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LUCREZIA BORGIA libretto di Felice Romani musica di Gaetano Donizetti Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala 26 dicembre 1833 Teatro Comunale Giuseppe Verdi venerdì 20 settembre ore 20.45 domenica 22 settembre ore 16.00 Comune di Padova Assessorato alla Cultura Settore Attività Culturali Servizio Manifestazioni e Spettacolo

Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

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Sarà Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti ad aprire il 20 settembre la Stagione Lirica 2013. L'opera in un prologo e due atti, venne composta tra l'ottobre e il dicembre del 1833, su libretto di Felice Romani, tratto dall'omonima tragedia di Victor Hugo (1833). Lucrezia Borgia, prima assoluta per il pubblico padovano, sarà interpretata da un cast di giovani talenti.

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LUCREZIA BORGIAlibretto di Felice Romani

musica di Gaetano Donizetti

Prima rappresentazione:Milano, Teatro alla Scala 26 dicembre 1833

Teatro Comunale Giuseppe Verdivenerdì 20 settembre ore 20.45

domenica 22 settembre ore 16.00

Comune di Padova

Assessorato alla CulturaSettore Attività CulturaliServizio Manifestazioni e Spettacolo

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Comune di PadovaAssessorato alla Cultura

VICE SINDACO DI PADOVAIvo Rossi

ASSESSORE ALLA CULTURAAndrea Colasio

DIRETTORE ARTISTICOFederico Faggion

PRODUZIONE DEL COMUNE DI PADOVAa cura del Settore Attività Culturali

Direzione generale - Mirella Cisotto Nalon

Direzione amministrativa - Marina Bozzini

Coordinamento generale - Cristina Meneghini

Collaborazione organizzativa - Gabriella Granieri

Direttore di produzione - Loris Parise

Direttore di scena - Federico Bertolani

Segreteria - Marzia Lonardi, Giancarla Perego

Promozione - Cristina Meneghini, Monica Bertin, Emanuela Taglietti

Comunicazione e promozione web - Patrizia Cavinato, Roselli Rocco, Sofia Simonato

Progetto grafico - Tony Michelon

Fotografia - Giuliano Ghiraldini

Ufficio stampa - Studio P.R.P. Padova

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La Stagione lirica 2013, iniziata con l’opera estiva “L’Elisir d’Amore” di Gaetano Do-nizetti, rappresentata al Castello Carrarese con grandissimo successo di pubblico e no-tevole risonanza il 26 luglio scorso, prosegue con Lucrezia Borgia, sempre di Gaetano Donizetti, composta nel 1833 con libretto di Felice Romani, tratta dall’omonima opera di Victor Hugo. Lucrezia Borgia è un’opera meno conosciuta di altre e meno rappresentata e, forse, pro-prio per questo, di maggiore interesse, non solo per coloro che seguono con passione la musica lirica, ma anche per i neofiti.Scommettendo sulla capacità di attrazione di una operazione non scontata e non con-sueta, abbiamo riservato la prova generale al pubblico giovane, mentre le due recite si rivolgono a tutto il pubblico padovano, puntando sulla sua capacità di apprezzamento della qualità della esecuzione.

La regia è di Giulio Ciabatti, fine conoscitore delle ambientazioni e atmosfere legate alle opere di Donizetti, l’esecuzione musicale dell’Orchestra di Padova e del Veneto, affian-cata dal Coro Città di Padova, istruito dal Maestro Dino Zambello, dirette dal Maestro Tiziano Severini, di grande esperienza, ospite di prestigiosi festival, con all’attivo produ-zioni teatrali di livello internazionale.

Il cast è interamente composto da giovani talenti, tra cui spicca il protagonista Gennaro, il tenore Paolo Fanale, che ha iniziato proprio a Padova la sua sfolgorante carriera con il Don Giovanni di Mozart nel 2007, carriera che ora prosegue in tutti i più importanti teatri d’Europa e del mondo (Parigi, Berlino, Barcellona, Oslo e Stati Uniti, Israele, Cina, Russia, Inghilterra…) Al loro debutto il soprano trevigiano Francesca Dotto, nel ruolo di Lucrezia Borgia, e il mezzosoprano Teresa Iervolino. La produzione è interamente del Comune di Padova, Assessorato alla Cultura, sostenuta dal Ministero per i beni e attività culturali e dalla Regione Veneto.

Certo che il pubblico potrà godere di un evento speciale, auguro a tutti un buon ascolto.

Andrea ColasioAssessore alla Cultura

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LUCREZIA BORGIAMusica di Gaetano Donizetti

Personaggi e interpreti

Coro Città di Padova diretto da Dino Zambello

Orchestra di Padova e del Venetomaestro concertatore e direttore d’orchestra

TIZIANO SEVERINI

Regia GIULIO CIABATTI

idea scenografica di Roberta Volpe costumi di Lorena Marin

luci di Bruno Ciulli

Lucrezia Borgia

Gennaro

Alfonso I d’Este

Maffio Orsini

Jeppo Liverotto

Don Apostolo Gazella

Ascanio Petrucci

Oloferno Vitellozzo

Gubetta

Rustighello

Astolfo

FRANCESCA DOTTO

PAOLO FANALE

MIRCO PALAZZI

TERESA IERVOLINO

VITTORIO ZAMBON

WILIAM CORRÒ

GABRIELE NANI

ORFEO ZANETTI

ANDREA ZAUPA

MATTEO MEZZARO

MASSIMILIANO CATELLANI

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LuCreziA BorgiA, dAL méLo AL meLodrAmmAClaudio Toscani

Il 2 febbraio 1833 andava in scena, al Théâtre de la Porte Saint-Martin di Parigi, un nuovo dramma in prosa di Victor Hugo intitolato Lucrèce Borgia. Coronato da un ampio successo di pubblico e di critica, il lavoro del drammaturgo francese – che abbandonava, per la prima volta, la tra- dizionale versificazione – dava seguito a quei princìpi che, a partire dalla pubblicazione della famosa Préface del Cromwell, avevano fatto di Hugo il portabandiera del ‘partito’ romantico. Ridotta ai suoi termini essenziali, la poetica di Hugo può essere riassunta nel concetto che scopo del teatro non è presentare né il bello, né il verosimile, bensì il reale, ovvero offrire un quadro completo di tutto ciò che esiste nel mondo, nell’uomo, nella storia. Ben vengano, dunque, la rappresentazione del male, del deforme e del grottesco, che nella vita dell’uomo costituiscono la condizione del l’ascesa e del riscatto («la grandeur qu’on trouve au fond de l’abîme»); ben vengano la mescolanza del tragico e del comico, del sublime e del bizzarro, del nobile e del triviale. Se in Le Roi s’amuse il drammaturgo francese aveva rappresentato, nella figura del buffone di corte, la diffor- mità fisica, l’anno dopo, nella Lucrèce – un dramma perfettamente complementare a quello – mise in scena la difformità morale.

A questo proposito la Préface alla Lucrèce Borgia è altrettanto rivelatrice di quella, ben più celebre, del Cromwell (1827). Hugo difende la scelta del soggetto con ragioni che non hanno a che fare soltanto con un’ovvia efficacia teatrale, ma delineano una precisa posizione estetica e morale. La depravazione, il delitto, l’abiezione morale più completa possono trasfigurarsi in un essere toccato da un sentimento alto e puro, tanto più se questo coincide col sentimento più alto, puro e disinteressato che una creatura femminile possa provare, l’amor materno:

Qu’est-ce que c’est que Lucrèce Borgia ? Prenez la difformité morale la plus hideuse, la plus repoussante, la plus complète ; placez-la [...] dans le cœur d’une femme, avec toutes les conditions de beauté physique et de grandeur royale, qui donnent de la saillie au crime; et maintenant mêlez a toute cette difformité morale un sentiment pur, le plus pur que la femme puisse éprouver, le sentiment maternel; dans votre monstre mettez une mère ; et le monstre intéressera, [...] fera pleurer, et cette créature qui faisait peur fera pitié, et cette âme difforme deviendra presque belle à nos yeux.

L’essere più mostruoso, dunque, può ben trasformarsi in una creatura umana e commovente; è questa l’idea centrale («à la chose la plus hideuse mêlez

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une idée religieuse, elle deviendra sainte et pure») del dramma di Hugo, che l’autore condensa in poche parole: «la maternité purifiant la difformité morale, voilà Lucrèce Borgia».

È singolare che, in riferimento a tutt’altro contesto culturale, si determinasse una precisa convergenza tra questa poetica e quella di un compositore come Donizetti, che non solo era impegnato in quegli stes- si anni nella ricerca di personaggi e situazioni drammatiche di sempre maggior impatto emotivo, ma che avvertiva una crescente difficoltà a conciliare la propria vena creativa con le convenzioni dell’opera in musica italiana, con le sue strutture formali altamente codificate e la rigida demarcazione in generi dalla scarsissima vocazione osmotica. Donizetti aveva da tempo intuito che, al contrario, la contaminazione dei generi poteva essere uno strumento essenziale per percorrere nuove vie melodrammatiche. Nel 1836, scrivendo a Luigia Boccabadati (che di lì a poco avrebbe interpretato il ruolo della protagonista alla Pergola di Firenze), la incoraggerà a scegliere Lucrezia Borgia senza temere una commistione ancora del tutto anomala per il teatro d’opera italiano: «a te la raccomando com’opera (quanto al libro) di nuovo genere per l’Italia essendovi frammischiato buffo e serio». Ma ancora prima di affrontare la composi- zione dell’opera, sul finire del 1833, Donizetti aveva perfettamente intuito le potenzialità del soggetto; per questo aveva insistito con Felice Romani perché non abbandonasse il progetto concordato. Romani, che avrebbe dovuto preparare il libretto riducendo i cinque atti in prosa del dramma di Hugo, era riluttante: temeva, a ragione, gli interventi della censura, e dubitava di riuscire a rendere accettabile la storia della figlia di un papa che avvelena (nientemeno!) il proprio figlio. E poi il dramma, fortemente impregnato della nuova poetica romantica francese, contraddiceva con violenza le sue inclinazioni classiciste. Anche Donizetti era consapevole dei problemi potenziali con la censura: ma in lui prevaleva nettamente l’interesse per le situazioni forti, per i caratteri appassionati che stimolavano la sua fantasia creatrice, e intuiva tutta l’efficacia dram- matica del soggetto una volta che fosse stato messo in musica.

Ma c’era dell’altro. Fra i drammi di Hugo, Lucrèce Borgia è quello che più sembra predisposto per essere trasformato in un melodramma. Il lavoro di Hugo tradisce un cospicuo legame con l’estetica del mélo, con il genere spettacolare praticato nei teatri parigini dei boulevards: l’azione è ricca di colpi di scena che innescano quadri di stupore, e le scene stesse del dramma paiono predisposte per adattarsi alle forme tradizionali (le arie, i duetti, i concertati) dell’opera italiana. Molti anni dopo, nel 1870, quando l’opera di Donizetti era ormai più nota (anche in Francia) dell’omonimo dramma dal quale era stata ricavata, così scriveva Francisque Sarcey del lavoro teatrale di Hugo:

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Il est superbe, ce finale! J’ai quelque regret à me servir, pour un drame de Victor Hugo, des mots qui sont consacrés à l’Opéra. Mais le rapproche- ment est inévitable. Ces pièces sont taillées pour être des opéras. [...] qu’on suive l’œuvre avec attention, on verra qu’elle est coupée pour offrir, soit au poète, soit au musicien, des duos de passion ou des tirades de bravoure. Les situations sont très nettes, comme il le faut pour la musique, et toujours pathétiques; mais il faut, pour y arriver, sacrifier ce qui est le fond des dra- mes ordinaires, la vraisemblance et le bon sens. [...] Il ne s’agit pas ici de vraisemblance et de naturel, mais de musique. [...] Tout cela est faux, mais merveilleusement coupé pour l’opéra.

Di questa nemesi, Hugo – che ebbe più volte a protestare per il modo in cui i compositori si appropriavano, a suo dire sconciandoli, dei suoi drammi – sarebbe stato tutt’altro che felice. Ma il libretto di Lucrezia Borgia, fra tutti quelli ricavati dai suoi lavori teatrali, è quello che si mantiene più fedele al dramma originale: e non è certo un caso.

***

Come nella norma, il mondo dell’opera in musica si interessò all’ultima novità teatrale di Francia ben prima dei letterati (la traduzione italiana del dramma di Hugo, ad opera di Giacinto Battaglia, uscirà solo nel 1837). Fu il soprano Henriette Méric-Lalande che sottopose il soggetto della Lucrèce Borgia all’attenzione di Romani, mandandogli alcuni drammi di Hugo accompagnati da una lettera, datata 28 maggio 1833, in cui li giudicava «bellissimi e bene adattati per me». Quell’anno la Méric-Lalande era scritturata per l’apertura della stagione alla Scala, dove si sarebbe dovuta rappresentare una Saffo con musica di Mercadante, della quale Romani aveva già iniziato a stendere il libretto. Ma la cantante si impose e ottenne che il soggetto venisse cambiato. Certo non agivano, nella Méric-Lalande, le stesse motivazioni per le quali gli intellettuali romantici riconoscevano in Hugo il proprio alfiere; molto pragmaticamente, la cantante riteneva che il personaggio di Lucrezia avrebbe esaltato al meglio le sue doti canore e drammatiche, catalizzando su di lei l’attenzione del pubblico. Mercadante tuttavia si defilò, all’ultimo, dal progetto: fu così che Donizetti si trovò tra le mani il soggetto solo poche settimane prima di andare in scena.

A metà settembre 1833 Donizetti è a Milano, dove prepara l’allestimento del Furioso all’isola di San Domingo alla Scala (per l’occasione scrive tre nuovi pezzi e modifica, irrobustendola, l’orchestrazione). Dopo che Il furioso è andato in scena, il 10 ottobre Donizetti firma un contratto impegnandosi con il duca Carlo Visconti di Modrone,

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che ha assunto la gestione della Scala, a comporre una nuova opera per il 26 dicembre, giorno d’apertura della stagione di carnevale, sul soggetto voluto dalla Lalande. Romani è incaricato di scrivere il libretto, riducendo in tre atti il dramma di Hugo (il primo atto, in realtà, è chiamato ‘prologo’ per tradizione classicista, dal momento che si svolge in un’epoca e in un luogo diversi dagli altri due). Alla fine di ottobre Romani termina il prologo; il testo dei due atti restanti viene mandato a Donizetti, un po’ per volta, man mano che procede la stesura. In più occasioni il compositore chiede modifiche a un Romani che, maldisposto già in partenza, lavora a un soggetto che non lo entusiasma per nulla. Il 26 novembre il librettista ha terminato il testo e lo manda al duca Visconti di Modrone. Ma a questo punto entra in gioco la censura, che chiede modifiche in quantità tale da far temere che il libretto non venga approvato.

Le difficoltà, a dire il vero, sono solo all’inizio. Le prove iniziano, alla Scala, il 3 dicembre; Donizetti modifica la disposizione dell’orchestra, avvicinando le prime parti degli archi al direttore e suscitando, per questo, le lamentele degli orchestrali, tanto che è necessario l’intervento del duca – che approva il cambiamento – per sistemare le cose. Più serie le difficoltà create dalla prima donna, la Méric-Lalande, che avanza le sue pretese. Innanzitutto non vuole presentarsi in scena mascherata, per non correre il rischio di non essere riconosciuta subito dal pubblico e perdere così gli applausi. L’avrà vinta: alla sua prima apparizione in scena terrà la maschera in mano. Poi esige una grande aria di bravura alla fine dell’opera (il tradizionale rondò), quando il dramma di Hugo prevedeva invece che il sipario calasse dopo la morte del tenore. Donizetti accoglie la richiesta, riconfigurando il finale e adottando soluzioni drammatiche molto interessanti. Infatti, le pretese della Méric-Lalande, in realtà, non sono liquidabili come i semplici capricci di una prima donna dispotica e viziata. Il fatto è che la cantante si oppone a quelle che appaiono come infrazioni al ‘codice’ melodrammatico dell’epoca, a quel sistema di regole non scritte – ma non per questo meno vincolanti – che determinano, nel pubblico, precise aspettative, e sulle quali si basa il fondamentale meccanismo che disciplina, nell’opera italiana, la comunicazione tra pubblico e autore del dramma. Fa parte di questo sistema rigido di convenzioni il fatto che il personaggio principale si presenti in scena circa a metà dell’atto iniziale (dopo che hanno cantato gli altri personaggi), intonando un’aria doppia, preferibilmente con grande apparato scenico e con il sostegno del coro. Lucrezia invece giunge in scena subito dopo il primo numero (l’Introduzione), con un’aria in un sol tempo (la romanza strofica «Com’è bello! Quale incanto») e senza coro, per di più mascherata: evidente l’infrazione di una serie di regole gerarchiche che permettevano, all’epoca, di riconoscere d’acchito il personaggio principale dell’opera. Analogamente, era ben difficile che una prima donna rinunciasse alla tradizionale esibizione virtuosistica dell’aria finale, che rientrava tra le sue prerogative. Quel che la Lalande non aveva capito, semmai, era che Lucrezia Borgia è un’opera sui generis, nella quale Donizetti percorre vie nuove e nella quale è richiesta una forte carica drammatica alla protagonista: molte fra le ‘convenienze’ teatrali, a quel punto, sarebbero potute passare in secondo piano senza

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porre il compositore e i cantanti in urto con le tradizionali aspettative del pubblico.

Trovate soluzioni di compromesso con la prima donna, e appianate le difficoltà create dalla censura, Lucrezia Borgia va regolarmente in scena il 26 dicembre. Nei ruoli principali, oltre alla Lalande, il contralto Marietta Brambilla (Maffio Orsini), il tenore Francesco Pedrazzi (Gennaro) e il basso Luciano Mariani (Alfonso, duca di Ferrara). L’esito della prima è ambiguo; l’accoglienza del pubblico della Scala è buona, anche se il successo non è travolgente, ma la critica non riserva all’opera che recensioni tiepide. L’approvazione cresce comunque sera dopo sera; alla fine si conteranno ben trentatré rappresentazioni, che nel complesso costituiscono un bilancio più che positivo.

Nei tre anni successivi, la nuova opera di Donizetti cade nel dimenticatoio. È probabile che teatri e impresari evitassero di mettere in scena Lucrezia Borgia per scansare problemi con la censura; ma è anche probabile che Donizetti si fosse spinto, con quest’opera, un po’ troppo oltre i gusti e le aspettative del pubblico di quell’epoca. Finalmente, il 13 ottobre 1836, Lucrezia Borgia è ripresa alla Pergola di Firenze, con Luigia Boccabadati nel ruolo della protagonista. Il successo è clamoroso. Da quel momento, e per tutto l’Ottocento, Lucrezia Borgia resta tra le opere donizettiane più frequentate in assoluto. Nei primi anni la si rappresenta, nei teatri italiani, sotto il travestimento di titoli quali Alfonso duca di Ferrara, Giovanna Prima di Napoli, Elisa da Fosco, Dalinda, Nizza di Grenada. A Parigi, nel 1845, interviene Victor Hugo minacciando un’azione legale a tutela del suo soggetto; l’opera è data allora col titolo “La rinnegata” e con l’azione trasferita in Turchia. In Italia, dopo l’Unità, le maglie della censura si allentano, ciò che permette alla Lucrezia Borgia di essere rappresentata più spesso e di mantenersi stabile in repertorio per almeno un quarantennio. Dopo alcune rappresentazioni sporadiche nel primo Novecento, a partire dalla metà del secolo l’opera rientra trionfalmente, e in via definitiva, nel repertorio dei teatri lirici internazionali.

Un cenno a parte merita la questione del finale dell’opera. Com’è noto, la voga del finale tragico era, nel mondo del melodramma italiano, abbastanza recente: c’erano i precedenti del Pirata (1827) e della Straniera (1829) di Bellini, e poi ancora del Conte d’Essex di Mercadante, dato alla Scala pochi mesi prima della Lucrezia. La scelta del soggetto, da parte di Romani e Donizetti, era dunque consapevole e meditata. I due non accolsero, in ogni caso, la soluzione del dramma originale di Hugo, nel quale Gennaro colpisce, in punto di morte, la madre Lucrezia purificandone la mostruosa iniquità. È ovvio che uno scioglimento del genere, che porta sulla scena un matricidio, non sarebbe mai stato approvato dalla censura degli stati italiani; Romani e Donizetti modificarono perciò il finale. Ma l’innocenza di Gennaro fa apparire ancor più orribile l’azione di Lucrezia, cui è negata una catarsi; e il fatto che la protagoni- sta non muoia, mentre la porta chiusa le impedisce di chiamare soccorso per il figlio morente emendando così il suo delitto, conferisce una tragicità negativa e assoluta al personaggio. Costretto a

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concludere l’opera con un’aria finale per la prima donna, Donizetti fece di necessità virtù: grazie al rondò per la Méric-Lalande la figura della protagonista ottiene, con il suo canto espressivo e ornato nel quale si manifesta il turbine delle emozioni, una sorta di purificazione della sua «difformité morale». Una catarsi musicale, nell’impossibilità di un riscatto etico.

***

Lucrezia Borgia è la prima opera donizettiana che applica coscientemente quei nuovi princìpi drammaturgici che i lavori precedenti avevano sì anticipato, ma mai applicato con tale rigorosa coerenza. Anche a un primo ascolto emergono la forte drammaticità dell’opera, il clima cupo, tragico, la frequenza delle scene notturne che contrastano violentemente con i ritmi di danza. Lucrezia Borgia è, insomma, un dramma a tinte forti, nella creazione del quale Donizetti sembra seguire un impulso creativo vigorosamente caratterizzato che lo porta, più volte, ad allontanarsi dalla tradizione. Non sarà inopportuno cercare di delineare almeno alcuni degli ingredienti sui quali si fonda la sua strategia.

Il primo di essi si lega strettamente alla scelta del soggetto. Lucrezia Borgia presenta situazioni estreme e passioni violente, alterna chiaroscuri quasi brutali, si appoggia su un’azione ricchissima di colpi di scena. Con i suoi effetti drammatici, che ricordano quelli del teatro popolare, Donizetti sembra voler scuotere nel profondo lo spettatore: non esita perciò a ricorrere agli espedienti dei drammi romantici più foschi, senza timore di calcare la mano. Numerosi i veri e propri coups de théâtre, enfatizzati ciascuno da una musica appropriata: il momento in cui gli amici di Gennaro, nel prologo, strappano la maschera a Lucrezia; il brindisi di Orsini inopinatamente interrotto dalle voci dei penitenti fuori scena; la rivelazione di Lucrezia, che confessa a Gennaro morente di essere sua madre e lo scongiura, nella massima angoscia, di bere il contravveleno. Ciascuno di essi dà vita a un momento memorabile, che si stampa indelebile nella mente dello spettatore.

Ma un’alta temperatura drammatica caratterizza molti altri momenti. Alla fine del primo atto, un terzetto è avviato dall’entrata in scena di Gennaro, introdotto da una melodia di danza. Il duca dissimula nelle sue ampie volute melodiche il suo furore; Gennaro ne riprende, identica, la musica, che questa volta connota però l’innocenza del personaggio. Il senso di una tensione latente è fortissimo. Le rispettive posizioni emergono, in una rappresentazione drammatica quantomai efficace, nel concertato statico «Guai se ti sfugge un moto», nel quale gli affetti contrapposti portano all’apice la tensione prima di sfogarla nella stretta. Momenti come questo posseggono, di per sé, una grande efficacia teatrale, indipendentemente dal fatto che siano calati in un’opera lirica; ma è indubbio che sia la musica di Donizetti, determinando stasi e accelerazioni ed evidenziando gli snodi dell’azione, ad accrescerne così potentemente l’effetto. E pur rispettando i contorni

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formali di un tradizionale finale d’atto, con la canonica successione di sezioni statiche e dinamiche, il numero è alieno da qualsiasi schematismo, attraversato com’è da un’azione propulsiva. D’altra parte è l’intera Lucrezia Borgia a costituire la perfetta applicazione di una drammaturgia che, come quella romantica, è basata sullo scorrimento veloce del tempo, sul flusso degli eventi che prendono il sopravvento sulla volontà individuale.

Un secondo, importante fattore strategico è costituito dalla ricerca di una continuità drammatica su vasta scala, che si serve di soluzioni formali flessibili adatte allo svolgimento rapido dell’azione. Come nelle altre opere dello stesso periodo – tappe di un percorso coerente – Donizetti tende a trascendere la tradizionale costruzione a numeri dell’opera italiana, con la canonica alternanza di azione e di stasi lirica, per costruire arcate drammatiche ampie che seguono un disegno unitario e coerente, e conferiscono all’opera un ritmo incalzante. Gli atti della Lucrezia Borgia sono costituiti, in gran parte, da lunghe sezioni dialogiche all’interno delle quali si svolge una sequenza ininterrotta di duetti e terzetti. Sono poche, perciò, le melodie memorabili, sono pochi i momenti di canto spiegato nei quali un solista si abbandona alla pura, tradizionale espansione affettiva; molto più frequenti sono invece le melodie brevi e spezzate, gli spunti ariosi, le frasi ‘parlanti’. Sulle arie solistiche prevalgono i pezzi d’insieme a struttura dialogica; l’orchestra, inoltre, irrompe di con- tinuo nel tessuto sonoro, assumendosi un ruolo di tutto rilievo.

La tendenza a ridurre i momenti di canto lirico spiegato in favore degli scambi dialogici dinamici fu ovviamente tra le prime cose che i contemporanei notarono nella Lucrezia Borgia. Lo sconcerto davanti alla novità traspare tutto intero dalle parole del recensore che notava, sulle pagine del «Censore universale dei teatri», la scarsità di melodie ispirate alla tradizionale simmetria italiana, e si chiedeva se ciò non fosse imputabile alla mancanza di «forme regolari» e di «periodi musicabili» del testo verbale, quasi il librettista avesse voluto adattarsi – o forse rendere omaggio – alla prosa di Hugo:

[...] costringere si vogliono i nostri compositori a mettere in musica qua- lunque più indifferente discorso, senza osservanza di forme regolari o di periodi musicabili. Ebbene, questo sì strano metodo non fu mai più scru- polosamente seguìto che nella Lucrezia Borgia: la prosa di Hugo vi è tra- sportata ed anzi ristretta in versi per musica [...]. Il peggio risulta pel senso musicale, quando destinare si vuole al canto ogni dialogo qualunque per la sola ragione de’ suoi versi più corti di quelli del recitativo. [...] Ma questo gran sacrifizio era forse un omaggio di riverenza all’autore francese per non alterare l’andamento della sua azione?

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In ogni caso i punti di contatto con il dramma di Hugo, veri o presunti che fossero, non si limitano a questo aspetto. Occorre richiamare, a questo punto, un terzo ingrediente della strategia drammatica donizettiana: il realismo psicologico di Hugo ha un preciso corrispettivo nel realismo con cui Donizetti, nella Lucrezia Borgia, tende a spezzare il diaframma che la tragedia classica instaura tra lo spettatore e i personaggi che agiscono sulla scena. È questo l’elemento fondamentale che fa percepire i personaggi del melodramma donizettiano (ma il discorso vale per tutto il teatro romantico) non come incarnazione tragica di princìpi etici astratti o di stati affettivi ideali, bensì come persone in carne e ossa, irripetibili nella loro individualità, un’umanità concreta nella quale lo spettatore si può facilmente immedesimare. E la cura con cui Donizetti tratteggia i suoi personaggi investe anche le figure di contorno, non solo le principali. Si ascolti, ad esempio, la scena del primo atto in cui Rustighello e Astolfo si scambiano le loro ciniche battute, intonando le frasi vocali su un disegno melodico continuo dell’orchestra (è la cosiddetta tecnica del parlante):Verdi farà tesoro di questa lezione di realismo musicale, adottandone la scrittura per la celebre scena tra Rigoletto e Sparafucile.

In generale, l’orchestra ha un ruolo assai importante sia nel tratteggiare i personaggi, determinandone la credibilità drammatica, sia nella fissazione di quei particolari che rendono pregnante una situazione o trasmettono informazioni che nel testo verbale sono solo sottintese. Nella stretta del prologo, nel momento in cui a Lucrezia viene strappata la maschera si sente, in orchestra, una forte tensione armonica (un accordo di settima diminuita sulla sensibile della dominante). Nel secondo atto, mentre è in corso la festa a palazzo Negroni, giunge in scena un coppiere vestito di nero, che porta «vin di Siracusa». Ancor prima che queste parole vengano pronunciate, scuri accordi d’ottoni informano lo spettatore che quel vino è avvelenato. Gli invitati (e forse lo stesso cop- piere) non lo sanno, né lo spettatore ricaverebbe l’informazione da ciò che legge nel libretto: l’intervento dell’orchestra coincide, in questo caso, con l’irruzione della voce esterna del compositore, che trasmette un’in- formazione cruciale preannunciando il corso infausto degli eventi.

Abbiamo già sottolineato, nella Lucrezia Borgia, la tendenza a coinvolgere lo spettatore in un ritmo drammatico serrato, scandito da colpi di scena e poco conciliante nei confronti della pura effusione canora (che Donizetti tende invece a inglobare in scene cinetiche). Ma una spia ancora più importante del suo atteggiamento ‘realistico’ è la rottura dei momenti lirici formalizzati, come il cantabile delle arie solistiche o dei duetti: il momento, cioè, per definizione consacrato al canto puro e semplice. Nel secondo atto dell’opera Gennaro e Orsini intonano un duet- to nella forma canonica; ma arrivati, dopo il tempo d’attacco, al cantabile («Onde a lei ti mostri grato»), la simmetria e la quadratura fraseologica consuete si rompono subito dopo le prime righe, cosicché l’ascoltatore si trova calato in una sezione mossa dall’azione anziché nella classica sezione lirica, chiusa e statica. Così accade in molti altri numeri del- l’opera.

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Ma ancor più incisiva è la rottura del cantabile, la sezione statica per eccellenza, grazie all’inserimento di elementi narrativi. La romanza di Orsini «Nella fatal di Rimini», nell’Introduzione del prologo, è una tipica forma chiusa, una romanza strofica nella quale il canto è accompagnato da formule orchestrali stereotipe. Tra le strofe del canto di Orsini, che narra dell’apparizione di un vecchio mago e della sua profezia, si inseri- scono i brevi commenti corali degli astanti che interrompono il suo racconto: i due piani – quello della narrazione degli eventi passati e quello del tempo presente – sin qui sono tenuti ben distinti. Ma quando, con la seconda strofa, Orsini evoca «un veglio in veste nera» che pronuncia le ferali parole «Fuggite i Borgia, o giovani», quando cioè il racconto tocca il momento più drammatico, l’orchestra rompe con le regolari formule del cantabile, osservate fino a quel momento: assume un andamento inquieto con tremoli d’archi, cromatismi nei bassi, dissonanze armoni- che, cosicché lo spettatore è trasportato nel bel mezzo degli eventi rievocati, che rivive come se si producessero davanti ai suoi occhi in tempo reale. Nel punto saliente del racconto, in altri termini, Donizetti assume un atteggiamento ‘realistico’ abbandonando l’andamento tipico del cantabile (il canto che assume un andamento sintatticamente regolare e periodico, l’orchestra che asseconda l’espansione vocale ritirandosi ad eseguire formule convenzionali d’accompagnamento, il percorso armonico chiuso e preordinato nelle sue cadenze) e rompendo la forma chiu- sa per adottare un linguaggio più libero e frazionato, che richiama direttamente e dà evidenza scenica agli eventi narrati.

Che queste scelte fossero intenzionali, non v’è dubbio alcuno: negli anni successivi Donizetti continuerà su questa strada, anche a costo di sconcertare una parte del suo pubblico. Lucrezia Borgia rappresenta, in questo senso, la prima rigorosa e programmatica applicazione di un principio drammaturgico moderno. Anche per questo i personaggi della Lucrezia Borgia si imprimono nella memoria dello spettatore, ancora oggi, con una potenza ineguagliata.

Per gentile concessione della Fondazione Donizetti e dell’autore.

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Note di regia di Giulio Ciabatti

La Borgia non è stata solo una figura e una figlia del suo tempo. E’ stata e continua a essere “un personaggio”, una “maschera” che dissimula tormenti, ambizioni, desideri, arricchendosi di ambiguità e fascino a ogni suo manifestarsi. Lucrezia fugge la sua biografia, il vociare su di lei dentro le pagine di un romanzo, il tratto di matita o il volto offertole da chiunque la insegua. Distinguo con difficoltà il piano della realtà e dell’immaginazione, so quanto breve possa essere la distanza tra l’annuncio di una verità e la scoperta di una menzogna. Lei mi viene lentamente incontro, mi tende la mano. Mi offre quel suo desiderio di madre di salvare il figlio adolescente da un mondo attraversato da intrighi, oscure lotte tra famiglie potenti, clan e fazioni che vivono in un intreccio di false seduzioni e lusinghe, dissimulazione, inganni, violenze, umiliazioni e vendette. Un giardino nella gelida e abbacinante laguna, maschere grigie che si muovono in un intrico di colonne rosse, gigli bianchi che spuntano attorno a un battistero di morte… Comincio a seguirla attraverso le note, lungo le calli e le pagine che volano al vento. Mi si affaccia il segno di un ordine, di una faida, di un clan per il quale si è “iniziati” nell’adolescenza a sacrificare “moralità e innocenza”, ad accettare un “codice”, a chiudere gli occhi per poter continuare a “vivere”. Lo stemma e il nome dei Borgia imprime ora fascino al fascino, mistero al mistero… Un gondoliere nero, cortigiane accondiscendenti, sicari nascosti nell’ombra. L’epoca del “mestiere delle armi”, delle bande mercenarie, delle rivalità fra terre confinanti riverbera come riflesso d’acqua sul pavimento di marmo, getta ombre affascinanti sulle pareti del Palazzo dove avviene l’incontro tra Lucrezia, la “grande peccatrice” e don Alfonso, “l’uomo di comando” nelle cui mani è il governo e il destino della gioventù.

Al centro della composizione uno straordinario terzetto, dove Lucrezia, cortigiana e donna di potere, protetta, sospettata, invisa da un mondo declinato al maschile, si prepara a gettare anche gli abiti di signora e sposa, di moglie e amante. …Un coppiere, alcune monache, una fanciulla che fugge da una festa per ricomparire travestita da angelo annunciatore… La struttura speculare conferisce una forza straordinaria al dramma. Il prologo, con la festa all’alba nella gelida laguna lunare di Venezia, è l’esatto rovesciamento della festa, del battesimo di morte che prelude all’epilogo alla corte di Ferrara. Lucrezia ora mi sfugge, sguscia inquieta tra le colonne che si moltiplicano sulla scena, anima in fuga dentro il quadro di una “caccia infernale”. Ha rigettato ancora una volta l’abito dentro il quale si voleva contenerla ed è sgusciata fuori dalla cornice del Palazzo. So quasi con certezza che potrà reggere solo pochi istanti la maschera di avvelenatrice e vendicatrice. Me lo chiede con insistenza nelle pieghe del mio sogno, dentro una nota raccolta distrattamente “ Lucrezia Borgia morì di parto, il 24 giugno 1519. Indossava l’abito da terziaria francescana”. A Lucrezia preme solo svelare al figlio la trama algida e incandescente, abbagliante e oscura, limpida e torbida delle loro

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vite. Deve far vedere il volto di madre, di donna, che aveva tenuto nascosto per lungo tempo concedendosi l’ultimo abbraccio, il fatale addio, il congedo e il ricongiungimento definitivo…

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La vicenda A Venezia durante il Rinascimento. È notte: Gennaro e i suoi amici, fra i quali Maffio Orsini, stanno partecipando a una festa mascherata a palazzo Grimani; nel corso della conversazione viene fatto il nome di Lucrezia Borgia. Orsini, che come tutti gli altri detesta la donna, narra agli amici l’infausta profezia di un indovino: «Fuggite i Borgia o giovani... Dov’è Lucrezia è morte». Gennaro, tediato dal racconto, si addormenta ed è lasciato solo dagli amici rientrati per le danze. Entra Lucrezia mascherata: il suo divo-rante affetto la spinge a contemplare il figlio (che non la conosce) addormentato (“Come è bello... Quale incanto”). Gennaro si sveglia e rimane affascinato dalla bella dama, alla quale racconta di non sapere chi sia sua madre; di lei conserva gelosamente una lettera in cui lo prega di non cercarla. Lucrezia, commossa, lo incita ad amarla teneramente (“Ama tua madre, e tenero”). Sopraggiungono gli altri, riconoscono la Borgia e, con sommo orrore di Gennaro, la maledicono.

Atto primo. A Ferrara, di notte. Mentre il duca Alfonso e Rustighello spiano l’abitazione di Gennaro, il duca è furioso poiché crede il giovane un amante di Lucrezia (“Vieni, la mia vendetta”); intanto escono Gennaro e gli amici, diretti alla festa della principessa Negroni. Gennaro, ancora sconvolto dall’incontro con la Borgia, giunto davanti al pa-lazzo ducale cancella con il pugnale la ‘b’ del nome Borgia: appare così la parola ‘orgia’. Astolfo, una spia della duchessa, e Rustighello li osservano di nascosto. Poco dopo Ru-stighello informa il duca Alfonso che Gennaro è stato arrestato ed è a palazzo. Soprag-giunge Lucrezia, furiosa per l’oltraggio subito e decisa a ottenere vendetta. Ma quando la donna scopre che il colpevole è proprio Gennaro, implora il duca di salvarlo. Alfonso rifiuta, e la costringe a scegliere di quale morte egli dovrà perire: veleno o pugnale. Lu-crezia sceglie il veleno, ma quando Gennaro ha bevuto il vino affatturato, gli offre un antidoto e lo fa fuggire da una porta segreta.

Atto secondo. Nel palazzo della principessa Negroni, Orsini, Gennaro e gli amici brin-dano e inneggiano al vino (“Il segreto per essere felici”). All’improvviso misteriose e mi-nacciose voci si odono di fuori e, mentre le luci si spengono, compare Lucrezia Borgia. La duchessa avverte gli astanti che, per vendicare l’onta subita a Venezia, essi sono stati da lei avvelenati. Tremenda è l’angoscia della Borgia quando scopre che fra le sue vittime si cela anche Gennaro (“Tu pur qui? Non sei fuggito?”). Allontanati tutti gli altri, Lucre-zia implora il figlio di prendere l’antidoto (“M’odi, ah m’odi”), ma il giovane, scoprendo che la pozione è sufficiente per lui solo, rifiuta. La donna gli svela allora di essere sua madre e quindi si accascia disperata sul corpo del figlio morente (“Era desso il figlio mio/ Madre se ognor lontano”).

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L’atmosfera ‘notturna’ che circola in ogni atto e nel prologo di Lucrezia Borgia viene, per contrasto, esaltata ed enfatizzata dagli episodi ingannevolmente festosi e gai disseminati da Donizetti nel corso di tutta l’opera. Emblematico in questo senso è lo splendido brindisi di Maffio Orsini, alternato ai cupi interventi del coro fuori scena, pagina cele-berrima alla quale solo un mezzosoprano-contralto dalle grandi capacità virtuosistiche può rendere pienamente giustizia. Orsini, ruolo “en travesti”, con il suo rifarsi ai moduli tradizionali rossiniani è in fondo il personaggio più arcaico dell’opera. L’influenza del Pesarese è peraltro palese anche in Lucrezia (ruolo che oggi definiremmo da soprano drammatico di agilità) soprattutto nella sua aria e cabaletta finale “Era desso il figlio mio”. Questa pagina, che si vuole ‘imposta’ a Donizetti da Henriette Méric-Lalande, prima interprete di Lucrezia, conclude l’opera nella versione del 1833. Donizetti però, per la ripresa scaligera del 1840, riscrisse il finale affidando un’aria (“Madre se ognor lon-tano”) a Gennaro morente, all’epoca interpretato dal grande Napoleone Moriani, il «te-nore della bella morte» come fu definito. Relegato il personaggio di Alfonso al ruolo del ‘cattivo’ di turno, fin dagli inizi il successo dell’opera fu quindi intimamente legato alle qualità vocali degli interpreti di Lucrezia e di Gennaro. A loro, infatti, Donizetti affida gli squarci più commoventi della partitura. In particolare tutto il lungo e articolato duet-to finale, dal momento in cui la Borgia resta sola con il figlio dopo che gli altri sono stati allontanati (e avvelenati!); pagina che, per il suo lirismo intenso e lacerante (memorabile il “M’odi, ah m’odi” di Lucrezia), è una significativa dimostrazione dell’abilità di Doni-zetti nel coniugare il virtuosismo canoro a una pittura degli affetti intensa e struggente.

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ProLogo

[Preludio]

Scena primaTerrazzo nel palazzo Grimani in Venezia.Festa di notte. Alcune Maschere attraversano di tratto in tratto il teatro.Dai due lati del terrazzo si vede il palazzo splendidamente illuminato: in fondo il canale della Giudecca, sul quale si veggono passare ad intervalli nelle tenebre alcune gondole; in lontano Venezia al chiaror della luna. All’alzar del sipario la musica esprime la festa, che ha luogo nel palazzo. Di quando in quando vanno e vengono Signori e Dame magnificamente vestiti co’ la loro maschera alla mano. Alcune altre Maschere s’intrattengono parlando fra loro.Entrano in scena lietamente Gubetta, Gazella, Orsini, Petrucci, Vitellozzo e Liverotto. Quindi Gennaro che, com’uomo affaticato, si riposa sovra un sedile appartato dagli altri.

[N. 1 Introduzione]

GAZELLA Bella Venezia!

PETRUCCI Amabiled’ogni piacer soggiorno!

ORSINI Men di sue notti è limpidod’ogni altro cielo il giorno.

TUTTI E l’orator Grimaninoi seguirem domani!Tali avrem mai delizie,tai feste in riva al Po?

GUBETTA (inoltrandosi)Le avrem. D’Alfonso è splendida,

lieta la corte assai.Lucrezia Borgia...

ORSINI (interrompendolo)Acquetati:non la nomar giammai.

VITELLOZZO Nome esecrato è questo.

LIVEROTTO La Borgia! Io la detesto...

TUTTI Chi le sue colpe intendere,e non odiar la può?

ORSINI Io più di tutti. Uditemi.

(tutti si accostano)

ORSINI Un vecchio... un indovino...

GENNARO (interrompendolo)Novellator perpetuoesser vuoi dunque, Orsino?Lascia la Borgia in pace:udir di lei mi spiace...

TUTTI Taci... non l’interrompere...breve il suo dir sarà.

GENNARO Io dormirò: destatemi,quando cessato avrà.(si adagia, e a poco a poco si addormenta)

ORSININella fatal di Riminie memorabil guerra,

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Prologo

ferito e quasi esanimeio mi giaceva a terra...Gennaro a me soccorse,il suo destrier mi porse,e in solitario boscomi trasse e mi salvò.

TUTTI La sua virtù conosco,la sua pietade io so.

ORSINILà nella notte tacita,lena pigliando e speme,giurammo insiem di vivere,e di morire insieme. E insiem morrete, alloravoce gridò sonora:e un veglio in veste neragigante a noi s’offrì.

TUTTI Cielo! Qual mago egli eraper profetar così?

ORSINIFuggite i Borgia, o giovani,ei proseguì più forte...Odio alla rea Lucrezia...Dove è Lucrezia è morte...Sparve ciò detto: e il ventoin suono di lamentoquel nome ch’io detestotre volte replicò!...

TUTTI Rio vaticinio è questo...ma fé puoi dargli?... No.

Tutti.Insieme

ORSINI Fede a fallaci oroscopil’anima mia non presta...

pur mio malgrado un palpitotal sovvenir mi desta.Spesso, dovunque io movo,quel vecchio orrendo io trovo...quella minaccia orribileparmi la notte udir...Te, mio Gennaro, invidio,che puoi così dormir.

GLI ALTRI Bando a sì tristi immagini...passiam la notte in gioia.Assai quell’empia femminane diè tormento e noia.Finché il leon temutone porge asilo e aiuto,l’arte e il furor de’ Borgianon ci potran colpir...Vieni ~ la danza invitaci...lasciam costui dormir.

(partono tutti traendo seco Orsini)

Scena secondaPassa una gondola; n’esce una dama mascherata. È Lucrezia Borgia: s’inoltra guardinga. Vede Gennaro addormentato, e si appressa lui contemplandolo con piacere e rispetto. Gubetta ritorna.

[N. 2 Romanza, duetto e Finale I]

LUCREZIA Tranquillo ei posa. ~ Oh! sian così tranquillesue notti sempre! E mai provar non debbaqual delle notti mie, quanto è il tormento!(si accorge di Gubetta)Sei tu!

GUBETTA Son io. Paventoche alcun vi scopra: ai giorni vostri, è vero,scudo è Venezia; ma vietar non puoteche conosciuta non v’insulti alcuno.

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LUCREZIA E insultata sarei ~ m’aborre ognuno!Pur per sì trista sortenata io non era ~ Oh! Potess’io far tantoche il passato non fosse, e in un cor solodestare un senso di pietà che invanoin mia grandezza all’universo io chiedo! ~Quel giovin vedi?

GUBETTA Il vedo,e da più dì lo seguo in finte spogliee in simulato nome; e indarno io tentoscoprir l’arcano che per lui vi traggeda Ferrara a Venezia in tanta ambascia...

LUCREZIA Tu scoprilo! ~ Non puoi ~ Seco mi lascia.(Gubetta si ritira)

Scena terzaLucrezia e Gennaro addormentato. Mentre Lucrezia si avvicina a Gennaro non si accorge di due Uomini mascherati che passano dal fondo, e si fermano in disparte.

LUCREZIACome è bello!... Quale incantoin quel volto onesto e altero!No, giammai leggiadro tantonon se ‘l finse il mio pensiero.L’alma mia di gioia è pienaor che alfin lo può mirar...Mi risparmia, o ciel, la pena,ch’ei mi debba un dì sprezzar.(piange)Se il destassi!... No: non oso...né scoprir il mio sembiante.Pure il ciglio lagrimosoterger debbo... un solo istante.(si toglie la maschera e si asciuga le lagrime)

ALFONSO Vedi? È dessa...

RUSTIGHELLO È dessa... è vero.

ALFONSO Chi è il garzone?

RUSTIGHELLO Un venturiero.

ALFONSO Non ha patria?

RUSTIGHELLO Né parenti,ma è guerrier fra i più valenti.

ALFONSO Di condurlo adopra ogn’artea Ferrara in mio poter.

RUSTIGHELLO Con Grimani all’alba ei parte...ei previene il tuo pensier.

LUCREZIAMentre geme il cor sommesso,mentre io piango a te d’appresso,dormi, e sogna, o dolce oggetto,sol di gioia e di diletto...ed un angiol tutelarenon li desti che al piacer!...Triste notti, e veglie amaredebbo io sola sostener.(si alza: i due mascherati si ritirano. Lucrezia ritorna indietro, e bacia la mano di Gennaro. Egli si desta, el’afferra per le braccia)

LUCREZIA Ciel!(per sciogliersi da lui)

GENNARO Che vegg’io?

Prologo

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LUCREZIA Lasciatemi.

GENNARO No, no, gentil signora!No, per mia fede!(trattenendola)

LUCREZIA (Io palpito.)

GENNARO Ch’io vi contempli ancora!Leggiadra e amabil siete;né paventar doveteche ingrato ed insensibileper voi si trovi un cor.

LUCREZIA Gennaro!... E fia possibile,che a me tu porti amor?

GENNARO Qual dubbio è il vostro?

LUCREZIA Ah! Dimmelo.

GENNARO Sì, quanto lice io v’amo.

LUCREZIA (Oh gioia!)

GENNARO Eppure... uditemi...Esser verace io bramo.Avvi un più caro oggetto,cui nutro immenso affetto.

LUCREZIA E ti è di me più caro!Chi mai?

GENNARO Mia madre ell’è.

LUCREZIA Tua madre!... O mio Gennaro!Tu l’ami?

GENNARO Ah, più di me!

LUCREZIA Ed ella?

GENNARO Ah compiangetemi...Io non la vidi mai.

LUCREZIA Come?

GENNARO È funesta istoria,che sempre altrui celai.Ma son da ignoto istintoa dirla a voi sospinto,alma cortese e bellanel vostro volto appar.

LUCREZIA (Tenero cor!) Favella...tutto mi puoi narrar.

GENNARODi pescatore ignobileesser figliuol credei:e seco oscuri in Napolivissi i prim’anni miei... ~quando un guerriero incognitovenne d’inganno a trarmi:mi diè cavallo ed armi,e un foglio a me lasciò.Era mia madre, ahi misera!Mia madre che scrivea...di rio possente vittima,

Prologo

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per sé, per me temea...di non parlar, né chiedereil nome suo qual eracalda mi fea preghiera,ed obbedita io l’ho.

LUCREZIA E il foglio suo?...

GENNARO Miratelo.Mai dal mio cor non parte.

LUCREZIA Oh quante amare lagrimeforse in vergarlo ha sparte!

GENNARO Ed io, signora! oh quantosu quelle cifre ho pianto!Ma che! Voi pur piangete?

LUCREZIA Ah! Sì... per lei... per te.

GENNARO Alma gentil! Voi sieteancor più cara a me.Insieme

LUCREZIA Ama tua madre, e tenerosempre per lei ti serba...prega che l’ira plachisidella sua sorte acerba...prega che un giorno stringereella ti possa al cor.

GENNARO L’amo, sì l’amo, e sembramivederla in ogni oggetto...una soave immagineme n’ho formata in petto:seco, dormente o vigile,seco io favello ognor.

(si avvicinano da varie parti le maschere: escono paggi con torce, che accompagnano dame e cavalieri. Orsinientra dal fondo accompagnato da’ suoi amici)

LUCREZIA Gente appressa... io ti lascio.

GENNARO (trattenendola)Ah! Fermate.

ORSINI (riconosce Lucrezia, l’addita ai compagni e seco loro favella)Chi mai veggo?

LUCREZIA Mi è forza lasciarti.

GENNARO Deh! Chi siete almen dirmi degnate...(sempre trattenendola)

LUCREZIA Tal che t’ama, e sua vita è l’amarti.

ORSINI Io dirollo.(inoltrandosi)

LUCREZIA Gran dio!(si copre co’ la maschera e vuole allontanarsi)

ORSINI (opponendosi)Non partite.Forza è udirne...(riconducendola)

LUCREZIA Gennaro!

Prologo

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Prologo

GENNARO Che ardite?S’avvi alcun d’insultarla capace,di Gennaro più amico non è.

ORSINI Chi siam noi sol chiarirla ne piace.

LUCREZIA (Oh cimento!)

ORSINI E poi fugga da te.Maffio Orsini, signora, son io,cui svenaste il dormente fratello.

VITELLOZZO Io Vitelli, chi feste lo ziotrucidar nel rapito castello.

LIVEROTTO Io nepote d’Appiano tradito,da voi spento in infame convito.

PETRUCCI Io Petrucci del conte cugino,cui toglieste di Siena il domino.

GAZELLA Io congiunto d’oppresso consorte,che vedeste nel Tebro perir.

GENNARO (Ciel! Che ascolto!)

LUCREZIA (Oh malvagia mia sorte!)CORO Qual rea donna?

LUCREZIA (Ove fuggo? Che dir?)

ORSINI Or che a lei l’esser nostro è palese,odi il suo...

GENNARO E CORO Dite, dite.

LUCREZIA Ah! Pietade.

GENNARO, ORSINI,LIVEROTTO, VITELLOZZO E PETRUCCIElla è donna che infame si rese,che l’orrore sarà d’ogni etade...

LUCREZIA Grazia! Grazia!...

GENNARO, ORSINI,LIVEROTTO, VITELLOZZO E PETRUCCIMendace, spergiura,traditrice, venefica, impura...come odiata, è temuta del paro,ché potente il destino la fa.

GENNARO Oh! Chi è mai?

LUCREZIA Non udirli, o Gennaro!...(supplichevole a’ suoi piedi)

GENNARO, ORSINI,LIVEROTTO, VITELLOZZO E PETRUCCIÈ la Borgia... ravvisala...(strappandosi la maschera)

TUTTI (con grido d’orrore)Ah!...(Lucrezia sviene)

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ATTo Primo

Scena primaUna piazza di Ferrara.Da un lato con un verone, sotto al quale uno stemma di marmo, ove è scritto con caratteri visibili di rame dorato: «BORGIA». Dall’altro una piccola casa coll’uscio sulla strada, le cui finestre sono illuminate di dentro. Notte.Il duca Alfonso e Rustighello coperti da lungo manto.

[N. 3 Cavatina]

ALFONSO Nel veneto corteggiolo ravvisasti?

RUSTIGHELLO E me gli posi al fianco,e lo seguii come se l’ombra io fossidel corpo suo. ~ Quello è il suo tetto.(addita la casa di Gennaro, ancora illuminata)

ALFONSO Quello?Appo il ducale ostelloLucrezia il volle!

RUSTIGHELLO E in esso ancora il vuole,se non m’inganna di quel vil Gubettal’ire e il redir, e lo spiar furtivo.

ALFONSO Entrarvi ci puote, non ne uscir mai vivo.Odi?(odonsi voci e suoni dalla casa di Gennaro)

RUSTIGHELLO Gli amici in festatutta notte accoglieva in quelle porteil giovin folle. Separarsi all’albaessi han costume.

ALFONSO E l’ultim’alba è questa,che al temerario splende;l’ultimo addio che dagli amici ei prende.

ALFONSO Vieni: la mia vendettaè meditata e pronta:ei l’assicura e affrettacol cieco suo fidar.

RUSTIGHELLO Ma se l’altier Grimanila si recasse ad onta?...

ALFONSO Mai per cotesti insanime non vorria sfidar.

ALFONSOQualunque sia l’eventoche può recar fortuna,nemico io non paventol’altero ambasciador.Non sempre chiusa a’ popolifu la fatal laguna:e ad oltraggiato principeaprir si puote ancor.(le voci si fan più vicine, si spengono i lumi, ecc.)

RUSTIGHELLO Prendon commiato i giovani...meglio è partir, signor.(si ritirano)

Scena secondaGennaro, Orsini, Liverotto, Petrucci, Gazella, Vitellozzo. Escono tutti lieti dalla casa di Gennaro. Egli solo è pensoso. Gubetta si fa vedere in disparte.

[N. 4 Recitativo e coro]

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Atto 1°

TUTTI Addio, Gennaro.

GENNARO(con serietà)Addio,nobili amici.

ORSINI E che? Degg’io sì mestomirarti ognor?

GENNARO Mesto!... Non già. (Potessi,se non vederti, almen giovarti, o madre!)

ORSINI Mille beltà leggiadresaran stasera al genial festino,cui la gentil ne invitaprincipessa Negroni. Ove qualcunoobliato avess’ella, a me lo dica:di riparar l’errore è pensier mio...

TUTTI Tutti fummo invitati.

GUBETTA (inoltrandosi)E il sono anch’io.

TUTTI Oh! Il signor Beverana!(tutti gli vanno incontro, tranne Gennaro e Orsini)

GENNARO(ad Orsini)Da per tutto è costui! Già da gran tempoei mi è sospetto.

ORSINI Oh, non temer: uom lieto,e, qual siam tutti, uno sventato è desso.

LIVEROTTO Or via! Così dimessoio non ti vo’ Gennaro.

GAZELLA Ammaliatot’avria forse la Borgia?

GENNARO E ognor di leiv’udrò parlarmi? Giuro al ciel, signori,scherzi non voglio. Uomo non v’ha che aborraal par di me costei.

PETRUCCI Tacete. È quelloil suo palazzo.

GENNARO E il sia. Stamparle in frontevorrei l’infamia, che a stampar son prontosu quelle mura dove scritto è [Borgia].(ascende un gradino innanzi allo stemma, e col suo pugnale ne cancella la prima lettera. In quel mentre esconodal fondo due uomini vestiti di nero)

TUTTI Che fai?

GENNARO Leggete adesso.

TUTTI Oh diamin! Orgia!

GUBETTA Una facezia è questa,che può costar domaniben cara a molti.

GENNARO Ove del reo si chieda,me stesso a palesar pronto son io.

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Atto 1°

ORSINI Qualcun ci osserva... separiamci.

TUTTI Addio.(Gennaro rientra in sua casa. Gli altri si disperdono)

Scena terzaAstolfo e Rustighello ambedue passeggiando, indi Scherani.

RUSTIGHELLO Qui che fai?

ASTOLFO Che tu te n’ vada,questo aspetto. ~ E tu che fai?

RUSTIGHELLO Che tu sgombri la contradafermo attendo.

ASTOLFO Con chi l’hai?

RUSTIGHELLO Con quel giovane stranieroche ha qui stanza. ~ E tu con chi?

ASTOLFO Con quel giovin forestieroche pur esso alberga qui.

RUSTIGHELLO Dove il guidi?

ASTOLFO Alla duchessa.E tu dove?

RUSTIGHELLO Al duca appresso.

ASTOLFO Oh! La via non è l’istessa.

RUSTIGHELLO Né conduce al fine istesso.

ASTOLFO Una a festa...

RUSTIGHELLO L’altra a morte...delle due qual s’aprirà?

ASTOLFO E RUSTIGHELLODel più destro, o del più fortedel voler dipenderà.(Rustighello fa un segno dal cantone della strada. Entra un drappello di scherani, i quali circondano Astolfo)

RUSTIGHELLO E CORO Non far motto: parti, sgombra.Il più forte appien lo scorgi.Guai per te se appena un’ombradi sospetto a lui tu porgi!...Solo Alfonso ancor qui regge:somma legge è il suo voler.

ASTOLFO Ma il furor della duchessa...

RUSTIGHELLO Taci, e d’essa ~ non temer.

CORO Al suo nome, alla sua famafe’ l’audace estrema offesa:vendicarsi il duca brama:impedirlo è stolta impresa.Se da saggio oprar tu vuoi,déi piegar, partir, tacer.

ASTOLFO Parto, sì... che avvenga poivostro sia, non mio pensier.

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Atto 1°

(Astolfo si ritira. Rustighello e gli scherani atterran le porte della casa di Gennaro)

Scena quartaSala nel palazzo ducale.Gran porta in fondo. A diritta un uscio chiuso da invetriata. A sinistra un altr’uscio segreto. Tavolino nel mezzo coperto di velluto.Alfonso, poi Rustighello, indi un Usciere.

[N. 5 Recitativo e finale II]

ALFONSO Tutto eseguisti?

RUSTIGHELLO Tutto. Il prigionieroqui presso attende.

ALFONSO Or bada. A quella in fondosegreta sala, della statua a piedidell’avol mio, riposti armadi schiudequest’aurea chiave. Ivi d’argento un vasoe un d’or vedrai. Nella propinqua stanzaambi gli reca... né desio ti tentidell’aureo vaso: ~ Vin de’ Borgia è desso. ~Attendi. ~ All’uscio appressotienti di spada armato. ~ Ov’io ti chiamii vasi apporta; ov’altro cenno intendi,col ferro accorri.

USCIERE (annuncia dalla porta di fondo)La duchessa.

ALFONSO Affretta.(Rustighello parte; poco dopo si fa vedere passeggiando dall’invetriata)

Scena quintaLucrezia e detto, indi Gennaro fra le Guardie.

ALFONSO Così turbata?

LUCREZIA A voi mi trae vendetta.Colpa inaudita, infame,a denunziarvi io vengo. Avvi in Ferrarachi della vostra sposa a pien meriggiooltraggia il nome, e mutilarlo ardisce.

ALFONSO Mi è noto.

LUCREZIA E no ‘l puniscee il soffre Alfonso in vita?

ALFONSO A noi dinanzitosto ei sia tratto.

LUCREZIA Qual ei sia, pretendoche morte egli abbia, e al mio cospetto; e sacraducal parola al vostro amor ne chiedo.

ALFONSO E sacra io dolla. ~ Il prigionier.(all’usciere)(si presenta immantinente Gennaro disarmato fra le guardie)

LUCREZIA (turbata al vederlo)(Chi vedo!)

ALFONSO (con un sorriso)Noto vi è desso!

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LUCREZIA (Oh ciel! Gennaro! Ahi quale fatalità!)

GENNARO L’altezza vostra, o duca,toglier mi fece dal mio tetto a forzada gente armata. ~ Chieder posso, io spero,dond’io mertai questo rigore estremo.

ALFONSO Capitano, appressate.

LUCREZIA (Io gelo... io tremo...)

ALFONSO Un temerario osavatesté, di giorno, dal ducal palazzocon man profana cancellar l’augustonome di Borgia. ~ Il reo si cerca.

LUCREZIA Il reonon è costui.

ALFONSO Donde il sapete?

LUCREZIA Egli erastamane altrove... Alcun de’ suoi compagnicommise il fallo.

GENNARO Non è ver.

ALFONSO L’udite?Siate sicero, e ditese il reo voi siete.

GENNARO Uso a mentir non sono;ché della vita istessapiù caro ho l’onor mio.Duca Alfonso, il confesso... il reo son io.

LUCREZIA (Misera me!)

ALFONSO(piano a Lucrezia)Vi diedila mia ducal parola.

LUCREZIA Alcuni istantifavellarvi in segreto, Alfonso, io bramo.(Deh! Secondami, o ciel!)(ad un cenno d’Alfonso Gennaro è ricondotto)

Scena sestaLucrezia ed Alfonso.

ALFONSO Soli noi siamo.Che chiedete?...

LUCREZIA Vi chiedo, o signore,di quel giovane illesa la vita.

ALFONSO Come? E dianzi cotanto rigore?L’ira vostra è sì tosto sparita?

LUCREZIA Fu capriccio... A che giova ch’ei mora?Giovin tanto!... Perdono gli do!

ALFONSO La mia fede io vi diedi, o signora,né a mia fede giammai fallirò.

LUCREZIA Don Alfonso!... Favore ben lievevoi negate a sovrana... a consorte!

ALFONSO Chi v’offese irne impune non deve...

Atto 1°

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voi chiedeste, io giurai la sua morte.

LUCREZIA Perdoniam: siam clementi del paro...la clemenza è regale virtù.

ALFONSO No, non posso...

LUCREZIA E sì avverso a Gennarochi vi fa, caro Alfonso?...

ALFONSO (prorompendo)Chi?... Tu.

LUCREZIA Io? Che dite?

ALFONSO Tu l’ami...

LUCREZIA Che ascolto!

ALFONSO Sì, tu l’ami: in Venezia il seguisti.

LUCREZIA (Giusto cielo!)

ALFONSO Anche adesso nel voltoti leggea l’empio ardor che nudristi.

LUCREZIA Don Alfonso!

ALFONSO T’acqueta.

LUCREZIA Io vi giuro...

ALFONSO Non macchiarti di nuovo spergiuro.

LUCREZIA Don Alfonso!...

ALFONSO È omai tempo ch’io prendade’ miei torti vendetta tremenda;e tremenda da questo momentosul tuo complice infame cadrà.

LUCREZIA Grazia, Alfonso!...(inginocchiandosi)

ALFONSO L’indegno vo’ spento.

LUCREZIA Per pietà...

ALFONSO Più non odo pietà.Insieme

LUCREZIA (sorgendo)Oh! A te bada... a te stesso pon mente,di Lucrezia mal cauto marito!Omai troppo m’hai visto piangente:questo core omai troppo è ferito.Al dolore sottentra la rabbia...Ti potria far la Borgia pentir.

ALFONSO Mi sei nota: né porre in obliochi sei tu, se il volessi, potrei.Ma tu pensa che il duca son io,che in Ferrara, e in mia mano tu sei...Io ti lascio la scelta s’egli abbiadi veleno o di spada a perir.

ALFONSO Scegli.

Atto 1°

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LUCREZIA(fuori di sé)Oh! Dio! Dio possente!

ALFONSO Trafittotosto ei sia.

LUCREZIA Deh! T’arresta.

ALFONSO Ch’ei cada.

LUCREZIA Non commetter sì nero delitto...

ALFONSO Scegli, scegli...

LUCREZIA Ah, non muoia di spada!Insieme

ALFONSO Sii prudente: d’appresso io ti sono...nulla speme ti è dato nutrir.

LUCREZIA L’infelice al suo fato abbandono...uom crudele!... Io mi sento morir...(cade sopra una sedia. Alfonso accenna alle guardie)

Scena settimaGennaro ritorna fra i Custodi. Indi Rustighello.

ALFONSO Della duchessa ai preghiche il vostro fallo oblia,è forza pur ch’io pieghi,e libertà vi dia.

LUCREZIA (Oh! Come ei finge!)

ALFONSO E poitanto è valore in voi,che d’Adria il mar privarne,e Italia insiem, non vo’!

LUCREZIA (Perfido!)

GENNARO Quai so darne,grazie, signor, ve n’ do!Pur, poiché dirlo è datosenza temer viltade...in uom che l’ha mertato,il beneficio cade.Di vostra altezza il padrecinto da avverse squadreperia, se scudo e aitanon gli era un avventurier.

ALFONSO E quel voi siete?

LUCREZIA (sorgendo)E vitavoi gli serbaste?

GENNARO È ver.

LUCREZIA Duca!...

ALFONSO (L’indegna spera.)

LUCREZIA S’ei si mutasse!

Atto 1°

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ALFONSO (È vano.)Seguir la mia bandieravorreste, o capitano?

GENNARO Al veneto governonodo mi stringe eterno:mia fede io gli giurai...e sacro è un giuro.

ALFONSO (volgendosi con intenzione a Lucrezia)Il so.Quest’oro almeno...(presentandogli una borsa)

GENNARO Assaida’ miei signori io n’ho.

ALFONSO Almen, siccome anticostile è fra noi degli avi,libare a nappo amicospero che a voi non gravi...

GENNARO Sommo per me favorequesto sarà, signore...

ALFONSO Gentil la mia consortecoppiera a noi sarà.

LUCREZIA (Stato peggior di morte!)

ALFONSO (prendendola per mano)Meco, o duchessa... Olà.(esce Rustighello)Insieme

ALFONSO (Guai se ti sfugge un moto,se ti tradisce un detto!Uscir dal mio cospettovivo costui non de’.Versa... il licor ti è noto...strano è il ribrezzo in te.)

LUCREZIA (Oh! Se sapessi a qualeopra m’astringi atroce,per quanto sii feroce,ne avresti orror con me.Va’... Non v’ha mostro eguale...colpa maggior non v’è.)

GENNARO (Meco benigni tantomai non credea costoro...trovar perdono in lorosogno pur sembra a me.Madre! Esser dée soltantodel tuo pregar mercé.)

ALFONSO Or via: mesciamo.(si versa dal vaso d’argento)

GENNARO Attonitoa tanto onor son io.

ALFONSO A voi, duchessa...

LUCREZIA (Il barbaro!)

ALFONSO (Il vaso d’or.)

LUCREZIA (Gran dio!)(versa dal vaso d’oro)

Atto 1°

Page 34: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

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ALFONSO Vi assista il ciel, Gennaro.

GENNARO Fausto a voi sia del paro.(bevono)Insieme

ALFONSO (Trema per te, spergiura!Vittima prima egli è.)

LUCREZIA (Vanne: non ha naturamostro peggior di te.)

GENNARO (Madre! È la mia venturadel tuo pregar mercé.)

ALFONSO Or, duchessa, a vostr’agio potetetrattenerlo, oppur dargli commiato.(si allontana con Rustighello)

LUCREZIA (Oh! Qual raggio!)(pensando)

GENNARO (inchinandosi)Signora, accoglietei saluti di un cor non ingrato.

LUCREZIA(sottovoce)Infelice! Il veleno bevesti...non far motto... trafitto saresti.Prendi, e parti... una goccia, una sola,di quel farmaco vita ti dà.(gli dà un’ampolletta)Lo nascondi, t’affretta, t’invola...(T’accompagni del ciel la pietà.)

GENNARO Che mai sento?... E tutt’altro che morteaspettarmi io doveva in tua corte!Un rio genio mi pose la benda,m’inspirò sì fatal securtà.Forse... ah! Forse una morte più orrendala tua destra, o malvagia, mi dà.

LUCREZIA Oh! In me fida.

GENNAROIn te, cruda?

LUCREZIA Sì, parti...morto in te vuole il duca un rivale.GENNARO Oh cimento!

LUCREZIA Ei ritorna a svenarti.Bevi, e fuggi...

GENNARO Oh! Dubbiezza fatale!

LUCREZIA Bevi, e fuggi... Io te n’ prego, o Gennaro,per tua madre, per quanto hai più caro.(s’inginocchia: dopo un momento di esitazioni Gennaro si decide)

GENNARO Ti punisca s’è in te tradimentochi più speri che t’abbia pietà.(beve)

LUCREZIA Tu sei salvo... Oh! Supremo contento!...Quinci invòlati... affrettati... va’.(Lucrezia lo fa fuggire per la porta segreta. Si presenta dal fondo Rustighello col duca... Ella dà un grido, e cadesovra una sedia)

Atto 1°

Page 35: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

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ATTo SeCoNdo

Scena primaPiccolo cortile che mette alla casa di Gennaro. Una finestra della casa è illuminata. È notte.Un drappello di Scherani entra spiando.

[N. 6 Introduzione]

CORORischiarata è la finestra...in Ferrara egli è tuttora...la fortuna al duca è destra:del rival vendetta avrà.Inoltriam: propizia è l’ora...buio il cielo... alcun non v’ha.(si avvicinano alla casa di Gennaro. Odono rumore, e si arrestano)Ma... silenzio. ~ Un mormorio...un bisbiglio s’è levato ~è di gente calpestio...più distinto udir si fa.Là in disparte, là in agguatochi è si esplori, e dove va.(si ritirano)

Scena secondaOrsini, indi Gennaro, Scherani nascosti. Orsini bussa alla porta di Gennaro. Egli apre, ed esce.

[N. 7 Recitativo e duetto]

GENNARO Sei tu?

ORSINI Son io. ~ Venir non vuoi, Gennaro,dalla Negroni? Ogni piacer mi è scemose no ‘l dividi tu.

GENNARO Grave cagionea te mi toglie. Per Venezia io partofra pochi istanti.

ORSINI E me qui lasci? E unitifino alla morte non giurammo entrambiesser in ogni evento?

GENNARO È ver.

ORSINI Mi tienicosì tua fede, come a te la tengo?

GENNARO E tu vien meco.

ORSINI All’alba attendi, e vengo.Al geniale invitomancar non posso.

GENNARO Ah! Questa tua Negroni,m’è di sinistro auspicio.

ORSINI E a me piuttostoil tuo partir così notturno e solo,così pensoso e mesto.Resta, Gennaro.

GENNARO Odi: e se il chiedi, io resto.

GENNARO Minacciata è la mia vita...alla morte io qui son presso.

ORSINI Chi t’insidia? A me lo addita.Chi è costui?

GENNARO Parla sommesso.(parla sottovoce a Orsini, mentre gli scherani si fan vedere da lunge)

Atto 2°

Page 36: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

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COROI° Vi par tempo?

COROII° No: si aspetti...

TUTTI L’importuno partirà.

ORSINI (ridendo)Né d’inganno tu sospetti?Quale è in te credulità!

GENNARO Taci, incauto!

ORSINI Sconsigliato!

Insieme

ORSINI Non sai tu di donna l’arti?Onde a lei ti mostri gratoella ha finto di salvarti.Di veleni che ragioni?Dove fondi il tuo timor?Gentil dama è la Negroni;uomo è il duca d’alto cor.

GENNARO Tu conosci, appien tu saise codardo io fui giammai,se un istante in faccia a mortemai fu manco il mio valor...Pure, adesso, in questa corte,m’è di guai presago il cor.

ORSINI Va’, se vuoi: tentar mi è caro,afferrar la mia ventura.

GENNARO Addio dunque...

ORSINI Addio, Gennaro.

GENNARO Veglia a te.

ORSINI Ti rassicura.(si abbracciano e si dividono, indi si arrestano entrambi e ritornano)

GENNARO Ah! Non posso abbandonarti!

ORSINI Ah! Non io lasciarti vo’.

GENNARO Al festin vo’ seguitarti.

ORSINI Teco all’alba io partirò.

ORSINI E GENNARO Sia qual vuolsi il tuo destino,esso è mio: lo giuro ancora.

ORSINI Mio Gennaro!

GENNARO Caro Orsino!

ORSINI Teco sempre...

GENNARO O viva, o mora.Qual due fiori a un solo stelo,qual due frondi a un ramo sol,noi vedrem sereno il cielo,o sarem curvati al suol.(partono)

Atto 2°

Page 37: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

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Scena terzaRitornano gli Scherani, Rustighello li trattiene.

RUSTIGHELLO No ‘l seguite.

CORO A noi s’invola.

RUSTIGHELLO Stolti! Ei corre alla Negroni.

CORO Basta allora.

RUSTIGHELLO Al laccio ei vola.

CORO Non v’ha dubbio: al ver ti apponi.

TUTTI È tenace, è certo l’amo,che gittato al cieco è là.Ir si lasci: ritorniamo.Di ferir mestier non fa.(partono)

Scena quartaSala nel palazzo Negroni illuminata e addobbata per festivo banchetto.Sono seduti ad una tavola riccamente imbandita la principessa Negroni con molte Dame splendidamente vestite, Orsini, Liverotto, Vitellozzo, Gazella, Petrucci, ciascuno con una dama al fianco. Da un lato della tavola è Gubetta. Dall’altro è Gennaro.

[N. 8 Pezzo concertato]

LIVEROTTO Viva il Madera!

TUTTI Evvivail ben che scalda e avviva!

GAZELLA De’ vini il Cipro è re.

PETRUCCI I vini, per mia fé,tutti son buoni.

ORSINI Io stimo quel che brilla,siccome la scintilla,che desta il dio d’amornell’occhio seduttordella Negroni.

TUTTI Ben detto. A lei si tocchi!Si beva ai suoi begli occhi!Amore la formò,Ciprigna in lei versòtutti i suoi doni.(toccano e bevono)

GUBETTA (Ebbri son già: convienetentar che restin soli.)

GENNARO (Noiato io sono.)(si allontana)

ORSINI Ebbene?

Gennaro, a noi t’involi?Odi il novello brindisida me composto un giorno.

GUBETTA(ridendo)Ah! Ah!

Atto 2°

Page 38: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

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ORSINI Chi ride?

GUBETTA Ridonoquanti ci sono intorno.

ORSINI Come?

GUBETTA Oh l’esimio lirico!

ORSINI M’insulteresti tu?

GUBETTA S’egli è insultarti il ridere,far no ‘l potrei di più.

ORSINI (alzandosi)Marrano di Castiglia!

GUBETTA Scheran trasteverino!(Orsini afferra un coltello)

DAME Cielo! Costor si battono!

TUTTI Che fai? T’acqueta, Orsino.(trattenendolo)

ORSINI E GUBETTA Io ti darò, balordo,tale di me ricordo,che temperante e sobrioper sempre ti farà.

TUTTI (frapponendosi)Finitela, cospetto!All’ospite rispetto...

o tutta quanta accorrerefarete la città.

DAME Si battono... si battono...signore, usciam di qua.(le dame si ritirano)

Scena quintaGubetta, Orsino, Liverotto, Vitellozzo, Gazella, Petrucci e Gennaro.

LIVEROTTO Pace, pace per ora.

VITELLOZZO Avrete il tempodi battervi doman da cavalieri,non col pugnal come assassin di strada.

TUTTI È ver.

GENNARO Ma della spadache femmo noi?

ORSINI L’abbiam deposta fuori.

TUTTI Non ci si pensi più.

GUBETTA Beviam, signori.

GAZELLA Ma intanto sbigottiteci han lasciate le dame.

GUBETTA Torneranno:ed umilmente chiederemo scusa.

Atto 2°

Page 39: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

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(un coppiere vestito di nero porta in giro una bottiglia)

COPPIERE Vino di Siracusa.

TUTTI Ottimo vino, affé!(tutti bevono: Gubetta versa il bicchiere dietro le spalle)

GENNARO (Maffio, vedesti?Lo spagnolo non beve.)

ORSINI (Che importa? È naturale: ebbro esser deve.)

GUBETTA (barcollando)Or, se gli piace, amici,può schiccherare Orsini versi a sua posta,poiché poeta lo farà tal vino.

ORSINI Sì: a tuo dispetto.

TUTTI Una ballata, Orsino.

ORSINII° Il segreto per esser felici so per prova, e l’insegno agli amici. Sia sereno, sia nubilo il cielo, ogni tempo, sia caldo, sia gelo, scherzo e bevo, e derido gl’insani che si dan del futuro pensier.

TUTTI Non curiamo l’incerto domani,se quest’oggi ne è dato goder.

(odesi un lugubre suono e voci lontane che cantano flebilmente)

VOCI LONTANE La gioia de’ profaniè un fumo passegger.

GENNARO Quai voci!

ORSINI Alcun si prendegioco di noi.

TUTTI Chi mai sarà?

ORSINI Scommettoche delle dame una malizia è questa.

TUTTI Un’altra strofa, Orsin.

ORSINI La strofa è presta.

ORSINIII° Profittiamo degli anni fiorenti: il piacer li fa correr più lenti. Se vecchiezza con livida faccia stammi a tergo, e mia vita minaccia, scherzo e bevo, e derido gl’insani che si dan del futuro pensier.

TUTTI Non curiam l’incerto domani,se quest’oggi ne è dato goder.

VOCI LONTANE La gioia de’ profaniè un fumo passegger.(a poco a poco si spengono i lumi)

ORSINI Gennaro!

Atto 2°

Page 40: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

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GENNARO Maffio! ~ Vedi?Si spengono le faci.

ORSINI A farsi graveincomincia lo scherzo.

TUTTI Usciam. ~ Son chiusetutte le porte! ~ Ove siam mai venuti?

Scena sestaSi apre la porta dal fondo e si presenta Lucrezia Borgia con Gente armata.

LUCREZIA Presso Lucrezia Borgia.

TUTTI (con un grido)Ah! Siam perduti!

LUCREZIA Sì, son la Borgia. Un ballo, un tristo ballovoi mi deste in Venezia: io rendo a voiuna cena in Ferrara.

TUTTI Oh, noi traditi!

LUCREZIA Voi salvi ed impuniticredeste invano: dell’ingiuria miapiena vendetta ho già: cinque son prontistrati funébri per coprirvi estinti,poiché il veleno a voi temprato è presto.

GENNARO Non bastan cinque: avvi mestier del sesto.(avanzando)

LUCREZIA(sbigottita)Gennaro! Oh ciel!

GENNARO Perireio saprò cogli amici.

LUCREZIA Ite: chiudetetutte le sbarre, e per rumor che ascolti,nessuno in questa sala entrar s’attenti.

TUTTI Gennaro! (strascinati)

ORSINI Amici!...

LUCREZIA Uscite.

TUTTI Oh noi dolenti!(escono fra gli armati, e la gran porta si chiude)

Scena settimaLucrezia e Gennaro.

[N. 9 Rondò]

LUCREZIA Tu pur qui?... Né sei fuggito?...Qual ti tenne avverso fato?

GENNARO Tutto, tutto ho presentito.

LUCREZIA Sei di nuovo avvelenato.

GENNARO Ne ho il rimedio.(cava l’ampolla del contravveleno)

LUCREZIA Ah! Me ‘l rammento...

Atto 2°

Page 41: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

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Grazie, grazie al ciel ne do.

GENNARO Cogli amici io sarò spento,o con lor io partirò!

LUCREZIA Ah! Per te fia poco ancora...(osservando l’ampolla)Ah! Non basta per gli amici...

GENNARO Ei non basta? Allor, signora,morrem tutti.

LUCREZIA Che mai dici?

GENNARO Voi primiera di mia manopreparatevi a perir.

LUCREZIA Io! Gennaro?... Ascolta, insano...

GENNARO Fermo io son.(prende un coltello dalla tavola)

LUCREZIA(sbigottita)(Che far? Che dir?)

GENNARO (ritornando)Preparatevi.

LUCREZIA Spietato!Me ferir, svenar potresti?

GENNARO Lo poss’io ~ son disperato:tutto, tutto mi togliesti.(risoluto)

Non più indugi.

LUCREZIA (con un grido)Ah! Un Borgia sei...son tuoi padri i padri miei...Ti risparmia un fallo orrendo...Il tuo sangue non versar.

GENNARO Sono un Borgia! Oh ciel! Che intendo?

LUCREZIA Ah! Di più non domandar.

LUCREZIAM’odi... ah! M’odi... Io non t’imploroper voler serbarmi in vita:mille volte al giorno io moro,mille volte in cor ferita...per te prego... teco almenonon voler incrudelir.Bevi... bevi... e il rio velenodeh! t’affretta a prevenir.

GENNARO Sono un Borgia!...

LUCREZIA Oh! Il tempo vola.Cedi, cedi...

GENNARO Maffio muore.

LUCREZIA Per tua madre!...

GENNARO Va’: tu solasei cagion del suo dolore...

LUCREZIA No: Gennaro...

Atto 2°

Page 42: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

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GENNARO L’opprimesti...

LUCREZIA No ‘l pensar...

GENNARO Di lei che festi!

LUCREZIA Vive... vive... e a te favellacol mio duol, col mio terror.

GENNARO Ciel! Tu forse?...

LUCREZIA Ah! Sì, son quella.

GENNARO Tu! Gran dio!... Mi manca il cor.(si abbandona sopra una sedia)

LUCREZIA Figlio... figlio!... Olà! Qualcuno!...Accorrete!... Aita! Aita!Niun m’ascolta... è lunge ognuno...dio pietoso, il serba in vita...

GENNARO Cessa... è tardi... Io manco, io gelo...

LUCREZIA Me infelice!...

GENNARO Ho agli occhi un velo.

LUCREZIA Mio Gennaro!... Un solo accento...uno sguardo, per pietà...

GENNARO Madre!... Io moro...

LUCREZIA È spento... è spento.

Scena ultimaSi spalancano le porte del fondo e n’esce Alfonso con Rustighello.Guardie.

ALFONSO Dove è desso?

LUCREZIA (correndo ad Alfonso e additandogli Gennaro estinto)Mira: è là.

LUCREZIAEra desso il figlio mio,la mia speme, il mio conforto...Ei potea placarmi iddio...me parea far pura ancor.Ogni luce in lui mi è spenta...il mio cor con esso è morto...Sul mio capo il cielo avventail suo strale punitor.(cade sul figlio)

TUTTI Rio mistero! Orribil caso!...

ALFONSO Si soccorra.

TUTTI Oh! Ciel! Se n’ muor.

Atto 2°

Page 43: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

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Variante del finaleFinale modificato nella rappresentazione di Milano del 1840. Alla fine della scena VII del secondo atto, dopo le parole di Lucrezia «unosguardo per pietà»:

GENNAROMadre, se ognor lontanovisi al materno seno,che a te pietoso iddiom’unisca in morte almeno:madre, l’estremo anelitoch’io spiri sul tuo cor.

Fine.

Atto 2°

Page 44: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

Francesca Dotto Paolo Fanale

Mirco Palazzi

Teresa Iervolino

Vittorio Zambon Wiliam Corrò

Gabriele Nan Orfeo Zanetti Andrea Zaupa

Page 45: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

Giulio Ciabatti

Tiziano Severini

Matteo Mezzaro Massimiliano Catellani

Dino Zambello

Page 46: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO

Violino Principale Fabio Paggioro

Violini PrimiEnrico RebellatoStefano BencivengaSonia DomoustchievaChiaki KandaDavide Dal PaosPenelope BertoloChiara Di Bert

Violini SecondiGianluca BaruffaIvan Malaspina Serena BicegoMatteo ValerioPavel CardasRoberto Zampieri

ViolePrima Viola Mario PaladinSilvina SapereFloriano BolzonellaFederico Furlanetto

VioloncelliMario FinottiFernando SartorCaterina LiberoGiancarlo Trimboli

ContrabbassiUbaldo FioravantiGiorgia PellarinMichele Gallo

FlautiMario FolenaRiccardo Pozzato

oboiPaolo BrunelloVictor Vecchioni

ClarinettiRoberto ScalabrinAntonio Graziani

FagottiAligi VoltanBenedetta TargaDannis CarliCorniMarco BertonaMichele FaitDanilo MarchelloAlberto Prandina

TrombeMassimiliano MorosiniRoberto Caterini

TromboniAlessio BrontesiAlberto PedrettiStefano BelottiRoberto Ronchetti

Timpani e PercussioniAlberto MacchiniGiovanni FrancoMarica Veronese

ArpaFrancesca Tirale

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Page 47: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

SopraniBaldin SimonettaSegato DanielaTartaro CeciliaCodogno MargheritaBabusci ValentinaChiarcos GabriellaOlivi ValentinaZuin Eugenia TenoriBolzonella AlbertoBugno EmanueleBovo EnricoCapovilla AndreaFortin GiuseppeGaldiolo RemigioIob DavideNardo StefanoMaracani MarcelloMarcolongo RenzoOrlando EmilioPasello NicolòTrevisan Giov:Battista

BassiBortolami AntonioBugno AlessandroCavazzana RobertoCastellan EdouardDi Padua GianniGepoli AlessandroLucenti AntonioRinaldi FabrizioRighi MarcoRussu JuriiTonello AntonioVarotto LuigiZago RobertoZorzan Armando

CORO «CITTÀ DI PADOVA»

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Page 48: Stagione Lirica 2013. LUCREZIA BORGIA di G. Donizetti

© 2013 Comune di PadovaFinito di stampare nel mese di settembre 2013

presso Grafiche Turato - Rubano (PD)

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Allestimento scenico e collaborazione tecnica agli allestimenti scenici:

Better Service S.r.l.

Luca Gaetani – Gaetani allestimenti Rubano-Padova

Macchinisti: Palco Base di Adriano Pernigotti

Costumi: Loredana Marin

Fornitore costumi: Tirelli S.p. a. - Roma

Fornitore calzature: C.T.C. S.r.l. - Milano

Trucco/Parrucco: Eliza S.A.S. - Verona

Si ringraziano per la collaborazione e il supporto

la squadra tecnica e il personale del Teatro Stabile del Veneto Teatro Verdi