106
SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE DELLE AREE INDUSTRIALI DISMESSE. AMALIA MARTELLI DOTTORATO DI PIANIFICAZIONE TERRITORIALE ED URBANA (XVII CICLO) DIPARTIMENTO DI PIANIFICAZIONE TERRITORIALE ED URBANISTICA FACOLTA’ DI ARCHITETTURA LUDOVICO QUARONI UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” COORDINATORE DEL DOTTORATO: PROF. GIANLUIGI NIGRO DOCENTI ESAMINATORI: PROFF. LUCIO CARBONARA, FRANCO CORSICO, GABRIELE PASQUI, GAETANO FONTANA, MAURO MELLANO Negli ultimi decenni, la dismissione delle aree ha innescato in molte città “un processo di degradazione progressivo e spesso inesorabile, che partendo dalla scomparsa delle attività produttive in aree anche abbastanza limitate e circoscritte, ha investito in maniera rapidissima il contesto economico, subito dopo il contesto sociale e ben presto è riuscito a conquistare al degrado i contesti fisici e ambientali fino a parti più o meno estese del contesto urbano” (1) . In Italia, sebbene negli ultimi anni le recenti opportunità economiche e normativo-procedurali (introdotte per facilitare l’attuazione degli interventi) abbiano prodotto un forte aumento delle aree dismesse riqualificate o prossime a riqualificarsi, sono ancora molte le aree che attendono nuovo uso, soprattutto se in passato occupate da attività industriali. La trasformazione di queste aree comporta infatti la risoluzione di numerose problematiche che possono ostacolarne la riqualificazione e condizionarne profondamente il nuovo uso. Il testo si propone appunto di indagare nel dettaglio le problematiche di trasformazione delle aree industriali dismesse, arrivando ad una conoscenza approfondita delle stesse, così da costituire uno strumento utile per interventi di riqualificazione che, poiché note le difficoltà di trasformazione di questo tipo di aree, più facilmente possono conseguire il successo delle iniziative stesse. (1) Carmela Gargiulo Rocco Papa Aree dismesse e processi di trasformazione urbana in Processi di trasformazione urbana e aree industriali dismesse: esperienze in atto in Italia. Atti dei convegni Audis 1999/2000 Edizioni Audis Venezia, 2001

SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE DELLE AREE INDUSTRIALI DISMESSE.

AMALIA MARTELLI

DOTTORATO DI PIANIFICAZIONE TERRITORIALE ED URBANA (XVII CICLO) DIPARTIMENTO DI PIANIFICAZIONE TERRITORIALE ED URBANISTICA

FACOLTA’ DI ARCHITETTURA LUDOVICO QUARONI UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”

COORDINATORE DEL DOTTORATO: PROF. GIANLUIGI NIGRO DOCENTI ESAMINATORI: PROFF. LUCIO CARBONARA, FRANCO CORSICO,

GABRIELE PASQUI, GAETANO FONTANA, MAURO MELLANO

Negli ultimi decenni, la dismissione delle aree ha innescato in molte città “un processo di degradazione progressivo e spesso inesorabile, che partendo dalla scomparsa delle attività produttive in aree anche abbastanza limitate e circoscritte, ha investito in maniera rapidissima il contesto economico, subito dopo il contesto sociale e ben presto è riuscito a conquistare al degrado i contesti fisici e ambientali fino a parti più o meno estese del contesto urbano”(1). In Italia, sebbene negli ultimi anni le recenti opportunità economiche e normativo-procedurali (introdotte per facilitare l’attuazione degli interventi) abbiano prodotto un forte aumento delle aree dismesse riqualificate o prossime a riqualificarsi, sono ancora molte le aree che attendono nuovo uso, soprattutto se in passato occupate da attività industriali. La trasformazione di queste aree comporta infatti la risoluzione di numerose problematiche che possono ostacolarne la riqualificazione e condizionarne profondamente il nuovo uso. Il testo si propone appunto di indagare nel dettaglio le problematiche di trasformazione delle aree industriali dismesse, arrivando ad una conoscenza approfondita delle stesse, così da costituire uno strumento utile per interventi di riqualificazione che, poiché note le difficoltà di trasformazione di questo tipo di aree, più facilmente possono conseguire il successo delle iniziative stesse. (1) Carmela Gargiulo Rocco Papa Aree dismesse e processi di trasformazione urbana in Processi di trasformazione urbana e aree industriali dismesse: esperienze in atto in Italia. Atti dei convegni Audis 1999/2000 Edizioni Audis Venezia, 2001

Page 2: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Introduzione Negli ultimi decenni, la dismissione delle aree ha innescato in molte città “un processo di degradazione progressivo e spesso inesorabile, che partendo dalla scomparsa delle attività produttive in aree anche abbastanza limitate e circoscritte, ha investito in maniera rapidissima il contesto economico, subito dopo il contesto sociale e ben presto è riuscito a conquistare al degrado i contesti fisici e ambientali fino a parti più o meno estese del contesto urbano”(1). Il fenomeno è evidente in tutta la sua gravità se si riferiscono i dati (recentemente pubblicati)(2) che riportano la sua esatta dimensione: in Gran Bretagna le aree dismesse sono 128.000 ettari, in Francia 20.000, in Olanda 10.000. In Italia sono 9.000 ettari (nel nostro territorio in 10 anni sono stati dismessi 131 siti, di dimensione varia, dai 5 ettari ai 330 ettari di Bagnoli), in Svizzera 1.700 (una dimensione pari a quella della città di Ginevra). La notevole dimensione del fenomeno e le ricadute sociali, urbanistiche ed economiche che il riutilizzo delle aree dismesse comporta, attribuiscono ad esse un ruolo strategico per la riqualificazione delle città, che possono cogliere l’occasione offerta dalla defunzionalizzazione delle aree per un assetto urbano nuovo e più consono alle rinnovate esigenze. In Italia, sebbene negli ultimi anni le recenti opportunità economiche e normativo-procedurali introdotte per facilitare l’attuazione degli interventi, abbiano determinato un forte aumento delle aree dismesse riqualificate o prossime a riqualificarsi, rimangono ancora molte le aree che attendono nuovo uso. La trasformazione delle aree, soprattutto se in passato occupate da attività industriali, comporta la risoluzione di numerose problematiche che possono ostacolarne la riqualificazione e condizionarne profondamente il nuovo uso. Il testo si propone appunto di indagare nel dettaglio queste problematiche, arrivando ad una conoscenza approfondita delle stesse, così da costituire uno strumento utile per interventi di riqualificazione che, poiché note le difficoltà di trasformazione, più facilmente possono conseguire il successo delle iniziative stesse. Il testo si compone di tre parti. La prima parte “Il quadro di riferimento” si pone il fine di delineare, sia pur sinteticamente, il contesto nel quale le aree industriali dismesse si vanno ad inserire, specificando innanzitutto cosa si intenda per area dismessa, esponendo le cause della dismissione delle aree industriali, i riferimenti normativi relativi ed, infine, ripercorrendo, seppur brevemente, alcune esperienze di riqualificazione che si ritiene abbiano fatto “storia”, negli altri paesi (Emscher Park in Germania) e in Italia (la Bicocca a Milano e il Lingotto a Torino). La seconda parte “Per una conoscenza delle problematiche di riqualificazione delle aree industriali dismesse” analizza nel dettaglio le condizioni di ostacolo “fisico funzionali” delle aree (costo di bonifica dei terreni, assetto proprietario, valore storico-simbolico, destinazioni d’uso), arrivando a definire alcuni comportamenti che sono ricorrenti per finalità dichiarate delle operazioni (riconversione produttiva delle aree o realizzazione di nuove centralità urbane). La terza parte ”Per interventi di riqualificazione consapevoli”, dopo aver operato un breve bilancio delle condizioni fisico-funzionali, analizzate singolarmente nella parte precedente, ed illustrato, nel dettaglio, quelle di contesto (aspetti procedurali e gestionali della pubblica amministrazione e condizioni di mercato), si pone il fine di esporre sia pur sinteticamente, alcune prime considerazioni relativamente agli elementi che possono essere ritenuti strategici per il conseguimento del successo delle iniziative di riqualificazione delle aree, sia in relazione ad una concreta attuazione degli interventi che al successo delle operazioni. Metodologia sperimentale Al fine di arrivare ad una conoscenza approfondita delle diverse specifiche problematiche di riqualificazione delle aree, le condizioni fisico funzionali (costo di bonifica dei terreni, assetto proprietario, valore storico-simbolico, destinazioni d’uso), sono state indagate nel dettaglio

2

Page 3: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

ricorrendo a casi di studio che sono stati ritenuti particolarmente significativi e adatti a rappresentarle. I casi scelti afferiscono a diversi settori produttivi (chimico, tessile, metallurgico e meccanico), sono di diversa dimensione (dai 5,7 ha ai 120 ha), sono diversamente collocati nel territorio comunale, hanno diverso assetto proprietario (proprietà pubblica, privata, pubblico-privata), infine hanno diverso stato di trasformazione. Si “mettono insieme” quindi, casi molto diversi tra loro, con grandi difficoltà di gestione, nella volontà di censire il più possibile realtà diverse, nella consapevolezza del numero limitato dei casi di studio, che come sempre, non può garantire l’universalità delle situazioni. Come si è detto, fatta eccezione per l’area ex Breda (la cui trasformazione si è da poco conclusa), i casi di studio scelti sono per lo più in itinere; ciò allo scopo di seguire le aree nel tempo comprendendo così più facilmente gli accadimenti che via via hanno influenzato la loro trasformabilità e le condizioni che sono sopravvenute di ostacolo alla loro riqualificazione. I casi di studio scelti sono: l’area S.l.o.i a Trento, la Montecity Rogoredo a Milano, l’ex Michelin a Trento, l’ambito denominato 4.15 di P.R.G. Castello di Lucento a Torino, l’ex Cemsa Pirelli a Saronno, l’ex Montecatini Alumetal a Mori, l’ex Breda a Sesto San Giovanni. Le informazioni sono state reperite con documenti ed interviste dirette a persone privilegiate, (appartenenti alla categoria pubblica e privata) e sono state esposte in forma descrittiva e in tabelle, di facile lettura, per un agevole confronto tra interventi attuati in contesti diversi. Le tabelle si propongono innanzitutto di descrivere in modo piuttosto approfondito le aree, così da comprenderne le potenzialità e successivamente di individuare i meccanismi che hanno messo in moto la costruzione dell’interesse intorno all’area, descrivendo le diverse ipotesi di riqualificazione delle aree formulate nel tempo fino alla trasformazione in corso, particolarmente indagata. Dagli esempi di studio, è stato possibile definire alcuni comportamenti che sono “ricorrenti” per finalità dichiarate delle operazioni (riconversione produttiva e realizzazione di nuove centralità) ed infine, alcuni primi elementi che sono strategici per il conseguimento del successo delle iniziative di riqualificazione delle aree, sia in relazione ad una concreta attuazione degli interventi che al successo delle operazioni. (1) Carmela Gargiulo Rocco Papa Aree dismesse e processi di trasformazione urbana in Processi di trasformazione urbana e aree industriali dismesse: esperienze in atto in Italia. Atti dei convegni Audis 1999/2000 Edizioni Audis Venezia, 2001

3(2) Cristina Bianchetti Dismesse e sfruttate in Il Giornale dell’Architettura n°23 del novembre 2004

Page 4: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

4

Page 5: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Indice Parte prima - Il quadro di riferimento Capitolo 1° Le aree industriali dismesse: dopo la crisi, un’ identità nuova 1.1 L’area dismessa come risorsa 1.2 Le aree industriali dismesse 1.2.1 Le cause della dismissione 1.2.2 L’apporto normativo Capitolo 2° Le esperienze di riqualificazione che hanno fatto “storia” 2.1 La Ruhr settentrionale nella zona dell’Ems 2.2 Le esperienze in Italia 2.2.2 La Bicocca a Milano 2.2.3 Il Lingotto a Torino Parte seconda - Per una conoscenza delle problematiche di riqualificazione delle aree industriali dismesse Premessa Capitolo 3° Il costo di bonifica dei terreni 3.1 Introduzione 3.2 L’area S.l.o.i. a Trento (caso in itinere) Tabelle sintetiche Considerazioni critiche

Capitolo 4° L’assetto proprietario 4.1 Introduzione 4.2 L’area Montecity Rogoredo a Milano (caso in itinere) Tabelle sintetiche Considerazioni critiche 4.3 L’ex Michelin a Trento (caso in itinere) Tabelle sintetiche Considerazioni critiche 4.4 L’ambito Castello di Lucento a Torino (caso in itinere) Tabelle sintetiche

Considerazioni critiche 4.5 L’area Cemsa Pirelli a Saronno (caso in itinere) Tabelle sintetiche Considerazioni critiche

5

Page 6: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Capitolo 5° Trasformazione e conservazione: riuso e valori della memoria dell’area dismessa 5.1 Introduzione 5.2 L’area ex Breda a Sesto San Giovanni 5.2.1 Premessa 5.2.2 Sesto San Giovanni: da città delle tute blu a “città della comunicazione” 5.2.3 L’area ex Breda (ex CimiMontubi S.p.A) Tabelle sintetiche Considerazioni critiche 5.3 L’area ex Montecatini Alumetal a Mori (caso in itinere) Tabelle sintetiche Considerazioni critiche

Capitolo 6° Le destinazioni d’uso delle aree. L’inefficacia del piano in vigore ad affrontare problemi “nuovi” per la città 6.1 Introduzione 6.2 L’ambito Castello di Lucento a Torino (caso in itinere) Tabelle sintetiche Considerazioni critiche

Capitolo 7° Comportamenti ricorrenti nella costruzione dei processi di riqualificazione delle aree 7.1 Premessa 7.2 Le trasformazioni che hanno come finalità dichiarata delle operazioni “la riconversione produttiva delle

aree” 7.3 Le trasformazioni che hanno come finalità dichiarata delle operazioni “la realizzazione di una nuova

centralità urbana” Tabelle sintetiche

Parte terza - Per interventi di riqualificazione consapevoli

Capitolo 8° Considerazioni conclusive: dalle condizioni di ostacolo, i fattori strategici per il successo delle operazioni di trasformazione 8.1 Le condizioni fisico-funzionali 8.2 Le condizioni “di contesto” 8.2.1 Aspetti procedurali e gestionali della pubblica amministrazione 8.2.2 Le condizioni di “mercato” 8.2.2.2 La “mercantabilità” delle aree 8.2.2.3 La crisi del “mercato del riuso” 8.2.3 Le condizioni strategiche per la trasformazione delle aree 8.2.3.1 Le condizioni strategiche per una concreta attuazione degli interventi 8.2.3.2 Le condizioni strategiche per il successo delle operazioni di trasformazione delle aree Allegati Proposta dell’Audis di alcune modifiche al D.M. 471/99

6

Page 7: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

7

Page 8: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Parte prima - Il quadro di riferimento Capitolo 1° Le aree industriali dismesse: dopo la crisi, una identità nuova 1.1 L’area dismessa come risorsa Sotto la comune denominazione “area dismessa”, generalmente si fanno confluire aree in disuso del tutto diverse tra loro, in origine occupate da ogni genere di attività, successivamente, a produzione esaurita, di nuovo libere e disponibili ad accogliere altre funzioni rispetto a quelle svolte in precedenza. Sono quindi aree dismesse: le aree in origine occupate da attività industriali (generalmente di proprietà privata), le aree in precedenza occupate da attrezzature di uso pubblico (aree ferroviarie, scali e depositi, inefficaci all’adeguamento alle nuove tecnologie introdotte in campo ferroviario), gli edifici che nel passato hanno ospitato le funzioni introdotte dalla città ottocentesca (attrezzature carcerarie, mercati, macelli comunali, edifici militari), le aree produttive e gli edifici legati all’agricoltura, divenuti dismessi per l’introduzione di nuove tecnologie in campo agricolo. Dalla variegata articolazione delle aree dismesse, deriva, in genere, una loro forte presenza all’interno del territorio comunale, e conseguentemente una maggiore loro rilevanza rispetto al passato. Al sorgere del problema, negli anni ’70 e ’80, le aree dismesse sono state considerate “ferite urbane” da saturare e oggetto di sperimentali politiche per progetti rivelatisi poi del tutto inadeguate. Negli anni successivi, gli insuccessi registrati da queste politiche hanno sollecitato la necessità di “basare il riuso delle aree dismesse su progetti di città e strategie urbane consensuali, flessibilmente riferite alle dinamiche del contesto e capaci di mobilitare gli interventi pubblici necessari a sostegno ed integrazione dell’iniziativa degli operatori”(1). Ai giorni nostri, è ormai consolidato “l’orientamento ad utilizzare più ampliamente ed organicamente le aree dismesse ai fini della riqualificazione urbana, spesso in un’ottica di marketing urbano e territoriale o comunque in strategie competitive di livello internazionale”(1). Nelle nostre città, “le aree dismesse, a causa della loro dimensione (spesso notevole), della loro ubicazione (spesso centrale o semicentrale) e della loro proprietà (spesso in mano ad uno solo o a pochi soggetti, pubblici o privati, comunque capaci di influire sulle politiche urbane e territoriali), costituiscono sempre più una risorsa fondamentale per qualunque politica di trasformazione, sia essa rivolta ad accrescere la competitività e l’appeal della città e a stimolare gli investimenti, e quindi a migliorare ed arricchire l’offerta urbana e la qualità ambientale, sia essa rivolta a favorire processi di reindustrializzazione o d’innovazione economico-produttiva”(1). Si è ormai concordi nel ritenere che anche le aree abbandonate da attività industriali conservino valori, potenzialità e contenuti. “In altre parole, alle aree dismesse è stata riconosciuta una propria identità e un proprio valore che permane nonostante il fenomeno dismissione e che può essere legato a fattori di tipo storico-architettonico o fisico-funzionali, economici o sociali, culturali o ambientali”(2). Ad una prima analisi sommaria, la riqualificazione urbana è stata avviata in Europa e poi in Italia secondo linee diverse di intervento. Nelle grandi città industriali, come Torino e in misura minore a Sesto San Giovanni e Porta Marghera, la ristrutturazione di interi settori produttivi ha generato gravi crisi sociali e di identità, ma ha costituito anche l’occasione per avviare grandi interventi urbanistici nel cuore delle città, rendendole di nuovo competitive e dando loro diverse prospettive di sviluppo. Ancora, in città caratterizzate dall’industria ma dinamiche dal punto di vista economico, al centro di solide e vivaci attività, con conseguente forte immigrazione, come le città medio-grandi (con numero di abitanti superiore a 50.000), dell’Emilia Romagna, la ristrutturazione delle imprese o dei comparti industriali non ha trasformato il carattere di queste città, che salvo poche eccezioni, non sono divenute tecnopoli, parchi scientifici o tecnologici o centri avanzati di ricerca, ma si sono arricchite dei servizi, delle infrastrutture e del verde che a loro necessitavano. Infine, la riqualificazione

8

Page 9: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

della Ruhr e quella (ancora in itinere) di Bagnoli sono rappresentative di una trasformazione con fini quasi esclusivamente ambientali. 1.2 Le aree industriali dismesse 1.2.1 Le cause della dismissione Le cause della dismissione degli impianti, dal primo verificarsi del fenomeno ad oggi, pur derivando da motivazioni diverse, sembrano rientrare tutte all’interno di due categorie, e dipendere quindi da una crisi che può investire l’attività produttiva dello stabilimento (che può riguardare il prodotto o il processo produttivo), o da una crisi che dipende unicamente dal fattore localizzazione dell’impianto. La crisi “di prodotto” deriva dall’esaurirsi da parte del mercato, della domanda di quel determinato bene e dall’incapacità o impossibilità dell’impianto di rispondere in tempi brevi alla nuova domanda con una nuova offerta, più compatibile alle nuove richieste del mercato. Più frequente forse del caso precedente, una dismissione delle aree per crisi dell’attività produttiva dovuta ad una crisi del processo produttivo dell’impianto, con conseguente sua riduzione di produttività. Per diversi motivi: per un particolare clima sociale che si è venuto a creare al suo interno, nell’ipotesi, che può essere stata ventilata, di una possibile chiusura dell’impianto; per l’obsolescenza tecnologica dello stesso, che lo ha reso non più competitivo, con altri dotati invece di un know-how tecnologico molto avanzato, obsolescenza che può averlo reso anche non più sicuro, e possibile responsabile di incidenti anche di una certa rilevanza. Ed, infine, per la decisione dei proprietari di riconvertire le attività produttive in altro modo, come si è verificato negli anni ’80 in Europa (a Barcellona, Manchester e Liverpool) e in Italia (a Torino) dove molte aree industriali sono state riconvertite in senso terziario. Anche la dismissione delle aree per una crisi di localizzazione può derivare da diverse motivazioni. Per il basso costo del lavoro in alcuni paesi rispetto ai paesi industrializzati, che nel caso di imprese a produzione intensiva, può far propendere per un trasferimento degli impianti in altri siti ora che, ai giorni nostri, le innovazioni tecnologiche e l’evoluzione dei mezzi di trasporto svincolano le industrie dalla necessità di doversi collocare in prossimità delle fonti di energia e di materie prime. Ancora, per gli alti costi che l’aggiornamento tecnologico degli impianti comporta (notevolmente superiori a quelli di realizzazioni ex novo), che possono far propendere per l’abbandono dei vecchi impianti e la realizzazione dei nuovi in altro sito (come per l’ex Michelin a Trento). Infine, per previsioni di piano di ampliamento alla viabilità esistente (che ai tempi dell’insediamento dell’impianto, ne hanno fatto ritenere idonea la sede) e successivamente mai realizzate. O, al contrario, per previsioni di piano che, ai fini di una maggiore vivibilità del contesto consolidato, anche se ancora produttive, decretano lo spostamento delle attività in altra sede (come nel caso dell’ambito 4.15 di P.R.G. Castello di Lucento a Torino). 1.2.2 L’apporto normativo Il Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n°22 “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi” (Decreto Ronchi) e il decreto ministeriale attuativo, D.M. 25 ottobre 1999 n°471 “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino dei siti inquinati, ai sensi dell’art.17 del D.L. 5 febbraio 1997 n°22 e successive modificazioni ed integrazioni” costituiscono la nuova disciplina “per la gestione dei rifiuti, dei rifiuti pericolosi, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi” (art.1, comma 1 D.L. 22/97), “al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente” (art.2, comma 1 D.L. 22/97), sopperendo alle carenze di contenuto dei precedenti decreti approvati fino alla metà degli anni ’90, che hanno comunque stanziato notevoli risorse per la bonifica delle aree inquinate.

9

Page 10: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tra le innovazioni introdotte dal Decreto Ronchi: la prevenzione della produzione dei rifiuti attraverso l’adozione da parte delle autorità competenti, ciascuna nell’ambito delle proprie attribuzioni, di iniziative dirette a tal fine (ricorso a tecnologie pulite, che consentano il risparmio delle risorse naturali, la messa a punto tecnica e l’immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non contribuire o da contribuire il meno possibile, per la loro fabbricazione, il loro uso o il loro smaltimento, ad incrementare la quantità, il volume, e la pericolosità dei rifiuti ed i rischi di inquinamento, la promozione di accordi e contratti di programma finalizzati alla prevenzione e alla riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti), (art.3); la certezza di significato attribuita ai termini più ricorrenti nella gestione dei rifiuti (come i termini “produttore”, “detentore”, “gestione”, “raccolta”, “raccolta differenziata”, “recupero”, “luogo di produzione”, “stoccaggio” e “deposito temporaneo”) (art.6); l’attribuzione a carico di detentori e produttori degli oneri relativi alle attività di smaltimento (art.10). Ma le innovazioni più consistenti del Decreto Ronchi, direttamente pertinenti lo studio in oggetto, consistono nell’introduzione del concetto di responsabilità del danno (art. 14) e nella bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati (art.17). Nell’art.14, il Decreto vieta “l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo o nel suolo” (comma 1) e “l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee” (comma 2), disponendo al comma successivo che “fatta salva l’applicazione delle sanzioni” (penali) di cui agli articoli 50 e 51, “chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2, è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti e al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa”. Ma anche a titolo accidentale, stabilendo all’art.17, che chiunque cagiona anche non volendo, “il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a” (i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti, che verranno definiti dal decreto ministeriale attuativo 471/99), “ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento” (comma 2). Sempre all’articolo 17, il Decreto Ronchi stabilisce che con apposito decreto attuativo (il D.M. 471/99 appunto), verranno definite anche le procedure di riferimento per il prelievo e l’analisi dei campioni, i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino dei siti inquinati, nonché per la redazione dei progetti di bonifica. Ancora, il Decreto legislativo stabilisce che divengono di competenza delle Regioni, “l’elaborazione, l’approvazione e l’aggiornamento dei piani per la bonifica di aree inquinate” (art.19, comma 1), Regioni sollecitate “ai fini della predisposizione di questi piani, e nei limiti delle loro disponibilità finanziarie, ad aggiornare il Censimento dei siti potenzialmente contaminati “entro un anno dall’entrata in vigore del presente regolamento” (art.16, comma 2 D.M. 471/99). Le Regioni sono poi obbligate, sempre nello stesso lasso di tempo, a predisporre l’Anagrafe dei siti da bonificare, che deve contenere “l’elenco dei siti da bonificare, l’elenco dei siti sottoposti ad interventi di bonifica e ripristino ambientale, di bonifica e ripristino ambientale con misure di sicurezza, di messa in sicurezza permanente, nonché degli interventi realizzati nei siti medesimi” (art.17, comma 1 decreto ministeriale). “A seguito dell’inserimento di un sito nell’Anagrafe dei siti da bonificare”, la Regione deve darne “comunicazione al Comune, che diffida il responsabile dell’inquinamento ad avviare la procedura di interventi di messa in sicurezza, dandone comunicazione al proprietario del sito. Qualora il responsabile dell’inquinamento non sia individuabile e il proprietario del sito non avvii la procedura medesima, il Comune o la Regione provvedono a realizzare d’ufficio gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale secondo l’ordine di priorità fissati dal Piano regionale per la bonifica delle aree inquinate” (art.17, comma 3 D.M. 471/99). “Il Ministro dell’Ambiente dispone … la mappatura nazionale dei siti oggetto dei

10

Page 11: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

censimenti e la loro verifica con le regioni (art.17 comma 1 bis D.L. 22/97), mappatura che si è completata solo con le leggi successive (L. 9 dicembre 1998 n°426 “Nuovi interventi in campo ambientale”, D.M. 18 settembre 2001 n° 468 Regolamento recante “Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale”, L. 388/2000 e L. 179/2002 “Disposizioni in materia ambientale”, in particolare art.18 Attuazione degli interventi nelle aree da bonificare). Infine, “i progetti relativi ad interventi di bonifica di interesse nazionale sono presentati al Ministero dell’Ambiente e approvati… con decreto del Ministro dell’Ambiente, di concerto con i Ministri dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato e della Sanità, d’intesa con la Regione territorialmente competente (art.17 comma 14 D.L. 22/97). Rispetto alla normativa precedente, il Decreto Ronchi ha indubbiamente costituito un notevole passo in avanti nella gestione delle problematiche legate alla bonifica dei siti contaminati, soprattutto in relazione alle reali possibilità di intervento a tutela del territorio, acquisite, con il Decreto, dagli enti di governo e di controllo. Nel tempo, esso ha rivelato però alcune rigidità e debolezze. In alcuni casi, le rigide classificazioni dei limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, stabilite dal Decreto attuativo, hanno fatto propendere per la messa in sicurezza di alcuni siti piuttosto che per la bonifica degli stessi, con conseguente apposizione di consistenti vincoli al riuso di questi territori. Pertanto, sulla base delle esperienze di riqualificazione di aree dismesse, nel frattempo compiute e degli studi via via elaborati, da più parti è stata esplicitata la richiesta di rivedere i limiti tabellari del decreto ministeriale. L’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa), della Regione Lombardia ha proposto di riequilibrare i limiti tabellari “anche mediante l’ausilio di un’analisi di rischio “sito specifica”, non solo per la valutazione delle opere di messa in sicurezza ma anche per il “cut off” delle azioni di bonifica“(3). L’Associazione nazionale aree dismesse (Audis), ha proposto di considerare i limiti tabellari non come limiti assoluti ma come “valori tendenziali e non tassativi”(4). L’Audis ha espresso anche altre osservazioni al Decreto. Tra queste, una riguarda le procedure per i nulla osta degli interventi (art.17, comma 14), sostenendo che “una procedura che veda partecipi tutti i livelli amministrativi previsti dalla Costituzione, per di più attraverso organismi molteplici (p.e. tre ministeri che devono firmare i nulla osta per gli interventi), ai quali si aggiungono altri soggetti titolati (attività portuali, magistrature, rappresentanze delle parti sociali) è una procedura destinata al sicuro fallimento e di certo non favorisce il processo di bonifica”(4). Sostiene ancora la necessità di “ridurre i passaggi e fare sì che ciascun soggetto svolga il ruolo che gli è proprio nei tempi che gli sono propri, evitando la sovrapposizione e la reiterazione dei controlli”(4). Ancora, l’Arpa ha mosso delle osservazioni al Decreto ministeriale relativamente alle garanzie che esso prevede debbano essere richieste per l’esecuzione delle opere di bonifica e il risarcimento dei costi sostenuti (nel caso che le opere siano eseguite dall’Ente pubblico). Sulla base di esperienze di riqualificazione di aree dismesse già concluse, l’Arpa ha sostenuto infatti che la richiesta di due garanzie, una di carattere reale (gravame sulle proprietà) e una di carattere finanziario (fideiussione a favore della Regione in sede di approvazione del progetto definitivo di bonifica), previste dal D.L. all’art.17, comma 10, in taluni casi hanno determinato la chiusura delle attività produttive e la dismissione delle aree, con conseguente sostituzione degli Enti pubblici ai privati nella realizzazione delle attività di bonifica. Negli anni successivi, la L. 31 luglio 2002, n°179 “Disposizioni in materiale ambientale” ha incentivato la bonifica e il recupero ambientale dei siti contaminati di interesse nazionale ad opera di soggetti privati. La legge sostiene che “al fine dell’attuazione degli interventi di bonifica da porre in essere nei siti di importanza nazionale individuati ai sensi della legge 9 dicembre 1998 n°426, il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, alternativamente alle procedure ordinarie,…. individua sulla base dei progetti preliminari integrati di bonifica e sviluppo presentati dai soggetti concorrenti, con procedure di evidenza pubblica, ….il soggetto al quale affidare le attività di bonifica e di riqualificazione delle aree interessate (art.18, comma 1). “Al fine di garantire al soggetto affidatario il recupero dei costi di esproprio, bonifica e riqualificazione delle aree, nonché il congruo utile di impresa, il

11

Page 12: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

soggetto affidatario può disporre delle aree bonificate utilizzandole in proprio, in concessione o cedendole a terzi”. Al pari della legge nazionale, anche alcune legislazioni regionali (come la L. Regione Lombardia n°26 del 12/12/2003), hanno incentivato la bonifica e il recupero ad opera di privati, di siti contaminati in territorio regionale. (1) Roberto Gambino Aree dismesse. Da problemi a risorse in Se i vuoti si riempiono. Aree industriali dismesse: temi e ricerche Alinea editrice Firenze, 2001 (2) Carmela Gargiulo Rocco Papa Aree dismesse e processi di trasformazione urbana in Processi di trasformazione urbana e aree industriali dismesse: esperienze in atto in Italia. Atti dei Convegni Audis 1999/2000 Edizioni Audis Venezia, 2001 (3) G Sgorbati, N. Dotti, R. Racciatti, G. Campilongo (a cura di) Aree industriali dismesse. Tra rischio ambientale e occasione di riqualificazione del territorio. Arpa Regione Lombardia 2003

(4) Audis Proposta di alcune modifiche al D.M. 471/99 in www.audis.it/tematiche

12

Page 13: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Capitolo 2° Le esperienze di riqualificazione che hanno fatto “storia” 2.1 La Ruhr settentrionale nella zona dell’Ems Premessa Nel secolo scorso, e per diversi decenni, il distretto minerario e siderurgico della Ruhr ha costituito il cuore industriale dell’Europa. Negli anni ’70 è entrato in crisi perché obsoleto dal punto di vista tecnologico. Negli anni ’90, la situazione era così documentata: “nuove tecnologie rendono obsoleti i vecchi gasometri, le torri dell’acqua, gli impianti di depurazione; nuove politiche dei trasporti svuotano i vecchi porti, i silos, i magazzini, le stazioni merci e di manovra; nuove esigenze sociali (la struttura demografica e la piramide delle età) impongono il riuso di piscine e asili nido e la riorganizzazione dei servizi sanitari; nuove congiunture politiche chiedono il ripensamento o la rilocalizzazione di apparati amministrativi, religiosi e militari”(1). Il paesaggio della Ruhr appariva allora come “una pluralità di città intessute l’una nell’altra”(2), mai divenute vere città, un paesaggio deturpato anche dallo sfruttamento agricolo, con i segni della lavorazione a maggese, dell’abbandono dei detriti e delle superfici residue, un sistema infrastrutturale realizzato al fine di soddisfare le esigenze dell’industria estrattiva senza più importanza economica, “canali navigabili per il trasporto di beni di consumo, più di 50 porti… serbatoi di gas sospesi, condutture, centrali elettriche paralizzate, depositi dei tram vuoti e resti di rotaie…”(2). Nella Ruhr, come nelle regioni di vecchia industria, sono state esasperate o anticipate tendenze che altrove, nel mondo, erano ancora latenti. Come queste regioni, in passato hanno imposto o diffuso il modello di urbanizzazione della città industriale, così successivamente sono state “il campo di sperimentazione di nuove crisi di crescenza e di nuove forme di sviluppo”(1). La riqualificazione della Ruhr costituisce quindi un’esperienza fondamentale per le aree dismesse che successivamente ad essa sono state riqualificate, un’esperienza dalla quale non è possibile prescindere, perché essa rappresenta la crisi di un modello urbano articolato e complesso, legato ad una era tecnologica ormai trascorsa. La riqualificazione dell’area La riqualificazione della Ruhr ha avuto il suo avvio nel 1989, con l’approvazione da parte della Giunta regionale della North Rhine-Westphalia, in linea con le precedenti esposizioni internazionali di architettura di Berlino (1957 e 1977), del programma decennale dell’IBA Emscher Park, una società consociata a responsabilità limitata di proprietà della Regione, che doveva porsi gli obiettivi fissati dalla Regione in un memorandum: sviluppo urbano, misure sociali, culturali ed ecologiche, per la trasformazione economica del territorio. La trasformazione urbanistica dell’IBA si è posta come finalità la rigenerazione del paesaggio industriale, con la creazione di un grande parco lungo il bacino del fiume Emscher, che attraversa in diagonale tutta la Regione da Sud Ovest a Nord Est. Il progetto persegue la qualità dello spazio insediativo, considerata motore dello sviluppo economico e sociale. In questi anni, le condizioni ambientali del fiume sono disastrose, essendo utilizzato come canale di drenaggio degli scarichi industriali dell’area e l’ambizioso obiettivo dell’IBA di farne il segno direttore naturale di un grande parco fatto di terre contaminate e abbandonate, comporta problematiche di non facile soluzione. Complessivamente, nel decennio 1990-2000, sono stati realizzati 120 interventi, con le seguenti finalità: riattribuzione di significato al paesaggio industriale; rinaturalizzazione del sistema del fiume Emscher; sviluppo di localizzazioni commerciali di alta qualità; costruzione e modernizzazione di programmi residenziali e riconversione di monumenti industriali a usi nuovi. Per la realizzazione degli interventi, non sono stati utilizzati fonti di finanziamento straordinarie, ma programmi esistenti di aiuti alla Regione, programmi statali di aiuti

13

Page 14: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

economici (programmi ordinari per il rinnovo urbano, aiuti alle imprese e alla residenza), fondi comunitari. Gli investimenti complessivi sono stati di 5 mld. di marchi, dei quali 2/3 da fonti di finanziamento pubblico e 1/3 da fonti di finanziamento privato. 2.2 Le esperienze italiane 2.2.1 La Bicocca Premessa “Tra i progetti per la trasformazione delle aree industriali, o dismesse, quello della Bicocca è il caso più conosciuto. Anzi, è possibile affermare che sia stato il caso trainante di tutta una serie di trasformazioni, la cui portata non è ancora oggi definibile con esattezza”(3). La riqualificazione della Bicocca ha contribuito a scrivere la “storia” delle aree dismesse per diversi motivi: non costituisce forse la prima area ad essere riqualificata in Italia o in Europa, ma certamente rappresenta il primo caso in cui, stipulato nel 1985 un protocollo di intesa con l’Amministrazione comunale per la realizzazione di un polo tecnologico, si è utilizzato un Concorso internazionale per raccogliere proposte sul nuovo assetto dell’area e conseguentemente sulla città che la contiene. Al Concorso della Bicocca (indetto dalla società proprietaria dell’area, la Pirelli), seguirà subito dopo, quello del Lingotto. Inoltre, la Bicocca costituisce una situazione del tutto nuova, rispetto ad altre aree già trasformate, poiché è una delle poche “parti di città” del nostro territorio che è frutto di un’unica progettazione e realizzazione, avendo Vittorio Gregotti per essa eseguito sia il progetto urbanistico che la progettazione e realizzazione di quasi tutti gli interventi, comprese le sistemazioni degli spazi pubblici (eccezione fatta per la sede della Deutsche Bank, opera di Gino Valle). La riqualificazione dell’area Il Concorso per la Bicocca è stato vinto dallo Studio Gregotti e Associati. La conseguente Variante al P.R.G. (del 1980), che si è resa necessaria, ha nuovamente destinato l’area a “zona speciale Z4 di recupero urbanistico”, definendo pochissimi parametri, genericamente riferibili a funzioni attinenti al polo tecnologico. Il progetto di Gregotti per la Bicocca è “un atto di ricostruzione della città esistente ma ancor più un consapevole contributo alla configurazione dell’area metropolitana. Non solo centro storico di periferia, ma nucleo propulsore per il riordino dell’area metropolitana del Nord Milano”(4). Tende a configurarsi come “un contributo ad una Milano policentrica nel senso dei caratteri, dell’identità e dell’articolazione urbana sia morfologica che di uso che essa aspira ad offrire, del poter ritrovare con il suo disegno una naturale continuità di scala e di orientamento con le relazioni e i vantaggi della città consolidata”(5). Il progetto si caratterizza per una forte immagine urbana, ottenuta con il ricorso ad un solido reticolo di strade e decise regole di impianto (allineamento stradale degli edifici, uniformità delle altezze, coronamento conforme, parcheggi sotterranei), che contrasta con l’eterogeneità della città periferica, per la complessità degli spazi interni “la frequente intersecazione dei volumi delle attività e dei livelli di percorrenza contribuisce ad arricchire di sorprese spaziali e percorrenze pedonali interne”(6), per la frammistione delle funzioni (attività di ricerca e formazione, residenza, uffici, centro congressi, biblioteca) senza zonizzazioni funzionali, nel senso che la residenza è circondata da ricerca, università e centro congressi e così reciprocamente per ogni altra funzione. Ma il progetto ha anche un limite, che gli deriva dall’elevato indice di edificabilità territoriale concordato tra Comune e società proprietaria, recepito dalla Variante al P.R.G. del 1987, che il progetto cerca di risolvere al meglio ma che pesa sull’esito finale. Esso, più che doppio di quello proposto sull’area Montecity Rogoredo, “non consente di recuperare grandi spazi aperti ma di raggiungere appena, interrando i parcheggi degli insediamenti direzionali, la quota minima degli standard urbanistici…. Un indice come quello utilizzato impedisce qualsiasi forma concreta di sostenibilità dell’intervento e il risultato non può che essere quello visibile, di un insediamento dai forti connotati urbani, che si staglia

14

Page 15: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

dai pur densi tessuti circostanti per occupazione del suolo e dimensione degli edifici e che restituisce poco agli stessi tessuti in termini di qualità ambientale”(6). 2.2.2 Il Lingotto a Torino Premessa La lunga e complessa trasformazione del Lingotto, avviata negli anni 1983-84 e recentemente conclusasi (nel 2003), è una delle prime esperienze di aree dismesse riqualificate in Italia. Si verifica in un momento piuttosto particolare per la nostra pianificazione, nel quale si confrontano due modi diversi di procedere: il tradizionale piano regolatore e le nuove possibilità offerte dalla pianificazione contrattata e strategica, definita in base alle convenienze pubbliche e private. La trasformazione del Lingotto avviene in un momento piuttosto particolare anche per la nostra economia, che vede il definitivo tramonto di un’epoca basata sull’organizzazione fordista dell’impresa, dopo decenni in cui la città è stata capitale della produzione industriale. Ancora, l’elevato valore storico dell’edificio, vincolato dal Ministero dei Beni culturali (nel 1986) nelle sue parti più insigni (pista, rampa elicoidale, tetto, maglia strutturale) e conseguentemente, il valore simbolico della struttura, hanno determinato ulteriori problematiche, in relazione alla necessità di attribuire all’edificio destinazioni d’uso consone e compatibili con le sue caratteristiche anche dimensionali. Le Corbusier, nel suo libro “Vers une architecture”, lo definisce uno degli spettacoli più imponenti forniti dall’industria, essendo lungo 500 metri e alto 5 piani. Il valore storico, simbolico e sociale della struttura e, di contrasto, il basso prezzo stimato di mercato, nella terza fase della sua riqualificazione (anni 2000-2003), hanno costretto ad optare per funzioni commerciali, inizialmente non prese molto in considerazione, sottovalutando le loro potenzialità economiche. Quanto detto fa ritenere il Lingotto un esempio di riqualificazione dal quale non è possibile prescindere, avendo esso attraversato, nel cammino verso la sua trasformazione, tre fasi (e tre cantieri), ciascuno delle quali ha lasciato un suo segno nella struttura. La riqualificazione dell’area Nel 1982, con la cessazione dell’attività produttiva alla Fiat-Lingotto, fabbricato progettato e realizzato dall’Ingegnere Mattè Trucco tra il 1917 e il 1925, si è resa disponibile un’area di 18 ha circa, confinante con un’altra, liberabile, di 40 ha, occupata dallo scalo merci delle Ferrovie dello Stato. La potenzialità delle aree nei confronti del territorio urbano si è resa subito evidente. Per le caratteristiche stesse delle aree: per la loro notevole dimensione, per la posizione strategica lungo l’asse longitudinale e ferroviario Centro-Sud della città, per l’elevato valore storico, culturale e simbolico (soprattutto del Lingotto). “Torino disponeva in quel momento di un grande potenziale fondiario -del quale il Lingotto faceva parte integrante-, una grande spina centrale, lunga 4km, compresa tra importanti quartieri residenziali al confine Sud del sistema urbano”(6). La trasformazione dell’area ha avuto il suo avvio negli anni 1983-84, anni in cui Torino ha perduto definitivamente la sua vocazione industriale pura. Nel 1983 è stato indetto un Concorso internazionale, al fine di identificare contesti d’uso coerenti con l’ambito urbano e con le dimensioni eccezionali del fabbricato. Vi parteciparono venti progettisti di fama internazionale. Stirling, Hans Hollein e Johansen hanno proposto di collocarvi un museo, Schein un laboratorio per l’edilizia industrializzata, Gabetti & Isola il Politecnico, Gae Aulenti residenze, Sartogo un parco tecnologico. Il progetto vincitore, di Renzo Piano, prevede un utilizzo polifunzionale dell’area. Il suo progetto costituisce un compromesso tra coloro che prendono in considerazione l’intera area ferroviaria e coloro che non se ne occupano affatto: si appropria solo del fascio di binari che è di pertinenza dell’officina Fiat: un’ipotesi realistica e sufficiente a dare respiro al nuovo Lingotto. Dimostra che si può rinunciare ad ogni intervento strutturale sull’esistente, cambiandone in modo totale le funzioni e quindi la vita, solo con aggiunte “leggere”. Nel 1984, Renzo Piano osservava: “il recupero

15

Page 16: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

sarà un recupero progressivo, nel tempo, lungo. In sostanza, sono convinto che saranno soltanto le energie e le sinergie, mano mano che si manifesteranno, a creare le possibilità di riempire il Lingotto di attività…Questo edificio sarà per tanti, tantissimi anni una sorta di cantiere…” Il progetto preliminare prevede: l’Incubator d’impresa (una struttura con ruolo propulsivo nei confronti della riconversione produttiva) nell’ex centro presse; una serie di funzioni (dall’artigianato alla residenza) nell’ex settore officine; servizi al piano terra e attività commerciali al piano primo. I quattro cortili vengono adibiti rispettivamente a verde, piazza pedonale, pista di pattinaggio su ghiaccio e serra. Il museo della tecnologia e la fondazione Agnelli trova posto all’interno della palazzini uffici. Nel marzo del 1985, per definire la fattibilità del progetto, il Comune ha affidato ad un gruppo interdisciplinare, costituito dallo stesso Renzo Piano, dall’economista G. De Rita e dal sociologo Guiducci, lo “Studio di Fattibilità per le aree del Lingotto, delle Dogane e dei mercati generali”. Nel 1987, è stata approvata la versione definitiva dello Studio, espressa la necessità di elaborare un Piano particolareggiato per tradurre le ipotesi di riuso formulate dallo Studio, costituita la società mista di gestione e infine fissato il prezzo di cessione del Lingotto (35 mld. di vecchie lire). Nell’ottobre del 1988 è stato approvato il Piano particolareggiato e avviato l’iter burocratico di approvazione della Variante al P.R.G.C. Il Piano particolareggiato sostiene che tra le funzioni individuate si pongono in modo prioritario il Centro fieristico espositivo e il Centro Congressi, il cui sviluppo e potenziamento sono peraltro promossi anche dalla Regione Piemonte, che di recente ha approvato la Legge 47/87 sulla “Disciplina delle attività fieristiche” e la Legge 27/87 sulla “Programmazione degli interventi per lo sviluppo dell’offerta turistica. L’analisi dell’intero processo di trasformazione conduce ad identificare tre fasi temporali, che corrispondono a tre grandi cantieri. Nella prima fase (1991-1992), è prevalsa la logica monofunzionale ancora legata al settore dell’auto e al tentativo di mantenere a Torino il salone annuale e la funzione fieristica. In questi anni, è stato realizzato il Centro Fiere, il cui costo è stato di 100 mld. di vecchie lire. Nella seconda fase (1993-1999), sono cominciate ad evidenziarsi divergenze tra le ipotesi economiche finanziarie contenute nello Studio di Fattibilità e i riscontri in termini di costi-ricavi degli interventi e dei possibili futuri rientri di cassa. In questi anni, alcuni avvenimenti hanno condizionato pesantemente il destino della fabbrica, come la decisione dell’Università di Torino di non insediarvi più il polo delle facoltà scientifiche, il cambiamento di ruolo della città, la crisi della Fiat e il conseguente suo indebolimento all’interno della società di gestione. “Questo appare, a posteriori come uno dei momenti di svolta dell’intera vicenda, poiché di fatto, escluse le fiere e i congressi, stanno saltando, ad una ad una, le funzioni originariamente integrate all’interno del mix programmato: prima l’Incubator e poi l’Università”(6). Dal 1995 al 1999 sono stati realizzati il Cento Congressi, l’Auditorium, gli uffici, l’hotel da 244 camere, parte dei parcheggi e aree verdi, con un costo di 250 mld. di vecchie lire. Nella terza fase (2000-2003), gli azionisti sono stati costretti a sostenere finanziariamente la Società Lingotto S.p.A, che nel frattempo ha mutato denominazione, e ad approvare nuove destinazioni, conformi al Piano Particolareggiato ma più idonee, rispetto alle precedenti, a rendere variegata e differenziata l’offerta in loco assicurando i rientri di cassa necessari ad alleggerire una situazione finanziaria divenuta pesante. In questi anni, hanno trovato sede nell’area strutture universitarie del Politecnico, dell’Università di Torino e sono stati realizzati una foresteria comunale, una multisala cinematografica, una galleria commerciale. “In altre parole, viene recuperata la funzione commerciale, alla quale era stato attribuito un ruolo secondario, sottovalutandone le potenzialità economiche ed attrattive”(6).

16

Page 17: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

(1) Marco Venturi La deindustrializzazione nella Ruhr in Rassegna n°42 del 1990 (2) Peter Zlonicky La ricostruzione del paesaggio della Ruhr in Rassegna n°42 del 1990 (3) Luca Basso Peressut, Ermanno Ranzani in Francesco Indovina (a cura di) La città di fine millennio Studi urbani e regionali Hoepli (4) Augusto Cagnardi in Casabella n°626 del 1995 (5) Vittorio Gregotti in Casabella n°626 del 1995 (6) Federico Oliva L’Urbanistica di Milano Hoepli 2002 (6) Sonia Araldi, Marina Bravi, Riccardo Roscelli Trasformazione di grandi strutture: il caso dello stabilimento Fiat-Lingotto a Torino in La selezione dei progetti e il controllo dei costi nelle riqualificazioni urbane e territoriali. Alinea settembre 2004

17

Page 18: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Parte seconda - Per una conoscenza delle problematiche di riqualificazione delle aree industriali dismesse Premessa Nello studio in oggetto, le condizioni “fisico-funzionali” che influenzano la trasformabilità e che ostacolano la riqualificazione delle aree industriali dismesse, sono condizioni interne e specifiche delle aree. Sono quindi condizioni ”fisico-funzionali”: il costo di bonifica dei terreni, l’assetto proprietario, la presenza all’interno delle aree di beni di elevato valore storico e simbolico, le destinazioni d’uso delle stesse. Ciascuna di queste condizioni è stata indagata separatamente, ricorrendo a casi di studio ritenuti particolarmente significativi ed emblematici di quella particolare problematica. I casi scelti afferiscono a diversi settori produttivi (chimico, tessile, metallurgico e meccanico), sono di diversa dimensione (da 5,7 ha a 120 ha), sono diversamente collocati nel territorio comunale, hanno diverso assetto proprietario (proprietà pubblica, privata, pubblico-privata). Sono per lo più casi in itinere: ciò ha consentito di seguire le aree nel tempo comprendendo gli accadimenti che via via hanno influenzato la loro trasformabilità e le condizioni che sono sopravvenute di ostacolo alla loro riqualificazione. Ciò costituisce anche il limite dello studio, che rimane fermo nel tempo a registrare le condizioni di trasformazione delle aree nel momento in cui le informazioni hanno smesso di essere raccolte (dicembre 2004). I casi di studio scelti sono: l’area S.l.o.i a Trento, la Montecity Rogoredo a Milano, l’ex Michelin a Trento, l’ambito denominato 4.15 di P.R.G. Castello di Lucento 2 a Torino, l’ex Montecatini Alumetal a Mori. L’ex Breda a Sesto San Giovanni è l’unico caso di area dismessa con trasformazione conclusa. Ogni caso è stato indagato diffusamente, così da comprendere i motivi che hanno portato alla costruzione dell’interesse intorno all’area e messo in moto la sua trasformazione. Di ogni caso si è cercato di comprendere: le cause che hanno portato alla dismissione dell’attività produttiva, le caratteristiche dell’area (per comprenderne le potenzialità), i fattori che hanno condizionato le scelte e le possibili diverse ipotesi di riqualificazione formulate nel tempo. Le informazioni raccolte sono state organizzate in tabelle di facile lettura, che consentono un agevole confronto tra i diversi casi analizzati, e sono state esposte anche in forma descrittiva, facendo concludere lo studio di ciascun caso con le considerazioni critiche che da esso si potevano trarre.

18

Page 19: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Capitolo 3° I costi di bonifica e le convenienze economiche delle operazioni di trasformazione 3.1 Introduzione Tra le condizioni che influenzano la trasformabilità delle aree industriali dismesse, i costi di bonifica hanno un ruolo davvero preminente. Sono funzione del tipo di attività originariamente svolta e delle misure assunte a salvaguardia dell’ambiente, che riflettono la cultura e sensibilità dei proprietari delle aree nei confronti delle problematiche ambientali. In casi estremi, se le aree sono state occupate da attività ad alto impatto e rischio ambientale, come industrie chimiche e cartarie, senza che siano state prese idonee misure a salvaguardia dell’ambiente, a dismissione delle aree avvenuta, i costi di bonifica dei terreni sono spesso così elevati da scoraggiare eventuali soggetti interessati al riutilizzo delle aree. Se invece, esse sono state occupate da attività produttive a minor impatto, e in presenza di problemi ambientali più contenuti per estensione, profondità della contaminazione e natura delle sostanze inquinanti, per contenere i costi di bonifica, che rimangono comunque elevati, si può propendere per livelli di bonifica meno spinti dei precedenti, che comportano usi più limitati delle aree, compatibili con il contenuto livello di bonifica che si è deciso di eseguire. Queste aree non bonificate del tutto, rimangono “pericolose” se vissute molte ore al giorno ma possono essere utilizzate a funzioni (come il parcheggio o il verde), che non prevedono una lunga permanenza dell’uomo nell’arco della giornata. Qualora le aree siano dotate di “rendita di posizione”, essendo aree centrali, i cosiddetti “vuoti urbani” in contesti già urbanizzati, i costi di bonifica dei terreni divengono più accettabili, perché ammortizzabili dal rientro economico dei progetti di riqualificazione, semprechè le possibilità edificatorie di piano consentano le densità edilizie previste dai progetti. Agata Spaziante in un suo articolo di alcuni anni fa sosteneva che “.. gli ingenti costi del risanamento vanno letti …in termini diversi dal puro ripristino di condizioni ambientalmente accettabili. Si paga infatti anche per l’inconsueta opportunità di rimediare a passati errori ed irresponsabilità, nonché per ridare valore economico ad un bene da cui è già stato tratto una volta il beneficio…”(1). Ma chi deve pagare le bonifiche? Guido Martinero in un suo articolo in Le aree dismesse: un problema, una risorsa. Working paper n°7 del luglio 1996, a quella data sosteneva che “.. la sottrazione di qualità ambientale ed ecologica è sottrazione di bene collettivo… e quando tale bene collettivo viene consumato dai processi di produzione, ovvero a loro beneficio, il costo del ripristino è legato all’attività svolta e non al riutilizzo dell’area. Non è niente altro che affermare che chi inquina paga; paga il costo del disinquinamento”(2). E’ ciò che sostiene, l’anno successivo, il Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n°22 “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi” (Decreto Ronchi) e il decreto ministeriale attuativo, D.M. 25 ottobre 1999 n°471, le cui innovazioni più consistenti, al proposito, riguardano l’introduzione del concetto di responsabilità del danno (art. 14) e la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati (art. 17). All’art. 17, il Decreto sostiene che chiunque cagiona anche non volendo, “il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a” (i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d’uso dei siti, che verranno definiti dal decreto ministeriale attuativo 471/99), “ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento” (comma 2). Guido Martinero nello stesso articolo sostiene ancora che “il costo della bonifica è inerente in primo luogo al bilancio dell’attività e deve trovare in esso le risorse per i necessari accantonamenti o deve essere almeno sottratto al valore dell’area, in particolare se la si vuole immettere sul mercato e scriverne il valore nei libri contabili della società..”(2).

19

Page 20: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Trascorsi alcuni anni da questa affermazione, ancora oggi i costi di bonifica (totali o una loro parte), vengono fatti assorbire dai bilanci interni alla trasformazione delle aree, con il rischio che il mercato immobiliare non sia in grado di assorbire lo stock edilizio che si produce nell’area e parimenti quello di dar luogo a parti di città deformate, per le elevate densità edilizie a compenso delle spese sostenute. Riusi di tipo no profit sono assicurati dal finanziamento pubblico dei costi di bonifica dei terreni, di diversa entità a seconda del grado di interesse pubblico (minore o maggiore) assegnato alle trasformazioni. Esso và dal parziale scomputo degli oneri di urbanizzazione operato dagli Enti locali, al fondo pubblico di rotazione (capitali pubblici da restituire senza interessi), all’erogazione di mutui a tasso agevolato, al finanziamento pubblico a fondo perduto. In alcuni casi, qualora il sito rientri nell’Anagrafe dei siti da bonificare e non sia individuabile il responsabile dell’inquinamento, né il proprietario intenda avviare le procedure necessarie, il Comune o la Regione provvedono a realizzare la messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale secondo l’ordine fissato dal Piano Regionale per la bonifica delle aree inquinate (art. 17 comma 3, D.M. 471/99). Piuttosto recentemente, con L. 31 luglio 2002 n°179 “Disposizioni in materia ambientale” è stata incentivata la bonifica e il recupero ambientale dei siti contaminati di interesse nazionale ad opera dei privati, che “possono recuperare i costi di esproprio, bonifica e riqualificazione delle aree, nonché il congruo utile di impresa, utilizzandole in proprio, in concessione o cedendole a terzi” (art. 18, comma 1) E al pari della legge nazionale, anche alcune legislazioni regionali (come la L. Regione Lombardia n°26 del 12/12/2003, hanno incentivato la bonifica e il recupero di siti contaminati in territorio regionale ad opera di privati. Tra i possibili casi di studio, l’area S.l.o.i. a Trento, sito altamente inquinato, è sembrata un caso idoneo a comprendere le problematiche di trasformazione di aree che da anni attendono nuovo uso per gli alti costi che la loro bonifica comporta, essendo state in passato occupate da attività produttive ad alto impatto in assenza di idonee misure a salvaguardia del territorio. 3.2 I casi di studio: l’area S.l.o.i. a Trento (caso in itinere) La S.l.o.i. (Società lavorazioni organiche inorganiche S.r.l.) si trova nella piana dell’Adige, a Nord della città di Trento. Allo stato attuale, l’area non è dotata di elevata accessibilità, poiché anche se lambita ad Est dall’attuale Ferrovia del Brennero, su strada essa è accessibile unicamente ad Ovest, attraverso via Brennero, ad oggi assai congestionata. Il futuro assetto della viabilità, così come previsto da Busquets, renderà l’area molto più accessibile di quanto non lo sia attualmente. La S.l.o.i. si è insediata nell’area negli anni ’40, dapprima producendo ipoclorito di sodio (cloro, soda e mercurio), poi anche miscele antidetonanti da aggiungere alle benzine. Agli inizi degli anni ’60, era già noto l’inquinamento atmosferico ed idrico (la fabbrica scaricava in acque superficiali) prodotto dai cicli di lavorazione, ma come è tipico della cultura di quegli anni, inizialmente non è stato preso in grande considerazione. Alla fine degli anni ’70, dopo l’ennesimo incendio al deposito di sodio, che ha causato una nube tossica di vapori di soda caustica, il sindaco della città ha disposto l’immediata cessazione dell’attività e lo smaltimento dei prodotti chimici e dei materiali giacenti negli impianti di produzione. Agli inizi degli anni ’80, poiché a Trento erano ormai molte le aree dismesse o in fase di dismissione, l’Amministrazione comunale ha colto l’occasione della redazione della Variante al P.R.G. per riflettere sulla rilevanza strategica delle aree ex industriali per il futuro assetto della città. Tra queste, le aree S.l.o.i e Carbochimica, a Nord di Trento, costituivano l’occasione per l’ente locale di rientrare in possesso di parti di città assai appetibili per posizione, ma sottratte per anni all’espansione della città perché produttive. In un primo tempo, quindi, l’Amministrazione comunale pur ritenendo le aree inquinate, ha sottovalutato la reale situazione in cui esse versavano e le conseguenti difficoltà che la bonifica dei loro siti avrebbe comportato. E si è limitato ad assoggettarle a progettazione unitaria, nella Variante specifica

20

Page 21: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

di tutela e salvaguardia, adottata nel 1987, vietando per esse qualsiasi intervento al di fuori di un adeguato inquadramento programmatico e progettuale. Dalla Variante specifica in poi, le aree verranno chiamate con un’unica denominazione “Trento Nord” e sarà quasi impossibile, anche nei documenti, distinguere l’una dall’altra, che avranno destino comune. Alla fine degli anni ’80, la Giunta provinciale, in accordo con il Comune, ha espresso la prima ipotesi di trasformazione delle aree, secondo la quale esse potevano costituire la sede del nuovo ente fieristico denominato S.p.o.t. (Società per la promozione dell’offerta trentina). L’Unione Commercio Turismo e attività di servizio ha manifestato invece l’intenzione di localizzarvi un centro di servizi per le imprese associate. Per assicurarsi usi delle aree finalizzati alla realizzazione dello S.p.o.t. e (alla nuova sede della società di trasporti pubblici), nella Variante Generale al P.R.G. adottata nel 1989, l’Amministrazione comunale ha vincolato la quasi totalità delle aree a “zone per attrezzature pubbliche e di uso pubblico di interesse urbano”. Nei primi anni ’90, alcuni imprenditori organizzati in cordata, appoggiati dall’Unione Commercio Turismo e attività di servizio, hanno acquisito in breve tempo le aree, ad un prezzo “di favore”, per le disagevoli condizioni in cui esse versavano (inquinamento e destinazione d’uso pubblica). Intendevano realizzarvi il cosiddetto “Progetto Magnete”, un centro per il terziario avanzato dove concentrare le attività legate all’innovazione, alla ricerca, ai servizi avanzati, alle nuove tecnologie della comunicazione e ai servizi (in particolare la struttura fieristica) per la promozione dei prodotti e del turismo trentino. Nell’ipotesi di Convenzione, firmata con il Comune nel settembre del 1994, nella riqualificazione delle aree, i nuovi proprietari si impegnavano ad eseguire la realizzazione delle infrastrutture e il totale disinquinamento dei siti (stimato allora in modo del tutto superficiale in 5 mld. di vecchie lire), a fronte di un diritto di edificabilità tale da garantire loro un utile netto di 35 mld. di vecchie lire. Negli anni immediatamente successivi, le problematiche di disinquinamento delle aree sono divenute purtroppo chiare. Divenne noto che cicli produttivi non controllati, materie prime e residui di lavorazione avevano prodotto nel tempo un forte inquinamento dei suoli, con presenza di sostanze tossiche, tra cui piombo organico, anche a grandi profondità. E che l’inquinamento riguardava anche le rogge (il disinquinamento delle quali era competenza provinciale), in cui venivano scartati i reflui inquinati dalle attività produttive, non essendo al tempo ancora in uso idonei mezzi di depurazione. Nel febbraio del 1998, dai lavori del Convegno “Recupero di siti contaminati da piombo organico”, allo scopo di approfondire il possibile impiego in queste aree delle diverse tecnologie di bonifica, è emersa la necessità di eseguire in esse sperimentazioni per riuscire a stabilire tempi e costi dell’operazione. In un articolo del 1999, Elisabetta Morelli, dell’Università di Trento, sosteneva che rispetto al passato erano stati compiuti notevoli passi in avanti, poiché le aree di Trento Nord erano finalmente considerate “non più discariche di prodotti tossici ma aree profondamente contaminate da riqualificare”(3). Alla fine degli anni ’90, sono divenuti finalmente noti il tipo di inquinamento del terreno e il relativo livello di contaminazione, ma non ancora i costi di bonifica, stimati di diversa entità da diversi soggetti: 27 mld. di vecchie lire dai privati, 56 mld. dall’Azienda sanitaria, 80 mld. da alcune fonti di stampa. Poiché nel corso del tempo, la conoscenza del problema si approfondiva sempre di più, subentravano nuove norme di riferimento cui attenersi nella bonifica dei siti e conseguentemente si innalzavano i costi di bonifica, il Comune di Trento ha chiesto allo Stato (e ottenuto nel 2002), il riconoscimento di Trento Nord come sito inquinato di interesse nazionale. Nel documento contenente il quadro complessivo degli interventi strategici per il nuovo piano della città, il programma urbanistico di struttura generale (PUSG), approvato il 14 marzo del 2002, il C.C. ha dichiarato la volontà di realizzare nelle aree di Trento Nord una nuova centralità urbana, così da rimettere in relazione la città consolidata con l’espansione recente a Nord di essa. Sempre nei primi mesi dell’anno, la Provincia di Trento è divenuta in parte comproprietaria delle aree, acquistando il complesso “Terrazze” all’interno dell’area Magnete, come sede (non

21

Page 22: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

molto ambita in realtà dato l’ormai noto inquinamento del sito), degli Uffici finanziari dell’Agenzia delle Entrate. Alla fine del 2002, i costi di bonifica dell’area (comprendendo i costi dell’esposizione finanziaria dovuti al lungo immobilizzo di capitali), sono stati stimati in 300 mld. di vecchie lire, noti i quali, i proprietari hanno dichiarato l’operazione scarsamente remunerativa per la bassa cubatura stabilita dal Piano nell’area e di conseguenza il loro disinteresse ad intervenire in esse. Ai giorni nostri, le aree di Trento Nord sembrano essersi avviate finalmente a riqualificazione. Ai primi mesi del 2004, i proprietari delle aree, in accordo nel trasformarle secondo un disegno unitario, hanno conferito l’incarico allo Studio Gregotti Associati, che redigerà un piano guida, elaborato il quale, sarà elaborata una Variante al P.R.G. finalizzata alla riqualificazione dell’area. Le indicazioni progettuali sembrano prefigurare sino da ora una riqualificazione improntata ad un modello multifunzionale, che favorisca l’integrazione urbana delle aree con luoghi commerciali, edifici del terziario avanzato, spazi a verde pubblico e una ridotta presenza residenziale. Il Comune ha dichiarato che i lavori inizieranno entro il 2005, pur nella consapevolezza dei tempi che la bonifica del sito comporta, il cui progetto sperimentale è stato affidato alle Università di Trento e Verona, che alla fine di ottobre di quest’anno, hanno reso noti i risultati delle ricerche e sperimentazioni sino a quella data condotte sulle aree. I risultati sembrano piuttosto incoraggianti. Relativamente all’area S.l.o.i, per contenere i costi di bonifica (che rimangono comunque dell’ordine di qualche decina di milioni di euro), l’Università di Verona ha proposto l’utilizzo di una metodologia che richiede tempi lunghi (microrganismi per rendere il piombo più mobile e una volta completata la bonifica del terreno, piante accumulatrici per assorbire l’inquinamento), nelle zone marginali dell’area, dove non è prevista l’edificazione e dove la bonifica può essere completata in un arco di tempo più lungo. Non sono ancora noti i risultati della ricognizione (affidata all’Imperial College di Londra), sui casi di inquinamento da piombo organico a livello mondiale, nel tentativo di far divenire Trento Nord caso scientifico di interesse internazionale, così da usufruire di un finanziamento dall’Unione europea. Sono noti invece, i risultati degli studi compiuti sulle rogge, il cui progetto al giugno del 2004 è stato all’esame del Ministero dell’Ambiente. Per esse, dato il loro cospicuo numero, si propone di bonificarle in loco, utilizzando tecnologie ancora a livello sperimentale (iniezioni di ozono nei terreni contaminati da idrocarburi policiclici aromatici), che riducano il più possibile il ricorso a movimentazioni di materiale contaminato, per associare alla forte capacità ossidativa dell’ozono la non invasività dell’operazione di bonifica. Nell’estate del 2004, l’Accordo di programma per la bonifica dei siti non era stato ancora siglato. Al dicembre 2004, la bonifica delle aree Trento di Nord è stata stimata ulteriormente in oltre 100 ml. di euro. A quella data, gli enti locali dichiaravano di voler ripagare i proprietari delle aree degli alti costi di bonifica che avrebbero sostenuto, con cubature residenziali e commerciali. A tale fine, la Variante commerciale al P.R.G., allora appena adottata, individuava le aree di Trento Nord come possibili aree per nuovi spazi commerciali. Ma le sue previsioni sembrano confliggere con il progetto di riqualificazione dell’area formulato da Gregotti. Tabelle sintetiche

22

Page 23: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 1 – Scheda descrittiva l’area

23

Page 24: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 2 – La destinazione d’uso dell’area in funzione del nuovo regime proprietario

24

Page 25: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 3 - Lo studio di pre-progetto di Vittorio Gregotti, presentato il 20/06/2004 alla Commissione consiliare per l’Urbanistica e in una conferenza stampa

25

Page 26: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Considerazioni critiche L’area S.l.o.i è sembrata un caso particolarmente adatto ad illustrare le problematiche di riqualificazione di aree che si trovano ad essere fortemente inquinate perché in passato occupate da attività ad alto impatto ambientale, nella quasi totale assenza, di misure a salvaguardia del territorio. La bonifica di queste aree comporta spesso costi talmente elevati, che a fronte di bassi indici di fabbricabilità di piano, i proprietari privati dimostrano il loro disinteresse ad intervenire in esse, ritenendo l’operazione di trasformazione non sufficientemente remunerativa dal punto di vista economico, perché inefficace ad ammortizzare i costi di bonifica stimati. E tali costi condizionano il nuovo uso che di queste aree viene fatto. Come si è detto, agli inizi degli anni ‘80, quando l’inquinamento delle aree di Trento Nord non era ancora noto in tutta la sua gravità, la dismissione delle aree è stata interpretata dall’ente locale come l’occasione di rientrare in possesso di parti di città che, poiché attive, non avevano mai potuto essere considerate per l’espansione di Trento. Successivamente, le aree sono state addirittura oggetto di contesa tra Enti locali e imprenditori privati, i primi volendo realizzarvi il nuovo ente fieristico (S.p.o.t.), i secondi, un centro per il terziario avanzato (il cosiddetto Progetto Magnete). Per assicurare alla città la realizzazione dello S.p.o.t., il Comune si è visto persino costretto a vincolare le aree a “zone per attrezzature pubbliche e di uso pubblico di interesse urbano”. Ma né l’inquinamento del sito, né la destinazione pubblica delle aree hanno fatto desistere dall’intento gli imprenditori privati, che organizzati in cordata e appoggiati dall’Unione Commercio, in breve tempo le hanno acquisite. Forse, il basso costo delle aree, poiché inquinate e perché destinate ad uso pubblico, può aver fatto ritenere loro interessante dal punto di vista economico l’operazione (anche se risulta difficile crederlo), salvo dichiarare di non essere più interessati alla riqualificazione dell’area, una volta noti i costi di bonifica, stimati alla fine del 2002 in 300 mld. di vecchie lire, a fronte di un indice di fabbricabilità di piano piuttosto basso (3,5 mc/mq). Negli anni successivi, l’Arch. Renato Bocchi, incaricato nel 1999, con Alberto Mioni e Bruno Zanon, della revisione del P.R.G. della città (approvato nel 1991), recependo la scarsa accessibilità dei luoghi e parimenti, gli alti costi di bonifica dei siti, ha proposto un utilizzo delle aree che comportava livelli di bonifica meno spinti e che di conseguenza ne avrebbe limitato le spese, ipotizzando un uso delle stesse come terminal Nord della città, con parcheggi e verde. La proposta non ha avuto alcun esito, come non hanno prodotto risultati l’acquisto di parte dell’area (il complesso Terrazze all’interno dell’area Magnete), ad opera della Provincia e l’iscrizione delle aree tra i siti contaminati di interesse nazionale, con la possibilità di accedere a finanziamenti. Solo ai giorni nostri, le aree S.l.o.i e Carbochimica sembrano finalmente avviarsi a riqualificazione, secondo un progetto unitario delle aree, affidato dai proprietari allo studio Gregotti e Associati, che, coerentemente con le indicazioni del PUSG, approvato nel 2002, vi realizzerà un “pezzo di città”; e quindi, residenze, centri commerciali, terziario e verde, con un indice di fabbricabilità sicuramente più alto dei precedenti. Grazie anche ad una bonifica dei siti, che ricorrendo a tecniche sperimentali, consentirà di contenerne i costi, che rimangono comunque molto alti (per l’area S.l.o.i, al giugno del 2004 sono stati stimati in diverse decine di milioni di euro). (1) Agata Spaziante in Bonificare come? Un interrogativo a molte dimensioni in Processi di trasformazione urbana e aree industriali dismesse: esperienze in atto in Italia. Atti dei Convegni Audis 2001 (2) Guido Martinero in Chi deve pagare le bonifiche? in Le aree dismesse: un problema, una risorsa. Workig paper n°7 luglio 1996 (3) Elisabetta Miorelli in Piombo in città: il recupero di un’area inquinata a Trento in Urbanistica Informazioni n°164 del 1999

26

Page 27: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Capitolo 4° L’assetto proprietario delle aree 4.1 Introduzione Tra le condizioni fisico-funzionali, l’assetto proprietario delle aree è forse la condizione che più risulta rimuovere gli ostacoli alla riqualificazione delle aree ed influenzarne la trasformazione, nel senso che il nuovo uso che le aree assumono, in linea di massima sembra riflettere le caratteristiche imprenditoriali del nuovo assetto proprietario. Se la strumentazione urbanistica lo consente (per la flessibilità di alcune sue indicazioni), queste aree tendono cioè ad essere maggiormente destinate a quelle attività che le società proprietarie sono use a gestire, perseguendo inoltre, come è principio dell’impresa, la redditività dell’investimento effettuato e il ritorno economico dei capitali investiti. Le problematiche di riqualificazione dovute all’assetto proprietario delle aree sono di vario genere. Sono innanzitutto diverse a seconda che le aree siano occupate da attività produttive o da attività ormai concluse. Ancora, si differenziano a seconda che le attività in atto costituiscano un peso nel bilancio dell’impresa o siano attive solo apparentemente. Infine, sono diverse a seconda che la proprietà sia unica o frammentata e a seconda della dimensione delle aree, piccola o grande. Per una conoscenza approfondita della problematica, le sue possibili variegate sfaccettature hanno richiesto il ricorso a numerosi casi di studio: l’area Montecity Rogoredo a Milano, che è sembrata un’area idonea a rappresentare le problematiche di riqualificazione di aree con attività produttiva conclusa, unico proprietario e grandi dimensioni; l’area ex Michelin a Trento, con attività produttiva conclusa, unico proprietario, di piccola dimensione; l’ambito 4.15 di P.R.G. Castello di Lucento a Torino, che ben rappresenta le problematiche di riqualificazione di aree in crisi ma con attività produttiva ancora in corso, attività che pesa realmente nel bilancio dell’impresa. L’area rappresenta per di più le problematiche di riqualificazione di aree frammentate in diverse proprietà e di limitate dimensioni. Poiché essa ben si presta a rappresentare anche le problematiche di riqualificazione dovute alle destinazioni d’uso attribuite dal piano, per la sua descrizione si rimanda al cap.6. Infine, l’area Cemsa Pirelli a Saronno, che rappresenta le problematiche di riqualificazione di aree in crisi con attività produttiva ancora in corso, che non pesa però nel bilancio dell’impresa, area per di più frammentata in diverse proprietà e di limitate dimensioni. 4.2.1 L’area Montecity Rogoredo (ora Milano Santa Giulia) L’ex industria chimica Montedison e l’ex acciaieria Redaelli, per anni denominate insieme Montecity Rogoredo, insieme costituiscono la più vasta area dismessa d’Italia (1.2 ml. di mq), tra le maggiori d’Europa. Sono collocate nel settore Sud Orientale di Milano, a quattro km dal Duomo e sono delimitate ad Ovest dai tessuti cresciuti a ridosso della linea ferroviaria, a Sud Ovest dal centro di Rogoredo e a Nord e a Sud dal tracciato di sviluppo della Strada Statale Paullese. Sono dotate di una buona accessibilità, essendo servite a livello locale da una linea metropolitana e a livello superiore dall’autostrada A1, dalla ferrovia con la Stazione ferroviaria Rogoredo, dalla tangenziale Est, dagli scali di Linate e Ata per i voli privati (ad 1 km in linea d’aria). Le previsioni, mai attuate, del P.R.G. di Milano del 1912 hanno profondamente condizionato il primo uso produttivo di queste aree. Secondo queste previsioni, il sistema di collegamenti presente nel territorio, già particolarmente efficiente, avrebbe dovuto ulteriormente arricchirsi di una nuova infrastruttura, il cosiddetto “porto di mare”, un sistema di darsene che avrebbe collegato, attraverso un canale navigabile, la città di Milano al Po e quindi all’Adriatico. La notevole dotazione di infrastrutture presenti e previste ha reso queste aree idonee per la localizzazione di impianti produttivi. Per tali motivi, intorno al 1920, la Montecatini (poi Montedison) scelse di localizzare qui, in località Cascina Morsenchio, le sue industrie chimiche e la Redaelli le sue acciaierie a ridosso della Stazione ferroviaria di Rogoredo. Per

27

Page 28: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

quasi un secolo, gli impianti sono rimasti attivi, caratterizzando il luogo sia dal punto di vista funzionale che morfologico. Alla fine degli anni ’80 sono stati dismessi. A dismissione avvenuta, la trasformazione delle aree è stata notevolmente influenzata dai contenuti delle “Linee programmatiche per il Documento Direttore delle aree dismesse e orientamenti di progettazione urbana”, presentate nel 1988 dall’Assessore all’Urbanistica Attilio Schemmari e discusse e approvate come atto politico e non amministrativo dal Consiglio Comunale nel gennaio del 1989. Il Documento è stato approfondito anche negli anni successivi per iniziativa di un altro Assessore, Giuseppe Camagni, che ha utilizzato la consulenza di tre Professori della Facoltà di Architettura di Milano, Valeria Erba, Giorgio Goggi e Antonio Monestiroli. Le “Linee programmatiche” hanno suggerito una modifica organica alle previsioni e alla normativa del piano regolatore allora vigente, del 1980, ipotizzando per le aree dismesse una destinazione produttiva con un significato nuovo e più “largo” del termine. Il Documento sosteneva inoltre la cessione di almeno il 50% dell’area e la sua sistemazione prevalente a verde, una scelta che verrà confermata dalle proposte operative successive e che forse costituisce il lascito più forte delle “Linee programmatiche”. Negli anni successivi, il recupero delle grandi aree dismesse è stato incentivato dal Documento di Inquadramento delle politiche urbanistiche comunali “Ricostruire la grande Milano”, approvato dal C.C. nel giugno del 2000, che evidenziata l’inadeguatezza del Piano Regolatore ad affrontare le problematiche della trasformazione urbana, ha definito nuove procedure per la trasformazione della città. “Ricostruire la grande Milano” ha rappresentato l’atto di indirizzo necessario per l’approvazione dei Programmi Integrati di Intervento (P.I.I.) introdotti come possibilità di variante automatica al piano regolatore dalla L. n° 179/92 e disciplinati in Lombardia da una legge regionale del 1999. Questa legge sostanzialmente definiva il quadro di riferimento, piuttosto flessibile in realtà, che i privati avrebbero dovuto tener presente per elaborare e presentare i P.I.I. e l’insieme dei criteri di valutazione, flessibili anche questi, che l’Amministrazione avrebbe utilizzato per valutare le stesse proposte di P.I.I. I progetti, valutati positivamente da un nucleo di valutazione, divenivano variante al P.R.G. con la procedura dell’Accordo di Programma. La valutazione è stata una delle parole chiave della procedura milanese che ha attribuito massima responsabilità alla politica. In coerenza con “Ricostruire la grande Milano”, il P.I.I. Montecity Rogoredo è stato approvato dalla Giunta comunale di Gabriele Albertini il 15 settembre del 2002 e pubblicato il 15 maggio 2003. E’ stato proposto dall’imprenditore Luigi Zunino, che con “La Nuova Immobiliare S.p.A.” nel 1998 ha acquistato per 500 mld. di vecchie lire le due aree confinanti Montecity Rogoredo: l’area Montecity da Montedison e l’area Rogoredo da Redaelli. Il fine dell’imprenditore è realizzare “una città nella città”. L’idea non è del tutto originale. Alla fine degli anni ’80, infatti, l’area Montecity e l’area Rogoredo erano state fatte oggetto di due Piani Particolareggiati a seguito di due diverse varianti al P.R.G. allora vigente che avevano definito le aree Zone di Ridefinizione Urbana ZRU1 e ZRU3. Anche il Piano Particolareggiato della ex Montedison si chiamava con la stessa denominazione di quello odierno, “Montecity”, ma non aveva le stesse ambizioni di quello attuale: prevedeva la realizzazione di un grande centro commerciale, un quartiere residenziale e un insediamento terziario direzionale. Il Piano Particolareggiato dell’area Rogoredo destinava l’area alle medesime funzioni, ma attribuiva un ruolo saliente alla residenza (74% della S.l.p. edificabile) e comprendeva al suo interno un Piano di Zona (ex L. 167). Fatta eccezione per il Piano di Zona all’interno dell’area Rogoredo, entrambi i Piani particolareggiati, pur approvati, non sono stati mai attuati. Il P.I.I. “Montecity Rogoredo” è variante ai due Piani Particolareggiati. Con esso, Luigi Zunino intende realizzare nell’area un polo urbano da 50.000 utenti con 8.000 abitanti e molto verde: 330.000 mq a parco pubblico che ha funzioni connettive tra le due parti urbane. Il progetto prevede che la parte a Nord si sviluppi lungo una moderna promenade dove si affacceranno residenze, negozi, ristoranti e strutture di servizio. Faranno da corona alla promenade, un Centro Congressi, il cinema multisala e un centro multimediale. Il centro congressi si svilupperà su una superficie di 32.000 mq, sarà in grado di ospitare 8.000 utenti e

28

Page 29: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

sarà collegato al passante ferroviario con un percorso in tram di 4 minuti. La parte urbana a Sud collegherà invece un complesso alberghiero con lo snodo metrò ferrovia. Nel parco pubblico sorgerà un asilo nido per 50 bambini, una scuola materna per 60, un centro residenziale per disabili (in 5.600 mq), un centro civico (1.400 mq). Nell’intera area sarà limitato l’uso dell’auto in due anelli intorno ai due nuclei urbani. Sono previsti, inoltre, 25.000 posti auto, per tre quarti sotto terra. Si circolerà soprattutto a piedi e in tram, che attraversando il parco in diagonale, collegherà la stazione con l’area a Nord. La riqualificazione dell’area Montecity Rogoredo, di prossima realizzazione (i lavori inizieranno nel 2005), non costituisce l’unico caso a Milano e si inserisce piuttosto nel gran numero di interventi in programmazione, in via di attuazione, o in avanzato stato di realizzazione, delle aree Snam di San Donato, dell’ex Maserati di via Rubattino e dell’area liberata dallo scalo ferroviario di Porta Vittoria. L’area costituirà una delle “nuove porte” della città riferite al sistema del Passante ferroviario: a Nord Ovest la porta “Certosa Bovisa” che si caratterizzerà per la presenza del nuovo Campus del Politecnico e a Sud Est la porta “Bonfadini-Rogoredo”, dedicata appunto a funzioni per lo più di rango urbano. Il programma ha la supervisione di Norman Foster, che firmerà anche la progettazione delle residenze di lusso nell’area Montecity Residence (nove blocchi per 600 appartamenti), architetto al quale è dovuta anche la nuova denominazione dell’area “Santa Giulia”, dal nome della nuova chiesa che sarà costruita nell’ambito su progetto dell’Architetto svizzero Peter Zumthar. Il progetto paesaggistico del parco verrà realizzato invece dallo Studio West & Landscape diretto da Adrian H Genze. L’elevatura delle figure incaricate del progetto dell’area, fà ritenere il programma il più importante progetto di trasformazione urbana per la città di Milano nei prossimi dieci anni, destinato ad influenzare profondamente la città e la sua economia. Tabelle sintetiche

29

Page 30: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 1 – Scheda descrittiva dell’area

30

Page 31: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 2 – La destinazione d’uso dell’area in funzione del nuovo regime proprietario

31

Page 32: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 3 - La riqualificazione urbanistica dell’area secondo il P.I.I. Montecity Rogoredo, approvato dalla Giunta comunale il 15 settembre del 2002

32

Page 33: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 4 - Il P.I.I. Montecity Rogoredo nel dettaglio (approvato dalla Giunta comunale il 15 settembre del 2002 e pubblicato il 15 maggio del 2003)

33

Page 34: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Considerazioni critiche Escludendo i P.I.I. di iniziativa pubblica, relativi alle aree di Porta Vittoria, Portello e Garibaldi-Repubblica, il P.I.I. Montecity Rogoredo è stato definito nel 2002 il “programma di intervento più significativo e più incisivo sia tra quelli approvati o semplicemente adottati, sia tra quelli più numerosi che hanno superato la fase iniziale di istruttoria”.(1) L’incisività del programma deriva prima di tutto dalla dimensione dell’area (1,2 ml. di mq), che da sola rappresenta quasi la metà delle aree interessate da P.I.I. approvati o in fase avanzata di istruttoria (la maggior parte dei quali riguarda aree con estensione inferiore ai 50.000 mq). L’incisività del programma deriva anche dalle funzioni insediate, non omologate come negli altri P.I.I. e piuttosto variegate per tipologia (cittadella universitaria, centro per disabili, asili nido, scuola materna…) e caratteristiche qualitative. Ancora, l’incisività del programma deriva dalla plus presenza in esso di dotazioni pubbliche, apparendo come il primo programma che inserisce al suo interno come standard aggiuntivo (senza scomputo degli oneri di urbanizzazione) una funzione urbana di pregio come il nuovo Centro Congressi che la città aspettava da anni (32.000 mq di S.l.p. con 8.000 posti e un costo stimato di 620.000 euro). Ma a guardare bene, il promotore del programma ha colto l’ampia progettualità concessa agli operatori privati dal Documento “Ricostruire la grande Milano” per collocare in larga misura nell’area funzioni (residenze e commercio), che le sue società sono use a gestire. Luigi Zunino è azionista di riferimento della Risanamento S.p.A., nella quale sono confluite nel luglio del 2002, la Risanamento Napoli S.p.A. che opera nel Sud Italia e che si occupa della gestione patrimoniale a reddito di più di 6.000 appartamenti e la Bonaparte S.p.A., che opera nel Nord Italia dove promuove nuove aree commerciali. Il P.I.I. Montecity Rogoredo riflette quindi le caratteristiche di imprenditore del promotore del programma e quelle delle società che sono alle sue spalle. Esso attribuisce massima rilevanza a residenze e commercio, che insieme costituiscono il 49% del totale della S.l.p. edificabile e che sono, più delle altre funzioni, studiate e progettate nel dettaglio. L’offerta di residenze è varia per dislocazione territoriale all’interno dell’ambito e per offerta economica, così da rispondere alle esigenze di diverse fasce sociali: 65.895 mq di residenza sono per edilizia convenzionata, 13.000 mq per edilizia sovvenzionata (entrambe recentemente aumentate per le opposizioni da più parte mosse al programma) e 191.000 mq per edilizia libera. Le aree destinate chiaramente a commercio (non annoverando tra queste quelle destinate a funzioni compatibili, non bene definite, che ammontano a 70.450 mq), hanno estensione 13.000 mq, e sono per lo più concentrate nella parte Nord dell’ambito ex Montecity, al termine di una promenade che secondo l’imprenditore sarà vetrina ambitissima delle maggiori griffe della moda (sono stati ipotizzati 20.000 utenti shopping al giorno e il valore commerciale stimato al 2002 è di 4.500 euro al mt.). La riqualificazione dell’area Montecity Rogoredo secondo il Programma Integrato, è sembrata un caso idoneo a rappresentare i “condizionamenti” del nuovo uso di un’area dovuti al nuovo proprietario della stessa, soprattutto quando i riferimenti normativi (in questo caso il Documento di Inquadramento delle politiche urbanistiche comunali “Ricostruire la grande Milano”) consentono un uso nuovo ed “ampio” dell’area. Il nuovo assetto proprietario ha determinato una generale accelerazione della trasformazione dell’area, che ferma per decenni, quattro anni dopo il suo acquisto era già oggetto di un P.I.I. approvato dalla Giunta comunale. Allo stato attuale, l’area acquistata nel 1998 per 500 mld. di vecchie lire, fatta oggetto nel 2002 di un P.I.I. approvato e nel luglio del 2004 della ratifica dell’Accordo di Programma tra Comune, Regione e privati, per la voluta presenza in essa di funzioni di pregio come il Centro Congressi, per il conferimento degli incarichi di progettazione a grandi nomi dell’architettura, ha un valore di mercato notevolmente superiore al suo prezzo di acquisto. Da più parti si sostiene che il plus valore acquisito dalle aree per la nuova destinazione d’uso potrebbe indurre il promotore dell’intervento a desistere dalle operazioni di trasformazione dell’area, ritenendo maggiormente economico vendere le aree al prezzo di mercato attuale piuttosto che

34

Page 35: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

affrontare gli investimenti economici stimati (1,6 mld. di euro per un valore di mercato, a realizzazione terminata, di 2,8 mld. di euro, con un ritorno economico del 25%). Tali dubbi sono in parte legittimati dalla recente cessione del proprietario dell’area di parte dei diritti per l’edificazione del residenziale alle Acli e alla LegaCoop e di parte del commerciale ad Esselunga. Luigi Zunino terminerebbe così la sua avventura di imprenditore per tornare a svolgere la sua attività iniziale, quella di immobiliarista. O potrebbero rivelarsi del tutto infondati (come dichiara l’imprenditore), essendo la vendita di alcune parti dell’area unicamente dovuta all’ intenzione dell’imprenditore di ricorrere il meno possibile ad indebitamenti con gli istituti di credito, reperendo piuttosto i capitali necessari con la prevendita di alcune parti dell’area. Da dati recenti, sembra che con la firma delle convenzione con il Comune, l’imprenditore intenda iniziare anche la prevendita delle residenze di lusso (110 mila mq di S.l.p.) e degli uffici (50 mila mq) con un incasso stimato di 1,6 mld. di euro, mantenendo però in suo possesso il resto degli immobili destinati ad ufficio e commercio. 4.2.2 L’area ex Michelin a Trento Conclusa la prima guerra mondiale, la richiesta sempre più pressante di pneumatici indusse la Michelin (società costituitasi nel 1898), ad aprire in Italia una nuova unità produttiva destinata alla fabbricazione di filati di cotone, necessari per il confezionamento del nuovo tipo di pneumatico, basato su strati di fili paralleli anziché tele di gomma incrociate come il precedente. Nel rispetto degli indirizzi di politica industriale del governo italiano, tesi a favorire gli insediamenti industriali nelle province da poco annesse al Regno d’Italia, la scelta dell’ubicazione di questo nuovo stabilimento cadde su Trento. Nel 1926, su di un’area di 11.000 mq nella fascia in sinistra dell’Adige, presso Palazzo delle Albere, fu così iniziata la costruzione del “servizio filatura”, nome ben presto cambiato in “cotonificio trentino”. L’attività produttiva fu avviata nel 1930. Nel 1934 fu ufficialmente inaugurato l’edificio (da poco terminato), destinato alla mensa degli operai e al pensionato femminile (per le numerose operaie che venivano da fuori città), funzioni prima allocate in Palazzo delle Albere. Durante la guerra, nel giugno del 1940, lo stabilimento fu sottoposto a sequestro governativo, revocato solo a fine guerra. Nel 1949, l’introduzione del radiale, che prevedeva una struttura a strati in filo d’acciaio disposta perpendicolarmente al battistrada, modificò profondamente le caratteristiche produttive dell’industria, che nel 1957 passò a produrre trafilatura e cordatura dell’acciaio. Nello stesso anno, l’industria inaugurò la sala cinema-teatro, aperta agli operai ma anche a quanti non lavoravano nella fabbrica. Tra il 1963 e il 1966, la Michelin raggiunse la massima estensione con il nuovo reparto filatura. Negli anni immediatamente successivi, anni della contestazione operaia, la società francese fu obbligata a mutare le sue strategie aziendali. La costruzione a Fossano, in Piemonte, di uno stabilimento per la fabbricazione di cavo d’acciaio innescò una sorta di competizione tra le due industrie e l’inizio di un lento ridimensionamento della fabbrica trentina. Negli anni ’70, iniziò così un processo di lenta e progressiva riduzione del personale, che negli anni ‘80 raggiunse livelli minimi di occupazione. Nel 1997, nell’ambito di un nuovo disegno di politica industriale, la Michelin comunicò la propria intenzione di dismettere lo storico stabilimento trentino, ormai obsoleto dal punto di vista tecnologico. A livello economico, alla società conveniva dismettere il vecchio impianto e realizzarne un altro ex novo, piuttosto che aggiornare il know-how di quello esistente. Nello stesso anno, la Michelin di Trento cessò le sue attività. L’obiettivo più immediato di Provincia e Comune fu quello di difendere i posti di lavoro degli addetti all’industria e di mantenere comunque in territorio trentino la Michelin, seppur localizzata in altra sede. A tal fine, il Comune offrì alla società francese un’area di proprietà dell’Ente locale a Spini di Gardolo, a Nord della città, e in tale sito venne costruita la nuova fabbrica, con impianti moderni e rispondenti alle nuove esigenze di produzione.

35

Page 36: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Dismessa la fabbrica, l’ex Michelin di Trento è apparsa ben presto un’area assai appetibile, essendo collocata direttamente sul fiume Adige (e quindi molto dotata dal punto di vista naturalistico) e al tempo stesso, a ridosso del centro urbano di Trento, in un’area che soltanto la presenza della fabbrica ha sottratto all’espansione della città. Per i trentini è luogo di incontri, di passeggiate e palestra all’aperto, nonostante le condizioni inquinate dell’ambiente naturale: dal punto di vista idrico (l’Adigetto e le rogge interconnesse) e atmosferico (una nube di smog è stabilmente appoggiata nel fondovalle urbano, tra Mattarello e Gardolo). All’interno dell’area vi sono edifici di un certo pregio, che contribuiscono ad elevare il suo valore, come il cinquecentesco Palazzo delle Albere, di proprietà pubblica (ora sede trentina del Mart), che appare però come imprigionato dalla viabilità e dalle costruzioni circostanti (dell’ex Michelin e dell’ex Stadio Briamasco). Inoltre, l’area è resa ancora più appetibile dall’elevata accessibilità, essendo essa servita dalle due vie di trasporto internazionali che scorrono in Valle dell’Adige (Autostrada del Brennero e Ferrovia). Nel 1998 l’area è divenuta proprietà di Iniziative Urbane S.p.a, una società a capitale misto pubblico-privato, formata da rappresentanze del sistema creditizio e imprenditoriale trentino. Dismessa l’attività produttiva, la Michelin aveva proposto l’acquisto dell’area al Comune ad un prezzo di favore (49 mld. di vecchie lire), a compenso dello stabilimento produttivo (a Spini di Gardolo) ad essa offerto dall’Ente locale come nuova sede. Il Comune aveva espresso il suo disinteresse all’acquisto dell’area per diversi motivi: per la dichiarata incapacità dell’Ente locale a gestire in tempi brevi l’operazione di riqualificazione, per la sufficiente presenza in territorio trentino di aree per attrezzature pubbliche (valutazione poi rivelatasi non corretta) ed infine, per l’alto costo dell’area, che rendeva disinteressati all’acquisto sia il Comune che la Regione. Il Comune aveva “girato” l’offerta ad Iniziative Urbane S.P.A., società che si è costituita allo scopo di acquistare e valorizzare l’area. Acquistata l’area, la nuova società proprietaria ha sollecitato e ottenuto un rapido mutamento della sua destinazione produttiva originaria. Dapprima il C.C. ha adottato un atto di indirizzo con il quale si impegnava a mutare la destinazione d’uso dell’area nell’ambito della revisione del P.R.G. (allora in corso di approvazione da parte della Provincia), e successivamente, poiché quanto ottenuto è stato ritenuto insufficiente dalla società proprietaria, ha mutato la destinazione d’uso dell’area con una Variante detta “anticipatoria”. Recependo l’o.d.g. del C.C. del 31/7/98 e successive modificazioni, che hanno inesorabilmente stabilito il nuovo uso dell’area (3,7 ha a parco, 50% a residenza, edificazione non superiore a 200.000 mc, indice di fabbricabilità di 1,8 mc/mq), la Variante anticipatoria ha destinato l’area a verde pubblico e privato (da intendersi quale “seconda stanza” del futuro, articolato, nuovo parco fluviale dell’Adige), ad insediamenti residenziali (anche per studenti), strutture alberghiere, del terziario avanzato (su una superficie fondiaria non superiore al 60% di quella territoriale), ad attività culturali (multisala cinematografica…) ad attività di studio e di ricerca (organismo museale…). Il nuovo uso dell’area secondo la Variante anticipatoria, aveva le seguenti linee “di forza” (così dichiarate da Comune ed Iniziative Urbane S.p.A.): partenariato pubblico privato ed elevata qualità progettuale dell’intervento proposto, proponendosi esso di costiture la prima parte di una rilettura che avrebbe riguardato l’intera direttrice fluviale, la realizzazione di una nuova centralità urbana e l’insediamento nell’area di funzioni di eccellenza. Secondo la riqualificazione ipotizzata dalla Variante, il Comune avrebbe mantenuto la regia pubblica dell’operazione di riqualificazione, garantendo così l’interesse pubblico e ottenuto l’area a parco dotata di tutte le attrezzature necessarie, laddove la nuova società proprietaria dell’area avrebbe ottenuto la redditività dell’investimento attraverso operazioni immobiliari (funzioni commerciali e residenziali nelle localizzazioni migliori). La riqualificazione dell’area secondo la Variante anticipatoria non ha avuto alcun seguito per le forti opposizioni di residenti e associazioni di categoria, per la ridotta dimensione dell’area a parco. Successivamente, nel novembre del 1999, per raccogliere consensi e “.. per raccogliere più input, più idee e per prendere le decisioni attraverso un processo più pubblico e trasparente”(1), Iniziative Urbane S.p.A. ha indetto un Concorso di idee per la

36

Page 37: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

riqualificazione dell’area, con il fine di redigere una Variante al P.R.G. Le indicazioni alle quali i progettisti dovevano attenersi sono quelle dell’o.d.g. del 31/7/98. Il progetto vincitore è di Dalla Torre e Stenico, tra i progetti segnalati (dalla rivista QT n° 7 del 1/04/2000), il progetto di Fabrizio Cecchetto. Al di là delle differenze tra le singole proposte progettuali, esse sono accomunate dallo stesso modo di sentire l’area e dalle finalità che intendono perseguire, prevedendo esse, pur nel rispetto delle indicazioni prescritte, la realizzazione di un parco fluviale con residenze localizzate per la maggior parte lungo la ferrovia, così da costituire una barriera visiva rispetto ad essa. Il concorso non ha avuto alcun esito. Negli anni seguenti, la riqualificazione dell’area ex Michelin è stata affidata ad un consulente esterno, l’Architetto Bocchi, che coerentemente con le indicazioni dell’o.d.g. del C.C. del 1998 e quelle del Piano Strategico di Trento (..la nuova forma urbis non può derivare da un modello urbanocentrico ma piuttosto da una riconsiderazione dei valori costitutivi del paesaggio geografico a partire da un tessuto di relazioni fondato su elementi come il fiume e un parco fluviale, piuttosto che su caratteristiche da città compatta..), ha proposto la costituzione “di un parco fluviale a più stadi, con attività legate al loisir e al tempo libero”. Come il Concorso di Idee, anche la proposta di Bocchi non ha avuto alcun seguito. Nel 2003, per raccogliere il consenso di residenti e associazioni di categoria, e per cercare di avviare la riqualificazione dell’area, così come sollecitata dalla società proprietaria, il progetto è stato affidato ad un grande nome dell’architettura: Renzo Piano. Egli propone di realizzare “un pezzo di città” con la densità delle costruzioni, la presenza di piazze e piazzette e la ridotta dimensione delle strade secondarie. Riguardo le preesistenze di pregio, il progetto di Renzo Piano mira a restituire centralità a Palazzo delle Albere: rinuncia così a soluzioni urbane di forte impatto e distanzia saggiamente i nuovi edifici (destinati allo Science Center), che dispone a ferro di cavallo intorno ad esso. La revisione della Variante al P.R.G. effettuata dalla Provincia il 30/12/2003 ha modificato sostanzialmente il progetto originario, limitando la sua realizzazione ai soli edifici della porzione Sud del ferro di cavallo, per di più ulteriormente allontanati da Palazzo delle Albere per aumentare la fascia di rispetto. Il punto focale del progetto di Piano è costituito dalla nuova zona residenziale, connessa alla città esistente tramite sei nuovi sottopassi che terminano in altrettanti viali alberati, anticipazioni del parco, ampliato a 5 ha rispetto alle prescrizioni dell’o.d.g. del 1998. Il cuore del parco, nella zona centrale dell’area, è costituito da una grande piazza, circondata su tre lati da edifici di prestigio. Davanti ad essa il progetto prevede un grande prato, largo 150 mt. E lungo quasi il doppio, in declivio naturale verso il fiume. Per consentirne la percezione, nel tratto prospiciente la piazza, il progetto prevede l’interruzione delle fila alberate lungo il fiume, l’interramento della vecchia via Sanseverino e la copertura dell’Adigetto. Il progetto di Piano prevede poi sostanziali modifiche anche all’assetto viario: un nuovo ponte sull’Adige (in prossimità dello Stadio Briamasco), il depotenziamento della vecchia via Sanseverino (che rimane nel suo tracciato ma diviene strada a traffico limitato), una nuova strada di attraversamento interno, molto accosta alla ferrovia, con due diagonali di collegamento, che fornisce l’accesso a tutti gli edifici dell’area (Science Center, residenze, albergo, auditorium). Complessivamente, il progetto prevede una volumetria massima edificabile di 280.000 mc. Si prevede che i lavori di trasformazione dell’area inizino nel 2005. Gli investimenti previsti ammontano a 250 ml. di euro. Tabelle sintetiche

37

Page 38: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 1 – Scheda descrittiva dell’area

38

Page 39: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 2 – La nuova destinazione d’uso dell’area in funzione del nuovo regime proprietario

39

Page 40: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 3 - La riqualificazione urbanistica dell’area secondo i progetti per il Concorso di idee indetto da Iniziative urbane S.p.a., nel novembre del 1999

40

Page 41: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 4 - La riqualificazione urbanistica dell’area secondo i progetti per il Concorso di idee indetto da Iniziative urbane S.p.a., nel novembre del 1999

41

Page 42: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 5 - La riqualificazione urbanistica dell’area secondo il progetto dell’Arch. Bocchi, consulente con incarico la redazione della Variante al P.R.G. di Trento

42

Page 43: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 6 - Il progetto di Renzo Piano nella sua prima stesura (prima della revisione della Variante al P.R.G. effettuata dalla Provincia il 30/12/2003)

43

Page 44: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 7 - Il progetto di Renzo Piano dopo la revisione della Variante al P.R.G. effettuata dalla Provincia il 30/12/2003

44

Page 45: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 8 - Scheda riepilogativa la trasformazione dell’area

45

Page 46: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Considerazioni critiche Il destino della ex Michelin di Trento è stato tracciato inesorabilmente dal mancato acquisto dell’area da parte comunale e regionale, area che la cittadinanza ha sempre vissuto molto intensamente perché luogo di incontri, di passeggiate, di allenamenti sportivi, nonostante le condizioni di degrado dell’intorno (l’area ex Michelin non è l’unica area dismessa nella sponda in sinistra dell’Adige) e di inquinamento (idrico ed atmosferico). Avrebbe potuto tradursi, così come desideravano i residenti, in un parco urbano fluviale con funzioni legate all’istruzione, alla cultura, allo sport, allo svago. Ed invece prossimamente (i lavori per la sua trasformazione si è stimato che inizino nel 2005), si trasformerà in “un pezzo di città”, con costruzioni dense, piazze e piazzette e ridotte dimensioni delle strade secondarie. La storia della riqualificazione dell’area ex Michelin o meglio, le diverse riqualificazioni ipotizzate nel corso del tempo per l’area, sono state utili ad evidenziare alcuni aspetti: i possibili condizionamenti dei proprietari delle aree sul nuovo uso delle stesse, condizionamenti del tutto legittimi, che non si intende demonizzare, investendo essi capitali che devono avere un ritorno in termini economici, ma soprattutto la scarsa lungimiranza della pubblica amministrazione, la sua incapacità (peraltro dichiarata) a gestire i processi di riqualificazione dell’area, che ha aperto le porte ad un uso della stessa non conforme alle aspettative dei residenti e che perdipiù comporterà una notevole spesa economica per la Provincia. Infatti, la Revisione della Variante operata dalla Provincia al progetto di Renzo Piano ha modificato la parte di progetto relativa allo Science Center, previsto originariamente a ferro di cavallo intorno a Palazzo delle Albere e ora rimasto unicamente nel suo lato Sud. Poiché la volumetria che rimane non è sufficiente, sembra che sia necessario realizzare un altro edificio più a Sud di questo, nel terreno ora di proprietà di Iniziative Urbane. L’edificio dovrà essere costruito dalla Provincia e il costo del terreno al momento previsto sembra essere notevolmente superiore al costo originario dell’intera area ex Michelin (49 mld. di vecchie lire).

46

Page 47: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

4.2.3 L’ambito Castello di Lucento a Torino (vedi cap.6) 4.2.4 L’area Cemsa Pirelli a Saronno L’area Cemsa Pirelli si estende per 238.000 mq a Sud di Saronno. E’ un’area assai appetibile poiché si trova a ridosso del nucleo storico della città (tra la Stazione delle Ferrovie Nord Milano e le vie Varese e Milano) e contemporaneamente è dotata di elevata accessibilità, essendo vicina alla Stazione ferroviaria e prossima all’Autostrada A9 Milano Como e alle S.S. Milano Varese e Busto Monza. Inoltre, trovandosi la città al confine delle province di Milano, Como e Varese, l’appetibilità dell’area è ulteriormente accresciuta dalla vicinanza con l’aeroporto di Malpensa e dalla prossima realizzazione a Rho Pero del polo fieristico. L’area Cemsa Pirelli non è l’unica area industriale di Saronno, la cui vocazione industriale è stata inequivocabilmente definita alla fine dell’800, con la realizzazione del primo tronco delle attuali Ferrovie Nord Milano, con il collegamento con Milano, che ha reso la città un sito idoneo alla localizzazione delle industrie. Ben presto, la città ha iniziato ad ospitare fabbriche inerenti diversi settori produttivi e ad offrire posti di lavoro: la meccanica generale e armeria Cemsa, nata con preponderante capitale tedesco, conosciuta per decenni con la denominazione di Maschinen Fabrik di Saronno, filiale di Esslingen, la metalmeccanica Isotta Fraschini, poi Breda, il biscottificio Lazzaroni, il cotonificio De Angeli-Frua, la Philips, le casseforti Parma, l’industria tessile Torley, la Pass, la Warm Morning, la Banfi & Conti, il Mulino Biffi, il Mulino Conti. Di tutte le aree, l’area oggi denominata Cemsa Pirelli ha avuto un ruolo particolarmente importante nella definizione dell’identità e dello sviluppo della città. Alla fine degli anni ’70, per la crisi che ha investito il settore manifatturiero in Italia e in Europa, essa è divenuta dismessa e la città ha dovuto prevedere per l’area un nuovo ruolo, con un peso se non proprio analogo al precedente, almeno paragonabile. Sulla base della valutazione delle nuove attività economiche, il P.R.G. della città, approvato nel 1978, ha riconosciuto il superamento delle attività manifatturiere e la necessità di incentivare nuove forme di lavoro. Il Piano ha così destinato l’area a funzioni prevalentemente terziarie, con un indice di fabbricabilità territoriale piuttosto elevato (1 mq/mq), che non ha prodotto grandi risultati, per una scarsa riconoscibilità della città come possibile polo direzionale e allo stesso tempo per l’eccesso di offerta di volumetria terziaria negli strumenti urbanistici di quegli anni dei comuni più vicini al capoluogo regionale. Sulla base della conseguente parziale attuazione del Piano Particolareggiato sull’area (PIC), il nuovo P.R.G., approvato con D.G.R. nel 1997 (e successivamente modificato), piano attualmente in vigore, ha classificato l’area zona B.6.2, ossia “insediamenti produttivi esistenti”. Per essi, il Piano ha prescritto la riqualificazione del tessuto urbano a funzioni integrate tra la residenza ed altre attività. Con una forte dose di flessibilità esso ha stabilito: una quota massima del 70% per le funzioni residenziali, una quota minima del 30% per le funzioni non residenziali (per evitare la realizzazione di un quartiere dormitorio gravitante su Milano), e almeno il 51% della superficie territoriale per un grande parco urbano. Al 2002 l’area si trovava ad essere frammentata in cinque proprietà: le Ferrovie Nord Milano (3.420 mq), il Comune di Saronno per cessioni da Cemsa S.p.A. (6.922 mq), la Caproni ElettroMeccanica Saronno S.p.A. (2.316 mq), la Pirelli & C. Real Estate, ex Isotta Fraschini (116.360 mq) e la Immobiliare Saronno GB S.p.A. (68.458 mq). La frammentazione delle proprietà determinava diverse condizioni di partenza delle aree, che avevano per di più potenzialità diverse. Era necessario che le diverse proprietà esplicitassero le reciproche intenzioni di intervento, le confrontassero con gli indirizzi tecnici e politici dell’Amministrazione e infine definissero una serie di regole comuni attorno alle quali costruire un progetto unitario. Recependo le difficoltà di trasformazione dell’area, l’Amministrazione comunale ha redatto e approvato (con delibera n°96 del 25/11/2002), le “Linee Guida” che hanno indicato lo schema insediativo di massima nell’intera area, schema

47

Page 48: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

condiviso dai proprietari delle aree che hanno collaborato alla redazione del documento tramite la partecipazione ad un “tavolo tecnico” di confronto. Sulla base delle conclusioni delle Linee, l’Amministrazione comunale ha poi adottato (con D.C.C. n°86 del 15/12/2003) il Documento Direttore “Inquadramento progettuale grandi aree di trasformazione in zona B.6.2.”, che si pone il fine di fare un ulteriore passo rispetto alle “Linee”, esplicitando il campo e le regole del gioco compositivo. Queste regole sono: un insieme integrato di funzioni per l’area (residenziali, terziarie, produttive), la collocazione della parte edificata ai bordi dell’area, della quale, il 30% destinato ad edilizia residenziale (con 5.000 mq ad edilizia convenzionata, grossomodo 60 alloggi) e il 70% destinato a terziario (uffici e sedi direzionali, attività alberghiere e ricettive, piccolo commercio e di qualità, piccole attività produttive non invasive), il coacervo delle cessioni al patrimonio pubblico in un insieme il più possibile continuo ai fini della formazione di un parco urbano della dimensione di 10 ettari. Il Documento ha definito poi gli interventi nell’area per sub comparti: radicale trasformazione territoriale e ridefinizione dei luoghi nelle aree dismesse, ristrutturazione e recupero del patrimonio edilizio esistente nell’unica area realmente attiva, l’immobiliare GB Saronno S.p.A. E ha definito anche le modalità di attuazione degli interventi, con Piani Particolareggiati o con P.I.I., che dovranno possedere le prestazioni stabilite dal Documento stesso. Ai piani o ai programmi si richiede che l’entità territoriale minima di progetto concida con un sub comparto, che le variazioni dell’azzonamento proposto non riguardino gli spazi di uso pubblico, che le altezze massime definite per ambito edificabile non siano parametri modificabili, che le funzioni d’uso indicate per edificio (caratterizzanti e prevalenti ma non esclusive), siano variate entro una fascia di oscillazione prestabilita, rispettando il mix funzionale per sub comparto computato percentualmente, che in generale, la realizzazione delle opere di urbanizzazione primarie e secondarie avvenga in capo alla responsabilità degli attuatori. Alla fine del 2004, la supervisone del progetto di recupero della sola area Cemsa è stata affidata all’Architetto Mario Botta, che su iniziativa della società, si occuperà anche delle soluzioni progettuali del nodo ferroviario e della sua connessione con la città. Tabelle sintetiche

48

Page 49: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 1 - Descrizione dell’area dismessa (prima parte)

49

Page 50: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 1 - Descrizione dell’area dismessa (seconda parte)

50

Page 51: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 2 - La riqualificazione urbanistica dell’area secondo il Documento Direttore “Inquadramento progettuale grandi aree di trasformazione in zona B.6.2”

51

Page 52: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Considerazioni critiche In base alle informazioni raccolte, l’area Cemsa Pirelli a Saronno è sembrata un caso idoneo a rappresentare le problematiche di riqualificazione di un’area in crisi produttiva ma ancora attiva. Come si è detto, l’area è frammentata in cinque diverse proprietà; di queste, alcune sono dichiaratamente dismesse, come la Pirelli & Real Estate, e altre, come la Cemsa S.p.A. e l’Immobiliare Saronno GB S.p.A., non lo sono così dichiaratamente, anche se lo sembrano: la Cemsa S.p.A., con sede amministrativa a Saronno, ha zero dipendenti, l’Immobiliare Saronno GB S.p.A. comprende al suo interno un impianto produttivo parzialmente attivo (di cui non si sa molto) e alcune residenze. La frammentazione della proprietà delle aree, non così contenuta, la loro diversa potenzialità anche per le diverse condizioni di partenza delle stesse (nel tempo alcune aree sono state in parte trasformate) e, non ultima in grado di importanza, la considerazione che alcune di esse risultano attive ma non sembrano pesare molto nei bilanci delle società proprietarie, hanno determinato il forte ritardo con cui questa area si è avviata a trasformazione. Ciò è avvenuto soltanto ai giorni nostri, con la decisione del Comune (uno dei soggetti proprietari per cessioni da Cemsa S.p.A. per precedenti ipotesi di trasformazione dell’area), di farsi soggetto catalizzatore delle singole attività con un Documento (il Documento Direttore) che esplicita le regole del gioco compositivo, condiviso ormai da tutti i soggetti proprietari lo schema insediativi di massima. Scartando l’ipotesi che l’intervento del Comune sia dovuto alla volontà di tutelare i propri interessi, non giustificata dall’esiguità dell’area, si può ritenere che esso sia dovuto unicamente alla necessità di sopperire alle difficoltà di trasformazione di un’area penalizzata dalle sue problematiche ma assai nevralgica per posizione all’interno della città. Il ruolo svolto dal Comune fà sperare che la sua posizione di soggetto catalizzatore possa consentire all’Ente locale di prendere le sue decisioni in modo più autonomo, propendendo maggiormente per le esigenze pubbliche e rivelandosi meno sensibile nei confronti di quelle del privato. Tra le società proprietarie delle diverse aree, la Cemsa S.p.A. sembra riconoscere più delle altre l’arduo compito svolto dal Comune, “ricompensandolo” con l’estensione dell’incarico di progettazione (dalla società affidato, per l’area di sua proprietà ad un grande nome dell’architettura), a sue spese, anche al nodo ferroviario e alla sua connessione con la città, nella consapevolezza anche del ritorno economico dell’operazione, nel plusvalore che l’area acquisirà per il buon esito progettuale dei punti cruciali dell’intera area. (1) Paolo Galuzzi Piergiorgio Vitilio La nuova porta sud della città in Urbanistica n°119 luglio dicembre 2002

52

Page 53: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Capitolo 5° Trasformazione e conservazione: riuso e valori della memoria dell’area dismessa 5.1 Introduzione Alcune aree industriali dismesse possono incontrare forti difficoltà ad assumere nuova identità se vengono considerate componenti di un “patrimonio di storia industriale”. In questo caso, il termine “patrimonio” è assunto con un’accezione connessa al concetto di territorio e alle sue specificità che lo caratterizzano. E’ inteso come l’insieme dei beni culturali e ambientali di uno specifico contesto sociale e territoriale, delle relazioni che collegano i singoli beni al contesto e dei valori di queste relazioni. Un concetto questo, riassunto nel termine “milieu”, che “permette di descrivere il territorio-patrimonio sia come insieme di specificità e caratteristiche locali che derivano da un processo di stratificazione di lungo periodo, sia come insieme di potenzialità e risorse”(1) per il presente e il futuro. In un testo del 1995, Magnaghi sostiene che “..in questa prospettiva, il patrimonio è visto e interpretato come un’eredità del passato che si sedimenta e si costruisce nel, e in rapporto con il, territorio di riferimento, e che va, allo stesso tempo, valorizzata nel presente e trasmessa alle generazioni future”(2). Negli ultimi anni, le dinamiche socio-economiche contemporanee, in particolare i processi di globalizzazione, portando paradossalmente ad attribuire nuovo valore ai temi del locale, delle specificità e delle differenze che caratterizzano le diverse realtà territoriali, hanno come portato a riscoprire queste aree “lasciti materiali della storia industriale”(3). Esse contengono resti più o meno rilevanti della storia dell’industria e su di essi è possibile intervenire in diverso modo a seconda del diverso valore (storico, simbolico..) che è stato loro attribuito. Possono contenere interi complessi, che devono essere conservati integralmente, complessi per i quali è sufficiente mantenere uno o più edifici mentre il resto può essere demolito, o, infine, pochi elementi singolari che sono testimonianza, comunque rilevante, della storia dell’industria di quel determinato territorio. A differenza delle altre aree, prive di reale valore storico, per questi “oggetti” del passato si rende necessario chiedersi quali siano oggi le funzioni compatibili che possono essere loro attribuite senza snaturarne storia e carattere originario. Ma anche chiedersi quali funzioni compatibili abbiano costi che possono essere sostenuti. La riqualificazione di queste aree ricche di storia comporta costi diversi a seconda delle diverse funzioni che si intende attribuire loro, ma comunque costi elevati. La riqualificazione a residenze, con la conservazione delle strutture originarie e dei particolari più interessanti, costa di più che un intervento realizzato ex novo. Di conseguenza, poiché in questi casi, il privato ritiene antieconomico intervenire, pur di non condannare alla rovina strutture che si ritiene debbano essere conservate, le necessarie opere di conservazione sono finanziate in toto o in parte da regioni, province o enti pubblici. Più frequente, poiché più remunerativa, è la riqualificazione delle aree ex industriali “storiche” ad opera di privati per destinarle a funzioni pregiate (ad esempio quelle commerciali), soprattutto nel caso in cui si consente loro di aumentare la volumetria disponibile o di “allargare” le nuove funzioni pregiate anche ad altre aree o edifici, non storici, che comunque fanno parte del complesso. La reindustrializzazione di queste aree, se da una parte potrebbe rappresentare il miglior modo di conservare la storia dei luoghi, in alcuni casi potrebbe dare luogo ad un sabotaggio degli edifici stessi. La flessibilità e la facile adattabilità, con interventi limitati e poco costosi, dei vecchi stabilimenti, soprattutto di quelli in passato adibiti ad industria meccanica o siderurgica, fà correre il rischio che gli interventi realizzati possano essere poco rispettosi della natura e del valore dei luoghi. I casi di studio analizzati, l’area ex Breda a Sesto San Giovanni, la cui riqualificazione si è appena conclusa e l’area ex Montecatini Alumetal a Mori, che ancora attende una nuova destinazione, sono stati ritenuti casi idonei a rappresentare le problematiche di riqualificazione di aree componenti di un patrimonio industriale, ostacolate nella loro riqualificazione dal valore storico che hanno e da ciò che esse rappresentano per chi ha sempre vissuto in quei luoghi.

53

Page 54: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

5.2 L’area ex Breda a Sesto San Giovanni 5.2.1 Premessa L’area ex Breda fa parte del complesso di aree industriali dismesse di Sesto San Giovanni, nell’hinterland milanese, che sorto agli inizi del secolo, per quasi ottanta anni ha rappresentato la “fabbrica” del nostro Paese. Tra le aree sestesi, l’ex Breda ha concluso recentemente il suo processo di riconversione produttiva e si presta meglio delle altre, la cui riqualificazione è in corso, ad una valutazione, anche se approssimativa, degli esiti prodotti dalla sua trasformazione. Inoltre, la notevole estensione dell’area, 30 ha, (che la rende, con la Falck una delle aree dismesse più grandi nel contesto sestese), fanno sì che essa risulti un esempio interessante di studio. Le aree di Sesto sono accomunate tra loro da storia, vocazione produttiva e motivi di dismissione degli impianti. Il forte vissuto storico e il notevole valore simbolico di queste aree induce una certa soggezione a separare il caso di studio scelto dal contesto e sollecita piuttosto la necessità di delineare, seppur brevemente, storia e caratteri comuni a tutte le aree per entrare solo successivamente nel caso scelto e nelle sue problematiche di trasformazione. 5.2.2 Sesto San Giovanni: da città delle tute blu a “città della comunicazione” Ai primi del secolo scorso, alcune fabbriche nel settore siderurgico ed elettromeccanico, di dimensioni piuttosto consistenti, si insediarono a Sesto San Giovanni, nell’hinterland milanese. Erano l’industria meccanica-metallurgica Breda, l’industria siderurgica Falck, la Pirelli, le industrie elettromeccaniche Ercole Marelli e Magneti Marelli. Queste fabbriche hanno determinato la storia e condizionato la vocazione produttiva della città, che è divenuta ben presto il quinto centro industriale del Paese e tale è rimasta per molti anni. Gli abitanti che hanno gravitato intorno alle aree produttive e all’indotto, 5.000 agli inizi del secolo, sono divenuti 100.000 nel 1978. Nel 1936, gli addetti hanno raggiunto i 45.000, superando il numero di abitanti che la città aveva allora. Negli anni ’60, sulla spinta delle grandi ondate migratorie, dal Sud Italia ma anche dalle altre regioni, la città si è estesa notevolmente. Negli anni immediatamente successivi, al pari di quanto stava accadendo nelle altre città industriali come Manchester o Liverpool, la logica della fabbrica fordista ha iniziato a manifestare segni di declino, più evidenti tra la metà degli anni ’70 e quella degli anni ’80. In questi anni, gli addetti all’industria divennero 22.000, meno della metà degli addetti nel periodo prebellico e postbellico. Nel frattempo, nel periodo di piena attività economica, (fine degli anni ’80), l’industria aveva occupato un terzo del territorio cittadino (11 ml. di mq) e il paesaggio della città risultava ormai composto di capannoni industriali e villaggi operai, ma anche dei servizi necessari per una comunità in gran parte composta da immigrati (stadi, centri sportivi, asili, scuole, chiese e teatri). Nel 1996, la chiusura della Falck, ultima grande fabbrica rimasta sul territorio sestese, segnò definitivamente la fine di un’epoca. E liberò quasi 3 ml. e mezzo di mq di aree ex industriali. La città subì un calo demografico di 17.000 abitanti. E mutò di fisionomia, rispondendo alla nuova composizione economica e sociale dei suoi residenti: sfrattati gli operai, le case Falck furono vendute con oltre 400 vendite frazionate e i quartieri Gescal furono occupati per lo più da pensionati. Agli inizi degli anni ’80 si avviarono i primi processi di riqualificazione delle aree ex industriali, che a Sesto costituiscono il “centro” della città, al pari di ciò che in altri contesti è rappresentato dalla piazza o dalla chiesa, come sostiene Filippo Penati, per anni Sindaco della città, poiché “a Sesto si sono realizzate prima le fabbriche e poi negli interstizi e negli spazi non utilizzati della grande fabbrica si è sviluppata la città”(4). In questi anni, gli interventi di riqualificazione avviati sono stati realizzati in Variante agli strumenti urbanistici vigenti e in assenza di un disegno urbano complessivo e sono oggi oggetto di profonde riflessioni e ripensamenti sulle logiche che li hanno portati in attuazione.

54

Page 55: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Negli anni ’90, con la chiusura della Falck, ultima fabbrica ancora in attività sul territorio sestese, forse anche per la notevole estensione ormai raggiunta dalla dismissione delle aree, si è verificata una maggiore attenzione nei confronti del paesaggio industriale della città, finalmente interpretato come un segno da non cancellare e la trama su cui costruire la città nuova. Alla fine degli anni ’80, è stata avviata la stesura del nuovo Piano Regolatore, affidato allo Studio Gregotti Associati. Nel febbraio del 1989, era stato presentato un Documento Programmatico per la revisione del piano, che aveva fissato gli obiettivi di riferimento per il nuovo sviluppo della città. Poiché nel momento in cui la Variante è stata elaborata, la città di Sesto si trovava in una delicata fase di transizione, nella quale risultava difficile prefigurare una nuova vocazione per la città, la revisione del Piano ha scelto di non fare previsioni e di assumere piuttosto gli indirizzi politici del Documento programmatico, confermando quindi la struttura economico-produttiva della città, seppur riconsiderata in termini innovativi, e avviando azioni efficaci di riqualificazione ambientale. Il Piano è stato adottato dal C.C. nel 1993. Ha suddiviso le aree ex industriali in due gruppi: quelle per le quali ha confermato la destinazione produttiva (aree Falck Unione, Falck Concordia, e Marelli) e quelle per le quali ha previsto la trasformazione ai fini di una riqualificazione complessiva della città e del sistema produttivo (Falck Vulcano, Breda, EdilMarelli, e due ambiti compresi nei bacini Unione e Concordia). 5.2 L’area ex Breda (ex CimiMontubi S.p.A.) L’area ex Breda si estende per 300.000 mq. Confina direttamente con il centro di Sesto San Giovanni (anche se ne è separata dalla ferrovia Como-Chiasso), e ha una posizione strategica in quanto “cerniera” tra il tessuto produttivo della città e le aree dismesse lungo la direttrice nord-est dell’hinterland milanese, come la Pirelli-Bicocca, ora polo terziario di livello regionale (per la presenza dell’Università, di centri di ricerca e decisionali, di funzioni culturali), e più a Nord, l’area Ansaldo attualmente in corso di trasformazione. Nel piano adottato nel 1993, il Comune di Sesto ha destinato l’area a reindustrializzazione, per l’impossibilità di fare previsioni sul futuro della città e per rispondere alla crisi occupazionale provocata dalla chiusura delle fabbriche sestesi, in primo luogo la Falck. La L. n°30 del 15/11/1994 della Regione Lombardia “Interventi regionali per il recupero, la qualificazione e la promozione delle aree da destinare a nuovi insediamenti produttivi”, ha costituito la “molla” che ha messo in moto la trasformazione delle aree sestesi e dell’area ex Breda. La legge ha risposto alla necessità di “favorire lo sviluppo economico delle aree colpite dalla crisi di particolari settori industriali o da processi di complessivo declino economico”(5) e in presenza di Accordi di programma tra Regioni e soggetti pubblici interessati o di convenzioni preliminari, concede “per la realizzazione di progetti (di riconversione produttiva) un contributo in conto capitale non superiore al 50% della spesa complessiva e ritenuta ammissibile”(6). Inoltre, “gli interventi approvati ai sensi della legge sono considerati prioritari per l’impegno di risorse finanziarie rese disponibili da disposizioni statali e comunitarie finalizzate agli interventi di reindustrializzazione nelle aree di crisi e di declino economico”(7). Un anno dopo l’emanazione della legge, nel novembre del 1995, il Comune di Sesto e la Società CimiMontubi S.p.A. hanno colto le opportunità offerte dalla legge e hanno costruito le condizioni per poter usufruire dei finanziamenti per la riqualificazione dell’area, sottoscrivendo una Convenzione Preliminare, che ha individuato le funzioni di massima da insediare nell’area (con le relative destinazioni d’uso, i possibili riflessi occupazionali e gli impegni reciproci dei due soggetti). Due anni dopo, nel 1997, è stato approvato l’Accordo di Programma per la reindustrializzazione di Sesto (sottoscritto da Regione Lombardia, Provincia di Milano, Comune di Sesto e ASNM), che ha consentito di mutare la destinazione d’uso dell’area, da industriale a terziaria, commerciale, ricettiva e produttiva per piccole e medie imprese. Comune e società proprietaria hanno poi predisposto un Piano attuativo di

55

Page 56: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

iniziativa pubblica, nell’ambito del quale sono state formulate le direttive di carattere urbanistico per la trasformazione dell’area. Per mantenere la memoria del passato industriale dei luoghi, la trasformazione dell’area è stata attuata con una riconversione “leggera”, che solo parzialmente ha fatto ricorso alla demolizione, perseguendo piuttosto il riuso e la ristrutturazione degli edifici esistenti per nuove attività produttive e di servizio sostegno alle imprese. Sono stati realizzati anche degli interventi ex novo, per insediare nell’area piccole medie imprese e attività commerciali di dettaglio e di servizio, e interventi finalizzati a migliorare la qualità della vita urbana, come il Parco della Torretta. Non ha avuto alcun seguito, invece, il Museo all’aperto dell’industria e del lavoro, oggetto del PRUSST “Parco Archeologico industriale in area ex Breda”, presentato dal Comune di Sesto nel 1999 ma non ammesso a finanziamento. Il programma si proponeva la conservazione dei luoghi a testimonianza del passato industriale della città, con interventi pubblici ed interventi privati (anche se in misura minore), orientati a questo fine. Gli interventi pubblici consistevano per lo più nella realizzazione del Museo, inteso non come luogo fisico in cui concentrare macchine, carte ed oggetti ma un museo diffuso nel territorio che conteneva manufatti industriali adibiti a nuove funzioni ritenute compatibili. Tra gli interventi più significativi, meritano menzione: la porta del parco (ex edificio d’ingresso all’area ex Breda), il museo dell’industria (ex magazzino ricambi), inserito nel Censimento effettuato dal Comune di Sesto, con vincolo di salvaguardia perché “struttura industriale dismessa significativa”, il padiglione per manifestazioni culturali (ex edificio carroponte), percorsi pedonali in quota utilizzando vecchie passerelle di servizio, sezioni specifiche museali nell’ex Torre dei modelli e sale convegni nell’ex vasca pensile, nonché giochi d’acqua e fontane. Gli interventi privati del PRUSST finalizzati a conservare l’identità dei luoghi consistevano per lo più nella riqualificazione dei nove fabbricati, ad uno o due piani fuori terra, del Villaggio Breda, costruito negli anni ’20 e nel recupero dell’ex mensa del personale Breda per adibirlo a Bic (Bureau Innovation Center). Allo stato attuale, con l’Accordo di Programma promosso con D.G.R. n°8946 del 30/04/02, il Parco archeologico industriale sembra prossimo ad essere realizzato per i finanziamenti concessi dalla Regione Lombardia nel biennio 2000-2002 e 2002-2004, alcuni dei quali a fondo perduto (1 ml. di euro circa). Tabelle sintetiche

56

Page 57: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 1 - Descrizione dell’area dismessa

57

Page 58: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 2 - La nuova destinazione d’uso dell’area: la Convenzione preliminare sottoscritta nel novembre del 1995 e l’Accordo di Programma per la reindustrializzazione di Sesto

del 1996

58

Page 59: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 3 - La riqualificazione urbanistica dell’area secondo il Piano Attuativo di iniziativa pubblica (con relativo programma occupazionale), approvato in Accordo di Programma

nel febbraio del 1997

59

Page 60: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 4 - La riqualificazione urbanistica dell’area secondo la proposta di PRUSST “Parco Archeologico Industriale in area ex Breda”, presentato dal Comune di Sesto nel

1999 e non ammesso a finanziamento

60

Page 61: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 5 - La realizzazione del Parco archeologico industriale nell’area ex Breda (Accordo di Programma promosso con D.G.R. n°8946 del 30/04/02)

61

Page 62: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 6 - I risultati dell’Accordo di Programma per la reindustrializzazione dell’area di Sesto San Giovanni, sottoscritto nel 1996, divenuto operativo nel 1997 e conclusosi nel

dicembre 2003

62

Page 63: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Considerazioni critiche Sesto San Giovanni è stata per quasi un secolo un simbolo del movimento operaio e della grande fabbrica. Nel 1996, dismessa la Falck, ultimo impianto ancora attivo in territorio sestese, la città ha dovuto interrogarsi sul suo futuro per rispondere per di più in tempi brevi, alla grave crisi occupazionale che la chiusura delle fabbriche aveva provocato, così da contenere agitazioni e dissensi che avrebbero potuto raggiungere livelli pericolosi. La L. n°30 del 1994 della Regione Lombardia ha recepito la sofferenza del territorio, finanziando gli interventi di riqualificazione delle aree, purchè finalizzati alla riconversione produttiva delle stesse. L’area ex Breda di proprietà CimiMontubi S.p.A., come l’area Concordia Sud (ex Falck), ha colto le opportunità offerte dalla legge regionale e ha costruito in tempi brevi le condizioni per accedere ai finanziamenti. Allo stato attuale, la riqualificazione dell’area è del tutto conclusa. Il 13 febbraio del 2004, in occasione della Chiusura dell’Accordo di Programma per la reindustrializzazione di Sesto, nella città è stato organizzato un incontro per valutare i risultati del primo piano di interventi avviati con l’Accordo (1996/2003). Nell’area ex Breda essi consistono nel distretto artigianale Breda-CimiMontubi S.p.A. e nel Laboratorio Innovazione Breda (operativo dal 2003). Il distretto accoglie 26 aziende artigiane e di piccole dimensioni, con 157 addetti nella fase di insediamento, di cui 51 nuovi assunti, e un investimento da parte delle aziende di 10,5 ml. di euro (per l’acquisto delle aree, la progettazione e la costruzione dei capannoni). La trasformazione dell’area ha comportato la realizzazione di nuovi interventi (il distretto artigianale) ma anche il recupero degli edifici esistenti (la ex Mensa per il Laboratorio) e il loro riutilizzo a nuovi usi. E poiché i nuovi usi sono usi produttivi, essa sembra aver rispettato l’identità dei luoghi, la loro storia e il valore simbolico che essi rappresentano per i residenti, per gli ex addetti e per il mondo. Questo è stato possibile anche grazie al P.R.G. della città redatto da Gregotti e Associati, che ha incentivato il recupero dell’architettura industriale dismessa con un meccanismo che ha aumentato la cubatura realizzabile nelle altre aree. Censiti i grandi capannoni industriali siderurgici in tre categorie (quelli che assolutamente non potevano essere abbattuti e che dovevano essere recuperati, quelli che si potevano recuperare, quelli che non andavano recuperati), il Piano ha disposto che, nel caso si decidesse di recuperare le vecchie strutture per funzioni di uso pubblico, la volumetria recuperata sarebbe stata “raddoppiata e aggiunta alla volumetria consentita sul resto dell’area”. In conclusione, nella riqualificazione dell’area ex Breda a Sesto San Giovanni, una compresenza di felici condizioni, come una legge regionale che ha concesso finanziamenti per un nuovo uso produttivo delle aree e un Piano Regolatore particolarmente illuminato che ha incentivato il recupero dei manufatti industriali, hanno reso possibile la conservazione della storia della città, il mantenimento della sua vocazione produttiva (anche se in altra veste -high tech-) e risposto al tempo stesso alla grave crisi occupazionale nel suo territorio.

63

Page 64: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

5.3 L’area ex Montecatini Alumetal a Mori La fabbrica di Mori fu costruita alla fine degli anni ’20 dal gruppo industriale “Montecatini”, in accordo con la Società tedesca “Vereinigte Aluminium Werke” (alleata del gruppo italiano fino al 1930), con lo scopo di rilanciare l’economia del paese producendo alluminio, così da eliminare le importazioni del metallo dall’estero, che avevano alleggerito per un decennio le casse dello stato. Per la sua alta tecnologia (fu il primo impianto a sfruttare per il proprio fabbisogno l’energia che creava in loco con imponenti opere idrauliche di presa sull’Adige), fu un modello cui tutta l’Europa guardò con ammirazione durante l’industrializzazione del primo ‘900. In Italia, in particolare nel Trentino, costituì “la strada” da seguire per le attività industriali-artigianali che di lì a poco sarebbero sorte. Fu la prima grande iniziativa industriale del basso Trentino e trasformò radicalmente l’economia del territorio, fino ad allora basata esclusivamente sull’agricoltura, con inevitabili effetti sul piano sociale, trasformando poco a poco i contadini in operai e costituendo per essi la speranza di una vita migliore in una terra che, fino a pochi decenni prima, aveva risorse assai limitate. Negli anni ’30, il fenomeno delle “macchie blu”, su persone, animali e piante, causato dall’inquinamento prodotto dagli impianti, determinò forti paure nei contadini che coltivavano i terreni circostanti la fabbrica e che chiesero la sua chiusura, mentre gli operai minimizzavano i danni per paura di perdere il posto di lavoro e i proprietari della fabbrica ufficialmente dichiaravano la propria estraneità ai fatti e ufficiosamente liquidavano i danni. Durante il secondo conflitto, la “Montecatini” come venne chiamata, fu dichiarata fabbrica di guerra e dipese dalla fabbriguerra di Bologna. In quegli anni, essa riforniva l’industria italiana e quella bellica tedesca. Di conseguenza, tranne qualche rara eccezione, gli operai ai forni non furono chiamati alle armi e poiché lavorare alla Montecatini equivaleva non partire per la guerra, la fabbrica si riempì di operai, che raggiunsero in questo periodo l’entità massima: 1224 unità. Dopo la liberazione, la ripresa della produzione fu lenta e difficile: la crisi economica e l’introduzione della meccanizzazione determinarono una drastica riduzione dell’organico, che toccò punte minime di 250 lavoratori. Negli anni ’60, come nelle altre fabbriche d’Europa, essa visse momenti piuttosto accesi di lotta sindacale. Ma in questi anni, a seguito di un’intelligente politica aziendale, vennero introdotte le “attività di dopolavoro” (filodrammatica, coro, tornei sportivi, gite aziendali, feste e colonie estive per i figli dei dipendenti), che portarono gli operai a sentire la fabbrica non più soltanto come un luogo di lavoro ma come una comunità di intenti. E l’intento era quello di contribuire tutti alla crescita economica del paese. La politica aziendale funzionò e la Direzione di Milano riconobbe un attaccamento particolare degli operai di Mori alla “loro” fabbrica. Un secondo periodo di “macchie blu” negli anni 1965-66 e la nazionalizzazione dell’energia da parte dell’Enel, che portò a decuplicare per la fabbrica i costi dell’energia, fino ad allora irrisori, disponendo essa di centrali proprie, portarono lo stabilimento di Mori a non reggere il passo con altre fabbriche, maggiormente all’avanguardia, sorte nel frattempo nel mondo e nel 1983 essa decretò la chiusura definitiva. Nel 1988, la Tecnofin Strutture S.p.A., d’intesa con la Provincia Autonoma di Trento, Il Comune di Mori e il Comune di Rovereto, hanno indetto un Concorso Nazionale per la riqualificazione dell’area, finalizzato ad acquisire idee operative per riutilizzare e dare nuova vita al complesso industriale. Le indicazioni alle quali i progettisti hanno dovuto attenersi si sono rivelate in verità piuttosto generiche (recupero delle parti di maggior pregio, tra cui, in primo luogo, l’edificio della centrale idroelettrica, nuovo utilizzo dell’area di tipo misto, verifica delle compatibilità delle nuove destinazioni d’uso con l’assetto urbanistico del contesto territoriale…). Decretati il progetto vincitore e i progetti classificati, che hanno ipotizzato usi diversi per l’area (industria di smontaggio selettivo di automobili ed elettrodomestici giunti a fine vita con recupero totale delle materie prime in essi impiegate, Centro europeo di ricerca sperimentale per le tecniche avanzate di tutela dell’ambiente, in particolare nel settore dello smaltimento dei rifiuti, ma anche industria birraria e parco

64

Page 65: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

tecnologico), essi non hanno avuto ad oggi alcun esito. Nel 1991, la Tecnofin Strutture S.p.A., una società a partecipazione della Provincia di Trento, che si occupa di immobili da destinare ad attività produttive, ha acquistato l’area. La pianificazione sovraordinata (Piano Urbanistico Provinciale nel 1987 e Piano Urbanistico Comprensoriale nel 1991) hanno ribadito la destinazione produttiva dell’area, che successivamente è stata mutata dalla Variante in vigore al P.U.P. 2000, approvata con Legge provinciale n°7 del 2003. La Variante definisce l’ex Montecatini “area di riqualificazione urbanistica”. E all’art. 7 delle N.T.A. definisce “.. aree di riqualificazione urbanistica quei territori occupati da insediamenti del settore produttivo a carattere secondario per i quali si rende necessaria una riprogettazione complessiva per ambiti insediati, in relazione alla loro obsolescenza sul piano produttivo e alla loro dimensione e centralità o strategicità territoriale”. E ancora, nel medesimo articolo recita che i Piani Regolatori Generali “.. dispongono le relative proposte di intervento ivi comprese le nuove destinazioni funzionali tenuto conto sia dell’originaria funzione storica, sia della relativa storicità architettonica”. Tabelle sintetiche

65

Page 66: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab.1 – Descrizione dell’area dismessa

66

Page 67: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 2 - La riqualificazione urbanistica dell’area secondo i progetti per il Concorso di idee indetto dalla Tecnofin Strutture S.p.A., d’intesa con la Provincia Autonoma di

Trento, il Comune di Mori e il Comune di Rovereto, nell’estate del 1998

67

Page 68: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 3 - La riqualificazione urbanistica dell’area secondo i progetti per il Concorso di idee indetto dalla Tecnofin Strutture S.p.A., d’intesa con la Provincia Autonoma di

Trento, il Comune di Mori e il Comune di Rovereto, nell’estate del 1998

68

Page 69: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 4 - La riqualificazione urbanistica dell’area in corso: la Variante in vigore al P.U.P. 2000, approvata con Legge provinciale n° 7 del 2003

69

Page 70: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Considerazioni critiche La storia della ex Montecatini Alumetal a Mori, che si compenetra con quella del suo territorio, avendone modificato completamente l’economia, la riconosciuta valenza storica di alcuni edifici della fabbrica (in primis l’edificio della centrale idroelettrica, di interesse storico artistico ai sensi della L. n°1089 del 1939) e la valenza paesistica dell’intero complesso, individuato tra i beni paesaggistico-ambientali dall’art. 94 della legge provinciale, hanno reso la fabbrica un caso di studio idoneo a comprendere le problematiche di riqualificazione di alcune aree industriali dismesse per il valore storico e simbolico che esse hanno. A più di venti anni dalla chiusura definitiva, la “Montecatini”, così come veniva chiamata, è ancora oggi molto amata dagli abitanti dei Comuni (Marco e Mori), da cui in passato venivano gli operai che hanno lavorato nella fabbrica. Essa ha caratterizzato il vissuto di tre generazioni e tutti gli abitanti ricordano almeno un componente della loro famiglia che ha lavorato al suo interno. Un’indagine realizzata in questi Comuni nel novembre del 1998, attraverso interviste (con una metodologia vicina al Rapid Appraisal, ovvero tecniche “accelerate” di indagine sociale, che garantisce un buon bilanciamento tra informazione ricavabile, rigore scientifico e costi di attuazione, oramai utilizzata da agenzie internazionali quali FAO, Banca Mondiale, e anche da alcuni enti pubblici di altri paesi come l’Inghilterra, l’Australia e la Svizzera), finalizzata a chiedere un parere ai residenti su un possibile riutilizzo della struttura, ha messo in luce la comune volontà di un suo recupero come “area lavorativa”, con spazi ricreativi legati al verde e allo sport, così da conservare la sua immagine, ormai consolidata nel vissuto dei residenti, legata alla produzione e al lavoro e parimenti da rispondere ai nuovi bisogni, quali il tempo libero e la conservazione del paesaggio agrario. Come si è detto, nel 1988 è stato indetto un Concorso dalla nuova società proprietaria dell’area, la Tecnofin Strutture S.p.A., con la Provincia Autonoma di Trento, i Comuni di Mori e Rovereto, finalizzato a raccogliere idee per la riqualificazione dell’area. I diversi scenari ipotizzati per l’area dai diversi progettisti sembrano poco rispettosi delle indicazioni cui dovevano attenersi (il recupero delle parti di maggior pregio, tra cui in primo luogo, l’edifico della centrale e un nuovo utilizzo dell’area di tipo misto -produttivo, servizi, polo espositivo-). Inoltre, per non mutarne l’originario carattere e conservare la storia e l’identità dei luoghi, essi non mutano l’attività produttiva della struttura ma ipotizzano anche nuove funzioni che sembrano poco idonee ad essere ospitate in essa. Citando i soli progetti vincitori, il progetto primo classificato “Mekano”, propone di collocare nell’area un’industria di smontaggio selettivo di automobili ed elettrodomestici giunti a fine vita, con recupero totale delle materie prime; il progetto secondo classificato “Cerstata”, un Centro europeo di ricerca sperimentale per le tecniche avanzate di tutela dell’ambiente, in particolare nel settore dello smaltimento dei rifiuti urbani, solidi urbani e degli inerti, oltre che le attività vere e proprie di raccolta, vaglio e smaltimento dei rifiuti. Il progetto terzo classificato “Brewery”, prevede di collocare nell’area un’industria birraria integrata a servizi turistico-ricreativi e di ristorazione. Trascorsi sei anni dal Concorso, esso non ha prodotto ad oggi alcun esito e l’area Montecatini Alumetal non ha ancora una nuova destinazione. Per rimuovere gli ostacoli alla sua riqualificazione rappresentati dalla destinazione produttiva, la Variante al PUP 2000 ne ha modificato l’uso. Rimangono però le difficoltà rappresentate da un utilizzo unitario dell’area e dalla presenza in essa di una quantità notevole di volumi inutilizzati, che nella Regione Trentino, per l’ormai prossima saturazione delle discariche esistenti e la conseguente difficoltà a smaltire gli inerti, costituiscono degli ostacoli di non facile soluzione.

70

Page 71: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

(1) Francesca Governa Il milieu come insieme di beni culturali e ambientali Rivista geografica italiana 1 1998 (2) A. Magnaghi Per uno sviluppo locale autosostenibile in Materiali: laboratorio di progettazione ecologica degli insediamenti, 1, Dipartimento di urbanistica e pianificazione del territorio, Università di Firenze, Edizioni Centro A-Zeta. (3) Francesca Governa I patrimoni della storia industriale in Sguardi sui vuoti. Recenti ricerche del Dipartimento Interateneo Territorio sulle aree industriali dismesse. Working paper n°12 del DIT. Torino, dicembre 1998 (4) Filippo Penati Sesto San Giovanni: da città delle fabbriche a città della comunicazione in Processi di trasformazione urbana e aree industriali dismesse: esperienze in atto in Italia. Atti dei convegni Audis 1999/2000. Edizioni Audis. Venezia, 2001 (5) art. 1 Legge n°30 del 1994 della Regione Lombardia (6) art. 6 Legge n°30 del 1994 della Regione Lombardia (7) art. 7 Legge n°30 del 1994 della Regione Lombardia

71

Page 72: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Capitolo 6° Le destinazioni d’uso. L’inefficacia del piano ad affrontare problemi “nuovi” per la città 6.1 Introduzione Tra i fattori che possono ostacolare la riqualificazione delle aree industriali dismesse, le destinazioni d’uso delle aree hanno spesso un peso piuttosto rilevante. Alcune volte, si ritiene che esse ostacolino la riqualificazione delle aree se non consentono di mutare la loro destinazione produttiva originaria. Al contrario, altre volte se mutano sostanzialmente la natura dei luoghi, soprattutto se la cittadinanza, gli operatori e le associazioni di categoria più direttamente interessate non sono stati coinvolti e resi partecipi della nuova natura da attribuirsi all’area. Ad una prima analisi superficiale, in entrambi i casi, destinazioni d’uso così congeniate potrebbero apparire “non corrette”, perché non rispondenti alle richieste del mondo economico e/o dei residenti e cagione di immobilità per le aree, che subiscono un ritardo di immissione sul mercato. Escludendo l’ipotesi del tutto inaugurabile che le destinazioni non siano corrette, nel caso in cui dispongano il mantenimento della destinazione produttiva originaria, per lo più esse riguardano aree industriali da tanto tempo occupate dalla stessa attività produttiva che essa è ormai legata indissolubilmente alla storia del territorio in cui si trova. E conservare la storia del territorio equivale a conservare i luoghi che hanno costituito per quasi un secolo l’unica risorsa economica di quelle terre e nei quali sono stati occupate intere generazioni di residenti. Il mantenimento dell’attività produttiva originaria riflette quindi la volontà di salvaguardare la storia e l’identità dei luoghi. Al contrario, nel caso in cui le destinazioni d’uso modificano profondamente lo stato di fatto, se le motivazioni non sono state esplicitate e condivise, possono apparire come “scollate” rispetto alla realtà perché non riflettono, al momento, le domande del mercato edilizio, né le aspettative del mondo economico. Anticipano la nuova struttura economica e produttiva che si vuole attribuire alla città e si rivolgono non agli attori presenti ma ai futuri. Ritenute nel breve periodo poco realistiche, cambiando l’orizzonte temporale, in un lasso di tempo più lungo potrebbero apparire addirittura lungimiranti, se si concedesse loro la possibilità che il tempo riveli la correttezza delle loro disposizioni. Ma giudicate soltanto nel breve periodo, in casi estremi, poiché troppo lontane nella loro capacità previsionale, possono essere ritenute poco credibili, e accantonate, lasciando campo libero all’utilizzo di quelle aree che erano state chiamate a disciplinare, con il sacrificio di quegli interessi collettivi che il Piano doveva salvaguardare. Questo ultimo aspetto è ben rappresentato dal caso di studio denominato nel P.R.G. di Torino ambito di trasformazione 4.15 “Castello di Lucento”, che si è rivelato particolarmente utile a comprendere le problematiche di riqualificazione di aree con destinazione d’uso “nuova”, ritenuta dai residenti e dalle associazioni di categoria non proprio conforme alle aspettative. 6.2 I casi di studio: l’ambito Castello di Lucento (caso in itinere) L’ambito ha un’estensione di oltre 50 ha ed è parte di un grande comprensorio che si è nel tempo consolidato lungo la Dora Riparia come zona a prevalente uso industriale in campo siderurgico. E’ frammentato in quattro proprietà: l’area Teksid (4,4 ha circa), che contiene al suo interno l’antica Chiesa di Lucento e il Castello di origine medievale, al 1995 (data di approvazione del P.R.G. vigente), occupato da attività direzionali; l’area ex Secosid poi CimiMontubi S.p.A. Gruppo Iri (17 ha circa), a quella data dismessa; l’area CimiMontubi S.p.A. occupata dalla Società Ilva Laminati Piani Gruppo Riva, con 310 addetti e ancora in attività al 1995, nonostante le incerte prospettive sul piano produttivo e aziendale e infine, l’area Krupp, con 550 addetti e in piena attività.

72

Page 73: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Il P.R.G. vigente (approvato nel 1995) si è posto il fine di avviare una trasformazione dell’area finalizzata a realizzare i servizi necessari ai residenti e a dare luogo ad una nuova struttura economica-produttiva per la città. Dà per certa la chiusura degli impianti produttivi più volte ventilata e intende utilizzare l’occasione offerta dalla futura dismissione delle aree per migliorare la scarsa vivibilità della zona, afflitta da poca accessibilità, quasi totale assenza dei servizi previsti dai Peep, a quindici anni dall’ultimazione dell’ultimo intervento, e da elevato inquinamento acustico. Nella visione politica e produttiva di quegli anni che vuole la città di Torino inserita in un processo di globalizzazione a livello europeo da tutti i punti di vista, il Piano propone una nuova struttura economica e produttiva dell’area, che riflette la desiderata futura organizzazione della città, fondata sulla net economy e i settori terziario e commerciale. Propone quindi la realizzazione di un insediamento industriale (per attività di nuovo impianto) innovativo, che ricorre a nuove tipologie insediative a basso consumo di suolo (edifici pluripiano) con elevata qualità ambientale. Nel tempo, l’andamento del mercato e la dinamica delle trasformazioni hanno smentito le previsioni di Piano. Esso era stato concepito in una fase storica di espansione edilizia con crescita dei valori immobiliari. Intorno alla seconda metà degli anni ’90, la recessione del mercato, i cui valori assoluti non solo non sono cresciuti nel tempo ma sono diminuiti in termini assoluti, ha reso di fatto impraticabili, poichè non economicamente fattibili, le opere di trasformazione così come erano state previste dal Piano. In un primo momento (1998) i contenuti di Piano sono stati rivisti e adeguati alle dinamiche del mercato con un Programma di Riqualificazione Urbana, la cui istruttoria non si è conclusa in tempo utile per la firma dell’Accordo di programma. In un secondo momento (1999), con il Progetto di trasformazione denominato “Castello di Lucento 2”, presentato dal Consorzio Bonafous (che riuniva piccole e medie imprese per lo più locali) che ha rilevato l’area ex Secosid dalla CimiMontubi. Il Progetto, che si proponeva di distribuire nella sola area di proprietà del Consorzio, piccole e medie imprese ricorrendo a tipologie edilizie industriali più tradizionali, è stato approvato con D.C.C. del 18/06/99 e recepito dal P.R.G., rimasto a disciplinare la restante parte dell’ambito. Alla necessaria e conseguente Variante parziale, approvata con D.C.C. n° 160 del 2001, non è rimasto che confermare l’attività produttiva degli impianti esistenti e addirittura prevedere l’insediamento di altre attività dello stesso tipo. Successivamente, l’ambito “Castello di Lucento 2” è stato inserito nel PRUSST Eurotorino, ammesso a finanziamento il 28/01/2002, che già riguardava l’area oggetto di Spina 3. L’inserimento dell’ambito completa e potenzia con la destinazione produttiva la gamma di funzioni comprese nel PRU di Spina 3. L’importo complessivo delle opere è di 365 mld. di vecchie lire, dei quali 56 mld. di risorse pubbliche e 119 mld. di risorse private. Tabelle sintetiche

73

Page 74: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 1 – Descrizione dell’area

74

Page 75: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 2 - Problematiche di riqualificazione dell’area in prima fase (1996)

75

Page 76: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 3 - La riqualificazione urbanistica dell’area secondo il Priu “Castello di Lucento” (1999), la cui istruttoria non si è conclusa in tempo utile (31/12/98) per la firma

dell’Accordo di programma

76

Page 77: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 4 - La riqualificazione urbanistica dell’area secondo il Progetto di trasformazione urbana “Castello di Lucento 2” e il PRUSST Eurotorino

77

Page 78: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 5 - La riqualificazione urbanistica dell’area in corso (Progetto di trasformazione urbana “Castello di Lucento 2”, Variante parziale al P.R.G. approvata con D.C.C. n°

160 del 2001 e PRUSST Eurotorino

78

Page 79: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Considerazioni critiche Anche se il caso studio non esaurisce tutti gli aspetti delle problematiche di riqualificazione legate alla destinazione d’uso delle aree, esso si è rivelato particolarmente efficace per mettere in luce un particolare aspetto della problematica, legato alle difficoltà di trasformazione della pianificazione, di aree solo in parte dismesse perché occupate in parte anche da impianti produttivi ancora attivi. Per tali caratteristiche, in questo studio, l’ambito Castello di Lucento è stato ritenuto utile anche al fine di comprendere le problematiche di riqualificazione relative all’assetto proprietario delle aree, in particolare di aree ancora attive, che non costituiscono un “falso” nel bilancio dell’impresa. Il Piano vigente di Torino, (approvato nel 1995), intendendo recepire la crisi occupazionale da tempo ventilata dalla Società Ilva Laminati Piani, del Gruppo Riva, sull’area CimiMontubi S.P.A., con 310 addetti e comunque ancora attiva, e l’insoddisfazione dei residenti per la mancanza di servizi e per l’alto inquinamento acustico prodotto anche dalla Società Krupp, Acciai Speciali Terni, che con i suoi 550 addetti è in piena attività, ha destinato l’intero ambito (le parti dismesse e gli stabilimenti ancora attivi) a servizi, verde (lungo la Dora) e ad attività industriali di nuovo impianto, con tipologie insediative a basso consumo di suolo e elevata qualità ambientale. Il Piano è stato ritenuto immediatamente poco credibile e i Programmi di Riqualificazione Urbana che sono stati elaborati (che poi per scadenza dei termini non hanno avuto alcuna prosecuzione), non hanno rispettato le disposizioni del Piano (che imponeva la progettazione unitaria dell’ambito) e riguardato invece le sole aree dismesse e non gli stabilimenti ancora attivi. E così il progetto di trasformazione denominato “Castello di Lucento 2”, inerente la sola area dismessa Consorzio Bonafous (area ex Cimimontubi), progetto attualmente in corso di realizzazione, inserito poi nel PRUSST di Spina 3. Allo stato attuale, gli impianti produttivi Ilva e Acciai Speciali Terni sono ancora attivi e la Variante parziale n°30 del 2001 che si è resa necessaria dopo l’approvazione del progetto di trasformazione “Castello di Lucento 2”, ha di fatto confermato la destinazione d’uso che le aree avevano originariamente, aggravando, se ancora è possibile, le condizioni abitative dei residenti, disponendo il possibile insediamento di altre attività produttive nelle aree che già le ospitavano. In conclusione, il caso analizzato è sembrato prestarsi particolarmente a comprendere come destinazioni d’uso ritenute nel breve periodo “non corrette” (per l’impraticabilità di spostare in tempi brevi, gli impianti produttivi in altra sede), possono portare a ricusare un Piano con buone intenzioni e aprire le porte ad un utilizzo delle aree diverso dalle intenzioni originali. Forse ciò che è accaduto è da attribuirsi oltre che ad un mancato o inefficace coinvolgimento dei soggetti interessati, in primis i proprietari degli stabilimenti, anche alla natura stessa del Piano, che riflette i riferimenti normativi di quegli anni, in cui si parlava di riforma urbanistica mentre i Piani erano ancora sospesi tra la volontà di definire l’assetto finale del territorio e la logica di Piano operativo nei tempi brevi.

79

Page 80: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Capitolo 7° Comportamenti ricorrenti nella costruzione dei processi di riqualificazione delle aree 7.1 Premessa Ripercorrendo brevemente le aree industriali dismesse che nell’ultimo decennio sono state trasformate o avviate a trasformazione (e quindi non ancora concluse), si può desumere che pur essendo stati coinvolti spesso progettisti di chiara fama, in linea di massima le proposte elaborate sembrano non presentare particolari schemi insediativi e soluzioni progettuali originali, adattandosi piuttosto a layout e immaginari consolidati. Alcuni progetti mirano a fare tabula rasa degli insediamenti e ad azzerare la storia del territorio; altri si propongono di realizzarvi green city, ricorrendo a parchi urbani che spesso contengono al loro interno attività commerciali (come ci si propone a Bagnoli o nella ex Falck a Sesto San Giovanni); altri ancora intendono realizzarvi poli specialistici e autonomi (parchi tecnologici, Incubatori d’impresa, Business Innovation Center -BIC-), che hanno le loro prime realizzazioni rispettivamente nell’area portuale di Nova Marghera (progetto di Paolo Piva e Wilheim Holzbauer), nei due incubatori a Sesto San Giovanni (dello Studio Boeri), ancora episodi limitati di una futura cittadella tecnologica e nel BIC di Rovereto (progetto di Franco Mancuso). Ancora, altri progetti propendono per una reindustrializzazione delle aree, che in alcuni casi si riduce però unicamente ad una lottizzazione (come a Genova Campi). Infine, altri mirano a realizzare poli fieristici (complesso di Rho Pero, ad opera di Fuksas), poli che uniscono ricerca, tecnologia e cultura (Città della Scienza a Napoli), poli scientifici (Bicocca a Milano, ipotesi in corso per le aree Snia Viscosa e Italgas a Roma, Italgas a Torino con il progetto di Foster), poli culturali (Città delle Culture nell’ex Ansaldo a Milano) o città dedicate all’immagine cinematografica e televisiva (Terni). Nello studio in oggetto, le trasformazioni delle aree, scelte perché emblematiche delle diverse problematiche indagate e al tempo stesso perché tutte afferenti all’interno di determinati settori produttivi (chimico, tessile, metallurgico e meccanico), al di là di sottili differenze tra caso e caso, seguono comportamenti che potremmo definire ricorrenti, poiché si propongono due uniche diverse finalità: un nuovo uso produttivo delle aree e la realizzazione di nuove centralità. Organizzati quindi i casi di studio secondo queste diverse finalità, che sono state definite “finalità dichiarate delle operazioni di trasformazione”, si è cercato di comprendere quanto la particolare localizzazione dell’area, il grado di inquinamento del sito per l’attività in esso svolta originariamente ed infine il tipo di promotore dell’intervento potessero aver condizionato il nuovo uso dell’area. Sono state quindi utilizzate alcune tabelle e in esse organizzati alcuni indicatori ritenuti capaci di illustrare le caratteristiche delle aree utili al nostro fine (localizzazione e grado di inquinamento del sito) e le caratteristiche del processo di riqualificazione delle aree: i promotori dell’intervento (pubblici, privati o partenariato pubblico-privato), le destinazioni d’uso prevalenti (intendendo con il termine “prevalente” una destinazione d’uso superiore al 30% della s.l.p. totale di intervento) organizzate per grandi famiglie. E ancora, le caratteristiche qualitative dei progetti di riqualificazione delle aree (alta dotazione di standard urbanistici, basso indice di edificabilità territoriale, alta qualità ambientale, facile accessibilità, il possibile “dialogo” dell’intervento con i tessuti circostanti, la presenza o meno di “luoghi urbani” nei quali si intessono relazioni sociali, il ricorso alla sostenibilità ambientale, funzioni di “pregio”, modalità progettuali ed esecutive). Ed infine, gli esiti prodotti (o previsti) dalle trasformazioni, gli esiti progettuali (conservazione della memoria storica dei luoghi, nuova identità urbana della città), economici (incremento del valore di mercato delle aree e degli immobili), sociali (nuovi posti fissi di lavoro). Poiché si è scelto di studiare per lo più casi la cui riqualificazione è in itinere, consentendo questi meglio di altri, di seguire le aree nel tempo, comprendendo gli accadimenti che hanno influenzato la loro trasformabilità e le condizioni che sono via via sopravvenute di ostacolo

80

Page 81: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

alla riqualificazione delle stesse, lo studio effettuato non può che ritenersi approssimativo, perché fermo nel tempo al momento in cui (dicembre 2004) lo stato di trasformazione delle aree è stato registrato. Allo stato attuale, infatti, i casi di studio analizzati attraversano fasi diverse di riqualificazione: la trasformazione della ex Breda è pressocchè conclusa, sono in corso i lavori per la trasformazione dell’ambito denominato “Castello di Lucento 2” a Torino, inserito nel PRUSST di Spina 3, i lavori nella ex Montecity Rogoredo inizieranno nel 2005, come nella ex Michelin a Trento e nell’area S.l.o.i, sempre a Trento, oggetto con la vicina Carbochimica, di un recente progetto unitario ad opera dello Studio Gregotti ed Associati. Le altre aree si trovano in una fase meno avanzata di trasformazione. Di conseguenza, per alcune di esse, come la Cemsa Pirelli a Saronno, si riferisce la futura trasformazione dell’area come desunta dai documenti che hanno validità giuridica. Per la Cemsa, si fa riferimento al Documento Direttore “Inquadramento progettuale grandi aree di trasformazione in zona B.6.2”, che è stato adottato con D.C.C. n°86 del 15/12/2003 e che si pone il fine di “esplicitare concisamente il campo e le regole del gioco compositivo”. Infine, non si fa alcuna menzione dell’area Montecatini Alumetal a Mori (che afferisce al settore produttivo industria metallurgica), poiché la sua trasformazione sembra ancora molto lontana nel tempo. 7.2 Le trasformazioni che hanno come finalità dichiarata delle operazioni “la riconversione produttiva delle aree” Dei sette casi analizzati, soltanto due si pongono come finalità la riconversione produttiva delle aree. Sono l’ex Breda a Sesto San Giovanni e l’ambito 4.19 di P.R.G. denominato “Castello di Lucento 2” a Torino, la prima delle quali realizzata, l’altra con realizzazione in corso. Entrambe le aree hanno estensione contenuta, se paragonate con aree come la Montecity Rogoredo a Milano, che misura più di 120 ha: l’ex Breda si estende per 30 ha, l’ambito Castello di Lucento 2 poco più della metà di questa (17 ha circa). Tutte e due le aree fanno parte di un contesto caratterizzato da tempo dalla presenza di attività produttive: in piena attività nell’ambito Castello di Lucento 2, in trasformazione con la finalità di perseguire una nuova identità, nella ex Breda. Sia l’ambito Castello di Lucento 2 che la ex Breda sono localizzate in zona periferica rispetto ai centri urbani intorno ai quali gravitano e sono dotate di buona/elevata accessibilità, sia a livello locale che a livello superiore. Originariamente hanno avuto utilizzi diversi: l’ex Breda è stata occupata da industria meccanica, l’ambito Castello di Lucento 2 da attività agricola sperimentale, poi come deposito di materiali ferrosi delle industrie limitrofe. L’uso diverso delle aree ha comportato problemi di bonifica diversi: l’ambito Castello di Lucento non necessitandone affatto, l’ex Breda dovendo ricorrervi, anche se, dai dati in nostro possesso, la bonifica dell’area non risulta essere stata particolarmente gravosa per la presenza “contenuta” di contaminanti altamente pericolosi(1), almeno rispetto ad industrie più inquinanti. I casi oggetto di studio ci consentono di formulare alcune prime considerazioni: le riqualificazioni finalizzate alla riconversione produttiva delle aree sembrano venire incentivate dalla compresenza di alcune condizioni: una dimensione contenuta delle aree, un contesto socio-economico particolarmente vivace, una buona accessibilità ed, infine, la possibilità di ricorrere a finanziamenti finalizzati ad un nuovo uso produttivo delle aree (come nel caso della ex Breda). Aree con queste caratteristiche, dotate di elevata accessibilità e limitrofe a distretti industriali già esistenti con i quali “mettersi in rete” divengono ben presto aree assai appetibili ed idonee per un nuovo uso produttivo delle stesse, anche se riveduto e corretto alla luce delle nuove richieste del mondo economico. Anche le loro dimensioni contenute possono far propendere per un nuovo uso produttivo. Esse possono renderle adatte ad essere destinate in modo unico e, nello specifico, ad accogliere distretti artigianali-industriali costituiti di imprese di limitate dimensioni (piccole e medie), dimensione ricorrente delle imprese di oggi. Infine, come nel caso della ex Breda, la possibilità di ricorrere a dei finanziamenti (totali o parziali) per una riqualificazione finalizzata alla riconversione produttiva delle aree ed infine, la presenza di manufatti di riconosciuto valore storico e

81

Page 82: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

simbolico sono altri fattori che possono far propendere per una riqualificazione orientata in tal senso. 7.3 Le trasformazioni che hanno come finalità dichiarata delle operazioni “la realizzazione di nuove centralità” Dei sette casi analizzati, quattro si pongono come finalità la realizzazione di una nuova centralità urbana. Citandoli secondo la dimensione crescente delle aree, sono la S.l.o.i. a Trento (5,7 ha), l’ex Michelin sempre a Trento (11 ha), la Cemsa Pirelli a Saronno (23,7 ha) e la Montecity Rogoredo a Milano (120 ha). Fatta eccezione per la Cemsa Pirelli, la cui riqualificazione è ancora lontana nel tempo, le altre aree sono prossime ad essere riqualificate: si stima infatti che i lavori per la loro trasformazione debbano iniziare nel 2005. Sono aree diversamente collocate nel territorio comunale: a ridosso dei centri urbani di appartenenza (S.l.o.i, ex Michelin, Cemsa Pirelli), in zona periferica ma ben collegata a livello locale e superiore (Montecity Rogoredo). Sono aree diverse anche per attività originariamente svolta (industria chimica, tessile, meccanica), con conseguenti diversi gradi di inquinamento dei siti e necessarie opere di bonifica. Di esse, solo la bonifica della S.l.o.i., ex industria chimica altamente inquinante(1), è stata per molto tempo ritenuta inattuabile per l’esosità dei costi previsti, ma ora non costituisce più un problema per la riqualificazione dell’area. Infine, sono aree diverse anche per assetto proprietario: sono proprietà di società a capitale misto pubblico-privato (ex Michelin), in parte di proprietà pubblica e in parte privata (S.l.o.i. e Cemsa Pirelli), di proprietà privata (ex Montecity Rogoredo). Ciò che accomuna queste aree così diverse tra loro è la finalità che persegue la loro riqualificazione: la realizzazione di una nuova centralità urbana, e quindi un mix di residenze, verde, commercio, secondo “un’immaginazione progettuale ripetitiva e banale”, come sostiene Cristina Bianchetti in un numero del Giornale dell’Architettura(2), chiaramente orientata ad elevare il valore di mercato delle aree. Con questo fine, i progetti vengono per prima cosa affidati a “grandi nomi” dell’architettura: Renzo Piano per la ex Michelin, Gregotti e Associati per la S.l.o.i, Norman Foster per la Montecity Rogoredo a Milano. Essi prevedono poi la collocazione di funzioni di pregio, alcune volte come standard aggiuntivi, oltre le dotazioni pubbliche necessarie (come nel caso del Centro Congressi a Montecity Rogoredo). Infine, i progetti mirano a realizzare residenze con elevato valore di mercato grazie alla cospicua presenza di standard urbanistici e all’alta qualità ambientale. Dai casi di studio analizzati, sembra trapelare che i fattori che fanno propendere per una riqualificazione delle aree orientata alla realizzazione di nuove centralità urbane siano essenzialmente la buona accessibilità dell’area e l’assetto proprietario (privato in toto o in parte); stante queste condizioni, anche aree che comportano costi di bonifica elevatissimi (come la S.l.o.i) sono pronte a divenire “pezzi di città”. (1) Il grado di inquinamento del sito indicato fa riferimento alla legislazione svizzera, che riferisce il possibile inquinamento del sito data l’originaria attività produttiva in esso svolta. Secondo tale legislazione, i probabili contaminanti (rilasciati nel terreno) appartenenti al livello di tossicità “sostanze altamente tossiche con potenziale cancerogeno” attribuibili al settore produttivo “industria meccanica” sono inferiori al 5%. (2) Cristina Bianchetti in Dismesse e sfruttate in Il Giornale dell’Architettura n°23 del novembre 2004

82

Page 83: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 1 - Comportamenti ricorrenti nella costruzione dei processi di riqualificazione delle aree dismesse: le trasformazioni che hanno come finalità dichiarata delle operazioni la

“riconversione produttiva delle aree”

83

Page 84: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 2a - Comportamenti ricorrenti nella costruzione dei processi di riqualificazione delle aree dismesse: le trasformazioni che hanno come finalità dichiarata delle

operazioni “la realizzazione di una nuova centralità urbana”

84

Page 85: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Tab. 2b - Comportamenti ricorrenti nella costruzione dei processi di riqualificazione delle aree dismesse: le trasformazioni che hanno come finalità dichiarata delle

operazioni “la realizzazione di una nuova centralità urbana”

85

Page 86: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Parte terza – Per interventi di riqualificazione consapevoli

Capitolo 8° Considerazioni conclusive 8.1 Le condizioni fisico-funzionali Come si è visto, le condizioni fisico-funzionali che possono ostacolare la riqualificazione delle aree dismesse e influenzarne la possibile trasformazione, essenzialmente consistono in: costi di bonifica dei terreni, assetto proprietario delle aree, valore storico e simbolico degli edifici che esse conservano, destinazioni d’uso. Queste condizioni determinano ostacoli alla riqualificazione delle aree che possono condizionare il nuovo uso delle stesse. O non condizionarlo affatto, nella volontà dei proprietari di affrontare spese maggiori o di attendere tempi più lunghi pur di insediare nelle aree funzioni più remunerative di quelle che derivano da un facile superamento degli ostacoli in esse presenti. Nei capitoli precedenti, ciascuna di queste condizioni è stata indagata separatamente, anche con il ricorso a casi studio. Ma volendo tentare un bilancio, tra queste condizioni, quali ostacolano maggiormente la riqualificazione delle aree e pesano particolarmente nell’attribuzione di un nuovo uso delle stesse? Alla luce dei casi analizzati, i costi di bonifica e l’assetto proprietario sembrano avere la preminenza rispetto alle altre condizioni. I costi di bonifica, nel caso specifico di siti fortemente inquinati, perché in precedenza occupati da attività produttive ad alto impatto ambientale, in assenza di idonee misure a salvaguardia del territorio, sono talvolta così alti da scoraggiare gli interventi di riqualificazione, per la difficoltà delle imprese ad avere un rendiconto economico rispetto alle spese stimate. In altri casi, per limitarne l’entità, si propende per una bonifica “parziale”, decretando in questo modo utilizzi delle aree più ristretti e conformi ad un uso delle stesse limitato nell’arco della giornata (verde o parcheggi). Anche l’assetto proprietario, in particolare, la frammentazione in diverse proprietà di un’area, ne ostacola l’avvio del processo di riqualificazione, per la difficoltà ad accordare tra loro proprietari diversi e di riunire aree con potenzialità e condizioni di partenza diverse. Ancora, l’assetto proprietario tende ad influenzare profondamente il nuovo uso delle aree, sollecitando per esse le funzioni più richieste del momento e di conseguenza più remunerative. In conclusione, entrambe le condizioni pesano sul nuovo assetto delle aree. Ma delle due, l’assetto proprietario sembra incidere di più. Dai casi di studio analizzati, in primis, la S.l.o.i a Trento, sito fortemente inquinato, si può desumere che anche elevati costi di bonifica delle aree (per contenere i quali, la bonifica allo stato attuale sembra sarà effettuata con tecniche sperimentali), sono ritenuti sostenibili se le aree presentano le condizioni (buona posizione, elevata accessibilità, vicinanza con altre già riqualificate o in corso di riqualificazione), per ospitare funzioni redditizie, come la residenza, che assicurano ai proprietari un sicuro rientro economico a fronte delle spese stimate. 8.2 Le condizioni “di contesto” Come si è detto, la trasformabilità delle aree dismesse è influenzata dalle diverse condizioni fisico-funzionali più pertinenti le diverse aree, ma anche da condizioni non specifiche delle stesse e derivanti piuttosto dal contesto, come gli aspetti procedurali e gestionali della pubblica amministrazione e le condizioni “di mercato”. Nella realtà, la compresenza nei processi di riqualificazione di entrambe le condizioni (fisico-funzionali e di contesto), fa sì che essi risultino spesso molto complessi, trovandosi a dover superare le difficoltà delle une e delle altre. 8.2.1 Aspetti procedurali e gestionali della pubblica amministrazione Il passaggio da politiche di sviluppo centralizzate a politiche decentrate, data la natura “rigida” della macchina amministrativa, ha inevitabilmente messo in luce, quasi ovunque nel nostro territorio, una certa carenza di capacità di governo degli Enti locali, che si sono trovati

86

Page 87: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

a dover fronteggiare il nuovo scenario con i vecchi strumenti di cui disponevano, del tutto inadeguati al nuovo ruolo che veniva loro assegnato: promuovere e gestire gli strumenti recentemente introdotti per la riqualificazione del territorio. La scarsa capacità di governo di molti Enti locali, in tanta parte del nostro territorio, ha inevitabilmente avuto riflessi anche nelle aree dismesse, ostacolandone la riqualificazione. Come si è detto, con i programmi complessi il ruolo degli Enti locali si è notevolmente arricchito. Sono divenuti infatti di competenza pubblica: la formazione delle decisioni per la definizione di bandi pubblici per l’assegnazione di aree, la conduzione di complesse negoziazioni con soggetti pubblici e privati, il coinvolgimento di una pluralità di soggetti sociali ed economici nella programmazione/pianificazione delle trasformazioni urbane, la definizione di Accordi di programma e l’ottenimento di garanzie per l’attuazione degli interventi. Ancora, la gestione di nuovi percorsi partecipativi rispetto al tradizionale meccanismo delle opposizioni ed osservazioni ai piani urbanistici, per garantire gli interessi pubblici nella negoziazione pubblico-privato ed, infine, la scelta tra le soluzioni tecniche e finanziarie di volta in volta più idonee agli interventi da realizzare e agli attori coinvolti, utilizzando gli strumenti già consolidati nel tempo (Varianti urbanistiche, Piani esecutivi…), insieme e non in contraddittorio ai nuovi strumenti e alle nuove procedure (Società miste e di intervento, Agenzie di sviluppo locali….), utili a sopperire alle competenze giuridiche, urbanistiche e finanziarie non sempre disponibili nelle Amministrazioni. E che si sono rivelati più necessari in quelle regioni, come il Mezzogiorno, dove gli Enti locali hanno dimostrato più difficoltà a promuovere e coordinare la progettualità dei soggetti locali, mentre sono quasi del tutto assenti in altre regioni, come l’Emilia Romagna, che, per tradizioni politiche e culturali, da sempre attenta alle attività di governo del territorio, già nel 1999, nella “Relazione sullo stato dell’ambiente delle aree urbane in Italia”,(1) risultava contenere i comuni con il più alto grado di partecipazione alla sperimentazione di programmi complessi (di questi, considerando i Programmi di Riqualificazione Urbana, i Contratti di Quartiere e i PRUSST), dato confermato dal Rapporto del Territorio 2003(2). La carenza di capacità di governo della pubblica amministrazione si esplica anche nelle modalità che essa utilizza per valutare i programmi complessi, selezionati anche questi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, criterio che, nonostante i buoni intenti del legislatore di rendere quanto più possibile scientifica l’aggiudicazione dell’asta (ricorrendo ad analisi multicriteria o multiobiettivo), non è del tutto garanzia di discrezionalità (essendo il valore di ciascuna offerta determinato dalla composizione di più giudizi qualitativi-quantitativi, forniti dalle commissioni giudicatrici su elementi variabili in relazione all’opera da realizzare). In conclusione, la scarsa capacità di molti Enti pubblici di saper cogliere le opportunità offerte dai nuovi strumenti, per una riqualificazione del territorio finalmente non più episodica ed occasionale come in passato, insieme e non in contraddittorio, all’utilizzo degli strumenti già consolidati da tempo (Varianti, Piani escutivi..), hanno immobilizzato per diverso tempo tante aree dismesse del nostro territorio, che hanno dovuto attendere tempi migliori e amministrazioni più illuminate per avviarsi a riqualificazione. Inoltre, il ricorso a modalità di selezione dei programmi non del tutto garanti della discrezionalità delle aggiudicazioni, hanno spesso trasformato le aree secondo progetti non del tutto consoni alla natura delle aree e alle esigenze dei residenti. 8.2.2 Le condizioni “di mercato” Le condizioni “di mercato” hanno una forte ingerenza nei processi di riqualificazione delle aree dismesse, che si traduce in ostacoli alla loro riqualificazione per la “mercantabilità”, ossia per la difficoltà a collocare le aree sul mercato, (oltre che per la scarsa presenza nel nostro territorio, di figure professionali-imprenditoriali come il promoter e il developer, ben più diffuse in altri paesi) e che si esplica anche in influenze sul nuovo uso delle stesse per l’incapacità del mercato immobiliare ad assorbire gli esiti delle trasformazioni.

87

Page 88: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

8.2.2.1 La “mercantabilità” delle aree In Italia, il mercato delle aree ex industriali non sembra avere caratteristiche uniche. Si differenzia per loro dislocazione geografica nel territorio nazionale (Nord, Centro, Sud), nel territorio comunale (a seconda che esse siano centrali, periferiche, in aree di futura espansione della città, del tutto esterne ad essa, in aree agricole periferiche), e soprattutto, per dimensione delle stesse (piccola o grande). C’è quindi un mercato delle piccole aree e un mercato delle grandi aree. Le aree di piccola dimensione, in precedenza occupate da piccole industrie, si trovano per lo più in città di contenute dimensioni ad attività produttiva prevalente (Pomezia, Arcore…), o nelle periferie delle grandi città con tessuto produttivo assai vivace (Milano, Bologna…). Nello studio in oggetto, le aree di piccola dimensione (intendendo con questa definizione quelle con estensione inferiore a 50 ha), fatta eccezione per la Cemsa Pirelli sita a Saronno, città di medie dimensioni da sempre vocata alla produzione, sono per lo più localizzate nella periferia di grandi città a prevalente attività produttiva (Milano, Torino Trento). In assenza di gravi problemi di bonifica dei terreni, il mercato delle piccole aree è apparso piuttosto effervescente, per il trasferimento, che ancora si verifica, delle attività produttive dalle grandi città ai centri più piccoli, non solo del primo hinterland, ma anche dei successivi. Il risparmio economico (circa del 50%) che il riutilizzo degli edifici esistenti comporta, nonostante le necessarie spese di adeguamento funzionale degli stessi alle nuove esigenze di produzione, fa propendere per il recupero di aree dismesse più che per realizzazioni ex novo. Quindi, la “mercantabilità” di queste aree, (siano esse localizzate in centri medi o nella periferia delle grandi città), è risultata pressocchè nulla o pari a quella di tutte le aree, anche non originariamente occupate da attività industriali, che possono venir sottratte dal mercato per le forti aspettative economiche che i proprietari nutrono su di esse, e che li spingono ad attendere per queste aree nuovi usi più redditizi (come la residenza). A differenza delle precedenti, il mercato delle piccole aree fortemente inquinate (ex industrie chimiche o cartarie, in assenza di adeguate misure di salvaguardia dell’ambiente), non è sembrato per nulla vivace. Di conseguenza, la mercantabilità di queste aree è altissima. Tra i casi di studio, l’area S.l.o.i. a Trento, si è prestata particolarmente a rappresentare le problematiche di mercato di queste aree. Acquistata infatti nel 2002 ad un prezzo non precisato ma definito da più fonti “di svendita”, date le condizioni inquinate del sito (anche se si era ancora lontani dall’aver compreso l’esatta entità del problema), è rimasta ferma nel suo stato per diversi anni, poiché i costi di bonifica, stimati nel corso del tempo sempre più alti, hanno determinato la sua esclusione dal mercato. Le aree di grandi dimensioni si trovano in città medie ma soprattutto grandi. Hanno problemi di mercato più complessi delle precedenti. Innanzitutto, la loro notevole estensione comporta costi notevoli. Qual è il mercato di queste aree? Mario Breglia, in un suo articolo di alcuni anni fa, sostiene che nell’ultimo decennio, sia in Europa che in Italia, non hanno avuto mercato. Il mercato immobiliare ha dimostrato infatti il suo disinteresse verso i cosiddetti “vuoti”, preferendo ad essi la gestione di trasformazioni (finalizzate a migliorare le strutture industriali esistenti o a trasferire le stesse in siti più appropriati), vuoti che si trovano oggi ad avere costi elevatissimi (fatta eccezione per le aree agricole), perché negli anni ’80 sono stati sottratti dal mercato da soggetti privati, pubblici, compagnie di assicurazione ed enti previdenziali, che hanno cercato di costituire un portafoglio di aree per speculare sull’auspicato mutamento di destinazione d’uso delle stesse. Infine, il mercato delle grandi aree è un “non mercato” perché in Italia, negli ultimi cento anni, è mutato il modo di fare attività di valorizzazione delle aree e non si immette più sul mercato l’esito della trasformazione ottenuta, ma si procede alla trasformazione dell’area (secondo le esigenze dei futuri fruitori), solo dopo aver trovato l’utilizzatore in grado di pagare un canone adeguato. Nello studio in oggetto, le aree di grandi dimensioni (intendendo con questa definizione le aree con estensione superiore a 100 ha), sono ben rappresentate dall’area Montecity Rogoredo a Milano, di 120 ha di estensione. Acquistata nel 1998 per 500 mld. di vecchie lire

88

Page 89: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

dall’imprenditore Luigi Zunino con la Nuova Immobiliare S.p.A., oggetto di un P.I.I. approvato nel 2002 e della ratifica dell’Accordo di Programma tra Comune, Regione e privati nel luglio 2004, l’area è prossima ad essere riqualificata e a divenire “una città nella città”. Con questo intervento, semprechè mantenga l’intento iniziale, Luigi Zunino ha voluto abbandonare le vesti di immobiliarista (suo ruolo iniziale), per quelle di imprenditore. La mercantabilità di quest’area non è sembrata particolarmente gravosa, per la appetibilità dell’area, dotata di buona accessibilità e di un non elevato livello di inquinamento del sito. Potrebbe costituire l’eccezione rispetto a quanto sostenuto da Mario Breglia (un caso di studio non è certamente sufficiente a generalizzare), o più ottimisticamente, potrebbe costituire il segnale di una inversione di tendenza del mercato, che ritorna ad essere vivace, anche relativamente alle grandi aree, per il tanto auspicato ritorno di acquisitori e grossisti di aree. Siamo d’altra parte in un periodo piuttosto favorevole per le aree dismesse, che vede molte di loro, come l’ex S.l.o.i, l’ex Carbochimica, la ex Michelin e la stessa Montecity Rogoredo, dopo anni di immobilità, avviarsi a riqualificazione, per di più ad opera di grandi nomi dell’architettura (rispettivamente, Gregotti per le prime due aree, Renzo Piano e Norman Foster). Semprechè anche questa volta quanto asserito da Breglia non venga confermato, decidendo, Luigi Zunino, come da più parti recentemente si sostiene, di desistere dalle operazioni di trasformazione dell’area, ritenendo maggiormente economico venderla al prezzo di mercato attuale, con la nuova destinazione, piuttosto che affrontare gli investimenti economici stimati (1,6 mld. di euro). 8.2.2.2 La crisi del “mercato del riuso” Nell’ultimo decennio, il mercato immobiliare si è rivelato incapace ad assorbire il notevole stock edilizio esito delle trasformazioni di aree dismesse per lo più localizzate in aree centrali o semicentrali delle città. E in assenza di idonee misure a suo sostegno, si è dimostrato incapace ad opporre alla massiccia offerta, per di più riversata simultaneamente su di esso (in gran parte terziario e residenze, tipico mix funzionale attribuito alle aree oggetto di riqualificazione in questi anni), una pari domanda (di quelle funzioni e in quelle quantità). Inevitabilmente, la crisi del “mercato del riuso” ha generato profonde ripercussioni nelle aree dismesse soprattutto in quelle prossime a trasformarsi; determinando, per alcune, il rallentamento dell’avvio già preventivato delle trasformazioni, per altre, l’arresto della partenza, nella necessità dei proprietari-promotori di contrattare nuovamente con i governi locali funzioni delle aree maggiormente compatibili con le richieste del mercato. E in casi non così rari, chiedere ai governi locali una parziale contrazione delle alte densità fondiarie ottenute in precedenza con tanto accanimento, allo scopo di mantenere alti i prezzi dei prodotti delle trasformazioni (risultando ora l’offerta limitata) e per contenere i costi delle opere di urbanizzazione. Allo stato attuale, la congiuntura economica è molto diversa. Ma la redditività dell’investimento comporta comunque che le funzioni da attribuire alle aree siano quelle richieste dal mercato del momento, che varia continuamente e che ha tempi brevi, se non brevissimi, laddove il riuso delle aree comporta generalmente tempi medio-lunghi. Questa disparità di tempi comporta la necessità di ricalibrare il mix di funzioni pensato all’inizio delle operazioni di trasformazione con le richieste del mercato nel frattempo subentrate. La redditività dell’investimento può spingere anche a propendere per l’attribuzione alle aree di funzioni nuove o poco conosciute, alla ricerca del consenso del pubblico e conseguentemente dell’apertura di un mercato “nuovo”, con il rischio che tale scelta comporta, ossia la facile caducità delle funzioni stesse. E infine, sull’esempio dell’ambito di intervento Kop Van Zuid a Rotterdam, può spingere anche a propendere per una commercializzazione graduale degli esiti delle trasformazioni, così da mantenere costante nel tempo il tasso di profitto dell’intervento.

89

Page 90: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

8.2.3 Le condizioni strategiche per la trasformazione delle aree Negli ultimi anni, in Italia, a fronte delle recenti opportunità non solo economiche ma anche di tipo normativo-procedurale che possono essere utilizzate per l’attuazione degli interventi, sono notevolmente aumentate le aree dismesse riqualificate o prossime a riqualificarsi. Rimangono ancora molte, però, le aree dismesse che faticano ad assumere nuove identità. E’ sembrato quindi utile formulare alcune considerazioni relativamente agli elementi che possono essere ritenuti strategici per il conseguimento del successo delle iniziative di riqualificazione delle aree, sia in relazione ad una concreta attuazione degli interventi, sia in relazione al successo delle operazioni stesse, in termini di raccolta di consenso e redditività degli investimenti. 8.2.3.1 Le condizioni strategiche per una concreta attuazione degli interventi Alla luce dei casi analizzati, ma anche degli esiti conseguiti da altre aree, già trasformate in Italia (ex officine Ducrot a Palermo, ….), alcuni elementi strategici per una concreta attuazione degli interventi derivano direttamente dalla avveduta dotazione da parte di alcuni comuni, il cui territorio è particolarmente interessato dal fenomeno della dismissione delle aree, di piani di “nuova impostazione”, che fanno della riqualificazione dei siti dismessi il punto focale delle loro strategie. Considerando le aree dismesse “risorse”, intendono metterle a profitto a vantaggio della collettività, per realizzarvi luoghi di aggregazione, per insediarvi attività di valore civico, per innescare meccanismi di valorizzazione del patrimonio edilizio, per creare nuove opportunità occupazionali, allo stesso tempo salvaguardando, se presenti, i caratteri storici, architettonici o paesaggistici degli edifici che su queste aree insistono e conseguentemente, delle aree stesse. Ancora, questi piani di nuova concezione, semplificando i processi amministrativi di attuazione degli interventi, definendo in modo certo le procedure che possono essere utilizzate e conseguentemente, fissandone i tempi, invogliano i privati ad intervenire nelle operazioni di trasformazione, anche prevedendo spesso meccanismi di tipo perequativo, come premi nei diritti edificatori, sconti sulle opere di urbanizzazione o incentivi di tipo fiscale. Altri elementi strategici possono essere di tipo gestionale, correlati ad una continuità politico-amministrativa per tutto il tempo del processo di trasformazione delle aree, che può garantire il buon esito delle trasformazioni e il rispetto dei tempi stabiliti. Ancora, altri elementi strategici possono essere di tipo economico, come l’attivazione di risorse (comunitarie, ministeriali o degli enti locali), di diversa entità, diversamente finalizzate (all’avvio dei processi di bonifica delle aree o alla realizzazione di alcuni interventi capaci di innescare altre iniziative), ma comunque efficaci a mettere in moto la trasformazione delle aree. A livello comunitario, il Progetto Odet (Operational dialogue on enviroinment and urban tourism), promosso dall’Ente Fiera di Milano, con un budget, in realtà, ai giorni nostri piuttosto limitato (648.000 euro), sostiene il recupero delle aree dismesse finalizzato alla gestione di grandi eventi. Il progetto ha come obiettivo l’identificazione di “metodi e strumenti innovativi per la trasformazione di problemi ambientali in vantaggi per la qualità dell’ecosistema urbano” e come obiettivo specifico “l’individuazione di politiche volte all’introduzione di criteri di sostenibilità ambientale nei progetti di trasformazione e riqualificazione urbana finalizzati alla gestione di grandi eventi (sportivi, culturali, espositivi, fieristici)”, anche attraverso il recupero di aree degradate o dismesse. Il Docup-Ob 2 sostiene il recupero di aree dismesse finalizzato alla creazione di servizi alle imprese. Rappresenta il documento unico di programmazione attraverso il quale le varie Regioni italiane utilizzano i fondi europei “per lo sviluppo del tessuto economico e produttivo delle realtà locali”, variamente distribuiti alle varie regioni (per il periodo 2000-2006 l’Unione Europea ha assegnato alla Regione Toscana più di 1.000.000.000 di euro). I finanziamenti sono destinati ai progetti di rilancio e sviluppo delle zone industriali in fase di riconversione, delle zone rurali in declino e delle aree urbane in difficoltà. L’azione 2.4.2. è finalizzata al

90

Page 91: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

recupero di aree dismesse per la creazione di servizi alle imprese e gli interventi ammissibili a contributo consistono in opere per la ristrutturazione di immobili, l’ampliamento di edifici, la realizzazione di attrezzature e servizi tecnici e tecnologici necessari per il funzionamento delle strutture che verranno create. I programmi (di attivazione o di attuazione) delle Agende 21 locali, cofinanziati dal Ministero dell’Ambiente e del Territorio, incentivano il recupero delle aree dismesse, perché finalizzati ad “aiutare le comunità locali ad attivare politiche di sviluppo sostenibile condivise da tutti gli attori presenti nel territorio”. In coerenza con quanto previsto da piani e programmi di livello europeo, le principali aree tematiche e i settori d’intervento prioritari di Agenda 21 locale, sono clima ed atmosfera, natura e biodiversità, prelievo delle risorse e produzione di rifiuti ed, infine, salute e qualità dell’ambiente urbano (qualità dell’aria, qualità dell’aria indoor e radon, mobilità e trasporti, inquinamento acustico, inquinamento elettromagnetico, biotecnologie e OGM, sicurezza alimentare, bonifica siti inquinati). Nell’ambito del bando 2002, i programmi di attivazione o di attuazione delle Agende 21 locali cofinanziati sono stati 116, per uno stanziamento complessivo di 13 ml. di euro e le regioni con il maggior numero di proposte progettuali ammesse a finanziamenti sono state la Lombardia (con 16 proposte) e la Calabria (con 16 proposte e 2.154.952 euro). Anche i Piani di Sviluppo Sostenibile (PSS), finanziati dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, incentivano il recupero delle aree dismesse. Costituiscono la Misura 5 del Fondo per la promozione dello sviluppo sostenibile, istituito presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, all’art. 109, con Legge 388 del 23/12/2000 (legge finanziaria 2001), al fine di realizzare appieno le misure e le azioni della strategia di azione ambientale. Devono avere le seguenti caratteristiche: interessare aree con forte degrado ambientale, gravi problemi occupazionali e degli apparati di produzione, costituire esperienze replicabili e trasportabili in altri contesti territoriali, dimostrare un valore aggiunto rispetto alle eventuali esperienze di Agenda 21 locali in essere. L’elaborazione e l’attuazione dei PSS avviene attraverso studi di pre-fattibilità, fattibilità e pilota. Allo stato attuale, i principali PSS finanziati (con le risorse sul budget 2001), sono stati quelli di Siracusa, Sassari, Ascoli, Reggio Calabria, Alghero e Chieti. Per gli interventi pilota sono state solo definite le risorse riferite al budget 2003. Il PSS della città di Siracusa, articolato in tre assi: Rigenerazione urbana sostenibile di aree individuate (S.d.f. Cintura ferroviaria, Progetti pilota Cintura ferroviaria e periferie, Riordino idrogeologico e riconversione aree degradate), Sistema mobilità sostenibile (S.d.f. Mobilità urbana sostenibile e accessibilità, Progetto pilota mobilità sostenibile: mezzi non inquinanti ed Ortigia), Riqualificazione aree ambientali costiere (S.d.f Riqualificazione ambientale, Progetto pilota Riserva marina) ha potuto usufruire di un finanziamento ministeriale di 5.600.000 euro. Anche gli Studi di Fattibilità finalizzati a promuovere Società di Trasformazione Urbana volte alla riconversione di aree dismesse, possono usufruire di contributi da parte del Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture. Gli Studi di Fattibilità e le indagini conoscitive necessarie all’approfondimento della realizzabilità economico-finanziaria, amministrativa e tecnica delle ipotesi di trasformazione deliberate dai Consigli comunali, nonché degli oneri occorrenti alla progettazione urbanistica sono in parte finanziati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al fine di promuovere la costituzione da parte dei comuni e delle città metropolitane, anche con la partecipazione di province e regioni, delle società di trasformazione urbana. Le risorse finanziarie sono destinate in misura non inferiore al 10% delle risorse finanziarie pubbliche e private necessarie per la completa attuazione dei progetti di trasformazione e sono destinate prioritariamente a quegli interventi finalizzati a realizzare edilizia residenziale pubblica. Nell’anno 2000, le disponibilità finanziarie sono state pari a 13,2 mld. di vecchie lire, nel 2001 15,2 mld. e nel 2002 13,2 mld di vecchie lire. Infine, anche gli Enti locali possono erogare finanziamenti diversamente finalizzati, ma comunque orientati a mettere in moto la trasformazione delle aree dismesse.

91

Page 92: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

La possibile compresenza nei processi di trasformazione delle aree di diverse forme di finanziamento (ipotesi piuttosto frequente a verificarsi, visto l’alto costo degli interventi), assicura ulteriormente della loro concreta realizzazione. 8.2.3.2 Le condizioni strategiche per il successo delle operazioni Le condizioni che possono essere definite strategiche per il successo delle operazioni dipendono dal significato che si intende attribuire al termine “successo”, che può essere interpretato come conseguimento degli obiettivi sociali posti e dal punto di vista del mercato immobiliare, realizzata la condizione essenziale che il prodotto venga effettivamente collocato sul mercato. Nel primo caso, gli elementi strategici per un intervento che risponda alle esigenze abitative delle fasce più deboli della popolazione e che preveda quindi oltre i luoghi della residenza, anche quelli del vivere civile (servizi, aree verdi, luoghi di aggregazione), possono consistere in una forte regia pubblica delle operazioni, capace di garantire l’equilibrio tra interessi privati e collettività. Collettività che può essere coinvolta nei processi di trasformazione delle aree con il ricorso alla progettazione partecipata, strumento nel quale “il cittadino è destinatario delle politiche pubbliche ma soprattutto è portatore di interessi ed esigenze, risorsa intellettuale e finanziaria importantissima al fine della crescita dei progetti”(1). Il ricorso alla progettazione partecipata può avvalersi dei finanziamenti offerti dal programma Agenda 21 locale (di cui si è detto), orientato ad “aiutare le comunità locali ad attivare politiche di sviluppo sostenibile condivise da tutti gli attori presenti nel territorio”. Tra i comuni oggetto di studio, nella primavera del 2000, il Comune di Sesto San Giovanni ha utilizzato questo strumento per costituire ed attivare un Forum finalizzato ad indirizzare lo sviluppo della città nel senso del miglioramento della qualità della vita dei residenti. Il Forum ha messo in luce quali sono per i cittadini, le priorità della città; tra queste, ha evidenziato la necessità di cogliere le opportunità derivanti dalle aree dismesse in territorio sestese. Elaborato il Piano di Indirizzi, allo stato attuale, il Forum è alla fase esecutiva dei progetti. Dai materiali raccolti, non è chiaro se la riqualificazione dell’area ex Breda, da poco conclusa, abbia potuto beneficiare dei risultati del Forum. Poiché avviata prima, molto probabilmente non avrà potuto avvalersene. Comunque, la riqualificazione dell’area, essenzialmente orientata ad un nuovo uso produttivo della stessa (e resa di conseguenza possibile anche per i finanziamenti concessi dalla Legge della Regione Lombardia n°30 del 1994), costituisce un esempio di intervento che persegue obiettivi sociali e che risponde concretamente alle esigenze della collettività. Come si è detto, la riqualificazione dell’area destina a nuovo uso produttivo i vecchi impianti, rispondendo alla grave crisi occupazionale generata dalla dismissione di tante fabbriche in territorio sestese e al tempo stesso conservando l’identità dei luoghi e il valore simbolico che essi rappresentano. L’intervento conserva intatto nei suoi connotati il villaggio Breda, mutato solo negli utenti; non più gli operai delle fabbriche ma proprietari, in gran parte pensionati. Al contrario, le condizioni che sono strategiche per il successo delle operazioni dal punto di vista immobiliare sono essenzialmente costituite dall’assorbimento da parte del mercato dei prodotti del riuso, con valori di collocazione elevati o almeno pari a quelli che chi ha proposto la trasformazione si attendeva. Il pieno assorbimento dei prodotti del riuso conferma l’avvedutezza con la quale sono state operate le scelte di attribuzione delle funzioni alle aree, che rispondono correttamente alla domanda del momento dell’utenza, sia dal punto di vista quantitativo (anche per la possibile scelta strategica di collocare gradualmente i prodotti sul mercato, così da mantenere alto il loro prezzo risultando contenuta l’offerta, come a Kop van Zuid a Rotterdam), che dal punto di vista qualitativo. Anche il fattore “tempo” ha un ruolo importante nell’assorbimento degli esiti delle trasformazioni. Il riuscito contenimento dei tempi tra la fase della decisione e la fase della realizzazione mette al sicuro da possibili e necessarie variazioni del mix funzionale pensato per le aree all’inizio delle operazioni, per nuove richieste del mercato nel frattempo subentrate, oltrechè dalla possibile modificazione

92

Page 93: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

della composizione dei diversi soggetti in qualche modo interessati all’operazione di trasformazione e conseguentemente assicura dalla possibile trasformazione degli obiettivi. Inoltre, il riuscito contenimento dei tempi delle operazioni consente di contenere le spese, limitando gli interessi bancari sui capitali ottenuti a finanziamento. Infine, un’ultima considerazione sulle condizioni che sono strategiche per un successo delle operazioni inteso come ottenuto incremento del valore immobiliare delle aree oggetto di riqualificazione. Queste condizioni sono essenzialmente di due tipi: di tipo fisico perchè legate al fattore posizione delle aree e alla buona accessibilità delle stesse e di tipo progettuale, derivanti da un intervento di riqualificazione di qualità, con alta dotazione di standard urbanistici, basso indice di edificabilità territoriale e alta qualità ambientale, che si pone in dialogo con i tessuti circostanti, che realizza “parti di città” dove gli spazi aperti sono luoghi urbani, nei quali crescono le relazioni sociali, che segue canoni di sostenibilità ambientale, che ospita al suo interno funzioni di pregio (centro congressi,…) e che, infine, è frutto di un’unica operazione progettuale e/o di un’unica realizzazione. (1) Paolo Conci Verso l’urbanistica partecipata in www. Ambientetrentino.it/urban (2) Inu (a cura di) Rapporto sullo stato del territorio 2003 Inu Edizioni 2003

93

Page 94: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Allegati Audis Proposta di alcune modifiche al D.M. 471/99 (www.audis.it/tematiche)

94

Page 95: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Bibliografia generale Documenti Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n°22 “Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/Ce sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi” D.M. 25 ottobre 1999 n°471 “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino dei siti inquinati, ai sensi dell’art. 17 del D.L. 5 febbraio 1997 n°22 e successive modificazioni ed integrazioni” L. 31 luglio 2002 n°179 “Disposizioni in materia ambientale” Audis Proposta di alcune modifiche al D.M. 471/99 Articoli Marcel Smets Una tassonomia della deindustrializzazione in Rassegna n°42 del 1990 Marco Venturi La deindustrializzazione nella Ruhr in Rassegna n°42 del 1990 Peter Zlonicky La ricostruzione del paesaggio della Ruhr in Rassegna n°42 del 1990 Klaus Kunzmann Le politiche del riuso nella Ruhr in Rassegna n°42 del 1990 Remo Dorigati Un parco culturale per la città in Arca n°78 del 1994 Lingotto: un investimento in atto in L’Industria delle costruzioni n°270 aprile 1994 Gregotti Associati Progetto Bicocca in Casabella n°626 del 1995 Patrizia Gervasoni, Silvia Maffei Il rischio ambientale nei processi di riuso delle aree industriali dismesse a Milano in Urbanistica Informazioni n°157 del 1998 Carolina Giaimo Aree industriali dismesse. I temi, le ricerche in Urbanistica Informazioni n°162 del 1998 Daniela Gualdi Vittorio Caporioni Dialogo con Vezio de Lucia in Costruire in laterizio n°65 del 1998 Agata Spaziante Censire le aree dismesse: problemi e prospettive in Urbanistica Informazioni n°164 del 1999 Tecla Mambelli Trasformazioni delle aree dismesse e società di economia mista in Urbanistica Informazioni n°164 del 1999 Maurizio Carta Il recupero delle aree dismesse a Palermo, applicazione dell’Agenda 21 in Urbanistica Informazioni n°164 del 1999 Roberto Raffaelli La nuova legislazione per il governo delle città e del territorio dell’Emilia Romagna in Urbanistica n°115 del 2000

95

Page 96: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Francesca Leder Riflessioni preliminari e buone pratiche in Urbanistica n°115 del 2000 Edoardo Preger Le politiche di riqualificazione urbana in Emilia Romagna in Urbanistica n°115 del 2000 Stefano Stanghellini Politiche urbane e territoriali: protagonismo regionale e innovazione nei comuni in Urbanistica Informazioni n°115 del 2000 Valeria Erba Il riuso delle aree industriali dismesse a Milano in Urbanistica Informazioni n°178 del 2001 Leonardo Visco Gilardi Il paesaggio industriale visto dai cittadini di Sesto San Giovanni in Urbanistica Informazioni n°180 del 2001 Alessandra Marin Il patrimonio storico dell’industria: quali modelli per il riuso? in Urbanistica Informazioni n°180 del 2001 Francesca Governa Ripensare significati, ruoli e funzioni dei patrimoni industriali in Urbanistica Informazioni n°180 del 2001 Alessandra Marin Patrimoni industriali tra riqualificazione urbana e sviluppo locale in Urbanistica Informazioni n°180 del 2001 Sergio Scano La Sardegna occidentale e il recupero del patrimonio minerario in Urbanistica Informazioni n°180 del 2001 Gianfranco Imperatori Aree dismesse fonte di ricchezza in Il Sole 24 ore del 14 agosto 2003 Matteo Dario Paolucci Il paesaggio agrario tra conservazione e restauro in Urbanistica Informazioni n° 120 del 2003 Anna Palazzo Nuovi processi di trasformazione del paesaggio extra urbano in Urbanistica Informazioni n°189 del 2003 Anna Pozzo Alberta Solarino Il potenziale dell’edilizia residenziale pubblica in Urbanistica Dossier n°57 del 2003 Elio Piroddi Permanenza e sostituzione: la natura del problema in Urbanistica Dossier n°57 del 2003 Paolo Avarello Investire nella riqualificazione urbana in Urbanistica Dossier n°57 del 2003 Domenico Cersosimo Dolores Deidda Pubblica amministrazione e Agenzie locali di sviluppo tra istituzionalizzazione e capacity buiding in Urbanistica Informazioni n° 195 del 2004 Sandra Vecchietti Procedure di evidenza pubblica nei programmi complessi in Urbanistica Informazioni n°197 del 2004 Ezio Micelli La valutazione delle convenienze pubbliche private nei programmi complessi in La selezione dei progetti e il controllo dei costi nella riqualificazione urbana e territoriale Alinea Firenze, settembre 2004

96

Page 97: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Benedetto Manganelli L’offerta economicamente più vantaggiosa. Anomalie e proposta di correzione della procedura di selezione in La selezione dei progetti e il controllo dei costi nella riqualificazione urbana e territoriale Alinea Firenze, settembre 2004 Cristina Bianchetti Dismesse e sfruttate in Il Giornale dell’Architettura n°23 del novembre 2004 Luca Gibello Se traina una miope cultura d’impresa in Il Giornale dell’Architettura n°23 del novembre 2004

97

Page 98: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Testi G. Campos Venuti F. Oliva Cinquant’anni di urbanistica in Italia 1942-1992 Ed. Laterza Bonifica Study on derelict industrial sites of the coal and steel industry Gangemi 1995 Egidio Dansero (a cura di) Le aree urbane dismesse: un problema, una risorsa. Working paper n°7 del D.I.T. sulle aree dismesse. Torino, luglio 1996 Giovanni de Franciscis Rigenerazione urbana. Il recupero delle aree dismesse in Europa. Strategie, gestione, strumenti operativi. Napoli, Eidos, 1997 Michelangelo Russo Aree dismesse. Forma e risorsa della “città esistente”. Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1998 Corinna Morandi, Paola Pucci (a cura di) Prodotti notevoli. Ricerca sui fattori di successo dei progetti di trasformazione urbana. Franco Angeli, Milano 1998 Egidio Dansero, Carolina Giaimo, Agata Spaziante (a cura di), Sguardi sui vuoti. Recenti ricerche del Dipartimento Interateneo Territorio sulle aree industriali dismesse. Working paper n°12 del Dipartimento Interateneo Territorio sulle aree dismesse. Torino dicembre 1998 Carmela Gargiulo (a cura di) Processi di trasformazione urbana e aree industriali dismesse. Esperienze in atto in Italia. Atti dei Convegni Audis 1999/ 2000. Dioniso Vianello Programmazione e gestione del recupero delle aree dismesse in Convegno nazionale Archeologia industriale: metodologie del recupero e fruizione del bene industriale. Prato, giugno 2000 Piano Progetto Città (Rivista semestrale del Dau Facoltà di Architettura Università degli Studi di Chieti) n°18 del 2000 Inu (a cura di) Rapporto sullo stato della pianificazione del territorio 2000 Inu Edizioni 200 Eugenio Battisti Archeologia industriale. Milano, Jaca Book, 2001 Egidio Dansero, Carolina Giaimo, Agata Spaziante (a cura di), Se i vuoti si riempiono. Aree industriali dismesse: temi e ricerche. Alinea, Firenze, 2001 Federico Oliva L’urbanistica di Milano Hoepli 2002 Francesco Indovina (a cura di) La città di fine millennio. Studi urbani e regionali Franco Angeli Gianluigi Nigro, Giovanna Bianchi (a cura di) Politiche, programmi e piani nel governo della città. Roma, Gangemi editore, settembre 2003 Inu (a cura di) Rapporto sullo stato del territorio 2003 Inu Edizioni 2003 Paolo Ceccarelli Carlo Monti (a cura di) Riqualificazione urbana in Emilia Romagna Alinea Editrice 2003

98

Page 99: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Marina Dragotto Carmela Gargiulo (a cura di) Aree dismesse e città. Esperienze di metodo, effetti di qualità. Franco Angeli, Milano 2003 G. Sgorbati, N. Dotti, R. Racciatti, G. Campilongo (a cura di) Aree industriali dismesse. Tra rischio ambientale e occasione di riqualificazione del territorio Arpa della Lombardia 2003 Materiali preparatori al Convegno La riconversione delle aree dismesse: la valutazione, i risultati tenutosi a Torino il 18 ottobre 2004 Atti del seminario Audis con Europrogetti & Finanza S.p.A. Il finanziamento degli strumenti per l’elaborazione e l’attuazione dei Programmi di Trasformazione Urbana tenutosi a Roma il 25 febbraio 2005

99

Page 100: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Bibliografia specifica dei casi di studio Area S.l.o.i. a Trento Documenti Il Programma Nazionale delle Bonifiche Articoli Elisabetta Miorelli Piombo in città: il recupero di un’area inquinata a Trento in Urbanistica Informazioni n° 164 del 1999 Il diritto alla salute è un optional per i lavoratori finanziari in Il Trentino del 28/07/2002 Bruno Zanon Urbanistica a Trento, tra retoriche, tattiche e attese di nuova qualità urbana in Urbanistica Informazioni n° 182 del 2002 Siti internet www.comune.tn.it www.uffstampa.provincia.tn.it (dal 20/02/2004 al www.questotrentino.it (da: n°6 del 21/03/98 al n°13 del 26/06/2004) www.italianostra-tn.it (del 16/11/2000) www.guerrasociale.org (del 6/06/2002) www.camera.it (del 22/06/2002) www.gregottiassociati.it (del gennaio 2004) www.verdideltrentino.org Del 20/06/2004) www.ambientetrentino.it (dal 2002 al febbraio 2004) www.casacittà.tn.it www.greenplanet.net (del 22/10/2004) Area Montecity Rogoredo a Milano Interviste effettuate Arch. Paolo Simonetti (Direttore Settore Piani e Programmi esecutivi per l’edilizia del Comune di Milano)

100

Page 101: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Documenti P.T.C.P.di Milano Relazione generale ottobre 2003 P.I.I. Montecity Rogoredo a Milano Relazione sui contenuti della Variante Urbanistica Testi Federico Oliva L’urbanistica di Milano Hoepli 2002 Articoli Paolo Caputo Programma integrato di intervento Montecity-Rogoredo in Urbanistica n°119 luglio-dicembre 2002 Via libera all’area Montecity Rogoredo ridisegnata da Norman Forster Corriere della Sera del luglio 2002 Paolo Galuzzi Piergiorgio Vitilio La nuova porta sud della città in Urbanistica n°119 luglio-dicembre 2002 Evelina Marchesini Montecity, in primavera l’avvio in Il Sole 24 ore del 13/07/2003 Siti internet www.comune.milano.it www.censis.it (rapporto annuale 2002) www.geocities.com (di ottobre del 1999) www.dsmilano.it (del 9/5/2001) www.quotidianoimmobiliare.com www.archimagazine.com (del 30/09/2002) www.finanzaonline.com (del 25/09/2002) www.ilnuovo.it (del 30/09/2002) www.dscomune.milano.it (del 17/10/2002) www.tei.it www.infobuild.it (del 28/09/2002) www.gruppozunino.it www.europaconcorsi.com (del 12/12/2003 al 20/10/2004) www.corriere.it (dal giugno al luglio 2004)

101

Page 102: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

www.borse.it (del 4/06/2004) www.architettiroma.it (del luglio 2004) www.soldionline.it (del 12/07/2004) Area ex Michelin a Trento Documenti Comune di Trento Programma urbanistico di struttura generale Trento, novembre 2001 Comune di Trento Relazione alla Variante al P.R.G. 2001 adottata con delibera di C.C. n°57 del 14/03/2002 Articoli Mattia Eccheli Iniziative Urbane Spa presenta il progetto di Piano in l’Artigianato n°2 del febbraio 200 Siti internet www.comune.tn.it www.uff.stampa.provincia.tn.it www.europaconcorsi.com www.questotrentino.it (dal n°8 del 17/04/1999 al n°5 del 06/03/2004) www.assindustria.tn.it (art. di febbraio 2000) www.verdideltrentino.it (art. del 6/12/2000 e del 2/10/2001) www.inu.it/sezioni regionali/trentino (n°25 primo trimestre 2001) www.ambientetrentino.it (art. di febbraio 2002) www.trentinocultura.net (art. di gennaio 2003) www.floornature.com www.newspages.it (art. del 10/06/2003) www.aisif.it (art. di giugno 2003) www.edilportale.com (art. del 17/09/2003) www.trentinocorrierealpi.quotidianiespresso.it (art. dal 11/09/2003 al 8/01/2004)

102

Page 103: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

www.isa.tn.it Ambito Castello di Lucento a Torino Interviste effettuate Arch. Maione (Funzionario Cimimontubi S.p.A) Documenti PTCP di Torino Relazione illustrativa agosto 2003 Articoli Silvia Saccomani Torino: strumenti di intervento sulle aree industriali dismesse tra strategie di sviluppo e trasformazione immobiliare in (a cura di) E. Dansero, C. Giaimo, A. Spaziante Sguardi sui vuoti Working paper n°12 del 1998 Paolo Chicco Il riuso problematico di una zona industriale (L’ambito “Castello di Lucento” del P.R.G. di Torino) in E. Dansero, C. Giaimo, A. Spaziante (a cura di) Sguardi sui vuoti Working paper n°12 del 1998 Paolo Chicco Piano e conflitto nella trasformazione di una zona industriale in Urbanistica Informazioni n°164 del 1999 A Torino in pista i cantieri da: Il Sole 24 ore del 10 agosto 2003 Annalaura Spalla La condivisione di un’idea di città tra piano regolatore e piano strategico a Torino in G. Nigro, G. Bianchi (a cura di) Politiche, programmi e piani nel governo della città. Gangemi Editore, Roma, settembre 2003 Carlo Nuti Integrazione tra piano, programmi e politiche e ruolo dell’amministrazione a Torino in G. Nigro G. Bianchi (a cura di) Politiche, programmi e piani nel governo della città. Gangemi Editore, Roma, settembre 2003 Siti Internet www.comune.torino.it (dal 3 novembre 2002 al 17 giugno 2003) www.cimimontubi.it www.torino_internazionale.org (fino al 9 aprile 2003) www.tia-it.com Area ex Cemsa Pirelli a Saronno Interviste effettuate Arch. Pagani

103

Page 104: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Documenti Comune di Saronno Provincia di Varese Documento Direttore “Inquadramento progettuale per le grandi aree di trasformazione B.6.2” relativo alle aree dismesse ambito via Varese via Milano, adottato con D.C.C. n°86 del 15/12/03 Comune di Saronno Grandi aree di trasformazione B.6.2. Linee Guida di Intervento approvato dal C.C. il 25/11/2002 Siti Internet www.univa.va.it www.varesenews.it (da febbraio 2001 al 22 ottobre 2003) www.circ-saronno.leganord.org Area ex Breda a Sesto San Giovanni Interviste effettuate Arch. Maione (Funzionario CimiMontubi S.p.A.) Documenti Comune di Sesto San Giovanni Convenzione di Piano Attuativo ai sensi della L.R. 30/94 Comune di Sesto San Giovanni Parco Archeologico-industriale in area ex Breda Progetto di fattibilità Comune di Sesto San Giovanni Parco Archeologico-industriale in area ex Breda Programma di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile (PRUSST) del luglio 1999 Accordo di Programma promosso con D.G.R. n°8946 del 30/04/02, finalizzato alla realizzazione del parco archeologico industriale in area ex Breda a Sesto San Giovanni Comune di Sesto San Giovanni Piano Regolatore Generale 2000 Relazione illustrativa luglio 2003 Sesto San Giovanni Risultati dell’Accordo di Programma per la Reindustrializzazione dell’area sestese, operativo dal 1996 al 2003 del 12 febbraio 2004 Articoli Davide Cornago Un nuovo strumento regolatore per Sesto San Giovanni in Urbanistica Informazioni n°141 del 1995 Fabio Terragni Il caso di Sesto San Giovanni e del Nord Milano in Processi di trasformazione urbana e aree industriali dismesse. Esperienze in atto in Italia. Atti dei Convegni Audis 1999/ 2000. Ed. Audis 2001

104

Page 105: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Angelo Gerosa Sesto San Giovanni: le ex grandi fabbriche (Breda, Marelli, Falck) in Processi di trasformazione urbana e aree industriali dismesse. Esperienze in atto in Italia. Atti dei Convegni Audis 1999/ 2000. Ed. Audis 2001 Massimiliano Carbonaro Ex Marelli, così Sesto cambia volto in Edilizia e Territorio del 17-22 novembre 2003 Massimiliano Carbonaro La metamorfosi di Sesto S.G. in Edilizia e Territorio del 8-13 marzo del 2004 Siti Internet www.asnm.com www.sestosg.net www.assolombarda.it www.softntt.it (dal 9/11/2000 al 11/04/2002) www.vaslombardia.org (del 13/01/2002) www.wai.lombardiacultura.it (dal 22/04/2002 al 24/10/2002) www.gliargomentiumani.com www.associazioni.milano.it www.resistenze.org (del 14/03/2004) www.infonodo.org (di aprile 2004) www.torino-internazionale.org (del 24 ottobre 2004) www.cimimontubi.it Area ex Montecatini Alumetal a Mori Interviste effettuate Geom. Vianello (Comune di Mori) Dott. Furio Sembianti (Responsabile dell’ufficio del Piano Urbanistico Provinciale) Documenti Variante al PUP 2000

105

Page 106: SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA ...padis.uniroma1.it/bitstream/10805/725/16/MartelliAmalia...SULLE CONDIZIONI CHE INFLUENZANO LA TRASFORMABILITÀ E OSTACOLANO LA RIQUALIFICAZIONE

Testi Massimo De Marchi Aree dismesse e sviluppo montano sostenibile tra conflitti di uso delle risorse e partecipazione locale: il caso della Provincia Autonoma di Trento Agei – Geotema 2001 Siti internet www.comune.mori.tn.it www.provincia.tn.i www.ambientetrentino.it (fino al 28 giugno 2002) www.questotrentino.it (dal 10/01/99 al maggio del 1999) www.comune.rovereto.tn.it

106