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POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 – AUT. GIPA/NE/PD/31/2014 Papa Francesco alle Caritas «I poveri, proposta forte di Dio alla Chiesa» Nepal Terremotati (un anno dopo). E sempre più trafficati Capo Verde Sahel in mezzo all’Atlantico: la sfida “green” delle isole aride MENSILE DI CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XLIX - NUMERO 4 - WWW.CARITAS.IT maggio 2016 Italia Caritas Raccolta di abiti usati, settore in crescita. Molte Caritas coinvolte. Nel rispetto di regole ambientali e finalità sociali. Non garantite da tutti… risorsa Una tenere pulita da

tenere da pulita - Caritas Italianas2ew.caritasitaliana.it/.../2016/IC04_maggio2016.pdfGIPA/NE/PD/31/2014 Papa Francesco alle Caritas «I poveri, proposta forte di Dio alla Chiesa»

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Papa Francesco alle Caritas «I poveri, proposta forte di Dio alla Chiesa»Nepal Terremotati (un anno dopo). E sempre più trafficatiCapo Verde Sahel in mezzo all’Atlantico: la sfida “green” delle isole aride

M E N S I L E D I C A R I T A S I T A L I A N A - O R G A N I S M O PA S T O R A L E D E L L A C E I - A N N O X L I X - N U M E R O 4 - W W W. C A R I T A S . I T

maggio 2016

Italia Caritas

Raccolta di abiti usati, settore in crescita. Molte Caritas coinvolte. Nel rispetto di regole ambientali e finalità sociali. Non garantite da tutti…

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da

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editoriali

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LA FAMIGLIA,LUOGO DIMISERICORDIA

mazione. Occorrerà sperimentare an-che in questi ambiti: new e social me-dia, nuovi strumenti pedagogici e nar-rativi, di comunicazione e animazione.E non potremo non presidiare le nuoveforme di inclusione sociale dei poveri,di sviluppo di comunità, di welfare ge-nerativo; i nuovi percorsi di coesionesociale, di volontariato e servizio, di ac-coglienza diffusa, di coinvolgimentodei giovani, di partecipazione dal bas-so, di discernimento comunitario, diinnovazione sociale, di educazione aun’ecologia integrale, alla pace, all’in-terculturalità, alla mondialità.

La nostra carità aperta al mondo non è buonismo ingenuo: studia intercon-nessioni e cause dei fenomeni, impasta solidarietà concreta, advocacy e percorsieducativi, coniuga denuncia profetica e ricaduta pedagogica dei fatti di carità, se-condo approcci glocali, frutto di reti e alleanze, dal nazionale all’internazionale.

È dunque anche compito nostro proporre modelli nuovi, che pongano al cen-tro la dignità della persona, di ogni persona. Ecco perché andremo in Grecia ainizio luglio, a tre anni dalla visita di papa Francesco a Lampedusa e a tre mesida quella a Lesbo: per dire no a questi paesi d’Europa che arrivano a costruire“muri preventivi”, per dire sì a un’Europa dove i valori della solidarietà e dellagiustizia sociale siano al centro della cultura e della politica. Occorrono una vi-sione, una strategia per il Mediterraneo, per l’Africa, per il mondo.

Entriamo in una logica di cammino comune, coordinamento, mutuo accom-pagnamento. La stazione finale è nota: i percorsi, i binari, costruiamoli e percor-riamoli insieme. Nella preghiera, nella gioia, nella liberazione, nell’amore miseri-cordioso. Perché la nostra è la teologia di una carità intelligente, di un operare dol-ce e benevolo, che si fa misericordia, carezza della Chiesa a piccoli e poveri.

a famiglia è Caritas nel suo dna,perché luogo dell’amore e dellavita. Quell’amore misericordiosoche – come ricorda Papa France-

sco nella recente esortazione apostoli-ca Amoris Laetitia – deve accompagna-re, discernere e integrare le situazioni difragilità. Nonostante i non pochi limitidi ciascuno o le ferite che ogni famigliaporta dentro, è proprio nella famigliache si sperimenta la certezza che Dio èmisericordioso e che s’impara ognigiorno a rialzarsi. Solo sperimentandol’amore viscerale di Dio – come le ma-dri che portano nel grembo la propriacreatura – sarà possibile impastare conla misericordia tutte le relazioni.

Prima del fallimentoPurtroppo la cultura odierna disprezzae calpesta la misericordia. Oggi si respi-ra un clima pieno di odio, d’indifferen-za, di vendetta, di chiusura, di violenza,che entra fin dentro le case e, in modopiù o meno consapevole, condizionatante scelte. Così accade che anche percose di poco conto saltino rapporti, siinfrangano equilibri e si sperimentinotensioni che fanno male a tutti.

C’è bisogno della misericordia diDio, ma occorre anche essere tutti mi-sericordiosi. Dio ci insegna come si fa:quando Lui vede i nostri limiti non di-venta duro, ma allarga il Suo cuore. Èl’unico modo per recuperarci. La mise-ricordia, come espressione di un amoreimmenso, viene prima di ogni falli-mento, anzi lo supera perché aiuta a ve-dere l’altro non a partire dall’errore cheha commesso, ma dall’amore che an-cora può ricevere. Questo vale nel rap-porto fra marito e moglie, ma vale an-che nel rapporto con i figli, bisognosi dimisericordia e di tenerezza per crescerenel modo più completo.

Il 38° Convegnonazionale (Sacrofano,18-21 aprile) è statooccasione per una

riflessione sui percorsidelle Caritas nel nostro

paese. Organizzata,innovativa, aperta

al mondo: sono i profilidi una carità che vuole

farsi misericordia e carezza della Chiesa

Ldi Francesco Soddu di Francesco Montenegro

CAMMINO COMUNE,PER UNA CARITÀINTELLIGENTE

no sguardo alto, ma ancorato alla realtà. Dal ricco confronto diSacrofano (38° Convegno nazionale delle Caritas diocesane),usciamo con un’indicazione condivisa: dobbiamo prenderci cu-

ra di chi si prende cura. È una forma di carità indiretta, nascosta, chenon si vede, né si vanta. È la nostra prevalente funzione pedagogica.

È ciò che ci collega idealmente ai due precedenti convegni nazionali,Montesilvano e Cagliari, e alle periferie esistenziali da abitare con mo-tivazione e passione, per non lasciare percorsi e processi incompiuti.La nostra carità è personale, organizzata e comunitaria, è frutto di studie ricerche sempre più attenti, è documentazione, formazione e infor-

U

direttoreFrancesco Soddu

direttore responsabileFerruccio Ferrante

coordinatore di redazionePaolo Brivio

in redazioneUgo Battaglia, Paolo Beccegato, Renato Marinaro, Francesco Marsico,Sergio Pierantoni, Domenico Rosati,Francesco Spagnolo

hanno collaboratoDanilo Angelelli, Francesco Carloni,Francesco Dragonetti, RobertaDragonetti

progetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna, Simona Corvaia

stampaMediagraf Spa, viale della NavigazioneInterna 89, 35027 Noventa Padovana

(Pd), tel. 049 8991511, e-mail: [email protected]

sede legalevia Aurelia, 796 - 00165 Roma

redazionetel. 06 66177226-503 [email protected]

offertetel. 06 66177215-249 [email protected]

inserimenti e modifichenominativi richiesta [email protected]

spedizionein abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478del 26/11/1968 Tribunale di Roma

OFFERTEVanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:. Versamento su c/c postale n. 347013. Bonifico una tantum o permanente a:- UniCredit, via Taranto 49, Roma

Iban: IT 88 U 02008 05206000011063119

- Banca Prossima, piazza della Libertà 13, RomaIban: IT 06 A 03359 01600100000012474

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Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

Italia CaritasMensile della Caritas ItalianaOrganismo Pastorale della Ceivia Aurelia, 796 - 00165 Romawww.caritas.itemail: [email protected]

Chiuso in redazione il 29/4/2016

UN BUON FINE NON HA FINE

. facendo conoscere la nostra attività e la nostra rivista. inviando offerte per i nostri progetti . predisponendo testamento in favore di Caritas Italiana (a tal proposito, puoi richiedere informazioni a Caritas Italiana, via Aurelia 796, 00165 Roma, tel. 06 66177205, fax 06 66177601)

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sommario

rubriche

3 editorialidi Francesco Soddue Francesco Montenegro

4 parola e paroledi Benedetta Rossi

19 contrappuntodi Domenico Rosati

20 panoramaitalia ABRUZZO, 7 ANNI DOPO:NEL POST-TERREMOTOPROGETTI CARITASPER 35 MILIONI

24 poster SUD SUDAN:PIÙ FACILEMORIRE DI PARTOCHE FINIRE LA SCUOLA

31 zeropovertydi Laura Stopponi

35 cibo di guerradi Paolo Beccegato

39 contrappuntodi Alberto Bobbio

47 a tu per tuRON, DUETTI ANTI-SLA«LA MUSICA PER LA RICERCA,SIAMO AQUILONI IN VOLOPER VINCERE IL NEGATIVO»di Daniela Palumbo

nazionale

6 NON TUTTI I CASSONETTISONO PULITI E SOLIDALIdi Generoso Simeone

11 TERZO SETTORE, LA RIFORMASI GIUDICA DAI FRUTTIdi Francesco Marsico

12 CONTRO LE DIPENDENZESTAGIONE DI ALLEANZEdi Monica Tola

14 PIGNORAMENTI FACILI?OCCHIO AICOSTI SOCIALI…di Andrea La Regina

16 CONVEGNO CARITAS:«I POVERI, UNA PROPOSTA.LA CARITÀ, UNA CAREZZA»di Papa Francesco

internazionale

26 NEPAL:TERREMOTATI. E TRAFFICATIdi Teresa Sassu

32 SIRIA: LA MAREA DEI CACCIATIa cura dell’Area internazionale

36 CAPO VERDE:LA SCOMMESSA “GREEN”DELL’ARCIPELAGO ARIDOdi Moira Monacelli

anno XLIX numero4

IN COPERTINAL’accurata selezionedi indumenti usati raccoltida una cooperativa di Napolilegata a Caritas.Il settore è in espansione,ma non privo di ombre(foto Cesare Abbate)

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aggiunga anch’esso a chi ci odia, e combatta contro di noie poi se ne vada dal paese» (1,10).

Sono la perdita di memoria, la mancanza di conoscen-za, una lettura parziale della realtà e il timore a trasfor-mare il cuore del faraone e del suo popolo. Così, con pocalungimiranza, si rende schiavo un popolo ospite, creandoall’interno del paese una situazione di malcontento, con-flitto e ostilità. Una strategia che non è una soluzione; iltimore, infatti, si trasforma progressivamente in terrore,così che si arriva a pianificare l’uccisione di tutti i figli ma-schi degli israeliti, per eliminare alla radice un ipoteticofuturo pericolo.

Una pacifica e provvisoria convivenza è trasformata nel-la schiavitù di un popolo, privato della libertà e con essa delsuo primario obiettivo, quello di tornare nella terra da cui iprogenitori erano stati costretti a partire: misure preventivedi sicurezza spianano la strada a un aperto conflitto.

al benessere del paese dove abitano:Giuseppe dà ai fratelli seme per se-minare il terreno ricevuto; quanto alraccolto, un quinto dovrà essere de-stinato al faraone (47,24).

Futuro solo immaginatoQuesta storia di integrazione cambianel volgere di una generazione; il librodell’Esodo lascia intendere senza trop-pi misteri le cause della fine di unaconvivenza costruttiva: «Sorse sul-l’Egitto un nuovo re che non aveva co-nosciuto Giuseppe» (Esodo 1,8). Laprima nota è la mancanza di cono-scenza e di memoria: non solo non sisa più chi è il primo israelita emigratoin Egitto, ma ancora di più ci si dimen-tica di cosa egli ha fatto per il paese.

Senza memoria, la visuale si limitaal presente, accorciandosi: «Il popolodei figli di Israele è più grande e piùforte di noi» (1,9). Ma soprattutto,senza conoscenza l’unica chiave dilettura del presente è la paura di unfuturo semplicemente immaginato:«Comportiamoci con scaltrezza neiloro confronti perché non si moltipli-chi; e se capiterà una guerra non si

l popolo eletto da Dio per essere un popolo a lui caro (Esodo19,5), sua corona, ornamento e gloria (Geremia 13,11), nasce co-me tale in un paese straniero, l’Egitto. È infatti nella terra del fa-

raone che la famiglia di Giacobbe si rifugia, per fuggire a fame e ca-restia (Genesi 45,11). In Egitto era già arrivato Giuseppe, uno dei figlidel patriarca, giunto come schiavo, venduto dai fratelli e acquistatoda mercanti di merci e uomini, per diventare infine proprietà delcuoco del faraone (Genesi 37,27-28.36).

Accusato ingiustamente di violenza, imprigionato (39,11-20) e poiristabilito dal faraone a completa dignità (41,37-46), questo straniero,

GLI OSPITI SCHIAVIZZATI,LA PAURA CHIAMA LA GUERRA

dopo aver percorso tutte le strade de-gli ultimi, di coloro che sono spogliatidi ogni diritto, organizza il piano disalvataggio alimentare dell’Egitto(41,47-49.55-57). Un progetto sapien-te, capace di leggere la storia, preve-dendone con accortezza gli sviluppi,che salverà la vita del popolo egizia-no, e non solo, in tempo di carestia.

Dalla migrazione forzata di un uo-mo venduto dai fratelli, si passa allamigrazione di una grande famiglia,tutta intera, quella di Giacobbe, chechiede all’Egitto una vita possibile euna terra. Le pagine bibliche lascianointravvedere una storia di integrazione, pur nel rispettodella diversità. I figli di Giacobbe, infatti, ricevono un ter-ritorio riservato a loro, la terra di Goshen (45,10) così dapoter continuare la loro attività di pastori, considerataimpura dagli egiziani (47,3-4).

Allo stesso tempo, quando gli israeliti riportano in Ca-naan le ossa di Giacobbe, per seppellirle nel sepolcro difamiglia, durante i giorni del lutto, da parte degli abitantidel paese vengono scambiati per egiziani e confusi conquesti ultimi (50,11). Evidentemente i figli di Giacobbedovevano aver assunto almeno qualche caratteristica delpopolo che li ospitava.

Benché fin dall’inizio sia chiaro per gli israeliti che lapermanenza in Egitto non sarà definitiva, ma solo unatappa che precede il ritorno nella terra di Canaan (47,4),i migranti ricevono non solo il sostentamento, ma anchela possibilità di fissare una dimora stabile, contribuendo

Il popolo eletto da Dio,Israele, si costituiscein Egitto: in esilio, da

migrante. Lungimirantiforme di integrazione

hanno creato benessereper tutti. E consentito

di resistere alla carestia.Sino a che l’assenzadi memoria scatenail terrore, e questo

la violenza

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parolaeparoledi Benedetta Rossi

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to da imprese specializzate, per lo piùtedesche e francesi, che poi rivendonogli abiti in Asia, Africa e America Latinadove i nostri vestiti, anche se di secon-da mano, sono molto ambiti. Un veroe proprio mercato, globalizzato, da mi-lioni di euro, che genera profitti. Per-ché stiamo parlando di più di 110 milatonnellate di materiale raccolto in Ita-lia in un anno (dato 2013, ultimo di-sponibile), laddove in un chilo si con-tano tre diversi capi d’abbigliamento.E il trend è in continua crescita.

Opacità e burocraziaMa che ci fanno le Caritas diocesanee le cooperative sociali in questo cheè, a tutti gli effetti, un vero e propriobusiness? Fanno semplicemente il

proprio “mestiere”, cioè portanoavanti progetti di solidarietà, dandolavoro (nella raccolta degli indumen-ti e nella gestione dei cassonetti) apersone in difficoltà. Gli (eventuali)utili dell’attività, vengono inoltre de-stinati ad altri progetti sociali.

Sembrerebbe tutto semplice, ma inrealtà i problemi sono tanti. Il primoriguarda le cosiddette raccolte “paral-lele”, cioè non autorizzate. Installareun cassonetto su suolo pubblico è piùfacile di quanto sembri. Le pubblicheamministrazioni non sempre control-lano e proliferano così le raccolte abu-sive. Che spesso impiegano manodo-pera a basso costo e non rispettano,prima di rivendere gli indumenti, lenorme ambientali sui trattamenti.

Un problema sono le raccolte “parallele”,cioè non autorizzate. Installare cassonettisu suolo pubblico è più facile di quanto

sembri. Le amministrazioni non semprecontrollano: proliferano le raccolte abusive

Ci sono poi le raccolte autorizzate,ma che giocano sulla buona fede deicittadini, sfruttando l’equivoco delladonazione dei capi ai poveri. Alcunecooperative, esterne ai circuiti Cari-tas, così come aziende profit, nonsempre sono trasparenti nel dichia-rare la propria finalità sociale. Spes-so, infatti, i loro cassonetti o i loromanifesti contengono indicazionigeneriche del tipo «ci impegniamo adevolvere un contributo derivantedall’attività di raccolta alla tal asso-ciazione», senza specificare altro.

Un’altra criticità riguarda la com-plessa filiera del trattamento relativaall’indumento inteso come rifiuto. Lalegge italiana stabilisce norme fintroppo rigide sui criteri da rispettareprima di poter rivendere un abitousato. Questo spiega perché granparte del materiale finisca all’estero.

Ci sono poi gli ostacoli burocratici.Ad esempio, le cosiddette proceduredi igienizzazione, che stabiliscono

FON

TI:

ISPR

A E

CO

NAU

Dal 2008, Conau (Consorzio nazionale abiti e accessori usati) raggruppa cooperative sociali e aziendeimpegnate nella raccolta di indumenti usati. Conau, oltre a estendere l’adesione a quanti più soggettipossibile, agisce col fine di aumentare la trasparenza del ciclo di intervento degli operatori del settorepromuovendo la sottoscrizione di un codice etico. Conau è interlocutore del Ministero dell’ambientee ha siglato un accordo con Anci, l’Associazione nazionale dei comuni

La raccolta differenziata di rifiuti tessili in Italia

QUANTITATIVI RACCOLTI DI RIFIUTI TESSILI (dati espressi in migliaia di tonnellate)

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50

40

30

20

10

0

2012

2013

71,5

2009

53,7

Nord

24,0

Centro

23,4

Sud

54,8

Nord

29,0

Centro

27,1

Sud

2010 2011 2012 2013

80,396,7 101,1

110,9

6 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 1 6

CASSONETTO CONTINUONapoli (sopra a destra nellapagina a fianco), Milano, Bolzano:molte Caritas, in tutta Italia,sono coinvolte, direttamenteo tramite cooperative, nellaraccolta di indumenti usati

sono puliti e solidali

6 I TA L I A C A R I TA S |

Non donazioni, ma rifiuti. La raccoltadi indumenti usati è un settore in crescita,un business semprepiù capillare. MolteCaritas vi si cimentano.Ma non tutti i soggetticoinvolti rispettano le regole ambientali e danno unadestinazione sociale ai propri profitti

il grande equivoco dellaraccolta di indumenti usati.Quando mettiamo un capod’abbigliamento in un cas-sonetto che si trova per

strada, non stiamo facendo una do-nazione ai poveri. Ci stiamo sempli-cemente liberando di un rifiuto. Lostabilisce la legge e lo dichiarano, piùo meno con trasparenza, i soggettiimpegnati nella raccolta: talora sog-getti sociali e di solidarietà, soventevere e proprie aziende private.

Inserire vecchi vestiti in un casso-netto è quindi cosa ben diversa dalportarli in parrocchia, o al centro diascolto. In quest’ultimo caso si trattaeffettivamente di una donazione,perché gli abiti vengono poi conse-gnati a chi ne ha bisogno. L’equivocoscaturisce dalla consuetudine per cuispesso sono gli enti caritatevoli o lecooperative sociali a occuparsi, inItalia, dell’attività di raccolta tramitecassonetti. Che, per numeri e capil-

larità, è ormai un settore economicocon una sua fisionomia. Gestito, pe-rò, con criteri e valori assai diversi,dai differenti soggetti che se ne occu-pano. Come hanno dimostrato an-che recenti fatti di cronaca.

La Caritas, intesa come una sorta di“marchio generalizzato”, è universal-mente riconosciuta come il principalesoggetto che, in Italia, fa raccolta di in-dumenti usati attraverso i cassonetti.Un po’ ovunque, nel paese, le Caritasdiocesane, direttamente o attraversocooperative collegate, smaltiscono, di-chiarandolo apertamente, questo par-ticolare tipo di rifiuto. Particolare, inquanto non finisce in discariche, ince-neritori o impianti di compostaggio.

Pantaloni, maglie, camicie, gonne,cappotti e giacche vengono infatti rac-colti per essere recuperati. Circa il 30%ha una destinazione industriale, perottenere fibra; la parte restante vieneimmessa nel circuito dell’usato. Ilquantitativo maggiore viene acquista-

di Generoso Simeone

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nazionale indumenti usati

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A Caltanissetta non ci sono cassonetti. Ma gli indumenti usati vengonoraccolti lo stesso dalle parrocchie. La particolarità è il modo con cui ven-gono poi smistati ai più bisognosi. «Ci siamo inventati un emporio solida-le – spiega Giuseppe Paruzzo, condirettore della Caritas diocesana nisse-na –, dove le persone possono venire, scegliersi gli abiti e provarli. Comein un vero negozio. Perché pensiamo sia bello, che ognuno abbia il dirit-to di vestirsi liberamente e in modo dignitoso». L’emporio è alimentatodalle donazioni dei cittadini, ma anche da capi nuovi regalati dai negozio dalla merce sequestrata dalla Guardia di finanza. «Riceviamo anchediversi abiti da sposa – continua Paruzzo –: quello che non può esseremesso a disposizione lo inviamo al laboratorio di sartoria che abbiamocreato e chiamato “Scaldacuore”, per trasformarlo in borse, portabotti-glie, portacellulari, pochette, portapenne e altri oggetti... Tutte cose chepoi vendiamo su offerta in appositi mercatini, con il ricavato a favoredell’emporio. Nel cui laboratorio, potenziato negli anni con macchinari e attrezzature adeguate, facciamo lavorare persone in difficoltà».

L’emporio solidale è diventato, con il tempo, più di un luogo di soli-darietà. «Le persone – conclude Paruzzo – vengono inviate dalle par-rocchie su appuntamento: quando le riceviamo, le accogliamo, entran-do in relazione con loro. Insomma, siamo diventati una sorta di centrodi ascolto. Ci sono molti volontari, anche giovani, e si respira un bel cli-ma. Abbiamo persino creato un angolo bambini per le famiglie…».

L’ESPERIENZANon solo raccolta: Caltanissettaveste, trasforma e… ascolta

mo accettare la legge. Il vantaggio èche siamo inseriti nella legislazionesui rifiuti e questo comporta molticontrolli. Noi garantiamo ai cittadiniil pieno rispetto di tutte le norme. Ca-ritas è proprietaria dei cassonetti e la-vora con cooperative che li svuotano,rispettando regole e procedure. Certo,poi dobbiamo anche preoccuparci dispiegare perché un’organizzazioneecclesiale di stampo sociale è accredi-tata nell’albo dei gestori ambientalicome ente che tratta rifiuti…».

Carmine Guanci è il vicepresidentedi Vesti Solidale, cooperativa socialecollegata a Caritas Ambrosiana. Ponel’accento non tantosull’ambiguità donazio-ne-rifiuto, quanto sullaquestione trasparenza.«Noi – spiega – dichia-riamo apertamente chela nostra finalità non èvestire i poveri, ma uti-lizzare i capi raccolti co-me volano di economiasociale. Abbiamo pro-mosso una rete di coo-perative (Riuse – Rac-

colta indumenti usati solidale ed eti-ca), che persegue un elevato livelloqualitativo, occupazionale e solidari-stico e rispetta in modo rigoroso tuttii dettami normativi. Siamo inoltreimpegnati in campagne di comunica-zione, attraverso cui spieghiamo det-tagliatamente quello che facciamo ecome reinvestiamo, con finalità so-ciali, gli utili generati dal nostro lavo-ro. Il vero problema è che i nostri con-correnti non fanno altrettanto. C’è chiposiziona i cassonetti senza averel’autorizzazione, chi millanta un’atti-vità solidaristica e invece fa solo pro-fitto. Altri non rispettano le norme sul

lavoro e sull’ambiente. Stare in que-sto mercato è sempre più difficile».

Guanci scorge un ulteriore proble-ma: il controllo della filiera. «A volteveniamo accusati – sottolinea – divendere la nostra raccolta a impiantinon in regola. Ma tutti quelli chehanno a che fare con noi firmanocontratti etici sul rispetto dei dirittidei lavoratori, delle normative am-bientali e fiscali. Più di così non pos-siamo fare: sfido a dirci quali sono gliimpianti non in regola, così non in-staureremo rapporti con loro».

Persone su cui scommettereIl tema della legalità viene sollevatoanche da Napoli. «I nostri competito-ri – ammette Antonio Capece dellacooperativa sociale Ambiente solida-le, che collabora con la Caritas napo-letana – offrono cifre spropositatequando partecipano ai bandi dei co-muni. A volte, promettono agli entilocali una cifra superiore al valore dimercato della vendita degli abiti usa-ti: non è solo lavoro nero, è concor-renza sleale di chi non sta nella lega-lità. Aumentano i furti nei cassonetti:

UNA MONTAGNA DI OPPORTUNITÀLavoratori nei magazzini di stoccaggio di indumenti usatidelle cooperative che fanno capo alla Caritas diocesana di Napoli

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come va trattato un capo d’abbiglia-mento prima di essere reimmesso sulmercato, sono diverse da regione aregione e difformi dagli standard de-gli altri paesi Ue. Ciò genera confu-sione e, soprattutto, penalizza chi ri-spetta la legalità, dato che certi pro-cedimenti tecnici sono molto costosi.

Difficile è anche il rapporto con glienti locali. Dove i comuni non si disin-teressano di quanto accade sulle pro-prie strade, emanano bandi stabilen-do tasse di occupazione del suolopubblico molto elevate. Anche in que-sto caso, chi ha personale, impianti emezzi di trasporto in regola sostienecosti maggiori rispetto a chi vince legare non rispettando fino in fondo lenorme ambientali e del lavoro.

Materia prima secondariaI rifiuti generici, di qualsiasi materialesiano composti, sottostanno a regolee codici molto stringenti. Ad esempio,è previsto che ogni trasporto sia trac-ciato con uno specifico documento diaccompagnamento. Oppure che gliimpianti dove si stoccano i rifiuti nonpossano essere semplici magazzini,ma luoghi autorizzati dove rispettarenorme contro l’inquinamento acusti-co o delle acque.

Nulla di tutto ciò è previsto per i ve-stiti. Una volta raccolti in quanto rifiu-ti, essi diventano “materie prime se-condarie”. In questo modo acquisi-scono valore e, come abbiamo visto,generano un mercato. In questa ano-malia poco regolamentata proliferanonon solo equivoci, ma anche illegalità.Le Caritas diocesane e le cooperativesociali collegate sono impegnate, oltrea creare occasioni di lavoro per sog-getti svantaggiati, anche nel non facilecompito di portare trasparenza e ri-spetto delle regole, in un settore condiverse ambiguità e opacità.

Don Michele Chiapuzzi, direttoredella Caritas diocesana di Tortona, èper esempio convinto che il proble-

ma stia a monte. Cioè nel consideraregli indumenti dismessi come qualsia-si altro rifiuto. A Tortona, attraverso lacooperativa Agape di cui don Chia-puzzi è vicepresidente, viene fatta laraccolta di capi d’abbigliamento usa-ti. «Nei nostri cassonetti – spiega –troviamo vestiti lavati, stirati e benconfezionati, perché il cittadino èconvinto di fare una donazione. Nonc’è la volontà di disfarsi di un rifiuto,e il legislatore dovrebbe prenderne at-to. Oppure, data la fisiologica ecce-denza rispetto al fabbisogno, dovreb-be regolamentare meglio il settore, ri-conoscendo che questo è un mercatoche genera benefici sociali. Noi creia-mo lavoro per persone svantaggiate efinanziamo progetti di inclusione».

Per il direttore della Caritas di Torto-na l’ambiguità tra donazione e confe-rimento di un rifiuto è la vera fragilità,che genera tutti i problemi che afflig-

Raccolti in quanto rifiuti, diventano“materie prime secondarie”. Acquisisconovalore e generano un mercato. In questa

anomalia poco regolamentata, finisconoper proliferare equivoci e illegalità

gono il settore. «Il rifiuto – osserva donChiapuzzi – impone una burocraziaamministrativa stringente, che realtàcome la nostra faticano a rincorrere. Iole chiamo addirittura vessazioni, per-ché non basta mai quello che si fa peradeguare la propria attività alle norme,che cambiano continuamente. Il para-dosso è che ciò che noi raccogliamo di-venta poi materia prima secondaria egenera il mercato degli indumenti diseconda mano. Allora io dico che è oradi smettere di distinguere tra profit enon profit. Io parlo di profitto etico. Variconosciuta la specificità di un bene,che dovrebbe essere acquisito comeuna donazione e che poi genera unmeccanismo socialmente virtuoso. Perfarlo, arriverei addirittura a chiedere dipagare un’Iva al 4%, dato che sui rifiutil’imposta non è prevista».

Il controllo della filieraLa pensa allo stesso modo anche Gui-do Oshtoff, responsabile dell’area rac-colta indumenti della Caritas diocesa-na di Bolzano-Bressanone. «Mi “rifiu-to” di considerarli rifiuti – annunciacon un gioco di parole –, ma dobbia-

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assemblea del Senato il30 marzo ha approvatocon modifiche il disegnodi legge 1870, relativo alladelega al governo per la

riforma del terzo settore, dell’impre-sa sociale e per la disciplina del ser-vizio civile universale. Il testo tornaora alla Camera dei deputati: il gover-no spera di concludere il complessoiter parlamentare entro maggio.

In effetti sono molti anni che si di-scute di aggiornare la legislazione inmateria. Le norme in vigore hannoinfatti sufficienti anni per meritareun restyling: la legge 266 sul volonta-riato è del 1991, stesso anno di nasci-ta della 283 sulla cooperazione socia-le, mentre la 383 sull’associazioni-smo risale al 2000, per chiudere nel2001 con la legge 64 sul servizio civi-le, non più collegato all’obiezione dicoscienza al servizio militare.

Certamente aggiornamento, maanche crescita di una consapevolez-za. Pur nelle differenze tra i soggettiche lo compongono, infatti, il terzosettore è un continuum di forme giu-ridiche e di modalità di azione socia-le, con un comune fondamento soli-daristico, graduabile anche a partiredalla diversa relazione rispetto almercato: un organismo di volonta-

ormai significativo in termini quanti-tativi per il paese. Nella delega appro-vata al Senato questo approccio è af-fermato con chiarezza sin dal titolo,che colloca nella stessa norma i diver-si filoni del non profit. Peraltro il testodi riforma approvato è stato, nel suocomplesso, condiviso dai principalisoggetti di terzo settore, ma un piùfondato e informato giudizio potràessere formulato solo a seguito del-l’emanazione dei numerosi decretidelegati attuativi, per i quali sono in-dicati criteri e principi molto ampi.

Necessità di un confronto stabileTutto risolto insomma? Alcunipunti, in realtà, suscitano qual-che perplessità, che potrebberoacuirsi in vista dell’approvazio-ne finale alla Camera, e soprat-tutto dei decreti attuativi: il ri-

lancio dell’impresa sociale – un anfibiogiuridico-economico, vicino a unaconcezione mercatista, data la suapossibilità di distribuire parzialmentegli utili –, che suscita timori di deriveapplicative; il nuovo modello di Centrodi servizio di volontariato, autorizzatoa offrire servizi anche alla cooperazio-ne sociale e all’associazionismo;un’impostazione della norma, che inqualche passaggio esprime una forseeccessiva ansia di controllo (il Registrounico del terzo settore, da istituirsipresso il ministero del lavoro); un ser-vizio civile definito universale, aggetti-vo impegnativo, conoscendo le diffi-coltà di finanziamento di questo istitu-to negli scorsi anni... Preoccupazionieccessive? Eccessi polemici? Per unprocesso normativo ancora da defini-re, forse sì; d’altronde una buona legge,purtroppo, si riesce a valutare dai suoirisultati, come un albero dai frutti.

E immaginare strumenti normativiche dichiarino non solo una finalitàrazionalizzatrice, ma la propria inten-zionalità, contestualmente a un’espli-cita previsione di confronto stabilecon i suoi destinatari, renderebbepossibile predisporre trasparentimeccanismi di valutazione attuativa,segnando uno scarto positivo con leesperienze del passato.

L’di Francesco Marsico

Dopo l’ok del Senato, la riforma del terzosettore dovrebbe averein maggio il passaggiodefinitivo alla Camera.Il provvedimentocompie un opportunoaggiornamento della legislazione in materia. Ma nonmancano punti chesuscitano perplessità

nazionale riforma

LA FORZA DELLA GRATUITÀVolontari all’opera in un centroper minori: la riforma incideanche sul ruolo del volontariato

riato produce valore, ma non èun’impresa; una cooperativa socialeè un’impresa, ma considera la fun-zione produttiva strumentale alla ge-nerazione di utilità sociale per gliutenti. Immaginare separatezze den-tro questo variegato mondo sarebbeimproponibile non solo sul piano de-finitorio, ma tanto più se si guardanogli intrecci di generazione e di rela-zioni tra i diversi soggetti.

Per questo, nel tempo era matura-ta l’esigenza di costruire una norma-tiva complessiva che, senza confon-dere, regolasse in maniera sistemica idiversi ambiti, modificando anche lenorme civilistiche e fiscali relative, of-frendo quindi una regolazione orga-nica di un settore economico-sociale

Terzo settore, la leggesi giudica dai frutti

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nazionale indumenti usati

recuperare così il materiale costa me-no che pagare qualcuno per farlo».Una soluzione per ovviare a questiproblemi ci sarebbe. «Basterebbe chei comuni – suggerisce Capece – stabi-lissero parametri che tengano contoanche della qualità del progetto so-ciale, come ha fatto il comune di Na-poli. Noi abbiamo specificato che perogni chilo raccolto avremmo destina-to 3 centesimi a progetti sociali».

A Bergamo la Caritas diocesana èguidata da don Claudio Visconti. «Io

L’impegno delle Caritas

Ci sono quelle che hanno scelto di non oc-cuparsene. E altre che ne hanno fatto un’importanteattività economica per sostenere iniziative sociali. Traquesti due poli esistono varie gradazioni, che descrivo-no il coinvolgimento delle Caritas diocesane nel setto-re della raccolta di indumenti usati.

Le realtà territoriali non impegnate con i cassonettihanno comunque a che fare con la donazione di abiti,attraverso iniziative come l’“armadio del povero”: an-che queste Caritas devono confrontarsi con la perce-zione diffusa sulla titolarità dei cassonetti presenti nel-la propria diocesi o con la gestione dei quantitativieccedenti. Altre hanno scelto di promuovere esperien-ze di inclusione sociale e lavorativa sempre attraversoil meccanismo del riutilizzo di vestiti usati, ma senzafare ricorso alla raccolta tramite cassonetti: puntanosu donazioni e merce che arriva dai sequestri dellaGuardia di finanza.

Tra le Caritas che lavorano con i cassonetti gialli, alcune gestiscono, direttamente o attraverso coopera-tive sociali, la sola attività di raccolta degli indumenti,per poi affidare ad aziende specializzate il resto dellafiliera (selezione, igienizzazione, vendita dei vestiti). In questi casi, spesso, il conferimento alle ditte privatedegli indumenti raccolti prevede la corresponsione diroyalties periodiche alla Caritas diocesana, da utilizza-re per fini sociali, introducendo di conseguenza il lega-me tra raccolta e corrispettivo, tipico del commercio.

Infine, ci sono Caritas che promuovono vere e proprieimprese sociali, per attuare tutti i passaggi della filiera.Le operazioni di raccolta, selezione e vendita aumenta-no le occasioni di occupazione di soggetti svantaggiati.

Tra le esperienze più significative in fatto di raccolta

c’è quella di Milano, dove Caritas Ambrosiana non è direttamente coinvolta nell’operatività, affidataa cooperative sociali, ma promuove il progetto e ne as-sicura le finalità ambientali, occupazionali e solidaristi-che. Nella diocesi milanese sono presenti circa 1.400cassonetti in più di 300 comuni, attraverso cui si rac-colgono 8 mila tonnellate annue di indumenti usati. I lavoratori assunti sono 51, nel 2015 sono stati desti-nati 327 mila euro di ricavi a progetti di solidarietà e assistenza. Una delle cooperative ambrosiane, VestiSolidale, ha avviato anche tre negozi, due a Milano e uno a Varese, dove vengono venduti capi d’abbiglia-mento di seconda mano di qualità. Anche questa atti-vità commerciale crea occupazione per giovani disoc-cupati e soggetti svantaggiati e genera risorseeconomiche per finanziare progetti di solidarietà.

Un’altra realtà importante è Napoli, dove la Caritasdiocesana si avvale, come braccio operativo, della coo-perativa sociale Ambiente Solidale. I cassonetti, pre-senti in circa due terzi della città, sono 600 e danno la-voro a 20 persone svantaggiate. Alla Caritas finiscono50-60 mila euro all’anno, che finanziano progetti socia-li. La cooperativa si è inventata anche un sito web dovevende on line, attraverso l’e-commerce, vestiti usati.

Da segnalare infine le esperienze emblematichedelle diocesi di Bolzano (247 cassonetti in 84 comuniper 7 mila tonnellate di capi raccolti in un anno) e Ber-gamo (dove in 18 anni si è dato lavoro a 40 persone):nella città altoatesina la gestione è tutta in capo allaCaritas diocesana, anche proprietaria dei cassonetti; a Bergamo invece l’attività è stata “ceduta” a coopera-tive sociali collegate, dopo essere stata portata avantiper anni dalla Caritas.

Gestione diretta o cooperative,ma anche negozi ed e-commerce

Non dobbiamo abbandonare il settore.Magari attraverso cooperative sociali, madobbiamo esserci. Perché possiamo dare

lavoro e dignità, evitando l’assistenzialismo,a persone su cui nessuno scommetterebbe

criticità non ne vedo – afferma –; lanostra attività è apprezzata da tutti, acominciare dai comuni. Con loro ab-biamo un ottimo rapporto, comuni-chiamo sempre quanto raccogliamoe quanto investiamo per l’aiuto ai po-veri. Penso che le Caritas non debba-no abbandonare questo settore. Ma-gari non direttamente, ma attraversocooperative sociali, dobbiamo esser-ci. Perché in questo modo possiamodare lavoro e dignità, evitando l’assi-stenzialismo, a persone su cui nessu-no scommetterebbe. Certo, sul terri-torio ci sono realtà che si muovonocon ambiguità. Ma proprio per que-sto noi dobbiamo impegnarci di più,per far conoscere il nostro operato econtrollare meglio la filiera».

L’IMPORTANZA DELLA SELEZIONEIndumenti usati immessi in un cassonettodella Caritas diocesana di Bolzano

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. la comunità, come esperienza diaccoglienza, accompagnamento,inclusione;. l’opzione educativa;. la scelta della prevenzione, accantoalla presa in carico, attraverso unrinnovato impegno di presenza tra igiovani (a partire dalle scuole) e diattivazione di centri studi e ricerche.La storia più che trentennale delle

comunità terapeutiche in Italia, in re-altà, oggi è chiamata ad affrontaresfide importanti. Nuovi stili di vita edi consumo da un lato, e il rischio diesasperare la medicalizzazione dellerisposte dall’altro, si aggiungono al-l’urgenza di armonizzare l’attuazionedei sistemi di accreditamento e stan-dardizzazione (si pensi al novero del-le professionalità richieste per attiva-re i percorsi terapeutici) con le grandiidealità che ancora guidano le sceltedi fondo dei diversi enti.

In questo senso, mentre si attendeuna delega politica che offra un riferi-mento per una complessità di esigen-ze e di scelte sulle droghe (come hasottolineato anche monsignor Galan-tino), gli enti del Tavolo, cui proprio inaprile si sono aggiunti Comunità dSant’Egidio e Compagnia delle Opere,hanno ribadito l’urgenza di maggioreattenzione per le persone più margi-nalizzate, ovvero i detenuti tossicodi-pendenti e i migranti extracomunita-ri, che con estrema difficoltà trovanoconcreta risposta al diritto alla cura.

Con e senza sostanzeNei territori diocesani, le sinergie tracomunità terapeutiche e Caritas dio-cesane sono spesso significative. Sulfronte delle dipendenze da sostanze,in particolare, a percorsi comuni diascolto e presa in carico, si affiancanoazioni di sensibilizzazione e preven-zione, che coinvolgono parrocchie,scuole, comunità. Il rafforzamento diqueste sinergie a livello locale restauno degli obiettivi del Tavolo, apren-dosi in prospettiva a progetti capacidi rispondere ai nuovi bisogni.

È il caso delle dipendenze senza

Servono progetti capaci di rispondereai nuovi bisogni. È il caso delle dipendenzesenza sostanze – o comportamentali –,

che sempre più spesso arrivano anchein parrocchia o nei centri di ascolto

di servizi di diverse realtà, a serviziodelle chiese in Italia.

Il documento costruito dal Tavolo invista di Ungass 2016 è stato presentatonel corso del seminario Proclamare lalibertà degli schiavi (Is 61,1) – Profeziae sfide per i cristiani nella lotta alle di-pendenze patologiche, organizzato daCaritas Italiana a inizio aprile, alla pre-senza del segreterio generale dellaConferenza episcopale italiana, mon-signor Nunzio Galantino, e di PatriziaDe Rose, in rappresentanza del Dipar-timento politiche antidroga.

Ribadendo la centralità della per-sona e dei suoi inalienabili diritti, lereti delle comunità terapeutiche inItalia hanno messo a fuoco i tratti sa-lienti delle scelte che accomunano irispettivi percorsi:

sostanze – o comportamentali – cui,nel corso dell’incontro di aprile, èstato dedicato un gruppo di lavoro,con particolare riferimento al giocod’azzardo patologico e alla dipen-denza da giochi on line.

Alle istituzioni e alle politiche, ov-viamente, le rispettive responsabilità.Ma la richiesta di maggiore impegnoe sostegno passa anche dalla capaci-tà dei singoli soggetti sociali di valo-rizzare i rispettivi percorsi, a partireda valori comuni.

Sul fronte del gioco d’azzardo, adesempio, il riconoscimento delle di-verse campagne e dei “cartelli” di ma-trice cattolica (Mettiamoci in gioco,Slotmob, No Slot, Insieme contro l’az-zardo) nell’impegno comune su alcu-ni fronti, ha cominciato a dare i primifrutti, con l’inserimento nella legge distabilità del divieto di pubblicità suigiochi d’azzardo dalle ore 7 alle ore 22per le tv e le radio generaliste. Un pri-mo passo, in attesa di una legge qua-dro di settore che proibisca tutta lapubblicità (diretta e indiretta) sui gio-ghi, riconosca ai sindaci maggioripossibilità di intervento, inserisca ladipendenza patologia da gioco d’az-zardo nei livelli essenziali di assisten-za del servizio sanitario nazionale, in-fine blocchi l’apertura di nuove sale el’attivazione di nuovi giochi.

Le comunità non possono comun-que stare a guardare. Le storie dellepersone colpite da dipendenza patolo-gica, anche comportamentale, arriva-no spesso in parrocchia o nei centri diascolto, attraverso la richiesta di aiutodi un congiunto, o l’esplodere di unproblema economico o relazionale.Sono storie che raccontano difficoltà eferite a livello familiare e si aggravanonel disorientamento di chi vorrebbeaiutare e non sa come, e insieme a chi.

Il segretario generale della Cei ha in-vitato il Tavolo ecclesiale dipendenze a«sostenere il percorso di coinvolgimen-to delle Caritas diocesane» anche subase regionale: un’importante indica-zione, affinché siano sviluppate le ca-pacità di ascolto dei contesti informali– scuole e parrocchie in primo luogo –,producendo strumenti utili a ricono-scere, da un lato, i segnali della patolo-gia, e dall’altro a offrire orientamento asingoli e famiglie, perché riescano adaccedere ai servizi territoriali.

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Assemblea generaleall’Onu sulla lotta alle droghe.Nell’ambito delpercorso preparatoriodelineato dal nostrogoverno, il contributodel Tavolo ecclesiale.Che ragiona sullenuove sfide. E sullesinergie tra comunitàterapeutiche e Caritas diocesane

al 19 al 21 aprile, le NazioniUnite hanno tenuto a NewYork una sessione specialedell’Assemblea generalesulle droghe (Ungass). L’As-

semblea avrebbe dovuto tenersi nel2019, ma l’urgenza delle questioni –le problematiche di salute pubblica,l’aumento delle carcerazioni, il cre-scere di violenza e corruzione – haportato all’accoglimento della richie-sta di anticipo, presentata da Colom-bia, Guatemala e Messico.

L’Assemblea si proponeva l’ambi-zioso obiettivo di includere nel dibat-tito, con i governi, anche i ricercatori,la società civile, i consumatori di so-stanze e i contadini coinvolti nellacoltivazione su piccola scala, per ra-gioni di sussistenza, di piante illegali.

La posizione con la quale l’Italia siè presentata a Ungass 2016 è stataquella europea, con sottolineaturespecifiche in ordine ad alcuni temi: lanecessità di politiche antidroga basatesu un approccio di sanità pubblica e di

pieno rispetto dei diritti umani; l’abo-lizione della pena di morte per i reatiin materia di droga; la formulazione dimisure per la riduzione dei rischi e deidanni; la facilitazione dell’accesso aifarmaci; l’opportunità di politiche didecriminalizzazione, anche in relazio-ne al sovraffollamento carcerario.

Attenzione ai più marginaliIl Dipartimento politiche antidrogadella presidenza del consiglio dei mi-nistri ha organizzato, in preparazioneall’Assemblea Onu, una serie di eventiper coinvolgere le amministrazioni ela società civile. L’ultimo incontro si èsvolto in marzo e ha visto partecipare,tra gli altri, il Tavolo ecclesiale dipen-denze, gruppo di lavoro unitario dellereti delle comunità terapeutiche, pro-mosso due anni fa da Caritas Italiana.Al Tavolo aderiscono Fict, Cnca, Asso-ciazione Papa Giovanni XXIII, Comu-nità Emmanuel e Casa del Giovane diBagheria; esso si propone anzitutto dicondividere il patrimonio di idealità e

di Monica Tola

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nazionale sostanze, e non solo

dipendenzele

Contro

è stagione di alleanze

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INCONTRO GIUBILAREFebbraio 2016: Papa Francescoprega con gli ospiti della comunitaper tossicodipendenti del Ceis.La visita era inserita nei Venerdidi Misericordia per l’Anno Santo

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bilità che, in caso di mancato rimbor-so di 18 rate del mutuo, anche nonconsecutive, l’istituto di credito possa“saltare” il passaggio del procedimen-to esecutivo, e possa così appropriarsidella casa e venderla subito. Rispetto aprima (quando il “salto” delle sette rategià consentiva la risoluzione del con-tratto di mutuo), le novità introdottedalla direttiva europea e dal suo rece-pimento da parte del governo nazio-nale riguardano i tempi per l’escussio-ne dell’ipoteca (molto abbreviati) e lepratiche (assai snellite).

Mancano gli osservatoriQuesta vicenda mostra come il cittadi-no rischi di essere e sentirsi abbando-nato a se stesso non solo di fronte allacrisi, ma anche alle innovazioni legisla-tive che essa determina (in questo caso,a tutela della solidità degli istituti ban-cari), ma che rischiano di non valutareadeguatamente i propri costi sociali.

La farraginosità delle norme disettore è in effetti un problema. Mala risposta deve consistere nell’accor-

La vicenda dei pignoramenti “accelerati”mostra come il cittadino rischi di esseree sentirsi abbandonato a se stesso

non solo di fronte alla crisi, ma anche alleinnovazioni legislative che essa determina

no in alcuni casi famiglie e personecui il mutuo non andava concesso, inaltri casi soggetti a cui la crisi ha ta-gliato il reddito. Ancora, ci sono per-sone in difficoltà momentanea, cherischiano di perdere un punto di rife-rimento e di sostegno cruciale – la ca-sa – senza la decisione di un giudice,mettendo così a repentaglio percorsidi rientro finanziario e di reinseri-mento sociale.

Il legislatore deve rendersi contoche non è conveniente imboccare unachina che rischierebbe di portare auna sorta di giustizia fai-da-te. Agirenon sulle cause, ma solo sugli effetti, èuna scorciatoia che non sortisce effettibenefici; occorrerebbe invece preve-dere forme e prassi di tutela sociale egiurisdizionale, come avviene per lalegge 3 del 2012 sull’esdebitazione.

Con le norme che sono state appro-vate, in sostanza, la banca e il clientepossano accordarsi preventivamente(ma naturalmente si tratterà di unaclausola che verrà imposta per poterottenere il finanziamento) sulla possi-

ciare i tempi della giustizia, per offri-re elementi di certezza e celerità aicreditori, non eliminare le tutele so-ciali e giurisdizionali a favore del cit-tadino, di fronte a poteri incompara-bilmente più forti di lui.

La grave crisi economica, come sisa, ha riflessi pesanti sul settore ban-cario, oltre che effetti negativi sull’eco-nomia reale. Ma ciò dipende anzituttonon certo dai ritardi o dalle lacunositànei pagamenti dei mutui, ma daun’esagerata esposizione che le ban-che hanno maturato sui mercati fi-nanziari e dalla sottovalutazione del li-vello di rischiosità di strumenti e ope-razioni finanziari adottati o proposti.

Di recente l’Associazione bancariaitaliana (Abi) ha comunicato che sono26.619 le famiglie che da maggio 2013a gennaio 2016 hanno sospeso per 18mesi il pagamento delle rate, per uncontrovalore di 2,5 miliardi di euro didebito residuo. Si tratta di cifre elevatee di oneri di cui il sistema bancario nonpuò farsi carico con leggerezza. Ma ciòdeve avvenire sin dal momento in cuisi consiglia o si concede un mutuo. Oc-corre una migliore consulenza da partedelle banche e bisogna lavorare peruna maggiore educazione finanziariadei cittadini. Infine, sarebbe necessarioallestire un sistema di monitoraggio,attraverso osservatori capaci non solodi elaborare dati per il legislatore, maanche di divulgare dati, come elemen-to di orientamento per il cittadino.

Un esempio, tra i tanti, è stato l’Os-servatorio sul costo del credito istituitoda Caritas Italiana e Fondazione Re-sponsabilità Etica, in collaborazionecon il centro culturale Ferrari di Mo-dena: esso ha indagato la sostenibilitào non sostenibilità dei mutui casa daparte delle famiglie, costruendo sce-nari di proiezione, utili sia per i citta-dini che per le istituzioni finanziarie.Bisogna evitare di spingersi in su ter-reni azzardati, per evitare di finirne in-goiati: tra gli utenti delle Caritas dioce-sane prevale di gran lunga la figuradello sfrattato rispetto a quella del pi-gnorato. Ma in futuro potrebbero mol-tiplicarsi i casi di sfrattati “strozzati” damutui non sostenibili. Perdere insie-me il diritto all’abitare e il diritto al cre-dito: una duplice condanna, da scon-giurare con decisione, perché in gradodi fare danni sociali elevatissimi.

I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 1 6 14 I TA L I A C A R I TA S | M A G G I O 2 0 1 6

Ha destato polemichel’iter del decreto leggeche consente direcepire, in Italia, una direttiva europea. Accelerare i tempi di pignoramento delle case, da partedelle banche, quandoil mutuo non vieneonorato, può esserecausa di guastipeggiori del problema

l legislatore italiano si muovequasi sempre per rispondere aun’emergenza. E non approfittadella crisi che sta alla base diquell’emergenza, per mettere

ordine nel dato strutturale. È una sor-ta di legge non scritta, che vale in mol-teplici casi e molteplici settori. Valeanche nel caso del delicato rapportotra cittadini risparmiatori e banche.

Il fatto è che, non solo in Italia, masicuramente molto spesso in Italia,ogni attore coinvolto nelle dinamichedi gestione del credito e di accesso alcredito tenta di mantenere o rafforza-re una rendita di posizione, anchesvolgendo azione più o meno discretadi lobby. E senza rendersi conto che,in caso di difficoltà a ripagare un de-bito, o ci si salva insieme, o si rischiadi affondare tutti. I dati di Bancad’Italia sottolineano che dal 2012 al2014 la percentuale di famiglie italia-ne indebitate si è ridotta, dal 5,4% al5,1% del totale delle famiglie. Ma intermini assoluti il problema continuaa riguardare 1,2 milioni di nuclei fa-miliari, una platea considerevole.

In questo contesto, si inserisce l’ac-coglimento di una direttiva europearelativa ai pignoramenti degli alloggi,quando le rate di un mutuo non ven-gono onorate. Da tale direttiva è scatu-

rito, in Italia, un decreto legge appro-vato il 20 aprile (e che il parlamentodovrà convertire in legge entro 60 gior-ni). Se nelle ipotesi iniziali si prevedevache le banche potessero appropriarsidell’alloggio, dopo il mancato paga-mento di 7 mensilità anche non con-secutive di mutuo, nella versione finalele mensilità non pagate oltre le quali sipuò procedere al pignoramento sonosalite a 18. E si prevede che nelle dispo-sizioni attuative “particolare riguardo”debba essere garantito “ai casi di even-tuale stato di bisogno o di debolezzadel consumatore”.

Una china pericolosaLa possibilità dell’esproprio, tuttavia, ri-mane. Anche perché le banche hannofatto presente che non bisogna metterein difficoltà gli istituti finanziari, giàoberati di tante sofferenze, perché si-gnificherebbe mettere in seria difficoltài risparmiatori. Se si riesce a pignorarele case i cui mutui non vengono pagatie a venderle in tempi non lunghissimi,osservano le banche, anche azionisti eclienti rischiano di meno.

Resta dunque il rischio che fami-glie in momentanea difficoltà possa-no perdere la casa che hanno pagatoin buona parte. Tra chi non ce la fapiù a pagare le rate del mutuo, figura-

di Andrea La Regina

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nazionale disagio abitativo

facili?Pignoramenti

sociali…

Occhiocostiai

E ADESSO, CON LA LEGGE?Pubblicità di mutui per la casasu un autobus di Roma.Non sono numerosi comegli sfratti, ma i pignoramentidi case acquistate con mutuorappresentano comunqueun fenomeno preoccupante

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La passione per il dialogoDi fronte alle sfide e alle contraddi-zioni del nostro tempo, la Caritas hail difficile, ma fondamentale compitodi fare in modo che il servizio carita-tivo diventi impegno di ognuno dinoi, cioè che l’intera comunità cri-stiana diventi soggetto di carità. Eccoquindi l’obiettivo principale del vo-stro essere e del vostro agire: esserestimolo e anima perché la comunitàtutta cresca nella carità e sappia tro-vare strade sempre nuove per farsi vi-cina ai più poveri, capace di leggere eaffrontare le situazioni che opprimo-no milioni di fratelli – in Italia, in Eu-ropa, nel mondo. In proposito, parti-colarmente rilevante è il ruolo di pro-mozione e formazione che la Caritasriveste nei confronti delle diverse

Di fronte alle sfide del nostro tempo, la Caritas ha il fondamentale compito di farein modo che il servizio caritativo diventi

impegno di ognuno di noi, cioè che l’interacomunità cristiana sia soggetto di carità

mio predecessore Benedetto XVI, cheha poi aggiunto: «Vi auguro di saperecoltivare al meglio la qualità delleopere che avete saputo inventare.Rendetele, per così dire, “parlanti”,preoccupandovi soprattutto dellamotivazione interiore che le anima, edella qualità della testimonianza cheda esse promana. Sono opere che na-scono dalla fede. Sono opere di Chie-sa, espressione dell’attenzione versochi fa più fatica. Sono azioni pedago-giche, perché aiutano i più poveri acrescere nella loro dignità, le comu-nità cristiane a camminare nella se-quela di Cristo, la società civile ad as-sumersi coscientemente i propri ob-blighi» (Discorso alla Caritas Italianain occasione del 40° anniversario difondazione, 24 novembre 2011).

espressioni del volontariato. Un vo-lontariato che a sua volta è chiamatoa investire tempo, risorse e capacitàper coinvolgere l’intera comunità ne-gli impegni di solidarietà che portaavanti. Come pure è essenziale il vo-stro compito di stimolo nei confrontidelle istituzioni civili e di un’adegua-ta legislazione, in favore del bene co-mune e a tutela delle fasce più debo-li; un impegno che si concretizza nel-la costante offerta di occasioni estrumenti per una conoscenza ade-guata e costruttiva delle situazioni.

Di fronte alle sfide globali che se-minano paura, iniquità, speculazionifinanziarie – anche sul cibo –, degra-do ambientale e guerre, è necessario,insieme al quotidiano lavoro sul ter-ritorio, portare avanti l’impegno pereducare all’incontro rispettoso e fra-terno tra culture e civiltà, e alla curadel creato, per una “ecologia integra-le”. Caritas Italiana sia fedele anche inquesto al suo mandato statutario. Viincoraggio a non stancarvi di pro-muovere, con tenace e paziente per-severanza, comunità che abbiano lapassione per il dialogo, per vivere iconflitti in modo evangelico, senzanegarli ma facendone occasioni dicrescita, di riconciliazione: questa èla pace che Cristo ci ha conquistato eche noi siamo inviati a portare. Siasempre vostro vanto la volontà di ri-salire alle cause delle povertà, percercare di rimuoverle: lo sforzo diprevenire l’emarginazione; di incide-re sui meccanismi che generano in-giustizia; di operare contro ognistruttura di peccato. Si tratta a talescopo di educare singoli e gruppi astili di vita consapevoli, così che tuttisi sentano davvero responsabili ditutti. E questo a partire dalle parroc-chie: è l’opera preziosa e capillaredelle Caritas parrocchiali, che occor-re continuare a diffondere e moltipli-care sul territorio.

Desidero incoraggiarvi anche aproseguire nell’impegno e nella pros-simità nei confronti delle persone im-migrate. Il fenomeno delle migrazio-ni, che oggi presenta aspetti critici chevanno gestiti con politiche organichee lungimiranti, rimane pur sempreuna ricchezza e una risorsa, sotto di-versi punti di vista. È dunque preziosoil vostro lavoro che, accanto all’ap-

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IL PAPA E I CONVEGNISTIIncontro in Aula Paolo VI. In questa

pagina, delegati e relatori a Sacrofano.A destra, il cardinal Luis Antonio Tagle,

presidente di Caritas Internationalis

Oltre 600 delegati. Un Convegno nazionaleanimato. CaritasItaliana e le Caritasdiocesane hannoincontrato giovedì 21aprile papa Francesco.Dal ponteficeun discorso checonferma la funzionepedagogica. Indicandole sfide dell’oggi

ari fratelli e sorelle, vi accolgo al termine dei

lavori del vostro Convegnonazionale e vi saluto tutti conaffetto. Saluto cordialmente il

cardinale Francesco Montenegro,Presidente di Caritas Italiana, e loringrazio per le parole che mi ha ri-volto a nome di tutti. Il vostro incon-tro si colloca a 45 anni dalla nascitadi questo organismo ecclesiale, che ilbeato Paolo VI volle fortemente; evolle che avesse carattere pastoraleed educativo. Nel 1972, in occasionedel primo incontro nazionale con laCaritas, le affidava questo precisomandato: «Sensibilizzare le Chieselocali e i singoli fedeli al senso e al do-vere della carità in forme consone ai

Un incontro carico di emozione e cordialità. Giovedì 21 aprile papa Francescoha ricevuto in Vaticano i partecipanti al 38° Convegno nazionale della Caritasdiocesane Italiane, svoltosi a Sacrofano (Roma) dal 18 al 21 aprile, sul tema:«Misericordiosi come il Padre. “Siate misericordiosi, come il Padre vostro èmisericordioso”». Ecco il discorso che il Papa ha rivolto nell’udienza a diri-genti, operatori e volontari Caritas provenienti da tutta Italia.

bisogni e ai tempi». Oggi, con rinno-vata fedeltà al Vangelo e al mandatoricevuto, vi inoltrate in nuovi cammi-ni di confronto e verifica per appro-fondire e orientare al meglio quantofinora avviato e sviluppato.

La vostra missione educativa, chemira sempre alla comunione nellaChiesa e a un servizio con ampi oriz-zonti, vi chiede l’impegno di un amo-re concreto verso ogni essere umano,con un’opzione preferenziale per ipoveri, nei quali Gesù stesso ci do-manda aiuto e vicinanza (Mt 25,35-40). Un amore che si esprime attra-verso gesti e segni, che rappresenta-no «una modalità connaturata allafunzione pedagogica della Caritas aogni livello» – come ha sottolineato il

di Papa Francescofoto di Francesco Maria Carloni

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propostaunapoveri,

La carità, una carezza»

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contrappuntodi Domenico Rosati

La profeziadi Giovanni PaoloIl caso è serio. Il dilagare degli im-pulsi “semplici” non lascia spazio al-le riflessioni ragionevoli, che hannobisogno di restare in confidenza conla complessità. Ciò vale sia quandosi tratta di cercare sbocchi politiciattraverso alleanze che riducano laforza del fanatismo, sia, a maggiorragione, quando si voglia percorrerela pista del dialogo.

Qual è, a quest’ultimo proposito,lo stato dell’arte? Una verifica criti-ca, che è indispensabile, impone dirintracciare i fili che vanno rianno-dati. Non per riandare indietro neltempo fino al sogno di Giorgio La Pi-ra sull’unità delle “religioni abrami-tiche”, ma per rifarsi almeno allo spi-rito della “preghiera comune” del-l’incontro di Assisi del 1986, quandola contrastata profezia di GiovanniPaolo II prefigurò per l’alleanza dellereligioni per la pace un campo chenon è stato coltivato come si spera-va. E perché non inoltrarsi sul sen-tiero di «una morale ecumenica perla sopravvivenza umana», secondo

l’intuizione del teologo tedesco Hans Kung?Se si consultano gli annali del passato, si scopre che

non mancano idee, proposte e progetti, volti ad attuareil dialogo tra le religioni come condizione della pace trai popoli. Si scopre invece che ai tanti impulsi e alle tantesuggestioni non si è risposto con la necessaria conti-nuità. Soprattutto, non ci si è sforzati di conoscere suquali canoni dell’occidente (diritti umani, dettati costi-tuzionali, ordinamenti giuridici, costumi e prassi cul-turali) fosse possibile o meno una concordanza conl’islam. E neppure, per fare un altro esempio, ci si èmessi in grado di comprendere, anche con lo studiodell’arabo, il senso delle parole con cui le comunitàmusulmane nutrono i loro costumi. Altro, insomma,che proclamare stentorei “basta”: c’è un lavoro davantia noi. Ed è tutto da cominciare.

acciamo l’islam da casa nostra”. È il titolo a tutta pagina delquotidiano Il Giornale del 23 marzo 2016, che reagisce allestragi dell’aeroporto e della metropolitana di Bruxelles. Con

un contorno di occhielli e sommari che non lascia margini a equi-voci: “Guerra all’Europa”, “L’Europa colpita al cuore dalle belve cheha accolto”, “Un pugno in faccia a chi ancora contesta la Fallaci”. Econ un’illustrazione tanto semplice quanto eloquente, affidata allaprosa del direttore: gli autori «non sono dei disperati, sono la bor-ghesia dell’islam che qualcuno ha definito integrato», approfittanodella tolleranza occidentale «per minare l’Europa là dove fallirono,nel 1571, i loro antenati nella batta-glia di Lepanto».

Di qui un “Basta” con molti indi-rizzi: «Basta con le Boldrini e con lericette della sinistra, basta con pretie vescovi che tradiscono il Vangelo,sindaci, presidi e insegnanti che ne-gano il problema e calpestano la Co-stituzione che è stata fatta (sic!) perdifendere noi, con magistrati che le-galizzano l’illegalità». Il tutto per reg-gere il concetto finale, per cui «devo-no restare a casa loro». Anzi, «devonotornare a casa loro».

Il lettore ha il diritto di chiedere ilmotivo di una così abbondante citazione. O quantomenopretendere una confutazione dei concetti che esprime.Viceversa il fine di queste note è diverso: si vuole renderel’idea del livello di semplificazione al quale è indirizzatala sensibilità media di un’opinione pubblica che, pur disfuggire al terrore indotto dalle stragi, appare pronta – ein tal senso viene condotta – a scoprire un bersaglio uni-co ed evidente, su cui scaricare tutte le tensioni che la si-tuazione determina. In questo senso la prosa del direttoredel Giornale offre un contributo decisamente apprezza-bile, perché consente di misurare la distanza tra l’esaspe-razione delle emozioni e la riflessione ragionevole. Chenon è, non può essere, il cieco abbandonarsi a un mec-canismo di ritorsione il quale, con le premesse indicate,vorrebbe le “radici cristiane” dell’Europa a servizio di una“pulizia etnica” di dimensioni smisurate.

Le ripetute stragiterroristiche scatenano

reazioni fondatesull’esasperazione delleemozioni. Ne consegue

un meccanismo di ritorsione che spazzaogni ipotesi di dialogo.Eppure in molti hannosollecitato le religioni

a operare insieme per la pace

GLI IMPULSI SEMPLICIE UN CAMPO DA COLTIVARE

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proccio solidale, tende a privilegiarescelte che favoriscano sempre piùl’integrazione tra popolazioni stranie-re e cittadini italiani, offrendo aglioperatori di base strumenti culturali eprofessionali adeguati alla complessi-tà del fenomeno e alle sue peculiarità.

Famiglia,naturalmente “Caritas”La testimonianza della carità diventaautentica e credibile quando impe-gna tutti i momenti e le relazioni dellavita, ma la sua culla e la sua casa è lafamiglia, la Chiesa domestica. La fa-miglia è costituzionalmente “Caritas”perché Dio stesso l’ha fatta così: l’ani-ma della famiglia e della sua missioneè l’amore. Quell’amore misericordio-so che – come ho ricordato nell’esor-tazione apostolica postsinodale Amo-ris laetitia – sa accompagnare, discer-nere e integrare le situazioni difragilità. Le risposte più complete amolti disagi possono essere offerteproprio da quelle famiglie che, supe-rando la tentazione della solidarietà“corta” ed episodica, a volte pure ne-cessaria, scelgono di collaborare fraloro e con tutti gli altri servizi solidalidel territorio, offrendo le risorse dellapropria quotidiana disponibilità. Equanti esempi belli abbiamo di que-sto nelle nostre comunità!

Con piena fiducia nella presenzadi Cristo risorto e con il coraggio cheviene dallo Spirito Santo, potrete an-dare avanti senza paura e scoprireprospettive sempre nuove nel vostroimpegno pastorale, rafforzare stili emotivazioni, e così rispondere sem-pre meglio al Signore che ci viene in-contro nei volti e nelle storie delle so-relle e dei fratelli più bisognosi. Eglista alla porta del nostro cuore, dellenostre comunità, e attende che qual-cuno risponda al suo “bussare” di-screto e insistente: aspetta la carità,cioè la “carezza” misericordiosa delSignore, attraverso la “mano” dellasua Chiesa. Una carezza che esprime

«Il tema prescelto per questa edizione – “Misericordiosi come il Padre”– è molto impegnativo. La misericordia riguarda da vicino la comunitàdei credenti, ma è anche un valore civile, che rafforza i legami di ap-partenenza e convivenza». Così il presidente della Repubblica, SergioMattarella, ha inteso salutare e incoraggiare gli oltre 600 delegati chehanno partecipato al 38° Convegno nazionale delle Caritas diocesane.Il telegramma del presidente riconosce che «la lunga e consolidatapresenza all’interno della società, al servizio dei deboli e delle personein difficoltà, ha fatto delle Caritas – fin dai tempi di monsignor Nervo –un importante punto di riferimento, caritatevole ma anche educativo,per tutti gli italiani.

Sono consapevole che la crisi economica e occupazionale, il conte-nimento della spesa pubblica, l’ondata migratoria, hanno aumentatonotevolmente la platea di persone che si rivolgono a voi o ad altre me-ritorie organizzazioni, per ottenere assistenza, ospitalità o altre formedi sostegno.

La lotta alle povertà è un dovere di ogni Stato civile – conclude il pre-sidente Mattarella –. Le istituzioni devono compiere ogni sforzo per as-sicurare livelli accettabili di vita per tutti. La società civile, i volontari(nel rispetto dell’autonomia e della diversità di ruoli) cooperano conpassione e generosità alla riduzione delle diseguaglianze e contribuisco-no, al contempo, alla diffusione di una cultura di solidarietà e di pace».

IL TELEGRAMMA DI MATTARELLA«Misericordia, valore anche civile,rafforza i legami di convivenza»

Il Signore sta alla porta del nostro cuore,e attende che qualcuno risponda al suo“bussare” discreto e insistente: aspetta

la carità, “carezza” misericordiosa del Signore,attraverso la “mano” della sua Chiesa

L’ABBRACCIOPapa Francesco con il presidente Caritas,cardinale Francesco Montenegro

la tenerezza, la vicinanza del Padre.Nel mondo di oggi, complesso e

interconnesso, la vostra misericordiasia attenta e informata; concreta ecompetente, capace di analisi, ricer-che, studi e riflessioni; personale, maanche comunitaria; credibile in forzadi una coerenza che è testimonianzaevangelica, e, allo stesso tempo, orga-nizzata e formata, per fornire servizisempre più precisi e mirati; responsa-bile, coordinata, capace di alleanze edi innovazione; delicata e accoglien-te, piena di relazioni significative;aperta a tutti, premurosa nell’invitarei piccoli e i poveri del mondo a pren-dere parte attiva nella comunità, cheha il suo momento culminante nel-l’eucaristia domenicale.

Perché i poveri sono la propostaforte che Dio fa alla nostra Chiesa, af-finché essa cresca nell’amore e nellafedeltà. E perché la comunione conCristo nella Messa trovi espressionecoerente nell’incontro con lo stessoGesù, presente nel più piccolo deifratelli. Così sia la vostra, la nostra ca-rezza, per intercessione della VergineMaria e del beato Paolo VI. Vi bene-dico e vi accompagno con la preghie-ra. E anche voi, mi raccomando, pre-gate per me! Grazie.

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BOLZANO-BRESSANONEDue lingue, mauna sola rivista.Nonni in prestito,volontari a chiamata

Nella zona di Brunico è partito il progetto “Nonni

in prestito”, che ha l’obiettivo di avvicinare giovani famiglie ad anziani desiderosi di metter-si al servizio e di dare un aiuto.L’iniziativa vede collaborare Cari-

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tas, comune, Consulta anzianidi Brunico e un’associazione locale. I “nonni in prestito”sonovolontari che donano un po’ del loro tempo libero alle fami-glie, accompagnando ad esem-pio i bambini in biblioteca, al parco giochi, giocando con loro, o semplicemente passan-do un pomeriggio o una mattina-ta insieme. Non sono veri e pro-pri babysitter, ma una sorta di“nonni a chiamata”.

VIGEVANOVinci se smetti:progetto in 6 mosseper combatterel’azzardo patologico

“Vinci solo quando smet-ti”: con questo slogan

la Caritas diocesana di Vigeva-no sta sviluppando un progettodi contrasto alle dipendenze da gioco d’azzardo, finanziatodalla regione Lombardia. Ben51 comuni hanno deciso di farerete e unirsi alla lotta contro ilGap (gioco d’azzardo patologi-co). Sei sono le azioni di preven-zione previste dal progetto (ini-ziato a ottobre e attivo fino a luglio). La fase di informazionesi propone di realizzare spazi di ascolto e di orientamento, realie virtuali, con campagne di sen-sibilizzazione e comunicazione;la formazione prevede una cam-pagna di prevenzione rivolta airagazzi delle scuole secondariee fornisce competenze di baseagli operatori comunali. La fasedi “ascolto” si effettua in spazidi accoglienza e sostegno dedi-cati alle famiglie dei giocatoripatologici, e prevede l’offerta di consulenza legale, psicologi-ca ed economico-finanziaria,nonché l’organizzazione di in-contri di sensibilizzazione. Larealizzazione di un centro di ag-gregazione itinerante medianteun’unità mobile è un elementooriginale del progetto: il campercircola nel territorio e nei pressidelle sale da gioco, e può rag-giungere coloro che lo richiedo-no attraverso i contatti facebooke telefonici. L’azione di mappa-tura mira a descrivere i luoghisensibili per il gioco d’azzardo,individuare aree di pericolosità e (in collaborazione con la polizialocale) vigilare sulla corretta ap-plicazione delle leggi nei localidotati di impianti da gioco. Infi-ne, le “azioni No Slot” sensibiliz-zano gli esercenti affinché limiti-no la facilità d’accesso al giocodei soggetti più vulnerabili.

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Pierluigi Dovis (Caritas Torino). «Noi oggi, come in tante parti del nostro paese,abbiamo moltissimi stranieri che chiedono accoglienza, ma rischiamo di pensareche accogliere sia solo dare ospitalità. Invece vogliamo aiutare la nostra comuni-tà a comprendere che l’accoglienza è uno stile di vita, che si applica a persone e situazioni diverse; è un modo di relazionarsi come persone, di aprire il propriocuore prima ancora della propria casa, di aprire la propria intelligenza prima anco-ra della propria comunità. Senza questa capacità di fondo ogni accoglienza rischiadi essere solo un albergare per un po’ di tempo alcune persone presso di noi. La misericordia dice che l’accoglienza è far vedere il volto bello, gioioso e miseri-cordioso del Padre, che allarga le braccia per poter fare entrare in sé il Figlio che ha bisogno di una persona che lo conosca, lo comprenda, lo accompagni».

Moreno Locatelli (Caritas Vigevano). «In questo Anno della Misericordia, il Papaci invita a vivere le opere di misericordia corporale in quanto segni concreti e oc-casione di mostrare il vero volto di Dio. La Caritas diocesana e la Chiesa localehanno fatto la scelta di “visitare i carcerati”. A Vigevano c’è una casa di reclu-sione nella frazione Piccolini, della quale io sono parroco. Tutte le parrocchie so-no state invitate ad avere un’attenzione particolare alla realtà del carcere attra-verso la preghiera, la riflessione, la conoscenza e l’aiuto. Abbiamo anche volutocreare un collegamento con le diocesi di Pavia e Tortona, per un cammino chevorremmo ci porti ad avere un ufficio di mediazione penale interdiocesano».

Valerio Landri (Caritas Agrigento). «Le nostre coste sono approdo e transito per migliaia di persone in cerca di futuro. Per noi è dunque naturale offrire spazidi riflessione sulle cause delle migrazioni e di incontro fra diverse esperienze. Il Forum MeET – Mediterraneo, Europa, Transnazionalismi (quarta edizione in aprile)si è concentrato sulla ricerca di percorsi di pace da parte dei giovani. La pace, in quanto processo, va costruita nel tempo, con cura e dedizione. Sono proprio i giovani che devono farsene carico, anche perché sono loro che ne vedranno i frutti. E tanti giovani in questi anni sono venuti a trovarci, a conoscere le nostreattività, a confrontarsi con i migranti che hannodeciso di restare qui. Quando si pensa a noi lo si fa in riferimento all’emergenza, a Lampe-dusa, alle morti in mare. Ma Agrigento è anchetanto altro: è anzitutto uno spazio di sintesi tra popoli e culture del Mediterraneo».

Accogliere è ben più che ospitare,le migrazioni creano sintesi tra culture

5levocingiro di Danilo Angelelli

panoramaitalia

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le a un maggior senso di respon-sabilità sociale, ambientale, neiconsumi. Il “Magazzinodeldono”si sostituirà ai programmi di aiu-to alimentare delle Caritas par-rocchiali, accentrando il serviziodi donazione dei beni alimentari,in modo da accentuare gli aspet-ti promozionali e minimizzarequelli assistenziali dell’aiuto.

LIGURIABambini di corsaper affermare i dirittidei loro coetaneiin Costa d’Avorio

Duemila ragazzi. Impegnatia correre per la pace. L’ini-

ziativa “La pace di corsa”, pro-mossa dalle Caritas della Ligu-ria, è riuscita anche quest’annoa coinvolgere moltissimi studentidi tutta la regione. In ogni classecoinvolta (dalle terze della prima-ria alle terze della secondaria in-feriore) sono state proposte oc-

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casioni di riflessione per parlaredei diritti di tutti i bambini delmondo, a cominciare da quellicoinvolti nei drammatici flussimigratori dei nostri giorni. Obiet-tivo dell’iniziativa 2016 è infatti“Trasformare la corsa di una fuga nella corsa di un incontro”:dopo la riflessione si svolge lamanifestazione sportiva, ovverouna corsa di solidarietà, caratte-rizzata dal fatto che ogni ragazzoraccoglie una quota per ogni girodi campo che effettua, grazie al-l'offerta di un sostenitore (geni-tore, nonno, amico, se stesso,autofinanziandosi facendo unapiccola rinuncia…). Il ricavatodelle corse non competitive svol-tesi nelle diocesi di Genova, LaSpezia-Sarzana-Brugnato, Savo-na-Noli, Albenga-Imperia e Sanre-mo-Ventimiglia è stato destinatoa un progetto di sviluppo agrico-lo, di cui beneficeranno famigliee soprattutto bambini di Tankes-sé, in Costa d’Avorio.

FOSSANOAlleanza tra diversisoggetti di welfare,apre “L’Officinadel possibile”

Diverse realtà del welfarelocale. Insieme. Per dare

vita all’“Officina del possibile”.Inaugurata a inizio aprile, in unospazio di 500 metri quadri metteinsieme “Bottega23” (negozio di indumenti e oggetti usati e ri-generati, sartoria e spazio perl’infanzia) e “Oltrestore” (labora-torio artigianale di falegnameria,dedito al riciclo e alla creazionedi manufatti), promossi da duecooperative sociali, con il “Ma-gazzinodeldono” della Caritasdiocesana di Fossano (distribui-rà borse alimentari, ma ospiteràanche una libreria). L’innovativoprogetto è pensato per offrireopportunità di lavoro a personefinite ai margini della società eper richiamare la comunità loca-

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Sette anni fa, il 6 aprile 2009, un violento terremoto devastava L’Aquila e altre zone dell’Abruzzo, provocando309 morti, migliaia di feriti, ingenti danni al capoluogo e a molti centri circostanti. Caritas Italiana (insieme alle16 delegazioni regionali Caritas) sin dal momento del-l’emergenza si è attivata: grazie alla solidarietà di quasi23.500 donatori italiani ed esteri (singoli, parrocchie, associazioni, diocesi, scuole...) e dalla Conferenza epi-scopale italiana (che ha stanziato 5 milioni di euro), ha raccolto e messo a disposizione delle comunità terremotate oltre 35 milioni di euro.

La rete Caritas, in accordo con la chiesa aquilana, ha impegnato le risorse disponibili in interventi di prima

emergenza; azioni di prossimità e sostegno diretto (in par-ticolare ad anziani, persone sole, ammalati); nella costru-zione di 4 scuole per l’infanzia e primarie donate ai comu-ni; nella realizzazione di 16 Centri di comunità, 7 strutturedi accoglienza e 2 servizi sociali e caritativi (tra cui la nuo-va sede e dei servizi riabilitativi dell’Aism – Associazioneitaliana sclerosi multipla, in via di ultimazione); nel conso-lidamento e nel ripristino funzionale di 16 strutture par-rocchiali per attività sociali e comunitarie; in numerosiprogetti di animazione e aggregazione; in molteplici pro-getti sociali e di sostegno al reddito a favore di personeemarginate, immigrati, giovani; infine, in forme di scambiotra comunità cristiane e Chiese sorelle.

ABRUZZOPost-terremoto: attività per 35 milioni,la rete Caritas ha realizzato tutti i progetti

Nell’ambito del protocollo di intesa stretto con il Miur (Ministero istruzione, università e ricerca) in vista della Gior-nata mondiale del rifugiato del 20 giugno 2016, Caritas italiana e ministero promuovono il concorso “Diritto di re-stare, migrare, vivere”, destinato agli studenti delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. Il tema è ispiratoalla campagna che Caritas sta conducendo dallo scorso novembre, su sollecitazione della Cei, con Missio e Foc-siv, sul tema “Il diritto di rimanere nella propria terra”. Possono partecipare al concorso, producendo fotografie, un breve scritto o disegni, gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, in forma individuale o in gruppo. www.caritas.it

ISTRUZIONEConcorso per le scuole: “Diritto di restare, migrare, vivere”

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nel settore sociale come volontari, cittadini,giovani imprenditori, operatori del terzo settoreo del settore pubblico, che hanno voglia di fare esperienze significative, in Italiae in Europa, centrate sulla partecipazio-ne della comunità locale e sulla recipro-cità. L’opportunità formativa, totalmentegratuita, permetterà di vivere sette study visit di 2-3giorni, per scoprire come le comunità locali svilup-pano iniziative innovative nel settore sociale e impara-re nuove forme di intervento contro la povertà.

Il progetto dura due anni e prevede quattro visite studioin Italia di tre giorni ciascuna e tre nei paesi europei di tregiorni ciascuna; durante le visite sono previsti momenti diformazione sui temi dell’economia civile, sull’analisi dei bi-sogni dei territori e sulla comunicazione dei progetti. Il ban-do prevede anche stage all’interno di progetti sociali neiterritori d’origine; laboratori di arte sociale a livello provin-ciale e regionale; elaborazione di nuove proposte di azioni.www.comunitacheinnovano.it

AVERSARifugiato a casa mia:50 migranti accoltida famigliee parrocchie

È stata presentata all’iniziodi aprile a Casal di Principe

(Ce) dalla Caritas diocesana diAversa, nella parrocchia San Ni-cola (dove don Peppe Diana, vitti-ma di camorra, aveva realizzatoun piccolo centro di accoglienza,per offrire vitto e alloggio a giova-ni immigrati) l’iniziativa locale delprogetto nazionale “Protetto. Ri-fugiato a casa mia”. Il percorso,durata sei mesi, intende coinvol-gere famiglie, parrocchie e istitutireligiosi nell’accoglienza diffusadi immigrati presenti nel territo-rio. Dopo la prima, positiva speri-mentazione di tre anni fa, la dio-cesi di Aversa è pronta a partirecon un’azione che ha il suo per-no in 5 famiglie, 5 parrocchie eun istituto, e consentirà di acco-gliere 50 beneficiari, rifugiati giàtransitati nei centri d’accoglienzae che hanno una posizione rego-lare in Italia, che saranno accom-pagnati nel raggiungimento del-l’autonomia e dell’integrazionesociale, lavorativa e abitativa.

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Una rete di Caritas diocesane, estesa a tutta Italia.E la voglia di avvicinare i giovani, con metodi moder-

ni, alla lotta contro la povertà. È stato lanciato su questebasi il bando nazionale “Comunità che innovano”, direttoa giovani tra 18 e 25 anni, con l’intenzione di formarenuovi attori per lo sviluppo dei territori. I soggetti promoto-ri sono le Caritas diocesane di Torino, Saluzzo, Bolzano-Bressanone, Biella, Trieste, Senigallia e Messina, insiemealle organizzazioni torinesi S-nodi e Asai; l’iniziativa godedel supporto delle fondazioni bancarie dei territori.

Il bando si rivolge a tutti i ragazzi interessati a operare

CATANIATake away in rosa,una delle impreseavviate grazie alservizio microcredito

Grazie al “Servizio micro-credito” della Caritas dio-

cesana, ha aperto i battenti a Catania un take away al fem-minile. Melita, Monia e Jeanne,tre amiche con la passione perla cucina vegana e internaziona-le, hanno realizzato il loro sognograzie a un finanziamento di 25mila euro, ricevuti dal Prestitodella speranza (promosso dallaCei con il gruppo Intesa SanPaolo). È una delle storie chefanno capo al microcredito dellaCaritas diocesana, che non ero-ga direttamente prestiti ma svol-ge un ruolo di assistenza e tuto-raggio, chiamando poi in causaaltri finanziatori. Dei risultati di questa esperienza si occupa il libro Il microcredito in Sicilia. Un modello di credito sociale(Aracne editrice), scritto dal gior-nalista e saggista GiambattistaPepi, e presentato in aprile al-l’università etnea. Il libro analiz-za strumenti e risultati dei vari filoni di microcredito in Sicilia.

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TEMPIO PAUSANIASportello gratuitoassicura servizimedici a personedisagiate e povere

Il Centro di ascolto Caritas,inaugurato a Tempio Pau-

sania a ottobre, si è arricchito in aprile di un nuovo importanteservizio, ovvero uno sportello gratuito per prestazioni sanitariee infermieristiche. Nello sportellovengono eseguite medicazioni,controlli dello stick glicemico,iniezioni sottocutanee, intramu-scolari ed endovenosa, misura-zioni dei parametri vitali: il servi-zio è accessibile gratuitamentedi persone disagiate e in difficol-tà economiche. Il servizio, per il momento, funziona mercoledì e venerdì pomeriggio. Il serviziova ad aggiungersi a una serie dialtri operativi da tempo: ascoltocittadino e diocesano, segretaria-to sociale, sportelli psicologico,di orientamento legale, dentisticoe per la distribuzione dei farmaci.In futuro sono previste aperturedi altri nuovi servizi sanitari, gra-zie a diversi medici che si sonoresi disponibili per offrire gratui-tamente la loro consulenza.

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FORMAZIONE“Comunità che innovano”, bandodi sette Caritas per avvicinarei giovani alla lotta alla povertà

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enti ecclesiastici e della societàcivile, si mira a reperire 25 ap-partamenti da proprietari, che li renderanno disponibili a un ca-none sociale calmierato (circa il 50% del prezzo corrente di mer-cato). Contestualmente alla con-segna dell’alloggio ai soggetti se-lezionati, sarà avviato un proget-to educativo personalizzato. Am-missibili al progetto saranno fa-miglie sotto sfratto, con minori e senza capacità contributiva; sin-gle occupati, con lavori a tempodeterminato o con orari lavorativiincompatibili con i servizi dellarete di accoglienza del territorio.Fondazione e Caritas costituisco-no un fondo di garanzia, per co-prire in determinati casi i costidei soggetti insolventi e suppor-tare, quando necessario, chi ha ridotte capacità contributive.

SAN BENEDETTO DEL TRONTOPoliambulatoriorimesso a nuovo:nove sale e consultiper molte discipline

Un’eccellenza sanitaria al servizio degli ultimi:

indigenti, extracomunitari, senzadimora, madri in fuga e padri se-parati, magari senza più un lavo-ro. Nell’Anno Santo della Miseri-cordia, “curare gli ammalati” è l’opera che si prefigge di affron-tare l’attrezzato poliambulatorioaperto dalla Caritas diocesana di San Benedetto. Dopo il restau-ro, potrà contare su nove sale e 15 medici tra generici e spe-cialisti; intende offrire prestazionia chi non può accedere al siste-ma sanitario nazionale o permet-tersi trattamenti anche di routinecome analisi del sangue o eco-grafie. Si potranno avere consultisu medicina di base, ostetricia,fisiatria, cardiologia, geriatria, maanche odontoiatria, ecografia in-ternistica, dermatologia, flebolo-gia e otorino. Il nuovo poliambu-latorio, è accreditato ma nonfinanziato dalla regione Marche.

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PIACENZA“Casa tra le case”,programma di aiutoper un centinaiodi famiglie e single

“Casa tra le case” che ve-de collaborare Fondazione

di Piacenza e Vigevano e Caritas

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diocesana di Piacenza: intenderispondere al problema del-l’emergenza abitativa, con unprogramma articolato in quattroanni, per sostenere un numerodi famiglie compreso tra le 60 e le 80 e alcune decine di “sin-gle”. Attraverso la collaborazionecon diverse realtà, ad esempio

ottopermille/Messina

I campanelli d’allarme erano risuonati al centro d’ascolto diocesano e in quelliparrocchiali. Tutti segnalavano l’aumento delle richieste di aiuto economico, perfare fronte all’indebitamento da parte di diverse famiglie direttamente o indiret-tamente interessate da questioni di Gap. Cioè di gioco d’azzardo patologico. Co-sì è nata una riflessione, da cui è scaturito il progetto triennale Game Over, pro-mosso dalla Caritas diocesana di Messina – Lipari – S. Lucia del Mela efinanziato da Caritas Italiana con fondi otto per mille Cei.

Il percorso ha avuto un triplice obiettivo: prevenire e contrastare i rischi delgioco d’azzardo; stare accanto alle famiglie in crisi; informare, in particolare igiovani, sui pericoli della dipendenza da gioco. Durante il primo anno, il progettoha coinvolto i 22 centri d’ascolto parrocchiali, sparsi tra città e provincia, e hapuntato sulla realizzazione di un’indagine per quantificare il fenomeno, e fare lu-ce sulle sue dinamiche. Ne sono emersi diversi dati interessanti. Tra cui quellirelativi ai motivi che fungono da origine e rinforzo per il Gap: uno dei più citati ri-guarda la “volontà di risolvere i problemi economici” (quasi il 34% delle rispo-ste), e ciò spiega anche perché la dipendenza da gioco colpisca in maniera piùmassiccia i nuclei familiari più poveri e più vulnerabili sul piano dei valori.

Anche sostegni economiciDurante la seconda annualità sono stati numerosi gli incontri di formazione, con-dotti in tutto il territorio diocesano con l’ausilio di esperti del settore e psicotera-peuti, e rivolti in particolare a operatori pastorali e animatori Caritas, che si con-frontano direttamente con le persone e le famiglie toccate dal problema.

Giunto al terzo anno, Game Over ha consentito di rinsaldare nel territorio unarete di collaborazioni tra soggetti pubblici e privati. La Caritas diocesana è statainfatti tra i fondatori del coordinamento messinese “Mettiamoci in gioco”, natosulla base di una campagna nazionale.

Caritas ha avvertito la necessità di affrontare il fenomeno attraverso un’azio-ne principalmente educativa, con metodo e obiettivi chiari e condivisi, senza pe-rò trascurare l’aiuto concreto e diretto, attraverso sostegni economici alle perso-ne coinvolte o alle loro famiglie. Inoltrein questa ultima annualità le attività diinformazione e sensibilizzazione del pro-getto stanno raggiungendo le scuole su-periori e in generale il mondo giovanile.È stata infine rafforzata la sinergia con iSert messinesi e sono stati avviati per-corsi terapeutici individuali e di gruppo,in collaborazione con altri soggetti.

Conoscenza, formazione, aiuto:lotta a tutti i livelli al gioco d’azzardo

7di Enrico Pistorino

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TRASPORTARE SPERANZAUna bimba nel campo sfollatidi Agok, dove sono confluitedecine di migliaia di persone in fuga dalla regione di Abyei,una delle zone di più asproconflitto in Sud Sudan

È uno dei tragici paradossi del Sud Sudan,paese lacerato da più di due anni

da una cruenta guerra civile.

Tra i 2,3 milioni di profughi e sfollati, a soffrire di più sono donne, bambini, anziani.

Scuole chiuse, ospedali distrutti, migliaia di morti a causa degli scontri armati,

ma anche di mine e malattie:la rete Caritas lavora per l’assistenza,

la formazione e la riconciliazione

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pesanti nella società. La migrazionedi massa – specialmente di donne ebambini, privi di competenze e cono-scenza del settore – dalle zone ruralia quelle urbane, ha fatto sì che moltisi ritrovassero a lavorare in fabbrica,ma in condizioni misere e ricevendomagri salari. Anche molti lavoratorisono dunque vulnerabili allo sfrutta-mento e al traffico di esseri umani.

Il problema si è acuito, nel 2006,con la fine della guerra civile che perdieci anni aveva insanguinato il paese,opponendo governo e ribelli maoisti,i quali chiedevano di cacciare la mo-narchia e instaurare la democrazia. Lafine del conflitto interno ha lasciato ilpaese in condizioni precarie e in unasituazione politica estremamente in-stabile, cosicché tanti nepalesi hannoabbandonato le loro case per spostar-si nella capitale o all’estero.

Secondo Shakti Samuha, ong di exvittime di tratta, che opera per strap-pare donne e ragazze al traffico uma-no in India e Cina, quasi 200 mila so-no le persone oggi ad alto rischio nelpaese, anzitutto donne e bambine. Iprincipali settori dello sfruttamentosono, oltre alla prostituzione, il lavo-ro domestico, il lavoro forzato (unesempio: gli operai impiegati nellacostruzione delle infrastrutture per iMondiali di calcio del 2022 in Qatar)e il commercio di organi.

Distretto senza più donneIl terremoto devastante che ha colpi-to in Nepal un anno fa, il 25 aprile2015, causando circa 8.700 morti, haovviamente aggravato questo quadrosconsolante, anche se non esistonoancora evidenze statistiche a confer-ma. Dei 14 distretti più colpiti dal si-

Dei 14 distretti più colpiti dal sisma, 6 sonoassai sensibili al fenomeno della tratta. Daqui le vittime si dirigono verso Kathmandu,

dove vengono impiegate in locali notturni oristoranti, e spesso costrette a prostituirsi

sma, 6 sono particolarmente sensibi-li al fenomeno della tratta, nella zonacentrale e montuosa del paese. Daqui le vittime si dirigono verso Ka-thmandu (dove vengono impiegatein locali notturni o ristoranti e spes-so, sotto minaccia, costrette a prosti-tuirsi) o Pokhara, località nota per lasua splendida vista sull’Ama Dablan,il “Cervino dell’Himalaya”. Da questedue città partono autobus diretti aNuova Delhi, capitale dell’India, col-mi di persone trafficate, destinate inparte al “mercato interno” indiano, inparte all’estero.

Altra zona soggetta al traffico è ilvulnerabile confine indo-nepalese.Qui è difficile distinguere tra chi è vit-tima di tratta e chi si sposta libera-mente. Sia gli indiani che i nepalesi,infatti, possono transitare senza vi-sto. Purtroppo, la polizia di frontieranon è attenta e preparata ad affron-tare la situazione, non ci sono proce-dure standard per i controlli, senzacontare gli alti livelli di corruzione e iritardi della giustizia.

Non sembrano esserci dati certi su

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DONNE, ATTIVEE VULNERABILIRupa Rani, beneficiariadi un progetto Caritasche incoraggial’imprenditorialitàfemminile, nel suocampo di Kantitar.Sopra, studentessea Mahendra.A destra, allevamento ecommercio, per vincerelo sfruttamento eil traffico di lavoratori C

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di Teresa Sassu

Terremotati.Etrafficatincastonato tra India e Cina, ilNepal è una piccola gemmadell’Asia: protetto a nord dallemontagne più alte della terra ea sud dalle fertili pianure irri-

gate dal Gange, è culla di tradizionimillenarie, crogiolo di popoli ed etniee fusione di lingue e tradizioni.

Quando si pensa allo stato hima-layano, è naturale immaginare alpi-nisti che scalano l’Annapurna ol’Everest insieme agli sherpa, i pa-zienti portatori locali, lungo gli spet-tacolari sentieri montuosi, tinti delrosa dei rododendri in fiore. Ancora,si materializzano le immagini deitempli induisti e buddisti che deco-rano ogni angolo di Kathmandu. El’atmosfera spirituale del vicino Tibetsi fa inevitabilmente palpabile.

Eppure, sotto lo strato di magiache copre questa terra affascinante,si nascondono lati oscuri. Tra essi,una piaga che lo affligge da decennie che sembra non guarire. Anzi, forsepeggiora, assai rapidamente.

La società nepalese è infatti segna-ta in profondità dal traffico di esseri

Un anno fa un terribileterremoto devastò le zone centrali del paese himalayano.Alle vittime e alle distruzionimateriali, si aggiungeun pesante effettosociale: l’inasprimentodella tratta di esseriumani, checolpisce soprattutto donne e bambini

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umani, il terzo business criminalepiù redditizio a livello mondiale, do-po i traffici di droga e di armi.

Migrazione di massaIl Nepal è tradizionalmente terra diemigranti, sia dalle zone rurali allecittà, sia verso l’estero, specialmenteverso l’India, i paesi del Golfo arabo el’Africa. Il fenomeno della tratta haradici lontane, che affondano nel Re-gno di Rama (1847-1951): già allora siverificavano casi di sfruttamento del-le ragazze come domestiche, mentreil traffico di donne per fini sessuali neibordelli indiani è iniziato negli anniCinquanta del Novecento ed è conti-nuato a crescere, tant’è che oggi legiovani nepalesi trafficate finisconoper lavorare come prostitute a Mum-bai e in altre megalopoli dell’India.

Un po’ com’è successo in Europacon la rivoluzione industriale, lo svi-luppo delle industrie di tappeti, tes-suti e scialli nella valle di Kathmandu,a metà degli anni Ottanta, ha favoritola crescita economica del Nepal, maha anche comportato conseguenze

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sequestrato e privato dei propri orga-ni a sua insaputa. Spesso, le vittimevengono ingannate con false pro-messe e disinformazione sulle conse-guenze fisiche di un espianto; solita-mente appartengono alle fasce piùemarginate della popolazione, han-no un basso livello di istruzione e

non hanno facilità di accesso alle ri-sorse (è il caso dei dalit, casta soventetrafficata per questo fine). Anche inquesto caso, l’India è il paese di de-stinazione.

Cruciale fare prevenzioneLe cause del fenomeno sono molte-

domestica, di matrimoni precoci e dialtri generi di abusi.

Lo spartiacque tra la libera sceltadi finire nelle mani di trafficanti e laforzatura è molto sottile. C’è chi perdisperazione, povertà o assenza tota-le dello stato sociale, decide volonta-riamente di vendersi. E c’è chi viene

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ABBANDONO, POI SFRUTTAMENTOAllieve del centro scolastico temporaneo

realizzato da Caritas a Sindhupalchokdopo il terremoto. Studenti e studentesse

sono spesso forzati a interrompere gli studi

«Mio padre se n’è andato di casa quando ero piccola. Sono andata incittà con la mamma, che mi ha abbandonata in un hotel; avevo 5 an-ni. Ho lavorato lì per due anni, lavando panni, pulendo e servendo incucina, ma non ho mai ricevuto una paga. Spesso i clienti mi molesta-vano e mi guardavano in un modo che non mi piaceva. Un giorno sonoscappata, sono salita su un autobus, ma non avevo i soldi per compra-re il biglietto. L’autista mi ha portato al più vicino posto di polizia, cheha contattato una ong. Dopo qualche giorno sono arrivata all’Opportu-nity Village. Qua mi piace, perché ho tante amiche, vado a scuola e c’ètanto verde. Da grande vorrei fare l’insegnante di inglese».Susati (nome di fantasia), 12 anni, dalit, originaria di un villaggio del Nepalcentro-occidentale, ora in una casa-famiglia gestita da suore a Pokhara.

«Rama (nome di fantasia) è stata venduta dal marito per lavorare in unbordello di Mumbai. A 24 anni, e con un figlio di pochi mesi al seguito,ha iniziato a lavorare nella città indiana. Quando sono andata a parlarecon lei, avrà avuto 30 anni circa. Mi disse che il marito aveva vendutoai trafficanti anche sua sorella, ma che non sapeva dove lavorasse.Non so cosa ne sia stato di lei; ricordo però che la sua preoccupazioneera che suo figlio non diventasse un trafficante come il padre».Testimonianza di Rupa Rai, attivista che per 23 anni ha lavorato percombattere la tratta di donne e bambini in Nepal.

«Mio padre si è sposato sei volte, mia madre è la quinta moglie. Nel no-stro villaggio si produce da generazioni un liquore locale, molto apprezza-to dalla comunità. Purtroppo questo è diventato un problema perché siauomini che donne esagerano. Di solito gli uomini picchiano le mogli e i fi-gli, perché ubriachi. Accade, però, anche il contrario: donne e madri di fa-miglia che si alcolizzano, nonostante abbiano un marito fedele e onestoche non ha mai alzato le mani. Mio padre beve ogni giorno e spesso esa-gera. Quando vivevo nel villaggio picchiava la mamma e me. Un giornomi ha colpita violentemente alla testa; i vicini mi hanno portata nell’ospe-dale più vicino. L’alcol distrugge molte famiglie e a soffrirne sono i figli».Subina, 15 anni, dalit, proveniente da un piccolo villaggio nel Nepal centrale.

«Nelle zone rurali e remote dove vivono le comunità Tamang e Gurungi genitori di molte di noi trascorrono giorni nei campi e le figlie piùgrandi rimangono a casa da sole. La notte è il momento che temiamodi più, perché i ragazzi sfondano le porte delle case e violentano le lo-ro coetanee. Non si sporge denuncia per non macchiare l’onore dellafamiglia ed essere stigmatizzati dalla comunità. Se la ragazza rimaneincinta e, riconosciuto l’autore dell’abuso, questi non ammette, la vitadella famiglia della vittima è segnata e il suo stupratore non verrà pu-nito. In qualche modo, l’uomo ha potere sulla donna, sempre».Buddhimaya, 14 anni, etnia Gurung, proveniente da un villaggio nel Ne-pal centro-occidentale.

LE TESTIMONIANZERama venduta dal marito,Subina picchiata dal padre

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quali etnie cadano più facilmentenella rete del racket. È interessanteche il gruppo etnico emarginato deiChepang, che vive delle proprie scar-se risorse nelle zone semimontane asud di Kathmandu, si mantengaestraneo al fenomeno, per via del-l’isolamento sociale e geografico. Avolte la natura salva da situazioni so-ciali problematiche.

D’altro canto in un distretto delNepal settentrionale, per la maggiorparte popolato da Tamang, non ci so-no praticamente più donne, perchésono tutte all’estero, a lavorare neibordelli indiani. In questa parte delpaese, chi nasce donna ha il destinosegnato: a partire dai 12 anni, verràtrafficata dalla propria famiglia, af-finché lavori e permetta ai familiaridi costruire una bella casa.

Gli espianti dei dalitGeneralmente, il trafficante ottiene lafiducia della vittima e le offre di spo-starsi in un posto nuovo, dove pro-spetta ottime opportunità di una vitamigliore. Siccome il reclutamento sibasa sulla fiducia, spesso i trafficantisono della stessa nazionalità dellevittime. Ciò complica l’analisi del-l’andamento dei profitti: una piccolapercentuale finisce per le spese gior-naliere dei trafficanti; un’altra ritornaal paese di origine dei trafficanti sot-toforma di rimesse. La maggior partedel guadagno finisce in altre attivitàcriminali: riciclaggio di denaro, traf-fico di droga, documenti falsi, corru-zione delle autorità di governo. Nonesiste una mafia vera e propria che sispartisca i territori, ma la rete è capil-lare, coinvolge governi e polizie, e lepersone implicate sono moltissime.Gli stessi familiari delle vittime, più omeno ingenuamente, giocano unruolo attivo.

Anche in Nepal, il reclutamentoavviene a livelli diversi: c’è chi adescale vittime, pubblicizzando lavori ben

retribuiti, e chi innesca un passapa-rola, che oggi fa presa soprattutto sucoloro che hanno perso tutto a causadel terremoto. Le vittime sostengonoinoltre veri e propri colloqui, alla finedei quali ottengono un contratto dilavoro, passaporto, visto e altri docu-menti necessari per il viaggio. Tuttorigorosamente falso. Una volta arri-vate a destinazione, le donne vengo-no infatti abusate e capiscono di es-sere state ingannate: finiranno a la-vorare nei bordelli indiani o comedomestiche per poter pagare il debi-to contratto con i trafficanti, subendointimidazioni e violenze. Altre voltevengono vendute dopo essere stateingannate con false promesse di ma-trimonio, o direttamente a uomini ci-nesi e coreani molto più anziani o di-versamente abili.

Anche i bambini sono coinvolti

Il reclutamento avviene a livelli diversi: c’èchi adesca le vittime, pubblicizzando lavoriben retribuiti, e chi innesca passaparola,

che fanno presa soprattutto su coloro che hanno perso tutto a causa del terremoto

nei giri della prostituzione e nei lavo-ri domestici, e inoltre nella produzio-ne di mattoni, nelle officine mecca-niche, nelle fabbriche di tappeti e neibaracchini del tè. Lavorano in am-bienti malsani, senza un’adeguataalimentazione, con una scarsa remu-nerazione (quando c’è).

Coloro che riescono a salvarsi gra-zie all’intervento provvidenziale delleong che perlustrano le zone di confi-ne o della polizia, vengono inclusi inprogrammi di riabilitazione ad hoc e,dopo sei mesi o un anno, reinseritinel contesto familiare. Questa è laparte più delicata del programma disalvataggio, perché le vittime spessovengono stigmatizzate dalla comuni-tà e il rischio di ricadere nel circolodella tratta è elevatissimo. Sono ne-cessari continui monitoraggi e dialo-ghi con la famiglia di origine, da par-te del personale delle organizzazioniche operano nel settore. La privacydeve essere mantenuta, onde evitareemarginazione e stigma. Capita an-che che le vittime non vogliano tor-nare a casa, per paura della violenza

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DIRITTI SOCIALI,C’È UN “PILASTRO”: BASTERÀ?

sulle trasformazioni in atto nel mon-do del lavoro, nonché sulle riformenecessarie a tutti i livelli. I principiproposti non sostituirebbero inoltrei diritti esistenti, ma offrirebbero unamodalità per valutare l’efficacia (mi-gliorandola per il futuro) delle politi-che nazionali occupazionali e sociali,inducendole a convergenza.

Il percorso avviato dalla Commis-sione europea comprende anche illancio di una consultazione pubbli-ca, alla quale potranno parteciparenon solo le istituzioni, ma tutte leparti sociali: la rete Caritas farà la suaparte. I risultati della consultazionecontribuiranno alla stesura definitivadel Pilastro dei diritti sociali: attraver-so essa, la Commissione europea in-tende valutare il patrimonio di dirittisociali sancito dalle normative attua-li, compiere un’analisi della loro con-creta esercitabilità e della necessità dinuove modalità e nuove norme pergarantirne il rispetto. Ma anche riflet-tere sulle nuove tendenze, causatedalle dinamiche demografiche e dal-le nuove tecnologie.

«Il Pilastro è un buon punto dipartenza, data l’ampiezza dell’intervento – si legge nellanewsletter della Comece (Commissione delle Conferenzeepiscopali dell’Ue) –. Rimane però la questione se possaattivare riforme effettive. Per essere più efficace, forse do-vrebbe diventare un documento di riferimento nel pro-cesso di coordinamento delle politiche economiche. Inquesta maniera l’Ue potrebbe collegare i diritti sociali agliobiettivi enunciati nella Strategia 2020 di riduzione dellapovertà e della disoccupazione, rafforzando la dimensio-ne sociale del Semestre europeo».

Una cosa è certa: è fondamentale che l’Europa dispon-ga di mercati del lavoro e sistemi di protezione socialefunzionanti ed equi. Per competere su scala globale, masoprattutto per rafforzare la coesione sociale e continuarea migliorare il livello di vita dei cittadini. Ogni strumentoche darà un contributo reale in questa direzione, sarà ilbenvenuto.

I l presidente della Commissione europea Jean-Claude Junckerha annunciato nel discorso sullo stato dell’Unione, tenuto alparlamento europeo il 9 settembre 2015, la creazione di un Pi-

lastro europeo dei diritti sociali, «che tenga conto delle mutevoli re-altà delle società europee e del mondo del lavoro (…). Dovrebbe in-tegrare i risultati che abbiamo già raggiunto insieme».

La proposta vorrebbe essere una risposta alla peggiore crisi cheha colpito l’Europa negli ultimi decenni. I sistemi di protezione so-ciale hanno assorbito parzialmente l’impatto, però la disoccupazio-ne è aumentata, una quota importante della popolazione è a rischiodi povertà, le finanze pubbliche sonostate messe a dura prova, aumentan-do le diseguaglianza tra i paesi euro-pei. Disoccupazione elevata e invec-chiamento demografico, associati allapressione sulle finanze pubbliche,hanno fatto riflettere sulla capacitàdei sistemi nazionali di protezione so-ciale di essere adeguati e sostenibili.

«La politica sociale moderna do-vrebbe basarsi sull’investimento incapitale umano fondato sulle pariopportunità, sulla prevenzione dei ri-schi sociali e la protezione da essi,sull’esistenza di reti di sicurezza effi-caci e di incentivi per l’accesso al mercato del lavoro,mettendo in grado la popolazione di vivere dignitosa-mente, di passare a un diverso status personale e profes-sionale nel corso della vita e di sfruttare al massimo leproprie capacità», dichiara la Commissione europea, ar-gomentando la necessità di creare il Pilastro.

Coesione, non solo competizioneIl Pilastro verrà sviluppato, prima di tutto, nei 19 paesi dellazona euro, pur permettendo agli altri stati membri del-l’Unione di aderirvi, e riguarderà tre settori principali: pariopportunità e pari accesso al mercato del lavoro; condizio-ni di lavoro eque; protezione sociale adeguata e sostenibile,e accesso a servizi essenziali di alta qualità.

Secondo la Commissione, la creazione del Pilastro èun’occasione per indirizzare la riflessione sui diritti so-ciali esistenti, sulle esigenze peculiari della zona euro,

La Commissioneeuropea lancia una

consultazione pubblicaper varare un nuovo

strumento, pensato peradeguare le politiche

sociali e del lavoro allesfide odierne. I vescovi:

«Buona idea. Madovrebbe coordinare

le politiche economiche,per essere effettivo»

zeropovertydi Laura Stopponi

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plici: si va dalla povertà alla violenzadomestica, passando per la forte di-scriminazione di genere. Nasceredonna in Nepal non è una fortuna,anzi... Antiche e radicate tradizionisociali acutizzano la disparità tra isessi e le donne sono costantementeesposte a ogni forma di abuso.

In compenso, in Nepal sono moltele organizzazioni non governative lo-cali e internazionali e le associazionidella società civile, incluse diversecongregazioni religiose cristiane, cheda un paio di decenni lavorano astretto contatto con le vittime diabusi e di tratta in diverse aree delpaese, dal Terai all’Ovest, concen-trando le forze nella parte centrale,affetta gravemente dal sisma delloscorso anno.

Caritas Nepal, insieme alle Sorelledel Buon Pastore e alle sorelle del-l’Adorazione, conduce diversi pro-getti, finalizzati a ridurre l’abomine-vole fenomeno del traffico, special-mente quello di donne e bambini.

Gli approcci sono comuni a tuttigli attori interessati, e si concentranoprincipalmente sull’educazione dellecomunità – rivolta specialmente agiovani e donne – e sulla prevenzionedel traffico di esseri umani legato allamigrazione e alla ricerca di un lavorodignitoso. Molti corsi di formazionevengono rivolti alle comunità, agli in-segnanti e alle famiglie.

Le ong locali e internazionali e laChiesa operano affinché i soggetti arischio prendano coscienza delletrappole che si nascondono dietro lepromesse di un lavoro facile all’este-ro e vengano messi a conoscenzadelle procedure burocratiche legaliper poter migrare consapevolmentee in sicurezza. Parallelamente, forni-scono accompagnamento (dal rila-scio del passaporto e del visto a corsiper imparare un nuovo mestiere) allepersone che decidono di partire perlavorare in un altro paese. Infine – at-

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A un anno dal terremoto, il Nepal sta affrontando la fase di rico-struzione, che procede lentamente a causa dell’instabilità politica (cheha portato per mesi alla chiusura del confine con l’India, provocando no-tevoli disagi alla popolazione) e della conformazione geografica del pae-se, prevalentemente montuosa e accidentata (spesso i villaggi sono rag-giungibili solo a piedi, dopo diversi giorni di cammino).

Caritas Italiana, operando a supporto della Caritas locale e in accordocon la rete internazionale, ha impegnato oltre 5 milioni di euro, fruttodelle donazioni di tanti fedeli e cittadini. Caritas ha concentrato il suo intervento prevalentemente in alcuni dei distretti tra i più colpiti dal terre-moto, dove il 90% delle abitazioni sono state danneggiate (totalmente o parzialmente), l’80% delle persone hanno subito la riduzione dell’acquapotabile a causa di danni al sistema idrico o per la riduzione dei flussigenerati dalle sorgenti e l’87,5% delle famiglie hanno i servizi igienicidanneggiati. Molte famiglie accusano anche problemi economici: dannialle attrezzature agricole, carenza di sementi, perdite gravi nell’alleva-mento. Pure i danni alle strutture scolastiche ed educative sono estesi, e cresce l’abbandono scolastico, soprattutto da parte delle ragazze.

La parte più importante dell’impegno della rete Caritas è focalizzatasulla ricostruzione di abitazioni, soprattutto nelle zone rurali ancora pocoraggiunte: vengono forniti materiali edili e formazione alle famiglie. Inol-tre si punta a costruire centri multifunzionali, ripristinare edifici pubblici(scuole e piccole postazioni sanitarie), impianti idrici e servizi igienici.

Le azioni sostenute da Caritas Italiana puntano inoltre al rilancio delleattività economiche (formazione specifica in agricoltura, allevamento,supporto alle cooperative) e di riduzione dei rischi legati ai disastri natu-rali (formazione). Infine, vengono formati personale locale e rappresen-tanti delle popolazioni sulle problematiche psicologiche e sociali che sigenerano in situazioni di emergenza diffusa e sull’intervento a favore del-le categorie sociali più deboli (minori, donne, diversamente abili, anziani).

L’impegno Caritas

Ricostruzione, rilancio, prevenzione

Nascere donna in Nepal non è una fortuna,anzi... Antiche e radicate tradizionisociali acutizzano la disparità tra i sessi;

le donne, anche nell’ambiente d’origine,sono esposte a ogni forma di abuso

CANTIERI DI RINASCITAColpiti i distretti centrali montuosi: un anno dopo, sono in piena ricostruzione

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tività non meno importante – agi-scono per promuovere i diritti uma-ni, con particolare attenzione a quel-li dei bambini, incoraggiare le pariopportunità e sensibilizzare le co-munità (specialmente quelle rurali eisolate) sul tema della violenza do-mestica.

Nonostante l’importanza che vie-ne data alla prevenzione della trattae alla presa di coscienza delle suecause, la spirale velenosa che alimen-ta tale mercato illecito resta difficileda scardinare. Nonostante le batta-glie, l’intenso lavoro sul campo, lecentinaia di bambini e donne cheogni anno vengono tratti in salvo, lastrada da percorrere sarà lunga e irtadi ostacoli. Il terremoto ha reso labattaglia ancora più aspra. Se riguar-derà solo i muri, e non anche diritti edignità di tutti i suoi cittadini, il Ne-pal non potrà mai dire di aver vintola sfida della ricostruzione.

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ne di rifugiati siriani, registrati neicentri migranti di Caritas Libano(Clmc) nelle zone di maggior concen-trazione dei rifugiati (valle della Bekaaa est, Monte Libano nel centro, Tripolia nord e Saida al sud), oltre che in 4 in-terviste biografiche in profondità.

Quasi tutti musulmani, il 58,3% de-gli intervistati sono “rifugiati urbani”,il 30,6% persone accolte nei campi, inpercentuale minore persone che vivo-no nei cosiddetti shelter (rifugi provvi-sori) e in abitazioni precarie (roulotte,container, garage, ecc.): una suddivi-sione che riflette la situazione abitati-va reale dei rifugiati siriani nel paese.

La grande maggioranza delle per-sone intervistate (81,9%) viveva in Si-ria in condizioni socio-economichedefinite “molto buone” o “buone”. Lafuga dal proprio paese non ha quindirappresentato un’esperienza negati-va solamente dal punto di vista uma-no, ma anche un oggettivo peggiora-mento delle condizioni esistenziali e

un necessario adattamento a moda-lità di vita quotidiana nettamentedifferenti da quelle del passato. ll go-verno siriano era riuscito a garantireai propri abitanti un certo livello diservizi pubblici, crollato verticalmen-te nel corso degli eventi bellici.

La decisione di partire è stata presain base a diversi fattori, anche se pre-vale il “pericolo incombente” (70 inter-vistati su 72): la guerra che si avvicina,la paura per l’incolumità fisica dei pro-pri cari. Meno frequenti i casi di mi-nacce o persecuzione su base persona-le (22,2%). Il canale di arrivo in Libanoè stato nella maggioranza dei casi l’in-termediazione di amici e conoscenti(52,2%), anche se non sono trascurabilii casi in cui il viaggio è stato gestito inautonomia (31,9%). Tutto sommatosono poco frequenti le situazioni in cuiè stato denunciato un ruolo attivo digruppi illegali o trafficanti di esseriumani (15,9%): lo si deve all’azione dicontrollo della polizia libanese.

Lavoro come volontario con unaassociazione per ascoltare le persone che hanno avuto problemi come me

e dar loro sostegno. È un modo per stare meglio:aiuto gli altri e aiuto me stesso. Ho perso partedella mia famiglia, vivo in una tenda; aiutare gli altri è l’unica cosa che mi resta Uomo di Aleppo, intervistato a Zahle, Valle della Bekaa

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OSPITI GRADITI(PIÙ O MENO)Centro congressiconvertito in centrorifugiati a Dahr El Ain,vicino Tripoli. Nellealtre foto, profughi sirianinel villaggio di Zahle:bimba davanti a baracche,donne coinvolte nellaraccolta di carotee coppia di fidanzati

Siamo arrivati in Libano in pigiama,

con un cappotto e dellepantofole, abbiamosubito capito di nonessere i benvenuti. Dopo un po’, ho dovutomettere da parte il mioorgoglio e andare a chiedere l’elemosinaper strada per pagare i debiti. Non sonoarrabbiata con Dio per tutto questo, questaguerra e tutta questamorte sono unaconseguenza dell’odio e dell’egoismo umano.Prego solo perché i mieifigli possano avere una vita, perché qui non ce l’hanno...Donna di Homs, intervistataa Tripoli, Libano

Per niente buonaChe tipo di situazione sociale vivono irifugiati siriani in Libano? Lo spettro deibisogni è molto ampio. La situazioneabitativa, anzitutto, manifesta graviproblemi: mancanza di dotazioni igie-niche (78,8%), cattiva qualità dell’allog-gio (69,7%), sovraffollamento (56,1%).Tra le numerose situazioni di debolezzasociale e vulnerabilità, si segnalanoquelle relative alla presenza di minori(77,5%) e malati gravi (54,9%). Menofrequenti, ma non trascurabili, i casi dipersone con disabilità (22,5%). Quantoalle richieste, l’87,5% chiede un aiutoeconomico, il 63,9% un aiuto materialee il 62,5% un aiuto medico-sanitario(coerentemente, la condizione di saluteè definita “poco buona” o “per nientebuona” nel 63,9% dei casi). Si osservauna fortissima prevalenza di problemipsicologico-relazionali (80,3%) e di di-sturbi psico-somatici (59,1%).

Solo 9 persone vivono del propriolavoro regolare; in tutti gli altri casi si vi-ve di lavoro nero (51,4%), con prestitidi amici, familiari o conoscenti (59,8%)o con aiuti di ong e Caritas (47,2%).Quanto alle prestazioni assistenzialierogate da Caritas, il 45,7% delle per-sone ha ricevuto un aiuto economico(il cosiddetto cash for work), il 34,3%un aiuto alimentare, il 22,9% kit igieni-ci. Ma vi sono anche servizi di tipo im-

strade che dalla valle della Bekaa, nelnord del paese, portano in Siria.

Pericolo incombenteI più vulnerabili sono come sempredonne e bambini, vittime di ogni vio-lenza, con assistenza medica insuffi-ciente, o senza possibilità di frequen-tare una scuola e costretti a vivere dielemosina. Anche le comunità di acco-glienza risentono del peso di questo af-flusso: ne scaturiscono tensioni sociali,aggressioni, minacce. Più della metàdelle famiglie rifugiate sono poi inde-bitate: avendo esaurito i risparmi conla fuga, per sopravvivere si trovano co-strette a contrarre altri debiti o a riven-dere i buoni-pasto ricevuti dalle ong.Comprensibile che molti dichiarino divoler partire, anche con i barconi, bensapendo che può trattarsi di un viaggiodella morte. La prima preoccupazionedei siriani in Libano è comunque la ca-sa: gli affitti sono esorbitanti.

Nel difficile contesto libanese, Ca-ritas Italiana ha svolto uno studio suirifugiati siriani. La ricerca (versioneintegrale nel dossier on line Cacciati erifiutati, su www.caritas.it) mirava adapprofondire il percorso di arrivo, lecondizioni di vita e le prospettive fu-ture dei rifugiati. Ha intrecciato aspet-ti quantitativi e qualitativi, concretiz-zandosi in 72 interviste a un campio-

a cura dell’Area internazionalefoto di Matthieu Alexandre / Caritas Internationalis

mareaLadeı

ono scappati. Per cinque anni.Marea umana riversatasi neipaesi confinanti. E in parte tra-cimata, dall’anno scorso, versol’Europa. Sollevando ondate di

isteria e inettitudine, in paesi in teoriaavanzati e attrezzati: i fuggitivi hannosperimentato e scoperchiato le con-traddizioni dell’accoglienza, nellasmemorata culla dei diritti.

Ad ogni modo, come se la passachi fugge? E si innesta in terreni piùo meno ospitali? Nei paesi confinanticon la Siria, dopo un lustro di tre-menda pressione umanitaria i mec-canismi di adattamento e di convi-venza fra i continui arrivi e le comu-nità d’accoglienza appaiono esauriti.

Il Libano, paese grande quantol’Abruzzo, ha circa 4 milioni di abitan-ti e conta più di un milione e mezzo dirifugiati siriani, la più grande concen-trazione di rifugiati per abitante delmondo. La stragrande maggioranzadei rifugiati vive in un contesto urba-no, in seguito alla decisione del gover-no libanese di vietare l’apertura dinuovi campi di accoglienza tempora-nei, dopo l’esperienza con i rifugiatipalestinesi, arrivati nel paese nel 1948e tuttora presenti nei campi dopo tregenerazioni. Nonostante il divieto,molti campi informali si sono peròsviluppati lungo i terreni incolti e le

Ricerca Caritas sui rifugiati siriani in Libano. Il contestod’accoglienza si fa di giorno in giornomeno ospitale. Loro accusanodrammatici problemieconomico-sociali. Ma anche di carattereimmateriale. Eppure,più della metà ha una visione positiva del futuro

S

internazionale libano

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cacciati

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LA FAME OGGI, ESITODI GUERRE E SPECULAZIONI

trienti (in particolare vitamine e mi-nerali) e l’impatto del deficit caloricosul sistema immunitario. Si ridefini-rono gli standard nutrizionali minimie migliorarono la capacità logistica ei sistemi di distribuzione. Era ormaichiaro come l’effetto della guerra sul-l’alimentazione fosse divenuto ilprincipale problema da risolvere, eche la soluzione non si poteva piùtrovare nella tecnica o nella scienza,ma andava cercata nella politica.

Con il nuovo millennio, il proble-ma alimentare ha trovato una nuovadimensione problematica, quella delmercato globale. Il mercato mondialedel cibo è oggi estremamente fragile.È saldamente dominato da pochissi-me e gigantesche imprese private. Èoggetto di una speculazione finanzia-ria incontrollata. Soffre del fatto cheampie superfici di terreni sono desti-nate alla produzione energetica (bio-carburante). È infine soggetto a unospreco elevatissimo e a una variabilitàdi prezzi che lo rendono spesso inac-cessibile alle persone più povere.

In una tale situazione di vulnera-bilità, l’effetto delle crisi politiche e

delle guerre produce conseguenze ancora più gravi chein passato. Basti ricordare gli effetti delle due più gravicrisi di prezzi del cibo avvenute nell’ultimo decennio. Trail 2007 e il 2008, il prezzo del cibo è aumentato, in pochimesi, dell’83%, pur in presenza di un leggero aumentodella produzione e di una sostanziale stabilità degli altriindicatori. Solo tre anni dopo, tra il 2011 e il 2012, il feno-meno si è ripetuto in maniera ancor più grave, con un au-mento del 97%, anche in conseguenza di un’ondata di ca-lore che aveva ridotto le capacità di esportazione dellaRussia, portando i prezzi alle stelle e dando il via alle pri-mavere arabe e poi alla stessa guerra in Siria.

Oggi la malnutrizione non è solo la dimostrazione delpiù clamoroso obiettivo mancato della comunità inter-nazionale. E un problema che affligge 850 milioni di per-sone nel mondo. Ma anche il più inaccettabile fra i dirittinegati in nome del mercato.

L a guerra in Siria sta causando un numero di vittime mai rag-giunto nella storia recente delle crisi umanitarie. Fra costoro,vanno annoverati non solo morti e feriti. Non solo profughi

e sfollati. Ma anche tutti coloro che patiscono le conseguenze diuna violenza irrefrenabile e arrivano addirittura a patire la fame.

Fin dalla nascita delle Nazioni Unite, nel 1945, la comunità inter-nazionale si è data l’obiettivo di combattere contro la malnutrizio-ne e soprattutto cancellare per sempre la sua forma più catastrofica,la carestia. Un obiettivo piuttosto chiaro, fino dagli anni Ottanta: difronte a un mondo in rapida crescita demografica, c’era l’esigenzadi accrescere la produzione agricolaper tenere il passo con l’aumentodella popolazione. Era l’epoca della“rivoluzione verde”, un insieme ditecniche innovative in agricoltura,escalation verso la produzione mec-canizzata, fondata sul miglioramentodei sistemi di stoccaggio e distribu-zione e sulla conversione verso pro-dotti a più alto valore nutritivo.

Ma rimaneva insoluto il problemadi fare fronte alle crisi, normalmenteattribuite ad eventi naturali. Fu solotra gli anni Settanta e Ottanta che, at-traverso politiche di welfare e mecca-nismi di distribuzione e mercato più efficienti, si riuscì a ri-durre l’impatto degli eventi naturali più acuti, tanto che –nella seconda metà degli anni Ottanta – si era diffusa laconvinzione che le carestie fossero ormai un ricordo delpassato. In realtà, c’erano ancora molti problemi da risol-vere nella risposta alle emergenze alimentari, a cominciareda una conoscenza scientifica insufficiente della malnutri-zione acuta e dalla scarsa qualità dell’azione umanitaria.

Mercato in mano a pochiNegli anni Novanta, fu chiaro che non solo le carestie nonerano scomparse, ma si erano fatte molto meno prevedi-bili, in quanto ormai causate prevalentemente da guerree da crisi politiche ed economiche. Si compresero meglioanche i meccanismi biologici della malnutrizione, i biso-gni specifici della maternità e dell’infanzia, quelli dellepersone anziane, la gravità della carenza di micronu-

La “rivoluzione verde”della seconda metà

del Novecento sembravadestinata a cancellare

la malnutrizione. Ormainoti i meccanismibiologici, restano

da affrontare le radicipolitiche delle crisi.

Per evitare la negazionedi un diritto

fondamentale

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cibodiguerradi Paolo Beccegato

relazioni tese o assenti con i cittadini li-banesi. La maggior parte degli intervi-stati è scoppiata in lacrime durante l’in-tervista, soprattutto alla domanda ri-spetto alla vita precedente in Siria, o aquella relativa ai bisogni di assistenza,asserendo di provare vergogna nel do-ver chiedere assistenza o soldi.

Nonostante le difficoltà quotidianea cui devono far fronte, colpisce il fat-to che il 52,9% degli intervistati hauna visione ottimistica del futuro. So-lo 3 persone su 72 vedono il proprio

futuro in modo “molto negativo”. Nonpochi, quasi uno su tre, sperano dipoter tornare in Siria, sebbene lamaggior parte, quasi la metà del cam-pione, vorrebbe partire per l’Europa(soprattutto la Germania) o il Cana-da. Oppure verso “qualsiasi altro po-sto”. Meno significativo il numero diintervistati che ha espresso la volontàdi rimanere in Libano, a conferma diuna situazione esistenziale altamenteproblematica, vissuta con estremadifficoltà e disagio.

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internazionale libano

La ricerca tra i siriani in Libano propone situazioni comuni, in tutto il mon-do, ai rifugiati per motivi politici, guerre e persecuzioni, vittime dell’odioumano. Gli occhi di una vittima di un disastro naturale piangono; gli occhidi un rifugiato mostrano paura e sospetto. In un rifugiato si fanno stradasentimenti e stati d’animo particolari. La ricerca sui siriani in Libano ne evidenzia sei:. Chi riesce a fuggire è salvo, ma presto nascono sensi di colpa:

«I familiari, gli amici rimasti, che fine faranno?». Il rifugiato spessoha già avuto parenti e amici uccisi, o ha assistito a scene di violen-za. Molti si tormentano: «Non dovevo andar via». L’essere sopravvis-suto a una tragedia non guarisce dal pensiero della tragedia.. Chi fugge da persecuzioni, in genere lo fa improvvisamente e non ha una meta definita. È una corsa al “si salvi chi può” ed è una feri-ta in più: non è come abbandonare un paese per mancanza di lavoro.. Lo status di rifugiato è una specie di limbo: si attende per tempi imprevedibili, non si può scegliere nulla. Si dipende da altri per tutto,da autorità straniere e da procedure incomprensibili. Si può essereben nutriti e curati (nella migliore delle ipotesi), ma si vive senza dignità. Tutto questo “lavora” nella psiche.. I rifugiati per motivi di guerra non godono di reti di amicizia su cuiappoggiarsi, tranne i pochi che hanno qualche parente all’estero o i benestanti. Non avere appoggi nel paese di accoglienza aumentala fragilità e incentiva l’ostilità e il disprezzo dei locali. L’inerme è una preda facile su cui scaricare frustrazioni e paure e di cui approfittare per ogni genere di sfruttamento.. Gli stessi rifugiati “forzati” da motivi politici sono diffidenti nei con-fronti dei loro connazionali. Le zone di guerra sono fluttuanti. Il rifu-giato che mi sta vicino può essere di un gruppo avverso al mio: la paura è contagiosa, come l’odio.. Tornare a casa? Un desiderio che rimarrà per lo più insoddisfatto.La casa distrutta da un terremoto o da un’alluvione si ricostruisce; lacasa tolta dall’odio del vicino è una casa violata. Distrutti anche i ricor-di sereni, il rifugiato perde le radici, si fa sensi di colpa, ha l’incubo deldomani per sé e i propri figli. Sente l’ipoteca sul futuro, un malessereche lo pone al di fuori della condizione umana. Uno status «uncomfor-table by nature», scomodo per definizione, ha detto un intervistato. È il quadro di riferimento per milioni di persone (inclusi bambini e gio-vani), che invecchieranno o cresceranno con una psiche sotto pressio-ne o malata; non si può vivere per anni “scomodi per definizione”.

I sentimenti delle vittime dell’odio:«Siamo scomodi per definizione»

Fu così che miomarito si decise a partire per

la Germania con nostrofiglio più grande, di 14anni. Da allora io vivo da sola con i tre figlipiccoli, aspettando cheabbia abbastanza soldi per fare venire anche noiin Germania; certo, hopaura di morire affogatanel Mediterraneo. Ma qui non ho speranze,mi sento perduta e abbandonata.Donna di un villaggio vicino a Damasco, intervistata in un Centro migranti di Caritas Libano

Mi hanno presocon loro e mihanno portato

dall’emiro. Ho rispostodi essere un cristianoassiro, lui mi ha dettoche per questo criminesarei rimasto in prigioneper molto tempo, a meno che non avessideciso di convertirmiall’Islam e imparare il Corano a memoria.Pensavo tra me: “Comeè possibile che esserecristiani sia diventatoun crimine?” Io sononato cristiano e moriròcristiano.Uomo di Aleppo, intervistato a Zahle, Valle della Bekaa

materiale (che assommano al 24,6%degli aiuti erogati dalla Caritas in Liba-no a favore dei rifugiati siriani): soste-gno psicologico-motivazionale, orien-tamento, sostegno scolastico-educati-vo, assistenza legale, ecc.

Vorrebbero partireLo studio ha confermato le devastantie desolanti condizioni economico-so-ciali che caratterizzano i rifugiati, che siaggiungono a un’allarmante mancanzadi lavoro, all’incidenza dei debiti, alle

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cari e nella maggior parte dei casinon porta ricchezza al paese, mentreaumenta nei quartieri periferici delleisole turistiche il rischio di fenomenidi prostituzione e droga».

In quanto terra saheliana, inoltre,Capo Verde, oltre ad avere spazi arabililimitati, vive ciclicamente periodi disiccità, alternati a episodi di piogge tor-renziali, che abbassano notevolmentela produttività agricola e diminuisconole disponibilità delle famiglie, sia eco-nomiche che di prodotti alimentari.

Quello che può sembrare un para-dosso in un arcipelago, a Capo Verdein effetti è la quotidianità: uno deiproblemi principali del paese, in par-ticolare per la produzione agricola, ècostituito dall’acqua, che ha un fortecontenuto salino. In molte aree ruralie montagnose l’approvvigionamentodi acqua potabile o non salina è diffi-cile, e ciò diminuisce il potenziale

produttivo, poiché richiede un forteimpegno socio-politico per la costru-zione e la messa in opera di impiantidi desalinizzazione e irrigazione. An-che per questo il governo promuoveun forte programma di miglioramen-to della qualità della vita tramite la ge-stione delle acque e la lotta allo spre-co, attraverso la costruzione di dighe,lo sfruttamento delle falde acquifere,la desalinizzazione, il recupero delleacque utilizzate e dell’acqua piovana.

Secondo, riforestareConsiderando l’ambiente un settoreprioritario d’intervento, il governo ca-poverdiano ha adottato un “Program-ma verde”, da mettere progressivamen-te in atto, sino al 2030: è basato sullapromozione dell’ecologia integrale edell’educazione ambientale, ed è foca-lizzato sul cambiamento dei compor-tamenti, delle attitudini e delle pratiche

Considerando l’ambiente una priorità,il governo capoverdiano ha adottatoun “Programma verde”, da attuare entro

il 2030: educazione ambientale, ecologiaintegrale, cambiamento dei comportamenti

individuali, delle famiglie, delle impre-se e delle istituzioni. «È un programmavasto, che esorta alla responsabilità in-dividuale e collettiva. Un contributoche può sembrare una goccia nel-l’oceano, essendo noi un piccolo paese– concede il ministro dell’ambiente,Emanuel Antero Garcia da Veiga –:ma, risponderebbe Madre Teresa diCalcutta, l’oceano sarebbe più picco-lo, se mancasse una sola goccia!».

Le misure programmatiche metto-no l’accento sulla produzione e sulconsumo dell’energia e su una mag-giore efficacia energetica nelle case,nei trasporti, nella produzione indu-striale e in tutte le dimensioni della vi-ta sociale: al centro di tale politica vi èla volontà di aumentare gradualmen-te la percentuale delle energie rinno-vabili nella rete elettrica nazionale, fi-no a giungere al 100% nel 2030 (oggi illivello si attesta al 30%), oltre alla lottacontro i gas nocivi, il degrado delle fo-reste, la desertificazione.

Siccità e aridità delle terre non sonol’unica preoccupazione per governo ecittadini di Capo Verde. Un program-ma di riforestazione punta al rafforza-

CAPO VERDE MALI BURKINA FASO NIGER

Posizione Indice sviluppo umano Onu 2015 122 179 183 188

Aspettativa di vita alla nascita (anni) 73,3 58 58,7 61,4

Popolazione sotto la soglia nazionale di povertà (%) 26,6 43,6 46,7 48,9

Tasso di alfabetizzazione (maggiori di 15 anni che leggono e scrivono) 87,6 38,7 36 19,1

Reddito nazionale lordo pro capite in dollari Usa (Ppp, in dollari Usa) 6.094 1.583 1.591 908

Mortalità materna (su 100 mila nati) 42 587 371 553

Aspettativa anni di scuola 13,5 8,4 7,8 5,4

Indicatori di sviluppo: confronto tra Capo Verde e altri paesi del Sahel

ISOLE CON POCA ACQUADonne capoverdianetrasportano acqua ai lorovillaggi, in un panorama di pietre:niente di più lontano dalle cartolinedelle spiagge da sogno, che purel’arcipelago offre. Sotto, poverovillaggio in zona arida.Sopra e a destra, progettidi sviluppo finanziati da Caritas

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l’unico che oggi rientra tra i paesi defi-niti di “medio sviluppo umano” nell’In-dice stilato dalle Nazioni Unite: nel 2014ricopriva il 122° posto della classifica su188 paesi considerati. Gli altri della re-gione si posizionano tutti nella catego-ria di “basso sviluppo umano”, a partiredal Senegal (170° posto) e Mali (179°),per finire con Burkina Faso, Ciad e Ni-ger (rispettivamente 183°, 185° e 188°).

Primum, desalinizzareCerto, nell’arcipelago non mancano leombre. Restano, infatti, una forte di-pendenza dagli aiuti esterni allo svi-luppo e un sistema deficitario di pro-duzione agricola, anche a causa discelte politiche non sempre adattate aibisogni della popolazione, soprattuttodelle fasce più deboli. E resta soprattut-to il fatto che più del 27% della popo-lazione capoverdiana vive sotto la so-glia nazionale di povertà, e circa il 13%con meno di 1,25 dollari al giorno.

«Ci sono anche nuove forme dipovertà – ammonisce la direttrice diCaritas Capo Verde, Marina Almeida–, spesso conseguenza di un turismoall inclusive che offre impieghi pre-

testi e foto di Moira Monacelli

Lascommessa‘‘green’’

n paradiso: le Isole di CapoVerde, per i più, sono un pa-norama da cartolina. Spiaggebianche, acque cristalline,natura incontaminata, colli-

ne e montagne nell’entroterra che ar-ricchiscono un paesaggio incantevole.Tutto vero, ma è una visione parziale.

Non si può infatti ignorare la vulne-rabilità strutturale di un piccolo paeseinsulare in via di sviluppo, situato nellafascia arida del Sahel, che cerca di raf-forzare la resilienza delle popolazionicon una molteplicità di iniziative insettori strategici: agricoltura e sicurez-za alimentare, ambiente e mitigazionedel cambiamento climatico, energia.

La stabilità politica (pur in un regimedi alternanza, come dimostra l’esitodelle elezioni parlamentari di fine mar-zo), le scelte strategiche di medio-lungotermine e gli investimenti sulle infra-strutture hanno permesso di consegui-re negli ultimi anni, seppure a fronte diun forte indebitamento statale (supe-riore al 110% del Pil), un generale mi-glioramento delle condizioni di vitadella popolazione. Di tutti i paesi del-l’area del Sahel, in effetti, l’arcipelago è

Capo Verde, unamanciata di isole da paradisonell’oceano Atlantico.Eppure manca acqua.Perché è un paese del Sahel. Che orapunta su uno sviluppoequo: autosufficienzaidrica e agricoltura e turismo sostenibili. È l’Africa che trova da sé la sua strada

U

internazionale capo verde

dell’arcipelagoarido

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contrappuntodi Alberto Bobbio

DECLINO DI UNA STELLA.E DELLA DEMOCRAZIA?

a oltre vent’anni dalla fine delle dit-tature militari in salsa neoliberista edalla chiusura del capitolo contrasta-to e complesso dei peronismi varia-mente intesi.

Le convulsioni del Brasile vannodunque ben al di là dell’affare dram-matico dell’enorme giro di tangentilegato a Petrobas, la compagnia pe-trolifera di stato, che ha coinvolto nonsolo Lula e il suo partito, ma l’interaclasse politica e imprenditoriale bra-siliana. La rabbia del Brasile non de-pone a favore di nulla di buono, né lacrociata anticorruzione sembra esse-re, per come è stata impostata, la so-luzione migliore per uscire dalla crisi.

Il paradosso è che possa conclu-dersi con la fine di una classe dirigen-te democraticamente eletta e controcui pesano solo parti di accuse, adopera di una classe di oligarchi, nuovisolo in apparenza, pieni di conti neiparadisi fiscali, che si ergono a pala-dini del bene solo per rendere piùevanescenti le proprie responsabili-tà. In realtà, in Brasile va in scena unalotta tra poteri dentro una crisi eco-nomica e politica, che rischia di mi-

nare la democrazia e riportare indietro l’orologio dellastoria, perché molti stanno giocando con il fuoco dellaperdita di fiducia nei politici e nel sistema dei partiti.

In America Latina i più esperti nel campo una voltaerano i militari, con i risultati che sappiamo. Ora potreb-bero essere i giudici, Robin Hood maldestri, agenti senzaconsapevolezza, ma non per questo meno responsabili,al servizio dei locali sceriffi di Nottingham. La questionedella corruzione e le convulsioni istituzionali con le qualiè stata affrontata sono l’avviso sonante della fine di unatransizione sudamericana verso democrazie più compiu-te e più mature, il segnale che il tempo sta scadendo senon si vuole tornare indietro. A Brasilia non c’è un giudicebuono e un grumo di politici corrotti. C’è invece il rischioche lo scontro tra due moralità, entrambe censurabili,facciano fare passi indietro alla legalità e al diritto. E quin-di alla democrazia.

Lo chiamavano “la stella del sud”. Era il paese che trascinava iBrics, acronimo dell’associazione dei cinque stati con le econo-mie più emergenti, in grado di contendere la leadership del si-

stema globale agli attori tradizionali. Il Brasile era in testa a tirare, in-sieme a Russia, India, Cina e Sudafrica. Sembrava destinato a rilevarelo scettro di guida di una buona parte dell’economia mondiale, indi-cato dagli osservatori internazionali e dalle lobby che contano comedemocrazia stabile, affidabile più di Pechino e Mosca nelle regole deldiritto, dotato di una piazza d’affari con transazioni molto più stabilidi quelle ballerine delle grandi borse con gli occhi a mandorla.

Anche la grande recessione lo ave-va risparmiato, spalancando una ri-balta sportivo-mediatica (prima iMondiali di calcio, adesso le Olim-piadi) che significava molto più di unsemplice riconoscimento da partedegli gnomi della finanza internazio-nale: un uno-due che avrebbe dovu-to rappresentare la testimonianzapiù fulgida delle capacità del grandepaese latino-americano.

Eppure adesso il Brasile è in tumul-to e le Olimpiadi dell’estate rischianodi diventare la vetrina di un disastro,la scena dove si mostrano i cocci poli-tici, economici e istituzionali di un paese delle speranzetradite. La stagione del presidente Lula, quella delle solu-zioni ai drammi della povertà, del successo del programma“fame zero”, dell’emersione dalla povertà di 30 milioni dibrasiliani (nuova, decisiva classe media di un paese ster-minato), appare oggi lontana, schiantata da un conflittotra poteri istituzionali dove nessuno ha deciso di fare lapropria parte secondo responsabilità per il bene comune.

Maldestri Robin HoodIn un intreccio di accuse e di difese, di confusioni di ruolitra politica e magistratura, con la complicità di una stam-pa che non ha aiutato a fare chiarezza, tra angeli vendi-catori e piazze sempre più infuocate e abilmente gestiteda diversi e contrapposti burattinai, il Brasile rischia il de-clino. Ma soprattutto rischia di compromettere l’orizzon-te di una storia sudamericana che sembrava consolidata,

Il Brasile era il paeseche trascinava i Brics.

Che si aggiudicavaMondiali e Olimpiadi.Che faceva emergeredalla povertà milioni

di persone. Oggi appareun crogiuolo di

scandali. In cui “nuovi”oligarchi provano

a riportare indietrol’orologio della storia

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di piante nei prossimi 15 anni!Sono orientamenti importanti, an-

che alla luce degli impegni presi daglistati nello scorso dicembre nella

mento e all’intensificazione dellapiantagione di alberi, sia nelle zonerurali che in quelle urbane, dove vivepiù del 65% della popolazione capo-verdiana. L’obiettivo, piuttosto ambi-zioso, è arrivare a 20 mila ettari di fo-resta, cioè 400 alberi per ettaro, nel2030: un impegno a piantare 8 milioni

internazionale capo verde

Siccità e aridità non sono l’unico frontedi impegno per il governo e i cittadini.Un programma di riforestazione

ha l’obiettivo, piuttosto ambizioso, di piantare8 milioni di piante nei prossimi 15 anni!

Cop21, la Conferenza Onu di Parigisul clima. L’ambiente come prioritànelle azioni individuali e pubbliche:Capo Verde, con le sue isole aride inmezzo all’oceano, ci prova. Bisogneràvalutare la messa in opera dell’agendapolitica e il suo impatto sulla popola-zione, soprattutto sulle fasce più po-vere. Per ora, si scommette sull’am-biente come fattore di sviluppo e dilotta all’esclusione sociale. Una sfidache è anche una bella lezione: l’Africache trova da sé la sua strada. Diven-tando un esempio per tutti.

Quarant’anni di attività a servizio delle popolazioni po-vere: Caritas Capo Verde ha scelto sin dai suoi inizi «dilavorare sul processo di autonomizzazione delle fami-glie e delle comunità – racconta la direttrice nazionale,Marina Almeida –. Abbiamo come assi prioritari la sicu-rezza alimentare, l’accesso all’acqua e alla terra, l’agro-ecologia, la formazione e il rafforzamento delle capaci-tà delle donne e dei giovani provenienti dalle famigliepiù bisognose. Proviamo a dare un contributo, affinchéle giovani generazioni possano vivere dignitosamente e soddisfare almeno i bisogni essenziali».

Il lavoro con le comunità (luoghi di condivisione familiare, religiosa e culturale, dove si forma l’identità di ogni individuo) soprattutto in Africa è essenziale persollecitare la trasformazione dei comportamenti, affin-ché ciascuno possa fare scelte responsabili per il pre-sente e il futuro, per sé e per l’intera società. Emblema-tico è il progetto pilota di agro-ecologia avviato daCaritas nel 2015 alla periferia di Praia, con l’obiettivo di recuperare l’ecosistema naturale e promuovere la si-curezza alimentare. Sono stati selezionati dieci giovanipiccoli agricoltori, uomini e donne provenienti da fami-glie in difficoltà, che hanno ricevuto una formazionespecifica, sull’uso responsabile delle risorse naturali, il riciclo, la produzione e l’uso di fertilizzanti naturali, il rispetto dell’ambiente, le tecniche di irrigazione, le tec-niche agricole e la biodiversità. Oggi, su un esteso terre-no messo a disposizione dalla diocesi di Santiago di Ca-po Verde, viene coltivata una grande varietà di prodotti,frutta e verdura, senza pesticidi né fertilizzanti chimici.

I prodotti vengono in parte utilizzati dai piccoli agricoltori per soddisfare i bisogni alimentari delle famiglie, in parte venduti settimanalmente tramite la Caritas capoverdiana a una rete di clienti in rapidaespansione, che ricevono prodotti freschi a prezzi moderati e stabili. Una percentuale del ricavato viene

trattenuta per le spese di mantenimento del sito agricolo, mentre la parte restante viene suddivisa tra i piccoli agricoltori.

«Non si apprende solo un mestiere ma una filosofiadi vita – afferma la direttrice Caritas –. Abbiamo avvia-to visite guidate di scuole e gruppi giovanili: organiz-ziamo piccole sessioni formative sul rispetto dell’am-biente e dell’ecosistema. Possono vedere le nostrecoltivazioni, apprendere la metodologia e gustare i nostri prodotti con l’aiuto dei piccoli agricoltori. All’agri-coltura si unisce un aspetto formativo, autentico cuoredel progetto». L’impatto sui giovani agricoltori è elevato:«Ho aiutato mia madre a rifare il tetto della nostra casae ho potuto comprare il letto per la mia stanza», dice or-goglioso uno dei beneficiari del progetto, mentre il pri-mo ragazzo a entrare nella piccola cooperativa fa sape-re, timidamente ma orgogliosamente, di aver potutoacquistare una moto con i suoi guadagni.

Caritas Capo Verde svolge anche una capillare atti-vità di sensibilizzazione sulla sicurezza alimentare nel-le comunità rurali, in particolare attraverso le Caritasparrocchiali. A febbraio ha ospitato la riunione annua-le del Gruppo di lavoro di Caritas Internationalis per il Sahel (c’erano anche le Caritas di Senegal, Mali,Burkina Faso, Niger e diverse Caritas europee, tra cui Caritas Italiana). La riflessione si è focalizzata sul-le sfide cui il Sahel deve fare fronte quotidianamente:sicurezza alimentare e lotta ai cambiamenti climatici.Condizioni, come insegna l’enciclica Laudato Si’ di pa-pa Francesco, di uno sviluppo equamente distribuito.Che non alimenti migrazioni forzate. E, più in genera-le, squilibri e ingiustizie intollerabili.

Agro-ecologia formato Caritas:«Così coltiviamo il futuro»

STRATEGIA NAZIONALEAnimatrici dei progetti di agro-ecologiapromossi da Caritas Capo Verde

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LIBERTÀ

Esprimere il proprio pensiero. Professare il proprio credo. Sonodiritti che vanno riconosciuti a ogni uomo e donna. In nomedella sua dignità personale. I progetti della campagna “Il dirittoa rimanere” sono strumenti per affermare queste libertà

di Francesco Maria Carloni

PER TUTTI, SENZADISTINZIONE DI CREDO

Libertà di esprimere il proprio pensiero, di approfondire inogni direzione le proprie conoscenze, di professare la propriafede: sono diritti ancora negati, in vaste aree nel mondo. Re-

gimi dittatoriali, conflitti etnici e persecuzioni costringono ancoramilioni di persone a vivere non solo emarginate, ma in molti casiperseguitate a causa della diversità di credo e di opinione.

La mancanza di queste libertà fondamentali è una concausa cheha spinto nel 2015 circa 60 milioni di persone a spostarsi dal pro-prio luogo di origine (+45% di rifugiati nel mondo del 45%, dal2011). A subire persecuzioni per motivi religiosi, politici, culturalied etnici, in Siria, Somalia, Sudan, Afganistan e Iraq – per citare iprimi cinque paesi per il peso delle vessazioni –, non sono solo icristiani, ma anche intere comunità di religione musulmana. O dialtre confessioni. Perché, con parole praticamente identiche, il Co-rano (5,48 e 2,148) e san Paolo (Rm 12,10) incoraggiano le religionia «gareggiare a fare il bene».

Si tratta di difendere la dignità e la libertà di ogni essere umano,poiché ognuno ha diritto di vivere e di vedere riconosciuti i propridiritti, non perché appartenente alla maggioranza religiosa, poli-tica o etnica di un certo paese, e nemmeno perché fa parte di unaminoranza, ma perché tutti gli esseri umani hanno pari dignità.

Discernere e agire: è questo che, anche sul fronte della tutela del-le libertà fondamentali, si propone la campagna “Il diritto a rima-nere nella propria terra”, voluta dalla Conferenza episcopale italia-na e realizzata da Focsiv, Missio e Caritas Italiana. La realizzazionedi mille microrealizzazioni di sviluppo nei paesi di origine dellemigrazioni, obiettivo concreto della campagna, vuole contribuiread ampliare gli spazi di libertà nel mondo. Perché ognuno sia dav-vero libero di scegliere il proprio destino.

www.caritas.it

SEMPRE PIÙ DIFFICILERIENTRARE NELLA TERRADA CUI SI È DOVUTOSCAPPARE

I rifugiati che riescono a tornare in patria sonosempre meno: nel 2014sono stati 126.800, mentrel’anno prima erano stati414.600. Il maggior numerodi rifugiati trova accoglienza,fuori dei confini del propriostato d’origine, nei paesidell’Africa subsahariana(4,1 milioni di persone), in Asia e Pacifico (3,8 milioni),in Europa (3,5 milioni), in Medio Oriente e Nordafrica(3 milioni) e nelle Americhe(753 mila).FO

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persone e ne ha sostenute, conla distribuzione di sacchi a pelo,indumenti, prodotti per l’igiene eper i bambini, altre 3 mila. Que-sta è la realtà di assistenza dellaChiesa cattolica, che Papa Fran-cesco ha trovato nell’isola del-l’Egeo, in occasione del suo viag-gio lampo di sabato 16 aprile.

Il Papa ha accolto l’invito delPatriarca ecumenico di Costanti-nopoli, Bartolomeo I, e dell’arci-vescovo di Atene e di tutta la Gre-

archivium di Francesco Maria Carloni

Il 6 maggio 1976 una scossa di terremoto pari a 6,4 della scala Richter (ottavo grado della scala Mercalli) scuote il Friuli: 56 interminabili secondi, che provocano965 morti, lasciando oltre 93.400 persone senza tetto. Ben 77 i comuni colpiti, con epicentro tra Osoppo e Gemona del Friuli.

Ai primi di ottobre, la rivista Italia Caritas ribadì con un numero speciale, intitolatoLavorare insieme, l’indicazione che da subito, all’indomani della tragedia, Caritas Ita-liana aveva dato a tutte le Caritas diocesane d’Italia. Il numero, interamente dedicatoa esperienze, programmi e prospettive della presenza della Caritas nelle due diocesicolpite (Udine e Pordenone), è un documento importante, da cui si può cogliere il fer-mento e l’impegno di solidarietà che stavano attraversando l’Italia intera. All’iniziodell’inverno erano 55 (poi diventeranno oltre 80) le diocesi italiane che avevano af-fiancato altrettante parrocchie friulane. Quella mobilitazione fu l’atto di nascita deigemellaggi, forma di condivisione e comunione che si affermerà come prassi pasto-rale, e nel corso di quattro decenni scriverà, in Italia e nel mondo, belle storie di vo-lontariato, di servizio civile, di partnership in progetti di varia natura, coinvolgendo mi-gliaia di giovani e adulti, di famiglie e comunità cristiane.

Monsignor Alfredo Battisti, vescovo di Udine, nel decimo anniversario dal terremo-to si rivolgerà così alle diocesi italiane: «L'esperienza evangelica dei gemellaggi in Friuli è un fatto così nuovo e così grande, che va letto come un meraviglioso segno dei tempi, che traccia nuove vie per il cammino della Chiesa italiana».

I gemellaggi evidenziano l’energia profetica di una Chiesa che può essere fermen-to di un mondo nuovo. E riescono (e riusciranno anche in seguito) a dare risposta a domande angosciose. Come quella apparsa sui muri di Gemona: «Dio, dov’eri la notte del 6 maggio?». Ancora monsignor Battisti affermerà, rivolto ai volontari dei gemellaggi: «Non abbiamo visto il volto di Dio nel terremoto; ma lo abbiano scoperto nel vostro volto. Siete venuti voi a rivelarci il volto di Dio Padre, che ama anche quando prova».

I friulani non hanno dimenticato, a 40 anni di distanza, la mobilita-zione avvenuta per loro e con loro. Una frase da loro coniata diventasimbolo di questa comunione religiosa e laica: Il Friul us ringrazia di cur e nol dismentée, “Il Friuli ringrazia di cuore e non dimentica”.

“Lavorare insieme”: primi gemellaggisulle macerie del Friuli terremotato

Sono in maggioranza famiglie conbambini, donne incinte, personecon disabilità e anziani, i 230 pro-fughi accolti a metà aprile nelloshelter, l’hotel preso in affitto daCaritas Hellas nell’isola di Lesbo,per dare un rifugio alle personepiù vulnerabili, tra quelle che cer-cano l’approdo in Europa, muoven-do da Siria, Iraq, Pakistan, Afgani-stan e paesi dell’Africa. Dall’iniziodi dicembre a metà aprile, la Cari-tas greca ha ospitato più di 5 mila

cia: insieme hanno visitato l’isola(8 mila abitanti, attivatisi in unasovrumana gara di generosità,tanto da essere nominati per il Premio Nobel) che lo scorso anno ha visto sbarcare più dellametà del milione di profughi dellarotta balcanica. Tutti disperati ma– paradossalmente – più fortuna-ti di quelli che dal 20 marzo, datadi entrata in vigore dell’accordoUe-Turchia, si vedono chiudere le porte in faccia dall’Europa.

Gli effetti dell’accordo euro-tur-co sulle isole dell’Egeo si fannosentire. Gli sbarchi sono crollatidell’80%: da una media di 1.676a una media di 337 al giorno, an-che perché le navi militari di Fron-tex pattugliano i mari per intercet-tare i gommoni dei trafficanti. Male organizzazioni umanitarie e deidiritti umani denunciano le “con-dizioni agghiaccianti” dei duecentri di detenzione sulle isole di Lesbo e Chia. Sovraffollamento,reclusione di moltissimi bambini,pochi o assenti i medici, scarso il cibo, assenza di coperte e arre-di che permettano riservatezza,lacunosità dell’assistenza legale.

Gli ospiti dello shelter di Cari-tas Hellas a Lesbo intanto conti-nuano a sperare in un futuro in Europa. Prima restavano solopochi giorni, poi continuavano il viaggio. Ora, in conseguenzadell’accordo, resteranno mesi. I 230 di metà aprile erano infattiarrivati prima del fatidico 20 mar-zo: non rischiano l’espulsione inTurchia. Nelle prossime settima-ne, insieme alle rotte di migrazio-ne, cambieranno anche le dina-miche dell’accoglienza.

VELO E GIUBBETTOOperatori di Caritas Hellas(la Caritascattolica greca)con ospiti delloshelter di Lesbo

GRECIAIl Papa visita a Lesbo il centrod’accoglienza Caritas, approdo europeo per cinquemila

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SAL

LASTORIAUna decina di ragazzesi sono ritirate, ma io

e le altre ce l’abbiamofatta. Ora possiamo

fare pane, dolci e tortedecorate! Ho ritrovato

autostima. E unaprofessionalità

BOLIVIAYolanda cuoce torte:«Donne senza chance,non era vita venderequinoa al mercato…»

Mi chiamo Yolanda Choque-

huanca, ho 24 anni e tre fratelli minori. Abito con loro e i miei geni-tori a Munaypata, uno dei quartieri più poveri di La Paz, capitale della Bolivia a circa 3.800 metri sul livello del mare. A Munaypata si cerca di vivere, o meglio di “sopravvivere”, vendendo quinoaal mercato – quando si è fortunaticon il raccolto... Mia madre fa an-che la lavandaia per arrotondare.

Qui le donne hanno poche opportunità di lavoro e di crescita,come persone e nelle proprie famiglie. Ma un giorno nella parrocchia dell’Apostol Santiagoc’è stato un gran fermento: cercavano volontarie per la forma-zione in tecniche artigianali. La Pastoral Social di Caritas Munaypata ha creato 18 laboratoricon 13 specializzazioni (realizzazio-ne di bambole di pezza, acconciatu-re, pasticceria, cioccolateria, tessitura di coperte, lavorazione a uncinetto, ecc). Mi sono subito offerta per il primo livello di pasticceria.

Grazie al contributo di 4.500 euro pervenuto da Caritas Italianaio e altre 19 partecipanti abbiamofrequentato il corso. Una decina di ragazze si sono ritirate, ma io e le altre ce l’abbiamo fatta, e ci hanno dato un attestato. Ora possiamo fare pane, dolci e torte decorate! Sono davvero molto grata a Caritas Italiana, per avermi ridato la mia autostima.E una professionalità, per poter dare un contributo economico alla mia famiglia. Grazie, non stancatevi di sostenere un micro-progetto!

> Microprogetto 178/14 BOLIVIAUna torta per far lievitare la propria vita

5 Realizzato!

Istruzione, il miglior investimento sul futuro. Anche nei territori dove “lo stato è fallito”.

C’è un microprogetto per l’acquisto di 50 banchi, 42 lavagne e materiale didattico: l’obiettivo è sostene-re la scuola pubblica “Bartamaha” a Mogadiscio, capi-tale della Somalia, garantendone la riqualificazione in mancanza di un intervento statale. Beneficiari: i 362bambini dai 6 ai 14 anni che frequentano la scuola.

> Costo 5 mila euro> Causale MP 92/16 SOMALIA

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SOMALIAAttrezzare la scuola. Cioè il domani

MICROPROGETTO

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3MICROPROGETTO

BRASILEFrutta, per dimenticare gli psicofarmaci

È una sfida. Ma avvincente. Si tratta di provare a rendere economicamente autosufficiente una

struttura terapeutica a Codò (nord-ovest del Brasile,quasi 3 mila chilometri a nord di Rio de Janeiro) attra-verso la vendita della polpa della frutta, insegnando un mestiere ai ragazzi accolti. Beneficiari saranno 14 ragazzi e adulti in riabilitazione da psicofarmaci, e residenti nella Casa della Madre del Divino Amore. Il progetto prevede la sistemazione di uno spazio per trasformare la frutta, l’acquisto di un congelatore,di attrezzature per l’estrazione della polpa e per creare il sottovuoto.

> Costo 4.500 euro> Causale MP 23/16 BRASILE

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NON STANCATEVI DI SOSTENERE I MICROPROGETTI! INFO: [email protected]

MICROPROGETTOMICROPROGETTO

TUNISIALavoro (e futuro) per i giovani disabili

Accrescere le opportunità lavorative per giovanidisabili, attraverso una formazione tecnica che

li aiuti a inserirsi nel tessuto socio-economico. Teatrodel progetto è il quartiere Gargour, alle porte di Sfax,circa 300 chilometri a sud di Tunisi: si prevedono corsidi formazione professionale in falegnameria e agricoltu-ra e l’acquisto dell’attrezzatura necessaria. Beneficiarisaranno 21 persone disabili (8 avranno una formazionein falegnameria, 8 in agricoltura, 5 elaboreranno propriprogetti di autosviluppo), mentre cento persone verran-no sensibilizzate sull’integrazione dei disabili.

> Costo 4.900 euro> Causale MP 95/16 TUNISIA

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GUINEA CONAKRYStrutture e medicineper la salute del villaggio

Riqualificare il centro sanitario attraversola tinteggiatura dei locali e l’installazione

di nuovi infissi. E acquistare nuove piccole attrezzaturesanitarie (bilancia per bebè, apparecchio per misurarela pressione arteriosa) e uno stock iniziale di medicine.L’obiettivo è migliorare la struttura sanitaria di Dabadou, a circa 650 chilometri dalla capitaleConakry. Ne beneficeranno bambini, donne e anzianidel villaggio (circa 1.400 abitanti).

> Costo 5 mila euro> Causale MP 73/ 16 GUINEA CONAKRY

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minatore umile che estrae spe-ranze e carbone senza sosta,Tao è intenta a fare chiarezzanel cuore. Tra una corsa inmacchina e un piatto di raviolial vapore, la giovane Tao sce-glie il cinese che diventerà ricco, Zhang, ma getta nella disperazione Lianzi, che abban-

dona casa e città. È l’innesco di Al di làdelle montagne: quin-dici anni dopo il filmracconta di un matri-monio e di un figlio. A quel punto però Tao

è separata e sola, Lianzi ha uncancro e Zhang vive a Pechinocon un’altra donna. Cinico e ricco, ha esaudito il sogno da capitalista e ha ottenutol’affidamento del figlio, che hachiamato come la valuta ameri-cana (Dollar) e ha deciso di farcrescere in Australia. Terra pro-messa a migliaia di chilometridi distanza, l’Australia diventaper Dollar una patria, ma an-

Un libro di racconti, che narraai bambini che i confini non devono essere muri invalicabilie che l’accoglienza a bracciaaperte fa vivere tutti meglio.Non solo chi viene accolto, maanche chi sceglie di accogliere.Perché la solidarietà e l’empa-tia sono valori che i bambiniimparano a fare propri fin dal-l’infanzia. Se c’è chi li trasmet-te come valori positivi.

FILMLa Cina cambia, si vota al denaro e smarrisce l’identità

Fenyang, 1999. La Cina stacambiando rapidamente e irre-versibilmente, a un passo dalnuovo secolo che sta arrivan-do. Tao, una giovane donna diFenyang, non sa decidersi. Cor-teggiata da Zhang, proprietariodi una stazione di servizio chesi sogna capitalista, e Lianzi,

che una parentesi da mettersialle spalle: maggiorenne e in-quieto, ha deciso di ritrovaresua madre e la Cina, e insiemea loro scoprire la sua identità.A ostacolarlo c’è Zhang, il pa-dre arricchito. A casa e sotto la neve, lo attende da sempreTao. Viaggio nel tempo e nellospazio, al cuore delle contrad-dizioni del cambiamento cine-se: la regia è di Jia Zhang-Ke.

L’ESPERIENZALibri Liberi,non si vendené si compra.Ma si legge!

A Bologna c’è una libreria spe-ciale. Dove chiunque può pren-dere un libro senza andare allacassa, perché è tutto gratis. Si chiama Libri Liberi, è in viaSan Petronio vecchio, ed è il re-gno di Anna Hilbe, ideatrice del locale. A Libri Liberi i volumi si passano di mano in mano

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Si chiama job4good.it ed è un sito internet utilizzabiledai soggetti del terzo settore (associazioni, onlus, coo-perative e ong) che cercano coordinatori di progetti,esperti di comunicazione o di fund raising, amministra-tori, ma anche ostetriche o infermieri. Tante sono le fi-gure professionali, spesso a termine o che lavorano ascadenza su un progetto specifico, che possono essereutili al terzo settore. I due ideatori del progetto, Luca DiFrancesco e Diego Maria Ierna, sono partiti proprio dal-la mancanza di strumenti adeguatiper i processi di job matching e jobhunting (incrocio tra domanda e of-ferta di lavoro, reclutamento di pro-fessionalità): la nuova piattaforma di-gitale risponde a questi obiettivi conun approccio affidabile e performan-te. Qualità che sono, o dovrebberoessere, proprie del terzo settore.

L’utilizzo di Job4good.it è gratuitoper i candidati e per le organizzazioninon profit. Le caratteristiche princi-

pali: ogni disponibilità di un posto di lavoro viene geolo-calizzata su una mappa interattiva. I candidati possonocreare un proprio profilo, che sarà visibile solo alle or-ganizzazioni e alle aziende registrate sulla piattaforma.Le organizzazioni registrate avranno un accesso direttoe autonomo alla pubblicazione degli annunci. È presen-te un servizio di job alert, che in automatico avvisa icandidati quando una nuova vacancy corrisponde alleproprie esigenze.

Lavorare per e con il terzo settore,un sito fa incontrare domanda e offerta

TRA PECHINOE BOLOGNAAl di là dellemontagne, la Cinache cambia.Sotto, la libreriaper leggere gratis

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ci e didattici). Target di riferi-mento sono i bambini dellescuole elementari e i loro edu-catori, ma tutti possono usu-

fruirne. Il kit è composto da 26 manine,una per ognilettera dell'al-fabeto Lis, mo-dellate e stam-pate in 3D.Sono utili per

i bambini sordociechi per svi-luppare il tatto, per i bimbi sor-di per potenziare la memoria visiva. Manine e mano robotica,poi, possono comunicare: allamano robotica è collegata unabase in cui inserire le varie ma-nine. Tutte le manine sono ab-binate a un codice binario benpreciso, che la mano roboticariconosce attraverso delle cala-mite, riuscendo così a capire di che lettera si tratta.facebook.com/ElenaDallAnto-niaStampa3D/

zoom

MULTIMEDIAStampate in 3D,le “manine”per comunicare conbimbi sordi e ciechi

Il progetto MANIpolare per co-municare è molte cose. Innan-zitutto è uno strumento per fa-vorire l’integrazione tra bimbisordi, sordociechi e udenti. Maè anche un gioco per apprende-re la comunicazione Lis. E, nonda ultimo, è un progetto per in-segnare la lingua italiana deisegni anche agli adulti. L’idea è di Elena Dall’Antonia, 25 en-ne friulana, che come tesi ma-gistrale in Comunicazione multi-mediale, all’Università di Udine,ha presentato il progetto. Nelconcreto, si tratta di un prototi-po ludico-educativo a basso co-sto, abbinato a una mano robo-tica controllata con Arduino(hardware economico, utile percreare rapidamente prototipi eusato anche per scopi hobbisti-

Il portale My Blue Boxè un progetto dell’associa-zione Contatto onlus. Met-te in rete strumenti, pro-

getti, esperienze e risorse utili per i bambini e i ragazzi chedevono confrontarsi con la malattia della mamma o del pa-pà. Perché ci sono genitori che hanno problemi psichici. E ci sono i figli, che di questa condizione risentono. «Ciao!Se sei capitato su questa pagina è perché tuo padre o tuamadre (o tutti e due) soffrono di una malattia mentale – silegge nell’apertura della sezione dedicata ai figli –. Ti saraichiesto tante volte cosa fare, spesso ti sarai sentito solo o sola e in balia di eventi troppo grandi per te. In molte oc-casioni ti sarai tenuto dentro il tuo dolore, (…) forse avraitemuto di poterti un giorno ammalare anche tu. Questospazio è dedicato a te. Qui troverai le risposte ad alcunedelle domande che ti hanno accompagnato negli anni:“Perché si comporta così?”, “C’entro io?”, “Cosa posso fare?”, “A chi posso chiedere aiuto?”»: My Blue Box è unospazio di informazione e prevenzione, in cui le difficoltà legate ai problemi dei genitori possano essere comunicate

e condivise con altri che hanno gli stessi problemi, e affronta-te con il supporto di professionisti. L’obiettivo è sicuramen-te prevenire il disagio di questi bambini e ragazzi i quali, se non sostenuti, possono incorrere nello stesso disagio.Blue Box è anche una finestra sull’Italia e sul mondo, inparticolare sulle iniziative che sostengono le famiglie in cuii genitori, o uno di essi, vive il disagio psichico. Una busso-la con cui orientarsi per affrontare le difficoltà. Insieme.www.mybluebox.it

LIBRIAutori e raccontiper dire ai bambiniche accoglierefa bene a tutti

A braccia aperte. L’antologiaMondadori (collana SassoliniOro) di racconti dedicata ai mi-granti di ieri e di oggi e in parti-colare ai “bambini migranti”, è firmata dagli autori Icwa, l’as-sociazione italiana di scrittoriper ragazzi. L’obiettivo è parla-re ai più piccoli di migranti e accoglienza. Dieci gli autoriche hanno partecipato al pro-getto: Manuela Salvi, MarcoBevilacqua, Janna Carioli, Van-na Cercenà, Fulvia Degl’Inno-centi, Anna Lavatelli, AlbertoMelis, Daniela Palumbo, Rober-to Piumini, Angela Ragusa, Anna Sarfatti, Marco Tomatis e Loredana Frescura. Raccon-tano storie vere di guerre, po-vertà e sofferenze, analizzatedal punto di vista dei bambini.

MANI COLORATEBRACCIA APERTEStampe in 3Dfavorisconol’integrazione,un libro insegnaad accogliere

La mia scatola blu, dove condividereil “peso” di genitori con disagio psichico

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di Daniela Palumboatupertu / Ron

È uscito in marzo. È un album speciale. Per due motivi.Primo, perché ci sono 24 dei brani più noti del suo au-tore, cantati insieme, in duetto, con i più grandi artistidella musica italiana (più due brani inediti, Aquilone e Ascoltami). Secondo, perché è interamente dedicatoall’Aisla (Associazione ricerca italiana sclerosi lateraleamiotrofica), di cui lui, Ron, è testimonial da dieci anni.Da Jovanotti a De Gregori, da Mengoni a Loredana Ber-té, da Pezzali a Biondi ad Ayane, Renga e molti altri,molti sono i duetti contenuti in La forza di dire sì. Spic-cano però quelli con due indimenticabili artisti scom-parsi negli ultimi anni, Lucio Dalla e Pino Daniele.

Ron, un album per sola beneficenza, a sostegno di Aisla? Perché?

Ho “conosciuto” la Sla perché il mio migliore amico,Mario Melazzini, ora presidente di Aisla, fu colpito dallamalattia. Dieci anni fa, dopo avercapito cosa volesse dire la parolaSla, Mario e io pensammo che forsecon la musica avremmo potuto rac-cogliere fondi per la ricerca. Nacquel’idea di un album con 14 artisti fa-mosi che cantavano in duetto conme: Baglioni, Dalla, Consoli, Carbo-ni, Bersani, Raf, Elisa… Il disco an-dò molto bene, così dopo dieci anniho pensato che sarebbe stato bellopoter ripetere quell’esperienza. Lepersone continuano ad ammalarsidi Sla e bisogna darci dentro per

Ron, duetti contro la Sla:«Musica per la ricerca,siamo aquiloni in voloper vincere il negativo»

L’aquilone è lametafora dell’uomoche solo con la forza

d’animo, la fiducia, la fedepotrebbe volare così in altoda sconfiggere tuttala parte negativache ha dentro

raccogliere fondi e fare ricerca per cominciare a sperare...è un impegno che voglio mantenere.

Fra gli altri, notissimi brani, ce ne sono due inediti.Come nascono?

Aquilone è una canzone scritta e cantata con un bravis-simo gruppo che si chiama La Scelta. Evoca speranzaattraverso il volo di un aquilone, metafora dell’uomo che solo con la forza d’animo, la fiducia, la fede potreb-be volare così in alto da sconfiggere tutta la parte nega-tiva che abbiamo dentro. Ascoltami è un brano che trat-ta del male che possiamo fare agli altri, a chi amiamo,anche con una parola, una frase.

Il suo prossimo progetto artistico?Con quest’ultimo disco ho imparato a riconoscere aglialtri quello che è giusto, che si meritano. Non parlo solo

dei miei amici artisti, che sono statimeravigliosi e hanno accettato congenerosità il mio progetto, ma an-che delle persone che sono diventa-te protagoniste con il proprio lavorodi musicisti, tecnici, ingegneri delsuono, produttori, arrangiatori. Que-sto disco mi ha cambiato, mi ha ar-ricchito, mi ha ricordato i dischi chesi facevano negli anni Settanta-Ot-tanta... con libertà e passione...Credo di aver ritrovato quelle radici,per poter piantare un albero nuovo.Vedremo!

sulle donne. Il nuovo portale si propone di fornire informa-zioni e supporto alle vittime diviolenza, attraverso la condivi-sione di contenuti liberi e scari-cabili. I testi sono stati costrui-ti da una rete di 50 volontarie,tra giornaliste, traduttrici, svi-luppatrici, avvocate e graficheche hanno lavorato da diversipaesi, e sono state coordinateda Elena Silvestrini, esperta

di innovazione socia-le che vive a Lon-dra. I toolkit presen-ti sul sito possonoessere scaricati e riutilizzati da altredonne, in una cate-na virtuosa che, sispera, coinvolgeràtutte le donne che

avranno bisogno di confrontarsie trovare risposte alle loro gravi

problematiche. Tra le sezioniproposte, è stato affrontato anche il tema della violenzacontro le donne disabili. In ogni caso, nessuna sovrapposizioneo sostituzione rispetto all’ope-rato dei centri anti-violenza sulterritorio; anzi, l’idea è propriorendere più visibile il loro lavoroe più facile il contatto tra servi-zi e utenza.chaynitalia.org

Giovani “rapinati del futuro”o incapaci di reazione?Una generazione attesa sul palco…

di Francesco Dragonetti

Simone M. VariscoLa follia del parti-re, la follia del re-stare (Tau Editrice,

pagine 96). Il libro affron-ta il problema del “senti-mentale” diffuso tra i mi-granti, disagio sottovalu-tato. Che riguarda anchei molti italiani “inghiottiti”dalla nostalgia e dal pre-giudizio in terra straniera.

LIBRIALTRILIBRI

Rocco D’AmbrosioCe la farà France-sco? (Edizioni LaMeridiana, pagine

88). Domanda che inquie-ta quanti hanno chiara lapercezione di come la ri-forma dell’attuale Papa ri-chieda tempo, pazienza,costanza. In un clima diffi-cile, ancora gravido discandali e infedeltà.

Michele Illiceto Laparabola del terzofiglio. Il figliol pro-digo nel postmo-

derno (Andrea Pacilli, pagi-ne 276). Anche detta“parabola del padre mise-ricordioso”. «Fa intravede-re un terzo figlio, nasco-sto! Dove? È l’estensionedelle braccia e del cuoredel Padre», dice il Papa.

paginealtrepagine

Non è vero, come diceva Leo Longanesi, che «in Italia c’è una sola grande moda:la giovinezza». Tutt’altro. I giovani sono marginali e il loro turno per il futuro sem-bra non arrivare mai. E pensare che da sempre sono proprio i giovani la parte piùdinamica di una società: sono loro a travolgere le barriere della tradizione, a pro-porre inedite letture della realtà. In Italia, per le nuove generazioni, questo nonvale. Scopertesi improvvisamente “rapinate” del proprio futuro, non accennano a reagire. Il conflitto generazionale è disattivato. Manca la spinta al rinnovamentoe la società rimane rigida, poco reattiva davanti alle grandi sfide.

In Elisabetta Ambrosi, Alessandro Rosina Non è un paese per giovani. L’ano-malia italiana: una generazione senza voce (Marsilio, pagine 111), gli autori ana-lizzano le responsabilità di due generazioni, in modo diverso protagoniste in ne-gativo dell’Italia di oggi. Padri che monopolizzano spazi e risorse disponibili,senza curarsi del bene comune; figli che dipendono morbosamente dalla fami-glia, il cui sostegno, specialmente in Italia, è assai forte, tanto da far divenire la permanenza tra le mura domestiche più lunga che nel resto d’Europa.

Il risultato di questa condizione eccezionale è che proprio gli italiani sono, fratutti i paesi sviluppati, il popolo che più sta agendo contro i giovani. Quale il rime-dio? In Tito Boeri, Vincenzo Galasso Contro i giovani. Come l’Italia sta tradendole nuove generazioni (Mondadori, pagine 162) gli autori profilano una soluzioneche potrebbe dipendere, prima di tutto, dal coraggio dei quarantenni di og-gi. Per questa generazione è arrivato il momento di imboccare la stradadelle riforme nel mondo del lavoro, delle professioni e del welfare.

È una sfida che, secondo un altro saggio, soltanto due categorie posso-no affrontare, rappresentando per l’Italia il vero motore della ripresa: i gio-vani e le donne, che nel XX secolo si sono battute per la parità di diritti,scoprendo che quando si sale sul palco, è dura strappare i ruoli principali.Angela Padrone La sfida degli outsider. Donne e giovani insieme per cam-biare l’Italia (Marsilio, pagine 174) ricorda che i ragazzi si lamentano, mache cosa veramente desiderino anche molti tra essi non lo sanno. Le don-ne, intanto, guardano da lontano le poche di loro che hanno conquistatoruoli di responsabilità, e si dicono che è tutto a posto. Si sono acconten-tate? Per entrambi è giunto il momento di riscrivere il proprio ruolo nell’Ita-lia che cambia.

e sono tutti a disposizione di chiunque voglia leggerli, sen-za nessun obbligo di restituirli.L’idea è venuta ad Anna men-tre leggeva un articolo che par-lava di due librerie europee incui i libri erano gratis. Perchénon replicare la stessa espe-rienza in Italia? Nel 2013 haaperto la sua libreria riempien-dola all’inizio con i suoi libri e quelli del marito americano.Poi piano piano, grazie al pas-saparola, sono arrivate le pri-me donazioni. Così oggi (tra vo-cabolari, libri di letteratura,romanzi, gialli e via dicendo), la libreria è diventata un puntodi riferimento, non solo per gliabitanti del quartiere. Data lavarietà di libri che si possonotrovare, anche gli utenti sonodiversi: dalla giovane mammaall’anziano, dagli studenti uni-versitari agli appassionati di ci-nema e fotografia. Il meccani-smo è molto semplice: si possono portare i libri chenon si usano più o si possonoprendere in prestito; lo scam-bio non è obbligatorio, quindiper portarne a casa uno, nonse ne deve regalare per forzaun altro. Non è quindi una vera e propria forma di bookcros-sing, perché ognuno è libero di agire come meglio crede.

INTERNETChayn apre in Italia,Nuove tecnologiecontro la violenzasulle donne

Il sito è online da mar-zo. ChaynItalia è unanuova piat-taforma,pensata

per dare supporto alle vittimedi violenza. L’idea è utilizzarele nuove tecnologie e la enor-me quantità di informazioni a portata di click, per costruirestrumenti contro la violenza

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Page 25: tenere da pulita - Caritas Italianas2ew.caritasitaliana.it/.../2016/IC04_maggio2016.pdfGIPA/NE/PD/31/2014 Papa Francesco alle Caritas «I poveri, proposta forte di Dio alla Chiesa»

Associazione Paolo Ettorre

www.sociallycorrect.it

SEZIONE MANIFESTI - ANNUNCIO STAMPA

Brief Caritas UNA SOLA FAMIGLIA UMANA

Campagna multisoggetto prima classificataCi sono persone che puoi conosceresolo avvicinandoti. Non tenere le distanze, perché siamo un’unicafamiglia umanao

Quattordicesima edizione Premiazione a Spoleto, 11 luglio 2015

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