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Franco Battistelli, Gianni VolpeGli architetti di San Pietro in Valle

PremessaIl disegno che appare nella pagina a fronte è un raro documento d’archivio rintracciato presso la storica sede della Congregazione dei Filippini di Roma dove è inventariato con questa sigla: Au-tore ignoto, Pianta raffigurante la chiesa di San Pietro a Fano, Roma, Archivio della Congrega-zione dell’Oratorio, c. II 8a, 144. Sul retro reca una nota molto preziosa, che giova qui riportare interamente, prima di procedere ad un suo cir-costanziato commento:

Ricordo per M.ro Gio: muratore di quello haverà da fare a la fabbrica di S. Pietro di Fano.P.a haverà da tirar in forma tonda li quattro pe-ducci, che vengono tra li 4 archii maggiori, c’ han-no da reggere la Cuppola et come sarà all’altezza della cima degli archi, vi farà la cornice, conforme alla sagoma da me lasciata.Nel part [icola] re del piano della Chiesa, haverà da essere alto più della stada principale un piede e mezo, nella qual altezza vi si ascenderà con tre scalini, cioè uno scalino sarà la soglia della porta, et due scalini si faranno fuori in strada.Tutta la Chiesa sarà à un piano, eccetto la cappel-la maggiore, che salirà un scalino, et così ancora faranno le sei Cappelle piccole dalli lati del corpo della Chiesa.

Come si vede, si tratta di indicazioni lasciate sicuramente dal progettista (un passaggio della nota, conforme alla sagoma da me lasciata, è de-terminante), che specificano la quota della chie-sa rispetto alla strada principale antistante e le quote della cappella maggiore e di quelle laterali rispetto al piano interno. C’è infine - ma in realtà all’inizio del testo - un’indicazione relativa alla crescita della fabbri-ca in altezza nel punto di innesto della cupola. Questo dettaglio non è da sottovalutare, perché collegherebbe direttamente i primi due tecnici che si sono avvicendati nel cantiere della chiesa fanese: l’architetto Giovanni Battista Cavagna, progettista dell’edificio, e Giovanni Maria Paz-

zaglia, impresario del cantiere fanese e poi re-sponsabile della prosecuzione del progetto dopo la morte del Cavagna. Le indicazioni si inseri-scono infatti nel momento della costruzione del tamburo della cupola, iniziato, come vedremo più avanti, proprio dal Pazzaglia. Se sono giuste queste nostre valutazioni, il “mae- stro Gio: Muratore”, a cui sono rivolte le rac-comandazioni dell’estensore del disegno e della nota, starebbe ad indicare Giovanni Maria Paz-zaglia, mentre a scrivere la nota sarebbe proprio il Cavagna. Veniamo ora al disegno. Pur non essendoci nessuna scala metrica di ri-ferimento, le misure sono facilmente deducibili da tre piccoli appunti espressi in piedi, scritti nel vano laterale a sinistra della cappella maggiore (piedi 11 x11), nella prima cappella (profondità della stessa indicata in piedi 6 e mezzo) e sul lato di uno dei quattro pilastri a sostegno della cupo-la che viene indicato in 2 piedi e mezzo. Ci sono poi disegnati i tre gradini d’ingresso dalla strada (come c’è scritto nella nota) e il gra-dino che porta alla cappella maggiore, sulla qua-le spicca tra l’altro la Croce di Malta. Sul fronte dell’edificio sono pure indicate quattro nicchie, due per parte rispetto all’ingresso, come pure sono segnati due accessi laterali lungo le fiancate della chiesa, allineati con l’asse della cupola. I vani a fianco dell’altare maggiore e le cappelle laterali lungo la navata sono tutti illuminati da finestre laterali. Il lato posteriore della chiesa, cieco e non defini-to interamente nel suo spessore, fa pensare che l’edificio si appoggi a qualche altro fabbricato. Per quanto scarno e supportato solo dalla nota di cui si è detto, il disegno è di fondamentale importanza per la storia di San Pietro in Valle, anche perchè la documentazione grafica relativa alla progettazione sembrerebbe essere costituita solo da questo elaborato, partendo dal quale è ora giunto il momento di procedere nella rico-struzione degli avvicendamenti succedutisi per decenni a partire dall’inizio del XVII secolo.

A fronteAutore ignoto, Pianta raffi-gurante la chiesa di San Pietro a Fano (Roma, Archivio del-la Congregazione dell’Ora-torio, c. II 8a, 144)

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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO

Appunto scritto sul retro del disegno di autore ignoto raffigurante la chiesa di San Pietro a Fano (Roma, Ar-chivio della Congregazione dell’Oratorio, c. II 8a, 144)

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GLI ARCHITETTI DI SAN PIETRO IN VALLE

Giovanni Battista Cavagna architetto e finanzia-tore di San Pietro in VallePer i marchigiani, ma non solo, il nome di que-sto architetto-ingegnere-pittore, vissuto a caval-lo del Seicento, si lega ai lavori nella Santa Casa di Loreto, dove sin dal 1605 subentra all’urbi-nate Muzio Oddi nel ruolo di soprintendente nei diversi cantieri del santuario (palazzo ponti-ficio, cupola della chiesa, sagrestia nuova, cap-pella del Tesoro, etc.) e dove nel 1613 muore e viene sepolto. Interessante notare subito l’an-notazione fatta da Amico Ricci nelle sue Me-morie storiche delle arti e degli artisti della Marca d’Ancona, a proposito di questo passaggio del Cavagna a Loreto:

Da Napoli giungeva a Loreto un Giovanni Batti-sta Cavagna, già celebrato nel suo paese pei disegni della chiesa, e del convento di San Gregorio Arme-no, e del Sacro Monte di Pietà, ed a costui si dava l’incarico dell’avvanzamento del suddivisato pa-lazzo. Aveva per compagno un Giovanni Branca da Sant’Angelo di Pesaro, cui a premio di sua virtù era stato concesso l’onorevole incarico d’architetto della Basilica, impiego che sostenne dal 1614 fino all’estremo di sua vita1.

Alla morte del Cavagna subentra dunque l’ar-chitetto pesarese Giovanni Branca (1571-1645), noto per un Manuale di architettura e un volu-me su Le machine.Sempre in questo periodo il Cavagna progetterà ad Ascoli Piceno (1610) la sistemazione del nuo-vo Palazzo comunale e della Loggia dell’Arengo e, a Fano, la nuova chiesa di San Pietro in Valle. Ma vediamo gli altri aspetti della sua biografia.Per quanto riguarda l’origine, alcuni lo collegano all’omonima famiglia bergamasca dei Cavagna, nota in Lombardia per alcuni esponenti di ri-lievo nel campo dell’arte. Stando alle ricerche di Luisa Bandera, un Giovan Battista risulta tra i figli del pittore Gian Paolo Cavagna - dal quale deriva anche Francesco Cavagna -, citati entram-bi per diversi lavori pittorici lasciati a Bergamo,

nella Bergamasca ed in altri centri lombardi2. Se-condo Arnaldo Venditti, che ha curato una bio-grafia del Cavagna nel Dizionario biografico degli Italiani, questi, sebbene porti “cognome chiara-mente lombardo, non si sa se (e quali) connes-sioni ebbe con il contemporaneo pittore Gian Paolo Cavagna”3. In effetti a leggere i loro profili biografici qualche problema di date si pone. A complicare la questione ci sono poi da una parte la firma romanus apposta da Giovan Battista su un dipinto di Burgos (vedi più avanti), dall’altra molti elementi biografici che lo collocano più al centro-sud che nel nord della penisola. Il Dizio-nario enciclopedico di archittettura e urbanistica lo dà per romano4, senza datare la nascita, che se resta incerta è comunque collocabile intorno alla metà del XVI secolo (1569?).Il Cavagna fu infatti molto attivo a Roma, dove operò nella basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio, presso la Camera Apostolica e nella chiesa della Madonna delle Scale in Campidoglio. Non da meno è la sua attività svolta a Napoli e in tutto l’hinterland, dove si registrano inter-venti di vario genere: nella chiesa e convento di San Gregorio Armeno, a Santa Maria Appa-rente, nella Chiesa di Monteoliveto (Sant’An-na dei Lombardi), a Santa Maria della Stella, a Sant’Andrea delle Dame, nella basilica di San Paolo Maggiore e nella Cappella del Tesoro del-la Santissima Annunziata. Suoi anche la proget-tazione del nuovo Palazzo del Banco (Monte di Pietà e annessa cappella) e gli interventi nel palazzo del viceré Olivares di Napoli, nel palaz-zo d’Avalos di Procida e nel monastero dell’An-nunziata di Marcianise5. Come ingegnere è ri-cordato anche per alcuni lavori negli acquedotti di Sarno e Striano e per altri ancora relativi alle fosse da grano, sempre a Napoli. Della sua attività di pittore vanno menzionate, come ci ricorda sempre il Venditti, la già citata tela del retablo dell’altar maggiore nella chiesa del monastero di Santa Maria de la Vid presso Burgos, la Presentazione di Gesù al Tempio (uni-

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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO

La facciata della chiesa vista da Via Nolfi

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GLI ARCHITETTI DI SAN PIETRO IN VALLE

La facciata della chiesa vista da Piazza Marconi

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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO

ca opera di pittura eloquentemente firmata Joés Baptista Cavagna romanus pictor architectus Ne-apoli faciebat anno Dni MDXCI) e certi inter-venti pittorici nelle chiese di Napoli nel periodo compreso tra il 1594 ed il 15996. Nella sua lunga attività professionale ha avuto rapporti con Federico Zuccari, Giovanni Vin-cenzo Della Monica, Benvenuto Tortelli e molti altri protagonisti dell’arte e dell’architettura. Re-sta famosa la querelle con l’architetto Domenico Fontana intorno al progetto per l’edificazione di Palazzo Reale a Napoli (si veda il Discorso sopra la fabrica del Nuovo Regio Palazzo che si va fa-bricando nel largo di S.to Aluigi sotto la guida del Cavalier Fontana). Il suo stile si colloca nella stagione dominata dalla Controriforma - con rimandi culturali so-prattutto al Vignola e a Giacomo Della Porta – e il suo nome è registrato persino tra i mem-bri della Accademia di San Luca a Roma, dove compare anche come console.Per quanto concerne la progettazione di San Pietro in Valle a Fano, le biografie ricordano che questo incarico gli fu procurato dai Filip-pini di Napoli. Il memorialista della Congrega-zione dell’Oratorio di Fano, Jacopo Ligi, nella sua storia della comunità fanese, annota anche che, tra le eredità confluite nel patrimonio della Congregazione (e poi spese nella fabbrica della chiesa e dell’oratorio), ci fu pure quella del Ca-vagna, il quale partecipò quindi all’impresa non solo come progettista, ma anche come convinto sostenitore dell’iniziativa spirituale e culturale dei Filippini. Questo il passo che lo riguarda:

Un’altra eredità delle prime, che cadessero alla no-stra Congregazione fu quella proveniente da un certo Gio. Batta Cavagna napoletano architetto della Santa Casa di Loreto, il quale tutto amore, e tutto desiderio di vedere i progressi delle fabbriche della nostra Chiesa, non potendo prestar gl’aiuti in persona dispose con testamento scritto di sua pro-pria mano in Loreto sotto li 22 maggio 1609, che una sua casa in Roma, quando non fosse stata ven-

duta da Lui in vita, si vendesse da Margarita sua moglie dopo la sua morte e’ l denaro da ritrarsene consegnar si dovesse alli Padri della Congregazione dell’Oratorio di Fano, li quali vivendo la moglie, acciò questa si alimentasse, avessero dovuto pagar-gli i frutti, come frutti di censo, e morta la moglie fossero rimasti liberi di impiegare tutto il capitale in beneficenza della nuova loro Chiesa.Questo testamento fu contrastato per non essere caduto in mano a nessun notaio, ma solo trovato in uno scrigno del testatore dopo la di Lui morte seguita nel mese di luglio 1613 per improvviso ac-cidente sotto le loggie della Santa Casa; pure dal-la moglie assistita da Padri della Congregazione rispetto a Legati e perché non vi era chi gagliar-damente opponesse fu sostenuto, onde essa rimase erede, soddisfece ai Legati e fè celebrare le messe per l’anima del marito in Loreto, et in Roma all’altare di S. Gregorio conforme al testamento di che ne stanno l’autentiche in nostro archivio.Visse Margarita moglie di Gio. Batta Cavagna sino al mese di dicembre 1615 venuta ad abita-re in Fano nella casa già sig. Giuseppe Pudalirio cerusico nella parrocchia di S. Tomaso, dove morì, e con testamento scritto da Don Pier Domenico Achilli curato della detta cura di S. Tomaso sotto-scritto da quattro testimoni lasciò erede la nostra Congregazione dell’Oratorio con i Legati di dare trenta scudi da cavarsi da mobili a Suor Antonia sua sorella terziaria dell’Ordine di S. Francesco, e di soddisfare con due Compagnie d’Ufficio un debito del marito a favore d’un certo mercante na-politano.Per autenticare il testamento accennato fu fatto un processo in Cancelleria Episcopale, dove per sentenza del Vicario Generale fu approvato, come negl’atti di Giulio Guidarelli sotto li 23 gennaio 1616 e dichiarata la validità del testamento sud-detto. Operarono i Padri la confettione dell’inven-tario, dove non trovarono che pochi mobili, sedi-ci scudi residuali del frutto de’ denari che teneva la Congregazione: venticinque scudi in mano di Francesco Pedrolo et altri venticinque scudi in mano di Giuseppe Guizza, tutte due Compagnie

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GLI ARCHITETTI DI SAN PIETRO IN VALLE

d’Uffitio fatte dalla testatrice medesima e questa fu l’intiera eredità di detta Margarita moglie di Gio. Batta Cavagna, che ebbero i sopraddetti Padri di questa nostra Congregazione, li quali soddisfecero a tutti e due i Legati pagando li trenta scudi a Suor Antonia, di che ne sta ricevuta autentica in nostro Archivio, e cento scudi papali al napolitano per tutte le sue pretensioni come qui segue.Fu questo napolitano un tal Gaspare Brancacci mercante che si dichiarò creditore del Cavagna di duecento cinquanta ducati, ma come questo suo credito non era chiaro bisognò portasse le sue giu-stificazioni. Fece per tanto un mandato al padre fra Giacinto eremita camaldolense da Todi allora priore di S. Salvatore di Fano col qual mandato gli diede facoltà di poter riscuotere, acordare e quie-tare onde col medesimo si concordò che per tutto il credito del napolitano dovessero i Padri della Congregazione pagare per il Cavagna cento scudi romani in due anni, e di questo tenore fu fatto l’in-strumento per rogito del Dudoni sotto li 22 genna-io 1619, al qual debito fu data da Padri suddetti piena sodisfattione sotto li 7 novembre 1623 in mano di frat’Andrea da Napoli e di fra Liberale da Venezia monaci camaldolesi in congiuntura che passarono visitatori all’Eremo di Fano, nel qual ultimo pagamento fatto con i denari di quindeci some di grano havuto dalla Comunità per le fab-briche della Chiesa seguì la quietanza à prò della Congregazione e il fra Mauro priore dell’eremo per maggiore cautela fece venire da Roma un mandato a nome del Brancacci e assicurò di tutto la Con-gregazione.Restavano ai Padri per rinfrancarsi di tanto dena-ro speso di più del capitale nell’eredità Cavagna, le ragioni nel prezzo della casa in Roma nel rione di Campo Marzio in strada Ferratina, la qual casa dal sig. Ottavio Barzi procuratore del Cavagna fu venduta ad un tale Nicola Cordier Lorenese sotto li 3 gennaio 1611 rogato Agostino Amatucci per novecento scudi papali con la clausola di rinvestir-si il denaro in tanti luoghi di Monte da stare per sempre in emittione della detta casa, sopra il qual punto i Padri suddetti per quello almeno che im-

portava il prezzo della detta casa ebbero necessità di litigare, pretendendo di riscuotere i denari con la deliberatione de Monti quando si rendeva chia-ra la volontà di Gio. Batta Cavagna che non fu di porre ligami al prezzo della casa dolutosi vivente dell’operato del suo procuratore, come si rese noto, ma di havere inteso che ai padri dell’Oratorio di Fano si dassero ottocento scudi effettivi per bisogno delle fabbriche della loro Chiesa e non capitali di ritrarne stentatamente i frutti.Ciò che ne risultasse non costa più oltre ne nostri libri, bensi trovandosi la sottrattione di duecento e quattro scudi di debito del Cavagna appoggia-to questo debito come nel già detto instrumento al compratore, provasi il ritratto della casa nella som-ma di seicento novantasei di paoli a pro del ven-ditore rimasti dopo la sua morte a pro della Con-gregazione che agì come erede contro gli eredi del compratore, li quali credesi habbiano soddisfatto a pieno, mentre leggesi in un nostro libro di spese per la fabbrica che il denaro dell’Architetto rimesso da Roma dal sig. Giuseffo Uffreducci nell’anno 1612 fu in tutto seicento scudi di paoli e che questi tutti furono sepelliti nella fabbrica della Chiesa giusta l’intenzione del testatore e’ l bisogno della Congre-gazione7.

Cantonale in pietra della precedente chiesa medievale visibile sullo spigolo dell’edi-ficio verso Via Forestieri

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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO

Il maestro Giovanni Maria Pazzaglia Purtroppo di lui poco si sa prima di vederlo im-pegnato nel cantiere di San Pietro in Valle. Intanto va detto che il suo cognome oscilla tra Pazzaia e Pazzaglia8; noi useremo il secondo. Anche se in passato alcuni testi lo hanno defi-nito come originario di Fossombrone, cittadina a pochi chilometri da Fano, un documento del 16279 ed altri ancora (vedi Spigolature d’archi-vio a cura di Giuseppina Boiani Tombari) lo indicano chiaramente come fanese. Sempre dai documenti sappiamo che la qualifica di maestro avviene a partire da una data ben precisa, molto probabilmente coincidente con la creazione di una squadra di lavoro autonoma. Ma veniamo al momento in cui il maestro fa la comparsa nel cantiere di San Pietro in Valle. Dopo la morte improvvisa del Cavagna in quel di Loreto – dove, come si è detto, lavorava contem-poraneamente all’impegno di Fano nel 1613 –, la costruzione di San Pietro in Valle ebbe un mo-mento di stasi; anzi, passò almeno un decennio prima che si procedesse alla copertura definitiva dello spazio centrale.Il Ligi, meticoloso nel descrivere ogni passaggio della storia, ci introduce il Pazzaglia più che per i lavori all’interno della chiesa, per quelli nell’ora-torio sul retro, dove i padri realizzano (questo sì senza soste) continue acquisizioni di proprietà:

Non erano con tutte queste compre di case apagati ancora gl’animi de’ Padri di quel tempo – scrive il Ligi –, sichè per compire un’ habitazione a loro gusto, mancava il potersi dilatare dove annessa alla piccola loro abitazione stava una casa del signor Galassi, che pareva quasi necessario procurarne a qualsivoglia prezzo l’acquisto. Onde con la notizia d’una stima fatta già nel mese di giugno 1625 da Gio. Maria Pazzaia, che disse valere mille e tre-cento scudi, e per alcune cose lasciate, cento fiorini di più, se ne tentò la compra e riusci così facile il trattato che a di 21 febbraio 1629 per rogito di Ser Bernardino Dudoni se ne formò l’instrumento in cui fatta l’elettione di doi stimatori, cioè maestro

Le tre differenti finestre sul lato meridionale della chiesa verso piazza Marconi

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GLI ARCHITETTI DI SAN PIETRO IN VALLE

Gio. Maria Pazzaglia per parte della Congrega-zione e di un tale Berlugio per la parte de venditori s’obbligò la Congregazione di pagar mille e cento scudi al signor Bartolomeo Amiani per conto del debito de signori Galassi, compratori anche loro d’una casa del medesimo signor Bartolomeo, e ‘l rimanente per lo compimento di quanto potesse essere stimato di più la casa de’ signori Galassi pro-mise la Congregazione compirlo in due anni, e fu così accettata l’obbligazione dalla signori Vincenzo Nolfi, Antonio e Francesco Galassi, come nel detto instromento […]10.

Per quanto riguarda il cantiere della chiesa, il Ligi fa riferimento al Pazzaglia solo nell’ottobre del 1626, per la costruzione del tamburo e del cornicione superiore. Ecco come il Ligi spiega questo passaggio nella storia del cantiere:

Si ha che il Sordo di Urbino Antonio Viviani di-pingeva totto il volto […], il che successe nell’an-

no 1620, quando nel fine di ottobre furono finite le pitture e nel principio di dicembre lo stess’anno morì il pittore. Della doratura della volta non consta nè la spesa, nè il tempo. Consta solo che del 1616 si rese la chiesa atta ad ogni funtio-ne, ancorché per anco gli mancasse lo silicato e la cupola. Questa col solo assegnamento di doicen-to scudi fui principiata il di 8 ottobre 1626 da mastro Gio. Maria Pazzaia, il quale alzò tutto il tamburo, vi stabilì sopra il cornicione e lo co-prì; e la spesa fu di trecento ottantanove scudi e baiocchi quindici, oltre venticinque scudi che importò il cornicione, benché questo cornicione fatto di pietra di Istria assai pesante fosse leva-to quando sul tamburo credettesi veramente di poter piantare una cupola. Per questa vi era in Casa il disegno di buon Maestro, ma à poterlo in essecutione sempre più crescevano le difficoltà. Vi voleva del ferro e ricercava del piombo, dava qualche apprensione la spesa, molto più dava ti-more il pericolo di poterla sostenere quando per i

Il tamburo ottagonale della chiesa come si presenta oggi

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La facciata laterale della chiesa vista da Piazza Marconi

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Pianta della città di Fano (dal Coronelli, 1697-98). La chiesa di San Pietro in Valle è indicata con il numero 23

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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO

terremoti patiti si osservarono alcuni peli [segni di crepe] su gl’archi11.

Altri documenti ci aiutano a precisare meglio l’attività del Pazzaglia. Il primo, conservato presso l’Archivio Storico della Diocesi di Fano, ci segnala che costui, as-sieme al figlio, nel 1622 è impegnato nel ripas-sare il tetto della sagrestia della cattedrale12.Un altro documento del 21 febbraio 1629 ci in-forma poi che il Pazzaglia (definito qui fabbro muratore) viene interpellato per valutare alcuni aspetti tecnici della costruenda cappella di San Giovanni Battista, sempre nella chiesa di San Pietro in Valle13. Qualche anno più avanti, il 27 febbraio 1635, partecipa in qualità di teste, ad una disputa tra due muratori per l’acquisto di una quantità di pietra della torre vescovile di Fano per la costru-zione del ponte della Trave, sempre a Fano14.L’anno successivo, esattamente il 20 dicembre, il Pazzaglia è infine presente nel convento di Sant’Agostino di Fano nel ruolo di tecnico di parte nella controversia scoppiata tra i frati e i muratori impegnati nella costruzione della logia nuova del convento15.

L’architetto-ingegnere romano Girolamo Caccia Dopo Cavagna e Pazzaglia, Girolamo Caccia è il terzo tecnico ad intervenire nella costruzione della chiesa. Di lui non si sa con precisione né il luogo né l’anno di nascita (sembrerebbe Roma nel 1650, dove pare essere anche morto tra il 1728 e il 1729) e neppure della sua formazione, se non che il suo nome è per lo più associato a lavori di idraulica – poche righe biografiche dell’Amiani lo citano anche come soprastante delle Fontane di Roma16 – e bonifica di terre che ad opere di architettura vera e propria. Il che fa-rebbe presumere una formazione tecnica ancor prima che artistica. Resta pertanto incompren-sibile in questo contesto anche la citazione inge-gnero del teatro che si legge nell’opera di Antonio Nucci [Strepitoso Accademico Infecondo], Al Signor Girolamo Caccia architetto, ed ingegniero del teatro, nell’opere musicali, Massenzio, e Cali-gola. Sonetto, Giacomo Dragoncello, stampato a Roma nel 1674.Il suo nome compare nella Fano di fine Seicento in relazione ad alcuni lavori per il porto-canale della città. Così scrive l’Amiani riferendo la no-tizia all’anno 1692:

Con tutto ciò l’opinione d’alcuni periti addotti da’ Fanesi, e specialmente del Colonnello Ceruti e di Girolamo Caccia soprastante delle Fontane di Roma, prevalse alla risoluzione del Mejer. Si concluse l’apertura d’un nuovo canale per l’intro-duzione del Fiume Arzilla, e restò fissata la spesa del nuovo Porto nella somma di quattordici mila scudi, con riportarne dal Pontefice Innocenzo XII l’approvazione, e la concessione delle Grazie spet-tanti al Porto già assegnategli da Paolo V17.

Questa notizia viene citata anche in un testo manoscritto di autore anonimo conservato pres-so l’Archivio di Stato di Fano, dove la questione viene esposta con più ampie argomentazioni:

Nel 1680 fu chiesto un parere di un valente idrau-lico olandese Cornelio Meyer, che opinò doversi re-

Il tamburo ottagonale della chiesa di San Pietro in Valle in costruzione (dall’Albrizzi)

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spingere il partito vagheggiato da alcuni di rifare un nuovo porto all’Arzilla, potendosi restaurare il vecchio, ma se non vi sono memorie della esecuzio-ne di lavori progettati dal Meyer questo è certo, che nel 1692 il Colonnello Cerruti e Gerolamo Caccia soprastante alle fontane di Roma introducesse nel porto l’acqua dell’Arzilla e se ne ebbe, a quanto sembra, il mirabile effetto che poco appresso il ca-nale si dovette riempire per impedire le esalazioni miasmatiche che corrompevano l’aria purissima della città18.

Anche il Ligi, nella già citata storia della Con-gregazione dell’Oratorio, ricorda che nel 1696 venne a Fano

[…] il sig. Girolamo Caccia Architetto Romano, chiamato per dirigere la fabbrica del nuovo Porto […]19.

Per la verità, non si trattò né di una nuova fab-brica e neppure di un restauro, quanto piuttosto di un intervento supplettivo, consistente nella realizzazione di un canale innestato nel torren-te Arzilla per derivare più acqua dentro il porto Borghese – realizzato qualche decennio prima –, in modo da far fronte ai continui insabbiamen-ti dello sbocco al mare; tentativo peraltro non andato a buon fine, come ci ricordano alcuni storici20.In questo periodo si inquadra invece il buon la-voro svolto per la chiesa di San Pietro in Valle, dove il Caccia portò a compimento la copertura con cupola e lanternino superiore, per anni ri-masto un problema insoluto. É sempre il Ligi a parlarci nel dettaglio di questo suo intervento, terminato poi con le decorazioni del bolognese Lauro Buonaguardia:

A questo sentimento aderirono i Padri, e già si stava dopo tant’anni di consulta per dar mano all’opra, quando nel 1696 capitano a Fano il sig. Girolamo Caccia Architetto Romano, chiamato per dirigere la fabbrica del nuovo Porto e venuto a

visitare la nostra Chiesa, udita insieme la risolu-zione de’ Padri di dar principio ad un Catino nel modo già detto, avvanzossi a dissuader l’impresa, facendo costare un maschio errore in voler avvilire l’Architettura già principiata con tanta magnifi-cenza. Era Prefetto della fabbrica in quel tempo il P. Camillo di Montevecchio, il quale accostatosi al detto Sig. Caccia, e guadagnatolo per la direzione dell’opera lasciò vincersi dal Consiglio di detto Ar-chitetto a mutare il pensiero, sì che appianate tutte le difficoltà, si fè animo col consenso de’ Padri a lasciar sollevare l’edificio sperandone la riuscita, sì perché si fuggivano col nuovo disegno gli impegni per le Pitture, che mai si sarebbono potuto havere alla perfezione dell’altre per mancanza del dena-ro, sì anche perché si assicurava il lavoro senza le spese de’ piombi in riparo dell’acque, pretendendo-si con sole coppe fare il coperto totalmente sicuro, onde con l’assistenza del detto Sig. Caccia, e con l’applicatione assidua del P. Prefetto della fabbrica sudetto restò perfettionata una Cupola totalmen-te adattata alla nobiltà della Chiesa, et agl’occhi dei Passeggeri, che vengono a visitarla di tutta ammirazione. Dei denari che si spesero per questa Fabbrica della Cupola […] lo stesso Sig. Caccia Architetto diede cinquanta paoli, e così altri molti, alli quali aggiungendo gli spesi dalla stesso P. Pre-fetto della Fabbrica P. Camillo di Montevecchio, che in tale occasione fece indorare col proprio oro la Cupola sudetta, il Cornicione tutto della Chiesa con i soprarchi delle Cappelle, arrivò a comporsi la somma di scudi 2.182 e baiocchi 76, che per ap-punto si volsero per compimento di tutto il lavoro, de’ quali denari trecento scudi in circa hebbe il Sig. Lauro Buonaguardia Bolognese Pittore, e stuccato-re insieme per le statue di stucco, e per la Pittura solo per l’opera sua; cento scudi in circa ebbero gli indoratori per la loro manifattura, e il resto andò in opere diverse, come tutto distintamente in libro a parte in nostro Archivio oculatamente si vede21.

In qualità di teste, Girolamo Caccia compare poi nell’atto di stipula della Polizza redatta il 27 ottobre 1696 tra il Buonaguardia e i Padri

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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO

dell’Oratorio di Fano per la decorazione finale della cupola di San Pietro in Valle22.Gli incarichi per il porto e per la chiesa dei Filip-pini di Fano si collegano temporalmente anche con un altro importante progetto portato avan-ti dal Caccia in Romagna: la fondazione, il 24 gennaio 1698 (dopo il via libera dato dal papa sul finire dell’anno precedente) della nuova Cer-via; un’operazione a scala territoriale che portò alla demolizione della vecchia insalubre Cervia e alla ricostruzione ex novo della nuova Cervia in un altro luogo23. Il Caccia progettò il nuovo insediamento urba-no, seguendo lo schema classico a castrum, con le vie ordinate a scacchiera, secondo un modello antico, ma mutuato anche dalle esperienze di “città di nuova fondazione” – prima medievali, poi rinascimentali –, sperimentate lungo tutta la penisola; un’esperienza che può essere vista come anticipazione dei modelli illuministici che di lì a poco compariranno anche fuori dai con-fini della penisola. Mariacristina Gori ha saputo ricostruire questo percorso progettuale ed operativo della nuova Cervia che qui giova riportare, anche perché contiene la conferma del passaggio fanese del Caccia e permette di comprenderne meglio lo spessore professionale. Leggiamo il passo prin-cipale:

Nei documenti sono citati numerosi architetti che si susseguirono nella direzione dei lavori, da Giro-lamo Caccia a Francesco Fontana, da Sebastiano Cipriani ad Abramo Paris, da Antonio Farini a Cosimo Morelli, da Francesco Navone a Bellardi-no Perti.Ad occuparsi della possibile attuazione del primo pensiero urbanistico [della nuova Cervia nda] fu innanzitutto l’architetto Girolamo Caccia (1650-1728/1729), originario di Roma dove nel 1682 ricoprì la carica di architetto “soprastante a lavori degli Stati Pontifici” e attivo in modo particolare a Fano tra il 1683 e il 1696, dove realizzò la chiesa di San Pietro ad Vallum e contribuì al progetto di

trasformazione del porto Borghese. A lui fu affidato il compito di delineare, secondo quanto era stato già ipotizzato nel chirografo del 1697, il progetto generale e la tipologia delle abi-tazioni per i salinari, tramite disegni, ma anche attraverso un modellino ligneo non più ritrovato.Il suo disegno, ispirato al lontano referente dello schema ippodameo, è in sintonia con i suggerimen-ti espressi in un testo che restò il principale punto di riferimento per l’architettura rinascimentale e barocca, il De Architectura di Vitruvio, in primo luogo quando l’architetto e trattatista romano di-squisisce sulla scelta del sito più idoneo ove fondare una città. […] Vitruvio concludeva poi il suo discorso sulla città con alcune osservazioni relative alla conformazio-ne generale dell’abitato, che coincidono con i cri-teri sottesi alla rigorosa pianificazione dell’abitato cervese. […]Anche I quattro libri dell’Architettura di Andrea Palladio sviluppavano i medesimi principi generaliLa natura del progetto per Cervia e il richiamo ai passi della trattatistica architettonica all’epoca più noti e familiari, è reso comprensibile visivamente da una carta custodita all’Archivio storico comu-nale di Ravenna “Nota e misure dell’altezza delle muraglie che furono fatte a spese della R.da Ca-mera nelle fabbriche delle case per la nuova città di Cervia”, datata 21 marzo 1701, che contiene un rilievo dello stato di avanzamento dei lavori delineato da Girolamo Caccia, ma devono essere altresì segnalati quattro disegni, ora conservati all’Archivio corsiniano di Roma, che illustrano in modo eloquente attraverso quale dibattito verrà configurandosi l’assetto attuale della città.Queste ultime ipotesi progettuali furono commis-sionate da monsignore Lorenzo Corsini, il futuro Clemente XII (1730-1740), ed evidenziano il sorgere della “strada nuova” sul litorale, ma anche l’idea di ubicare la città sul lato opposto del canale, dando ad essa una configurazione urbana aperta, e quindi lontana dal modello di città fortificata e racchiusa sui quattro lati dalle case dei salinari, che sarà poi adottata.

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GLI ARCHITETTI DI SAN PIETRO IN VALLE

Anche dopo la posa della prima pietra il 24 gennaio 1698, numerosi furono gli emendamenti al primo progetto; ad iniziare dalla pianta che da quadrata fu trasformata in rettangolare attorno al 1701.Il primo appalto della costruzione, che rispecchia-va il progetto del Caccia, fu affidato ai capomastri Bernardo Celeghini e Paolo Stellini, ma a questo punto, quando ormai erano state costruite le fon-dazioni di trenta case per I salinari, che corrispon-devano a tre lati del quadrato, l’architetto Caccia “lasciò di lavorare a conto della sud.ta camera” e scomparve definitivamente dal cantiere cervese.Il fatto trova una prima spiegazione nei sopravve-nuti gravi problemi di salute che affliggono l’ar-chitetto romano; come si evince da alcune carte d’archivio. Non è da dimenticare tuttavia che gli incarichi ricevuti dai vari architetti nell’ambito dell’amministrazione camerale erano strettamente legati al singolo pontificato, ed è quindi probabile che, con la scomparsa di Innocenzo XII, qualco-sa sia mutato e abbia quindi inciso sulla vicenda. Infatti, nei tre decenni successivi troviamo Girola-mo Caccia a Roma, dove assume incarichi per le congregazioni religiose e soprattutto per la nobiltà romana.L’assetto che via via venne precisandosi, consono alla nuova concezione civile della città fortificata, che prevede l’utilizzo delle cortine e dei bastioni per accogliere gli alloggi dei salinari e i servizi destinati alla comunità, resta tuttora straordina-riamente conservato, nonostante siano scomparse durante l’ultima guerra le due porte di accesso alla città orientate verso Cesenatico e in direzione di Ravenna.Ciò che rende singolare Cervia Nuova è proprio il suo carattere multiforme e complesso. Da un lato si osserva l’adozione di un impianto urbanistico pianificato (materialmente costruito ex novo), che rispecchia le tipologie difensive cinquecentesche, come ad esempio Eliopoli, la notissima Terra del Sole, dall’altro si coglie l’esplicito manifestarsi degli orientamenti economici, che tramite un’efficiente struttura architettonica funzionale pongono l’ac-cento sulla peculiarità dell’ambiente cervese incen-

trato sulla produzione del sale.Dal momento che Girolamo Caccia all’inizio del 1701, dopo aver gettato le basi per il progetto della Nuova Cervia, aveva lasciato l’incarico, i lavori ebbero una battuta d’arresto, anzi si presume che fossero sospesi per vari mesi e che nascesse un certo dibattito circa alcune variazioni da apportare al disegno originario.E’ da notare inoltre che per un certo lasso di tempo si ebbe logicamente la convivenza dei due siti, così in una mappa, che illustra il “territorio compreso tra il Savio, Cervia Nuova e Vecchia” del 1703, curiosamente sono indicate sia “Cervia Nuova”, che era ancora in via d’edificazione, sia “Cervia Vecchia”, che era già stata in parte demolita24.

Si è accennato, all’inizio di questa veloce ri-costruzione della biografia del Caccia, alla sua provenienza romana. Ed infatti altri lavori svolti negli anni successivi nella città capitolina con-fermano la sua familiarità con l’ambiente patri-zio romano, in particolare con la famiglia dei duchi Rospigliosi-Pallavicini. Tra il 1717 ed il 1725 prese parte infatti alla costruzione della chiesa di San Pietro Apostolo a Zagarolo, pro-gettata dall’architetto Nicolò Michetti in sosti-tuzione di una precedente chiesa del XII secolo, ma poi seguita dal Caccia in collaborazione con l’architetto Ludovico Rusconi Sassi, entram-bi entrati al servizio della famiglia Rospigliosi dopo la partenza del Michetti per la corte di Pie-tro il Grande25.Da esperto ingegnere idraulico quale era, il Cac-cia provvide inoltre, sempre per i conti Rospi-gliosi, al piano di bonifica di alcuni terreni di loro proprietà nella vicina area di Maccarese26.Da ricordare infine che al Caccia si deve nel 1703 la proposta di acquisto al Maestro Ge-nerale dell’Ordine dei Domenicani, il francese Antonin Cloche, di quella sfera armillare che ancora oggi si vede nella Biblioteca Casanatense di Roma.

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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO

Lauro Buonaguardia architetto e decoratore27.Negli ultimi anni del secolo XVII e nei primi del secolo XVIII è documentata la presenza a Fano di questo architetto e decoratore bolognese. Chi si è occupato in passato della sua attività, lo ri-corda come abitante e accasato in Fano, senza altro aggiungere sulla sua formazione artistica e sulle cause che lo spinsero ad abbandonare il na-tivo capoluogo emiliano28. Probabilmente, ma è una semplice supposizione, l’artista fu indotto a trasferirsi in territorio metaurense da qualche vantaggiosa offerta di lavoro, collegata alla deco-razione di chiese e palazzi patrizi.Al punto in cui sono giunte le ricerche che lo riguardano, non si conosce con certezza ancora l’anno di nascita (probabilmente il 1667), men-tre risulta esatta l’indicazione che lo dà ammo-gliato nel 172429. Per quanto riguarda la data di morte si è potuto stabilire con documenti d’ar-chivio che egli morì a Fano il 9 settembre 1725 e che venne sepolto nel cimitero della vicina lo-calità di Carignano30.Non ancora trentenne, e cioè nel 1696, la Con-gregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri non esitò ad affidargli un’opera di grande im-pegno come la decorazione interna della cupo-la di San Pietro in Valle, dopo che già gli era stata affidata la decorazione dell’adiacente ora-torio31. Poiché l’eleganza e la fantasia decorativa del-l’opera maggiore si impongono anche al vi-sitatore più sprovveduto, si è ritenuto non inu-tile farne un’analisi particolareggiata, facendola precedere da alcuni cenni sulle altre sue opere fanesi. Tali opere vanno divise in tre gruppi (ar-chitettoniche, plastiche e pittoriche) e rappre-sentano altrettanti aspetti dell’artista bolognese.Iniziando con le opere architettoniche, va subito citato il pittoresco campanile della chiesa di San Marco, concordemente assegnato al Buonaguar-dia da tutti i compilatori di guide e memorie fanesi32.Le modeste dimensioni dell’opera hanno certo giovato alla sua salvezza quando nelle terribili giornate dell’agosto 1944 torri e campanili di

Fano finirono vandalicamente diroccati a mine dalle truppe tedesche in ritirata33. Ancora oggi è pertanto possibile apprezzarne la mossa plastici-tà del coronamento a pagoda e della sottostante cella campanaria, sovrapposta al basamento di un precedente campanile: plasticità ottenuta con l’uso del mattone a vista, tagliato e sagomato34.Non si è invece salvato dalla furia teutonica il campanile della chiesa di San Domenico la cui paternità sembra pure vada attribuita al Buona-guardia, ma che per quanto può ancora dedursi da vecchie fotografie non presentava alcun par-ticolare chiaramente buonaguardiano: il che fa-rebbe piuttosto supporre un semplice interven-to di consolidamento o di parziale rifacimento di altro campanile più antico35.Di altre opere architettoniche del Buonaguardia non si sono finora trovate notizie, né è il caso di tentare attribuzioni troppo azzardate. Un’unica eccezione potrebbe essere fatta per il pittoresco campaniletto a vela della chiesa del Suffragio, ma si resta anche in questo caso nel campo delle semplici ipotesi36.Passando alle opere di decorazione plastica, vanno anzitutto citati gli stucchi eseguiti per la cappella della Concezione nella chiesa di San Francesco di Paola: stucchi purtroppo andati distrutti e sui quali non è perciò più possibile esprimere un qualsiasi giudizio37.Né è più egualmente possibile esprimere giudizi sui coretti disegnati da Lauro Buonaguardia per la scomparsa chiesa dei SS. Filippo e Giacomo: coretti che nel 1898 furono venduti e trasferiti in una chiesa emiliana non meglio identificata38.Del Buonaguadia sarebbero inoltre stati anche i coretti della chiesa di Sant’Arcangelo, da non confondersi però con quelli ancora esistenti e che dovrebbero invece risalire al rifacimento della chiesa, portato a termine nel 1779 su dise-gno di Arcangelo Vici39. Nel 1721, infine, ebbe a risarcire la cappella della Beata Vergine al Pon-te Metauro40.Resta da dire del terzo gruppo di opere buona-gardiane: quelle pittoriche.

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GLI ARCHITETTI DI SAN PIETRO IN VALLE

La cupola decorata dal bolo-gnese Lauro Buonaguardia

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La volta con gli affreschi del Viviani e la cupola del Buo-naguardia

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La cupola di Lauro Buonaguardia

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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO

A scanso d’equivoci va subito precisato che il Buonaguardia non fu certo un maestro del pen-nello, ma molto più modestamente un buon decoratore, cui solo in poche occasioni dovette capitare d’impegnarsi nell’esecuzione di figure (e sulla traccia, inoltre, di disegni e cartoni altrui).Di suo, nella chiesa del Suffragio, resta una tela copriquadro (pagatagli nel 1709 13 scudi e 50 baiocchi), raffigurante il Sudario, utilizzata un tempo per celare in periodo quaresimale l’im-magine dell’antico affresco trecentesco del cro-cefisso: affresco inserito nel 1710 al centro del-la fastosa composizione plastica del bolognese Giuseppe Mazza41. Al Buonaguardia si è inoltre già detto che venne pure affidata la decorazione dell’Oratorio dei Padri Filippini, “tutto dipinto a fresco e fregiato d’oro”42. Opere ormai perdute che non indurrebbero a parlare del Buonaguar-dia se allo stesso non andasse il merito della fa-stosa decorazione della ricordata cupola di San Pietro in Valle.Per merito di quell’appassionato ricercatore che risponde al nome dell’avvocato nonché deputato, di quelle decorazioni fu pubblicata a suo tempo la polizza tra i Padri dell’Oratorio di San Filippo Neri e Lauro Buonaguardia: iniziativa felice che ci consente di approfondire il discorso sull’opera43.Si comincerà, anzi dalla costruzione stessa della cupola, venuta a completare architettonicamen-te la chiesa, a ottant’anni esatti dalla consacra-zione e certo in forma molto diversa da come doveva averla immaginata l’architetto Giambat-tista Cavagna ai primi del Seicento. E’ tutta una lunga storia di incertezze e rinvii di cui è rimasta notizia nella già ricordata cronaca manoscritta di Jacomo Ligi, di cui riproponiamo il signifi-cativo stralcio:

[…] Il parere di alcuni Architetti Bolognesi era di contenersi in un sol catino dentro il detto Tam-buro, con quattro finestre, che dassero il lume al possibile, con che e si sarebbono coperti i legnami del tetto, e si sarebbe tolta l’apprensione al dare principio con alleggerirne la spesa. […]

Dei denari che si spesero per questa Fabbrica della Cupola […] lo stesso Sig. Caccia Architetto die-de cinquanta paoli, e così altri molti, alli quali aggiungendo gli spesi dalla stesso P. Prefetto della Fabbrica P. Camillo di Montevecchio, che in tale occasione fece indorare col proprio oro la Cupola sudetta, il Cornicione tutto della Chiesa con i so-prarchi delle Cappelle, arrivò a comporsi la somma di scudi 2.182 e baiocchi 76, che per appunto si volsero per compimento di tutto il lavoro, de’ quali denari trecento scudi in circa hebbe il Sig. Lauro Buonaguardia Bolognese Pittore, e stuccatore insie-me per le statue di stucco, e per la Pittura solo per l’opera sua; cento scudi in circa ebbero gli indora-tori per la loro manifattura, e il resto andò in opere diverse, come tutto distintamente in libro a parte in nostro Archivio oculatamente si vede44.

Nessun dubbio, quindi, che se a Girolamo Cac-cia va il merito di aver voltato la cupola, dan-dole esternamente la caratteristica severa forma di alto prisma ottagono (celante all’interno la calotta e il lanternino), a Lauro Buonaguardia spetta invece quello di averne curato la deco-razione interna. Dalla polizza già citata risulta inoltre:

Prima s’obbliga d.o S.r Lauro dipingere li quattro Evangelisti nelli quattro Petti sotto il Cornicione del tamburo della Cupola, e questi dovrà farli conforme il disegno di quelli dell’Oratorio però ad imittatione delli disegni e sbozzi che li medesimi P.P. gli faranno venire di Roma.

Già da questo breve stralcio si deduce, quindi, che il Buonaguardia non faceva difficoltà a la-vorare su “disegno e sbozzi” altrui; riservandosi comunque (e si vedrà) una certa “libertà” al mo-mento della fase esecutiva.Come ancora oggi si può osservare, le immagini dei quattro Evangelisti (o non piuttosto bibli-ci Profeti?) nei tondi dei pennacchi non sono infatti state eseguite ad affresco, ma a stucco bianco: ciò che certamente è molto più in ca-

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I quattro medaglioni raffigu-ranti i biblici Profeti opera del pittore bolognese Lauro Buonaguardia

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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO

rattere con le decorazioni dei quattro arconi che delimitano il perimetro della cupola e in cui l’occhio dell’esperto distingue subito due fasi d’intervento, nel tempo e nello stile. Fedele a quanto stabilito della polizza risulta invece la decorazione del tamburo:

Doverà fare gli quattro Angeli di rilievo di stucco, quali andaranno nelle quattro nicchie attorno al Tamburo, e questi farli secondo la proporzione di dette nicchie; quali figure si dovranno fare ad imit-tatione delli modelli, che verranno di Roma, come sono restati d’accordo.

E subito dopo:

Dovrà fare o far fare gli sedici capitelli di detta cuppola conforme porta l’ordine Corinto.

Le discordanze riprendono dove si fa riferimen-to alla decorazione della calotta, certo la parte più interessante per originalità di soluzioni pro-spettiche e per felicità di accostamenti fra stuc-chi, ori e pitture:

dovrà fare gli quattro Angeli di stucco, quali devo-no posar sopra la cornice dove imposta la cupola, e questi farli di diversa positura con buoni rilievi che tengono in mano dette figure secondo li modelli che saranno approvati.

E ancora:

Dovrà fare li quattro adornamenti attorno le quattro finestre arcuate sopra il cornicione, e que-stimedesimi adornamenti farli di stucco conforme il modello già stabilito.

E di seguito ancora:

Dovrà dipingere li vani tra le fascie della cuppola con farci la Beatissima Vergine Maria, con li do-dici Apostoli, e le figure che si ricercano, e sopra le medesime figure vi deve andare la gloria con grup-

pi d’Angeli, conforme li disegni e sbozzi, che detti P.P. gli faranno venire da Roma di mano di valenti pittori o di Bologna o di Venetia con quello di più piacerà agiungere e levare allo studio, che ne farà il medesimo sig. Lauro, con satisfatione del P. Ca-millo Montevecchio.

Nella realtà varie figure risultano eliminate o diversamente disposte, ad evitare presumibil-mente un eccessivo affollamento di immagini. Cominciando dalla parte alta, risolta con figure dipinte su fondo oro: nessuna Beatissima Vergi-ne Maria e nessun Apostolo, ma solo una svo-lazzante corona di quattro grandi angeli e di sei minori angioletti fra cumuli di nubi.In basso, immediatamente sopra il cornicione del tamburo, niente angeli in “diverse positu-re”, ma quattro balconi, genialmente illuminati dall’alto attraverso altrettanti fori e popolati da candide statue di stucco (Apostoli o Beati), al-ternati a quattro finestre circolari con cornici e festoni coronati da coppie di angioletti.Un tripudio di luci e colori, quindi, culminante nello sfondo centrale del lanternino, occhieg-giante fra i raggi facenti corona alla candida co-lomba dello Spirito Santo:

Doverà dipingere il sofitto o sito del Lanternino tra gli luminelli, e questo sarà di diversi Cherubini e gloria in questo sito, che si pensava di fare la co-rona di Fiori, rimettendo però tutto in libertà del sig, Lauro45.

Concludendo e rimettendo il merito della per-fetta riuscita dell’opera alla “libertà” di Lauro Buonaguardia, non resta dunque che dispiacersi che nulla si conosca di altre opere buonaguardia-ne altrettanto significative: ciò che rende quan-tomeno arduo e problematico un giudizio anche non definitivo sulla personalità artistica e sulla formazione culturale dell’antico architetto e de-coratore bolognese.

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L’architetto senigalliese Pietro Ghinelli Siamo così giunti alla conclusione delle vicende costruttive della chiesa di San Pietro in Valle, la quale, per le sue strette relazioni con l’Oratorio, non può non coinvolgere gli spazi ad esso dedi-cati. Tra questi la sagrestia e la grande scala della Biblioteca Federiciana, le cui forme si devono all’intervento operato all’inizio del XIX secolo dall’architetto senigalliese Pietro Ghinelli.Architetto tra i più impegnati nell’elaborazione di modelli e tipologie legate al fenomeno del Neo-classico, Pietro Ghinelli (1759-1834) ha rea-lizzato nelle Marche numerosi interventi. A Senigallia, dove è nato e dove si è formato pro-fessionalmente, ricopre il ruolo di ingegnere co-munale, direttore delle fonti e deputato per l’or-nato pubblico. La sua bravura come architetto si apprezza soprattutto nella nuova pescheria pub-blica (poi Foro Annonario), nel monumentale Teatro della Fenice, nei palazzi Benedetti e Mon-ti, nel palazzo Ricciarelli (sesto blocco dei portici Ercolani) e nella chiesa e canonica del Vallone.Ad Urbino si occupa della residenza degli Alba-

ni, mentre a Pesaro viene ricordato per il Teatro Nuovo (oggi Teatro Rossini), dove si distingue anche per il coinvolgimento di valenti artigiani ed artisti (Sardella, Ponticelli, Mandriani, San-quirico, Martinetti, Giani, Bertolani), compre-so il suo erede professionale, il nipote Vincenzo. Di teatri si occupa anche a San Marino, Fos-sombrone, Ostra, Macerata e Ancona (il monu-mentale Teatro delle Muse).Un’attività non meno interessante la svolge a Fano, dove dal Comune ottiene diversi incari-chi. Nel 1803 si occupa della ristrutturazione di palazzo Corbelli46, mentre nel 1805 è im-pegnato nei lavori al porto e al ponte di Fosso Sejore (lungo la strada litoranea Fano-Pesaro); due anni dopo lo troviamo impegnato anche nel restauro del Teatro della Fortuna. Grazie all’aiuto dello zio, padre Andrea Ghinel-li, appartenente all’ordine dei Filippini47, lavora nello stesso periodo anche al progetto della sa-crestia nuova (arredi compresi48) di San Pietro in Valle e dell’annesso scalone che porta al piano superiore dell’Oratorio49.

Decorazioni su una porta della sagrestia

GLI ARCHITETTI DI SAN PIETRO IN VALLE

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Veduta generale della sagre-stia progettata dall’architetto senigalliese Pietro Ghinelli (sec. XIX)

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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO

Decorazioni sulla volta del-la sagrestia (Ignoto del XIX secolo)

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GLI ARCHITETTI DI SAN PIETRO IN VALLE

Note

1. A. Ricci, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca d’Ancona, Macerata 1834, vol. I, pp. 185-186. Cfr. F. Da Morroval-le, Loreto nell’arte, Genova 1965, p. 31.2. Luisa Bandera ha curato i profili biografici di Francesco e Gian Paolo Cavagna nel Dizionario biografico degli Italiani, Torino 1979, pp. 556-560.3. A. Venditti (a cura di), Giovan Battista Cavagna, in Dizionario biografico degli Italiani, Torino 1979, pp. 560-561. 4. Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica [DEAU], di-retto da P. Portoghesi, Roma 1968, ad vocem.5. Ibidem. Cfr. R. Pane, Architettura dell’età barocca in Napoli, Na-poli 1939, pp. 27-35.6. A. Venditti, op. cit., p. 561.7. J. Ligi, Congregazione dell’Oratorio di Fano, BFF, ms. Federici n. 76 (dopo il 1719), pp. 113-119. Si veda anche il documento del 25 novembre 1622: “Compera di case dagli eredi Forestieri per la chiesa di san Pietro in cui si parla di Giovan Battista Cavagna archi-tetto a Roma” (SASF, Notarile, Dudoni Bernardino, vol.II, c.263).8. E’ molto curioso che nel testo di Jacomo Ligi egli venga indica-to come Pazzaia, mentre nell’indice analitico della “gente scritta in questi fogli per autentica degli interessi qui registrati” compaia sotto la voce Pazzaglia. Cfr. J. Ligi, op. cit., indice in fondo al testo s.i.p.9. Nei testi più antichi non compare mai l’indicazione del luogo di nascita, anche se in un documento del 28 dicembre 1627 è citato molto chiaramente come fanese: “Maestro Giovanni Maria Pazza-glia “fabbro muratore fanese” eletto ad istanza della Congregazione di San Pietro di Fano erede di Giovan Battista Vignattoli e di Giulia sua moglie e da Vincenzo Palazzi per stimare il crinaccio in fondo Musulei acquistato da detto Vincenzo dichiara che è del valore di 83 fiorini e 2 bologini” (ASDF, ACV, Civilia, reg.78, c.193v). Rin-grazio Giuseppina Boiani Tombari per la segnalazione e trascrizione del documento. In alcuni testi recenti relativi alla storia di San Pietro in Valle si legge

invece che il Pazzaglia sarebbe originario di Fossombrone, città a pochi chilometri da Fano, lungo la valle del Metauro. Cfr. F. Bat-tistelli, Dipinti della chiesa di San Pietro in Valle, in La Pinacoteca Civica di Fano, a cura di A. M. Ambrosini Massari, R. Battistini, R. Morselli, Amilcare Pizzi, Cinisello Balsamo 1993, p. 253; F. Bat-tistelli, Il caso di Fano, in I Filippini nelle Marche. Note generali e l’esempio di San Pietro in Valle, catalogo della mostra, Fano ottobre-novembre 1994, Carifano, Fano 1994, p. 41; F. Mariano, Le chie-se filippine nelle Marche, Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, Fiesole 1996, p. 66; F. Mariano, L’archittettura del Oratorio. Tipi e modelli delle chiese filippine nelle Marche, in F. Emanuelli (a cura di), La Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri nelle Marche del ‘600, Nardini editore, Fiesole 1996, p. 205. G.Boiani Tombari, Il San Giovanni Battista già nella Chiesa di San Pietro in Valle, in Guercino a Fano tra presenza e assenza, catalogo della mostra, a cura di M. R. Valazzi, Fano 2011, p. 123.10. J. Ligi, op. cit., pp. 19-20. 11. J. Ligi, op. cit., pp. 43-44. Lo Scipioni, che all’inizio del XX secolo si occupò delle vicende costruttive e artistiche della chiesa, dubita che il progetto della chiesa contemplasse una soluzione del genere: “Morto peraltro il Cavagna nel 1613 la fabbrica fu conti-nuata sotto la direzione, come pare, dell’architetto Giovanni Maria Pazzaia, che nel 1626 vi aggiunse, a tutte spese del Montevecchio, la bella cupola che non pare fosse nel disegno primitivo; ma neanche il Pazzaia potè vedere ultimata l’opera avendovi poi atteso Girolamo Caccia, romano, che la vide compiuta soltanto nel 1696.” G. S. Scipioni, La chiesa, cit., p. 230.12. ASDF, ACV, Entrata e uscita, Sagrestia (1622-1625), c. 236 v.13. Il documento del 21 febbraio 1629 è il seguente: “Nella casa dell’oratorio dei Padri Presbiteri di San Pietro, loro solita abitazio-ne, i nobili Antonio Galassi e Vincenzo Nolfi I.U.D. del fu Roncal-fo anche a nome di Francesco loro fratello, vendono per 1100 scudi una loro casa murata cum solariis, tecto, cortile eiusque pertinentibus, situata nella contrada di San Pietro confinante con i beni della Con-gregazione, i beni del Ponte Metauro, la via pubblica e la via vici-nale, ai venerabili padri Giuseppe Speranza, rettore “dignissimo”, al rev. Girolamo Gabrielli, Paolo Baldelli, Paterniano Sabbatino, Ottavio Maggiolo, Leonardo Leonelli, Giovan Battista Stamegna, Benedetto Ruffino, Tommaso Borgognino, Giuseppe Tomassini, Giovan Battista Sperandeo, tutti presbiteri della Congregazione dell’Oratorio, congregati capitolarmente e chiamati al suono della campanella nel sopraddetto luogo, tutti aventi voce nel capitolo e che rappresentato i due terzi. Vengono eletti per la stima maestro Giovan Maria Pazzaglia per gli acquirenti e maestro Pietro Consolo per i muratori, entrambi fabbri muratori”. (SASF, Notarile, Dudoni Bernardino, vol.VV, cc. 222v-225r). 14. ASP - SASF, Archivio Giudiziario, Frammenti di filza, B. 43, alla data.15. G. Boiani Tombari, Fonti d’archivio per la chiesa e il convento Sant’Agostino, in G. Volpe (a cura di), Il complesso di Sant’Agostino in Fano, Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, Ostra Vetere 2011, pp. 299-230.16. P. M. Amiani, Memorie istoriche della città di Fano, 2 voll., Fano 1751, vol. II, p. 308. 17. Ibidem18. Anonimo, Breve relazione sul porto canale di Fano, sec. XX, ASP-SASF, Archivio storico comunale, 1907, cat. X, cl. 11, b. 21.Cfr. E. Corsi, Vicende storiche del porto di Fano, in “Latina Gens”, 9 (1931);

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LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO

Id., Il porto di Fano, in “La Coltura Geografica”, 2-3 (1931); Id., Il porto di Fano, in “Nuovi studi fanesi”, 6(1991). 19. J. Ligi, op. cit. , p. 47.20. Cfr. E. Corsi, Vicende storiche del porto di Fano, in “Latina Gens” 9 (1931); P. Sorcinelli, Incidenza economica del porto di Fano dal Seicento alla prima guerra mondiale, in “Studi Urbinati”, anno XLVI, 2(1972), pp. 428-450; F. Battistelli, Lauro Buonaguardia bo-lognese architetto e decoratore in Fano, in Studi in memoria di Giulio Grimaldi nel centenario della nascita, in “Fano, supplemento del “Notiziario di informazione sui problemi cittadini”, 5(1973), p. 93, nota 18.21. J. Ligi, op. cit., pp. 46-47.22. L’originale è conservato presso la Biblioteca Federiciana di Fano, Mss. Carrara, n. 35; Cfr. F. Battistelli, op. cit., p. 87; R. Mariotti, Decorazioni della cupola di S. Pietro in Valle eseguite da Lauro Buo-naguardia, per le nozze Grimaldi Fiorani, Società Tip. Cooperativa, Fano 1900, p. 9.23. E. Gasparoni, O. Maroni, Cervia Luoghi e memorie di una città, Maggioli Editore, Rimini 1986; U. Foschi, La costruzione di Cervia Nuova (1697-1750), Edizioni Capit, Ravenna 1997; 24. M. Gori, Le espressioni artistiche fra Seicento e Settecento, in Sto-ria di Cervia, L’età moderna, a cura di D. Bolognesi e A. Turchini, III, Bruno Ghigi Editore, Rimini 2001, pp. 98-101, con riferimen-to anche a In urbe achitectus. Modelli disegni misure. La professione dell’architetto. Roma 1680-1750, a cura di B. Contardi e G. Curcio, Argos, Roma 1991, p. 331; F. Battistelli, Architettura e urbanistica settecentesche prima e dopo il Vanvitelli, in Arte e cultura nella pro-vincia di Pesaro e Urbino, a cura di F. Battistelli, Marsilio, Venezia 1986, p. 428; G. Gardini, Cervia immagine e progetto. Le rappre-sentazioni della città dal XV al XX secolo, Longo, Ravenna 1998, p. 116.; P. Senni, Alcune notizie della città di Cervia vecchia e nuova raccolte ed offerte agli Ill.mi Sigg. Capitolari, 1778, Archivio Capito-lare della Cattedrale di Cervia; I documenti dell’archivio storico comunale di Ravenna citati sono in ASCRa, Cancelleria, 438 e 726. 25. Cfr. F. Vignato, Nicola Michetti, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 74 (2010), ad vocem. Cfr. J. A. Pinto, N. M. (circa 1675-1758) and 18th century architecture in Rome and Saint Pe-tersburg, dissertazione, Harvard University, Cambridge (MA), 197626. F. Eschinardi, Descrizione di Roma e dell’agro romano, Roma 1750, p. 339, dove tra l’altro viene sempre ricordato per il lavoro del porto di Fano.27. Questo testo, ampliato, riveduto e corretto, riprende il saggio di Franco Battistelli pubblicato in Studi in memoria di Giulio Grimaldi nel centenario della nascita, in “Fano, supplemento del “Notiziario di informazione sui problemi cittadini”, 5 (1973), pp. 85-96.28. Cfr. Catalogo delle Pitture esistenti nella Città di Fano nel secolo XVII con correzioni ed aggiunte di autore ignoto, a cura di R. Mariot-ti, Società Tip. Cooperativa, Fano 1909, p. 27; R. Paolucci, Chiese [di Fano], in La provincia di Pesaro ed Urbino, a cura di O.T. Loc-chi, Latina Gens, Roma 1934, p. 507; C. Selvelli, Fanum Fortunae, Tipografia Sonciniana, Fano 1943, p. 72.29. Catalogo, cit., p. 15; ACVF, Status animarum paraeciae S. An-drae apostoli Fani, MDCCXXI, Andrea Montesi rectore. 1722: In casa dell’Ill.mo pubblico, vi abita la famiglia del Sig. Bonaguardia Lauro di anni 55 com. Sig Anna consorte di anni 45 com. Sig. Teresa figlia di anni 13 com. Sig. Felice figlio di anni 10 com. Sig. Catarina Cristiani cognata di anni 26 com. Il figlio maggiore di

Lauro, Giovanni di anni 18, risulta invece tra gli studenti del Col-legio Nolfi. Per gli anni 1723, 1724 e 1725 la situazione risulata come nel 1722. Nel 1726 Anna risulta invece vedova. 30. ACVF, Mortuorum S. Andreae Fani, 1700-1738. “Adì 9 settem-bre 1725: il Signor Bonaguardia portatosi con la sua famiglia ala di lui possessione posta nella Villa e cura di Caregniano a farvi la villeggiatura sorpreso d’accidente appopletico la sera del suddetto su le tre hore morì in età di anni cinquattotto in circa senza haver ricevuto da quel parocho alcun sacramento, onde io che dovevo farlo portare a questa mia cura, per togliere maggior disturbo ed incomodo alla di lui famiglia comisi quel signor Curato di Carena-no che lo sepelisse in mio nome e di mia ragione nella di lui chiesa, riserbando per me la quarta funerale di ogni cosa mentre si provava concludentemente che gli altri tre quarti spettavano ai Padri minori Osservanti di questa chiesa di S.Maria Nuova per essere il defunto loro sepultuario, come di fatto si io che i detti Padri consegnammi nel modo sudetto. In fede. Io don Andrea Montesi rettore mano propria.”31. Catalogo, cit., p. 26; Decorazioni della cupola di S. Pietro in Valle eseguite da Lauro Buonaguardia, a cura di R. Mariotti, Società Tip. Cooperativa, Fano 1900, p. 6.32. Catalogo, cit., p. 30; R. Paolucci, op. cit., p. 514; C. Selvelli, op. cit., p. 78.33. G. Perugini, Fano e la seconda guerra mondiale, Tipografia Agai, Bologna 1949, pp. 159-165.34. La base del campanile, palesemente più antica della cella e della cuspide realizzate su disegno del Buonaguardia in data anteriore al 1725, faceva probabilmente parte di una precedente torre campa-naria, anteriore alla ricostruzione settecentesca della chiesa attuale risalente al 1785. Cfr. C. Rovaldi, La Commenda di San Marco in Fano dell’Ordine della Milizia di San Giovanni Battista dell’Ospedale Gerosolimitano, in “Memoria Rerum”, II, 2011, pp. 83-104 (in par-ticolare pp. 104-105).35. Catalogo, cit., p. 15; L. Asioli, La chiesa di S. Domenico a Fano, Scuola Tip. Fanese, Fano 1910, p. 19; G. Volpe (a cura di), La chiesa di San Domenico a Fano, Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, Fano 2007, pp. 26-27.36. L’ipotesi nasce dalla partecipazione documentata di Lauro Buo-naguardia alle opere di rifacimento e decorazione della cappella ab-sidale della chiesa del Suffragio (cfr. F. Vargas, Chiesa e Confraternita del Suffragio in Fano, Scuola Tipografica Fanese, Fano 1913, p. 19).37. Catalogo, cit., p. 21.38. Catalogo, cit., p. 2839. Catalogo, cit., p. 27. Sull’attribuzione ad Arcangelo Vici del pro-getto di rifacimento della chiesa di Sant’Arcangelo cfr. F. Battistelli, Edifici e progetti di Luigi Vanvitelli a Fano, in “Fano Notiziario di informazione sui problemi cittadini”, anno 9, n.2, marzo-aprile 1973, pp. 12-19 e nota 6. 40. Archivio Ponte Metauro, Registro 372, anno 1721, c. 19 e segg.41. Cfr. F. Vargas, op. cit., p. 19; Archivio Confraternita del Suffra-gio, Registro Spese. Nel 1709 la tela copriquadro per l’affresco della Crocefissione fu pagata al Buonaguardia 13 scudi e 50 baiocchi.42. Catalogo, cit., p. 26.43. Decorazioni, cit., pp. 5-10.44. J. Ligi, op. cit., pp. 44-47. Sempre il Ligi, descrivendo la ripresa dei lavori per la cupola, fa nascere il sospetto che l’ “architetto bolo-gnese di passaggio per Fano “ancor prima di Girolamo Caccia, pos-sa identificarsi con il Buonaguardia: “Andarono i Padri vecchi alla

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GLI ARCHITETTI DI SAN PIETRO IN VALLE

perfezione della Cupola e bene spesso speso su i dissegni lasciati loro da primi Architetti che operarono à fondare la Chiesa, facevano stu-di ma non arrischiarono mai far trasportare un legno per formarvi un’armatura temendo d’esser derisi col motto evangelico:ceperunt edificare et non potuerunt consumare. Quando poi portò l’acciden-te che un Architetto di Bologna di pasaggio per Fano (richiesto un disegno facile e di poca spesa) s’animarono tutti a far dare di mano all’opra, e senza più discorsi collocarono li cinquecento scudi della possessione venduta in mano al P. Camillo Montevecchi Prefetto allora della fabbrica e diedero al medesimo tutte le facoltà per con-trattare con gl’operarj.Incontrò in questo mentre, che un tal Sig. Girolamo Caccia venuto da Roma a Fano per Architetto del Porto, si fe conoscere perito nell’Architettura delle Fabriche per consiglio di molti si giudicò a vantaggio l’intendere il suo parere, e l’averlo ascoltato fu provviden-za divina, perché niun’altro che lui seppe far conoscere gl’erori che si commettevano nell’opera già incominciata e la sola sua direttione potè far sortire il lavoro a quella bellezza che di presente si trova e che rallegra l’occhio di ciascuno che la miri.” (p. 371)Inoltre, non si capisce bene perché, a giudizio del P. Camillo di Montevecchio, con la cupola proposta dal Caccia “si fuggivano” gli impegni per le pitture “che mai si sarebbono potuto havere alla perfezione dell’altre” [quelle eseguite nella volta dall’urbinate An-tonio Viviani detto il Sordo]. Probabilmente il pensiero era sug-gerito dalla consapevolezza che il Buonaguardia non avrebbe mai potuto emulare pittoricamente il Viviani, pur essendo pienamente all’altezza di decorare la nuova cupola con sufficiente signorilità e fantasia. Quanto al “nuovo Porto”, per la cui “fabbrica” sarebbe sta-to chiamato a Fano il Caccia, si tratta in realtà del vecchio Portvs Bvrghesivs, scavato ai primi del Seicento su progetto di Girolamo Rainaldi e che insabbiato e bisognoso di restauri fu dal Caccia col-legato, mediante canale, al torrente Arzilla (Cfr. E. Corsi, Vicende storiche del Porto di Fano, in “Latina Gens”, Anno XI, n. 9, Roma settembre 1933, pp. 1-13).45. Tutte le citazioni della polizza tra i Padri dell’Oratorio di San Fi-lippo Neri e Lauro Buonaguardia sono tratte dal fascicoletto Deco-razioni della cupola, già citato alle note precedenti. L’originale della polizza è conservato presso la Biblioteca Federiciana (Mss. Carrara, 35) ed è unito nella stessa busta ad un Libro della spesa per la fabbri-ca della Cupola, cominciato il 12 luglio 1695 e chiuso il 10 novem-bre 1700. L’entrata somma a 2204 scudi, 76 baiocchi e 3 quattrini; la spesa a 2292 scudi, 84 baiocchi e 3 quattrini.46. Si tratta dell’elegante palazzo che ospita oggi al piano terreno il Caffè Centrale e che nel 1803, come risulta da un documento d’ar-chivio presso la locale Sezione dell’Archivio di Stato di Fano (Nota-rile, notaio Giuseppe Gregorio Polidori, vol. C, 1802-1803, c. 525) ebbe rifatte le finestre con relative cornici su disegno dell’architetto senigalliese Pietro Ghinelli. S. Tomani Armani, Guida Storico Arti-stica di Fano, prima edizione a stampa, a cura di F. Battistelli, Pesaro 1981, p. 214, nota 120. Cfr. G.L. Patrignani, F. Battistelli, Il tempo e la pietra. I marmi Parlanti. Nuovo catalogo delle epigrafi ubicate nel territorio comunale di Fano, Fano 2010, p. 157.47. ASP-SASF, Archivio storico, Notarile, Notaio G. Guardinucci, vol. M, 1486-1788. Si ringrazia la signora Giuseppina Boiani Tom-bari per la segnalazione.48. “Ciò che può essere affermato anche per quel poco che resta del secolo XIX, compresi gli eleganti sportelloni intarsiati degli armadi della sagrestia di San Pietro in Valle, quasi certamente disegnati, così come la sagrestia stessa, dall’architetto senigalliese Pietro Ghi-

nelli e in merito ai quali è stato scritto: ‘alcune bellissime sagrestie furono progettate, anche nell’arredo, da noti architetti; si veda il caso di quella ellittica nella chiesa di San Pietro in Valle di Pietro Ghinelli’. Qui ‘gli armadi sono semplici pennellature lastronate e intarsiate a motivi decorativi di gusto neoclassico elegantissimi’ “ F. Battistelli, Intagliatori e intarsiatori a Fano e dintorni fra XVII e XIX secolo, in G. Calegari, P. Giannotti, Il mobile pesarese. Dai maestri artigiani alla produzione industriale, Il lavoro editoriale, Urbania 2000, p. 68. 49. Un manoscritto del marchese Amico Ricci, conservato pres-so la biblioteca pubblica Mozzi-Borgetti di Macerata, riporta un Catalogo delle migliori pitture, sculture ed architetture della città di Fano con una descrizione dell’interno di San Pietro in Valle dove si legge: “L’architettura di detta sagrestia e della scala dentro la Con-gregazione è del vivente Sig. Pietro Ghinelli, sinigagliese.” Anonimi sec. XVIII, Pitture d’uomini eccellenti nelle chiese di Fano, a cura di F. Battistelli, Quaderno di “Nuovi studi fanesi”, Fano 1995, p. 73. Cfr C. Selvelli, Fanum Fortunae, Fano 1924, p. 56. M. Abbo Romani, G. Minardi, I Ghinelli padri della Senigallia dell’Ottocento, in “La Gazzetta di Ancona”, 24 maggio 1988.