli Stati membri in diffi-coltà, si è contrapposta un’interpretazione delle norme costituzionali di tali Stati ostativa all’applicazione delle misure da essi adottate in attuazione ai meccanismi di «stretta condizionalità» imposti dai programmi di assistenza finanziaria.

58 In argomento, v. A. THIELE, op. cit. 59 Cfr. la sentenza Gauweiler, cit., al punto 16. 60 V. anche sopra, il § IV. 61 Tanto che alcuni (S. CAFARO, op. cit.; M. KUMM, op. cit.) hanno avanzato l’ipotesi secon-

do cui l’intransigenza del BVG rispetto alle questioni di cui trattasi, potrebbe rendere la Ger-mania inadempiente alle norme del diritto dell’Unione europea, con le conseguenze che l’or-dinamento ne fa discendere in linea generale.

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Così, mentre in Pringle la Corte di giustizia negava ingresso ai diritti e alle libertà fondamentali dell’individuo come parametro di legalità delle misure di assistenza finanziaria, la Corte dei conti e la Corte suprema della Grecia espri-mevano un parere di contrarietà alla propria costituzione dei “tagli” alla spesa pubblica adottati dal governo greco 62. Pochi mesi dopo, con maggiore clamo-re, la Corte costituzionale portoghese dichiarava non conforme ai principi di eguaglianza e ai diritti fondamentali di ordine sociale tutelati dalla costituzio-ne portoghese varie norme della legge finanziaria 2013 varata dal parlamento nazionale in attuazione ancora una volta delle misure di rigore rese necessarie dai «nuovi strumenti normativi» adottati per salvare l’Unione monetaria 63. E reiterava il proprio giudizio negativo per ulteriori tre volte 64.

In questa contrapposizione tra Corti – e valori fondanti i rispettivi ordina-menti – vanno anche ricordate le sentenze n. 223/2012 e 116/2013 65, della no-stra Corte costituzionale, relatore in ambedue Giuseppe Tesauro, nelle quali si è sancita l’incostituzionalità di alcuni “tagli” rispettivamente agli stipendi dei magistrati e alle c.d. pensioni d’oro contenuti in alcune manovre varate dai governi Berlusconi e Monti nel 2010 e nella seconda metà del 2011, e cioè in piena tempesta degli spread tra titoli di Stato e Bund tedeschi 66: benché so-

62 Segnatamente, con parere del 31 ottobre 2012, la Corte dei Conti si pronunciava in senso negativo sull’innalzamento dell’età pensionabile e sul taglio delle pensioni e delle indennità fino ad allora applicate ai pensionati greci. Il 7 novembre 2012 la Corte Suprema si esprimeva sul taglio degli stipendi dei magistrati greci, censurandone l’incostituzionalità. Il 27 febbraio 2013, nuovamente, la Corte dei Conti esprimeva parere di incostituzionalità sulle norme re-troattivamente adottate dal legislatore greco per tagliare stipendi e salari pubblici. Non avendo accesso diretto alla lingua greca, ringrazio Chiara Cellerino e Nikolaos A. Verras per il rias-sunto fornitomi alle tre pronunce qui ricordate.

63 Sentenza 5 aprile 2013, n. 187, reperibile (unitamente a un riassunto in lingua inglese) anche in www.tribunalconstitucional.pt/tc/en/acordaos/20130187s.html. Per un commento e una riflessione, cfr. D. GALLO, R. CISOTTA, Il Tribunale costituzionale portoghese, i risvolti so-ciali delle misure di austerità ed il rispetto dei vincoli internazionali ed europei, in Dir. umani Dir. int., 2013, p. 465 ss.

64 Per maggiori dettagli, cfr. F. FABBRINI, The Euro-Crisis and the Courts: Judicial Review and the Political Process in Comparative Perspective, in Berkeley JIL, 2014, p. 64 ss.

65 Rispettivamente, Corte cost. 11 ottobre 2012, n. 223, A. e altri c. Min. giust., in Giur. cost., 2012, p. 3293 ss.; 5 giugno 2013, n. 116, B.G. e altri c. Inps e altri, in Giur. cost., 2013, p. 3587 ss.

66 Più precisamente, i giudizi di costituzionalità vertevano rispettivamente sull’art. 18, com-ma 22 bis, D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’art. 24, comma 31 bis, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici).

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prattutto questa seconda sentenza sia stata variamente criticata come una dife-sa di talune classi di cittadini privilegiati, ai nostri fini interessa invece mettere in evidenza come anche la Corte costituzionale italiana abbia fatto emergere evidenti tensioni tra l’applicazione delle misure di austerità varate dagli Stati membri nel contesto dell’UEM e i principi costituzionali su cui si fonda il no-stro ordinamento 67. E nello stesso senso, a ben vedere, va anche la sentenza n. 70/2015 nella quale, ancora una volta, la Corte costituzionale, sia pur muo-vendo da una pretesa carenza motivazionale del legislatore italiano, ha dichia-rato incostituzionale il blocco della rivalutazione delle pensioni, disposto pure questo nell’ambito delle misure di contenimento della spesa pubblica “impo-steci” dalla necessità di rispettare i parametri di convergenza dell’eurozona 68.

Non tutte le Corti costituzionali, per fortuna, sono antagoniste rispetto alle regole UEM o MES, o più propriamente delle loro ricadute nazionali 69. Nella rassegna delle prese di posizione delle Corti supreme nazionali va infatti ri-cordata la sentenza della Corte suprema estone, alla quale era stato richiesto se fosse compatibile con la costituzione estone la maggioranza dell’85% prevista in seno al Consiglio dei Governatori del MES, in base alla quale, di fatto, solo tre Stati membri (Germania, Francia e Italia) possono esercitare un veto, men-tre gli altri membri debbono subire le decisioni da esso assunte 70.

La Corte estone non ha avuto esitazioni nel ritenere questa regola, pur ido-nea a obliterare gli interessi dello Stato (e dei cittadini) estoni, legittima in

67 Per una recente e persuasiva ricostruzione della giurisprudenza della nostra Corte costi-tuzionale quale giudice anche “europeo”, cfr. P. IVALDI, Diritto dell’Unione europea e proces-so costituzionale, in questa Rivista, 2013, p. 191 ss. Più in generale v. anche A. ROSAS, The Na-tional Judge as EU Judge; Some Constitutional Observations, in SMU Law Rev., 2014, p. 717 ss.; C. GRABENWARTER, National Constitutional Law Relating to the European Union, in A. VON BOGDANDY, J. BAST (eds.), Principles of European Constitutional Law, Oxford, 2010, p. 83 ss.; A. TIZZANO, Ancora sui rapporti tra Corti europee: principi comunitari e c.d. controli-miti costituzionali, in questa Rivista, 2007, p. 734 ss.

68 Trattasi, per la precisione, del comma 25 dell’art. 24, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), converti-to, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1 della L. 22 dicembre 2011, n. 214. Tale norma, co-m’è noto, è stata dichiarata in contrasto con gli artt. 3, 36, comma 1 e 38, comma 2, Cost. Da segnalare che la Corte costituzionale si è tuttavia dimostrata assai poco propensa ad avallare le tesi fatte proprie da alcuni dei giudici remittenti, secondo cui, in particolare, le norme contesta-te sarebbero state lesive di diritti fondamentali come previsti dalla Convenzione EDU.

69 Per una breve rassegna della casistica costituzionale interna sul MES, e per riferimenti, cfr. M.F. CUCCHIARA, op. cit., p. 110 ss.

70 V. l’art. 4.4 del trattato MES.

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quanto coerente col principio di proporzionalità 71. Senza voler dare una ecces-siva enfasi a questa sentenza, dobbiamo quanto meno rilevare che, almeno sui temi economici, gli Stati di più giovane adesione – e i loro giudici – credono nell’Unione, nell’UEM e nel metodo “comunitario” forse più di altri.

IX. Nel divergente panorama di vedute sulle ricadute “costituzionali” sca-turenti dalla lacune dell’UEM, l’ultima parola, almeno per ora, l’ha data la Corte di Giustizia nel più volte ricordato caso Gauweiler.

Ovviamente, la prospettiva da cui muove questa sentenza è prettamente ed esclusivamente unionale. Ed è anche vero che, nel merito, pochi dubitavano che la Corte avrebbe delegittimato il programma OMT, assestando in tal modo un colpo quasi mortale al funzionamento dell’UEM.

Tuttavia, al di là dell’esito, le motivazioni della sentenza fanno propendere per una lettura della pronuncia nella quale la Corte non abbia affatto puntato al risultato minimo, ma abbia coraggiosamente – e almeno sul piano “politico” persuasivamente – voluto fornire indicazioni di sistema e nel contempo abbia voluto porre un freno, forse definitivo, quantomeno dal proprio punto di vista, ai ripetuti tentativi di delegittimare e indebolire la BCE, e cioè l’istituzione che, in questi anni, più di tutte le altre si è caricata sulle spalle il peso del sal-vataggio dell’euro e dell’Unione, nella paralisi politica (e come abbiamo visto, per taluni anche giuridica) caratterizzante l’azione degli Stati membri.

L’iter decidendi della Corte non sempre appare ineccepibile, né del tutto persuasivo è il tentativo di costruire un continuum tra questa sentenza e la Prin-gle. Anche perché, come abbiamo osservato, non era affatto semplice contra-stare i quesiti pregiudiziali che sagacemente erano stati costruiti dal BVG pro-prio sulla base delle debolezze contenute in Pringle.

La Corte ha tuttavia risposto, punto per punto, a questi quesiti, tracciando una linea di difesa strutturale sull’operato del SEBC, riassumibile in sostanza secondo i seguenti punti salienti.

Innanzitutto, non è consentito un sindacato giurisdizionale “forte” sulle ini-ziative assunte dal SEBC e dalla BCE, posta la loro assoluta autonomia e in-dipendenza rispetto a qualsiasi tipo di pressione politica, e quindi l’ampio margine di discrezionalità del quale esse godono quali soggetti cui spettano decisioni di natura tecnica 72. L’unico limite che essi incontrano nello svolgi-mento della propria missione è quello della motivazione delle proprie decisio-

71 Corte Suprema dell’Estonia, sentenze 3-4 1-6 2012 del 12 luglio 2012, in www. riigikohus.ee/?id=1347, §§ 208-209.

72 Sentenza Gauweiler, cit., cfr. spec. i punti 68 ss.

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ni, sindacabile dal giudice solo allorché si integri il «manifesto errore di valu-tazione» 73. Sotto questo profilo, una semplice lettura di documenti della BCE sulla trasmissione della politica monetaria nell’area euro, definita tra l’altro come composta da tutti i «diversi canali [incluso il programma OMT, N.d.A.] attraverso cui le azioni di politica monetaria influenzano l’economia e in par-ticolare il livello dei prezzi» 74, per rendersi conto, anche come giuristi, delle difficoltà di interpretare e incasellare in modo rigido (e per ciò stesso errato) misure obiettivamente caratterizzate da complessità e variabilità rilevanti. In tal senso, saggi e apprezzabili appaiono i passaggi della motivazione nei quali, proprio a proposito della qualificazione degli obiettivi del programma OMT come rimedio alle perturbazioni del meccanismo di trasmissione della politica monetaria, la Corte dà atto che le valutazioni della BCE vanno rispettate anche se trattasi di misure selettive che hanno incidenze indirette sugli obiettivi di politica economica perseguiti da paralleli programmi di aggiustamento con-cordati (o imposti) nell’ambito del FESF o del MES 75.

Posto un tale assunto, è facile per la Corte trarre ulteriori conclusioni ido-nee certamente a rafforzare il sistema UEM e, di riflesso, la stessa Unione. In-nanzitutto, il già sottolineato superamento di un’esegesi delle rilevanti norme dei trattati volta a pretendere una compartimentazione delle misure di politica economica da quelle di politica monetaria, con conseguente rigetto di una pun-tuta interpretazione, in parte qua, del principio delle competenze attribuite. Qui mi pare emerga la massima contrapposizione tra Corte di giustizia e teori-ca delle Einzelermächtigungen fatta propria dal Bundesverfassungsgericht fin dal citato Lissabon-Urteil. E mi pare anzi che, in Gauweiler, la Corte abbia proprio voluto usare questa opportunità per ribadire, in contrasto con la rigidi-tà del giudice delle leggi tedesco, la doverosità – e la correttezza anche giuri-dica – di un approccio flessibile rispetto all’interpretazione delle norme che disegnano i poteri delle istituzioni, in particolare della BCE. In questo, come

73 Sentenza Gauweiler, cit., punto 74. Ancor più emblematico – e sintomatico della volontà della Corte di replicare puntualmente al BVG – è il punto 75: «la circostanza, menzionata dal giudice del rinvio, che la suddetta analisi motivata sia oggetto di contestazioni non può bastare, di per sé sola, per rimettere in discussione tale conclusione, dato che, alla luce del carattere controverso che presentano abitualmente le questioni di politica monetaria e dell’ampio potere discrezionale del SEBC, da quest’ultimo non può esigersi altro se non l’utilizzazione delle sue conoscenze specialistiche in campo economico e dei mezzi tecnici necessari di cui esso dispo-ne al fine di effettuare la medesima analisi con la diligenza e la precisione necessarie».

74 Cfr. lo studio La trasmissione della politica monetaria nell’area dell’euro, in Boll. men-sile BCE, 2000, p. 41 ss.

75 Sentenza Gauweiler, cit., punti 55 ss.

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si diceva, in piena coerenza col principio della leale collaborazione, che a sua volta sottende la necessità di consentire alla BCE di potersi assumere il ruolo e la responsabilità anche istituzionale che, in un tempo eufemisticamente delica-to come quello che sta caratterizzando l’attuale congiuntura europea, la BCE stessa ha inteso fare.

Inoltre, e sempre in difformità dal pensiero del BVG, la Corte ha chiarito che, all’interno di programmi di acquisto di titoli del debito pubblico selezio-nati per Stati membri e per categorie di titoli da essi emessi (quale appunto il programma OMT), è possibile individuare già una natura «circoscritta e limi-tata» del programma; ciò rende quindi del tutto superfluo, e anzi sbagliato, «fissare un limite quantitativo precedentemente all’attuazione del programma stesso, tenendo presente che un limite siffatto è, del resto, suscettibile di inde-bolire l’efficacia del programma in questione» 76.

Naturalmente, siamo distanti dalla legittimazione di qualunque misura open-end, che metta a rischio l’indipendenza e la capacità di azione della BCE e violi quindi l’art. 123 o l’art. 125 TFUE; ma a nessuno può sfuggire l’asso-nanza tra quanto precisato dalla Corte e la famosa frase «whatever it takes» pronunciata da Mario Draghi proprio in occasione dell’annuncio del pro-gramma OMT come strumento per fronteggiare la speculazione sui debiti pubblici di alcuni Stati dell’eurozona. Così, la valutazione in termini di pro-porzionalità compiuta dalla Corte rispetto a un programma che non ha limiti quantitativi, ma appunto “metodologici”, assume a mio avviso un peso che va ben oltre il caso specifico, e può aiutare a disegnare ulteriori strumenti di azio-ne alle istituzioni europee nelle more di una risistemazione complessiva del-l’architettura dell’UEM.

E poco importa se, in questa discrezionalità di azione, sia compresa «in maniera generale, la facoltà, per il SEBC, di riacquistare, presso i creditori di [uno Stato membro], titoli in precedenza emessi da quest’ultimo». Qualora in-fatti ciò avvenga con una serie di «garanzie sufficienti per conciliarlo con il divieto di finanziamento monetario risultante dall’articolo 123, paragrafo 1, TFUE», anche tale decisione appare legittima 77.

In questa prospettiva, appare ozioso domandarsi se, con questa pronuncia, la Corte abbia voluto … mettere all’angolo il Bundesverfassungsgericht, o per lo meno quella componente dello stesso che aveva interpretato in modo forse eccessivo il proprio ruolo di custode del principio di democrazia tedesco. Per-ché invece potrebbe essere assai più utile, anche per la causa europea, leggere

76 Sentenza Gauweiler, cit., punto 88. 77 Sentenza Gauweiler, cit., punti 95 ss.

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in chiave costruttiva la posizione assunta dalla Corte nei confronti del giudice di rinvio, in quell’ottica di dialogo tra corti che è l’essenza dell’istituto del rinvio pregiudiziale. In tal senso, se gli obblighi scaturenti dall’adesione al-l’UE comportano anche una lettura … comunitariamente orientata di alcune norme del Grundgesetz, tutto ciò altro non è se non il normale funzionamento dei rapporti tra ordinamenti nazionali e ordinamento europeo che è parte inte-grante della nostra materia dalla sentenza Van Gend en Loos

78 in avanti, e che ha condizionato anche l’assetto costituzionale di tutti gli altri Stati membri, come insegna, per riferirci alle cose italiane, la storica sentenza Frontini della nostra Corte costituzionale 79.

X. Al di là dei profili politici, nessun dubbio che le vistose lacune descritte nelle regole concernenti l’UEM e l’assistenza finanziaria agli Stati costitui-scano anche sotto il profilo giuridico una minaccia alla complessiva tenuta del sistema europeo.

Alcuni, in senso ottimistico, hanno qualificato l’attuale fase dell’integra-zione europea come caratterizzata da un metodo “semi-intergovernativo” 80; ma è evidente l’effetto sul piano tecnico-giuridico delle prese di posizione del-le corti supreme nazionali, le quali, dal punto di vista del proprio ordinamento interno, limitano gli spazi del negoziato politico, ovvero rivendicano comun-que valori costituzionali (non più così comuni), a salvaguardia dell’interpre-tazione e applicazione delle regole provenienti dall’ordinamento europeo o dal sistema MES.

Sotto questo profilo, vanno segnalate le iniziative legislative volte a colle-gare formalmente il sistema UEM con quello MES, come è il caso del regola-mento 472/2013, che disciplina le condizioni alle quali sottoporre gli Stati membri in gravi difficoltà finanziarie o che abbiano richiesto assistenza finan-ziaria 81. Ed è certamente interessante, e non a caso sottolineato dalla dottri-na 82, dare atto della circostanza secondo cui i programmi di aggiustamento

78 Corte giust. 5 febbraio 1963, 23/62, NV Algemene Transport– en Expeditie Onderneming van Gend & Loos contro Amministrazione olandese delle imposte, punti 3 ss. Per una rilettura di questa sentenza, cinquant’anni dopo, cfr. il volume a cura di A. TIZZANO, J. KOKOTT, S. PRE-CHAL, Van Gend en Loos 1963-2013, Conference Proceedings, Luxembourg 13 May 2013, di-sponibile in www.bookshop.europa.eu.

79 Corte cost. 18 dicembre 1973, n. 183, anche in www.cortecostituzionale.it. 80 Così K. LENAERTS, op. cit., p. 756 ss. 81 GUUE L 140 del 27 maggio 2013, p. 1 ss. 82 Cfr. sempre K. LENAERTS, op. cit., p. 757 ss.

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macroeconomico (i c.d. MOU) cui vengono assoggettati gli Stati membri ri-chiedenti assistenza finanziaria nell’ambito della nota condizionalità, sono ap-plicati dal Consiglio, dalla Commissione e dagli Stati membri tenuto conto delle «norme e … prassi nazionali e [del]l’articolo 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea» 83. Il motivo del richiamo ai soli diritti so-ciali contenuti nella Carta, e cioè l’art. 28, non è del tutto chiaro, se non nel senso di riferirsi esclusivamente ad atti (i MOU, appunto), considerati tuttora fuori dal sistema dell’Unione e quindi non soggetti alla Carta ex art. 51 della stessa.

Per quanto riguarda la Corte di giustizia, da Pringle a Gauweiler decisivi passi in avanti sembrano essere stati compiuti, sia pur lasciando sul terreno una serie di quesiti e di questioni irrisolte. I pericoli di impedire l’attivazione di seri meccanismi di assistenza finanziaria per gli Stati in difficoltà, e di bloc-care l’assistenza della BCE agli Stati membri in crisi, sono stati scansati. Con sentenze, soprattutto Pringle, che oserei definire quasi emergenziali, quindi idonee a creare dubbi e lacerazioni nel sistema che dovranno necessariamente essere colmate da riforme normative, pena il rischio di rendere la stessa Corte un’istituzione assai più politica di quanto dovrebbe essere, con effetti dirom-penti sull’intero sistema ordinamentale europeo.

Sotto questo profilo, vi è un ultimo spunto dalla lettura di Gauweiler che credo meriti attenzione, ed è contenuto nella già ricordata parte in cui essa de-linea l’ambito del proprio sindacato giurisdizionale sull’attività della SEBC: l’affermazione di un sindacato tutto sommato debole sull’azione di istituzioni fortemente tecniche come il SEBC, la BCE, ma in futuro anche altri organi e agenzie chiamati a gestire l’eurozona e non solo, è coerente con l’aumentare del tasso di complessità degli ordinamenti. Ed è però l’ennesima riprova della distanza che ormai separa la rappresentanza politica dei cittadini, e le regole che si adottano nelle sedi dove questa rappresentanza agisce, dalle “scelte di governo”, che non sono certo limitate all’economia e alla moneta, come credo dimostrino le considerazioni svolte in precedenza.

Queste conseguenze davvero “costituzionali” nella storia dell’integrazione europea si stanno realizzando in un’apparente sequenza episodica, sull’impul-so di contingenze diverse, e senza quella ponderazione e legittimazione, anche democratica, che invece si dovrebbe riportare al centro.

Non a caso, nelle ipotesi di riforma dell’Eurozona che aleggiano a livello

83 Così l’art. 1.4 del reg. (UE) n. 472/2013, cit., a norma del quale, inoltre, «[d]i conse-guenza, l’applicazione del presente regolamento e di tali raccomandazioni non pregiudica il diritto di negoziare, concludere e far rispettare accordi collettivi o di intraprendere azioni col-lettive conformemente al diritto nazionale».

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politico, comincia a essere insistita l’idea di costituire un’istituzione parlamen-tare competente al riguardo, ovvero di dare ai rappresentanti degli Stati mem-bri dell’eurozona che siedono nel Parlamento europeo funzioni specifiche e ben più incisive delle attuali nella materia 84.

È tempo che anche la Corte di giustizia venga aiutata a fare meglio il pro-prio lavoro.

ABSTRACT

This article analyses the impact of the so-called euro crisis on the rule of law value. It moves from the lack of a serious legal insight of the EMU weaknesses before the euro crisis and examines relevant ECJ case-law from Pringle to Gauweiler. The critical read-ing of the two judgments serves to highlight serious tensions they create in respect of many EU legal pillars: the principle of conferral of powers, the ERTA judgment doc-trine, the boundaries between economic and monetary policies and the respective scope of powers of Member States and EU institutions, as well as the extent of application of fundamental rights of the individuals to the financial stability mechanisms. In particular, it is argued that, if bending of rules was anyway inevitable given the flaws in the EMU legal structure, maybe a more far-reaching option would have been to interpret the ESM Treaty as a sort of implementing measure of article 136.3 TFEU, rather than a “parallel world” to the Union, i.e. what was actually established by Pringle. The article further discusses another blow in the EU legal system deriving from the euro crisis, namely the confrontation it has determined among several Member States’supreme courts (in par-ticular constitutional courts), and the consequent arising of different problematic ap-proaches even regarding the constitutional traditions common to the Member States. In the end, while appreciating the attempts made by the ECJ, especially in Gauweiler, to help rescuing the EMU, and hence the EU, in particular through the strengthening of the ESCB/ECB, the author advocates a reform of the treaties also as a tool to heal the weakening of the fundamental value of the rule of law, which the euro crisis has brought about.

84 Si v., in proposito, l’intervista al ministro francese dell’economia Emmanuel Macron, su Il Sole-24 Ore del 5 settembre 2015, p. 6.

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Il diritto sociale europeo al tempo della crisi Silvana Sciarra

SOMMARIO

I. Il diritto sociale come banco di prova. – II. Primo step: il diritto sociale dell’UE nonostante la crisi. – III. (Segue). Il dialogo sociale europeo. – IV. (Segue). Una rete di servizi pubblici per l’impiego. Dall’armonizzazione alla cooperazione. – V. (Segue). Il vertice sociale tripartito per la crescita e l’occupazione. – VI. Secondo step: il ruolo delle fonti internazionali e dell’UE. – VII. Un disordine istituzionale. Alcune considerazioni conclusive.

I. Con l’insorgere della crisi, le tecniche normative adottate nell’UE, ri-guardo all’occupazione e alle politiche sociali, hanno subito profondi cam-biamenti. Dalla ricerca interdisciplinare si ricava l’indicazione che nel diritto sociale europeo, erroneamente percepito come ancillare rispetto all’integrazio-ne del mercato, le azioni e le politiche dovrebbero essere valorizzate, al fine di ricostruire un coerente quadro teorico 1.

In questo mio contributo ho selezionato due aree principali di riflessione, partendo dal presupposto che la crisi economica e finanziaria ha scosso l’or-dine delle fonti, sollevando questioni di legittimità democratica e di responsa-bilità per tutti gli attori istituzionali.

Nella prima parte mi concentro sullo stato attuale del dialogo sociale, parte integrante del diritto sociale europeo. Intendo valorizzare il diritto fondamen-tale alla contrattazione collettiva, così come si va specificando nell’ambito del diritto dell’UE, con caratteristiche di originalità nell’integrazione del mercato.

* Questo saggio riproduce, con alcune variazioni e aggiornamenti, la relazione svolta nella sessione di apertura del XXVI Convegno FIDE, tenutosi a Copenaghen dal 28 al 31 maggio 2014. Giulia Frosecchi, dottoranda in International Studies nell’Università di Trento, ha rivisto e aggiornato i riferimenti della versione tradotta in italiano, apparsa anche, in forma diversa, in E. CATELANI, R. TARCHI (a cura di), I diritti sociali nella pluralità degli ordinamenti giuridici, Napoli, 2015. Sono io l’unica responsabile per errori o omissioni.

1 Si veda ad esempio U. NEERGAARD, R. NIELSEN (a cura di), European legal method. To-wards a New European Legal Realism, Copenhagen, 2013, in cui si fa menzione dei precedenti volumi pubblicati in una collana curata presso l’Università di Copenhagen.

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Secondo le prime intuizioni di Jacques Delors, questa pratica avrebbe dovuto affiancare la costruzione dell’unione monetaria, come già indicato nel Piano Werner 2. Queste considerazioni sono finalizzate a dimostrare che la mancanza di consenso politico, accentuata dalla crisi, ha causato un declino del processo legislativo (artt. 154-155 TFUE) e contribuito a limitare il ruolo quasi-isti-tuzionale delle parti sociali. Il coinvolgimento delle parti sociali si è rivelato insufficiente soprattutto nelle procedure introdotte con il semestre europeo, nel corso della crisi.

Osservo inoltre alcuni cambiamenti, che sono in atto nell’ambito delle poli-tiche occupazionali, per valutare se stiamo assistendo a un non dichiarato, e tuttavia evidente, declino del metodo aperto di coordinamento (MAC).

Nella seconda parte esamino l’impatto delle misure di austerità sui diritti sociali fondamentali. Nel corso del Semestre europeo si è inteso valutare ex ante il comportamento degli Stati membri, al fine di poter meglio prefigurare le conseguenze e razionalizzare gli interventi necessari ex post. Le Raccoman-dazioni destinate ai governi nazionali si basano su tecniche normative che non corrispondono a quanto previsto nel Titolo IX del TFUE, nonostante tali Rac-comandazioni interagiscano spesso con le politiche occupazionali. Inoltre, il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), concordato dagli Stati membri del-l’Eurozona, prevede una complessa procedura, destinata ai paesi che attraver-sano un periodo di forte instabilità economica 3. I memoranda of understand-ing, siglati tra la Troika – così denominata nella fase cruciale di avvio dei ne-goziati per le misure di salvataggio – e gli Stati membri, sono volti a garantire sostegno economico (art. 13.3 MES) e hanno reiterato misure d’emergenza controverse. Gli effetti causati dalle manovre sopra indicate sono ora al vaglio delle corti e delle organizzazioni internazionali. Viene così alla luce un quadro frammentato, sia per il merito delle contestazioni, sia per il risultato da rag-giungere.

Separare la governance economica dal rispetto dei diritti sociali, individua-li e collettivi, può portare alla violazione dell’art. 2 TUE, dell’art. 9 TFUE e di altre numerose disposizioni, contenute nella Carta dei diritti fondamentali. Re-centi interventi che incidono sul diritto sociale europeo richiedono dunque un’at-tenta valutazione, poiché lo stato di necessità non può giustificare la rinuncia allo stato di diritto.

2 Relazione al Consiglio e alla Commissione sulla realizzazione per fasi dell’Unione Eco-nomica e Monetaria nella Comunità – “Werner Report” – (testo definitivo) [8 ottobre 1970], Bollettino delle Comunità Europee, Supplemento 11/1970.

3 Sulla piena compatibilità del Trattato che istituisce il MES con il diritto dell’UE si è espressa Corte giust. 31 luglio 2012, C-370/12, Pringle, ECLI:EU:C:2012:756.

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II. È necessario inserire il diritto sociale europeo in un corretto quadro teo-rico, che non può prescindere da considerazioni storiche sulle politiche sociali dell’UE. Le ricostruzioni sono controverse e gli studiosi si presentano divisi nelle loro analisi. Wolfgang Streeck, in un recente libro basato su teorie da lui stesso già prima elaborate 4, descrive una storia di sconfitte che fa risalire agli anni Settanta dello scorso secolo, tempo in cui – secondo la sua ricostruzione – sarebbe venuto meno l’accordo che, nel dopoguerra, aveva favorito la nascita degli stati sociali nazionali.

La scarsa capacità degli Stati nazionali di rielaborare in modo elastico le politiche sociali imposte dalle istituzioni dell’UE e un crescente tasso di di-soccupazione dimostrano, secondo Streeck, che i sindacati non ricoprono più un ruolo centrale nel rappresentare gli interessi collettivi. Una concreta con-ferma di questo trend negativo è rappresentata dal progressivo ridimensiona-mento della contrattazione centralizzata che si occupa delle politiche retributi-ve, in parallelo con l’aumento del debito pubblico. Da qui parte la trasforma-zione dello stato fiscale in uno stato debitore, trasformazione in cui si assiste alla debolezza delle politiche salariali nel controbilanciare l’introduzione di una moneta unica. Le parti sociali sono presentate da Streeck come attori non sufficientemente attrezzati per difendere l’autonomia della contrattazione col-lettiva e renderla più resistente alle continue interferenze delle istituzioni eu-ropee.

Jurgen Habermas ha criticato l’atteggiamento “nostalgico” di Streeck, evi-denziando il paradosso per cui tornare agli Stati nazionali implicherebbe la demolizione di tutto ciò che è stato costruito a livello sovranazionale in termi-ni di democrazia e norme di rango costituzionale 5. Il suo appello alla solida-rietà, espresso con forza in recenti scritti ed espressamente indirizzato quale risposta all’ultima opera di Streeck, si trova in profonda sintonia con la voce dei giuslavoristi europei che hanno analizzato criticamente il devastante im-patto della crisi, nel tentativo di ricostruire un sistema di diritti 6.

In tempi antecedenti l’esplosione della crisi, una controversa giurispruden-za della Corte di giustizia dell’Unione europea, originata dai casi Viking e La-

4 W. STREECK, Buying time: The Delayed Crisis of Democratic Capitalism, New York, London, 2014.

5 J. HABERMAS, Demokratie oder Kapitalismus? Vom Elend der nationalstaatlichen Fragmentierung in einer kapitalistisch integrierten Weltgesellschaft, Blatter fur deutsche und internationale Politik, Blatter fur deutsche und internationale Politk, 2013, pp. 59-70. Versione inglese disponibile a http://www.resetdoc.org/story/00000022337.

6 N. COUNTORIS, M. FREEDLAND (a cura di), Resocialising Europe in a time of crisis, Cambridge, 2013.

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val, aveva portato all’attenzione dell’opinione pubblica il drammatico feno-meno del dumping sociale. Oltre a criticare quest’ultima pratica, si deve evi-denziare una qualche miopia da parte dei gruppi che rappresentano interessi collettivi, non disgiunta dalla mancanza di un chiaro orientamento di politica sociale nelle fonti di diritto secondario. Una risposta parziale è rinvenibile nel compromesso, raggiunto durante la presidenza greca, che ha permesso di rin-forzare la Direttiva sul distacco dei lavoratori nell’ambito della libera presta-zione di servizi 7. Alla luce della Direttiva 2014/67/UE gli Stati membri saran-no in grado di imporre ai prestatori di servizi obblighi amministrativi e misure di controllo, ritenuti strettamente necessari. Nel settore delle costruzioni dovrà essere individuata a favore dei lavoratori distaccati una precisa responsabilità delle imprese e anche dei subfornitori in materia retributiva 8.

Nel frattempo, i legislatori nazionali si esercitano nell’introdurre misure che si prefiggono di andare oltre le previsioni della Direttiva in questione 9. Sarà necessario stimolare un nuovo confronto a livello sovranazionale in meri-to ai distacchi transnazionali e fare in modo che questo tema sia affiancato da altre misure, volte al superamento della crisi, tenendo in considerazione le po-tenzialità del dialogo sociale europeo, anche in questo campo.

La CGUE è, intanto, intervenuta autorevolmente sul tema in una decisione che si spinge fino a tracciare la nozione di tariffe minime salariali, definite da contratti collettivi – nel caso in questione stipulati in Finlandia – applicabili a lavoratori distaccati da un’impresa polacca. La Corte chiarisce che deve trat-tarsi di fonti vincolanti e trasparenti e che la competenza degli stati membri in materia non deve spingersi fino a ostacolare la libera prestazione di servizi 10.

Degna di grande attenzione è, inoltre, una recente giurisprudenza della CGUE che ha valorizzato il ruolo della contrattazione collettiva per la tutela di soggetti deboli nel mercato del lavoro, al fine di prevenire forme striscianti di

7 Direttiva 2014/67/UE del Parlamento Europeo e del Concilio del 15 maggio 2014 sul-l’applicazione della Direttiva 96/71/CE riguardante il distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi che modifica il Regolamento n. 1024/2012 sulla cooperazione ammini-strativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno, GUUE L 159 del 28 maggio 2014, p. 11.

8 http://www.consilium.europa.eu/uedocs/csm_data/docs/pressdata/en/lsa/141319.pdf. 9 Un significativo esempio è offerto dalla Francia, in cui la c.d. legge “Savary” è stata ap-

provata dal Parlamento il 26 giugno 2014, http: //www.vie-publique.fr/actualite/panorama/ texte-discussion/proposition-loi-visant-renforcer-responsabilite-maitres-ouvrage-donneurs-or dre-cadre-sous-traitance-lutter-contre-dumping-social-concurrence-deloyale.html.

10 Corte giust. 12 febbraio 2015, C-396/13, Sähköalojen ammattiliitto ry contro Elek-trobudowa Spółka Akcyjna, ECLI:EU:C:2015:86.

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dumping sociale, riguardo ai trattamenti retributivi. Con l’inclusione di lavora-tori definiti “falsi autonomi” nella sfera di efficacia dei contratti collettivi nel settore dello spettacolo, la Corte ha inteso rimarcare l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’art. 101, par. 1 TFUE, delle fonti collettive stipulate da sindacati rappresentativi 11.

La contrattazione in materia salariale è sovente al centro delle più recenti riflessioni intorno alla crisi. Taluni ritengono che il Patto Euro Plus abbia inte-so interferire con la contrattazione collettiva nazionale, nel raccomandare che gli incrementi di salario siano commisurati alla produttività e siano affrontati a livello decentrato 12. Ancora più problematiche sono le circostanze che hanno indotto la BCE a andare oltre le proprie competenze, indirizzando lettere ai governi nazionali colpiti da forte instabilità economica, in cui si auspicava la moderazione salariale, il decentramento della contrattazione collettiva e le ri-forme del mercato del lavoro 13.

Con diversi accenti le istituzioni europee hanno cercato di controllare le politiche salariali, riducendo gli spazi di autonomia della contrattazione na-zionale. Tale modello si distanzia dalle elaborazioni di una larga parte degli studiosi di diritto del lavoro europeo, che hanno costruito la loro identità post-bellica sul concetto stesso di autonomia collettiva. L’azione dei gruppi organizzati che rappresentano interessi collettivi è stata molto utile per con-trastare regimi autoritari 14 e ha confermato la pratica benefica della contrap-posizione di poteri, ogniqualvolta si ponga in essere un sistema di contratta-

11 Corte giust. 4 dicembre 2014, C-413/13, FNV Kunsten Informatie en Media contro Staat der Nederlanden, ECLI:EU:C:2014:2411.

12 Gli impegni previsti dal Patto Euro Plus sono espressi nell’Allegato 1 delle conclusione del Consiglio europeo del 24/25 marzo 2011, in http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_ data/docs/pressdata/en/ec/120296.pdf.

13 K. TUORI, K. TUORI, The Eurozone Crisis. A constitutional Analysis, Cambridge, 2014, p. 102 ss. Vedi anche D. TEGA, Welfare rights in Italy, in C. KILPATRICK, B. DE WITTE (a cura di), Social Rights in Times of Crisis in the Eurozone: The Role of Fundamental Rights Challenges, EUI Department of Law Research Paper No. 2014/05, pp. 51-52; M.L. RODRIGUEZ, Labour rights in crisis in the Eurozone: the Spanish case, in C. KILPATRICK, B. DE WITTE (a cura di), cit., pp. 108-109.

14 Italia e Spagna sono due interessanti, sebbene differenti, esempi. Vedi S. SCIARRA, The “Autonomy” of Private Governments. Building on Italian Labour law Scholarship in a Trans-national Perspective, in A. NUMHAUSER-HENNING, M. RONNMAR (a cura di), Normative Patterns and Legal Developments in the Social Dimension of EU, Oxford, 2013; S. SCIARRA, G. CAZZETTA, Un “puente doctrinal”. Scienza giudica ed evoluzione del diritto del Lavoro. Inter-vista a Miguel Rodriguez-Pinero y Bravo-Ferrer, in Quaderni fiorentini per la storia del pen-siero giuridico moderno, 2013, p. 739 ss.

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zione collettiva resistente alle interferenze dello stato 15. Invadere la sfera della contrattazione in materia salariale è anche in poten-

ziale conflitto con “l’autonomia collettiva”, ossia con l’autonomia delle parti sociali, come sancita nel diritto primario dell’UE (art. 152 TFUE, art. 28 CDFUE). Queste fonti indicano in maniera chiara che l’esclusione di talune competenze dal Trattato, per materie come la retribuzione, la libertà di asso-ciazione, lo sciopero e la serrata, non può certo impedire l’iniziativa di autono-me organizzazioni collettive. In altre parole, l’autonomia, come espressione di un diritto fondamentale – il diritto di associazione e di contrattazione colletti-va – prevale, proprio perché principio di diritto europeo, sull’esclusione di ta-lune competenze, sancita dall’art. 153.3 TFUE. Ne consegue che la contratta-zione collettiva, indipendentemente dalla materia trattata, si basa su fonti pri-marie di diritto europeo e non può essere oggetto di interferenze da parte delle istituzioni europee.

III. (Segue). All’interno di uno scenario come quello fin qui descritto, ca-ratterizzato da notevoli criticità, è utile analizzare la risposta delle parti sociali e valutare in che modo l’autonomia collettiva nell’UE possa essere considerata parte essenziale della teoria costituzionale. Mentre i sistemi nazionali di con-trattazione collettiva, duramente colpiti dalla crisi, fronteggiano una realtà di bassi salari e tentano di contrastare le “trappole della povertà”, la contrattazio-ne sovranazionale percorre strade diverse. Alcuni esempi, riconducibili alla più recente evoluzione del dialogo sociale settoriale 16, dimostrano che l’auto-nomia collettiva europea è in grado di intraprendere itinerari ingegnosi, nono-stante i tempi difficili che stiamo attraversando.

Nel settore del trasporto aereo le parti sociali sono riuscite a influenzare le istituzioni europee riguardo ai cambiamenti da apportare ai Regolamenti 17 esi-stenti, al fine di adottare un “criterio base” unico per determinare la legislazio-

15 O. KAHN FREUND, Labour and the Law, London, 1972; Lord WEDDERBURN, The worker and the law, Harmondsworth, 1986 (III edizione).

16 P. CRAIG, EU Administrative Law, Oxford, 2012, II ed., pp. 238-241, dedica attenzione a queste pratiche sviluppatesi nell’ambito dell’autonomia collettiva. Vedi anche A. JOBERT (a cu-ra di), Le nouveaux cadres de dialogue social, Brussels, 2008; S. CLAUWAERT, I. SCHOMANN, European social dialogue and transnational framework agreements as a response to the cri-sis? Policy Brief – European Social Policy 4, ETUI, Brussels, 2011.

17 Regolamento n. 465/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 maggio 2012 che modifica il Regolamento n. 883/2004 sulla coordinazione dei sistemi di sicurezza sociale ed il Regolamento n. 987/2009 che stabilisce la procedura per l’attuazione del Regolamento n. 883/2004, GUUE L 149 dell’8 giugno 2012.

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ne applicabile all’equipaggio di volo e ai membri dell’equipaggio di cabina. Queste misure mirano a combattere il dumping sociale e a creare certezza del diritto in un settore del trasporto assai critico, che negli ultimi anni è stato tea-tro di numerosi contrasti.

Nell’ambito del Comitato per il Dialogo Sociale per le Amministrazioni pubbliche Centrali è stato firmato un accordo quadro, in vista dell’aggiorna-mento del Protocollo n. 26 sui servizi di interesse generale 18, nel rispetto del diritto fondamentale a una buona amministrazione e in risposta ai vincoli di bilancio imposti durante la crisi 19.

Infine, le parti sociali europee nel settore del lavoro temporaneo tramite agenzia hanno promosso una migliore cooperazione tra le agenzie per l’im-piego pubbliche e private, rivelatasi essenziale nella politica per l’occupazione e hanno ottenuto, in breve tempo, che fosse presentata una proposta di Rego-lamento 20.

Le misure scaturite dal dialogo sociale settoriale non sono estranee alla cri-si. Per quanto possano apparire una deviazione da altre importanti questioni, spesso ineriscono – come negli esempi che ho riportato – a problemi di ampia rilevanza istituzionale.

IV. (Segue). Il miglioramento della mobilità nell’ambito delle politiche oc-cupazionali attraverso EURES (European Employment Services – Servizi eu-ropei per l’impiego), facilitato dal dialogo sociale nel settore del lavoro trami-te agenzia, è complementare all’emanazione di un’altra fonte. Una recente Decisione 21, che tiene conto in particolare dell’art. 149 TFUE, ha creato una rete di servizi pubblici per l’impiego (SPI) e ha assegnato a questa nuova strut-tura sovranazionale il compito di sostenere le linee guida per l’occupazione, cui fa riferimento l’art. 148.4 TFUE, fino al 31 dicembre 2020. Una forma di

18 Protocollo n. 26 sui servizi di interesse generale, allegato al TFUE. 19 Il testo dell’accordo è accessibile sul sito www.epsu.org/r/569; vedi anche www.cesi.

org/index.html. 20 Nel 2012 Eurociett e Unieuropa global union, le parti sociali del settore delle agenzie di

lavoro temporaneo, hanno portato avanti un progetto di riforma del mercato del lavoro in Eu-ropa ed hanno fornito raccomandazioni ai responsabili politici dell’UE. Vedi European Com-mission, Social Europe, Newsletter n. 5, gennaio 2014, pp. 90-92. La Commissione ha prodotto un Regolamento basato sull’art. 46 TFUE, che dovrebbe facilitare la mobilità del lavoro attra-verso EURES. Vedi COM (2014) 6 finale 2014/002 (cod), 17 gennaio 2014.

21 Decisione n. 573/2014/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 sulla cooperazione rafforzata tra i servizi pubblici per l’impiego (SPI), GUUE L 159 del 28 maggio 2014.

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cooperazione così rivisitata dovrebbe, inoltre, favorire le iniziative nell’ambito del programma denominato Youth Guarantee

22, specialmente in relazione al-l’incontro tra domanda e offerta di competenze, alla mobilità occupazionale e alla transizione dalla fase dell’istruzione e della formazione a quella dell’oc-cupazione.

È necessario soffermarsi sulla sovrapposizione delle fonti sin qui conside-rate. Il minore impatto del Titolo IX TFUE sulle politiche occupazionali ha mostrato il lato debole di un metodo diffuso nel diritto europeo, che dava per scontata la propensione delle amministrazioni nazionali ad interagire e valo-rizzare le migliori prassi. Nel sistema previsto dal titolo IX si colloca un nuo-vo atto giuridico vincolante. La Decisione, istitutiva di una rete di servizi pub-blici per l’impiego, è indirizzata agli Stati membri ed è accompagnata da un allegato sugli indicatori di benchmarking, che può essere modificato da atti delegati della Commissione (art. 290 TFUE). La delega di poteri è conferita alla Commissione fino al 31 dicembre 2020, “data di scadenza” stabilita per il sistema di servizi pubblici per l’impiego. Sebbene per un periodo limitato, la Commissione è, ancora una volta, al posto di guida, se accettiamo l’idea che il benchmarking – o il “bench-learning”, come suggerisce un altro neologismo – non si riduca a un mero esercizio statistico.

La cooperazione rafforzata stabilita dalla Decisione in esame è differente dalla strategia per le politiche occupazionali perseguita dal MAC. Questo nuovo metodo, parzialmente rivisitato, mira a fornire maggiore forza alle poli-tiche per l’impiego in conformità all’ordine del giorno fissato da Europa 2020 23; per questo si indica una scadenza alla fine del 2020 e si segnalano te-mi specifici su cui intervenire. Inoltre, il progetto sviluppato dalla rete dovreb-be avere accesso ai finanziamenti del Fondo Sociale Europeo (FSE), del Fon-do Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e di Horizon 2020. È necessario rilevare che questa nuova cooperazione richiede elevate competenze tecniche.

Tuttavia, queste competenze dovrebbero essere indirizzate a realizzare un obiettivo politico, nel portare alla luce e favorire l’occupazione in specifici setto-ri, per rispondere al drammatico impatto della crisi. La selezione di quanti entre-ranno a far parte della rete dovrebbe essere un riflesso diretto di competenze espresse dalle amministrazioni statali, politicamente responsabili per le azioni da intraprendere. Inoltre, questa cooperazione dovrebbe mirare a un’equa distribu-

22 Raccomandazione del Consiglio del 22 aprile 2013 sulla creazione di una Youth Guaran-tee, GUUE C 120 del 26 aprile 2013, pp. 1-6.

23 Comunicazione della Commissione del 3 marzo 2010, Europa 2020: Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva.

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zione dei fondi. Le politiche occupazionali elaborate al tempo della crisi rischia-no di divenire inefficienti, se non sono accompagnate da un sostegno finanziario ben mirato. Da ora fino al 2020 un nuovo federalismo cooperativo, basato su po-litiche di inclusione sociale e di sostegno ai gruppi più deboli colpiti dalla crisi ed emarginati nei mercati del lavoro nazionali, potrebbe emergere dalla disillusione creatasi in merito alle politiche per l’occupazione nel quadro del MAC.

I nuovi assetti, che hanno riguardato il diritto sociale e il diritto del lavoro, rivelano uno spostamento dall’armonizzazione alla cooperazione. La natura essenziale della governance sta cambiando in conseguenza della crisi 24. La creazione di una rete ad hoc destinata ai servizi per l’impiego potrebbe impo-verire il ruolo del Comitato per l’occupazione, che, secondo il Trattato, do-vrebbe lavorare consultando le parti sociali (art. 150 TFUE). Si darebbe luogo, in tal modo, a una sottile – e tuttavia incisiva – de-politicizzazione del proces-so deliberativo. Se, al contrario, si adottasse un punto di vista costruttivo, si potrebbe osservare che il funzionamento di questa nuova struttura tecnica do-vrebbe dipendere da decisioni politiche ben definite. Per il futuro, ciò compor-terebbe indirizzare il Consiglio verso posizioni più chiare sulle politiche occu-pazionali, così da raggiungere un più efficace coordinamento delle stesse, te-nendo conto delle varie configurazioni che il Consiglio stesso assume. Tutto ciò dovrebbe essere parte della riforma della governance economica dell’UE.

Come già ricordato, le decisioni urgenti adottate durante la crisi hanno in-crementato le difficoltà nel raccogliere consenso politico intorno alle proposte legislative e hanno indebolito l’armonizzazione delle politiche sociali. Le isti-tuzioni europee stanno modificando le tecniche normative previste dai Capito-li IX e X TFUE, proprio nel momento in cui è carente la loro legittimazione. I cambiamenti in atto dovrebbero, al contrario, essere portati all’attenzione del-l’opinione pubblica in modo più trasparente.

Un impatto ridotto dell’armonizzazione come tecnica normativa porta al-l’adozione dei così detti “quality framework”. Due esempi sono particolar-mente significativi con riguardo alla discussione sulle misure per incrementare l’occupazione, come reazione alla crisi. Uno lo fornisce la Youth Guarantee, che si basa sull’art. 292 TFUE e riguarda “un’offerta di lavoro, formazione continua, apprendistato o tirocinio entro quattro mesi dal termine dell’istru-zione formale o dall’inizio della disoccupazione” 25.

24 K. ARMSTRONG, Differentiated Economic Governance and the Reshaping of Dominium Law, in M. ADAMS, F. FABBRINI, P. LAROUCHE (a cura di), The Constitutionalization of Europe-an Budgetary Constraints, Oxford and Portland, Oregon, 2014, p. 65 ss.

25 Raccomandazione del Consiglio del 22 aprile 2013 sulla creazione della Youth Guaran-tee, GUUE C 120 del 26 aprile 2013 (considerando n. 18).

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L’altro esempio può essere individuato nella Raccomandazione riguardante il tirocinio, che si basa sull’art. 153 del TFUE, contenuto nel capitolo sulla po-litica sociale. Adottata in risposta all’analisi annuale sulla crescita del 2014 26, questa fonte si propone di migliorare la trasparenza e di incoraggiare la con-clusione di accordi scritti per la definizione di obiettivi formativi, di condizio-ni di lavoro e di una ragionevole durata del tirocinio.

Il dettaglio degno di nota in entrambe le Raccomandazioni è l’incoraggia-mento, indirizzato agli Stati membri, a fare uso dei fondi europei, in particola-re del Fondo Sociale Europeo e del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, e ricercare assistenza tecnica dall’UE. Per troppo tempo questa sinergia è stata sottovalutata, ma non può essere ignorata nel dibattito che è ancora in corso.

V. (Segue). Lo spazio di democrazia deliberativa che emerge dal dialogo sociale settoriale dell’UE, per quanto limitato, è sostenuto da criteri di rappre-sentatività e legittimità delle parti sociali. Questi criteri, a differenza di altri processi deliberativi, sono stabiliti in una Decisione indirizzata alle parti so-ciali 27. Di conseguenza, si può affermare che la Decisione, un atto giuridico vincolante dell’UE, ha generato la pratica del dialogo sociale settoriale, che a sua volta rafforza il diritto fondamentale alla contrattazione collettiva. Mentre tutto questo avviene nell’area del dialogo sociale, la procedura prevista dagli artt. 154 e 155 TFUE per il raggiungimento di iniziative legislative nella poli-tica sociale, soffre di un consenso politico in declino 28.

Un’altra contraddizione da evidenziare è la composizione imperfetta del Vertice Sociale Trilaterale per la Crescita e l’Occupazione, di cui all’art. 152 TFUE, che include rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori. La spe-

26 Raccomandazione del Consiglio del 10 marzo 2014 in materia di un quadro di qualità per i tirocini, GUUE C 88 del 27 marzo 2014. Aspre critiche sono state espresse dalle organizza-zioni giovanili http://www.youthforum.otg/pressrelease/joint-letter-condemning-council-recom mendation-on-quality-framework-for-traineeships/.

27 Decisione della Commissione 98/500/CE del 20 maggio 1988 sulla costituzione dei co-mitati di dialogo settoriale per promuovere il dialogo tra le parti sociali a livello europeo, GUCE C 225 del31 agosto 1988. La ricerca empirica è contemplata in E. LEONARD, E. PERIN, P. POCHET, The european Sectorial Social Dialogue: Questions of Representation and Memeber-ship, in Industrial relations Journal, 2011, p. 254 ss.

28 Per esempio, la mancata adozione di una legislazione nella materia delle ristrutturazioni nelle imprese, dopo lunghe indagini in questo settore, ha generato un reclamo formale da parte della CES al Mediatore europeo, a seguito di una precedente iniziativa del Parlamento europeo, come previsto dall’art. 225 TFUE, vale a dire la richiesta formale di presentare una proposta adeguata in materia, rilevante per l’attuazione del Trattato, http://petition.etuc.org/IMG/pdf/ ETUC.

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cifica composizione di questo Consiglio 29 può essere considerata un’anomalia se paragonata alle “configurazioni” di altri Consigli, indicate nell’art. 16.6 TUE. La Commissione sembra ormai consapevole di ciò e sta dunque propo-nendo un ruolo più visibile del Vertice tripartito nell’architettura complessiva della governance economica 30. Infatti, è difficile negare che l’occupazione e la crescita costituiscano elementi essenziali delle strategie macroeconomiche.

Nel tentativo di facilitare il coordinamento delle politiche e fissare obiettivi entro termini precisi, le procedure scandite dal Semestre europeo hanno pro-gressivamente ignorato il coinvolgimento delle parti sociali. Il programma di governance economica rafforzata, che fa parte del Patto di stabilità e crescita, incorpora la cosiddetta procedura per la prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici, al fine di individuare problemi e criticità nella fase iniziale. Lo strumento adottato è la relazione sul meccanismo di “allerta” che, in linea con il Semestre europeo, nel mese di novembre, assegna alla Commis-sione il compito di esercitare un controllo indirizzato a tutti gli Stati membri, sulla base di una valutazione degli indicatori 31. Tuttavia, i diritti sociali non facevano parte della valutazione prodotta nel 2013, nonostante la dichiarata intenzione della Commissione di rafforzare la dimensione sociale della gover-nance economica. In una recente comunicazione, la Commissione ha fornito linee guida sull’applicazione delle regole previste dal patto di stabilità e cre-scita. Anche in questa occasione, nonostante si indichi chiaramente la necessi-tà di promuovere gli investimenti, oltre alle riforme strutturali, non si fa alcun

29 Decisione del Consiglio 2003/174/CE del 6 marzo 2003 che istituisce un Vertice Sociale Tripartito per la Crescita e l’Occupazione, GUUE L 70 del 14 marzo 2003. Vale la pena ricordare che nella Decisione del Consiglio europeo 2010/594/UE del 16 settembre 2010, GUUE L 263 del 6 ottobre 2010, che modifica la configurazione del Consiglio per adeguarsi ai cambiamenti ap-portati dal Trattato di Lisbona, non si fa alcuna menzione del Vertice Sociale Tripartito.

30 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio, Rafforzamen-to della dimensione sociale dell’unione economica e monetaria, del 2 ottobre 2013, 690 (2013). La Commissione del Parlamento Europeo sull’occupazione e le relazioni sociali, nella sua pro-posta di risoluzione del 6 gennaio 2014, 2013/0361 ha suggerito di espandere ulteriormente le competenze del Vertice.

31 COM (2014) Communication From The Commission To The European Parliament, The Council And The Eurogroup. Results of in-depth reviews under Regulation (EU) No 1176/2011 on the prevention and correction of macroeconomic imbalances, 5 marzo 2014, in http://ec.euro pa.eu/economy_finance/economic_governance/documents/2014-03-05_in-depth_reviews_com munication_en.pdf. Sugli indicatori adottati cfr. COM (2012). Scoreboard For The Surveil-lance Of Macroeconomic Imbalances. Occasional Paper 92, February 2012, in http://ec.euro pa.eu/economy_finance/publications/occasional_paper/2012/pdf/ocp92_en.pdf.

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riferimento alla possibilità di considerare la dimensione sociale come terreno per stimolare la ripresa 32.

In una Risoluzione, seguita da specifiche Raccomandazioni al Consiglio 33, il Parlamento europeo ha valutato in modo critico i limiti del suo stesso coin-volgimento e ha sviluppato un’analisi dettagliata del Semestre europeo. Gli indicatori sociali, a differenza del quadro di valutazione predisposto nella pro-cedura per gli squilibri macroeconomici, non sono vincolanti e sono, oltretut-to, insufficienti, in particolare per quanto riguarda le disuguaglianze dovute a un abbassamento dei salari e al fenomeno della povertà, dilagante anche fra gli occupati. Gli aumenti salariali non sono sufficientemente promossi, nonostan-te l’impatto positivo che potrebbe risultare da un incremento nella propensione alla spesa 34. In tal senso, l’istituto di ricerca della Confederazione Europea dei Sindacati (CES) ha evidenziato che i tagli alle retribuzioni hanno causato, nel-la maggior parte dei paesi, una diminuzione della domanda interna, senza che questo abbia visibilmente innescato effetti positivi sulle esportazioni 35.

Il Parlamento europeo evidenzia, inoltre, l’esistenza di un problematico squilibrio tra Ecofin, da un lato, e il Consiglio occupazione ed affari sociali dall’altro, cui si aggiunge la mancanza di coordinamento tra le due istituzioni. Esso pone in risalto gli squilibri istituzionali – ad esempio, la mancanza di co-ordinamento tra le diverse formazioni del Consiglio – dovuti alla posizione molto forte assegnata alla Commissione, considerata protagonista assoluta del Semestre europeo. Va in questa stessa direzione la critica sollevata dalla CES 36.

Un recente studio 37 mostra le contraddizioni che nascono dall’infittirsi del-le misure di austerità. I maggiori tagli alle spese avvengono nei paesi con un

32 COM (2015) Communication From The Commission To The European Parliament, The Council, The European Central Bank, The Economic And Social Committee, The Committee Of The Regions And The European Investment Bank. Making The Best Use Of The Flexibility Within The Existing Rules Of The Stability And Growth Pact, Strasbourg, 13 gennaio 2015.

33 Risoluzione del Parlamento Europeo del 25 febbraio 2014 sul Semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche: occupazione e aspetti sociali nell’analisi annuale della crescita 2014 (2013/2158(INI)).

34 Vedi, per esempio, Building growth: Country-specific recommendations 2014, Commis-sion Press Release, IP/14/623, 6 febbraio 2014.

35 M. MYANT, Juncker’s investment plan: a start, but we need more, Policy Brief 3/2015, ETUI.

36 http://www.etuc.org/documents/etuc-position-european-commission-communication-strenght ening-social-dimension-economic#.U2-wFyidSbk.

37 ETUI, Benchmarking Working Europe 2014, Brussels, 2014.

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più alto rischio di povertà ed esclusione sociale. Le limitazioni poste alla spesa pubblica prevalgono sulle misure per l’inclusione sociale e nessuna attenzione è stata rivolta al crescente livello di povertà tra i lavoratori. Tutte queste op-portunità mancate, nel tentativo di migliorare ulteriormente il diritto sociale, dimostrano che le disuguaglianze tra le fasce più deboli del mercato del lavoro sono il risultato prevalente dell’attuale governance economica.

Non ci sono prove sufficienti per dimostrare che il Semestre europeo abbia interagito in modo poco costruttivo con il dialogo sociale. Ad ogni modo, se guardiamo all’impianto del dialogo sociale nel diritto primario dell’Unione e nella pratica delle parti sociali, l’indicazione che si ricava è che esistono già modi per perseguire forme democratiche di rappresentanza collettiva degli in-teressi. L’auspicio per il futuro è espandere il dialogo sociale, all’interno di un quadro giuridico che preveda accordi internazionali stipulati dalle multinazio-nali che operano nell’UE e dalle federazioni europee settoriali e intersettoriali. Questa pratica, intesa come un’altra innovativa espressione dell’autonomia collettiva, è sempre più in espansione sia all’interno sia all’esterno dell’UE 38.

VI. Nel primo step, ho considerato quali condizioni ordinamentali rendono possibile un’espansione del diritto sociale, nonostante la crisi. Nel diritto so-ciale europeo ho incluso il dialogo sociale, una chiara manifestazione del dirit-to fondamentale alla contrattazione collettiva. Prendo ora in considerazione le misure di austerità che influenzano il diritto sociale, sia a livello nazionale sia sovranazionale.

L’impatto negativo della crisi è stato evidente in tutti i paesi dell’UE, seb-bene con diversi gradi di infiltrazione nei sistemi di welfare e di diritto del la-voro 39. Le misure di austerità che riguardano i diritti sociali fondamentali col-

38 S. SCIARRA, M. FUCHS, A. SOBCZAK, Towards a legal framework for transnational com-pany agreements, Rapporto alla CES, con il sostegno della Commissione europea, Brussels 2013, http://www.etuc.org/documents/etuc-resoluton-proposal-optional-legal-framework-trans national-negotiations-multinational#.U41M1SidSbk; I. SCHOMANN et al., Transnational collec-tive bargaining at company level, ETUI, Brussels, 2012; G. FROSECCHI, The relationship be-tween European Trade Union Federations and European Works Councils, with a focus on their role as bargaining agents in S. LEONARDI (ed.), EURACTA2. The Transnational company agreements. Experiences and Prospects, January 2015, http://www.ires.it/files/upload/Eur acta2_Final%20report_0.pdf.

39 M.-C. ESCANDE VARNIOL, S. LAULOM, E. MAZUYER, Quel droit social dans une Europe en crise?, Brussels: Larcier, 2012; Z. DARVAS, G.B. WOLFF, Europe’s social problem and its impli-cations for economic growth, Bruegel, Policy Brief, 2014/3, April 2014, http://www.bruegel. org/publications/publication-detail/publication/823-europes-social-preblem-and-its-implications -for-economic-growth/.

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piscono anche più generali equilibri ordinamentali, ogniqualvolta tali misure entrano in conflitto con il diritto dell’UE. La strada scelta da i attori istituzio-nali e movimenti organizzati per contestare un eccesso di austerità si indirizza verso le fonti dell’OIL 40 e verso quelle del Consiglio d’Europa, senza trala-sciare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. L’attivismo di tali soggetti rivela un timore diffuso e una consapevolezza che la democrazia e lo Stato di diritto possano essere minacciati.

Si è sostenuto che nell’adozione delle politiche fiscali e economiche l’UE ha dovuto affrontare un “dilemma di legittimazione” 41. Per depoliticizzare le scelte e le soluzioni da adottare in risposta alla crisi si può scegliere di applica-re competenze tecnocratiche, invece di rafforzare le deliberazioni politiche. Lo stato di emergenza serve a giustificare l’abbandono di una tecnica giuridica fondata nel diritto europeo. Questa analisi è confermata dagli esempi che ho menzionato prima.

In tale processo il diritto sociale è “l’eterno perdente” 42. La risposta della Commissione, nel tentativo di offrire soluzioni, è frammentaria e non abba-stanza coerente. Proposte, come quelle di cui abbiamo discusso prima, riguar-danti le riforme del Semestre europeo e della governance economica, non sembrano centrare il cuore del problema. La mancanza di consenso politico in seno al Consiglio mette a repentaglio le iniziative legislative nel settore socia-le e dà origine a una serie di soluzioni sperimentali piuttosto deboli. Il diritto sociale, al contrario, dovrebbe offrire valide contromisure in risposta alla crisi e contenere le preoccupazioni di coloro che vedono i loro diritti fondamentali limitati, se non del tutto ridimensionati.

In un recente studio l’immagine evocativa di un “prisma triangolare” è uti-lizzata per mettere in relazione tra loro la legge, la democrazia e i diritti fon-damentali nell’UE 43. Questa ricerca sviluppa una critica agli strumenti, come il monitoraggio e l’analisi comparativa, utilizzati nella valutazione dei risultati nazionali, all’interno dell’architettura complessiva del Semestre europeo. Il ruolo marginale del Parlamento europeo è anche stigmatizzato e visto come un altro segno di debole legittimità democratica. Un modo per controllare l’appli-

40 Sulle misure di austerità e le fonti OIL vedi, per esempio, A. KOUKIADAKI, L. KRETSOS, The Case of Greece, in M.C. ESCANDE VARNIOL, S. LAULOM, E. MAZUYER, op. cit., pp. 199-200.

41 K. TUORI, op. cit., p. 211. 42 Ibid., p. 231. 43 S. CARRERA, E. GUILD, N. HERNANZ, The Triangular relationship between fundamental

rights, democracy and the rule of law in the EU. Towards an EU Copenhagen mechanism, Study commissioned by the EP Committee on Civil liberties, Justice and Home affairs, CEOS 2013.

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cazione dell’art. 2 TUE da parte degli Stati membri – si suggerisce – è riscon-trabile nell’art. 7 TUE.

L’art. 7, inserito nel 1997 nel TUE con il Trattato di Amsterdam, al fine di fornire un meccanismo di controllo per i paesi in fase di adesione, è posto al centro del dibattito sulle misure di austerità, poiché ha influenzato in diversi modi un ampio numero di Paesi membri. Nel corso degli anni si è potuto veri-ficare che tale modifica del Trattato non ha impresso vigore a una coerente po-litica dei diritti umani all’interno dell’UE, nonostante l’istituzione dell’Agen-zia per i diritti fondamentali. Tuttavia, quella norma, se opportunamente inter-pretata, potrebbe ancora svolgere un ruolo efficace in una nuova, forse più ro-busta, strategia.

Le questioni concernenti la violazione dei diritti sociali non sono specifi-camente affrontate in questo studio, ma la critica, sviluppata dagli autori, al meccanismo di sorveglianza all’interno dello schema del Semestre europeo si applica alle politiche sociali, che sono parte integrante delle manovre econo-miche. Tuttavia, le azioni per la prevenzione delle violazioni dei diritti fonda-mentali nei singoli contesti nazionali non sono state messe in atto per mezzo degli strumenti UE esistenti. Il punto da chiarire è che le fonti utilizzate per far fronte alla crisi generano riflessioni parallele sulla violazione dei diritti fon-damentali.

Un’indagine incentrata sui memoranda of understanding negoziati dalla Troika e dai paesi tenuti ad adottare misure di austerità, è stata sviluppata presso l’Università di Brema 44. Lo studio in questione fa riferimento alle vio-lazioni del diritto dell’UE e alle risposte che si possono elaborare tramite un’interpretazione sistematica delle fonti di diritto internazionale, con l’obiet-tivo di estendere il campo della tutela dei diritti fondamentali e stabilirne le responsabilità. La tesi centrale elaborata nella ricerca dimostra che lo stato di emergenza non può portare alla sospensione dello stato di diritto, né può scuo-tere le fondamenta della democrazia. Si sostiene che alla Troika, complessi-vamente intesa, non possa essere imputata una responsabilità secondo i canoni del diritto internazionale, ma che la BCE e la Commissione sarebbero a tutti gli effetti soggetti responsabili secondo il diritto dell’UE. Durante la crisi que-ste ultime hanno agito come istituzioni dell’UE; a esse potrebbero dunque es-sere imputate le violazioni dei diritti fondamentali ex art. 6 TUE. Il loro obbli-

44 A. FISHER LESCANO, Human Rights in Times of Austerity Policy. The EU institutions and the conclusion of Memoranda of Understanding, ZERP, Bremen 17 February 2014. Lo studio è stato commissionato dalla Camera del Lavoro di Vienna, in cooperazione con la federazione sindacale del commercio austriaca, la CES e l’Istituto Sindacale Europeo.

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go di rispettare il Trattato si riflette, al tempo stesso, verso gli Stati membri e i cittadini 45.

Le proposte formulate nella ricerca elaborata presso l’Università di Brema prendono atto della delusione dei cittadini dell’UE, generata dalle misure di austerità e dai gravi attacchi perpetrati alla sovranità degli Stati membri. Un’interpretazione sistematica di tutte le fonti del diritto internazionale e del-l’UE, volta a creare una rete di sicurezza intorno ai diritti fondamentali, deve comunque tener conto della posizione di soggetti deboli, che hanno risentito negativamente degli accordi siglati con la Troika e che hanno sperimentato le difficoltà dei grandi gruppi organizzati nel difendere gli interessi collettivi e nell’avviare opportune strategie giudiziarie.

I risultati possono essere molto discontinui, come appare dall’analisi dei singoli casi nazionali 46. In un rinvio pregiudiziale il Tribunal do Trabalho do Porto in Portogallo ha chiesto alla Corte di giustizia di valutare l’eventuale violazione del diritto alla parità di trattamento conseguente ai tagli delle retri-buzioni nel settore pubblico previsti dalla legge di bilancio 2012. Con riferi-mento all’art. 31.1 della Carta dei diritti fondamentali, che garantisce condi-zioni di lavoro eque, è stato sostenuto che anche i salari dovrebbero essere protetti seguendo un parametro di equità, al fine di evitare un indebolimento nella stabilità delle famiglie. La Corte, tuttavia, non ha ritenuto di essere com-petente a pronunciarsi su questa questione 47, così come aveva già fatto in ri-sposta ad analogo rinvio proveniente dalla stessa Corte, dal momento che “non conteneva alcun elemento concreto che permettesse di dedurre che la legge portoghese mirava ad applicare il diritto dell’Unione” 48.

L’interazione tra le Corti è ulteriormente complicata, se si guarda alle scel-te compiute dalla Corte Costituzionale portoghese. Pronunciandosi su un ri-corso presentato da alcuni membri del Parlamento, la Corte ha deciso che la legge di bilancio del 2011 non era in violazione del diritto alla parità di tratta-mento, poiché le misure rivolte al settore pubblico erano da intendersi in linea con gli accordi sottoscritti dalla Commissione e il Fondo Monetario Interna-

45 Ibid., pp. 5-7. 46 Un’analisi ampia e profonda dei casi nazionali in C. KILPATRICK, B. DE WITTE, op. cit.

Si vedano inoltre le conclusioni comparate tratte da C. KILPATRICK, Constitutions, social rights and sovereign debt crisis in Europe: a challenging new area of constitutional inquiry, EUI WP, Law 2015/34.

47 Corte giust. ord. 26 giugno 2014, C-264/12, Sindacato Nacional dos Profissionais de Seguros, ECLI:EU:C:2014:2036.

48 Corte giust. ord. 7 marzo 2013, C-128/12, Sindicato dos Bancarios do Norte, par. 12, ECLI:EU:C:2013:149.

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zionale, che intendevano infliggere maggiori sacrifici a carico dei dipendenti pubblici. Questi ultimi sono considerati cittadini più responsabili di altri nel salvaguardare il bene pubblico comune. Nel 2012 la Corte si è pronunciata in modo diverso sui tagli alle retribuzioni – ferie e indennità natalizie – così evi-denziando il maggior disagio gravante sui cittadini e l’iniquità nella ripartizio-ne dei sacrifici 49.

Nel 2013 alla Corte Costituzionale è stato chiesto di valutare la costituzio-nalità della legge di bilancio 2013, questa volta a seguito di un ricorso presen-tato dal Presidente della Repubblica, dai membri del Parlamento e dall’Om-budsman. Nonostante le condizioni economiche non fossero drasticamente cambiate rispetto alla legge di bilancio precedente, la Corte ha rilevato che, in questo caso, il principio di uguaglianza è stato violato, nel momento in cui so-no stati imposti maggiori sacrifici ai dipendenti pubblici 50. Nel 2014, ancora una volta, la Corte ha dichiarato incostituzionali gli articoli della legge di bi-lancio relativi ai tagli delle retribuzioni, oltre una certa soglia, per i lavoratori del settore statale e le misure sulla riduzione delle pensioni e delle prestazioni sociali 51.

È impossibile in questa sede entrare nel dettaglio degli aspetti tecnici delle decisioni citate, che, per la loro incisività, hanno attirato molta attenzione e continueranno a farlo. Tali decisioni dimostrano, ancora una volta, quanto sia difficile stabilire un equilibrio tra le corti e il legislatore, sulla scia degli effetti causati dalla crisi. Nonostante tutte queste incertezze nell’arena giudiziaria, il Portogallo è descritto da alcuni commentatori quale esempio da valorizzare nell’analisi comparata, poiché negli ultimi tre anni il paese ha ottenuto credibi-lità internazionale e maggiore stabilità finanziaria, ponendo fine al programma di salvataggio 52. Tuttavia, ci sono alcune nuvole in questo cielo, se si conside-ra che, nonostante i tagli al welfare e ai salari, effettuati secondo criteri non sempre solidali, la disoccupazione resta alta 53. Se il Portogallo fosse preso

49 J. GOMES, Social rights in crisis in the Eurozone. Work rights in Portugal, in C. KILPAT-RICK, B. DE WITTE (a cura di), op. cit., p. 81.

50 G. COELHO, P. CARO DE SOUSA, “La morte dei mille tagli”. Nota sulla decisione della Corte Costituzionale portoghese in merito alla legittimità del bilancio annuale 2013, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2013, p. 527 ss. Vedi anche R. CISOTTA, D. GALLO, in C. KILPATRICK, B. DE WITTE (a cura di), op. cit., pp. 90-94.

51 Tribunal Constitutional de Portugal, Acordao n. 413/2014 del 30.5.2014; http://eurob server.com/news/124434.

52 Il Sole 24 Ore, 6 maggio 2014. 53 L’istituto portoghese di statistica, per il secondo trimestre 2015, ha calcolato una disoc-

cupazione all’11,9% (https://www.ine.pt/xportal/xmain?xpid=INE&xpgid=ine_destaques&DE

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come paradigma, le istituzioni dell’UE dovrebbero prendere atto del fatto che deve aprirsi una fase di post-emergenza e di attivazione di misure sociali di sostegno. Un dialogo diverso dovrebbe iniziare con gli stessi attori – siano essi giudici, membri del parlamento o organizzazioni della società civile – attivi contro le misure di austerità e consapevoli del bene primario che consiste nel tutelare la democrazia e lo Stato di diritto.

Per quanto riguarda il caso greco, qui considerato con riguardo a avveni-menti precedenti la più recente crisi consumatasi nel 2015, si devono fare con-siderazioni diverse. Il Comitato europeo dei diritti sociali (CEDS) del Consi-glio d’Europa, istituito ai sensi della Carta sociale europea, a seguito di un ri-corso collettivo inoltrato da sindacati greci, si è pronunciato sulla natura di-scriminatoria della misura che prevede salari più bassi per i lavoratori sotto i 25 anni di età e ha invitato i giudici nazionali a disapplicare il diritto interno. Lo stesso è stato suggerito per quelle misure che modificano in senso peggio-rativo le condizioni di vita. Il Comitato ha dovuto adottare un criterio di pro-porzionalità e ha chiaramente affermato che “le misure adottate per favorire una maggiore flessibilità del lavoro, con l’obiettivo di contrastare la disoccu-pazione, non dovrebbero privare ampie categorie di lavoratori dei loro diritti fondamentali in materia di lavoro, diritti che mirano a tutelare gli stessi da de-cisioni arbitrarie adottate dai datori di lavoro e dagli effetti più gravi delle flut-tuazioni economiche”. Ha inoltre fatto riferimento alla posizione assunta dalla Commissione nazionale greca per i diritti umani, che aveva espresso “l’as-soluta necessità di invertire la tendenza, visto il forte calo delle libertà civili e dei diritti sociali” 54. Questi esempi dimostrano che il meccanismo di allerta nazionale, assegnato a un organismo incaricato di garantire il rispetto dei dirit-ti umani, non è stato preso in considerazione dal legislatore, costretto dentro lo schema del memorandum of understanding, inteso come misura di estrema ur-genza 55.

Il linguaggio del CEDS è ancora più specifico in risposta a un altro ricorso presentato dai sindacati greci, in cui si affronta l’impatto cumulativo delle mi-

STAQUESdest_boui=224671146&DESTAQUESmodo=2), mentre per il primo trimestre il tas-so di disoccupazione era stimato al 13,7% (https://www.ine.pt/xportal/xmain?xpid=INE&xp gid=ine_destaques&DESTAQUESdest_boui=224671123&DESTAQUESmodo=2).

54 CEDS, Federazione generale dei dipendenti della società nazionale di energia elettrica (GE-NOP-DEI) e Confederazione dei sindacati dei pubblici dipendenti greci (ADEDY) contro Denun-cia greca n. 66/2011, Decisione nel merito del 23.5.2012. Commenti in K. TUORI, cit., p. 239.

55 Vedi M. YANNAKOUROU E C. TSIMPOUKIS, Flexibility without security and deconstruction of collective bargaining. The new paradigm of labour law in Greece, in Comparative Labor Law Policy Journal, 2014, p. 339 ss.

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sure di austerità come criterio per valutare la violazione dei diritti di sicurezza sociale. Gli argomenti introdotti dal Comitato sono ancora una volta illumi-nanti per quanto riguarda il ruolo che deve essere assegnato ad analisi empiri-che svolte ex ante, circa l’impatto complessivo delle decisioni d’urgenza. Si è affermato che “il governo non ha condotto una benché minima ricerca, né pro-dotto un’analisi sugli effetti di misure di così vasta portata, necessarie per va-lutare in modo efficace il loro pieno impatto sui gruppi più vulnerabili nella società”. E “neanche ha discusso i risultati delle analisi disponibili con le or-ganizzazioni coinvolte, nonostante queste rappresentino gli interessi di molti gruppi colpiti dalle misure in questione” 56.

I risultati dell’attivismo giudiziario e della mobilitazione sociale, in alcuni paesi gravemente colpiti dalle misure di austerità, meritano un’attenta valuta-zione. Il CEDS, in particolare, ha sviluppato un’analisi giuridica molto rile-vante, che dovrebbe essere tenuta presente dalle istituzioni europee e dovrebbe essere usata come punto di partenza per una nuova strategia da adottare nel di-ritto sociale. Il carattere non vincolante delle decisioni di questo Comitato non offusca il valore morale che deve essere loro riconosciuto. Le condizioni di lavoro devono essere riformulate e divenire una chiara risposta agli effetti ne-gativi della crisi.

VII. Un appello alla solidarietà, in risposta a scettiche e nostalgiche conside-razioni sulla UE, implica la creazione di istituzioni sovranazionali che siano, da un lato, più autorevoli e dall’altro autorizzate, in maniera trasparente, a effettua-re una redistribuzione delle risorse disponibili e a ricostruire chiari legami di rappresentanza. Le misure dettate dalla crisi hanno, al contrario, modificato la natura delle competenze degli Stati membri nel riconoscere diritti specifici, sia nei confronti di singoli sia di organizzazioni collettive, e non hanno pienamente chiarito come e con quali cadenze temporali i gruppi più deboli e marginali nel mercato del lavoro diverranno destinatari di misure di sostegno.

Gli esempi fin qui riportati mostrano un disordine istituzionale, frutto del ricorso a misure d’urgenza di diversa natura e spessore. Il diritto sociale ha rappresentato un banco di prova, con particolare riguardo alle funzioni tradi-zionalmente assegnate alle parti sociali, reinventate nonostante la crisi. È im-portante evidenziare che i sindacati, talvolta affiancati da altre organizzazioni collettive, hanno tentato in vari modi di favorire soluzioni indirizzate all’e-mancipazione sociale, nei paesi più colpiti da misure di austerità. Tuttavia, nuove disuguaglianze sono emerse, tuttora al vaglio dei governi e degli attori

56 ECSR, Federazione dei lavoratori pensionati della Grecia (IKA-ETAM) v Grecia, de-nuncia n. 76/2012, decisione nel merito del 7 dicembre 2012.

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istituzionali, mentre gravi esclusioni nell’accesso a servizi sociali e di assi-stenza continuano a verificarsi.

La questione cruciale è come rimediare a questo disordine istituzionale, causato da nuove forme di attivismo giudiziario e proteste sociali. “Il passag-gio dalla legislazione al contratto” 57, chiaramente sottolineato in relazione alle attuali circostanze istituzionali, mostra i molti rischi inerenti nelle negoziazio-ni svolte in stato di emergenza. È urgente il bisogno di recuperare spazio per la legislazione ispirata ai valori fondamentali dell’UE.

Per il momento la Direttiva 2014/67 resta piuttosto isolata sulla scena delle iniziative legislative che potrebbero promuovere giustizia sociale e indurre gli Stati membri verso comportamenti virtuosi, soprattutto nel campo delle politi-che salariali. A essa si affianca la direttiva 2014/50, che si prefigge di favorire la libera circolazione dei lavoratori, con la rimozione di ostacoli all’istituzione di regimi pensionistici complementari 58. È, invece, ancora sul tavolo della Commissione il progetto di aggiornamento della legislazione in materia di coordinamento dei regimi di sicurezza sociale, anch’esso finalizzato a garanti-re diritti sociali per i lavoratori in mobilità e per le loro famiglie. Il mercato interno, come già avvenne per il mercato comune, deve nutrirsi di diritto so-ciale anche nelle fasi più controverse dell’integrazione.

Dobbiamo ricordare che la solidarietà è una fonte ineguagliabile di integra-zione sociale, ben oltre la moneta ed il potere delle amministrazioni naziona-li 59. In questa prospettiva l’UE dovrebbe riassegnare diritti agli individui e ai gruppi che rappresentano interessi collettivi. Dovrebbe fare ciò nel pieno ri-spetto della democrazia e dello stato di diritto 60.

ABSTRACT

This paper shows the centrality of EU social law in current discussions initiated by the crisis. Emphasis is placed on social dialogue, based on EU primary law (art. 152 TFEU). It is argued that legal methods enshrined in Title IX and X TFEU are declin-

57 P. CRAIG, Economic Governance and the Euro Crisis: Constitutional Architecture and Constitutional Implications, in M. ADAMS, F. FABBRINI, P. LAROUCHE (a cura di), op. cit., p. 29.

58 GUUE L 128 del 30 aprile 2014. 59 Per un’analisi del ruolo della solidarietà nel processo di integrazione europea cfr. R. CI-

SOTTA, Disciplina fiscale, stabilità finanziaria e solidarietà nell’Unione europea ai tempi della crisi: alcuni spunti ricostruttivi in questa Rivista, 2015, pp. 78-86.

60 J. HABERMAS, cit. Vedi anche J. HABERMAS, Between facts and norms, Postscript (1994), Cambridge, 1997, p. 449 ss.

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ing and giving way to new forms of cooperation among national administrations. At-tention is also paid to the role played by international law – in particular ILO and Council of Europe sources – for establishing the guarantee of fundamental social rights in countries affected by austerity measures. The institutional disorder originated by emergency measures puts at risk the rule of law and should be counterbalanced by new initiatives, respectful of individual and collective fundamental rights and of col-lective autonomy.

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La risoluzione alternativa delle controversie tra mercato interno e tutela del consumatore Silvia Marino

SOMMARIO

I. Introduzione. – II. L’ambito dei nuovi strumenti e cenni sulla disciplina dei mezzi di risolu-zione alternativa. – III. Le procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie. – IV. La tutela del consumatore. – V. Un vero potenziamento della tutela del consumatore? – VI. L’ob-bligatorietà delle procedure ADR, la vincolatività delle soluzioni proposte e il rapporto con i procedimenti giurisdizionali. – VII. Alcune considerazioni conclusive.

I. Da qualche anno, le istituzioni stanno promuovendo l’uso di mezzi rapidi e poco costosi per la risoluzione di controversie di modesto valore. L’obiettivo principale è costituito dal miglioramento dell’efficacia dei sistemi nazionali di tutela dei diritti e del conseguente rafforzamento del mercato interno. Fra le misure già adottate si annoverano talune procedure uniformate di carattere giurisdizionale, come ad esempio il regolamento 861/2007 sul procedimento europeo per le controversie di modesta entità 1, con il quale si intende “sempli-ficare e accelerare le controversie transfrontaliere di modesta entità in materia commerciale e riguardanti i consumatori” (considerando n. 4), e la direttiva 2009/22/CE sui provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumato-ri 2. Accanto a questi strumenti, un’attenzione sempre maggiore hanno ricevu-to i mezzi di composizione stragiudiziale delle controversie. In quest’ambito si possono ricordare due raccomandazioni della Commissione, contenenti prin-cipi ai quali dovrebbero conformarsi gli organismi di risoluzione extragiudi-

1 Regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità, in GUUE L 199 del 31 luglio 2007, p. 1 ss.

2 Direttiva 2009/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (versione codificata), in GUUE L 110 del 1 maggio 2009, p. 30 ss.

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ziale delle controversie negli Stati membri 3, e il Codice europeo di condotta dei mediatori, cui le associazioni di categoria e gli interessati sono invitati ad aderire 4. Il primo atto normativo è la direttiva 2008/52/CE sulla mediazione 5, il cui campo di applicazione è definito dalla materia civile e commerciale, ma di cui viene incoraggiato l’utilizzo specialmente nelle controversie derivanti dai contratti di consumo (si veda ad esempio il considerando n. 18).

Nonostante questi interventi, la Commissione ha rilevato che gli attuali mezzi di risoluzione extragiudiziale delle controversie sono ancora carenti ed inefficaci 6. I principali problemi riscontrati attengono alle lacune nella coper-tura territoriale e ai limitati settori di applicazione di questi strumenti, alla scarsa consapevolezza dei consumatori e delle imprese, nonché alla qualità

3 Raccomandazione della Commissione 98/257/CE, del 30 marzo 1998, riguardante i prin-cipi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, in GUCE L 115 del 17 aprile 1998, p. 31 ss.; Raccomandazione della Commissione, del 4 aprile 2001, sui principi applicabili agli organi extragiudiziali che parteci-pano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di consumo, in GUCE L 109 del 19 aprile 2001, p. 56 ss. Sulle due raccomandazioni: M. MICELI, La mediazione in materia civile e commerciale nella direttiva 2008/52/CE, in Europa dir. priv., 2009, p. 866; A. PERA, Le politiche dell’Unione europea in materia di accesso alla giustizia e sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, in A. PERA, G.M. RICCIO (a cura di), Mediazione e conciliazione. Diritto interno, comparato e internazionale, Padova, 2011, p. 62; I. BENÖHR, Alternative Di-spute Resolution for Consumers in the European Union, in C. HODGES, I. BENÖHR, N. CREU-TZFELDT-BANDA (a cura di), Consumer ADR in Europe. Civil Justice Systems, Oxford-Portland, 2012, p. 7. A queste raccomandazioni si possono aggiungere ulteriori comunicazioni, quale ad esempio la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comi-tato economico e sociale europeo: Risoluzione alternativa delle controversie per i consumatori nel mercato unico del 29 novembre 2011, COM(2011)791 def. La Commissione ha recente-mente insistito sull’importanza dei mezzi stragiudiziali di risoluzione delle controversie in ma-teria di risarcimento dei danni conseguenti alla violazione di diritti conferiti dall’ordinamento del-l’Unione europea: Raccomandazione della Commissione, dell’11 giugno 2013, relativa a principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo di natura inibitoria e risarcitoria negli Stati membri che riguardano violazioni di diritti conferiti dalle norme dell’Unione (2013/396/UE), in GUUE L 201 del 13 giugno 2013, p. 60 ss.

4 Consultabile sul sito: http://ec.europa.eu. 5 Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, rela-

tiva a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, in GUUE L 136 del 24 maggio 2008, p. 3 ss.

6 Ciò risulta da diversi studi sull’ADR, come ad esempio: Directorate General for Internal Policies, “Cross-border ADR in the European Union”, del giugno 2011, consultabile sul sito: http://www.europarl.europa.eu. Lo studio comparato di N. CREUTZFELD-BANDA, Empirical Find-ings, in Consumer ADR in Europe, cit., p. 367, dimostra alcune inefficienze del sistema, so-prattutto per controversie di entità molto modesta.

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non omogenea delle procedure ADR nei diversi Stati membri 7. Le esistenti differenze normative costituiscono barriere al mercato interno 8 che pregiudi-cano la fiducia dei consumatori nel commercio transfrontaliero, a cui si ag-giunge il timore che eventuali controversie siano risolte più difficilmente con un professionista stabilito in uno Stato membro diverso dal proprio. Specu-larmente, gli operatori economici non sono incentivati a offrire i propri beni e servizi al di fuori del proprio paese di stabilimento. Secondo la Commissione, prevedere strumenti di risoluzione amichevole delle controversie, armonizzati in tutti gli Stati membri, consentirebbe di aumentare la fiducia degli interessati nel mercato interno. A tal fine, deve essere garantito l’accesso a procedure ADR, pubblicizzata l’esistenza di questi strumenti, aumentata la collaborazio-ne fra i vari organismi ADR, anche stabiliti in diversi Stati membri, e assicura-ta la qualità delle procedure. Pertanto, il legislatore dell’Unione ha adottato la Direttiva di armonizzazione minima sulla risoluzione delle controversie dei consumatori (di seguito “direttiva ADR” o “direttiva”) 9 e il Regolamento sulla risoluzione delle controversie on line (di seguito “regolamento ODR” o “rego-lamento”) 10. A seguito dell’entrata in vigore della legge italiana di attuazio-

7 Per maggiori approfondimenti: DG SANCO, Study on the use of Alternative Dispute Re-solution in the European Union, Final Report, 16 ottobre 2009, consultabile sul sito: http: //ec.europa.eu.

8 Si veda la Proposta di direttiva sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consu-matori, recante modifica del regolamento (CE) n. 2006/2004 e della direttiva 2009/22/CE (di-rettiva sull’ADR per i consumatori), presentata dalla Commissione il 29 novembre 2011, COM(2011)793 def., 2011/0373 (COD). I contratti di consumo e i contratti commerciali devo-no essere tenuti distinti per la diversità di problematiche sottese. Per questi ultimi: C. MACHO GÓMEZ, Los ADR «alternative dispute resolution» en el comercio internacional, in Cuad. Der. Trans., 2013, p. 398.

9 Direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE, in GUUE L 165 del 18 giugno 2013, p. 63 ss.

10 Regolamento (UE) n. 524/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori e che modifica il rego-lamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE, in GUUE L 165 del 18 giugno 2013, p. 1 ss. Presso l’UNCITRAL si sta elaborando un progetto di modello procedurale di ODR, su cui: P. CORTÉS, F.E. DE LA ROSA, Building a global redress system for low-value cross-border di-spute, in Int. Comp. Law Quart., 2013, p. 406; J. HÖRNLE, Encouraging Online Alternative Dispute Resolution in the EU and Beyond, in Europ. Law Rev., 2013, p. 188. La Commissione europea aveva già cercato di stimolare la risoluzione amichevole delle controversie on line, con esiti non molto positivi. Un esempio è l’European Consumer Centres Network, che forniva assistenza ai consumatori nella ricerca di organismi adatti alla risoluzione della controversia. Sul punto si vedano: P. CORTÉS, Online Dispute Resolutions for Consumers in the European

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ne 11, l’utilità di un nuovo studio sugli strumenti dell’Unione europea è data non tanto (o non solo) dall’analisi della disciplina, quanto (o soprattutto) dal-l’esame dell’impatto dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie sul mercato interno. Lo scopo del seguente contributo è di analizzare le moda-lità con cui si è cercato di risolvere le problematiche messe in rilievo dalla Commissione, tramite l’esame di alcuni aspetti della disciplina stabilita nei due atti. Un’attenzione particolare è riservata alla direttiva: come risulta dal consi-derando n. 9 del regolamento, il procedimento ODR si incardina su un sistema di ADR, predisponendo uno strumento di contatto on line fra consumatore, professionista e organismo ADR (si veda anche il considerando n. 26). La di-rettiva armonizza pertanto la costituzione, la forma e in parte il funzionamento degli organismi ADR, che saranno altresì competenti a risolvere controversie nascenti da contratti conclusi on line ai sensi dell’art. 2 del regolamento ODR, tramite l’apposita piattaforma telematica che sarà istituita dalla Commissione.

II. L’ambito della direttiva e del regolamento è limitato alle controversie derivanti da contratti di vendita o di servizi (on line, nel caso del regolamen-to). Questa specificazione non appare particolarmente importante, dal momen-to che si tratta delle tipologie contrattuali più utilizzate nei rapporti B2C 12.

Union, London, 2012; J. SUQUET CAPDEVILA, The European legal framework on consumer on-line dispute resolution (ODR), in J.S. BERGÉ, S. FRANQ, M. GARDEÑES SANTIAGO (a cura di), Boundaries of European Private International Law, Bruxelles, 2015, p. 161.

11 D.Lgs. 6 agosto 2015, n. 130, Attuazione della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione al-ternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull’ADR per i consumatori), in GURI del 18 agosto 2015, n. 191, entrato in vigore il 3 settembre 2015, con lieve ritardo rispetto al termine di attuazione, fissato dalla direttiva al 9 luglio 2015 (art. 25). L’art. 1 del decreto contiene disposizioni di modifica del Codice del consumo contenenti norme di attuazione, modificandone taluni articoli (di cui in particolare l’art. 141) e aggiungendo allo stesso gli articoli da 141 bis a 141 decies. Principi per l’attuazione della direttiva erano contenuti nella legge di delegazione 2013 bis, in GURI del 28 ottobre 2014, n. 251. Nella trattazione dell’attuazione italiana verrà fatto riferi-mento alle nuove norme del codice di consumo (in seguito, “cod. cons.”). Nel momento in cui si scrive (25 novembre 2015) ben 11 Stati membri non hanno comunicato le misure di recepi-mento.

12 Ai sensi dell’art. 2, la direttiva non si applica: «a) alle procedure dinanzi a organismi di risoluzione delle controversie in cui le persone fisiche incaricate della risoluzione delle contro-versie sono assunte o retribuite esclusivamente dal professionista a meno che gli Stati membri decidano di consentire tali procedure come procedure ADR ai sensi della presente direttiva e siano rispettati i requisiti di cui al capo II, inclusi i requisiti specifici di indipendenza e traspa-renza di cui all’articolo 6, paragrafo 3; b) alle procedure presso sistemi di trattamento dei re-clami dei consumatori gestiti dal professionista; c) ai servizi non economici d’interesse genera-

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Entrambi gli atti si applicano anche alle controversie meramente nazionali (art. 2, par. 3 direttiva ADR; considerando n. 11 regolamento ODR; art. 141, par. 4 cod. cons.), ovvero quelle in cui consumatore e professionista risiedono nello stesso Stato membro (art. 4, par. 1, lett. e) della direttiva; art. 141, par. 1, lett. e) cod. cons.). L’inclusione delle situazioni puramente interne viene con-siderata necessaria al fine di potenziare il mercato interno (considerando n. 7 direttiva ADR) e di consentire condizioni di parità tra consumatori (conside-rando n. 11 regolamento ODR). Si è ritenuto che la limitazione all’accesso a queste procedure per i soli rapporti transfrontalieri costituisca una discrimina-zione nei confronti dei consumatori che concludono un contratto interno: per la soluzione di queste controversie sarebbero a disposizione i ricorsi giurisdi-zionali, o le procedure stragiudiziali nazionali, se previste, ma che potrebbero non rispettare le garanzie minime stabilite dagli atti dell’Unione e risultare quindi meno efficaci per il consumatore.

Il nucleo fondamentale della direttiva consiste nell’enunciazione di taluni principi a cui tutti gli organismi di risoluzione alternativa delle controversie, esistenti e futuri, dovranno conformarsi, al fine di poter essere considerati or-ganismi ADR ai sensi della direttiva (art. 20), e gestire controversie anche tramite la piattaforma online. Gli elenchi di questi organi devono essere tra-smessi alla Commissione. Nei suoi principi generali la direttiva ricorda le menzionate raccomandazioni, che ne costituiscono il logico precedente, ma ha un contenuto più specifico e, ovviamente, obbligatorio.

I requisiti, piuttosto stringenti, devono essere soddisfatti sia dalle persone fisiche che compongono gli organismi ADR, sia da questi ultimi e sono fina-lizzati alla ricerca del corretto bilanciamento tra equo processo e l’esigenza di predisporre una procedura rapida e non onerosa. L’efficienza del procedimen-to stragiudiziale non può risultare in spregio a fondamentali diritti processua-li 13. Nella direttiva si intendono garantire, essenzialmente, l’accesso (art. 5), la

le; d) alle controversie fra professionisti; e) alla negoziazione diretta tra consumatore e profes-sionista; f) ai tentativi messi in atto da un giudice al fine di giungere a una composizione della controversia nel corso di un procedimento giudiziario riguardante la controversia stessa; g) alle procedure avviate da un professionista nei confronti di un consumatore; h) ai servizi di assi-stenza sanitaria prestati da professionisti sanitari a pazienti, al fine di valutare, mantenere o ri-stabilire il loro stato di salute, compresa la prescrizione, la somministrazione e la fornitura di medicinali e dispositivi medici; i) agli organismi pubblici di istruzione superiore o di forma-zione continua». Alcune limitazioni sono dirette a specificare la fase del rapporto precontrat-tuale e contrattuale in cui è possibile procedere all’ADR; altre, invece, escludono alcune tipo-logie contrattuali, in quanto non sono perfettamente inquadrabili in un contratto di consumo standard a causa delle loro caratteristiche specifiche.

13 Nella risoluzione stragiudiziale delle controversie, i principi fondamentali da garantire

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competenza, l’indipendenza e l’imparzialità (art. 6, con norme particolari nel caso in cui l’organismo sia assunto o retribuito esclusivamente dal professio-nista), la trasparenza (art. 7), l’equità (art. 9) 14. I principi attengono essen-zialmente alle fasi della costituzione dell’organismo ADR, dell’individuazione dei requisiti propri dei suoi membri, delle soluzioni possibili nell’ipotesi di ri-scontrata incompatibilità nel caso concreto, dell’accessibilità alle informazioni agli interessati. Solo l’art. 9, sull’equità, ha un carattere “processuale”, garan-tendo uno scambio di informazioni fra le parti 15 (par. 1, lett. a)). I procedi-menti ADR potrebbero essere volti a risolvere la controversia 16 (par. 2); in questi casi sono previsti ulteriori obblighi informativi quanto agli effetti, so-stanziali e processuali, dell’accettazione e della mancata accettazione della so-luzione proposta.

Gli Stati membri devono garantire la sussistenza e la permanenza delle

sono in numero e in misura più limitati rispetto alle procedure davanti a un’autorità giudiziaria, e sono in parte rinunciabili: Corte europea dir. uomo 25 febbraio 1992, Pfeifer et Plank c. Au-triche; 15 settembre 2009, Eiffage S.A. e a. c. Suisse. In dottrina: H. VAN HOUTTE, Essays on International Commercial Arbitration. Basic Standards of Due Process, London, 1989; P. CORTÉS, F.E. DE LA ROSA, op. cit., p. 410; M. PIERS, Consumer Arbitration and European Pri-vate Law: A Seminal Consumer Arbitration Model Law for Europe, in Europ. Rev. Priv. Law, 2013, p. 254; E. VALLINES GARCÍA, Impartiality and Independance of the Persons Entrusted with Consumer ADR, in M. STÜRNER, F. GASCÓN INCHAUSTI, R. CAPONI (a cura di), The Role of Consumer ADR in the Administration of Justice, Munich, 2015, p. 79; M.L. VILLAMARÍN LÓPEZ, On Minimum Standards in Consumer ADR, ivi, p. 131.

14 Il principio di legalità (art. 10) è sancito solo parzialmente. Non viene stabilito un princi-pio generale quanto alla tipologia di regole applicabili dagli organismi ADR, limitandosi l’art. 7, par. 1, lett. i) a imporre a questi ultimi di rendere disponibili le pertinenti informazioni (di-sposizioni giuridiche, considerazioni di equità, codici di condotta). Amplius: M. OWSIANY-HORNUNG, La directive de l’Union européenne relative au règlement extrajudiciaire des litiges de consommation, in Rev. droit un. europ., 2014, p. 100.

15 Esso consiste nella possibilità di esprimere la propria opinione e di ottenere le argomen-tazioni, le prove, i documenti e i fatti presentati dall’altra parte, le eventuali dichiarazioni rila-sciate e opinioni espresse da esperti e di poter esprimere osservazioni in merito. Poiché si ri-chiede che ciò avvenga in un tempo ragionevole, non vi è lo spazio per un vero e proprio con-traddittorio assimilabile a quello di un procedimento giurisdizionale. Si tratta della disposizio-ne della direttiva che pone agli Stati gli obblighi più specifici quanto alla procedura.

16 In questa ipotesi la necessità di tutelare un nucleo fondamentale di garanzie processuali è più pressante, dal momento che il risultato è idoneo a incidere nella sfera giuridica dei soggetti partecipanti. Secondo C. MELLER-HANNLICH, A. HÖLAND, E. KRAUSBECK, “ADR” und “ODR”: Kreationen der europäischen Rechtspolitik. Eine kritische Würdigung, in Zeit. Europ. Priva-trecht, 2014, p. 8, la risoluzione alternativa delle controversie sembra una giustizia di serie B: le garanzie procedurali sono infatti scarse, soprattutto per i casi che richiedono comunque l’esame dei fatti e del diritto.

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condizioni. Ciò pone un duplice obbligo. Infatti, non solo è necessario che venga predisposta una disciplina nazionale di attuazione che concretizzi i prin-cipi (i nuovi artt. da 141 bis a 141 sexies cod. cons.), ma lo Stato deve verifi-care che i requisiti siano soddisfatti, sia astrattamente nei regolamenti di disci-plina interna degli organismi, sia nei singoli casi concreti. Quest’ultimo con-trollo può avvenire per il tramite di un’autorità nazionale competente, designa-ta ai sensi dell’art. 18 della direttiva 17, che compie valutazioni sul rispetto dei principi stabiliti sulla base delle informazioni trasmesse dagli organismi ADR stessi. Il mancato soddisfacimento delle condizioni comporta solo che l’orga-nismo non possa essere considerato ADR ai fini della direttiva. Ciò significa che potrebbero esistere negli Stati membri organismi che si occupano della ri-soluzione stragiudiziale delle controversie, pur non essendo approvati come ADR ai sensi della direttiva 18. Ciò è confermato anche dalla legge di attuazio-ne italiana: nonostante la definizione onnicomprensiva di “organismo ADR” (art. 141, par. 1, lett. h) cod. cons.), permane il rischio che vengano mantenuti o creati organismi non rispondenti ai requisiti della direttiva. Infatti, ai sensi dell’art. 141 decies cod. cons. le autorità competenti provvedono alla tenuta di un registro degli organismi ADR, la cui iscrizione (e permanenza) è subordina-ta al rispetto dei principi stabiliti dalla direttiva. La mancata iscrizione nel regi-stro non comporta, tuttavia, lo scioglimento dell’organismo stesso.

Il regolamento ha un contenuto più specifico, ponendo a capo della Com-missione l’obbligo di istituire la piattaforma on line e di verificarne la funzio-nalità, l’accessibilità e la facilità dell’uso. La sua primaria funzione è quella di “mettere a disposizione un modulo di reclamo elettronico che può essere com-pilato dalla parte ricorrente” (art. 5, par. 4, lett. a)). Il regolamento si applica a partire dal 9 gennaio 2016. Al momento in cui si scrive non è quindi possibile nemmeno presentare le prime riflessioni sull’accessibilità e la funzionalità del-la piattaforma. L’unico aspetto che si può sin d’ora evidenziare è che gli Stati membri devono designare un punto di contatto ODR che fornisca assistenza per la soluzione delle controversie tramite la piattaforma, e comunicarne il nome e le modalità di contatto alla Commissione (art. 7; per l’Italia è il Centro nazionale della rete europea per i consumatori (ECC-NET): art. 141 sexies, par. 5 cod. cons.).

17 Ai sensi dell’art. 141 octies cod. cons. sono designate diverse autorità competenti, che si distinguono fra di loro per materia. Il punto di contatto unico per i rapporti con la Commissio-ne è il Ministero dello sviluppo economico.

18 M. BECKLEIN, Verbesserter Zugang zum Recht für Verbraucher? Eine Bewertung der Re-gelungsvorschläge der EU-Kommission zur Alternativen Streitbeilegung, in Zeit. Gemein-schaftsprivatrecht, 2012, p. 238; M. OWSIANY-HORNUNG, op. cit., p. 91.

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Uno dei problemi principali sottolineati dalla Commissione riguarda la scarsa conoscenza dell’esistenza di questi strumenti negli Stati membri in cui sono previsti. Proprio al fine di non incorrere nell’assurdo di predisporre pro-cedure agili di risoluzione extragiudiziale delle controversie, ma poco utilizza-te perché non note alla generalità, l’art. 15 della direttiva ADR interviene sul sistema di pubblicizzazione delle stesse, imponendo alla Commissione e agli Stati membri l’obbligo di adottare misure intese a stimolare le organizzazioni dei consumatori e quelle dei professionisti a migliorare la conoscenza degli organismi e delle procedure ADR e a promuoverne l’adozione. Queste orga-nizzazioni devono essere incoraggiate a rendere disponibili al pubblico in qualsiasi modo esse ritengano appropriato l’elenco degli organismi ADR ap-provati ai sensi della direttiva. L’uso dei siti web è particolarmente favorito. Inoltre, la Commissione e gli Stati membri devono assicurare l’adeguata di-vulgazione di informazioni sulle modalità di accesso dei consumatori alle pro-cedure ADR per risolvere controversie contemplate dalla direttiva. La concre-tizzazione di questi adempimenti dipenderà quindi essenzialmente dai mezzi adottati dagli Stati e dalle associazioni dei consumatori e dei professionisti. Sebbene nulla sia stato previsto in proposito dalla legge italiana di delegazione europea, l’art. 141 sexies cod. cons. stabilisce talune forme pubblicitarie. Gli organismi ADR e il Centro nazionale della rete europea per i consumatori de-vono rendere disponibili sui propri siti l’elenco degli organismi ADR pubbli-cato dalla Commissione ai sensi dell’art. 20, par. 4 della direttiva; lo stesso e-lenco deve essere reso disponibile alle associazioni di consumatori e alle asso-ciazioni di categoria. Inoltre, i professionisti possono pubblicarlo sui propri siti web, e hanno l’obbligo di informare i consumatori circa la loro disponibilità a risolvere future controversie tramite procedure ADR, individuando altresì gli organismi competenti. Infine, le varie associazioni di utenti e di professionisti devono essere incoraggiate a promuovere i sistemi di ADR.

Il regolamento ODR, dal canto suo, pone taluni obblighi informativi diret-tamente in capo ai professionisti. È particolarmente rilevante la previsione per cui questi ultimi devono fornire nei propri siti web un link alla piattaforma che sia facilmente accessibile. Le informazioni possono essere contenute, se del caso, anche nelle condizioni generali di vendita. È quindi onere del professio-nista rendere edotto il consumatore della propria disponibilità a risolvere l’e-ventuale controversia in via amichevole, tramite organismi certificati.

III. Nell’ambito dei procedimenti extragiudiziali deve valere il principio della massima semplicità delle forme, al fine di evitare di incanalare in rigide strutture uno strumento che dovrebbe essere caratterizzato dalla massima e-

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spressione della volontà e della libertà delle parti. Al fine di garantire allo stesso tempo l’equità della procedura, è necessaria la disciplina di alcuni aspetti formali. Tuttavia, le regole procedurali possono essere poste dai singoli organismi ADR nell’ambito dei principi indicati dalla direttiva ed eventual-mente dalla legislazione nazionale (art. 7, par. 1, lett. g)). È creata in tal modo una sovrapposizione normativa, di cui l’art. 5, par. 4 sui motivi di rifiuto di trattare una controversia 19 è un esempio particolarmente chiaro, in quanto coinvolge contemporaneamente ipotesi stabilite dalla direttiva, un margine di discrezionalità statale al momento dell’attuazione, i regolamenti interni degli organismi ADR.

La scelta normativa è opposta nell’ambito dell’ODR. La procedura è in buona parte disciplinata dal regolamento medesimo, che stabilisce le modalità di presentazione, trattamento e trasmissione del reclamo (artt. 8 e 9). In parti-colare, quest’ultimo deve essere presentato tramite il modulo rinvenibile on line, nel quale devono essere fornite almeno le dettagliate informazioni prede-terminate nell’allegato del regolamento. Il reclamo può essere trattato solo se tutte le parti del modulo sono complete. La piattaforma ODR trasmette alla parte convenuta il reclamo, e ulteriori informazioni relative allo svolgimento della procedura, e all’organismo ADR competente la documentazione sottopo-sta dalle parti. Questa prima fase non è soggetta a termini, ma l’art. 10 pone alcuni principi sulle modalità di risoluzione delle controversie all’organo ADR, indicando anche una tempistica per la risoluzione della controversia. Si noti che non può essere imposta la presenza fisica delle parti nel momento del trattamento del reclamo, a meno che le norme procedurali dell’organismo com-petente prevedano tale possibilità e le parti siano d’accordo. La controversia è risolta in modo cartolare e telematico.

La rilevata differenza nel contenuto della disciplina – e quindi nell’ado-zione di due atti formalmente diversi, la direttiva e il regolamento – si giustifi-ca per il fatto che devono essere chiare fin dall’origine le modalità con cui si svolgeranno le fasi principali della procedura (scambio di informazioni delle parti fra loro e con l’organismo ADR, adozione di una soluzione conclusiva)

19 Ai sensi del quale: «Gli Stati membri possono, a loro discrezione, consentire agli organi-smi ADR di mantenere e introdurre norme procedurali che consentano loro di rifiutare il trat-tamento di una determinata controversia» per i motivi di seguito indicati. L’art. 141 bis, par. 2, cod. cons. si limita a riportare i motivi già indicati dalla direttiva, precisando solamente che la determinazione di una soglia monetaria prestabilita come motivo di rifiuto di trattazione della controversia non deve essere tale da nuocere in modo significativo all’accesso del consumatore dei reclami. La norma deve quindi essere ulteriormente concretizzata nei regolamenti degli or-ganismi ADR.

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allo scopo di creare un software utile e idoneo a garantire l’efficacia del pro-cedimento. Il regolamento ODR disciplina alcuni aspetti procedurali essenziali a tal fine, utili ad assicurare la completezza del reclamo, l’informazione della parte convenuta, un contraddittorio minimo fondato su asserzioni scritte ed evidenze documentali, la celerità nella procedura. Tuttavia, le sole disposizio-ni del regolamento non sono sufficienti allo scopo: pertanto, è conferito alla Commissione il potere di adottare atti d’esecuzione tramite la procedura d’e-same, al fine di specificare alcuni contenuti del regolamento, quali le modalità di esercizio delle funzioni della piattaforma (art. 5, par. 7) e le caratteristiche del modulo di reclamo elettronico (art. 8, par. 4) 20. A ulteriore completamen-to, gli stessi organismi ADR devono specificare le proprie regole (si veda, ad esempio, l’art. 9, par. 5).

I due atti si distinguono quindi in maniera significativa dalla direttiva 2008/52 che indica solo una serie di requisiti minimi relativi alla qualità e alla riservatezza della mediazione, agli effetti e all’efficacia della procedura e della soluzione proposta, considerando un numero di aspetti di gran lunga inferio-re 21. La direttiva del 2008 può essere considerata, a seguito dell’entrata in vi-gore dei due atti in esame, un quadro di riferimento per i sistemi di mediazio-ne a livello dell’Unione europea per quanto concerne le controversie trans-frontaliere 22 (considerando n. 10 direttiva ADR), che rimane impregiudicata (art. 3, par. 2 direttiva ADR, art. 3 regolamento ODR) ma che viene integrata dai due più recenti atti nel loro ambito di applicazione.

IV. In questo quadro, alcune disposizioni degli strumenti in esame sembra-no particolarmente finalizzate alla tutela del consumatore.

Un esempio è dato dalla limitazione dell’ambito della direttiva (art. 2). Fra le esclusioni elencate, rilevano quelle di cui alle lettere a) e g), relative alle procedure dinanzi a organismi di risoluzione delle controversie in cui le per-sone fisiche incaricate sono assunte o retribuite esclusivamente dal professio-nista – salvo il rispetto di alcuni ulteriori requisiti di indipendenza e trasparen-

20 Amplius: F. GASCÓN INCHAUSTI, Specific Problems of Cross-Border Consumer ADR: What Solutions?, in The Role of Consumer ADR, cit., p. 52.

21 Ad esempio, mancano del tutto principi uniformi sulla terzietà delle persone fisiche giu-dicanti, limitandosi la direttiva ad affermare che il mediatore deve avere questa caratteristica (art. 3, lett. b)). Parte della dottrina ha sottolineato che si è trattato di un’occasione mancata: C. VACCÀ, La Direttiva sulla conciliazione: tanto rumore per nulla?, in Consumatori, Diritti e Mercato, 2008, p. 117; E. MINERVINI, La direttiva europea sulla conciliazione in materia civile e commerciale, in Contratto impresa/Europa, 2009, p. 57.

22 J. SUQUET CAPDEVILA, op. cit., p. 171.

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za 23, e alle procedure avviate da un professionista nei confronti di un consu-matore, fatte salve quelle eventualmente già esistenti negli Stati membri. La prima intende garantire alla parte debole che il suo reclamo sia trattato da un organo terzo rispetto alla controversia e del tutto indipendente dal professioni-sta, evitando il conflitto di interessi (considerando n. 22); la seconda, che il consumatore non subisca la scelta del professionista di rivolgersi a un organi-smo stragiudiziale, piuttosto che a un’autorità giurisdizionale, con il conse-guente potenziale rischio della perdita di talune garanzie. Sembra a chi scrive che su questo punto via sia un’incongruenza logica fra la direttiva ADR e il regolamento ODR, poiché quest’ultimo assume la propria applicabilità alla ri-soluzione extragiudiziale delle controversie “avviate da un professionista nei confronti di un consumatore, nella misura in cui la legislazione dello Stato membro in cui il consumatore risiede abitualmente autorizza la risoluzione di tali controversie attraverso l’intervento di un organismo ADR” (art. 2, par. 2), mentre la direttiva non ammette la possibile qualificazione come ADR ai pro-pri sensi di organismi che decidano su reclami presentati da un professionista, ma fa solo salve le procedure nazionali eventualmente già esistenti 24. Il com-binato disposto delle due disposizioni potrebbe essere interpretato nel senso che gli organismi ADR non sono accessibili ai professionisti, a meno che lo Stato membro della residenza abituale del consumatore lo ammetta, siano co-municati alla Commissione gli organismi a ciò deputati, e venga utilizzata esclusivamente la piattaforma on line per la risoluzione della controversia.

Dal punto di vista procedimentale, l’art. 8 della direttiva ADR specifica che le parti non sono obbligate a ricorrere a un avvocato o a un consulente legale, senza che ciò precluda la loro libera scelta di essere rappresentate o assistite (art. 141 quater, par. 4, lett. b) cod. cons.). L’assenza della difesa tecnica può significare per il consumatore un abbassamento dei costi 25. A ciò si aggiunge

23 L’art. 141 ter cod. cons. individua anche questi soggetti come organismi ADR ai fini del-la direttiva, stabilendo che debbano possedere tutti gli ulteriori requisiti già previsti dall’art. 6, par. 3 della direttiva, ripreso quasi letteralmente.

24 Queste procedure non possono comunque essere qualificate come ADR ai sensi della di-rettiva, dal momento che la definizione di cui all’art. 4, par. 1, lett. g) è collegata alle caratteri-stiche indicate dall’art. 2, con esclusione di quelle accessibili al professionista.

25 Tuttavia non si può ritenere che il consumatore sia sempre in grado di agire da solo: a tal fine è quantomeno necessario che conosca i suoi diritti. Pertanto, non è certo che sia effettiva-mente sfruttata questa possibilità. Infatti, il consumatore potrebbe pur sempre avere bisogno di una consulenza legale al fine di capire meglio la sua situazione giuridica. Inoltre, è anche pos-sibile che la persona, pur essendo sufficientemente informata, non si senta in grado di agire da sola seppur in una procedura di carattere amichevole e non formale.

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il fatto che la procedura ADR è gratuita o disponibile per i consumatori a costi minimi, che dovrebbero essere simbolici (considerando n. 41; art. 141 quater, par. 3, lett. c) cod. cons.) 26, superando così il problema della rilevata spropor-zione fra costi del procedimento (giurisdizionale) e valore della causa 27.

Inoltre, al fine di garantire una libera scelta all’accesso agli organismi ADR, ed evitare che la parte debole sia costretta ad accettare un accordo sulla devo-luzione delle controversie a questi organismi al momento della stipula del con-tratto, la direttiva prevede che accordi siffatti non vincolino il consumatore (art. 10), se hanno l’effetto di privarlo di un ricorso giurisdizionale 28. L’effica-

26 Sulla base del principio di trasparenza, gli organismi ADR sono tenuti a rendere disponi-bili informazioni relative agli eventuali costi che le parti dovranno sostenere, comprese le nor-me sulla ripartizione delle spese al termine della procedura. La mediazione in Italia rischia di essere piuttosto onerosa, anche a seguito delle recenti riforme: A. MAFFEO, La compatibilità con il diritto dell’Unione europea della mediazione europea prevista dal D.L. “Del Fare”, consultabile sul sito: http://www.sidi-isil.org/sidiblog.

27 Sorge tuttavia il problema, non disciplinato dagli atti in esame, del finanziamento degli organismi ADR (M. BECKLEIN, op. cit., p. 238). Questo dovrebbe essere determinato negli atti nazionali di attuazione, ma una previsione sul punto è del tutto assente nel decreto legislativo italiano: l’art. 3 si limita a stabilire una clausola di invarianza finanziaria. Sussiste il rischio che le spese per il funzionamento dell’organismo siano ripartite come spese della procedura che devono essere sostenute da parte dei professionisti. Ciò potrebbe disincentivare questi ultimi dall’accettazione di queste procedure, oppure i costi potrebbero essere preventivamente ridi-stribuiti tramite l’innalzamento del prezzo dei beni e dei servizi prestati. A questi costi possono aggiungersi, soprattutto nei primi tempi di funzionamento di questi strumenti per l’assenza di prassi, quelli di accertamento della disciplina applicabile ai singoli organismi e di individua-zione di quello che più utilmente può conoscere la controversia, fattori che dipendono da una stratificazione di fonti non facilmente gestibile da un consumatore. Inoltre, possono permanere i costi per l’accertamento della legge applicabile e/o della legge della residenza abituale della parte debole, che non paiono variare a seconda che sia utilizzato un mezzo di risoluzione ami-chevole delle controversie, oppure adito un organo giurisdizionale. La scelta di uno strumento ODR di risoluzione delle controversie invece non dovrebbe aumentare ulteriormente i costi: ai sensi dell’art. 5, par. 1 la Commissione è responsabile per il suo finanziamento.

28 Sarebbero quindi ammesse clausole opzionali. In questo modo, si avrebbe la certezza della non abusività della clausola ai sensi della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in GUCE L 95 del 21 aprile 1993, p. 29 ss., dal momento che non si imporrebbe un arbitrato non disciplinato da disposizioni giuridiche, ai termini della lett. q) dell’allegato, e non sussisterebbe in ogni ca-so uno squilibrio di diritti e obblighi in capo alla parte debole. Una disposizione analoga era presente all’art. VI della raccomandazione 1998/257. Ciò è particolarmente importante nelle procedure che possono concludersi con una soluzione, dal momento che quest’ultima avrebbe effetti quanto all’accesso al giudice. Il decreto legislativo di recepimento della direttiva compie una scelta più limitata, nel senso di classificare espressamente come abusive le sole clausole che impongano al consumatore di rivolgersi esclusivamente ad un’unica tipologia di organismi

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cia della clausola è asimmetrica, proprio al fine di garantire la massima libertà contrattuale e la scelta dei mezzi di risoluzione della controversia al consuma-tore, mentre il professionista sarebbe tenuto a presentare un reclamo a un or-ganismo ADR tramite la piattaforma ODR.

In tale prospettiva, poi, un altro strumento predisposto per la tutela del con-sumatore è dato dalla cooperazione fra organismi ADR e autorità nazionali preposte all’attuazione degli atti giuridici dell’Unione sulla tutela dei consu-matori. Per questo tramite, si intende rendere più efficace l’applicazione del diritto dell’Unione in materia di consumo, grazie allo scambio delle migliori prassi e delle conoscenze tecniche, nonché la discussione delle eventuali pro-blematiche legate al funzionamento delle procedure ADR. Particolare riguardo dovrà essere dato a quei settori commerciali in cui i consumatori hanno pre-sentato più frequentemente reclami (art. 17). Nell’attuazione italiana, l’art. 141 septies cod. cons. si limita a porre gli stessi obblighi alle autorità competenti, nel rispetto delle norme interne in materia di privacy e del segreto commercia-le e professionale.

Un ulteriore aspetto interessante attiene, infine, alla legge applicabile alla controversia. La direttiva ADR non incide sulla disciplina materiale del contrat-to di consumo, né sulle norme di conflitto di cui al regolamento 593/2008 29. L’art. 11 della direttiva specifica che, se la procedura ADR è destinata a com-porre la controversia, non può essere portato pregiudizio alle disposizioni in-derogabili della legge della residenza abituale del consumatore 30, che si tratti di controversie sia interne, sia transfrontaliere.

Nonostante il livello minimo di protezione garantita, non si tratta di una tutela particolarmente più elevata rispetto a quella che già si otterrebbe davanti a un or-gano giurisdizionale. Anzi, nel caso in cui l’organismo sia chiamato a decidere

ADR o ad un unico organismo ADR. Non è quindi sanzionata l’obbligatorietà, quanto l’esclu-sività nella scelta di determinati organi. A. ALBANESE, Dalla giurisdizione alla conciliazione. Riflessioni sulla mediazione nelle controversie civili e commerciali, in Europa dir. priv., 2012, p. 241, ritiene che questi accordi per l’utilizzo di strumenti ADR non siano assimilabili a clau-sole di proroga del foro, dal momento che la conciliazione non è finalizzata alla risoluzione della controversia in forza della legge.

29 Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), in GUUE L 177 del 4 lu-glio 2008, p. 6 ss.

30 Tuttavia, garantire a priori una tutela sostanziale al consumatore potrebbe nuocere alla dialettica fra le parti e al raggiungimento di una soluzione concordata, dal momento che la par-te debole potrebbe in ogni caso far riferimento al “nocciolo duro” di diritti garantiti, senza riu-scire ad avvicinarsi alle posizioni della controparte.

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secondo equità, diviene complesso trovare il corretto contemperamento di questa con l’applicazione delle norme di diritto, venendo forse meno il senso di una so-luzione equitativa basata su motivazioni non solo strettamente giuridiche 31.

In assenza di conflitto la fattispecie è disciplinata dall’unica legge rilevan-te, quindi la direttiva si limita a riaffermare una circostanza certa anche in sede giurisdizionale 32. Negli altri casi, si applicherà o la legge sostanziale preventi-vamente determinata e comunicata dall’organismo ADR, o il sistema di con-fitto del regolamento 593/2008. La prima ipotesi potrebbe essere interpretata come una scelta di legge applicabile (art. 6, regolamento 593/2008): il consen-so all’accesso all’organismo ADR da parte del consumatore comporta la cono-scenza e l’accettazione delle informazioni rese pubbliche dallo stesso organi-smo, ai sensi dell’art. 7 della direttiva, ivi compresa la legge applicata. Il con-fronto fra le formulazioni letterali dell’art. 6 del regolamento 593/2008 e del-l’art. 11 della direttiva ADR conferma che quest’ultima sostanzialmente rical-ca nei suoi contenuti il primo, in caso di scelta; in assenza, è comunque appli-cabile legge della residenza abituale del consumatore 33. La disposizione della direttiva non ha pertanto alcun contenuto peculiare rispetto ai regolamenti in materia di cooperazione giudiziaria civile. Nel decreto italiano di attuazione, pertanto, non sono contenute norme relative alla legge applicabile e alla prote-zione minima da assicurare al consumatore.

V. La direttiva e il regolamento intendono disciplinare gli aspetti più sensi-bili individuati dalla Commissione nell’ambito dell’attuale sistema di risolu-

31 L’individuazione di un punto di equilibrio è resa ancora più difficile per il fatto che le persone fisiche incaricate dell’ADR possono avere anche solo una “comprensione generale del diritto” (art. 6, par 1, lett. a)). Critici: M. STÜRNER, ADR and Adjudication by State Courts: Competitors or Complements?, in The Role of Consumer ADR, cit., p. 27, e, sulla base del-l’attuazione italiana della direttiva sulla mediazione: N.G. TROCKER, La direttiva CE 2008/52 in materia di mediazione: una scelta per il rinnovamento della giustizia civile in Europa, in N.G. TROCKER, A. DE LUCA (a cura di), La mediazione civile alla luce della direttiva 2008/ 52/CE, Firenze, 2011, p. 188.

32 Si noti che l’assenza di conflitto di leggi può essere interpretata in modo diverso dalla definizione della direttiva di situazione nazionale. Quest’ultima attiene infatti solamente alla residenza delle parti contraenti, ma potrebbero sussistere altri elementi di transnazionalità che causano un conflitto di leggi, come il luogo della consegna del bene o della prestazione del servizio. Inoltre, potrebbe essere presente una scelta di legge (art. 3, regolamento 593/2008).

33 Invece, nessuna tutela viene offerta al consumatore che non soddisfa le condizioni di ap-plicazione dell’art. 6, regolamento 593/2008, per il quale la determinazione della legge appli-cabile avviene in forza dei criteri generali, con una preferenza per la legge della residenza abi-tuale del prestatore caratteristico, il professionista.

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zione extragiudiziale delle controversie. Quest’ultimo viene migliorato ren-dendo le procedure ADR/ODR accessibili, agevoli, rispettose di uno standard minimo riferibile all’equo processo, e conoscibili. Indipendentemente dalle spe-cifiche modalità di attuazione nei singoli Stati membri, la posizione del con-sumatore a seguito dell’insorgere della controversia dovrebbe risultare raffor-zata.

Tuttavia, alcune caratteristiche evidenziate finora potrebbero depotenziare gli effetti positivi di questi strumenti, nell’ottica sia della tutela del consuma-tore, sia del rafforzamento del mercato interno.

In primo luogo, la stratificazione delle fonti – fra diritto dell’Unione euro-pea, norme nazionali di attuazione e regolamentazione dei singoli organismi – che disciplineranno gli organi e le procedure ADR rende difficile la compren-sione da parte del consumatore della relativa regolamentazione. Inoltre, la contestuale – e legittima – presenza di organismi non certificati ADR potrebbe creare confusione al consumatore sulla competenza di ciascuno e sull’oppor-tunità di rivolgersi all’uno o all’altro organo, a meno che non sia assistito da un consulente o almeno un’associazione dei consumatori. La scelta informata può essere onerosa, in parte in termini di costi, ma soprattutto in termini di tempo.

In secondo luogo, il margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri è ampio. Già non è chiaro un elemento fondamentale, cioè se la costituzione di que-sti organismi sia obbligatoria in tutti gli Stati membri. Se è vero che questi ultimi «agevolano l’accesso alle procedure ADR da parte dei consumatori e garantisco-no che le controversie (…) possano essere presentate a un organismo ADR (…)» (art. 5, par. 1), l’obbligo è ottemperato anche se gli Stati facciano “ricorso agli or-ganismi ADR stabiliti in un altro Stato membro ovvero organismi regionali, transnazionali o paneuropei di risoluzione delle controversie” (art. 5, par. 3). Nemmeno l’Impact Assesment che accompagna la Proposta di direttiva 34 era par-ticolarmente chiaro in tal senso, indicando che gli Stati membri devono rendere available questi strumenti, ma che rientra nella loro responsabilità assicurare il full coverage, pur non incidendo la direttiva sulle diversità degli attuali schemi di ADR già esistenti, fra cui the geographical coverage

35. Solo il considerando n. 26

34 Commission Staff Working Paper Impact Assessment Accompanying the document Pro-posal for a Directive of the European Parliament and of the Council on Alternative Dispute Resolution for consumer disputes (Directive on consumer ADR) and Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on Online Dispute Resolution for consumer disputes (Regulation on consumer ODR), del 29 novembre 2011, SEC(2011)1408 final.

35 A p. 37 un passaggio sembra in effetti oscillare fra l’obbligatoria istituzione di strumenti

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della direttiva sembra essere più definito nell’imposizione di un obbligo specifico in capo agli Stati membri. Pare allora dedursi che la creazione di organismi ADR nazionali non sia obbligatoria 36, purché sia assicurata la copertura totale e l’acces-so a questi organismi: sembrerebbe sufficiente ammettere, ad esempio, la compe-tenza di una delle strutture individuate nell’art. 5, par. 3. Questo carattere facolta-tivo costituirebbe un limite importante all’efficacia delle procedure ADR. Infatti, se taluni Stati membri non istituissero al proprio interno organismi ADR, il con-sumatore dovrebbe accedere a quelli istituiti in Stati diversi dal proprio. Ciò pre-senterebbe gli stessi svantaggi dell’instaurazione di un procedimento giurisdizio-nale all’estero, ovvero la lontananza dalla propria residenza, l’uso di una lingua diversa, le difficoltà di comunicazione e informazione, i conseguenti maggiori co-sti. Essendo ormai pacificamente accettato che il consumatore è disincentivato proprio per questi motivi ad agire in via giurisdizionale all’estero 37, alla stessa conclusione si deve pervenire se il sistema di tutela è stragiudiziale. L’interessato avrebbe due alternative: un procedimento giurisdizionale da esperire nello Stato membro del proprio domicilio, o una procedura ADR altrove. Poiché l’attuale e-sperienza già dimostra che la prima possibilità è poco utilizzata 38, e la seconda

ADR in tutti gli Stati membri e la mera accessibilità di questi meccanismi: «The third policy option consists of a framework Directive. It will require Member States to make ADR availa-ble for all domestic and cross-border consumer disputes (covering all retail business sectors and territory). This option requires full ADR coverage for all consumer complaints but it does not predefine how to fill the existing gaps. It is up to Member States to find the most appropri-ate way to ensure full coverage. The diversity of existing ADR schemes across the EU (regard-ing the funding structures, the geographical coverage, the sectoral or cross-sectoral coverage and the nature of the ADR and its decisions) will be respected. It will be left to Member States to decide how to make ADR available. This could be achieved by creating cross-sectoral single ADR schemes (e.g. as the Ombudsman in Greece, the Consumer Complaints Board in Sweden or in Estonia), umbrella schemes consisting of different sectoral boards (e.g. Netherlands) or by creating separate ADR schemes for each sector».

36 M. OWSIANY-HORNUNG, op. cit., p. 97. 37 Per questo motivo il Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000,

concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in GUCE L 12 del 16 gennaio 2001, p. 1 ss. e il Regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (rifusione), in GUUE L 351 del 20 dicembre 2012, p. 1 ss. stabiliscono titoli di giurisdizione orientati al principio di prossimità a favore del consumatore.

38 Approfondite analisi di questo tipo sono contenute in: European Commission, Qualitati-ve Study “Consumer redress in the European Union: consumer experiences, perceptions and choices. Aggregated report”, dell’agosto 2009, consultabile sul sito: http://ec.europa.eu. Pro-prio ragioni legate ai costi e ai tempi delle procedure giudiziarie, il ricorso giurisdizionale po-trebbe del tutto non essere iniziato; la disponibilità di un sistema alternativo di risoluzione del-

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presenta gli inconvenienti indicati, si rischierebbe che l’interessato rinunci ancora ad agire.

Solo la piattaforma ODR potrebbe ridurre la percezione delle distanze: la telematicità del procedimento rende meno importante la sede e la tipologia del-l’organismo ADR competente, sebbene ciò non sia sufficiente ad eliminare la barriera linguistica 39.

In terzo luogo, l’apertura alle situazioni puramente interne non costituisce una scelta necessitata nell’ottica del mercato interno. Lo stimolo agli scambi transfrontalieri non si realizza garantendo analogo trattamento alle due situazio-ni, interna e transnazionale: il consumatore potrebbe non percepire alcuna con-venienza nella conclusione di contratti transfrontalieri. Non è creato infatti alcun vantaggio per questi ultimi, poiché non si beneficia di alcuna condizione di fa-vore. Anzi, il consumatore continuerà a percepire più pratica e vantaggiosa la conclusione di un contratto interno 40. La disparità di trattamento che si sarebbe creata limitando il campo di applicazione della direttiva e del regolamento ai rapporti transnazionali avrebbe potuto essere giustificata a livello dell’Unione europea dalla diversità oggettiva delle due situazioni 41 – rapporti interni e con-tratti transfrontalieri – nell’ottica del sostegno al mercato interno 42.

la controversia diventa quindi fondamentale per la tutela del diritto: E. SEVERIN, What Place is there for Civil Mediation in Europe?, in G. ALPA, R. DANOVI (a cura di), La risoluzione stra-giudiziale delle controversie e il ruolo dell’avvocatura, Milano, 2004, p. 249.

39 V. infra, par. 9. 40 La maggiore semplicità attiene, ad esempio, all’uso della propria lingua, alla più facile

accessibilità a informazioni riguardanti l’oggetto del contratto e il contraente stesso, alle minori spese di spedizione del bene acquistato a distanza.

41 Nella discussione della proposta, parte della dottrina (I. BENÖHR, cit., p. 7) ha dubitato della correttezza della scelta della base giuridica. Questa si rinviene nell’art. 114 TFUE, che fa solo riferimento al mercato interno, quale spazio senza frontiere, nel quale è assicurata la libera circolazione (art. 26 TFUE). La prospettiva transfrontaliera è confermata dall’art. 169 TFUE, par. 1 e par. 2 lett. a), richiamati nei considerando n. 1 dei due atti. Pertanto, l’adozione di mi-sure che incidano sul mercato nazionale non dovrebbe avvenire in forza di queste disposizioni. Sarebbe stato formalmente più corretto l’uso, come base giuridica, dell’art. 169, par. 2, lett. b) TFUE, che non fa alcun riferimento al mercato interno e che consente l’adozione di misure di sostegno della politica nazionale, come appunto potrebbe essere questa direttiva che stimola gli Stati alla creazione di procedure ADR.

42 Pertanto, la direttiva ADR avrebbe potuto efficacemente avere un campo di applicazione limitato ai soli rapporti transfrontalieri (F. GASCÓN INCHAUSTI, Specific Problems of Cross-Border Consumer ADR: What Solutions?, in The Role of Consumer ADR, cit., p. 36). In questo caso, la base giuridica corretta sarebbe stata l’art. 81, par. 2, lett. g) che fa espresso riferimento allo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie. La stessa direttiva sulla mediazione si fonda sugli artt. 61 e 67 TCE, si applica ai soli rapporti transfrontalieri e gli Stati

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Ancora relativamente all’ambito di applicazione, l’accesso a queste proce-dure da parte del solo consumatore non sembra sempre utile. Quest’ultimo po-trebbe avere in ogni caso interesse a che la controversia sia devoluta a un or-gano stragiudiziale, anche se come parte “convenuta”, al fine di giungere a una soluzione in tempi rapidi e senza i costi della difesa tecnica e del proce-dimento giurisdizionale. Non è chiaro, pertanto, perché gli organismi di riso-luzione amichevole delle controversie, che devono essere dotati dei caratteri di trasparenza, indipendenza e imparzialità indicati dalla direttiva, e il cui inter-vento deve comunque essere accettato dal consumatore, non possano trattare reclami da parte dei professionisti. Il divieto della direttiva si pone inoltre in contraddizione con la possibilità che è invece offerta dal professionista nel-l’ambito del regolamento.

Inoltre, ai sensi dell’art. 5, par. 6, non è nemmeno necessario garantire la competenza di un altro organismo ADR, quando il primo richiesto rifiuti di trattare la controversia sulla base di alcuni motivi armonizzati: l’art. 5, par. 4 fa espresso riferimento alla discrezionalità statale nel mantenimento o nell’in-troduzione di norme procedurali che consentano agli organismi ADR di rifiu-tare il trattamento di una controversia. I motivi che sarebbero assimilabili all’i-nammissibilità del ricorso giurisdizionale possono non essere gli stessi nem-meno nel medesimo Stato. Questo significa che non è garantito un “diritto al reclamo” paragonabile al diritto all’accesso a un’autorità giurisdizionale. L’at-tuazione italiana non supera questi inconvenienti, essenzialmente riproponen-do la lettera delle disposizioni della direttiva (art. 141 bis cod. cons.).

Infine, la mancanza di disciplina uniforme può costituire un limite di que-ste procedure, nel momento in cui si intenda far valere l’eventuale efficacia esecutiva della soluzione e vi siano implicazioni transnazionali 43. Il problema

membri possono stabilire di estenderne l’ambito anche alle fattispecie interne. Questa scelta avrebbe potuto essere compiuta anche per gli atti in esame. Una giustificazione dell’avvenuta scelta di una base giuridica differente per quanto attiene ai rapporti transnazionali potrebbe es-sere rinvenuta nel fatto che la direttiva del 2008 è di applicazione generale, non limitata ai rap-porti B2C, e la protezione del consumatore potrebbe giustificare la preferenza accordata nella direttiva ADR all’art. 114 TFUE, in connessione con l’art. 169, richiamato fin dai primi consi-derando. Tuttavia, come noto, le disposizioni sulla cooperazione giudiziaria civile hanno con-sentito di adottare norme a favore di una parte debole, fra cui lo stesso consumatore (si pensi al solo art. 6 del regolamento 593/2008). Pertanto i nuovi atti dell’Unione avrebbero potuto esse-re fondati sulla stessa base giuridica, con una menzione all’art. 169 per sottolineare la politica di tutela del consumatore.

43 Invece, le decisioni assunte da un’autorità giurisdizionale possono essere facilmente ese-guite in tutti gli Stati membri in forza dei regolamenti 44/2001 e 1215/2012. Poiché la direttiva

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dovrebbe sorgere raramente, trattandosi di una composizione degli interessi raggiunta e/o accettata dalle parti, ma non può essere escluso a priori 44. Non si ritiene che questi accordi o decisioni possano essere qualificati come atti pubblici o decisioni giudiziarie ai sensi dell’art. 58 regolamento 1215/2012, se non confermati od omologati da una decisione di un autorità giurisdizionale 45. L’uso di questi strumenti dipende tuttavia dalle scelte effettuate nelle singole legislazioni nazionali di attuazione.

Anche l’incisività degli obblighi di informazione dipende in larga misura dalle decisioni che saranno assunte dagli Stati in sede di trasposizione. Nella direttiva, le modalità indicate sono idonee a garantire la conoscenza di un con-sumatore che ha già riscontrato problemi nell’esecuzione del contratto, nel momento in cui si rivolge a un’associazione specializzata. È solo in quella se-de che troverà tutte le informazioni di cui necessita. Tuttavia, solo se esiste una generale informazione sull’esistenza di queste procedure fin dal momento della conclusione del contratto, il consumatore può operare una scelta total-mente consapevole. Volendo incidere sulla quantità e sulla qualità delle infor-mazioni a disposizione del consumatore in questa fase preliminare, gli Stati membri potrebbero superare queste prescrizioni minime nell’attuazione della direttiva. Ciò sarebbe piuttosto agevole individuando ulteriori strumenti di in-formazione diffusa, come la stampa, o alcuni siti web molto utilizzati (Yahoo, Tiscali, Facebook …), attraverso i quali può darsi notizia, magari anche som-maria, dell’esistenza di questi strumenti. Il legislatore italiano non ha compiu-to questa scelta: gli oneri informativi sono essenzialmente rimessi alle asso-ciazioni dei consumatori e ai professionisti che accettino procedure ADR (art. 161 sexies cod. cons.) 46.

L’obiettivo di informazione preventiva viene raggiunto meglio nell’ambito del regolamento, grazie al tipo di strumento utilizzabile. Il professionista può inserire appositi link o banner nelle pagine di presentazione dei prodotti e dei

sulla mediazione richiede agli Stati di assicurare l’esecutività della soluzione raggiunta, il pro-blema sembra meno rilevante nell’ambito di applicazione di questo atto. Tuttavia, deve sussi-stere l’accordo delle parti. Si veda: G. ROSSOLILLO, I mezzi alternativi di risoluzione delle con-troversie (ADR) tra diritto comunitario e diritto internazionale, in questa Rivista, 2008, p. 349.

44 N. CREUTZFELD-BANDA, cit., p. 367, fornisce dati statistici anche sulla mancata volontaria esecuzione dell’accordo e il quadro non è sempre positivo.

45 H. GAUDEMET-TALLON, Compétence et exécution des jugements en Europe, Paris, 2010, p. 496. Sulle difficoltà di esecuzione (nazionale e internazionale) degli accordi di mediazione ai sensi della direttiva del 2008: G. PALAO MORENO, Enforcement of foreign mediation agree-ments within the European Union, in Boundaries, cit., p. 79.

46 Come già era stato suggerito da: V. VIGORITI, Europa e Mediazione. Problemi e soluzio-ni, in Contratto Impresa/Europa, 2011, p. 85.

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servizi offerti, nel c.d. carrello dell’acquirente e/o nelle pagine di conferma dell’ordine. È interesse specifico del professionista pubblicizzare sul proprio sito l’adesione a uno strumento ODR in modo chiaro ed evidente, come se fos-se un servizio aggiuntivo a garanzia della qualità della sua offerta. Lo stesso effetto non è invece assicurato dall’altro strumento suggerito dal regolamento, cioè l’informazione contenuta nelle condizioni generali di vendita. Come di-mostrano la pratica e addirittura la giurisprudenza della Corte di giustizia 47, l’adesione del consumatore alle condizioni generali avviene spuntando la ca-sella di accettazione, normalmente senza la lettura delle condizioni medesime. Non è possibile quindi affermare in via generale che queste clausole, per quanto conoscibili, siano concretamente conosciute.

VI. L’utilizzo di strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie non deve arrecare pregiudizio al diritto a un ricorso effettivo davanti a un giudice imparziale, dal momento che l’organismo ADR non può sostituire l’autorità giudiziaria. Il considerando n. 45 assume quindi che la direttiva non contenga alcun elemento che possa impedire alle parti di accedere a un organo giurisdizionale, se la controversia non può essere risolta secondo una procedura ADR il cui esito non sia vincolante. Analogamente, il consideran-do n. 26 del regolamento ODR ribadisce il diritto fondamentale all’accesso al giudice. A tal fine, l’art. 12 della direttiva stabilisce che la presentazione di un ricorso presso un’autorità giurisdizionale non deve essere impedita per motivi attinenti alla scadenza di termini di prescrizione o di decadenza du-rante la procedura ADR 48. Spetta agli Stati membri trovare l’equilibrio fra la necessità di stimolare il ricorso a mezzi di composizione amichevole delle controversie e diritto all’equo processo ai sensi dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Sempre in quest’ottica si può iscri-vere il considerando n. 49 della direttiva, secondo il quale i professionisti dovrebbero essere incoraggiati all’uso di questi strumenti, tanto che gli Stati potrebbero rendere queste procedure obbligatorie e il loro esito vincolante per questi ultimi, purché non sia pregiudicato il diritto di accedere al sistema

47 Corte giust. 5 luglio 2012, C-49/11, Content Services, ECLI:EU:C:2012:419; 21 maggio 2015, C-322/14, El Majdoub, ECLI:EU:C:2015:334.

48 L’art. 141 quinquies cod. cons. stabilisce che la presentazione della domanda di compo-sizione amichevole presso un organismo ADR produce gli stessi effetti di una domanda giudi-ziale sulla prescrizione. In caso di fallimento della procedura extragiudiziale, i termini di pre-scrizione e di decadenza decorrono nuovamente dalla data di comunicazione alle parti della mancata definizione della controversia.

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giudiziario secondo le garanzie processuali stabilite dalla Carta 49. Il carattere obbligatorio della procedura ADR pare però porsi in contraddi-

zione con la definizione di procedura ADR fornita dalla direttiva 50, il cui art. 1 fa espresso riferimento alla volontarietà nell’accesso a questi strumenti. Oltre all’assenza dell’elemento consensuale, l’esperimento del tentativo di composi-zione amichevole non garantisce la buona fede e gli sforzi delle parti nella ri-cerca di una soluzione condivisa 51. In queste circostanze, il tentativo di com-

49 Secondo il considerando n. 49 della direttiva ADR, la mancata partecipazione alle proce-dure ADR può essere soggetta a sanzioni, da determinarsi da parte degli Stati membri. Nell’at-tuazione italiana non sono state previste. Nell’ordinamento inglese, questa formula ha dato luogo a decisioni criticabili, che hanno ripartito le spese giudiziarie in considerazione del rifiu-to della mediazione, senza considerare le posizioni delle parti e la legittimità del rifiuto stesso. Si veda più approfonditamente: N. ANDREWS, The Duty to Consider Mediation: salvaging Va-lue from the European Mediation Directive, in La mediazione civile alla luce della direttiva 2008/52/CE, cit., p. 30. Relativamente alla direttiva sulla mediazione, lo studio del Directorate General For Internal Policies, Citizens’ Rights and Constitutional Affairs, “Quantifying the cost of not using mediation – a data analysis”, PE 453.180, 2011, consultabile sul sito: http://www.europarl.europa.eu, indica alcuni ulteriori strumenti di promozione della composi-zione stragiudiziale delle controversie, quali incentivi fiscali, il rimborso delle spese sostenute per la mediazione, la facoltà per il giudice di assegnare le parti alla mediazione.

50 Sul punto, in relazione alla direttiva sulla mediazione: N. ANDREWS, op. cit., p. 14; M.R. FERRARESE, Formante giudiziario e mediazione: confluenze e differenze, in La mediazione civi-le alla luce della direttiva 2008/52/CE, cit., p. 5; S. WHITE, Directive 2008/52 on Certain Aspects of Mediation in Civil and Commercial Matters: A New Culture of Access to Justice?, in Arbitration, 2013, p. 55; L. GAROFALO, ADR e diritto di accesso alla giustizia: il difficile raccordo fra modello europeo e modello italiano di media-conciliazione obbligatoria, in Studi int. europ., 2014, p. 247. Il carattere obbligatorio dell’esperimento di un tentativo di concilia-zione è già stato giudicato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea compatibile con il dirit-to all’equo processo, in quanto, pur dilazionando nel tempo il momento in cui può essere adito un organo giurisdizionale, si pone i legittimi obiettivi di definire più speditamente le contro-versie e di decongestionare i tribunali, i quali sono di interesse generale (Corte giust. 18 marzo 2010, C-317/08 e a., Alassini e a., I-2213 ss.). La Corte ha altresì indicato alcuni elementi per la valutazione del rispetto dei principi di effettività ed equivalenza. Di recente la Corte è stata chiamata a valutare la legittimità del carattere obbligatorio della mediazione in alcune contro-versie, stabilito dalla legge italiana, ma ha ritenuto che la domanda non fosse più rilevante a seguito della sentenza Corte cost. 24 ottobre 2012, n. 272, che ne dichiara l’illegittimità costi-tuzionale. Pertanto, il procedimento davanti ai giudici del Lussemburgo si è concluso con un non luogo a statuire (Corte giust. 27 giugno 2013, C-492/11, Di Donna, ECLI:EU:C:2013:428). La mediazione è nuovamente qualificata come condizione di procedibilità della domanda giudi-ziaria dall’art. 84, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, GURI, 21 giugno 2013, suppl. ord. n. 50, p. 1 (convertito con L. 9 agosto 2013, n. 98, GURI, 20 agosto 2013, suppl. ord. n. 63). L’art. 141, par. 6 cod. cons. fa salva l’obbligatorietà di talune ulteriori procedure extragiudiziali ivi indicate.

51 J. TOULMIN, Cross-border mediation and civil proceedings in national courts, in ERA Forum, 2009, p. 561.

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posizione amichevole della controversia potrebbe costituire soltanto un pas-saggio ulteriore e preventivo per la sua risoluzione definitiva presso un organo giurisdizionale, quasi una sorta di “pre-primo” grado di giudizio 52.

In assenza di consenso, inoltre, mancano del tutto criteri assimilabili a titoli di giurisdizione per la determinazione della competenza di un organismo ADR/ ODR. Parte della dottrina 53, con la quale non si concorda, interpreta l’art. 5, par. 1 come una norma attributiva di competenza all’organo ADR dello Stato di stabilimento del professionista. Se la disposizione enunciasse un criterio di competenza, l’intero sistema sarebbe scarsamente effettivo: nelle controversie transfrontaliere ai sensi della direttiva, il consumatore dovrebbe rivolgersi ad organi molto probabilmente non prossimi al proprio domicilio. Ad avviso di chi scrive, l’art. 5, par. 1 esprime solamente il principio dell’accessibilità a meccanismi di questo tipo. Spetterebbe agli Stati membri stabilire criteri di competenza qualora il ricorso a procedure stragiudiziali fosse obbligatorio. Sebbene il principio di prossimità non sia esplicitato negli atti in esame, do-vrebbe essere mantenuto lo stretto collegamento tra controversia e consumato-re, che non corrisponde necessariamente al principio della facilità all’accesso e che viene invece costantemente ricercato negli atti dell’Unione europea nel settore della cooperazione giudiziaria civile. Per il consumatore, la competen-za di un organo stragiudiziale che non è stabilito nel proprio Stato membro po-trebbe essere un forte deterrente alla presentazione di un reclamo, percependo gli stessi svantaggi di una procedura giurisdizionale all’estero 54. Si noti che il decreto legislativo italiano di attuazione della direttiva non disciplina questo aspetto 55.

La conclusione può essere parzialmente diversa nell’ambito del regolamen-to ODR. Se si pensa a piattaforme di acquisto on-line, come ad esempio il Marketplace di Amazon, o eBay, la contemporanea visualizzazione sulla pagi-

52 N.R. CLIFT, The Phenomenon of mediation: judicial perspectives and an eye on the fu-ture, in Jour. Intern. Maritime Law, 2009, p. 508; R. CAPONI, Agreements Resulting from Me-diation: Judicial Review, Avoidance, and Enforcement, in The Role of Consumer ADR, cit., p. 149; N.G. TROCKER, op. cit., p. 180; V. VIGORITI, cit., p. 89.

53 M. OWSIANY-HORNUNG, op. cit., p. 100. 54 V.M. STÜRNER, ADR and Adjudication by State Courts: Competitors or Complements?, in

The Role of Consumer ADR, cit., p. 21. È quindi suggerito un approccio internazionalprivatistico: J. KOTZUR, A Conflict-of-Laws Approach for Cross-Border ADR?, ivi, p. 59. Si tratta di conside-razioni analoghe al caso in cui non si istituiscano procedure ADR in tutti gli Stati membri.

55 L’assenza di norme sulla competenza territoriale nella legge italiana di attuazione della direttiva sulla mediazione (D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, in GURI 5 marzo 2010, n. 53) ha già sollevato alcuni problemi: A. ALBANESE, op. cit., p. 242.

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na del prodotto di un link, di un banner, o di un richiamo alla piattaforma ODR potrebbe rendere del tutto irrilevante la sede del professionista: è stato trovato il bene desiderato, sono presenti informazioni relative alle sue caratte-ristiche, è indicato il prezzo, lo strumento di risoluzione di eventuali contro-versie è pubblicizzato. L’acquisto on-line su questi siti, non ricollegati a un marchio, riduce le distanze, che a questo punto permangono eventualmente solo per le spese e i tempi di spedizione. Il rapporto transnazionale può con-fondersi con quello interno, e l’esistenza di una piattaforma ODR aumenta questa assimilazione 56. Almeno in questi casi le differenze fra contratto inter-no e transnazionale potrebbero non essere percepite, a ciò contribuendo l’im-materialità dello strumento con cui avviene l’acquisto. Tuttavia, in assenza di disposizioni chiare, precise e basate sul principio di prossimità a favore del consumatore, si corre comunque il rischio che il reclamo sia trattato da un or-ganismo che: a. non pratichi la lingua madre del consumatore, in quanto aven-te sede nello Stato di stabilimento del professionista; il regolamento ODR im-pone solo che gli organismi ADR indichino la lingua nella quale accettano i reclami, e nel modulo di reclamo devono essere indicate la lingua del recla-mante e della parte convenuta; b. non conosca con precisione il diritto dello Stato del consumatore, che deve comunque essere applicato, almeno limitata-mente alle disposizioni imperative.

Qualora la procedura sia volta a fornire una soluzione alla controversia, so-no stabilite ulteriori tutele, necessarie al fine di rendere le parti edotte degli ef-fetti della soluzione proposta e dei suoi rapporti con il sistema giurisdizionale. Così, prima dell’avvio della procedura, le parti devono essere informate della possibilità di ritirarsi in qualsiasi momento, se non sono soddisfatte delle pre-stazioni o del funzionamento della procedura. Inoltre, prima di accettare la so-luzione proposta, devono essere trasmesse comunicazioni sugli effetti del-l’esito della procedura amichevole, come la circostanza che le parti sono libere di scegliere se seguire quanto proposto, il fatto che non è preclusa la possibili-tà di chiedere un risarcimento attraverso un normale procedimento giudiziario, e che l’esito di quest’ultimo potrebbe essere diverso dalla soluzione proposta in via amichevole. Le parti devono inoltre essere ragguagliate sugli effetti giu-ridici dell’esito suggerito e devono disporre di un lasso di tempo ragionevole di riflessione quanto all’opportunità dell’accettazione 57. Qualora, conforme-

56 Un’analoga confusione di fatto è meno facile per acquisti su siti propri di un’impresa, poiché può esserne nota a priori la sede.

57 Anche per questa parte, l’art. 141 quater, par. 5 cod. cons. si limita a riproporre la disposi-zione come formulata nella direttiva, imponendo agli organismi ADR di rispettare questi obblighi.

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mente al diritto nazionale, le procedure ADR prevedano che il loro esito di-venti vincolante per il professionista una volta che il consumatore abbia accet-tato la soluzione proposta, queste garanzie sono applicabili solo a quest’ul-timo. Pertanto le parti dovrebbero aver chiaramente compreso la portata e gli effetti dell’accettazione della soluzione. In ogni caso, la sola partecipazione alla procedura amichevole non può arrecare pregiudizio al diritto di accesso a un’autorità giudiziaria: la mancata accettazione della proposta lascia del tutto impregiudicato il diritto di presentare un ricorso giurisdizionale.

L’accesso alla giustizia dovrebbe essere garantito anche qualora la proce-dura si sia conclusa positivamente, ma la direttiva ADR non disciplina in det-taglio questo aspetto, che rimane quindi nella competenza degli Stati membri. L’art. 6 della direttiva sulla mediazione del 2008 prevede solo che gli Stati membri assicurino l’esecutività del contenuto dell’accordo scritto raggiunto all’esito della procedura. Fuori dal campo di applicazione di questo atto, per-mane la totale discrezionalità degli Stati membri; ai sensi dell’art. 7, par. 1, lett. o) gli organismi ADR sono tenuti unicamente a rendere disponibili le in-formazioni riguardanti l’eventuale esecutività della decisione 58. L’art. 141 quater, par. 1, lett. q) cod. cons. si limita a ribadire quest’obbligo.

Nell’ordinamento italiano, l’accordo fra le parti dovrebbe essere qualificato come una transazione ai sensi dell’art. 1965 c.c. e sarebbe eventualmente an-nullabile nei limiti stabiliti dalla disciplina di questo contratto. Solo se l’orga-nismo ADR ha risolto la controversia, con una soluzione vincolante ex lege o accettata fra le parti, si pone dunque la questione della sua esecutività.

In ogni caso, il ricorso giudiziario potrebbe rendersi necessario quando una si ritiri dalla procedura 59, oppure la soluzione non sia accettata, oppure infine se, nonostante l’accettazione, una parte (normalmente il consumatore) intenda ottenere un risarcimento del danno più consistente (art. 9, par. 2). In queste

58 Secondo parte della dottrina dovrebbero esser rese pubbliche anche le decisioni prese da questi organi, al fine di far comprendere meglio alle parti cosa possono ragionevolmente atten-dersi da una procedura siffatta (J. HÖRNLE, op. cit., p. 197). Ciò dovrebbe essere in qualche modo contemperato con la tipica riservatezza di queste procedure. L’art. 141 quater, par. 2 cod. cons. prevede che gli organismi ADR predispongano relazioni annuali d’attività con con-tenuti minimi predeterminati.

59 Anche in questo caso il comportamento della parte potrebbe non essere ispirato alla buo-na fede, dal momento che, pur essendo limitati i motivi per il ritiro, non vi è un controllo. At-teggiamenti opportunistici, in questo come negli altri casi, potrebbero essere sanzionati una volta presentato il ricorso giudiziario, ma sarebbe necessario un intervento legislativo a tal fine, tuttavia assente nell’attuazione italiana della direttiva. L’eventuale sanzione dovrebbe essere pur sempre bilanciata con il diritto di accesso a un giudice, che non deve essere disincentivato per il timore di essere soggetto a conseguenze negative.

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ipotesi, si rischia di allungare ulteriormente i tempi necessari per il raggiungi-mento di una soluzione definitiva.

VII. Le specifiche disposizioni considerate nell’ambito della tutela del con-sumatore sembrano favorirlo rispetto a un procedimento giurisdizionale per quanto attiene a taluni costi della procedura, ai tempi per la conclusione del procedimento 60, e agli effetti derivanti dalla cooperazione fra organismi. Que-sti fattori possono costituire un incentivo all’uso di mezzi stragiudiziali rispet-to all’ordinario procedimento giurisdizionale. Il vantaggio potrebbe essere percepito come più importante nelle controversie transfrontaliere che in quelle interne, per le maggiori difficoltà che si ritengono esistenti nella risoluzione delle prime, e quindi diminuendo fin dall’origine le perplessità a entrare in un rapporto contrattuale con un professionista stabilito in un altro Stato membro.

Le scelte che il consumatore compie nel momento in cui sorgono problemi nell’esecuzione del contratto dipendono dal grado e dalla qualità delle infor-mazioni in suo possesso 61. A parità di circostanze, nel procedimento giurisdi-zionale il consumatore è tutelato tramite l’attribuzione di competenza al giudi-ce del luogo della sua residenza abituale, che, dal punto di vista sostanziale, applica la lex fori, salve talune eccezioni: la controversia transnazionale è trat-tata come una situazione puramente interna dal punto di vista del consumato-re. Inoltre, una significativa riduzione dei tempi e dei costi si ottiene tramite il procedimento per le controversie di modesta entità 62. Ne consegue che la van-

60 Secondo l’art. 141 quater, par. 3, lett. e) cod. cons., largamente riproduttivo dell’art. 8, par. 1, lett. e) della direttiva, la procedura deve chiudersi entro 90 giorni, salva proroga per controversie particolarmente complesse.

61 Per maggiori approfondimenti: N. ANDREWS, op. cit., p. 21. Si noti tuttavia che non esi-stono statistiche quanto all’effettivo alleggerimento delle controversie giurisdizionali a seguito dell’introduzione della mediazione o di altri sistemi stragiudiziali a livello nazionale. Parte del-la dottrina fa notare che gli strumenti ADR funzionano meglio laddove anche la giurisdizione civile sia efficiente, poiché diversamente ci sarebbe una parte che ha interesse ad avvantaggiar-si delle inefficienze del sistema giurisdizionale: N.G. TROCKER, op. cit., p. 180.

62 Nell’ambito di una procedura giudiziaria ulteriori facilitazioni relativamente agli oneri economici sono determinate dall’uniformazione e semplificazione delle modalità di notifica-zione transfrontaliera (Regolamento (CE) n. 1393/2007 del Parlamento europeo e del Consi-glio, del 13 novembre 2007, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (notificazione o comuni-cazione degli atti) e che abroga il regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio, in GUUE L 324 del 10 dicembre 2007, p. 79 ss.) e dell’acquisizione di prove all’estero (Regolamento (CE) n. 1206/2001 del Consiglio del 28 maggio 2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giu-diziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commer-ciale, in GUCE L 174 del 27 giugno 2001, p. 1 ss.).

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taggiosità di una procedura stragiudiziale può essere limitata, se vengono cor-rettamente utilizzate queste opportunità per l’instaurazione di un procedimento giurisdizionale.

Nell’esperimento di una procedura ADR ai sensi della direttiva i vantaggi dovrebbero allora essere costituiti dalla riservatezza, dalla primazia della vo-lontà delle parti, dalla possibilità di raggiungere soluzioni flessibili e concor-date. Queste dovrebbero essere le caratteristiche da valorizzare in qualsiasi procedura a carattere stragiudiziale, e che potrebbero stimolare gli interessati a preferire una di queste formule rispetto al ricorso giurisdizionale.

Alcuni elementi generali della direttiva e del regolamento sembrano tutta-via poter incidere in senso negativo rispetto agli obiettivi perseguiti dalla Commissione.

Lo scopo evidenziato fin dal considerando n. 4 della direttiva consiste nel rafforzamento della fiducia dei consumatori nel mercato interno, tramite la predisposizione di strumenti efficaci per la tutela dei propri diritti. I mezzi in-dividuati per perseguire questo obiettivo sono l’armonizzazione dei diritti na-zionali, la miglior informazione del consumatore e la tutela dello stesso.

Ad avviso di chi scrive, deve essere ancora verificata la connessione tra ef-ficacia della risoluzione delle controversie ottenuta tramite uno standard mi-nimo di garanzie processuali e incremento sensibile della fiducia del consuma-tore nel mercato interno. Si ritiene che questo legame non sia così stretto e immediato 63. Come messo in luce dalla stessa Commissione 64, i fattori che incidono sulla decisione del consumatore ad agire per la tutela dei propri dirit-ti, ovvero a rinunciarvi, sono il costo complessivo del prodotto o del servizio, l’esistenza di un coinvolgimento emotivo, inteso come un’aspettativa a riceve-re un determinato bene, il motivo per cui il contratto è stato concluso, il tempo impiegato per trovare quel prodotto o servizio, la natura dell’oggetto, l’impat-to della perdita del bene, l’aspettativa che il professionista venga incontro alle esigenze del consumatore. Migliorare l’efficienza dei mezzi di risoluzione stragiudiziale delle controversie significa incidere sul primo degli elementi, nel senso di ridurre la sperequazione tra costo del bene o servizio e quello del

63 Secondo parte della dottrina, la Commissione avrebbe assunto la mediazione come un procedimento positivo senza alcuna evidenza empirica: J. DAVIES, E. SZYSZCZAK, ADR: Effecti-ve Protection of Consumer Rights?, in Europ. Law Rev., 2010, p. 695; J.M. NOLAN-HARLEY, Evolving path to justice: Assessing the EU Directive on mediation, in Fordham University School of Law, 2011, p. 23. In senso meno radicale: I. BENÖHR, op. cit., p. 7.

64 Consumer redress in the European Union: consumer experiences, perceptions and choices. Aggregated report, cit.

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procedimento 65. Questo è quanto risulta anche dai vari studi citati della Com-missione 66, che però non affrontano la questione dell’incidenza dell’efficacia dei mezzi di risoluzione delle controversie sulla fiducia che si ingenera al momento della conclusione del contratto. Ad avviso di chi scrive, il rapporto consequenziale è piuttosto indiretto e mediato. Le barriere al commercio intra-comunitario che pregiudicano la fiducia del consumatore agli scambi fra Stati membri sono costituite in primo luogo da una serie di elementi di fatto, quali ad esempio le differenze linguistiche e le conseguenti maggiori difficoltà di comunicazione, la non conoscenza nemmeno de relato del venditore e/o la sua affidabilità, i costi e i tempi della spedizione di un bene dall’estero; dubbi pos-sono poi sorgere circa la qualità dei prodotti e dei servizi 67 o la possibilità di truffe, soprattutto nel commercio elettronico. Problemi di questo tipo sono no-ti dalla stessa Commissione, che nella Comunicazione “Insieme per una nuova crescita” 68 indica come mezzi per il consolidamento della fiducia nel mercato unico la sicurezza dei prodotti, la sorveglianza nel mercato, la corretta appli-cazione dei diritti dei passeggeri, la tutela dei consumatori di prodotti finanzia-ri; distinta appare invece la fiducia “nella possibilità di ottenere riparazione in caso di problemi” (punto 2.4). Infatti, la fiducia nel mercato interno è un ele-mento antecedente e necessario alla conclusione del contratto, mentre gli strumenti di tutela dei diritti sono successivi e solo eventuali. La prima au-menta sensibilmente superando gli ostacoli oggettivi e le diffidenze menziona-te, creando le condizioni grazie alle quali il mercato può funzionare in modo

65 Secondo lo studio Consumer redress in the European Union: consumer experiences, per-ceptions and choices. Aggregated report, cit., il consumatore predilige il ricorso giurisdiziona-le se percepisce la controversia di particolare importanza, e se ha delle ricadute economiche rilevanti. F. GHIRGA, Strumenti alternativi di risoluzione della lite: fuga dal processo o dal di-ritto?, in Riv. dir. proc., 2009, p. 357, analizza proprio le finalità per le quali viene normalmen-te scelta la composizione amichevole della controversia piuttosto che il procedimento giurisdi-zionale.

66 V. supra, note 6, 7 e 38; si veda altresì il Final Report “An analysis and evaluation of al-ternative means of consumer redress other than redress through ordinary judicial proceed-ings”, richiesto dalla Commissione europea e predisposto dallo Study Centre for Consumer Law – Centre for European Economic Law, Katholieke Universiteit Leuven, consultabile sul sito: http://ec.europa.eu.

67 Questa può essere assicurata armonizzando le norme tecniche sulla qualità di beni e ser-vizi.

68 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato eco-nomico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. L’atto per il mercato unico. Dodici leve per stimolare la crescita e rafforzare la fiducia. “Insieme per una nuova crescita”, Bruxelles, 13 aprile 2011, COM(2011)206 def.

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corretto ed efficace, diminuendo fin dall’origine il numero di casi in cui può sorgere un problema. Agire sui fattori che determinano la decisione di tutelare i propri diritti e quindi predisporre un sistema di tutela efficace è strumento complementare 69, eventuale e successivo 70, ma inidoneo a superare le barriere iniziali che si sono esemplificate 71. Immaginare che la fiducia nel mercato in-terno dipenda in modo sensibile dalla risoluzione stragiudiziale delle contro-versie significa presupporre che non esistono mezzi di ricorso efficaci e ri-spondenti ai principi dell’equo processo negli Stati membri.

Ciò non significa negare del tutto l’effetto positivo della creazione di questi strumenti al momento della conclusione del contratto. Un consumatore attento e informato potrebbe considerare l’eventualità di un problema in fase di ese-cuzione dell’accordo, e valutare come conveniente l’accesso a mezzi di risolu-

69 È significativo che secondo lo studio “Consumer redress in the European Union: consu-mer experiences, perceptions and choices. Aggregated report”, cit., il consumatore normal-mente agisce per la tutela dei propri diritti quando ritiene di esser stato truffato.

70 Lo stretto collegamento esistente fra la fiducia del consumatore e l’efficacia nella risolu-zione delle controversie sembrerebbe dimostrato da uno studio condotto sulla funzionalità di eBay, citato da P. CORTÉS, F.E. DE LA ROSA, op. cit., p. 422, secondo cui lo stesso consumatore aumenta il volume dei propri acquisti dopo aver fruttuosamente risolto la propria controversia amichevolmente, con i mezzi predisposti da eBay stesso, facendo quindi presupporre un in-cremento della fiducia del consumatore dipendente dall’esistenza di strumenti efficienti di riso-luzione delle controversie. Tuttavia, l’argomento non può essere esteso sic et simpliciter al mercato interno. Infatti, la protezione del consumatore tramite la restituzione totale o parziale del prezzo è garantita solo se il pagamento del prezzo è effettuato tramite Paypal, che offre un programma antifrode; se vengono utilizzati altri sistemi di pagamento, vi è la sola possibilità di segnalare il venditore come inaffidabile. Si deve notare che Paypal è una società controllata da eBay stessa, i cui ricavi costituiscono una percentuale superiore al 30% dei ricavi complessivi del gruppo eBay. Pertanto, la protezione non solo ha un ambito ridotto, non attenendo a tutti gli acquisti effettuati sul sito, ma è anche condotta da un organismo che ha interesse alla risolu-zione delle controversie e all’ulteriore uso delle due piattaforme, eBay e Paypal. Infatti la resti-tuzione del prezzo avviene annullando il pagamento effettuato tramite Paypal stessa. Si tratta di uno strumento maggiormente vantaggioso per il consumatore, dal momento che il venditore non può impedire l’accesso di Paypal al proprio conto. Inoltre, la ricerca menzionata non di-stingue fra controversie nazionali e transfrontaliere, mentre al fine del corretto funzionamento del mercato comune sarebbero più interessanti dati raccolti specificamente per queste ultime.

71 Solo se si arrivasse alla situazione paradossale in cui il consumatore sia certo dell’im-possibilità di tutelare i propri diritti nel caso della conclusione di un contratto transnazionale, allora potremmo affermare che l’assenza di mezzi di ricorso extragiudiziale abbia un effetto immediato nella scelta del contraente da parte del consumatore. Questa non è, fortunatamente, la situazione nell’Unione europea. Risulta dallo studio “Consumer redress in the European Un-ion: consumer experiences, perceptions and choices. Aggregated report”, cit., che mediamente il consumatore ha una buona consapevolezza dei propri diritti e della possibilità di farli valere in giudizio.

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zione stragiudiziale. Tuttavia, si tratterebbe al più di uno degli aspetti che un consumatore prudente potrebbe prendere in considerazione, assieme a quelli sopra menzionati. Non può essere dato per scontato che la preferenza ricada sulla conclusione del contratto transnazionale solo perché esistono mezzi di risoluzione stragiudiziale della controversia, a maggior ragione perché non ci sono distinzioni rispetto a quelle nazionali.

Conclusivamente, si ritiene che i due atti in esame possano agevolare il consumatore che intenda tutelare i propri diritti, ma tema i costi e i tempi delle procedure giurisdizionali, specialmente se la convinzione soggettiva è di dover ricorrere all’estero. Ciò potrà accadere soprattutto in quegli ordinamenti in cui non esistono sistemi di risoluzione extragiudiziale delle controversie o sono utilizzabili in pochi settori commerciali, se questi Stati membri istituiranno nel proprio territorio procedure ADR ai sensi della direttiva. L’effetto positivo è più limitato in quegli Stati che già prevedono ampi ambito e accesso alle pro-cedure non giurisdizionali: vengono garantite alcune caratteristiche fondamen-tali degli organismi ADR e delle persone fisiche incaricate; anche la pubbli-cizzazione di queste procedure è un aspetto positivo. Tuttavia, è difficile con-dividere l’assunto della Commissione per il quale si rafforzi sensibilmente la fiducia nel mercato interno grazie a questo tipo di misure. Molto dipenderà dalla concreta trasposizione della direttiva da parte degli Stati membri, ai qua-li, come visto, è richiesto un importante sforzo nell’attuazione di principi ge-nerali, e dall’accessibilità e facilità nell’uso della piattaforma ODR. Il legisla-tore italiano non sembra aver colto la necessità di una disciplina chiara nella concretizzazione di questi principi, limitandosi per lo più a porre in capo alle autorità competenti, agli organismi ADR o ai professionisti gli obblighi che la direttiva aveva già posto in capo agli Stati.

ABSTRACT Just after the deadline for the transposition of the directive on ADR, the focus of

this study is on the impact of the directive and of the ODR regulation on the consumer protection and the internal market. While some aspects of the new rules are to be wel-comed (as for example the duty to inform consumers on the possibility to ask for ADR), it will be finally stated that such a measure could be useful only in some cases to avoid civil jurisdiction, but not to make consumer feel more at ease with interna-tional transactions.

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COMMENTI

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Il ruolo dei triloghi nel processo legislativo dell’UE Giacomo Rugge

SOMMARIO

I. Introduzione. – II. I triloghi e l’informalità: cenni dogmatici. – III. I primi esempi di triloghi: la procedura di concertazione e la cooperazione istituzionale in materia di bilancio. – IV. I tri-loghi nella codecisione e nella procedura legislativa ordinaria. – V. I triloghi: aspetti generali. – VI. (Segue). Le ‘regole d’ingaggio’. – VII. I triloghi: tra effettività e trasparenza. – VIII. I tri-loghi e il principio dell’equilibrio istituzionale nella più recente giurisprudenza della Corte. – IX. Conclusione.

I. L’informalità è un fattore ineliminabile di tutti i processi legislativi e dunque di tutti gli ordinamenti giuridici. In quello dell’UE essa assume – co-me si sottolineerà più avanti – una speciale rilevanza proprio in grazia alla na-tura costituzionale dell’Unione. La questione dell’informalità viene in eviden-za, in modo particolarmente utile all’analisi, nella procedura messa a tema di questo articolo: quella che si articola nei cosiddetti triloghi. Essi rappresenta-no uno snodo essenziale della procedura di codecisione (oggi: procedura legi-slativa ordinaria) caratteristica del sistema dell’Unione.

Benché molto si sia scritto in merito all’impatto della codecisione sull’ordi-namento dell’UE, la ricorrenza del ventennio dalla sua istituzione offre l’occa-sione per indagare le modalità pratiche attraverso cui, nel volgere di questi an-ni, le istituzioni politiche dell’Unione hanno reso operativa tale procedura 1. A tal fine occorre muovere da una considerazione, ossia che il procedimento le-

1 Come evidenziato da M. SHACKLETON, The Politics of Codecision, in Journal Common Market Stud., 2000, p. 333, «the codecision procedure was introduced by the Maastricht Treaty but the Treaty could only offer a framework which had to be filled in through practice». In generale sulla procedura legislativa ordinaria e il suo funzionamento, si vedano, ex multis, E. BEST, EU Law-Making in Principle and Practice, Abingdon, 2014, p. 35 ss.; C. PENNERA, J. SCHOO, La Codécision: Dix ans d’application, in Cahiers droit europ., 2004, p. 531 ss.; J. SCHOO, Artikel 289 [Ordentliches und besonderes Gesetzgebungsverfahren; Initiativrecht in besonderen Fällen], in J. SCHWARZE (hrsg.), EU-Kommentar, Baden-Baden, 2012, p. 2332 ss.

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gislativo è solo una parte di quell’insieme di attività e forme, che, unitariamente considerate, costituiscono il processo legislativo 2. Infatti, l’efficace svolgi-mento del procedimento legislativo, quale sequenza giuridicamente preordina-ta di attività che porta all’eventuale adozione di un atto legislativo, dipende, in massima parte, dall’esistenza di “fatti” (prassi, convenzioni, attività informali etc.), che integrano il dato normativo costituzionale e favoriscono il coordi-namento tra gli attori coinvolti 3. Ed è proprio ai suddetti “fatti” e, in particola-re, al ruolo dei triloghi nel processo legislativo dell’UE che si vogliono dedi-care queste pagine.

Per “triloghi” s’intendono negoziati informali cui prendono parte alcuni rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione. Nel corso di tali ne-goziati le tre istituzioni concordano orientamenti politici e bozze di emenda-mento riguardo alle proposte legislative avanzate dalla Commissione. Quanto convenuto in seno ai triloghi viene poi presentato alle plenarie di Consiglio e Parlamento e forma oggetto di dibattito e, frequentemente, di adozione 4.

Introdotti alla metà degli anni ’90 come incontri preparatori ai comitati di conciliazione, i triloghi hanno viepiù avuto luogo anche nel corso della prima e della seconda lettura in codecisione 5. A conferma della rilevanza di questi

2 A. VON BOGDANDY, Parlamentarismus in Europa: eine Verfalls – oder Erfolgsgeschich-te?, in AöR, 2005, p. 456, il quale, richiamando il pensiero di Luhmann, afferma che: «Der Entscheidungsprozess umfasst alle Etappen der tatsächlichen Willensbildung, die in eine ho-heitliche Entscheidung münden … Das Verfahren ist hingegen eine rechtlich determinierte Ab-folge von Handlungen qualifizierter Akteure, die in der Ausübung einer Kompetenz mit dem Erlass eines Rechtsakts mündet». Sul punto, si veda anche A. PREDIERI, Aspetti del processo legislativo in Italia, in Studi in memoria di Carlo Esposito, IV, Padova, 1974, p. 2457 ss.

3 K. HUBER, M. SHACKLETON, Codecision: a practitioner’s view from inside the Parliament, in Journal Europ. Public Pol., 2013, p. 1040 ss.; D. CURTIN, The Sedimentary European Cons-titution: The Future of ‘Constitutionalisation’ without a Constitution, in I. PERNICE, E. TAN-CHEV (eds.), Ceci n’est pas une constitution: Constitutionalisation without a Constitution?, Ba-den-Baden, 2009, p. 83; J.-P. JACQUE, Une vision réaliste de la procédure de codécision, in A. DE WALSCHE, L. LEVI (éd.), Mélanges en hommage à Georges Vandersanden: Promenades au sein du droit européen, Bruxelles, 2008, p. 184, il quale sostiene che «les textes applicables ne constituent que la partie visible de l’iceberg».

4 Per uno studio approfondito del processo legislativo dell’UE e dei triloghi, J. VON ACHEN-BACH, Demokratische Gesetzgebung in der Europäischen Union, Heidelberg, 2014. Sul punto, si vedano anche R. SCHÜTZE, European Constitutional Law, Cambridge, 2012, p. 174 ss.; J. ZILLER, Diritto delle politiche e delle istituzioni dell’Unione europea, Bologna, 2013, p. 488.

5 M. SHACKLETON, op. cit., p. 334. Nell’arco della passata legislatura, i co-legislatori del-l’Unione hanno concluso il 93% dei dossier legislativi in prima lettura, il 5% in seconda lettura e solo il 2% a seguito della fase di conciliazione (questi dati sono reperibili sul sito web del-l’Unità Codecisione e Conciliazione del PE: www.europarl.europa.eu/code/about/statistics.en.

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incontri si può citare uno studio condotto dallo European Parliamentary Re-search Service, secondo il quale, nel corso dell’ultima legislatura (2009-2014), il Parlamento avrebbe preso parte a ben 1557 triloghi, adottando così 1070 atti legislativi 6.

Il presente studio è articolato come segue. Dopo aver condotto alcune ri-flessioni sull’“informalità” quale categoria essenziale allo studio del processo legislativo dell’UE (par. I), si tenterà di ricostruire la genesi delle “riunioni a tre” (par. III) e il loro ruolo all’interno della procedura di codecisione e della procedura legislativa ordinaria (par. IV). Quindi, si presenteranno le regole che governano la prassi dei triloghi (par. V) e la partecipazione delle singole istituzioni ai negoziati legislativi (par. VI). Infine, si farà luce su alcuni profili problematici posti dai triloghi, in particolare sulla tensione tra questi e alcuni principi dell’ordinamento dell’Unione, tra i quali il principio di trasparenza (par. VII) e il principio dell’equilibrio istituzionale (par. VIII).

II. Come poc’anzi anticipato, i triloghi si svolgono a porte chiuse, in un re-gime d’informalità. A questi negoziati, infatti, non possono accedere che i soli (pochi) rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione; l’accesso a telecamere è interdetto; non v’è registrazione degli incontri; mancano verbali ufficiali delle riunioni. E proprio l’informalità, che caratterizza lo svolgimento dei triloghi, sembra essere la chiave del loro successo. Ma cosa deve intender-si per “informalità” a livello istituzionale?

Innanzitutto, nonostante la giuspubblicistica non abbia visioni unanimi cir-ca il significato e il ruolo dell’“informalità”, può certamente dirsi che essa af-ferisce al concetto di governance intesa come «superamento delle procedure con cui [le] istituzioni decidono» in vista del perseguimento di «modi nuovi e comunque diversi di gestire processi decisionali complessi» 7. L’informalità

htm#). Un confronto con i dati concernenti la V Legislatura (1999-2004), ossia quella succes-siva all’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam che introdusse la possibilità per Parlamen-to e Consiglio di adottare un atto anche nel corso della prima lettura, evidenzia il crescente im-patto dei triloghi. Allora solamente il 28% dei dossier era concluso in prima lettura, il 50% in seconda lettura e il 22% dei dossier era concluso dopo la conciliazione. Cfr. C. FASONE, N. LU-PO, Il Parlamento europeo alla luce delle novità introdotte nel Trattato di Lisbona e nel suo regolamento interno, in Studi int. europ., 2012, p. 345 e J. SCHOO, op. cit., p. 2360.

6 Cfr. European Parliamentary Research Service, Number of trilogues per year and per committee, reperibile alla seguente pagina web: http://epthinktank.eu/2014/11/26/european-parliament-facts-and-figures/ep-facts-and-figures-fig-16/. A conferma della diffusione dei tri-loghi, M. SHACKLETON, op. cit., p. 336, ove l’A. sostiene che «it has become almost impossible to imagine the procedure without [trilogues]».

7 R. BIN, Soft law, no law, in A. SOMMA (cur.), Soft law e hard law nelle società post-moderne, Torino, 2009, p. 31.

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quindi non interessa gli atti quali sintesi e prodotti di procedure decisionali, bensì le modalità di svolgimento delle procedure decisionali stesse.

Nell’UE, l’informalità non caratterizza solamente il processo legislativo. Infatti, elementi informali possono rintracciarsi nei metodi di lavoro e nei pro-cessi decisionali di molte istituzioni dell’Unione. Si pensi alle riunioni del Consiglio europeo, le quali in questi anni di crisi economica hanno rivisto, contrariamente a quella che sembrava una tendenza alla formalizzazione, un riemergere dell’informalità 8. O ancora, si pensi alle riunioni dell’Eurogruppo (organo di coordinamento consultivo dei diciannove Stati membri dell’Euro-zona), per le quali esiste un vero e proprio obbligo di svolgimento informale (art. 1 del Protocollo n. 14) 9.

L’informalità ha quindi i tratti di un “fatto” di rilevanza costituzionale, for-temente integrato nel tessuto della governance dell’UE 10. E ciò non stupisce, se si considera che l’Unione europea è stata spesso considerata un esempio di consensus democracy

11, vale a dire di democrazia le cui procedure decisiona-li, diversamente da quelle di una democrazia di stampo maggioritario, cercano di prendere in considerazione il più ampio ventaglio di opinioni e interessi possibili, inclusi quelli espressi dalle minoranze.

E il desiderio di integrare le opinioni e gli interessi più diversi è proprio quanto si apprezza negli ambiti informali, ove trova quasi sempre applicazione il metodo del consenso. Con ciò si fa riferimento a un processo decisionale che si fonda su un’attiva partecipazione e su una forte cooperazione tra gli attori coinvolti e che ha come obiettivo quello di pervenire a una decisione che pos-sa risultare accettabile a tutti i presenti. L’esito finale non necessariamente corrisponderà alla prima preferenza di ciascuno e, con buona probabilità, vi saranno aspetti dell’accordo che potranno essere in qualche misura sgraditi a

8 U. PUETTER, The European Council and the Council: New intergovernmentalism and in-stitutional change, Oxford, 2014, p. 108 ss. L’A. ricorda che «European Council president Herman van Rompuy declared the further development of the European Council’s informal working method a priority of his term in office».

9 Nello specifico, l’art. 1 del Protocollo (n. 14) sull’Eurogruppo prevede che: «The Minis-ters of the Member States whose currency is the euro shall meet informally» (corsivo ag-giunto). A proposito di tale organismo, v. R. BARATTA, Diritto e prassi evolutiva dell’Euro-gruppo, in questa Rivista, 2015, p. 493 ss.

10 Sull’importanza e il ruolo dell’informalità nell’ordinamento dell’Unione, si vedano M. RUFFERT, The Many Faces of Rulemaking in the EU, (in corso di pubblicazione); C. MÖLLERS, European governance: Meaning and value of a concept, in Common Market Law Rev., 2006, p. 333.

11 P. DANN, Looking through the federal lens: The Semi-parliamentary Democracy of the EU, in Jean Monnet Working Paper 5/02, p. 9 ss.

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uno o più attori. Tuttavia, si tratterà di una decisione cui tutti avranno accon-sentito e alla cui adozione formale saranno disposti a cooperare.

L’informalità non pone “grattacapi” agli studiosi delle scienze politiche e sociali; anzi, essa rappresenta uno dei contesti d’elezione di tali scienze. Per esse, al contrario di quanto vale per le scienze giuridiche, la distinzione tra formalità e informalità ha rilevanza attenuata, se non nulla. Addirittura po-trebbe affermarsi che nell’informalità si manifestano o affiorano in modo più chiaro quelle relazioni di potere o quei giochi di forza che formano oggetto delle riflessioni politologiche e sociologiche. Viceversa, l’informalità suscita non pochi problemi ai giuristi, giacché attraverso le sue dinamiche possono facilmente verificarsi fatti di difficile qualificazione giuridica, se non delle ve-re e proprie ‘fughe dal diritto’.

Ancorché presente nei più diversi rami degli ordinamenti giuridici, i primi studi e le prime concettualizzazioni del fenomeno dell’informalità si devono, soprattutto, alla dottrina di diritto amministrativo 12. L’informalità, però, svol-ge un ruolo particolarmente rilevante anche negli ordinamenti costituzionali. Invero, le Costituzioni sono testi concepiti “a maglie larghe” e postulano, forse più di ogni altra fonte di diritto, l’integrazione del dato normativo da parte del dato storico-fattuale 13. Non sfugge quindi il significato dell’informalità per lo studioso di diritto pubblico. Questi, nel cercare di capire il concreto funziona-mento di un sistema costituzionale, non potrà considerare solamente il dato normativo scritto, ma dovrà porre attenzione anche alle regole non scritte, tra cui l’informalità 14. Esse, infatti, servono da cartina al tornasole dell’effettivo

12 Sul ruolo dell’informalità nel diritto amministrativo, M. FEHLING, Informelles Verwal-tungshandeln, in W. HOFFMANN-RIEM, E. SCHMIDT-AßMANN, A. VOßKUHLE (hrsg.), Grundlagen des Verwaltungsrechts, II, München, 2012, p. 1457 ss.; D.-U. GALETTA, Informal Information Processing in Dispute Resolution Networks: Informality versus the Protection of Individual’s Rights?, in Europ. Public Law, 2014, p. 71 ss.

13 A. PREDIERI, op. cit., pp. 2467 e 2468. 14 Non a caso il tema dell’informalità ha costituito oggetto di un importante sforzo definito-

rio da parte della dottrina costituzionalistica, in particolare di lingua tedesca. Al proposito, si vedano, ex multis, F. SCHOCH, Entformalisierung staatlichen Handelns, in J. ISENSEE, P. KIRCH-HOF (hrsg.), Handbuch des Staatsrechts, III, Heidelberg, 2005, p. 131 ss.; M. MORLOK, Infor-malisierung und Entparlamentarisierung politischer Entscheidungen als Gefährdung der Ver-fassung?, in VVDStRl, 2003, p. 37 ss.; M. RUFFERT, Informalisierung und Entparlamentarisie-rung politischer Entscheidungen als Gefährdungen der Verfassung?, in DVBl, 2002, p. 1145 ss.; H. SCHULZE-FIELITZ, Das Verhältnis von formaler und informaler Verfassung, in A. GÖR-LITZ, H.-P. BURTH (hrsg.), Informale Verfassung, Baden-Baden, 1998, p. 25 ss. Con specifico riguardo al ruolo dell’informalità nel diritto parlamentare statunitense, S. BACH, Legislating: Floor and Conference Procedure in Congress, in J.H. SILBEY (ed.), Encyclopedia of the Ameri-

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equilibrio tra poteri e, in definitiva, della forma di governo del sistema costitu-zionale in esame 15.

Sotto il profilo dogmatico, la definizione di “informalità” è inevitabilmente condizionata dal suo rovescio, e cioè dalla definizione di “formalità”. Per “formalità” deve intendersi un contesto relazionale in cui i soggetti coinvolti sono tenuti a interagire secondo norme positive o prassi codificate. Per con-verso, il termine “informalità” si riferisce a un contesto relazionale nel quale l’interazione tra gli attori non è disciplinata da norme, ma piuttosto da sempli-ci regole sociali.

Va però evidenziato che la formalità e l’informalità non sono mutualmente esclusive. Anzi, spesso le attività formali «implicano … anche attività infor-mali, sottostanti e collegate [alle prime], in funzione preparatoria o ausiliaria di atti di quei procedimenti tipici, rigidi, in un certo senso che vengono impie-gati o possono raggiungere il loro scopo di produzione di un atto solo se vivi-ficati dall’attività informale» 16. L’informalità diventa così condizione di fun-zionamento delle forme giuridiche.

Nondimeno, gli ambiti informali afferiscono funzionalmente a quelli for-mali. Infatti, qualunque posizione o decisione assunta in un contesto informale dovrà sempre passare per un contesto formale per potere assumere rilievo giu-ridico, una decisione definitiva e vincolante rimanendo prerogativa del secon-do 17.

A differenza di quanto generalmente succede negli ambiti formali, ove le norme di riferimento sono (im)poste autoritativamente e sono perciò indispo-nibili per i soggetti che a esse soggiacciono, la definizione della regole che governano la condotta e gli atti degli attori operanti nei contesti informali è consensuale e può essere di volta in volta derogata attraverso l’accordo degli attori stessi. Sicché, nel regime d’informalità si produce l’identità soggettiva tra coloro che pongono le regole, coloro che vi soggiacciono e coloro che sono

can Legislative System, II, New York, 1994, p. 716; con riguardo all’informalità nel diritto par-lamentare italiano, L. CIAURRO, Precedenti, diritto parlamentare «informale» e nuova codifica-zione, in N. LUPO (a cura di), Il precedente parlamentare tra diritto e politica, Bologna, 2013, p. 247 ss.; con riferimento all’informalità nel diritto parlamentare tedesco, C. HANKE, Informa-le Regeln als Substrat des parlamentarischen Verhandlungssystems: Zur Begründung einer zentralen Kategorie der Parlamentarismusforschung, in ZParl, 1994, p. 410 ss.

15 G. DEMURO, Gli organi di governo nella realtà costituzionale, in Rivista AIC, n. 4/2014, pp. 1 e 2.

16 A. PREDIERI, op. cit., p. 2462 (corsivi aggiunti). 17 C. REH, A. HÉRITIER, E. BRESSANELLI, C. KOOP, The Informal Politics of Legislation: Ex-

plaining Secluded Decision Making in the European Union, in CPS, 2011, p. 1115.

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chiamati a garantirne l’applicazione 18. Va aggiunto che le regole dell’infor-malità sono prive di efficacia giuridica vincolante, non essendo assistite da sanzioni formali. Tuttavia, si tratta di regole dotate di una forte efficacia per-suasiva, la cui ottemperanza deriva soprattutto dalla pressione dei soggetti coinvolti e dai costi politici che deriverebbero in caso d’inosservanza 19.

Ciò detto, è ovvio che, nell’ambito dell’agire istituzionale, anche le regole dell’informalità devono essere compatibili con il diritto 20. Esse non possono costituire uno strumento di elusione di principi e norme giuridiche. Ecco, allo-ra, che la relazione tra “formale” e “informale” si esprime in una tensione, nel-la quale emergono frequenti e inevitabili tentativi di riconquista del primo ai danni del secondo. E la prassi dei triloghi si pone proprio al centro di questa tensione: infatti, operatori e istituzioni si confrontano costantemente sulla pos-sibilità di formalizzare le regole che presiedono allo svolgimento delle riunio-ni informali, al fine di assicurare un maggiore grado di trasparenza e pubblici-tà al processo legislativo dell’UE.

Tuttavia, nel perseguimento di un obiettivo certamente nobile dal punto di vista normativo, qual è la maggiore trasparenza e democraticità del processo legislativo, si rischia di perdere di vista la capacità operativa delle istituzioni politiche. Come è stato evidenziato, «transparency has important costs, in part precisely because of its democratizing effects; transparency changes … legis-lative deliberation both for good and for ill» 21. Pertanto, la tensione cui dà vita la prassi dei triloghi va sciolta in un argumentum ad temperantiam, un bilan-ciamento tra l’informalità di questi e la trasparenza che deve caratterizzare l’o-perato delle istituzioni.

18 M. MORLOK, op. cit., p. 53. 19 A. SPERTI, Una soft law costituzionale?, in Pol. dir., 2012, p. 107 ss. 20 La Corte di giustizia dell’UE ha più volte affermato che la prassi non può derogare alle

norme previste nei Trattati, anche qualora si tratti di prassi consolidata. Questo indirizzo sem-bra potersi estendere in via analogica a tutti quei “fatti”, tra cui anche l’informalità, attraverso cui le istituzioni rendono operative le norme dei Trattati. Sulla prassi, v. la sentenza della Corte di giustizia sui c.d. “fondamenti normativi derivati”: Corte giust. 6 maggio 2008, C-133/06, Parlamento c. Consiglio, ECLI:EU:C:2008:257, punto 60 (e ulteriore giurisprudenza ivi cita-ta). Per completezza, va detto che uno studio della giurisprudenza di Lussemburgo rivela che la Corte di giustizia s’è più volte servita della prassi praeter legem per interpretare le norme dei Trattati. Sul punto, v. la sentenza con cui la Corte di giustizia avallò la prassi consolidata del PE di convocare le riunioni delle commissioni parlamentari e dei gruppi politici a Bruxelles, invece che a Strasburgo e Lussemburgo: Corte giust. 10 febbraio 1983, C-230/81, Lussembur-go c. Parlamento, ECLI:EU:C:1983:32, punti 47 ss.

21 A. VERMEULE, The Constitutional Law of Congressional Procedure, in U. Chi. L. Rev., 2004, p. 412.

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III. La necessità di garantire un efficace coordinamento interistituzionale è esigenza propria a tutti gli ordinamenti e, ovviamente, anche a quello dell’U-nione europea. A conferma di ciò, si possono richiamare tutti quegli strumenti – soprattutto di soft law – attraverso cui le istituzioni dell’UE hanno cercato di definire le modalità della loro cooperazione.

Si pensi, in particolare, agli accordi interistituzionali. Essi – s’è detto – co-stituiscono «un mezzo di auto-integrazione del sistema costituzionale» e mira-no a «colmare, anche sul piano interpretativo, eventuali lacune delle norme volte a distribuire le competenze, specialmente quelle legislative, tra organi la cui autonomia è garantita a pari titolo [dai Trattati]» 22. I primi accordi interi-stituzionali furono conclusi negli anni ’70 e subito la dottrina si domandò se essi avessero mera valenza politica oppure dovessero considerarsi vincolanti e, in ultima analisi, giustiziabili. A tale riguardo, la Corte di giustizia ebbe modo di chiarire che tali atti erano vincolanti solamente quando, da una loro lettura, fosse emersa la volontà delle istituzioni di impegnarsi reciprocamente 23. Al fine di ricostruire il valore giuridico dell’accordo in questione, l’interprete a-vrebbe potuto avvalersi di alcuni ‘indici’, quali, inter alia, il linguaggio utiliz-zato dalle istituzioni nella redazione dell’accordo stesso ovvero la sua pubbli-cazione nella serie “C” della Gazzetta Ufficiale (“Comunicazioni e informa-zioni”) piuttosto che nella serie “L” (“Legislazione”) 24. Il Trattato di Lisbona, facendo propria la giurisprudenza dei giudici di Lussemburgo, ha da ultimo introdotto nell’ordinamento dell’Unione l’art. 295 TFUE, il quale riconosce a Parlamento, Consiglio e Commissione la facoltà di concludere accordi interi-stituzionali anche di natura vincolante. Naturalmente, qualora non sia possibi-le desumere per tabulas la volontà delle istituzioni, si potrà sempre fare rife-rimento agli indici or ora indicati.

Nell’ambito legislativo l’esigenza di favorire il dialogo tra istituzioni s’è da sempre avvertita in maniera assai pressante. Infatti, l’esercizio della funzione legislativa a livello UE postula il concorso di tre organi che rappresentano in-teressi e istanze tra loro molto diversi, spesso contrastanti. Non stupisce, quin-di, che i primi incontri informali tra rappresentanti di Parlamento, Consiglio e

22 Cfr. le conclusioni dell’Avv. gen. La Pergola del 14 novembre 1995, in C-41/95, Consi-glio c. Parlamento, ECLI:EU:C:1995:382, punto 21.

23 Sul punto, cfr. Corte giust. 19 marzo 1996, C-25/94, Commissione c. Consiglio, ECLI: EU:C:1996:114, punto 49.

24 Sul punto, I. EISELT, P. SLOMINSKI, Sub-Constitutional Engineering: Negotiation, Con-tent, and Legal Value of Interinstitutional Agreements in the EU, in Europ. Law Journal, 2006, p. 212; E. WALDHERR, Art. 295 AEUV, in H. MAYER, K. STÖGER (hrsg.), EUV – AEUV unter Berücksichtigung der österreichischen Judikatur und Literatur, Wien, 2012.

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Commissione risalgano alla fine degli anni ’70, cioè quando il Parlamento in-cominciò a esercitare, nel quadro della procedura di adozione del bilancio, la competenza legislativa a fianco di Consiglio e Commissione. Allora, il dialo-go tra istituzioni trovava espressione nella c.d. “procedura di concertazione”. Tale procedura, istituita attraverso un accordo interistituzionale (la Dichiara-zione comune del 1975), era intesa ad assicurare un maggiore coinvolgimento del PE nel processo di elaborazione degli atti legislativi che implicassero in-genti spese o entrate per il bilancio delle allora Comunità europee 25.

Uno dei casi in cui la procedura di concertazione poteva essere attivata aveva luogo «se il Consiglio avesse inteso divergere dal parere adottato dal Parlamento» (punto n. 4) 26. Una volta avviata, la procedura prevedeva la crea-zione di una commissione informale di concertazione cui prendevano parte il Consiglio e alcuni «rappresentanti del Parlamento europeo». Anche la Com-missione partecipava ai lavori (punto n. 5). Scopo della procedura era favorire il riavvicinamento delle posizioni di Parlamento e Consiglio. Tuttavia, in man-canza d’accordo ovvero superato il termine di tre mesi per il raggiungimento dello stesso, la decisione finale spettava al Consiglio (punto n. 6) 27.

Il modello delle riunioni tripartite fu successivamente utilizzato anche per favorire la cooperazione interistituzionale nel corso della procedura di bilan-cio 28. Infatti, a seguito di un’impasse politica che vide contrapposti Parlamen-

25 Si veda Dichiarazione comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commis-sione, in GUCE C 89 del 22 aprile 1975, p. 1, ove era previsto che la procedura di concertazio-ne potesse essere attivata, su richiesta di ciascuna delle tre istituzioni, in presenza di tre condi-zioni: (a) che si trattasse di atti comunitari di portata generale (b) che essi avessero implicazio-ni finanziarie notevoli e (c) che fossero di natura non obbligatoria, ossia che la loro «adozione non fosse imposta a norma di atti preesistenti» (punto n. 2).

26 Si ricorda che, all’epoca dell’istituzione della procedura di concertazione, il Parlamento poteva essere solamente consultato prima dell’adozione di un atto legislativo da parte del Con-siglio. Tale consultazione prevedeva la redazione di un parere.

27 Sul funzionamento della procedura di concertazione si veda, nel dettaglio, J. FORMAN, The Conciliation Procedure, in Common Market Law Rev., 1979, p. 77 ss. La procedura di concertazione è ormai obsoleta. Tuttavia, v’è una disposizione ancora in vigore che la richiama e che potrebbe, teoricamente, attivarla. Si tratta dell’art. 14 dell’Atto relativo all’elezione dei membri del Parlamento europeo a suffragio universale diretto del 20 settembre 1976 e succes-sive modifiche, il quale prevede l’istituzione di una commissione di concertazione per favorire un accordo tra Parlamento e Consiglio qualora quest’ultimo intenda adottare all’unanimità, su proposta del Parlamento, delle misure d’esecuzione del suddetto Atto.

28 Sulle crisi di bilancio negli anni ottanta, si vedano L.S. ROSSI, La dinamica interistituzio-nale nella definizione del bilancio comunitario, in questa Rivista, 2006, p. 179 ss., p. 182, non-ché le conclusioni dell’Avv. gen. Federico Mancini, del 2 giugno 1986, C-34/86, Consiglio c. Parlamento, ECLI:EU:C:1986:221, punto 2.

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to e Consiglio e che portò a un’adozione tardiva del progetto di bilancio per l’anno 1980, le tre istituzioni decisero di adottare una Dichiarazione comune concernente varie disposizioni volte a migliorare la procedura di bilancio

29. Non molto diversamente da quanto prevedeva la Dichiarazione comune del 1975, questa seconda dichiarazione, adottata nel 1982, affidava la risoluzione delle controversie in materia di bilancio «a una riunione dei presidenti del Par-lamento, del Consiglio e della Commissione», specificando che i tre presidenti si sarebbero adoperati per risolvere eventuali divergenze prima che il progetto di bilancio fosse stabilito (p.ti II.3 e II.4) 30.

Si può quindi sostenere che i triloghi siano nati con le Dichiarazioni comu-ni del 1975 e del 1982 e che essi abbiano caratterizzato la cooperazione legi-slativa tra Parlamento, Consiglio e Commissione sin dalle sue prime manife-stazioni. A ciò si deve aggiungere che è stato proprio grazie ai triloghi che le istituzioni dell’UE hanno potuto, in momenti di forte tensione interistituziona-le, smussare le divergenze e raggiungere compromessi. Questa circostanza sembra rendere tali incontri una sorta di efficient secret dell’ordinamento del-l’Unione, vale a dire una componente non espressamente riconosciuta dall’or-dinamento positivo, ma a esso immanente e comunque imprescindibile per ga-rantire il regolare funzionamento del suo quadro istituzionale nonché l’effi-cacia e la continuità delle sue politiche e azioni 31.

IV. Soddisfatte degli esiti raggiunti attraverso il ricorso a tali incontri trila-terali, le istituzioni dell’UE si avvalsero dei triloghi non solo nell’ambito della procedura di cooperazione 32 ma anche nel contesto della successiva procedura di codecisione. All’indomani dell’entrata in vigore di quest’ultima procedura, introdotta dal Trattato di Maastricht nel 1993, Parlamento, Consiglio e Com-missione dichiararono espressamente quanto segue: «nel quadro della proce-dura di cooperazione si constata che la prassi corrente comporta in genere, so-

29 Il testo della Dichiarazione comune del 1982 è reperibile in GUCE C 194 del 28 luglio 1982, p. 1.

30 La Dichiarazione comune del 1982 assegnava al Presidente della Commissione il compi-to di presentare una relazione su quanto convenuto in sede di “dialogo a tre” durante la riunio-ne di concertazione fra le istituzioni, la quale avrebbe avuto luogo prima della prima lettura da parte del Consiglio (punto II.5).

31 Com’è noto, l’espressione “efficient secret” è stata utilizzata in W. BAGEHOT, The En-glish Constitution, London, 1867, p. 12, con specifico riferimento alle relazioni tra Esecutivo e Legislativo nell’ordinamento inglese del XIX secolo.

32 R. BIEBER, Das Gesetzgebungsverfahren der Zusammenarbeit gemäß Art. 149 EWGV, in NJW, 1989, p. 1397.

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prattutto per le questioni più delicate, dei contatti tra la Presidenza del Consi-glio, la Commissione e i Presidenti e/o i relatori delle commissioni competenti del Parlamento europeo. Le istituzioni confermano che tale prassi dovrà essere mantenuta e potrà svilupparsi nell’ambito della procedura dell’articolo 189 B [procedura di codecisione] del trattato che istituisce la Comunità europea» 33.

Com’è noto, all’istituzione della codecisione – una procedura in base alla quale l’atto giuridico viene adottato congiuntamente e in via paritaria da Par-lamento e Consiglio 34 – si arrivò a seguito di un percorso che, non senza qualche approssimazione, può riassumersi in due tappe: l’ampliamento dei poteri del Parlamento europeo in materia di bilancio in virtù del Trattato di Lussemburgo del 1970 e del Trattato di Bruxelles del 1975, con i quali s’i-stituì una procedura per l’adozione del budget comunitario suddivisa in due letture e con la possibilità per il Parlamento di respingere l’atto 35; l’intro-duzione nell’ordinamento comunitario della procedura di cooperazione ad opera dell’Atto unico europeo del 1986, con la quale si consentì al Parla-mento di procedere a una seconda lettura delle proposte legislative, obbli-gando eventualmente il Consiglio a votare all’unanimità (e non a maggio-

33 Cfr. paragrafo dal titolo Articolo 189 B: Fase anteriore all’adozione della posizione co-mune da parte del Consiglio, il quale anticipa l’accordo interistituzionale sulle Modalità di svolgimento dei lavori del comitato di conciliazione previsto all’articolo 189. Il testo è reperi-bile in GUCE C 329 del 6 dicembre 1993, p. 141.

34 Sulla “doppia legittimazione” come principio dell’ordinamento costituzionale dell’UE, v. A. VON BOGDANDY, Founding Principles, in A. VON BOGDANDY, J. BAST (eds.), Principles of European Constitutional Law, Oxford, 2010, pp. 39, 50 e 53. Al termine del Consiglio europeo di Roma del 14 e 15 dicembre 1990, con il quale si dette avvio alla Conferenza intergovernati-va (CIG) che redasse il Trattato di Maastricht, i Capi di Stato o di Governo assegnarono ai loro rappresentanti in sede CIG un duplice obiettivo: rinforzare la legittimità democratica e miglio-rare l’efficacia delle istituzioni comunitarie. Per conseguire il primo obiettivo si ritenne indi-spensabile rafforzare i poteri legislativi del Parlamento. Sul punto, si rinvia a R. DEHOUSSE, La Communauté Européenne aprés Maastricht: vers un nouvel equilibre institutionnel?, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1993, p. 1 ss. Per una critica all’opinione tradizionale per cui aumentando i poteri del Parlamento e riducendo quelli del Consiglio si sarebbero risolti i problemi di demo-craticità e legittimità dell’Unione, si veda l’analisi di J.H.H. WEILER, The Transformation of Europe, in Y. L. J., 1991, p. 2466 ss.

35 Con i Trattati di Lussemburgo e Bruxelles gli Stati membri stabilirono altresì che le atti-vità della CEE si sarebbero finanziate con risorse proprie, ossia attraverso gli introiti derivanti dai dazi doganali per i prodotti importati da Paesi non appartenenti alle Comunità e quelli deri-vanti dall’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA). I testi dei due trattati sono re-peribili, rispettivamente, in GUCE L 2 del 2 gennaio 1971, p. 1 ss. e in GUCE L 359 del 31 dicembre 1977, p. 1 ss. Sull’evoluzione del sistema delle risorse proprie dell’Unione, v. G. ROSSOLILLO, Autonomia finanziaria e integrazione differenziata, in questa Rivista, 2013, p. 793 ss.

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ranza qualificata) le “posizioni comuni” respinte dal Parlamento 36. Al suo esordio nell’ordinamento comunitario, la procedura di codecisione

trovò applicazione in quindici basi giuridiche, corrispondenti a solo un quarto delle proposte legislative effettivamente presentate al Parlamento. In seguito, con i Trattati di Amsterdam (1997) e Nizza (2001) si estese l’ambito applica-tivo della procedura a quarantaquattro basi giuridiche e s’introdusse la possibi-lità per Consiglio e Parlamento di adottare un atto già nel corso della prima lettura, senza che i co-legislatori fossero tenuti a compiere comunque una se-conda lettura. Infine, il Trattato di Lisbona (2007), riprendendo molte delle novità proposte nel (mai entrato in vigore) Trattato costituzionale del 2003, ha quasi raddoppiato l’ambito di applicazione di questa procedura, oggi discipli-nata dall’art. 294 TFUE e denominata “procedura legislativa ordinaria”, esten-dendola a ottantacinque basi giuridiche.

La presenza all’interno dei triloghi della Commissione potrebbe non sem-brare giustificata alla luce dell’art. 14, par. 1, TUE, secondo il quale la funzio-ne legislativa è esercitata congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio. Tut-tavia, le norme primarie dell’UE, in particolare gli artt. 17 par. 2 TUE e 294 TFUE, riconoscono anche alla Commissione un ruolo importante nell’ado-zione della legislazione dell’Unione, riservandole il “monopolio” 37 dell’ini-ziativa legislativa. Questo potere è tutelato da una doppia garanzia, che esten-de l’influenza della Commissione ben oltre la fase propositiva. Da una parte, quando il Consiglio delibera su iniziativa della Commissione, esso può emen-dare la proposta solo deliberando all’unanimità (art. 293, par. 1, TFUE). Dal-l’altra, fintantoché il Consiglio non ha adottato la posizione in prima lettura, la Commissione può sempre modificare la propria proposta (art. 293, par. 2, TFUE) 38: soltanto una volta che il Consiglio ha concluso la prima lettura, la proposta esce dalla disponibilità della Commissione per divenire atto di volon-tà del Consiglio.

Anche nelle fasi successive della procedura legislativa ordinaria, la Com-

36 Per un resoconto del processo che portò all’introduzione della procedura di codecisione nell’ordinamento comunitario e al ruolo odierno di tale procedura, si rinvia a E. BARÓN CRESPO, El desarrollo de la codecisión como procedimento legislativo de la UE, in Cuadernos Europeos de Deusto, 2012, p. 19; U. O’DWYER, La dynamique historique des relations interinstitutionnelles: Le point de vue d’un praticien sur l’évolution de la procédure de codécision, in Rev. Droit Union eu-rop., 2010, p. 487. Sulla procedura di cooperazione, invece, v. R. BIEBER, op. cit., p. 1395 ss.

37 P. PONZANO, Le droit d’initiative législative de la Commission européenne: théorie et pratique, in Rev. Aff. Eur., 2009/2010, p. 27 ss.

38 Cfr. Corte giust. 14 aprile 2015, C-409/13, Consiglio c. Commissione, ECLI:EU: C:2015:217, punti 71 e ss.

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missione conserva significativi poteri, anche se il suo ruolo viene fortemente ridimensionato. Durante la seconda lettura, se il Parlamento europeo «propone emendamenti alla posizione del Consiglio a maggioranza dei membri che lo compongono», la Commissione è tenuta a esprimere un parere circa tali emen-damenti, obbligando eventualmente il Consiglio a deliberare all’unanimità – e non a maggioranza qualificata – quegli emendamenti rispetto ai quali essa ab-bia espresso parere negativo (art. 294, par. 9, TFUE). Infine, nella fase di con-ciliazione, essa è chiamata a mediare tra i due co-legislatori, adottando «ogni iniziativa necessaria per favorire un ravvicinamento fra la posizione del Par-lamento europeo e quella del Consiglio» (art. 294, par. 11, TFUE), ma non ha più alcun potere di incidere sul contenuto dell’atto legislativo in discussione ovvero sulla posizione giuridica dei co-legislatori.

V. Sebbene, come appena visto, la procedura legislativa ordinaria preveda – come la precedente procedura di codecisione – delle forme d’incontro e dia-logo tra Commissione, Consiglio e Parlamento, i Trattati dell’UE non fanno menzione dei triloghi. Alcune indicazioni circa le modalità di svolgimento di questi incontri si ricavano per analogia dalla lettura della Dichiarazione co-mune sulle modalità pratiche della procedura di codecisione del 2007 39 e dal-l’analisi del Regolamento interno del PE 40. Nessun riferimento alle riunioni tripartite è invece rinvenibile nei regolamenti interni di Consiglio e Commis-sione 41.

La Dichiarazione comune sulle modalità pratiche della procedura di code-cisione del 2007 afferma che «la collaborazione tra le istituzioni, nel contesto della codecisione, spesso assume la forma di riunioni tripartite … informa-

39 Il testo della Dichiarazione comune del 2007 è reperibile in GUUE C 145 del 30 giugno 2007, p. 5.

40 Si vedano, in particolare, gli artt. 73, 74, 75 e 76 nonché l’Allegato XX concernente un Codice di condotta per la negoziazione nel contesto della procedura legislativa ordinaria. Sul-le norme riguardanti i triloghi contenute negli interna corporis del PE, si vedano L. DONATELLI, La disciplina delle procedure negoziali informali nel “triangolo decisionale” unionale: Dagli accordi interistituzionali alla riforma dell’articolo 70 del regolamento del Parlamento euro-peo, in School of Government: LUISS Guido Carli: Working Paper Series 10/2013; G. VOSA, Ordinary legislative proceedings at the European Parliament: a constitutional analysis of the emerging European Parliamentary Law, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2013, p. 651 ss.; G. VOSA, Tra le pieghe del procedimento legislativo nel parlamento europeo: La codecisione nella revi-sione generale del regolamento fra procedura e negoziati, in Rass. parl., 2009, p. 511 ss.

41 Cfr. Codecisione e Conciliazione – Guida a come il Parlamento colegifera nel quadro del Trattato di Lisbona, Parlamento europeo, 2014, in www.europarl.europa.eu/code/informa tion/guide_it.pdf.

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li» 42. I triloghi possono svolgersi in fasi diverse della procedura legislativa. Tuttavia, nella gran parte dei casi, si cerca di raggiungere un compromesso ancor prima che il Parlamento abbia adottato la propria posizione in prima let-tura (c.d. first reading agreements) 43. Infatti, nel corso della prima lettura i Trattati non prescrivono un termine per l’adozione dell’atto. Sicché, non ap-pena la Commissione presenta una proposta legislativa a Parlamento e Consi-glio, si apre una fase in cui le istituzioni legislative possono portare avanti, senza affanno, contatti informali volti a risolvere le disparità di vedute. Si sti-ma che circa l’85% della legislazione europea sia frutto di first-reading agree-ments

44. Nondimeno, i triloghi vengono indetti anche in fasi successive della proce-

dura ordinaria, vale a dire nel lasso di tempo che intercorre tra l’adozione della posizione in prima lettura da parte del PE e l’adozione della posizione in pri-ma lettura da parte del Consiglio (c.d. early-second reading agreements) ov-vero a seguito dell’adozione della posizione in prima lettura da parte del Con-siglio (c.d. second reading agreements). Nel primo caso è il Parlamento che, all’avvio della seconda lettura, è chiamato ad approvare a maggioranza sem-plice la posizione espressa in prima lettura dal Consiglio, la quale incorpora i compromessi raggiunti nel corso delle riunioni trilaterali (art. 294, par. 7, lett. a), TFUE). Nel secondo caso è invece il Consiglio ad approvare a maggioran-za qualificata tutti gli emendamenti proposti dal PE alla sua posizione in prima lettura, i quali corrispondono a quanto antecedentemente convenuto tra le isti-tuzioni in sede di triloghi (art. 294, par. 8, lett. a), TFUE).

Nel caso di early-second reading agreements, le istituzioni non sono vinco-late a un termine per lo svolgimento dei negoziati trilaterali. Il Parlamento, pe-rò, deve approvare (anche mediante silenzio-assenso) la posizione del Consi-glio in prima lettura entro tre mesi dalla comunicazione della medesima. Nel caso di second reading agreements, invece, Parlamento e Consiglio devono accordarsi piuttosto velocemente. Infatti, il PE è tenuto a proporre emenda-

42 Cfr. p.ti n. 7 e 8 della Dichiarazione comune del 2007. La Dichiarazione è un accordo interistituzionale a carattere non vincolante.

43 Per una precisa ricostruzione delle modalità di svolgimento dei c.d. first reading agree-ments, v. M. GÓMEZ-LEAL PÉREZ, El procedimiento legislativo ordinario en la práctica: los acuerdos en primera lectura, in Cuadernos Europeos de Deusto, 2015, p. 101 ss.

44 Al proposito si consultino i dati di cui al sito web dell’Unità Codecisione e Conciliazione del PE: www.europarl.europa.eu/code/about/statistics_en.htm#. Sembra d’interesse la circo-stanza per cui l’impatto dei first-reading agreements sul sistema legislativo dell’Unione sia stato considerato anche dal Bundesverfassungsgericht nella sentenza BVerfG 2, BvC 4/10, 9-11-2011, punto 113.

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menti alla posizione del Consiglio in prima lettura entro il termine di tre mesi e il Consiglio ha un ulteriore termine di tre mesi per approvare tutti gli emen-damenti e adottare l’atto. Si ricorda che, a norma dell’art. 294, par. 14, TFUE, i termini di tre mesi qui richiamati possono essere prorogati di un mese su ini-ziativa del PE o del Consiglio.

In generale, la ratio dei triloghi è di agevolare il coordinamento tra Parla-mento, Consiglio e Commissione, evitando che le divergenze politiche tra i tre organi si traducano in crisi istituzionali capaci di mettere a repentaglio il pro-gresso delle attività dell’UE. Tuttavia, sotto il profilo funzionale, gli early-second reading agreements e second reading agreements vanno tenuti distinti dai first-reading agreements. Infatti, questi ultimi incontri adempiono essen-zialmente una funzione preparatoria, tesa a prevenire l’emergere di conflitti tra le istituzioni politiche dell’Unione. Diversamente, gli early-second e second reading agreements possono considerarsi come l’equivalente informale di quegli organi presenti in molti sistemi bicamerali cui è delegata la funzione di risolvere conflitti politici già in atto: si pensi, ad esempio, ai conference com-mittees negli Stati Uniti ovvero al Vermittlungsausschuss in Germania 45. In definitiva, i first-reading agreements potrebbero ritenersi affini a una commis-sione parlamentare mista che discute un testo legislativo prima della sua pre-sentazione in aula; gli early-second e second reading agreements, invece, po-trebbero corrispondere a una sorta di “arbitrato” politico 46.

I triloghi possono tenersi «a vari livelli di rappresentanza, a seconda della natura della discussione prevista» (p.to 8 della Dichiarazione comune). Nel gergo istituzionale si è soliti distinguere tra incontri c.d. “a livello politico” e incontri c.d. “a livello tecnico”. Nel primo caso, le trattative riguardano ele-menti che incidono direttamente sull’essenza di una policy dell’Unione e a questi incontri prendono parte le più alte cariche istituzionali (eurodeputati,

45 Con riguardo ai conference committees, v. L.D. LONGLEY, W.J. OLESZEK, Bicameral Poli-tics: Conference Committees in Congress, New Haven, 1989; con riferimento al Vermittlung-sausschuss, invece, si veda C. MÖLLERS, Vermittlungsausschuss und Vermittlungsverfahren, in Jura, 2010, p. 401 ss. Per una comparazione tra il Vermittlungsausschuss tedesco e il comitato di conciliazione dell’UE, D. BURCHARDT, M. PUTZER, Kompetenzgrenzen im deutschen und eu-ropäischen Vermittlungsverfahren, in ZG, 2011, p. 68 ss.

46 In tal senso, v. le conclusioni dell’Avv. gen. Jääskinen, del 18 dicembre 2014, C-409/13, Consiglio c. Commissione, ECLI:EU:C:2014:2470, punti 101 ss. Va evidenziato, però, che l’Avv. gen., diversamente dall’approccio seguito nel presente contributo, non sembra distin-guere, sotto il profilo funzionale, tra first-reading agreements e early-second/second reading agreements. Egli sostiene, in termini generali, che «al pari del comitato di conciliazione … [i triloghi] rivest[ono] un ruolo di arbitrato delle controversie che possono sorgere tra le istituzio-ni e di ricerca di un accordo tra le stesse» (punto 102).

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rappresentanti permanenti, direttori generali della Commissione). Nel secondo caso, invece, i negoziati si concentrano su aspetti connessi alla formulazione del testo normativo (drafting) – sempre nel rispetto delle linee direttrici con-cordate «a livello politico» – e prevedono la partecipazione di delegati delle cariche sopra menzionate (assistenti parlamentari, funzionari diplomatici o at-taché, funzionari della Commissione).

In genere, il numero dei partecipanti ai triloghi non è superiore a trenta (circa dieci persone per delegazione). Le trattative si svolgono sulla base di un documento detto “quattro colonne”, redatto normalmente dal Segretariato del Consiglio, in cui vengono messi a confronto l’originaria proposta della Com-missione (I colonna), il mandato del Parlamento (II colonna), il mandato del Consiglio (III colonna) e le bozze di compromesso (IV colonna) 47. Tale do-cumento e, in particolare, i mandati in esso contenuti vengono aggiornati con il procedere delle trattative.

È importante evidenziare che il mandato dei rappresentanti delle istituzioni in seno alle riunioni tripartite deve considerarsi flessibile. In altre parole, le istituzioni possono decidere di riesaminare anche quelle disposizioni sulle quali, in origine, non vi era disaccordo ovvero procedere alla formulazione di ulteriori emendamenti 48. Le modifiche al mandato originario sono poi ridi-scusse separatamente da ciascuna istituzione, all’interno degli organi preposti all’elaborazione dei rispettivi mandati (commissione parlamentare competente nel merito, nel caso del PE; gruppo di lavoro o comitato, nel caso del Consi-glio). Le riunioni tripartite possono dirsi efficacemente concluse una volta che si sia raggiunto un accordo su tutti i punti oggetto di discussione («nulla è concordato finché tutto non è concordato») 49.

VI. (Segue). Il Regolamento interno del PE stabilisce una disciplina piutto-sto dettagliata circa le condizioni e le modalità di partecipazione dell’as-semblea ai negoziati interistituzionali. Nello specifico, l’art. 73, par. 2, c. 1,

47 Cfr. art. 5, par. 2, Allegato XX concernente un Codice di condotta Reg. PE. 48 La flessibilità del mandato negoziale in sede di triloghi sembra ispirarsi a quanto succede

nel corso della conciliazione. Infatti, nei comitati di conciliazione, le istituzioni legislative dell’UE non incontrano restrizioni per quanto riguarda il contenuto degli emendamenti che consentono di raggiungere un accordo su un progetto comune. Sul punto, Corte giust. 10 gen-naio 2006, C-344/04, IATA e ELFA, ECLI:EU:C:2006:10, punti 49 ss.

49 Cfr. Antwort der Bundesregierung auf die kleine Anfrage der Abgeordneten Dr. Kirsten Tackmann, Karin Binder, Caren Lay, weiterer Abgeordneter und der Fraktion DIE LINKE – Ablauf der Trilogverhandlungen zur Reform der Gemeinsamen EU-Agrarpolitik ab 2014, Drucksache 17/13159 del 18/04/2013, 2, in dip21.bundestag.de/dip21/btd/17/131/1713159.pdf.

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Reg. PE disciplina la c.d. standard procedure. Essa prevede che i contatti con Consiglio e Commissione debbano aver luogo solo dopo che la commissione parlamentare competente abbia assunto una decisione in tal senso a maggio-ranza assoluta. Quest’ultima stabilisce anche il mandato e la composizione della squadra negoziale. Il mandato è costituito da una relazione adottata in commissione, la quale include gli eventuali emendamenti alla proposta legisla-tiva. La squadra negoziale è normalmente guidata dal deputato-relatore e pre-sieduta dal presidente della commissione competente. Tale squadra compren-de anche i c.d. relatori-ombra di ogni gruppo politico.

L’art. 73, par. 2, c. 2, e l’art. 74 Reg. PE disciplinano, invece, la c.d. excep-tional procedure. Essa trova applicazione solamente «qualora la commissione competente ritenga debitamente giustificato avviare negoziati anteriormente all’approvazione di una relazione in commissione». In tal caso, il mandato può essere costituito da una serie di emendamenti ovvero di obiettivi, priorità o orientamenti chiaramente definiti. La composizione della squadra negoziale rimane la stessa di cui sopra.

La standard procedure può essere applicata sia nel corso della prima che della seconda lettura e prevede che i negoziati possano essere avviati subito dopo la notifica al Presidente del Parlamento della decisione della commissio-ne competente 50. La exceptional procedure, invece, può essere utilizzata solo in prima lettura e prevede un eventuale coinvolgimento della plenaria per l’a-dozione del mandato 51.

50 Spesso si verifica che, qualora si tratti di proposte legislative riguardanti temi politici particolarmente delicati, la commissione competente decide di ottenere un mandato negoziale direttamente dal plenum parlamentare. In tal caso, quest’ultimo è chiamato a votare la proposta oggetto della relazione della commissione competente con eventuali emendamenti (art. 55, par. 2, c. 1, Reg. PE). Il plenum non procede però al voto del progetto di risoluzione legislativa, ossia dell’atto con cui formalmente si conclude la lettura parlamentare (art., 55, par. 2, c. 2, Reg. PE). A questo punto, la relazione votata dalla plenaria torna alla commissione competente, la quale avvia gli incontri con Consiglio e Commissione. Si pensi, ex multis, alla Direttiva del Parla-mento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati adottata il 3 aprile 2014 (direttiva 2014/ 40/UE).

51 Assunta a maggioranza assoluta la decisione di avviare un negoziato e stabilito il manda-to e la composizione della squadra negoziale, il presidente di commissione notifica tale deci-sione al Presidente del PE, il quale la annuncia nel corso della prima riunione plenaria disponi-bile. La decisione può essere oggetto di un voto in plenaria se la Conferenza dei presidenti, che riunisce il Presidente del Parlamento e i presidenti dei gruppi politici e ha il compito di delibe-rare sull’organizzazione dei lavori del PE, decide di includere il punto nell’ordine del giorno del plenum ovvero se, entro 48 ore dall’annuncio in plenaria, un gruppo politico ovvero 40

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La partecipazione del Consiglio ai triloghi è invece caratterizzata da mag-giore flessibilità. Di norma, la delegazione di tale istituzione è presieduta dal presidente del COREPER I ovvero del COREPER II (rispettivamente, il Rappre-sentante permanente aggiunto e il Rappresentante permanente dello Stato membro che assicura la presidenza del Consiglio “Affari generali”) 52. Il presi-dente di tali organi è affiancato da esperti nazionali (funzionari e attaché in servizio presso la propria Rappresentanza) e dal personale del Segretariato ge-nerale del Consiglio, i quali dispongono delle conoscenze tecniche richieste per la discussione e l’elaborazione della proposta legislativa. Il mandato nego-ziale viene innanzitutto discusso all’interno dei gruppi di lavoro o dei comitati di cui si compone il Consiglio 53. Successivamente, la bozza di mandato viene valutata dal COREPER e sottoposta al Consiglio sotto forma di “orientamen-to” 54.

Infine, la Commissione prende parte alle riunioni tripartite con una delega-zione presieduta dai vertici della Direzione generale che si è occupata di redi-gere la proposta legislativa: generalmente, si tratta del Direttore generale o di un suo rappresentante. A questi si uniscono dei funzionari del Segretariato ge-nerale, tra i quali ve ne sono alcuni dell’Unità codecisione e alcuni del Servi-zio giuridico. La partecipazione della Commissione ai triloghi è essenzialmen-te intesa al ravvicinamento delle posizioni di Parlamento e Consiglio (un ruolo di c.d. “facilitatore” o “broker”), avendo riguardo al bilanciamento istituziona-le e al ruolo affidatole dai Trattati 55. Frequentemente la Commissione è chia-mata anche a porre le proprie conoscenze tecniche a servizio dei co-legislatori,

membri del Parlamento richiedano un dibattito e un voto nel corso della successiva sessione plenaria.

52 Il COREPER è l’organo del Consiglio dell’UE che riunisce i Capi o Vice-capi delegazio-ne degli Stati membri presso l’Unione europea. Il COREPER «è responsabile della preparazio-ne dei lavori del Consiglio» (art. 16, par. 7, TUE). A tal fine, si riunisce in due formazioni: COREPER I e COREPER II. Il primo è responsabile della preparazione dei lavori del Consiglio dell’UE nelle formazioni «Occupazione, politica sociale, salute e consumatori», «Competitivi-tà», «Trasporti, telecomunicazioni ed energia», «Agricoltura e pesca», «Ambiente» e «I-struzione, gioventù, cultura e sport»; il secondo, invece, è responsabile della preparazione dei lavori del Consiglio dell’UE nelle formazioni «Affari generali», «Affari esteri», «Economia e finanza» e «Giustizia e affari interni (GAI)».

53 I gruppi di lavoro e i comitati vengono istituiti per lo svolgimento dei lavori tecnici per conto del COREPER (art. 19, par. 3, Reg. Cons.). Alcuni gruppi sono istituiti solo per la tratta-zione di un determinato dossier; altri, invece, si riuniscono regolarmente e operano in determi-nati settori/materie. I gruppi attualmente attivi sono più di 150.

54 J.-P. JACQUÉ, Les Conseils après Lisbonne, in Rev. aff. eur., 2012, p. 216. 55 Cfr. p.ti 13, 17, 22 e 27 della Dichiarazione comune del 2007.

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esprimendosi sulla coerenza tra le bozze di compromesso e le varie politiche europee ovvero manifestando un parere circa l’attuabilità del compromesso stesso. Se la questione su cui è chiamata a esprimersi si presenta complessa, la Commissione può decidere di produrre dei documenti informali, c.d. non-papers

56, la cui fruizione è limitata alle persone che prendono parte ai nego-ziati.

A seconda della fase in cui l’accordo è stato raggiunto, il presidente del COREPER ovvero il presidente della commissione parlamentare competente inviano al loro omologo una sorta di lettera d’intenti, la quale contiene i detta-gli dell’accordo e la volontà politica di accettarlo qualora l’istituzione chiama-ta per prima a votare la proposta legislativa si conformi a quanto pattuito nel corso degli incontri informali 57. A seguito dell’invio delle lettere, il testo di-scusso nel corso delle riunioni trilaterali viene riproposto alla commissione parlamentare e al COREPER competenti per un riesame. La commissione par-lamentare è tenuta a discutere e a votare a maggioranza semplice il testo del-l’accordo. In caso di esito positivo, la proposta legislativa viene presentata alla plenaria per il dibattito e la votazione finale (art. 73, par. 5, Reg. PE). Lo stes-so avviene nel Consiglio, ove il COREPER è chiamato ad avallare l’accordo e a presentare il fascicolo al Consiglio. È bene specificare che le lettere d’intenti non vincolano giuridicamente le istituzioni. Sicché, qualora Parlamento o Consiglio propongano e votino degli emendamenti rispetto al testo approvato in seno ai triloghi, il compromesso si considererà superato.

Infine, è importante richiamare la prassi relativa all’uso che la Commissio-ne fa del potere di modifica delle proposte legislative. Com’è stato già eviden-ziato, se il Consiglio in prima lettura intende emendare una proposta legislati-va della Commissione, anche solo per approvare degli emendamenti votati dal Parlamento, esso sarà tenuto a decidere all’unanimità dei suoi membri (art. 293, par. 1, TFUE). A rigore, quindi, l’adozione da parte del Consiglio degli emendamenti di compromesso raggiunti al termine dei first reading agree-ments ovvero degli early-second reading agreements dovrebbe avvenire all’u-nanimità. Tuttavia, prima che il Consiglio deliberi in prima lettura, la Com-

56 L’uso del termine non-papers ha trovato prima diffusione nell’ambito delle Nazioni Uni-te. In genere, attraverso i non-papers le istituzioni intendono stimolare una discussione su un tema particolare ovvero presentare argomenti a favore o contro una bozza di emendamento. Il contenuto dei non-papers non rappresenta la posizione ufficiale dell’istituzione che li ha redat-ti. Va inoltre segnalato che la presentazione dei non-papers non è prerogativa della sola Com-missione. Anche Parlamento e Consiglio possono fare uso di tali documenti nel corso dei ne-goziati legislativi.

57 Cfr. p.ti 14, 18 e 23 della Dichiarazione comune del 2007.

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missione è solita modificare la proposta originaria incorporandovi gli emen-damenti di compromesso 58. In questo modo il Consiglio può adottare l’atto legislativo a maggioranza qualificata invece che all’unanimità.

VII. I triloghi sono stati oggetto di forti critiche 59. Si è sostenuto, infatti, che la prassi delle istituzioni di incontrarsi in camera si porrebbe in aperto contrasto con i principi democratici che fondano il parlamentarismo europeo (art. 9-12 TUE) e, in particolare, con il principio di trasparenza (art. 1, c. 2, art. 10, par. 3, TUE nonché art. 15, par. 2 e 3, TFUE) 60. Benché comprensibili sulla base del pre-giudizio che le origina, tali critiche sembrano sottovalutare l’importanza di tutte quelle istanze informali attraverso cui le istituzioni ren-dono operativo il processo di decisione delle leggi.

Al riguardo può richiamarsi la nota teoria di Luhmann sulla “doppia strut-tura” del processo legislativo 61. Secondo il sociologo tedesco, l’esercizio del potere legislativo non si basa solo sulle procedure parlamentari formalmente intese e le relative deliberazioni, ma anche sull’esistenza di «sistemi informali di contatto» 62. Per Luhmann tali sistemi hanno un compito cruciale: favorire l’emergere delle condizioni necessarie a un efficace svolgimento della funzio-ne legislativa. Per esempio, i rapporti personali e informali agevolano la crea-zione del consenso e danno vita a “strutture sociali” le cui dinamiche e regole risultano facilmente intuibili anche per gli attori politici meno esperti 63. Così

58 È bene specificare che, per modificare la proposta originaria, la Commissione non è tenuta ad adottare un nuovo testo che incorpori gli emendamenti di compromesso. È sufficiente che que-sta confermi, al termine dei triloghi, che la proposta in questione riflette il progetto di atto legisla-tivo della Commissione quale modificato dal compromesso politico raggiunto con i co-legislatori. Tale prassi è stata avallata da Corte giust. 5 ottobre 1994, C-280/93, Germania c. Consiglio, ECLI:EU:C:1994:367, punto 36. Questa sentenza è interessante anche per un altro motivo. Infat-ti, affrontando la questione della forma attraverso cui la Commissione può attuare la modifica delle proposte legislative, la Corte di giustizia ha affermato, in termini più generali, che l’iter le-gislativo dell’Unione si caratterizza per «una certa flessibilità, necessaria per raggiungere una convergenza di vedute tra le istituzioni» (sempre punto 36). Più recentemente, a conferma dell’in-dirizzo giurisprudenziale or ora citato si è espresso anche il Trib. 29 gennaio 2008, T-206/07, Fo-shan Shunde Yongjian Housewares & Hardware c. Consiglio, ECLI:EU:T:2008:17, punto 66.

59 Cfr. M. GÓMEZ-LEAL PÉREZ, op. cit., p. 107. 60 M.E. DE LEEUW, Openness in the legislative process in the European Union, in E. L.

Rev., 2007, p. 314; C. REH, Is informal politics undemocratic? Trilogues, early agreements and the selection model of representation, in Journal Europ. Public Policy, 2014, p. 823.

61 N. LUHMANN, Legitimation durch Verfahren, rist. Frankfurt am Main, 2013, p. 199. 62 Ibidem, p. 186. 63 Ibidem, p. 187.

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facendo, i “sistemi informali di contatto” semplificano la complessa realtà so-ciale del processo legislativo.

Orbene, se è vero che la trasparenza del processo legislativo corrisponde all’esigenza democratica di controllare l’operato dei rappresentanti che siedo-no in Parlamento, è altrettanto vero che disporre di istituzioni legislative capa-ci di (inter)agire in maniera efficace e tempestiva si collega a un’esigenza pa-rimenti cogente, ossia al bisogno di effettività degli ordinamenti giuridici 64: infatti, «governments have to be able to do things which they claim they can do, as well as those which they are expected to do; they have to work» 65. Per-tanto, le norme formalmente approvate che regolano l’esercizio della funzione legislativa devono risultare anche concretamente applicabili affinché esse pos-sano dirsi parte integrante dell’ordinamento giuridico 66. Ed è proprio in quan-to idonei a soddisfare l’esigenza di effettività che i “sistemi informali di con-tatto” trovano la loro ragion d’essere e la loro legittimità. Con un’importante precisazione: con ciò non si sta affermando una generale prevalenza del prin-cipio di effettività sul principio di trasparenza; piuttosto, si sta suggerendo un bilanciamento tra i due principi, di modo che l’affermarsi del primo non im-plichi l’annullamento del secondo e viceversa 67.

Quest’ultima osservazione vale anche per l’ordinamento dell’Unione, ove il compimento di un bilanciamento tra trasparenza ed effettività trova fondamento proprio nei Trattati. Infatti, accanto alle norme sulla trasparenza, il diritto prima-rio dell’UE prevede disposizioni espressamente volte a garantire l’efficace fun-zionamento dell’architettura istituzionale dell’Unione. Già nel Preambolo al Trattato sull’Unione europea si fa riferimento al desiderio (o alla preoccu-pazione?) degli Stati parti di «rafforzare ulteriormente il funzionamento demo-cratico ed efficiente delle istituzioni in modo da consentire loro di adempiere in

64 C. CALLIESS, Die neue Europäische Union nach dem Vertrag von Lissabon, Tübingen, 2010, p. 117, il quale afferma che: «Unter den Begriff der Handlungsfähigkeit werden auf eu-ropäischer Ebene in der Regel drei Komponenten gefasst: die Entscheidungsfähigkeit der ein-zelnen Organe der EU, die Fähigkeit ihres Zusammenwirkens untereinander und die Verhand-lungsfähigkeit im Bereich des auswertigen Handelns» (corsivo aggiunto).

65 R. DAHRENDORF, Effectiveness and Legitimacy: On the «Governability» of Democracies, in Polit. Q., 1980, p. 396.

66 P. PIOVANI, Effettività (principio di), in Enc. dir., vol. XIV, Milano, 1965, p. 420 ss. 67 Per un breve excursus della più recente giurisprudenza della Corte di giustizia in materia

di trasparenza del processo legislativo, si veda V. ABAZI, M. HILLEBRANDT, The legal limits to confidential negotiations: Recent case law developments in Council transparency: Access Info Europe and In ‘t Veld, in Common Market Law Rev., 2015, p. 825 ss.; C S. LEA, P.J. CARDWELL, Transparency Requirements in the Course of a Legislative Procedure: Council v. Access Info Europe, in European Public Law, 2015, p. 61 ss.

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modo più efficace, in un contesto istituzionale unico, i compiti loro affidati»; nuovamente, l’art. 13 TUE, norma di apertura del Titolo III dedicato alle «di-sposizioni relative alle istituzioni», ribadisce che «l’Unione dispone di un qua-dro istituzionale che mira a promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi, ser-vire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri, garantire la coerenza, l’efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni» 68.

L’opportunità di formalizzare i triloghi attraverso un riferimento esplicito nei Trattati e la necessità di assicurare loro una maggiore trasparenza furono discusse in seno alla Convenzione europea che redasse il progetto di trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Tuttavia, in seguito a un dibattito che vide coinvolti due esperti in materia di codecisione e conciliazione nomi-nati da Consiglio e Parlamento 69 e nel corso del quale alcuni membri chiesero un riferimento nei Trattati agli incontri informali tra le istituzioni, la Conven-zione convenne che «l’efficacia delle “riunioni a tre” risiede nella flessibilità e nel carattere informale che le contraddistingue» e che, di conseguenza, «non conviene dare loro una veste formale nei Trattati» 70.

Rilevanti per il ragionamento che qui si propone sono anche le previsioni contenute nella già citata Dichiarazione comune del 2007 e il modo in cui esse sono state concepite e formulate. Infatti, tale Dichiarazione non fa che alcuni vaghi cenni ai triloghi. E ciò, nuovamente, sembra essere stato frutto di una scelta consapevole delle istituzioni, le quali hanno volutamente – e, secondo alcuni, opportunamente – redatto le regole comuni e i principi guida contenuti nella Dichiarazione in termini generici così da riconoscere agli attori istituzio-nali un certo grado di discrezionalità e flessibilità nel momento in cui questi sono chiamati a mettere in moto il processo legislativo 71.

È ragionevole affermare, alla luce di tali circostanze, che sia gli autori dei Trattati sia le istituzioni dell’UE abbiano assegnato e continuino ad assegnare ai negoziati informali un valore autonomo e positivo, riconoscendo loro uno spazio nell’ambito del processo legislativo. Tra queste istituzioni vi è anche la

68 Corsivi aggiunti. 69 Gli esperti ascoltati dalla Convenzione europea furono il prof. J.-P. Jacqué, l’allora Di-

rettore dell’Unità del Consiglio dell’UE responsabile per la codecisione, e il sig. G. Dimitrako-poulos, l’allora Vicepresidente del Parlamento europeo, responsabile per la conciliazione.

70 Cfr. documento CONV 424/02 contenente la Relazione finale del Gruppo IX «Semplifi-cazione», 25, in european-convention.europa.eu/pdf/reg/it/02/cv00/cv00424.it02.pdf.

71 Così si esprimeva il prof. Jean-Paul Jacqué nel corso della conferenza organizzata dal Parlamento europeo il 5 novembre 2013 per i venti anni di funzionamento della procedura di codecisione. Sul punto si rinvia a 20 Years of Codecision: Conference report, p. 4, in www.eu roparl.europa.eu/code/events/20131105/report.pdf.

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Corte di giustizia, la quale, in tempi non recenti, ma senza mai mutare orien-tamento, ha affermato di non poter «intervenire nel processo di negoziazione [legislativa] fra il Consiglio e il Parlamento» e di non essere «tenuta ad accer-tare in qual misura l’atteggiamento del Consiglio o del Parlamento […] abbia impedito il raggiungimento di un accordo» 72. Sembra, quindi, di trovarsi di fronte a un paradosso: la formalizzazione dell’informalità.

Per questa ragione, la scienza giuridica non può considerare i triloghi come un elemento accessorio, o addirittura patologico del sistema legislativo del-l’UE, ma è chiamata a contemperare il principio di trasparenza e i suoi corol-lari (es. diritto d’accesso ai documenti legislativi) con il principio di effettivi-tà, da intendersi come quel principio che mira a garantire il pieno ed efficace funzionamento delle istituzioni poste a capo di un ordinamento giuridico, e di cui i triloghi costituiscono espressione pratica 73.

VIII. Ulteriori perplessità sono state avanzate nei confronti dei triloghi an-che in relazione alla loro compatibilità con il principio dell’equilibrio istitu-

72 Cfr. Corte giust. 2 giugno 1986, C-34/86, Consiglio c. Parlamento, ECLI:EU:C:1986: 291, punti 42 e 45. Pare interessante evidenziare che, in questa sentenza, originata da una diver-genza tra Parlamento e Consiglio in merito alla delimitazione delle spese non obbligatorie nel bilancio comunitario, i giudici di Lussemburgo invitarono le istituzioni controvertenti a fare uso della procedura informale di conciliazione istituita con la Dichiarazione comune del 1982 (v. § 3) invece di rivolgersi a essa al fine di risolvere le loro differenze politiche (punto 50).

73 Anche C. FASONE, N. LUPO, Transparency vs. Informality in Legislative Committees: Com-paring the US House of Representatives, the Italian Chamber of Deputies and the European Par-liament, in Journal Legisl. Stud., 2015, p. 14, quando affermano che «Not only do high levels of transparency not necessarily lead to legislative committees free from external and economic in-fluences, but the full disclosure of committee activity could undermine their effectiveness in the legislative process, which relies on a certain degree of informality and confidentiality». A. PE-TERS, European Democracy after the 2003 Convention, in Common Market Law Rev., 2004, p. 66. Un bilanciamento tra principio di trasparenza e «tutela dei processi decisionali» è stato recen-temente operato da Trib. 13 novembre 2015, T-424/14 e T-425/14, ClientEarth c. Commissione, ECLI:T:2015:848. Sebbene il Tribunale non specifichi il contenuto del principio di tutela dei pro-cessi decisionali, esso potrebbe identificarsi con il riconoscimento e la garanzia di uno spazio di riflessione (c.d. thinking space), di un certo margine di manovra e d’indipendenza dell’istituzione chiamata ad assumere una decisione nonché con la protezione da pressioni esterne atte ad incide-re sullo svolgimento di discussioni e negoziati in corso. Nel caso di specie, il Tribunale si trovava a valutare la legittimità di due decisioni della Commissione con cui questa aveva rifiutato al ricor-rente l’accesso ad alcune valutazioni d’impatto. Nel rigettare il ricorso, il Tribunale affermava che «l’interesse inerente alla comprensione e alla partecipazione al processo legislativo non può costituire un interesse pubblico superiore atto a prevalere sulla tutela dei [...] processi decisionali» (punto 156). Detto in altri termini, le garanzie di trasparenza e di accesso ai documenti non pos-sono spingersi fino a divenire un ostacolo all’efficace svolgimento delle procedure.

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zionale. Si tratta di un profilo problematico di sicuro interesse, sul quale la stessa Corte di giustizia è stata chiamata in sostanza a pronunciarsi in una re-cente sentenza che avrà un forte impatto sulla futura prassi degli accordi in prima lettura 74. Nella pronuncia resa il 14 aprile 2015, nel procedimento che ha visto opposti Consiglio e Commissione, la Corte di giustizia è intervenuta per dirimere alcune incertezze riguardanti l’ambito applicativo della norma di cui all’art. 293, par. 2, TFUE. In particolare, si trattava di decidere se il potere di modifica, che la disposizione in questione attribuisce alla Commissione, sia tale da ricomprendere anche il potere di ritiro delle proposte legislative 75. Prima di quest’ultima controversia, la Corte aveva più volte accennato al pote-re di modifica, ma non si era mai soffermata a definirne portata e significato 76 e in un solo caso – e piuttosto en passant – i giudici di Lussemburgo avevano affermato che la Commissione può ritirare le proprie proposte 77.

Nel ricorso alla Corte, il Consiglio chiedeva l’annullamento della decisione con cui la Commissione aveva ritirato la proposta di regolamento quadro in materia di assistenza macrofinanziaria ai paesi terzi, adducendo come motiva-zione che «l’accordo [informale] che si andava profilando tra i due co-legi-slatori non avrebbe permesso di conseguire gli obiettivi che l’istituzione si prefiggeva con il testo proposto» 78.

Tra i motivi posti a fondamento del ricorso, il Consiglio considerava ille-gittimo l’uso del potere di ritiro da parte della Commissione, in quanto pre-giudicava segnatamente il principio dell’equilibrio istituzionale 79 nonché quel-

74 Si tratta della già citata Corte giust. 14 aprile 2015, C-409/13, Consiglio c. Commissione, ECLI:EU:C:2015:217.

75 Per alcuni commenti alla sentenza, v. N. LUPO, Un conflitto tra Consiglio e Commissio-ne: il diritto di iniziativa legislativa della Commissione include il potere di ritiro, ma non è privo di limiti, in Quad. cost., 2015, p. 792 ss.; S. NINATTI, Un conflitto tra Consiglio e Com-missione: la conferma del ruolo della Corte come arbitro dell’equilibrio istituzionale nella forma di governo dell’Unione, in Quad. cost., 2015, p. 794 ss.; M. STARITA, Sul potere della Commissione europea di ritirare una proposta legislativa e sui suoi riflessi sugli equilibri isti-tuzionali nel diritto dell’Unione europea, 2015, in www.federalismi.it.

76 Cfr., ex multis, Corte giust. 30 maggio 1989, C-355/87, Commissione c. Consiglio, ECLI:EU:C:1989:220, punto 44; 11 novembre 1997, C-408/95, Eurotunnel e a. c. SeaFrance, ECLI:EU:C:1997:532, punto 39.

77 Cfr. Corte giust. 14 luglio 1988, C-188/85, Fediol c. Commissione, ECLI:EU:C:1988: 400, punto 37.

78 Cfr. Relazione della Commissione COM(2013) 426 final, del 17 giugno 2013, pp. 3 e 5. 79 Per alcune riflessioni sulla natura del concetto di “equilibrio istituzionale” e sulla sua non

sempre lineare e coerente applicazione da parte della Corte di giustizia, v. M. CHAMON, The Insti-tutional Balance, an Ill-Fated Principle of EU Law?, in Europ. Public Law, 2015, p. 371 ss.

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lo di leale cooperazione e di democrazia. Nello specifico, il Consiglio argo-mentava, in merito alla violazione dell’equilibrio istituzionale e del principio della leale cooperazione tra istituzioni, che il potere di ritiro potesse essere esercitato solo in presenza di specifiche situazioni oggettive (esaurimento del tempo, emergere di nuove circostanze o dati che rendano la proposta legislati-va obsoleta o priva di oggetto, un’assenza duratura di significativi progressi della procedura legislativa ecc.) e non ad nutum

80. Sulla mancata osservanza del principio di democrazia, invece, il ricorrente, sostenuto dal governo tede-sco, riteneva dovesse escludersi il potere di ritiro quale strumento di opposi-zione politica ai compromessi raggiunti da Parlamento e Consiglio, i soli dota-ti di una vera e propria legittimazione democratica 81.

La Commissione replicava al Consiglio che la decisione di ritirare la pro-posta di regolamento quadro non era motivata da ragioni politiche quanto, piuttosto, dall’esigenza di impedire che l’accordo in prima lettura tra i co-legislatori snaturasse gli obiettivi che l’istituzione si era prefissata con il testo originario 82. Sulla contestazione relativa alla forzatura del principio di demo-crazia, la Commissione rivendicava una propria legittimazione democratica, al pari di Parlamento e Consiglio.

In altre parole, la controversia in commento poneva alla Corte il problema di decidere se i fatti e la realtà istituzionale abbiano una loro normatività e possano concorrere a definire e a innovare il contenuto delle disposizioni dei Trattati. Infatti, leggendo gli argomenti del Consiglio, si ricava l’impressione che essi si fondino sull’implicita idea che la Commissione abbia violato le ‘convenzioni’ che da anni regolano l’esercizio della funzione legislativa. In ossequio a tali convenzioni, la Commissione avrebbe dovuto limitarsi a opera-re come broker tra Parlamento e Consiglio e non opporsi all’accordo informa-le da questi (quasi) siglato 83.

Tuttavia, i giudici di Lussemburgo rigettavano in quanto infondati gli ar-gomenti del Consiglio. La Corte affermava, dunque, che il diritto primario dell’Unione attribuisce alla Commissione il potere di ritiro delle proposte legi-slative «fintantoché il Consiglio non ha deliberato» ed elaborava alcuni limiti all’esercizio di tale potere. Tali limiti, espressione del principio di leale coope-razione, si sostanziano nell’obbligo in capo alla Commissione di motivare la

80 Cfr. Corte giust. 14 aprile 2015, C-409/13, Consiglio c. Commissione, cit., punto 34. 81 Ibidem, punto 36. 82 Ibidem, punto 56. 83 Ibidem, punto 74.

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decisione di ritiro, «suffragandola con elementi convincenti» 84 e nell’obbligo di procedere al ritiro solo dopo aver preso in considerazione le ragioni che spingono Parlamento e Consiglio a emendare la proposta originaria 85. Così fa-cendo, la Corte ha in qualche misura procedimentalizzato il potere di ritiro, at-tribuendosi la competenza a controllare che la Commissione eserciti il ritiro nel rispetto dei limiti da essa precisati 86.

Con questa decisione, la Corte ha voluto affermare il proprio ruolo di “arbi-tro” dell’equilibrio istituzionale 87 e del c.d. metodo comunitario, consolidando le prerogative che i Trattati attribuiscono alla Commissione in materia legisla-tiva. Tuttavia, la decisione della Corte non pare del tutto convincente, in parti-colare con riferimento al significato logico-sistematico che i giudici di Lus-semburgo hanno attribuito all’art. 293, par. 2, TFUE.

Per comprendere il ruolo della norma nell’ordinamento dell’Unione, è neces-sario volgersi alle sue origini. Nella sua prima formulazione, la disposizione in esame (allora si trattava dell’art. 149, comma 2, Tr. CEE) statuiva che «fino a quando il Consiglio non si sia pronunciato, la Commissione può modificare la sua proposta iniziale, specie quando l’Assemblea sia stata consultata in merito alla proposta» 88. Pertanto, in un assetto di poteri ove il Parlamento altro non era che un organo consultivo e gli atti legislativi erano adottati unicamente dal Con-siglio, la ratio della norma era quella di consentire alla Commissione di integra-re il parere del PE, o parte di esso, nella proposta originaria. In tal modo, si ga-rantiva che le opinioni espresse dal Parlamento potessero, per tramite della Commissione, trovare ingresso nei canali decisionali. Nonostante la disposizio-ne in esame abbia subito nel corso degli anni alcuni piccoli cambiamenti, il suo spirito non sembra essere mutato. Anche oggi, infatti, pare che la finalità dei po-teri che la norma attribuisce alla Commissione sia quella di favorire, «nell’in-teresse generale dell’Unione» e in conformità al principio di leale cooperazione, un coordinato e proficuo svolgimento della procedura legislativa.

Ora, invece, alla luce di quest’ultima pronuncia della Corte, l’art. 293, par. 2, TFUE è venuto ad assumere un nuovo e diverso significato: alla Commis-sione è stata infatti riconosciuta una sorta di potere di veto 89, di cui essa potrà

84 Ibidem, punti 76 ss. 85 Ibidem, punto 83. 86 Ibidem, punto 77. 87 Per alcune considerazioni sul punto, v. S. NINATTI, op. cit., pp. 797 e 798; M. STARITA,

op. cit., p. 25. 88 Corsivo aggiunto. 89 In questi termini si esprime anche M. STARITA, op. cit., p. 22 ss.

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servirsi qualora il clima politico in seno ai negoziati legislativi faccia presagire un’alterazione indesiderata della propria proposta 90. Come s’è visto, pochi e non particolarmente restrittivi saranno i limiti che incontrerà la Commissione nell’esercizio di tale potere. Quindi, da strumento di cooperazione istituziona-le, il potere di modifica (e la sua versione più estrema del ritiro) è divenuto uno strumento di controllo e di opposizione politica, simile a quelli che possono individuarsi negli ordinamenti ispirati al principio dei pesi e dei contrappesi.

Ci si sarebbe auspicati che la Corte si fosse mostrata più attenta alle esi-genze delle istituzioni politiche e alla realtà istituzionale in cui esse proiettano la loro azione 91. D’ora in avanti, la Commissione prenderà parte agli incontri informali forte di questo precedente e potrà influenzare in maniera rilevante lo sviluppo dei negoziati, operando quasi come un “terzo ramo” del Legislativo dell’Unione. È verosimile che ciò complichi il raggiungimento di compromes-si e faccia crescere il contenzioso interistituzionale davanti alla Corte di giu-stizia, dilatando ulteriormente il tempo necessario per l’adozione degli atti le-gislativi. E ciò a tacere delle ricadute negative sulle credenziali democratiche dell’Unione derivanti dal riconoscimento di un potere di veto a un organo, la Commissione, quasi del tutto esterno al circuito della responsabilità politica.

IX. Dall’insieme delle considerazioni svolte nei paragrafi precedenti emerge, dunque, che i triloghi e la loro informalità entrano in qualche misura in collisio-ne con alcuni principi dell’ordinamento europeo, tra i quali soprattutto il princi-pio di trasparenza e quello dell’equilibrio istituzionale 92. Tuttavia, è innegabile che la loro nascita e il loro proliferare abbiano trovato – e trovino ancora – una loro giustificazione (1) in un’esigenza contingente, ossia permettere il funzio-namento delle procedure legislative dell’UE in ottemperanza al principio di ef-

90 Qui è importante fare un’osservazione. La Commissione ha fondato il proprio controri-corso sull’idea che il potere di ritiro sia legittimo ogniqualvolta i co-legislatori intendano «sna-turare» la proposta legislativa da questa formulata. Tuttavia, la Corte non pare considerare ne-cessario che si arrivi a uno snaturamento affinché la Commissione possa esercitare il ritiro. Es-sa si limita a elaborare gli obblighi già richiamati (obbligo di tempestiva informazione e obbli-go di ascolto delle ragioni di Parlamento e Consiglio), lasciando aperta la questione relativa al tipo e alla portata delle alterazioni della proposta iniziale che possono legittimare un ritiro da parte della Commissione.

91 Cfr. Editorial Comments: The Critical Turn in EU Legal Studies, in Common Market Law Rev., 2015, p. 885, ove si sostiene, in termini forse un po’ estremi, che «the Court may have demonstrated in individual cases a certain concern about the consequences of its action. But the point is that this concern remains superficial and incomplete, as it relies on the incon-clusive terms of the treaties themselves».

92 P. DANN, op. cit., p. 256.

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fettività (si pensi alle crisi di bilancio degli anni ’80); (2) nel desiderio espresso dai redattori dei Trattati di mantenere un’istanza informale che garantisca l’ef-ficace cooperazione interistituzionale in ambito legislativo (si pensi al dibattito che ebbe luogo in seno alla Convenzione europea) e, infine, (3) nella semplice circostanza per cui il processo legislativo non è solo una sequenza di atti previ-sta da norme sulla produzione, ma anche un «fenomeno dinamico della realtà sociale», del quale i rapporti personali e informali e, più in generale, le regole del costume politico costituiscono parte imprescindibile e ineliminabile 93.

Seguendo l’insegnamento di Santi Romano, le regole del costume politico «contribuiscono grandemente alla flessibilità e, quindi, alla stabilità dell’or-dinamento […] Se questo è rigidamente fissato in tutte le sue parti da norme giuridiche […] corre maggiormente il rischio di crollare sotto l’impeto delle varie e variabili correnti che agitano sempre la vita politica […]. Se un ordi-namento invece presenta entro la sua cerchia degli spazi liberi, o, meglio, ri-serbati al costume politico, sarà questo, a preferenza del primo, che subirà le ondate sovvertitrici e potrà essere modificato e sostituito senza che si tocchino le istituzioni giuridiche» 94.

In una fase storica ove gli organi elettivi, in particolare i parlamenti, incon-trano profonde difficoltà «nel convogliare nuove esigenze e nel tradurle in atti normativi dotati di efficacia erga omnes, nonché nel pervenire a soluzioni ra-pide ed efficienti» 95, è necessario pensare a modi nuovi di gestire processi de-cisionali sempre più complessi. Al proposito, si pensi alla crisi economico-finanziaria che ha recentemente colpito l’Europa, la quale ha messo a nudo l’impotenza del potere legislativo sovranazionale di fronte alla velocità e ine-sorabilità dei mercati 96. Infatti, molte delle misure anti-crisi, spesso assai inci-sive sui diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione europea, sono state adot-tate da istituzioni non legislative che seguono procedure decisionali più snelle ed efficaci, quali il Consiglio europeo (si pensi al trattato sul Fiscal Compact)

93 A. PREDIERI, op. cit., p. 2459. 94 S. ROMANO, Diritto e correttezza costituzionale, in Scritti minori, I, Milano, 1950, p. 278. 95 Così A. SPERTI, op. cit., p. 140. 96 Questa circostanza costituisce il punto di partenza dell’interessante proposta di Antoine

Vauchez, il quale, prendendo le distanze dal modello di democrazia parlamentare di stampo westminsteriano, suggerisce di rendere più democratiche e accountable quelle istituzioni del-l’Unione le cui decisioni in questi anni di crisi hanno avuto l’impatto più incisivo sulla vita dei cittadini europei, in particolare la Commissione europea, la Banca centrale europea, la Corte di giustizia dell’UE e il Consiglio europeo. Sul punto, A. VAUCHEZ, Démocratiser l’Europe, Pa-ris, 2014. Per una recensione del libro di Vauchez, v. A. VON BOGDANDY, Demokratisiert die EZB und den Europäischen Gerichtshof!: Ein französisches Plädoyer zur Reform der EU-Institutionen, in Frankfurter Allgemeine Zeitung del 18 marzo 2015.

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ovvero la Banca centrale europea (si pensi al programma OMT). Il processo d’integrazione europea, quale open-ended process, può essere

fucina di soluzioni innovative, capaci di sintetizzare in termini ragionevoli le esigenze di democraticità ed effettività, legittimità ed efficienza del processo legislativo. In tal senso, i triloghi costituiscono forse un interessante modello di elaborazione e ‘gestazione’ delle proposte legislative, nel pieno riconosci-mento e rispetto delle idiosincrasie dell’ordinamento sovranazionale.

Lo scorso 19 maggio, la Commissione ha presentato un’iniziativa denomi-nata “Better regulation”, tra i cui obiettivi si annovera la conclusione, entro la fine dell’anno, di un accordo interistituzionale volto a integrare gli accordi esi-stenti tra le tre istituzioni in materia di metodi di lavoro comuni 97. La bozza d’accordo mira a garantire una migliore e più efficace collaborazione delle tre istituzioni nell’individuazione e applicazione delle best practices per l’ado-zione della legislazione dell’Unione 98. Al punto 28 della bozza d’accordo si prevede che «the three institutions will ensure an appropriate degree of trans-parency of the legislative process, including of trilateral negotiations between the three institutions» 99. Non è possibile prevedere se l’accordo troverà il con-senso delle tre istituzioni europee o che sorte toccherà alla disposizione in pa-rola nel corso dei negoziati che porteranno alla firma dello stesso. Certo è che, facendo uso di una clausola generale («appropriate degree of transparency»), la Commissione sembra aver tenuto conto della necessità di salvaguardare una certa elasticità e dinamicità procedimentali, anche attraverso il riconoscimento di uno spazio per l’informalità e per i triloghi. Così facendo, si potrà evitare che un’eccessiva – e, quindi, inappropriata – attenzione alle esigenze di tra-sparenza si traduca in un’eccessiva rigidità del procedimento o in un vero e proprio ostacolo ai lavori legislativi 100.

97 Per un’analisi storico-comparata della legistica e delle iniziative di better regulation, si veda, da ultimo, T.E. FROSINI, Legislazione e comparazione, in Dir. pubbl. comp. eur., 2015, p. 73 ss.

98 Per un’introduzione all’iniziativa, si consulti la pagina web della Commissione: ec.eu ropa.eu/smart-regulation/index_en.htm.

99 Corsivo aggiunto. La bozza di accordo interistituzionale “Legiferare meglio” è allegato alla Comunicazione della Commissione europea COM(2015) 216 final de 19 maggio 2015, in ec.europa.eu/smart-regulation/better_regulation/documents/com_2015_216_en.pdf.

100 Per completezza, si segnala che, lo scorso 29 maggio, il Mediatore europeo, la sig.ra Emily O’Reilly, ha deciso di avviare un’inchiesta sulla trasparenza dei triloghi. Nello specifi-co, l’Ombudsman ha chiesto a ciascuna delle tre istituzioni legislative di presentare, entro il 30 settembre 2015, delle relazioni che illustrino le loro politiche di informativa e divulgazione dei documenti utilizzati nel corso delle riunioni trilaterali. Tale iniziativa merita di essere monito-rata con attenzione, non da ultimo per l’influenza che potrebbe avere sull’andamento dei nego-

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Proprio con riguardo al negoziato dell’accordo interistituzionale “Better regulation” e al problema della trasparenza dei triloghi, un noto studioso del diritto istituzionale dell’Unione europea ha recentemente affermato che «la transparence totale [...] reste une illusion. Il existe dans tout système un mo-ment où une décision doit être prise ou un accord négocié à l’abri des regards pour éviter les pressions externes. La transparence totale des institutions con-duit le plus souvent à ce que les décisions soient prises en dehors de celles-ci en l’absence de garanties offertes par les traités» 101. Invero, l’indifferenza, la frustrazione e lo scontento del civis europaeus verso quanto deciso e attuato a Bruxelles dipendono soprattutto dalla difficoltà che questi incontra nel com-prendere in che misura il diritto dell’UE contribuisce al suo benessere econo-mico, giuridico e sociale. Pertanto, invece di insistere per una totale trasparen-za dei processi decisionali (desiderio quasi chimerico), non sarebbe più utile cercare di elaborare progetti di riforma e strategie capaci di semplificare e rendere più intelligibile per i cittadini europei la struttura istituzionale dell’UE e le relazioni tra i suoi organi nonché le procedure decisionali e l’impatto che le decisioni così assunte hanno sulla loro vita?

ABSTRACT Over the last fifteen years, the EU institutions have been increasingly relying on

trilogue negotiations in order to streamline the law-making process and to make it more effective. Trilogue negotiations are informal meetings held behind closed doors by small groups of representatives of Parliament, Council and Commission, during which the three institutions discuss and define features and contents of legislative ini-tiatives. According to some authors, though, the informality and confidentiality of trilogue negotiations pose a major challenge to the principle of transparency as pro-vided for by the Treaties. With this in mind, the purpose of this article is to carry out a legal analysis of trilogue negotiations, paying particular attention to the role of infor-mality and the tension between transparency and effectiveness within the European legislative process.

ziati relativi al citato accordo interistituzionale “Legiferare meglio”. Sul punto, si veda Trans-parency: Ombudsman investigates trialogue meetings, in Bulletin Quotidien Europe (11323) del 29 maggio 2015, p. 23 nonché la pagina web del Mediatore europeo dedicata all’inchiesta: www.ombudsman.europa.eu/it/press/release.faces/en/59975/html.bookmark.

101 Corsivo aggiunto. Il brano è tratto da J.-P. JACQUÉ, Éditorial: Mieux légiférer, in Rev. trim. dr. eur., 2015, p. 283 e 284, il quale arriva ad affermare che «en fait, la consultation et la transparence sont déjà très développées dans l’Union».

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COMMENTI

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L’equilibrio istituzionale fra Parlamento europeo e Consiglio europeo nella nomina del Presidente della Commissione Fabio Spitaleri

SOMMARIO

I. Introduzione. – II. La procedura di nomina del Presidente della Commissione: l’evoluzione della disciplina. – III. Le prerogative e i condizionamenti reciproci del Consiglio europeo e del Parlamento europeo nell’investitura del Presidente. – IV. La scelta del Consiglio europeo di proporre il “candidato di spicco” indicato dal partito europeo più votato: la tesi “estrema” del-l’incompatibilità di tale prassi con i trattati. – V. (Segue). La tesi “estrema” opposta: l’obbliga-torietà dell’investitura del “candidato di spicco”. – VI. Conclusioni.

I. Il rispetto dell’equilibrio istituzionale è un principio fondamentale che caratterizza l’intera struttura dell’Unione. Esso vincola ciascuna istituzione ad agire nei limiti delle attribuzioni conferite, secondo procedure, condizioni e fi-nalità predeterminate (art. 13, par. 2, TUE). Tale equilibrio dipende ovviamen-te dai trattati: l’articolazione del quadro istituzionale e la ripartizione dei pote-ri sono fissate nel diritto primario e possono essere modificate soltanto attra-verso le prescritte procedure di revisione 1. Tuttavia, una qualche flessibilità non manca. Nel silenzio dei trattati, anche le istituzioni possono concorrere alla definizione di detto equilibrio. Lo può fare, anzitutto, la Corte di giustizia quando opera nella sua veste di organo supremo di controllo della validità de-gli atti delle istituzioni. Essa può ricavare in via interpretativa un determinato potere che i trattati non prevedevano espressamente, colmando così una lacuna del sistema 2.

1 Secondo una giurisprudenza consolidata, «una semplice prassi non può prevalere sulle norme del Trattato» e alterare l’equilibrio istituzionale da esso previsto (v., in tal senso, Corte giust. 9 agosto 1994, C-327/91, Francia c. Commissione, p. I-3641, spec. punti 28 e 36; 6 maggio 2008, C-133/06, Parlamento europeo c. Consiglio, p. I-3189, punto 60).

2 A tal riguardo, si può ricordare la celebre sentenza Chernobyl (Corte giust. 22 maggio

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Un contributo alla precisazione dell’equilibrio istituzionale può derivare anche dalla prassi. L’operato di singole istituzioni o il loro agire concordato (e, talvolta, formalizzato in apposti accordi, cd. interistituzionali) può eviden-ziare l’esistenza di poteri che i trattati non stabilivano chiaramente o che essi ripartivano, senza indicazioni specifiche, tra più istituzioni 3.

Una prassi significativa, che ha inciso sull’equilibrio istituzionale dell’U-nione, si è di recente manifestata in occasione della nomina del Presidente del-la Commissione europea. In effetti, gli atti compiuti dal Parlamento europeo (e dai gruppi parlamentari in esso costituiti) a seguito delle elezioni del 2014 hanno fatto emergere, più chiaramente, la ripartizione delle prerogative tra l’As-semblea parlamentare e il Consiglio europeo nella scelta di tale organo mono-cratico.

A tal riguardo, va ricordato che la campagna elettorale del 2014 è stata contraddistinta da un elemento di novità significativo. I principali partiti euro-pei hanno proposto il nominativo di un candidato (il c.d. “candidato di spicco” o Spitzenkandidat) che – secondo le dichiarazioni rese da tali partiti – avrebbe dovuto ricoprire la carica di Presidente della Commissione, in caso di un loro successo alle elezioni 4-5. I candidati di spicco dei principali partiti europei so-

1990, C-70/88, Parlamento europeo c. Consiglio, p. I-2041), nella quale – com’è noto – pur in assenza di una espressa previsione dei Trattati, la Corte ha riconosciuto al Parlamento europeo la legittimazione a impugnare gli atti del Consiglio lesivi delle competenze dell’Assemblea. Si può richiamare anche Corte giust. 14 aprile 2015, C-409/13, Consiglio c. Commissione, non ancora pubblicata in Racc. In tale pronuncia, la Corte ha riconosciuto alla Commissione il po-tere, non espressamente previsto dai trattati, di ritirare una proposta di atto legislativo. Que-st’ultima sentenza appare di grande interesse, perché valorizza il principio dell’equilibrio isti-tuzionale – finora interpretato soprattutto a presidio delle prerogative del Parlamento europeo – anche in relazione al ruolo della Commissione nell’iter di adozione degli atti normativi.

3 È spesso accaduto che la giurisprudenza della Corte o la prassi delle istituzioni sia stata poi codificata attraverso una successiva revisione dei Trattati. Ciò è avvenuto, ad esempio, con riguardo alla legittimazione del Parlamento europeo a proporre un ricorso d’annullamento a tutela delle proprie prerogative, dapprima, riconosciuta in via giurisprudenziale nella sentenza Chernobyl, cit., e, in seguito, prevista espressamente dal Trattato di Maastricht. Per un altro e-sempio di tale dinamica v. quanto riportato in nota 17.

4 Un invito ai partiti politici europei a indicare un “candidato di spicco” era venuto dalle stesse istituzioni dell’Unione. In tal senso v. risoluzione del Parlamento europeo, del 22 no-vembre 2012, sulle elezioni al Parlamento europeo nel 2014 [2012/2829(RSP)], nella quale si legge che il Parlamento europeo «esorta i partiti politici europei a nominare candidati alla pre-sidenza della Commissione e si aspetta che tali candidati svolgano un ruolo guida nell’ambito della campagna elettorale parlamentare, in particolare presentando personalmente il loro pro-gramma in tutti gli Stati membri dell’Unione; sottolinea l’importanza di rafforzare la legittimi-tà politica sia del Parlamento che della Commissione instaurando un collegamento più diretto tra le rispettive elezioni e la scelta dei votanti». V. anche raccomandazione 2013/142/UE della

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no stati designati con procedure di tipo congressuale 6. Non essendo previsto

Commissione, del 12 marzo 2013, sul rafforzare l’efficienza e la democrazia nello svolgimento delle elezioni del Parlamento europeo (in GUUE L 79 del 21 marzo 2013, p. 29), nella quale è indicato che «i partiti politici europei e nazionali dovrebbero rendere noti, prima delle elezioni del Parlamento europeo, i rispettivi candidati alla carica di presidente della Commissione euro-pea e i relativi programmi» (punto 3).

5 Già nel dicembre 1993, i leader dei partiti socialisti discussero in un incontro tenuto a Bruxelles della possibilità di proporre un candidato per la presidenza della Commissione prima delle elezioni europee (tale circostanza è riferita da S. HIX, Executive selection in the European Union: does the Commission president investiture procedure reduce the democratic deficit?, in K. NEUNREITHER, A. WIENER (a cura di), European integration after Amsterdam, Oxford, 2000, p. 95, spec. pp. 105). La proposta è stata poi lanciata da Tommaso Padoa-Schioppa nel 1998. A tal riguardo, v. T. PADOA-SCHIOPPA, De la monnaie unique au scrutin unique, in Notre Europe, 2008, p. 1, spec. pp. 4, 7 e 8, il quale prospetta il seguente scenario: «chacune des formations politiques européennes choisit un candidat à la Présidence et déclare qu’en cas de victoire pour son camp, c’est-à-dire s’il constitue le plus grand groupe au sein du nouveau Parlement, il ac-cordera son vote de confiance à une Commission dont le Président aura été son candidat. (…) Un Président issu de cette procédure pourrait jouer un rôle nouveau plus fort dans la formation de la Commission, qui est pour l’instant le résultat de décisions nationales unilatérales. De plus, il aurait le pouvoir de définir, selon le Traité d’Amsterdam, des “orientations politiques” pour la Commission. (…) Lier le Président de la Commission aux élections européennes aurait cependant un effet de levier puissant. Cela apporterait à l’Union ce qui lui fait le plus défaut: un vrai débat politique et la participation des partis et des électeurs. C’est parfaitement compa-tible avec les Traités actuels et dans la lignée de l’évolution historique des institutions de l’UE au cours des dernières décennies». L’idea dell’indicazione di un candidato di spicco è stata poi ripresa da G. BONVICINI, G.L. TOSATO, R. MATARAZZO, I partiti politici europei e la candidatura del presidente della Commissione, in questa Rivista, 2009, p. 179, spec. p. 182 ss. Gli Autori osservano che «un primo elemento di un possibile tragitto verso una più chiara definizione del-la “responsabilità politica” può essere quello di una più chiara caratterizzazione politica della nomina del Presidente della Commissione creando un legame tra la sua nomina, le elezioni del Parlamento europeo e il ruolo dei partiti politici europei. (…) La procedura (volontaristica) da seguire sarebbe essenzialmente quella di convincere almeno le maggiori forze politiche euro-pee, popolari, socialisti, liberal-democratici a selezionare un proprio candidato a Presidente della Commissione. Dopo le elezioni, il Consiglio europeo procederebbe alla nomina del can-didato indicato dal partito o dalla coalizione vincente».

6 Per una dettagliata ricostruzione dell’iter di investitura degli Spitzenkandidaten, e più in generale dei fatti che hanno condotto all’elezione di Jean-Claude Juncker alla Presidenza della Commissione, v. C. CURTI GIALDINO, L’elezione del nuovo presidente della Commissione euro-pea: profili giuridico-istituzionali, in questa Rivista, p. 137, spec. pp. 161 e 186 e note 81-84. L’A. ricorda che Martin Schulz è stato confermato come “unico candidato designato” dal PES nel Congresso di Roma del 1° marzo 2014. Al Congresso di Dublino del 6-7 marzo 2014, il PPE ha eletto Jean-Claude Juncker, il quale ha superato con 382 voti contro 245, l’altro candi-dato, il Commissario per il Mercato Interno Michel Barnier. A seguito di un accordo tra i due potenziali candidati (il belga Guy Verhofstadt e il finlandese Olli Rehn) il 1° febbraio 2014 l’ALDE ha designato come candidato di spicco l’ex Primo Ministro belga. La Sinistra Europea

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dall’attuale disciplina delle elezioni del Parlamento europeo, l’investitura non ha ricevuto alcuna formalizzazione nel procedimento elettorale 7. La campagna per le elezioni del 2014 è stata così imperniata sull’affermazione (politicamen-te utile 8, ma giuridicamente inesatta 9) secondo cui, per la prima volta, i citta-dini dell’Unione potevano scegliere il futuro Presidente della Commissione europea.

L’indicazione degli Spitzenkandidaten ha aperto, dopo il voto, un interes-sante dialogo politico e un inedito confronto istituzionale tra Parlamento euro-peo e Consiglio europeo.

In effetti, i leader dei tre principali gruppi politici europei hanno concorda-to che i rispettivi parlamentari non avrebbero sostenuto alcuna candidatura di-versa da quella indicata, durante la campagna elettorale, dal partito che aveva

ha proposto Alexis Tsipras, leader del partito greco Syriza. I Verdi hanno optato per una pro-cedura di primarie on line che ha condotto all’investitura di due Spitzenkandidaten (uno per genere), la tedesca Ska Keller e il francese José Bové. Sul punto v. anche D. DINAN, Govern-ance and Institutions: The Year of the Spitzenkandidaten, in Journal Comm. Market St., 2015, p. 93, spec. p. 94.

7 Per la disciplina delle elezioni europee v. Atto relativo all’elezione dei rappresentanti al Parlamento europeo a suffragio universale diretto, allegato alla dec. 76/787/CECA, CEE, Eura-tom, del Consiglio, del 20 settembre 1976, in GUCE L 278 dell’8 ottobre 1976, p. 1, come modificato dalla dec. 2002/772/CE, Euratom, del Consiglio, del 25 giugno 2002 e del 23 set-tembre 2002, in GUCE L 283 del 21 ottobre 2002, p. 1.

8 L’indicazione degli Spitzenkandidaten ha fatto sì che la campagna elettorale non sia stata incentrata, come spesso accaduto in passato, su questioni di rilevanza puramente nazionale. Vi è stato infatti un confronto, sia pure di portata ancora limitata, sui nomi proposti. Sul punto, v. M. CARTABIA, Elezioni europee 2014: questa volta è diverso, in Quad. cost., 2014, p. 715, spec. p. 717, la quale sottolinea che «grazie alla spontanea designazione dei candidati alla pre-sidenza dell’esecutivo europeo da parte dei maggiori partiti e grazie al dibattito europeo che intorno ad essi si è animato, le ultime elezioni hanno segnato effettivamente un momento di novità, nella misura in cui sono riuscite ad affrancarsi, almeno in parte, dall’orizzonte pura-mente nazionale entro il quale si sono normalmente consumati i precedenti appuntamenti. Per la prima volta le elezioni del maggio 2014 non si sono ridotte a una pura verifica di mid-term, volta a confermare o a mettere in crisi i governi nazionali in carica. In qualche misura i cittadi-ni si sono espressi sull’Europa, e non solo sul gradimento dei rispettivi governi nazionali of-frendo, tramite il voto, il loro contributo per colmare il deficit politico dell’Unione europea (…) e, indirettamente, per individuare il futuro presidente della Commissione europea».

9 È appena il caso di ricordare che nell’Unione europea non esiste – neppure a seguito della prassi dello Spitzenkandidat – un sistema di elezione diretta del Presidente della Commissione. A sostegno della posizione che ritiene utile l’introduzione di meccanismi di elezione diretta v. S. HIX, Executive selection in the European Union: does the Commission president investiture procedure reduce the democratic deficit?, cit., pp. 110-111.

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ottenuto il maggior numero di seggi 10. Dopo aver svolto le consultazioni 11 e superato iniziali esitazioni 12, il Consiglio europeo ha allora proposto per tale carica Jean-Claude Juncker, “candidato di spicco” del Partito Popolare Euro-peo 13. Tale candidato è stato poi eletto dal Parlamento europeo nella sessione plenaria del 15 luglio 2014 con un’amplissima maggioranza.

Nel corso dell’iter di nomina, e anche in seguito, la dottrina ha discusso sulla prassi dello Spitzenkandidat, dividendosi sull’opportunità e perfino sulla legittimità di un incarico fatto a seguito di un’indicazione “politica”. Non sono mancate prese di posizione per così dire “estreme” che, in un senso, hanno giudicato tale prassi contraria ai trattati e, in senso opposto, hanno ritenuto l’in-vestitura del “candidato di spicco” imposta (almeno in talune circostanze) dal diritto primario dell’Unione.

Il presente lavoro intende dimostrare l’infondatezza di queste due tesi “estreme”. Si cercherà in particolar modo di sottolineare che – senza essere vietata né imposta dai trattati – tale prassi ha determinato uno spostamento de-gli equilibri istituzionali consolidati, riducendo il peso dei Capi di Stato o di Governo in favore del Parlamento europeo e dei gruppi politici che, in seno all’Assemblea, detengono la maggioranza assoluta dei seggi.

Il lavoro sarà così strutturato. Parlerò anzitutto dell’elezione del Presidente

10 A tal riguardo, v. D. DINAN, Governance and Institutions, cit., p. 96, il quale ricorda che «displaying remarkable institutional agility, the European Parliament moved quickly after the elections to lock the new procedure in place. Almost immediately, Juncker and Schulz agreed that Juncker, as the candidate of the winning party, was now the sole candidate for Commis-sion President. Soon afterward, the Conference of Presidents of the European Parliament, in-cluding the party group leaders and the European Parliament President (Schulz), endorsed Juncker and wrote accordingly to the European Council, which had scheduled an informal summit that evening (27 May) in Brussels».

11 I Capi di Stato o di governo hanno conferito a Herman Van Rompuy, Presidente del Consiglio europeo, mandato affinché conducesse le consultazioni con il Parlamento europeo per identificare il miglior candidato possibile (v. European Council, 27 maggio 2014, Remarks by President Herman Van Rompuy following the informal dinner of Heads of State or Go-vernment, disponibile on line).

12 V.M. CARTABIA, Elezioni europee 2014: questa volta è diverso, pp. 717-718, la quale ben sottolinea che «la candidatura di Juncker – designato dal partito di maggioranza relativa – non è stata affatto scontata e ha, anzi, richiesto lunghe trattative tra i governi nazionali prima di es-sere formalizzata, nonché la previa definizione di un programma di azione che delineasse una piattaforma di contenuti condivisi, specie in materia economico-finanziaria».

13 Per la prima volta, la designazione del candidato Presidente da parte del Consiglio euro-peo non è avvenuta per consensus, ma a seguito di una deliberazione formale, con i voti di ventisei Capi di Stato o di governo a favore di Jean-Claude Juncker e due contrari (quello dei Primi ministri di Regno Unito e Ungheria).

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della Commissione, descrivendo le linee evolutive e la regolamentazione at-tuale dell’iter di nomina (par. II). Mi soffermerò quindi sul margine di discre-zionalità di cui gode il Consiglio europeo nella proposta del candidato e sul ruolo che il Parlamento europeo ricopre prima e dopo la formulazione di tale proposta (par. III). Esaminerò quindi la tesi che giudica vietata la designazione dello Spitzenkandidat ad opera del Consiglio europeo e quella che, all’op-posto, ritiene detta istituzione obbligata a proporre la persona espressa dal par-tito europeo più votato (parr. IV e V). Trarrò quindi le mie conclusioni, sotto-lineando il contributo che la prassi del “candidato di spicco” ha dato alla defi-nizione dell’equilibrio istituzionale tra Parlamento europeo e Consiglio euro-peo nella scelta del candidato Presidente della Commissione (par. VI).

II. Sull’iter di nomina di tale carica vale la pena di spendere qualche paro-la 14.

Com’è noto, la designazione del Presidente è distinta e anteriore rispetto al-l’investitura dell’intero collegio. Mentre la prima fase della procedura conduce all’elezione del solo Presidente, la scelta degli altri membri avviene in un momento successivo, con il contributo determinante di tale organo monocrati-co; come diremo meglio fra poco, il Parlamento europeo ricopre un ruolo de-cisivo nella nomina.

Tale assetto è il frutto di una lunga evoluzione normativa, determinata da numerose revisioni dei trattati, che si sono succedute nel tempo e che sono qui di seguito illustrate nei loro passaggi essenziali.

Il Trattato CEE, come modificato dal Trattato sulla fusione degli esecutivi del 1965, stabiliva che i componenti della Commissione erano nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri; essi restavano in carica per un periodo di quattro anni, uno in meno rispetto alla legislatura dell’Assem-blea. Anche il Presidente era scelto con le stesse modalità: i governi procede-vano alla designazione di comune accordo, individuando l’organo di vertice tra i membri nominati. Il mandato di tale organo era di soli due anni, even-tualmente rinnovabili 15. La designazione del Presidente era pertanto successi-va rispetto alla nomina del collegio e si concretizzava nella scelta di un primus

14 Ricostruiscono nel dettaglio l’evoluzione della disciplina C. CURTI GIALDINO, L’elezione del nuovo presidente della Commissione europea, cit., pp. 139-149 e Y.M. NASSHOVEN, The appointment of the President of the European Commission: patterns in choosing the head of Europe’s executive, Baden-Baden, 2011, spec. pp. 83-106.

15 V. artt. 12 e 14 del Trattato che istituisce un Consiglio unico ed una Commissione unica delle Comunità europee (c.d. Trattato sulla fusione degli esecutivi), firmato a Bruxelles l’8 aprile 1965 ed entrato in vigore il 1° luglio 1967.

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inter pares il cui operato, trascorsi due anni, era sottoposto a una valutazione intermedia 16.

Il punto di svolta nella disciplina si è avuto con il Trattato di Maastricht. Esso ha invertito la scansione temporale originaria, anticipando l’investitura del Presidente e coinvolgendo nella nomina il Parlamento europeo. Tale tratta-to ha previsto infatti che i governi dovevano anzitutto designare, di comune accordo e previa consultazione del Parlamento europeo, il candidato Presiden-te; sempre i governi, e sempre di comune accordo, dovevano poi indicare, in stretta consultazione con il futuro Presidente, gli altri membri del collegio; in-fine, ottenuta l’approvazione da parte del Parlamento europeo, i governi nomi-navano formalmente, di comune accordo, l’intera Commissione 17-18. Il Tratta-to di Maastricht ha inoltre aumentato a cinque anni il mandato dei commissari (compreso il Presidente), facendo così coincidere la durata dell’incarico con la legislatura del Parlamento europeo 19. In definitiva, la designazione del Presi-dente è stata anticipata rispetto a quella degli altri membri e sottoposta al pare-

16 Per un’attenta analisi della disciplina e delle concrete modalità di applicazione dell’o-riginaria procedura di nomina v. K. VAN MIERT, The appointment of the President and the mem-bers of the European Commission, in Common Market Law Rev., 1973, p. 257. Quanto al re-quisito del “comune accordo” dei governi degli Stati membri, l’A. sottolinea che «common agreement means joint consultations. In other words: each government should normally have its say about the candidates of its partners. Apart from the designation of the president, things look different in practice. For members (and vice-presidents) the “common accord” as a rule is limited to formally noting the candidate put forward by each member State. A kind of custom seems to have taken shape, according to which, except for very special reasons, the candidate (or candidates) of each member State is to be accepted by the other without further discussion» (pp. 258-259).

17 Le innovazioni introdotte dal Trattato di Maastricht erano state precedute dalla prassi. In effetti, con la dichiarazione solenne sull’Unione europea del 19 giugno 1983 del Consiglio eu-ropeo, i Capi di Stato o di governo si erano impegnati a raccogliere il parere dell’ufficio di pre-sidenza ampliato del Parlamento europeo prima della nomina del Presidente della Commissio-ne. Essi avevano inoltre dichiarato che, dopo la nomina del collegio, la Commissione avrebbe presentato il suo programma al Parlamento europeo per un dibattito e un voto su questo pro-gramma (v. Bollettino CEE, giugno 1983, n. 6, p. 26, punto 2.3.5). Tale indicazione era stata recepita nel regolamento interno del Parlamento europeo, all’art. 29 A. A tal riguardo, v. Y.M. NASSHOVEN, The appointment of the President of Commission, cit., p. 96; e A. TACQ, L’inve-stiture de la Commission par le Parlement européen, in Journal Trib. – Droit Eur., 1994, 14, p. 185, spec. p. 186.

18 Il parere sul Presidente designato e l’approvazione dell’intero collegio erano deliberate dal Parlamento europeo a maggioranza dei voti espressi (v. artt. 98 e 99 del Regolamento in-terno del Parlamento Europeo, divenuti ora, con modifiche, artt. 117 e 118).

19 V. art. 158 TCE, come modificato dal Trattato sull’Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre 1993.

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re dell’Assemblea. Benché non vincolante, quest’ultimo assumeva comunque un’importanza primaria. Qualora i governi avessero disatteso tale parere, il Parlamento europeo avrebbe potuto infatti negare, in un secondo momento, il suo voto di approvazione per l’intera Commissione 20.

Il Trattato di Amsterdam ha apportato modifiche ulteriori che hanno accre-sciuto in maniera decisiva sia il ruolo del Parlamento europeo nella procedura sia la posizione del Presidente all’interno del collegio 21. La designazione è stata assoggettata a un voto di approvazione del Parlamento europeo, in luogo della semplice consultazione in precedenza prevista. Inoltre, un diritto di veto sulla scelta degli altri membri è stato riconosciuto al Presidente 22. Tale organo è così risultato, verso il Parlamento europeo, legato da un vincolo politico diretto e, nei confronti del collegio, collocato in una posizione di netta primazia 23.

Le successive revisioni dei trattati hanno modificato anche la maggioranza necessaria e il soggetto competente per la proposta del candidato. Infatti, a partire dal Trattato di Nizza la proposta deve essere presa a maggioranza qua-lificata, anziché all’unanimità. L’indicazione spettava inoltre – secondo quan-to previsto da questo trattato – al Consiglio, riunito a livello di Capi di Stato o di governo 24. Su quest’ultimo aspetto è infine intervenuto il Trattato di Lisbo-na 25. Per l’effetto, ora, la proposta compete al Consiglio europeo che, a tal fi-

20 V. in tal senso A. TACQ, L’investiture de la Commission par le Parlement européen, cit., p. 187, dove si legge che «si les gouvernements des Etats membres maintiennent leur proposi-tion de candidat-président malgré l’avis contraire du Parlement européen, il est fort peu pro-bable que celui-ci accepte par la suite d’investir une équipe dirigée par une personnalité qui n’a pas rencontré ses faveurs au cours de la phase consultative. Les gouvernements des Etats membres auront donc tout intérêt à tenir compte de l’avis du Parlement, quitte à retirer leur proposition et à en présenter une nouvelle».

21 Sulle modifiche introdotte dal Trattato di Amsterdam, v. S. KARAGIANNIS, Le Président de la Commission dans le Traité d’Amsterdam, in Cahiers droit europ., 2000, p. 9.

22 V. art. 214 TCE, come modificato dal Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 1999.

23 V. R. ADAM, Commento all’art. 17 TUE, in A. TIZZANO (a cura di), Trattati dell’Unione Europea, Milano, 2014, p. 173, spec. pp. 186-187. L’A. sottolinea che i cambiamenti apportati dal Trattato di Amsterdam alla procedura di nomina del Presidente della Commissione «erano importanti perché da un lato essi prefiguravano un rapporto politico diretto del PE con il presi-dente, il quale ne riceveva la fiducia individualmente e non più, come in precedenza, in quanto membro del collegio; dall’altro ne scaturiva un rafforzamento ulteriore dello stesso presidente, che si vedeva riconoscere una sorta di veto sui nomi dei futuri commissari».

24 V. art. 214 TCE, come modificato dal Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001 ed entrato in vigore il 1° febbraio 2003.

25 V. art. 17, par. 1, primo comma, TUE, che riproduce, pressoché testualmente, l’art. I-27,

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ne, tiene conto delle elezioni europee e svolge le opportune consultazioni. In-terviene quindi il Parlamento europeo il quale elegge a maggioranza assoluta il Presidente. Il Trattato di Nizza e quello di Lisbona hanno quindi “istituzio-nalizzato” pienamente la procedura, affidando a una un’istituzione dell’Unio-ne (pur sempre però rappresentativa degli Stati membri) la proposta del candi-dato Presidente. Il voto a maggioranza qualificata ha escluso che il dissenso di un solo Stato membro, in seno al Consiglio europeo, possa essere sufficiente a condizionare la scelta.

Il risultato dell’evoluzione descritta è stata una netta differenziazione della procedura per l’elezione del Presidente della Commissione da quella relativa agli altri membri del collegio. Inoltre, un ruolo determinante nella nomina è stato riconosciuto al Parlamento europeo. Esso esprime un voto di “fiducia” individuale sul candidato proposto, con il quale viene così creato un legame politico diretto.

III. La nomina del Presidente della Commissione è frutto quindi di un dia-logo istituzionale che, secondo l’attuale disciplina, intercorre tra il Consiglio europeo e il Parlamento europeo. Tale dialogo conduce a una doppia investitu-ra democratica del Presidente, che si fonda, da un lato, sulla designazione dei Capi di Stato o di governo (a loro volta responsabili dinanzi ai Parlamenti na-zionali o dinanzi ai loro cittadini) e, dall’altro, sul voto del Parlamento euro-peo, unica istituzione eletta a suffragio universale diretto. Su tale carica con-vergono quindi i due canali di legittimazione democratica che, ai sensi dell’art. 10 TUE, contraddistinguono il funzionamento dell’Unione.

Come si è detto sopra, il potere di iniziativa è rimesso al Consiglio euro-peo. Non c’è dubbio che nella scelta del candidato i Capi di Stato o di governo godono di una certa discrezionalità. La designazione presuppone infatti la va-lutazione di una pluralità di ragioni di equilibrio politico, istituzionale e geo-grafico, che tipicamente vengono in rilievo in occasione di nomine di primo piano 26. La ponderazione degli equilibri politici risulta ancor più accentuata a

par. 1, del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004 e mai entrato in vigore.

26 Per un esame approfondito dei diversi criteri che concorrono alla scelta del Presidente della Commissione v. Y. BERTONCINI, T. CHOPIN, Qui Présidera la Commission? Une question à choix multiples, in Notre Europe, 2014. Sulla base di un’attenta analisi delle nomine interve-nute a partire dal 1979, gli Autori affermano che la scelta del Presidente della Commissione ha storicamente presupposto la ponderazione di quattro diversi criteri che attengono all’affiliazio-ne politica, al profilo di alta professionalità, alla provenienza geografica del candidato, nonché alla ripartizione delle diverse cariche a livello di Unione o di altre organizzazioni internazionali.

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seguito dell’introduzione del voto a maggioranza qualificata. L’abbandono del-l’unanimità prospetta infatti la possibilità di una scelta, che non è stata condi-visa da tutti gli Stati membri, ma è riferibile a un gruppo di Capi di Stato o di governo, che condividono determinate strategie o che si riconoscono nella li-nea di pensiero di una certa aggregazione politica. Anche gli orientamenti e i programmi dei potenziali candidati possono entrare in gioco al momento della proposta, divenendo oggetto di un confronto, se non di un vero e proprio ne-goziato, con i governi degli Stati membri 27. Gli elementi da ponderare sono pertanto molti e di diversa natura. Ciò rende la proposta del candidato Presi-dente un atto chiaramente discrezionale.

Tuttavia, il margine di scelta dei Capi di Stato o di governo non è illimita-to. La discrezionalità del Consiglio europeo subisce infatti taluni vincoli, di una certa importanza, espressamente disposti dal TUE. Anzitutto, l’individua-zione del candidato va fatta nel rispetto dei requisiti di professionalità e di in-dipendenza, che i Trattati prevedono, da sempre, per tutti i membri della Com-missione 28, e quindi anche per il Presidente. In via di principio, anche il Presi-dente deve quindi essere scelto in base alla sua «competenza generale» e al suo «impegno europeo» tra «personalità che offrono tutte le garanzie di indi-pendenza» (art. 17, par. 3, secondo comma, TUE). A questi parametri, il Trat-tato di Lisbona ne ha aggiunto un altro che riguarda specificamente la carica in questione. Il candidato Presidente deve essere infatti individuato «tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver svolto le consultazio-ni appropriate» (art. 17, par. 7, primo comma, TUE). Sulla portata di questi vincoli torneremo in seguito con maggior attenzione (v. infra parr. V e VI).

All’iniziativa del Consiglio europeo fa poi seguito il voto dell’Assemblea parlamentare. Il Parlamento europeo deve infatti eleggere a maggioranza asso-

27 V. R. ADAM, Commento all’art. 17 TUE, cit., p. 189. L’A. sottolinea che gli orientamenti politici «sono fissati dal presidente all’atto dell’assunzione della carica e formano necessaria-mente oggetto di confronto se non di vero e proprio negoziato con i governi degli Stati mem-bri, in quanto in sede di designazione e più tardi di nomina del presidente i governi maturano le loro scelte anche con riferimento agli obiettivi politici che ciascun candidato si propone di rea-lizzare nel corso del mandato che potrà essergli affidato». L’A. aggiunge che «gli orientamenti politici del presidente assumono nel quadro del procedimento di nomina della Commissione un rilievo minore di quello che è proprio dei programmi di governo nella scelta dei governi nazio-nali, perché le connotazioni riferibili al colore politico dei membri della Commissione e in par-ticolare del suo presidente sono molto meno rilevanti a livello europeo di quanto lo siano a li-vello nazionale».

28 In considerazione della particolare posizione ricoperta, un’eccezione ai doveri di indi-pendenza, in particolare rispetto al Consiglio, è prevista dall’art. 17, par. 3, TUE in favore dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

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luta il candidato Presidente 29. Pertanto se, da un lato, è chiaro che il Parlamen-to europeo non può scegliere una persona che non sia stata proposta dai Capi di Stato o di governo, d’altro lato, è altrettanto evidente che l’Assemblea non è semplicemente chiamata a ratificare la scelta fatta dal Consiglio europeo. Essa esprime un vero e proprio voto di fiducia sulla persona designata. Va da sé che il voto può anche essere negativo. Se questo accade, se cioè il candidato non ottiene il consenso della maggioranza assoluta degli eurodeputati, il Consiglio europeo deve proporre entro un mese un nuovo nominativo, che è a sua volta sottoposto all’approvazione dell’Assemblea (art. 17, par. 7, TUE).

Il bilanciamento dei poteri voluto dai trattati pone pertanto il Consiglio eu-ropeo e il Parlamento europeo in una posizione, almeno in via di principio, pa-ritaria. Nei ruoli rispettivamente assegnati, essi concorrono in maniera deter-minante all’elezione del Presidente della Commissione. Tale equilibrio richie-de una collaborazione leale tra le due istituzioni, al fine di evitare una contrap-posizione che può condurre a una situazione di grave stallo nell’attività del-l’Unione.

In quest’ottica, la Dichiarazione n. 11 allegata ai Trattati afferma che le due istituzioni sono «congiuntamente responsabili del buon svolgimento del pro-cesso che porta all’elezione del presidente della Commissione». Essa aggiunge che «rappresentanti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo procede-ranno, preliminarmente alla decisione del Consiglio europeo, alle consultazio-ni necessarie nel quadro ritenuto più appropriato». Tali consultazioni dovreb-bero riguardare «il profilo dei candidati alla carica di presidente della Com-missione, tenendo conto delle elezioni del Parlamento europeo» 30. Nella pro-spettiva della Dichiarazione n. 11, la prevenzione di eventuali conflitti e il mantenimento di un equilibrio fondato sul principio di leale collaborazione sembrano, quindi, rimessi all’attivazione e al concreto utilizzo dello strumento delle consultazioni, le quali – secondo la dichiarazione citata – dovrebbero ri-guardare il profilo dei candidati, più che i nomi su cui convergere.

IV. La suddetta posizione paritaria è stata, almeno in parte, modificata in favore del Parlamento europeo dalla scelta dei principali partiti europei di proporre agli elettori “candidati di spicco” e, ancor più, dalla creazione di una

29 Per la successiva approvazione dell’intero collegio basta invece la maggioranza dei voti espressi (v. art. 17, par. 7, TUE e artt. 117 e 118 del Regolamento interno del Parlamento euro-peo).

30 La Dichiarazione n. 11 aggiunge che le modalità delle consultazioni «potranno essere precisate, a tempo debito, di comune accordo tra il Parlamento europeo e il Consiglio euro-peo». Finora l’accordo interistituzionale non è stato concluso.

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maggioranza parlamentare che, nel corso delle consultazioni, ha dichiarato il suo sostegno a favore della persona designata dal gruppo politico con il mag-gior numero di seggi. Escludendo qualsiasi possibilità di sostegno a una can-didatura diversa, i gruppi politici di maggioranza del Parlamento europeo han-no orientato la scelta del Consiglio europeo verso il candidato di spicco del partito politico più votato.

Nelle prime reazioni apparse in dottrina, la prassi dello Spitzenkandidat è stata da taluni aspramente criticata e giudicata lesiva del ruolo che i trattati ri-servano alla Commissione 31.

Secondo questa tesi, la scelta del Consiglio europeo di recepire l’indica-zione data dai gruppi politici costituiti in seno all’Assemblea pregiudicherebbe il compito, che è proprio della Commissione, di promuovere in maniera indi-pendente l’interesse generale dell’Unione. La posizione della Commissione ne uscirebbe politicizzata ed esposta al rischio di un esercizio non imparziale del-le prerogative 32. I sostenitori di questa tesi aggiungono che l’iniziativa di de-signare il candidato Presidente spetterebbe in via esclusiva, ai sensi dell’art. 17, par. 7, TUE, al Consiglio europeo 33. È vero, riconoscono questi Autori,

31 V. E. BEST, S. LANGE, European Elections and questions of legitimacy, in Bepa Monthly Brief, 2014, 74, p. 4; A. DASHWOOD, D. EDWARS, J. LEVER, J. TEMPLE LANG, Independence of EU Commission at risk over Spitzenkandidat process, in EUobserver, 2014, disponibile on li-ne; e B. GUASTAFERRO, La prima volta del Presidente della Commissione “eletto” dal Parla-mento europeo. Riflessioni sui limiti del mimetismo istituzionale, in Studi int. europ., 2014, p. 527.

32 V. E. BEST, S. LANGE, European Elections and questions of legitimacy, cit., p. 5. Gli Au-tori sostengono che «the Treaty still states that the Commission should be “completely inde-pendent”. There is non inherent contradiction between being elected and being independent. However, the linkages between the Commission and the EP as promoted in the campaign cut deeply into the roles of the Commission, starting with that of promoting the general interest of the Union». Gli Autori aggiungono che non è affatto scontato che il ruolo della Commissione di arbitro indipendente e obiettivo «would be strengthened by presenting the Commission as deriving its legitimacy from the EP, and as being dependent upon the preferences of a coalition in Parliament».

33 V. A. DASHWOOD, D. EDWARS, J. LEVER, J. TEMPLE LANG, Independence of EU Commis-sion at risk over Spitzenkandidat process, cit., i quali sostengono che «the procedure laid down by article 17 (7) is clearly designed to separate the right of initiative (which belongs to the Eu-ropean Council) from the right of final decision (which lies with the Parliament)». Cfr. B. GUASTAFERRO, La prima volta del Presidente della Commissione “eletto” dal Parlamento eu-ropeo, cit., pp. 530 e 536, la quale sostiene che la prassi del candidato di spicco «sembra spo-stare il potere di “proporre” il candidato alla Presidenza dal Consiglio europeo (che ne è titola-re ai sensi del Trattato) al Parlamento europeo. Quest’ultima istituzione, forte del potere confe-ritogli dal Trattato di “eleggere” a maggioranza il Presidente della Commissione europea, ha per certi versi circoscritto, o quasi svuotato, il potere di nomina del Consiglio europeo». L’A.

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che detta istituzione deve tener conto delle elezioni del Parlamento europeo e che essa può svolgere a tal fine appropriate consultazioni. Tuttavia, queste servirebbero semplicemente a individuare la persona più qualificata a ricoprire detta carica. In sostanza, l’iniziativa spetterebbe soltanto al Consiglio europeo e dovrebbe essere da questo esercitata senza condizionamenti esterni, al fine di conferire l’incarico al candidato maggiormente qualificato 34-35.

Dico subito che la tesi dell’incompatibilità con i trattati mi sembra tutto sommato debole e sprovvista di ragionevole fondamento.

Anzitutto, va sottolineato che, nel sistema delineato dai trattati, il coinvol-gimento di organi o istituzioni nell’iter di nomina non sottrae quest’ultimi dal-l’obbligo di rispettare l’autonomia della Commissione. A tal riguardo, è utile osservare che fino al Trattato di Nizza il Presidente (e l’intero collegio) erano nominati direttamente, di comune accordo, dai governi degli Stati membri. Ancor oggi gli Stati membri ricoprono un ruolo importante, dato che la propo-sta del Presidente spetta al Consiglio europeo e la designazione degli altri commissari è operata sulla base delle indicazioni dei governi nazionali. Ciò non significa tuttavia che gli Stati membri potessero in passato, o possano ora, operare pressioni indebite sui componenti della Commissione. Al contrario,

aggiunge che il Parlamento europeo ha «utilizzato il potere (legittimo) di “eleggere” il Presi-dente della Commissione europea (…) per “sconfinare” nel potere di proposta che i Trattati riservano al Consiglio europeo».

34 V. A. DASHWOOD, D. EDWARS, J. LEVER, J. TEMPLE LANG, Independence of EU Commis-sion at risk over Spitzenkandidat process, cit., dove viene sostenuto che «the procedure laid down by article 17 (7) of the Treaty on European Union is perfectly clear. The heads of state or government of the member states identify the person they consider best qualified from every point of view to fill this exceptionally demanding role over the next five years. (…) The Euro-pean Council must also “hold appropriate consultations” before any proposal for a Commis-sion president is made. The purpose of doing so is to ascertain, all things considered, who is the best qualified (and is willing) to undertake the task assigned to the President».

35 La prassi dello Spitzenkandidat è stata criticata anche sotto un altro profilo squisitamente politico. È stato infatti sostenuto che molti cittadini dell’Unione non conoscevano gli Spitzen-kandidaten e poco sapevano delle indicazioni date dai partiti politici europei. Senza contare – è stato aggiunto – che i candidati di spicco non hanno neppure messo piede in taluni Stati mem-bri, come, ad esempio, il Regno Unito. Su quest’ultima circostanza v. D. DINAN, Governance and Institutions, cit., p. 95, il quale osserva che «the Spitzenkandidaten were conspicuous by their absence in one big Member State: the UK. Under PM David Cameron’s leadership, the Conservative Party had left the EPP in 2009, forming instead the eurosceptic European Con-servatives and Reformists group. Accordingly, Juncker had little incentive to campaign in Brit-ain. Although the Labour Party belonged to the PES, for domestic political reasons party leader Ed Miliband did not support the euro-federalist Schulz, who was not welcome in the UK ei-ther».

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essi devono astenersi dall’influenzare i commissari, evitando di indurli a com-piere atti contrari ai loro doveri (art. 245, primo comma, TFUE). Lo stesso ra-gionamento vale ora per i gruppi politici costituiti in seno al Parlamento euro-peo, per quanto il rischio di pressioni indebite da parte loro appaia – allo stato attuale – meno elevato. Essi partecipano in maniera determinante alla nomina del Presidente e conducono, in tale fase e, poi, nel corso di tutta la legislatura, un dialogo politico continuativo con tale organo e con l’istituzione che esso dirige. Tale confronto non può comunque portare a indebite ingerenze che re-stano per i gruppi politici, cosiccome per qualsiasi altro «organo o organismo», del tutto vietate (v. art. 17, par. 3, terzo comma, TUE). In pratica, come gli Stati membri, anche i gruppi politici concorrono all’investitura del Presidente; per gli uni e per gli altri, la partecipazione non implica tuttavia un’attenuazione dell’obbligo di rispettare l’indipendenza dei membri dell’istituzione che si è contribuito a nominare.

A ben vedere, nel sistema delineato dai Trattati, l’imparzialità della Com-missione e la direzione del suo operato verso l’interesse generale sono garanti-te, più che dalle modalità di nomina, dalla previsione di obblighi di indipen-denza e di professionalità, nonché dalla possibilità di sanzionare la violazione di tali obblighi. L’art. 17, par. 3, TUE stabilisce infatti che nell’adempimento dei loro doveri i membri della Commissione «non sollecitano né accettano istruzioni da alcun Governo, istituzione, organo o organismo» e devono aste-nersi da ogni «atto incompatibile con le loro funzioni o con l’esercizio dei loro compiti» (art. 17, par. 3, TUE). La Corte di giustizia ha precisato che i com-missari devono far prevalere «in ogni momento» «l’interesse generale della Comunità non solo sugli interessi nazionali, ma anche sugli interessi persona-li» 36. Qualora tali obblighi non siano rispettati, il Consiglio (e la stessa Com-missione) possono ricorrere alla Corte di giustizia, ai sensi degli artt. 245 e 247 TFUE. Se accerta gli addebiti mossi, la Corte può pronunciare le dimis-sioni d’ufficio dei responsabili ovvero la decadenza di questi dal diritto a pen-sione o da altri vantaggi sostitutivi. L’esercizio imparziale delle prerogative è tutelato quindi – più che dall’iter di nomina – dai suddetti vincoli che i trattati impongono ai membri del collegio e, a fortiori, all’organo che tale collegio di-rige.

D’altra parte, la tesi che giudica vietata l’investitura dello Spitzenkandidat appare debole anche quando sottolinea l’esclusività del potere di iniziativa del Consiglio europeo e la limitata incidenza che le consultazioni dovrebbero ave-re sull’esercizio di tale prerogativa.

36 Corte giust. 11 luglio 2006, Commissione c. Cresson, C-432/04, p. I-6387, punto 71.

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Ora, non c’è dubbio che la proposta del candidato Presidente spetta, ai sen-si dell’art. 17, par. 7, TUE, al Consiglio europeo. Come si è detto sopra, il Par-lamento europeo non può pertanto deliberare in assenza di una proposta, né tantomeno eleggere una persona diversa da quella che i Capi di Stato o di go-verno hanno designato. Tuttavia, difficilmente si può accogliere la tesi che le consultazioni abbiano l’unico scopo di delineare il profilo tecnico del candida-to. In effetti, essendo entrambi determinanti nell’investitura del Presidente, Par-lamento europeo e Consiglio europeo si devono, per forza di cose, confrontare sui nomi dei potenziali candidati e sulla possibilità che uno di questi raggiun-ga i quorum necessari per l’elezione. A mio avviso, ne consegue che i gruppi politici del Palamento europeo hanno, non solo il diritto, ma anche il dovere istituzionale di comunicare al Consiglio europeo, nel corso delle consultazio-ni, se un determinato candidato è supportato dalla maggioranza assoluta degli eurodeputati. Come pure, d’altro canto, i Capi di Stato o di governo hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di far sapere ai gruppi politici se questo o quel candidato può raggiungere la maggioranza qualificata in seno al Consi-glio europeo. In definitiva, la pari responsabilità che le due istituzioni hanno nella scelta del Presidente e il dovere di collaborare lealmente nel corso del-l’intera procedura implicano un confronto politico dei gruppi parlamentari e dei Capi di Stato o di governo, che va al di là della mera prospettazione del profilo del candidato. La sede naturale di tale confronto è rappresentata pro-prio dalle consultazioni le quali – nel nuovo equilibrio istituzionale delineato dal Trattato di Lisbona – sono divenute una tappa fondamentale che orienta le scelte successive.

La decisione del Consiglio europeo di designare, a seguito delle elezioni del 2014, il candidato di spicco – indicato dal partito di maggioranza relativa e sostenuto dalla maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento europeo – non può pertanto dirsi contraria a quanto previsto dai trattati. Tale scelta è ma-turata infatti nel quadro di un dialogo politico che le due istituzioni hanno in-trattenuto nella sede appropriata delle consultazioni.

V. (Segue). Se l’investitura del candidato di spicco non risulta quindi vieta-ta, neppure essa pare imposta dal diritto dell’Unione europea 37.

37 In tal senso, v. L. DANIELE, (con la collaborazione di) S. AMADEO, G. BIAGIONI, C. SCHEPI-SI, F. SPITALERI, Il Diritto dell’Unione Europea, Milano, 2014, p. 86, dove si legge che l’indica-zione del nominativo del candidato alla carica di Presidente della Commissione, fatta dai partiti durante la campagna elettorale «non è, allo stato, vincolante per il Consiglio europeo e per lo stesso Parlamento europeo»; si aggiunge che tale indicazione «è stata di fatto rispettata, con la scelta di Jean-Claude Junker» in occasione della nomina del 2014. V. anche P. VAN NUFFEL,

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Ora, non c’è dubbio che il risultato elettorale dei partiti che hanno indicato uno Spitzenkandidat rientra pienamente tra gli elementi che il Consiglio euro-peo deve considerare, ai sensi dell’art. 17, par. 7, TUE, al fine di tener conto delle elezioni del Parlamento europeo. In quest’ottica, anche la richiesta, di uno o più partiti, di proporre una persona già segnalata agli elettori come po-tenziale candidato, può entrare nel novero dei fattori che il Consiglio europeo deve valutare.

Tuttavia, sembra corretto ritenere che la prassi dello Spitzenkandidat limiti solo in parte, e solo in presenza di circostanze ulteriori, il margine di discre-zionalità dei Capi di Stato o di governo.

Anzi, si può ben dire che in taluni casi il potere di scelta del Consiglio eu-ropeo resta molto ampio.

In particolare, ciò accade quando il partito europeo più votato ha ottenuto (come di solito si verifica) una maggioranza soltanto relativa in seno all’As-semblea. Tale partito ben può chiedere – come ha fatto, ad esempio, il PPE nel 2004 e nel 2009 – che il Consiglio europeo tenga conto del voto degli elettori e proceda alla designazione di una persona politicamente legata al gruppo 38. Preso atto di tale indicazione, il Consiglio europeo conserva comunque ampi spazi di scelta, dovendo esso individuare una candidatura che risponde ai re-quisiti previsti dai trattati e che è in grado di ottenere il voto favorevole della maggioranza qualificata dei Capi di Stato o di Governo, nonché della maggio-ranza assoluta degli eurodeputati. La scelta potrebbe cadere sul candidato di spicco designato dal partito di maggioranza relativa, ma potrebbe anche essere diversa, se quel candidato non è in grado di ottenere il consenso delle due isti-tuzioni coinvolte, nelle soglie previste dai trattati. Se il partito più votato ot-tiene una maggioranza soltanto relativa, il margine di discrezionalità del Con-siglio europeo risulta quindi condizionato solo in parte dalla prassi del candi-dato di spicco 39.

Du traité de Paris au traité de Lisbonne, des changements majeurs, in Bepa Monthly Brief, 2014, 74, p. 2, spec. p. 3, il quale sostiene che «le Conseil européen n’est pas obligé à proposer un des “Spitzenkandidaten”; mais il ne pourra pas non plus faire totalement abstraction des ré-sultats des élections européennes, puisque le candidat doit recueillir la majorité au Parlement européen».

38 In tal senso, v. J.P. JAQUÉ, Droit institutionnel de l’Union européenne, Paris, 2012, p. 369, il quale osserva che «le fait que lors des élections parlementaires de 2004 le groupe du Parti populaire européen soit le plus nombreux bien que n’ayant pas la majorité absolue, a sans doute conduit le Conseil européen à écarter certains candidats socialistes. La même considéra-tion a sans doute constitué l’un des éléments de la décision du Conseil européen de proposer la reconduction de M. Barroso en 2009».

39 V. M. KUMM, Mattias Kumm on the Constitutional Conflict between the European Par-

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Altro potrebbe dirsi nel caso in cui detto partito abbia ottenuto la maggio-ranza assoluta dei seggi o abbia formato, a sostegno del suo candidato, una coalizione in grado di garantire detta maggioranza.

C’è chi ha sostenuto che in tale circostanza il Consiglio europeo soggiace-rebbe a un vero e proprio obbligo. I Capi di Stato o di governo non avrebbero più alcuna discrezionalità e sarebbero pertanto tenuti, dal punto di vista giuri-dico, all’investitura dello Spitzenkandidat

40. Dovendo tener conto delle ele-zioni, ai sensi dell’art. 17, par. 7, TUE, il Consiglio europeo dovrebbe sempli-cemente prendere atto della formazione di una maggioranza parlamentare e, di

liament and the European Council after the European election: Why the Council is under a legal duty to propose Juncker as Commission President, in europæus|law, 2014, disponibile on line, dove si legge che «the Council is clearly not obligated to propose as Commission Presi-dent the Spitzenkandidat of the party that won a relative majority of seats. If a coalition of par-ties came together and organized a majority around a different candidate, the Council could clearly be responsive to that fact and propose that candidate, rather than the candidate of the strongest party. Furthermore the result of the elections might well lead to a situation where no candidate had a majority behind him. In that situation the proposal of the Council after consul-tations with Parliamentary leaders might well help forge a coalition around a candidate».

40 V. in tal senso, J.V. LOUIS, Des partis politiques européens et de l’élection du Président de la Commission, in Cahiers droit europ., 2013, p. 5, spec. p. 14, nel quale si ipotizza che il Consiglio europeo «ne pourrait proposer au Parlement européen que la personnalité désignée par les élections parce qu’elle y a reçu le plus de voix et qu’elle bénéficie ou est susceptible de bénéficier au Parlement européen du soutien de la majorité des membres qui le constituent». V. anche M. KUMM, Mattias Kumm on the Constitutional Conflict between the European Parlia-ment and the European Council after the European election, cit. L’A. sostiene che «to take into account the elections in such a case means taking into account that the elections have pro-duced a situation in which that specific candidate has the majority in the Parliament behind him. In this constellation the duty to take into account the election translates into a duty to ap-point the candidate that has the majority support in Parliament. (…) in the constellations when a clear majority in Parliament has rallied around one of the candidates that has campaigned for the office of Commission President, the role of the Council is merely formal: To propose the candidate that has the support of the parliamentary majority». V., infine, P. SOLDATOS, La va-leur ajoutée de la mise en œuvre réussie du nouveau mode d’élection du président de la Com-mission, in Rev. Union Europ., 2014, 582, p. 524, spec. p. 528, il quale sembra escludere la possibilità per il Consiglio di discostarsi dall’indicazione del candidato di spicco fatta dal gruppo parlamentare più votato. Secondo l’A., infatti, «toute acceptation d’un principe d’autonomie du Conseil européen, par rapport à ce processus de légitimation parlementaire du chef de l’exéc-utif européen, marquerait le retour au régime ante (pré-Lisbonne) et serait, de ce fait, contraire à la lettre et à l’esprit du traité, qui introduit une réforme substantielle. (…) Si (…) la condition explicite du traité “en tenant compte des élections européennes” a un sens, à la lumière de l’e-xigence démocratique de respect du choix des citoyens, ce sens ne pourrait être que celui du choix démocratique de la candidature du parti politique européen sorti gagnant des élections (seul ou en coalition)».

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conseguenza, proporre la persona sostenuta da tale maggioranza. Tale inter-pretazione – si sostiene – sarebbe coerente con il principio di democrazia rap-presentativa su cui si fonda il funzionamento dell’Unione, nonché con il ruolo centrale che il Parlamento europeo assume, in virtù di tale principio, nel com-plessivo assetto istituzionale. Quando una chiara maggioranza parlamentare appoggia una persona previamente indicata agli elettori, la scelta del Consiglio europeo sarebbe pertanto obbligata.

Ora, non c’è dubbio che in tale evenienza il margine di discrezionalità del Consiglio europeo risulta più ristretto.

In effetti, disponendo di tener conto delle elezioni del Parlamento europeo, l’art. 17, par. 7, TUE ha introdotto un nuovo elemento di valutazione, d’ordine politico, nella designazione del candidato Presidente. Tale disposizione ha di tutta evidenza voluto stabilire un collegamento tra il futuro Presidente della Commissione e la maggioranza politica uscita dalle votazioni. In altri termini, vi deve essere una coerenza politica tra la maggioranza parlamentare e il can-didato scelto dal Consiglio europeo 41.

D’altra parte, va detto che qualora si discostassero dalle indicazioni dei grup-pi parlamentari di maggioranza, i Capi di Stato o di governo esporrebbero a una bocciatura pressoché certa la persona che hanno designato. Con ogni pro-babilità, questa non raggiungerebbe infatti la soglia di voti necessaria per l’e-lezione. Un nuovo candidato dovrebbe allora essere proposto entro un mese

41 V. R. ADAM, A. TIZZANO, Manuale di diritto dell’Unione Europea, Torino, 2014, p. 91, dove si legge che con la formulazione dell’art. 17, par. 7, TUE, «si è voluto all’evidenza stabi-lire un collegamento tra il futuro Presidente della Commissione e la maggioranza politica usci-ta dalle elezioni europee». V. anche G. STROZZI, R. MASTROIANNI, Diritto dell’Unione europea. Parte istituzionale, Torino, 2013, p. 127, i quali sottolineano che la precisazione contenuta nel-l’art. 17, par. 7, TUE induce «a tener conto dei risultati elettorali e introduce un nuovo elemen-to di valutazione d’ordine politico nella designazione del candidato presidente, la quale deve dunque essere collegata in qualche modo alla maggioranza politica formatasi in Parlamento a seguito delle elezioni». Analogamente si esprime U. VILLANI, Istituzioni di Diritto dell’Unione europea, Bari, 2014, p. 169, il quale afferma che il riferimento ai risultati elettorali «induce a prefigurare il candidato Presidente della Commissione come politicamente coerente con la maggioranza parlamentare – se non, addirittura, quale espressione di tale maggioranza –, su-bordinando sempre di più l’individuazione del Presidente (e, indirettamente, dell’intera Com-missione) all’orientamento politico del Parlamento. In maniera ormai alquanto nitida la desi-gnazione del Presidente, pertanto, non appare più quale espressione di una scelta e di una deci-sione autonome degli Stati membri, presenti nel Consiglio europeo a livello di Capi di Stato o di governo, quanto piuttosto il frutto della individuazione della persona che, alla luce della maggioranza politica formatasi nel Parlamento europeo a seguito delle elezioni, sia in grado di ottenere la “fiducia” dello stesso Parlamento e, su tale base, di costituire una Commissione an-ch’essa suscettibile di ottenere il voto favorevole del Parlamento».

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per un secondo voto del Parlamento europeo. Senza un preventivo accordo, quasi certamente anche la nuova persona proposta verrebbe bocciata una volta ancora. Nel nuovo equilibrio istituzionale scaturito dall’ultima revisione dei trattati, la formazione di una maggioranza parlamentare e le indicazioni date nel corso delle consultazioni dai gruppi politici di maggioranza assumono per-tanto un grande rilievo; il Consiglio europeo non può infatti ignorare tali indi-cazioni, se vuole evitare un grave conflitto istituzionale con l’Assemblea.

A mio avviso, ciò non implica però che il Consiglio europeo debba sempli-cemente ratificare la scelta fatta dai gruppi parlamentari. Non escludo che un’ulteriore evoluzione della prassi dei partiti politici e del consenso del corpo elettorale possa orientare il sistema verso logiche di parlamentarismo che ri-mettono, nella sostanza, agli elettori la scelta del candidato Presidente 42, ob-bligando il Consiglio europeo ad adeguarsi a tale scelta.

Un’evoluzione in tal senso non sembra tuttavia dietro l’angolo, se si consi-dera che, a livello europeo, i partiti agiscono ancora secondo logiche diverse da quelle tradizionalmente seguite dalle formazioni politiche attive negli Stati membri 43; tale prospettiva appare ancor meno scontata se si tiene poi a mente che il modello istituzionale dell’Unione presenta delle specificità che non con-sentono l’automatica trasposizione delle formule elaborate in talune esperien-ze costituzionali statali 44-45.

42 Si parla in tal caso di “parlamentarismo maggioritario”. Per la distinzione tra forme di “parlamentarismo maggioritario”, nelle quali le elezioni consentono all’elettore di scegliere, nella sostanza, la maggioranza e il leader di governo, e forme di “parlamentarismo a prevalen-za del Parlamento”, nelle quali sono i partiti, dopo le elezioni a concludere accordi, attraverso i quali si forma la maggioranza politica e si individuano la composizione del Governo e la per-sona che dovrà assumere la carica di Primo ministro v. R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Costitu-zionale, Torino, 2012, p. 142 ss.

43 V., in tal senso, P. PIRODDI, Commento all’art. 10 TUE, in F. POCAR, M.C. BARUFFI, Com-mentario breve ai Trattati dell’Unione Europea, Milano, 2014, p. 49, spec. p. 54, dove si legge che «i partiti politici europei non sono (…) analoghi a quelli esistenti a livello nazionale, es-sendo assimilabili a federazioni di partiti nazionali, affini dal punto di vista ideologico, ma per lo più mancanti di un’identità propria e di forte vocazione europeistica».

44 V. R. ADAM, Commento all’art. 17 TUE, cit., p. 174, il quale evidenzia che, in via gene-rale, «sarebbe azzardato trasporre meccanicamente nella realtà istituzionale dell’Unione for-mule elaborate» nelle esperienze costituzionali statali.

45 Nel quadro della vigente disciplina delle elezioni europee l’evoluzione del sistema verso logiche proprie del parlamentarismo maggioritario appare di difficile realizzazione. Essendo imperniato sul principio proporzionale, il regime attuale favorisce infatti la frammentazione po-litica e determina così un contesto nel quale la scelta del candidato Presidente della Commissio-ne matura necessariamente dopo le elezioni, a seguito di un dialogo politico tra i diversi gruppi parlamentari e di un confronto istituzionale tra il Parlamento europeo e il Consiglio europeo.

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A ben vedere, infatti, nell’attuale equilibrio istituzionale, il Presidente della Commissione gode di una doppia investitura, che proviene, da un lato, dalla designazione dei Capi di Stato o di governo e, dall’altro, dal voto del Parla-mento europeo. È vero, le revisioni dei trattati che si sono succedute nel tempo hanno enormemente accresciuto i poteri del Parlamento europeo, dirigendo maggiormente la realtà istituzionale dell’Unione verso quella concezione clas-sica del principio democratico, secondo la quale «i popoli partecipano all’eser-cizio del potere per il tramite di un’assemblea rappresentativa» 46. Per effetto di tali revisioni, il Parlamento europeo ricopre ora un ruolo determinante nel-l’elezione di tale organo. Tuttavia, non c’è allo stato attuale una logica di pre-valenza del Parlamento europeo o del Consiglio europeo o della rappresentanza di cui l’una e l’altra istituzione si fanno portatori; c’è una “responsabilità con-giunta” per il buon svolgimento del processo che porta all’elezione del Presi-dente 47.

Il ruolo parimenti determinante che, allo stato attuale, tali istituzioni rico-prono in detta procedura, presuppone una reciproca collaborazione in vista della condivisione di un nominativo, coerente con i risultati delle elezioni, che possa raggiungere i quorum necessari per la nomina. Tale equilibrio istituzio-nale non può escludere che si crei una situazione di conflitto tra le due istitu-

46 Per questa formulazione del principio democratico v. Corte giust. 29 ottobre 1980, 139/79, Maizena c. Consiglio, p. 3393, punto 34; 11 giugno 1991, 138/79, Roquette Frères c. Consiglio, p. 3333; 10 giugno 1997, C-392/95, Parlamento europeo c. Consiglio, p. I-3213, punto 14; 11 novembre 1997, C-408/95, Eurotunnel, p. I-6315, punto 45; 24 giugno 2014, C-658/11, Parlamento europeo c. Consiglio, non ancora pubblicata in Racc., punto 81.

47 V., in tal senso, G. GAJA, A. ADINOLFI, Introduzione al diritto dell’Unione europea, Bari, 2014, p. 34, i quali sostengono che «la procedura di nomina è molto complessa in quanto ten-de, da un lato, ad assicurare un ruolo determinante ai governi degli Stati membri e, dall’altro, a stabilire (sul modello di quanto avviene nei sistemi costituzionali nazionali) un rapporto di fi-ducia tra la Commissione e il Parlamento europeo». V. anche Y. BERTONCINI, T. CHOPIN, Qui Présidera la Commission? Une question à choix multiples, cit., pp. 1 e 3, i quali sostengono che «la désignation du président de la Commission suppose un accord conjoint du Parlement européen et du Conseil européen et ne repose ni sur un “modèle Westphalien” (les États déci-deraient seuls) ni sur un “modèle Westminster” (il faut désigner le candidat du parti arrivé en tête aux élections européennes). (…) il n’est pas possible aux chefs d’Etat et de gouvernement d’imposer un candidat de leur choix, sur la base de négociations exclusivement diplomatiques comme au temps des traités de Westphalie, et sans que le Parlement européen ne l’approuve formellement. Mais le texte des traités ne se prête pas non plus seulement à la seule interpréta-tion qu’en ont faite nombre de partis engagés dans la campagne électorale de ce printemps 2014: il ne garantit pas que le nouveau président de la Commission soit forcément issu du rang des candidats qui viennent de briguer les suffrages des électeurs, ni même des rangs du parti arrivé en tête».

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zioni coinvolte, in particolare nell’ipotesi, non impossibile, che le due istitu-zioni vedano prevalere al loro interno maggioranze politiche diverse 48. Non a caso i trattati disciplinano questa situazione. L’art. 17, par. 7, TUE prevede in-fatti che, in caso di bocciatura del primo candidato proposto, il Consiglio eu-ropeo indichi entro un mese un nuovo nominativo, che deve essere sottoposto all’approvazione del Parlamento europeo. È lo stesso TUE che contempla quin-di l’ipotesi che il Consiglio europeo non intenda proporre lo specifico nome suggerito nel corso delle consultazioni dai gruppi politici di maggioranza, e si esponga così a una prima bocciatura, che implica una nuova proposta e un se-condo voto di approvazione. L’attuale disciplina dei trattati conferma quindi la possibilità che le due istituzioni coinvolte non riescano ad accordarsi subito, stante il rifiuto del Consiglio europeo di proporre il candidato espresso dalla maggioranza parlamentare.

Ferma l’esigenza di un collegamento tra la persona proposta e la maggio-ranza politica formatasi nel Parlamento europeo a seguito delle elezioni, va quindi a mio avviso escluso che lo stato attuale del diritto dell’Unione corri-sponda a un obbligo di mero recepimento da parte del Consiglio europeo del nome indicato dai partiti di maggioranza nel corso delle consultazioni.

VI. Le considerazioni finora svolte consentono di trarre delle conclusioni sulla portata dell’art. 17, par. 7, TUE, nella parte in cui prevede che il Consi-glio europeo propone il candidato Presidente della Commissione «tenuto con-to delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazio-ni appropriate».

Alcune osservazioni vanno fatte anzitutto circa la necessità di valutare le elezioni. A tal riguardo, si può dire che la richiesta, fatta da uno o più partiti, di proporre una persona già segnalata agli elettori come potenziale candidato, entra nel novero dei fattori che il Consiglio europeo deve valutare, ai sensi della citata disposizione. La proposta del candidato Presidente resta comunque una scelta discrezionale che tale istituzione opera alla luce di una pluralità di valutazioni di ordine politico, geografico e istituzionale. Tale discrezionalità è senza dubbio fortemente ristretta quando la persona indicata dai gruppi parla-mentari raccoglie il consenso della maggioranza assoluta degli eurodeputati. I capi di Stato o di governo non possono infatti ignorare tale circostanza e de-

48 V. R. ADAM, A. TIZZANO, Manuale di diritto dell’Unione Europea, cit., p. 91. Gli Autori osservano che vi potrebbe essere una «contrapposizione politica tra il Consiglio europeo e il Parlamento, nell’ipotesi, non impossibile, che le due istituzioni vedano prevalere al loro inter-no maggioranze politiche diverse».

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vono convergere su quel nome, se vogliono evitare un grave conflitto istituzio-nale con l’Assemblea. Anche in presenza di una maggioranza parlamentare, per-mane tuttavia un margine di discrezionalità, sia pure molto ristretto, nel senso che il Consiglio europeo può ancora valutare se esistono ragioni, gravi e con-vincenti, per discostarsi dall’indicazione ricevuta; potrebbe ad esempio farlo, qualora accertasse che il nome suggerito non è in grado di raccogliere il voto della maggioranza qualificata degli Stati membri. L’eventualità che le due isti-tuzioni coinvolte non riescano ad accordarsi immediatamente non è esclusa, anzi è espressamente prevista dall’art. 17 TUE. In tal caso, la prima fase della procedura potrebbe ripetersi, anche più volte, fino all’individuazione di un candidato condiviso, che ottenga quella doppia legittimazione democratica (dei Capi di Stato o di governo e del Parlamento europeo) che, allo stato attuale, caratterizza la nomina del Presidente della Commissione e, più in generale, il funzionamento dell’Unione.

Passando alle consultazioni, va detto che, anche qui, il Consiglio europeo gode di una certa discrezionalità, visto che può valutare quali sono i soggetti da sentire in questa fase e qual è il tempo da riservare a ciascuno di essi. Tale discrezionalità trova però un limite invalicabile nella necessità di ascoltare le delegazioni di tutti gruppi politici che sono stati costituiti in seno all’Assem-blea a seguito delle elezioni. Il requisito della valutazione delle elezioni impli-ca infatti la consultazione di coloro che si sono sottoposti al voto popolare e hanno raccolto il consenso degli elettori. Il vincolo “sostanziale” di valutare le elezioni si traduce quindi nel vincolo “procedurale”, strettamente connesso, di sentire tutti gruppi parlamentari, di maggioranza (se una maggioranza si è formata) e di opposizione 49.

Infine, sembra corretto ritenere che le consultazioni non debbano riguarda-re soltanto – come pure lascerebbe intendere la Dichiarazione n. 11 – il profilo del candidato. L’individuazione delle caratteristiche tecniche e politiche che dovranno contraddistinguere il futuro Presidente è soltanto una delle questioni che le due istituzioni possono discutere. Il Consiglio europeo e l’Assemblea parlamentare possono dialogare, in uno spirito di leale collaborazione, anche sul nominativo del potenziale candidato e sulla possibilità che questo raggiun-

49 Cfr. P. SOLDATOS, La valeur ajoutée de la mise en œuvre réussie du nouveau mode d’élection du président de la Commission, cit., p. 529, il quale ritiene che il Consiglio europeo sarebbe tenuto a consultare direttamente i candidati di spicco. L’A. afferma infatti che «avant toute proposition formelle du Conseil européen vers le Parlement européen, la “tête de liste” devra être pressentie par les chefs d’Etat ou de gouvernement en consultation et de concert avec le Parlement européen et les groupes politiques, ces acteurs explorant, dans leurs pourpar-lers, la possibilité de réunir, autour de leur choix, la nécessaire majorité absolue».

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ga i quorum necessari per l’elezione. I gruppi politici del Palamento europeo hanno pertanto – come si diceva sopra – non solo il diritto, ma anche il dovere istituzionale di comunicare al Consiglio europeo se quel determinato candida-to è sostenuto dalla maggioranza assoluta degli eurodeputati. Da parte loro, i Capi di Stato o di governo hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di far sapere ai gruppi politici se il nome suggerito può ottenere il consenso della maggioranza qualificata degli Stati membri. In definitiva, il principio della leale collaborazione tra istituzioni e la pari responsabilità che Parlamento eu-ropeo e Consiglio europeo hanno nella scelta del Presidente presuppone un confronto politico che comprende, ma va anche al di là della mera prospetta-zione del profilo del candidato.

In tale contesto, la circostanza di aver previamente sottoposto agli elettori un certo nominativo, da un lato, assegna ai gruppi parlamentari di maggioran-za un potere negoziale superiore, dall’altro, conferisce al rapporto di tali grup-pi con il futuro Presidente una più spiccata connotazione politica 50. L’esisten-za di un rapporto di questo tipo non intacca tuttavia il ruolo della Commissio-ne, il quale continua ad essere salvaguardato – oltreché dall’elevata qualità delle persone scelte – dai vincoli di indipendenza e di imparzialità che gravano sui membri del collegio, ivi compreso – com’è ovvio – il Presidente.

In realtà, la maggiore colorazione politica della Commissione e, a ben ve-dere, di tutte le istituzioni politiche dell’Unione costituisce un esito naturale del lungo processo, ancora in corso, di lenta ma progressiva riduzione del cd. deficit democratico. Affidando all’istituzione legittimata dal voto dei cittadini il compito di eleggere il Presidente della Commissione, gli Stati membri, Si-gnori dei Trattati, hanno essi stessi accettato che tale carica divenisse l’espres-sione di una maggioranza parlamentare disposta a sostenere un determinato candidato. Il fatto che, in occasione della campagna elettorale del 2014, i partiti europei abbiano inteso anticipare all’elettorato le rispettive scelte, indicando un “candidato di spicco”, non contraddice tale processo ma, al contrario, raf-forza la logica di un’Assemblea parlamentare, che rappresenta direttamente gli elettori e si fa portatrice delle indicazioni politiche che emergono dal voto. In tal modo, i partiti europei hanno infatti deciso di sottoporre al preventivo va-

50 V. J.V. LOUIS, Des partis politiques européens et de l’élection du Président de la Com-mission, cit., p. 18, il quale osserva che «le grief de la politisation de la Commission qu’en-traînerait un rôle dominant de partis politiques dans la nomination du président de la Commis-sion et indirectement de ses membres est sérieux mais on peut lui opposer que la politisation existe déjà. Le président et les membres de la Commission ne sont pas des asexués politiques. Ils participent systématiquement aux réunions des dirigeants des partis avec lequel ils ont des affinités».

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glio degli elettori la scelta da compiere nel corso della procedura di nomina. Dichiarando di volersi attenere alle indicazioni emerse dal voto, essi hanno vincolato non solo il potere di scelta del Consiglio europeo ma, ancor prima, la loro stessa condotta nel quadro delle consultazioni e nel voto in seno all’As-semblea 51. Tale prassi non rappresenta quindi un’illecita ingerenza sulle pre-rogative del Consiglio europeo, ma piuttosto l’adempimento del compito, e-spressamente affidato ai partiti europei, di favorire la formazione di «una co-scienza politica europea» e di agevolare l’espressione della «volontà politica dei cittadini dell’Unione» 52-53.

51 V. G. GAJA, A. ADINOLFI, Introduzione al diritto dell’Unione europea, Bari, 2014, p. 34, dove si legge che la prassi dello Spitzenkandidat «tende sia a rafforzare il ruolo del Parlamento europeo rispetto a quello dei governi, sia a rendere più trasparente per i cittadini l’incidenza del voto espresso riguardo al funzionamento dell’Unione». V. anche P. SOLDATOS, La valeur ajou-tée de la mise en œuvre réussie du nouveau mode d’élection du président de la Commission, cit., p. 528, secondo il quale «la désignation des “têtes de liste” permet à l’électeur de connaitre par anticipation, les personnalités qui concourent pour la présidence de la Commission et, par conséquent, de voter aux élections européennes en sachant qu’il a ainsi un pouvoir d’élection des membres du Parlement européen et, dans une logique parlementaire de corollaire, égale-ment, du chef de l’exécutif européen. En somme, l’approche “tête de liste” opérationnalise l’article 17 § 7 du TUE et y introduit un système de démocratie, de transparence et de la sim-plicité (...) dans le respect, toujours, du principe démocratique d’un chef d’exécutif appuyé sur une majorité parlementaire».

52 V. art. 12, par. 2, Carta, che così dispone: «i partiti politici a livello dell’Unione contri-buiscono a esprimere la volontà politica dei cittadini dell’Unione». V. anche art. 10, par. 4, TUE, il quale prevede che «i partiti politici a livello europeo contribuiscono a formare una co-scienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione». In giurispruden-za, cfr. Trib. UE 2 ottobre 2001, T-222/99, T-327/99 e T-329/99, Martinez e a. c. Parlamento europeo, p. II-2823, punto 148, nella quale si precisa che i gruppi politici del Parlamento euro-peo «concorrono» alla «creazione di partiti politici a livello europeo come fattori di integrazio-ne in seno all’Unione, di formazione di una coscienza europea e di espressione della volontà politica dei cittadini dell’Unione». Sul ruolo della prassi del candidato di spicco nella forma-zione di una coscienza politica europea v. G. BONVICINI, G.L. TOSATO, R. MATARAZZO, I partiti politici europei e la candidatura del presidente della Commissione, cit., p. 186, i quali sottoli-neano che «la proposta di sollecitare i partiti politici europei a indicare per la prossima campa-gna elettorale il Presidente della Commissione (…) [è] un modo, forse più efficace di molte campagne informative e di comunicazione, di ravvicinare i cittadini al Parlamento europeo e all’Unione e di rendere le campagne elettorali un po’ meno nazionali e un po’ più europee, come in teoria dovrebbero essere».

53 Il compito di favorire la formazione di una coscienza politica europea e di agevolare l’e-spressione della volontà politica dei cittadini dell’Unione meglio sarebbe svolto se le principali formazioni politiche europee disciplinassero, anche attraverso forme di autoregolamentazione, meccanismi più aperti per la selezione dei candidati di spicco e per l’elaborazione di piattafor-me programmatiche sulle quali fondare l’azione della maggioranza parlamentare. La partecipa-

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ABSTRACT Article 17 (7) TEU regulates the nomination of the President of the European

Commission. According to the current legal framework, the designation of this body is the result of the institutional dialogue between the European Council and the Euro-pean Parliament, that is facilitated by appropriate consultations. The balance of power provided for by the Treaties puts the two involved institutions, at least in principle, in an equal position: they are jointly responsible for the smooth running of the process leading to the election of the President of the Commission. On the occasion of the Eu-ropean elections in 2014, this position has been changed, at least in part, in favor of the European Parliament. The main European parties decided to propose to voters some “leading candidates”, then created a parliamentary majority that, during the consultations, declared its support in favor of the person linked to the political group with the highest number of seats. The European Council acknowledged this guideline by proposing that person for the office of the President of the Commission. This work demonstrates that – without being forbidden nor imposed by the treaties – the “lead-ing candidate” process has caused a shift in the established institutional balances by reducing the weight of the Heads of State or Government in favor of the European Parliament and the political groups that have the absolute majority of seats in the As-sembly. This practice does not affect the role assigned to the Commission as guardian of the general interest: it remains safeguarded by the obligations of independence and impartiality on the members of the body, including – obviously – the President. The practice in question does not even constitute an unlawful interference with the prerog-atives of the European Council that retains a margin of discretion, although reduced, in the proposal of the candidate for that office. The “leading candidate” process repre-sents one of the possible ways by which the European parties accomplish the task, as-signed by the Charter and the Treaties, of promoting the formation of a European po-litical awareness and facilitating the expression of the political will of EU citizens.

zione dei cittadini interessati alimenterebbe la formazione di un’opinione pubblica europea e rafforzerebbe l’investitura popolare dei candidati.

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Rilievi in tema di sussidiarietà e proporzionalità nella proposta di direttiva in materia di sanzioni doganali Fabrizio Vismara

SOMMARIO

I. La proposta di direttiva in materia di sanzioni doganali. Le questioni sottese. – II. La nozione di cooperazione doganale e le criticità derivanti dall’inclusione della Proposta di direttiva nel suo ambito. – III. Il richiamo alla competenza esclusiva dell’Unione in materia doganale con-tenuto nella Proposta di direttiva al fine di escludere rilevanza al principio di sussidiarietà. – IV. Rilievi sulla Proposta di direttiva alla luce del principio di sussidiarietà. – V. Valutazione della Proposta di direttiva alla luce del principio di proporzionalità. – VI. Rilievi conclusivi.

I. Il 13 novembre 2013 la Commissione europea ha presentato una propo-sta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul quadro giuridico unico relativo alle infrazioni e alle sanzioni doganali 1. La constatata presenza di regolamentazioni sanzionatorie diverse da parte degli Stati membri viene indicata dalla Commissione, nella Proposta di direttiva, come la ratio dell’in-troduzione di regole armonizzate. Tale situazione normativa divergente non giova, a parere della Commissione, alla gestione efficiente dell’unione doga-nale, incidendo sulle condizioni di concorrenza. Risultano infatti avvantaggiati gli operatori economici che violino il diritto di uno Stato membro in cui “viga una normativa clemente per le sanzioni doganali” 2.

La base giuridica su cui fondare l’emanazione della direttiva viene individua-ta dalla Commissione nell’art. 33 TFUE, relativo alla cooperazione doganale 3.

1 Cfr. COM (2013) 884 del 13 dicembre 2013. Qui di seguito, la “Proposta di direttiva”. 2 Ciò anche in relazione alla posizione degli Operatori Economici Autorizzati. Sulla figura

dell’Operatore Economico Autorizzato e l’origine della sua istituzione cfr. E. SBANDI, Le sem-plificazioni nelle procedure doganali, in M. SCUFFI, G. ALBENZIO, M. MICCINESI (a cura di), Di-ritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali, Milano, 2014, p. 338 s.

3 In forza di tale previsione “nel quadro del campo di applicazione dei Trattati, il Parlamen-

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Ciò, sulla base di due assunti: il riavvicinamento delle infrazioni doganali e del-le relative sanzioni presuppone la cooperazione doganale tra gli Stati membri; inoltre, detto riavvicinamento contribuisce alla corretta ed uniforme attuazione della legislazione doganale dell’Unione e al relativo controllo. In relazione al richiamo all’art. 33 TFUE, la Commissione ricorda come tanto l’introduzione di agevolazioni e semplificazioni nella normativa doganale, quanto l’accesso degli Operatori Economici Autorizzati (AEO) a tali agevolazioni e semplificazioni costituiscano una rilevante motivazione per rafforzare la cooperazione 4. Osser-va inoltre la Commissione che il ravvicinamento delle infrazioni doganali e del-le sanzioni non penali è considerato parte integrante del diritto derivato che l’U-nione può adottare al fine di rafforzare la cooperazione tra le autorità doganali degli Stati membri e tra gli Stati membri e la Commissione nel suo ruolo di at-tuazione della normativa dell’unione doganale. A questo ultimo riguardo, si os-serva nella Proposta che costituendo l’unione doganale un settore di competenza esclusiva dell’Unione, un’azione in questo settore non necessita di essere valu-tata rispetto al principio di sussidiarietà.

L’esame della Proposta di direttiva mette in luce una serie di questioni rela-tive sia al fondamento giuridico per la sua emanazione, sia in relazione all’ap-plicazione dei principi di sussidiarietà 5 e di proporzionalità 6. Quanto al primo

to europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano mi-sure per rafforzare la cooperazione doganale tra gli Stati membri e tra questi ultimi e la Com-missione”. La cooperazione così richiamata è sia quella orizzontale, tra Stati membri, sia quel-la verticale, tra Stati membri e Commissione.

4 Nella Proposta di direttiva si richiama al riguardo la valutazione dei criteri richiesti per ot-tenere la qualifica di AEO, con particolare riferimento all’assenza di infrazioni gravi o ripetute, evidenziando come ciò renda necessaria la comparabilità dei sistemi sanzionatori onde garanti-re condizioni di concorrenza eque tra gli operatori.

5 Sul principio di sussidiarietà la letteratura è molto ampia. Ci si limita a richiamare, a livello monografico, F. IPPOLITO, Fondamento, attuazione e controllo del principio di sussidiarietà nel diritto della Comunità europea e dell’Unione europea, Milano, 2007; A. COLOMBO, The Princi-ple of Subsidiarity and European Citizenship, Milano, 2004; P. DE PASQUALE, Il principio di sus-sidiarietà nell’ordinamento comunitario, Napoli, 1996. Si vedano inoltre A. D’ATENA, Modelli federali e sussidiarietà nel riparto delle competenze normative tra l’Unione europea e gli Stati membri, in questa Rivista, 2005, p. 59 ss.; A. FERAL, Le principe de subsidiarité: progès ou statu quo après le traité d’Amsterdam?, in Rev. marché un. eur., 1998, p. 95 ss.; P. PUSTORINO, Note sul principio di sussidiarietà, in Dir com. scambi int., 1995, p. 47 ss.; R. CAFARI PANICO, Il prin-cipio di sussidiarietà e il ravvicinamento delle legislazioni nazionali, in Riv. dir. eur., 1994, p. 53 ss.; R. HOFMANN, Il principio di sussidiarietà. L’attuale significato nel diritto costituzionale tede-sco ed il possibile ruolo nell’ordinamento dell’Unione europea., in Riv. it. dir. pubbl. com., 1993, p. 28 ss.; G. STROZZI, Il ruolo del principio di sussidiarietà nel sistema dell’Unione europea, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1993, p. 59 ss.; A.G. TOTH, The Principle of Subsidiarity in the Maastri-

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profilo, si pone il problema di stabilire se la previsione contenuta nell’art. 33 del TFUE, in relazione all’adozione di misure per rafforzare la cooperazione doganale, consenta di includere in tali misure anche l’adozione di previsioni sanzionatorie. Quanto al secondo profilo, si tratta di verificare se la regola-mentazione delle violazioni doganali rientri nel quadro dell’unione doganale, che l’art. 3, comma 1, lett. a) TFUE individua come settore di competenza esclu-siva dell’Unione europea. Ove poi si ritenga che l’ambito sanzionatorio doga-nale non rientri nella competenza esclusiva dell’Unione europea, occorre veri-ficare se la Proposta di direttiva risulta conforme al principio di sussidiarietà nonché scrutinarne i contenuti alla luce del principio di proporzionalità.

II. Non convince interamente, ad avviso di chi scrive, la posizione della Commissione laddove richiama l’art. 33 TFUE a fondamento della proposta di direttiva, assumendo che la cooperazione doganale possa includere anche l’in-troduzione di regole armonizzate in tema di sanzioni. Dubbi al riguardo risul-tano prospettati da alcuni Stati membri. In particolare, è stato osservato dal Parlamento lituano come gli obiettivi posti dalla Proposta di direttiva risultino solo indirettamente connessi alla cooperazione doganale, non autorizzando detto art. 33 TFUE l’Unione europea ad adottare un quadro relativo alle infra-zioni alla normativa doganale 7.

Nella motivazione della Proposta di direttiva si osserva che la valutazione dei criteri richiesti per ottenere la qualifica di Operatore Economico Autoriz-zato e, in particolare, del criterio relativo all’assenza di infrazioni gravi o ripe-tute da parte dell’operatore, rende necessari sistemi sanzionatori comparabili in tutta l’Unione europea al fine di garantire condizioni di concorrenza eque tra gli operatori economici. Sicché, ad avviso della Commissione, il riavvici-namento delle infrazioni doganali non solo presuppone la cooperazione doga-nale tra gli Stati membri, ma contribuisce anche alla corretta e uniforme attua-zione della normativa doganale e al relativo controllo.

cht Treaty, in Common Market Law Rev., 1992, p.1079 ss. Per ulteriori riferimenti bibliografici cfr. F. LEOTTA, La competenza legislative nei sistemi autonomisti, Milano, 2007, p. 140, nota 81.

6 Sul principio di proporzionalità cfr. G. TESAURO, Diritto dell’Unione europea, Padova, 2012, 7° ed., p. 109 s.; U. VILLANI, I principi di sussidiarietà e di proporzionalità nel diritto dell’Unione europea, in L. PACE (a cura di), Nuove tendenze del diritto dell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, Milano, 2012, p. 79 ss.

7 Il documento è consultabile sub http://webcache.googleusercontent.com/search?q=ca che:Lzxbh3ht8ZIJ:www.europarl.europa.eu/RegData/docs_autres_institutions/parlements_nationaux/com/2013/0884/LT_PARLIAMENT_AVIS-COM(2013)0884_IT.doc+&cd=1&hl=it&ct =clnk&gl=it.

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Il fatto, tuttavia, che il riavvicinamento delle infrazioni doganali possa con-tribuire al miglior funzionamento della normativa doganale non implica, ad avviso di chi scrive, che tale ravvicinamento possa includersi nella nozione di “cooperazione doganale”. Alcuni rilievi inducono a prospettare dubbi in meri-to al tale inclusione. La nozione di cooperazione in ambito doganale, quale ri-cavabile dal dato normativo e dalla prassi degli Stati membri, non sembra, in-fatti, autorizzare l’inclusione in essa della disciplina dettagliata delle violazio-ni e infrazioni amministrative in ambito doganale. Com’è noto, infatti, l’art. 33 TFUE, inserito nel Capo 2 (cooperazione doganale) del Titolo II (libera circolazione delle merci), stabilisce che, nel quadro del campo di applicazione dei trattati, il Parlamento europeo ed il Consiglio, deliberando secondo la pro-cedura legislativa ordinaria, adottano misure per rafforzare la cooperazione doganale tra gli Stati membri e tra questi ultimi e la Commissione 8. Sul piano interpretativo, il termine “cooperazione”, sia esso riferito alla cooperazione in ambito doganale, sia esso riferito, più in generale, la cooperazione in materia di giustizia e affari interni 9, attiene a un’attività di coordinamento reciproca degli Stati membri, in funzione di obiettivi comuni. Detto termine risulta uti-lizzato nel diritto derivato dell’Unione europea in questa specifica accezione, valorizzando cioè il ruolo attivo degli Stati nello svolgimento di forme di sup-porto sul piano istituzionale e procedurale. Gli elementi propri della coopera-zione non appaiono invece interamente riconducibili all’armonizzazione della disciplina sanzionatoria di cui alla Proposta di direttiva, non ravvisandosi, ri-spetto ad essa, un’attività degli organi degli Stati membri o di enti ad essi ri-conducibili 10 che, nell’adempimento di obblighi reciproci, si sostanzi in un supporto all’azione comune degli Stati membri in conformità agli obiettivi po-sti dai Trattati. Invece, il procedimento che porta all’accertamento delle viola-zioni ed all’irrogazione delle conseguenti sanzioni è interamente devoluto alle

8 Tale previsione, già inclusa nell’art 135 TCE, venne introdotta, a seguito della parziale “comunitarizzazione” di alcune materie del già vigente terzo pilastro, dal trattato di Amster-dam. In questo senso cfr. M. SERPONE, Titolo X – Cooperazione doganale, in A. TIZZANO (a cura di), Trattati dell’Unione europea e della Comunità europea, 2a ed., Milano, 2014, p. 567 ss.

9 In argomento cfr. R. ADAM, La cooperazione in materia di giustizia e affari interni tra comunitarizzazione e metodo intergovernativo, in questa Rivista, 1998, p. 481 ss.

10 Si pensi all’Agenzia delle dogane, che non è inquadrata nell’amministrazione dello Stato, in quanto ente pubblico non economico. È appena il caso di ricordare che la nozione di Stato membro, nella giurisprudenza della Corte di giustizia, include tutte le articolazioni ad esso rife-ribili, non rilevando l’organizzazione territoriale ovvero l’autonomia riconosciuta ad enti sub-statali. Cfr. a questo riguardo, con specifico riferimento alla responsabilità dello Stato per vio-lazione del diritto UE, Corte giust. 24 novembre 2011, Commissione c. Belgio, C-379/10, I-95.

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autorità nazionali, secondo le rispettive regole di procedura, ancorché nel ri-spetto dei principi del diritto UE. Appaiono così mancare, nell’attività di ac-certamento delle violazioni e irrogazione di sanzioni, caratteristiche tali da giustificare l’intera riconduzione della relativa disciplina nell’ambito della co-operazione tra Stati membri.

A conferma di quanto sopra osservato, deve considerarsi che la coopera-zione in ambito doganale si è prevalentemente concretizzata attraverso lo scambio di informazioni tra amministrazioni doganali degli Stati membri, con la comune finalità di prevenire ed accertare la violazione di norme doganali 11. Si consideri, a questo riguardo, il già vigente regolamento CEE n. 1468/81 del Consiglio, del 19 maggio1981 12, relativo alla mutua assistenza per la corretta applicazione della regolamentazione doganale e agricola, la cui dichiarata fi-nalità è quella di definire le regole in base alle quali le autorità amministrative degli Stati membri sono tenute a prestarsi mutua assistenza e a collaborare con la Commissione al fine di assicurare la corretta applicazione della regolamen-tazione doganale o agricola. In tale ambito, la cooperazione risulta sostanziarsi nella prevenzione e ricerca delle infrazioni a dette regolamentazioni, anche at-traverso l’individuazione di traffici che siano o appaiano in contrasto con esse. Si consideri altresì la Convenzione relativa alla mutua assistenza ed alla coo-perazione tra amministrazioni doganali del 1997 13, a suo tempo stabilita in ba-se all’art. K.3 del Trattato UE 14, peraltro richiamata nella risoluzione del Con-siglio del 2 ottobre 2003 relativa ad una strategia per una cooperazione doga-nale 15. Tale Convenzione persegue il duplice obiettivo di prevenire e accertare le violazioni in materia doganale, nonché di perseguire e punire tali violazioni, disciplinando la prestazione di assistenza tra amministrazioni doganali nazio-

11 Cfr. M. SERPONE, op. cit., p. 567. 12 In GUCE L 144 del 6 giugno 1981, p. 1 ss. 13 Cfr. GUCE C 24 del 23 gennaio 1998, atto del Consiglio del 18 dicembre 1997 che stabi-

lisce la convenzione, in base all’articolo K.3 del trattato sull’Unione europea, relativa alla mu-tua assistenza e alla cooperazione tra amministrazioni doganali, che raccomanda agli Stati membri l’adozione della Convenzione.

14 La previsione, introdotta dal Trattato di Maastricht, riguarda l’azione comune nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale. Al riguardo e nel senso che la cooperazione di polizia è strettamente associata alla cooperazione doganale, cfr. D.G. RINOLDI, Lo spazio di li-bertà, sicurezza e giustizia, in U. DRAETTA, N. PARISI (a cura di), Elementi di diritto dell’U-nione europea, cit., p. 54, Milano, 3° ed., 2010.

15 Cfr. GUUE C 247 del 15 ottobre 2003, p. 1 ss. In tale risoluzione vengono definite le strategie per nuove forme di cooperazione “fra cui l’esame della necessità di elaborare un’ana-lisi comune in materia di lotta contro la criminalità organizzata transfrontaliera”.

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nali, mediante la costituzione di uffici di coordinamento centrali e regolando le diverse forme di assistenza e cooperazione 16.

III. Nella Proposta di direttiva la Commissione osserva che un’azione nel settore delle infrazioni doganali non necessita di essere valutata rispetto al principio di sussidiarietà in quanto l’unione doganale costituisce un settore di competenza esclusiva dell’Unione europea. Tale indicazione, in relazione alla quale sono state avanzate riserve da parte dei parlamenti di alcuni Stati mem-bri 17, si espone tuttavia, ad avviso di chi scrive, ad alcuni rilievi critici. È noto, infatti, che l’Unione europea ha una competenza esclusiva in materia dogana-le 18, riguardando tale competenza, in forza dell’art. 3, comma 1, lett. a), del TFUE, il complesso degli scambi di merci tra l’Unione ed i Paesi terzi ed al-l’interno dell’Unione. Rilevano a questo proposito, sul piano esterno, la deter-minazione dei dazi e delle misure di politica commerciale, la tariffa doganale

16 Si veda altresì la Convenzione per la mutua assistenza doganale tra i paesi membri della CEE del 7 settembre 1967, recepita in Italia con L. 21 giugno 1971, n. 806 che pure prevede scambi di informazioni e documenti, nonché azioni di sorveglianza.

17 Perplessità nei termini qui considerati sono state sollevate, in particolare, dal Parlamento della Repubblica Ceca. Cfr. la posizione assunta dal Parlamento ceco del 5 marzo 2014, con-sultabile in versione inglese sub http://www.senat.cz/xqw/webdav/pssenat/original/71449/60 035. In tale documento si evidenzia come sia dubbio che la competenza esclusiva in materia doganale possa includere anche l’emanazione di una direttiva in materia di sanzioni, osservan-dosi che «the fact that “customs union” is counted among the Union’s exclusive competences according to Article 3(1)(a) of the Treaty on the Functioning of the European Union does not mean that all the other laws related to customs (such as the general rules on the proceedings of administrative authorities in customs matters, general rules on the liability for administrative or criminal offences consisting in customs deception, or the very establishment and organisation of customs authorities) also pertain to this exclusive competence; customs union only includes matters expressly assigned to it by the Treaties».

18 Sulla distinzione tra competenze esclusive e concorrenti cfr. R. ADAM, A. TIZZANO, Ma-nuale di diritto dell’Unione europea, Torino, 2014, p. 436 ss.; P. MENGOZZI, C. MORVIDUCCI, Istituzioni di diritto dell’Unione europea, Padova, 2014, p. 79 ss. Si vedano altresì J. ZILLER, Diritto delle politiche e delle istituzioni dell’Unione europea, Bologna, 2013, p. 131 ss.; G. STROZZI, R. MASTROIANNI, Diritto dell’Unione europea, Parte istituzionale, Torino, 2013, 6a ed., p. 73 ss.; F. PIZZETTI, G. TIBERI, Le competenze dell’Unione ed il principio di sussidiarietà, in F. BASSANINI, G. TIBERI (a cura di), Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, Bologna, 2010, p. 159 ss. Il tema della delimitazione e dello sviluppo delle compe-tenze dell’Unione europea è stato ampiamente studiato. Si rinvia a G. STROZZI, Alcuni interro-gativi a proposito della delimitazione delle competenze dell’Unione europea, in Riv. dir. int., 1994, p. 136 ss.; A. TIZZANO, Lo sviluppo delle competenze materiali delle Comunità europee, in Riv. dir. eur., 1981, p. 139 ss.

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comune, la disciplina dell’obbligazione doganale (an e quantum), i regimi do-ganali. Sul piano interno, rileva, invece, l’abolizione delle frontiere tra Stati membri. Rientrano invece nella competenza degli Stati membri l’organizza-zione degli uffici e delle procedure relative all’attuazione delle norme in mate-ria doganale, nonché, sino ad oggi, le previsioni sanzionatorie in caso di loro violazione 19. La proposta di direttiva in materia di infrazioni e sanzioni doga-nali risulta inoltre riferirsi all’esercizio da parte dell’Unione europea di una competenza non richiamata nel codice doganale e sin d’ora esercitata, nel ri-spetto dei suddetti principi, solo dagli Stati membri 20.

Sulla base di quanto sopra, non appare interamente convincente, ad avviso di chi scrive, richiamare nella proposta di direttiva la competenza esclusiva in ma-teria di unione doganale prevista dall’art. 5 TFUE al fine di escludere la rilevan-za del principio di sussidiarietà. A questo riguardo deve ricordarsi come l’at-tribuzione di competenze all’Unione europea risulti, a seguito delle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona, più dettagliata 21, benché, come evidenziato in dottrina, l’individuazione della portata precisa di una competenza dell’Unione non sia sempre agevole, in quanto all’interno dei Trattati “le modalità con cui le specifiche competenze sono definite variano non poco e non permettono sempre di tracciarne gli effettivi confini” 22. Nello specifico, l’unione doganale include la disciplina della tariffa doganale comune e l’abolizione, nei rapporti interni fra gli Stati membri, dei dazi e delle tasse di effetto equivalente. A questi due ambi-ti non appare assimilabile quell’insieme di regole e rapporti che riguardano le conseguenze della violazione delle regole in tema di dazi, che ogni Stato mem-bro è tenuto a far applicare secondo il principio di leale cooperazione 23. Ne con-

19 In effetti, alla luce dell’attività degli Stati membri in questo settore, sono quest’ultimi che hanno in via esclusiva identificato le violazioni rilevanti in materia di obblighi derivanti dalla normativa doganale dell’Unione, determinando il correlato trattamento sanzionatorio.

20 Sicché la proposta di direttiva, in quanto fondata sull’art. 33 TFUE, non si paleserebbe come uno strumento attuativo del codice doganale, ma come mezzo di realizzazione della coo-perazione in tale ambito, implicando così le criticità già esaminate nel precedente par. II.

21 Cfr. art 4 TFUE. Cfr. inoltre l’art. 2, par. 6, TFUE, secondo cui «la portata e le modalità d’esercizio delle competenze dell’Unione sono determinate dalle disposizioni dei trattati relati-ve a ciascun settore». Si noti che l’art. 33 TFUE, richiamato nella Proposta di direttiva, rientra nel Capo 2 “Cooperazione doganale” dal Titolo II “Libera circolazione delle merci”. Esso non rientra nel Capo 1 “Unione doganale” del medesimo Titolo II.

22 In tal senso cfr. R. ADAM, A. TIZZANO, Manuale di diritto dell’Unione europea, cit., p. 429. 23 Può giovare in proposito richiamare la giurisprudenza della Corte di giustizia che ha rile-

vato come l’esclusiva competenza in materia doganale sia legata all’adozione della tariffa do-ganale comune. Cfr. Corte giust. 12 dicembre 1972, 21-24/72, van den Brink, p. 1219, dove si

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segue, sulla base di quanto precede, che una valutazione della proposta di diret-tiva (e della direttiva che venisse emanata) alla luce del principio di sussidiarietà risulta ineludibile, in forza di quanto previsto dall’art. 5, comma 3, TUE, impo-nendosi così la verifica del fatto che gli obiettivi da essa posti non possano esse-re conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, necessitando invece, a motivo della portata o degli effetti dell’azione cui la Proposta di direttiva si rife-risce, un azione dell’Unione 24.

Peraltro, anche volendo accedere a un’interpretazione estensiva 25 o finaliz-zata a garantire l’effetto utile delle norme dei Trattati 26, non pare ciò consenta di superare i rilievi sopra esposti. La nozione di unione doganale può, infatti, essere estensivamente intesa nei suoi predicati, ovvero nella nozione di dazio e tariffa doganale (profilo esterno) e nell’abolizione dei dazi interni (profilo in-terno), ma non appare poter essere ampliata al fine di includere aspetti solo in-direttamente ad essa connessi.

IV. Come si è cercato di dimostrare nel precedente paragrafo, la proposta di direttiva dovrebbe essere scrutinata alla luce del principio di sussidiarietà. Tale profilo viene peraltro incidentalmente richiamato dalla Commissione: pur ribadendosi che l’azione dell’Unione europea nel settore delle infrazioni do-ganali e delle sanzioni non penali non necessita di essere valutata alla luce del principio di sussidiarietà 27, la Commissione assume che solo l’Unione euro-

rileva che la Commissione ha assunto completamente al termine del periodo transitorio i poteri relativi alla politica tariffaria e commerciale e che a partire dall’attuazione della tariffa esterna comune si è avuto il trasferimento di potere dagli Stati membri alla Comunità.

24 Si consideri inoltre che il riferimento di cui alla proposta di direttiva a una competenza esclusiva potrebbe risultare non del tutto coerente con l’utilizzo dello strumento della direttiva, che lascia un margine di discrezionalità agli Stati membri. Ciò salvo non si voglia ricorrere alla previsione di cui all’art. 2 (1) TFUE, secondo cui, quando i Trattati attribuiscono una compe-tenza esclusiva dell’Unione in un determinato settore, gli Stati membri possono legiferare solo se autorizzati dall’Unione oppure ove ciò sia necessario per dare attuazione agli atti dell’U-nione. In relazione a tale profilo cfr. M. MICHETTI, La libera circolazione delle merci, in S. MANGIAMELI (a cura di), L’ordinamento europeo, vol. III, Milano, 2008, p. 75.

25 Sul ricorso all’interpretazione estensiva con particolare riferimento alle libertà fonda-mentali previste dai Trattati, cfr. Corte giust. 3 luglio 1986, 139/85, Kempf, p. 1741. Sull’in-terpretazione estensiva delle competenze dell’UE cfr. L. MEZZETTI, Principi costituzionali e forma dell’Unione, in P. COSTANZO, L. MEZZETTI, RUGGERI, Lineamenti di diritto costituzionale dell’Unione europea, Torino, 2014, p. 176 ss.

26 Cfr. Corte giust. 26 febbraio 1991, C-292/89, Antonissen, I-745. 27 Nello specifico, la Commissione rileva che “anche prendendo in considerazione la sussi-

diarietà, sebbene nel caso specifico si tratti di un settore completamente armonizzato (unione

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pea sia in grado di conseguire gli obiettivi indicati nella proposta, stante le no-tevoli disparità esistenti tra le legislazioni nazionali degli Stati membri. Dubbi al riguardo sono stati tuttavia sollevati da alcuni Stati membri. In particolare, il Parlamento lituano, nell’ambito della procedura di cui all’art. 6 del Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, ha os-servato come la proposta non sia conforme al principio di sussidiarietà 28.

Il tema è quindi se la politica doganale dell’Unione europea possa essere efficacemente attuata in mancanza di una disciplina dettagliata e armonizzata in tema di violazioni e sanzioni applicabili. A questo proposito, deve osservar-si che la posizione dell’Unione europea, anche alla luce di recenti modifiche alla disciplina doganale, non risulta estranea al tema delle sanzioni per viola-zioni doganali. In riferimento al riguardo va all’art. 42 del regolamento 952/2013 relativo al codice doganale dell’Unione, già in vigore, ma destinato ad essere applicabile dall’1 giugno 2016 29. Rispetto, infatti, al regolamento 2913/1992 attualmente vigente, relativo al codice doganale, il regolamento 952/2013 contiene nel suo art. 42 alcune previsioni in materia di sanzioni 30. In tale art. 42 si richiamano principi, peraltro di elaborazione giurisprudenziale, in materia di sanzioni, prescrivendosi che queste debbano essere effettive, dis-

doganale) con norme pienamente armonizzate, la cui effettiva attuazione determina l’esistenza stessa dell’unione doganale, solo l’Unione è in grado di conseguire gli obiettivi della presente direttiva, considerando in particolare le notevoli disparità esistenti tra le legislazioni nazionali”.

28 Il documento è consultabile sub http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache: Lzxbh3ht8ZIJ:www.europarl.europa.eu/RegData/docs_autres_institutions/parlements_nationaux/com/2013/0884/LT_PARLIAMENT_AVIS-COM(2013)0884_IT.doc+&cd=1&hl=it&ct=cln k&gl=it. Si osserva altresì nel documento che l’Unione europea dovrebbe intervenire unica-mente se i Trattati prevedono una base giuridica per il suo intervento.

29 Tale previsione ripropone quanto contenuto nell’art. 22 dell’abrogato regolamento 450/2008. Il regolamento 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 ottobre 2013, che ha abrogato il regolamento n. 450/2008 ed è entrato in vigore il 30 ottobre 2013, sarà inte-ramente applicabile a decorrere dall’1 giugno 2016. Sino a tale data resta applicabile il regola-mento 2913/1992.

30 Il Codice doganale dell’Unione europea, di cui al regolamento (UE) n. 952/2013 stabili-sce che siano gli Stati membri a prevedere sanzioni doganali, individuando nei principi di pro-porzionalità, effettività e dissuasività i criteri cui tali sanzioni devono ispirarsi. Cfr. art. 42, comma 1, regolamento 952/2013, secondo cui «ciascuno Stato membro prevede sanzioni ap-plicabili in caso di violazione della normativa doganale. Tali sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive». Si veda altresì il comma 2 dell’art. 42, secondo cui, in caso di ap-plicazione di sanzioni amministrative, esse possono avere tra l’altro la forma di: a) un avere pecuniario imposto dalle autorità doganali, se dal caso anche applicato in sostituzione di una sanzione penale; b) revoca, sospensione o modifica di qualsiasi autorizzazione posseduta dal-l’interessato.

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suasive e proporzionali ed individuando, in termini generali, le diverse moda-lità di applicazione. Si stabilisce altresì che ciascuno Stato membro preveda sanzioni applicabili in caso di violazione della normativa doganale 31. Il rego-lamento 952/2013, al suo art. 42, risulta quindi prendere atto delle competenze degli Stati membri in relazione alla disciplina delle sanzioni in materia doga-nale. Sotto questo profilo, l’art. 42 del regolamento 952/2013 appare ricogni-tivo di una situazione già esistente, ovvero, da un lato, della competenza degli Stati membri nella materia in questione, dall’altro, dell’assoggettamento degli stessi Stati ai principi del diritto UE ed al rispetto dei diritti fondamentali 32. Se è quindi indubbio che l’applicazione delle regole relative all’unione doganale presupponga che l’azione degli Stati membri per prevenire e reprimere le rela-tive violazioni sia dissuasiva e proporzionale 33, è del pari ragionevole ritenere che la definizione, in via di armonizzazione, dei contenuti delle regole in ter-mini di violazioni punibili e sanzioni applicabili non risulti essere necessaria ai fini dell’attuazione della politica doganale, laddove dissuasività e propor-zionalità siano comunque assicurate dalle normative nazionali per effetto del-l’osservanza di principi comuni a livello di diritto dell’Unione europea.

Non può inoltre sottacersi il diverso approccio utilizzato in altri ambiti del diritto dell’Unione europea e, in particolare, nel quadro della cooperazione giu-

31 La nozione di “normativa doganale” è data dall’art. 5, primo comma, n. 2 del regolamen-to 952/2013 ed include a) il codice e le disposizioni integrative o di attuazione del medesimo adottate a livello dell’Unione o a livello nazionale; b) la tariffa doganale comune; c) la norma-tiva relativa alla fissazione del regime unionale delle franchigie doganali; d) gli accordi inter-nazionali contenenti disposizioni doganali, nella misura in cui siano applicabili nell’Unione.

32 Sui diritti fondamentali nell’ordinamento dell’Unione europea ci si limita a richiamare P. MENGOZZI., Les principes fondamentaux du droit communautaire et le droit des Etats mem-bres, in Rev. droit un. eur., 2002, p. 435 ss.; A. RIZZO, Il «problema» della tutela dei diritti fondamentali nell’Unione europea, in Europa dir. priv., 2001, p. 59 ss.; L. SCUDIERO, Comuni-tà europea e diritti fondamentali: un rapporto ancora da definire?, in Riv. dir. eur., 1996, p. 263 ss.; G. STROZZI, La tutela dei diritti fondamentali tra diritto comunitario e ordinamenti degli Stati membri, in Scritti degli allievi in memoria di Giuseppe Barile, Padova, 1995, p. 679 ss.; G.F. MANCINI, F. DI BUCCI, Le développement des droits fondamentaux en tant que partie du droit communautaire, in Rec. Cours de l’Académie du droit européen, 1991, p. 27 ss.; J. VERGES, Droits fondamentaux de la persone et principes généraux du droit communautaire, in Mélanges Boulois, 1991, p. 513 ss.; E. CANNIZZARO, Tutela dei diritti fondamentali nell’ambito comunitario e garanzie costituzionali secondo le corti costituzionali italiana e tedesca, in Riv. dir. int., 1990, p. 372 ss.

33 Si noti che i due termini vanno a costituire i limiti del sistema sanzionatorio nazionale in una prospettiva unionale, in quanto sanzioni eccessive avrebbero effetto inibitorio sugli scambi di merce, mentre sanzioni troppo lievi pregiudicherebbero l’applicazione della normativa do-ganale, creando una forma indiretta di concorrenza tra Stati membri.

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diziaria in materia penale. L’art. 83, comma 2, TFUE, in tema di riavvicina-mento delle normative degli Stati membri in materia penale prevede, infatti, l’a-dozione di “norme minime” in materia di definizione di sanzioni. Ed anche in materie diverse da quella penale, l’intervento del legislatore dell’Unione euro-pea risulta circoscritto all’individuazione di principi generali con la finalità di evitare che gli Stati membri istituiscano norme sanzionatorie incompatibili con gli obiettivi dell’Unione 34. Ma anche laddove l’intervento del legislatore del-l’Unione risulta più pregnante, esso si limita ad indicazioni modellate su prin-cipi di fondo ed obiettivi da realizzare, spesso con previsioni facoltative 35.

34 In altri ambiti l’intervento dell’Unione europea è limitato a coordinare, a livello di prin-cipio ed in funzione degli obiettivi dell’Unione, l’attività degli Stati membri in materia di iden-tificazione delle violazioni e previsione di sanzioni. Si consideri, ad esempio, l’art. 23, direttiva 2006/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2006 relativo alle macchine e che modifica la direttiva 95/16/CE (rifusione), che si muove nell’ambito delle misure di ar-monizzazione cui già all’art. 95 del Trattato CE, secondo cui «Gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali di attuazione della presente direttiva e prendono tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione. Le sanzioni devo-no essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Gli Stati membri notificano le relative disposi-zioni alla Commissione entro il 29 giugno 2008 e provvedono poi a notificare immediatamente le eventuali modificazioni».

35 È il caso della direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giu-gno 2009 che introduce norme minime relative a sanzioni e provvedimenti nei confronti di da-tori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Si veda l’art. 5, commi 1 e 2, di tale direttiva secondo cui «1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché i datori di lavoro che violano il divieto di cui all’articolo 3 siano passibili di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive. 2. Le sanzioni inflitte in caso di violazioni del divieto di cui all’articolo 3 includono: a) sanzioni finanziarie che aumentano a seconda del numero di cittadini di paesi terzi assunti illegalmente; e b) pagamento dei costi di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, nei casi in cui siano effettuate procedure di rimpatrio. Gli Stati membri possono invece decidere che le sanzioni finanziarie di cui alla lettera a) riflettano al-meno i costi medi di rimpatrio». Si veda altresì l’art. 7, comma 1, della stessa direttiva, secon-do cui «1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché un datore sia anche sogget-to, se del caso, ai seguenti provvedimenti: a) esclusione dal beneficio di alcune o di tutte le pre-stazioni, sovvenzioni o aiuti pubblici, compresi i fondi dell’Unione europea gestiti dagli Stati membri, per un periodo fino a cinque anni; b) esclusione dalla partecipazione ad appalti pub-blici definiti nella direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di la-vori, di forniture e di servizi, per un periodo fino a cinque anni; c) rimborso di alcune o di tutte le prestazioni, sovvenzioni o aiuti pubblici, inclusi fondi dell’Unione europea gestiti dagli Stati membri, concessi al datore di lavoro fino a dodici mesi prima della constatazione dell’assun-zione illegale; d) chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti in cui ha avuto luogo la violazione, o ritiro temporaneo o permanente della licenza d’esercizio dell’attività economica in questione, se giustificata dalla gravità della violazione».

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V. La disciplina delle violazioni tributarie contenute nella Proposta di diret-tiva solleva ulteriori profili di criticità in relazione alla previsione contenuta al suo art. 3, relativo alle infrazioni doganali con responsabilità oggettiva, che stabilisce una serie di ipotesi in cui i relativi atti ed omissioni costituiscono in-frazioni doganali indipendentemente da qualsiasi elemento di colpa 36. Si esclu-de la rilevanza dell’elemento soggettivo, mentre l’entità della sanzione viene modulata sulla base di circostanze soggettive ed oggettive, di cui all’art. 12 della Proposta di direttiva 37. Il richiamo così effettuato alla responsabilità og-gettiva ha, tuttavia, suscitato perplessità da parte di alcuni Stati membri 38. È stato, in particolare, osservato che, la Proposta di direttiva non risulta confor-me al principio di proporzionalità in quanto «it goes further than is necessary to achieve the stated objectives and may consequently breach the EU principle of proportionality» 39.

36 Si veda altresì il considerando n. 7 della proposta di direttiva, secondo cui la prima cate-goria di comportamento sanzionabile deve comprendere le infrazioni doganali basate sulla re-sponsabilità oggettiva, che non prevede alcun elemento di colpa, considerando il carattere og-gettivo degli obblighi in questione e il fatto che le persone che sono tenute a rispettarli non possono ignorare la loro esistenza e il loro carattere vincolante.

37 In forza dell’art. 12 citato, le circostanze che le autorità degli Stati membri debbono va-lutare sono: (a) la gravità e la durata dell’infrazione; (b) il fatto che la persona responsabile dell’infrazione sia un operatore economico autorizzato; (c) l’importo del dazio all’importa-zione o all’esportazione evaso; (d) il fatto che le merci in questione siano oggetto dei divieti o delle restrizioni di cui all’articolo 134, paragrafo 1, seconda frase, del codice doganale e all’ar-ticolo 267, paragrafo 3, lettera e), del codice doganale o che rappresentino un rischio per la si-curezza pubblica; (e) il livello di collaborazione della persona responsabile dell’infrazione con le autorità competenti; (f) precedenti infrazioni commesse dalla persona responsabile dell’in-frazione.

38 Cfr. la citata posizione del Parlamento lituano, supra, nota 25. Più sfumata al riguardo ri-sulta la posizione del nostro Paese. Si veda la Relazione 23 gennaio 2014 trasmessa, ai sensi dell’art. 6, comma 4, l. 24 dicembre 2012, n. 234, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze al Dipartimento per le Politiche Europee, consultabile sub http://notes9.senato.it/web/docuorc 2004.nsf/b02bc7eed0eda6e2c12576ab0041cf0c/8e072f3360588538c1257c43004e278a/$FILE/Proposta%20di%20Direttiva%20COM(2013)%20884-%20Invio%20Relazione.pdf. Al punto n. 3 di tale documento si osserva che «verrà posta riserva di base sull’art. 3 in merito alla re-sponsabilità oggettiva, in attesa di maggiori approfondimenti richiesti in ambito comunitario e alle valutazioni in atto».

39 Si veda la posizione dell’European Scrutiny Committee del 18 dicembre 2013, depositata presso il Parlamento UK e consultabile sub http://www.publications.parliament.uk/pa/cm2013 14/cmselect/cmeuleg/83-xxviii/8309.htm. In tale documento vengono inoltre messi in luce ulte-riori profili, tra cui la scarsa discrezionalità che residuerebbe alle autorità nazionali in merito all’applicazione delle sanzioni nonché il rischio «of challenges of unfair treatment by World Trade Organisation members».

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La previsione di una forma di responsabilità oggettiva dovrebbe quindi es-sere valutata alla luce del principio di proporzionalità 40 ed essere soggetta ad una verifica circa il fatto che le misure considerate non superino i limiti di ciò che è idoneo (criterio dell’efficacia) e necessario (criterio dell’efficienza) per il conseguimento degli scopi perseguiti dalla normativa di cui trattasi.

Il principio di proporzionalità, è appena il caso di ricordarlo, è di tutto ri-lievo in un ordinamento, come quello dell’Unione europea, destinato a evol-versi 41 e integrarsi negli ordinamenti nazionali e coordinarsi con essi, anche grazie all’attività di elaborazione della Corte di giustizia 42. Con specifico ri-guardo alla materia delle infrazioni doganali, gli Stati membri devono eserci-tare la loro competenza nel rispetto dei principi generali del diritto comunita-rio e, in particolare, del principio di proporzionalità 43.

In linea di principio, un sistema sanzionatorio che preveda forme di respon-sabilità oggettiva non è contrario al diritto dell’Unione europea. Come, infatti, rilevato dalla Corte di giustizia anche in tempi recenti 44, una forma di respon-sabilità oggettiva non è, di per sé, sproporzionata rispetto agli scopi perseguiti ove essa sia idonea a incoraggiare i soggetti interessati a rispettare le disposi-zioni di un regolamento e ove gli obiettivi perseguiti rivestano un interesse generale tale da giustificare l’introduzione di un siffatto sistema 45. La posizio-ne della Corte muove dalla considerazione che, in mancanza una disciplina di armonizzazione, gli Stati membri possono scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate, essendo tuttavia tenuti ad esercitare tale competenza nel ri-spetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali 46. Sicché, qualora sia

40 Per riferimenti giurisprudenziali cfr. D.U. GALETTA, Il principio di proporzionalità, in M. RENNA (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 395 ss.

41 L’idea dell’ordinamento dell’Unione come ordinamento in evoluzione risultava espressa, tra l’altro, già dall’art. 4, terzo comma, TUE, nella versione vigente anteriormente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in cui era previsto che il Consiglio europeo presentasse al Par-lamento europeo una relazione annuale sui “progressi” compiuti dall’Unione.

42 Sul ruolo della Corte al riguardo cfr. R. KOVAR, La contribution de la Cour de justice à l’édification de l’ordre juridique communautaire, Cours générale de droit communautaire, in Recueil des cours, 1993. Con specifico riguardo all’applicazione dei principi generali da parte della Corte cfr. M. AKEHURST, The Application of General Principles of Law by the Court of Justice of the European Communities, in Brit. Year. Int. Law, 1981, p. 29 ss.

43 Cfr. Corte giust. 26 ottobre 1995, C-36/94, Allain, I-3573. 44 Cfr. Corte giust. 13 novembre 2014, C-443/13, Reindl, ECLI:EU:C:2014:2370. 45 In termini analoghi cfr. Corte giust. 9 febbraio 2012, C-210/10, Urbán, ECLI:EU:C:2012:64. 46 Cfr., in particolare, Corte giust. 12 luglio 2001, C-262/99, Louloudakis, I-5547 e 29 luglio

2010, C-188/09, Profaktor Kulesza, Frankowski, Jóźwiak, Orłowski, I-7635, ECLI:EU:C:2010:454.

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possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno re-strittiva 47 ed il giudice nazionale deve valutare se, tenuto conto degli impera-tivi di repressione e di prevenzione, le sanzioni effettivamente irrogate ap-paiono così sproporzionate rispetto alla gravità dell’infrazione da ostacolare le libertà previste dal Trattato 48.

La responsabilità oggettiva nella misura prevista dalla proposta di direttiva, ad avviso di chi scrive, è tuttavia suscettibile di produrre conseguenze che van-no oltre l’obiettivo di armonizzazione, creando ipotesi sanzionatorie non model-labili sull’elemento soggettivo e privando il destinatario della sanzione della possibilità di far valere eventuali circostanze soggettive esimenti 49. Alla disci-plina sanzionatoria viene così a essere estranea la valutazione del livello di dili-genza adottato dall’operatore doganale, reprimendosi una condotta in quanto og-gettivamente non conforme al modello normativo. Il rilevante sacrificio che vie-ne così imposto a carico del destinatario della sanzione, che non potrà opporre elementi idonei a palesare una carenza di colpa e subirà quindi una compromis-sione del diritto di difesa, non trova corrispondenza necessaria con il consegui-mento degli obiettivi indicati nella proposta di direttiva. Gli obiettivi potrebbero infatti essere assicurati con un regime di responsabilità per colpa, introducendo forme di inversione dell’onere della prova.

Né può sfuggire, infine, come il tema della proporzionalità possa ulterior-mente essere prospettato anche in relazione all’entità delle sanzioni previste nella Proposta di direttiva, commisurate, per una serie di ipotesi, tra cui quelle soggette a responsabilità oggettiva, al valore delle merci, piuttosto che all’en-tità della maggior differenza tra quanto dichiarato e quanto accertato 50: in tale contesto, una modesta differenza tra dichiarato e accertato può generare il ri-schio di una sanzione eccessiva, in quanto commisurata all’intero valore della transazione e, conseguentemente, non proporzionale.

47 Cfr. Corte giust. 9 settembre 2004, cause riunite C-184/02 e C-223/02, Finlandia c. Par-lamento e Consiglio, I-7789. Si veda, in particolare, punto 57, per ulteriori riferimenti giuri-sprudenziali.

48 Cfr. Corte giust. 12 luglio 2001, C– 262/99, Dimosio, I-5981. 49 Al riguardo deve ricordarsi come la Corte costituzionale abbia osservato che il potere

sanzionatorio deve estrinsecarsi in modo coerente al fatto addebitato, che quindi deve necessa-riamente essere valutato e ponderato, nel contesto delle circostanze che in concreto hanno con-notato il suo accadimento, per commisurare ad esso, ove ritenuto sussistente, la sanzione da irrogare parametrandola alla sua maggiore o minore gravità. Cfr. Corte cost. 1 giugno 1995, n. 220, reperibile sub http://www.giurcost.org/decisioni/1995/0220s-95.htm.

50 Cfr. artt. 9, 10 e 11 della Proposta di direttiva.

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VI. Alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene che, da un lato, il richiamo dell’art. 33 TFUE quale fondamento giuridico della proposta di direttiva, non sia interamente corretto, così come non corretto sia escludere la rilevanza del principio di sussidiarietà in relazione all’armonizzazione della disciplina delle violazioni e sanzioni in materia doganale. Ciò porta a ritenere che possa risul-tare meglio conforme alla disciplina dei trattati riportare il fondamento giuri-dico della Proposta di direttiva alla clausola di cui all’art. 352 TFUE, che con-sente, pur con vincoli più severi, il superamento della rigidità del principio delle competenze di attribuzione.

Sulla base di detti presupposti, l’azione dell’Unione dovrebbe essere rive-duta e modificata, ad avviso di chi scrive, al fine di superare le obiezioni sol-levate dai parlamenti di alcuni Stati membri. Dovrebbe quindi valutarsi il rela-tivo impatto alla luce dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, evitando il ricorso a meccanismi di responsabilità oggettiva e limitando la disciplina ai principi base per l’individuazione delle sanzioni in materia doganale. La fina-lità dovrebbe essere quella di dare maggior concretezza ai parametri di effetti-vità, dissuasività e proporzionalità individuati nel codice doganale e nella giu-risprudenza della Corte di giustizia. Nell’effettuare un tale intervento occorre-rebbe inoltre limitare la disciplina armonizzata alle previsioni strettamente ne-cessarie al funzionamento delle prescrizioni in materia doganale, semplifican-do le ipotesi sanzionatorie. Va, infatti, considerato che alcuni Stati membri hanno regolato il funzionamento delle violazioni amministrative in materia doganale con norme di carattere generale, che valgano anche per tributi diversi da quelli doganali 51. Un intervento dell’Unione nei termini indicati nella pro-posta di direttiva potrebbe produrre la necessità di creare, all’interno della di-sciplina nazionale in tema di sanzioni, un sotto-sistema di regole e principi applicabile alle sole violazioni in materia doganale, con potenziali problemi di coordinamento tra la disciplina sanzionatoria doganale e la disciplina sanzio-

51 Tale è il caso dell’Italia. In proposito si consideri come le regole di cui al D.Lgs. n. 472/97, che riguardano la disciplina generale delle sanzioni tributarie, valgano sia per i dazi doganali, sia per altri tributi, come imposte dirette e IVA. Per un esame dell’ambito di applicazione di tale disciplina cfr. G. BELLAGAMBA, G. CARITI, Il sistema delle sanzioni tributarie, 2° ed., Mi-lano, 2011, p. 345 ss. Si consideri, inoltre, che sul piano interno l’art. 117, comma secondo, lett. q), Cost., attribuisce allo Stato legislazione esclusiva in materia di “dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale”. La previsione si incardina nella ridefinizione a livello costituzionale delle competenze dello Stato e delle Regioni, esprimendo il ruolo esclu-sivo del primo nel definire la materia, laddove non sia coperta dalla competenza dell’Unione europea. Sulla portata della previsione di cui all’art. 117, secondo comma, Cost., che enumera le competenze esclusive dello Stato cfr. L. ANTONINI, Art. 117, 2°, 3°, e 4° co., in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, p. 2227 ss.

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natoria amministrativa in altri ambiti di carattere tributario, alla luce dei prin-cipi fondamentali dell’ordinamento interno 52.

ABSTRACT This article addresses some aspects of the Proposal for a Directive of the European

Parliament and of the Council on the Union legal framework for customs infringe-ments and sanctions of November 13, 2013. It analyzes the legal basis of the Pro-posal, showing how it may not be founded on Article 33 of the Treaty on the Func-tioning of the European Union regarding customs cooperation and, as such, requires the application of Article 352 of the same Treaty. Furthermore, the article demon-strates that it is incorrect for the Proposal to refer to the exclusive competence of the European Union in relation to customs union in order to exclude the applicability of the principle of subsidiarity. The author believes that the Proposal should instead be justified on the grounds of the subsidiarity and proportionality principles and suggests some amendments to the Proposal in order to better comply with such principles.

52 Cfr. ad. es. i profili di rilevanza, alla luce dell’art. 3 Cost., dei trattamenti sanzionatori che determinino misure diverse rispetto a situazioni sostanzialmente assimilabili. Deve al ri-guardo richiamarsi la giurisprudenza della Corte di giustizia secondo cui gli Stati membri sono liberi di definire sul piano interno le conseguenze della violazione del diritto UE, salvo il ri-spetto di alcuni principi fondamentali. Cfr. Corte giust. 11 febbraio 2003, C-187/01 e C-385/01, Brügge, I-1345 ss. Per un commento a tale sentenza cfr. I. INGRAVALLO, Il ne bis in idem nel processo penale secondo una recente sentenza della Corte di giustizia, in questa Rivista, 2003, p. 497 ss.

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GIURISPRUDENZA

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Recenti sviluppi della giurisprudenza europea in materia di indicazioni sulla salute fornite sugli alimenti Fabio Gencarelli

SOMMARIO

I. Introduzione. – II. Portata della nozione d’“indicazione sulla salute”. – III. Le indicazioni sulla riduzione di un rischio di malattia. – IV. Applicazione ratione temporis degli obblighi d’in-formazione sull’etichetta. – V. Considerazioni conclusive.

I. Nel dicembre 2006, il legislatore europeo ha adottato, al termine di un lun-go e difficile negoziato, il regolamento (CE) n. 1924/2006 relativo alle indica-zioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari 1. Tale testo legisla-tivo rappresenta, nella strategia dell’UE in materia di politica alimentare, uno strumento ambizioso e del tutto nuovo che disciplina un aspetto centrale dell’atti-vità dell’industria agroalimentare: l’informazione del consumatore sulle qualità nutrizionali e salutistiche degli alimenti. Infatti, quest’informazione, fornita sul-l’etichettatura dei prodotti o in qualsiasi altra comunicazione commerciale, costi-tuisce uno strumento sempre più essenziale di marketing destinato ad attirare l’at-tenzione e incontrare il favore del consumatore che si aspetta di essere informato in modo chiaro e scientificamente fondato sulle qualità dei prodotti che acquista 2.

1 GUUE L 404 del 30 dicembre 2006, p. 9. Al riguardo si vedano in dottrina S. MASINI, Prime note sulla disciplina europea delle indicazioni nutrizionali e sulla salute, in Dir. giu. agr. alim. amb., 2007, p. 73; S. BAÑARES VILELLA, El reglamento Ce 1924/2006: ¿alegationes o declera-ciones alimentarias?, in Rev. derecho alimentario, 2007, p. 13; F. CAPELLI, B. KLAUS, Il regola-mento (CE) n.1924/2006 in materia di indicazioni nutrizionali e sulla salute da riportare sulle etichette dei prodotti alimentari, in Dir. com. scambi int, 2007, p. 657; L. PETRELLI, Le nuove re-gole comunitarie per l’utilizzo di indicazioni sulla salute fornite sui prodotti alimentari, in Riv dir. agr., 2009, I, p. 50; ID., Health food and health and nutritionally claims, in L. COSTATO, F. ALBISINNI (eds.), European Food Law, Padova, 2012, p. 301; A. MEISTERERNST, B. HABER (eds.), Health and Nutrition Claims. Commentary on the EU Health Claims Regulation, Berlin, 2010.

2 Numerosi studi mostrano come l’utilizzo di indicazioni nutrizionali o salutistiche può in-

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Il regolamento integra i principi generali della direttiva 2000/13/CE sull’e-tichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari 3 e detta disposizioni spe-cifiche sull’utilizzo delle indicazioni nutrizionali e salutistiche nella comuni-cazione commerciale (ad es. etichettatura, messaggi pubblicitari, siti internet). Tali indicazioni sono quelle informazioni non obbligatorie, ai sensi della legi-slazione europea o nazionale, che lasciano intendere che un alimento abbia particolari proprietà nutrizionali benefiche (indicazioni nutrizionali) 4 o che vi sia un rapporto tra una categoria di alimenti, un alimento o uno dei suoi com-ponenti e la salute (indicazioni sulla salute) 5.

Tra le condizioni generali da osservare per poter indicare tali caratteristiche degli alimenti, si deve in particolare menzionare il divieto delle indicazioni in-gannevoli o ambigue, che diano adito a dubbi sulla sicurezza e/o sull’adegua-tezza nutrizionale di altri alimenti o che incoraggino o tollerino il consumo ec-cessivo di un alimento. Inoltre, le indicazioni devono essere basate su prove scientifiche generalmente accettate e i consumatori devono essere in grado di comprendere gli effetti benefici menzionati nell’indicazione.

Un altro aspetto saliente della normativa in questione è l’introduzione di un sistema di liste positive per le suddette indicazioni, che quindi possono essere utilizzate unicamente se sono state autorizzate a livello europeo e incluse in tali liste. Si deroga in tal modo al principio generale del diritto alimentare eu-ropeo secondo cui un alimento può essere commercializzato a condizione di non essere specificamente vietato.

In definitiva, si tratta di uno strumento legislativo di notevole rilevanza e complessità la cui applicazione ha incontrato non poche difficoltà dovute in particolare ad aspetti poco chiari della normativa in questione 6. Basti pensare,

fluenzare le scelte dei consumatori. Si veda, ad esempio, B. ROE, A.S. LEVY, B. DERBY, The Impact of Health Claims on Consumer Search and Product Evaluation Outcomes: Results of FDA Experimental Data, in Journal Public Policy & Marketing, 1999, p. 89.

3 Direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relati-va al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la pre-sentazione dei prodotti alimentari nonché la relativa pubblicità (GUCE L 109 del 6 maggio 2000, p. 29). La direttiva è ora sostituita dal reg. (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011 (GUUE L 304 del 22 novembre 2011, p. 18).

4 Art. 2, par. 2, n. 4. 5 Art. 2, par. 2, n. 5. 6 Sulle difficoltà d’applicazione del reg. n. 1924/2006, si veda in particolare A. MEISTER-

ERNST, No Oil on Carrots!5 Years of Regulation (EC) No. 1924/2006 on Nutrition and Health Claims Made on Food, in Eur. Food and Feed Law Rev., 2012, n. 4, p. 170; K. MERTEN-LENTZ, Quel avenir pour le règlement (CE) n° 1924/2006 concernant les allégations nutritionnelles et santé?, in S. MAHIEU, K. MERTEN-LENTZ (coord.), Sécurité alimentaire – Nouveaux enjeux et

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ad esempio, alla difficoltà ad identificare la linea di confine tra le indicazioni salutistiche e mere descrizioni relative alla composizione o ad altre (asserite) caratteristiche del prodotto.

In un contesto così rilevante per la commercializzazione dei prodotti ma non privo di ambiguità, non è sorprendente che la Corte di giustizia UE sia stata chiamata più volte a pronunciarsi sul tema delle indicazioni sulla salute, apportando utili chiarimenti sulla portata di tale nozione. Il presente articolo si propone di analizzare tale giurisprudenza, mettendone in rilievo l’impatto sull’attività delle imprese del settore agroalimentare.

II. Con la sentenza Deutsches Weintor 7 la Corte ha avuto per la prima volta

l’occasione di chiarire la portata della nozione «indicazione sulla salute» di cui al reg. n. 1924/2006 e, più in generale, di precisare se nella sostanza il suddetto regolamento possa considerarsi come normativa “esauriente”, capace cioè di coprire tutto l’ambito delle indicazioni sulla salute oppure se vi siano dei “limi-ti” inerenti alla definizione di “salute” contenuta nel regolamento che ne deter-minano l’inapplicabilità a determinate fattispecie.

La pronuncia in commento trae origine dalla contestazione di un’indica-zione contenuta nell’etichetta di un vino prodotto dalla cooperativa viticola te-desca del Land Renania-Palatinato, denominata Deutsches Weintor. Tale coo-perativa commercializzava vini con l’indicazione “Edition mild ” (edizione leggera), accompagnata dalla menzione “lieve acidità”. Nell’etichetta veniva inoltre specificato che «grazie al nostro speciale processo protettivo “L03” di deacidificazione biologica diventa gradevole al palato». Sul collarino della

perspectives, Bruxelles, 2013, p. 69; F. GENCARELLI, Il regolamento (CE) n. 1924/2006 in ma-teria di indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari: una difficile ap-plicazione, in questa Rivista, 2014, p. 111.

7 Corte giust. 6 settembre 2012, C–544/10, Deutsches Weintor c. Land Rheinland-Pfalz. Per un commento alla sentenza, vedi L. GONZALEZ VAQUÈ, El TJUE interpreta el Reglamento n. 1924/2006 relativo a las declaraciones de propriedades saludables en los alimentos: la sen-tencia “Deutsches Weintor”, in Riv dir. alim., 2012, n. 3, p. 13; S. MASINI, Informazioni sulla salute tra valutazioni etiche e dimensione umana: il caso del vino, in Dir. giur. agr. alim. amb., 2012, p. 679; V. RUBINO, Facilmente digeribile… ma non per la Corte di giustizia! Ov-vero: della nozione di “informazioni sulla salute” nell’etichettatura delle bevande alcoliche secondo la normativa UE, in Dir com. scambi int, 2012, p. 697; S. ROSET, Santé publique: pu-blicité et ètiquetage des alcools et rotection du consommateur, in Europe, n. 11/2012, p. 26; J. PROUTEAU, Santé publique eyt libertés économiques: une nouvelle illustration d’une concilia-tion favorable à la santé publique, in Revue Lamy dr. aff., 2012. p. 66; B. VAN DER MEULEN, E. VAN DER ZEE, ‘Through the Wine Gate’ First Steps towards Human Rights Awareness in EU Food (Labelling) Law, in Eur. Food and Feed Law Rev., 2013, n. 1, p. 41.

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bottiglia veniva infine indicato “Edition Mild bekömmlich” (Edizione leggera, facilmente digeribile).

L’autorità locale di controllo ha contestato l’uso della menzione “facilmen-te digeribile”, considerandola un’indicazione sulla “salute” ai sensi dell’art. 2, par. 2, punto 5 del citato regolamento 8, non autorizzata per le bevande alcoli-che in virtù dell’art. 4, par. 3, comma 1 del medesimo regolamento 9. La coo-perativa si è tuttavia opposta a questa interpretazione, a causa della genericità dell’indicazione controversa che non presenterebbe alcun nesso con la salute e riguarderebbe unicamente il benessere generale. In altri termini, secondo la Deutsches Weintor, la definizione d’indicazione salutistica dovrebbe essere in-tesa restrittivamente e cioè limitata ai soli effetti duraturi prodotti dall’ali-mento in questione.

La cooperativa ha quindi proposto un ricorso dinanzi al tribunale ammini-strativo, chiedendo che fosse riconosciuta la legittimità dell’etichetta contesta-ta. In seguito al rigetto del ricorso tanto in primo grado quanto in appello, la cooperativa ha presentato ricorso in cassazione dinanzi alla Corte amministra-tiva federale. Tale giurisdizione, ritenendo che l’interpretazione ampia della nozione di “indicazione sulla salute” adottata dai giudici di merito fosse opi-nabile, ha sospeso il procedimento, disponendo un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

Con le prime due questioni, esaminate congiuntamente, il giudice del rin-vio ha chiesto sostanzialmente se l’art. 4, par. 3, comma 1, reg. n. 1924/2006 debba essere interpretato nel senso che i termini “indicazioni sulla salute” ri-comprendono un’indicazione come “facilmente digeribile”, accompagnata dalla menzione del contenuto ridotto di sostanze percepite negativamente da un gran numero di consumatori.

Con la terza questione, il giudice nazionale ha chiesto se il divieto assoluto di utilizzare per i vini una pubblicità recante un’indicazione come quella in esame nel procedimento principale sia compatibile con l’art. 6, par. 1, comma 1, TUE, che riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei di-ritti fondamentali dell’UE, in particolare la libertà professionale e la libertà d’impresa.

Riguardo al primo aspetto, la Corte ha dichiarato che «dal tenore letterale dell’art. 2, par. 2, punto 5, del regolamento n. 1924/2006 discende che le “in-

8 L’art. 2, par. 2, punto 5, definisce le “indicazioni sulla salute” come «qualunque indica-zione che affermi, suggerisca o sottintenda l’esistenza di un rapporto tra una categoria di ali-menti, un alimento o uno dei suoi componenti e la salute».

9 L’art. 4, par. 3, comma 1 dispone che «le bevande contenenti più dell’1,2% in volume di alcol non possono recare indicazioni sulla salute».

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dicazioni sulla salute”, a norma del suddetto regolamento, vengono definite in base al rapporto che deve esistere tra un alimento o uno dei suoi componenti, da una parte, e la salute, dall’altra. Ciò posto, è giocoforza constatare che sif-fatta definizione non fornisce alcuna precisazione né in ordine al carattere di-retto o indiretto che tale rapporto deve avere, né in ordine alla sua intensità o alla sua durata. Atteso quanto precede, il termine “rapporto” deve essere inte-so in senso ampio» 10. Tale interpretazione ampia del concetto di “indicazioni sulla salute” è giustificata, secondo il giudice europeo, anche in considerazio-ne del fatto che «dalla lettura congiunta dei considerando 1 e 10 del regola-mento n. 1924/2006, è pacifico che le indicazioni dirette a promuovere gli alimenti su cui compaiono, richiamando un vantaggio nutrizionale o fisiologi-co o qualsiasi altro vantaggio legato alla salute rispetto a prodotti analoghi, orientano le scelte dei consumatori. Tali scelte influenzano direttamente la quantità complessiva delle diverse sostanze nutritive o di altro tipo che scel-gono d’assumere, giustificando quindi le restrizioni imposte dal regolamento in parola per quanto riguarda l’impiego di siffatte indicazioni» 11. In altri ter-mini, l’esigenza di tutelare il consumatore e di aiutarlo a compiere scelte nu-trizionali informate rende necessaria una disciplina particolarmente rigorosa ed omnicomprensiva in materia di indicazioni salutistiche.

Alla luce di quanto precede, i giudici di Lussemburgo concludono nel sen-so che anche i riferimenti vaghi e indiretti all’impatto di un prodotto sulla sa-lute, fatti nelle comunicazioni commerciali – come nel caso in esame la men-zione “facilmente digeribile” – sono soggetti alle disposizioni del citato rego-lamento.

Quanto poi alla presunta eccessiva limitazione delle libertà economiche fondamentali provocata dal divieto assoluto di fare ricorso ad affermazioni sa-lutistiche nelle etichette delle bevande alcoliche, la Corte rileva anzitutto che va tenuto conto anche dell’art. 35, seconda frase, della Carta dei diritti fonda-mentali dell’UE, il quale richiede che nella definizione e nell’attuazione di tut-te le politiche ed attività dell’Unione sia garantito un livello elevato di tutela della salute umana, tutela che rientra tra le principali finalità del regolamento in questione 12. È quindi anche alla luce della protezione della salute che occorre valutare la compatibilità del divieto assoluto dell’indicazione controversa.

Pertanto, la Corte, richiamando la sua giurisprudenza consolidata in mate-ria, ne ha dedotto che la valutazione della compatibilità del suddetto divieto

10 Cfr. punto 34 della sentenza in commento. 11 Ibidem, punto 37. 12 Ibidem, punto 45.

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«deve essere effettuata nel rispetto della necessaria conciliazione tra i requisiti connessi alla tutela di questi diversi diritti fondamentali protetti dall’ordina-mento giuridico dell’Unione e di un giusto equilibrio tra di essi» 13.

Quanto in primo luogo alla tutela della salute, il giudice europeo sottolinea che, «tenuto conto dei rischi di dipendenza e di abuso nonché degli effetti no-civi complessi e dimostrati legati al consumo di alcol, segnatamente l’insor-genza di malattie gravi, le bevande alcoliche rappresentano una categoria spe-ciale di alimenti soggetta ad una regolamentazione particolarmente restritti-va» 14. Al riguardo, la Corte ricorda di aver già riconosciuto più volte che «le misure che limitano la possibilità di pubblicità per le bevande alcoliche e che mirano in tal modo a lottare contro l’abuso di alcol, rispondono a preoccupa-zioni di sanità pubblica e che la tutela di quest’ultima costituisce, come di-scende dall’art. 9 TFUE, un obiettivo di interesse generale idoneo a giustifica-re, ove necessario, una restrizione di una libertà fondamentale» 15.

La Corte rileva inoltre che se, in via generale, tutte le indicazioni nutrizio-nali e salutistiche non devono essere false, ambigue e fuorvianti in virtù del-l’art. 3, lett. a), reg. n. 1924/2006, tale requisito vale a fortiori per le bevande alcoliche. Le indicazioni riguardanti tali bevande devono infatti essere prive di qualsiasi ambiguità, al fine di consentire ai consumatori di regolare il loro consumo tenendo conto di tutti i pericoli ad esso legati e in tal modo di pro-teggere efficacemente la propria salute.

Nella fattispecie, l’indicazione controversa, mettendo in rilievo unicamente la facile digeribilità, risulta comunque incompleta, in quanto evidenzia una de-terminata qualità (tenore ridotto di acidità) idonea a facilitare la digestione, mentre tace sulla circostanza che pericoli inerenti al consumo di bevande alco-liche non sono comunque esclusi e neppure limitati 16. La Corte ne deduce che tale indicazione è atta ad incoraggiare il consumo del vino in questione e, in definitiva, ad aumentare i rischi inerenti ad un consumo non moderato di qual-siasi bevanda alcolica per la salute dei consumatori. Pertanto, conclude la Cor-

13 Ibidem, punto 47. La Corte ha ricordato Corte giust. 29 gennaio 2008, C–275/06, Promu-sicae, p. I-271, punti 65 e 66, in relazione all’esigenza di bilanciamento dei diversi interessi fondamentali contrapposti.

14 Ibidem, punto 48. 15 Ibidem, punto 49. Al riguardo, la Corte ha richiamato le proprie sentenze in materia di

divieto di pubblicità delle bevande alcoliche: 10 luglio 1980, 152/78, Commissione c. Francia, Racc., p. 2299, punto 17; 25 luglio 1991, C-1/90 e C-176/90, Aragonesa de Publicidad Exte-rior e Publivia, p. I-4151, punto 15; 13 luglio 2004, C-262/02, Commissione c. Francia, p. I-6569, punto 30, nonché 13 luglio 2004, C–429/02, Bacardi France, p. I-6613, punto 37.

16 Ibidem, punto 51.

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te, il divieto di siffatte indicazioni può essere considerato necessario per ga-rantire un elevato livello di tutela della salute del consumatore, conformemen-te all’art. 35 della Carta 17.

Per quanto attiene inoltre alle libertà professionale e d’impresa, dalla giuri-sprudenza europea consolidata discende che «il libero esercizio di un’attività professionale, al pari del diritto di proprietà, non risulta essere una prerogativa assoluta, ma va considerato in relazione alla sua funzione nella società. Di con-seguenza, è possibile apportare restrizioni a dette libertà, purché tali restrizioni rispondano effettivamente a finalità d’interesse generale perseguite dall’Unione e non si risolvano, considerato lo scopo perseguito, in un intervento sproporzio-nato e inammissibile che pregiudichi la stessa sostanza di tali diritti» 18.

Per quanto attiene a tali finalità, la Corte ricorda che dai punti precedenti della pronuncia emerge che la normativa europea di cui trattasi mira a tutelare la salute, obiettivo riconosciuto dall’art. 35 della Carta.

Quanto al rispetto del principio di proporzionalità, il giudice europeo ritie-ne che, sebbene il divieto in questione imponga talune restrizioni all’attività professionale degli operatori riguardo ad un aspetto preciso, il rispetto delle suddette libertà fondamentali è tuttavia garantito per gli aspetti essenziali. In-fatti, lungi dal proibire la produzione e la commercializzazione delle bevande alcoliche, la norma controversa si limita, in un settore ben circoscritto, a disci-plinare l’etichettatura e la pubblicità dei prodotti, senza quindi incidere sulla sostanza stessa delle libertà professionale e d’impresa 19.

Da quanto precede si deduce, secondo la Corte, che il divieto assoluto ri-guardante le bevande alcoliche deve essere considerato conforme al requisito volto a conciliare i vari diritti fondamentali coinvolti e a stabilire un giusto equilibrio tra di essi 20.

In conclusione, questa pronuncia si segnala alla nostra attenzione sotto due aspetti. Da un lato, grazie ad un’interpretazione ampia del concetto di “indica-zione sulla salute”, essa ha esteso notevolmente la sfera d’applicazione del reg. n. 1924/2006, attraendo potenzialmente nella sua orbita ogni riferimento, anche indiretto, al benessere fisiologico del consumatore medio (a prescindere quindi dal tipo di prodotto o dal contenuto più o meno esplicito del messag-

17 Ibidem, punto 52. 18 Ibidem, punto 54 ed ivi richiamate le precedenti Corte giust. 14 dicembre 2004, C–

210/03, Swedish Match, p. I-11893, punto 27; 15 aprile 1997, C–22/94, Irish Farmers Associa-tion, p. I-1809, punto 27; 10 luglio 2003 C–20/00 e C-64/00, Booker Aquaculture e Hydro Seafood, p.I-7411, punto 68.

19 Ibidem, punti 57 e 58. 20 Ibidem, punto 59.

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gio). Sembra quindi affermarsi una lettura “omnicomprensiva” della nozione di “indicazione sulla salute” da cui può derivare, rispetto al passato, una netta limitazione del margine di manovra delle imprese che vogliono far ricorso a questo strumento di marketing. Dall’altro, tale pronuncia ha chiaramente rico-nosciuto la preminenza della tutela della salute del consumatore, finalità prin-cipale della normativa pertinente, rispetto ad altre considerazioni di carattere economico, giustificando, ove necessario, restrizioni di una libertà fondamen-tale, quale la libertà professionale o d’impresa.

III. La Corte ha poi confermato, con la sentenza Green-Swan Pharmaceu-ticals

21, l’orientamento favorevole ad un’interpretazione ampia della nozione d’indicazione sulla salute, aggiungendo un altro tassello alla sua opera erme-neutica in materia di indicazioni salutistiche e segnatamente delle “indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia”. Tali indicazioni specifiche, definite come «qualunque indicazione sulla salute che affermi, suggerisca o sottintenda che il consumo di una categoria di alimenti, di un alimento o di uno dei suoi componenti riduce significativamente un fattore di rischio di svi-luppo di una malattia umana» 22, costituiscono una delle tre categorie di indi-cazioni sulla salute previste dalla normativa europea 23, che ha peraltro stabili-to differenti procedure di autorizzazione a seconda della diversa tipologia di indicazioni in questione 24.

La controversia in sede nazionale che ha dato luogo al rinvio pregiudiziale

21 Corte giust. 18 luglio 2013, C-299/12, Green-Swan Pharmaceuticals CR, as c. Státní zemědelská a potravinářská inspekce, ŭstřední inspektorát. Per un commento alla sentenza, vedi F. VEROESTRAETE, The Court of Justice of the European Union Confirms the Obvious and Clarifies the Trade Marks and Brand Names Derogation, in Eur. Food Feed Law Rev., 2013, p. 338; L. GONZALEZ VAQUE, Ell concepto ‘declaraciòn de reducciòn de riesgo de enfermedad prevista en el Reglamento n° 1924/2006: la sentencia “Green-Swan” de 18 de Julio de 2013, in Riv. dir. alim, 2013, n. 3, p. 48; M.C. AGNELLO, Health Claim sulle etichette dei prodotti alimentari al vaglio della Corte di giustizia, in Dir. giur. agr. alim. amb., 2014, p. 39.

22 Art. 2, par. 2, n. 6. 23 Le altre due categorie di indicazioni salutistiche sono: a) le indicazioni “funzionali”, che fanno riferimento al ruolo di una sostanza nutritiva o di

altro tipo per la crescita, lo sviluppo o le funzioni dell’organismo. Rientrano in tale categoria anche quelle che si riferiscono a funzioni psicologiche, comportamentali o alla riduzione dello stimolo della fame o, più in genere, al dimagrimento o controllo del peso dei consumatori (art. 13, par. 1);

b) le indicazioni specifiche che si riferiscono allo sviluppo e alla salute dei bambini (art. 14).

24 Cfr. artt. 15 a 19, reg. n. 1924/2006.

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ai giudici di Lussemburgo trova la sua origine, in questo caso, nell’asserita vio-lazione da parte della società Green-Swan Pharmaceuticals dell’art. 17, par. 2, della legge ceca n. 110/1997 sui prodotti alimentari e sui tabacchi, che impone agli operatori il rispetto delle prescrizioni in materia di sicurezza alimentare della normativa UE.

L’autorità per il controllo agroalimentare della Repubblica ceca contestava, infatti, alla società in questione di aver apposto sulla confezione dell’integra-tore alimentare “GS Merilin” immesso in commercio prima del gennaio 2005, la seguente comunicazione: «il preparato contiene inoltre calcio e vitamina D3, che aiutano a ridurre il rischio di sviluppare osteoporosi e fratture». L’au-torità di controllo riteneva che tale messaggio costituisse un’indicazione sulla salute ed in particolare un’“indicazione relativa alla riduzione di una malattia” ai sensi dell’art. 2, par. 2, punto 6, reg. 1924/2006 25, configurando quindi una violazione dell’art. 10, par. 1 di detto regolamento, che consente l’uso d’in-dicazioni sulla salute solo qualora rispondano ai requisiti previsti da tale nor-mativa e siano autorizzate conformemente ad essa. Alla società veniva pertan-to comminata un’ammenda amministrativa.

La decisione dell’autorità nazionale è stata impugnata da Green-Swan Phar-maceuticals, prima dinanzi alla Corte regionale di Brno e poi davanti alla Su-prema Corte amministrativa. La ricorrente sosteneva che la comunicazione controversa non poteva essere considerata come un’“indicazione sulla salute” ai sensi del suddetto regolamento e che, nella fattispecie, dovesse trovare ap-plicazione l’art. 28, par. 2 di tale regolamento 26. Infatti, tale misura transitoria consentirebbe la commercializzazione dell’integratore alimentare in questione, dato che essa si riferisce ai prodotti in quanto tali (immessi sul mercato prima del 1° gennaio 2005) e non ai marchi di fabbrica o alle denominazioni com-merciali che designano tali prodotti. Inoltre, secondo la ricorrente, la menzio-ne contestata non faceva in alcun modo riferimento ad una ‹‹significativa›› ri-duzione di un fattore di rischio di sviluppo di una malattia, come richiedereb-be l’art. 2, par. 2, punto 6, contenente la definizione di questa categoria d’indi-cazione salutistica.

25 L’art. 2, par. 2, punto 6 definisce le “indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia” come «qualunque indicazione sulla salute che affermi, suggerisca o sottintenda che il consumo di una categoria di alimenti, di un alimento di uno dei suoi componenti riduce signi-ficativamente un fattore di rischio di sviluppo di una malattia umana».

26 L’art. 28, par. 2 dispone che «i prodotti recanti denominazioni commerciali o marchi di fabbrica esistenti anteriormente al 1° gennaio 2005 e non conformi al presente regolamento possono continuare ad essere commercializzati fino al 19 gennaio 2022. Trascorso tale perio-do, si applicano le disposizioni del presente regolamento».

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Il giudice nazionale, sia in primo che in secondo grado, sosteneva invece che non era necessario l’impiego del termine “significativamente” o di un termine equivalente, ai fini della qualificazione della suddetta menzione come «indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia». Il giudice nazio-nale, inoltre, ritenendo che la suddetta menzione non costituisse né un marchio di fabbrica né una denominazione commerciale, negava l’applicabilità alla fat-tispecie dell’art. 28, par. 2.

Il giudice ceco di secondo grado decideva comunque di sospendere il pro-cedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia alcune questioni pregiudiziali. Con la prima questione, si è chiesto alla Corte se possa essere qualificata come un’indicazione sulla riduzione di un rischio di malattia, ai sensi dell’art. 2, par 2, punto 6, la menzione riportata sulla confezione dell’integratore alimentare, sebbene da essa non risulti espressamente che il consumo di questo prodotto riduca significativamente il rischio di sviluppare la patologia a cui si riferiva tale comunicazione.

Con il secondo quesito, il giudice del rinvio si è interrogato sull’interpreta-zione della nozione di “denominazione o marchio di fabbrica” di cui al citato art. 28, par. 2, e segnatamente se tale nozione comprenda anche la comunica-zione riportata sulla confezione dell’integratore alimentare in questione.

Infine, con il terzo quesito, è stato chiesto alla Corte se la norma transitoria di cui all’art. 28, par. 2 possa essere interpretata nel senso che si riferisce a tut-ti gli alimenti esistenti prima del gennaio 2005 oppure che si riferisce solo agli alimenti protetti da un marchio di fabbrica o da una denominazione commer-ciale, da considerare come indicazioni salutistiche, ed esistenti già in tale for-ma prima della suddetta data.

Il giudice UE, nell’affrontare il primo quesito, richiama anzitutto la giuri-sprudenza Deutsches Weintor, secondo cui il “rapporto” tra un alimento e la salute, che è alla base della definizione di un’indicazione sulla salute, va inte-so in senso “ampio” 27, ossia a prescindere dall’incidenza effettiva della ridu-zione del fattore di rischio per la salute del consumatore. Partendo da tale premessa e rilevando l’uso dei verbi “suggerisce o sottintende” nella defini-zione di cui all’art. 2, par. 2, punto 6, la Corte ne deduce che la qualificazione di “indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia” non esige che tale menzione specifichi espressamente che il consumo di un prodotto riduce significativamente un fattore di rischio di sviluppo di una malattia. Secondo la Corte, «è sufficiente che tale indicazione possa produrre nel consumatore me-dio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, l’impres-

27 Punto 22 della sentenza in commento.

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sione che tale riduzione sia significativa» 28. Di conseguenza, un’indicazione sulla salute come quella controversa, non deve necessariamente contenere il termine “significativamente” o un termine avente lo stesso significato, per es-sere qualificata come un’indicazione sulla riduzione di un rischio di malattia. Infatti, precisa la Corte, l’uso di una formulazione categorica secondo cui il consumo del prodotto riduce – o contribuisce a ridurre – tale fattore di rischio può far sorgere nel consumatore l’impressione di una riduzione significativa di detto rischio 29. In definitiva, la reazione prevedibile del consumatore medio di fronte al messaggio in etichetta si rivela un elemento determinante per qualifi-care o meno tale messaggio come un’indicazione salutistica.

Quanto al secondo quesito, i giudici di Lussemburgo sottolineano che, seb-bene le comunicazioni di carattere commerciale non possano, di regola, essere considerate come marchi di fabbrica o denominazioni commerciali, non si può escludere che una comunicazione siffatta, riportata sulla confezione di un pro-dotto alimentare, costituisca nel contempo un marchio o una denominazione commerciale, se è tutelata, in quanto tale, ai sensi della legislazione applicabi-le. Spetterà quindi al giudice nazionale verificare, alla luce di tutti gli elementi di fatto e di diritto del caso, se il messaggio in questione costituisca effettiva-mente un marchio o una denominazione commerciale così tutelati.

Infine, in merito al terzo quesito pregiudiziale relativo all’operatività della misura transitoria dell’art. 28, par. 2, la Corte è giunta all’ovvia conclusione che tale norma si riferisce soltanto ai marchi di fabbrica o alle denominazioni commerciali esistenti prima del 1° gennaio 2005, riconosciuti come indicazio-ni nutrizionali o sulla salute ai sensi del reg. n. 1924/2006. Pertanto, la misura derogatoria e transitoria si applica unicamente ai prodotti recanti tale marchio o denominazione commerciale, dato che, come rileva la Corte, la normativa UE ha come oggetto non i prodotti alimentari stessi ma le indicazioni nutri-zionali e salutistiche che li riguardano.

In conclusione, la sentenza in commento presenta un evidente interesse, in quanto conferma l’orientamento del giudice europeo favorevole ad un’inter-pretazione ampia del concetto di “indicazione sulla salute” al di là del caso peculiare delle bevande alcoliche che sono soggette a restrizioni maggiori ri-spetto alla generalità dei prodotti alimentari.

Inoltre, tale pronuncia chiarisce utilmente che le comunicazioni di carattere commerciale riportate sulla confezione di un prodotto possono costituire un marchio di fabbrica o una denominazione commerciale, purché tutelate, in quanto tali, ai sensi della normativa nazionale applicabile.

28 Ibidem, punto 24. 29 Ibidem, punto 25.

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IV. Con la sentenza Ehrmann del 10 aprile 2014 30, i giudici di Lussembur-go sono tornati a pronunciarsi sul tema delle indicazioni sulla salute. L’occa-sione è stata fornita da un rinvio pregiudiziale da parte di un giudice tedesco nel quadro di una controversia riguardante l’ambito di applicazione ratione temporis dell’art. 10, par. 2, reg. n. 1924/2006 31.

La vicenda alla base del procedimento nazionale è sorta nel 2010 quando la Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs e. V. (associazione per la lotta contro la concorrenza sleale; in prosieguo: la “ZBW”)ha contestato alla società Ehrmann, che produce e distribuisce latticini, la violazione della nor-mativa UE. In particolare, è stato contestato alla società di aver apposto sulla confezione di un formaggio bianco alla frutta (“Monsterbacke”) lo slogan pubblicitario «Importante quanto il bicchiere quotidiano di latte!», senza che tale slogan fosse accompagnato da alcuna delle indicazioni richieste dall’art. 10, par. 2, del citato regolamento, ai fini dell’utilizzazione d’indicazioni sulla salute sull’etichetta o nella presentazione degli alimenti.

La ZBW ha anzitutto ritenuto che lo slogan fosse ingannevole ai sensi del codice tedesco in materia di alimenti, generi di consumo e mangimi (Lebensmit-tel, Bedarfsgegenstände und Futtermittelgesetzbuch, in prosieguo: l’“LFGB”) in quanto non indicava che il tenore di zuccheri del prodotto in questione era net-tamente superiore rispetto a quello del latte. Inoltre, secondo la ZBW, lo slo-gan controverso, contenendo indicazioni nutrizionali e salutistiche, avrebbe violato il reg. n. 1924/2006. Infatti, il riferimento al latte indicherebbe, almeno indirettamente, che il prodotto contiene anch’esso una grande quantità di cal-cio, sicché tale riferimento non costituirebbe una mera indicazione di qualità, ma prometterebbe altresì un vantaggio per la salute.

30 Corte giust. 10 aprile 2014, 609/12, Ehrman AG c. Zentrale Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs e V, non ancora pubblicata in Raccolta. Per un commento alla sentenza, vedi L. EVANS, Recent Judgments on the Health Claims Regulation, in Eur. Food Feed Law Rev., 2014, p. 233.

31 L’art. 10, par. 2 dispone: «2. Le indicazioni sulla salute sono consentite solo se sull’etichettatura o, in mancanza di

etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità sono comprese le seguenti informazioni: a) una dicitura relativa all’importanza di una dieta varia ed equilibrata e di uno stile di vita

sano; b) la quantità dell’alimento e le modalità di consumo necessarie per ottenere l’effetto bene-

fico indicato; c) se del caso, una dicitura rivolta alle persone che dovrebbero evitare di consumare l’ali-

mento; d) un’appropriata avvertenza per i prodotti che potrebbero presentare un rischio per la salu-

te se consumati in quantità eccessive».

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Di conseguenza, la ZBW ha investito il Tribunale regionale di Stoccarda di un ricorso con cui chiedeva il divieto di tale pratica e il rimborso delle spese di diffida. La controversia, dopo due gradi di giudizio, è approdata alla Corte fe-derale di cassazione, che ha ritenuto che lo slogan in questione non costituisse un’indicazione ingannevole ai sensi dell’art. 11 del LFGB, ma che esso fosse comunque identificabile come un’indicazione sulla salute ai sensi dell’art. 2, par. 2, punto 5 suindicato. Infatti, equiparando il formaggio in questione al bic-chiere quotidiano di latte (prodotto che, per il consumatore medio, avrebbe un effetto benefico per la salute, segnatamente per bambini e ragazzi) lo slogan attribuirebbe a tale formaggio un effetto parimenti benefico, suggerendo un rapporto tra esso e la salute del consumatore tale da costituire un’indicazione sulla salute. Il giudice nazionale rilevava inoltre che, al momento dei fatti del-la controversia principale, cioè nel 2010 quando gli elenchi delle indicazioni autorizzate non erano ancora stabiliti dall’Unione, le informazioni previste al-l’art. 10, par. 2 non comparivano sulla confezione del prodotto.

Tale giudice ha quindi deciso di sospendere il procedimento e di chiedere in via pregiudiziale alla Corte di giustizia di stabilire se gli obblighi d’infor-mazione dell’art. 10, par. 2 dovessero essere già rispettati nel 2010.

Occorre anzitutto rilevare che nella sentenza in commento la Corte non si è pronunciata sulla qualificazione dello slogan controverso come indicazione sulla salute, in quanto siffatta qualificazione era stata già operata dal giudice del rinvio, il quale non ha quindi incluso tale aspetto nella questione pregiudi-ziale.

Nel rispondere alla questione pregiudiziale, il giudice europeo ha osservato in primo luogo che un’indicazione sulla salute, alla luce di un’interpretazione sistematica del reg. n. 1924/2006, deve rispettare tanto le condizioni di cui al par. 1 (conformità ai requisiti generali e specifici del regolamento, autorizza-zione e inclusione nell’elenco europeo delle indicazioni autorizzate) quanto quelle di cui al par. 2 dell’art. 10 32.

Ed è sempre in un’ottica d’interpretazione sistematica, ad avviso della Cor-te, che devono essere lette le disposizioni dell’art. 28, par. 5 e 6, riguardanti le misure transitorie per l’utilizzo delle menzioni salutistiche e secondo cui un operatore del settore alimentare, sotto la sua responsabilità e a determinate condizioni, poteva far uso di tali indicazioni nel periodo compreso tra l’entrata in vigore del regolamento e l’adozione degli elenchi delle indicazioni autoriz-zate dall’Unione.

Al riguardo, il giudice europeo precisa che, nel caso del messaggio contro-

32 Ibidem, punto 30.

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verso, si applica l’art. 28, par. 5 riguardante le indicazioni di cui all’art. 13, par. 1, lett. a) del suddetto regolamento, cioè le indicazioni che descrivono o fanno riferimento al ruolo di una sostanza nutritiva o di altro tipo per la cresci-ta, lo sviluppo e le funzioni dell’organismo 33. Ciò premesso, la Corte ha af-fermato come, fatta salva l’applicazione dell’art. 10, par. 3 34, spetti al giudice del rinvio verificare se, nella causa principale, il messaggio possa rientrare nel-l’ambito dell’art. 13, par. 1, lett. a) e, in caso affermativo, se siano soddisfatti i requisiti previsti dall’art. 28, par. 5, cioè la conformità al reg. n. 1924/2006 nel suo complesso 35.

È interessante notare anzitutto come la Corte rivolga al giudice del rinvio un invito abbastanza chiaro a riesaminare la questione se il messaggio contro-verso sia un’indicazione salutistica specifica o piuttosto un’indicazione gene-rica ai sensi del suddetto art. 10, par. 3, in un contesto caratterizzato da un ri-ferimento molto vago alla salute. La Corte sembra infatti essersi resa conto dei rischi inerenti ad un’interpretazione particolarmente estensiva della normativa UE, tale da limitare fortemente l’azione delle imprese nella loro comunicazio-ne commerciale. Non potendo tuttavia pronunciarsi sulla qualificazione dello slogan controverso, il giudice europeo sembra quindi mettere indirettamente in questione la qualificazione operata dal giudice del rinvio, con un’allusione ab-bastanza trasparente alla necessità di un suo riesame. Al contempo, tale critica (solo) velata della classificazione compiuta dal giudice nazionale contrasta con l’approccio seguito dalle Corte in altri casi in cui non ha esitato a spinger-si oltre, riformulando o ampliando i quesiti pregiudiziali. Quanto al caso Ehr-mann, occorre infine rilevare che l’invito della Corte è stato accolto dal giudi-ce del rinvio, che in una recente sentenza 36 ha considerato il messaggio con-troverso come un’indicazione generica ai sensi dell’art. 10, par. 3.

Quanto poi all’applicazione dell’art. 28, par. 5, giova segnalare che l’esi-genza di conformità alla normativa nel suo complesso implica che anche le in-dicazioni fornite in virtù della suddetta misura transitoria devono rispettare gli

33 Ibidem, punto 33. Quanto all’art. 28, par. 6, esso fa riferimento alle indicazioni sulla sa-lute diverse da quelle di cui agli artt. 13, par. 1, lett. a) e 14.

34 L’art. 10, par. 3 dispone che «un riferimento a benefici generali e non specifici della so-stanza nutritiva o dell’alimento per la buona salute complessiva o per il benessere derivante dallo stato di salute è consentito soltanto se accompagnato da un’indicazione specifica sulla salute inclusa negli elenchi di cui agli articoli 13 e 14».

35 Ibidem, punto 36. 36 Sentenza del 12 febbraio 2015, I ZR 36/11. Per un commento si veda M. HAGENMEYER,

Federal Court of Appeal Endorses Its Practice Regarding Health Claims, in Eur. Food and Feed Law Rev., 2015, p. 123.

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obblighi d’informazione previsti dall’art. 10, par. 2. L’applicazione di siffatta norma non è, infatti, in alcun modo condizionata dall’adozione degli elenchi UE delle menzioni autorizzate. L’obiettivo della norma – sottolinea la Corte – è quello di assicurare un livello elevato di tutela della salute del consumatore, fornendogli in particolare le informazioni necessarie per compiere una scelta consapevole, non solo quando l’alimento reca un’indicazione già inclusa negli elenchi, ma anche nel caso di utilizzo di un’indicazione sulla base della misura transitoria suindicata 37. In altri termini, anche nel periodo transitorio previsto per consentire agli operatori di adeguarsi ai requisiti della nuova normativa – e quindi in assenza dell’elenco delle indicazioni autorizzate – prevale l’esigenza fondamentale di fornire al consumatore le informazioni necessarie per facili-tarne le scelte.

V. In conclusione, dalle sentenze analizzate più sopra, emerge con chiarez-za l’orientamento del giudice europeo favorevole ad un’interpretazione ampia, per non dire estensiva, della nozione di “indicazione sulla salute”, alla luce della preminenza della finalità della protezione della salute del consumatore, soggetto che deve essere messo in grado di compiere scelte nutrizionali con-sapevoli e quindi informate. Sembra affermarsi in tal modo una tendenza ad attrarre nell’orbita del reg. n. 1924/2006 ogni aspetto dell’etichettatura conte-nente un riferimento più o meno esplicito alla salute.

Orbene, una lettura tendenzialmente “esauriente” della disciplina dettata dal reg. n. 1924/2006 può certo ovviare allo sviluppo disordinato del settore degli alimenti salutistici che in passato recavano a volte informazioni esagera-te o scientificamente infondate. Tuttavia, occorre rilevare che quest’orienta-mento può indurre i giudici nazionali, come nel caso Ehrmann, a far rientrare nell’ambito delle indicazioni salutistiche specifiche qualsiasi slogan anche se il riferimento alla salute è molto vago, riducendo in tal modo drasticamente il margine di manovra delle imprese nella comunicazione commerciale sui loro prodotti.

Se poi a ciò si aggiungono le note difficoltà ad ottenere l’autorizzazione

37 Ibidem, punti 40 e 41. Cfr. al riguardo le conclusioni dell’Avv. Gen. Wathelet che aveva rilevato che «la presenza di informazioni obbligatorie sull’etichettatura contribuisce alla realiz-zazione di tali obiettivi. Come giustamente menzionato dalla Commissione, tali informazioni rivestono un interesse fondamentale per il consumatore non solo allorché l’alimento forma og-getto di una pubblicità che impiega un’indicazione sulla salute già inclusa negli elenchi delle indicazioni autorizzate, ma anche, se non di più, allorché un’indicazione sulla salute è utilizza-ta sulla base di disposizioni transitorie di cui all’art. 28, par. 5 e 6 del regolamento, prima della sua eventuale autorizzazione futura per tutto il territorio dell’Unione» (punto 83).

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delle indicazioni salutistiche da parte dell’Unione, appare evidente che le im-prese del settore non sono certo incoraggiate a far ricorso a questo importante strumento di marketing e come questo possa paradossalmente – se si pensa agli obiettivi perseguiti dal legislatore – condurre ad una minore informazione del consumatore.

Come si è detto, la Corte stessa sembra essersi resa conto dei rischi deri-vanti da un’interpretazione particolarmente estensiva della normativa UE, quan-do nella sentenza Ehrmann invita il giudice del rinvio a riesaminare la que-stione della qualificazione dello slogan controverso. Sembra quindi delinearsi un’evoluzione nell’atteggiamento della Corte, nel senso di un’interpretazione più equilibrata del concetto di “indicazione sulla salute” che lasci spazio per il ricorso ad informazioni generiche, riferite ad esempio al benessere generale.

ABSTRACT Regulation (EC) No. 1924/2006 on nutrition and health claims made on food has

now been in effect for eight years and has been the subject of several European Court of Justice decisions.

The broad interpretation of the concept of health claim established by the Court is based on the pre-eminence of the consumer’s health protection, in order to allow him to make well-informed nutritional choices. This broad interpretation greatly reduces the leeway of the food industry in its commercial communication. Therefore, the Court seems to be aware of the risks of the extensive interpretation of the term health claim, when in the case Ehrmann invites the national court to rethink whether the con-troversial slogan is a specific or a non-specific health claim. An evolution is taking shape in the decision of the European Court in favour of a more balanced interpreta-tion of concept of health claim.

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GIURISPRUDENZA

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Il conflitto tra norma interna e norma dell’Unione priva di effetti diretti nella vicenda dei precari della scuola italiana Sarah Lattanzi

SOMMARIO I. Introduzione: il problema del conflitto tra una norma interna e una norma europea priva di effetti diretti. – II. Il caso di specie e la posizione dei giudici a quibus. – III. La posizione della Corte costituzionale e il primo rinvio. – IV. Il problema della doppia pregiudizialità. – V. Le possibili risposte della Corte costituzionale. – VI. Conclusioni: la coerenza del sistema.

I. La battaglia giudiziaria recentemente intrapresa da docenti e amministra-tori precari della scuola italiana per contestare la legittimità dell’annosa prassi di ricorrere ad una serie infinita di contratti a termine stipulati anno dopo an-no, ha riportato al centro del dibattito costituzionale ed europeo un aspetto del problema dei rapporti tra diritto UE e diritto nazionale: le conseguenze di un conflitto che si apre tra una norma interna e una norma di diritto dell’Unione europea che sia priva di effetto diretto.

Tale delicata questione, che finora manca di una risposta chiara, è stata toccata, in modo più o meno consapevole, dai Tribunali di Roma 1, di Lamezia Terme 2 e di Napoli 3 e infine dalla Corte Costituzionale 4 e dalla stessa Corte di giustizia 5. La legittimità della disciplina italiana applicabile alla fattispecie andava infatti sindacata alla luce del diritto UE e in particolare di alcune di-sposizioni della direttiva 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE

1 Trib. Roma ord. 2 maggio 2012, nn. 143 e 144. 2 Trib. Lamezia Terme ord. 30 maggio 2012, nn. 248 e 249. 3 Trib. Napoli ord. 2, 15 e 29 gennaio 2013. 4 Corte cost. ord. 3 luglio 2013, n. 207. 5 Corte giust. 16 novembre 2014, C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo,

ECLI:EU:C:2014:2401.

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e CEEP sul lavoro a tempo determinato, disposizioni che sono pacificamente prive di effetto diretto.

La questione è molto rilevante. Se infatti è fuor di dubbio che il conflitto tra una norma interna e una norma dell’Unione “non direttamente applicabile” ma dotata comunque di “effetto diretto” va risolto dai giudici comuni attraverso la disapplicazione della prima e la successiva applicazione della seconda, non è invece altrettanto chiaro come vada risolto il conflitto che si ponga rispetto ad una norma dell’Unione cui non è possibile riconoscere un effetto diretto perché priva di carattere chiaro, preciso e incondizionato o perché destinata ad essere invocata nell’ambito di rapporti orizzontali, in controversie tra privati 6.

D’altronde, mentre nel caso di conflitto con norme dell’Unione dotate di effetto diretto, come è noto, la Corte di giustizia è incisivamente intervenuta, imponendo ai giudici nazionali di procedere, se del caso, direttamente alla di-sapplicazione della norma interna contrastante 7; per il caso di conflitto con norme dell’Unione prive di effetto diretto, pur definendo l’obbligo per il giu-dice nazionale di esperire un primo tentativo di interpretazione conforme o di riconoscere il risarcimento del danno al verificarsi di certe condizioni, non ha dettagliatamente definito gli effetti del contrasto al di fuori dei casi indicati né cosa succeda alla norma interna contrastante rispetto al problema della sua vi-genza nell’ordinamento interno. Su questi aspetti, che riguardano l’organizza-zione dell’ordinamento interno, sono state piuttosto le giurisdizioni nazionali dei diversi Stati Membri a pronunciarsi.

Così, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, è stata la Corte Costituzio-nale ad intervenire, avanzando, seppure non in maniera definitiva, una soluzione.

A partire da due sentenze del 2010 8, in particolare, la nostra Corte ha chia-ramente stabilito che, nel caso in cui una norma di legge interna confligga con una norma di diritto dell’Unione pacificamente priva di effetto diretto e il con-trasto sia insanabile in via interpretativa, il conflitto va risolto attraverso lo strumento ordinario del giudizio di legittimità costituzionale.

Un conflitto del genere infatti rappresenta una violazione indiretta degli artt. 11 e 117 Cost., letti in combinato disposto con la norma di diritto dell’U-nione.

6 F. JACOBS, Effective judicial protection of individuals in EU, now and in the future, in questa Rivista, 2002, p. 203 s.

7 Corte giust. 9 marzo 1978, C-106/77, Simmenthal, p. 629. Tra le pronunce più recenti si veda, 15 maggio 1986, 222/84, Johnston, p. 1651; 30 aprile 1996, C-194/94, CIA Security In-ternational, I-2201; 6 giugno 2000, C-281/98, Angonese, I-4139.

8 Corte cost. 21 giugno 2010, n. 227 e 25 gennaio 2010, n. 228.

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In presenza di tale violazione indiretta, il giudice comune ha «il potere-dovere di sollevare una questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 11 e 117, integrati dalla norma conferente dell’Unione, laddove co-me nella specie sia impossibile escludere il contrasto con gli ordinari strumen-ti ermeneutici dell’ordinamento» 9.

Laddove la norma dell’Unione sia sicuramente priva di effetto diretto e laddove il contrasto non sia risolvibile in via interpretativa, è il giudice Costi-tuzionale ad essere chiamato a dirimere il conflitto attraverso lo strumento del giudizio di costituzionalità sulla norma interna di recepimento della direttiva, ritenuta in contrasto con gli obiettivi fissati dalla norma dell’Unione, per il tramite dei parametri costituzionali ex artt. 11 e 117, che rinviano al contenuto della norma dell’Unione oggetto del recepimento.

Gli artt. 11 e 117 rappresentano in questo caso quelle tipiche norme costi-tuzionali che «sviluppano la loro concreta operatività solo se poste in stretto collegamento con altre norme (…), [e sono] destinate a dare contenuto ad un parametro che si limita ad enunciare in via generale una qualità che le leggi in esso richiamate devono possedere» 10, con la differenza però che le “altre norme” da cui traggono contenuto e operatività sono norme appartenenti ad un ordinamento esterno e non “di rango sub-costituzionale” 11.

Tali norme esterne che, anticipiamolo, sono interpretate alla luce del diritto dell’Unione e se del caso con l’aiuto della Corte di Lussemburgo, assumono un rilievo fondamentale perché riempiono di contenuto quella che potremmo definire una norma costituzionale in bianco 12.

La competenza propria e accentrata della Corte Costituzionale a risolvere il conflitto, insanabile in via interpretativa, tra una norma interna e una norma dell’Unione pacificamente priva di effetto diretto, si esplicita tanto nei giudizi in via principale 13, quanto in quelli in quelli in via incidentale 14.

Lo schema delineato in queste sentenze, che potremmo chiamare “schema

9 Corte cost., sentenza n. 227/2010, cit. considerando n. 7.1. 10 Corte cost.24 ottobre 2007, n. 348 in cui l’art. 117 è in particolare integrato da una di-

sposizione C.E.D.U naturalmente priva di effetto diretto. 11 In particolare si fa riferimento all’espressione della sentenza n. 348/2007 cit. in cui la

Corte ribadisce che «Le norme necessarie a tale scopo sono di rango subordinato alla Costitu-zione, ma intermedio tra questa e la legge ordinaria».

12 Secondo G. TESAURO, Costituzione e norme esterne, in questa Rivista, 2009, p. 195. «il risultato è, almeno nella sostanza, un parametro ibrido, con un involucro costituzionale ed un contenuto esterno all’ordinamento».

13 Corte cost. ord. 9 aprile 1963, n. 48 e sent. 18 dicembre 1973, n. 183. 14 Corte cost. ord. 25 luglio 2007, n. 269; n. 227/2010 cit.; n. 28/2010, cit.

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del giudizio di costituzionalità per norma interposta”, era stato già teorizzato tempo addietro 15, ma è stato via via perfezionato dalla Corte Costituzionale la quale, in occasione della vicenda dei “precari della scuola”, si è trovata a chia-rire un aspetto processuale di grande rilievo.

Nell’ordinanza n. 207/2013 appena citata, infatti, la Consulta è giunta sino ad affermare che, in casi del tipo descritto (giudizio di costituzionalità in via incidentale per violazione di una norma dell’UE pacificamente priva di effetti diretti), essa può far uso dello strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Dovendo sindacare la costituzionalità della norma interna rispetto al contenuto di una norma esterna (quella dell’Unione), che va letta e interpretata secondo i parametri sanciti dall’ordinamento da cui proviene 16, la Corte costi-tuzionale può avere bisogno di rivolgersi alla Corte di giustizia per provocare quell’interpretazione certa del diritto dell’Unione utile al suo successivo giu-dizio di costituzionalità.

Anche se chiaramente limitato ai casi in cui la norma dell’Unione è priva di efficacia diretta e vi è l’impossibilità di risolvere il contrasto mediante l’inter-pretazione conforme dell’ordinamento interno, il revirement rispetto alla giuri-sprudenza precedente è clamoroso. Ammettere la possibilità, finora negata 17, di ricorrere al rinvio pregiudiziale anche nell’ambito di giudizi di costituziona-lità in via incidentale rappresenta una grande novità, che conferma la volontà del Giudice delle leggi di partecipare direttamente al dialogo con la Corte di giustizia 18.

15 Corte cost. 8 giugno 1984, n. 170 Granital: «Fuori dall’ambito materiale, e dai limiti temporali, in cui vige la disciplina comunitaria direttamente applicabile, la regola nazionale serba intatto il proprio valore e spiega la sua efficacia; e d’altronde, è appena il caso di aggiun-gere, essa soggiace al regime previsto per l’atto del legislatore ordinario, ivi incluso il controllo di costituzionalità».

16 G. TESAURO, Relazione tra Corte Costituzionale e Corte di Giustizia, http://www. cortecostituzionale.it/documenti/relazioni_internazionali/RI_BRUXELLES_2012_TESAURO.pdf.

17 Corte cost. ord. 29 dicembre 1995, n. 536; 26 luglio 1969, n. 319; 6 aprile 1998, n.108 e 109.

18 Il nuovo desiderio della Corte costituzionale di “parlare” direttamente con la Corte di giustizia potrebbe spiegarsi in considerazione del dibattito che si sta sviluppando a livello eu-ropeo intorno all’interpretazione e alla portata della Carta dei diritti fondamentali, dibattito nel quale la Corte costituzionale potrebbe volere inserirsi personalmente e non delegandolo ai giu-dici comuni. Cfr. M. CARTABIA, La Corte Costituzionale italiana e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, in N. ZANON (a cura di), Le Corti dell’integrazione europea e la Corte co-stituzionale italiana, Napoli, 2006, p. 102 s.; F. SORRENTINO, La Corte e le questioni pregiudi-ziali, in Diritto comunitario e diritto interno. Atti del seminario svoltosi in Roma Palazzo della

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Per giustificato che sia, tale nuovo orientamento lascia aperti numerosi dubbi. In particolare ci si domanda come l’utilizzo dello strumento del rinvio pregiudiziale nei giudizi in via incidentale si concili con il sistema finora se-guito della c.d. “doppia pregiudizialità”, cioè con l’obbligo per il giudice co-mune di risolvere ogni questione di diritto dell’Unione prima di rivolgersi alla Corte costituzionale 19.

In questo articolo cercheremo perciò di analizzare alcune di tali questioni. Ci soffermeremo dapprima sulla diversità di posizione assunta dal Tribunale di Napoli, che ha sollevato varie questioni pregiudiziali dinanzi alla Corte di giustizia, e dai Tribunali di Roma e di Lamezia Terme, che hanno invece deci-so di adire direttamente la Corte costituzionale (II). In seguito analizzeremo il secondo aspetto fondamentale della vicenda, ossia le ragioni che hanno indot-to la Corte costituzionale ad operare il suo primo rinvio alla Corte di giustizia (III) e come questo si concilia con lo schema della “doppia pregiudizialità” (IV). Infine analizzeremo le possibili conseguenze che la Corte costituzionale potrebbe trarre dalla pronuncia della Corte di giustizia (V). In conclusione svolgeremo alcune considerazioni circa la coerenza generale del giudizio di costituzionalità per norma interposta con riferimento a norme UE non diretta-mente efficaci rispetto all’ordinamento dell’Unione e al modo di considerare, in tale ambito, le norme non direttamente efficaci (VI).

II. La vicenda scaturisce dall’intricata normativa sul sistema scolastico ita-liano che ammette, per sopperire al fabbisogno ordinario e straordinario della scuola pubblica, il ricorso all’assunzione di personale supplente docente in forza di una serie di contratti rinnovati in successione.

Adducendo la contrarietà della normativa italiana rispetto alla direttiva 99/ 70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato 20, numerosi ricorrenti, tutti assunti in forza di una successione di contratti a termine per un periodo complessivamente non inferiore a 45 mesi su un minimo di 5 anni, chiedevano di fronte ai Tribunali di Napoli, di Lame-zia Terme e di Roma, la conversione giurisdizionale del rapporto di impiego da tempo determinato a tempo indeterminato e, in subordine, il risarcimento dei danni subìti.

Consulta, Milano, 2008, p. 471 s.; ID., È veramente inammissibile il doppio rinvio?, in Giur. cost., 2002, p. 781 s.

19 M. CARTABIA, La Corte Costituzionale italiana e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, cit., p. 105 s.

20 Direttiva del Consiglio del 28 giugno del 1999.

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I ricorrenti invocavano la direttiva perché questa, per prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato 21, impone agli Stati Membri di prevedere almeno una delle seguenti misure, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti:

a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

b) un limite massimo alla durata dei contratti a tempo determinato o dei rapporti di lavoro;

c) un limite massimo al numero dei loro rinnovi (clausola 5, punto 1, del-l’accordo quadro).

In passato la Corte di Giustizia aveva già avuto modo di specificare il con-tenuto e la portata di questa clausola innanzitutto stabilendo che essa, non es-sendo sufficientemente precisa, non può avere effetto diretto nell’ordinamento nazionale e che quindi i singoli non possono invocare direttamente la disposi-zione fino a quando essa non sia stata attuata dallo Stato membro 22. Fino a quel momento resta soltanto salvo l’obbligo di interpretare il diritto interno quanto più possibile in maniera conforme alla clausola 23 o, nel caso in cui un’in-terpretazione conforme non sia possibile, l’obbligo di risarcire i danni 24.

Ora, nell’ordinamento italiano è permessa una reiterazione di fatto infinita di contratti annuali per i supplenti della scuola pubblica in forza dell’art. 4, comma 1, L. 124/1999, il quale prevede che «alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili en-

21 A norma della clausola 1, lett. b) dell’accordo quadro, uno degli obiettivi dell’accordo quadro è prevedere «un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».

22 Corte giust. 23 aprile 2009, C-378/07 a C-380/07, Angelidaki, p. I-3071, punto 196: «Occorre ricordare che la Corte ha già statuito che la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro non appare, sotto il profilo del suo contenuto, incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale. Infatti, ai sensi di tale disposi-zione, rientra nel potere discrezionale degli Stati membri ricorrere, al fine di prevenire l’uti-lizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato, ad una o più tra le misure enunciate in tale clausola o, ancora, a norme equivalenti in vigore, purché tengano conto delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori. Peraltro, non è possibile determinare in maniera sufficiente la protezione minima che dovrebbe comunque essere attuata in virtù della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro».

23 Corte giust. 23 aprile 2009, C-378/07 a C-380/07, Angelidaki, cit., punto 214: «il giudice del rinvio è tenuto a interpretare le pertinenti disposizioni di diritto interno in modo quanto più possibile conforme alle clausole 5 e 8 dell’accordo quadro».

24 Corte giust. 23 aprile 2009, cit., punto 202.

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tro la data del 31 dicembre (…), si provvede mediante il conferimento di sup-plenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’as-sunzione di personale docente di ruolo» 25.

Tale norma, in assenza di misure equivalenti, potrebbe essere considerata conforme ai principi fissati dalla direttiva CE 1999/70/CE solo se giustificata da una “ragione obiettiva”, come previsto alla lett. a) della clausola 5, punto 1.

La Corte di giustizia ha già avuto modo di specificare il significato della nozione “ragione obiettiva”, stabilendo che essa deve essere riferita a «circo-stanze precise e concrete che caratterizzano una determinata attività e quindi di natura tale da giustificare, in questo contesto particolare, l’utilizzo di con-tratti di lavoro a tempo determinato successivi» 26 e che deve essere «compro-vata dalle autorità statali in considerazione di circostanze concrete e sulla base di criteri obiettivi e trasparenti» 27.

Inoltre, il giudice di Lussemburgo ha anche precisato che il diritto interno ha l’obbligo di stabilire delle «sanzioni aventi un carattere sufficientemente efficace e dissuasivo (al fine di) garantire la piena effettività dell’accordo qua-dro» 28. Tuttavia, la norma sanzionatoria non deve necessariamente consistere nella conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato 29, essendo sufficiente prevedere il risarcimento del danno 30.

Ebbene, su tale ultimo punto l’ordinamento italiano aveva previsto, con un primo D.Lgs n. 368/2001 di recepimento della direttiva, che il rapporto di la-voro fosse convertito qualora esso «abbia superato complessivamente i 36 me-si comprensivi di proroghe e rinnovi» 31.

Tuttavia, dieci anni dopo, un D. L. n.70/2011 intitolato “disposizioni ur-genti per l’economia”, ha disposto chiaramente al suo art. 9, comma 18, che il D.Lgs. n. 368/2001 (e in particolare il suo art. 5), non si applica al personale

25 Art. 4, comma 2, L. 3 maggio 1999, n. 124, GURI del 10 maggio 1999, n. 107. 26 Corte giust. 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler, p. I-6057, punto 69 e 26 gennaio 2012,

C-586/10, Kucuk, ECLI:EU:C:2012:39, non ancora pubblicata, punto 27. Si veda anche il par. 72 della sentenza Adeneler dove si ribadisce che una normativa generale e astratta che si limi-tasse ad autorizzare formalmente il ricorso ad una successione di contratti senza giustificare l’utilizzo della successione in maniera specifica «comporterebbe un rischio concreto di deter-minare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti e non è pertanto compatibile con l’obiettivo e l’effetto utile dell’accordo quadro».

27 Corte giust. 26 gennaio 2012, C-586/10, Kucuk, cit., punto 56. 28 Corte giust. 23 aprile 2009, cit., punto 178. 29 Ibidem. 30 Corte giust. ord. 1 ottobre 2010, C-3/10, Affatato, p. I-121, punti 54 e 62. 31 Art. 5, D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, in GURI del 9 ottobre 2001, n. 235.

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docente ed amministrativo alle dipendenze della scuola pubblica. Tale deroga è espressamente iscritta all’art. 10, comma 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001, così co-me modificato dal D.L. appena citato.

Al personale supplente alle dipendenze della scuola pubblica si appliche-rebbe allora, in via generale, il D.Lgs. n. 165/2001 disciplinante il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il quale prevede che “la viola-zione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavo-ratori da parte delle pubbliche amministrazioni” non può comportare la costi-tuzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ma riconosce il diritto al risarcimento del danno “in caso di violazione delle stesse” 32.

Ora, sebbene tali elementi avessero già in passato fatto dubitare diversi giudici del lavoro 33 della conformità della disciplina italiana con quanto pre-visto dalla direttiva, la Corte di Cassazione, poco prima del rinvio alla Corte costituzionale operato dai giudici di Roma e di Lamezia Terme, si era pronun-ciata sul punto della sua compatibilità, stabilendo che, essendo la disciplina italiana “funzionalizzata a ragioni (…) di natura obiettiva, come quelle di assi-curare la continuità nel servizio scolastico” 34, essa “è conforme alla clausola 5 punto 1 dell’accordo quadro di cui alla direttiva CE 99/70/CE e costituisce (...) norma equivalente” 35.

La soluzione fatta propria dalla Corte di Cassazione non è stata però condi-visa dai Tribunali di Napoli, Lamezia Terme e Roma.

Il Tribunale di Napoli esprime la convinzione “che la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali, contrariamente a quanto dichiarato dalla Corte suprema di Cassazione nella sent. n. 10127/12, è contraria alla clausola 5 dell’accordo quadro” 36. Per avallare tale sua convinzione, il Tribu-nale solleva quindi dinanzi alla Corte di giustizia alcuni quesiti pregiudiziali per ottenere un’interpretazione definitiva e chiara della nozione di “ragione obiettiva” ai sensi della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro.

Tuttavia, com’è noto, nei casi in cui – come nella specie – la norma dell’U-nione invocata è pacificamente e indubbiamente priva di effetti diretti, in base all’assetto dei rapporti tra diritto UE e diritto interno definito dalla Corte di

32 Art. 36, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in GURI del 9 maggio 2001, n. 106. 33 Trib. Siena n. 699/2009; Trib. Lav. Torino n. 10/2011; Trib. Lav. Padova n. 18/2011 e

per finire Trib. Lav. Lanusei, n. 12/2012, citati in C. SALAZAR, Crisi economica e diritti fon-damentali, in Relazione di sintesi al XXVIII convegno dell’AIC, Rivista AIC, n. 4/2013.

34 Cass. civ. 20 giugno 2012, n. 10127, par. 68. 35 Cass. civ. 10127/2012, cit., par. 64. 36 Corte giust. 16 novembre 2014, C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo,

punto 27.

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giustizia a partire dalla sentenza Simmenthal, il giudice comune non ha il pote-re di risolvere autonomamente il contrasto normativo disapplicando la norma interna ritenuta eventualmente in conflitto con quella UE 37.

Egli potrebbe allora solo tentare di esperire un’interpretazione “comunita-riamente orientata” del diritto interno 38 (se del caso, con l’aiuto dell’interven-to della Corte di giustizia) o riconoscere, qualora le parti lo abbiano richiesto, un risarcimento del danno sulla base delle condizioni stabilite dalla giurispru-denza Francovich per scorretto recepimento da parte dello Stato di una norma dell’Unione 39.

In Italia però, in base alla giurisprudenza costituzionale sopra accennata, esiste un’ulteriore possibilità che consente al giudice comune, in casi del gene-re, di bloccare l’applicazione della norma interna contrastante, dando piena efficacia alla norma dell’Unione priva di effetto diretto che funge da “rilevato-re” dell’incompatibilità della norma interna e ne sancisce, per il tramite del giudizio di costituzionalità, la sua non applicazione al caso di specie e la sua conseguente espulsione dall’ordinamento interno.

Tale strada è stata effettivamente seguita dai Tribunali di Roma e di Lamezia Terme, i quali decidono di sollevare direttamente dinanzi alla Corte costituziona-le una questione di costituzionalità della normativa italiana 40 per violazione del-l’art. 117, comma 1, Cost., essendo questa ritenuta sicuramente incompatibile con la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE e sicu-ramente insuscettibile di essere interpretata conformemente ai principi di quella.

37 Corte giust. 9 marzo 1978, causa C-106/77, Simmenthal, p. 629. 38 Corte giust. novembre 1990, C-106/89, Marleasing, p. I-4135. 39 Corte giust. 19 novembre 1991, C-6/90 e C-9/90, Francovich, p. I-5357; 30 settembre

2003, C-224/01, Köbler, p. I-10239; 13 giugno 2006, C-173/03, Traghetti del Mediterraneo, p. I-5177. Alcuni autori, basandosi sulla distinzione tra effet de sostitution e effet d’opposition hanno sostenuto che se il primo effetto è ammesso solo in presenza di una norma dotata di ef-fetto diretto perché completa nel suo dispositivo e quindi atta a sostituirsi immediatamente, il secondo, descritto come la capacità della norma europea di bloccare l’applicazione della norma interna contrastante, sarebbe proprio alle norme che ne sono prive. In altri termini si ritiene che pur non potendosi sostituire, la norma europea sia capace, indipendentemente dalla sua natura, di neutralizzare l’applicabilità della norma interna contrastante. Il giudice comune sarebbe al-lora chiamato a non applicare la norma contrastante e a ricercare, nel suo diritto interno, il di-ritto meno difforme alle prescrizioni della normativa dell’Unione. Tuttavia quest’impostazione è stata ripetutamente smentita dalla Corte di giustizia: Corte giust. 12 dicembre 1972, C-21/72 e C-24/72, International Fruit Company, p. I-1219; 16 marzo 1983, C-266/81, SIOT, p. I-731, 16 giugno 1998, C-53/96, Hermès International, p. I-3603; 11 novembre 2004, C-457/02, Ni-selli, I-10853 e 3 maggio 2005, C-387/02, C-391/02 e C-403/029, Berlusconi, p. I-3565.

40 In particolare dell’art. 4 della L. 124/99, cit. alla nota 28.

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I Tribunali di Roma e di Lamezia Terme hanno infatti considerato, senza necessità di rivolgersi alla Corte di giustizia, che: a) in primo luogo, la norma interna non era, contrariamente a quanto affermato precedentemente dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 20 giugno 2012 n. 10127, giustificabile da una “ragione obiettiva” e anzi hanno ritenuto “un sicuro contrasto con la nor-ma nazionale censurata” 41; b) in secondo luogo, la norma di diritto dell’U-nione non aveva effetto diretto conformemente a quanto stabilito dalla Corte di giustizia nelle sentenze del 15 aprile 2008, C-268/06, Impact, nonché sen-tenza 23 aprile 2009, C-378/380/07, Angelidaki

42; c) e in terzo luogo, non sa-rebbe stata possibile un’interpretazione conforme del diritto interno a meno di non operare un’interpretazione contra legem

43. Si osservi come le ultime due valutazioni dei giudici a quibus sono estre-

mamente importanti. Da esse risulta l’incapacità della norma di produrre effet-ti diretti e l’impossibilità di esperire un’interpretazione conforme: uniche due circostanze che permettono al giudice comune di sollevare la questione di co-stituzionalità per violazione del diritto dell’Unione senza rischiare di incorrere in una decisione di inammissibilità.

Solo dopo aver appurato che queste due condizioni “preliminari” sono sod-disfatte, anche indipendentemente dal fatto che il giudice a quo abbia o meno rinviato precedentemente alla Corte di giustizia, la Corte costituzionale si ri-tiene competente a dirimere il conflitto statuendo sul merito della questione 44. In altre parole essa effettua quello che abbiamo chiamato il “giudizio di costi-tuzionalità per norma interposta”.

III. Sulla base di questo schema di ragionamento, dichiarando ammissibile l’eccezione di costituzionalità in ragione dei presupposti citati, la Corte costi-tuzionale si è domandata nel merito se l’art. 4, L. n. 124/1999 potesse essere

41 Corte cost. ord. 3 luglio 2013, n. 207. 42 Ibidem. 43 Secondo i giudici del rinvio alla Corte costituzionale «non sarebbe neppure possibile

l’interpretazione conforme della norma impugnata, sì che essi non avrebbero avuto altra possi-bilità se non quella di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma per viola-zione dell’art. 117, primo comma, Cost., integrato dalla conferente disposizione della diretti-va», ibidem.

44 Corte cost. ord. n. 207/2013, cit., primo considerando: «In caso di contrasto con una nor-ma comunitaria priva di efficacia diretta – contrasto accertato eventualmente mediante ricorso alla Corte di giustizia – e nell’impossibilità di risolvere il contrasto in via interpretativa, il giu-dice comune deve sollevare la questione di legittimità costituzionale, spettando poi a questa Corte valutare l’esistenza di un contrasto insanabile in via interpretativa e, eventualmente, an-nullare la legge incompatibile con il diritto comunitario».

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giustificato in presenza di una “ragione obiettiva” 45 ai sensi del diritto dell’U-nione.

La Corte ha analizzato la normativa interna innanzitutto da un punto di vi-sta astratto rilevando che, essendo “il servizio scolastico attivabile su doman-da”, esso presenta “ineliminabili esigenze di flessibilità”. Tuttavia in un se-condo momento, analizzando la normativa da un punto di vista concreto in conformità con quanto richiesto dalla giurisprudenza citata 46, ha rilevato che «la misura assai limitata di assunzioni a tempo indeterminato nel periodo in-tercorrente tra il 1999 e il 2001 e la mancanza totale di concorsi pubblici per l’assunzione di personale docente di ruolo sin dal 1999» 47, pongono la dispo-sizione in possibile conflitto con la normativa di diritto dell’Unione.

Diversamente da quanto ci si sarebbe potuti aspettare, la Corte costituzio-nale forte di questo dubbio, non decide di rimettere gli atti al giudice a quo af-finché egli “provochi quell’interpretazione necessaria” ad integrare il contenu-to (mediato) dei parametri costituzionali, ma decide essa stessa di sospendere il giudizio e sollevare alla Corte di Giustizia una questione di interpretazione sulla nozione di “ragione obiettiva”, “avuto riguardo alla normativa interna” 48.

Questo primo rinvio pregiudiziale è stato accolto con entusiasmo da parte della dottrina 49 in quanto costituisce quel revirement tanto atteso dell’ord. n. 103/2008 nella quale la Corte, pur riconoscendosi “giudice nazionale” ai sensi dell’art. 267 TFUE, limitava questo riconoscimento ai soli giudizi in via prin-cipale 50.

45 Clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE. 46 Corte giust. 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler, cit. e gennaio 2012, C-586/10, Kucuk, cit. 47 Corte cost. ord. n. 207/2013 cit. 48 Ibidem. 49 U. ADAMO, Nel dialogo con la Corte di giustizia la Corte costituzionale è un organo giu-

risdizionale nazionale anche nel giudizio in via incidentale. Note a caldo sull’ord. n. 207/2013, in Forum Quad. Cost., 2014; B. GUASTAFERRO, La Corte costituzionale ed il primo rinvio pregiudiziale in un giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale: riflessioni sull’ordinanza n. 207 del 2013, ibid., 2014; M.P. IADICCIO, Il precariato scolastico tra Giudici nazionali e Corte di Giustizia: osservazioni sul primo rinvio pregiudiziale della Corte costitu-zionale italiana nell’ambito di un giudizio di legittimità in via incidentale, in Rivista AIC, gen-naio 2014; L. BARRETTA, La Corte costituzionale e il rinvio pregiudiziale nel giudizio in via incidentale, in Rivista AIC, gennaio 2014.

50 Corte cost., ord. 13 febbraio 2008, n. 103; commenti di L. DANIELE, Corte Costituzionale e pregiudiziale comunitaria: alcune questioni aperte, Quaderni Europei, 2009, n. 16, p. 3551; M. CARTABIA, La Corte costituzionale e la Corte di giustizia: atto primo, in Giur. cost., 2008, p. 1312 s.; E. CANNIZZARO, La Corte costituzionale come giudice nazionale ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE: l’ordinanza n. 103 del 2008, in Riv. dir. int., 2008, p. 789.

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Tuttavia seguendo l’ordine dei “visti” presentati nell’ordinanza appare chiaro che il motivo giuridico preponderante che ha condotto al revirement non di-pende tanto dal riconoscersi «giurisdizione nazionale anche nei giudizi in via incidentale», quanto piuttosto nel fatto che «definire l’esatto significato della normativa comunitaria appare necessario al fine del successivo giudizio di le-gittimità che questa Corte dovrà compiere rispetto al parametro costituzionale integrato dalla suddetta norma comunitaria» 51. In altri termini il primo rinvio della Corte Costituzionale appare necessariamente conseguente all’idea di ra-gionare in termini di conflitto costituzionale per norma interposta: il giudice costituzionale pone in questo caso una questione di interpretazione della nor-ma esterna che sarà poi, indirettamente, usata per vagliare nel merito la costi-tuzionalità della norma interna.

Indipendentemente dalle ragioni giuridiche sottese, è indubbio che questa nuova facoltà rappresenta un primo passo verso quella tanto auspicata apertura ad un “dialogo diretto” 52 con la Corte di giustizia. Il dialogo “per interposta persona” 53 sinora intrapreso cominciava infatti a scontrarsi con l’urgenza di un dialogo ravvicinato. Nell’ordinanza n. 207/2013 appare la volontà manife-sta della Consulta ad aprirsi a tale dialogo, sebbene la Corte avrebbe facilmen-te potuto sottrarsene: non tanto rimettendo gli atti al giudice a quo affinché fosse questi a rivolgersi alla Corte di giustizia 54, quanto piuttosto, come già aveva fatto in passato, dichiarando inammissibile il ricorso perché posto in concomitanza con un giudizio “simile” già pendente dinanzi ai giudici di Lus-semburgo 55.

La Corte Costituzionale ha invece, con la sensibilità che la contraddistin-gue, deciso di cogliere il momento propizio per dichiarare la sua apertura ad

51 Corte Cost. ord. n. 207/2013. 52 Cfr. P. CARETTI, Corte e rinvio pregiudiziale, in Diritto comunitario e diritto interno, Atti

del Seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, 20 aprile 2007, Milano, 2008, p. 143 s.; M. CARTABIA, La Corte costituzionale italiana e la Corte di giustizia europea: argomenti per un dialogo diretto, ivi, p. 153 ss.; S. CATALANO, L’incidenza del nuovo articolo 117, com-ma 1, Cost. sui rapporti fra norme interne e norme comunitarie, in N. ZANON (a cura di), Le Corti dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana, cit., p. 131 s.

53 M. CARTABIA, La Corte costituzionale italiana e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giu-stizia, cit., p. 110 s.

54 Che non avrebbe potuto trovare applicazione nel caso di specie. 55 Corte cost. Ord. 1 marzo 2002, n. 85. dispositivo. Nel nostro caso di specie, il Tribunale

di Napoli aveva già sottoposto diverse questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia con ordi-nanze del 2, 15 e 29 gennaio 2013, pervenute in cancelleria il 17 gennaio (C-22/13) e il 7 feb-braio 2013 (da C-61/13 a C-63/13).

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un dialogo diretto con la Corte di giustizia. È evidente che in sede europea si affrontano sempre più spesso questioni “propriamente costituzionali” attinenti ad esempio ai diritti della persona, inviolabili e non 56, grazie soprattutto al-l’uso intenso che i giudici nazionali fanno della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

In questo particolare periodo storico la possibilità di dialogare direttamente con la Corte di giustizia significa poter «influenzare con la propria tradizione costituzionale la giurisprudenza di quest’ultima» 57. Non è un caso allora che la Corte costituzionale abbia, nella formulazione dei quesiti pregiudiziali, po-sto tanta enfasi sulla struttura della norma interna che, almeno in via di princi-pio, mira a garantire gli artt. 33, 34 e 97, comma 3, Cost. 58.

Ciononostante, pur riconoscendo la portata sicuramente innovativa di que-sto primo rinvio, occorre sottolineare che questo dialogo difficilmente si tra-sformerà in un dialogo rituale tra le due giurisdizioni. Innanzitutto perché la competenza della Corte costituzionale si attiva solo in ipotesi residuali 59 in cui vi sia un conflitto con una norma dell’Unione priva di effetto diretto e nel caso in cui questo non sia risolvibile in via interpretativa. In secondo luogo perché, attenendosi al sistema della “doppia pregiudizialità” 60, alla Consulta dovreb-bero, in linea di principio, presentarsi questioni sempre scevre di ogni dubbio di interpretazione del diritto UE.

Come dimostra il nostro caso di specie però il sistema della “doppia pre-giudizialità” non gioca sempre in maniera rigida 61 e anzi nel caso del giudizio di costituzionalità per norma interposta questo meccanismo non opera proprio, perché la Corte Costituzionale ritiene di dover essere ella stessa, e non il giu-dice comune, a risolvere i problemi interpretativi che attengono al merito stes-so della questione di costituzionalità.

56 Cifr. G. TESAURO, Relazione tra Corte Costituzionale e Corte di Giustizia, cit. 57 M. CARTABIA, La Corte costituzionale italiana e il rinvio pregiudiziale alla Corte di giu-

stizia europea, cit., p. 110. 58 M.P. IADICCIO, Il precariato scolastico tra Giudici nazionali e Corte di Giustizia, cit. 59 Secondo G. TESAURO, Costituzione e norme esterne, in questa Rivista, 2009, p. 195 s.:

«In ogni caso, il ricorso alla Corte costituzionale sarà residuale e diciamo pure eccezionale». 60 Secondo il sistema della doppia pregiudizialità il giudice comune deve risolvere «ogni

questione attinente all’interpretazione del diritto dell’unione europea» prima di rivolgersi alla Corte Costituzionale, cfr. M. CARTABIA, Considerazioni sulla posizione del giudice comune di fronte ai casi di “doppia pregiudizialità”, comunitaria e costituzionale, in Foro it., 1997, V, p. 222.

61 A. ADINOLFI, Una rivoluzione silenziosa, in Riv. dir. int., 2013, p. 1249.

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IV. Procedendo per gradi, occorre innanzitutto domandarsi perché la Corte costituzionale, nell’ordinanza n. 207/2013, non ritiene di dover dichiarare inammissibile la questione rimettendo gli atti al giudice a quo affinché sia questi a rivolgersi direttamente alla Corte di giustizia, in virtù del meccanismo della c.d. “doppia pregiudizialità” 62.

Questo sistema, comunemente (e probabilmente erroneamente) chiamato “doppia pregiudizialità”, si attiva in realtà al ricorrere di due condizioni: in presenza di norme dell’Unione di cui si dubita dell’effetto diretto 63 (primo ca-so) o di cui non sia chiara la portata dispositiva 64 (secondo caso). Il ricorrere di tali due condizioni nel caso di specie, come già evidenziato nel paragrafo precedente, è stato correttamente escluso dai Tribunali di Roma e di Lamezia Terme.

In generale, il meccanismo della doppia pregiudizialità opera nel primo ca-so in presenza di un dubbio sulla capacità della norma dell’Unione di produrre effetti diretti, caso in cui la Corte costituzionale chiede al giudice comune di domandare alla Corte di giustizia di precisare la portata della norma dell’U-nione, così da poter eventualmente escludere la possibilità di procedere alla disapplicazione della norma interna, conformemente a quanto stabilito in no-me della giurisprudenza Granital.

Di conseguenza, nel caso in cui la norma dell’Unione sia sicuramente dota-ta di effetto diretto, la Corte costituzionale ritiene la questione inammissibile dichiarando che la capacità della norma di produrre effetti diretti costituisce un motivo di irrilevanza della questione, perché il diritto dell’Unione impedi-sce il “venir in rilievo del conflitto” 65. Secondo le parole stesse della Corte, la questione è inammissibile perché: “il giudice rimettente (…) non prospetta una questione di compatibilità tra norme interne e norme comunitarie prive di effetto diretto, ipotesi nella quale, come in precedenza affermato da questa Corte, la fonte statuale serberebbe intatto il suo valore e soggiacerebbe al con-trollo di costituzionalità (sentenza n. 170/1984, nonché sentenza n. 317/1996 e ordinanza n. 267/1999), ma si duole che la normativa in esame confligga con norme comunitarie pacificamente provviste di effetto diretto” 66.

62 Il primo caso portato dalla dottrina come esempio di “doppia pregiudizialità” è normal-mente Corte cost., ord. 29 dicembre 1995, n. 536.

63 Corte cost., sent. 4 luglio 2007, n. 284 (qui la norma dell’Unione era pacificamente priva di effetto diretto) e ord. 17 dicembre 2008, n. 415 e 1 aprile 2009, n. 100.

64 Corte cost., ordinanze n. 536/1995, cit.; 26 luglio 1996, n. 319, e n. 108/1998. 65 Corte cost. 8 giugno 1984, n. 170, Granital, punto 5 del Considerato in diritto. 66 Corte cost. 4 luglio 2007, n. 248 par. 3 del Considerato in diritto.

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In questo caso la “questione comunitaria” è senza dubbio precedente rispet-to a quella di costituzionalità perché, in presenza di eventuali effetti diretti, quest’ultima non verrebbe proprio in rilievo.

Similmente, in presenza di una possibile interpretazione conforme non va-gliata dal giudice comune, la Corte Costituzionale rigetta la questione ritenen-do che la possibilità di esperire l’interpretazione conforme è preliminare a qualsivoglia valutazione sul merito e costituisce un motivo di infondatezza della questione 67.

Citando le parole della Corte, in questo caso: “la questione di compatibilità comunitaria costituisce un prius logico e giuridico rispetto alla questione di costituzionalità, poiché investe la stessa applicabilità della norma censurata e pertanto la rilevanza di detta ultima questione” 68. In questi casi più che di “doppia pregiudizialità” si dovrebbe allora parlare di “pregiudizialità prece-dente” 69.

Come è accaduto nel nostro caso di specie allora, una volta superate le que-stioni preliminari attinenti ai profili di rilevanza della questione di costituzio-nalità, “non esistono ostacoli processuali alla decisione del merito da parte della Corte Costituzionale” 70: se necessario sarà quest’ultima a sollevare un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia “per dirimere i dubbi inter-pretativi sul parametro comunitario interposto” 71.

Come nella specie, la Corte non rimette gli atti al giudice a quo perché in questi casi la definizione del contenuto della norma dell’Unione sul quale la Consulta nutre ancora dei dubbi è una questione sul merito che fonderà poi la pronuncia di incostituzionalità della norma interna. Rimettere gli atti al giudi-ce a quo affinché sia questi a provocare quell’interpretazione sul merito ne-cessaria al giudizio di costituzionalità provocherebbe solamente un inutile al-lungamento dei tempi processuali 72.

67 Ibidem: «la questione di compatibilità comunitaria costituisce un prius logico e giuridico rispetto alla questione di costituzionalità, poiché investe la stessa applicabilità della norma cen-surata e pertanto la rilevanza di detta ultima questione».

68 Corte cost. sent. n. 284/2007, par. 3 del considerato in diritto. 69 Cfr. F. GHERA, Pregiudiziale comunitaria, pregiudiziale costituzionale e valore di prece-

dente delle sentenze interpretative della Corte di giustizia, in Giur. cost., 2000, p. 1203. 70 M.P. IADICCIO, Il precariato scolastico tra Giudici nazionali e Corte di Giustizia, cit.,

che cita F. SORRENTINO, È veramente inammissibile il doppio rinvio?, cit. 71 M.P. IADICCIO, cit. 72 Secondo L. DANIELE, Corte Costituzionale e pregiudiziale comunitaria: alcune questioni

aperte, cit.: «in casi del genere sarebbe assurdo da parte della Corte Costituzionale insistere sulla stretta applicazione della doppia pregiudizialità, obbligando il giudice ordinario ad un

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Ancora peggio, se la Corte si rifiutasse di effettuare il rinvio, sancirebbe una sua definitiva emarginazione dal cosiddetto dialogo tra Corti. Infatti se la Corte, rifiutandosi di operare il rinvio, rimettesse gli atti al giudice a quo, la-scerebbe che il dialogo si svolga solo tra questi due giudici e, una volta ritor-nata la questione dinanzi a sé, si troverebbe ad essere “mero applicatore” di una decisione presa altrove e a cui essa non ha affatto partecipato 73.

Dunque, nel caso in cui la questione di interpretazione della norma dell’U-nione si ponga in riferimento al merito della questione e cioè al contenuto stesso della norma dell’Unione e non in riferimento alla rilevanza del conflit-to, si deve ammettere naturalmente e logicamente la competenza della Corte costituzionale a sollevare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia 74. Tra l’altro in questo caso il rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale dovreb-be ritenersi ammesso anche laddove un primo rinvio pregiudiziale sia già stato proposto dal giudice a quo

75. Infatti una cosa sarà il rinvio pregiudiziale promosso dai giudici comuni

sulla rilevanza del conflitto a livello europeo e dunque sulla capacità della norma a produrre effetti diretti o sulla possibilità di un’eventuale interpreta-zione conforme, altra cosa sarà il rinvio promosso dalla Corte Costituzionale sul contenuto dispositivo della norma in esame alla luce del diritto dell’U-nione.

Tra l’altro, questa concezione della “doppia pregiudizialità” intesa come pregiudizialità precedente trova confronto nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale.

Infatti la Corte costituzionale ha fatto uso del meccanismo della doppia pregiudizialità comunemente inteso sempre e solo in presenza di norme del-l’Unione di cui si dubitava della portata dispositiva o nel caso in cui si intra-vedeva la possibilità di operare un’interpretazione conforme del diritto inter-no, mentre invece di fronte a norme dell’Unione sicuramente prive di effetto diretto ha evitato di fare riferimento a tale meccanismo e, pur se rimettendo gli atti al giudice a quo evitando così di statuire sul merito, l’ha fatto sulla base di giustificazioni diverse.

rinvio pregiudiziale i cui esiti interpretativi dovrebbero poi servire non al giudice ordinario stesso ma alla Corte Costituzionale”.

73 Cfr. M. CARTABIA, W. WEILER, L’Italia in Europa, profili istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000.

74 R. ROMBOLI, Corte di Giustizia e giudici nazionali: il rinvio pregiudiziale come strumento di dialogo, in Rivista AIC, n. 3/2014; F. SORRENTINO, La Corte Costituzionale e le questioni pregiudi-ziali, in Diritto Comunitario e diritto interno, Atti del seminario svoltosi in Roma, cit., p. 471 s.

75 F. SORRENTINO, È veramente inammissibile il doppio rinvio?, cit.

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In un primo caso, ha rimesso gli atti al giudice comune perché in un altro giudizio vertente su “una fattispecie simile” era stato effettuato un rinvio pre-giudiziale alla Corte di Lussemburgo e dunque era conveniente attendere la futura pronuncia di questa sul punto 76; in un altro, ha rimesso gli atti al giudi-ce a quo poiché, essendo intervenuto nel frattempo il legislatore, quello poteva decidere in base al nuovo ius superveniens

77. In tale contesto, per ragioni di completezza occorre infine, in chiusura del

paragrafo, accennare a un’ultima ipotesi in cui la Corte Costituzionale potreb-be essere chiamata a sollevare direttamente un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia senza rimettere gli atti al giudice a quo in nome della “doppia pre-giudizialità”. Si tratta del caso in cui la Corte costituzionale sia chiamata, in occasione di un giudizio in via incidentale sulla legittimità costituzionale (par-ziale) dell’ordine di esecuzione del Trattato, a pronunciarsi sulla validità di una norma dell’Unione direttamente applicabile 78 che violi un principio su-premo o un diritto inalienabile della persona umana garantito dalla Costituzio-ne Italiana (c.d. teoria dei “controlimiti costituzionali” 79.

In passato la Corte costituzionale ha avuto modo di sottolineare che, in ap-plicazione della teoria dei “controlimiti”, il contrasto tra una norma interna e una norma dell’Unione direttamente applicabile non va risolto attraverso la disapplicazione diffusa della norma interna da parte dei giudici comuni, ma attraverso il controllo accentrato di costituzionalità. I giudici a quibus saranno quindi tenuti, senza passare per il tramite della Corte di giustizia, a rimettere il giudizio direttamente di fronte alla Corte costituzionale.

Come sottolineato da autorevole dottrina è tuttavia arduo immaginare co-me, in un caso di concreta applicazione, la Corte Costituzionale possa proce-dere autonomamente nel sindacato sulla validità della norma dell’Unione (per il tramite dell’ordine di esecuzione), “senza previamente verificare se non sia possibile ricostruire anche a livello comunitario un principio in qualche modo equivalente o compatibile con quello evocato in sede nazionale” 80. In altri

76 Corte cost., ord. 1 giugno 2004, n. 165. 77 Corte cost., ord. 24 febbraio 2006, n. 70. 78 Corte cost. n. 183/1973, Frontini, cit.; sent. n. 170/1984, Granital, cit.; 21 aprile 1989, n.

232, Fragd in cui la norma “direttamente efficace” era costituita da una pronuncia pregiudizia-le della Corte di giustizia, direttamente vincolante per il giudice a quo.

79 Per tutti v. la definizione di F. SORRENTINO, Il diritto europeo nella giurisprudenza della Corte costituzionale: problemi e prospettive, in Quad. Reg., 2006, p. 628.

80 A. TIZZANO, Ancora sui rapporti tra Corti europee: principi comunitari e c.d. controlimi-ti costituzionali, in Diritto comunitario e diritto interno, atti del seminario svoltosi in Roma, cit., p. 479 ss.; Nello stesso senso, U. VILLANI, I “controlimiti” nei rapporti tra diritto comuni-tario e diritto italiano, ibidem., p. 493 ss.

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termini la Corte dovrebbe, prima di pronunciarsi definitivamente su ipotesi così delicate, far uso di una certa cautela lasciando alla Corte di Giustizia la competenza a ricostruire per prima quel principio “equivalente” sulla base del quale giudicare della validità della norma dell’Unione.

Nello stesso senso si è recentemente espresso il Bundesverfassungsgericht allorquando, in un fugace riferimento al problema del rispetto dell’“identità costituzionale tedesca” 81, ha sottolineato che in questo caso bisognerebbe “sempre dare la possibilità” alla Corte di giustizia di pronunciarsi per prima sulla validità dell’atto dell’Unione rispetto ai principi fondamentali dell’ordi-namento a cui la norma appartiene 82.

Se anche la nostra Corte Costituzionale condividesse questo ragionamento, non si vede chi, oltre allo stesso giudice delle leggi, potrebbe in un giudizio accentrato di costituzionalità, effettuare il rinvio alla Corte di giustizia affin-ché sia ella a pronunciarsi per prima sulla validità dell’atto dell’Unione.

In linea con tale ragionamento si potrebbe allora ben sperare che, in un ca-so del genere, la nostra Corte decida di rinviare alla Corte di giustizia attuando così un fruttuoso dialogo diretto che le eviti da un lato di assestarsi su posizio-ni unilaterali e eventualmente conflittuali 83 e che dall’altro le lasci comunque l’ultima parola.

V. Come è noto, la risposta della Corte di giustizia alle questioni pregiudi-ziali della Corte costituzionale è in termini di incompatibilità tra il diritto del-l’Unione e la normativa interna in quanto: «la clausola 5, punto 1, dell’accor-do quadro, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazio-nale (...) che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contrat-ti di lavoro a tempo determinato (…) senza indicare tempi certi per l’espleta-mento di dette procedure ed escludendo qualsiasi possibilità di ottenere il ri-sarcimento del danno» 84.

Si tratta ora di tentare di prevedere quali conseguenze potrà trarne la Corte costituzionale nella sua futura e definitiva pronuncia. Rispetto alla risoluzione

81 Bundesverfassungsgerich, Order of 14 January 2014 – 2 BvR 2728/13, parr. da 26 a 30. 82 Cit. al par. 44 delle conclusioni dell’Avv. Generale Villalòn del 14 gennaio 2015, C-

62/14 Peter Gauweiler e a.c. Deutscher Bundestag, ECLI:EU:C:2015:7. 83 A. TIZZANO, Ancora sui rapporti tra Corti europee: principi comunitari e c.d. controlimi-

ti costituzionali, cit. 84 Corte giust. 16 novembre 2014, C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Mascolo,

ECLI:EU:C:2014:2401, punti 122 ss.

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concreta del caso, numerose possibili risposte sono immaginabili. Per prima cosa la Consulta si potrebbe pronunciare con una decisione di in-

fondatezza della questione, giudicando la normativa interna suscettibile di es-sere interpretata conformemente agli obiettivi fissati dalla direttiva 99/70/CE, come già ammesso da parte di diversi giudici del lavoro 85.

La Corte potrebbe cioè operare un’interpretazione adeguatrice dell’art. 36, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001 che, se interpretato in maniera conforme agli obiettivi della direttiva, potrebbe riconoscere ai “precari” il diritto al risarci-mento del danno per la violazione della direttiva stessa 86. L’art. 36 cit. garan-tisce il diritto al risarcimento del danno in caso di “violazione di disposizioni imperative” 87, che in questo caso sarebbero rinvenibili nel mancato obbligo di recepimento della direttiva per il personale supplente docente.

Altrimenti, la Consulta potrebbe dichiarare l’illegittimità costituzionale del-l’art. 4, L. n. 124/1999, permettendo così di considerare la reiterazione dei contratti inequivocabilmente assunta “in violazione di disposizioni imperati-ve” (perché sulla base dell’articolo 4 dichiarato incostituzionale) e permetten-do nuovamente al giudice a quo di riconoscere il risarcimento del danno in capo ai ricorrenti.

Una terza possibilità potrebbe essere che la Corte si pronunci con una sen-tenza “manipolativa o additiva” nella quale si riconosca l’incostituzionalità par-ziale della norma interna, ad esempio nella parte in cui non prevede il diritto al risarcimento del danno in caso di reiterazione abusiva di contratti a termine. La Consulta si rimetterebbe al modello della sentenza M.K.P. 88 in cui il contrasto tra la norma interna e la decisione quadro sul mandato d’arresto europeo 89, anch’essa priva di effetti diretti ex. art. 34 TUE (versione precedente alle modi-fiche recenti apportate dal Trattato di Lisbona) è stato risolto nel senso dell’in-compatibilità della norma interna «limitatamente alla parte in cui non prevede il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell’Unione,

85 V. pronunce citate alla nota 35. 86 Cioè effettivamente di una “disposizione imperativa” ex art. 36, comma 5, D.Lgs.

165/2001. 87 Ibidem. 88 Corte cost. 227/2010, cit. 89 Nella fattispecie la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi innanzitutto sulla

violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., da parte della L. n. 190/2002 che, recependo (erro-neamente) la decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002, n. 2002/584/GAI, consentiva all’autorità giudiziaria di rifiutare la consegna ai fini dell’esecuzione della pena detentiva nello Stato emittente del solo cittadino dello “Stato dell’esecuzione” e non anche, come invece dispo-neva la decisione quadro n. 2002/584/GAI, del cittadino che “ivi risieda o vi abbia dimora”.

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che legittimamente ed effettivamente risieda o abbia dimora nel territorio italia-no, ai fini dell’esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno» 90.

Meno probabile, ma non del tutto da escludere, potrebbe essere una quarta possibilità: quella di giudicare non operante l’esclusione del personale docente supplente dal novero dei destinatari del D.Lgs. n. 368/2001, prevista dall’art. 9, comma 18, D.L. 13 maggio 2011, n. 70, così da permettere la conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato.

Tralasciando l’impatto economico di una siffatta pronuncia, in astratto e da un punto di vista prettamente giuridico, la Corte potrebbe sollevare ex officio una questione di costituzionalità dell’art. 10, comma 4 bis, D.Lgs n. 368/2001, e, dichiarandolo incostituzionale, riconoscere indirettamente l’applicabilità di tutto il decreto legislativo di recepimento della direttiva anche al personale docente, permettendo così la conversione del contratto in virtù dell’art. 5, comma 4 bis di tale decreto. L’incostituzionalità dell’articolo 10, cit. ristabili-rebbe il corretto recepimento della direttiva. Tale soluzione potrebbe trarre ispirazione dall’idea sostenuta da parte della dottrina, secondo cui la norma di corretta trasposizione della direttiva, costituendo un nucleo unico con la diret-tiva, avrebbe maturato una forma di “resistenza” tale da “precludere l’entrata in vigore di successive regole interne difformi” 91. Secondo questa imposta-zione, la norma interna successiva che fosse intervenuta per abrogare o modi-ficare il corretto recepimento della direttiva “non dovrebbe ritenersi valida-mente formata” 92. Infatti, se è vero che lo Stato mantiene “pur sempre la pos-sibilità di abrogare la normativa di attuazione e sostituirla con una normativa avente contenuto diverso”, esso deve farlo “nell’ambito del margine di discre-zionalità concesso al legislatore nazionale dalla direttiva” 93. In caso contrario, il suo intervento dovrebbe considerarsi nullo con l’effetto di far rivivere la prima corretta attuazione del diritto europeo e cioè, nel nostro caso di specie, la sanzione della conversione del rapporto.

90 Corte cost. n. 227/2010, par. 9 del Considerato in diritto. 91 R. MASTROIANNI, Le direttive comunitarie nel giudizio di costituzionalità, in L. DANIELE

(a cura di), La dimensione internazionale ed europea del diritto nell’esperienza della Corte costituzionale, Napoli, 2007, p. 325 ss.

92 Secondo l’A. cit., una volta che la direttiva è stata recepita correttamente, «il combinato disposto dell’articolo 10, secondo comma TCE, che vieta agli Stati di porre in essere compor-tamenti tali da compromettere gli obiettivi del Trattato, e dell’art. 249 TCE che attribuisce alle direttive la qualifica di fonte obbligatoria e vincolante per gli Stati membri, dovrebbero far considerare “non validamente formate” le norme che poi negano il corretto recepimento».

93 E. CANNIZZARO, Autonomia processuale degli Stati membri e limiti derivanti dal diritto dell’Unione, in R. MASTROIANNI (a cura di), Il falso in bilancio, Napoli, 2004, p. 37 ss.

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Un altro tipo di pronuncia ipotizzabile, facendo anche i conti con l’effetto economicamente dirompente di tali pronunce, è quello in cui la Corte costitu-zionale come già ha fatto in passato 94, decida di assumere una posizione di stand-by, rinviando la questione di costituzionalità a nuovo ruolo sine die

95 in attesa di un intervento legislativo modificativo della disciplina di cui si adduce l’illegittimità 96.

Ancora in riferimento alla preoccupazione del contenimento dell’effetto economico di certe pronunce, la Corte potrebbe, come affermato in una recen-tissima sentenza 97, dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, L. n. 124/90 e stabilire al contempo che gli effetti dell’incostituzionalità valgano solo pro futuro ovvero dal momento della pubblicazione della sentenza, bloc-cando così l’efficacia retroattiva della stessa.

VI. Ora, delineato a grandi linee il sistema, è giunto il momento di testarne la coerenza rispetto alle caratteristiche dell’ordinamento dell’Unione europea e, in particolare, delle norme non direttamente applicabili e prive di effetto di-retto.

Innanzitutto balza agli occhi l’armonia del giudizio di costituzionalità per norma interposta con i principi dell’ordinamento costituzionale che richiedo-no, in presenza di una norma di legge incostituzionale, una pronuncia accen-trata di costituzionalità con effetti erga omnes e un’espulsione definitiva dal-l’ordinamento 98.

Da un punto di vista interno infatti il sistema delineato dalla Consulta è perfettamente coerente con quanto disposto sin dalla sentenza Granital in cui si affermava che il conflitto con norme dell’Unione prive di effetto diretto an-dava risolto attraverso i consueti strumenti dell’ordinamento costituzionale. Con l’ordinanza n. 207/2013, la Corte costituzionale non ha fatto nient’altro che perfezionare la definizione del suo controllo accentrato, prevedendo che, dovendosi risolvere il conflitto alla luce della norma dell’Unione che funge da

94 Corte cost., ord. 28 novembre 2005, n. 434. 95 Cfr. M. CARTABIA, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, cit. 96 Corte cost., ord. 24 febbraio 2006, n.70 secondo cui «compete ai giudici rimettenti veri-

ficare se – anche alla luce dei principi in tema di successione delle leggi penali (…) – le que-stioni sollevate restino o meno rilevanti alla luce dello ius superveniens».

97 Corte cost. 23 luglio 2015, n. 178 par. 18 del Considerato in diritto e par. 1 del dispositivo. 98 G. GAJA, La Corte costituzionale di fronte al diritto comunitario, in La dimensione inter-

nazionale ed europea del diritto nell’esperienza della Corte, cit., p. 255 s.; M. CARTABIA, Cor-te costituzionale e norme comunitarie: ulteriori aspetti problematici, in Giur. cost., 1995, p. 4129 ss.

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parametro interposto, questa non solo vada interpretata alla luce del diritto dell’Unione ma anche che la stessa Corte Costituzionale è legittimata ad adire direttamente la Corte di Giustizia per richiederle quell’interpretazione neces-saria a concludere lo scrutinio di costituzionalità.

In una tale ottica certo non sembrerebbe potersi contestare alla Corte costi-tuzionale di invadere il monopolio della Corte di giustizia in materia di inter-pretazione del diritto dell’Unione perché la Consulta, ritenendosi legittimata essa stessa ad operare il rinvio pregiudiziale, ben vuole chiarire che essa non si attribuisce alcun margine di discrezionalità ma anzi si posiziona, per il mo-mento, al livello di “mero applicatore” delle indicazioni preventivamente for-nite dalla Corte di giustizia.

Tuttavia il principio del “monopolio interpretativo della Corte di giustizia” non è significativo in sé per sé, ma in quanto corollario del principio dell’uni-forme applicazione del diritto dell’Unione 99.

Orbene, rispetto al principio dell’uniforme applicazione del diritto dell’U-nione, il sistema costruito dalla Corte Costituzionale potrebbe sollevare delle perplessità. Infatti proprio in virtù di tale principio la Corte di Giustizia era giunta a negare la possibilità da parte dei giudici, comuni o costituzionali, di far scaturire qualsivoglia effetto (sia esso oppositivo 100, di non applicazione o abrogativo) dal contrasto tra una norma interna e una norma di diritto dell’U-nione priva di effetto diretto 101. Nel caso Berlusconi 102 addirittura, seppure per circostanze del tutto particolari, perché un’eventuale disapplicazione della norma interna avrebbe significato far rivivere una norma penale di sfavore nell’ordinamento nazionale 103, la Corte di giustizia si era spinta sino a dichia-

99 Il monopolio interpretativo della Corte di giustizia, riconosciuto all’art. 267 TFUE, ha come scopo quello di «assicurare la corretta applicazione e l’uniforme interpretazione del diritto del-l’Unione». Nel sistema “integrato” del diritto dell’Unione la competenza pregiudiziale della Corte di giust. serve «ad evitare divergenze nell’interpretazione del diritto comunitario che i giudici na-zionali devono applicare» (…) e «a garantire tale applicazione» (Corte giust. 16 gennaio 1974, 166/73, Rheinmuhlen, 33), cit., in L. DANIELE, Diritto dell’Unione Europea, Milano, 2014, p. 300.

100 Come prospettato dall’Avv. Gen. Kokott nelle conclusioni alla causa Niselli, Corte giust. 11 novembre 2004, C-457/02, Niselli, I-10853.

101 Corte giust..12 dicembre 1972, 21/72 e 24/72, International Fruit Company, 1219, 16 marzo 1983, 266/81, SIOT, 731; 16 giugno 1998, C-53/96, Hermès International, p. I-3603.

102 Corte giust. 3 maggio 2005, C-387/02, C-391/02 e C-403/029, Berlusconi, p. I-3565. 103 Tra gli altri, M. D’AMICO, Ai confini (nazionali e sovranazionali) del favor rei, Relazio-

ne introduttiva, in AA.VV., Ai confini del “favor rei”. Il falso in bilancio davanti alle Corti costituzionale e di giustizia, Atti del Seminario Ferrara, Torino, 2005, p. 1; S. AMADEO, La Corte di giustizia e il fantomatico effetto delle direttive societarie in ambito penale, ivi, p. 53 ss.; R. BIN, Un ostacolo che la Corte non può aggirare, ivi, p. 109 ss.

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rare che le norme prive di effetto diretto non possono neppure fungere da pa-rametro per rilevare l’incompatibilità della norma interna.

In presenza di norme prive di effetto diretto, che quindi non sono capaci di sostituirsi direttamente, né di provocare un effetto oppositivo, l’abrogazione della norma interna contrastante rischierebbe di determinare una situazione di maggiore difformità rispetto a quella creata dal precedente, seppur scorretto, recepimento della direttiva 104.

In altre parole si produrrebbe, nei diversi Stati membri, un’applicazione non uniforme del diritto non direttamente efficace, con un’applicazione altret-tanto non uniforme dei diritti interni più o meno conformi agli obiettivi della norma dell’Unione.

In quest’ottica, la Corte Costituzionale, con la sua declaratoria di incostitu-zionalità della norma interna, potrebbe tra l’altro, indirettamente, riconoscere alla norma di diritto dell’Unione degli effetti in più rispetto a quelli che le so-no generalmente attribuiti alla stessa norma negli altri ordinamenti nazionali.

Ora, la soglia di tollerabilità da parte della Corte di Giustizia di una tale si-tuazione di difformità dipenderà probabilmente dal bilanciamento tra le se-guenti due considerazioni contrapposte: da un lato, la pronuncia di incostitu-zionalità della Consulta permetterebbe comunque di avvicinare il diritto inter-no italiano alla realizzazione degli obiettivi posti dalla norma dell’Unione; dall’altro una siffatta pronuncia della Consulta finirebbe per riconoscere effetti “analoghi” agli effetti diretti ad una norma dell’Unione che ne sarebbe nor-malmente priva.

Se dovesse prevalere la seconda considerazione, allora la Corte di giustizia potrebbe ribadire che non è possibile risolvere il conflitto tra norme interne e norme UE non direttamente efficaci secondo metodi variabili da Stato mem-bro a Stato membro, come il sistema delle questioni di costituzionalità per norme interposte elaborato dalla Corte costituzionale italiana, e che gli unici “effetti” o conseguenze legate ad una norma UE non direttamente efficace so-no la possibilità di esperire un’interpretazione conforme o di accordare il ri-sarcimento del danno per mancato o scorretto recepimento della norma di di-ritto dell’Unione.

In questa ottica, la posizione della Corte costituzionale potrebbe essere vi-sta come troppo garantista rispetto a quella seguita in altri ordinamenti nazio-nali e per questo essere considerata extra ordinem a livello dell’Unione, anche se fondata su assiomi e conclusioni ben coerenti a livello interno.

104 Corte giust. 18 dicembre 1997, C-129/96, Inter-Environnement Wallonie, p. I-7411, punti 45-48.

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Al contrario, la posizione della Corte costituzionale potrebbe essere vista come elemento ulteriore ed arricchente del sistema integrato dell’Unione eu-ropea 105.

La Corte di giustizia potrebbe ritenere che, in generale, una pronuncia ac-centrata di costituzionalità che espelle definitivamente la norma interna con-trastante dall’ordinamento costituisca un elemento di maggiore garanzia ed ef-fettività dell’ordinamento dell’Unione. In altri termini potrebbe riconoscerlo quale elemento di perfezionamento del sistema che, affiancandosi all’inter-vento solitamente tardivo del legislatore che voglia eliminare la norma interna contrastante con il diritto dell’Unione 106, lo migliori.

Nel sistema integrato del diritto dell’Unione la Corte di giustizia ha un con-trollo totale sulla validità degli atti emanati dagli organi e organismi dell’U-nione e ha un monopolio interpretativo che si estende sino a permetterle di sindacare, di fatto, della compatibilità del diritto interno al diritto dell’Unione, così come interpretato dalla stessa.

Essa non ha tuttavia un controllo successivo che le permette di espellere la norma dall’ordinamento. Se infatti è vero che la pronuncia pregiudiziale è di-rettamente vincolante per il giudice a quo che quindi non potrà risolvere il ca-so sottoposto al suo esame applicando una norma interna non conforme, è an-che altrettanto vero che questa continuerà a perdurare nell’ordinamento e eventualmente a disciplinare altre fattispecie.

In virtù di tali considerazioni, che mettono in luce l’assenza di un meccani-smo che assicuri il completo rispetto del principio dell’effettività del diritto dell’Unione, la Corte di Lussemburgo aveva considerato nella causa Commis-sione c. Italia che la permanenza della norma interna incompatibile provoca “uno stato di incertezza circa la possibilità per l’interessato di fare appello al diritto dell’Unione” 107e che quindi pesa sugli Stati Membri l’obbligo di espel-lerla definitivamente dal loro ordinamento.

La nostra Corte costituzionale all’epoca non si lasciò sfuggire l’occasione di recepire quest’orientamento stabilendo, nella sentenza n. 389/89, che «an-che in caso di contrasto con una norma direttamente applicabile gli Stati devo-no apportare le necessarie modificazioni o abrogazioni del proprio diritto in-terno al fine di depurarlo da eventuali incompatibilità o disarmonie con le pre-

105 Cfr. A. CELOTTO, Le modalità di prevalenza delle norme comunitarie sulle norme inter-ne: spunti ricostruttivi, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999, p. 1473; A. TIZZANO, La Corte costi-tuzionale e il diritto comunitario: vent’anni dopo, in Foro it., 1984, I, c. 69 s.

106 Perché ad esempio dichiarata contraria a seguito di una procedura di infrazione. 107 Corte giust. 24 marzo 1988, 104/86, Commissione c. Italia, p.1799, punto 12.

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valenti norme dell’Unione, esigenza che si ricollega al principio di certezza del diritto» 108.

Il ruolo delle due Corti, pur rimanendo concettualmente distinto, sembra così destinato ad integrarsi dando piena applicazione al principio di “leale col-laborazione” 109.

Seguendo tale ragionamento e portandolo alle estreme conseguenze, l’ordi-namento spagnolo ammette il cosiddetto metodo del “doppio rinvio” 110 in ba-se al quale il Tribunale Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale della norma interna che contrasta con una norma di diritto dell’Unione anche se dotata di effetto diretto 111. In quest’ultima ipotesi il Tribunale Costituziona-le interviene dopo che il giudice comune ha già provveduto alla disapplicazio-ne e alla conseguente sostituzione della norma interna con quella dell’Unione: l’intervento del Tribunale Costituzionale posticipa allora quello del giudice comune e anticipa di fatto quello del legislatore.

Nell’ordinamento italiano, la disapplicazione della norma interna contra-stante rappresenta ancora oggi lo strumento di maggiore tutela per l’individuo che invoca una norma o un principio del diritto dell’Unione europea diretta-mente applicabile, mentre invece la tutela “a geometria variabile” che si attiva in presenza di un conflitto con norme prive di effetto diretto può costituire an-cora oggi una situazione decisamente svantaggiosa per il singolo.

Il giudice comune ha infatti solo la possibilità di interpretare conforme-mente il diritto interno, oppure di risarcire il danno per violazione del dritto dell’Unione al ricorrere di certe condizioni, ma non può riconoscere nessun tipo di effetto diretto alla norma dell’Unione, anche qualora essa non sia diret-tamente applicabile perché intervenente all’interno di un rapporto orizzontale.

Nei casi residuali ed eccezionali in cui le prime due forme di tutela, prove-nienti dall’ordinamento dell’Unione e offerte dalla giustizia ordinaria, non possano trovare applicazione è allora il giudice costituzionale a intervenire, impedendo l’applicazione della norma interna contrastante attraverso al decla-ratoria di incostituzionalità.

La pronuncia del giudice costituzionale interviene così sulla norma interna

108 Corte cost. 11 luglio 1989, n. 389, par. 4 del Considerato in diritto. 109 In questo senso A. LA PERGOLA, Tutela giudiziaria diffusa e controllo accentrato di co-

stituzionalità: il caso italiano, in AA.VV., Incontro di Studio tra la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia delle comunità Europee, Atti del convegno svoltosi a Roma, palazzo della Consulta, 4-5 aprile 2002, p. 33.

110 M. CARTABIA, op. cit. 111 Tribunal costitutional español, sentenza 8 aprile 1981, n. 11, in Jurisprudencia costitu-

cional, vol. I, p. 174 ss.

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contrastante con il diritto dell’Unione, attraverso un procedimento che, sebbe-ne lungo e complesso quale quello del giudizio di costituzionalità in via inci-dentale, permette la non applicazione diretta della norma interna e la sua con-seguente espulsione definitiva. Il diritto dell’Unione funge allora da “campa-nello d’allarme”, ma non trova diretta applicazione nel giudizio pendente di-nanzi alla Corte Costituzionale. Questa allora entra in gioco non come giudice diffuso dell’ordinamento dell’Unione “incaricato di assicurare la puntuale ed immediata osservanza del Trattato e della normativa da esso derivata” 112, ma “nel suo naturale compito di custode della Costituzione” 113 chiamato ad assi-curare la conformità di tutto l’ordinamento interno ai principi dell’Unione e, in punta di piedi, bisbigliando un monito al legislatore che sarà in seguito chia-mato a colmare il vuoto legislativo creatosi.

ABSTRACT This article originates from a series of legal actions brought before several Italian

courts by many workers of the Italian State schools, with the aim of having their re-peated employment contracts converted from a fixed-term to a permanent one. The case raised the problem of what happens when a clash occurs between a piece of Na-tional legislation and rules of European law which do not have direct effects. In the first part, the article deals with the present case law and its implications for National courts. In the second part, it focuses on the role played by the Constitutional Court and the reasons beyond its first reference for a preliminary ruling to the European Court of Justice. It ends looking at the different solutions that the Constitutional Court might come to, following the preliminary ruling of the Court of Justice on Directive 99/70/EC on fixed-term work.

112 V. ONIDA, Lo stato della giurisprudenza costituzionale sui rapporti tra ordinamento in-terno e ordinamento comunitario: “armonia tra diversi”, in Incontro di Studio tra la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia delle comunità Europee, cit., p. 8 s.

113 Ibidem.

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NOTIZIE SUGLI AUTORI

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FABIO GENCARELLI, Avvocato, Bruxelles.

SARAH LATTANZI, Dottoranda di ricerca in Diritto dell’Unione europea, Università di Roma “Tor Vergata”.

SILVIA MARINO, Ricercatore di Diritto dell’Unione europea, Università dell’Insubria di Varese.

FRANCESCO MUNARI, Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università di Genova.

GIACOMO RUGGE, Ricercatore di Diritto dell’Unione europea, Max Planck Institute for Comparative Public Law and International Law di Heidelberg.

SILVANA SCIARRA, Giudice della Corte costituzionale, Roma.

FABIO SPITALERI, Ricercatore di Diritto dell’Unione europea, Università di Trieste.

FABRIZIO VISMARA, Associato di Diritto Internazionale, Università dell’Insubria di Varese.