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485 AISPI Edizioni, 2018 ISBN: 978-88-907897-3-1 Storie di finzione tra invenzione e memoria. En nombre de Franco di Arcadi Espada e El impostor di Javier Cercas 1. Introduzione Questo studio prende in analisi due testi, En nombre de Franco. Los héroes de la embajada de España en el Budapest nazi ed El impostor, rispettiva- mente dello scrittore e giornalista barcellonese Arcadi Espada e dell’estre- megno ‒ ma catalano d’adozione ‒, Javier Cercas. Il titolo del contributo racchiude due delle parole chiave – “invenzione” e “memoria” ‒ attraverso cui si propone un’analisi comparativa tra i due libri incentrata sulla po- livalenza del concetto di “finzione”, allo scopo di indagare le potenziali- tà espresse, più o meno esplicitamente, dal terreno di gioco narrativo, a metà strada tra le ambientazioni propriamente fittizie e quelle, invece, più facilmente riconoscibili nel contesto storico/documentaristico. È evi- dente come il contatto e l’interazione tra pratiche di scrittura dissimili favorisca il successo dei testi in cui opera tale fenomeno d’ibridazione, e il caso offerto da Cercas e da Espada dimostra quanto sia centrale la que- stione in fatto di valutazione del testo letterario. In entrambi i casi si trat- ta di libri che assumono come premessa l’indagine della verità, pubblica e privata; entrambi alludono al riscatto identitario, individuale e collettivo, attraverso l’esplorazione del caso umano compromesso dalla storia, dai Valeria Cavazzino Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” Trayectorias literarias hispánicas: redes, irradiaciones y confluencias, 2018 pp. 485-505

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485AISPI Edizioni, 2018ISBN: 978-88-907897-3-1

Storie di finzione tra invenzione e memoria. En nombre de Franco di Arcadi Espada e El impostor di Javier Cercas

1. Introduzione

Questo studio prende in analisi due testi, En nombre de Franco. Los héroes de la embajada de España en el Budapest nazi ed El impostor, rispettiva-mente dello scrittore e giornalista barcellonese Arcadi Espada e dell’estre-megno ‒ ma catalano d’adozione ‒, Javier Cercas. Il titolo del contributo racchiude due delle parole chiave – “invenzione” e “memoria” ‒ attraverso cui si propone un’analisi comparativa tra i due libri incentrata sulla po-livalenza del concetto di “finzione”, allo scopo di indagare le potenziali-tà espresse, più o meno esplicitamente, dal terreno di gioco narrativo, a metà strada tra le ambientazioni propriamente fittizie e quelle, invece, più facilmente riconoscibili nel contesto storico/documentaristico. È evi-dente come il contatto e l’interazione tra pratiche di scrittura dissimili favorisca il successo dei testi in cui opera tale fenomeno d’ibridazione, e il caso offerto da Cercas e da Espada dimostra quanto sia centrale la que- stione in fatto di valutazione del testo letterario. In entrambi i casi si trat-ta di libri che assumono come premessa l’indagine della verità, pubblica e privata; entrambi alludono al riscatto identitario, individuale e collettivo, attraverso l’esplorazione del caso umano compromesso dalla storia, dai

Valeria CavazzinoUniversità degli Studi di Napoli “L’Orientale”

Trayectorias literarias hispánicas: redes, irradiaciones y confluencias, 2018 pp. 485-505

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fatti. Non è, dunque, la realtà a essere scomposta e analizzata in quanto tale ma, al di là della rappresentazione verosimile dei fatti realmente accaduti, a godere dell’interesse assoluto dei due autori è la Verità storica. Cercas ed Espada riconsegnano al pubblico un vero e proprio lavoro di ricerca in cui l’arte narrativa illustra il risultato delle rispettive indagini. La partecipazione dell’autore al caso umano da riscoprire e al progetto narrativo da (ri)creare mostra tutte le potenzialità di un genere che, incrociando strategie e fini apparentemente differenti, scopre il suo punto di forza, trovando risposta nelle evoluzioni auspicabili in campo letterario, non solo in corrispondenza del successo editoriale.

In primo luogo, risulta molto interessante la “coincidenza” per cui El im-postor (2014) ed En nombre de Franco (2013) vengono pubblicati a solo un anno distanza l’uno dall’altro, elemento che potrebbe considerarsi casuale ma che, in qualche modo, pare suggestivo. Il riferimento non è da attribuir-si a ragioni che coinvolgerebbero direttamente i due autori in un’operazione di marketing ma, probabilmente, segnerebbe una moda relativa a un certo tipo di scrittura che mira alla riabilitazione letteraria di parti della storia e, in modo particolare, della figura di eroi nazionali esaltati o mortificati dalle montature artificiali della memoria. Il dato appare ancor più significativo dopo aver letto entrambi i libri: Cercas e Espada s’imbattono, ciascuno a suo modo, in due casi che, in maniera opposta, rendono appieno lo scontro tra realtà e finzione; rielaborano, secondo stili diversi, due storie di impo- stura legate a storie reali.

Nel 2013 la casa editrice Espasa pubblica En nombre de Franco. Los héroes de la embajada de España en el Budapest nazi, libro propriamente d’indagine attraverso cui l’autore, Arcadi Espada, ricostruisce gli eventi che hanno determinato l’oblio di Ángel Sanz Briz (e di altri componen-ti della delegazione spagnola) a favore della versione promossa (ed è il caso di dirlo) da Giorgio Perlasca, riguardo il salvataggio di migliaia di ebrei durante l’inverno del 1944. Sanz Briz (cfr. Espada 2013: 133) riferi- sce l’immagine del diplomatico spagnolo in carica dal 1942 in qualità di vicesegretario presso l’ambasciata, ne descrive la permanenza nella ca-pitale ungherese che termina il 7 dicembre del 1944, quando il governo spagnolo ne autorizza il trasferimento a Berna in seguito all’imminente occupazione sovietica.

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Nel 2014 Random House pubblica El impostor di Javier Cercas, libro che segna il ritorno dell’autore al territorio ibrido della “non finzione” ma che riconferma l’intervento della letteratura nel racconto reale. Cercas rico- struisce per il suo pubblico le dinamiche della vera storia di Enric Mar-co Battle. Il progetto prende vita nonostante la lunga gestazione, divenuta anch’essa oggetto narrativo e include, in primo luogo, la distinzione tra le verità e le menzogne interpretate da Marco durante più di trent’anni. È nel 2005 che scoppia il caso “Enric Marco”: l’uomo, un novantenne barcello-nese ‒ sindacalista attivo durante gli anni del regime di Franco ‒, era noto per essere il rappresentante ufficiale della comunità dei superstiti spagnoli ai campi di concentramento nazisti, arrivando a ricoprire la carica di vi-cepresidente della Asociación Amical de Mathausen y otros campos. La sua fama di eroe repubblicano e combattente antifascista, nonché di deportato in un campo di concentramento nazista e vittima di persecuzioni da parte della Gestapo, si trasforma immediatamente in scandalo pubblico quando lo storico Benito Bermejo Sánchez pubblica un documento che rivela l’in-consistenza dei racconti testimoniali di Marco.

2. Contar (con) la historia. Entre revisión y recuperación

“Cuándo se descubre la realidad de la leyenda, hay que publicar la leyenda”. Con la celebre battuta tratta dal film diretto da John Ford nel 1962, L’uomo che uccise Liberty Valance, Arcadi Espada riprende e cita una serie di articoli pubblicati su The New York Times, “The ashtray”, del regista, documentari- sta e fotografo Errol Morris, per dare inizio al suo libro En nombre de Franco.

Peculiare e significativa, questa frase riproduce idealmente la distanza che intercorre tra i due testi di cui affronteremo la lettura. Occorre avvisare però che l’approccio d’analisi ai due lavori privilegia considerazioni strutturali che si riferiscono alle strategie compositive e di comunicazione del mes-saggio narrativo e informativo, in corrispondenza della valutazione della componente “autorial” che determina in maniera significativa l’afferenza generica e ne orienta l’interpretazione, più che approfondire i temi ripro-posti come argomenti più o meno centrali della narrazione. Questa premes-sa vuole essere una guida per il discorso che si porterà avanti presentando i due libri che hanno contribuito ad arricchire (e a riformulare) la schiera di

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titoli del filone letterario dedicato alla cosiddetta “recuperación histórica”1. Seppur in maniera marginale, i libri di cui ci occupiamo s’inseriscono in questo “genere” che riprende parti della storia ufficiale del periodo bellico, epoca che, dal punto di vista non solo letterario, ha contribuito a contraf- fare eventi e personaggi; un filone di moda, specialmente nell’ultimo de-cennio, che ha motivato l’interesse da parte di critici intenti a sistematizzare il materiale offerto dalle pubblicazioni che avevano come tema di fondo la Guerra civile e i suoi protagonisti. È il caso di David Becerra Mayor, a cui si rimanda per la recente pubblicazione dal titolo La Guerra Civil como moda literaria, testo in cui si compie un’operazione di catalogazione e accurata indagine (strutturale e statistica) dei titoli che compongono il “subgénero”, definito a sua volta da Isaac Rosa, autore del prologo al libro, della “novela sobre la Guerra Civil” (Rosa 2015: 10):

Solamente se reivindica el conocimiento del pasado como única vía existente para cerrar las heridas de la Guerra Civil que perviven todavía en la sociedad española; solamente por medio del conocimiento del pasado ‒se propone en la novela‒ se puede poner fin a los rencores históricos que persisten en España y únicamente cuando se hayan reconocido las víctimas y sus verdugos será posible que se produzca la tal ansiada reconciliación nacional. Pero en ningún momento se busca interrum-pir el continuum histórico dominante cuya dominación se labró sobre la explotación y la expropiación de los vencidos. El conocimiento de la Guerra Civil […] persigue que los españoles, por fin, puedan convivir en paz y que los debates políticos del presente no vuelvan a verse salpicados por los fantasmas del pasado. Curiosa manera de reivindicar el pasado y la memoria histórica (Becerra 2015: 68).

L’esposizione romanzesca dei fatti relativi al conflitto storico andrebbe in-tesa, dunque, secondo Becerra, come una forma di riscatto alternativa (o di possibile redenzione) rispetto alle modalità tradizionali di trasposizione narrativa della storia reale; la Guerra Civile, più che assumere centralità come oggetto e tema della investigación, diviene un motivo letterario. In questo modo, l’assenza di storicità oggettiva è l’elemento segnalato da Be-

1 I riferimenti bibliografici offerti da David Becerra Mayor riferiscono dell’immenso reper-torio dei titoli di studi che compongono sia la corrente letteraria della Memoria Storica, come citato, che un buon archivio saggistico sul tema della Guerra Civile. Si rimanda, per-tanto, all’indice bibliografico formulato dallo studioso e, in particolar modo, alla sezione dedicata alla “Teoría literaria y ensayos sobre literatura actual” (Becerra 2015: 436).

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cerra come comun denominatore della maggior parte dei testi in linea con l’ultima moda letteraria, secondo la quale al centro dell’attenzione narrativa e d’indagine è posto il conflitto individuale a discapito della causa politica e sociale collettiva. Il superamento del conflitto risulta, infine, arginato dalla tentazione (e dal tentativo) di riportare alla luce storie umane capaci di ria-bilitare la storia di cui fanno parte; la scelta ricade sulla ricostruzione della vera storia dei protagonisti, dimenticati od occultati dai meccanismi della memoria certamente storica, come strumento di riscatto particolare più che universale. Tale operazione risulta, dunque, una conferma del patto lettera-rio, e non direttamente storico, che regge le dimensioni della realtà e della finzione: “Por si fuera poco, en España la expresión ‘memoria histórica’ fue, además de un oxímoron, un eufemismo: la llamada memoria histórica era en realidad la memoria de las víctimas republicanas de la Guerra Civil y el franquismo, y recuperarla o reivindicarla equivalía a reivindicar la repara-ción completa de esas víctimas y a exigir justicia y verdad sobre la guerra civil y el franquismo para superar de manera definitiva a ese pasado terrible” (Cercas 2014a: 299).

In realtà, sia El impostor che En nombre de Franco esprimono una certa potenzialità d’inserimento in questo canone ma, procedendo in direzio-ne di una lettura interpretativa che tiene conto delle differenti prospettive d’indagine comparativa, si evidenzia che, dal punto di vista tematologico, i due testi assimilano il criterio della rivisitazione del “Vero”, assumendo tale valore come tema narrativo e motivo d’indagine. Un’analisi prossima all’ambito di studio dei generi rivela, invece, una probabile variazione del “canone” menzionato per la creazione di uno spazio narrativo in cui avvie-ne la riscrittura della storia nazionale spagnola tramite il potenziamento dell’aspetto cognitivo del ri-racconto e dell’esperienza vissuta in prima per-sona come elemento capace di focalizzare vicende individuali per riscattare l’autenticità del valore storico2. La storia possiede per sua stessa natura una certa carica narrativa che, come sostiene Álvaro Pombo, può distanziarsi notevolmente dalla pratica letteraria che la ritrae:

2 Le teorie menzionate si riferiscono allo studio condotto da Claudio Guillén e, in particolar modo, alla seconda parte del manuale di letteratura comparata. Il capitolo 12 illustra, infatti, le dimensioni che tale metodologia si propone di indagare: lo studio dei generi, dei temi, della prospettiva storica (Guillén 2005).

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Que la historia tenga un componente narrativo fuerte […] no quita para quienes a principios de este siglo XXI leemos historia y escribimos novelas no sepamos que la historia que hacen los historiadores actuales tiene estrictas pretensiones de verdad, enuncia hipótesis que pueden ser falsables, y aspira a fijar sus hechos con exactitud y rigor. Frente a esto, tenemos las narraciones novelescas, la ficción, las ficciones. Sin duda, hay también una exactitud y un rigor propio específicamente de la ficción: hay para el novelista, como para el poeta, una exigencia de claridad y de verdad. Pero se rige por criterios distintos que, para entendernos, llamaré científicos, por los que se rige la historia (Pombo 2004).

La distanza tra storia e racconto storico si crea a partire dalla scelta delle fonti e si evidenzia nel metodo di ricreazione letteraria dei fatti storici e del conte- sto in cui hanno avuto origine. Appare, dunque, una tendenza comune, quel- la di ricalcare il vissuto più che il ricordo per ricondurre le narrazioni, più o meno storiche in senso stretto, verso una dimensione fruibile e più acces-sibile per il pubblico. La scelta di rivolgersi verso l’ampio repertorio de “los hechos históricos” per aumentarne la divulgazione svelandone aspetti insoliti o comunque meno noti, è da ricondurre all’interpretazione del canone in chiave statistica più che di principio o norma etica a cui attenersi. Tale ope-razione esige criteri ben precisi per rendersi significativa, cioè assolvere una funzione capace di avere impatto nella società, ben oltre gli ambiti specifici della letteratura o della storia in quanto indici, elenchi, campi del sapere. Il valore assoluto è, dunque, la trasmissione associata alla ricerca di una verità autentica e verificabile: “El problema del canon no se limita a los confines de lo estrictamente universitario, puesto que los desborda y se convierte, así, en un problema pedagógico (¿Qué enseñar, por qué y para qué?) y, en últi-ma instancia en un problema cultural, social y, por qué no, político, por su relación con la identidad cultural y la tradición nacional” (Sullá, 1998: 34).

Un’ossessione per il passato e per la memoria, come segnalano Gracia e Ró-denas de Moya (2011), che s’impone sulla scena contemporanea per urgenza di coinvolgimento e condivisione del pubblico, non più spettatore ma inter-locutore consapevole e “armato” degli strumenti adeguati per la costruzione di un dialogo volto alla ricostituzione del passato nazionale comune.

La pubblicazione ravvicinata di questi due libri a solo un anno di distanza l’uno dall’altro si offre, dunque, come spunto per una riflessione circa il valore di certi topoi narrativi della produzione contemporanea. Il carattere

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delle indagini e delle denunce mosse da Javier Cercas e da Arcadi Espada si presentano come due percorsi differenti ma univoci, che collaborano a ridefinire l’ambito, ormai affermato, della “reconstrucción de la memoria histórica”: la tendenza comune al riscatto identitario (nazionale/collettivo e umano/individuale) potrebbe intendersi come monito di un cambiamento all’interno del contesto di scrittura e produzione narrativa, a partire da un patto di cooperazione stabilito dalla letteratura con la storiografia. L’origi-nalità di tale processo sta nell’ordine, ora sovvertito, della collaborazione interdisciplinare, per cui il patto storico-letterario si stabilisce a partire dal processo costitutivo del testo narrativo in cui esso ha luogo; da un punto di vista strutturale, si evidenziano di seguito le fasi di creazione attraverso cui, sia Cercas che Espada, ordinano e presentano il proprio materiale informa-tivo, dunque, narrativo:

1. Presentazione del caso. Il protagonista o l’evento centrale della narra-

zione non è presentato secondo una prospettiva “oggettiva” ma si offre al lettore l’esperienza personale dell’autore come filtro dei contenuti informa-tivi e accesso al nucleo del racconto.

2. Smentita. Il riferimento è diretto al procedimento di scomposizione finzionale a cui Cercas, soprattutto, ci ha abituati ormai dai primi anni del 2000, con Anatomía de un instante, in particolare; la produzione di Espada, dal canto suo, non manca di modelli interessanti da questo punto di vista, come nel caso di Raval del amor a los niños.

3. Riordino dei dati. Anche in questa fase, come nella prima, a imporsi è la focalizzazione del punto di vista autoriale che non modifica gli eventi in maniera sostanziale ma interviene nella mediazione del messaggio attraver-so la sistematizzazione dei fatti.

4. Riformulazione. Operazione che prevede necessariamente la messa in discussione delle fonti primarie (fase in cui si esalta il valore dell’inchiesta e il tono provocatorio della narrazione) e le versioni ufficiali tramite la pre-sentazione e l’indagine del caso particolare.

Le strategie compositive impiegate per la presentazione di ciascun caso e delle relative storie umane si fondano sull’interazione tra diversi livelli nar- rativi che seguono gradi di focalizzazione alternata, interna ed esterna, e

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denotano un’operazione narrativa che si concentra attorno al ruolo dell’au-tore/narratore del racconto. La partecipazione dell’autore alla creazione del testo in cui ricerca la verità “del” e “sul” caso emerge nella sua completezza dall’analisi di tutti i tipi di relazioni tra le diverse dimensioni diegetiche (extra, intra e meta diegetica) di cui si compone l’intero lavoro di rico- struzione fittizia del fatto reale. Il fine, spiccatamente letterario, e la distanza che si interpone tra il tempo della narrazione, in cui l’azione dell’istanza autoriale interviene consapevolmente nell’azione fittizia del suo racconto (metalessi) e la circostanza reale (cornice) da cui l’autore/narratore articola i termini della sua dialettica con l’oggetto narrativo, pone gli autori in una posizione privilegiata. Cercas ed Espada assumono, contestualmente, una simile prospettiva di focalizzazione e modalità narrativa; allineandosi con la tendenza di ricostruzione degli eventi di un passato collettivo e naziona-le, rifondano il mito del recupero della memoria individuale avvantaggia-ti dall’assunzione di una prospettiva letteraria più che storiografica; in tal modo si rimarca la distanza che li separa dai fatti narrati e, nello specifico, si rimanda alla definizione di una posizione particolare riconosciuta come “postmemoria”, dimensione in cui abita la consapevolezza del ricordo e non più la connessione immediata con l’esperienza vissuta direttamente, come segnala Marianne Hirsch:

un concepto que se define por establecer una conexión mediata con el pasado, con-cretada casi siempre en alguna persona pero a veces en un objeto […] esa conexión se concreta no por medio de la recogida de huellas (como suele suceder con la me-moria) sino por el impulso creativo e imaginativo que ese pasado genera. La post-memoria se caracteriza, frente a la memoria, por la distancia generacional, y frente a la historia, por la íntima conexión personal que implica, y es la experiencia propia de aquellos que vieron cortocircuitada la elaboración de sus propias narrativas por el peso de las de la generación anterior, moldeadas por algún acontecimiento trau-mático (Hirsch 2015).

Abbattere il muro di convenzionalismo che si è voluto erigere a favore dei “Giusti” e della giustizia storica, (e qui il caso Perlasca diventa l’arma impie-gata da Espada per riordinare i dati storici) e allo stesso tempo, circoscrivere le incursioni dell’autoficción nella storiografia ufficiale (aspetto centrale del discorso metaletterario portato avanti da Cercas, il quale rende se stesso te-

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stimone e, allo stesso tempo, soggetto narrativo protagonista dell’impostura storica e attuale più che i singoli “impostori”), rappresenta il punto d’inizio del percorso di riscrittura della storia ufficiale intrapreso dai due autori, rispettivamente impegnati nella riabilitazione della verità e nella conquista dell’autenticità del racconto. Narrazioni che assumono come presupposto la negazione del patto letterario che li ascriverebbe allo stesso genere del romanzo; la scrittura diviene l’unica realtà possibile:

Los peligros asociados a la proliferación masiva de representaciones textuales, lite-rarias y fílmicas, sobre la guerra civil y la dictadura están relacionados no solo con la importancia de la historia sino también con los excesos y las limitaciones de las prácticas culturales. Con respecto al primer factor, es necesario apuntar que, si bien la abundancia de novelas y películas sobre la guerra y sus consecuencias son el resul-tado de una astuta maniobra comercial, dichos productos culturales no se conciben como sustitutos de la historia sino como catalizadores, es decir, que sirven como punto de arranque para despertar la conciencia política e histórica de la sociedad civil (Ramblado 2007).

Inoltre, non si può sottovalutare la questione de la autoría dei testi tra i motivi più interessanti che caratterizzano i due libri, soprattutto in virtù di un lavoro in chiave comparatistica, metodo che concede spazio ad alcuni aspetti emergenti che riguardano la dimensione interattiva del patto stori-co-letterario.

3. Impostores e historias ficticias: temi e motivi di narrazioni a confronto

La struttura narrativa dei due testi è certamente uno tra gli aspetti più inte-ressanti e suggestivi per il lettore; l’argomento della narrazione, in entrambi i casi, è sostenuto e definito da un forte impianto metatestuale che riferi- sce costantemente la presenza autoriale sul filo del racconto. L’intreccio dei piani narrativi ci porta, dunque, a valutare qualsiasi ipotesi critica rispet-to all’intenzione narrativa e informativa ricercata dagli autori. Seguendo dei percorsi evidentemente diversi tra loro, Javier Cercas e Arcadi Espada restituiscono al pubblico versioni autentiche di parti della storia rimaste poco chiare per molto tempo; il riscatto, che domina le intenzioni degli

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autori, trova riscontro nell’impegno ri-creativo della scrittura, complice, a sua volta, dell’origine di due testi narrativi simili ma distanti. Tali ragioni, esplorate parzialmente fino a questo punto da una prospettiva teorica basa-ta sull’ascendenza e sull’inquadramento generico, costituiscono il punto di partenza per un’analisi più dettagliata di ciascun testo.

3.1 Los héroes de la embajada de España en el Budapest nazi: riscatto e memoria

Cominciamo, dunque, dal lavoro di Espada. L’inizio del libro è dato dalla fine di un lungo viaggio verso Budapest, la descrizione di una meta sofferta e dello stato emotivo del suo autore, il quale ridisegna, attraverso il contatto diretto con i luoghi della memoria, i tratti di una rivisitazione della realtà storica in chiave originale e, soprattutto, personale. Il doppio filo della nar- razione da una parte scomoda le versioni ufficiali delle ragioni politiche di regime e, dall’altra, mira a riportare alla luce e chiarire le vicissitudini lega-te all’operato dei membri dell’ambasciata spagnola in Ungheria negli anni Quaranta.

È opportuno sottolineare che il punto focale della narrazione, o almeno della prima parte del libro, fa riferimento a una realtà storica molto più ampia che rappresenta la base della trama, ossia la posizione del regime franchista nei confronti del genocidio degli ebrei. Il libro si suddivide in due parti: la prima è dedicata prevalentemente alla figura di Ángel Sanz Briz e alla ricostruzione degli avvenimenti del ’44, mentre nella seconda, si in-troduce la figura di Giorgio Perlasca, l’impostore. Un Espada dal tono ancor più irriverente si distingue per “una escritura con tics, pero sin grasa. Suave-mente amanerada, ágil y punzante” (Montano 2013), con cui intraprende una rilettura dei fatti e delle testimonianze dei protagonisti dell’inverno ungherese e rivisita le versioni ufficiali della storia di quel periodo; il pro-posito è ridimensionare l’immagine di Perlasca, confinare il suo intervento alla posizione subordinata dell’italiano rispetto ai membri della delegazione spagnola rimasti a Budapest (Madame Tourné, segretaria della legazione e suo figlio, e il delegato agli affari legali, l’avvocato ungherese Zlotan Farkás). Espada dichiara che la questione centrale riguarda la protezione offerta dalla Spagna franchista alla comunità ebraica di Budapest, ma, in realtà, indaga

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più a fondo includendo e profundizando l’implicazione del giovane Sanz Briz e dei suoi collaboratori (l’avvocato Farkás, Madame Tourné e figlio e, infine, Giorgio Perlasca) nel progetto spagnolo di difesa dei propri interes-si di regime e della propria “neutralità” nel conflitto mondiale. Ma i fatti politici legano a sé la considerazione postuma dei protagonisti di quegli stessi eventi ed è su questo punto che si concentra tutta l’attenzione di Arcadi Espada. Dichiara l’abnegazione alla causa umana oltrepassando il limite, desueto e in disuso, della moda letteraria che per anni ha evitato di mettere in luce aspetti più ortodossi della dittatura a discapito della memoria individuale; con tono altamente provocatorio, indignato, Espada avanza una prima conclusione a chiusura della prima parte del libro per risolvere la ricreazione del contesto storico-politico di quegli anni e intro-durre la figura dell’impostore, colpevole di aver usurpato la memoria del vero eroe nazione, Sanz Briz: “El franquismo, mediante la eficaz actividad de algunos de sus diplomáticos, salvó a varios miles de judíos europeos, básicamente en Budapest. Las razones importan de modo secundario. La obediencia debida a la autoridad de los hombres o de las cosas es irrisoria” (Espada 2013: 136).

En nombre de Franco ci riporta direttamente alla questione che ha giocato contro la memoria di Sanz Briz (uomo del governo franchista e informatore puntuale dei fatti ungheresi); Espada ripercorre la vicenda politica e umana del suo protagonista, chiarisce ogni equivoco relativo al suo abbandono della capitale ungherese perché altro non era che una risposta a un ordine emanato dal governo spagnolo e riferitogli dal ministro degli Affari Esteri di allora, José Félix de Lequerica:

Solo era un funcionario franquista, de estatus y de corazón, que había salvado la vida de miles de judíos; ni una cosa ni otra eran un salvaconducto ante el Ejército Rojo. […] El héroe gris acabó de adquirir su color por la circustancia política. Los mitos no pueden ser paradójicos. Un franquista contra los nazis puede que no sea un anacoluto pero es claramaente una paradoja. […] el antifranquismo, es decir, la historia española cultural dominante en la segunda mitad del siglo XX, lo tuvo más fácil. Mientras pudo ignorar absolutamente a Sanz Briz. Y después presentó su conducta (y la de los otros diplomáticos españoles) como el resultado de una acción individual desvinculada de las órdenes gubernamentales, un absurdo lógico que pú-blicos documentos desmienten (Espada 2013: 133-34).

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A questo episodio ‒ la verifica della conferma di autorizzazione da parte del governo a lasciare Budapest ‒ l’autore fa risalire non solo la motivazione principale dell’oblio del diplomatico ma, soprattutto, il momento che ha favorito l’impostura di Perlasca, oggetto indiscusso del racconto di tutta la seconda parte del libro. Verranno esplorate le ragioni per cui l’azione e il nome stesso di Sanz Briz fosse stato dimenticato dalla storia e ignorato dai riconoscimenti ufficiali fino al 1991, anno in cui gli fu concesso l’ingresso fra i “Giusti tra le Nazioni” dal museo dell’Olocausto Yad Vashem (appella-tivo riconosciuto anche a Perlasca), presso la Sinagoga di Budapest. Citia-mo così i due momenti storici che riferiscono gli eventi reali e segnaliamo il momento esatto in cui si concretizza l’intervento di Espada; dunque, si stabilisce che la sua azione si rivolge alla ricostruzione degli eventi accaduti durante i mesi invernali del 1944, alla ricerca delle corrispondenze tra storia ufficiale e memoria, “ree” di aver contribuito alla contraffazione del passato del diplomatico spagnolo e dei suoi collaboratori. Le poche righe qui tra- scritte mettono in evidenza l’atteggiamento e la prospettiva assunta dall’au-tore: la compromissione con il caso storico lascia che emerga l’intenzione di riportare alla luce l’aspetto scomodo di una verità assoluta, la stessa di cui si fa portavoce; il tono e lo stile del discorso, calcano i giudizi e la sequenza di valutazioni mai taciute e si scagliano puntualmente contro Javier Martínez de Bedoya, collaboratore dell’allora ministro degli Esteri Jordana de Pozas ‒ tra gli altri ‒ e Giorgio Perlasca, in particolare. Allo stesso tempo, l’autore mira a ristabilire i ruoli, a rivelare l’esatta pertinenza delle opere ai rispet-tivi autori, a ridefinire l’equilibrio tra i meriti dovuti a Sanz Briz e quelli usurpati in buona parte dalle dichiarazioni di Giorgio Perlasca. La memoria transita attraverso canali differenti, la rappresentazione della memoria stessa ha subito manipolazioni ovvie a cui bisogna porre rimedio ed è la scrittura, o la riscrittura, a dover compiere il superamento del limite imposto dalla tendenza, soprattutto mediatica, al culto di falsi eroi:

Yo estoy escribiendo este libro por la película, y la memoria de los diplomáticos europeos que trataron de salvar la vida de las comunidades judías cuajó por esa pelí-cula. Se trata del mérito de La lista de Schindler y del cine de la historia, en general. La otra cara del mérito son los problemas que tiene cualquier escritor cuando vuelve sobre un hecho que el cine ha narrado y comprueba con desesperación que escribir es corregir. Y que su único trabajo es decapar los mitos sucesivos que las exigencias

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emocionales del cine han ido acumulando. Porque es verdad que el cine rescata mu-chos hechos del olvido; pero generalmente para trasladarlos a otro pozo profundo de la ficción (Espada 2013: 153-54).

Effettivamente il libro mostra tale dualismo dei contenuti anche dal punto di vista formale e strutturale; la modalità attraverso cui l’autore realizza la sua ricostruzione storica in chiave narrativa è modulata attraverso due co-dici espressivi e formali, e suddivisa in due parti, secondo una prospettiva puramente strutturale e tematica. Si assiste a un’oscillazione perpetua tra registro privato e pubblico, linguaggio metaletterario e oggettivo; la voce narrante dell’autore, in viaggio sulle orme delle vicende umane e politiche segno della presenza spagnola in Ungheria (attraverso il caso particolare di Sanz Briz), si alterna al rigore informativo offerto dallo stesso autore che riscrive e riporta, letteralmente, i frutti dell’indagine condotta in osservanza delle fonti documentaristiche ufficiali. Cuento e investigación caratterizzano lo stile e la struttura narrativa del libro. Ne rappresentano la costante pro- spettiva d’osservazione e di orientamento per il lettore. Dato essenziale della seconda parte, in particolar modo, è senza alcun dubbio la traccia offerta dai documenti scritti su e da Perlasca, contestati minuziosamente da Es-pada, il quale, evocando puntualmente l’eroe italiano mediante il vocativo “Signore”, lo trasforma in fantomatico interlocutore e destinatario del suo discorso decostruttivo, adducendo prove a conferma delle ipotesi per cui Perlasca abbia, in realtà, montato la sua eroicità a discapito dell’operato de la Legación, tenendo per sé, solo e unicamente per sé, i meriti della missione umanitaria in difesa degli ebrei: “Creo que fue Farkas el hombre que sus-tituyó a Sanz Briz, signore. No solo lo creo. Está la carta, un viejo trozo de papel húngaro.[…]” (Espada 2013: 171); “Pero ya sabe que sus argumentos en este punto nunca han acabado de convencerme” (185); “Pero que usted se atribuya la salvación de 5.200 personas es un error de apreciación grave” (212). “L’impostore” è così screditato da una falsa impostura. “Todo lo que sabemos de Perlasca lo sabemos por Perlasca” (195), si legge; è lui, dunque, un vero e proprio Impostore, stando ai fatti riportati da Espada, ma non è “l’impostore positivo” che tutti conosciamo per come si è raccontato e nella misura in cui ce lo ha riconsegnato la storia recente3.

3 I riferimenti ai racconti di Giorgio Perlasca e al suo operato si devono, in gran parte, alle

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Risvegliare il ricordo dell’eroe dormido è il primo scopo perseguito dall’au-tore; far luce sulle dinamiche che hanno determinato la sua scomparsa dalla memoria collettiva contemporanea è l’ostacolo da abbattere per ripristina-re un effettivo e autentico cultivo della memora storica, in opposizione “a la vanidad y a los recuerdos”, considerata “una alianza peligrosa” (Espada 2013: 57).

Il punto della questione storica, o per meglio dire della memoria storica “vigente” si manifesta, stando al testo dello scrittore catalano, nel transito dalla prima alla seconda parte: passaggio cruciale per estendere la denun-cia al convenzionalismo dominante nel processo di ricostruzione storica supportata anche dalla produzione letteraria nazionale. Il limite del di- scorso, e più in generale, del caso particolare di cui si occupa in questo testo ce lo indica quella “circustancia política” citata poco fa che smen-tisce l’ordine convenzionale; torniamo, dunque, a una delle conclusioni promosse da Espada, in parte già citata ma che si completa di senso con l’ammissione dell’elemento umano a servizio della causa. L’implacabile fermezza, l’atteggiamento provocatorio con cui l’autore si scaglia contro la menzogna che ha contraffatto il senso reale della storia lascia spazio alla denuncia:

Sanz Briz nunca pudo aspirar al estatuto heroico del cavalier seul, como habría querido el antifranquismo. Se daba el grave incoveniente épico de su marcha de Budapest, un acto funcionarial, acordado, prudente, de lírica escasa. Y, además, la irrupción en la escena de un hombre mucho mejor dotado para esa función. Se presenta ante ustedes, señoras y señores, el caballero Jorge Perlasca (2013: 136).

Forse la più grande impostura, vero nemico del narratore Espada, ha dato origine all’inquietudine morale da cui viene fuori lo stimolo creativo di questo libro; in particolare, la più grande impostura della storia ha voluto

versioni riproposte dallo stesso protagonista nell’autobiografia dal titolo L’impostore, pubbli-cata per Il Mulino nel 1997. È opportuno segnalare che Arcadi Espada include, al termine del libro, un ampio elenco delle fonti ‒“Créditos de libre elección” (2013: 242-83)‒ utilizzate per la ricostruzione storica degli eventi riportati sia nella prima che nella seconda parte in cui è suddiviso il testo. Per quanto riguarda Perlasca, l’autore provvede a citare tutti rife-rimenti (documenti, articoli e dichiarazioni pubbliche) di cui si è servito per la denuncia pubblica mossa contro l’eroe nazionale italiano.

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eroi capaci di mettersi al servizio delle necessità della massa e, similmente, prestarsi al fascino dell’intervento della fiction: persone capaci di esibire il dramma e volgere così la storia a favore del culto della memoria.

3.2 Un impostore, Javier Cercas

Perlasca come Marco. In entrambi i casi che ci sono offerti da questi due libri, il meccanismo di costruzione destrutturato da Espada e da Cercas prende di mira la faziosità, il conformismo e la pratica mercantile che do-mina la produzione informativa e letteraria dei nostri tempi. L’impostore deve essere estromesso dal palco d’onore. La spettacolarizzazione del passa-to nazionale e dei suoi drammi va considerata come causa preponderante per il narcisismo, collettivo e individuale; favorendolo, o addirittura in certi casi, incitandolo, ha compromesso il Vero a vantaggio di biografie gloriose. L’ossimoro “memoria histórica”, più volte richiamato da Javier Cercas per definire quel percorso di riscrittura al limite tra ricerca socio-logica, storia e letteratura, va decifrato. L’accusa mossa contro l’industria della memoria, promossa dalla politica di governo (basti pensare all’appro-vazione della Ley de la Memoria Histórica, in vigore dal 2007, condanna il franchismo e si schiera, anche dal punto di vista giudiziario, a favore della riabilitazione della realtà storica e morale delle vittime del Regime) e sostenuta, se non avviata, dal boom di pubblicazioni sul tema del recupero e della rivitalizzazione della storia autentica e documentata degli ultimi ottant’anni, si annuncia come l’ennesima occasione di dibattito sulla fun-zione della letteratura e, più in particolare, riguardo la polivalenza e la po-lisemia del romanzo stesso: “Hay un modelo de novela más abierto, menos rígido y geométrico y más plural […]. Esta clase de novela se concibe a sí misma como un banquete con muchos platos, como un menú degustación o un gran cocido donde son bienvenidos toda clase de platos o ingredien-tes: la historia, el ensayo, la crónica, la biografía, la autobiografía” (Cercas 2014b).

Non è certo la prima volta che Cercas interviene sulla problematica che riguarda le forme e, soprattutto, le finalità e le funzioni del romanzo, ma sicuramente con la pubblicazione de El impostor si ripropone il dibattito all’origine dell’interpretazione dello stesso libro, causa e prodotto d’analisi:

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“Lo que le interesa a Cercas es captar a través de la literatura una verdad ori-ginada por la historia y conservada, aunque transformada, en la memoria” (Potok 2012).

La deriva necessariamente sociologica, non solo storica, che caratterizza l’ultimo lavoro dello scrittore extremeño restituisce il significato più pro-fondo del racconto della vera storia di Enric Marco e rimanda, allo stesso tempo, al motivo dominante della sua creazione letteraria: il valore del que-sito, che è alla base del lavoro detectivesco di Javier Cercas, come rivelano, in particolar modo, Soldados de Salamina (2001), Anatomía de un instante (2009) e, in ultimo, Las leyes de la frontera (2012). Difficile non citare i lavori precedenti perché, come ho detto, la valutazione intertestuale gioca un ruolo essenziale per la comprensione dell’opera dello scrittore, ma non andremo oltre in questa occasione, focalizzando l’attenzione solo su due a- spetti emergenti da tale prospettiva analitica e che riguardano essenzialmen-te l’evoluzione della cosiddetta “literatura de las preguntas” e l’impostazione del focus narrativo attorno al protagonista. Enric Marco è definito come un “mediópata”, un uomo affetto da una patologia riconoscibile come disturbo ossessivo compulsivo che lo porta a dover apparire nelle fotografie, sugli schermi e, più generalmente, in contesti mediatici. Marco è espressione del kitsch caratterizzante della vicenda umana e universale rappresentata dall’Impostore; ma non è la prima volta che Cercas vivifica l’ossessione per questa particolare forma di narcisismo e, difatti, la figura di Marco ci ripor-ta inevitabilmente alla ficción del mondo di Antonio Gamallo ‒coprotago-nista de Las leyes de la frontera‒. Leggendo il libro risulta evidente il doppio percorso intrapreso da Cercas nella stesura del testo. Il racconto della storia di Enric Marco, l’uomo che per oltre quarant’anni ha lavorato meticolosa-mente alla tessitura della sua veste di impostore, si alterna al racconto della stesura del “relato absolutamente real, una novela sin ficción” come precisa Cercas (2014a: 58), sebbene si riconosca come autore di fiction, ancora una volta defraudato dal suo personaggio “porque él ya había incorporado su-ficiente ficción a su vida” (2014a: 58). La configurazione stessa del libro si presta alla provocazione circa i limiti di differenziazione generica tra roman-zo, autobiografia, saggio e prodotto d’indagine; la dialettica articolata ‒ sia nella dimensione interna che esterna alla narrazione ‒ sul conflitto tra im-postura e autenticità è diretto alla comprensione del valore e della funzione

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della letteratura stessa come metodo di comprensione dell’esperienza (indi-viduale e collettiva) che interviene direttamente nella dimensione morale ‒ non solo estetica ‒, come suggerisce Vicente Cervera, e, allo stesso modo, il linguaggio letterario diviene strumento “empalabrador de la realidad”:

La novela es también el relato de ese proceso de creación y de transformación espi-ritual del creador, que paulatinamente va vislumbrando ese nuevo camino, donde la literatura no sólo interviene en nuestra facultad estética, sino en la dimensión moral de la existencia. Por ello, no importa que se trate de una novela con o sin ficción, sino que la vida y la realidad, las mentiras y las infamias, existirían para que final-mente los hombres tuviesen algo que contar (Cervera 2014). Il proposito o, più concretamente, il progetto investigativo e narrativo in-

trapreso da Javier Cercas affronta la questione dell’impostura, della falsifica-zione dei ricordi, dei dati storici e, soprattutto, delle identità, insistendo sul valore del riscatto per definire l’ostinazione di riscrivere e comprendere Mar-co e, allo stesso tempo, non cedere al peso delle volontà del suo personag- gio e resistere al fascino della ficción: scrivere un libro che non lo riabilitas-se. Recuperare la veridicità delle falsità commesse e pronunciate da Marco diviene l’imperativo che regge l’andamento globale della narrazione. Cercas scompone la realtà assemblata da Marco e attacca l’abilità con cui è riuscito a costruire un’immagine di sé basata su una straordinaria unione di verità e bugie; arriva a definire tre aspetti che acuiscono la gravità dell’impostura commessa da Marco, che corrispondono a tre direzioni narrative: denuncia la “menzogna narcisista”, capace di celare l’orrore prodotto dal genocidio; la “menzogna estetica”, che racchiude il senso stesso della falsificazione ad arte della realtà storica, compromessa, invece, dall’ultima categoria segnala-ta dall’autore che è quella della “menzogna storica”, sede di manipolazione degli eventi, una storia che è in realtà una storia finta. Il sensazionalismo ostentato da Marco attraverso i racconti e, soprattutto, l’ostinazione con cui difende il suo passato, è, per Cercas, l’elemento predominante per la definizione del “puro kitsch”: Enric Marco è “fabricante imparable de kitsch y, como tal, de sus labios salieron de continuo no sólo falsedades históricas, sino también estéticas y morales” (Cercas 2014a: 187-88).

Il progetto chiaramente letterario di Javier Cercas di “tratar de reconstruir la vida de Enric Marco” (2014a: 69) amplifica la suggestione prodotta dalla

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parola “ricostruzione”. Lo strumento fittizio dell’azione di Cercas non vuole identificarsi con quel principio d’invenzione con cui facilmente viene asso-ciato ma ha a che vedere più direttamente col criterio di ricomposizione del- la trama del relato real. L’alterazione è prodotta dall’azione del personaggio e sostenuta dal contesto in cui si è trovato a (inter)agire, in una dimensione extra o intradiegetica; nel testo che ripercorre le fasi di creazione del proces-so d’invenzione autobiografico del protagonista, è posto l’ordine necessario all’illustrazione del caso: lo scrittore seleziona e dispone gli eventi sottraen-doli al caos che si origina, naturalmente, nella dimensione reale:

Como al Narciso del mito y al Marco real, al novelista la realidad le mata y la ficción le salva, porque la ficción no es a menudo que un modo de enmascarar la realidad, un modo de protegerse o incluso de curarse de ella. […] Como Marco, el novelista no crea esa ficción de la nada: la crea a partir de su propia experiencia. […] la reali-dad es la base y el carburante de la ficción. […] Marco posee […] las cualidades que debe poseer un novelista: fuerza, fantasía, imaginación, memoria y, antes que nada, amor por la palabra (Cercas 2014a: 204-05).

Se per ficción intendessimo, invece, il tentativo di ricostruzione trasportato in un altrove che deve essere la pagina, più vicina o lontana dalla caratteriz- zazione letteraria, riusciremmo ad allinearci e a decifrare la distanza che si interpone tra racconto reale (accogliendo i suggerimenti spesso offerti dal- l’autore) e romanzo, nell’accezione più tradizionale. D’altra parte, la critica ha contribuito all’evoluzione di quel processo di scomposizione e ricrea-zione narrativo, apportando adeguati sostegni interpretativi laddove l’arte del racconto in chiave letteraria volgeva verso la commistione generica con altre tipologie di scrittura: “Una ficción, para los realistas postmodernos, es una construcción que partiendo de hechos, históricos o no, pretende llegar a una verdad (tantas veces una verdad ética). Para este tipo de poética es la ficción, así entendida, la que explica la Historia. La novela, antigua enemiga suya, acude ahora en su ayuda” (Romeu Guallart 2011: 53).

Ogni accusa di novelería è catalizzata dal suo personaggio: Cercas nel suo entrare e uscire dalla dimensione propriamente diegetica assolve se stesso presentando il racconto reale in contrasto con la versione fittizia perpe-tuata da Marco. La falsificazione intenzionale delle menzogne vissute in prima persona e continuamente sostenute da Enric Marco, rende evidente

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il messaggio riformulato dall’autore e il suo tentativo di riordinare i dati, riconciliare l’uomo con la propria storia, attraverso il ricorso alle armi della letteratura, perché ancora una volta va intesa come strumento e metodo di rappresentazione, dunque di conoscenza, della verità (Cercas 2014a: 202).

Le domande, punto di partenza e stimolo della sua opera, tornano per essere risolte: “si la literatura sirve para salvar a un hombre, honor a la litera-tura; si la literatura sólo sirve de adorno, a la mierda con la literatura” (401).

4. Conclusioni

La negazione del vincolo puramente estetico tra realtà e finzione si avvale della ragione pratica che ha smosso la scrittura di queste due storie reali, al di là non solo delle apparenze e delle contravvenzioni della tradizione storica, che trova risposte concrete nelle riscrittura della Storia alla luce de-gli eventi e ai valori restituiti dalla contemporaneità. Una lettura in chiave comparatistica mostra la convergenza degli elementi connotativi della prosa testimoniale-storiografica con quelli, più tradizionali, del racconto realista a partire dalla rivalutazione del concetto stesso di “finzione narrativa”. Allo stesso modo, si è evidenziato il potenziale espresso dalla ficción nell’inter-vento riorganizzatore dei dati storici, per cui è naturale rivolgersi ancora una volta alle teorie della comparatistica per stabilire la collaborazione in-terdisciplinare tra storia e letteratura, ambito di formazione tanto per El impostor che per En nombre de Franco, in cui l’intervento dell’invenzione artistica è al servizio della resa veritiera delle contraddizioni che risiedono nella realtà fattuale più che in quella letteraria.

Infine ci rivolgiamo all’aspetto pragmatico della questione letteraria e, in maniera più specifica, editoriale e generica: i lavori pubblicati da Cercas e da Espada si presentano come modelli narrativi d’argomento storico che sono chiaramente inclusi nella categoria letteraria più che in quella saggistica; la funzione che assolvono, dunque, va contestualizzata rispetto alle fruizione narrativa voluta, se non imposta, da la última hora, dal gusto e dalle tenden-ze della contemporaneità. In relazione, dunque, a una certa logica sociale ma anche commerciale, questa particolare tipologia testuale ibrida riesce ad assolvere pienamente il suo compito di filtro e catalizzatore degli eventi narrati e, allo stesso tempo, s’impone come canale divulgativo e di appro-

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fondimento dell’esperienza collettiva e individuale a servizio del pubblico, recettore di informazioni non più deviate dalla convenzione ma sicuramen-te influenzate dalla partecipazione dell’autore che è coinvolto (dunque arte-fice del grado e del modo di somministrazione delle informazioni) ma che è prima di tutto scelto dal suo lettore come complice e dispensatore di una lettura veritiera e soggettiva.

Le conclusioni si ritrovano all’interno della pagina scritta. In entrambi i casi sono gli stessi autori a mostrarci le chiavi interpretative dei loro testi; parafrasando le parole di Arcadi Espada è ancor più chiaro il concetto per cui, al di là del valore funzionale della letteratura, è la scrittura (o riscrittura) in sé che ha il potere di ristabilire ordine quando “la vida no encaja con los desajustes de la historia” (Espada 2013: 233).

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