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The Giver - Il donatore (The Giver Quartet Vol. 1 ... e lontano chiamato Altrove. A cosa condurrà il viaggio è bene tacerlo, e non soltanto per non sottrarre al lettore il gusto

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LOISLOWRY

PREFAZIONEDI

TOMMASOPINCIO

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Titolooriginale:TheGiverCopyright©1993LoisLowryOriginallyPublishedasaWalterLorraineBook-PublishedbyspecialarrangementwithHoughtonMifflinHarcourtPublishingCompany.Traduzione:SaraCongregatieAngelaRagusaProgettograficodicopertinaedelaborazionedigitale:AdriaVillaFotografiaincopertina:©AndreaMancini/ArchivioGiunti,FirenzeSiringraziailcavalierBrunoPiazzesi,donatoredellemaniincopertina.

©2010GiuntiEditoreS.p.A.ViaBolognese,165-50139FirenzeViaDante,4-20121Milano

http://y.giunti.it

ISBN9788809765634

EdizionedigitalerealizzatadaSimplicissimusBookFarmsrl

Primaedizionedigitale2010

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Atuttiibambiniperchéèalorocheaffidiamoilnostro

futuro

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ILFIOREDELPARADISOTOMMASOPINCIO

Insognoosullealidell’immaginazione,tutti noi abbiamo sperimentato la specialeebbrezza di visitare mondi ignoti emeravigliosi.Allastessamanieraabbiamoconosciuto

lacocentedelusionecheseguealrisveglio,quandolarealtàciricacciad’unsolcolpoalla vita di tutti i giorni, che di ignoto emeravigliosospessohabenpoco.Poniamo però che nel corso di uno di

questi viaggi di sogno ci sia concesso ilprivilegio dimetter piede nel più perfettodei mondi possibili e impossibili, il

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paradiso, e che al termine della nostraescursione ci venga consegnato un fiore,affinché la gente incredula non dubiti deiraccontichefaremoalritorno.Nell’appuntare su un taccuino questa

eccezionale ipotesi, il poeta ingleseSamuel T. Coleridge pose un’interessantequestione:cosaaccadrebbesealmomentodi riaprire gli occhi ci ritrovassimo conquel fiore in mano? All’apparenza, larisposta è ovvia: avremmo finalmente lacertezza che un paradiso esiste e cicomporteremmodiconseguenza.Forse,alfine di non pregiudicare l’accesso alsettimo cielo, l’umanità inizierebbe acomportarsi meglio di quanto ha fattosinora.Metterebbe al bando guerre, odio,sopraffazione. E a forza di migliorarsilibererebbe laTerra dapene e ingiustizie,trasformandola in un luogo così buono e

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giustoda rendere superflua l’esistenzadelparadiso.Il fiore ci regalerebbe poi un’altra

certezza.Cidirebbecheisogninonsonosoltanto

sogni, ma manifestazioni di mondi edimensioni ulteriori. Anche questascoperta dovrebbe indurci acomportamenti diversi. Forse non cirenderebbe migliori quanto il sapere chec’è un paradiso, ma ci alleggerirebbel’animo da molte angosce perchél’esistenzadiunaltromondoarricchirebbedisensoquelloincuigiàcitroviamo.L’anticadomanda“doveandiamo?”non

avrebbepiùqualespaventevole,eventualerispostailnulla.Sapremmo finalmente che esistono un

dove e persino un altrove, e nonproveremmo più la spiacevole sensazione

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di camminare a vuoto.Ma siamo propriosicurichesarebberoquesteleconseguenzedelfioredelparadiso?Pensiamoci bene: l’umanità ha sempre

creduto ai mondi ulteriori. Ha volutocrederci. Lo ha così intensamente volutochepiùdiunavoltanelcorsodellaStoriaha stabilito per legge l’esistenza di unluogo superiore, e chi dubitava venivaguardatoconsospetto, emarginato, senonaddirittura processato e condannato amorte.Pensandoci bene, il vero fatto

sconvolgente sarebbeun altro: il fiore delparadiso aprirebbe un varco in un muroche da sempre riteniamo invalicabile, ilmuro che separa le cose come sono dallecosecomevorremmochefossero,larealtàdaisogni.Quelfioresarebbepertantounsouvenir

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nelsignificatopiùprofondodeltermine,ilricordo di un posto in cui non siamomaistati. Non è forse vero, infatti, che ladifficoltà di fissare nella mente quel chesogniamomarcailconfinenettodellostatodi veglia? Non è vero che tante personevedonoiproprisogniinghiottitidall’oblionelprecisoistantedelrisveglio?A questa diffusa specie di smemorati

appartiene il giovanissimo protagonista diTheGiver.SichiamaJonasesognararissimamente.

Le rare volte in cui gli sembra di averlofatto, i ricordi sono troppoconfusiperchépossa dare il proprio contributo al ritualecuideveadempiereogniunitàfamiliarealmattino,perl’appuntoquellodiraccontarei sogni fatti nel corso della notte. Èevidente che Jonas vive in un mondospeciale; tanto speciale che a prima vista

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parenonaverebisognodisogni.La società descritta da Lois Lowry è

infatti un surrogato terrestre del paradiso,una Comunità dove i bisogni di tuttivengono equamente soddisfatti, dove nonesistono piùmalattie, dove si ignora cosasianoguerra,violenzaepovertà.Non meno evidente, però, è che per

raggiungere una simile armonia i desideridel singolo devono essere sacrificati innomedelbenedimolti.NellaComunitàdiJonasnullaviene lasciatoal caso.Tuttoèorganizzato e controllato. Ogni unitàfamiliareèmeticolosamenteassemblatadaun comitato che stabilisce quale siano lecoppie ideali e la prole a loropiù idonea.Ogni nucleo è dunque composto di unPapàeunaMammacuivengonoassegnatiunmaschiettoeunafemminuccia,chenonsono i loro figli biologici giacché la

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procreazioneèuncompitocuiattendesolounristrettogruppodidonneperillimitatoperiodo di tre anni. I naturali impulsisessuali vengono sedati con una forma diautomedicazione quotidiana all’insorgeredelleprimePulsioni.Curiosamente, saràproprio in seguito a

unsognocheJonasverràascoprirechelePulsioni hanno a che fare con stranidesideri che riguardano le persone delsessoopposto.Desideri,pergiunta,chesimanifestano in prossimità di un altromomentofondamentale.Al compimento del dodicesimo anno,

infatti, i ragazzi sono chiamati apartecipareaunacerimonianelcorsodellaquale ognuno riceve la propriadesignazione, il ruolo che da lì in avantirivestiràall’internodellaComunità.Consuasorpresa,Jonassivedetributare

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l’onore più grande. Sarà il nuovoAccoglitorediMemorie,coluichericeveràdal Donatore ciò che di più prezioso c’èperqualunqueComunità,lasuastoria.Verrà a sapere com’era il mondo dei

tempi andati e ne preserverà la memoriafino al giorno in cui un altro ragazzoriceverà la designazione diAccoglitore diMemorie. Quel giorno Jonas diventerà asua volta un Donatore e consegnerà ilpassato nelle mani del successore. Dopoesserestatounbambinoincapaceditenerea mente i propri sogni, Jonas si affacciaall’adolescenzaconl’impegnativocompitodi conservare le memorie di un’interaciviltà.Il fardello gli svela un mondo diverso.

Scopre un passato fatto di solitudine,paura,rabbia,doloreediformed’infelicitàdi cui non sospettava l’esistenza. Scopre

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che il peso di questi ricordi dovrà restareinteramente sulle sue spalle affinchél’armonia della Comunità non vengaturbata. Jonasavverteperòchepreservareilbenecomune,nascondendoisuoiricordispiacevoli, è ingiusto. Così, insieme alDonatore, decide di cambiare il mondo,partendoallavoltadiun luogomisteriosoelontanochiamatoAltrove.A cosa condurrà il viaggio è bene

tacerlo,enonsoltantopernonsottrarreallettoreilgustodellascoperta.TheGiver èunodiquei romanzi incui

ci si trova fatalmente a condividere leesperienze del protagonista. I dubbi diJonassonoinostridubbi.Lasuavogliadiunmondodiversoèanchelanostravoglia.Così come è nostro il suo desiderio chel’umanitàvedalaveritàcheluihaveduto.Tuttavia quel che Jonas trova al termine

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del suocoraggiosocamminononèchiaroe definito. Non è il solito trionfo dellagiustizia. Non è l’ennesima vittoria delbene sul male. Il viaggio conduce versoqualcosa di incerto e abissale, simile alpozzod’oblioincuialmattinoprecipitanoi sogni, qualcosa che pare somigliare alnullamacheineffettièaltro,qualcosacheogni lettore interpreterà alla sua maniera.Giunto all’ultima pagina, ognuno siritroveràtralemaniunlibrodiverso.Le parole che vi sono stampate sono

identiche alle migliaia di altre copieesistenti, ma il loro cuore, “il loro sensoriposto”, sarà il cuore di chi di volta involta le leggerà, e sarà un cuore unicocomeunicisonoifiocchidineve.In misure variabili questa straordinaria

magia è propria di tutti i libri, ma simanifestaconparticolareevidenzaquando

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il romanzo ha un finale cosiddetto“aperto”.Insél’ideanonènuova.Le biblioteche abbondano di storie dal

finaleaperto.Il caso diTheGiver è però speciale in

quanto la sua autrice lo ha concepito perun pubblico di lettori assai giovani, unpubblico spesso imboccato con finali“chiusi”,storiedallamoraleinequivocabiledoveilcombattereperungiustoprincipiocomporta sempre una qualche forma diricompensa e il cedere alle lusinghe delmalenonèmaipremiato.Qui tutto si concentra invece in un

afflatodiribellione,nelpuroslancioversoun qualcosa che si crede giusto e vero.Jonasavvertenelprofondocherisparmiarealla Comunità il fardello del passato,significa condannarla a una grigia

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esistenza dove nessuno è un individuocapace di reali sentimenti.Ma al di là diquello che Jonas avverte nel profondo cisono solo interrogativi la cui risposta,semmai viene data, non è offerta su unpiattod’argento.Leggere The Giver può forse essere

paragonato alla sensazione, al momentoancoraignota,disognarealcontrario.Immaginate di addormentarvi per

risvegliarvi in un Altrove che potrebbeessereunsognomaanche ilmondocomedavvero è. I ricordi della realtà da cuiprovenite,anzichésparire,riaffioranopocoa poco prendendo la forma di un fiore,proprio come nell’ipotesi avanzata daColeridgeduesecolifa.A cosa vi servirebbe quel fiore? Lo

usereteperdimostrarecheprovenitedaunaltromondoocercherestedicapiresequei

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ricordi possono rivelarvi qualcosa diquestonuovoluogo?Emettiamopurechequestonuovoluogosiailparadiso,credetedavvero che vi sentireste a casa o sarestecolti da una disorientante ebbrezza, unmisto di paura e malinconia, simile allostato d’animo in cui precipita il giovaneHolden nel domandarsi dove vanno leanatre d’inverno, quando ghiaccia illaghettodiCentralPark?Non sorprende che The Giver sia

diventatounclassicodelnostrotempo.Dalla data della sua originaria

pubblicazione, risalente al non troppolontano1993,haallargatoamacchiad’olioilpropriopubblicodiventandounodiqueilibri universali che toccano l’animo dichiunque,giovaneoadultochesia.Nonostante alcunipunti di contatto con

ilfamosissimoromanzodiSalingerealtre

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storie che hanno per protagonista unragazzino,Jonaspuòstaretranquillamenteal fianco di personaggi adulti come ilWinston Smith di 1984. E come ilcapolavoro di Orwell, anche il mondoevocato dalla Lowry appartiene allospeciale genere di letteratura che siconfronta con i non-luoghi dell’utopiamostrandone il latooscuro, la tristeveritàper cui il prezzo del paradiso in terra èl’eguaglianzadell’infelicità.TheGivercondivideinoltrecon1984 la

negazione della memoria collettiva qualemezzo di controllo sociale. E cosa diredeglialtoparlantichenel romanzodiLoisLowry diffondono mirati rimproveri aicittadini? Non ricordano forse i televisorispia del Grande Fratello? Le due utopienegative differiscono però in un puntofondamentale.

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Nella Comunità di Jonas non c’èapparentemente traccia di una dittaturaoppressiva.L’ordinenonvienemantenutocon la violenza. I dissidenti non vengonoimprigionati e torturati. In effetti, non c’èalcun bisogno di imprigionare perché leesigenze di tutti sono così sapientementeanestetizzate da consentire alla Comunitàdi conoscere una sua armonia, per quantosterile e artefatta.Èunadifferenzadinonpoco conto, perché se è nell’ordine dellecose che i tiranni generino ribelli, nonaltrettanto scontata è l’opposizione a unsistemachetuttosommatofunziona.IlgestodiJonasèdunquedoppiamente

ammirevoleperché,anzichécombattereuncattivo in carne e ossa, osa sfidare unabestia meno appariscente ma ben piùinsidiosa:ilsensocomune.Qualcuno potrebbe obiettare che un

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libro indirizzato ai giovani non dovrebbecontenere un’istigazione tantoincondizionata alla rivolta, e difattiqualcunohaobiettato:c’è il rischioche ilragazzo emuli, che contesti l’autorità. Èesattamentequelchesuccedenelromanzo.Un uomo chiamatoDonatore trasmette alragazzo la sua conoscenza, i suoi ricordi,quellochesadelmondo.Il ragazzo riceve tutto ciò e conclude

cheilmondocosìcom’ènonvabene.Ogni volta chemettiamo un libro nelle

manidiunragazzocorriamoilrischiochediventi un Jonas. Di più: corriamo unsimile rischio tutte le volte che diciamoqualcosaaunragazzo.Lois Lowry insegna agli adulti che si

deve correre questo rischio, perchétrasmettereilsapereèsempreecomunquerischioso.

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Perché“ognivoltacheun ragazzoapreun libro varca la soglia che lo separadall’Altrove”.Perchéognivoltacheglisiraccontauna

storia, si dà al ragazzo la possibilità discegliere.Glisidàlalibertà.Ilfioredelveroparadiso.

TommasoPincio

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EraquasidicembreeJonasavevapaura.No, si corresse tra sé, non era quello iltermine esatto. Paura indicaval’angosciosa sensazione che stesse peraccadere qualcosa di terribile. Paura eral’emozione provata un anno prima,quando, per ben due volte, un aereo nonidentificato aveva sorvolato la Comunità.UnarapidaocchiataalcieloeJonasavevavisto sfrecciare un aereo elegante, quasiuna sagoma indistinta data l’alta velocità,seguitaunistantedopodaunboato;poidinuovo, in un attimo, dalla direzioneopposta,eccoripassarelostessoaereo.

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Lìperlìneerarimastoaffascinato.Nonavevamaivistounaereodavicino,perchéandavacontroleregoledeiPilotisorvolarelaComunità.Di tanto in tanto,quandogliaerei da trasporto merci scaricavano leprovvistesulcampod’atterraggiodilàdalfiume,ibambiniandavanoinbicifinsullarivaerestavanoafissarliincuriositi,finchéquelli nondecollavano indirezioneovest,allontanandosidallaComunità.Ma l’aereo di un anno prima, quello sì

chel’avevacolpito:nonunpanciutoaereodacarico,mauno snello, aguzzovelivolomonoposto. Guardandosi attorno in predaall’ansia, Jonas aveva visto adulti ebambiniinterromperelelorooccupazionieaspettare confusi una spiegazione chechiarisse l’origine di quell’evento tantoinquietante.Poi a tutti era stato ordinato di entrare

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nell’edificio più vicino e di restarci.«IMMEDIATAMENTE»avevagracchiatolavocedaglialtoparlanti.«LASCIATELEBICICLETTEDOVESONO».Senza esitare, Jonas aveva mollato la

bici sul vialetto dietro casa, era corsodentro ed era rimasto lì, da solo: i suoigenitorieranoallavoroeLily,lasorellinaminore, era al Centro Infanzia per ildoposcuola.Sbirciandofuoridallafinestra,non aveva visto nessuno: nessuno delleaffaccendate squadre di Pulistrade,Paesaggisti e Portacibo che di solitoanimavano la Comunità durante ilpomeriggio,ma soltanto bici abbandonatequa e là in fretta e furia; qualche ruota,rivoltaall’insù,ancoragiravalenta.Ealloraavevaavutopaura:difrontealla

sua Comunità silenziosa, in attesa, gli siera serrato lo stomaco in una morsa e

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avevatremato.Nonerasuccessoniente,però.Dopoun

po’ gli altoparlanti avevano crepitato dinuovo e la voce, ora più rassicurante emeno imperiosa, aveva spiegato che unAllievoPilota,leggendomaleleistruzionidi volo, aveva preso una direzionesbagliata, tentando poi disperatamente ditornare indietro prima che l’errore fossenotato.«INUTILE DIRE CHE SARÀ

CONGEDATO» aveva concluso la voce.La frase finale aveva un tono ironico,come se lo Speaker trovasse la cosadivertente, e anche Jonas aveva sorriso,pur sapendo quanto dura fosse quellasentenza: per un abitante della Comunità,essere congedato era una punizioneterribile,unfallimentoschiacciante.Perfinoibambinivenivanorimproverati

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se, giocando, usavano quella parola allaleggera,perprendereingirouncompagnodisquadracheavevapersounapallaoerainciampato durante una corsa. Una voltal’aveva fatto anche Jonas: aveva urlato alsuo migliore amico “Hai chiuso, Asher!Dovrebbero congedarti!” quando, perun’ennesima goffaggine, aveva fattoperderelalorosquadra.Subitol’allenatorelo aveva preso in disparte per fargli unaramanzina.Così, dopo la partita, era andato a

scusarsiconAsher,atestabassaperisensidicolpael’imbarazzo.Ora, mentre pedalava sul lungofiume

versocasa,intentoariflettere,siricordòilmomento in cui l’aereo gli era sfrecciatosopra la testa edinuovoavvertì lo stessopalpabileterrore,unastrettaallostomaco.Non era quella l’emozione suscitata

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dall’avvicinarsi di dicembre. Si concentròsu quale potesse essere il termine piùappropriato per descrivere la sensazioneche stava provando. Jonas era moltoattentoalleparolecheusava.NoncomeAsher,cheparlava troppo in

fretta e mischiava parole e frasi fino arenderle quasi irriconoscibili, spesso evolentieri addirittura buffe. Ridacchiò trasé,ricordandolavoltache,comesempreinritardo,Ashersieracatapultatonell’aulaametàdelcantomattutino.Quando tuttiglialtri si erano seduti, alla fine dell’innopatriottico, lui era rimasto in piedi per lepubblichescusedirito.«MiscusoperaverprocuratodisagioallamiaComunità».Tutto d’un fiato, Asher aveva

snocciolatoilrestodellafrase.L’Istruttoree la classe avevano aspettatopazientemente la sua giustificazione. I

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compagni avevano ridacchiato tutto iltempo, abituati com’erano ai continuishowdiAsher.«Sono uscito di casa per tempo» aveva

continuato, a precipizio «ma, mentrepassavo vicino al vivaio, ho visto laSquadra Ittica che pescava dei salmoni emisonodistruttoaguardarli.Miscusoconi miei compagni di classe» conclusestirandosi addosso la divisa sgualcita emettendosiasedere.«Accettiamoletuescuse,Asher»aveva

risposto la classe in coro, fra risatinesoffocate.«Accetto le tue scuse, Asher» aveva

detto l’Istruttore, sorridendo. «E tiringrazio perché ancora una volta ci haifornito l’occasione ideale per una lezionedi grammatica. Distrutto è un aggettivodecisamente troppo forte per descrivere

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l’attodiosservarelapescadeisalmoni».Sieravoltatoascriveredistruttoallalavagnae,subitoaccanto,avevascrittodistratto.Ormai quasi a casa, Jonas sorrise al

ricordodiquellascena.Sistemandolabicinelpiccoloportico,si

rese conto di comepaura fosse il terminemenoadattoadescrivereisuoisentimenti,ora che dicembre era praticamente alleporte. Paura era un termine troppo forte.Aspettava da tanto quel particolaredicembreeadessocheera imminentenonaveva paura, ma… non stava più nellapelle,eccodicosasitrattava.Nonvedeval’ora che arrivasse. E fremeva,naturalmente. Come tutti gli Undici, delresto. Quando pensava a ciò che potevasuccedere, non riusciva a trattenere unbrividodiapprensione.“Ansioso,” decise alla fine “ecco come

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misento”.

«Chivuolessereilprimoacondividereleemozioni, stasera?» chiese il padre diJonas,appenafinitodicenare.Eraunritoimportante, la condivisione serale delleemozioni,espessoJonasesuasorellaLilyfacevanoagaraperiniziare.Naturalmenteanche i genitori partecipavano,raccontandoleproprieemozioniognisera.Ma,daadultiqualierano,nonlitigavanoenon cercavano di togliersi le parole dibocca.Quella sera, però, neanche Jonas fece

tantestorieperaverelaprecedenza.Quella sera le sue emozioni erano

troppocomplesse.Volevacondividerle,sì,mapreferivaaspettare,primadipassarlealsetaccio. Neppure l’aiuto dei genitori, sucui sapeva di poter contare, era un validoincentivoinquellaoccasione.

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«Inizia tu, Lily» disse vedendo lasorellina, che in fondo era molto piùpiccola, solo una Sette, dimenarsiimpazientesullasedia.«Oggi pomeriggio mi sono proprio

arrabbiata» sbottò Lily. «Mentre eravamocon il mio Gruppo d’Infanzia al parcogiochi, sono arrivati degli altri Sette… enon rispettavano affatto le regole.Uno diloro, un maschio che non conoscevo,volevaatutticostipassareavanti,anchesenoi stavamo in fila ad aspettare il nostroturno per lo scivolo. Mi sono arrabbiataconlui!Glihofattovedereilpugno,così»disse,poisollevòunpiccolopugnochiusoe la famiglia interasorriseaquelgestodisfida.«Perché credi che non rispettassero le

regole?»chieseMamma.«Non lo so. Si comportavano come…

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come…»«Animali?»suggerìJonasridendo.«Giusto» disse Lily, ridendo anche lei.

«Come animali». Nessuno conosceva ilsignificato esatto di quella parola, maspessolasiusavaperindicareunapersonamaleducataogoffa,noninsintoniaconglialtri.«Dadovevenivano?»domandòPapà.Lilycorrugòlafronte.«Ilnostrocapogruppocelohadettonel

discorso di benvenuto, ma non me loricordo. Si vede che non ero attenta. Daun’altra Comunità, credo. Dovevanoripartiremolto presto, avrebbero pranzatoinautobus».«Forse le loro regole sono differenti

dalle nostre» suggerì Mamma. «Forse,semplicemente,nonconoscevanoleregoledelnostroparcogiochi.Noncredi?»

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«Puòdarsi» ammiseLily, scrollando lespalle.«Tuhaivisitato altreComunità, vero?»

chiese Jonas. «Il mio gruppo lo ha fattospesso».Lily annuì. «Quando eravamo dei Sei,

siamo andati a passare un giorno interocon un gruppo di Sei di un’altraComunità».«Ecometiseisentita,mentreerilà?»«Fuoriposto.Usavanometodidiversie

imparavano cose che il mio gruppo nonconosceva ancora, perciò ci siamo sentitistupidi».Papàascoltavaconinteresse.«Noncredi

che anche quel ragazzo, oggi, si sentissefuori posto, alle prese con regolesconosciute?»intervenne.Lily ci pensò su. «Può essere» assentì

allafine.

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«Allora,Lily?»chiesePapà.«Seiancoraarrabbiata?»«Credo di no» decise Lily. «Credo che

midispiacciaunpo’perlui.Emidispiacediaveragitatoilpugno».Sorrise.Jonaslesorriseasuavolta:leemozioni

di Lily erano sempre lineari, semplici efacilmente gestibili, probabilmente comeloerano state anche le suequandoeraunSette.Poi, pur prestando poca attenzione,

ascoltò suo padre descrivere lapreoccupazionecheloavevaassillatoquelgiorno al lavoro. Era in ansia per unneobimbo che non progrediva comeavrebbedovuto.IlpadrediJonasfacevailPuericultore e, insieme agli altriPuericultori,eraresponsabiledelbenesserefisico ed emotivo dei neobimbi nei primi

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mesidivita:unlavoroimportante,Jonaslosapeva, però non riusciva lo stesso atrovarlomoltointeressante.«Che cos’è, un maschio o una

femmina?»s’informòLily.«Un maschietto, sempre allegro,»

rispose Papà «che però non cresceabbastanzainfrettaenondormebene.Loabbiamospostatonelrepartocureintensiveper seguirlo meglio, ma il comitato stacominciando a valutare l’ipotesi dicongedarlo».«Oh, no» mormorò Mamma, solidale

con lo stato d’animo del marito. «Soquanto la cosa ti rattristerebbe». AncheJonas e Lily annuirono. Era così tristecongedare un neobimbo senza che avesseavuto l’occasione di assaporare la vitanella Comunità. E senza che avessecommesso alcuna infrazione. I tipi di

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congedo non punitivi erano soltanto due:quello degli anziani, con cui si celebravaunavitapienamentevissuta;equellodiunneobimbo,cheportavaconséilrimpiantoper un’occasione perduta e rattristava iPuericultori, lasciandoli con la sensazionediavereinqualchemodofallito.Accadevamoltodirado,però.«Non intendo arrendermi» disse Papà.

«Anzi, pensavo di chiedere al comitato ilpermesso di portarlo qui per la notte, senonavetenienteincontrario.Sapetecomesono iPuericultoridella squadranotturna.Il piccolo ha bisogno di qualcosa dimeglio,secondome».«Naturalmente» disseMamma, e anche

Jonas e Lily concordarono. Avevano giàsentito il padre lamentarsi in proposito:tutti sapevano che le squadre notturneeranocompostedaabitantidellaComunità

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privi dell’interesse, dell’abilità odell’intelligenzaindispensabiliasvolgereilavori più importanti delle ore diurne.Addirittura,allamaggiorpartedei turnistidi notte neanche veniva concesso disposarsi, perché sprovvisti, in qualchemisura,dellacapacitàdi interagireconglialtri, requisito essenziale per la creazionediun’unitàfamiliare.«Chissà, magari potremmo tenerlo per

sempre» suggerì Lily con aria di falsainnocenza.«Lily» le ricordò Mamma sorridendo

«conosci le regole: solo due bambini, unmaschio e una femmina, per ogni unitàfamiliare».«Be’» ridacchiò Lily «pensavo che per

unavolta…».SubitodopoMamma,cheoccupavauna

posizione importante nel Dipartimento di

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Giustizia,esposeleproprieemozioni.Quel giorno aveva dovuto giudicare un

recidivo,qualcunochegiàunavoltaavevainfrantoleregole,erastatoadeguatamentepunito e poi restituito al suo lavoro, allasua casa, alla sua unità familiare.Ritrovarselo di fronte una seconda volta,aveva provocato in lei una sensazionesoffocante di frustrazione, di collera e disenso di colpa, perché non era riuscita ainfluire sul comportamento deltrasgressore.«E ho anche avuto paura per lui»

confessò.«Sapetechenonesisteunaterzaoccasione.Le regole stabiliscono che, perla terza infrazione, la condanna è ilcongedo». Jonas rabbrividì. Era unapossibilità concreta, lo sapeva bene: nelsuo gruppo di Undici c’era un ragazzo ilcui Papà era stato congedato anni prima.

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Nessunoosavaparlarne.Eraunadisgraziadifficile da immaginare, un’idea quasiinconcepibile.Lily andò vicino alla madre e le

accarezzò un braccio. Senza alzarsi, Papàsi sporsea stringerleunamanoe Jonas siprotese a prenderle l’altra.Uno alla voltala confortarono. Dopo un po’ Mammasorrise, li ringraziò e mormorò che sisentivapiùserena.Ilritualeproseguì.«Jonas?» chiese Papà. «Sei l’ultimo,

stasera».Jonassospirò.Quellaseraavrebbequasi

preferitotenereperséleproprieemozioni,il che, naturalmente, andava contro leregole.«Mi sento ansioso» confessò, lieto di

avertrovatolaparolaesattaperdescrivereilpropriostatod’animo.

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«Perché, figliolo?» s’informò il padre,turbato.«Sochenonc’èdapreoccuparsi»spiegò

Jonas «e che ogni adulto ha vissuto lastessa esperienza, compresi voi due. Masono in ansia per via della cerimonia.Ormaisiamoquasiadicembre».Lily alzò lo sguardo, gli occhi

spalancati. «La Cerimonia dei Dodici»mormoròintonorispettoso.Tutti i bambini, perfino quelli più

piccolidiLily,sapevanochelaCerimoniadeiDodiciavrebbesegnatolalorovita.«Sono lieto che tu abbia condiviso con

noiletueemozioni»dissePapà.«Lily,» disse poi Mamma, chinandosi

sullabambina«adessova’avestirtiperlanotte. Papà e io dobbiamo parlare conJonas».Lily sospirò. «Da soli?» chiese,

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alzandosiobbediente.Mamma annuì. «Sì. Sarà un colloquio

privatofranoieJonas».

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2

«Sai,» disse il padre di Jonas, dopoessersi versato un’altra tazza di caffè«quand’ero giovane, dicembre era sempreuna tale emozione perme. E sono sicurocheèstatolostessoancheperteeperLily.Dicembre è il mese dei cambiamenti».Jonasannuì.Ricordavaognidicembrefindaquando

eraunQuattro.Quelli precedenti li avevascordati,peròogniannoosservavaattentola cerimonia e ricordava bene i primidicembre di Lily: ricordava bene quandoerastataaffidataallasuaunitàfamiliare,leerastatoassegnatoilnomeederadiventata

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una Uno. La cerimonia per gli Uno erasempre divertente. A dicembre, tutti ineobimbi nati durante l’anno entravano afar parte del gruppo degli Uno. Uno allavolta(eranosemprecinquanta,senessunoerastatocongedato)venivanocondottisulpalco dai Puericultori che si erano presicura di loro fin dalla nascita: alcuni giàbarcollanti sullegambette incerte; altri, dipochi giorni appena, infagottati nelle lorocopertine stavano in braccio aiPuericultori.«Mi piace l’Assegnazione del Nome»

disseJonas.Sua madre annuì, sorridendo. «L’anno

checifudataLilynaturalmentesapevamoche avremmo ricevuto una femmina,perchéneavevamofattorichiestaequestaera stata accettata. Però non facevo chedomandarmi quale sarebbe stato il suo

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nome».«Avrei potuto dare una sbirciatina alla

lista dei nomi prima della cerimonia»confidò Papà. «Il comitato la preparasempre inanticipoe lacustodisceproprionegli uffici del Centro Puericultura… Ineffetti» proseguì «confesso di sentirmi unpo’ in colpa, in proposito: questopomeriggiocisonoandatopervedereselalista fosse già pronta. Era proprio lì inufficio e ho controllato il numeroTrentasei… è quello del piccolo che mipreoccupa…perchémièvenuto inmentechechiamarlopernomepotrebbefavorirnela crescita. Lo farei solo in privato, èovvio,noninpresenzadialtri».«E lo hai trovato?» chiese Jonas,

affascinato. Non era una regolafondamentale, quella, ma il fatto che suopadre l’avesse infranta lo colpiva molto.

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Lanciò un’occhiata a sua madre, che eraresponsabile del rispetto delle regole, e sisentìsollevatovedendolasorridere.Suopadre annuì. «Si chiameràGabriel,

sempre che non venga congedato primadell’AssegnazionedelNome.Così,quandonessunomisente,glibisbiglioilsuonometuttelevoltecheglidodamangiare,ogniquattro ore, e durante gli esercizi e ilgioco… A dire il vero» ridacchiò «lochiamoGabe».«Gabe»ripetéJonas.Eraunbelnome.BenchéfosseappenaunCinque, l’anno

cheavevano ricevutoLilyecheneavevaconosciuto il nome, Jonas ricordava benel’eccitazione, i discorsi e le ipotesi: cheaspetto avrebbe avuto, che carattere, ecome si sarebbe inserita nella loro serenaunità familiare. Ricordava di essere salitosul palco con i genitori, il padre al suo

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fiancoinvececheconglialtriPuericultori,poiché quello era l’anno in cui gliavrebberodatolasuaneobimba.Ricordavasuamadre prendere la piccola in braccio,mentre l’annuncio veniva dato all’interaComunità. «Neobimba Ventitré» avevalettol’Assegnanome«Lily».Ricordava l’espressione compiaciuta di

Papàmentresussurrava:«Èunadellemiepreferite.Speravocheciassegnasserolei».La folla aveva applaudito e Jonas avevaridacchiato tra sé. Gli piaceva il nome disuasorella.Lily,semiaddormentata,avevaagitatounpiccolopugno,epoieranoscesituttiequattrodalpalcoperlasciareilpostoaun’altraunitàfamiliare.«QuandoerounUndici,»stavadicendo

suo padre «anch’io non vedevo l’ora chearrivasseladatadellacerimonia.Duraduegiorni.Ricordochemigustaiquelladegli

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Uno,comesempremicapita,machenonprestai molta attenzione alle altrecerimonie, eccetto quella di mia sorella.DiventòunaNove,quell’anno,edebbe lasua bicicletta. Avevo passato parecchiotempo a insegnarle a stare in sella, ancheseinteorianonavreidovuto».Jonas scoppiò a ridere. Era una delle

poche regole che veniva sempre infranta.Tutti iNove ricevevano labici durante lacerimonia e non avrebbero mai dovutousarla prima di allora…ma quasi semprefratelliesorellemaggiorigliel’avevanogiàinsegnato di nascosto. Si era parlato dimodificarelaregolaediassegnarelebiciaun’età inferiore, e una commissione stavavagliando l’ipotesi. Era fonte di scherziinesauribili il fatto che qualcosa finisseall’esamediunacommissione:disicuro,sidiceva, i commissari sarebbero entrati

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nella Casa degli Anziani prima che unqualsiasi cambiamento venisse approvato.Era molto difficile cambiare le regole.Talvolta, se si trattavadi unadelle regolefondamentali, non come quella chedecretava l’età per andare in bici, l’iterprevedeva che questa alla fine venissesottoposta all’Accoglitore diMemorie perunadecisione.L’Accoglitore era la figura più

importante tra gli anziani. Jonas sapevacheesisteva,manonl’avevamaivisto;chiricopriva una posizione così onorevoleviveva e lavorava in solitudine. Ma dicerto i commissari non avrebbero maidisturbato l’Accoglitore per risolvere unabanale controversia sulle biciclette;semplicemente, si sarebbero arrovellati ilcervello, discutendone fra loro per anni,finché gli abitanti della Comunità non

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avessero finito per dimenticare di averlimaiinterpellatiinproposito.«Così» proseguì suo padre «guardai e

applaudii quando mia sorella Katyadiventò una Nove, si tolse i nastri daicapelliepreselasuabici,perònonprestaigrandeattenzioneaiDiecieagliUndici.Efinalmente, a conclusione del secondogiorno,chesembrònonfiniremai,toccòame:laCerimoniadeiDodici».Jonasrabbrividì.S’immaginòsuopadre

– che doveva essere stato un ragazzotimido e tranquillo, così come adesso eraun uomo timido e tranquillo – seduto colsuogruppoinattesadiesserechiamatosulpalco. La Cerimonia dei Dodici eral’ultimacerimoniaelapiùimportante.«Ricordo lo sguardo fiero dei miei

genitori.Edimiasorella.Benchéfremessedalla voglia di mostrarsi finalmente in

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pubblicoconlasuabici,smisediagitarsierimase ferma al suo posto, non appenavenneilmioturno».«A essere sinceri, Jonas,» continuò suo

padre «per me fu diverso, perché io eroquasicertodellamiadesignazione».Jonasrimasesorpreso.Non c’era davveromodo di conoscerla

in anticipo. Era una selezione segretaeffettuata dalle guide della Comunità, ilComitato degli Anziani, che se neassumeva la responsabilità tantoseriamente che sulle designazioni non siosavanemmenoscherzare.Anche sua madre sembrò perplessa.

«Comefaceviaconoscerla?»domandò.Suopadre allora sorrise congentilezza,

come era solito fare. «Be’, non avevodubbi sulla mia inclinazione e i mieigenitori in seguito mi hanno confessato

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che era ovvia anche per loro. Avevosempreamatoineobimbi,piùdiognialtracosa. Quando gli amici del mio gruppofacevano a gara con le bici o costruivanomacchine e ponti con le costruzioni oquando…»«Lesolitecosechefaccio ioconimiei

amici»sottolineòJonasconl’approvazionedisuamadre,cheannuì.«Ho sempre partecipato, ovviamente,

perché da bambini bisogna sperimentaretuttequestecose,emiimpegnavomoltoascuola,cometeJonas,maneltempoliberosentivo il costante desiderio di dedicarmiai neobimbi. Ho trascorso quasi tutte lemieorevolontarienelCentroPuericultura.E naturalmente gli anziani lo sapevano,perchémiavevanoosservato».Jonas annuì. In quell’anno si era reso

conto che di continuo – a scuola, durante

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laricreazioneeleoredivolontariato–glianziani tenevano d’occhio sia lui che glialtri Undici. Li aveva visti prendereappuntiesapevaanchecheavevanoavutolunghi colloqui con gli Istruttori cheavevano seguito lui e gli altri Undiciduranteiloroannidiscuola.«Per questo me l’aspettavo. Ne fui

contento, ma per niente sorpreso, quandomi venne assegnato l’incarico diPuericultore»conclusePapà.«Applaudironotutti,anchesenonerano

sorpresi?»domandòJonas.«Certamente. Erano contenti per me,

perché quella era la designazione chedesideravo di più. Mi sono sentito moltofortunato».Suopadresorrise.«QualcheUndici rimase deluso nel tuo

anno?» domandò Jonas. A differenza delpadre,luinonavevaideadiqualesarebbe

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stata lasuadesignazione,peròsapevachealcune non lo avrebbero soddisfatto. PurrispettandoillavorodiPapà,peresempio,non gli sarebbe piaciuto fare ilPuericultore. E non invidiava affatto iLavoranti.Suo padre rifletté. «No, non credo.Gli

anziani sono molto accurati nelle loroosservazioni»dissePapà.«Credochesia il lavoropiù importante

dellaComunità»commentòsuamadre.«Fu una sorpresa per la mia amica

YoshikovenireselezionatacomeDottore»dissePapà«mane fuentusiasta.Epoi,cifu Andrei. Ricordo che da ragazzi nonvoleva mai fare movimento. Durante laricreazione passava quanto più tempopoteva con le sue costruzioni, e le ore divolontariato le impegnava sempre neicantieri edili. Gli anziani ovviamente lo

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sapevano. Ad Andrei fu conferita ladesignazione di Ingegnere e ne rimasesoddisfatto».«In seguito progettò il ponte sul fiume

che mette in collegamento con la parteovest della Comunità» disse la madre diJonas. «Non esisteva ancora quandoeravamobambini».«È raro che qualcuno resti deluso,

Jonas»lorassicuròilpadre.«Nonpensotudebba preoccupartene. E, se accadesse,potrestisemprefarericorso».Maaquestabattuta risero tutti e quattro: i ricorsifinivanoall’esamediunacommissione.«Sono un po’ preoccupato per la

designazionediAsher»confessòJonas.«Èuntipocosìbuffo,manonhainteressiseri.Tuttoèungiocoperlui».Suo padre ridacchiò. «Sai, ricordo

quandoAshereraunneobimbo,alCentro

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Puericultura: non faceva che ridere, erauna gioia per tutto il personale badare alui».«Gli anziani conoscono Asher, gli

troveranno la designazione adatta, nontemere» lo rassicurò Mamma. «Piuttosto,Jonas, volevo avvertirti di qualcosa cuiforsenonhaipensato.IononcihopensatochedopolaCerimoniadeiDodici».«Dichesitratta?»«Be’, quella dei Dodici è l’ultima

cerimonia,comesai.Daallorainpoi,l’etànon conta più. La maggior parte di noiperdelacognizionedegliannichepassano,sebbene ogni informazione rimangacustodita nell’Archivio Dati Accessibili,che si può consultare ogni volta che sidesidera. L’importante è prepararsi allavita adulta e addestrarsi nel propriocampo».

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«Loso,»disseJonas«losannotutti».«Ma vuol dire» proseguìMamma «che

entrerai in un nuovo gruppo, come tutti ituoiamici.Nonpotraipiùpassareiltempoin compagnia del tuo gruppo di Undici.Dopolacerimonia,ciascunodivoiDodicidovrà frequentare il suo gruppo didesignazione insieme a nuovi compagni.Niente più ore di volontariato.Niente piùricreazione.Nonpotraipiùstareconituoivecchiamici».Jonasscosselatesta.«Asher e io continueremo a essere

amici» disse con fermezza. «E poi c’èsemprelascuola».«È vero» concordò Papà. «Ma è anche

vero, come ha detto tua madre, che cisarannodeicambiamenti».«Cambiamenti in meglio, però»

sottolineòMamma. «Io, per esempio, per

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unpo’hosentitolamancanzadelleorediricreazione;mapoi,quandohocominciatol’addestramentoperLeggeeGiustizia,misonofattanuoviamiciditutteleetà».«Hai più giocato dopo i Dodici?» le

chieseJonas.«Ogni tanto. Ma non mi sembrava più

cosìimportante».«Io ho continuato a giocare» disse suo

padre, ridendo. «Gioco tuttora. Ognigiorno, al Centro Puericultura, gioco anascondino e a cavallina e ad abbraccial’orsacchiotto». Accarezzò i capelli bentagliati di Jonas. «Il divertimento nonfiniscequandodiventiunDodici».Lily,prontaperlanotte,comparvesulla

soglia e sospirò impaziente. «Questo èdavverounlunghissimocolloquioprivato»protestò.«Equic’èqualcunocheaspettailsuooggettodiconforto».

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«Lily,» disse dolcemente Mamma «trapocodiventeraiunaOttoeiltuooggettodiconfortopasseràaunbambinopiùpiccolo.Dovrestiabituartiadormiresenza…».Ma Papà era già andato verso uno

scaffaleeavevatiratogiùunelefantinodipezza.Moltioggettidiconfortoeranomorbide

creature di pezza. Jonas aveva avuto unorso.«Ecco qua, Lily-trilli» le disse Papà.

«Verròadaiutartiasciogliereinastripericapelli».Sorridendo, Jonas e sua Mamma

seguirono con sguardo affettuoso Lily ePapà che andavano nella stanza dellapiccola, con l’elefantedi pezza che le erastato assegnato come oggetto di confortofin dalla nascita. Poi Mamma andò allascrivaniaeaprìunacartellina:ilsuolavoro

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sembravanonaveremaifine.AncheJonasandò alla propria scrivania e riordinò gliappunti per il compito serale, macontinuava a pensare a dicembre e allacerimonia.Anche se i discorsi dei genitori lo

avevano un po’ rasserenato, non aveva lapiùpallidaideadicosaglianzianiavesseroin mente per lui, né di come avrebbereagitoquandoilmomentofossearrivato.

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«Oh, guarda! Non è carino? Com’èpiccolo! E ha occhi buffi come i tuoi,Jonas!» cinguettò Lily, deliziata. Jonas lafulminò con lo sguardo, seccato daquell’accenno ai suoi occhi. Si aspettavache il padre rimproverasse la sorella, maeratroppooccupatoastaccarelacestadalportapacchi della bici. Comunque, fuproprio quella la prima cosa che ancheJonas notò, appena si avvicinò alneobimbochesiguardavaintornocurioso.Gliocchichiari.Praticamente tutti, nella Comunità,

avevano gli occhi scuri: i suoi genitori,

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Lily, i compagni del suo gruppo d’età…Leeccezionieranorarissime:JonasstessoeunapiccolaCinquecheanche lui avevanotato.Nessuno ne parlava; non che fosse una

regola tacerne, tuttavia era consideratoscortese richiamare l’attenzione sullediversità individuali poiché fonte diturbamento e Lily avrebbe fattomeglio aimpararloallasveltaosarebbestatapunitaper le sue chiacchiere sventate. Papàsistemò labici sotto ilportico, raccolse lacesta ed entrò in casa. Prima di correrglidietro, Lily si voltò verso Jonas e lopunzecchiò dicendo: «Chissà, forse ha latuastessaPartoriente».Jonas scrollò le spalle e li seguì dentro

casa, ancoraunpo’ turbatodagli occhi diquelbambino.C’eranopochispecchinellaComunità: non che fossero proibiti, però

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nonsenesentivailbisognoeJonasnonsiera guardato a lungo, quando gli eracapitato di trovarsene uno di fronte. Maora, fissando il neobimbo, pensò che gliocchi chiarinonerano soltantouna rarità,ma conferivano allo sguardo del loropossessore una certa… profondità, ecco.Comequandosiguardal’acquadelfiume,giù sino in fondo, dove possono celarsichissà quali segreti. In quel momento sirese conto che anche lui aveva lo stessotipodisguardo.Andò alla scrivania, fingendo di non

essereinteressatoalneobimbo.Dall’altra parte della stanza,Mamma e

Lily erano chine a osservarePapà che glitoglievalacopertina.«Come si chiama il suo oggetto di

conforto?»chieseLily,prendendoinmanola creatura di pezza che si trovava nella

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cestainsiemealpiccolo.«Ippo»risposePapà.Lily ridacchiò a quella parola strana.

«Ippo»ripeté,rimettendologiù.Osservòilneobimbo agitare le braccia. «Sono cosìcarini, i neobimbi» sospirò. «Mipiacerebbe ricevere la designazione diPartoriente».«Lily!» scattò Mamma. «Non dirlo

nemmenoperscherzo.Èunadesignazionemoltopocoonorevole».«Ma ne parlavo con Natasha, la Dieci

cheabita subitodietro l’angolo.Leipassale sue ore di volontariato al CentroNascite, e mi ha detto che le Partorientimangiano cibi squisiti e per la maggiorpartedel tempogiocanoesidivertono.Iodico che mi piacerebbe» insisté Lily,petulante.«Treanni»replicòbruscaMamma.«Tre

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nascite, ed è finita. Dopodiché diventanoLavorantiperilrestodellavita,finchénonentranonellaCasadegliAnziani.Èquestoche vuoi, Lily? Tre anni di ozio e poipesanti lavori manuali fino allavecchiaia?»«Be’, no, penso di no» riconobbeLily,

riluttante.Papà mise il neobimbo bocconi nella

cesta e gli strofinò la schiena con unmovimentoritmico.«Comunque, Lily-trilli» la consolò «le

Partorientineanche livedono, ineobimbi.Se i piccoli ti piacciono tanto, dovrestisperare in una designazione comePuericultore».«QuandosaraiunaOttoeinizieraiiltuo

volontariato, prova a fare qualche ora alCentroPuericultura»suggerìMamma.«Sì, credo che lo farò» disse Lily. Poi

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s’inginocchiò accanto alla cesta. «Comehai detto che si chiama? Gabriel? Ehi,Gabriel» disse cantilenante e rise tra sé.«Ooops» bisbigliò. «Credo che si siaaddormentato.Faròmeglioastarezitta».AJonas,tornatoallascrivaniaperfinire

i compiti, sfuggì un sorriso. Figuriamoci,pensò. Lily non stava mai zitta.Probabilmentel’idealeperleisarebbestatofarelaSpeaker,perstarsenesedutatuttoilgiorno a fare annunci al microfono.Sorrise, immaginandosi la sorellacomunicare,conqueltonorisolutocheeraproprio di tutti gli Speaker, annunci deltipo “ATTENZIONE! SI RICORDA ATUTTELEBAMBINE SOTTO INOVECHEINASTRIPERCAPELLIDEVONOESSERESEMPREBENLEGATI”.Si voltò a guardarla: come al solito, i

suoi nastri penzolavano sciolti. Poco ma

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sicuro, fra non molto sarebbe statodiramato un annuncio direttoprincipalmentealei,ancheseilsuonome,ovviamente, non sarebbe stato fatto. Matuttiavrebberocapito.Come tutti avevano capito, ricordò con

vergognaper l’umiliazionesubita,cheerastato diretto a lui personalmentel’annuncio: “ATTENZIONE! SIRICORDAAGLIUNDICIMASCHICHENIENTE VA PORTATO VIADALL’AREADIRICREAZIONEECHELE MERENDE VANNO MANGIATE,NONACCUMULATE”.Il mese prima, infatti, si era portato a

casaunamela.Nessunone avevaparlato,nemmeno i suoi, perché l’annunciopubblico era bastato a produrre il dovutorimorso;elamattinasuccessiva,primacheiniziassero le lezioni, aveva restituito la

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mela e fatto le sue scuse alCaporicreazione. Jonas riflettè di nuovosull’incidente.Neeratuttorasconcertato.Nontantoper

viadell’annuncioodellescusenecessarie,quella era la prassi e se l’era meritata,quantoperl’incidenteinsé.Probabilmente avrebbe dovuto tirare

fuori il suo sconcerto quella sera stessa,quando l’unità familiare stavacondividendo le emozioni della giornata.Ma non era stato capace di scegliere leparole più adatte a esprimere l’originedella sua confusione interiore, così avevalasciatoperdere.Era successo durante la ricreazione,

mentre giocava con Asher. Jonas avevapreso unamela dal cesto dellamerenda egliel’aveva tirata; l’amico gliel’avevarilanciataecosìsieranomessiagiocarea

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palla.Non c’era niente di strano, ci avevano

giocato un’infinità di volte prima: lancia,prendi al volo; rilancia, riprendi al volo.Non era faticoso per Jonas, solo un po’noioso, mentre ad Asher piaceva ed erainoltreun’attività chedoveva fare, perchéavrebbe migliorato la sua coordinazioneocchio-mano, che era al di sotto deglistandardprevisti.D’un tratto, seguendo con gli occhi la

sua traiettoria, Jonas aveva notato che lamela… be’, era mutata, sebbene nonriuscisse a capire né come né perché. Perunistantesoltanto.Eramutataamezz’aria,lo ricordava perfettamente. Poi l’avevapresaalvoloederarimastoafissarla,maera tornata a essere la solitamela. Stessaforma, stesse dimensioni: una sferaperfetta. E la stessa sfumatura

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indescrivibile,quasiidenticaaquelladellasua tunica. Non aveva assolutamenteniente di particolare. Se l’era passata daunamano all’altra per alcune volte e allafinel’avevatiratadinuovoadAsher.Edinuovo–inaria,perunmomento–lamelaera mutata. Era successo altre quattrovolte.Jonas aveva battuto le palpebre, si era

guardato attorno, poi aveva datoun’occhiataallatarghettad’identificazioneattaccata alla sua tunica. Leggeva ilproprio nome chiaramente. E conaltrettanta chiarezza vedeva Asherdall’altra parte del campo. E non avevaavutoproblemiadafferrarelamela.Quell’esperienza lo colpì

profondamente.«Ash?» aveva gridato, confuso. «Hai

notatonientedistranonellamela?»

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«Sì. Non fa che scapparmi di mano!»esclamòdivertitoAsherelamelaglicaddedinuovo.AncheJonasavevarisoesierasforzato

di ignorare l’inquietante sensazione chequalcosa fosse accaduto. Però,infrangendo le regole dell’area ricreativa,si era portato via la mela e quella sera,prima che i genitori e Lily rientrassero,l’aveva tenuta a lungo fra le mani,fissandolaattentamente.Era un po’ ammaccata, perché Asher

l’aveva fatta cadere parecchie volte, perònonavevaniented’insolito.L’avevaperfinoosservataconunalente

d’ingrandimento, poi l’aveva lanciata piùvolte attraverso la stanza e l’aveva fattarotolare a lungo sulla scrivania, in attesacheilfenomenosiripetesse.Manonsieraripetuto.

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E poi, in serata, era stato diramatol’annuncio che aveva indotto i suoigenitoriaguardareinmanieraeloquentelamela,ancorasullascrivania.Ora, seduto a quella stessa scrivania,

Jonas scosse la testa, tentando didimenticarelostranoincidente,esisforzòdifinireicompitiprimadelpastoserale.Il neobimbo, Gabriel, si agitò e

piagnucolò,ePapàspiegòsottovoceaLilylaproceduradinutrizione,mentreaprivalavaligettachecontenevatuttoilnecessario.Laseratrascorsecometuttelealtresere:

tranquilla, raccolta, un tempo di riposo epreparazioneper il nuovogiorno.L’unicadifferenza era il neobimbo con i suoichiari,solenniocchiprofondi.

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4

Jonas pedalava senza fretta,controllando ogni singola rastrellieradavanti a ogni edificio alla ricerca dellabici diAsher.Era raro che trascorresse leore di volontariato insieme all’amico,perché i suoi continui scherzi rendevanodifficile lavorare seriamente; ma ora, conlaCerimonia deiDodici ormai alle porte,lacosanonsembravapiùtantoimportante.La libertà di scegliere come passare

quelleoreerasempresembrataaJonasunlusso incredibile: tutte le altre eranoregolateconunataleprecisione!RicordavaquandoeradiventatounOtto,

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come Lily di lì a poco, e aveva dovutocompierequellascelta.Gli Otto affrontavano sempre le loro

prime ore di volontariato con un certonervosismo,ridacchiandoestringendosiincrocchi e, quasi invariabilmente, letrascorrevano nella familiare area diricreazione,aiutandoipiùpiccoli.Mapoi,conl’aumentaredellasicurezzainsestessiedellamaturità,cominciavanoadedicarsiad altri compiti, prediligendo quelli piùconsoni alle loro attitudini e inclinazioni.Un Undici di nome Benjamin avevatrascorsoquasituttiiquattroannidellesueore di volontariato nel CentroRiabilitazione,curandogliabitantimalati:ormai, si diceva, ne sapeva quanto glistessiPrimari,eavevaaddiritturainventatoun metodo per facilitare la riabilitazione.Senza dubbio, Benjamin sarebbe stato

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assegnato a quel campo di attività eprobabilmenteavrebbesaltatobuonapartedell’addestramento. Jonas eraimpressionato dai suoi successi, ma, purconoscendolo bene perché erano semprestati compagni di gruppo, non si era maicongratulatoconlui,perevitaredimetterloin imbarazzo: non c’era modo dicomplimentarsi con qualcuno senzacorrere il rischio d’infrangere, ancheinvolontariamente, la regola contro lavanità.Eraunaregolasecondariaperviolazioni

meno gravi, come per esempio lamaleducazione, che implicava unapunizioneleggera.Tuttavia,megliotenersialla larga da circostanze in cui era quasiinevitabiletrasgredire.Lasciandosi alle spalle la zona

residenziale della Comunità, Jonas

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continuòapedalaresperandodiscorgerelabicidiAsherdavantiaunodeibassiedificilavorativi. Oltrepassò il Centro Infanzia,doveLilysi trattenevaneldoposcuolaeilparcogiochi che lo circondava; attraversòla Piazza Centrale e superò l’ampioAuditoriumdovesisvolgevanoleriunionipubbliche.Rallentò e lesse le targhette delle bici

allineate davanti al Centro Puericultura;poi controllò quelle davanti al CentroDistribuzione Viveri, sperando che Asherfosse lì: sarebbe stato divertente fareinsieme igiridiconsegna, trasportando lescatole con le provviste del giorno nellecase della Comunità. Invece, quandofinalmente la trovò – appoggiata al murocome sempre, anziché ordinatamenteinfilata nella rastrelliera – la bicidell’amico era davanti alla Casa degli

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Anziani.C’era soltantoun’altrabici dabambini,

là:quelladiunaUndicidinomeFiona.AJonaspiacevaFiona.Eraunabravaallieva,tranquilla ed educata, ma possedeva unnotevolesensodell’umorismoeperciònonlosorpresechequelgiornositrovasseconAsher. Infilò con cura la bici nellarastrelliera accanto alle loro due ed entrònell’edificio.«Ciao, Jonas» lo salutò l’Addetta

all’Accoglienza, porgendogli il foglio dipresenzaemettendopoiuntimbroaccantoallasuafirma.Tuttelesueoredivolontariatovenivano

registrate nell’Archivio Dati Accessibili.Una volta, molto tempo prima, simormoravatraibambiniche,unUndicisifossepresentatoallaCerimoniadeiDodicisolo per sentire annunciare che, non

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avendo completato le sue ore divolontariato, non avrebbe ricevuto alcunadesignazione; gli era stato concesso unmesesupplementareperultimarle,epoiladesignazione gli era stata data in privato,senzaapplausinécelebrazioni:undisonorecheavevacompromessotuttoilsuofuturo.«Mi fa piacere che oggi ci sia qualche

volontario»glidisseladonna.«Stamattinaabbiamo celebrato un congedo e questoprovocasempreunpo’diconfusioneediritardi». Controllò il modulo sulla suascrivania. «Dunque, vediamo… Asher eFiona stanno aiutando nei bagni…perchénontiuniscialoro?Saidovesono,vero?»Jonas annuì e, dopo averla ringraziata,

s’incamminò nel corridoio, sbirciando ditanto in tanto nelle stanze che lofiancheggiavano. Gli anziani sedevanotranquilli, alcuni in gruppetti a

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chiacchierare, altri occupati con semplicilavori manuali; qualcuno dormiva. Ognistanza era ammobiliata in modoconfortevole, col pavimento coperto dauno spesso tappeto. Era un luogo sereno,dairitmilenti,bendiversodagliindaffaraticentri di produzione e distribuzione dellaComunità.Jonas era contento di avere svolto le

proprieoredivolontariatoinpostisemprediversi, in modo da conoscere ognisfumatura della vita dellaComunità; peròsirendevacontocheproprioilfattodinonessersi indirizzato verso un’area benprecisagli rendeva impossibile fareanchesoloun’ipotesisullasuadesignazione.Sorrise lievemente. “Stiamo ancora

pensando alla cerimonia, Jonas?” sidomandò, prendendosi in giro da solo.Eppure, con l’avvicinarsi di quell’evento,

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il sospetto che anche tutti i suoi amici cistessero pensando era quanto menoplausibile.Incrociò un Assistente che passeggiava

lentamente nel corridoio, sorreggendoun’anziana.«Salve, Jonas» lo salutò gentilmente il

giovanotto in camice.Ladonnaaccantoalui continuò a strascicare le pantofole esorrise con occhi scuri e vacui. Jonas siresecontocheeracieca.Finalmente Jonas entrò nella calda aria

umida, profumata di lozioni detergenti,della sala da bagno; si tolse la tunica,l’appeseaunganciosullapareteeindossòunodeicamicidavolontarichegiacevanosullemensole.«Ehi, Jonas!» lo chiamò Asher

dall’angolo dov’era inginocchiato accantoa una vasca.VideFiona vicino a un’altra

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vasca: la ragazzina alzò lo sguardo e glisorrise, senza smettere di lavaredelicatamente un anziano distesonell’acquacalda.Jonassalutòsia lorochegli altri Assistenti e si diresse alla fila dipoltrone dov’erano in attesa gli anziani:aveva già lavorato lì e sapeva che cosafare.«Toccaate,Larissa»disse,leggendola

targhetta sulla vestaglia della donna.«Apro l’acqua e poi ti aiuto ad alzarti».Premetteilpulsantesopraunavascavuotalìaccantoeosservòl’acquacaldasgorgareda numerosi piccoli fori sulle pareti: nelgiro di un minuto, la vasca si sarebberiempita e il flusso si sarebbe arrestatoautomaticamente.Aiutòladonnaadalzarsidallapoltrona,

lacondusseallavasca,letolselavestagliaelasorressementresicalavanell’acquae

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si sdraiava con un sospiro di sollievo,appoggiandolatestasuunpiccolocuscinomorbido.«Comoda?»lechieseeleiannuìaocchi

chiusi. Jonas versò la lozione detergentesullaspugnapulitacheerasulbordodellavasca e cominciò a lavare il corpo fragiledell’anziana. La sera precedente avevaosservato il padre mentre lavava ilneobimbo.L’atmosferalìerapraticamenteidentica:lapelledelicata,ilpoterelenitivodell’acqua, il movimento leggero dellamano che a contatto col sapone scivolavasul corpo, dolcemente. Anche il sorrisobeato, sereno della donna gli ricordavaquellodiGabriel.Ecosìpurelanudità.Era proibito, sia ai bambini che agli

adulti,fissarelanuditàaltrui,malaregolanonsiapplicavaaineobimbieaglianziani.Jonasneerafelice.Eraunatalenoiastare

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attenti a non scoprirsi mentre ci sicambiava per giocare, e le scuse richiestesepersbagliosiintravedevaunaltrocorpoerano così imbarazzanti. Non riusciva acapirnelanecessità.Glipiacevailsensodisicurezzacheemanavaquellasalacaldaetranquilla; gli piaceva l’espressionefiduciosa della donna mentre giacevanell’acqua:indifesa,espostaelibera.Con la coda dell’occhio vide Fiona

aiutare l’anziano a uscire dalla vasca,asciugare teneramente il suo esile corponudo e porgergli la vestaglia. Credendoche Larissa fosse scivolata nel sonno,come spesso capitava agli anziani, Jonasfece attenzione a non svegliarla conmovimenti bruschi della mano. Così sistupì quando la donna gli parlò, senzaapriregliocchi.«Stamattina abbiamo celebrato il

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congedo di Roberto» gli disse. «È statobellissimo».«Lo conoscevo» rispose Jonas. «L’ho

aiutato a nutrirsi l’ultima volta che sonovenuto qui, poche settimane fa. Era unuomodavverointeressante».Larissa aprì gli occhi, felice. «Hanno

raccontato tutta la sua vita, prima dicongedarlo. Lo fanno sempre. Ma, peressere onesti» bisbigliò maliziosa «certevolteèunafaccendapiuttostonoiosa,robada addormentarsi… come quando hannocongedato Edna, per esempio. Laconoscevi?».Jonas scosse la testa. Non ricordava

nessunaEdna.«Be’, hanno tentato di far sembrare

significativa anche la sua vita.Naturalmente» aggiunse compunta «tuttele vite sono significative, non dico di no.

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Ma Edna! Santa bontà. È stata unaPartoriente, poi ha lavorato allaProduzioneViverieallafineèvenutaqui.Non ha mai neanche avuto un’unitàfamiliare». Allungò il collo per accertarsiche nessun altro ascoltasse e bisbigliò:«Non credo che Edna fosse molto ingamba». Sorridendo, Jonas le sciacquò ilbraccio sinistro, lo rimise nell’acqua ecominciò a lavarle i piedi. La donnamugolò soddisfatta mentre glielimassaggiavaconlaspugna.«La vita di Roberto, invece, è stata

bellissima»proseguìdopounpo’.«ÈstatounIstruttoredegliUndici–esaiquantoèimportante – e poi ha fatto parte delComitatoPianificazione.E…santa bontà,nonsopropriodoveabbiatrovatoiltempo,ha allevato due splendidi bambini e haanche progettato l’assetto della Piazza

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Centrale; a lui si deve la sola ideazione,s’intende,noncertoillavoromanuale».«La schiena, adesso. Curvati, che ti

aiutoasedertipiùsu». Jonas lacinseconunbraccioe lasorressementresimettevaseduta, poi le strizzò la spugna contro laschiena e prese a strofinarle le spalleossute.«Dimmidellacerimonia».«Be’, prima hanno raccontato la sua

vita, come sempre. E poi c’è stato ilbrindisi: abbiamo alzato i bicchieri,applaudito e cantato l’inno. ERoberto hafatto uno splendido discorso di congedo.Poimoltidinoihannofattobrevidiscorsiaugurali. Non io, però. Non mi è maipiaciuto parlare in pubblico… Era cosìemozionato.Avresti dovuto vedere la suafacciaquandosiècongedato».Jonas le strofinò la schiena più

lentamente.

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«Larissa,» chiese pensoso «in cosaconsiste ilcongedoveroeproprio?Dov’èandatoesattamenteRoberto?».La donna scrollò le spalle nude e

bagnate. «Non saprei. Credo che nessunolo sappia, eccetto il comitato. So soltantocheRobertociharivoltounbreveinchinoe poi ha varcato la porta della Sala delCongedo. Avresti dovuto vedere la suaespressione:gioiaallostatopuro,ecco».Jonas sorrise. «Mi sarebbe piaciuto

esserci».Larissaaggrottòlafronte.«Noncapisco

perché ai bambini non sia permessoassistere alla cerimonia. Mancanza dispazio,suppongo.Dovrebberoampliare lasala».«Potremmo proporlo al comitato… di

sicuroorganizzerebbeunacommissionedistudio»scherzòJonas,scoppiandoaridere.

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«Comeno!»esclamòLarissa, ridendoasuavoltadigusto,mentreJonaslaaiutavaausciredallavasca.

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5

Disolito,Jonasnoncontribuivagranchéal rituale mattutino in cui ogni membrodella famiglia raccontava cosa avevasognatolanotte.Lui sognava di rado. A volte si

svegliava col ricordo di impressioniconfuse, fluttuanti, di cui non sembravamaiafferrarel’essenza,rinunciandocosìariordinarle per estrarne qualcosa chevalesselapenadiraccontare.Quella mattina, però, fu diverso. Il

sogno della notte precedente era statoestremamentevivido.Distrattamente, ascoltò Lily riferire un

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lungo sogno, pauroso stavolta, nel qualeera stata sorpresa dagli Addetti allaSicurezzamentre,controleregole,andavasullabicidiMamma.«Grazie per il tuo sogno, Lily» disse

Jonas automaticamente e tentò di prestaremaggiorattenzionealraccontodellamadreriguardo a un sogno inquietante chel’avevavista vittimadi unapunizioneperl’infrazione di regole incomprensibili.Insiemedeciseroche,probabilmente,erailrisultato del suo turbamento per averdovuto punire un cittadino per la secondavolta.Papà disse di non aver sognato.

«Gabe?»chiesepoiabbassandolosguardosulla cesta dove il neobimbo, appenanutrito,gorgogliavaallegramente inattesadiessereriportatoalCentroPuericultura.Risero tutti e quattro. Fino alla

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Cerimonia dei Tre si era esentati dallacondivisionedeisogni:nessunosapevaseineobimbisognassero.«Jonas?» domandò Mamma. Lo

interpellavano ogni volta, ma sapevanobenissimo che solo di rado Jonas avevasognidaraccontare.«Io ho fatto un sogno, stanotte»

annunciò Jonas, spostandosi sulla sedia ecorrugandounpo’lafronte.«Bene»dissePapà.«Raccontacelo».«Adireilveroidettaglinonsonomolto

chiari» si scusò Jonas, tentando divisualizzaredinuovolostranosogno.«Mitrovavo inunasaladabagno…credochefossequelladellaCasadegliAnziani».«Cioèdovetitrovaviieri»fecenotareil

padre.Jonas annuì. «Ma non era proprio la

stessastanza.C’erasoltantounavasca,nel

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sogno,mentrequellaveranehainterefile.Lastanzadelsognoeracomunquecaldaepienadi vapore.Ero apettonudo, perchémi ero tolto la tunica senza indossare ilcamice, e sudavo per il caldo. E c’eraancheFiona,propriocomeieri».«EAsher?»chieseMamma.Jonasscosselatesta.«No.Soltantoioe

Fiona,vicinoallavasca.Leirideva,maiono. Anzi… ero quasi arrabbiato con lei,perchénonmiprendevasulserio».«Riguardoacosa?»domandòLily.Jonas abbassò lo sguardo sul piatto, in

preda a un leggero imbarazzo che luistessofaticavaacomprendere.«Immaginovolessi convincerla a entrare nella vascapienad’acqua».Feceunapausa.Sapevadinon dover tralasciare nulla, che era nonsologiustomaanchenecessarioraccontaretuttoilsogno.Quindisisforzòdiriferirela

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partechelomettevapiùadisagio.«Volevo che si togliesse i vestiti ed

entrasse nella vasca» spiegò in fretta.«Volevo lavarla. Avevo la spugna inmano. Ma lei non voleva e continuava aridereeadiredino».Alzò lo sguardosuigenitori.«Questoè

tutto»concluse.«Puoi descrivere l’emozione prevalente

neltuosogno,figliolo?»chiesePapà.Jonascipensòsu.Idettaglieranonebulosi,maleemozioni

erano nitide e, mentre ci pensava,tornaronoatravolgerlo.«Il desiderio» disse. «Sapevo che lei

non voleva e credo di aver anche saputoche non doveva. Però lo desideravo cosìtanto.Sentivoqueldesiderioattraversarmituttoilcorpo».«Grazie per il tuo sogno, Jonas» disse

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Mamma dopo un istante, lanciandoun’occhiataaPapà.«Lily»dissePapà«ètempodiandarea

scuola. Vuoi venire in bici con me,stamattina,etenered’occhioilneobimbo?Cosìsaremosicurichenonrischidicaderemuovendosinellacesta».Jonasfeceperalzarsieraccogliereisuoi

libri, un po’ stupito che non avesserominimamentediscussodelsuosognodopolaconsuetafrasediringraziamento:chissà,forseeranoconfusiquantolui.«Aspetta, Jonas» lo bloccò Mamma.

«Scriverò una giustificazione per il tuoIstruttore, così non dovrai scusarti perl’eventualeritardo».Perplesso, Jonas si lasciò ricadere sulla

sedia,salutòPapàeLilycheuscivanoconGabe, e guardò Mamma raccogliere gliavanzidelpastomattutinoinunavaschetta

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cheavrebbepoilasciatodavantiallaportaperlaSquadradiRaccolta,primadiandarefinalmenteasedersiaccantoalui.«Jonas» gli disse sorridendo «sai che

cos’è l’emozione che hai definitodesiderio?ÈlatuaprimaPulsione.Ioetuopadreaspettavamoquestomomentodaungiorno all’altro. Capita a tutti. A Papàvenneroquandoaveva la tuaetà.Ecosìame. Un giorno le avrà anche Lily… Emolto spesso» continuò Mamma «hannoinizioconunsogno».Pulsione. Conosceva quella parola.

RicordavachenelLibrodelleRegolec’eraun riferimento alle Pulsioni, però nonricordava che cosa si dicesse al riguardo.E,ditantointanto,siudivaunannuncioinproposito:“ATTENZIONE!SIRICORDADI DICHIARARE LE PULSIONI PERASSICURARNE LA CURA

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IMMEDIATA”.Aveva sempre ignorato quell’annuncio

incomprensibile, che sembrava non averenienteachefareconlui.Comelamaggiorpartedegli abitanti dellaComunità, ancheJonas ignoravamolti degli ordini e avvisilettidalloSpeaker.«Devo dichiararla?» chiese, inquieto,

allamadre.Leirise.«Lohaigiàfatto,pocofa.Èpiù

chesufficiente».«Ma… la cura? Lo Speaker parla

sempre di una cura…» disse avvilito.Proprio a un soffio dalla Cerimonia deiDodici, la sua Cerimonia dei Dodici,sarebbedovutoandare chissàdovea farsicurare? E solo per colpa di uno stupidosogno?«No, no» lo rassicurò Mamma,

trattenendosi di nuovo da ridere. «Dovrai

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soltantoprenderedellepillole,tuttoqui.ÈquestalacuraperlePulsioni».Jonas s’illuminò.Sapevadellepillole. I

suoigenitorileprendevanoognimattina.Ecosìpurealcunicompagnidelsuogruppodietà,daquantosapeva.Una volta stava andando a scuola con

Asher, quando il padre dell’amico avevagridatosullasogliadicasa:«Haiscordatola pillola,Asher!».EAsher avevavoltatola bici sbuffando ed era tornato indietro,mentreJonasloaspettava.Nongliavevafattodomande,però:non

era ilgeneredicosechesichiedonoaunamico, perché poteva rientrare nelladelicata categoria della “diversità”. Asherprendevaunapillolaognimattinae Jonasno. Era meno rischioso parlare di quellecosechefacevanoentrambi.Obbediente, inghiottì la pillola che sua

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madregliporgeva.«Tuttoqui?»domandò.«Tutto qui» rispose lei, rimettendo la

boccettanella credenza.«Non scordarediprenderla ogni mattina. Per le primesettimaneteloricorderòio,mapoidovraipensarci da solo: se te ne dimentichi, lePulsioni e i sogni che le riguardanotorneranno.Avolte può essere necessarioregolareildosaggio».«Anche Asher le prende» le confidò

Jonas.Suamadre non parve sorpresa. «E così

pure molti dei tuoi compagni di gruppo,probabilmente… i maschi quanto meno.Presto le prenderanno tutti, comprese lefemmine».«Finoaquandodovròprenderle?»«Per tutta la tua vita adulta,» spiegò la

madre «finché non entrerai nella Casa

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degli Anziani. Diventerà un’abitudine edopo un po’ finirai per buttarle giù senzaneanche farci caso». Guardò l’orologio.«Se esci subito, eviterai di fare tardi ascuola.Su,svelto…egrazieancoraper iltuo sogno, Jonas» aggiunse mentre lui sistavaavviandoversolaporta.Pedalando rapido sul vialetto, Jonas si

sentìstranamentefieroall’ideadiprendereanche lui le pillole, comegli altri. Per unattimo, però, gli tornò inmente il sogno:era stato piacevole e, benché fosseroconfuse,glieranopiaciuteleemozionichesua madre aveva chiamato Pulsioni.Ricordava che, al risveglio, ne avevasentitolamancanza.Poi, proprio come la dimora scivolava

piùlontanadaluiaognipedalata,ilsognoscivolòviadai suoipensieri.Brevemente,con un fugace senso di colpa, tentò di

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riafferrarlo, ma ormai le emozioni eranoscomparse.LaPulsioneerasvanita.

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6

«Lilysu,perpiacere,sta’unpo’ferma»ripeté Mamma per l’ennesima volta,mentre la bambina, ritta davanti a lei, sidimenavaspazientita.«Sofarlidame,ifiocchi»protestò.«Li

facciosempre».«Loso»replicòMamma,raddrizzandoi

nastri che le fermavano le trecce. «Ma sopurechenonfannoaltrochesciogliersi,esarannosicuramentescioltidiquiastasera.Almenoperoggigradireichequestinastrifossero legati come si deve e cherestasserocosì».«Non mi piacciono i nastri. Sono

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contenta di doverli portare ancora perpoco» sbuffò Lily, irritata. «E l’annoprossimoavròanchelamiabici»aggiunsepoi,piùallegramente.«Ogni anno ha i suoi lati positivi» le

ricordò Jonas. «Quest’anno, per esempo,potraiiniziareconiltuovolontariatoepoi,ricordil’annoscorso,quandoseidiventataunaSette?Ericosìcontentadi ricevere lagiacca con i bottoni sul davanti?» Labambinaannuì e abbassò lo sguardo sullafila di grossi bottoni di quella giacca chefacevadileiunaSette.IQuattro,iCinquee i Sei indossavano tutti giacchetteabbottonate sulla schiena, in modo dadoversiaiutarel’unl’altro,imparandocosìl’interdipendenza.Lagiaccaconibottonisuldavantierail

primo segno di autonomia, il primosimbolo visibile di crescita, così come la

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biciclettaindicavaperiNovelacapacitàdimuoversi da soli all’interno dellaComunità, lontano dalla protezionedell’unitàfamiliare.Sogghignando, Lily sgusciò via

divincolandosidallamadre.«Equest’annoc’èlatuadesignazione»disseaJonastuttaeccitata.«SperotidesigninoPilotacosìmiporteraiconteavolare!»«Comeno»disseJonas.«Etiprocurerò

ancheunpiccoloparacadutespeciale,fattoapposta per te, ti porterò in alto in alto…apriròilportelloe…»«Jonas» lo interruppe minacciosa la

madre.«Stavo solo scherzando» mugugnò lui.

«E comunque non voglio la designazionediPilota.SeèPilota,faccioricorso».«Non esageriamo, su» disse Mamma,

poi diede un’ultima sistemata ai nastri di

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Lily.«Jonas?Seipronto?Haipresolapillola?

Voglio trovare un buon postonell’Auditorium» disse sospingendo labambinaversolaportaeJonaslaseguì.Nel breve tratto di strada fino

all’Auditorium, Lily si tenne impegnatasalutando gli amici dal seggiolinoposterioredellabicidiMamma.Unavoltaarrivati,Jonasparcheggiòlabiciaccantoaquella della madre e si fece strada tra lafolla,incercadelsuogruppo.L’intera Comunità assisteva ogni anno

alla cerimonia. I genitori, ai quali eranoconcessi due giorni di vacanza perl’occasione, prendevano un postoqualunque nell’enorme sala, mentre ibambini,chesedevanodivisiasecondadelgruppo d’età, venivano chiamati a uno auno sul palco. Papà, però, non si sarebbe

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unito subito a Mamma: toccava infatti aiPuericultori portare i neobimbi sul palcodurante l’Assegnazione del Nome. Jonas,dalla sua postazione sul balcone insiemeagli altri Undici, perlustrò l’Auditoriumcon lo sguardo, incercadiPapà.NoneracertodifficileindividuareilsettorefrontaledeiPuericultori;di lìprovenivano infatti ivagiti e i piagnucolii dei neobimbi che sidimenavano irrequieti sulle gambe deiPuericultori.A qualsiasi altra cerimonia pubblica

regnava il silenzio e seguivano tutti conattenzione. Ma una volta l’anno, tuttisorridevanoindulgentidifronteaicapriccidi quei piccoli in attesa di ricevere unnomeeunafamiglia.Jonasfinalmenteincontròlosguardodel

padre e lo salutò. Papà sorrise e risalutò,poi tirandogli su lamanina, fece fareciao

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ciao anche al neobimbo che teneva inbraccio.Non era Gabriel. Gabe, che ora si

trovava al Centro Puericultura, affidatoalle cure della squadra notturna, nonavrebbe partecipato: accogliendo larichiestadelpadrediJonas,ilcomitatogliaveva concesso un rinvio di un anno,prima di decidere sul suo destino.Purtroppo per ilmomentoGabriel pesavameno del dovuto e la notte non dormivaabbastanzaprofondamentedapoteressereaffidatoaun’unitàfamiliare.Normalmenteunneobimbocosìsarebbe

stato ritenuto inadeguato e congedatosenza esitazioni. Invece, grazie allarichiesta di Papà, Gabriel era statoclassificato come incerto e gli era statoconcesso un altro anno: durante il giornosarebberimastoalCentroPuericultura,ma

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avrebbe passato le notti con l’unitàfamiliarediJonas.Tuttiloro,Lilyinclusa,avevano sottoscritto l’impegno di nonaffezionarsialpiccoloospitetemporaneoedi lasciarlo andare senza proteste quando,alla cerimonia dell’anno successivo, fossestato assegnato a un’unità familiaredefinitiva.Almeno, pensò Jonas, in questo modo

avrebbe potuto rivederlo spesso perchéavrebbefattoancorapartedellaComunità.In caso di congedo, invece, non loavrebberopiùrivisto,maipiù:cometuttiicongedati, e i neobimbi non facevanoeccezione, sarebbe statomandatoAltrove,pernontornaremaipiù.Quell’anno Papà non aveva dovuto

congedareunsoloneobimbo,perciòfallirecon Gabriel sarebbe stato davvero moltotriste.PerfinoJonas,purnondedicandogli

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tanto tempo come suo padre e Lily, eracontento che Gabe non fosse statocongedato.La prima cerimonia iniziò in orario

perfetto: tutti i neobimbi ricevettero unnome e furono consegnati alla rispettivaunità familiare. Per alcuni genitori era ilprimo bambino, molti altri invecearrivavano sul palco già accompagnati daun altro bambino, che sprizzava orgoglioda tutti i pori, sapendo di ricevere unfratellino o una sorellina, proprio comeJonas quando stava per diventare unCinque.Asher dette una gomitata a Jonas. «Ti

ricordi quando ci hanno consegnatoPhilippa?»disseavoceunpo’troppoalta.Jonas annuì. Era passato solo un anno daallora. I genitori di Asher avevanoaspettato piuttosto a lungo prima di far

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domanda per un secondobambino. Forse,sospettava Jonas, erano talmente sfiancatidallavivacitàdiquellapestediAshercheciavevanomessounpo’ariprendersi.DueDodici,Fionaeun’altrafemminadi

nome Thea, si erano temporaneamenteassentate, giusto il tempo di salire sulpalcoinsiemeailorogenitoriericevereunneobimbo.Peròerararochecifossetantadifferenzad’etàfraibambinidiunastessaunitàfamiliare.Quando la cerimonia riguardante la sua

famigliaterminò,FionacorseaoccupareilpostocheAshereJonasleavevanotenutonellafiladavantialoro.«Ècarino»sivoltòa bisbigliare «ma il nome non mi piacegranché».Feceunasmorfiaeridacchiò.Ilsuo nuovo fratellino si chiamava Bruno.Certo non era un gran bel nome, pensòJonas,noncome…be’,noncomeGabriel,

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per esempio. Ma tutto sommato, non eramale.L’applauso del pubblico diventò

frenetico quando una coppia di genitoriricevette un neobimbo al quale fuassegnatoilnomediCaleb.Si trattava di una sostituzione, perché

quella stessa coppia aveva perso il suoprimo Caleb, un vivace piccolo Quattro.Era raro, molto raro che un bambinoandasse perduto. La Comunità erastraordinariamentesicuraetuttigliabitantivigilavanosuognisingolobimbo.Eppure,chissà come, il primo Caleb si eraallontanato inosservato ed era caduto nelfiume. L’intera Comunità avevapartecipato alla Cerimonia di Perdita eogni abitante aveva scandito l’incedere diquel lugubre giorno, ripetendo il nome diCalebsemprepiùdiradoeavocesempre

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piùbassa,finchéilpiccoloQuattrosembrògradualmente svanire, allontanarsi dallacoscienza collettiva. Ora, in occasione diquestaspecialeAssegnazionedelNome,laComunità eseguì il breve Mormorio diSostituzione, ripetendo quel nome per laprimavoltadalgiornodellaperdita:primaa voce bassa, lentamente, poi sempre piùalta e con ritmo incalzante, mentre lacoppia era sul palco col neobimboaddormentatofralebracciadellamadre.Era come se il primo Caleb fosse

tornato.A un altro neobimbo fu assegnato il

nomediRobertoeaJonastornòinmentecheRoberto,l’anziano,erastatocongedatosololasettimanaprecedente.Manoncifunessun Mormorio di Sostituzione per ilnuovopiccoloRoberto.Congedoeperditaevidentementenoneranolastessacosa.

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Come sempre, Jonas si annoiò durantela Cerimonia dei Due e dei Tre e deiQuattro, seguitadaunapausaper il pastomeridiano, che fu servito all’aperto;dopodiché tutti rientrarono per laCerimonia dei Cinque, Sei, Sette e,finalmente, si arrivò all’ultima dellecerimoniedellagiornata:quelladegliOtto.Jonas applaudì senzamai perdere di vistaLily mentre marciava tutta fiera verso ilpalco,prontaadiventareunaOtto,ricevereunanuovagiacca,conbottonipiùpiccoli,per la prima volta, dotata di tasche, aindicarecheadessoeraabbastanzagrandedapotercustodirelesuepiccoleproprietà.La bambina ascoltò con aria solenne ildiscorso sulle responsabilità degli Ottoriguardoalleprimeoredivolontariato,maa Jonas non sfuggirono le sue occhiatebramose alla fila di bici scintillanti che

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l’indomani mattina sarebbero stateconsegnateaiNove.“L’anno prossimo, Lily-trilli” pensò

Jonas.Erastataunagiornatafaticosaeperfino

Gabriel, prelevato con la sua cesta dalCentro Puericultura, quella notte dormìprofondamente. E finalmente giunse ilmattinodellaCerimoniadeiDodici.

Il secondo giorno, Papà prese postonellasalaaccantoaMamma.Jonaslivideapplaudire doverosamentementre i Nove,unodopol’altro,spingevanogiùdalpalcole bici, ciascuna con una targhettascintillante sul retro. Sapeva che i suoigenitori erano un po’ timorosi, almenoquantoloerastatoluiquandoFritz,illorovicinodicasa,avevaricevutolasuabicieperpocononavevasubitourtato ilpodio.Fritz era un gran combinaguai, sempre a

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rischio punizione per i continui einarrestabili richiami. Le sue eranocomunque trasgressioni di poco conto: simettevalascarpadestraalpiedesinistroeviceversa,oppureconsegnavailcompitoinclasse lacunoso e raffazzonato, o arrivavaimpreparato all’interrogazione.Ognuno diquesti banali errori aveva tuttaviaripercussioni sia sui genitori, mettendonein discussione il ruolo di guida, sia sullaComunità, compromettendone l’immaginedi ordine e perfezione cui ogni cittadinodovevaconformarsi.Jonas e la sua famiglia certo non

avevano fatto i salti di gioiaquandoFritzaveva ricevuto la sua bici, perchétemevano che sarebbe caduto fin troppevolte sul vialetto davanti casa, invece dispingerlaperbenefinsottoilportico.Finalmente i Nove ripresero ognuno il

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proprio posto dopo aver portato le bicifuori dall’Auditorium, in attesa diriprenderle a conclusione della giornata.Risatine e battute non mancavano maiquandoiNovetornavanoacasainbiciperlaprimavolta.«Vuoiche ti facciavederecome si fa?» gridavano gli amici piùgrandi. «So che non sei mai montato suuna bici prima d’ora». Ma i Nove, chequasi sempre, incuranti delle regole,avevano alle spalle settimane di esercizioin segreto,montavanosogghignandosullebici e partivano in perfetto equilibrio,senzamaitoccareterraconipiedi.Poi toccò ai Dieci. Jonas non trovava

mai particolarmente interessante laCerimonia dei Dieci, solo una perdita ditempo, perché a ogni bambino venivariservatoil tagliodicapellidistintivo:allefemmine venivano tagliate le trecce e i

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maschi abbandonavano la lunga chiomadell’infanzia per un taglio che lasciavaesposte le orecchie. I Lavoranti armati discopa si precipitarono sul palco perripulirlodalleciocchetagliate.Jonasvideigenitorideineo-Diecichesi

agitavano e mormoravano, e sapeva chequella sera, in molte case, si sarebbeprovveduto a risistemare quei taglifrettolosieapprossimativi.Gli Undici. Sembrava ieri che Jonas si

era lasciato alle spalle laCerimonia degliUndici, ma la ricordava come piuttostonoiosa.Ogni Undici, in realtà, non aspettava

altro che diventare un Dodici. Era unasemplice traccia nel tempo, priva diconseguenze significative. Senza discorsiintroduttivi, a ciascunovenivaconsegnatounpaccodiabitinuovi:biancheriadiversa

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per le femmine, il cui corpo iniziava acambiare, e pantaloni più lunghi per imaschi, con una tasca speciale per lapiccola calcolatrice che avrebberoimparato a usare quell’anno a scuola.Quando fu l’ora della pausa meridiana,Jonassiresecontodiaverefameesiunìaisuoicompagnidigruppodavantiai tavolisistemati fuori dall’Auditorium. Ma se ilgiorno precedente il pranzo era statoallegroepunteggiatodibattutescherzose,oggi erano tutti tesi e se ne stavano indisparte.Jonas guardò i Nove dirigersi verso le

bici parcheggiate, ognuno intento adammirare la targhetta con su scritto ilproprio nome. Vide i Dieci toccarsi icapelli freschi di taglio e le femminescuoterelatestapersentirnelaleggerezza–sensazionea lorosconosciuta–derivata

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dalfattodinonaverepiùlepesantitrecce.«Ho sentito di un ragazzo che era

arcisicuro di essere designato comeIngegnere» borbottò Asher mentremangiavano «e invece fu assegnato alDipartimento Igiene Pubblica. Il giornodopo uscì di casa, si tuffò nel fiume, loattraversò a nuoto e si unì alla primaComunità che trovò. Nessuno l’ha piùvisto». Jonas scoppiò a ridere. «È unastoriainventata,Asher.MiopadredicechecircolavagiàquandoluieraunDodici».Per niente rassicurato, Asher lanciò

un’occhiata al tratto di fiume visibile dadietro l’Auditorium. «Io non so neppurenuotarebene»confessò.«Ilmio Istruttoredinuotodice chemimanca lagallositàorobasimile».«Galleggiabilità»locorresseJonas.«Quello che è. Non ce l’ho. Vado a

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fondo».«Comunque» sottolineò Jonas «haimai

saputo di qualcuno… saputo per certo,cioè,nonpersentitodire…chesisiaunitoaun’altraComunità?».«No»ammiseAsher,riluttante.«Peròè

possibile.Èscrittonelleregole.Setisentifuori posto, puoi chiedere di andareAltrove ed essere congedato. Mia madredice cheunavolta, unadecinadi anni fa,qualcuno fece richiesta di congedo e ilgiorno dopo se ne era già andato».Ridacchiò.«Melodisseunavoltacheperpocononlafacevoammattire.MinacciòdifaredomandaperAltrove».«Scherzava».«Lo so. Però è vero che una volta

qualcuno l’ha fatto, mia madre me l’hagiurato:oggiquie ilgiornodoposparito!Mai più visto. E senza nemmeno una

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CerimoniadiCongedo».Jonas alzò le spalle. La cosa non lo

preoccupava.Com’era possibile sentirsi fuori posto

nella loro Comunità, ordinata com’era,dove ogni scelta era operata con tantacura? Perfino all’Unione degli Sposi eradata un’importanza tale che a voltepassavano mesi, addirittura anni, primache un’unione fosse approvata eannunciata.Tuttiifattori–indole,energia,intelligenza e interessi – dovevanocorrispondere e interagire perfettamente.La madre di Jonas, per esempio, era piùintelligente del compagno; però lui avevaun’indole più calma. Si equilibravano avicenda.La loro unione, che come tutte le altre

era stata tenuta sotto osservazione per trelunghi anni dal Comitato degli Anziani,

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prima che potessero fare domanda peravere un bambino, era sempre stataperfetta.Le unioni, le assegnazioni del nome e

dell’unità familiare, e le designazionierano tutte il frutto di una scrupolosariflessione da parte del Comitato degliAnziani.Pertanto, Jonas era certo che la sua

designazione, quale che fosse, sarebbestata, così come per Asher, quella giustaper lui. Desiderava soltanto che la pausapranzo si concludesse, il pubblicorientrasse in sala e la tensione finisse.Come in risposta al suo desiderioinespresso,risuonòunsegnaleelafollasidiresseversoleportedell’Auditorium.

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7

Jonas e i suoi compagni di gruppoavevano occupato un nuovo postonell’Auditorium, vicino ai nuovi Undici,ovvero in primissima fila, a un passo dalpalcoscenico.Sieranosistematisecondoilnumero d’origine, quello assegnato almomentodellanascita.Il numero veniva usato di rado dopo

l’Assegnazione del Nome, ma ognibambino ovviamente conosceva il suo. Avolte i genitori lo utilizzavano separticolarmente irritati dal pessimocomportamentodel figlio.AJonasvenivasempre da ridere quando sentiva un

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genitore esasperato richiamare, unmarmocchio frignante: “Adesso basta,Ventitré!”.Jonas era un Diciannove: cioè era il

diciannovesimo neobimbo del suo anno.Ciò aveva avuto il suo pesonell’AssegnazionedelNome,perchévieraarrivato bello vispo, già in grado dicamminareeparlare.Un discreto vantaggio, questo, per

almeno due anni, una dose dimaturità inpiù rispetto a molti dei compagni digrupponatipiùtardiquellostessoanno.Ma dai Tre in su si ristabiliva, come

sempre,ilnormaleequilibrio.Dopo i Tre i bambini progredivano in

modopiùomenoomogeneo, sebbenedalprimo numero in poi fosse semprepiuttostofacilerisalireachieranatoprimaechidopo.

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Tecnicamente, il numero completo eraUndici-Diciannove,perchéesistevanoaltriDiciannove in ogni gruppo di età, e quelgiorno, dopo l’avanzamento dei nuoviUndici, per qualche ora ci sarebbero statidue Undici-Diciannove. Durante la pausapranzo Jonas e il suo doppione, unabambina timida di nomeHarriet, si eranoscambiatisguardisorridenti.Ma nell’arco di un paio di ore, lui da

Undici sarebbe diventato un Dodici e, apartiredaquelmomento,l’etànonavrebbepiù avuto importanza. Sarebbe diventatoun adulto come i suoi genitori, sebbeneancora non conoscesse la suadesignazione.Asherera ilQuattro,e sedevaoranella

fila davanti a Jonas. Avrebbe dunquericevuto la designazione per quarto. Allasinistra di Jonas c’era Fiona, numero

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Diciotto; alla suadestra c’era ilVenti, unmaschio di nome Pierre, che a Jonas nonpiaceva molto: era un saccente, unarroganteepurepettegolo.«Lehaistudiatele regole, Jonas?» bisbigliava sempre conquella sua aria solenne. «Non mi risultachequestorientrinelleregole».Di solito si riferiva a inezie di cui non

importava un bel niente a nessuno:andarsene in giro con la tunica apertaquando tirava vento, farsi un giretto sullabici di qualche amico, così, giusto perprovareunasensazionediversa.Il discorso inaugurale della Cerimonia

dei Dodici fu pronunciato dal SommoAnziano, la guida della Comunità, elettoognidiecianni.Ildiscorsoerapiùomenosempre lostesso:si ricordavano l’infanziae il periodo di formazione, le futureresponsabilità della vita adulta,

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l’importanzadella designazione, la serietàdell’addestramentofuturo.PoiilSommoAnziano,unadonna,entrò

nel vivo del discorso. «È tempo» dissefissandoli uno a uno negli occhi «diriconoscereledifferenze.VoiUndiciavetefinoraimparatoadadeguarvi,auniformareil vostro comportamento, a frenare ogniimpulso che potesse differenziarvi dalgruppo.Ma oggi noi rendiamo onore allevostre diversità, poiché esse hannodeterminatoilvostrofuturo».Cominciò a descrivere il gruppo

dell’anno e le varie personalità che locomponevano, pur evitando di fare nomi.Parlò di chi aveva singolari abilità diAssistente,dichiamavaineobimbi,dichiaveva insolite attitudini scientifiche e dichiprovavaunpiacereistintivonellavoromanuale. Agitandosi sulla sedia, Jonas

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cercò di riconoscere in ogni descrizioneuno dei suoi compagni di gruppo. Leabilità da Assistente erano senz’altroquellediFiona,allasuasinistra;ricordavadi aver notato la delicatezza con cui laragazzinaavevafattoilbagnoall’anziano.Forsequelloconl’attitudinescientificaeraBenjamin, che aveva riequipaggiato ilCentro Riabilitazione con nuovi,importanti macchinari.Ma niente di tuttoquestosembravariferirsialui,pensò.A conclusione del discorso, il Sommo

Anzianosi complimentòper ilmeticolosolavoro di osservazione svolto, come ognianno,dalcomitato.Glianzianisialzaronoin piedi per ricevere l’applauso che nesancivagli indiscutibilimeriti. JonasnotòAsher sbadigliare, coprendosieducatamentelaboccaconunamano.PoiilSommoAnzianochiamòsulpalco

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l’Unoe ledesignazioniebbero finalmenteinizio.Ogni annuncio, accompagnato da un

discorso rivolto ai nuovi Dodici, andavaper le lunghe. Jonas si sforzò di rimanereconcentrato quando la numero Uno fuchiamatasulpalcoericevettesorridendoladesignazione di Addetta al Vivaio Ittico,tra parole di encomio per avere dedicatogran parte dell’infanzia al volontariato inquelsettore,maancheperl’ovviointeresseda lei manifestato nel provvedere alfabbisogno di cibo dell’intera Comunità.Madeline, così si chiamava, tornò al suopostofragliapplausi,conindossolanuovatarghettacheladesignavacomeAddettaalVivaioIttico.Jonaseracontentochequelladesignazione fosse ormai stata conferita,lui non l’avrebbe voluta di certo. Ma sicongratulò lo stesso con Madeline,

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sorridendole.QuandoilDue,unacertaInger,ricevette

la designazione di Partoriente, Jonasricordòchesuamadreloavevadefinitouncompito senza onore. Però pensava che ilcomitatoavessesceltobene.Ingereraunaragazzina robusta ma pigra: si sarebbegoduta i treannidiozio successivi al suobreve addestramento; avrebbe partoritofacilmente; e in seguito, una volta entrataneiranghideiLavoranti,avrebbeimparatocome utilizzare la propria forza,mantenersi in salute e imporsil’autodisciplina. Inger stava ancorasorridendomentreriprendevailsuoposto.Anche se poco prestigioso, quello dellaPartoriente era comunque un compitoimportante.Jonas notò l’atteggiamento nervoso di

Asher. Non faceva altro che voltarsi

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indietro a guardare Jonas, tanto dacostringere il capogruppo a imporgli,silenziosamente,distar fermoevoltato inavanti,versoilpalco.IlTre,Isaac,ricevettecongioiaevidente

la meritata designazione di Istruttore deiSei. E tre designazioni andate, nessunadelle quali sarebbe piaciuta a Jonas. Dicerto non avrebbe potuto fare laPartoriente, realizzò divertito. Cercò diricapitolare mentalmente le possibilidesignazioni rimaste. Ma ce n’eranotalmentetantechelasciòperdere.Poitoccòad Asher. Jonas osservò con attenzionel’amico salire sul palco e fermarsi,compunto,afiancodelSommoAnziano.«Tutti noi sappiamo che Asher è una

fonte di continuo divertimento» esordì ladonna, suscitando risolini fra il pubblico,mentre Asher si grattava una gamba con

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l’altro piede. «Quando il comitato si èinterrogato sulla designazione da dargli»proseguì «alcune possibilità sono statesubito scartate perché chiaramenteinadeguate.Peresempio»dissesorridendo«quella di farne un Istruttore dei Tre».Tutti scoppiarono a ridere, Ashercompreso, imbarazzatoma tutto sommatocontento di ricevere attenzioni. GliIstruttori dei Tre dovevano insegnare uncorrettousodellinguaggio.«A dire il vero» continuò il Sommo

Anziano «abbiamo persino riflettuto sullapossibilità di infliggere una punizioneretroattiva sull’allora Istruttore dei Tre.All’assembleaperdecidereladesignazionedi Asher, tutti noi abbiamo ricordatoaneddotidiversi».«In special modo» disse ridacchiando

«cisiamosoffermatisullasuadifficoltàdi

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ricordare la differenza tra “colazione” e“punizione”.Ricordi,Asher?»Asherannuìcontritoeilpubblicorisedi

gusto. E anche Jonas. Se ne ricordava,anche se all’epoca era solo un Tre. Lapunizione adottata con i bambini piccoliconsisteva in una veloce serie di colpettiinflitti con il frustino, un’arma esile eflessibilechefacevaunmalecane.Gli Specialisti dell’Infanzia erano

istruiti a dovere sui metodi con cuiimpartire la disciplina: un rapido colpettosullemanineicasimenoindisciplinati,trecolpetti più secchi sulle gambe nude neicasirecidivi.PoveroAsher,parlavasempretroppoin

fretta e confondeva le parole, fin dapiccolo.Quand’era un Tre, impaziente di avere

lasuacolazione,unamattina,mentresene

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stava in fila, disse “punizione” invece di“colazione”.Jonas se lo ricordava bene. Ce l’aveva

ancora davanti agli occhi Asher che sidimenava, impaziente, in fila. Sentivarisuonare la sua voce che gridavaallegramente“Vogliolamiapunizione!”.Gli altri Tre, compreso Jonas, si erano

messi a ridere in modo sguaiato.“Colazione!” l’avevano corretto “Vorraidirecolazione,Asher!”.Maormaiildannoerafatto.Elaprecisionelinguisticavenivaprima di ogni altro dovere per i bambinipiccoli. Asher aveva chiesto unapunizione.Il frustino punitivo venne fatto

schioccaresullemanidiAsherconunataleforzacheneuscìunsibiloacontattoconlapelle.Asher,inlacrime,chinòlatestaesicorresseall’istante.«Colazione»sussurrò.

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Mal’indomanisbagliòdinuovo.Stessacosalasettimanaseguente.Nonsembravariuscire a smettere, nonostante a ognisbaglio seguisse una serie impressionantedidolorosefrustate,chelasciaronoilsegnosullegambediAsher.Finché,allafine,peruncertoperiodoquandoeraancoraunTre,smisedeltuttodiparlare.«Per un po’» finì di raccontare il

SommoAnziano«abbiamoavutounAshersilenzioso!Mahaimparatolalezione».Il Sommo Anziano si voltò sorridendo

verso il ragazzo. «Quando ha ripreso aparlare, lo ha fatto con maggioreprecisione. Ormai è raro che commettaerrorie,quandocapita,sicorreggedasoloechiedescusacongrandeprontezza.Econimmancabilebuonumore».Il pubblico mormorò in assenso:

l’allegria di Asher era nota in tutta la

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Comunità.«Asher» la donna alzò la voce per

l’annuncio ufficiale «a te affidiamol’incarico di Assistente delCaporicreazione». Gli fissò alla tunica latarghetta che indicava il suonuovo ruolo,poiAsher sivoltò e lasciò il palco fragliapplausi. Quando tornò al suo posto, ilSommoAnzianoabbassòlosguardosudilui e pronunciò le parole che si usavarivolgere a ogni nuovo Dodici. Chissàcome,ognivolta riuscivaa infondere lorouno speciale significato. «Asher» disse«grazieperlatuainfanzia».

Il rituale della designazione proseguì eJonas guardò e ascoltò, rincuorato dallasplendida designazione toccata all’amico.Malasuaapprensionecrescevaviaviachesi avvicinava il suo turno. Tutti i nuoviDodici della fila davanti avevano le loro

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targhette. Continuavano a toccarle ancheda seduti, e Jonas sapeva che ognuno diloro era già proiettato con lamente versol’addestramento che avrebbe dovutoaffrontare. Per alcuni – un maschiostudiosoerastatodesignatocomeDottore,una femmina come Ingegnere e un’altraassegnata a Legge e Giustizia –l’addestramentoconsistevadiannididurolavoroestudio.Altri,comeiLavorantielePartorienti, avrebbero avuto unaddestramentomoltopiùbreve.Finalmente fu chiamato il numero

Diciotto, Fiona. Jonas sapeva che dovevaessere nervosa,maFiona era una ragazzatranquilla ed era rimasta seduta calma eserenadurante tutta laCerimonia.Persinol’applauso, sebbene carico di entusiasmo,sembrò più pacato quando a Fiona venneconferito l’importante compito di

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Assistente degliAnziani, perfetto per unaragazzina sensibile e gentile come lei, eanche gradito, a giudicare dal sorrisosoddisfatto e compiaciuto sul suo voltoquando riprese posto accanto a lui.Sentendosi improvvisamente calmo, orache era giunto il suo turno, Jonas sipreparò a salire sul palco alla finedell’applauso tributato all’amica. Presefiato e si lisciò i capelli con le mani,mentre il Sommo Anziano prendeva unanuovacartella.«Venti» scandì chiara la voce della

donna.«Pierre».“Mi ha saltato” pensò Jonas, allibito.

Avevasentitomale?No.Unbrusiosilevòdallafolla,ecapìchel’interaComunitàsiera resa conto dell’accaduto:inspiegabilmentesierapassatidalDiciottoal Venti. Alla sua destra, esterrefatto,

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Pierresialzòesidiresseversoilpalco.“Unerrore”pensòdisperatamenteJonas.

“Ha commesso un errore”. Ma perfinomentre lo pensava, sapeva che non eracosì: il SommoAnziano non commettevaerrori del genere.Non allaCerimonia deiDodici.Stordito, incapace di concentrarsi,

neanche sentì la designazione conferita aPierreepercepìamalapenal’applausocheloriaccompagnòalpostoconlasuanuovatarghetta. Dopo, furono chiamati ilVentuno,ilVentidueeviaviatuttiglialtrinumeri,finoalTrenta,alQuaranta,mentreJonassenestavasedutolì,inebetito.Ognivolta,aognichiamata, ilcuoredi

Jonas sobbalzava e pensieri assurdi loassalivano. Forse ora lo avrebbechiamato…Possibilechesifosseconfuso,cheavessescordatoilproprionumero?Ma

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no.Era sempre stato ilDiciannove ed eraseduto nel posto contrassegnato con ilnumerodiciannove.Eppure il Sommo Anziano lo aveva

saltato.Vide i compagni fissarlo imbarazzati e

poi distogliere rapidamente lo sguardo.Vide l’espressione preoccupata del suocapogruppo.Cercò di farsi piccolo sulla sedia.

Voleva sparire, svanire, nonesistere.Nonosava nemmeno voltarsi a cercare igenitori tra la folla. Non avrebbesopportato la vista dei loro volti incupitidallavergogna.Disperato, abbassò la testa e si frugò

nellamente.Checosaavevafattodimale?

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Ilpubblicoerachiaramenteadisagio.Adifferenza del precedente picco dientusiasmo collettivo, all’ultimadesignazione gli applausi si levaronodeboli,mistiamormoriiinquieti.AncheJonasbattélemani,mailsuofu

un gesto automatico, privo di significato:svanito ogni senso di gioiosa attesa, dieccitazione e di orgoglio, provava adessosoltantoumiliazioneeterrore.Il Sommo Anziano attese che l’incerto

applausosispegnesseeripreseaparlare.«Immagino che tutti voi siate

preoccupati» disse con evidente

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commozione.«Avete l’impressioneche ioabbiacommessounerrore».Sorrise e l’intera Comunità, vagamente

sollevata da quella pacata affermazione,sembrò tirare il fiato, nel silenzio piùcompleto.Jonasalzòlosguardo.«Mi scuso con tutti voi e con te in

particolare,Jonas,peravervifattostare inansia».«Le tue scuse sono accettate» balbettò

Jonas, unendosi al più vasto mormoriodellaplatea.«Tiprego,salisulpalco».Quellamattina presto a casa,mentre si

stava ancora vestendo, Jonas si eraesercitatonelpassodecisoedisinvoltoconcui sperava di poter procedere una voltagiunto per lui il momento di salire sulpalco. Ma ora sembrava essersi

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dimenticatotutto.Si fece forza e con piedi che

sembravano di piombo, Jonas arrancò super gli scalini e andò amettersi di fiancoalla donna, che, con fare rassicurante, gliposòunbracciosullespalleirrigidite.«A Jonas non è stata conferita alcuna

designazione»annunciòconvocesonoraeJonasebbeuntuffoalcuore.«Jonasèstatoprescelto».Il ragazzo trattenne il respiro. Che

significava? Sentì un fremito carico diaspettativa salire dal pubblico: erano tuttiperplessi.Epoi,intonofermo,autoritario,il SommoAnziano scandì: «Jonas è statoprescelto per essere il nostro nuovoAccoglitorediMemorie».La platea sembrò gelarsi di colpo e

Jonas vide ogni abitante della Comunitàsgranare gli occhi in preda a un palese

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timorereverenziale.Maancoranonriuscivaacapire.«Unasimilesceltaèmolto,moltorara»

continuò il Sommo Anziano. «La nostraComunitàhaununicoAccoglitoreespettaa lui addestrare il proprio successore.L’Accoglitore in carica fu scelto tanto,tantotempofa»continuòaspiegare.Seguendolosguardodelladonna,Jonas

individuòunanzianoche,sepuresedutoinmezzoaglialtri,sembravadistinguersiperqualchestrano,inafferrabilemotivo.Jonasnonl’avevamaivistoprima:eraunuomodalla lunga barba e dagli intensi occhichiari. In quelmomento lo stava fissandoinsistentemente.«Dieciannifa,quandoJonaseraancora

unbambino, lanostraprecedente scelta sirivelò un fallimento gravissimo» ammisesolennemente il Sommo Anziano. «Non

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intendo soffermarmi su quell’esperienzaperchéancoraprocuraatuttinoiprofondodisagio».Jonasnonsapevaachecosasiriferisse,

ma avvertì una sgradevole sensazione diimbarazzogenerale.«Questavolta,però,abbiamoriflettutoa

lungo»proseguìladonna«perchéunaltrofallimento sarebbe intollerabile. A volte»dissepoi in tonopiùrilassato,sciogliendocosì la tensione palpabile che aleggiavasull’Auditorium «non siamo del tuttosicuri di una designazione. Gli Undici,dopo tutto, sono ancora bambini. Quellachenoiinizialmenterileviamocomeindolescherzosa e pazienza, requisitifondamentali per diventare Puericultore,potrebbero col tempo rivelarsi comestupidità e indolenza. Ecco perchécontinuiamo i controlli anche durante

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l’addestramento, pronti, se necessario, amodificare le nostre scelte. Ma le regolestabiliscono che il neo-Accoglitore nonpuòessere controllato, né sostituito.Deveessere isolatoesolo,mentre l’Accoglitoreincaricalopreparaaricoprireilruolopiùonoratodell’interaComunità».Isolato? Solo? Jonas ascoltava con

turbamentocrescente.«Per questo motivo, la scelta del

comitato dev’essere unanime edestremamente accurata.Senel corsodellaselezione un anziano riferisce un sognopremonitore d’incertezza, questo saràsufficiente per bocciare all’istante ilcandidato. Jonas fu individuato qualepossibile Accoglitore di Memorie moltianni fa: da allora è stato sottoposto aosservazionimeticoloseecostanti.Nessunsognod’incertezza.Jonashadatoprovadi

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possedere tutte le qualità indispensabili aunAccoglitore».Posando la mano su una spalla del

ragazzo, il Sommo Anziano elencò lequalità richieste a un Accoglitore diMemorie: «Intelligenza. Sappiamo beneche Jonas è sempre stato uno studentemodello. Integrità. Come tutti noi, Jonasha commesso infrazioni minori» dissesorridendogli«manoncihamaidelusoeogni volta si è spontaneamente presentatoper ricevere la punizione dovuta.Coraggio. Soltanto uno di noi haaffrontato il duro addestramento richiestoper questo compito ed è, naturalmente, ilmembro più importante del comitato:l’Accoglitore in carica. Ed è stato lui aricordarci, giorno dopogiorno, quanto siaindispensabileilcoraggio».«Jonas»dissepoirivoltaalragazzo,ma

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con tono abbastanza alto da permettereall’intera Comunità di sentire «durantel’addestramento conoscerai il dolore.Dolorefisico».LapaurasifecestradadentroJonas.«Tunon l’haimaiprovato.Certo, ti sei

sbucciato le ginocchia cadendo dallabicicletta e l’anno scorso ti sei chiuso undito nella porta». Jonas annuì, ricordandolasofferenzaprovocatadaquell’incidente.«Ma adesso» spiegò la donna con

delicatezza «dovrai affrontare un doloreignoto,anoiincomprensibile,perchéaldifuori della nostra esperienza. Nemmenol’attuale Accoglitore è stato capace didescrivercelo: ha saputo dire soltanto cheper affrontarlo ti servirà un coraggioillimitato. Noi non abbiamo modo dipreparartiaquestaprova,peròabbiamolacertezzachetusiacoraggioso»glidisse.

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Ma Jonas non si sentiva affattocoraggioso.Noninquelmomento.«Il quarto, essenziale requisito»

proseguì la donna «è la saggezza, cheancora non possiedi ma che acquisiraitramite l’addestramento: siamo convintiche tu ne abbia la capacità. Essa ciinteressa inparticolarmodo.E,per finire,l’Accoglitoredeveavereun’ultimaqualità,che sono incapace di descrivere e perfinodi comprendere. In realtà, nessuno di noipuò comprenderla. Forse tu ci riusciraiperché, secondo l’attuale Accoglitore, giàlapossiedi:lacapacitàdivedereoltre».Fissò Jonas con sguardo interrogativo.

Ancheilpubblicòloguardò,insilenzio.Per un momento, Jonas restò

pietrificato, roso dall’angoscia. Lui nonpossedevaunbelniente,diqualunquecosasi trattasse. E quello era il momento di

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confessarlo:avrebbedovutodire“No,noncel’ho.Nonposso…”erimettersiallalorocomprensione, chiedere scusa, spiegarechesceglierloerastatounerrore,chenonera la persona giusta. Ma quando il suosguardo percorse la folla, ecco che dinuovoaccaddequellocheerasuccessoallamela:lefaccemutarono.Durò giusto il tempo di un battito di

ciglia, ma bastò a fargli raddrizzare lespalle e a infondergli una fugace, esilesicurezza.Gliocchidituttieranoancorapuntatisu

dilui.«Credodisì»dissealSommoAnzianoe

alla Comunità intera. «Non lo capisco enon so di che si tratta, ma a volte vedoqualcosa.Forseèquesto,vedereoltre».Ladonnaglitolseilbracciodallespalle.«Jonas» disse con voce solenne,

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rivolgendosi non solo a lui ma all’interaComunità di cui faceva parte «saraiaddestratoperdiventareilnostroprossimoAccoglitore di Memorie. Ti ringraziamoperlatuainfanzia».Dopodiché si voltò e lasciò il palco, e

Jonas rimase solo davanti alla folla, chespontaneamente iniziò a scandire il suonome.«Jonas».Un bisbiglio, dapprima: sommesso,

quasiimpercettibile.«Jonas.Jonas».Epoisempre più alto e più rapido. «JONAS.JONAS.JONAS».In questo modo, Jonas lo sapeva, la

Comunità accettava lui e il suo nuovoruoloeglidavavitacomeavevadatovitaalneobimboCaleb.Ilcuoreglisigonfiòdigratitudine e di orgoglio, ma, al tempostesso, di paura. Non sapeva che cosasarebbediventato.

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Néchecosasarebbestatodilui.

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Perlaprimavoltaneisuoidodiciannidivita, Jonas si sentiva separato, diversodaglialtri.RicordavaleparoledelSommoAnziano:sarebbestatoisolatoesolo.L’addestramentononeraancorainiziato

e già, lasciando l’Auditorium, si sentìmesso indisparte.Stringendo lacartellinacheerastatadataatutti inuoviDodici,sifecestradanellacalcacercandolapropriaunitàfamiliareeAsher.Notò che gli altri si facevano da parte

per farlo passare e lo osservavano disottecchi.Glisembròdisentiredeibisbigli.

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«Ash!» chiamò, appena individuatol’amico vicino alle file di biciclette.«Torniamoacasainsieme?»«Sicuro».Ashersorrise:erailsuosolito

sorriso, amichevole e familiare,ma Jonasvi avvertì una punta d’incertezza.«Congratulazioni»disseAsher.«Anche a te» replicò Jonas. «È stato

davverodivertentequandoètornataagallala storia della colazione.Hai ricevuto piùapplausidichiunquealtro».I nuovi Dodici si affollavano lì vicino,

occupatiasistemarenelportapacchilalorocartellina. Quella sera, in ogni dimora,ognunodiloroavrebbestudiatoeimparatoamemoria le istruzioni relativealproprioaddestramento, così come ogni sera, peranni,avevanoimparatoamemoria,spessosbadigliandoannoiati, le lezionidiscuola.Quellasera,pienid’entusiasmo,avrebbero

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cominciatoamemorizzare le regoleper illorocompitodaadulti.«Congratulazioni, Asher!» gridò

qualcuno. Di nuovo quell’esitazione.«Ancheate,Jonas!»Asher e Jonas si congratularono a loro

voltaconilorocompagnidigruppo.Jonas vide i genitori fissarlo, fermi

accanto alle loro bici, e li salutò agitandouna mano. Risposero al suo saluto, manotò che Lily, già sistemata sul suoseggiolino,loosservavaconariasolenne.Pedalò dritto a casa, scambiando con

Asher solo battute insignificanti ecommentisuperficiali.«A domattina, Caporicreazione!» lo

salutò, smontandodi sellamentre l’amicoproseguiva.«Ok, a domani!» gridò Asher di

rimando. E di nuovo, per un istante,

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un’ombra calò sulla loro consolidataamicizia. Ma forse se l’era soloimmaginato.NientesarebbemaicambiatofraluieAsher.Il pasto serale fu più silenzioso del

solito. Soltanto Lily chiacchierava senzasosta delle sue prime ore di volontariato:avrebbe iniziato al Centro Puericultura,annunciò,vistocheavevagiàfattopraticacon Gabriel e poteva considerarsiun’esperta.«Lo so» si affrettò a precisare quando

suo padre le lanciò un’occhiata diavvertimento«non lochiameròpernome.Sochenondovreineppuresaperecomesichiama.Nonvedol’orachearrividomani»affermò allegra. Jonas sospirò, inquieto.«Iono»bofonchiò.«Hai ricevuto un grande onore» disse

Mamma.«Tuopadree ione siamomolto

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fieri».«È il compito più importante della

Comunità»dissePapà.«Ma se solo ieri sera dicevi che

conferire le designazioni è il lavoro piùimportante!»Mamma annuì e disse: «Neltuocasoèdiverso.Inrealtànonsitrattadiun lavoro. Non l’avrei mai credutopossibile, non mi sarei mai aspettatache…» s’interruppe. «Esiste un soloAccoglitore».«IlSommoAnzianohadettoperòchein

passatoavevanogiàfattounasceltachesiera rivelata un fallimento. A che siriferiva?»Seguironovarisecondidisilenziocarico

d’imbarazzo prima che suo padre sidecidesseaparlare.«Lecoseandaronopiùo meno come oggi, Jonas: la stessaatmosfera d’attesa, la stessa tensione

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quando uno degli Undici fu saltato, efinalmentel’annuncio…»«Come si chiamava?» lo interruppe

Jonas.«Era una femmina» rispose sua

Mamma. «Ma il suo nome è statodichiarato impronunciabile e non sarà piùimposto a nessun neobimbo». Jonas erasbigottito. Un nome impronunciabileindicava che il suo possessore si eramacchiatodiunacolpainaudita.«Che cosa le è successo?» chiese

nervosamente.I suoi genitori impallidirono. «Non lo

sappiamo» rispose suo padre, a disagio.«Nonl’abbiamopiùvista».Ilsilenziocalònellastanza.Restaronoa

fissarsi,finchéMammasialzòdatavolaedisse: «Hai ricevuto un grande onore,Jonas.Ungrandeonore».

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Solo nella sua stanza, già pronto perandarealetto,Jonasaprìfinalmenteilsuofascicolo. Altri Dodici avevano ricevutocartellezeppedi fogli stampati,ma la suanecontenevaunosoltanto.S’immaginò Benjamin, lo “scienziato”

del gruppo, gustarsi la lettura di pagine epaginediregoleeistruzioni.Poi s’immaginò Fiona sorridere con

quel suo viso gentile, china sulla lista didoveri e metodi che avrebbe dovutoimparareneigiorniseguenti.Ma la cartellina di Jonas era

sorprendentemente sottile, pressochévuota.Contenevaununicofoglio.Lolesseduevolte.

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JONASACCOGLITOREDIMEMORIE

1. Ogni giorno, dopo la scuola, recatiall’entrata dell’Annesso sul retro dellaCasadegliAnzianiepresentatialcustode.2. Ogni giorno, concluse le Ore diAddestramento,tornasubitoacasa.3. Da questo momento sei esentato dalleregole sulla discrezione: puoi porrequalsiasidomandaaqualsiasicittadinoetisaràrisposto.4. Non parlare del tuo addestramento adaltri membri della Comunità, compresigenitorieanziani.5.Daquestomomentotièproibitoriferireituoisogni.6. Eccetto che per malattie o feriteindipendenti dall’addestramento, nonpotrairichiederecuremediche.7.Non ti è consentito presentare richiesta

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dicongedo.8.Puoimentire.

Jonaserastordito.Chenesarebbestatodelle sue amicizie? Delle ore spensieratetrascorsegiocandoapalla,opedalando inrivaalfiume?Quellieranomomentifelici,vitali per lui. Era tutto finito? Si eraaspettatoditrovarenelfogliol’indicazionedi dove e quando presentarsi per iniziarel’addestramento, ma era piuttosto turbatodal fatto che, in apparenza, il suoprogramma non prevedesse ore diricreazione.Ancheessereesentatodallaregoladella

discrezionelosgomentò,marileggendosiresecontodinonesserecostrettoaessereindiscreto: era semplicemente libero discegliere, ed era sicuro che non avrebbemaiapprofittatodiquella libertà.Eracosìabituato alla discrezione che il solo

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pensiero di porre a un altro cittadino unadomandapersonale,mettendolo a disagio,glierainsopportabile.Laproibizionediriferireisogninonera

unproblema:sognavararamente,equindinon aveva mai molto da raccontare. Fuquindi lieto di esserne esonerato. Siinterrogò un istante su come avrebbedovuto comportarsi, però, la mattina acolazione.E seper casoavesse sognato?Avrebbe

forse dovuto dire, come spesso glicapitava,dinonaverlofatto?Sarebbestataunabugia.Eppurel’ultimaregoladiceva…ma ancora non si sentiva pronto adaffrontarequell’ultimaistruzione.La limitazione delle cure mediche, a

disposizione di ogni cittadino fin dallanascita, lo innervosì.Ricordavaquando siera schiacciato un dito nella porta: aveva

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avvertito sua madre tramite ilcomunicatore,eleiavevarichiestoinfrettaun annulladolore, che gli era statoprontamenteconsegnato.Quasiall’istante,il dolore lancinante alla mano eradiminuito fino a diventare una pulsazionesorda.Rileggendolaregola6,siresecontoche

un dito schiacciato rientrava nellacategoria di eventualità “indipendentidall’addestramento”.Così,semaiglifossecapitatodinuovo,ederaabbastanzacertoche l’incidente non si sarebbe ripetutoperché da allora aveva fatto moltaattenzione alle porte massicce, sarebbestatocomunquecurato.Neanche lapillolamattutina era collegata all’addestramento,perciòpotevacontinuareaprenderla.Inquieto, ricordò le parole del Sommo

Anziano a proposito del dolore che

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avrebbe provato: lo aveva definitoindescrivibile.Deglutì a fatica, tentando invano

d’immaginare come potesse essere undolore simile, senza cure mediche adisposizione.La regola 7 lo lasciò indifferente: la

semplice idea di presentare richiesta dicongedoglisembravaassurda.Infine si fece forza e rilesse l’ultima

istruzione. Fin da piccolissimo, fin dalleprime fasi di apprendimento linguistico,aveva imparato a non mentire mai:rientrava nell’apprendimento dellaprecisione linguistica. Ne era unacomponenteimprescindibile.Una volta, quand’era un Quattro, poco

prima del pastomeridiano a scuola avevadetto:“Stomorendodifame”.Immediatamenteerastatopresodaparte

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per una breve lezione privata sullaprecisione del linguaggio. Non stavamorendodifame,glierastatodetto.Avevafame. Nessuno nella Comunità stavamorendodi fame, eramaimortodi fame,né mai sarebbe morto di fame. Dire“morire di fame” significava dire unabugia. Una bugia involontaria,ovviamente.Mausareun linguaggiopreciso serviva

appunto a evitare che fossero pronunciatebugie involontarie. “Lo capisci questo?”gliavevanodomandato.Eluiavevacapito.A quanto ricordava, non aveva mai

avuto la tentazione dimentire.Asher nonmentiva.Lilynonmentiva. Isuoigenitorinonmentivano.Nessunomentiva.Amenoche…All’improvviso un pensiero nuovo,

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spaventoso, lo folgorò.Eseglialtri –gliadulti – avessero, una volta diventatiDodici, ricevuto nelle loro istruzioni lostesso terribile ordine?E se tutti avesseroavutoquell’istruzione:Puoimentire.Gligiravalatesta.Ora, autorizzato a fare le domande più

inopportune e a pretendere delle risposte,avrebbepotuto chiedere a chiunque, a unadulto o a suo padre, per esempio: “Dicibugie?”.Ma non avrebbe mai avuto modo di

sapereselarispostaottenutafossesincera.

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«Io sono arrivata, Jonas» disse Fionadopo che ebberoparcheggiato le lorobicinell’apposita piazzola davanti alla CasadegliAnziani.«Non so perché sono così nervosa»

confessò. «Sono già stata qui tante diquelle volte». Si rigirò il fascicolo tra lemani.«Be’, ora è tutto diverso» le ricordò

Jonas.«Anche le targhette sulle nostre bici»

riseFiona.Quella notte la Squadra di

Manutenzioneavevasostituito la targhetta

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di ogni nuovo Dodici con un’altra cheindicavailloronuovostato.«Non voglio fare tardi» aggiunse,

salendo in fretta gli scalini. «Se finiamoallastessaora,torneròacasaconte».Dopoaverle rivoltouncennodi saluto,

Jonas fece ilgirodell’edificioe sidiresseverso l’Annesso, un piccolo spazioricavatonell’alaposterioredell’edificio.Neancheluivolevaarrivareinritardoil

suoprimogiornodiaddestramento.L’Annesso aveva un aspetto

normalissimo e la sua porta sembravauguale a tutte le altre. Jonas allungò unamano verso la maniglia, ma poi, notandounpulsantesulmuro,lopremette.«Sì?» La voce scaturì da un

comunicatoresoprailpulsante.«Sonoio…Jonas,ilnuovo…cioè…»«Entra».

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Unoscatto indicòche laportaera stataaperta.L’atrio minuscolo conteneva soltanto

una scrivania alla quale sedevaun’Assistente intenta a sfogliare dellecarte. Quando Jonas entrò, la donna glidiede un’occhiata e subito, con grandesorpresa del ragazzo, si alzò in piedi.Eraun semplice gesto di cortesia ma mainessuno, prima d’ora, si eraautomaticamente alzato in piedi in suapresenza.«Benvenuto, Accoglitore di Memorie»

losalutò,rispettosa.«Oh,laprego»replicòluiadisagio.«Mi

chiami Jonas». Lei sorrise, premette unpulsantee laportaalla sua sinistra si aprìconunoscatto.«Puoientrare».Poi sembrò notare il suo disagio e

intuirne il motivo: nessuna porta della

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Comunità era chiusa,mai. Almeno non aquantonesapevaJonas.«La porta chiusa serve soltanto ad

assicurare l’intimità dell’Accoglitore e lasua concentrazione» gli spiegò. «Chealtrimenti gli sarebbero difficili, se gliabitanti s’infilassero qui alla ricerca delDipartimentoRiparabiciocosesimili».Jonas rise, più rilassato. La donna

sembrava cordiale, ed era vero (in effettieralabarzellettadell’interaComunità)cheil Dipartimento Riparabici, un piccoloufficio di nessuna importanza, venivatrasferito così spesso da esserepraticamenteintrovabile.«Non ci sono pericoli qui» aggiunse la

Custodeconun’occhiataall’orologiosullaparete«peròaluinonpiaceaspettare».Jonasvarcòinfrettalasogliadellaporta

esiritrovòinunastanzadall’arredamento

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confortevole, simile a quella della suaunitàfamiliare.Imobilieranoglistessipertutta la Comunità: pratici, solidi, ognunoconunasuaprecisafunzione.Unlettoperdormire, un tavolo per mangiare, unascrivaniaperstudiare.Peròimobilichesitrovavano in quella stanza spaziosa eranoleggermente diversi da tutti gli altri: lastoffa che ricopriva poltrone e divano eraunpo’piùpesanteelussuosa;legambedeltavolononeranodritte,masottiliericurveeterminavanoconunapiccoladecorazioneintagliata; sul letto, collocato in unanicchia all’estremità della stanza, eradrappeggiata una coperta elegantementericamata.Ma la differenza più evidente erano i

libri. Naturalmente, a casa sua come inognidimorasitrovavanogliindispensabilivolumi di consultazione: un dizionario,

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una guida con le informazioni su tutti gliuffici, le fabbriche,gli edifici e i comitatidella Comunità, e, ovviamente, il LibrodelleRegole.Erano gli unici libri che Jonas

conoscesseenonsapevacheneesistesseroaltri.Quella stanza, invece, era tappezzatadi

scaffali alti fino al soffitto e gremiti dilibri: centinaia – migliaia, forse – con ititoliimpressialetterelucenti.Jonas li fissò a bocca aperta. Che cosa

contenevano tutte quelle pagine? Altreregole, forse?Ulteriori informazioni sugliuffici,lefabbricheeicomitati?Siconcessesolounistanteperguardarsi

attorno, però: c’era un uomo sedutodavantialtavolo,elostavafissando.Cosìavanzò in fretta, gli si fermò di fronte e,conunrapidocennodelcapo,sipresentò:

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«IosonoJonas».«Lo so. Benvenuto, Accoglitore di

Memorie».Jonas lo riconobbe: era l’anziano che

durante la cerimonia, gli era parso isolatodaglialtribenchésedutoinmezzoaloro.Lo sguardo di Jonas incontrò

timidamentequellodiocchichiarisimiliaisuoi.«Signore, chiedo scusa per la mia

mancanzadicomprensione…»Attese ma l’uomo non formulò la

classicafrasediaccettazionedellescuse.Jonas proseguì. «Ma pensavo… voglio

direpenso»sicorresse,ricordandosichelaprecisione linguistica era sempreimportante, lo era certamente adesso, inpresenza di quell’uomo «che sia leil’Accoglitore di Memorie. Io sonosoltanto,be’,sonostatosoltantoassegnato,

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cioè scelto, ieri. Non sono assolutamenteniente.Nonancora».L’altro lo fissò in silenzio, assorto, con

un misto d’interesse, curiosità, ansia eforseanchesimpatia.«Acominciaredaoggi»disseinfine«da

questo preciso istante, l’Accoglitore diMemorie sei tu, almeno per quanto miriguarda.Iolosonostatopermoltotempo.Moltissimotempo.Losaiquesto,vero?»Jonasannuì.Ilvisodell’uomoeracopertodirughee

i suoi occhi, benché penetranti nella loroinsolita luminosità, erano stanchi ecircondatidaprofondeombrescure.«Vedocheleièmoltovecchio»rispose,

rispettoso.Aglianzianierasempredovutoilmassimorispetto.L’uomo sorrise e alzò una mano a

sfiorarsi le guance cadenti. «In realtà non

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sono così vecchio come sembra. È statoquestolavoroafarmiinvecchiare.Mirestaancora molto tempo prima di essereincluso nella lista del congedo, anche sedal mio aspetto non si direbbe» disse aJonas.«Comunquemihafattopiacerecheti abbiano scelto. Sono passati dieci annidal fallimento precedente, e ormaimi stoindebolendo. Per addestrarti avrò bisognodi tutte lemie forze.Ci aspetta un lavoroduroepenoso.Siediti, perpiacere»disse,indicandogliunasedia.Jonasobbedì.«Quando divenni un Dodici,» riprese

l’uomo chiudendo gli occhi «fui scelto,propriocomete.Eavevopaura…propriocomete,nesonosicuro».SollevòdiscattolepalpebreperscrutareJonas,cheannuì.Gliocchitornaronoachiudersi.«Ilmio

addestramento si svolse in questa stessastanza, tanto tempo fa. L’Accoglitore

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precedente mi sembrò vecchio almenoquanto debbo sembrarti io, ed era stancoalmeno quanto lo sono io adesso». Sidrizzò di scatto e riaprì gli occhi. «Puoichiedermi quello che vuoi. Mi riescedifficile descrivere il mio… il nostrocompito.Èproibitoparlarne».«Lo so, signore.Ho letto le istruzioni»

disseJonas.«Perciòpotreinonriuscireachiarirti le

cosecomedovrei».Sorrise senzaallegria.«Ilmioèuncompitoimportanteeonorato,ma ciò non significa che io sia perfetto equando,annifa,hotentatodiaddestrareunsuccessore, ho fallito. Ti prego, fammiqualunque domanda, se pensi che possaessertid’aiuto».LamentediJonasribollivadidomande.

Migliaia. Milioni di domande… tantequantieranoilibriallineatilungolepareti.

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Però non trovò il coraggio di chiederenulla,nonancora.L’uomo sospirò e sembrò intento a

riordinare i pensieri. «Per dirla in modosemplice» continuò «benché in realtà nonlosiaaffatto,ilmiocompitoètrasmettertitutte lememorie che custodisco dentro dime.Memoriedelpassato».«Signore,» azzardò Jonas «certo

m’interessa moltissimo ascoltare la storiadellasuavitaelesuememorie…Miscusoperaverlainterrotta»soggiunseinfretta.L’uomo agitò una mano, impaziente.

«Niente scuse in questa stanza. Non c’ètempo».«Be’» proseguì Jonas, a disagio,

rendendosi conto di averlo probabilmenteinterrotto di nuovo «m’interessa davvero,glielo assicuro. Però non capisco cosa cisia di tanto importante. Potrei benissimo

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svolgere un qualunque lavoro utile allaComunitàevenireda leidurante leorediricreazioneperascoltarelestoriedellasuainfanzia.Lofacciospesso,nellaCasadegliAnziani: a loro piace parlare di quandoeranopiccoli,edèinteressanteascoltarli».L’uomo scosse la testa. «No, no. Non

sonostatochiaro.Nonèilmiopassato,lamia infanzia, che devo trasmetterti».Appoggiòlatestaalloschienaleimbottito.«Devo trasmetterti le memoriedell’umanità intera. Di quelli che c’eranoprima di te e prima di me e prima delprecedente Accoglitore e infinitegenerazioniprimadilui».Jonas si accigliò. «Dell’umanità intera?

Noncapisco.Nonsoltantolenostre,cioè?Non soltanto della Comunità? Intendedire… anche lememorie diAltrove?»Lasua mente lottò per afferrare l’idea. «Mi

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dispiace,manonriescoacapire.Forsenonsono abbastanza intelligente. Non so checosa intende con “umanità intera” o“infinite generazioni prima di lui”.Credevocheci fossimosoltantonoi.Noi,adesso».«C’èmoltodi più.C’è tuttoquello che

vaaldilà…cioèl’Altrove…evaindietroeindietroeindietroneltempo.Quandofuiscelto, ricevetti tutte queste memorie. Equi, in questa stanza, in solitudine, le hovissute e rivissute. Così si acquisisce lasaggezza.Cosìforgiamoilnostrofuturo».S’interruppe, respirandoa fatica.«Sono

untalepeso,lememorie».Dicolpo, Jonassi sentì terribilmente in

ansiaperlui.«È come… come scendere in slitta giù

perunacollina innevata»dissealla fine ilvecchio.«All’inizioèesaltante:lavelocità,

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l’arialimpidaetagliente;mapoilanevesiaccumula, blocca i pattini e ti rallenta, edevi fare forza per proseguire e…» Sibloccò e scosse la testa, scrutando Jonas.«Tutto questo non significa nulla per te,vero?»Jonaseraconfuso.«No,signore».«Macertocheno.Tunonsaichecos’è

laneve,nonècosì?»Unaltrocennodidiniego.«Ounaslitta?Pattini?»«No,signore».«Collina?Significanienteperte?»«Niente,signore».«Bene, cominceremo da qui. Mi stavo

giusto chiedendoda dove iniziare.Toglitilatunicaemettitiapanciasottosulletto».Vagamente preoccupato, Jonas obbedì,

avvertendo contro il petto nudo le pieghemorbidedellussuosocopriletto.

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Poi l’uomo si alzò e si diresse verso ilcomunicatore, identico a quello che sitrovava inogni casa…eccettocheperunparticolare:questoavevauninterruttore.Einquelmomento,senzaesitazionealcuna,ilvecchiolofecescattaresuOFF!AJonasquasisfuggìungrido.Avevail

potere di spegnere il comunicatore! Eraincredibile.A passo svelto, l’uomo tornò verso il

lettoesisedetteaccantoalui.«Chiudi gli occhi, Accoglitore. Non

temere,nonproveraidolore».Jonas ricordò che gli era concesso, che

quasi gli era stato ordinato, di porredomande.«Che cosa intende fare?» chiese,

sperando che la sua voce non tradisse ilnervosismo.«Ti trasmetterò una memoria della

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neve»disseilvecchioeposòlemanisullaschienanudadiJonas.

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Lì per lì, Jonas non sentì niented’insolito. Soltanto il tocco lieve dellemanidelvecchiosullasuaschiena.Cercòdirilassarsi,direspirareafondo.

Nella stanza regnava un silenzio assolutoe,perunistante,temettediaddormentarsi,mettendosi in cattiva luce sin dal primogiornodiaddestramento.Di colpo rabbrividì: le mani sulla sua

schiena erano diventate gelide. Nelmedesimo istante, inspirando, sentì anchel’ariamutareeilsuostessorespirosifecefreddo. Gli venne da leccarsi le labbra e,così facendo, la lingua si trovò a contatto

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conl’ariaimprovvisamentegelata.Erastupefatto,mapernienteimpaurito.

Si sentiva pieno di energia e respirò dinuovo a fondo, sentendo l’aria taglientepungergli la gola.Aveva l’impressione diessere immerso con tutto il corpo in unturbine gelido, che gli sferzava le manilungoifianchielaschiena.Il tocco delle mani del vecchio

sembrava essere svanito. All’improvvisoavvertìunasensazionenuova…cometantepunzecchiature, forse?Ma no: era troppodelicataepernientedolorosa.Eracomesefredde piume leggere gli sfiorassero ilcorpo e il viso. Di nuovo tirò fuori lalinguaeunapiumafreddavisiposòsopraperscomparireunistantedopo,seguitadaun’altra e da un’altra ancora. Eradivertente!Con una parte della mente sapeva di

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trovarsi ancora sul letto, sdraiato sulmorbido copriletto ricamato; ma un’altraparte di lui era seduta su una superficiepiatta e dura e stringeva fra le mani –sebbeneancoraimmobililungoifianchi–unaruvidacordabagnata.Eriuscivaavedere,benchéisuoiocchi

fossero in realtà chiusi: vedeva unluminoso torrente di cristalli vorticargliintorno e accumularsi sul dorso delle suemani come una gelida peluria. Anche ilsuofiatoeravisibile.Più in là, attraversoquel turbinioche–

lo intuì di colpo – era la neve di cui gliaveva parlato il vecchio, il suo sguardopotevaspingersiagrandedistanza.Dovevatrovarsi in un luogo alto. Il suolo eracoperto da una coltre bianca, ma lui eraseduto a una certa altezza, sopra unoggettorigidoeduro.

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Una slitta, seppe all’improvviso. Eraseduto su una cosa chiamata slitta. E laslitta sembrava trovarsi in cima a unmucchiodi terra incredibilmentealto…incimaaunacollina,glidisse la suanuovaconsapevolezza.Poilaslitta,conluisopra,iniziòafarsi

strada sulla neve, e Jonas capì all’istanteche stava scivolando lungo il fianco dellacollina.Nessuna spiegazione, l’esperienzasispiegavadasé.Sentì l’aria gelida sferzargli il viso

mentreiniziavaladiscesa,solcandolacosachiamata neve sul veicolo chiamato slittachescivolava–loseppeoltreognidubbio–suipattini.Inun lampo,mentre sfrecciavaverso il

basso,tuttoglifuchiaroesisentìliberodigodere di quella gioia mozzafiato: lavelocità,lafreddaarialimpida,ilsilenzio,

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lasensazionediequilibrioedieccitazioneedipace.Poi, mentre l’inclinazione del pendio

diminuiva e l’altura – la collina – siappiattiva, la slitta rallentò.Lanevegli siera accumulata intorno e lui inclinava ilcorpo in avanti per evitare che la slitta e,conessa,l’euforicacorsa,cessassero.Allafine, la slitta si bloccò, con i pattinisemisepoltidallaneve.Per un po’ restò seduto, ansando e

stringendolacordafralemanighiacciate.Aprì gli occhi, esitante: non gli occhi

con dentro la neve, la collina e la slitta,perché quelli erano rimasti aperti durantetutta la bizzarra cavalcata, ma quellinormali… e si ritrovò sul letto, da dovenonsieramaimosso.Il vecchio, immobile accanto a lui, lo

stavafissando.«Cometisenti?»glichiese.

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Jonassimiseasedereecercòlaparolagiusta.«Sorpreso»disseallafine.Il vecchio si asciugò la fronte con una

manica e sbuffò. «È stato faticoso» disse«maperfinoavertitrasmessounamemoriacosì piccola mi fa sentire un po’ piùleggero».«Significa… posso farle domande,

vero?» L’uomo annuì, incoraggiante.«Significacheoraleinonhapiùilricordodiquella…quellacorsasullaslitta?»«Esatto. Un peso in meno per queste

vecchiespalle».«Maeradivertente!Eadessononcel’ha

più!Gliel’hotolta!»Ilvecchioscoppiòaridere.«Tihodato

solamenteunacorsa,suunaslitta,duranteuna nevicata, su una collina.Ne possiedoun’infinità: potrei trasmettertele una dopol’altrapermigliaiadivolte,eancoramene

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resterebbero».«Vuole dire che io… cioè, noi…

possiamorifarlo?Sarebbebello.Credochetirandolacordariuscireiadirigerelaslitta.Adesso non ho provato, perché era tuttocosìnuovo».Il vecchio scosse la testa ridendo.

«Forse un altro giorno, per premio. Manonc’ètempopergiocare.Volevosoltantofarti vedere come funziona.Eora stenditidi nuovo» disse facendosi di nuovo serio«Voglio…».Jonas obbedì, ansioso di provare una

nuovamemoria.Maoragli sembravachele domande lo soffocassero, tanto eranonumerose.«Perchénonabbiamolaneve,leslittee

le colline?» chiese. «Quand’è che leavevamo? I miei genitori le avevano, dagiovani?Elei?»

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Il vecchio sbottò in una breve risata.«No. Era una memoria lontanissima.Perciò ero così stanco: ho dovutoripescarla in fondo alle memorie diinnumerevoligenerazionipassate.Amefutrasmessa quando ero appena diventatoAccoglitore, e anche il mio predecessoredovette risalire molto indietro nel tempoperritrovarla».«Ma che cos’è successo alla neve e a

tuttoilresto?»«ControllodelClima.Laneveostacola

le coltivazioni, limita i periodi utiliall’agricoltura, rende difficili i trasporti.Unclimaimprevedibilenonèpratico,cosìfu eliminato quando raggiungemmol’Uniformità. E lo stesso vale per lecolline: rallentavano il trasporto dellemerci,ecosì…»agitòunamano,comeseun semplice gesto fosse bastato a farle

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scomparire«Uniformità»concluse.Jonas si innervosì. «A me piacerebbe

che le avessimo ancora, però, giusto ditantointanto».Il vecchio sorrise. «Anche a me, però

nonstaanoiscegliere».«Ma signore» suggerì Jonas «dal

momentocheleihatantopotere…».«Onore» lo corresse l’altro con voce

ferma. «Un grande onore. E così pure tu.Ma scoprirai che essere onorati nonsignifica avere potere.Oramettiti giù, dabravo. Voglio trasmetterti un’altramemoria che riguarda il clima, e stavoltanon te ne dirò il nome, perché vogliotestare la tua ricettività: dovresti essere ingradodipercepirlodasolo.Conlaneve,laslitta, lacollinae ipattinimisono traditoparlandoteneprima».Senza che gli venisse ordinato, Jonas

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chiuse gli occhi e di nuovo sentì lemaniposarsisullasuaschiena.Aspettò.Stavolta le sensazioni giunsero più in

fretta.Le mani non diventarono fredde, bensì

sempre più calde e umide; il calore sidiffuseeglisiestesesullespalle,superilcollo fino alle guance. Riusciva adavvertire il calore anche sulle parti delcorpo non scoperte: una sensazionepiacevole, avvolgente. Questa volta,quando si passò la lingua sulle labbra,l’ariaeracaldaepesante.Nonsimosse.Nonc’eranessunaslittae

la sua posizione non cambiò. Erasemplicementedaqualcheparteall’aperto,disteso, e il calore veniva dall’alto. Nonera una sensazione elettrizzante come lacorsasullaneve,macomunquegradevole.

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Dicolpopercepì: raggi di sole. E intuìcheprovenivanodalcielo.Poituttofinì.«Raggi di sole» disse ad alta voce,

aprendogliocchi.«Bene.Nehaiafferratoilnome.Questo

mi facilita il compito.Non dovrò perderetroppotempoconlespiegazioni».«Venivanodalcielo».«Esatto» disse il vecchio. «Un tempo

eracosì».«Prima dell’Uniformità e del Controllo

delClima»aggiunseJonas.L’uomo rise. «Impari alla svelta.Mi fa

molto piacere. Credo sia abbastanza peroggi:misembraunbuoninizio».C’eraancoraunadomandacheassillava

Jonas. «Signore» disse «il SommoAnzianomihadetto,el’hadettoanchelei,che sarebbe stato doloroso. Perciò avevo

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paura. Però questo non è stato affattodoloroso. Anzi, mi è piaciuto un sacco».Fissòilvecchioconariainterrogativa.L’uomo sospirò. «Ho cominciato col

trasmetterti memorie piacevoli. Almenoquesto l’ho imparato dal mio precedentefallimento». Fece un altro sospiroprofondo. «Jonas, diventerà doloroso.Maperadessononènecessariochelosia».«Io sono coraggioso. Davvero» disse

Jonas,raddrizzandosi.Il vecchio lo fissò un istante e sorrise.

«Vedo. Bene, giacché me l’hai chiesto…credo di avere abbastanza energia pertrasmetterti un’ultima memoria. Torna asdraiarti».Jonasobbedì tuttocontentoechiusegli

occhi, in attesa. Di nuovo le mani siposarono sulla sua schiena e di nuovo sisentì avvolgere dai raggi del sole: ma

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stavolta, mentre si crogiolava in quelmeraviglioso tepore, avvertì il passaredeltempo.Una parte di lui sapeva che eranopassatisìenounpaiodiminuti,mal’altraparte, quella che accoglieva le memorie,sentìcheinveceeranopassatedelleore.La pelle cominciò a pizzicargli.

Inquieto, mosse un braccio, lo piegò eprovò un dolore acuto all’altezza delgomito,nellapiegadelbraccio.«Ahi!» strillò agitandosi sul letto.

«Ahi!» ripeté trasalendo. Soltanto parlareglifacevadolereilviso.Sapevachec’eraunaparolaperdefinire

ciòche stava sperimentando,ma il doloregliimpedivadiafferrarla.Dicolpofinì.Aprìgliocchisussultando.«Famale»disse«enon sono riuscito a

trovarneilnome».«Sichiamascottatura».

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«Famoltomale» disse Jonas «ma sonocontento che me l’abbia trasmessa. Erainteressante.E adesso capiscomeglio checosa significava, che ci sarebbe statodolore».Per un po’ il vecchio restò seduto in

silenzio. «Alzati, ora» disse alla fine. «Ètempochetorniacasa».Si alzarono entrambi, spostandosi al

centro della stanza. Jonas si rimise latunica. «Arrivederci, signore» disse. «Laringrazioperilmioprimogiorno».Il vecchio gli rivolse un cenno.

Apparivaesaustoerattristato.«Signore?»chieseJonas,timidamente.«Sì?Haiunadomanda?»«Èchenonsocomechiamarla.Pensavo

chefosseleil’AccoglitorediMemorie,maha detto che ora lo sono io. Come possochiamarla,allora?»

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L’uomo, che era tornato a sedersicomodamente inpoltrona,mosse le spallecome per scacciare un crampo. Sembravasfinito.«ChiamamiilDonatore»rispose.

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12

«Hai dormito bene, Jonas?» chieseMamma dopo il pasto mattutino. «Nientesogni?»«Hodormitocomeunsasso»silimitòa

rispondere sorridente Jonas, ancoraincapacedimentire,maneanchedispostoadirelaverità.«Vorrei poter dire lo stesso di lui»

commentò Papà, protendendosi a sfiorareil piccolo pugno che Gabriel scuotevanervosamente nella sua cesta con accantoil suo pupazzo dallo sguardo vacuo mainsistente.«Ècosìagitato,dinotte».Jonasnonavevasentitoipiagnucoliidel

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neobimbo perché, come al solito, avevadormito profondamente anche se, adifferenza delle altre, quella notte avevasognato. Nel sogno era scivolato a piùriprese giù per la collina innevata, e ognivolta aveva avuto l’impressione di esseredirettodaqualcheparte…versounignotoqualcosa di cui non riusciva a coglierel’essenza, situato oltre il punto dove lanevecostringevalaslittaafermarsi.Sierasvegliatoconlasensazionedivolere,anzidi dovere in qualche modo raggiungerequel lontano qualcosa. La sensazione chesi trattasse di qualcosa di positivo. Chefosseimportante.Nonsapevacomefare,però.Cercò di scrollarsi quel sogno di dosso

preparandosiperuscire.Quellamattina, la scuola gli sembrò in

qualchemododiversa, anche se le lezioni

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erano le stesse di sempre: linguaggio ecomunicazione; commercio e industria;scienza e tecnologia; procedure civili egoverno. Durante la pausa per laricreazione e il pasto meridiano, gli altriDodicichiacchieravanoconcitatamentedeiloronuovicompiti.Parlavanotuttiinsieme,interrompendosi

l’un l’altro, affrettandosi poi con le scusedi rito e ricadendoci subito dopo a causadella fretta di voler descrivere le nuoveesperienze.Jonas restò ad ascoltarli in silenzio,

memore del divieto di parlare del proprioaddestramento.Del restogli sarebbe statocomunqueimpossibilefarlo.Non c’era modo di spiegare agli amici

quel che aveva sperimentato nella stanzadell’Annesso.Come si puòparlaredi una slitta senza

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descrivereunacollinaelaneve?Ecomesipuò descrivere collina e neve a chi nonconoscel’altezzanéilventonéunamagiafattadipiumegelate?Equaliparole,nonostante laprecisione

del linguaggio a lungo perfezionata,avrebbepotutousareperspiegareiraggidisoleachinonliconosceva?DunquefufacileperJonasrimaneread

ascoltareinsilenzio.Dopolascuola,dinuovopedalòinsieme

aFionasinoallaCasadegliAnziani.«Ieri ti ho aspettato» gli disse la

ragazzina«pertornareacasainsiemeate.La tua bici era ancora lì e così mi sonotrattenutaunpo’.Mapoi,quandohovistoche si stava facendo tardi, me ne sonoandata».«Ti chiedo scusa per averti fatta

aspettare»ledisseJonas.

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«Accetto le tue scuse» fu la rispostameccanicadiFiona.«Mi sono trattenuto più del previsto»

spiegòJonas.Fionaglipedalavadavantiinsilenzio,in

attesa che le spiegasse il motivo del suoritardo, che le descrivesse il suo primogiorno di addestramento: una domandadiretta,losapevanoentrambi,sarebbestataindiscreta.«Hai fatto tante ore di volontariato con

glianziani»disseinveceJonas,cambiandoargomento «che praticamente saprai giàtutto».«Oh, c’è ancora molto da imparare:

praticheamministrative, regolealimentari,punizioni… sai che per punire gli anzianisi usa un frustino, proprio come per ineobimbi? E poi ci sono terapiaoccupazionale e attività ricreative e cure

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medichee…»Sifermaronodavantiall’edificio.«Lo trovo molto più interessante della

scuola»confessòFiona.«Anch’io»annuìJonas,infilandolabici

nellarastrelliera.Fiona esitò come se, di nuovo, si

aspettasse che lui aggiungesse qualcosa,maallafine,dopoun’occhiataall’orologio,losalutòesiaffrettòversol’entrata.Per un istante Jonas restò immobile

vicinoallabici,sorpreso.Era successo di nuovo: la cosa definita

“vedereoltre”…estavoltaerastataFionaa subire un fugace, indescrivibilemutamento.Mentre varcava la soglia, di colpo era

mutata. In effetti, pensò cercando diriafferrare quel momento, non era mutatatutta Fiona, ma soltanto i suoi capelli. E

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soloperunistante.Cirimuginòsopra.Eraovviochestesse

cominciando ad accadergli sempre piùspesso. Inizialmente la mela, qualchesettimanaprima.Subitodopoeratoccatoaivoltidelpubblicoall’Auditorium,soloduegiorni prima. E ora i capelli di Fiona.S’incamminò perplesso verso l’Annesso:avrebbe chiesto spiegazioni al Donatore,decise.Quandoentrònellastanza,ilvecchiolo

accolse con un sorriso. Era già sedutoaccanto al letto, e sembrava avere piùenergie,essererigeneratoefelicedivedereJonas.«Benvenuto» lo salutò. «Cominciamo

subito.Seiinritardodiunminuto».«Le chiedo sc…» cominciò Jonas e

s’interruppe,agitato,ricordandochelìnonc’erapostoperlescuse.

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Si tolse la tunica e si diresse verso illetto. «Sono in ritardo perché è successoqualcosa» spiegò. «E vorrei farle unadomanda,senonledispiace».«Puoifarmiqualunquedomanda».Jonascercòdimetterlaafuoconellasua

mente così da poterla esprimere conchiarezza.«Credo si tratti di ciò che lei chiama

vedereoltre»disseallafine.IlDonatoreannuì.«Descrivimelo».Così Jonas gli parlò della mela e del

momento sul palco, quando aveva vistosuccederelastessacosaaivoltidellafolla.«Epocofa,quafuori,èsuccessoconla

miaamicaFiona.Nonèmutatalei,nondeltutto. Però qualcosa in lei è mutato, siapureperunsecondo:isuoicapellimisonosembrati diversi; non nella forma o nellalunghezza,però.Nonsocome…»

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S’interruppe, frustrato per la propriaincapacità di trovare le parole adatte adescrivere ciò che effettivamente eraaccaduto.«È cambiatoqualcosa» si limitò a dire.

«Non so come, né perché. Perciò sonoarrivato con un minuto di ritardo»concluse,fissandoconariainterrogativailDonatore.CongrandesorpresadiJonas,ilvecchio

gli fece a sua volta una domanda chesembravanonaverenienteache fareconlacapacitàdivedereoltre.«Quando ieri ti ho trasmesso la prima

memoria, quella della corsa in slitta» glichiese,pertuttarisposta, ilvecchio«tiseiguardatoattorno?».Jonas annuì. «Sì, ma con tutta quella

robanell’aria,cioè…contuttaquellaneve,eradifficilevederequalcosa».

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«Haiguardatolaslitta?»Jonas si concentrò. «No. La percepivo

sottodime.Estanottel’hoanchesognata.Perònonl’hovista.Soltantosentita».Perunpo’ilDonatorerestòinsilenzio,

riflettendo.«Durante il periodo di osservazione»

riprese infine «avevo capito cheprobabilmente ne avevi la capacità, equesto me lo conferma. Qualcosa delgenere,maditipodiverso,successeanchea me quando avevo proprio la tua età estavo per diventare il nuovo Accoglitore:cominciai a percepirlo, sebbene in formadiversa.Permefu…no,èinutilecheteneparli ora, non capiresti. Comunque, credodi sapere che cosa ti sta succedendo, evoglio fare un piccolo esperimento peravernelaconferma.Mettitigiù».Obbediente,Jonassisdraiòsullettocon

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le mani lungo i fianchi. Si sentiva a suoagioadesso.Chiusegliocchieaspettòcheil Donatore gli posasse come sempre lemanisullaschiena.Ma, invece di avvertire quel tocco, lo

sentì dire: «Ricorda la corsa in slitta.Soltanto l’inizio, quando sei in cima allacollina, prima di cominciare la discesa. Estavoltaguardalaslitta».Jonasriaprìgliocchi,stupito.«Le chiedo scusa» disse educatamente

«ma non dovrebbe essere lei atrasmettermilamemoria?».«Èunamemoriatua,adesso.Ormail’ho

donataate».«Macomefaccioarichiamarla?»«Riesci a ricordare l’anno scorso o

l’annoincuieriunSetteounCinque?Ciriesci,vero?»«Certo».

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«È più o meno la stessa cosa. Ognimembro della Comunità ha memorie cherisalgono a circa una generazioneprecedente.Matusaraiingradodiandareancorapiùindietroneltempo.Prova.Nondevifarealtrocheconcentrarti».Jonas richiuse gli occhi, prese fiato e

frugònellamenteincercadellaslitta,dellacollina e della neve… Ed eccole tutte lì,intatte. Nessuno sforzo. Si trovava dinuovo immerso nel turbinantemondo deifiocchi di neve, in cima al pendio. Risecompiaciuto e il respiro gli uscì dallaboccasottoformadinuvoledivapore.Poi,comeglierastatodettodifare,abbassòlosguardo.Videlepropriemani,ancoraunavolta guantate di neve, strette attorno allacorda. Vide le proprie gambe e le spostòperguardarelaslitta.Lafissòaboccaaperta.Perchéstavolta

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non si trattò di un’impressione fugace:anchelaslittapossedevalastessaeffimera,misteriosaqualitàcheerastatadellamelaedei capelli di Fiona… ma la slitta nonmutò.Laslittaera,ebasta.Quando riaprì gli occhi, era ancora sul

letto. Il Donatore era sempre lì, al suofianco, e lo scrutava con sguardointerrogativo.«Sì» rispose Jonas lentamente.«Èstato

lostessoancheperlaslitta».«Proviamo di nuovo con un’altra cosa.

Guarda la libreria. Vedi i libri sulloscaffaleinalto?»Jonas li cercòcon lo sguardoe,mentre

lifissava,anchequellimutarono,ancheseperunistantesoltanto.«È successo» disse. «È successo anche

ailibri,maèsparitosubito».«Avevo ragione, dunque» disse il

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Donatore. «Cominci a vedere il colorerosso».«Il…cosa?»Il Donatore sospirò. «Come posso

spiegartelo? Una volta, tanto e tanto etantotempofa,ognicosaavevaunaformae una grandezza, come ora, ma avevaanche una qualità chiamata colore.C’eranomoltissimicolori,eunodilorosichiamava “rosso”. È quello che haicominciato a vedere. I capelli della tuaamica Fiona sono di un rosso incredibile;l’avevo già notato. Perciò, quando vi haifatto cenno, ho intuito che probabilmentecominciavi a vedere quel particolarecolore».«E i volti delle persone? Cos’è che ho

vistodurantelacerimonia?»IlDonatorescosselatesta.«No,lapelle

nonèrossa,mahainsédellesfumaturedi

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rosso. Un tempo, lo scoprirai più avantigrazie allememorie, la pelle era dimolticolori diversi… prima dell’Uniformità,naturalmente. Ai giorni nostri la pelle haun unico colore: quelle che hai notato tuerano sfumature di rosa. Non hai visto ivoltitingersidiuncolorecosìaccesocomelamela,oicapellidellatuaamica,vero?»Gli sfuggì un risolino. «Nonpadroneggiamo completamentel’Uniformità, e i genetisti continuano alavorare sodo per eliminare le devianze.Capelli come quelli di Fiona devono farliammattire».Jonas lo ascoltava, sforzandosi di

comprendere. «E la slitta?» chiese. «Erarossaanchequella.Perònonmutava:eraebasta».«Perché a quel tempo il colore era e

basta,eccoperché».

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«Eracosì…oh,vorreicheillinguaggiofossepiùpreciso!Ilrossoeracosìbello».IlDonatoreannuì.«Sì,loè».«Eleilovededicontinuo?»«Sì,iolivedotutti.Tuttiicolori».«Livedròanch’io?»«Naturalmente.Viavia che riceverai le

memorie. Tu hai la capacità di vedereoltre. E poi acquisterai saggezza, insiemeaicolori.Emoltoaltroancora».Al momento Jonas non era molto

interessatoallasaggezza:eranoicoloriadaffascinarlo. «Perché non possono vederlitutti?Perchésonoscomparsi?»IlDonatorealzòlespalle.«Tantoetanto

e tanto tempo fa, gli uomini fecero unascelta: scelsero di passare all’Uniformità.Rinunciaronoaicolori,cosìcomealsoleealla neve e a tutte le altre differenze.Abbiamo acquisito il controllo di molte

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cose,maneabbiamopersealtrettante».«Nonavremmodovuto!»protestòJonas.Per un momento il Donatore sembrò

colpito dalla sua sicurezza, poi sorriseironico. «Sei arrivato molto in fretta aquesta conclusione»osservò.«Ame sonoserviti molti anni. Forse la tua saggezzaarriveràpiùrapidamentedellamia».Lanciò un’occhiata all’orologio sulla

parete. «Mettiti giù, ora. Abbiamoparecchiodafare».«Donatore,» chiese Jonas, tornando a

sdraiarsi sul letto «a lei com’è successo?Ha detto che anche lei ha visto oltre,manonnellostessomodo».Ilvecchiogliposòlemanisullaschiena.

«Un altro giorno» disse gentilmente ilDonatore. «Te ne parlerò un altro giorno.Ora dobbiamo lavorare e mi è venuto inmentecomeaiutartiariconoscereicolori.

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Chiudigli occhi e sta’ fermo, adesso.Stoper trasmetterti la memoria di unarcobaleno».

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13

Passarono igiornie le settimane. Jonasimparò, tramite le memorie, i nomi deicolori:ormailivedevatuttianchenellasuavita normale (che però normale non erapiù,losapeva,emaipiùlosarebbestata),anche se non duravano. Un lampo diverde:ilpratoattornoallaPiazzaCentrale,un cespuglio in riva al fiume. L’aranciovivido delle zucche trasportate sugliautocarri oltre i confini della Comunità:appena un istante, un guizzo di coloreacceso,edeccole tornatealla loro tonalitàpiatta, sbiadita. Ci sarebbe volutoparecchioprimachefossecapacedivedere

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i colori in modo permanente, gli disse ilDonatore.«Maiolivoglio!»protestòJonas.«Non

ègiustononvederli!»«Nonègiusto?» IlDonatore lo fissò in

modostrano.«Inchesenso?»«Be’…» Jonas dovette soffermarsi a

riflettere. «Se è tutto uguale, non c’èpossibilità di scelta. Ma io vogliosvegliarmi la mattina e scegliere! Peresempio… metterò una tunica azzurra ounarossa?»Abbassòlosguardosullastoffaincolore

dellapropriaveste.«Inveceètuttouguale,sempre». Poi rise imbarazzato. «So chenonèimportantecosaindossi,però…»«Però è importante poter scegliere,

giusto?»loaiutòaconcludereilDonatore.Jonas annuì. «Il mio fratellino… Cioè,

no, non è esattamente mio fratello, non

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proprio» si corresse subito. «Insomma ilneobimbodicui lamiafamigliasiprendecura,Gabriel…»«Sì,sodiGabriel».«Be’,oraènell’etàincuisiapprendedi

più. Afferra i giocattoli quando glielimettiamodavanti…miopadredicechestaimparando a coordinare i muscolisecondari.Edècosìcarino».IlDonatoreannuì.«Adesso che vedo i colori, sia pure di

tanto in tanto, non posso fare a meno dipensare: e se gli mettessimo davantioggetti d’un rosso vivido, o d’un gialloacceso, e lui potesse scegliere… nonsarebbemegliodell’Uniformità?»«Potrebbefarelasceltasbagliata».«Oh». Jonas restò in silenzio per un

minuto intero. «Capisco. Non avrebbeimportanzanelcasodiungiocattolo,però

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ne avrebbe in seguito, non è così? Nonpossiamo permettere che ciascuno facciadellesceltepercontoproprio».«Non sarebbe sicuro?» suggerì il

Donatore.«Assolutamente no» disse Jonas,

convinto. «Che accadrebbe se fossepermessoscegliereilpropriocompagno?Eselasceltasirivelassesbagliata?Ose…»proseguì, quasi ridendo per l’assurditàdell’idea «se fosse permesso scegliere ilpropriolavoro?».«Inquietante,vero?»Jonas ridacchiò. «Altroché. Neanche

riesco a immaginarmelo. Dobbiamoproteggerelagentedallesceltesbagliate».«Èpiùsicuro».«Sì» concordò Jonas. «Molto più

sicuro».Ma anche quando la conversazione si

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spostòsualtriargomenti,aJonasrestòunostranosensodifrustrazione,chenemmenoluiriuscivaaspiegarsi.Si irritava spessoultimamente: provava

una stizza irrazionale verso i compagni,cosìsoddisfattidelle lorovitemonotoneeincolori,privedellavivacitàcheiniziavaacaratterizzare la sua vita. E ce l’avevaanche con se stesso, perché non potevacambiarle.Ciprovòlostesso.SenzachiederealDonatoreunpermesso

che sapeva gli sarebbe stato negato, tentòdi trasmettere lasuanuovasensibilitàagliamici.«Asher»disseunamattina«guardaquei

fioriconmoltaattenzione».Eranoaccantoa un’aiuola di gerani davanti all’ArchivioDatiAccessibili.Posò lemani sulle spalle diAsher e si

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concentròsulrossodeipetali,cercandoditrattenerlonellamentepiùchepotevaealtempostessoditrasmetterloall’amico.«Chesuccede?»chieseAsheradisagio,

sottraendosialsuotocco.Toccareunaltrocittadino al di fuori della propria unitàfamiliare, era considerato un gestoestremamente scortese. «Qualcosa nonva?»«No, niente.Mi era parso che avessero

bisogno di essere annaffiati» si arreseJonassospirando.Una sera tornò a casa dal suo

addestramento con il peso di una nuovaconoscenza. Quel giorno il Donatore gliavevatrasmessounamemoriainquietante,sorprendente.Attraversoil toccodellesuemani,sieradicolporitrovato inunpostocompletamente alieno: un posto caldo espazzato dal vento sotto un vasto cielo

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azzurro, e cosparso di radi ciuffi d’erba,cespuglierocce;nonlontanoc’eraun’areadi vegetazione più fitta, con alti alberimassiccichesistagliavanocontroilcielo.Sentivadeirumori:gliscoppi–percepìlaparolaarmi– leurlae il tonfoassordantedi qualcosa che cadeva tranciando i ramideglialberi.Udìdellevocichiamarsi l’unl’altra. Mentre sbirciava dal suonascondiglio dietro gli arbusti, ricordò leparole del Donatore: un tempo, la pelleaveva colori diversi. Vide due uominicolor marrone scuro e altri più chiari. Liosservò strappare le zanne a un elefanteimmobile a terra e trasportarle via,grondantidisangue.Sisentìsopraffattodaquellanuovapercezionedelcolorerosso.Gliuominisiallontanaronovelocemente

versol’orizzonte,suunveicololecuiruotevorticanti sputavano ciottoli; uno lo colpì

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allafronteeloferì,maancoralamemorianon s’interruppe, nonostante Jonas nedesiderasseardentementelafine.Poco dopo vide un altro elefante

emergere dagli alberi dietro i quali si eranascosto, avvicinarsi lento al corpomutilatodelcompagnoeabbassarelatesta.La proboscide sinuosa accarezzò ilcadaveregigantescoesisollevòaspezzarei ramifronzutiperdeporlisullamontagnadi carne martoriata. Poi l’animale gettòindietro la massiccia testa, levò alta laproboscide e il suo barrito riecheggiò perlavuotadistesa.Jonasnonavevamaiuditounsuonosimile:eraungridodirabbiaedidoloreesembravanonaverefine.Continuò a sentirlo anche quando aprì

gli occhi e si ritrovò sul letto dellememorie,inpredaall’angoscia.Econtinuòa risuonarenellasuamente,

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mentrepedalavalentamenteversocasa.«Lily» chiese quella sera, quando la

sorellapresedalloscaffaleilsuooggettodiconforto,l’elefantinodipezza«saicheunavolta esistevano davvero gli elefanti?Elefantivivi…»Lily diede un’occhiata al malconcio

elefantino e ridacchiò. «Come no» disse,scettica.Mentreilpadrelescioglievainastridei

capellielapettinava,Jonasposòunamanosulle spalle di entrambi e con tutte le sueforze tentò di trasmettere loro unframmento di memoria: non il gridotorturato dell’elefante, ma l’essenza diquella creatura immensa, la delicatezzaconlaqualeallafineavevasalutatoilsuocompagno.Mamentre Papà continuava apettinarleilunghicapelli,Lily,spazientita,si era divincolata dalla presa del fratello.

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«Jonas»protestò«mifaimale».«Ti chiedo scusa per averti fatto male,

Lily»mormoròJonas,togliendolamano.«Scuse accettate» rispose Lily,

indifferente,accarezzando l’elefantesenzavita.

«Donatore» chiese una volta Jonas,mentre si preparavano per il lavoro delgiorno«leinonhaunacompagna?Nonleèconsentitorichiederla?».Era una domanda altamente indiscreta,

quella, e lui lo sapeva ma in fondo ilDonatoreloavevapiùvolteincoraggiatoafarne, e non gli era mai sembratoimbarazzato, né tanto meno offeso,neanche di fronte alle domande piùpersonali.«No»riseora«noncisonoregolechelo

impediscano. Avevo una compagna, sì,però dimentichi quanto sono vecchio,

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Jonas:giàdatempolamiacompagnavivecongliAdultiSenzaFigli».«Oh, naturalmente». Jonas aveva

effettivamentedimenticatoche,quandogliadulti della Comunità invecchiavano, lelorovitecambiavano.Nonservivanopiùacostituireun’unità familiare.Quando luieLilyfosserocresciuti,ancheilorogenitorisarebbero andati a vivere con gli AdultiSenzaFigli.«Sevorrai, potrai fare richiestaperuna

compagna, Jonas, ma ti avverto che nonsarà facile, per te. La vostra vita sarà perforza diversa da quella delle altre unitàfamiliari.Tantoperdirneuna, i librisonoproibiti a tutti tranne che a noi due,ricordi?»Jonas guardò l’incredibile quantità di

volumiattornoaloro.Ditantointanto,ora,nevedevaicolori

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e, anche se, tra una conversazione colDonatore e una rievocazione dimemoria,non aveva ancora avuto il tempo disfogliarli, sapeva che contenevano laconoscenza di secoli e che un giornosarebberostatisuoi.«Quindi se avrò una compagna e dei

figli,dovrònascondereloroilibri?»IlDonatore annuì. «Esatto.Nonmi era

consentito condividere i libri con la miacompagna. E ci sono altre difficoltà.Ricordilaregolachetivietadiparlaredeltuoaddestramento?»Jonas annuì. Certo che la ricordava: si

era rivelatadigran lunga lapiù frustrantediquellecuidovevaobbedire.«Quando diventerai l’Accoglitore

ufficiale, alla fine dell’addestramento, tisaranno date nuove regole, le stesse cheosservoio.Enontisorprenderàsapereche

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mi è proibito parlare del mio lavoro achiunque altro, tranne che al nuovoAccoglitore.Cisaràunagrossafettadellatua vita che non potrai condividere connessuno. È dura, Jonas. Per me è statadura. Perché, capisci, lememorie sono lamiavita».Jonas annuì di nuovo, più incerto

stavolta. A quanto ne sapeva lui, la vitaconsistevanelleattivitàdiognigiorno,nonc’era nient’altro. «L’ho vista fare dellepasseggiate»siazzardòadire.IlDonatoresospirò.«Faccio delle passeggiate. Consumo i

mieipasti a tempodebito.Equando sonoconvocatodalComitatodegliAnziani,mipresento al suo cospetto per fornireconsiglieinformazioni».«Lofaspesso?»chieseJonas,intimidito

all’idea che un giorno quei consigli

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sarebberostatirichiestialui.«No. Solo quando si trovano di fronte

qualcosa di nuovo e imprevisto.Allora sirivolgono a me perché attinga dallememorielasaggezzaaloronecessariaperprenderedelledecisioni.Succedemoltodirado,però.Avoltevorreichericorresseropiù spesso alla mia saggezza… ci sonotante cose che potrei dire, tante cose chevorrei cambiare. Ma loro non voglionocambiare.La vita che hanno scelto è cosìordinata,cosìprevedibile…cosìindolore».«Non capisco allora perché abbiano

bisogno di un Accoglitore, se poi non lointerpellanomai»commentòJonas.«Ne hanno bisogno, eccome, e dieci

anni fa se ne sono ricordati fin troppobene».«Chesuccessediecianni fa?Oh, loso:

hatentatodiaddestrareunsuccessoreeha

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fallito. Perché? E che conseguenze haavutosudiloro?»Il Donatore sorrise amaramente.

«Quando il nuovo Accoglitore venne amancare, le sue memorie fluirono libere.Non tornarono a me. Andarono…»Tacque,cercandoleparoleadatte.«Nonloso con esattezza. Andarono dove, in untempo precedente agli Accoglitori,esistevano le memorie: se ne stavano daqualchepartelàfuori»mosseilbraccioinungestovago«etuttiviavevanoaccesso.Eracosì,untempo».Tacque per riprendere fiato. «Scoppiò

un pandemonio» riprese «e per un po’conobberotuttiilverodolore.Maallafine,mentrelememorievenivanoassimilate,lasofferenza diminuì. Comunque, servì aricordare loro quanto avessero bisogno diun Accoglitore per tenere a freno tutta

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quellasofferenza.Etuttaquellasaggezza».«Però lei deve sopportarlo di continuo,

ildolore»osservòJonas.IlDonatoreannuì.«Einfuturotoccherà

ate.Èlamiavita.Saràanchelatua».Jonas pensò a come sarebbe stato per

lui.«Così la suavita consiste soltantonelpasseggiare e mangiare e…» guardò lepareti di libri che lo circondavano «…leggere?Tuttoqui?».Il Donatore scosse la testa. «Queste

sonolecosechefaccio.Lamiavitaèqui».«Inquestastanza,vuoledire?»«No». Il Donatore scosse la testa e si

portò una mano al viso e poi al petto.«Qui, dentro di me. Dove esistono lememorie».«ImieiIstruttoridiscienzaetecnologia

ci hanno insegnato il funzionamento delcervello» gli disse Jonas tutto orgoglioso.

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«È tuttounsuccedersidi impulsielettrici,comeuncomputer.Senestimoliunapartecon un elettrodo…» S’interruppe davantialla strana espressione comparsa sul visodelDonatore.«Loro non sanno niente» esclamò

amaramenteilvecchio.Jonas trattenne il fiato. Sin dal primo

giornonellastanzadell’Annesso,entrambisi erano disinteressati delle regole sulladiscrezione, e Jonas alla fine avevaimparato ad accettarlo. Ma qui le coseeranobendiverse,altrocheesserediscreti!Quella era un’affermazione terribile.Infrangevatutteleregolepiùimportanti.Ese qualcuno lo avesse sentito? Lanciòun’occhiata al comunicatore, atterritoall’idea che i Sorveglianti fossero inascolto, ma, come sempre durante i loroincontri,l’interruttoreerastatospostatosu

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OFF.«Niente?»bisbigliònervoso.«Maimiei

Istruttori…»IlDonatorefeceungestobrusco.«Oh,i

tuoi Istruttori sono bene addestrati.Conoscono tutti i dati scientifici. Ognunosvolge ilproprio lavoroallaperfezione.Èsolo che, senza le memorie, niente hasenso. Questo fardello è stato passato ame.Eall’Accoglitorechemihapreceduto.Eaquelloprimadilui».«E così via da tanto e tanto e tanto

tempo» cantilenò Jonas. Il Donatoresorrise:unsorrisostranamenteduro.«Esatto. E tu sarai il prossimo. Un

grandeonore».«Sì, signore. Me l’hanno detto, alla

cerimonia.L’onorepiùgrande».

A volte, il Donatore lo mandava viasenzatrasmetterglinulla.Neigiorniincui,

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arrivando, trovava il vecchio che sidondolava avanti e indietro col bustoinclinato e il volto pallido, Jonas sapevachesarebbestatosubitorimandatovia.«Vattene» gli diceva con voce tesa.

«Oggistomale.Tornadomani».In quei giorni, preoccupato e

insoddisfatto, Jonas andava a passeggiolungo il fiume. I sentieri erano deserti,trannecheperpochiAddettialleConsegneequalchePaesaggistaallavoroquaelà.Ibimbi piccoli erano tutti riuniti al CentroInfanzia per il doposcuola, e i piùgrandicelli erano impegnati con le ore divolontariato o di addestramento. Da solo,mettevaallaprovaiprogressidellapropriamemoria.Siguardavaintornoperscorgerelampi di verde che sapeva sarebberoaffioratitragliarbustie,alprimoaccenno,si concentrava e tratteneva il colore più a

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lungo possibile, finché la testa non glidolevaelocostringevaadesistere.Fissava il cielo scialbo e vi portava

l’azzurroeilsolefinchéfinalmente,perunistante soltanto, riusciva a sentirne ilcalore.Se ne stava lì a fissare il ponte sul

fiume, il ponte che gli abitanti dellaComunitàpotevanovarcaresolopermotiviufficiali. Jonas lo aveva attraversato inoccasionediunagitascolasticainun’altraComunità, e sapeva che anche di là dalponte si susseguivano i soliti campicoltivati,ordinati emonotoni.Quantoallealtre Comunità, erano sostanzialmenteuguali alla sua: l’unica differenza era daricondursi a una lievemodifica dello stilearchitettonicoodeiprogrammiscolastici.Ma che cosa c’era laggiù, lontano, là

dove non era mai stato? Il mondo non

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finiva con le poche Comunità confinanti.C’erano colline Altrove? C’erano ampiedistese spazzate dal vento, simili a quellaconosciuta attraverso la memoria, quelladov’eramortol’elefante?

«Donatore» chiese un pomeriggiosuccessivo a un giorno in cui era statomandato via «cos’è che la fa soffriretanto?».Non ricevendo risposta, proseguì: «Il

SommoAnzianohadettofindasubitocheaccogliere le memorie fa soffrireterribilmente;elei,signore,mihaspiegatoche, quando l’altro Accoglitore fallì, laComunità fu oppressa da memorie didolore. Però finora io non ho sofferto,Donatore». Sorrise. «Oh, ricordo lascottatura del primo giorno, però nonfacevapoi cosìmale.Allora, cos’è che lafasoffriretanto?Forse,semenedesseuna

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parte,ilsuodolorediminuirebbe».IlDonatoreannuì.«Mettiti giù» disse. «È giunto il

momento, suppongo. Non possoproteggerti per sempre o dovraisopportarlotuttoinsieme,allafine.Fammipensare…» continuò, dopo che Jonas, unpo’ timoroso, si fu steso sul letto. «Sì, cisono. Cominceremo con qualcosa difamiliare. Torniamo sulla collina, sullaslitta».EposòlemanisullaschienadiJonas.

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Eraunamemoriamolto simileall’altra,ma la collina sembrava più ripida e lanevicata meno fitta. Faceva anche piùfreddo e Jonas, fermo in cima al pendio,notò che la neve sotto la slitta non eraspessa e soffice come sempre,ma dura ericoperta da una patina di ghiaccioazzurrino.Quando la slitta iniziò la sua corsa,

Jonas ridacchiò entusiasta all’idea dirilanciarsigiùaperdifiato,abbandonandosinell’aria gelida.Ma stavolta i pattini nonscivolarono sicuri sulla distesa ghiacciata:slittarono di sbieco, accelerando sempre

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più.Jonas strattonò la corda, tentando di

riprendere il controllo, ma il pendio eratroppo ripido e di colpo il ragazzo,terrorizzato,sitrovòinbaliadellavelocità.Laslittasbandò,giròsusestessae infinecozzò contro una gobba del terreno,scaraventandoJonasperaria.Ricaddeconuna gamba ripiegata sotto di sé e udìpersinounossospezzarsi.Tante dita di ghiaccio gli graffiarono il

viso e, quando finalmente si fermò,giacque sconvolto, incapace di provaredapprimanient’altrochepaura.Poiarrivòla prima ondata di dolore e gli mozzò ilfiato.Gli parve che un’ascia gli si fosse

abbattuta sulla gamba, recidendo ogninervo con la lama infuocata. Inquell’atroce agonia riusciva a percepire il

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termine “fuoco” e sentì le fiammelambirgli l’osso rotto e la carne.Tentò dimuoversi e non ci riuscì. Il doloreaumentò.Urlò,manonricevetterisposta.Singhiozzando voltò la testa e vomitò

sulla neve gelata. Insieme al vomito glifuoriuscìdallaboccaunfiottodisangue.«Nooooo!» gridò, e il suo grido fu

portato via dal vento che sferzava ilpaesaggiodesolato.Dicolposiritrovòsullettonellastanza

dell’Annesso,ilvoltobagnatodilacrime.Finalmente capace di muoversi, oscillò

avanti e indietro, respirando a fondo elottandocontroilricordodeldolore.Seduto, si guardò la gamba distesa sul

letto, integra.Lasofferenza lancinanteerascomparsa, ma la gamba gli dolevaterribilmente e si sentiva la faccia

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scorticata. «Posso avereun annulladolore,perpiacere?»implorò.Nella sua vita di tutti i giorni, c’era

sempre stato un rimedio per i lividi e leferite, per un dito schiacciato, un mal distomaco, un ginocchio sbucciato. C’erasempre una pomata, o una pillola o, neicasi più gravi, un’iniezione che davaimmediatoecompletosollievo.«No» disse il Donatore, e distolse lo

sguardo.Quella sera Jonas tornò a casa

zoppicando e spingendo la bici. Il doloredella scottatura, al confronto, era statolieve ed era passato quasi subito, maquestodoloreduròalungo.Non era insopportabile come quello

provato sulla collina, però, e Jonas sisforzò di resistere. Ricordava che ilSommo Anziano lo aveva presentato

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davanti a tutti come un ragazzocoraggioso.«Qualcosa non va, Jonas?» gli chiese

Papàdurantelacena.«Seicosìsilenzioso,stasera. Ti senti bene? Vuoi qualchemedicinale?» Ma Jonas ricordava leregole:nientecuremedichepermalattieoferite connesse all’addestramento. E nonuna sola parola su ciò che accadevadurante quelle ore. Così al momento dicondividere le emozioni, dissesemplicementecheera stancoperchéquelgiorno le lezioni erano state piùimpegnativedelsolito.Dopodichésiritiròsubitonellasuastanzae,dadietrolaportachiusa,ascoltòigenitorielasorellariderementrefacevanoilbagnoseraleaGabriel.“Loro non hanno mai conosciuto il

dolore”pensò.Quella consapevolezza lo fece sentire

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disperatamente solo e si accarezzò lagamba che pulsava ancora di dolore. Cimise parecchio per addormentarsi, e insogno non fece altro che riviverel’angoscia e la solitudine provate sullacollinadesolata.

L’addestramento proseguì e, da quelgiorno, incluse sempre ildolore.L’agoniadella gamba fratturata cominciò adapparirgliundisagiotrascurabilementreilDonatoreloguidava,passodopopasso,frale profonde, terribili sofferenze delpassato.Ogni volta, gentile com’era, il vecchio

concludeva il pomeriggio con unamemoriariccadicoloriedigioia–ungiroin barca a vela su un lago verde-azzurro;un campo punteggiato di fiori gialli; untramonto aranciato dietro le montagne –ma non bastava ad alleviare la pena che

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oraJonascominciavaaconoscere.«Perché?» gli chiese Jonas dopo aver

ricevutounastraziantememoriadifameeabbandono.Era steso sul letto, sofferente,e il suo stomaco ancora conservava ilricordodeglispasmilancinanti.«Perchéleieiodobbiamocustodirequestememorie?»«Perché ci danno saggezza» replicò il

Donatore. «Senza saggezza non potreiassolvere alla mia funzione di consulentedelComitatodegliAnzianiogniqualvoltavengoconvocato».«Ma quale saggezza può venire dalla

fame?» protestò Jonas, con lo stomacoancora dolorante, sebbene la memoria sifosseormaiesaurita.«Anni fa, prima che tu nascessi, un

gruppodiabitantipresentòunapetizionealComitato degli Anziani. Volevano che aogni Partoriente fossero concesse quattro

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nascite invece di tre, così la popolazionesarebbeaumentataeci sarebberostatipiùLavorantiadisposizione».Jonas annuì, attento. «Sembra

ragionevole».«Sostenevanochealcuneunitàfamiliari

potevanoaccogliereunbambinoinpiù».Di nuovo Jonas annuì. «La mia

potrebbe» gli fece notare. «Quest’annoabbiamoGabriel,edèdivertenteavereunterzobambino».«IlComitatodegliAnzianichieselamia

opinione» proseguì il Donatore.«Sembrava ragionevole anche a loro, maera un’idea nuova e perciò ricorsero allamiasaggezza».«Eleifecericorsoallememorie?»Il Donatore fece cenno di sì. «E la

memoria più forte fu la fame. Scaturì damolte generazioni addietro. Secoli

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addietro. La popolazione era aumentatacosì tanto che c’era fame ovunque. Unafamestraziante.Carestia.Eguerra».«Guerra?» Questo era un concetto

sconosciuto a Jonas, anche se ora sapevacos’era la fame. Inconsciamente, si passòuna mano sulla pancia, ricordandosi deldolore provocato dalla mancanza di cibo.«E così gliene ha parlato? Gliel’hadescritta?»«Lorononvolevanosentirparlaredella

sofferenza. Volevano solo un consiglio.Perciòmi limitai a esprimere un’opinionesfavorevole all’aumento dellapopolazione».«Ha detto che questo accadde prima

dellamianascita.Laconvocanopropriodirado.Soloquando…com’è chehadetto?Quando devono affrontare un problemamai incontrato prima? Quand’è successo

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l’ultimavolta?»«Ricordi il giorno che l’aeroplano

sorvolòlaComunità?»«Sì.Ebbipaura».«Ancheloro.Eranoprontiadabbatterlo,

ma prima chiesero ilmio consiglio.Dissilorodiaspettare».«E lei come lo sapeva? Come sapeva

cheilpilotasierasmarrito?»«Non lo sapevo.Usai lamia saggezza,

natadallememorie.Sapevocheinpassatoc’erano stati tempi terribili… quando lafretta e la paura avevano spinto popoliinteriadistruggersiavicenda».Un pensiero improvviso colpì Jonas.

«Ciò significa» disse lentamente «che leiconserva memorie di distruzione. E chedovrà trasmettermele, per permettermi diacquisiresaggezza».IlDonatoreannuì.«Questo,però,faràmale»disseJonas.E

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noneraunadomanda.«Unmaletremendo»assentìilvecchio.«Ma perché non le hanno tutti, le

memorie? Sarebbe più facile, penso, sefosserocondivise.Leieionondovremmosopportarne tante, se ciascuno se neprendesseunaparte».IlDonatoresospirò.«Hairagione,main

tal caso tutti proverebbero dolore e lorononvogliono.Eccoperchél’Accoglitoreèuna figura di così grande importanza.Miscelsero, come hanno scelto te, persbarazzarsidiquestofardello».«Quando lo hanno deciso?» chiese

Jonas, furioso. «Nonègiusto.Èuna cosadacambiare!»«Che suggerisci di fare? Io non sono

mai riuscitoaescogitareunmodo,eppuredetengolasaggezzadell’umanitàintera».«Ma siamo in due ora» disse Jonas in

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preda all’entusiasmo. «Insieme possiamoescogitarequalcosa!»Il Donatore lo guardò con un sorriso

ironicosulvolto.«Potremmo semplicemente chiedere di

cambiareleregole»suggerìJonas.Per tuttarisposta, ilDonatorescoppiòa

ridere e anche Jonas, dopo un po’,ridacchiòriluttante.«La decisione fu presa molto prima di

me e di te, prima del precedenteAccoglitore.Fupresa…»«Tanto e tanto e tanto tempo fa»

concluse Jonas, ripetendo la frase ormaifamiliare.Avolteglieraparsa importanteesignificativa.Mainquelmomentoglisembròsoltanto

minacciosa.Significavachenientesarebbecambiato.Mai.

Il neobimbo, Gabriel, cresceva bene e

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superavaconsuccessoleprovecuivenivasottoposto ogni mese; ormai stava sedutoda solo, riusciva ad afferrare piccoligiocattolieglieranospuntatiseidentini.Durante il giorno, raccontava Papà, era

allegro e sembrava dotato d’intelligenzanormale, ma di notte era sempre agitato,spesso piagnucolava e aveva bisogno dicostantiattenzioni.«Dopo tutto il tempo che gli ho

dedicato, spero non decidano dicongedarlo» disse una sera Papà, mentreGabriel, fresco di bagnetto, se ne stavasdraiato placido nel lettino che avevasostituito la cesta, abbracciato al suoippopotamo.«Forse sarebbe meglio» suggerì

Mamma.«Socheatenonimportapassarelanotteinbianco,mapermeèterribile».«Se congedano Gabriel, potremo avere

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come ospite un altro neobimbo?» chieseLily.Erainginocchiataaccantoallacullaefacevasmorfiebuffealpiccolo.LamadrediJonasalzògliocchialcielo.«No» disse Papà, sorridendo e

scompigliò con fare scherzoso i capelli diLily.«Èraroche la sortediunneobimbosia incerta come quella di Gabriel.Probabilmente non accadrà più permoltotempo. In ogni caso» sospirò «nonprenderanno una decisione ancora per unpo’.C’ègiàunaltrocongedoinvista:unaPartoriente darà alla luce due gemelliidenticiilmeseprossimo».«Oh,caro»disseMamma, scuotendo la

testa. «Se sono omozigoti, spero che nontocchiate…»«Toccaame.Dovròsceglierequelloda

accudire e quello da congedare. Però disolito non è difficile: basta pesarli e poi

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congediamoilpiùpiccino».Di colpo Jonas si estraniò dalla

conversazione. Pensò al ponte e adAltrove. Che ci fosse qualcuno, là, inattesa di ricevere il piccolo gemellocongedato? Sarebbe cresciuto Altrove,senzamai sapere che in questa Comunitàvivevaqualcunoidenticoalui?Perunmomentoprovòun’esile,tremula

speranza che ci fosse Larissa in attesa,l’anzianacheaveva lavatoallaCasadegliAnziani. Ricordò i suoi occhi scintillanti,lasuavocepacata,lasuarisatasommessa.FionagliavevadettocheLarissaerastatacongedata di recente con una cerimoniabellissima.Però agli anziani non venivano dati

bambini da accudire. Altrove, la vita diLarissa si sarebbe svolta tranquilla eserena, senza la responsabilità di allevare

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un neobimbo che doveva essere nutrito ecuratoecheprobabilmenteavrebbepiantodinotte.«Mamma, Papà» disse, colpito da

un’ideaimprovvisa«perchénonmetteteillettino di Gabriel nella mia stanza,stanotte? So come nutrirlo e calmarlo, evoipotretedormire».Papà sembrò dubbioso. «Tu hai un

sonno così pesante, Jonas. E se non tisvegliassiquandosiagita?»FuLilyarispondere.«Senessunoglidà

retta» puntualizzò «Gabriel è capacissimodisvegliarcitutti».Papà rise. «Hai ragione, Lily-trilli.

D’accordo, Jonas, facciamo una prova,soloperstanotte.Miprenderòunanottediriposoecosìpermetteròancheatuamadredidormire».

Gabriel dormì sodo nella prima parte

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della notte. Jonas rimase sveglio per unpo’;ogni tanto, si sollevava suungomitoper dargli un’occhiata: il neobimbo eradistesobocconi, lebraccia rilassatevicinoalla testa, gli occhi chiusi, il respiroregolare. Così, alla fine, anche Jonas siaddormentò.Poi, nel bel mezzo della notte, fu

svegliato dal piagnucolio inquieto diGabriel. Il neobimbo si rigirava sotto lacopertina, agitando convulsamente lebraccia.Jonas si alzò e andò ad accarezzargli

dolcemente la schiena: a volte, questobastava a farlo riaddormentare. Ma ilneobimbocontinuòasmaniare.Mentre continuava ad accarezzarlo

ritmicamente, Jonas ripensò allaspettacolare gita in barca che il Donatoregliavevatrasmessopocotempoprima:una

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giornata limpida e ventosa su un lagoturchese, con la vela bianca cheondeggiavavivacesopralasuatesta.Non si accorse di stare a sua volta

trasmettendo la memoria, ma di colpo sirese conto che essa cominciava aoffuscarsi, che scivolava dalla sua manonellamentedelneobimbo.Gabriel si calmò. Sgomento, Jonas

richiamò a sé i brandelli di quellamemoria, di scatto tolse la mano dallaschiena del piccolo e restò immobileaccantoallettino.Tentòdirichiamareallamente lagita inbarca:c’eraancora,mailcielo era meno azzurro, la barcaondeggiavapiù lenta, l’acquadel lagoerapiùscuraetorbida.La trattenne per un po’, usandola per

placare il proprio nervosismo, poi laaccantonòetornòaletto.

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Di nuovo, verso l’alba, il neobimbo sisvegliò piagnucolando e di nuovo Jonasandò da lui e, questa volta con pienacoscienza,gliposòlemanisullaschienaeglitrasmiseilrestodellagitasullago.Gabriel tornò ad addormentarsi, ma

Jonas restò sveglio a lungo, riflettendo.Non gli era rimasto un solo frammentodellamemoriaeprovavaunleggerosensodi vuoto. Sapeva di poter chiedere alDonatore un’altra gita in barca. O unviaggio sull’oceano, magari: perché orasapeva che cos’era l’oceano e sapevaancheche,nellememorieavenire,c’eranolunghetraversateinnave.Si domandò se confessare l’accaduto,

ma era pienamente consapevole di nonessere ancora qualificato come Donatore;né Gabriel era stato prescelto comeAccoglitore.

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Avereuntalepoterelospaventò.Megliononparlarne,decise.

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Appena mise piede nella stanzadell’Annesso, Jonas capì che quello erauno di quei giorni in cui sarebbe statomandatosubitovia:ilDonatoresenestavarigidosullasedia,ilvoltofralemani.«Tornerò domani, signore» disse

rapidamente Jonas. Poi esitò. «Posso farequalcosaperlei?»chiese.IlDonatorealzò losguardosudi lui, il

visocontrattodallasofferenza.«Tiprego»ansimò«accoglipartediquestodolore».Senza esitare, il ragazzo lo aiutò a

raggiungere la sedia accanto al letto, sitolse la tunica e si sdraiò. «Mi metta le

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manisullaschiena»loesortò.Lemanigiunsero,eildoloregiunsecon

loro e attraverso di loro. Facendosi forza,Jonaspenetrònellamemoriachetorturavailvecchio.Siritrovòinunluogocaotico,rumoroso,

maleodorante. Era mattina presto e l’ariaeradensadifumoscuro.Daogniparteattornoalui,finoinfondo

a quello che sembrava essere un campo,vedeva riversi a terra uomini che silamentavano.Un cavallo dagli occhi folli, le briglie

spezzate, penzoloni, galoppava a spronbattuto fra i corpi ammucchiati qua e làscuotendo la testa e nitrendo terrorizzato,finché inciampò e cadde per non rialzarsipiù.Jonasudìunavocevicinoasé.«Acqua»

bisbigliòqualcunoconlagolariarsa.

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Sivoltòeincontrògliocchisocchiusidiunragazzononmoltopiùgrandedilui,colviso rigato di polvere e i capelli biondiarruffati.Senestavalàdisteso,inerte,l’uniforme

grigialucidadisangue.I colori della carneficina risplendevano

in modo grottesco: il rosso cremisi dellaveste madida, polverosa e lacera; i filid’erba,diunverdeaccecante,traicapelli.Ilragazzolofissò.«Acqua»losupplicò

di nuovo. Con le parole, gli uscì dallelabbraunfiottodisangue.Un braccio di Jonas era immobilizzato

dal dolore e, attraverso la manicastrappata,intravidequalcosachesembravacarnemaciullataeossascheggiate.Lentamente mosse l’altro braccio a

cercarelaborracciadimetallocheavevaalfianco e ne svitò il tappo, fermandosi a

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ogni nuova fitta di dolore. Infine, quandoriuscì ad aprirla, tese lamano al di sopradellaterrainsanguinatae,centimetrodopocentimetro, la avvicinò alle labbra delragazzo.L’acquascorrevacomeunruscellonella

bocca implorante e lungo il mentoincrostatodisporcizia.Il ragazzo sospirò.La sua testa ricadde

all’indietroelaboccasispalancò,comesequalcosal’avessecoltodisorpresa.Un velo opaco gli scivolò lento sugli

occhi.Ilsilenzioloavvolse.Mailrumoretutt’intornocontinuava:le

grida dei feriti che imploravano acqua emadre e morte; le strida dei cavalliabbattuti che inarcavano il collo escalciavanofollicontroilcielo.In lontananza, Jonas udì il rombo dei

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cannoni.Sopraffattodallasofferenza,restòdisteso in quel marciume per ore,ascoltando uomini e bestie morire,apprendendo il significato della parolaguerra.E finalmente, quando capì di nonpoter

sopportare oltre, onde evitare di invocarelui stesso la morte, aprì gli occhi e siritrovò ancora una volta sul letto dellememorie.Il Donatore distolse lo sguardo da lui,

comesenonpotessesopportarelavistadiciòchegliavevafatto.«Perdonami» fu tutto ciò che riuscì a

dire.

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Jonas non voleva tornare nella stanzadell’Annesso.Non voleva lememorie, nél’onore, né la saggezza; e non voleva ildolore. Rivoleva la sua infanzia, leginocchiasbucciateeigiochispensierati.Se ne stava seduto in casa, da solo, a

guardare dalla finestra. Osservava ibambini che giocavano, gli abitanti dellaComunità che tornavano a casa inbicicletta dopo una normalissima giornatadi lavoro, durante la quale non erasuccesso niente che fosse degno di nota,tutte vite ordinarie, libere dagli affanni,perchélui,comealtriprimadilui,erastato

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presceltoperportarequelfardelloalpostoloro.Manonavevaalternative.Ogni giorno ritornava nella stanza

dell’Annesso.Permoltigiorni,dopoquellaterribilememoriadiguerra,ilDonatorefucomprensivoconluieglitrasmisesoltantomemoriepiacevoli.«Ce ne sono tante» gli disse. Ed era

vero.Jonas aveva già sperimentato

innumerevoli, sconosciuti frammenti digioia. Aveva assistito a una festa dicompleanno e aveva visto un bambinofesteggiato in un giorno tutto suo, e oracapiva la gioia di essere un individuospeciale,unicoefiero.Avevavisitatomuseieammiratodipinti

pieni di tutti i colori che ora conosceva eindividuava.

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Durante una memoria di pura estasiaveva cavalcato un cavallo dal mantoscuro e lucido su un campo d’erbaprofumata ed era smontato accanto a unruscello, e lui e il cavallo ne avevanobevuto l’acqua fredda e limpida. Oraconoscevaglianimalie,quandoilcavallo,dopo aver bevuto, gli avevaaffettuosamente strofinato il muso controunaspalla,Jonasavevapercepitoillegameesistentefraloroegliesseriumani.Aveva camminato nei boschi e si era

seduto di notte davanti a un fuoco.Attraverso le memorie aveva appreso ildolore dell’abbandono e della solitudine,ma aveva conquistato anche laconsapevolezza dei benefici chequest’ultimapotevarecareconsé.«Qual è la sua memoria preferita?»

aveva chiesto al Donatore. «Aspetti a

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trasmettermela, però» si era affrettato adaggiungere.«Meneparlisoltanto,perora,così che possa gustarne l’attesa, dato chelei me la trasmetterà per ultima, quandoavràterminatoilsuocompito».Il Donatore sorrise. «Mettiti giù» gli

disse.«Sonofeliceditrasmettertela».Jonasneassaporòlagioiafindalprimo

istante.Qualchevoltaglicivolevaunpo’per orientarsi e integrarsi, ma stavolta sisentìsubitoasuoagioeavvertì lafelicitàchepervadevalamemoria.Si trovava in una stanza affollata e

calda, col fuoco che avvampava nelcaminetto.Dilàdallafinestra,videcheeranotteenevicava.Videlucicolorate,rosseeverdiegialle,

ammiccare fra i rami di un albero che,stranamente,eradentrolastanza.Su un tavolo, in un candeliere

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sfavillante, riluceva il soffuso splendoretremulodellecandele.L’ariaprofumavadicibo e risuonava di risa sommesse. Uncane dal pelo dorato sonnecchiava sulpavimento.A terra c’erano pacchi avvolti in carta

dai colori vivaci e legati da nastriscintillanti; un bimbetto cominciò araccoglierli e a distribuirli alle personenellastanza:adaltribambini,adueadultiche erano ovviamente i genitori, aun’anziana coppia sorridente seduta suundivano.Sotto gli occhi di Jonas, ognuno

cominciòa sciogliere inastriea svolgerela carta luccicante, aprendo i pacchi checontenevano giocattoli, abiti e libri.Risuonaronoesclamazionidigioia.Tuttisiabbracciaronoavicenda.Un bambino andò a sedersi in grembo

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all’anziana, che lo cullò e strofinò unaguanciacontrolasua.Jonas aprì gli occhi e restò sdraiato sul

letto, felice, indugiando ancora nel calorecosì avvolgente e rassicurante di quellamemoria.Erano tutte lì, le cose che aveva

imparatoadamare.«Che cosa hai percepito?» gli chiese il

Donatore.«Calore» fu la risposta «e felicità. E…

mi lasci pensare. Famiglia. Era unacelebrazione di qualche tipo, una festa. Equalcos’altro… non so trovare la parolaadatta».«Tiverràinmente».«Chierano idueanziani?Perchéerano

lì?»La loro presenza lo aveva stupito. Gli

anzianidellaComunitànonlasciavanomai

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l’edificio loro riservato, dov’erano cosìbencuratierispettati.«Sichiamavanononni».«Nonni?»«Nonni.Tantotempofa,sichiamavano

cosìigenitorideigenitori».«Tantoetantoetantotempofa?»Jonas

ridacchiò.«Vuoledirechec’eranogenitorideigenitorideigenitorideigenitori?»AncheilDonatorerise.«Esatto.Un po’ come guardarsi in uno

specchio e vedere te stesso che guardi inunospecchioeviadiseguito».Jonas aggrottò la fronte. «Anche imiei

genitori hanno avuto dei genitori! Non ciavevo mai pensato. Chi sono i lorogenitori?Edovesono?»«Potresti cercare nell’Archivio Dati

Accessibili. Troveresti i loro nomi. Mapensaci, figliolo. Quando tu stesso farai

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richiesta per avere dei bambini, chisaranno i genitori dei loro genitori? Chisarannoilorononni?»«MammaePapà,naturalmente».«Edovesaranno?»Jonas ci pensò su. «Oh» disse

lentamente. «Alla fine del mioaddestramento, quando diventerò adulto,mi daranno una casa tutta mia. E ancheLily, quando tra qualche anno diventeràadulta, avrà una sua casa e forse uncompagnoebambini,senefaràrichiesta,ealloraMammaePapà…»«Esatto».«Finché continueranno a lavorare e a

contribuire alla Comunità, andranno avivere con gli altri Adulti Senza Figli enon faranno più parte della mia vita. Atempo debito andranno nella Casa degliAnziani»proseguìJonasriflettendoadalta

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voce «dove saranno curati e rispettati, ealla fine congedati con una bellacerimonia».«Allaqualetunonparteciperai»precisò

ilDonatore.«No, naturalmente no; è probabile che

non ne sarò nemmeno informato. A quelpuntoavrò lamiavitacuipensare.EcosìLily.Perciòneancheinostribambini,seneavremo, sapranno chi erano i genitori deiloro genitori… Funziona piuttosto bene,vero?IlmodoincuièorganizzatalanostraComunità, voglio dire…» concluse Jonas.«Primadiriceverequellamemoria,nonmiero reso conto che potesse essercene unaltro».«Funziona,sì»concordòilDonatore.Jonas esitò. «Però la memoria mi è

piaciuta…molto.Capiscoperchéè la suapreferita. Non riesco ancora a trovare la

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parola per descrivere la sensazione cheemanava, il sentimento che riempival’interastanza».«Amore».«Amore…»ripetéJonas.Eraunaparola

nuova, un concetto a lui sconosciuto.Rimasero in silenzio per qualche tempo,poiJonasdisse:«Donatore?».«Sì?»«Misentomoltoscioccoadirlequesto.

Molto,moltosciocco».«Niente è sciocco, qui. Fidati delle

memorieediquellocheticomunicano».«Be’» disse Jonas, abbassando lo

sguardo «so che ora non ha più quellamemoria perché me l’ha trasmessa, cosìforsenonpotràcomprendere…».«Posso.Meneèrimastaancoraunpo’e

ho molte altre memorie di famiglie e difesteedifelicità.Diamore».

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«Pensavo» sbottò Jonas, incapace ditrattenersi oltre «pensavo che… be’,capisco che non era un modo di viveremolto pratico, insieme agli anziani, e chemagarinonvenivanocuratibenecomeora,e che noi abbiamo sistemato tutto nelmodo migliore… però, insomma…pensavo…dovevaesserebello,ecco.Emipiacerebbe che fosse così anchepernoi eche lei fosse mio nonno. Quella famigliasembrava più…». S’interruppe, incapaceditrovarelaparolagiusta.«Piùcompleta»suggerìilDonatore.Jonas annuì. «Mi piaceva quel senso

d’amore» confessò. Lanciò un’occhiatanervosa al comunicatore sul muro, peraccertarsichenessunostesseascoltando.«Vorrei che l’avessimo ancora»

bisbigliò. «Naturalmente» aggiunse infretta «capisco che non funzionerebbe

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moltobeneechelanostraorganizzazioneè molto migliore. Era un modo di viverepericoloso,questolocapisco».«Inchesenso?»Jonas esitò. In effetti non capiva bene

ciòchesentiva.Sapevachec’eraimplicatounrischiomanonsapevabenequale.«Be’» disse alla fine, annaspando in

cerca d’una spiegazione «c’era del fuocopropriodentro lastanza.Nelcaminetto.Ecandele accese sulla tavola. Capiscoperfettamente perché abbiamo banditocose del genere… Però» aggiunselentamente,cometraséesé«mipiacevalalucecheemanavano.Equelcalore».

«Papà… Mamma…» si azzardò achiedere dopo il pasto serale «vorreidomandarviunacosa».«Checosa,Jonas?»chiesePapà.Jonas si costrinse a pronunciare le

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parole, pur sentendosi avvampared’imbarazzo: le aveva provate e riprovatementalmentetornandodall’Annesso.«Voimiamate?»Seguì un momento di silenzio

impacciato, poi a Papà sfuggì una risata.«Jonas. Proprio tu! Precisione dilinguaggio,perpiacere!»«Chevuoidire?»chieseJonas.Tutto si

era aspettato, fuorché una reazionedivertita.«Papàvuoldirechehaiusatountermine

troppo generico, così privo di significatoda essere caduto in disuso» gli spiegòMamma.Jonaslifissòallibito.Privodisignificato?Non aveva mai provato qualcosa che

avessepiùsignificatodiquellamemoria.«EnaturalmentelanostraComunitànon

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puòfunzionarecorrettamente,senonsiusaun linguaggio preciso. Perciò puoichiedere“provatepiacereastareconme?”elarispostaèsì»proseguìsuaMamma.«O» suggerì Papà «“siete fieri deimiei

risultati?”edinuovolarispostaèsì».«Capisciperchénonèappropriatousare

iltermine“amore”?»chieseMamma.Jonas annuì. «Sì, grazie, lo capisco»

risposelentamente.Quella fu la prima volta che mentì ai

genitori.

«Gabriel?» bisbigliò quella notte alneobimbo,dinuovonellasuastanza.Dato che Gabe aveva dormito

profondamente per quattro notticonsecutivenellastanzadiJonas,igenitoriavevanodecretatochel’esperimentoeraunsuccessoeilragazzouneroe.Gabriel cresceva in fretta e ora che

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finalmente dormiva bene, avevaannunciato Papà, sarebbe stato certogiudicatoidoneodalCentroPuericultura:adicembre,fraappenaduemesi,glisarebbestato assegnato il nome con la cerimoniaufficiale e sarebbe stato consegnato allasuaunitàfamiliare.Ma, quando era stato tolto dalla stanza

di Jonas, il piccolo aveva smesso didormire e aveva ripreso a piangere dinotte.Cosìloavevanoriportatolì.Gli avrebbero concesso un altro po’ di

tempo, decisero. Visto che stare nellastanza di Jonas gli piaceva, vi sarebberimasto qualche altra notte, finché non sifosse abituato a dormire bene. IPuericultori erano ottimisti sul futuro diGabriel.NoncifurispostaalsussurrodiJonas:il

neobimbodormivacomeunsasso.

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«Le cose potrebbero cambiare, Gabe»proseguì Jonas. «Potrebbero esserediverse.Nonsocome,madev’essercipureunmodopercambiarle.Potrebberoessercii colori. E i nonni» aggiunse, alzando losguardoalsoffittobuio.«Etuttiavrebberole memorie. Tu sai delle memorie…»bisbigliò,voltandosiversoillettino.Il respiro di Gabriel era regolare e

profondo.A Jonas piaceva averlo lì, pur

sentendosiincolpaperilsuosegreto.Ogninotte gli trasmetteva qualche memoria:memoriedigiteinbarcaediscampagnateal sole; memorie di pioggia frusciantecontro le persiane; memorie di danze apiedinudisuiprati.«Gabe?»Ilneobimbofremettenelsonno.«Potrebbe esserci amore» bisbigliò

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Jonas.

La mattina dopo, per la prima volta,Jonasnonpreselapillola.Qualcosadentrodi lui, qualcosa che era maturato con lememorie,glidissedigettarlavia.

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17

«QUESTOGIORNOÈDICHIARATOVACANZAFUORIPROGRAMMA».Jonas,igenitorieLilyfissaronosorpresi

il comunicatore dal quale era uscitol’annuncio. Accadeva così di rado cheadulti e bambini fossero esonerati dalleloro attività quotidiane: tutti i compitiindispensabili–puericultura,consegnadelciboecuradeglianziani–sarebberostatisvolti dai Lavoranti sostituti, cheavrebbero usufruito di un diverso giornolibero. Proprio per la sua rarità, l’eventorappresentava un’occasione di festa perogniabitantedellaComunità.

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Esultando, Jonas mise giù la cartellinacon i compiti. La scuola non era più cosìimportanteperlui,etral’altro,abreve,lasua formazione si sarebbe formalmenteconclusa.PeriDodici,sebbenegiàavviatinelloro

addestramento da adulti, c’era ancora unaserieinfinitadiregoledamemorizzareelanuovatecnologiadapadroneggiare.Jonassalutòisuoi,LilyeGabe,inforcò

labicieandòincercadiAsher.Ormainonprendevalapilloladaquattro

settimane e le Pulsioni erano tornate,portandogli sogni piacevoli che lofacevano sentire imbarazzato e un po’ incolpa:peròsapevadinonpoterpiùtornarealmondoscialbonelqualeeracosìalungovissuto.Le sue nuove emozioni, inoltre, non si

rivelavano soltanto nei sogni e Jonas era

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convinto che provenissero anche dallememorie. Ormai vedeva tutti i colori, epoteva persino trattenerli: alberi, erba ecespugli restavano verdi davanti ai suoiocchi;leguancediGabrielrestavanoroseeanche mentre il neobimbo dormiva. E lemeleeranosempre,semprerosse.Attraverso le memorie aveva visto

oceani e laghi di montagna e torrentigorgogliantineiboschi,eadessovedevainmodo diverso anche il familiare ruscellochecorrevadilatoalsentiero.Riuscivaascorgerelaluceeilcoloree

la storia che esso conteneva e trascinavavianello scorrere lentodelle sueacque; esapeva che c’era un Altrove dal quale ilfiumevenivaeunAltroveversoilqualesidirigeva.In quel giorno d’inattesa vacanza si

sentivafelice,diunafelicitàpiùgrandedi

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ogni altra provata fino ad allora, piùprofonda.Riflettendo, com’era sua buona

abitudine, sulla precisione linguistica,Jonas si rese conto che stavasperimentando una nuova profondità disentimenti,chelirendevadiversidaquellicheogni sera, inognicasa,ognicittadinoanalizzavaindiscussionisenzafine.“Misonoarrabbiataperchéqualcunoha

infranto le regole del parcogiochi” avevadetto unavoltaLily, stringendo il piccolopugno a dimostrazione della propriacollera. E tutti, Jonas compreso, avevanoparlato della possibile causadell’infrazione e del bisogno di capire epazientare, finché il pugno di Lily si eraschiusoelarabbiadileguata.Ma quella di Lily (ora Jonas se ne

rendeva conto) non era stata rabbia:

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impazienza e stizza superficiali, eccocos’aveva provato la bambina. E lui losapeva con sicurezza, perché adessoconosceva la vera rabbia: nelle memorie,aveva incontrato ingiustizia e crudeltà, eavevareagitoconunacolleracosìintensaestraziantedarendereassurdoilpensierodidiscuterneconcalmadopoilpastoserale.“Oggimisonosentitatriste”avevadetto

suaMamma,elorol’avevanoconsolata.MaoraJonassapevacosa fosse lavera

tristezza.Aveva provato il dolore. E sapeva che,

perquelleemozioni,nonesistevaconfortoimmediato.Perché le vere emozioni scavano in

profondità e non c’è bisogno di parlarne.Sisentonoebasta.Quelgiorno,Jonassisentivafelice.«Asher!» Individuata la bici dell’amico

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inmezzoallealtreabbandonateneipressidelparcogiochi(invacanzaeralecitononpreoccuparsi delle solite regolesull’ordine), frenò slittando e smontò disellaalvolo.«Ehi,Ash!»gridò,guardandosiattorno.

«Dovesei?»«Ta-ta-ta-ta-ta-ta!» strepitò una voce

infantile da dietro un cespuglio. «Bang!Bang!Bang!»Una Undici di nome Tanya, sbucò dal

suo nascondiglio, si portò le mani allapancia con fare drammatico e barcollòsull’erbazigzagandoegemendo.«Mi hai presa!» strillò e cadde a terra

ridacchiando.«Bang!»Jonas, assistendo alla scena dal bordo

delcampetto,riconobbelavocediAsherevide l’amico che, agitando un’arma

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immaginaria, schizzava da un alberoall’altro. «Bang! Sei nel mio mirino,Jonas!Attento!»Jonas indietreggiò, andandosi a

nasconderedietrolabicidiAsher.Era comune tra i bambini giocare ai

buoni e ai cattivi, unpassatempo innocuoper sfogare le energie represse e siconcludevacontuttiigiocatoristesiaterrainposegrottesche.Mai, fino ad allora, lo aveva visto per

quellocheera:ungiocodiguerra.«All’attacco!»L’urlovennedadietrola

piccola rimessa dove si conservaval’attrezzatura da gioco. Tre bambinisfrecciarono allo scoperto, con le armiimmaginariepronteafarfuoco.«Contrattacco!» si levò un grido di

risposta e un’orda di bambini (Jonasriconobbe anche Fiona nel gruppo) si

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riversò fuori dai nascondigli strillando,correndo e sparando a tutto spiano.Moltisi fermarono, si portarono le mani allatestaealpettocongesti teatrali, fingendod’essere stati colpiti, e accasciandosi alsuolofrarisatinesoffocate.Le emozioni sommersero Jonas. Senza

sapere come, si ritrovò a camminare inmezzoalcampetto.«Tihocolpito, Jonas!» strillòAsherda

dietrol’albero.«Bang!Dinuovo!»Jonas si fermò dov’era. Parecchi

bambini alzarono la testa e lo fissarono adisagio.Letruppeall’attaccorallentarono,perplesse.Congli occhi dellamente, Jonas rivide

il voltodel ragazzomorente che lo avevasupplicatodidargliunpo’d’acquaeprovòunrepentinosensodisoffocamento.Un bambino sollevò un fucile

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immaginario e tentò di cancellare la suapresenzacolfragorediunosparo:«Ta-ta-ta-ta-ta!».Gli altri restarono in silenzio, confusi:

l’unico rumore era quello del respiroansimante di Jonas,mentre lottava controlelacrime.Pianpiano,vedendochenullaaccadeva,

ibambinisiscambiaronosguardinervosiecominciarono ad andarsene. Jonas li videraddrizzarelebicieallontanarsipedalandosulsentiero.SoltantoAshereFionarestarono.«Cosa c’è che non va, Jonas? Era

soltantoungioco»disseFiona.«Hai rovinato tutto» sbottò Asher,

irritato.«Nongiocatecipiù»imploròJonas.«Sono io che mi sto addestrando per

fareilCaporicreazione»gliricordòAsher,

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furioso. «I giochi non rientrano nelle tuecompellenze».«Competenze» lo corresse

automaticamenteJonas.«Quellocheè.Nonpuoidecidereache

cosa dobbiamo giocare, neanche sediventerai l’Accoglitore» Ashers’interruppeeglilanciòun’occhiatacauta.«Tichiedoscusapernonavertimostratoilrispettodovuto»bofonchiò.«Asher» disse Jonas, sforzandosi di

trovare le parole adatte a spiegare quelloche provava «tu non puoi saperlo.Neanch’iolosapevo,finoapocotempofa.Maèungiococrudele.Inpassato…».«Hodettochetichiedoscusa,Jonas».Jonassospirò.Erainutile.NaturalmenteAshernonpotevacapire.«Accetto le tue scuse, Asher» disse

debolmente.

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«Facciamo un giro lungo il fiume,Jonas?» chiese Fiona, mordendosinervosamentelelabbra.Jonaslafissò.Eracosìgraziosa.Perun

istante pensò che niente gli sarebbepiaciutodipiùchepedalaresullungofiumechiacchierandoeridendoconlasuaamica,ma sapeva che quei momenti gli eranoormai stati sottratti.Fececennodinoconlatesta,edopounpo’ancheleieAsherseneandarono.Rimastosolo,Jonassitrascinòfinoalla

panca accanto alla rimessa e si sedette,sopraffattodaunsensodiperdita.La sua infanzia, gli amici, la sicurezza

spensierata… tutto stava scivolandolontanodalui.Fu sommersodalla tristezza ripensando

acomeridevanoegridavanogiocandoallaguerra;peròsapevache,senzalememorie,

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non avrebbero mai compreso il motivodellasuaangoscia.Provava un tale amore per Asher e

Fiona;peròsapevache,senzalememorie,essi erano incapaci di ricambiarlo. E luinonpotevatrasmettergliele.Ormaineeracerto:nonsarebberiuscito

acambiarenulla.

Quella sera a casa Lily chiacchieròallegramente della meravigliosa giornatatrascorsagiocandocongli amici: avevanomangiato all’aperto e confessò di essersiesercitatasullabicidiPapà.«Nonvedol’oradiaverneunatuttamia,

ilmeseprossimo.QuelladiPapàètroppograndeperme.Sonocaduta»spiegò.«PerfortunaGabenoneranelseggiolino!»«Una vera fortuna» assentì Mamma,

rabbuiandosi involtoall’idea.Sentendo ilproprionome,Gabeagitòlebraccia:aveva

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cominciato a camminare da appena unasettimana. I primi passi di un neobimbo,avevadettosuopadre,eranoun’occasionedi festa al Centro Puericultura, ma anchel’occasione d’introdurre l’uso del frustinopunitivo.Così, Papà portava lo strumentoflessibile a casa, ogni sera, nel casoGabrielsicomportassemale.MaGabeeraunbimbobravoeallegro:

ora trotterellavavacillandoper lastanzaerideva. «Gae!» cinguettava, storpiando ilproprionome.«Gae!»Jonass’illuminò.La giornata, iniziata in modo così

promettente, lo aveva depresso,ma cercòdi scacciare i brutti pensieri. Dovevainsegnare a Lily ad andare in bici, siripromise, così da permetterle di pedalarefieramente a casa dopo l’imminenteCerimoniadeiNove.Difficilecredereche

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dicembre fosse di nuovo alle porte, chequasiunannofossepassatodaquandoeradiventatounDodici.Sorrise, osservando il neobimbo

muovere cautamente un piedino dietrol’altroeridacchiarefelice.«Stasera andrò a dormire presto» disse

Papà. «Domani avrò una giornata piena:nascerannoigemelliomozigotideiqualivihoparlato».«Uno per qui, uno per Altrove»

canticchiò Lily. «Uno per qui, uno perAl…»«Lo porti tu Altrove, Papà?» chiese

Jonas.«No, io devo solo operare la scelta. Li

peso, consegno il più robusto a unPuericultore, dopodiché pulisco e facciobello ilpiùpiccino.Poi eseguounabreveCerimonia di Congedo e…» Abbassò lo

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sguardo e sorrise a Gabriel. «E poi: ciaociao,piccoletto»disseconlaspecialevocecheusavaconineobimbiefececiaociaoconlamano.Gabrielridacchiòeagitòunamaninadi

rimando.«E viene qualcun altro a prenderlo?

QualcunodaAltrove?»«EsattoJonas-bonus».Jonas arrossì, imbarazzato da quel

vecchiosoprannomeinfantile.Lilyerapensierosa.«Eseloro,Altrove,

desseroalpiccologemellounnometipo…eh… Jonathan? E se qui, nella nostraComunità, anche il gemello rimastoricevesse il nome Jonathan, allora cisarebberoduegemelli con lo stessonomee sarebbero identici e un giorno, quandosaranno dei Sei e un gruppo di Sei va avisitarequell’altraComunitàelà,nell’altro

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gruppo di Sei, c’è un Jonathan identicoall’altro Jonathan; emagari finisce che siconfondono e riportano qui il Jonathansbagliatoeigenitorinonseneaccorgonoeallora…»Feceunapausapertirareilfiato.«Lily» disse Mamma «ho un’idea

splendida. Forse, quando diventerai unaDodici, ti daranno la designazione diContastorie!Èmoltochenonneabbiamouno.Sefossinelcomitato,sceglierei tedisicuro!»Lilyridacchiò.«Houn’ideamiglioreper

un’altrastoria»annunciò.«Pensate:setuttinoifossimogemellienonlosapessimo,eAltrove ci fosseroun’altraLily eun altroJonaseunaltroPapàeunaltroAshereunaltroSommoAnzianoeunaltro…»«Lily» grugnì Papà «è ora di andare a

letto».

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18

«Donatore» chiese Jonas il pomeriggioseguente«pensamaialcongedo?».«Ti riferisci al mio o al concetto di

congedoinsé?»«Atuttiedue,credo.Chiedoscu…cioè,

dovrei essere più preciso, lo so, solo chenemmenoiohochiarocosavogliodire».«Sì, ci penso di tanto in tanto,

soprattutto quando il dolore diventainsopportabile.E a volte vorrei poter faredomanda di congedo, però non mi èconsentitofinchél’addestramentodelneo-Accoglitorenonsièconcluso».«Il mio addestramento» disse Jonas

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abbattuto.Noneraentusiastaall’ideadiconcludere

l’addestramento e diventare il nuovoAccoglitore. Capiva perfettamente cherazzadivitaloaspettava,riccadionori,sì,maanchedidifficoltàesolitudine.«Neanch’io posso» gli fece presente

Jonas.«Èstabilitonellemieregole».AlDonatoresfuggìunarisataroca.«Lo so. L’hanno stabilito dopo il

fallimentodidieciannifa».Jonas lo aveva udito più volte farvi

riferimento, ma ancora ignorava ciò cheera accaduto. «Mi dica, Donatore» lopregò«checosaaccadde,allora?».Il Donatore scrollò le spalle. «In

apparenza, tutto filava liscio.Fusceltounnuovo Accoglitore e il suo nome fuannunciato durante la Cerimonia deiDodici. Tutti applaudirono, come hanno

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applaudito te. Il nuovo Accoglitore eraconfusoeunpo’ impaurito,propriocomete».«Imieigenitorihannodettocheerauna

femmina».IlDonatoreannuì.Jonas pensò a Fiona e rabbrividì: mai

avrebbe voluto che la sua amica soffrissecome aveva sofferto lui, accogliendo lememorie.«Com’era?»chiesealDonatore.Il pensiero di lei sembrò rattristarlo.

«Una ragazzina notevole: equilibrata eserena,intelligenteeavidadiapprendere».Scosse la testa e prese fiato. «Quandovenne da me, quando si presentò periniziarel’addestramento…»«Puòdirmi il suonome?» lo interruppe

Jonas. «I miei hanno detto che non saràmai più usato nella Comunità, che èaddiritturaproibitopronunciarlo…manon

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èchepotrebbedirlogiustoame?»IlDonatoreesitòpenosamente,comese

solopensareaquelnomelostraziasse.«SichiamavaRosemary»disseallafine.«Rosemary.Èunbelnome».«Quando venne da me la prima volta»

riprese il vecchio «si mise a sedere sullastessa sedia dove ti sei seduto tu il primogiorno.Eraansiosaedeccitataeancheunpo’spaventata.Parlammoalungo,ecercaidispiegarletuttomegliochepotevo».«Comehafattoconme».Il Donatore sorrise, triste. «È difficile

spiegare questo lavoro… va così al di làdell’esperienzacomune.Ciprovai,però,eleimi ascoltò attenta.Ricordo la luce neisuoiocchi».Dicolpo,alzòlosguardo.«Jonas,ricordiquellamemoriachetiho

trasmesso, lamiapreferita?Lastanzacon

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lafamigliaeinonni…Ricordil’emozionecheemanava?»Jonas annuì. Come avrebbe potuto

dimenticarla?«Sì.Mihadettocheeraamore».«Bene: amore era ciò che provavo per

Rosemary» affermò il Donatore.«L’amavo».«Checosaèaccaduto?»«L’addestramento iniziò. Rosemary

accoglievalememoriecongrandefacilità,comete.Eracosìentusiasta,cosìfelicedisperimentare cose nuove. Ricordo la suarisata…»La sua voce si affievolì e venne a

mancare.«Checosaèaccaduto?»tornòachiedere

Jonasdopounpo’.«Melodica,laprego».Il Donatore chiuse gli occhi.

«Trasmetterleildoloremispezzòilcuore,

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Jonas,maeramiocompito.Dovevofarlo,propriocomehodovutofarloconte».Lastanzasprofondònelsilenzio.FinalmenteilDonatoreriprese:«Cinque

settimane.Tuttoqui.Ledonaimemoriedifelicità: un giro in giostra, un gattino concui giocare, una scampagnata. A voltegliene davo una solo perché sapevo chel’avrebbe fatta ridere: la sua risatailluminava questa stanza così silenziosa eio ne facevo tesoro. Ma lei era come te,Jonas. Voleva provare tutto. Sapeva cheera suo dovere. E così mi chiese ditrasmetterlememoriepiùdolorose».Jonas trattenne il fiato. «Non le avrà

dato la guerra, vero? Non dopo appenacinquesettimane?»Il Donatore scosse la testa e sospirò.

«No. E nemmeno dolore fisico. Le feciconoscere la solitudine, però, e

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l’abbandono: le trasmisi lamemoriadiunbambinostrappatoaigenitori.Quandofinì,sembravastordita».Jonasdeglutì.Rosemaryelasuarisataeranodiventati

reali, per lui, e ora gli parve di vederlaalzarsisconvoltadallettodellememorie.IlDonatoreproseguìcolsuoracconto.«Cercaidirimediaredandolemoltealtre

piccolegioie,maormaituttoeracambiato.Glielolessinegliocchi».«Non era abbastanza coraggiosa?»

suggerìJonas.«Insistetteperchécontinuassi»proseguì

il vecchio senza rispondere «non volevaessere risparmiata. Disse che era suodovere. E io sapevo che aveva ragione.Non ebbi la forza di infliggerle dolorefisico, ma le trasmisi molte sfumature diangoscia: povertà, fame, terrore. Dovevo

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farlo,Jonas.Eramiocompito.Eleieralaprescelta».Il Donatore lo fissò implorante e il

ragazzogliaccarezzòunamano.«Finalmente, un pomeriggio, dopo una

seduta particolarmente dura, cercai, comefaccio sempre con te, di concluderetrasmettendole unamemoria gaia, allegra.Mailtempodellerisateerafinito.Ricordoche si rialzò dal letto in silenzio, il voltocontratto, come se stesse prendendo unadecisione.Poivennedameemiabbracciò.Mibaciòsuunaguancia».Siaccarezzòinquelpunto,ricordandoil

toccodelle labbradiRosemarydieci anniprima. «Quel giorno mi lasciò… lasciòquesta stanza e non tornò a casa. LoSpeakermicomunicòcheeraandatadrittadalSommoAnzianoeavevafattorichiestadicongedo».

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«Ma è contro le regole! Il neo-Accoglitorenonpuòfarrichiesta…»«Controletueregole,Jonas,noncontro

lesue.Rosemaryfecerichiestadicongedoelorofuronocostrettiadaccettarla.Nonlarividimaipiù».Eccocos’erasuccesso,pensòJonas.Ovvio che il Donatore ne fosse

profondamente rattristato, ma, in fin deiconti, non sembrava poi così terribile. Elui,Jonas,nonavrebbemaifattounacosadel genere… mai e poi mai, per quantodifficilepotessediventarel’addestramento.Al Donatore serviva un successore, e luierailprescelto.Fu colpito da un pensiero improvviso.

Rosemaryerastatacongedatadopoappenacinque settimane. E se a lui, Jonas, fosseaccaduto qualcosa? Ormai la sua mentecustodivauninteroannodimemorie.

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«Donatore»chiese«losochenonpossofare richiesta di congedo, ma se misuccedesse qualcosa… un incidente, peresempio? Se cadessi nel fiume come ilpiccolo Quattro, Caleb? Io so nuotarebene, d’accordo, però che accadrebbe secadessi nel fiume e andassi perduto?Cheaccadrebbe alle memorie che mi hatrasmesso? A lei ne sono rimasti solopochi brandelli, perciò, anche sescegliessero in fretta un altroAccoglitore…».Scoppiò improvvisamente a ridere.

«Sembro mia sorella Lily» ammisedivertito.IlDonatorelofissòconariagrave.«Sta’

lontanodalfiume,ragazzomio»disse.«LaComunità perse Rosemary dopo appenacinquesettimane,efuundisastro.Nonsochecosafarebberoseperdesserote».

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«Perchéundisastro?»«Credo di avertene già parlato: quando

leifucongedata, lememoriecheleavevotrasmesso non tornarono a me, ma sidispersero per l’intera Comunità. Se tufinissi nel fiume, Jonas, le tue memorienonandrebberopersecon te.Lememorieesistonopersempre.Rosemaryavevasoloquelle cinque settimane, e per lamaggiorparte le sue eranomemorie di gioia. Peròc’erano anche quelle poche, terribilimemorie che l’avevano sopraffatta, e perqualche tempo oppressero l’interaComunità. Tutte quelle emozioni! Nonavevano mai provato niente di simile.Quanto a me, ero così devastato dal miodolorepersonaleedalmio sensodi colpache nemmeno provai ad aiutarli. Ed erofurioso,pergiunta».Per un po’ rimase in silenzio,

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riflettendo. «Sai» disse alla fine «seperdessero te, tutte le memorie che orapossiedisiriverserebberosudiloro».Jonas fece una smorfia. «Non ne

sarebberoaffattocontenti».«Pocomasicuro.Nonsaprebberocome

affrontarle».«Io ce l’ho fatta soltanto grazie al suo

aiuto»ammiseJonassospirando.Il Donatore annuì. «Suppongo» disse

lentamente«chepotrei…».«Potrebbechecosa?»Il vecchio tacque, soprappensiero. «Se

tu fossi portato via dal fiume» riprese«suppongo che potrei aiutare l’interaComunità come ho aiutato te. È un’ideainteressante. Ho bisogno di pensarci su.Forse ne riparleremo… ma non adesso.Sono contento che tu sia un buonnuotatore, Jonas, però sta’ lontano dal

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fiume».Rise, ma non era una risata allegra. I

suoi pensieri sembravano lontani e i suoiocchieranoturbati.

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Jonasguardòl’orologiosullaparete:contutto il lavoro che c’era da fare, era raroche lui e il Donatore se ne stesserosemplicemente seduti a chiacchierare,comeavevanoappenafatto.«Midispiaceaveresprecatotantotempo

conlemiedomande»siscusò.«Hochiestodel congedo soltanto perché oggi miopadre deve congedare un piccologemello». Lanciò un’altra occhiataall’orologio. «In effetti, suppongo cheabbia già finito. Credo che dovesse farlostamattina».L’espressionedelDonatoresifececupa.

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«Preferirei di gran lunga che non lofacessero»dissesottovoce.«Be’,pensicheconfusionesecifossero

ingiroduepersoneidentiche!»riseJonas.«Sa… mi piacerebbe poter assistere allacerimonia»aggiunse,sorridendoall’ideadiPapàchepulivaefacevabelloilgemellinodacongedare.Eraunuomocosìgentile,suopadre.«Puoifarlo»disseilDonatore.«No» lo contraddisse Jonas. «Ai

bambini non è permesso assistervi. È unacerimoniariservata».«Jonas,nonricordi le istruzionichehai

ricevuto all’inizio dell’addestramento?Non ricordi che ti è consentito chiedere achiunquequalunquecosa?»Jonasannuì.«Sì,ma…»«Jonas, alla fine dell’addestramento,

sarai tu il nuovo Accoglitore: potrai

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leggereilibri,custodirailememorie,avraiaccessoatutto.Rientraneituoicompiti.Sevuoiassistereauncongedo,nonhaichedachiederlo».Jonasscrollòlespalle.«Oh…be’,alloralofarò,maperquesto

congedo in particolare ormai è troppotardi.Sonocertochefossestamattina…»Allora il Donatore disse qualcosa che

Jonas non sapeva. «Tutte le cerimonieriservate vengono registrate e conservatenell’Archivio Dati Accessibili. Allora,vuoi vedere o no il congedo di questamattina?»Jonas esitò: a suo padre non avrebbe

fatto piacere che lui assistesse a unacerimoniatantoprivata.«Dovresti, secondo me» disse con

fermezzailDonatore.«Vabene.Comedevofare?»

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Il Donatore si alzò, andò alcomunicatore sulla parete e fece scattarel’interruttoredaOFFaON.Subito ne scaturì una voce: «Sì,

Accoglitore. In che cosa posso esserleutile?».«Gradireivedere ilcongedodelpiccolo

gemelloavvenutostamattina».«Un momento, Accoglitore. La

ringrazioperlesueistruzioni».Jonas fissò lo schermo sopra la fila di

pulsanti: linee zigzaganti ne animarono lasuperficie e apparvero dei numeri, seguitidalla data e dall’ora. Jonas erapiacevolmente sorpreso dallo spettacoloche gli veniva offerto e incredulo, dalmomentochenonavevamaisperimentatonientedelgenere.Comparved’untrattounastanzettapriva

di finestre, col pavimento coperto da un

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tappeto chiaro: dentro c’erano un lettino,un tavolo con sopra una bilancia e altristrumenti,einfineunarmadietto.«È una stanza come tante» commentò.

«Pensavo che la cerimonia si svolgessenell’Auditorium, per permettere achiunque di assistervi. Tutti gli anzianipartecipano alla Cerimonia di Congedo.Certo che, trattandosi solo di unneonato…»«Sssh»lozittìilDonatore,gliocchifissi

sulloschermo.Il padre di Jonas, con indosso

l’uniforme da Puericultore, entrò nellastanzacullandofralebracciaunneobimboavvolto in unamorbida coperta; dietro diluiunadonna,anch’essa inuniforme,coninbracciounsecondopiccolofagotto.«Quello è mio padre» bisbigliò Jonas,

comeseavessepauradisvegliareibimbi.

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«La donna è la sua Assistente: fra pococoncluderà il suo periodo diaddestramento».I due Puericultori svolsero le coperte e

deposero sul letto i due neonati identici.Eranonudi,eJonasvidecheeranomaschi.Affascinato, guardò il padre pesare primal’unoepoil’altro.Losentìridere.«Bene» disse alla donna. «Per un

momentohotemutocheavesserolostessopeso. Allora sì, che avremmo avuto unproblema. Ma questo» gliene porse uno,dopo averlo riavvolto nella coperta «pesatre etti di più. Puoi pulirlo, vestirlo eportarloalCentroPuericultura».Ladonnapreseilneobimboeseneandò.Jonas vide il padre chinarsi sul

neobimbochesiagitavasullettino.«Etu,piccoletto, tu neanche arrivi a due chili emezzo.Seipropriounbriciolino!»

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«ÈlavocecheusasempreconGabriel»ridacchiòJonas.«Guardaetaci»disseilDonatore.«Adessolopuliràelofaràbello.Melo

hadettolui».«Sta’zitto,Jonas»gliordinòilDonatore

convocestrana.«Guarda».Obbediente, Jonas si concentrò sullo

schermo,aspettandodivederelacerimoniacheloincuriosivatanto.Suopadresivoltòadaprirel’armadietto

eneestrasseunasiringaeunafiala.Inserìcautamente l’ago nella fiala e riempì lasiringa col liquido chiaro. Jonas trasalì.Avevascordatocheaineobimbidovevanoesserefattediverseiniezioni.Lui leavevadetestate, pur sapendo che eranonecessarie.Sorpreso,videilpadrepuntarel’ago contro la tempia del neobimbo, làdovelapellefragilepulsava.Ilneonatosi

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dimenòevagìdebolmente.«Maperché…»«Sta’zitto»ordinòbruscoilDonatore.Suopadrestavaparlando,adesso,come

in risposta a quella domanda inespressa.Sempreusando il suo tono speciale, stavadicendo:«Loso,loso.Famale,piccoletto.Peròmi serve una vena, e quelle che hainellebracciasonoancoratroppopiccine».Premette lo stantuffo lentamente,

iniettando il liquido finché la siringa fuvuota.«Ecco fatto. Non è stato così brutto,

eh?» disse allegramente. Poi si voltò elasciòcaderelasiringainuncontenitoredirifiuti.Ora lo pulirà e lo farà bello, pensò

Jonas.Mentre guardava, il neobimbo smise di

piangere, mosse braccia e gambe in uno

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spasmo,poisembròabbandonarsi.Latestagli ricadde di lato, gli occhi socchiusi. Einfinerestòimmobile.Con la gola stretta da un’emozione

strana, sconvolgente, Jonas riconobbe imovimenti, la posizione e l’espressione.Glieranofamiliari.Liavevagiàvisti.Manonriuscivaaricordaredove.Fissò lo schermo, in attesa che

accadesse qualcosa. Ma non accaddeniente. Il piccologemello restò immobile.Suopadrecominciòa fareordine: ripiegòlacoperta,chiusel’armadietto.Ancoraunavolta,comealparcogiochi,

Jonas provò una sensazione devastante.Ancoraunavoltavidedinanziasé ilvisoinsanguinato del soldato biondo, vide lavitaabbandonareisuoiocchi.Ilricordolotrafisse.Lohaucciso!Miopadre lohaucciso!,

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si disse, tramortito dall’improvvisaconsapevolezza, incapace di distogliere losguardodalloschermo.Suopadrefinìdiriordinarelastanza.Poiraccolsedaterraunapiccolascatola

dicartone,laposòsulletto,cimisedentroil corpicino senza vita, ne richiuseaccuratamente il coperchio e la portòall’altrocapodellastanza.Aprì uno sportello nel muro: al di là,

Jonas vide soltanto tenebre. Sembrava lostesso tipo di scivolo dove, a scuola,depositavanoirifiuti.Suopadrevi infilò lascatoladicartone

e le diede una spintarella. «Ciao ciao,piccoletto» lo sentì dire Jonas. Poi loschermosioscurò.IlDonatoresivoltòversodilui.«Quando lo Speaker mi informò che

Rosemary aveva fatto richiesta di

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congedo»disse con calma«mi trasmiserolaregistrazionepermostrarmicomesierasvolto il procedimento. Lei era là… ful’ultimavoltachevidiquellabambina…inattesa.Leportaronolasiringaelechieserodiarrotolarsiunamanica.Tuhaisuggerito,Jonas, che forse non era abbastanzacoraggiosa. Io non sono un esperto dicoraggio:nonsochecosasia,néchecosasignifichi. Però so che restai seduto qui,paralizzato dall’orrore, straziato dallamiaimpotenza. Ascoltai Rosemary dire chepreferivafarsileistessal’iniezione.Ecosìfece.Iononguardai,però.Nonneebbilaforza».S’interruppe un istante, sopraffatto.

«Bene» riprese con sforzo «ecco larispostaalla tuadomanda,Jonas:questoèilcongedo».Jonas provò una sensazione lacerante:

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un dolore terribile che si faceva stradadentro di lui per esplodere, infine, in unurlo.

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«Nonvoglio!Nonvogliotornareacasa!Non può costringermi!» singhiozzava eurlavaJonas,battendoipugnisulletto.«Siediti,Jonas»gliordinòilDonatore.Senzaguardarlo,piangendoetremando,

Jonassisedettesulbordodelletto.«Puoi restare qui, stanotte. Voglio

parlarecon te.Peròadessodevi restare insilenzio mentre avverto la tua unitàfamiliare.Nessunodevesentirtipiangere».Jonas alzò la testa di scatto. «Nessuno

ha sentito piangere il piccolo gemello!Nessuno, tranne mio padre!» e di nuovoproruppeinsinghiozzi.

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IlDonatoreaspettòinsilenzio,finchéilragazzo riuscì a controllarsi, poi andò alcomunicatore sulla parete e fece scattarel’interruttoresuON.«Sì, Accoglitore. In che cosa posso

esserleutile?»«Avverti l’unità familiare del nuovo

Accoglitorechestanotteresteràqui».«Me ne occuperò subito, signore. La

ringrazio per le sue istruzioni» disse lavoce.«Meneoccuperòsubito,signore.Mene

occuperòsubito,signore»ripetéJonasconferoce sarcasmo. «Farò tutto quello chevuole, signore. Ucciderò, signore.Anziani?Neonati? Sarò lieto di ucciderli,signore.Laringrazioper lesue istruzioni,signore. In che cosa posso esserle u…»Sembravaincapacedifermarsi.IlDonatoreloafferròfermamenteperle

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spalle,costringendoloalsilenzio.«Ascoltami, Jonas. Non possono

comportarsidiversamente.Lorononsannoniente».«Questomelohagiàdetto».«Te l’ho detto perché è vero. È la loro

vita.Lavitacheèstatacreataperloro.Lastessa che avresti avuto tu, se non fossistatosceltocomemiosuccessore».«Miopadremihamentito!» singhiozzò

Jonas.«È quello che gli è stato detto di fare,

nonconoscealtromodo».«E lei? Anche lei mi mente?» sbottò

Jonas,fuoridisédallarabbia.«Mi è concessa la facoltà di mentire,

peròcontenonl’homaifatto».«È sempre così, il congedo? Per chi

infrange le regole tre volte? Per glianziani?Uccidonoancheloro?»

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«Sì,ècosì».«EFiona?Leivuolbeneaglianziani!Si

addestra per averne cura. Gliel’hanno giàdetto?Chefaràquandoloscoprirà?Comereagirà?» Spazzò via le lacrime col dorsodiunamano.«Fiona viene già addestrata nella

raffinata arte del congedo» rispose ilDonatore.«Latuaamicadaicapellirossièmolto efficiente. I sentimenti non fannopartedellavitacheleèstatainsegnata».Jonas si strinse le braccia attorno al

corpoeoscillòavantieindietro.«Checosafarò?Nonpossotornare!Nonposso».«Per prima cosa» disse il Donatore

alzandosi «ordinerò la cena. Dopodichémangeremo».«Emagaridopocondivideremolenostre

emozioni?» sibilò Jonas con crudelesarcasmo.

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Il Donatore sbottò in una risata aspra,angosciata.«Jonas, tue iosiamogliuniciad avere emozioni… e ormai lecondividiamodaquasiunanno».«Midispiace,Donatore»balbettòJonas,

desolato. «Non volevo essere meschino.Nonconlei».Il vecchio gli accarezzò le spalle

irrigidite. «E dopo aver mangiato»proseguì«studieremounpiano».Jonaslofissòperplesso.«Unpiano?Eperché?Nonc’ènullache

possiamofare.Èsemprestatocosì.Primadi me, prima di lei e prima di quelli chec’erano prima di lei. Da tanto e tanto etanto tempo». La sua voce recitò quellafrasecosìfamiliare.«Jonas»glidisse ilDonatoreun istante

dopo «è vero, le cose vanno in questomodo da così tanto tempo che sembra

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un’eternità,ma lememorie ci dicono chenon è sempre stato così. Una volta, tuttiavevano emozioni. Noi due lo sappiamo.Sappiamo che una volta tutti provavanoorgoglioetristezzae…».«E amore» aggiunse Jonas, ricordando

la scena che lo aveva tanto colpito. «Edolore».Dinuovopensòalsoldato.«Lapartepeggiorediaverelememorie

non è il dolore. È la solitudine. Lememorievannocondivise».«Comedaun anno io le condivido con

lei» disse Jonas nel tentativo dirisollevargliilmorale.«Sì.Èproprioquestomihafattocapire

che le cose devono cambiare. Lo sentivoda anni, ma mi sembrava un’impresadisperata.Adessoperò,perlaprimavolta,credochepossaesserciunmodo…»disselentamente il Donatore. «E sei stato

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proprio tu a suggerirmelo due ore fa»conclusedandoun’occhiataall’orologio.Jonaslofissò,attento,eascoltò.

Era tardi, ormai. Avevano discusso eridiscusso.Jonassieraavvoltonellalungaveste del Donatore, quella che solo glianzianiindossavano.Allafine,avevanomessoapuntoquello

che sembrava un piano realizzabile, oalmeno plausibile. Se fosse fallito,probabilmenteJonassarebbestatoucciso.Macheimportava,ormai?Sepurefosse

sopravvissuto,lasuavitanonsarebbestatadegnadiesserevissuta.«Sì»disse.«Lofarò.Pensodi riuscirci.

Per lo meno ci proverò. Però lei devevenireconme».Il vecchio scosse la testa. «Jonas, da

troppegenerazioniogniComunitàdipendeda un Accoglitore che custodisce le

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memorie di tutti.Nel corso di quest’annote ne ho trasmesse molte e non possoriprendermele.Perciò,dopochetenesaraiandato… e tu sai, Jonas, che non potraitornaremaipiù…»Jonasannuìsolennemente.Eraquellala

partepiùspaventosa.«Sì, loso.Mase leivenisseconme…»Di nuovo il Donatore scosse la testa,

facendogli cennodi tacere. «Se te ne vai,se riesci a raggiungere Altrove, toccheràalla Comunità sopportare il fardello dellememoriecheadessosonotue.Credocheciriusciranno e che, in questo modo,acquisteranno un po’ di saggezza,ma perloro sarà terribilmente difficile. Quandoperdemmo Rosemary, dieci anni fa, e lesue memorie si riversarono libere sullaComunità,scoppiòilpanico.Eppureeranocosìpoche,inconfrontoalletue.Avranno

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bisogno di tutto il mio aiuto peraffrontarle. Ricordi come ti ho aiutatoall’inizio,quando tuttoeracosìnuovoperte?» Jonas annuì. Fu spaventoso.Emoltodoloroso.«Allora hai avutobisognodime, come

neavrannoloro».«Saràtuttoinutile.Troverannoqualcuno

per sostituirmi. Sceglieranno un nuovoAccoglitore».«Nonc’ènessunoingradodiaffrontare

l’addestramento, non subito. Oh,accelereranno la selezione, è ovvio. Manon mi viene in mente nessun altro cheabbialedotinecessarie…»«C’è una piccola Sei con gli occhi

chiari…»«So a chi ti riferisci. Si chiama

Katherine. È troppo giovane, però.Saranno costretti a sopportare le

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memorie».«Venga con me, Donatore» lo implorò

ancoraJonas.«No. Devo restare. Voglio restare. Se

venissi con te, perderebbero ogniprotezioneenonavrebberopiùnessunoingrado di aiutarli. Impazzirebbero. Sidistruggerebbero l’un l’altro. Non possoandarmene».«Ma Donatore, non spetta a noi due

preoccuparci per loro» provò aconvincerloJonas.Il Donatore gli sorrise con aria

interrogativa e Jonas abbassò la testa.Naturale che spettasse a loro duepreoccuparsene…erapropriolìilnocciolodellaquestione.«EpoiJonas»sospiròilDonatore«non

ce la farei comunque. Ormai mi stoindebolendo. Sai che non vedo più i

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colori?».AJonassispezzòilcuoreeteseunamanopertoccareilDonatore.«Tuhaiicolori»proseguìilvecchio.«E

ilcoraggio.Iotiaiuteròdandotilaforza».«Un anno fa» gli ricordò Jonas

«quand’ero appena diventato unDodici ecominciavoavedereicolori,midissecheper lei era iniziato in modo diverso. Madisseanchechenonavreicapito».Il Donatore s’illuminò in volto. «Vero.

E sai, Jonas… anche con tutta laconoscenza che hai ora, con tutte le tuememorie e tutto quello che hai appreso,ancoranonpuoi capire.Perché sono statoun egoista e non te ne ho trasmessoneancheunframmento.Volevotenerlapermefinoall’ultimo».«Tenerechecosa?»«L’avvertii la prima volta da ragazzo,

quand’eroanchepiùgiovanedite.Nonmi

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si manifestò come vedere oltre. Io udivooltre».Jonas corrugò la fronte, confuso. «Che

cosaudiva?»«Musica». Il Donatore sorrise.

«Cominciaiaudireunacosameravigliosache si chiamamusica. Te ne darò un po’primachetuvada».«No, Donatore». Jonas scosse la testa

con decisione. «Voglio che la tenga lei,cherestiafarlecompagniaquandoiononcisaròpiù».

Il mattino dopo, Jonas tornò a casa,salutò allegramente i genitori ementì condisinvoltura raccontando com’era statapiacevole e indaffarata la serataprecedente. Anche Papà sorrise e mentìdisinvolto, raccontando com’era statopiacevole e indaffarato il suo giorno dilavoro. Durante le ore di scuola, Jonas

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continuòarimuginaresulpiano.Sembravacosìsemplice.LuieilDonatorel’avevanoripassatofinoatardanotte.Nelle due settimane seguenti, con

l’avvicinarsi della cerimonia di dicembre,il Donatore gli avrebbe trasmesso tutte lesue memorie di coraggio e di forza: neavrebbe avuto bisogno per riuscire araggiungere quell’Altrove che, ne eranocerti, da qualche parte esisteva. Sapevanochesarebbestatounviaggiodifficile.Durante la notte che precedeva la

cerimonia,Jonassarebbesgattaiolatofuoridallasuadimora.Quella era la parte più pericolosa,

perché nessun abitante della Comunitàpoteva uscire di casa la notte, se non perunincaricoufficiale.«Uscirò amezzanotte» disse Jonas. «A

quell’ora, iRaccogliciboavrannofinitodi

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ritirare gli avanzi del pasto serale e iPulitori iniziano a lavorare più tardi.Nonci sarà nessuno in giro… sempre chequalcuno non debba uscire per qualcheemergenza».«Non so come potresti cavartela, se ti

sorprendessero» aveva detto il Donatore.«Possiedomemoriediognitipodifugadacose spaventose, naturalmente. Ma ognisituazioneèasé.Nonesisteunamemoriacomequesta».«Starò attento. Nessuno mi vedrà» lo

rassicuròJonas.«ComefuturoAccoglitoregodigiàdiun

grande rispetto: non credo che tiinterrogherebberoconeccessivadurezza».«Potreidirechesonouscitopersvolgere

un importante incarico affidatomi da lei.Potrei dire che è tutta colpa sua» scherzòJonas.

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Riseroentrambinervosamente.Comunque Jonas era convinto di poter

scappare di casa inosservato, portandosidietro un cambio di vestiti. Cercando dinonfarrumore,avrebbespintolabicisinoalfiumeel’avrebbelasciatafraicespugli,con ivestiti piegati lì accanto.Dopodichésarebbeandatoalleportedell’Annesso.«Non ci sono Sorveglianti notturni» lo

rassicurò il Donatore. «Lascerò la portaaperta. Entra senza fare rumore. Tiaspetterò».Almattino,igenitoriavrebberoscoperto

la sua scomparsa e avrebbero anchetrovato un innocuo biglietto col quale liinformava che all’alba era andato a fareunapedalatasullungofiumeechesarebbetornato in tempoper lacerimonia.Questoli avrebbe irritati, ma non allarmati: loavrebbero giudicato un incosciente e

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avrebbero deciso di punirlo più tardi.Sarebberorimastiadaspettarlo,semprepiùarrabbiati, e infine si sarebbero dovutiavviareallacerimoniasenzadilui.«Non lo diranno a nessuno, però»

affermòJonas.«Nonfarannonotarelamiamaleducazione, perché questo sirifletterebbe negativamente su di loro. Epoisarannotutticosìpresidallacerimoniachenessunonoteràlamiaassenza.Orachesono un Dodici, non devo restare sedutocon i miei coetanei. Asher penserà chesonoconimieigenitori,oconlei…»«E i tuoi penseranno che tu sia con

Asher,oconme…»«Cimetterannoparecchioadaccorgersi

chenoncisonoaffatto».«E, a quel punto, tu e io saremo per

stradagiàdaunpezzo».La mattina presto, il Donatore avrebbe

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richiestounveicoloeunautista.La zona che ricadeva sotto la sua

responsabilità era molto vasta, ed eranormale che si recasse in visita ad altreComunità per incontrare altri anziani,perciò la sua partenza non avrebbesuscitato sospetti. Di solito nonpartecipava alla Cerimonia di Dicembre:l’anno prima era stato presente solo perassistereallasceltadelsuosuccessore,maabitualmente la sua vita scorreva separatadaquelladellaComunità.Nessuno si sarebbe stupito o avrebbe

fattocommentisullasuaassenza.Quando autista e veicolo fossero

arrivati, il Donatore avrebbe allontanatol’autista con la scusa di una commissionedafareeJonassisarebbenascostoabordoinsieme a una provvista di cibo,procuratasi mettendo da parte gli avanzi

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deipastidelleduesettimanesuccessive.Allorchélacerimoniafosseiniziataalla

presenza dell’intera Comunità, Jonas e ilDonatoresarebberostatigiàinviaggio.Amezzogiorno,finalmente,l’assenzadi

Jonas sarebbe stata notata conpreoccupazione.Lacerimonianonsarebbestata interrotta, però: un’interruzione eraimpensabile. Ma sarebbero iniziate lericerche.Il Donatore avrebbe fatto in tempo a

rientrareprimacheriuscisseroatrovarelabicicletta e i vestiti. A quel punto JonassarebbegiàstatoinviaggioperAltrove.Al suo ritorno, il Donatore avrebbe

trovatolaComunitànelpanico.Messi di fronte a una situazione mai

affrontata prima, e senza memorie allequali attingere conforto o saggezza, glianziani non avrebbero saputo che fare e

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sarebbero stati costretti a chiedere il suoconsiglio.Allora il Donatore si sarebbe recato

nell’Auditoriumgremito,sarebbesalitosulpalco e avrebbe fatto l’annuncio solenneche Jonas era caduto nel fiume ed eraandato perduto; e avrebbe dato subitoinizioallaCerimoniad’Addio.“Jonas, Jonas” avrebbero intonato a

vocealta,comeunavoltaavevanointonatoilnomeCaleb.IlDonatore avrebbe guidato il canto e,

tutti insieme, avrebbero lasciato scivolarelapresenzadiJonaslontanodallalorovita,pronunciandone il nome sempre piùlentamenteeavocesemprepiùbassa,finoafarlodiventareunlievemormorioe,allafinedellungogiorno,farloscomparirepersempre.Dopodiché la loroattenzionesi sarebbe

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concentrata sull’urgenza opprimente diaffrontarelememorie.EilDonatoreliavrebbeaiutati.

«Sì,capiscocheavrannobisognodilei»avevainsistitoancoraJonasallafinedelladiscussione e della pianificazione. «Maanch’ioneavròbisogno.Laprego,vengacon me» continuava a implorarlo pursapendochenonavrebbeottenutonulla.«Quando avrò aiutato la Comunità a

tornareaesserecompleta»avevareplicatogentilmente il Donatore «il mio compitosarà finito. Hai tutta la mia gratitudine,Jonas, perché senza di te non avrei maipotuto pensare di riuscire un giorno acambiare lecose.Maora il tuocompitoèdifuggire.Eilmiodirestare».«Ma non le piacerebbe venire con me,

Donatore?»chieseJonas,avvilito.Il Donatore lo abbracciò. «Io ti voglio

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bene,Jonas»disse.«Mahounaltropostodove andare. Quando avrò finito qui,raggiungeròmiafiglia».Jonas che stava fissando depresso il

pavimento, alzò la testa di scatto. «Nonsapevocheavesseunafiglia,Donatore!Mihadettocheavevaunacompagna,manonmihamaiparlatodisuafiglia».Il vecchio sorrise e, per la prima volta

durante tutti quei mesi trascorsi fianco afianco,Jonasloviderealmentefelice.«Si chiamava Rosemary» disse il

Donatore.

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21

Avrebbe funzionato. Dovevafunzionare, si ripeté Jonas per tutto ilgiorno.Ma poi, quella notte, tutto cambiò.

Tutto… tutti i piani cosìmeticolosamenteelaborati…tuttoandòarotoli.

Quella notte, Jonas fu costretto afuggire.Uscìdicasapocodopocheilcielosi fecebuioe laComunità silenziosa.Erarischioso, perché le squadre deiRaccoglicibo erano ancora in giro,ma luicorse furtivo nell’ombra, superando gliedifici scuri e la deserta Piazza Centrale,

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dirigendosialfiume.OltrelaPiazzascorsela Casa degli Anziani e, più in là,l’Annesso che si stagliava contro il cielonotturno. Ma non poteva fermarsi. Nonc’era tempo.Ogniminutocontava,eogniminuto doveva portarlo più lontano dallaComunità.Era sul ponte e pedalava furiosamente.

Sottodilui,l’acquas’increspavaoscura.Era strano, non provava paura né

rimpianto al pensiero di lasciare laComunità. Sentiva però una profondatristezza all’idea di avere abbandonato ilsuo migliore amico. Sapeva di dovermantenere il più assoluto silenzio,ma colcuore e la mente gli lanciò un grido diaddio e sperò che, con la sua capacità diudireoltre,ilDonatoreriuscisseasentirlo.

Erasuccessoacena.Comesempre,Lilychiacchieravaspensierata,MammaePapà

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commentavano (mentendo come sempre,Jonas ormai lo sapeva) la giornata eGabriel giocava per terra, balbettandodiscorsi infantili e lanciando di tanto intanto un’occhiata a Jonas, chiaramentefelice di riaverlo lì dopo la notte passatafuoricasa.Papà abbassò lo sguardo su di lui.

«Goditela finché puoi, piccolino» disse.«Questaèlatuaultimanottequi».«Chesignifica?»chieseJonas.Papàsospiròrassegnato.«Ierisera,visto

che non avresti dormito qui, ne abbiamoapprofittato per lasciarlo al CentroPuericultura. Sembrava l’occasione giustaperfarglifareunaltrotentativo.Ormaieraun po’ che la notte faceva tutta unatirata…»«Non si è comportato bene?» chiese

Mamma,apprensiva.

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Papàriseamaramente.«Adirpoco.Hapianto tutta la notte. La squadra notturnanon sapeva più che fare. Erano davverosfinitiquandosonoarrivato».«Gabe, Gabe, birboncello» disse Lily,

schioccando la lingua con aria dirimprovero.«Così»proseguìPapà«abbiamodovuto

prendere una decisione. Perfino io hovotato per il suo congedo alla riunione diquestopomeriggio».Jonas posò la forchetta e lo fissò.

«Congedo?»Papà annuì. «Non si può certodire che

nonabbiamofattodelnostromeglio,no?»«Altroché» annuì Mamma con enfasi.

AncheLilyannuì.Jonassitrattennedall’alzarelavoce.«E

quandoavverrà?»«Domattinapresto.Dobbiamoiniziare i

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preparativi per l’Assegnazione del Nome,perciò abbiamo deciso di toglierci questopensieroprimapossibile».Sivoltòversoilpiccolo. «Così, domani, ciao ciao a te,Gabe»cantilenòPapàcon lasuavocepiùdolce.

Jonas raggiunse la sponda opposta delfiumeesivoltò.LaComunitàdoveavevatrascorsotuttalavitagiacevaaddormentataallesuespalle:all’albasisarebbesvegliataperriprenderelasolitavitaordinata,senzascosse. La vita dove nulla era inatteso.Oscomodo. O sgradevole. La vita senzacolore,dolore,senzapassato.Pigiò con forza sui pedali, imboccando

la strada. Era rischioso perdere tempo aguardarsiindietro.Pensò a tutte le regole che aveva già

infranto: quanto bastava, se fosse statopreso,aesserecongedato.Perprimacosa,

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aveva lasciato casa di notte. Unatrasgressionecapitale.Secondo, aveva sottratto cibo alla

Comunità: un crimine serio, anche se sitrattavasolodipochiavanzi.Terzo, aveva rubato la bici del padre.

Per un momento, fermo nel buio davantialla rastrelliera, aveva esitato: non volevanullacheappartenesseaPapàenonsapevasesarebberiuscitoausaresenzaproblemiunabicipiùgrande.Ma doveva prenderla per forza, perché

soloquellaavevailseggiolinosulretro.EluiavevaportatoGabrielconsé.

Mentre pedalava, sentì la testolina delpiccolo premergli contro la schiena.Gabrieldormivaunsonnoprofondo.Primadi uscire, Jonas gli aveva posatofermamente le mani sulla schiena e gliaveva trasmesso la sua memoria più

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rilassante: un’amaca che dondolava lentasotto le palme di un’isola sconosciuta, asera, col sottofondo del suono ritmico,languido, della risacca che lambiva laspiaggiavicina.Mentre quellamemoria scorreva da lui

al neobimbo, sentì il sonno di Gabe farsipiùprofondo.Non aveva avuto neanche un fremito

quandoJonasloavevatoltodallettinoeloaveva sistemato sul seggiolino. Sapeva diavereadisposizionesoltanto il restodellanotte, prima che si accorgesserodella suafuga perciò pedalò veloce, deciso,ordinandoa se stessodi non stancarsi colpassare dei minuti e dei chilometri. Eramancato il tempo di ricevere le memorieche il Donatore gli aveva promesso, lememoriediforzaedicoraggio:nonpotevache fare affidamento su ciò che aveva e

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sperarechefossesufficiente.Girò alla larga dalle altre Comunità;

lentamente la distanza fra gli agglomeratidicasebuieaumentòesitrovòapedalareper lunghi tratti di strada deserta.Dapprima le gambe gli fecero male; poi,col passare del tempo, s’intorpidirono.All’alba, Gabriel cominciò ad agitarsi. Sitrovavano in un posto isolato, inmezzo acampi punteggiati di macchie d’alberi.Videunruscelloevisidiresse,pedalandofra i solchi del terreno. Gabriel, ormaisveglio, ridacchiava aogni sobbalzodellabici.Jonasmisegiùilneobimboeloosservò

curiosare allegro in mezzo all’erba, poinascoselabicifraicespugli.«Si mangia, Gabe!» disse e insieme

mangiaronounpo’.Poi riempìal ruscellola tazza che aveva portato con sé e aiutò

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Gabriel a bere, poi bevve anche lui e sisedette sulla riva a guardare il neobimbochegiocava.Erasfinito.Sapevadidoverdormire,di

dover riposare i muscoli. Senza contareche sarebbe stato troppo rischiosoviaggiaredigiorno.Fra non molto sarebbero iniziate le

ricerche.S’infilò sotto i cespugli e si sdraiò,

stringendoilneobimbofralebraccia.Gabesi divincolò allegramente, convinto chefosse uno dei soliti giochi a base disolleticoerisate.«Midispiace,Gabe,losocheèmattina

e che ti sei appena svegliato, ma adessodobbiamodormire».Lo fece rannicchiare contro di sé e gli

accarezzò la schiena mormorando parolerassicurantietrasmettendogliunamemoria

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di profonda, soddisfatta stanchezza. Latesta di Gabriel oscillò e, dopo un po’,ricaddecontroilpettodiJonas.Entrambi i fuggitivi dormirono durante

quelprimo,pericolosogiorno.

Lacosapiùterrificantefuronogliaerei.Ormai erano passati diversi giorni, Jonasnon sapeva più quanti. Il viaggio eradiventato automatico: dormire di giorno,nascosti fra i cespugli; trovare l’acqua;razionare meticolosamente i rimasugli dicibo,integratidaciòcheriuscivaatrovarenei campi. E gli interminabili chilometripercorsiinbicinottedoponotte.Imuscolidelle gambe, irrigiditi, gli dolevano ognivolta che si stendeva per dormire. Eranopiù forti, però, e doveva fermarsi sempremenospessoperriposare.A volte, protetto dall’oscurità, metteva

giùGabrielecorrevaconluisullastradao

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in mezzo a un campo; ma quandorimetteva il piccolo sul seggiolino erimontava in sella, le sue gambe eranosemprepronte.Dunque aveva forza a sufficienza: non

gliservivaquellache,secenefossestatoil tempo, gli avrebbe trasmesso ilDonatore.Ma,quandogiunserogliaerei,desiderò

avere avuto il tempo di ricevere ilcoraggio.Eranoaereidaricerca,quelli,losapeva.Volavano così bassi da svegliarlo col

fragore dei motori e a volte, sbirciandotimoroso dal fitto di un cespuglio, avevaquasi l’impressionedi scorgere ilvisodelPilota.Sapeva che non potevano vedere i

colori: la loro carne, i riccioli dorati diGabriel non sarebbero stati che sbavature

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di grigio contro il fogliame sbiadito.Ma,dalle lezioni di scienza e tecnologia,ricordava che gli aerei da ricerca eranocapacidi individuare ilcaloreprodottodadue esseri umani rannicchiati fra gliarbusti.Così,appenaudivaavvicinarsiunaereo,

stringeva Gabriel e gli trasmettevamemorie di neve e di gelo, tenendone unpo’ per sé: in questo modo siraffreddavanoentrambie,quandogliaereierano spariti, continuavano a rabbrividirestretti l’uno all’altro, fino alsopraggiungeredelsonno.Talvolta, mentre riversava le memorie

nel neobimbo, gli sembravano un po’ piùsbiadite, un po’ più deboli di prima. Eraciòche luie ilDonatoreavevanosperato:viaviachesiallontanavadallaComunità,lememoriescivolavanodallasuamentee

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tornavano a distribuirsi fra tutti. Ma ora,quandoarrivavanogliaerei,siaggrappavadisperatamente a quelle che ancora glirestavano, alle memorie del freddo, e leusavapersopravvivere.Di solitogli aerei arrivavanodigiorno,

quandoeranogiànascosti,maJonasstavaall’erta anche di notte. Perfino Gabrieltendeva l’orecchio e a volte strillava«’ereo! ’ereo!» prima ancora che Jonasudissequel suonospaventoso.Quandogliaerei li sorprendevano – non accadevaquasimai,però–durante le loropedalatenotturne, Jonas sfrecciava verso il piùvicino albero o cespuglio, si sdraiava aterraeraffreddavasestessoeGabriel.Un paio di volte per poco non li

beccarono.Attraversando di notte il paesaggio

desolato con le Comunità ormai

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lontanissime e nessun segnod’insediamento umano nei paraggi, Jonasstava sempre in guardia, in cerca di unnascondiglio in cui rifugiarsi al primorumorediaerei.Col passare dei giorni, però, la

frequenza degli aerei diminuì.Comparivano sempre più di rado evolavano più veloci, come se la ricercafosseormaifattaacasoesenzasperanze.E finalmente, per un intero giorno e

un’interanotte,noncomparveroaffatto.

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Lentamente,ilpaesaggiocambiò.Un cambiamento sottile, dapprima,

difficile da individuare. La strada si fecepiù stretta e accidentata, come se leSquadre di Manutenzione non sispingessero così lontano, e per Jonasdiventò semprepiùdifficilemantenersi inequilibriosullabici.Una notte urtò contro un sasso e

ruzzolò:Gabriel,ben legatoal seggiolino,se la cavò con una gran paura, ma lui sistorse una caviglia e si ferì le ginocchia.S’intravedeva il sangue dai pantalonistrappati. Dolorante, si rialzò, rimise in

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sestolabicierassicuròGabe.Decisediazzardarsiaviaggiaredurante

ilgiorno.Ormai non c’era più traccia degli aerei

daricerca,mailpaesaggioestraneocelavapericoliignotienuoveminacce.Glialberis’infittironoeiboschisifeceropiùcupiemisteriosi,esemprepiùdifrequentefiumie ruscelli intersecavano la strada. Sifermavanospessoabere,eJonassipulivale ginocchia ferite nell’acqua corrente,alleviando il dolore costante alla cavigliacon la carezza di quell’acqua fresca egorgogliante.Aveva acquisito una consapevolezza

nuova: l’incolumità di Gabriel dipendevainteramentedallasuaforza.Videro la loro prima cascata e, per la

prima volta, scorsero tracce di vitaselvatica.

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«’ereo!’ereo!»gridòungiornoGabriel,eJonassilanciòfraglialbericolcuoreingola. Ma, quando fermò la bici e alzòatterritolosguardonelladirezioneindicatadalbraccinograssoccio,nonvideaerei.Era la prima volta che ne vedeva uno,

ma,perquantosbiadite,lesuememorieloaiutarono a identificare subito quellacreaturaalata:unuccello.Inbreve,ilcielofupienodiuccelliedel

loro canto. Videro un cervo e, una volta,unapiccolacreaturasconosciuta,marrone-rossiccioedallacodafolta,lifissòcuriosaesenzapauradalbordodellastrada.Jonassi fermò e restò a fissarla a sua volta,finchélacreaturanonsivoltòescomparvefraglialberi.Era tutto così nuovo per lui.Dopo una

vita all’insegna dell’Uniformità e dellaprevedibilità,ogni sorpresa lo spaventava.

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A più riprese rallentò per fissaremeravigliatoifioridicampo,perascoltareigorgheggidiunuccello,osemplicementeperguardare le fogliedeglialberidanzarenelvento.Mai,intuttiidodiciannidellasuavita,

aveva provato simili momenti di gioiapura.Ma dentro di lui si addensavano anche

disperazione e paura. E la paura piùassillanteerachesarebberomortidifame.Adesso che si erano lasciati alle spalle icampi coltivati, era quasi impossibiletrovare cibo. Avevano ormai esaurito laloro misera scorta di patate e carote ederanosempreaffamati.Inginocchiatoinrivaaunruscello,tentò

invano di afferrare un pesce con lemani;poi, esasperato, prese a scagliare pietrenell’acqua,pursapendobenissimocheera

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inutile. Infine, ormai in preda alladisperazione, preparò una rozza reteavvolgendo fili strappati alla coperta diGabrielintornoaunbastonericurvo.Dopo innumerevoli tentativi riuscì a

catturare due guizzanti pesci argentei: lifeceapezziusandounapietraaguzzaeluieGabrielmangiarono i brandelli di carnecruda.Maperlopiùsinutrivanodibaccheecercavanosenzasuccessodicatturareunuccello.Dinotte,mentreGabrieldormiva,Jonas

restava sveglio, torturato dalla fame,ricordandolavitanellaComunitàeipastiche ogni giorno venivano consegnati aognidimora.Usava il suo potere ormai logorato per

ricostruire brevi, tormentosi frammenti dimemorie: banchetti con arrosti enormi;feste di compleanno con dolci dalla

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glassatura spessa; frutti rigogliosi appenaspiccatidall’albero,caldidisoleestillantisucco.Ma i barlumi dellememorie svanivano

subito, lasciando dietro di sé un vuotodoloroso, lacerante. Amaramente ricordòla volta che, da piccolo, era statorimproverato per un’imprecisione dellinguaggio. “Muoio di fame”, così avevadetto.Tunonstaimorendodifame,glierastato fatto presente, né mai morirai difame.E invece adesso stava propriomorendo

di fame.SefosserimastonellaComunità,non sarebbe successo. Là era tutto cosìsemplice.Siricordòcheunavoltasieraaugurato

dipoterscegliere.Epoi,quandoneavevaavuto la possibilità, aveva fatto la sceltasbagliata:avevasceltodiandarsene.Eora

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stavamorendodifame.Masefosserimasto…Isuoipensieriandavanoavanti.Sefosse

rimasto,sarebbemortodifameinunaltrosenso.Pertuttalavitaavrebbeavutofamedisentimenti,dicolori,diamore.E Gabriel? Per Gabriel non ci sarebbe

statofuturo.Perciò,ineffetti,lasceltaerastatainevitabile.Pedalare diventò una dura battaglia.

Jonas era sempre più debole per lamancanzadiciboe,comesenonbastasse,d’un tratto si accorse di avere davantiqualcosa che fino ad allora aveva vistosoltanto nelle memorie e nei sogni: lecolline.La sua caviglia gonfia pulsava mentre,

attingendo alle ultime, insospettateenergie,facevaforzasuipedali.Ancheil tempocambiò:piovveperdue

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giorniinteri.Jonasnonavevamaivistolapioggia, anche se la conosceva tramite lememorie. Quella pioggia gli era piaciutamaquestaeraun’altracosa.LuieGabrielerano infreddoliti e fradici e nonriuscivanoadasciugarsineanchequando,atratti,rispuntavailsole.Fino ad allora, durante tutto il lungo,

spaventosoviaggio,Gabrielnonavevamaipianto.Maorapiangeva.Piangevadifameedi

freddo e di sfinimento, e anche Jonaspianse,pergli stessimotivieperunaltroancora: pianse perché adesso temeva dinonpotersalvareGabriel.Ormai non gli importava più di salvare

sestesso.

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LanottestavacalandoeJonassisentivasempre più sicuro che la meta fosseproprio davanti a lui, vicinissima. Né lavista,nél’uditopotevanoconfermarglielo.Non vedeva altro che il nastro senza finedellastradachesisrotolavainstrettecurveserpentine. E non udiva alcun suono.Eppurelosentiva:sentivacheAltrovenoneralontano.Manutrivapochesperanzediriuscire a raggiungerlo. E quelle pochediminuirono quando un biancoreturbinanteoffuscòl’ariagelida.Gabriel,avvoltonellacopertalacera,era

raggomitolato tremante e silenzioso sul

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seggiolino. Jonas fermò la bici e lo presein braccio, notando straziato quanto fosseinfreddolitoedebole.Ritto in mezzo alla montagnola gelida

chesistavaammucchiandointornoesopraisuoipiediintorpiditi,Jonasaprìlatunicae strinse forte il piccolo contro il pettonudo, avvolgendo poi entrambi in quellavesteconsumata.Gabrielsimosseappena.Isuoigemitisiperdevanonelsilenziocheli circondava. Di colpo, da una memoriaconfusa,impalpabilecomelasostanzacheli avvolgeva, gli giunse il nome di quelbiancore.«Si chiama neve, Gabe» sussurrò.

«Fiocchidineve.Cadonodalcieloesonobellissimi».Nessuna reazione dal bimbo, un tempo

cosìcuriosoevivace.Nellalucefiocadelcrepuscolo,abbassò

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losguardosullatestolinapremutacontroilsuo petto: i riccioli di Gabriel eranoarruffati e sporchi e sulle gote pallidec’eranotraccedilacrime.Il bambino aveva gli occhi chiusi. Un

fioccodinevesceseondeggiandoeperunistante rimase intrappolato fra le sueminuscolecigliatremule.Stanco,Jonasrimontòinsella.Davanti a lui torreggiava un pendio

ripido. Perfino nelle migliori condizionisarebbe stata una pedalata dura; ma ora,con l’infittirsi della neve, procedere erapraticamente impossibile. La ruotaanteriore avanzava appena, sotto la spintadellesuegambeesauste.Labicisibloccò.Nonsisarebbepiùmossa.Sceseelalasciòcaderesullaneveeper

un momento fu tentato di abbandonarsianche lui, insieme a Gabriel, a

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quell’abbraccio morbido e bianco,all’oscurità della notte, al caldo confortodelsonno.Maera arrivato fin lì.Doveva sforzarsi

diproseguire.Ormai le memorie erano scivolate

lontano da lui, gli erano sfuggite perspargersinellaComunitàintera.Glieneerarimasta qualcuna? Sarebbe riuscito arecuperare un ultimo brandello di calore?Glieraancora rimasta la forzadidonare?E Gabriel, sarebbe ancora riuscito adaccogliere?Premette le mani sulla schiena del

bimbo e tentò di richiamare a sé lamemoriadelsole.Lì per lì la suamente restò vuota e lo

assalì il timore che il potere lo avessecompletamente abbandonato; poi, con untremolioimprovviso,sentìsottilifilamenti

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tiepidi strisciare e lambirgli gambe ebraccia,sentìilvisoardereelapellegelatarilassarsi. Per un breve, fuggevole istanteebbelatentazioneditenerlituttipersé,diimmergersi nei raggi di sole, lasciandosiallespalleogniresponsabilità.Ma il momento passò e fu seguito da

un’ansia, un bisogno, un desiderioappassionato di dividere quel calore conl’unica creatura che gli era rimasta daamare.Conuno sforzo doloroso, trasmiselamemoriadelcaldoalcorpicinotremantefralesuebraccia.Gabriel fremette, mentre il tepore si

riversava su entrambi e rinnovava le loroforze.Jonasiniziòasalireilpendio.La memoria fu breve, orribilmente

breve.Avevapercorsosìenopochecentinaia

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dimetrinellanotte,quandoilteporesvanìeilfreddoliriavvolse.Adesso, però, la sua mente era vigile:

queipochiminutidisollievoeranobastatiascacciare il letargoe larassegnazione,arinsaldare la sua volontà di sopravvivere.Accelerò il passo, anche se ormai i piedinonlisentivapiù.Malacollinaeratropporipida,enevee stanchezza intralciavano isuoi passi. Non ci vollemolto prima cheinciampasseecadesse.Piegato sulle ginocchia, incapace di

rialzarsi, si aggrappò a un’altra fluttuantememoriadisolee tentòdisperatamenteditrattenerla, di ampliarla, di trasmetterla aGabriel.Ancora una volta, il bambino fremette

controilsuopetto,mentreJonassirialzavae riprendeva a salire, rinvigorito dalmomentaneocalore.

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Anche quella memoria sbiadì,lasciandolopiùinfreddolitochemai.Se solo il Donatore avesse avuto il

tempo di trasmettergli altro calore primadella fuga! Ma i “se” non servivano anulla. Doveva concentrarsi soltanto sucome mettere un piede davanti all’altro,riscaldare Gabriel e se stesso, andareavanti. Si arrampicò, si fermò e riscaldòbrevemente entrambi con un ultimorimasugliodimemoria.Sembrava così lontana, la cima della

collina,echissàcosaliaspettavadall’altraparte. Ma che poteva fare, se nonproseguire?Si trascinò verso la vetta poi,quando finalmente fu vicino alla sommitàdel pendio, accadde qualcosa. Non cheavesse meno freddo; anzi, era ancora piùintorpidito.Nonchefossemenoesausto;alcontrario, sentiva i piedi di piombo e a

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stento riusciva a muovere le gambe.Eppure, improvvisamente, si sentì felice.Glitornaronoinmentetempispensierati.Ricordòigenitorielasorellina.RicordòAshereFiona.RicordòilDonatore.Di colpo fu sommerso da memorie di

gioia.Il terreno si fece pianeggiante sotto i

suoi piedi avvolti dalla neve: era arrivatoincimaallacollina.«Cisiamoquasi,Gabriel»bisbigliòcon

tono sicuro, senza sapere perché.«Conoscoquestoposto,Gabe».Ed era vero. Non si trattava di una

sensazione basata su una memoriasfuggente;questoeradiverso.Questoeraunricordotuttosuo.Strinse Gabriel e lo strofinò con forza

perriscaldarlo,pertenerloinvita.

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La neve vorticava nel gelido vento,offuscandoglilavista,madaqualchepartelaggiù, al di là di quella tempestaaccecante,Jonassapevachec’eranocaloreeluce.Attingendo alle ultime forze e a una

misteriosaconsapevolezzasepoltainfondoal suo cuore, trovò la slitta rimasta adaspettarli lassù e le sue mani intorpiditeannasparonoincercadellafune.SisedettesullaslittaestrinseGabriela

sé. Il pendio era ripido, ma la neve erasofficeepiumosa,eluisapevachestavoltanoncisarebberostatighiaccio,nécaduta,né dolore. Nelle profondità del corpocongelato, il suo cuore si aprì allasperanza.Ladiscesainiziò.Jonas si sentì svenire,ma si costrinsea

restaredrittoeabbracciòforteGabrielper

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proteggerlo. I pattini scivolavano sullaneveeilventoglisferzavailviso,mentreattraversavano un varco che sembravacondurre alla meta finale, al luogo che –lui lo sapeva – li stava aspettando,all’Altrovecheracchiudevaillorofuturoeilloropassato.Lottòper teneregliocchiapertimentre

sfrecciavano giù, sempre più giù, e d’untratto scorse delle luci e le riconobbe.Sapeva che scintillavano di là dai vetri edentrolestanze:erano–neerasicuro–leluci rosse, azzurre e gialle cheammiccavanodairamideglialberi,làdovele famiglie generavano e conservavanomemorie,dovecelebravanol’amore.Più giù, ancora più in giù, sempre più

veloce.All’improvviso seppe con assoluta,

gioiosa certezza che laggiù, là davanti, lo

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stavanoaspettando;easpettavanoancheilbambino. Per la prima volta udì qualcosache–loseppesenzaombradidubbio–eramusica.Udìvocicantare.Dietro di lui, attraverso una distesa

infinitadispazioeditempo,dalluogocheavevaabbandonato,anchedalì,glisembrògiungesseunamusica.Maforseerasoltantoun’eco.

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Indice

IlFioreDelParadisoCapitolo1Capitolo2Capitolo3Capitolo4Capitolo5Capitolo6Capitolo7Capitolo8Capitolo9Capitolo10Capitolo11Capitolo12Capitolo13Capitolo14

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