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Sidi Askofaré, Marie-Jean Sauret

LA QUESTIONE DEL PADRE: PADRE E SINTOMO

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Nota del traduttore La question du père: père et symptôme, è stato pubblicato su L’Èvolution psychiatrique, n. 69 (pp. 257-278), nel 2004 ma era stato proposto alla redazione di questa prestigiosa e storica rivista nel 2002, data in cui è stato presumibilmente ultimato. I suoi due autori vengono così presentati: Sidi Askofaré, psychanalyste, docteur d’état, maître de conferences et cherceur au sein de l’équipe de recherces cliniques à l’université de Toulouse-2-le-Mirail; Marie-Jean Sauret, Psychanalyste, professeur et directeur de l’équipe de recherces cliniques à l’université de Toulouse-2-le-Mirail. Entrambi sono membri dell’APJL (Association de psychanalyse Jacques Lacan): http://www.apjl.org/ . L’impressione che questo testo mi ha fatto richiede due brevi osservazioni preliminari: una sul suo contenuto e una sulla sua forma: il linguaggio in cui è stato scritto e i problemi della sua traduzione. 1) Si tratta di un prezioso contributo «didattico» (anche se indubbiamente questa non è la sua preoccupazione principale) riguardo alle ultime acquisizioni teoriche e cliniche di Lacan sulla «questione del padre»; ragione per cui l’ho inserito all’interno del progetto «Thesaurus Lacan» («traversata di scritti e seminari al seguito di un concetto del quale sono riprodotti tutti i luoghi in cui è citato»), di cui sono stati pubblicati nel 2010 su questo sito i due primi «tomi»: - Il padre nell'opera di J. Lacan. Tomo I, Seminari 1951 – 1958. - Il padre nell'opera di J. Lacan. Tomo II, Seminari 1958 – 1963. [http://www.lacan-con-freud.it/1/thesaurus_lacan_926646_1.html]. Il testo, che attraversa in rapido scorcio tutta la lunga e controversa elaborazione del concetto di padre nell’opera di Lacan, approda a questa tesi: tra il padre come figura privilegiata dell’Altro, dalla cui autorità e dal cui sapere il soggetto aspetta una legge per il proprio desiderio e una risposta alla questione di ciò che egli è (il Padre dell’Edipo e della religione, insomma); e l’assenza di autorità paterna – e più in generale di ogni autorità – che caratterizza il nostro tempo «postmoderno», dominato da una volontà di «godimento senza ostacoli» istigata da quella nuova forma di discorso del Padrone chiamata «tecnoscienza» (che spinge il soggetto a cercarsi un’autorità in Altri «osceni e feroci» – integralismi, sette, bande, leader

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carismatici –, oppure in Altri di «sintesi» – tossicodipendenze –); viene indicata una terza via, che fa a meno dell’autorità paterna, ma «a condizione di servirsene». Lacan indica questa terza via nel sintomo, o meglio in un nuovo concetto di sintomo, che scrive utilizzando la grafia antica sinthome, per distinguerlo dal symptôme della patologia. I tre enunciati principali di Lacan sul padre – il padre è un significante, il padre è una metafora, il padre è l’anello che tiene insieme il tutto (bambino-fallo-madre) – sono trasferiti al «sinthomo», che ha così una funzione omologa a quella che ha il padre nel costituire la realtà psichica di ciascun soggetto: la funzione della castrazione simbolica, cioè della rinuncia al godimento senza limiti (in Freud triebverzicht: rinuncia alla soddisfazione della pulsione). Senza questa rinuncia, sarebbe infatti impossibile la costituzione del legame sociale e della civiltà. Per Lacan, il Padre, al di là dei miti freudiani (il complesso di Edipo, il padre primordiale di Totem e tabù), è l’«operatore strutturale» che permette l’annodamento delle categorie del Simbolico, dell’Immaginario e del Reale, annodamento che costituisce la «realtà umanizzata» in cui ciascun ente prende posto in quanto soggetto sessuato (come Uomo o come Donna) e in quanto soggetto alla Morte (i due limiti assenti nella psicosi, in cui il Padre non ha potuto operare la sua funzione di annodamento). Si pone pertanto per ciascuno la questione lasciata in sospeso dal discorso freudiano: che ne è del godimento perduto, che è la causa del nostro desiderio e «il cui difetto renderebbe vano l’universo»?1 Il desiderio è fatto solamente di rinuncia, di una perdita irreparabile, dell’assunzione di un lutto inestinguibile? La Legge del Padre ci trasmette un desiderio vuoto, per non dire mortificato? Se così fosse, sarebbe un padre piuttosto «kantiano», un padre che ci trasmette un desiderio «puro» – cioè per l’appunto vuoto –, chiedendoci di rinunciare alla nostra singolarità per consegnarci in definitiva al conformismo del discorso sociale: «Dopo tutto, non c’è niente di cui dobbiamo stupirci [...] nel fatto che la castrazione sia, insomma, qualcosa di fabbricato così: sottrarre a qualcuno il suo desiderio e, in cambio, dare lui a qualcun altro, all’ordine sociale nel caso specifico»2

Il padre freudiano, il «padre simbolico».

3, che non è altro che l’operazione di alienazione-separazione dal nostro essere che ci introduce nel linguaggio4

1 J. Lacan, Scritti, a cura di Giacomo Contri, Einaudi, Torino 1974, p. 823.

, è

2 Le transfert dans sa disparité subjective, sa prétendue situation, ses excursions techniques, version stécriture, Ecole Lacanienne de Psychanalyse, seduta del 24 maggio 1961 [trad. mia].

3 Esemplarmente il padre morto di Totem e tabù, custode, ma meglio: accaparratore del godimento, di cui priva tutti i figli, segregandoli in un legame di fratellanza fondato sulla rinuncia e dunque sull’odio invidioso.

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supposto ricoprire interamente tutto il registro del reale5, di cui la nostra singolarità – ciò che chiamiamo «godimento» – costituisce un frammento. Ora, l’essere del soggetto parlante risiede proprio nell’impossibilità di essere interamente nelle parole, di essere tutto e solo (nel) simbolico, (nel) linguaggio6. Mentre è proprio la spinta insopprimibile a realizzare la nostra singolarità di soggetti (a marcare il simbolico, il linguaggio, con quel frammento di reale che gli è irriducibile e che costituisce la nostra singolarità7), che ha tutto il diritto di chiamarsi desiderio, il «nucleo in cui risiede la libertà dell’atto che sfugge a tutte le determinazioni della conoscenza», secondo una bella definizione di Moustapha Safouan, che individua questo atto nella fede, cioè in una decisione aperta a tutte le incognite8

Come già per Paolo, il sinthomo (niente ci impedisce di attribuirlo a Gesù) può riscattare «i fratelli che sono sotto la maledizione della legge, tenuti sotto guardia» (Gal., 3, 10). In effetti, una legge, fosse pure la più democratica, che non tollera che il singolo abbia la facoltà, o meglio la sovranità di istituire proprie leggi (e non solo di assoggettarsi alla Legge), non è nient’altro che maledizione e segregazione. Ricordo che legge deriva dal latino legem, che viene dalla radice «ligare», legare, perché obbliga; e dal greco legein, «scegliere», ma anche «dire» e «leggere». Allora potremmo affermare che il «sinthomo» è il custode di un «frammento di reale», ma anche di tutte le possibili soluzioni che il soggetto può dare alla questione del suo

.

4 Lacan formula questa operazione in un vel: «o la borsa o la vita»; ovvero: o il godimento

(l’essere) o la nostra nascita al linguaggio (il senso), in quanto «parlesseri» – ma se scegliamo il primo, li perdiamo tutti e due.

5 Cfr. le famose proposizioni del Tractatus di Wittgenstein: «I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo», e quella conclusiva: «Ciò di cui non si può parlare si deve tacere», che definiscono una finitudine senza più nessuna trascendenza, nella completa mortificazione (forclusione?) del desiderio.

6 La revisione lacaniana della funzione del padre – che si concluderà con la ricusazione della nozione di «padre simbolico» – comincia proprio con la denuncia della «relazione simbolica semplice, in cui il simbolico ricoprirebbe pienamente il reale». Sennonché, osserva Lacan: «Almeno in una struttura sociale come la nostra, il padre è sempre, in qualche modo, un padre discordante nei confronti della sua funzione, un padre carente, un padre umiliato, direbbe Claudel. C’è sempre una discordanza estremamente netta tra ciò che è percepito dal soggetto sul piano del reale e la funzione simbolica». (J. Lacan, Il mito individuale del nevrotico, Astrolabio, Roma 1986, p. 27). È quello che porterà Lacan a interrogarsi su un «frammento di reale» che non passa nel simbolico, irriducibile alla castrazione e «infoderato» (fourré) nel sintomo che ne costituisce la guaina.

7 Come altro definire la poesia? Ogni volta che ho incontrato psicologi e psichiatri per discutere di un «caso clinico»; ogni volta che in questi incontri ho osservato che la «terapia» non è altro che creare per un soggetto la possibilità di marcare la sua parola con il tratto della sua singolarità rimasto en souffrance; ogni volta mi è stato risposto: «molto poetico!».

8 Cfr. M. Safouan, Regard sur la civilisation œdipienne. Désir et finitude, Harmattan, Paris 2015, p. 24 e sgg.

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godimento, nella misura in cui cerca di fare legame sociale proprio con quest’ultimo, ossia di annodare il Simbolico, l’Immaginario e il Reale con la sua singolarità. Il soggetto non si limita a sottomettersi a un legame (discorso) sociale che gli preesiste, ma tende a crearne di nuovi, dove la sua singolarità (la sua jouissance) può essere riconosciuta e trovare una propria dimensione, un proprio spazio vitale e sociale9

Confesso infine che questo pensiero mi riempie… di desiderio, se penso che ordinariamente facciamo del godimento lo strumento elettivo dello spreco e della schiavitù della nostra vita (che lo si sappia o no) e dell’annientamento di ogni impresa e di ogni legame.

. Ma questo può essere possibile solo se egli non si sostiene, non dipende più da un Altro (qualunque possa essere, a cominciare dal padre) che gli faccia da garante e da cui aspetta eternamente una risposta alla questione di ciò che è (come accade nella nevrosi). Il godimento, la propria singolarità, diviene così il fondamento di ogni imprendere, di ogni impresa – non importa quale, e se è piccola o grande – di cui il soggetto può farsi iniziatore e promotore, costruendo dei nuovi legami sociali.

2) Si tratta di un testo che è scritto in un linguaggio strettamente lacaniano, che può risultare incomprensibile o urtare chi non è «addetto ai lavori». Se ciò dipende indubbiamente da preoccupazioni di sintesi (non ci si può mettere ogni volta di fare l’esegesi di ogni concetto di Lacan, soprattutto quando ci si propone di attraversarne l’intera opera), il rischio è di scrivere da psicanalisti lacaniani a psicanalisti lacaniani, in una specularità (generatrice di aggressività) dove tertium non datur. Così, precludendosi i lettori anche ben disposti ma estranei alla «Cosa» (nostra), si perde la possibilità di ogni altro apporto originale. Non si comprende, o non si vuol comprendere, che «sciogliere» l’idioletto lacaniano nella lingua comune, dando a tutti la possibilità di leggere, non è una semplice operazione divulgativa (ricordo che «leggere» è uno degli etimi di legge, legare). L’incidenza, in termini di sovversione soggettiva e non di volontà di sapere, che la lettura di Lacan può avere, si misura proprio dalla «dissoluzione» del lacanismo, innanzitutto come gergo o esperanto. Sta di fatto che ho dovuto prima tradurre dall’idioletto lacaniano alla lingua francese, e poi da quest’ultima all’italiano (questo è il motivo per cui ho sentito il bisogno di aggiungere qualche breve «nota del traduttore»). A ciò si aggiunga che la scrittura degli autori è in un francese quanto più astratto possibile (e già la lingua francese vi si presta anche troppo), pieno di locuzioni completamente indigeste

9 È a questo livello che riprenderemmo il concetto freudiano di sublimazione.

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all’italiano, che sono poi quelle che tendono a non essere riconosciute e a presentarsi nella traduzione come calchi. Chi sa il francese, e non è digiuno di Lacan, può consultare il testo originale, allegato nel file pdf (che si può aprire cliccando sull’icona del fermacarte in Acrobat Reader). Moreno Manghi (novembre 2016)

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La questione del padre: padre e sintomo

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1. Introduzione «La questione del padre: padre e sintomo»: il titolo esprime l’augurio di mettere a disposizione del lettore gli strumenti per valutare ciò che costituisce l’importanza della questione del padre in psicanalisi, di comprendere il movimento che regola l’elaborazione di una risposta complessa, e, infine, di misurarne la posta in gioco sia per la clinica che per la diagnosi del legame sociale contemporaneo. Dalla corrispondenza con Fliess a L’uomo Mosè, cioè dalla teoria della seduzione allo sviluppo e alla revisione delle tesi di Totem e tabù, la questione del padre non ha mai smesso di ossessionare l’opera freudiana. Pur trattandosi di una preoccupazione esclusivamente dottrinale, essa ha tuttavia interessato anche la clinica freudiana (Studi sull’isteria, L’interpretazione dei sogni, «Dora», «Hans», «L’uomo dei topi», «Schreber», ecc.) e l’istituzione psicanalitica. Di tutti i grandi teorici della psicanalisi, J. Lacan è stato quello che vi ha prestato maggiormente attenzione. Prima per chiarirla, poi per svilupparla, infine per criticarla e riformarla. Ma di tutta la lunga e complessa elaborazione di Lacan per molto tempo è stato recepito solo il tentativo di delucidazione del concetto di padre per mezzo del ternario I, S, R1

Più recentemente, l’accento si è spostato da questi motivi appartenenti al «primo classicismo lacaniano» [

e il contributo originale dell’introduzione del significante del Nome-del-Padre.

1], a una tesi vecchia ma forte sul «declino

1 Immaginario, Simbolico, Reale.

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dell’imago paterna2

Inspiegabilmente, questa tesi del 1938 rispolverata per rendere ragione di eventuali forme cliniche nuove si è presto trasformata in un’altra, molto più radicale: «il declino della funzione paterna» ([

», in cui Lacan vedeva nientemeno che la molla della «grande nevrosi contemporanea» e la crisi a cui ricondurre «l’apparizione della psicanalisi stessa».

3], p. 18). Nella sua forma radicale, la tesi ha meno a che fare con un’eventuale crisi della funzione paterna che con l’avvento di un tempo in cui quest’ultima sarebbe divenuta obsoleta. Che un tale avvicendamento sia stato possibile, indica che il rigetto del padre, iniziato col discorso della scienza3

4

, è attivo fin dentro la psicanalisi. E non è certo la generalizzazione del Nome-del-Padre o la sua riduzione al sintomo ([ ], p. 174, p. 156) che fanno eccezione a questo rigetto. Tutto al contrario, fanno parte dello stesso movimento, quello di un’identificazione del padre e dell’Altro da cui il soggetto spera di avere la risposta alla questione di ciò che è. La nostra esperienza clinica come le nostre ricerche universitarie sul sintomo e il legame sociale ci conducono oggi a riesaminare in maniera più precisa l’articolazione complessa fra padre e sintomo e le incidenze, sull’uno e sull’altro, delle particolarità della figura contemporanea dell’Altro.

2. Freud e la questione: «che cos’è un padre»? La questione del padre, la questione «che cos’è un padre?», è fin dall’inizio al fondamento stesso della costituzione della psicanalisi, anche se non la riguarda specificamente; i miti, le religioni, il Diritto, non hanno mai smesso di occuparsene e di elaborarla. Nondimeno, sembra che la psicanalisi le abbia dato una consistenza particolare – facendone una questione che riguarda ciascuno – innalzandola al rango di una delle questioni soggettive fondamentali. Quale risposta dare, in termini di sapere, a una simile questione?

2 J. Lacan, «Les complex familiaux dans la formations de l’individu» (1938) [«I complessi familiari e la formazione dell’individuo»]. In ([2], pp. 23-84).

3 Questo rigetto è fondato su un equivoco: la confusione fra il padre e l’origine, fra il fondamento e la genesi, fra il senso e la spiegazione...

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Se mettiamo da parte le prospettive sostanzialiste e psicosociologiche, è sulla nozione di funzione che tutti si accordano per definire la questione del padre. Solo che la nozione di funzione non è univoca. Ne esistono almeno tre concezioni: biologica, funzionalista (con delle versioni psicologistiche – vedi Piaget – o sociologistiche – vedi Mauss, Durkheim, Malinowski –) e logicomatematica (vedi Frege). A quale di queste concezioni bisognerebbe dunque fare riferimento per circoscrivere l’operazione della funzione paterna? In altri termini, c’è equivalenza fra i due sintagmi: la «funzione paterna» e le «funzioni del padre»? Per essere coincisi, diciamo che con la questione della paternità (con l’esistenza nel linguaggio del significante «essere padre»), è avvenuta una sovversione, uno spostamento che va dal ruolo reale del genitore nella procreazione, all’attribuzione simbolica della procreazione al padre (via il significante che la supporta nell’inconscio, cioè il Nome-del-Padre). È proprio nel punto in cui si incrociano il biologico, il sociociuridico e lo psicologico, che la psicanalisi ha individuato la questione e tentato di rispondere a: che cos’è un padre? L’estrazione della questione è in sé un risultato. È noto che essa è apparsa a Freud così importante ed esorbitante che egli ha potuto rispondervi solo grazie alla mobilitazione delle risorse del mito se non della creazione romanzesca. Non appena sul piano scientifico è reintrodotta la considerazione del soggetto della parola – colui che si interroga su ciò che è, e sul senso della sua presenza e della sua azione nel «mondo» –, la verità prende struttura di finzione. In Freud c’è una diffrazione del padre in padre-godimento, padre-amore e padre-legge. Ci basti ricordare che essi corrispondono rispettivamente al «padre» dell’orda primitiva di Totem e tabù, al padre del complesso di Edipo, e al padre come nome, come legge e come voce de L’uomo Mosè... (F. Balmes, 1977) [5]. Già in Freud, il concetto di padre rinvia dunque a più dimensioni che sono tra loro eterogenee. Ma in mancanza delle categorie del Reale, del Simbolico e dell’Immaginario, da una parte, e, dall’altra, in mancanza di una teoria della

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metafora, del «punto di capitone» [capitonnage]4 e dell’annodamento [nouage], Freud fallisce nel produrre una dottrina del padre all’altezza del discorso analitico5

.

3. Le prospettive lacaniane È a questo punto che si inserisce l’apporto di Lacan, con i suoi cambiamenti, successivi e di orientamento divergente, alla dottrina freudiana del padre. Senza entrare nel dettaglio e nelle finezze della dottrina lacaniana del padre, ci sembra necessario ricapitolare il movimento d’insieme e le scansioni decisive di questa dottrina, che può essere condensata nella formula: dalla funzione del padre alla funzione del sintomo. Ripercorriamo adesso i differenti momenti che scandiscono questa lunga e tortuosa elaborazione. Dal 1938 all’inizio degli anni 1950, cioè nei testi prelacaniani di J. Lacan – che egli stesso ha presentato come i suoi antecedenti [6] – il padre appare ed è preso in considerazione solo come un caso particolare della funzione dell’imago, che consiste nello stabilire una relazione del soggetto con la sua realtà. Proviene da qui il sintagma imago del padre di cui abbiamo evocato la problematica del declino all’inizio di questo lavoro. 4 Il «grafo del desiderio» elaborato da Lacan ha la sua cellula germinale nel «punto di capitone» (così chiamato in riferimento agli spessi punti di cucitura che formano le losanghe dell’imbottitura di un materasso o di un divano), metafora impiegata da Lacan per descrivere il punto in cui il significante «entra», o, come si esprime, «infilza», al pari dell’ago del materassaio, il significato, arrestando «lo scivolamento altrimenti indefinito della significazione». L’operazione di capitonnage, in cui si tratta di «crocheter», uncinare il significato per generare la significazione, si realizza interamente attraverso un effetto di retroazione: «Di questo punto di capitone provate a trovare la funzione diacronica nella frase in quanto chiude la propria significazione soltanto con l’ultimo termine, ciascun termine essendo anticipato nella costruzione degli altri, ed inversamente ne sigilla il senso col suo effetto retroattivo» (J. Lacan, Scritti, Einaudi, Torino 1974, pp. 807-808). In altri termini, è solo dopo che è stata pronunciata l’ultima parola e la frase è conclusa, che il senso si «sigilla» attraverso un effetto retroattivo. Altrimenti, tutte le parole che compongono la frase, rimarrebbero aperte «allo scivolamento indefinito della significazione» (dunque aperte a qualsiasi significazione possibile). La prova è nelle frasi delle «voci» udite dallo schizofrenico, che rimangono sempre aperte, in una indefinita sospensione del senso (che non si «sigilla» nella retroazione) [n.d.t.].

5 A dire il vero bisogna attendere il lavoro di Lacan per portare questa etereogenità delle dimensioni paterne al credito di Freud: si veda più avanti.

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Parlare del padre in termini di imago comporta senza dubbio il rischio di ridurlo alla sua sola consistenza immaginaria. Lacan diminuisce, per non dire che annulla questo rischio concependo e facendo funzionare l’imago non come una pura e semplice immagine ma come un’immagine le cui determinazioni sono simboliche. Fin dal 1949, nella comunicazione di Zurigo su «Lo stadio dello specchio...», viene sancita la collusione fra la nozione gestaltista di imago e quella dell’«efficacia simbolica» di Lévi-Strauss. I primi seminari inediti6

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della rue de Lille raccolgono i frutti di questa intersezione, ben prima che Lacan tematizzi il ternario R, S, I nella sua conferenza del luglio 1953, «Il simbolico, l’immaginario e il reale» [ ]. La lettura delle note sul seminario consacrato a L’uomo dei lupi (1952) mostra che Lacan organizza il suo approccio del caso in base a ciò che costituiva ai suoi occhi il suo tratto essenziale: l’angoscia di castrazione. Egli mette in rapporto l’angoscia di castrazione col fatto che il padre «reale», in questo caso il padre effettivo di Serguei Pankejeff, «nè nei suoi atti né nel suo essere» è un padre castratore. Ne deduce quindi che il giovane Pankejeff è alla ricerca di un padre che assicuri e assuma la sua funzione punitiva, ricerca tanto più insistente e compulsiva per il fatto di non arrivare mai a concludersi, a causa della posizione del padre. Ne consegue la «diagnosi» lacaniana: carenza della funzione simbolica del padre, difficoltà del soggetto a identificarsi con un simile padre; il bambino resta identificato alla madre, dunque bramato immaginariamente dal padre; sorge allora un’angoscia di castrazione che non trova risoluzione a causa dell’assenza di padre simbolico in atto. Vengono così distinte la funzione immaginaria del padre e la sua funzione simbolica, e introdotte le espressioni – dal valore continuamente mutevole – «padre simbolico» e «padre immaginario». La distinzione di queste due versioni del padre è ancora più evidente ne «Il mito individuale del nevrotico» [8]:

Se il padre immaginario e il padre simbolico sono perlopiù fondamentalmente distinti, non è solo per la ragione d’ordine strutturale di cui vi sto parlando,

6 Riguardo a «L’uomo dei lupi» disponiamo sfortunatamente solo delle note degli

ascoltatori; in quanto a «L’uomo dei topi», Lacan vi fa riferimento in «Intervento sul transfert», Dora e «Il mito individuale del nevrotico».

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ma anche per il modo storico, contingente, particolare a ogni soggetto. ([8], fr. p. 306; it. p. 28).

La «ragione d’ordine strutturale» si riferisce alla rivalità edipica con il padre, che Lacan fonda sul modello dello stadio dello specchio, sulla base dell’identificazione a un’immagine che genera aggressività. Lacan perviene così a distinguere l’Edipo dalla funzione simbolica sostenuta dal padre, esortando i suoi allievi a fare altrettanto. Ma in questo modo giunge fatalmente a rimettere in questione tutto lo schema dell’Edipo, nella misura in cui mette in evidenza gli attributi di cui la famiglia coniugale moderna, con una condensazione estrema, ha investito il padre. Il carattere essenziale di questa forma moderna di famiglia – da distinguere dalle forme contemporanee – consiste nel fatto che il padre vi appare come il rappresentante, l’incarnazione di una funzione simbolica essenziale7

, che è ordinariamente concepita in base alla supposizione di «una relazione simbolica semplice, in cui il simbolico ricoprirebbe pienamente il reale». Sennonché, osserva Lacan:

È del tutto evidente che ci è completamente inafferrabile questo ricoprimento del simbolico e del reale. Almeno in una struttura sociale come la nostra, il padre è sempre, in qualche modo, un padre discordante nei confronti della sua funzione, un padre carente, un padre umiliato, direbbe Claudel. C’è sempre una discordanza estremamente netta tra ciò che è percepito dal soggetto sul piano del reale e la funzione simbolica.8 8 ([ ], fr. p. 305; it. p. 27).

7 Ritorneremo spesso su questa funzione. Per ora limitiamoci a dire che il padre concentra e

riassume l’affermazione della sottomisssione del parlante alla necessaria autorità del linguaggio, senza di cui non può esserci soggetto.

8 Il padre concreto (colui che il soggetto immagina perché ne ha l’esperienza) è di per sé l’occasione per verificare l’inadeguatezza del reale al simbolico Che cos’è il reale del padre, se anche per Freud il padre della orda genera la paternità significante solo restando fuori dai limiti della nascente umanità e non si sa padre? Riprenderemo più avanti anche questo aspetto; se ciascun soggetto deve passare per il complesso di Edipo, è perché si umanizza solo assumendosi l’omicidio attraverso cui l’umanità si è umanizzata. Questo omicidio non sfugge certo alla dimensione mitica, ma implica, a rigor di logica, dato che deve essere reiterato, che... «qualcosa» del padre resta inespugnabile [increvable] malgrado il simbolico. La castrazione, dal canto suo, non è un mito.

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Così, la questione del padre si rivela essere solo l’illustrazione di una tesi strutturale sullo sfasamento [décalage] se non sulla discordanza fra il reale e il simbolico. Questa tesi libera da ogni concetto della verità definita come adeguamento della cosa e della sua rappresentazione e ribadisce nella dottrina analitica il rigetto di ogni concezione della lingua come nomenclatura. La via è aperta per la messa in opera dela paradigma I, S, R, il primato del simbolico e la struttura di linguaggio dell’inconscio.

4. L’omologia del padre e del sintomo Il richiamo a questa elaborazione era necessario per giungere a quella sorta di cristallizzazione della dottrina lacaniana del padre che si sostiene, da una parte, sul Nome del Padre e i suoi equivalenti (padre simbolico, padre morto) – in quanto supporto della funzione simbolica del padre – e, dall’altra, sulla metafora paterna. È del tutto inutile esaminare qui questa dottrina del padre, divenuta «canonica» al punto che il suo successo è stato, e resta ancora oggi, un ostacolo alla ricezione delle tesi ulteriori di Lacan sul padre. Ci si permetta di evidenziarne solo gli aspetti suscettibili di chiarire il problema che ci occupa nel presente articolo: padre e sintomo. In Freud le elaborazioni relative al padre e al sintomo sono eterogenee: padre e sintomo si articolano solo attraverso la questione dell’orientamento [adresse] del sintomo e delle sue coordinate transferali. Per contro, in Lacan il loro comune trattamento a partire dalla logica del significante lascia apparire subito una solidarietà profonda, poi delle analogie formali, prima di giungere, con la topologia borromea, a una omologia di funzione. Una lettura, anche rapida, dei primi cinque seminari e dei testi dal 1953 al 1960 [9-10-11-12-13] mostra chiaramente una forma di transfert al sintomo di un sapere sperimentato a proposito del padre. I tre enunciati principali di Lacan sul padre – il padre è un significante, il padre è una metafora, il padre è l’anello che tiene insieme il tutto (bambino-fallo-madre) – saranno mutatis mutandis ripresi a proposito del sintomo. Una dottrina comune al padre e al sintomo si è dunque costituita attorno a quattro temi fondamentali: significante, metafora, punto di capitone [capitonnage] e annodamento (nouage).

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Questa tesi, facilmente dimostrabile, deve essere tuttavia completata, perché la formazione di questa dottrina è discontinua e paradossale; comincia infatti fondandosi sul padre concepito essenzialmente come padre simbolico, per concludersi con la promozione del padre reale e la ricusazione della nozione di «padre simbolico». Siamo sorpresi dal fatto che la maggior parte delle pubblicazioni in merito tirano avanti con la promozione del padre simbolico, come se fosse questo il culmine della lezione lacaniana, mentre sembrano ignorare il cambiamento di direzione (e, a fortiori, le sue ragioni). Ci soffermeremo adesso sul momento in cui Lacan rimette in questione la categoria di «padre simbolico», e su quello che lo precede e lo prepara: la critica delle costruzioni freudiane sul padre.

5. Decostruzione del padre freudiano Nell’insegnamento di Lacan conviene tener conto non solo delle elaborazioni positive, delle riformulazioni e delle formalizzazioni, ma anche di tutta la parte consacrata alla critica e alla decostruzione. In questa prospettiva, due contributi ci sembrano altrettanto decisivi dell’introduzione del Nome-del-Padre o dell’invenzione della metafora paterna. Il primo contributo appare nel seminario, libro XVII, Il rovescio della psicanalisi [14]. Nel corso della seduta dell’11 marzo 1970 Lacan esamina le tre costruzioni che sono a fondamento della sua dottrina del padre. E cosa mette in evidenza? Non il loro accordo, la loro omogeneità o la loro articolazione, ma la loro profonda discordanza! In effetti, osserva Lacan, il complesso di Edipo

è la storiella di Sofocle […] senza però […] il suo tragico. Secondo Freud, quel che l’opera di Sofocle rivela è che si va a letto con la propria madre dopo aver ucciso il proprio padre – assassinio del padre e godimento della madre da intendersi in senso oggettivo e soggettivo, si gode della madre e la madre gode. Non cambia niente alla questione il fatto che Edipo non sappia assolutamente di aver ucciso il padre e neppure sappia di far godere la madre o di goderne, poiché appunto è un bell’esempio dell’inconscio. ([14-A], fr. p. 131; it. pp. 138-139).

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La prima discordanza rilevata da Lacan concerne ciò che il complesso di Edipo enuncia relativamente al godimento e quello che possiamo dedurne a partire dalla «storia di cui vi parlavo prima, che non sta né in cielo né in terra, quella dell’assassinio del padre della orda primitiva. È piuttosto curioso che il risultato sia esattamente il contrario». ([14-B], fr. p. 131; it. p. 139). Nella lettura di Totem e tabù [15] proposta da Lacan non si può non essere colpiti da questa contraddizione:

Il vecchio papà le aveva tutte per sé, il che è già favoloso – perché avrebbe dovute averle tutte per sé? – e dal momento che vi erano di certo altri giovanotti, anch’esse avrebbero potuto avere qualche ideuzza. Ma ecco che lo si uccide. La conseguenza è del tutto diversa dal mito di Edipo – per avere ucciso il vecchio, cioè il vecchio orango, accadono due cose. […] – si scoprono fratelli. […] Decidono poi, concordemente, che non si toccheranno le mammine. Perché, per di più, ce n’è più di una. Potrebbero scambiarsele, visto che il vecchio padre le ha tutte. Potrebbero appunto andare a letto con la mamma del fratello, visto che sono fratelli soltanto da parte del padre. Sembra che nessuno si sia mai stupito di questa cosa curiosa, di fino a che punto cioè Totem e tabù non abbia niente a che fare con l’uso corrente del riferimento sofocleo. ([14-C], fr. p. 132; it. p. 139-140).

Lacan mette in serie i tre padri, il padre dell’Edipo, il padre della orda (l’Urvater), e Mosé. I tre assassinii sono così messi in prospettiva. Egli osserva prima di tutto che i risultati, rispettivamente, dell’avventura edipica e della fine del padre della orda, sono radicalmente opposti: nel dramma di Sofocle, l’assassinio del padre è la chiave per godere della madre, mentre l’assassinio del padre della orda interdice il godimento della madre, interdizione che fonda l’ordine sociale. In un caso (Totem e tabù), la rinuncia al godimento della madre è la conseguenza dell’assassinio; nell’altro (Edipo), l’interdizione del godimento della madre è la causa dell’assassinio. In quanto all’assassinio di Mosè, Lacan lo defila un po’ in rapporto agli altri due, facendone una condizione di verità poiché Mosé è ucciso per ritornare attraverso i profeti come ritorno del rimosso. Dall’uno all’altro caso, il rapporto morte del padre-godimento è dunque completamente rovesciato. Nel mito di Edipo è l’assassinio del padre che

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condiziona l’accesso al godimento della madre – genitivo oggettivo – mentre Totem e tabù enuncia il contrario: l’assassinio collettivo del padre istituisce il limite del godimento per ciascuno e il padre morto come guardiano del godimento. L’uomo Mosè e la religione monoteistica [16] non si accorda né con l’uno, né con l’altro. L’ipotesi freudiana dell’assassinio di Mosè sbocca su qualcosa di completamente diverso dal godimento o dalla sua interdizione: il ritorno dello spirito di Mosè attraverso i profeti – senza che Freud stesso ne tragga tutte le conseguenze. Delle tre elucubrazioni freudiane sul padre, c’è dunque una dimensione fondamentale che, se non assente, è per lo meno passata in secondo piano: «la relazione alla verità».

Quel che è certo è che il grossolano schema assassinio del padre/godimento della madre elide totalmente il movente tragico. Certo, è con l’assassinio del padre che Edipo trova via libera presso Giocasta, che gli viene data con acclamazione popolare. Giocasta, ve l’ho sempre detto, la sapeva lunga, perché le donne hanno sempre le loro piccole informazioni. Ella aveva un servitore che aveva assistito a tutta la faccenda, e sarebbe strano se questo servitore, che rientra a palazzo e che ritroviamo alla fine, non avesse detto a Giocasta – È lui che ha fatto fuori tuo marito. Comunque sia, non è questo l’essenziale. L’essenziale è che Edipo sia stato ammesso presso Giocasta perché ha superato trionfalmente una prova di verità. ([14-D], fr. pp. 134-135; it. p. 143).

Sottinteso: e non perché ha ucciso suo padre! È attraverso questa dimensione che Lacan corregge e riformula l’Edipo freudiano distinguendolo dalla metafora paterna. Al termine di questa revisione, ecco dunque il suo verdetto:

[…] se Edipo finisce molto male […], è perché ha voluto assolutamente sapere la verità. Non è possibile affrontare seriamente il riferimento freudiano senza fare intervenire, oltre all’assassinio e al godimento, la dimensione della verità. ([14-E], fr. p. 135; it. p. 143).

La morte del padre passa dunque in secondo piano.

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Della messa in tensione dei tre padri freudiani, Lacan privilegia l’insegnamento di Totem e tabù, cioè l’equivalenza del padre morto e del godimento, equivalenza che fa di questo padre un «operatore strutturale». In effetti, con l’enunciazione di questa equivalenza Totem e tabù assume pienamente la sua funzione di mito, ovvero di essere l’enunciato di un impossibile. È dunque il mito – ossia, secondo Lacan, «il dare una forma epica all’operazione della struttura» – che permette di circoscrivere, attraverso l’impossibile, il reale in gioco. Lacan lo nomina: padre reale, cioè il padre originale ma solo in quanto è completamente privo di psicologia. L’opinione di quei commentatori che hanno preteso di leggere questo «operatore strutturale» come un’operazione simbolica è dunque un controsenso; tutto all’opposto, la struttura è proprio ciò che fa obiezione al simbolico sotto le specie dell’impossibile. Un simile concetto del padre reale modifica considerevolmente il significato di castrazione in psicanalisi. Che il padre reale sia l’agente della castrazione – formula avanzata da Lacan fin dalla Relazione oggettuale [12-A] – non può più intendersi nel senso triviale (il padre concreto), come nel 1957, non fosse che perché la castrazione non è determinata dalla realtà ma dal significante-padrone. Infatti, nessun significante è intrinsecamente e di primo acchito un significante-padrone; lo diviene solo attraverso la mediazione dell’istanza del padrone. Diciamo, per far presto, che il padrone è irriducibile al significante-padrone che egli enuncia: «qualcosa» del padre non passa nel significante-castrazione. Questa prospettiva mostra dunque che in definitiva la castrazione è il fatto del linguaggio e che il padre concreto, colui che veste il significante della paternità, è solo l’agente del significante-padrone, il suo uomo di paglia. Di colpo, il riferimento freudiano del padre reale diviene chiaro:

Il padre, il padre reale, non è altro che l’agente della castrazione – ed è ciò che l’affermazione del padre reale come impossibile è destinata a mascherarci. ([14-F], fr. p. 145; it. p. 154).

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Sarebbe opportuno esaminare le necessità soggettive che hanno portato Freud a elaborare una simile concezione del padre, poiché è dall’analisi della sua nevrosi e in base al suo fantasma che egli costruisce e isola la funzione paterna. Ecco perché Lacan definirà Totem e tabù un romanzo, e poi un «prodotto nevrotico», e il complesso di Edipo un sogno di Freud. Ma non ci occuperemo di questo aspetto, per interessarci alle conseguenze della decostruzione lacaniana della dottrina sul padre.

6. «Non c’è padre simbolico» Ci occuperemo solo della conseguenza principale: la ricusazione della nozione di «padre simbolico». Nella seduta del 9 giugno 1971 del suo diciottesimo seminario, Di un discorso che non sarebbe del sembiante [17], riprendendo la sua critica delle discordanze dei miti freudiani sul padre, Lacan scrive9

:

I richiami appena fatti dei miti freudiani, permettono sbrigativamente di dire che essi si sostengono interamente sul romanzo familiare; i miti freudiani ne fanno parte, e che ne facciano parte autorizza a giudicarli. Nessun bisogno qui di psicobiografia. La metafora paterna, come ho denunciato da molto tempo, copre il fallo, cioè il godimento in quanto è del sembiante. Proprio per questo essa è votata allo scacco. Non c’è padre simbolico: non lo si è notato, nell’articolazione dove ho differenziato frustrazione da una parte, castrazione e privazione dall’altra. Il padre non è neppure in grado di enunciare la legge, anche se storicamente sembra così; può solo servirla. Il padre legislatore è automaticamente forcluso, come ho sottolineato per Schreber. Non c’è che un padre immaginario, il padre detto ideale, per costituire l’agente della privazione, che si riferisce unicamente a degli oggetti simbolici. ([17-A], p. 20).

9 Si tratta, in effetti, di un testo che Lacan si è preso eccezionalmente cura di scrivere. La

seduta del 9 giugno 1971, decisiva per questo lavoro, è stata pubblicata in extenso – l’insieme del testo scritto, compresa la parte non pronunciata, le «Note preparatorie» – nel supplemento al numero 8/9 della rivista L’Une Bévue, primavera/estate 1997 [18]. [Il testo di Lacan qui citato non è riprodotto nella versione del seminario stabilita da J.-A. Miller per Seuil - n.d.t.].

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Dell’impeccabile ternario iniziale, padre reale-padre simbolico-padre immaginario, non rimangono dunque che il padre immaginario e il padre reale. Certo, il ritorno alla Relazione oggettuale e alle operazioni che vi sono formulate e descritte attestano che l’efficacia del padre opera solo come padre reale nella castrazione e come padre immaginario nella privazione. Ma dai commenti di Lacan a sostegno della sua famosa tripartizione, il padre simbolico non era affatto assente. Tutto al contrario, vi prendeva parte come condizione dell’effettuazione delle tre operazioni, nella misura in cui esse sono legate al complesso di Edipo. Più radicalmente infine, la sua necessità dipendeva dalla sua equivalenza con il Nome-del-Padre:

Il padre simbolico è il nome del padre. Si tratta dell’elemento mediatore essenziale del mondo simbolico e della sua strutturazione. È necessario a questo svezzamento, più essenziale dello svezzamento primitivo, tramite cui il bambino esce dal puro e semplice accoppiamento con l’onnipotenza materna. Il nome del padre è essenziale a ogni articolazione del linguaggio umano ed è la ragione per cui l’Ecclesiaste dice: L’insensato ha detto in cuor suo: non vi è Dio. ([12-B], fr. p. 364; it. p. 366-367).

È dunque evidente la questione che ormai si pone: la ricusazione, da parte di Lacan, del padre simbolico comporta di conseguenza quella del Nome-del-Padre? Se sì, quali sono le sue conseguenze sul piano della clinica e della dottrina? Se no, come rendere ragione della dissociazione dei termini di padre simbolico, di Nome-del-Padre e di padre morto, posti poc’anzi come congruenti?

7. L’agente richiesto dalla castrazione: il padre reale Piuttosto che impegnarci in una rilettura e in un noioso commento dei testi, preferiamo partire dall’ipotesi che nel primo insegnamento di Lacan esista un corrispettivo della discordanza del padre che egli individua e decostruisce in Freud. In modo quanto mai evidente, l’equivalenza lacaniana stabilita fra padre simbolico, Nome-del-Padre e padre morto, consegue dalla volontà teorica di fare tenere insieme il padre della tradizione religiosa (Nome-del-Padre), il padre della metafora paterna (il significante che fa da supporto alla funzione del padre nell’inconscio) e il padre morto di Totem e

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tabù. Nessun dubbio che la teoria del significante, attraverso l’equivalenza che istituisce fra significante-simbolico-morte, abbia fornito a Lacan gli espedienti che gli hanno permesso di fare simultaneamente del Nome-del-Padre: il padre ridotto al suo significante, il padre mortificato dal significante, il padre morto al desiderio del soggetto, il supporto nell’inconscio della funzione del padre in quanto Altro della legge. Il Nome-del-padre è in definitiva il paradigma della logica del significante che esso fonda: la parola è l’assassinio della cosa, così come non c’è significante della paternità se non svuotato della bestia del godimento [bête de la jouissance] (la cui mancanza è supposta causare il desiderio). Questa costruzione elegante e sofisticata approda tuttavia alla questione: come può un padre così astratto, devitalizzato, introdurre il soggetto all’ordine del desiderio e della sessuazione? Nel 1956-1957, la tesi del padre reale come agente della castrazione tentava già di risolvere questo problema. La posizione di Lacan non soffre alcuna ambiguità:

Vi è il padre simbolico. Vi è il padre reale. L’esperienza insegna che, nell’assunzione della funzione sessuale virile, è il padre reale che con la sua presenza gioca un ruolo essenziale. Perché il complesso di castrazione sia veramente vissuto dal soggetto, bisogna che il padre reale giochi veramente il gioco. Bisogna che assuma la sua funzione di padre castratore, la funzione di padre nella forma concreta, empirica, e stavo quasi per dire degenerata, pensando al personaggio del padre primordiale e alla forma tirannica e più o meno terrifica nella quale il mito freudiano ce lo ha presentato. È nella misura in cui il padre, così com’è, ricopre la sua funzione immaginaria in ciò che ha di empiricamente intollerabile, e persino di rivoltante quando fa sentire la sua incidenza come castrante, e unicamente sotto questa angolatura, che il complesso di castrazione viene vissuto. ([12-C], fr. pp. 364-365; it. pp. 367).

Una simile presentazione della funzione castratrice del padre è talmente in contraddizione con la metafora paterna che al confronto quest’ultima sembra una dolce ninnananna! Ebbene, questa tensione ab origine fra i tre termini – padre simbolico, Nome-del-Padre, padre morto – da una parte, e, dall’altra, il loro rapporto al padre reale e alla sua funzione castratrice, si risolve nella ricusazione, nel

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1971, della nozione di padre simbolico. Ricusazione decisiva perché l’espressione venga abbandonata e per denunciare il «fascino» esercitato dall’assassinio del padre su Freud e i suoi lettori ([17-B], fr. p. 17) – fascino a cui molti, ancora oggi, sono sensibili. Ma paradossalmente questa ricusazione non ha prodotto le stesse conseguenze per il Nome-de-Padre. Ecco perché dovremo adesso interessarci, tra l’altro, al suo destino.

8. La funzione reale del padre Le ultime elaborazioni di Lacan sul padre hanno tentato di circoscrivere la funzione reale del padre al di là della sua funzione immaginaria e simbolica. In effetti, il movimento che va dal padre come significante al padre come sintomo dipende da un orientamento diverso da quello che troviamo all’origine dell’insegnamento di Lacan, fondato sull’inconscio strutturato come un linguaggio. Il secondo orientamento, che va dal padre come significante al padre come sintomo è, in senso stretto, orientamento verso il reale. Le prime costruzioni, dominate dal primato del simbolico, hanno permesso un guadagno inestimabile: la distinzione fra il ruolo reale del genitore e l’attribuzione simbolica della procreazione al padre; la distinzione delle figure, dei registri e delle funzioni del padre: - dire di no al godimento; - unire e non contrappore il desiderio alla legge; - legare attraverso il significante-padrone e al tempo stesso escludere, poiché ogni fraternità è fondata sulla segregazione, ecc. Ciò nonostante, il nuovo orientamento rivela il fallimento delle prime costruzioni a integrare una delle intuizioni più importanti di Lacan: la funzione di annodamento del padre così come egli l’ha proposta già alla fine del suo seminario su Le psicosi ([11-A], fr., p. 359). Questo annodamento designa un’operazione reale che si distingue dall’unione. Lacan aveva proposto un tempo il termine di unione in guisa di definizione hegeliana della funzione paterna: funzione irenica10

10 Irenismo: «orientamento teologico (dal gr. ε ἰρήνη «pace») che tende a enucleare i punti

comuni alle differenti confessioni cristiane in vista di una loro unione» (Treccani) [n.d.t.].

che risolve in

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una Afhebung11

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la contraddizione fra il desiderio e la legge. In vece dell’unione, l’annodamento costituisce il principio di avvicinamento del padre e del sintomo. È l’autentica posta in gioco degli ultimi seminari, in particolare dei libri XXII e XXIII, R, S, I e Il sinthomo [ , 20]. Lacan afferma a più riprese che è la sua pratica a orientarlo verso la topologia; intendiamo: l’impossibilità di renderne conto nei termini della logica e delle matematiche classiche. La topologia è una metafora? Senza dubbio nel senso in cui è applicata a un campo (il soggetto della psicanalisi) che le è irriducibile. I soli oggetti riducibili alla topologia sono gli oggetti topologici stessi. C’è dunque un resto di cui si può dar conto attraverso la topologia, un irriducibile, un infinito, un irrapresentabile che le ex-siste. Il problema, dopo tutto, si riduce alla trasposizione dei limiti della rappresentazione significante (già incontrata a proposito del significante stesso della paternità): per il fatto di essere rappresentazione, essa non è la cosa rappresentata. Ne conseguono: - la possibilità stessa della metafora: «La differenza che c’è fra la metafora e la struttura, è che la metafora è giustificata dalla struttura12 21» [ ]; - il passaggio dal significante alla lettera, che si può ottenere con la matematizzazione, per ridurre la metafora al minimo eliminando quanto più possibile gli effetti di senso legati all’articolazione significante13

21-A

; e infine - la peculiare accezione lacaniana del reale: «Il reale è l’impossibile solamente a scrivere, cioè non cessa di non scriversi. Il reale, è il possibile aspettando che si scriva» [ ]. Tesi completata dal fatto che il parlessere è chiamato così perché il fatto di parlare non lo sbarazza del reale; egli deve solo sopportare l’incidenza di questa esclusione, via il sintomo, che la lettera permette di logicizzare. La topologia è preziosa perché, per l’appunto, prende in conto ciò che ex-siste14 al parlessere, ciò che essa annoda [coince15

11 ll «motore» della dialettica hegeliana: negare, e al tempo stesso conservare ciò che è

negato, «sollevandolo » su di un altro piano [n.d.t.].

], inscrivendone l’ex-sistenza nella forma del nodo stesso.

12 Una parte di questo seminario è pubblicata nei numeri 12/13, 14, 15, 16, 17/18 della rivista Ornicar?, 1978-1979..

13 «[...] è solo nella lettera che l’identità di sé a sé è isolata da ogni qualità» ([19], p. 107). 14 Non tutto è riducibile al simbolico. Ma ciò che è fuori simbolico (il reale che siste), al di

fuori non è pensabile (come impossibile) e non si afferra che a partire dal (ex) simbolico: tale è il reale che ex-siste.

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L’umano è costituito da tre registri che la topologia rende omogenei nelle specie di tre anelli di spago non distinguibili: l’immaginario (il corpo, la significazione, il senso), il simbolico (il linguaggio), il reale (l’essere di godimento). Nessun privilegio di uno sugli altri, a condizione di annodarli correttamente. Il nodo borromeo preserva questa caratteristica: la rottura di un anello qualsiasi libera gli altri due. Il nodo è imposto al soggetto dall’esigenza in cui si trova di alloggiare la sua singolarità, il reale che lo caratterizza, nell’habitat del linguaggio. In questa operazione il corpo (immaginario) gioca la sua parte. La singolarità del soggetto è così presa in esame in due modi: dal punto di vista del reale con cui ha a che fare e dal punto di vista del tipo di soluzione adottata – l’annodamento – per trattare (legare, alloggiare) questo reale. Ecco perché il reale è situato nel nodo borromeo al tempo stesso come un nodo equivalente agli altri e come l’annodamento stesso. Differenti tipi di annodamento e di intoppi dell’annodamento sono presi in considerazione; essi permettono, da una parte, di declinare le strutture cliniche (quanto meno la nevrosi, le psicosi), e, dall’altra, di pensare l’operazione analitica come uno snodamento-riannodamento [dénouage-rénouage], e la vita stessa come una treccia. Il dire dell’analizzante testimonia della natura del nodo e opera sul nodo, mentre la presenza dell’analista dà consistenza a ciò che annoda [coince]. Abbiamo insistito su questo aspetto topologico per tentare di rispondere all’obiezione abituale secondo cui si tratterebbe di una forzatura inutile e complicata. Non svilupperemo tutte le impicazioni cliniche sottese dalla nuova formalizzazione, ma prenderemo in esame solo quelle che risultano incisive riguardo alla questione che ci interessa, sempre «padre e sintomo». Come è possibile distinguere un anello dall’altro – il simbolico dall’immaginario, l’immaginario dal reale, il reale dal simbolico? Lacan tenta una prima risposta a partire dall’annodamento [coincement16

15 Coincer: fissare con dei cunei; per estensione: bloccare, immobilizzare, serrare; in questo

caso abbiamo preferito tradurre con “annodare” [n.d.t.].

] che permetterebbe di ordinare gli anelli e di distinguerli almeno formalmente.

16 Coincement, letteralmente «incastro», è un termine alpinistico che consiste nell’incastrare il piede, il ginocchio, il pugno, ecc. in un pertugio della roccia durante la scalata, vagliando la solidità della presa mediante il peso del corpo [n.d.t.].

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C’è solo il padre per operare questo annodamento? Freud risponde affermativamente: è il padre che fa tenere [insieme] la realtà psichica: la realtà psichica e il complesso di Edipo sono una sola e medesima cosa, che non si distingue dalla realtà religiosa (l’annodamento è operato da un Altro) [19-A]. L’alternativa suppone di mantenere i tre registri slegati. Chi verrà a legarli? Lacan evoca al tempo stesso i Nomi-del-Padre (per tener conto di diversi modi di annodamento per mezzo dell’Altro), e l’eventuale supplenza a questo annodamento per mezzo dell’Altro, supplenza che può venire solo dal soggetto. Ma il soggetto non cede alla necessità dell’annodamento, che sia sollecitato presso l’Altro o che sia una propria invenzione, se non scontrandosi preliminarmente con il reale. Com’è offerta al soggetto l’ex-sistenza del reale al simbolico, perché egli vi trovi appoggio per la sua soluzione, il suo sintomo, che sarà funzione di questa incognita del reale?17

Questo problema conduce Lacan a proporre una revisione della metafora paterna in termini frequentemente commentati, di cui ci occuperemo adesso.

9. La metafora paterna rivisitata Riassumiamo brevemente la logica che conduce Freud a introdurre la questione del padre nella psicanalisi, e che porta Lacan dapprima a formalizzare l’Edipo nella metafora paterna, poi a intraprendere una revisione di quest’ultima fino a ricusare la nozione di padre simbolico. Come si assicura un nevrotico del suo rapporto al linguaggio, linguaggio di cui egli è l’effetto? Secondo Freud, per mezzo del complesso di Edipo, per simbolizzare, con la figura del padre, la sua necessaria dipendenza dall’Altro; e per mezzo della castrazione, per simbolizzare ciò che perde, in relazione al godimento, per il fatto di parlare.

17 «Parlo della funzione del sintomo, funzione da intendersi come la f della formula

matematica, f(x). E che cos’è la x? È ciò che, dell’inconscio, può tradursi attraverso una lettera [...]» [19-B]. L’inconscio è qui la marca del difetto irrimediabile di sapere (rimozione originaria, direbbe Freud) legato all’irriducibilità del reale del soggetto al simbolico. Il sintomo dipende da questa marca, da questa cifratura. Lacan non lascia alcun dubbio sull’accezione matematica del ricorso alla funzione.

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Perché la simbolizzazione per mezzo del padre possa «operare», come mostra Lacan, bisogna che la madre imputi al padre simbolico la nascita del soggetto, distinguendolo così dall’individuo biologico, la cui nascita dipende dai genitori. Bisogna insomma che il desiderio della madre – la quale è dunque mancante – sia metaforizzato dal Nome-del-Padre, ossia che la madre «unisca il suo desiderio alla legge» e ponga il bambino sulla via di domandarsi ciò che che a lui manca, e che lei trova nel padre: è l’operazione della castrazione. A dire il vero, la castrazione non è il prolungamento della mancanza-di-godimento [manque-à-jouir] (incontrata come frustrazione), ma l’assunzione di una perdita: il soggetto sacrifica un oggetto prelevato ai limiti dell’organismo (seno, faeces, voce, sguardo) per simbolizzare la mancanza di godimento come radicale. Ma allora, come può un soggetto acconsentire alla castrazione, o più semplicemente incontrarla, se il simbolico che egli abita è per definizione castrato del reale – cioè se il padre simbolico è il padre morto (della orda primitiva e del complesso di Edipo), devitalizzato, buono tutt’al più a registrare la mancanza di godimento? Che cosa potrebbe mai trovare la madre in un partner ridotto al significante? La castrazione si ridurrebbe quindi all’operazione che deve permettere al soggetto di sbarazzarsi del godimento per abitare un mondo virtuale? Senza la riabilitazione del padre reale che Lacan ha introdotto nel seminario sulla Relazione oggettuale (ma la cui potenzialità non ha in seguito sfruttato) queste domande restano senza risposta. Riguardo al padre reale, seguiamo gli sviluppi essenziali di Pierre Bruno (1999 e 2000) [22, 23]. Spetta al padre reale rendere presente, farsi carico del reale come ciò che fin dall’origine è eterogeneo e irriducibile al simbolico. L’isterica, a modo suo, ne dimostra la necessità. L’isterica tenta innanzitutto di sbarazzarsi del padre reale, mettendolo in questione in nome del fatto che – secondo la tesi che ha soffiato a Freud – il padre deve essere castrato; in questo modo, lo riduce al padre simbolico. Allora la castrazione è inoperante. Da qui l’appello fatto al padre immaginario perché assuma il ruolo di privatore. La revisione della metafora paterna muove dalla necessità del ricorso logico al padre reale.

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Lacan intraprende la revisione della metafora paterna nel seminario Il rovescio della psicanalisi, mentre al tempo stesso costruisce la sua teoria del legame sociale. Che cosa lega il padre alla categoria del legame sociale? In un certo senso, Freud l’aveva preceduto, mostrando, attraverso il mito di Totem e tabù, che le prime comunità umane hanno potuto stabilirsi solo mediante l’esclusione della bestia del godimento. Il padre morto, costruito sulla spoglia, per chi assume la sua morte come un assassinio commemora il passo mediante cui l’umanità si è umanizzata. In questa concezione, i soggetti fanno legame insieme perché hanno rinunciato al godimento per salvare la nuova alleanza; la orda di Freud è ormai una comunità di fratelli e di sorelle, mancante, desiderante. Per reintrodurre la considerazione del godimento – per lo meno il godimento che si può acquisire per mezzo del fallo – Freud è logicamente costretto a postulare che non ci si umanizza da soli, ossia che la comunità umana è più estesa della orda, e che l’esogamia regolerà ormai le leggi dell’alleanza che permette a ciascuno di trovare un(a) partner. Gli uomini, per così dire, hanno relazioni con le donne solo perché le hanno sottratte al padre reale della orda18

Sappiamo che Freud dovrà prendere atto del ritorno del godimento al centro del soggetto in Al di là del principio di piacere. È proprio a questo punto che Lacan promuove la sua teoria del legame sociale come un «certo uso del discorso per fare legame» – il che lo porta a utilizzare vicendevolmente i termini «legame sociale» e «discorso». Questo legame, per un soggetto, consiste per l’appunto nell’annodarsi [se nouer] al discorso che permette ai suoi simili di costruire una comunità. Possiamo dunque affermare, sapendo che «il significante rappresenta un soggetto per un altro significante», che i soggetti fanno legame insieme, almeno in apparenza, perché i significanti si articolano. Solo che il soggetto deve alloggiare in questo legame ciò che costituisce la sua soggettività, la sua irriducibilità al significante, ciò che del suo godimento lo induce «a portare, vivente, il significante nel reale», per usare una formula precoce citata da Lacan nel seminario IV [

.

12-D]. Questo legame si opera attraverso il sintomo. Tutto

18 Una recente esposizione al museo Dapper (marzo 2002) ci fa sapere che presso i Baoulés,

un gruppo sociale africano, ciascun individuo della coppia aveva un partner simbolico. Ma solo le donne gli costruivano una statua, chiamata blolo bian, per mezzo della quale ciascuna donna continua la sua relazione con lui!

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sommato, ciascuno può sperimentare che il sintomo è il luogo di una tensione fra ciò che il soggetto ha di più intimo (al punto da essere un enigma perfino per lui) e il comune davanti a cui si giudica anormale, fuori norma, ecc. È proprio di questo che si tratta: è il padre reale che mette il soggetto sulla via del reale con cui ha a che fare, per annodarlo per mezzo del sintomo e creare il legame sociale. Dopo avere ricordato la relazione del capitalismo col discorso del padrone, Lacan riprende in concreto l’analisi freudiana del caso di Dora. Egli attribuisce l’errore di Freud – tendere all’elusione (evitamento) della dialettica del desiderio – al carattere «strettamente inutilizzabile del complesso di Edipo». A che cosa si deve questo giudizio severo? Al fatto che, secondo Lacan, Freud dissimula qualcosa nel complesso di Edipo – precisamente il fatto che, fin dal momento in cui il padre entra nel campo del discorso del padrone (che qui deve intendersi come l’entrata del padre nel campo significante), non appena il padre si fa significante (padre simbolico), è castrato. Questa operazione non è né più né meno che un’operazione da nevrotico ossessivo (è in questo punto che abbiamo situato l’incidenza della nevrosi di Freud) per disfarsi del godimento e insieme del padre reale. Un’operazione che consiste nel far equivalere il padre reale, il padre del godimento, al padre morto. Proprio per denunciare questa equivalenza, Lacan propone di isolare il reale del padre come irriducibile [increvable19

Questa riabilitazione [del padre reale o del reale del padre] passa per la distinzione fra il padre simbolico (il fatto di attribuire l’avvenimento del soggetto al significante della paternità via il padre morto) e il Nome-del-Padre (il fondamento della legge simbolica che permette di nominare il reale). La necessità di questa distinzione si può ricavare da ciò che Lacan descrive come «primo tempo e prima tappa del complesso di Edipo», nel seminario Le formazioni dell’inconscio:

] [a questa equivalenza].

Al primo tempo e alla prima tappa, si tratta dunque di questo – il soggetto si identifica specularmente con ciò che è l’oggetto del desiderio della madre. È

19 Increvable, letteralmente «non perforabile», in senso figurato significa resistere a tutto,

essere indistruttibile, invincibile, che non non può essere ucciso [n.d.t.].

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la tappa fallica primitiva, quella in cui la metafora paterna agisce in sé, nella misura in cui il primato del fallo è già instaurato nel mondo attraverso l’esistenza del simbolo, del discorso e della legge. Ma il bambino, lui, non ne coglie che il risultato. Per piacere alla madre (...) basta ed è sufficiente essere il fallo. ([24], seduta del 22 gennaio 1958; tr. it. p. 194).

La presenza del simbolo della paternità precede logicamente il ricorso alla funzione paterna assicurata dal Nome-del-Padre; c’è del soggetto, questo soggetto parla, dunque c’è del padre simbolico. La distinzione fra padre simbolico e Nome-del-Padre si rivela adesso feconda. Permette infatti di distinguere la morte e la legge, creando uno «spazio» (Bruno, 1999 e 2000) [22-A,23-A] dove sorge la dimensione di ciò che la legge interdice come pure di ciò che essa protegge; spazio del desiderio (del soggetto in quanto vivente), ma anche spazio in cui potrebbe far ritorno il gaudente [jouisseur] indistruttibile.

10. Clinica della seconda metafora paterna La revisione della metafora paterna è molto clinica:

È necessario che chiunque possa fare eccezione perché la funzione dell’eccezione divenga un modello, ma la reciproca non è vera – non è necessario che l’eccezione la possa fare chiunque perché, per questo, costituisca un modello. È quel che avviene ordinariamente – chiunque raggiunge la funzione d’eccezione che ha il padre, sappiamo con quale risultato: nella maggior parte dei casi la sua Verwerfung mediante la filiazione che genera, col risultato psicotico che ho denunciato. ([19-C], 21 gennaio 1975).

Se la funzione d’eccezione la può fare chiunque, non c’è eccezione. Se non la può fare chiunque, quando un soggetto la presenta essa è effettivamente funzione d’eccezione. La forclusione del Nome-del-Padre non elimina lo spazio aperto dalla distinzione fra il padre simbolico e il Nome-del-Padre, ma consegna il soggetto alla minaccia diretta del godimento del padre reale, alla sua perversione in questo caso. Com’è introdotta nel nevrotico la funzione d’eccezione? Lacan riprende:

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Un padre ha diritto al rispetto, se non all’amore, solo se questo amore, questo rispetto, è – non crederete alle vostre orecchie – per-versamente [père-versement20

19-D] orientato, cioè fatto di una donna, oggetto a che causa il suo

desiderio. ([ ], 21 gennaio 1975).

Lacan ci propone una struttura che, anche su questo punto, è l’opposto di quella del mito della orda freudiana. Se, da una parte, il vecchio maschio gode di tutte le donne e genera il significante della paternità nell’essere ucciso da coloro che si riconosceranno suoi figli; dall’altra, un soggetto deve acconsentire a localizzare il godimento che perde a parlare (e che spera di recuperare attraverso la via del sessuale) in una donna – che occupa così il posto della causa del desiderio di quest’uomo (causa che nella sua algebra Lacan scrive «oggetto a»). Dopo tutto, si tratta di una delucidazione delle formule della sessuazione: esiste un soggetto che pone il godimento come non riducibile al simbolico attraverso la castrazione.

Ma quello che una donna ne accoglie non ha niente a che vedere nella questione. Ciò di cui ella si occupa sono altri oggetti a, i bambini, presso i quali il padre interviene – eccezionalmente nel migliore dei casi – per mantenere nella repressione, nel giusto semidio [mi-dieu21

19-E

], la versione che gli è propria della sua per-versione [père-version], sola garanzia della sua funzione di padre, la quale è la funzione di sintomo senza che io l’abbia scritta. È sufficente che egli sia un modello della funzione. Ecco cosa dev’essere il padre nella misura in cui può solo essere eccezione. ([ ], 21 gennaio 1975).

Poco importa, precisa Lacan, che il padre abbia dei sintomi, se vi aggiunge «quello della per-versione [père-version] paterna, cioè che la causa ne sia

20 Gioco basato sull’omofonia fra perversement, perversamente, e père-versement; la père-

version si potrebbe rendere con: la padre-versione, o la versione (anche nel senso di verso, orientamento) del padre – perdendo però completamente il gioco di parole [n.d.t.].

21 Indubbia l’assonanza con «juste milieu», il giusto mezzo. Più avanti, nella stessa seduta del 21 gennaio 1975, Lacan precisa: «La normalità non è la virtù paterna per eccellenza, ma lo è solo il giusto mi-dieu detto al momento, cioè il giusto non detto», ossia «un detto in cui non si vede di seguito di cosa si tratta in quello che non dice». L’atto del padre, secondo Lacan, non sta in ciò che dice, ma in quello che non dice! – non: in un momento qualsiasi, ma al momento giusto [n.d.t.].

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una donna, che gli sia devota [acquise] per fargli dei bambini, e che di questi ultimi, che lo voglia o no, egli si prenda cura paterna». È un’esagerazione fare della funzione paterna un sintomo del soggetto, senza che il padre stesso sia un sintomo? Il sintomo consiste, per il padre, nell’alloggiare il suo godimento in una donna, per non correre il rischio di prelevarlo a scapito dei suoi bambini, come farebbe colui che si prendesse per «il» padre22

Questa logica implica il domandarsi che cos’è una donna per un uomo.

. Per il primo [padre], il godimento che egli può ignorare e che causa il suo desiderio, fonda quello che Lacan definisce il «giusto non detto». Il secondo [padre] proferisce la legge su tutto; «educatore», scommette su una trasmissione integralmente simbolica, impone ai suoi bambini la «buona maniera» di annodare simbolico, reale e immaginario, senza che il soggetto ci metta del suo – senza sintomo, dunque. Sappiamo che Lacan trascriverà l’annodamento paranoico in una tripartizione [triplice] che allinea i tre registri [simbolico, reale e immaginario] senza alcuna possibilità di distinguerli.

È incluso in ciò che precede. Una donna acconsente a incarnare per un uomo ciò che egli perde a parlare, se non ciò che del soggetto23

Il modo di concepire e di dare statuto clinico ai bambini, presentati comunemente come «il sintomo della verità della coppia parentale», è dunque modificato. Conviene vedere nel neonato il sorgere di un reale, di un’alterità, che i genitori devono localizzare come tale; è questo annodamento che fa del bambino un sintomo. Ma come situerà lui stesso il reale a cui, come soggetto, è confrontato? Questione che riprende quella avanzata più sopra e che ci ha condotto all’esame della topologia di Lacan: in che modo il padre annoda il desiderio alla legge (quando non c’è forclusione

sfugge a ogni rappresentazione. In quanto tale, lei si situa dal lato di ciò che non parla, dal lato dell’oggetto, trovando, grazie all’uomo che la innalza a causa del suo desiderio, il mezzo di prendere alloggio nel mondo; per quest’uomo, questa donna è un sintomo. Quanto a lei, non è un oggetto. Come parlante, ha i suoi propri oggetti a – i bambini. Il fissare [arrimer] il suo godimento a un uomo la protegge dal fare di questi ultimi dei feticci.

22 Delucidazione marginale sulla pedofilia: pista da riprendere. 23 Tanto per il suo partner quanto di ciò che lei stessa è come soggetto parlante.

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del Nome-del-Padre), se non ci si accontenta più dell’unione del desiderio e della legge di cui Lacan aveva parlato fino alla «Questione preliminare...» [6-A]?

11. La dottrina borromea del padre La dottrina borromea del padre ci porta alle ultime questioni che ci proponiamo di esaminare. L’annodamento non ha lo stesso valore a seconda che il soggetto, per realizzarlo, si affidi al padre – o a qualsiasi figura dell’Altro – o a seconda che costruisca lui stesso la propria soluzione. Senza dilungarci troppo, indichiamo che una cura conduce il soggetto fino al punto in cui scopre che non c’è nessun Altro, se non il sintomo che egli è, a tenere insieme il reale, il simbolico, l’immaginario. Questa scoperta passa per la messa in gioco del padre, ma nella forma deducibile da questo sviluppo. Conviene distinguere, da un lato, il padre simbolico, il padre che nomina [nommant24

La caduta della credenza in un Altro supposto rispondere dell’essere del soggetto, costringe ques’ultimo ad appoggiarsi sul godimento irriducibile, per costruire la sua propria soluzione. Al termine di un’analisi, il soggetto è senza dubbio sollevato dal non dover più attendere dall’Altro una risposta impossibile, ed è proprio in questo momento di dissoluzione del transfert che percepisce la «sorta di reale» che egli è, e che obietta all’Altro

], di cui ciascun soggetto si serve e di cui non necessariamente fa a meno; dall’altro, il reale del padre, ossia ciò che, della versione del suo godimento, non è colpito dalla castrazione ed è sempre irriducibile al simbolico (irriducibile anche al fantasma grazie a cui il soggetto tenta d’immaginare cosa sarebbe il godimento del padre – godimento che egli patirebbe – se il padre fosse l’Altro).

25

24 Cioè il padre che dà un nome (per esempio il proprio nome al figlio, il «Nome-del-

Padre»), che chiama (per esempio, chiama il figlio fuori dal legame con la madre), che e-voca (induce vocazione) e che «nomina», cioè elegge, investe, designa (per esempio, «questa è la mia donna, questi sono i miei figli») [n.d.t.].

. Questa «sorta di reale» non è necessariamente il reale che per Lacan costituisce uno

25 Obiezione che il soggetto muove più all’esistenza stessa dell’Altro che risponde, che alle sue eventuali risposte. Ci rendiamo conto di quanto sia problematica l’espressione «sorta di reale», che accostiamo alla ricerca, da parte di Lacan, «di un frammento [bout] di reale».

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dei registri della struttura del soggetto, irriducibile al simbolico e all’immaginario. Si tratta, così come l’abbiamo individuato in precedenza, del reale dell’annodamento [coincement26], cioè della singolarità [del soggetto] che introduce uno «zoppicamento» [clocherie27] nel reale, da intendere questa volta come registro – «zoppicamento» che prova in qualche modo l’ex-sistenza28

Lacan trova la conferma di questa concezione nell’esame del caso Joyce. Un ricordo di Joyce testimonia che in lui il corpo (immaginario) non è ben fissato al simbolico e al reale, al punto da sentirlo scivolare via come una pelle. La funzione di nominazione non è sostenuta da nessun Nome-del-Padre: per lui il nome proprio non ha più valore di un nome comune. Ma Joyce è riuscito, mediante il lavoro della scrittura, a farsi un nome – da intendere nel senso di «farsi un sintomo».

del reale sia all’immaginario che al simbolico.

Per ridurre gli sviluppi di Lacan alle loro conclusioni, bisogna prendere atto del difetto presto intravisto che colpisce strutturalmente il simbolico, incapace di riassorbire il reale che esso produce precisamente come impossibile da scrivere. Ecco perché è necessaria la funzione paterna per legarli [il simbolico e il reale] l’uno all’altro, nominare il reale e introdurvi la differenza sessuale. Ma sappiamo che si può imputare al padre simbolico la stessa mancanza del simbolico. Da qui lo sdoppiamento fra il padre del nome e il reale del padre – il quale non è padre di niente [22-B, 23-B]. La questione delle supplenze viene così posta in modo nuovo: non si tratta di supplire alla carenza del padre, di riuscire là dove il padre fallisce, ma di supplire alla mancanza strutturale appoggiandosi sul reale irriducibile con cui ha a che fare il soggetto. L’interesse di Joyce, in cui il Nome-del-Padre non interviene a supplire la mancanza simbolica, è di mostrare che è nondimeno possibile che il soggetto si doti, senza il padre dunque, e grazie al sintomo, di una supplenza alla mancanza radicale. Il sintomo cambia di senso. Abbandona la sua funzione patologica nell’economia soggettiva per ridursi in questo caso alla funzione che ha preso dalla struttura per legare simbolico, reale e immaginario, invece del

26 Cfr. la nota 16 [n.d.t.]. 27 Clocher: zoppicare, claudicare, designa anche familiarmente qualcosa che non va, come

spesso Lacan definisce il sintomo [n.d.t.]. 28 Cfr. la nota 14 [n.d.t.].

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padre. È quel che Lacan chiama, riferendosi al nevrotico, fare a meno del padre a condizione di servirsene, perché per lui è un padre concreto che ha introdotto il desiderio – dunque un godimento – irriducibile alla castrazione. Il nevrotico si appoggia su questo osso per inventare una soluzione che non prende in prestito da nessun Altro. Il padre è sempre il padre del desiderio, ed è per questo che trasmette una versione di godimento attraverso cui il soggetto può assicurarsi di una causa.

12. L’insegnamento di un caso Un caso servirà da illustrazione al nostro argomento. Figlio d’insegnanti, primo della classe, Giulio ne ha abbstanza della persecuzione dei suoi compagni che lo trattano da «intellettualoide». Così un giorno decide – è allora in quinta – di smettere seduta stante di lavorare. Davanti al disastro scolastico che ne consegue, i genitori sconvolti lo portano a uno di noi. Giulio spiega che non vuole lavorare come i suoi genitori per guadagnarsi la pensione alla fine della sua vita. Vuole godere subito della sua vita. Perché suo padre e sua madre non accettano la sua scelta? Gli dispiace di causare loro una pena, anche se non vuole rinunciare alla ragione di questa pena. D’accordo col suo analista, decide di entrare in collegio per mettere fine allo scontro violento e quotidiano che la sua decisione provoca nella famiglia. In questa circostanza sopraggiunge forse l’unico momento d’angoscia. Una notte, discute con una decina di compagni nella stanza di uno di loro. Arriva il sorvegliante. Il gruppo si disperde e ciascuno raggiunge il suo letto. Tranne lui, frenato dalla sua pinguedine, che si nasconde sotto il letto del suo ospite. Passato l’allarme, i suoi amici si precipitano per impedirgli di uscire e invitano il dormitorio a venire a vedere il nuovo domicilio di Giulio, terrorizzato per la «domiciliazione forzata». Riesce a superare la barriera delle gambe, ma invece di rientrare nella propria stanza scappa dal collegio e raggiunge la casa dei suoi genitori. I genitori lo portano d’urgenza in seduta. Si rende conto che se non ritorna a scuola sarà dura affrontare i suoi vecchi compagni e fronteggiare d’ora in poi ogni situazione difficile. Negozia coraggiosamente il suo ritorno, riprende il suo posto al collegio dove è piuttosto ben accolto... Ma continua

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a non lavorare e alla fine dell’anno scolastico viene rimandato. Di rimando in rimando, si ritrova dopo un certo tempo in una classe specializzata di un istituto tecnico. I genitori si accordano per lasciarlo tutte le mattine davanti alla porta dell’istituto. Scoprono poi con stupore che, malgrado sia accompagnato da loro tutti i giorni, Giulio non frequenta la classe e l’accusano di marinare la scuola. All’analista che lo interroga sulle sue fughe, spiega che non è vero niente: fra il portico dell’istituto e la classe, deve passare davanti al circolo dei giochi di ruolo, e non può fare a meno di entrarvi e di restarvi. «Qual è il tuo ruolo?». «In nessun caso quello di chi conduce il gioco, ma spesso quello del bestione senza cervello che assale» – l’anti-intellettuale, insomma... che non è impacciato dalla pinguedine. L’analista si stupisce: «Come puoi, proprio tu che non sopporti nessuna autorità – né quella del padre, né quella della madre, né quella della scuola, ecc. – piegarti all’autorità coercitiva delle regole del gioco di ruolo? Non puoi fregartene di questa servitù volontaria, hai bisogno di un Altro che comanda!». Giulio è sorpreso. Nella seduta successiva annuncia che ha deciso di rientrare tra i «compagni del dovere». È come se la realizzazione della sua necessaria dipendenza dall’Altro – forse perché ha verificato sperimentalmente nel «gioco», e senza saperlo, che non era in pericolo – gli permettesse di assumerla e di fare assegnamento su di essa per cambiare il suo posto nell’esistenza. Il padre lo sostiene nel suo progetto di destino «manuale» prima di crollare, mentre la madre continua a essere in collera, lei che ha dispensato tutte le sue energie per trovargli degli istituti in grado di permettergli di non disonorare le generazioni d’intellettuali che l’hanno preceduto. D’altronde, è arrabbiata con Giulio perché «spaccerebbe». Domandandogli su che cosa si fonda questo sospetto, Giulio risponde che la madre ha scoperto il denaro che lui guadagna vendendo le carte più costose, preziosamente conservate finora, di un gioco di ruolo che non pratica più. Colpito da questo accenno di separazione proprio mentre sta considerando di cambiare d’Altro (i compagni del dovere al posto del gioco di ruolo), l’analista lo interroga sui personaggi messi in scena e in particolare gli chiede se ci sono solo dei mostri o anche uomini e donne. «Ci sono delle

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donne molto ben disegnate», risponde sorridendo maliziosamente, abbozzando con un gesto eloquente il contorno di un seno opulento. L’analista osserva in proposito che è la prima volta che Giulio dice «qualcosa di sessuale». Lui risponde che finora non gli aveva dato peso. Non ha una «amichetta». Ma è in attesa. E spera. In effetti, nel corso delle sedute successive racconterà lo shock provato nell’apprendere da una compagna che era stata violentata dai genitori, e come si era trasformato nel suo cavalier servente! Il mostro del gioco di ruolo si umanizza davanti al vero orrore! Questo ragazzino non si sopporta sotto il significante (padrone) «intellettuale» dove è forzatamente domiciliato29, né in nessun luogo dove l’Altro potrebbe coglierlo: sta in questo l’angoscia del persecutore. Il fallimento scolastico è un modo di sfuggire all’influenza dei genitori. E senza dubbio la sua pinguedine lo svincola dal bambino ideale sognato dalla madre – ecco perché non si lamenta del suo peso, né degli eventuali sberleffi dei suoi compagni. Ne godrebbe? Il suo corpo è quello «del bestione senza cervello che assale», non marcato dalla castrazione, il che conferma l’impossibilità di intaccare la sua obesità per mezzo di una dieta qualunque. La volontà30 di un godimento immediato sottolinea lo scacco della castrazione. Questo scacco è secondario alla forclusione del Nome-del-Padre? O sarebbe piuttosto l’effetto della sua inscrizione, come agente, nel discorso capitalista?31

Il gioco di ruolo gli offre un sembiante d’essere, e al tempo stesso un Altro che lui può sopportare. È ciò che gli rivela l’interpretazione. Acconsente a sbarazzarsi di alcuni oggetti preziosi... per acquistare un computer ancora più prezioso in vista di giochi ben più sofisticati e interattivi; così fa posto agli altri. Sperimenta una prima emozione sessuale. È il preludio della dialettizzazione della sua nevrosi infantile? È l’effetto dell’animazione di una struttura psicotica per opera del desiderio

29 Come si dice: agli arresti domiciliari [n.d.t.]. 30 Ecco perché abbiamo prima sottolineato il verbo «volere» : Giulio vuole questo e non

vuole quello... 31 Che Lacan caratterizza appunto mediante la forclusione della castrazione e il rigetto delle

cose dell’amore.

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dell’analista? In ogni caso, dove è passata l’angoscia, in un soggetto in cui nessuna perdita sembra potersi inscrivere o essere simbolizzabile? Giulio pensa di fermarsi; ritiene di avere raggiunto quello che poteva sperare dal lavoro analitico. Ha effettuato la sua parte di cammino, i suoi genitori non cambieranno. L’angoscia parossistica dei genitori trova una via d’uscita: la madre sale di grado e si trasferisce in una scuola vicina; il padre, ottenuta la pensione, si consacra alla sua sola passione: la vela. Giulio aspetta di vedere come sarà il lavoro in azienda e la formazione con i compagni. All’evocazione del suo avvenire spunta una leggera inquietudine. Senza dubbio la presenza dello psicanalista ha disegnato artificialmente il contorno di un vuoto grazie a cui il soggetto sfugge all’influenza dei genitori, con grande sollievo degli uni e degli altri. La pacificazione conseguita assomiglia a quella specie di pace sociale ottenuta con il semplice isolamento dei belligeranti: nessuno sa quando s’incontreranno di nuovo. Ma se questo giorno arriva, Giulio rischia di essere impotente come il primo giorno; mancandogli il potere di mobilitare la funzione paterna, la sua inscrizione nel legame sociale resta, come sembra, definitivamente precaria...

13. Per concludere Qual è dunque l’effettivo interesse dell’analisi lacaniana della questione paterna per la clinica attuale? La funzione che il sintomo prende dal reale è una funzione di annodamento: - dei registri reale, simbolico, immaginario, senza il ricorso a nessun Altro; - di ciò che il soggetto ha di più singolare rispetto agli altri, via il linguaggio, in un «vivere insieme» a cui apporta il suo tratto peculiare. Lacan propone di distinguere il sintomo [symptôme] così ridefinito, dalla sua forma patologica, modificandone l’ortografia in quella della scrittura antica: sinthomo [sinthome]. Si aprono così delle prospettive di ricerca sul legame sociale contemporaneo. Della complessa elaborazione che Lacan gli consacra [17-C, 25], prenderemo in considerazione solo il posto dominante della scienza contemporanea – la tecnoscienza –, nella sua incidenza immediatamente percepibile. Ormai, nell’universo della tecnoscienza, nessuna autorità ha più

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valore, compresa la scienza stessa, votata a diventare il «cimitero delle teorie». L’unione della scienza e della tecnologia – pietra angolare della nuova forma del discorso del Padrone – tende a naturalizzare i soggetti riducendo i loro desideri ai bisogni, che i gadget – o lathouses32

26

– fabbricati dalla tecnoscienza e distribuiti sul mercato hanno la funzione di soddisfare. Il godimento è ovunque, accessibile a chi lo vuole, al punto che ci viene comandato di «godere senza ostacoli»! Come può dunque un padre fare eccezione, collocando il suo godimendo, la sua per-versione [père-version] dal lato di una donna che per accoglierlo scommetterebbe [miserait] il suo proprio desiderio ? Non diremo che questa per-versione [père-version] non sia più possibile – benché per alcuni sia la tossicomania [ ], per esempio, a fargli concorrenza –, ma che essa non fa più eccezione, perché «può farla chiunque». La postmodernità [27, 28] è uno stato della cultura e del legame sociale dove, non essendoci nessun Altro a fare autorità, il soggetto è privato di ogni possibilità di simbolizzarla nel padre che acconsentirebbe a fare eccezione. Ma per costituirsi i soggetti richiedono questa autorità. Tentano allora di costruirla in forme diverse e talvolta problematiche: simboliche (identificazione a un leader carismatico, sette e integralismi), immaginarie (bande), reali (tossicodipendenze di vario genere). Sarà in grado il soggetto postmoderno di emanciparsi da queste figure oscene e da questi Altri di sintesi per reinventare – via il sinthomo [sinthome] – un legame sociale dove potersi rifugiare?

32 «Il mondo, afferma Lacan nel seminario Il rovescio della psicanalisi, è sempre più popolato

di lathouses […], quella paccottiglia di oggetti oggetti “piccolo a” che potete incontrare a ogni angolo della strada, dietro alle vetrine, in un pullulare di oggetti fatti per causare il vostro desiderio, nella misura in cui è la scienza che ci governa». Lacan costruisce la parola lathouse condensando il lethe, l’oblio, e l’aletheia, la verità, che appare nel momento in cui cade l’oblio e sorge l’angoscia («che non mente»). Questo momento si presenta quando la lathouse rivela la mostruosa e insaziabile voracità che ci induce [n.d.t.].

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[16] Freud, S., L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi (1934-1938), in Opere di Sigmund Freud, vol. 11, a cura di C. L. Musatti, Boringhieri, Torino 1979. [17] Lacan, J., Le Séminaire, Livre XVIII, D’un discours qui ne serait pas du semblant (1971), texte établi par J.-A. Miller, Seuil, Paris 2006; [trad. it. Il Seminario, Libro XVIII, Di un discorso che non sarebbe del sembiante (1971), a cura di Antonio Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2010]. [17-A] [17-B] [17-C] [18] Lacan, J., «Séance du 9 juin 1971», «Notes préparatoires», L’Une Bévue, 8/9, 1977. [19] Lacan, J., R.S.I. (1974-1975), seminario inedito. [19-A] [19-B] [19-C] [19-D] [19-E] [20] Lacan, J., Le Séminaire, Livre XXIII, Le Sinthome (1975-1976), texte établi par J.-A. Miller, Seuil, Paris 2005; [trad. it. Il Seminario, Libro XXIII, Il sinthomo (1975-1976), a cura di A. Di Ciaccia, Astrolabio– Ubaldini, Roma 2006]. [21] Lacan, J., L’insu que sait de l’une-bévue s’aile à mourre (1976-1977), seminario inedito. [21-A] [22] Bruno, P., Actualité, Trèfle, Bulletin de l’Association Freud avec Lacan, 1999, 2, pp. 53-59. [22-A] [22-B] [23] Bruno, P., «L’après Dora», Trèfle, revue de Psychanalyse, 2000, 1, pp. 11-29. [23-A] [23-B] [24] Lacan, J., Le Séminaire, Livre VI, Le désir et son interpretation (1958-1959), texte établi par J.-A. Miller, Éditions de La Martinière et Le Champ Freudien Éditeur, Paris 2013; [trad. it., di A. Di Ciaccia e L. Longato, Il Seminario, libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione (1958-1959), a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2016].

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La question du père : père et symptôme>

The Question of the Father: Father and Symptome

Sidi Askofaré a,*, Marie-Jean Sauret b

a Psychanalyste, docteur d’état, maître de conférence et chercheur au sein de l’équipe de recherchescliniques à l’université de Toulouse-2-le-Mirail,2, rue du Coq-d’Inde, 31000 Toulouse, France

b Psychanalyste, professeur et directeur de l’équipe de recherches cliniques à l’université deToulouse-2-le-Mirail,

5, rue du Gorp, 31400 Toulouse, France

Reçu le 22 août 2002 ; accepté le 5 décembre 2002

Disponible sur internet 14 mai 2004

Résumé

Il revient à Freud d’avoir saisi l’importance de la question du père dans les processus desubjectivation et d’humanisation. La réponse qu’il propose demeure néanmoins complexe et hétéro-gène. Cet article s’efforce d’abord de rendre lisible la contribution de Lacan en restaurant les étapesde son élaboration : depuis sa reprise des leçons freudiennes (les complexes d’Œdipe et de castration),de ses prolongements (l’imago paternelle), jusqu’à ses innovations (la métaphore paternelle, leternaire père réel, père symbolique et père imaginaire) et ses autorectifications (la récusation du pèresymbolique et la promotion du père réel) : à terme, la question du père rejoint celle du symptôme. Lerecours à un cas clinique montre alors l’intérêt de cette contribution non seulement pour la directionde la cure mais pour le diagnostic du nouveau « malaise dans la civilisation ».© 2004 Elsevier SAS. Tous droits réservés.

Abstract

Freud grasped the importance of the question of the father in the process of subjectivation andhumanization. The response that he offered remains, however, complex and heterogeneous. This

> Toute référence à cet article doit porter mention : Askofaré S, Sauret J.M. La question du père : père etsymptôme. Évol psychiatr. 2004 ; 69.e A text elaborated within the framework of a Franco-Colombian study group on “violence, the subject, the socialbond,” under the patronage of the North ECOS committee.

* Auteur correspondant : M. Sidi Askofaré.Adresse e-mail : [email protected] (S. Askofaré).

L’évolution psychiatrique 69 (2004) 257–278

www.elsevier.com/locate/evopsy

© 2004 Elsevier SAS. Tous droits réservés.doi:10.1016/j.evopsy.2002.12.001

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article attempts to make Lacan’s contribution readable by restoring the phases of his elaboration:from his reexamination of the Freud’s teaching (the Oedipus and castration complexes) and itsextensions (the paternal imago) up to his innovations (the paternal metaphor, the trilogy of real,symbolic, and imaginary) and his self-correction (the challenging of the symbolic father and thepromotion of the real father): at the end, the question of the father encounters that of the symptom. Aclinical case shows how this contribution is interesting not only for directing the cure but fordiagnosing the new “disorders of civilization”.© 2004 Elsevier SAS. Tous droits réservés.

Mots clés : Père réel ; Père symbolique ; Père imaginaire ; Père mort ; Nom-du-Père ; Lien social ; Symptôme ;Sinthome

Keywords: Real father; Symbolic father; Imaginary father; Death-Father; Name-of-the father; Social bond;Symptom; Sinthome

1. Introduction

Sous cet intitulé, nous souhaitons mettre à la disposition du lecteur, les moyens d’évaluerce qui fait l’importance de la question du père en psychanalyse, de saisir le mouvement quirègle l’élaboration d’une réponse complexe, et, enfin, d’en mesurer l’enjeu autant pour laclinique que pour le diagnostic du lien social contemporain.

De la correspondance avec Fliess à L’homme Moïse, c’est-à-dire de la théorie de laséduction au prolongement et à la correction des thèses de Totem et tabou, la question dupère n’a jamais cessé de hanter l’œuvre freudienne. Cette préoccupation ne fut pas quedoctrinale ; elle n’a pas moins concerné la clinique freudienne (Études sur l’hystérie,L’interprétation des rêves, « Dora », « Hans », « L’homme aux rats », « Schreber », etc.) etl’institution psychanalytique.

De tous les grands théoriciens de la psychanalyse, J. Lacan a été celui qui a prêtél’attention la plus grande à ce thème freudien. Pour l’éclaircir d’abord, le prolonger ensuite,le critiquer et le réformer enfin.

Or, de toute cette longue et complexe élaboration il n’a été retenu pendant longtemps quela tentative d’éclaircissement du concept de père au moyen du ternaire I, S, R1 et lacontribution originale que fut l’introduction du signifiant du Nom-du-Père.

Plus récemment l’accent fut déplacé de ces motifs appartenant au « premier classicismelacanien » [1] à une thèse ancienne mais forte sur le « déclin de l’imago paternelle2 » enquoi Lacan voyait rien moins que le ressort de la « grande névrose contemporaine » et lacrise à quoi rapporter « l’apparition de la psychanalyse elle-même ».

Par un insondable processus, cette thèse de 1938, mobilisée pour rendre raison d’éven-tuelles formes cliniques nouvelles, s’est vite métamorphosée en une autre, beaucoup plusradicale : « le déclin de la fonction paternelle » ([3], p. 18). Dans sa forme radicale, cettethèse vise moins une éventuelle crise de la dite fonction que l’avènement d’un temps où elleserait devenue obsolète.

1 Imaginaire, Symbolique, Réel.2 Lacan J. Les complexes familiaux dans la formation de l’individu (1938). In ([2], p. 23-84).

258 S. Askofaré, M.-J. Sauret / L’évolution psychiatrique 69 (2004) 257–278

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Qu’une telle substitution ait pu s’opérer est l’indice que jusque dans la psychanalyse, lerejet du père initié par le discours de la science3 est agissant. Et ce n’est pas la généralisa-tion du Nom-du-Père ou sa réduction au symptôme ([4], p. 174, p. 156) qui y contrevient.Bien au contraire, elles participent du même mouvement, celui d’une identification du pèreet de l’Autre dont le sujet espère la réponse à la question de ce qu’il est.

Notre expérience clinique comme nos recherches universitaires sur le symptôme et lelien social nous conduisent aujourd’hui à réexaminer de manière plus précise l’articulationcomplexe entre père et symptôme et les incidences sur l’un et sur l’autre, des particularitésde la figure contemporaine de l’Autre.

2. Freud et la question : « qu’est-ce qu’un père » ?

La question du père, la question « qu’est-ce qu’un père ? », est au départ, au fondementmême de la constitution de la psychanalyse. Sans doute, aussi, cette question ne lui est passpécifique : les mythes, les religions, le Droit, n’ont jamais cessé de l’épeler et de l’élaborer.Néanmoins, il semble que la psychanalyse lui ait donné une consistance particulière – en enfaisant une question pour chacun – qui l’élève au rang d’une des questions subjectivesfondamentales.

Quelle réponse apporter, en termes de savoir, à une telle question ?Si nous mettons de côté les perspectives substantialistes et psychosociologiques, c’est

sur la notion de fonction que tout le monde s’accorde pour définir ce qu’il en est du père.Seulement, la notion de fonction n’est pas univoque. Il en existe au moins trois concep-tions : biologique, fonctionnaliste (avec des versions psychologistes – cf. Piaget – ousociologistes – cf. Mauss, Durkheim, Malinowski –) et logicomathématique (cf. Frege).

D’où le problème : à laquelle de ces conceptions faudrait-il se référer pour cerner ce qu’ilen est de la fonction paternelle ? Ou, dit autrement, y a-t-il équivalence entre les deuxsyntagmes : la « fonction paternelle » et les « fonctions du père » ?

Pour être concis, disons qu’avec la question de la paternité (avec l’existence dans lalangage du signifiant « être père »), il s’est opéré une subversion, un déplacement qui va durôle réel du géniteur dans la procréation à l’attribution symbolique de la procréation au père(via le signifiant qui supporte ladite attribution dans l’inconscient, soit le Nom-du-Père).

C’est précisément au point où s’enchevêtrent le biologique, le sociojuridique, et lepsychologique, que la psychanalyse a donc dû relever la question et tenter de répondre :qu’est-ce qu’un père ? L’extraction de la question est en soi un résultat.

On sait que cette dernière a paru à Freud si importante et tellement exorbitante qu’il n’apu y répondre que grâce à la mobilisation des ressources du mythe voire de la créationromanesque. Dès que, au plan scientifique, est réintroduit la considération du sujet de laparole, celui qui s’interroge sur ce qu’il est et le sens de sa présence et de son action dans le« monde », la vérité prend structure de fiction.

Disons que chez Freud il y a une diffraction du père en père-jouissance, père-amour etpère-loi. Qu’il nous suffise de rappeler ici qu’ils correspondent respectivement au « père »

3 Ce rejet est fondé sur une méprise : la confusion entre le père et l’origine, entre le fondement et la genèse,entre le sens et l’explication...

259S. Askofaré, M.-J. Sauret / L’évolution psychiatrique 69 (2004) 257–278

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de la horde primitive de Totem et tabou, au père du complexe d’Œdipe, et au père commenom, comme loi et comme voix de L’homme Moïse... (F. Balmès, 1997) [5].

Apparaît ainsi, à partir de cette perspective, présente chez Freud, que le concept de pèrerenvoie à plusieurs dimensions et que celles-ci sont hétérogènes. Mais faute des catégoriesde Réel, de Symbolique et d’Imaginaire d’une part, et, d’autre part, faute d’une théorie dela métaphore, du capitonnage et du nouage, Freud échoue à produire une doctrine du pèreà la hauteur du discours analytique4.

3. Les perspectives lacaniennes

À ce point se situe la relève lacanienne, ou, mieux, les relèves lacaniennes, successiveset d’orientations divergentes.

Sans vouloir entrer dans le détail et les raffinements de la doctrine lacanienne du père, ilnous paraît nécessaire de récapituler le mouvement d’ensemble et les scansions décisivesde cette doctrine qui peut se condenser dans la formule : de la fonction paternelle à lafonction du symptôme.

Déroulons à présent les différents moments qui ponctuent cette longue et sinueuseélaboration.

De 1938 au début des années 1950, soit dans les textes prélacaniens de J. Lacan – ceuxqu’il a présentés lui-même comme ses antécédents [6] – le père n’apparaît et n’est envisagéque comme un cas particulier de la fonction de l’imago, qui est d’établir une relation dusujet à sa réalité. D’où s’est précipité le syntagme d’imago du père dont nous avons évoquéla problématique du déclin au début de ce travail.

Parler du père en terme d’imago comporte sans doute le risque de le réduire à sa seuleconsistance imaginaire. Lacan diminue voire annule ce risque en concevant et en faisantfonctionner l’imago non pas comme une pure et simple image mais comme une image dontles déterminations sont symboliques. Dès 1949, dans sa communication de Zurich sur « Lestade du miroir... », la collusion de la notion gestaltiste d’imago et celle de « l’efficacitésymbolique » de Lévi-Strauss est scellée. Les premiers séminaires inédits5 de la rue de Lillerecueillent les fruits de ce croisement bien avant que Lacan thématise le ternaire R, S, I danssa conférence de juillet 1953, « Le symbolique, l’imaginaire et le réel » [7].

La lecture des notes sur le séminaire consacré à L’homme aux loups (1952) laisseapparaître que Lacan ordonne son abord du cas à ce qui constituait à ses yeux son traitessentiel : l’angoisse de castration. Cette angoisse de castration, il la met en rapport avec lefait que le père « réel », ici le père effectif de Serguei Pankejeff, « ni dans ses actes ni dansson être », n’est un père castrateur. Aussi en déduit-il que le jeune Pankejeff est à larecherche d’un père qui assure et assume sa fonction punitive, recherche d’autant plusinsistante et compulsive qu’elle ne cesse pas de ne pas aboutir en raison de la position dupère. D’où le « diagnostic » lacanien : carence de la fonction symbolique du père, embarras

4 À vrai dire il faut attendre le travail de Lacan pour porter cette hétérogénéité des dimensions paternelles aucrédit de Freud : voir plus loin.

5 Nous ne disposons malheureusement que de notes d’auditeurs, « L’homme aux loups », ou de retombées :« Intervention sur le transfert », sur Dora et « Le mythe individuel du névrosé » à propos de « L’homme aux rats ».

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des identifications du sujet avec ce père-là ; l’enfant reste identifié à la mère, doncimaginairement convoité par le père, et, de là, sourd une angoisse de castration qui netrouve pas de résolution du fait de l’absence de père symbolique en acte. Ainsi sedistinguent la fonction imaginaire du père et sa fonction symbolique, et se mettent en placeles expressions – dont les valeurs ne cesseront de bouger – de « père symbolique » et de« père imaginaire ».

La distinction de ces deux versions du père est plus affirmée encore dans « Le mytheindividuel du névrosé » ([8], p. 291–207) « [...] le père imaginaire et le père symboliquesont souvent et fondamentalement distingués, et non pas seulement pour la raison structu-rale que je suis en train de vous indiquer, mais aussi de façon historique, contingente,particulière, du sujet » ([8] p. 306).

Ce que Lacan introduit au titre de « raison structurale » est relatif au fait que la rivalitéœdipienne avec le père est par lui présentée comme constituée sur le modèle du stade dumiroir, sur la base d’une identification à l’image, générant de l’agressivité. Aussi, Lacanest-il conduit à distinguer et à inciter ses élèves à distinguer l’Œdipe de la fonctionsymbolique soutenue par le père.

Mais une telle position débouche fatalement sur une remise en cause de tout le schèmede l’Œdipe pour autant qu’elle met en évidence les déterminations dont la famille conjugalemoderne, par une condensation extrême, a investi le père. Le trait essentiel de cette formemoderne de la famille – à distinguer des formes contemporaines – consiste en ceci : le pères’y trouve être le représentant, l’incarnation d’une fonction symbolique essentielle6, etcette assomption de la fonction du père est ordinairement comprise comme supposant « unerelation symbolique simple où en quelque sorte le symbolique recouvrirait pleinement leréel ». Or, remarque Lacan :

« Il est clair que ce recouvrement du symbolique et du réel est absolument insaisissable,et qu’au moins dans une structure sociale telle que la nôtre, le père est toujours, parquelque côté, un père discordant par rapport à sa fonction, un père carent, un pèrehumilié comme dirait Mr Claudel, et le il y a toujours une discordance extrêmementnette entre ce qui est perçu par le sujet sur le plan du réel et cette fonctionsymbolique7 » ([8], p. 305).

La question du père se révèle donc n’être ici que l’illustration d’une thèse structurale surle décalage voire la discordance entre le réel et le symbolique, thèse qui libère de touteconception de la vérité définie comme adéquation de la chose et de sa représentation et quirépercute dans la doctrine analytique le rejet de toute conception de la langue comme

6 Nous reviendrons souvent sur cette fonction. Disons ici : le père concentre et résume l’affirmation de lasoumission du parlant à la nécessaire autorité du langage, sans laquelle il n’est pas de sujet.

7 Le père concret (celui que le sujet imagine parce qu’il en a l’expérience) est lui-même l’occasion de vérifierl’inadéquation du réel et du symbolique : qu’est-ce que le réel du père quand, même pour Freud, le père de la horden’accouche de la paternité signifiante qu’à rester hors des limites de l’humanité naissante et ne se sait pas père ?C’est encore un aspect que nous reprenons plus loin : si chaque sujet doit en repasser par le complexe d’Œdipe,c’est qu’il ne s’humanise qu’à prendre sur lui le meurtre par lequel l’humanité s’est humanisée. Certes, leditmeurtre n’échappe pas à la dimension mythique, mais il implique, en toute logique, pour devoir être ainsi réitéré,que... « quelque chose » du père demeure increvable malgré le symbolique : la castration, elle, n’est pas un mythe.

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nomenclature. La voie est ouverte pour la mise en œuvre du paradigme I, S, R, le primat dusymbolique et la structure de langage de l’inconscient.

4. L’homologie du père et du symptôme

L’évocation de cette élaboration nous était nécessaire pour en arriver à cette sorte decristallisation de la doctrine lacanienne du père que supporte, d’une part le Nom du Père etses équivalents, (père symbolique, père mort) – en tant que support de la fonction symbo-lique du père – et la métaphore paternelle d’autre part.

Il n’est guère utile de déployer ici cette doctrine du père devenue « canonique » au pointque son succès a été et demeure encore aujourd’hui un obstacle à la réception des thèsesultérieures de Lacan sur le père. Qu’on nous permette de n’accentuer que les aspectssusceptibles d’éclairer le problème qui nous occupe dans le présent article : père etsymptôme.

Chez Freud les élaborations relatives au père et au symptôme sont hétérogènes : père etsymptôme ne s’y articulent qu’au travers de la question de l’adresse du symptôme et de sescoordonnées transférentielles. En revanche, c’est d’emblée que, chez Lacan, leur communtraitement à partir de la logique du signifiant laisse apparaître une solidarité profonde, puisdes analogies formelles, avant de livrer, avec la topologie borroméenne, une homologie defonction.

Une lecture, même rapide, des cinq premiers séminaires et des textes de 1953 à 1960[6–13] montre à l’évidence une forme de transfert au symptôme d’un savoir expérimenté àpropos du père. Les trois énoncés principaux de Lacan sur le père – le père est un signifiant,le père est une métaphore, le père est l’anneau qui fait tenir le tout (enfant–phallus–mère)ensemble – seront mutatis mutandis reprises à propos du symptôme. Une doctrine com-mune au père et au symptôme s’est donc constituée autour de quatre termes fondamentaux :signifiant, métaphore, capitonnage et nouage.

Cette thèse, aisément démontrable, nous nous devons de la compléter par ceci : laformation de cette doctrine est discontinue et paradoxale ; elle s’inaugure sur le fonds dupère conçu essentiellement comme père symbolique tandis qu’elle se parachève sur lapromotion du père réel et la récusation de la notion de « père symbolique ». Avouons notresurprise devant le fait que la plupart des publications sur la question poursuivent sur lapromotion du père symbolique comme si c’était là le sommet de la leçon lacanienne,paraissant ignorer le changement de cap (et, a fortiori, ses raisons).

C’est à ce moment de remise en cause par Lacan de la catégorie de « père symbolique »et à celui qui le précède et le prépare, la critique des constructions freudiennes sur le père,que nous allons devoir à présent nous attacher.

5. Déconstruction du père freudien

Dans l’enseignement de Lacan il convient de retenir aussi, en plus des élaborationspositives, des reformulations et des formalisations, toute la partie consacrée à la critique età la déconstruction. Dans cette perspective, deux contributions nous paraissent aussidécisives que l’introduction du Nom-du-Père ou l’invention de la métaphore paternelle.

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La première contribution apparaît dans le livre XVII du Séminaire, L’envers de lapsychanalyse [14]. Lacan y examine, au cours de sa séance du 11 mars 1970, les troisconstructions qui supportent sa doctrine du père. Et que met-il en évidence ? Non pas leuraccord, leur homogénéité ou leur articulation, mais leur profonde discordance !

En effet, remarque Lacan, le complexe d’Œdipe, « c’est l’histoire de Sophocle [...]moins son tragique. Selon Freud, ce que révèle la pièce de Sophocle, c’est qu’on coucheavec sa mère quand on a tué son père – meurtre du père et jouissance de la mère, à entendreaux sens objectif et subjectif, on jouit de la mère et la mère jouit. Qu’Œdipe ne sacheabsolument pas qu’il a tué son père, ni non plus qu’il fasse jouir sa mère, ou qu’il en jouisse,ne change rien à la question, puisque justement, bel exemple de l’inconscient » ([14], p.131). La première discordance que relève Lacan porte sur ce qu’énonce le complexed’Œdipe quant à la jouissance et ce qui peut s’en déduire à partir de « l’histoire à dormirdebout dont je vous parlais tout à l’heure, le meurtre du père de la horde primitive. Il estcurieux que le résultat en soit exactement le contraire » ([14], p. 131). On ne peut qu’êtresaisi par cette contradiction à lire Totem et Tabou [15] comme Lacan nous le propose :

« Le vieux papa les avait toutes pour lui, ce qui est déjà fabuleux – pourquoi les aurait-iltoutes pour lui ? – alors qu’il y a d’autres gars tout de même, elles aussi peuvent peut-êtreavoir leur petite idée. On le tue. La conséquence est tout à fait autre chose que le mythed’Œdipe – pour avoir tué le vieux, le vieil orang, il se passe deux choses. [...] – ils sedécouvrent frères. [...]. Et puis, ils décident tous d’un seul cœur qu’on ne touchera pasaux petites mamans. Parce qu’il y en a plus d’une, en plus. Ils pourraient échanger,puisque le vieux père les a toutes. Ils pourraient coucher avec la maman du frère,justement, puisqu’ils ne sont frères que par le père. Jamais personne ne semble s’êtreébahi de cette curieuse chose, à quel point le Totem et Tabou n’a rien à faire avec l’usagecourant de la référence sophocléenne » ([14], p. 132).

Lacan met en série les trois pères, celui d’Œdipe, celui de la horde, l’Urväter, et Moise.Les trois meurtres sont ainsi mis en perspective. Il remarque tout d’abord que les résultats,respectivement, de l’aventure œdipienne et de la fin du père de la horde, sont radicalementopposés : dans le drame de Sophocle, le meurtre du père est la clé pour jouir de la mère alorsque le meurtre du père de la horde interdit la jouissance de la mère, interdiction qui fondel’ordre social. Le renoncement à la jouissance de la mère est la conséquence du meurtre ici(Totem et tabou) tandis que l’interdiction de la jouissance de la mère est la cause du meurtrelà (Œdipe). Quant au meurtre de Moise, Lacan le décale un peu par rapport aux deux autres :il en fait une condition de vérité puisque Moise est tué pour revenir à travers les prophètescomme retour du refoulé.

De l’un à l’autre, le rapport meurtre du père–jouissance est donc complètement inversé.Dans le mythe d’Œdipe, c’est le meurtre du père qui conditionne l’accès à la jouissance dela mère – génitif objectif – alors que Totem et Tabou énonce le contraire : le meurtrecollectif du père institue la limitation de la jouissance pour chacun et le père mort commegardien de la jouissance.

L’homme Moïse et la religion monothéiste [16] ne s’accorde ni avec l’un, ni avecl’autre. L’hypothèse freudienne du meurtre de Moïse ouvre sur tout à fait autre chose quesur la jouissance ou son interdiction : elle débouche sur le retour de l’esprit de Moïse àtravers les prophètes – sans que Freud lui-même n’en tire toutes les conséquences.

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Une dimension fondamentale est donc sinon absente du moins passée au second plan destrois élucubrations freudiennes sur le père : « la relation à la vérité ».

« Ce qu’il y a de certain, c’est que le grossier schéma meurtre du père–jouissance de lamère élide totalement le ressort tragique. Certes, c’est du meurtre du père qu’Œdipetrouve l’accès libre auprès de Jocaste, et qu’elle lui est donnée, à l’acclamation popu-laire. Jocaste, elle, je vous l’ai dit, en savait un bout, parce que les femmes ne sont passans avoir des petits renseignements. Elle avait là un serviteur qui avait assisté à toutel’affaire, et il serait curieux que ce serviteur, qui est rentré au palais et qu’on retrouve àla fin, n’ait pas dit à Jocaste – c’est celui-là qui a bousillé votre mari. Quoi qu’il en soit,ce n’est pas l’important. L’important est qu’Œdipe a été admis auprès de Jocaste parcequ’il avait triomphé d’une épreuve de vérité » ([14], p. 134–135). Sous-entendu : et nonpas parce qu’il a tué son père !

C’est au travers de cette dimension que Lacan corrige et reformule l’Œdipe freudien entant que distinct de la métaphore paternelle.

D’où, au terme de cette révision, le verdict lacanien :

«... si Œdipe finit très mal [...], c’est parce qu’il a absolument voulu savoir la vérité. Iln’est pas possible d’aborder sérieusement la référence freudienne sans faire intervenir,outre le meurtre et la jouissance, la dimension de la vérité » ([15], p. 135).

C’est le meurtre du père qui passe au second plan.De cette mise en tension des trois pères freudiens, Lacan retient principalement l’ensei-

gnement de Totem et Tabou, à savoir l’équivalence du père mort et de la jouissance,équivalence qui fait de ce père un « opérateur structural ». En effet, par l’énonciation decette équivalence Totem et Tabou joue à plein sa fonction de mythe, à savoir d’être l’énoncéd’un impossible.

C’est donc le mythe - soit, selon Lacan, « ce qui donne forme épique à ce qui s’opère dela structure » - qui permet de cerner, à travers cet impossible, le réel en jeu. Lacan l’énonce :père réel, c’est-à-dire père originel mais en tant qu’il n’y a de lui aucune psychologieconcevable. C’est donc un contresens, ainsi que l’ont tenté certains commentateurs, de lirecet « opérateur structural » à l’instar d’une opération symbolique quand c’est précisémentde ce qui objecte de structure au symbolique qu’il y va, saisi sous les espèces de l’impos-sible.

Une telle conception du père réel modifie considérablement ce qu’il faut entendre parcastration en psychanalyse. Que le père réel soit l’agent de la castration – formule avancéepar Lacan dès La relation d’objet [12] – ne peut plus s’entendre au sens trivial (le pèreconcret) comme en 1957, ne serait-ce que parce que ladite castration ne tient pas sadétermination de la réalité du père mais du signifiant-maître.

Or, aucun signifiant n’est intrinsèquement et d’emblée un signifiant-maître ; il ne ledevient que par la médiation de l’instance du maître. Disons, pour aller vite, que le maîtreest irréductible au signifiant-maître qu’il énonce : « quelque chose » du père ne passe pas ausignifiant-castration. Cette perspective fait ainsi apparaître qu’au fond la castration est lefait du langage et que le père concret, celui qui chausse le signifiant de la paternité, n’est quel’agent du signifiant-maître, son homme de paille. Du coup la référence freudienne du pèreréel s’en trouve éclairée :

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« Le père, le père réel, n’est rien d’autre que l’agent de la castration – et c’est ce quel’affirmation du père réel comme impossible est destinée à nous masquer » ([12], p. 145).

Il conviendrait d’examiner les nécessités subjectives qui ont présidé à une telle mise enplace chez Freud : c’est de l’analyse de sa propre névrose et selon son fantasme qu’ilconstruit et extrait la fonction paternelle. C’est pourquoi Lacan qualifiera Totem et Taboude roman, puis de « produit névrotique », et le complexe d’Œdipe, de rêve de Freud. Nousnous détournons de cet aspect pour nous intéresser aux conséquences de la déconstructionlacanienne de la doctrine sur le père.

6. « Il n’y a pas de père symbolique »

Nous ne mettrons l’accent que sur la conséquence principale : la récusation de la notionde « père symbolique ».

C’est dans la séance du 9 juin 1971 de son dix-huitième séminaire, D’un discours qui neserait pas du semblant [17], qu’à la suite d’une reprise de sa critique de la discordance desmythes freudiens sur le père, Lacan écrit8 :

« Les rappels que nous venons de faire des mythes freudiens, permettent d’aller vite àdire qu’ils ne se supportent que du roman familial : les mythes freudiens en font partie,et qu’ils soient partie les juge. Nul besoin là de psychobiographie. La métaphorepaternelle, comme je l’ai dénommée depuis longtemps, couvre le phallus, c’est-à-dire lajouissance en tant qu’elle est du semblant.

C’est bien en cela qu’elle est vouée à l’échec. Il n’y a pas de père symbolique, ne l’a-t-onpas remarqué, dans l’articulation dont j’ai différencié frustration d’une part, castration,privation de l’autre.

Le père ne saurait même énoncer la loi, même si historiquement il le paraît ; il ne peutque la servir. Le père législateur est automatiquement forclos, je l’ai souligné pourSchreber.

Il n’y a qu’un père imaginaire, le père dit idéal, pour constituer l’agent de la privation,laquelle ne porte que sur des objets symboliques » ([17], p. 20).

De l’impeccable ternaire du début, père réel–père symbolique–père imaginaire, il nereste donc plus que l’imaginaire et le réel. Certes le retour à La relation d’objet et auxopérations qui y sont formulées et décrites attestent que l’efficience du père n’opère qu’entant que père réel dans la castration et comme père imaginaire dans la privation. Mais descommentaires de Lacan qui supportent son fameux répartitoire, le père symbolique n’étaitguère absent. Bien au contraire, il y fonctionnait au titre de condition de l’effectuation destrois opérations en tant qu’elles ont partie liée au complexe d’Œdipe. Plus radicalementenfin, sa nécessité tenait à son équivalence avec le Nom-du-Père :

8 Il s’agit, en effet, d’un texte que Lacan, exceptionnellement, a pris le soin d’écrire. La séance du 9 juin 1971,décisive pour ce travail, a été publiée in extenso - l’ensemble du texte écrit, y compris la partie non prononcée, les« Notes préparatoires » - dans le supplément au numéro 8/9 de la revue L’Une Bévue, printemps/été 1997, 24 p.[18].

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« Le père symbolique, c’est le nom du père. C’est l’élément médiateur essentiel dumonde symbolique et de sa structuration. Il est nécessaire au sevrage, plus essentiel quele sevrage primitif, par quoi l’enfant sort de son pur et simple couplage avec latoute-puissance maternelle. Le nom du père est essentiel à toute articulation de langagehumain, et c’est la raison pour laquelle l’Ecclésiaste dit – l’insensé a dit dans son cœur :il n’y a pas de Dieu » ([12], p. 364).

On voit bien la question qui désormais est posée : la récusation par Lacan du pèresymbolique comporte-t-elle comme conséquence celle du Nom-du-Père ? Si oui, quelles ensont les conséquences au plan de la clinique et de la doctrine ? Si non, comment rendreraison de la dissociation des termes de père symbolique, de Nom-du-Père et de père mortposés naguère comme congruents ?

7. L’agent requis par la castration : le père réel

Plutôt que de nous engager dans une relecture et un commentaire fastidieux de textes,nous préférerons partir de l’hypothèse suivante : il existe dans le premier enseignement deLacan comme un pendant à la discordance du père qu’il isole et déconstruit chez Freud. Àl’évidence, l’équivalence lacanienne établie entre père symbolique, Nom-du-Père et pèremort, ressortit à la volonté théorique de faire tenir ensemble le père de la tradition religieuse(Nom-du-Père), le père de la métaphore paternelle (le signifiant support de la fonction dupère dans l’inconscient) et le père mort de Totem et Tabou. Nul doute que la théorie dusignifiant, par l’équivalence qu’elle institue entre signifiant–symbolique–mort, a offert àLacan les artifices qui lui ont permis de faire simultanément du Nom-du-Père : le pèreréduit à son signifiant, le père mortifié par le signifiant, le père mort au désir du sujet, lesupport dans l’inconscient de la fonction du père en tant qu’Autre de la loi.

Ce Nom-du-Père est au fond le paradigme de la logique du signifiant qu’il fonde : le motest le meurtre de la chose comme il n’y a de signifiant de la paternité que vidé de la bête dela jouissance (dont le défaut est supposé causer le désir). Cette construction élégante etsophistiquée vient cependant buter sur la question : comment un père si abstrait, dévitalisé,peut-il introduire un sujet à l’ordre du désir et de la sexuation ?

C’est déjà ce problème que tentait de résoudre, en 1956–1957, la thèse du père réelcomme agent de la castration. La position de Lacan ne souffre d’aucune ambiguïté :

« Il y a le père symbolique. Il y a le père réel. L’expérience nous apprend que, dansl’assomption de la fonction sexuelle virile, c’est le père réel dont la présence joue un rôleessentiel. Pour que le complexe de castration soit par le sujet véritablement vécu, il fautque le père réel joue vraiment le jeu. Il faut qu’il assume sa fonction de père castrateur,la fonction de père sous sa forme concrète, empirique, et j’allais presque dire dégénérée,en songeant au personnage du père primordial et la forme tyrannique et plus ou moinshorrifiante sous laquelle le mythe freudien nous l’a présenté. C’est dans la mesure où lepère, tel qu’il existe, remplit sa fonction imaginaire dans ce qu’elle a, elle, d’empirique-ment intolérable, et même de révoltant quand il fait sentir son incidence commecastratrice, et uniquement sous cet angle – que le complexe de castration est vécu » ([12],p. 364–65).

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On voit bien ce qu’une telle présentation de la fonction castratrice du père a decontradictoire avec la métaphore paternelle qui, à côté, passe pour une gentille berceuse !

Eh bien, nous dirons que c’est cette tension ab origine entre les trois termes – pèresymbolique, Nom-du-Père, père mort – d’une part, et, d’autre part, dans leur rapport aupère réel et sa fonction castratrice, qui trouve sa résolution dans la récusation, en 1971, dela notion de père symbolique.

Cette récusation a été décisive dans l’abandon de l’expression et quant à la dénonciationde « la fascination » que le meurtre du père a constitué pour Freud et ses lecteurs ([17], p.17), et qu’il semble encore constituer encore pour beaucoup. Mais, paradoxalement, cettemême récusation n’a pas emporté la même conséquence pour le Nom-du-Père.

Aussi, est-ce entre autres au destin de ce dernier qu’il va falloir à présent nous intéresser.

8. La fonction réelle du père

Les dernières élaborations de Lacan sur le père ont consisté à tenter de cerner la fonctionréelle du père au-delà de ses fonctions imaginaire et symbolique. En effet, le mouvementqui va du père comme signifiant au père comme symptôme se trouve dans la dépendanced’une orientation autre que celle qui se situe à l’origine de l’enseignement de Lacan –l’inconscient structuré comme un langage –. La seconde orientation, qui va du père commesignifiant au père comme symptôme est, au sens strict, orientation vers le réel.

Les premières constructions, dominées par le primat du symbolique, ont permis un gaininestimable : la distinction du rôle réel du géniteur et de l’attribution symbolique de laprocréation au père ; la distinction des figures, des registres et des fonctions du père :

• dire que non à la jouissance ;• unir et non opposer un désir et la loi ;• lier par du signifiant-maître et du même coup exclure en tant que toute fraternité est

fondée sur la ségrégation etc.Néanmoins, l’orientation nouvelle révèle l’échec des premières constructions à intégrer

une des intuitions les plus importantes de Lacan : la fonction de nouage du père tel qu’il lapropose déjà à la fin de son Séminaire sur Les psychoses ([11], p. 359).

Ce nouage désigne une opération réelle qui se distingue de l’union. Lacan avançait jadisce terme d’union en guise de définition hégélienne de la fonction paternelle : fonctionirénique qui résout dans une Aufhebung la contradiction entre le désir et la loi. En lieu etplace de l’union, le nouage constitue le principe de rapprochement du père et du symptôme.C’est l’enjeu véritable des derniers Séminaires, en particulier des Livres XXII et XXIII,c’est-à-dire R, S, I et Le sinthome9 [19,20].

Lacan affirme a plusieurs reprises que c’est sa pratique qui l’oriente vers la topologie :entendons l’impossibilité d’en rendre compte dans les termes de la logique et des mathé-matiques classiques. La topologie est-elle une métaphore ? Sans doute au sens où elle estappliquée à un champ (le sujet de la psychanalyse) qui lui est irréductible. Les seuls objetsréductibles à la topologie sont les objets topologiques eux-mêmes. Dès lors il y a un reste à

9 Quelques leçons du séminaire 22 sont parues dans les numéros 2, 3, 4 et 5 de la revue Ornicar ?, 1975, et duséminaire 23 dans les numéros 6, 7, 8, 9, 10 et 11 de la revue Ornicar ?, 1976–1977.

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saisir par la topologie, un irréductible, un infini, un irreprésentable qui lui ex-siste. Ceproblème n’est après tout que la transposition des limites de la représentation signifiante(déjà rencontrée à propos du signifiant de la paternité lui-même) : d’être représentation, ellen’est pas la chose représentée.

D’où la possibilité même de la métaphore : « La différence qu’il y a entre la métaphoreet la structure, c’est que la métaphore est justifiée par la structure10 » [21]. D’où le passagedu signifiant à la lettre, permis par la mathématisation, pour réduire la métaphore auminimum en éliminant autant que faire se peut les effets de sens liés à l’articulationsignifiante11. Et d’où l’inflexion de l’acception lacanienne du réel : « Le réel est l’impos-sible seulement à écrire, soit ne cesse pas de ne pas s’écrire. Le réel, c’est le possible enattendant qu’il s’écrive » [21]. Cette thèse est complétée du fait que le parlêtre est dit tel dene pas être débarrassé du réel du fait de parler : il doit supporter seul l’incidence de cetteexclusion, via le symptôme, que la lettre permet de logifier. La topologie est précieuse parceque, précisément, elle prend en compte ce qui lui ex-siste12, ce qui coince, et elle en inscritl’ex-sistence sous la forme du nœud lui-même.

L’humain est constitué de trois registres que la topologie homogénéise sous les espècesde trois ronds de ficelles non distinguables : l’imaginaire (le corps, la signification, le sens),le symbolique (le langage), le réel (l’être de jouissance). Pas de privilège de l’un sur lesautres, à condition de les nouer correctement. Le nouage borroméen préserve cette carac-téristique : la rupture d’un rond quelconque libère les deux autres. Le nouage est imposé ausujet par l’exigence où il se trouve de loger sa singularité, le réel qui le caractérise, dansl’habitat langagier. Dans cette opération le corps (imaginaire) joue sa partie. De sorte que lasingularité du sujet est envisagée de deux façons : du point de vue du réel auquel il a affaireet du point de vue du type de solution adoptée, le nouage, pour traiter (lier, loger) ce réel.C’est pourquoi le réel est situé dans le nœud borroméen à la fois comme un rond équivalentaux autres et comme le nouage même.

Différents types de nouages et d’accidents du nouage sont envisageables : ils permettentd’une part de décliner les structures cliniques (au moins névrose, psychoses) et, d’autrespart, d’envisager l’opération analytique comme un dénouage–renouage, et la vie elle-même comme une tresse. C’est le dire de l’analysant qui témoigne de la nature du nœud etqui opère sur le nœud, la présence de l’analyste donnant consistance à ce qui coince.

Nous avons insisté sur cet aspect topologique pour tenter de lever l’objection habituelleselon laquelle il s’agirait d’un forçage inutile et complexe. Nous ne développerons pas icitoutes les implications cliniques sous-tendues par la nouvelle formalisation, mais aborde-rons seulement celles qui nous permettent d’exposer ses incidences sur la question qui nousretient, toujours « père et symptôme ».

Comment distingue-t-on un rond d’un autre – le symbolique de l’imaginaire, l’imagi-naire du réel, le réel du symbolique ? Lacan tente une première réponse à partir ducoincement qui permettrait d’ordonner les ronds et de les distinguer au moins formelle-

10 Une partie de ce séminaire est publié dans les numéros 12/13, 14, 15, 16, 17/18 de la revue Ornicar ?,1978-1979.

11 « (...) c’est seulement dans la lettre que l’identité de soi à soi est isolée de toute qualité « ([19], p 107).12 Tout n’est pas réductible au symbolique. Mais ce qui est hors symbolique (le réel qui siste) en dehors n’est

pensable (comme impossible) et ne s’attrape qu’à partir du (ex) symbolique : tel est le réel qui ex-siste

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ment. N’y a-t-il que le père pour opérer ce nouage ? La réponse positive est freudienne :c’est le père qui fait tenir la réalité psychique, la réalité psychique et le complexe d’Œdipesont une et même chose – qui ne se distingue pas de la réalité religieuse (le nouage est opérépar un Autre) – [19].

L’alternative suppose de maintenir les trois registres déliés. Qu’est-ce qui viendra leslier ? C’est ici que Lacan évoque à la fois les Noms-du-Père, pour tenir compte de diversesmodalités de nouage par l’Autre, et l’éventuelle suppléance à ce nouage par l’Autre –suppléance qui ne peut venir que du sujet. Mais le sujet ne se rend à la nécessité du nouage,sollicité auprès de l’Autre ou invention propre, qu’à se heurter préalablement au réel.Comment l’ex-sistence du réel au symbolique est-elle offerte au sujet pour qu’il y trouveappui pour sa propre solution, son symptôme, lequel sera fonction de cette inconnue duréel13 ?

C’est ce problème qui amène Lacan à proposer une révision de la métaphore paternelledans des termes souvent commentés, et que nous nous nous proposons d’aborder à présent.

9. La métaphore paternelle revisitée

Résumons brièvement la logique qui conduit Freud à introduire la question du père dansla psychanalyse, et qui amène Lacan d’abord à formaliser l’Œdipe dans la métaphorepaternelle, puis à réviser cette dernière jusqu’à récuser la notion de père symbolique.Comment un névrosé s’assure-t-il de son rapport au langage, langage dont il est l’effet ?Selon Freud, par le complexe d’Œdipe pour symboliser, avec la figure du père, sa néces-saire dépendance de l’Autre, et par le complexe de castration pour symboliser ce qu’il perdde jouissance à parler.

Lacan montre que pour que cette symbolisation par le père « opère », il faut que la mèreattribue au père symbolique la naissance du sujet ainsi distingué en quelque sorte de lanaissance de l’individu biologique qui, elle, relève des géniteurs. Que le désir de la mère –manquante, donc – soit ainsi métaphorisé par le Nom-du-Père – « unit son désir (à elle) à laloi » et met l’enfant sur la voie de se demander ce qui lui manque à lui, l’enfant, que la mèretrouve auprès du père – castration. La castration, à dire vrai, n’est pas la prolongation dumanque-à-jouir (rencontré comme frustration), mais l’assomption d’une perte : le sujetsacrifie un objet prélevé aux limites de l’organisme (sein, faeces, voix, regard) poursymboliser le défaut de jouissance comme radical.

Comment alors un sujet acquiesce-t-il à cette castration, voire tout simplement, larencontre-t-il, si le symbolique qu’il habite est par définition châtré du réel – si le pèresymbolique est bien le père mort (de la horde primitive et du complexe d’Œdipe),dévitalisé, juste bon à enregistrer le déficit de jouissance ? Qu’est-ce que la mère pourraitbien trouver chez un partenaire réduit au signifiant ? La castration est-elle d’ailleurs

13 « Je dis la fonction du symptôme, fonction à entendre comme le f de la formulation mathématique, f(x). Etqu’est-ce que le x ? C’est ce qui, de l’inconscient, peut se traduire par une lettre (...) » [19]. L’inconscient est icila marque du défaut incurable de savoir (refoulement originaire, dirait Freud) lié à l’irréductibilité du réel du sujetau symbolique. Le symptôme dépend de cette marque, de ce chiffrage. Lacan ne laisse aucun doute ici surl’acception mathématique du recours à la fonction.

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l’opération qui doit permettre au sujet de se débarrasser de la jouissance pour habiter unmonde virtuel ?

Ces questions demeurent insolubles sans la réhabilitation du père réel que Lacan aintroduit dès le séminaire sur la relation d’objet, mais laissé en jachère depuis. Noussuivons, relativement au père réel, les développements essentiels de Pierre Bruno (1999 et2000) [22,23]. Il revient au père réel de présentifier, de porter le réel comme ce qui d’entréeest hétérogène et irréductible au symbolique. L’hystérique en démontre à sa façon lanécessité. Elle tente d’abord de se débarrasser du père réel en le mettant en cause au nom dufait que – partageant la thèse qu’elle a soufflé à Freud – le père doit être châtré – ; elle lerabat ainsi sur le père symbolique. Alors la castration n’opère pas. D’où l’appel fait au pèreimaginaire pour tenir le rôle du privateur.

C’est de cette nécessité du recours logique au père réel que prend acte la révision de lamétaphore paternelle.

Lacan entreprend sa révision de la métaphore paternelle dans le séminaire l’Envers dela psychanalyse, en même temps qu’il construit sa théorie du lien social. Qu’est-ce qui liele père à la catégorie de lien social ? En un sens Freud l’avait précédé en montrant, avecl’appui du mythe de Totem et Tabou, que les premières communautés humaines n’ont pus’établir que sur la base de l’exclusion de la bête de la jouissance : le père mort, construit surla dépouille, commémore pour qui assume sa mort comme un meurtre, le pas par lequell’humanité s’est humanisée. Dans cette conception les sujets tiennent ensemble parce qu’ilsont renoncé à la jouissance pour sauver l’alliance nouvelle : la horde de Freud est désormaisune communauté de frères et sœurs, manquante, désirante. Pour réintroduire la considéra-tion de la jouissance – au moins celle qui s’attrape par le moyen du phallus – Freud estcontraint logiquement de postuler que l’on ne s’humanise pas tout seul, que la communautéhumaine est plus large que la horde, et que l’exogamie va désormais régler les lois del’alliance qui permet à chacun de trouver un(e) partenaire. En quelque sorte, les hommesn’ont de relations avec les femmes que parce qu’ils les ont arrachées au père réel de lahorde14.

Nous savons que Freud devra enregistrer le retour de la jouissance au cœur du sujet avecson « Au-delà du principe de plaisir ». Précisément, Lacan promeut ici sa théorie du liensocial comme un « certain usage du discours pour faire lien ». Ce qui l’amène à utiliser l’unpour l’autre les termes de « lien social » et de « discours ». Ce lien consiste précisément,pour un sujet, à se nouer au discours qui permet à ses semblables de construire unecommunauté. En un sens, nous pouvons dire, puisque nous savons que « le signifiantreprésente un sujet pour un autre signifiant », que les sujets tiennent ensemble au moins enapparence parce que les signifiants s’articulent. Seulement le sujet doit loger dans ce lien cequi fait sa singularité, son irréductibilité au signifiant, ce qu’il est de jouissance à « porter,vivant, le signifiant dans le réel », pour user d’une formule précoce de Lacan (Séminaire IV)[12]. C’est par le symptôme que ce lien s’opère. Somme toute chacun peut éprouver que lesymptôme est le lieu d’une tension entre le plus intime du sujet (au point d’être une énigmemême pour lui) et le commun devant lequel il se juge anormal, hors norme, etc.

14 Une exposition récente au musée Dapper (mars 2002) nous apprend que chez les Baoulés, un groupe socialafricain, les couples avaient chacun un partenaire symbolique. Mais seulement les femmes lui construisaient unestatue, dite blolo bian, par l’intermédiaire de laquelle chacune continue sa relation avec lui !

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Or, nous en sommes là, c’est le père réel qui met le sujet sur la voie du réel auquel il aaffaire comme tel pour nouer ce dernier par les moyens du symptôme et créer du lien social.

Concrètement, Lacan, après avoir rappelé la relation du capitalisme au discours dumaître, reprend l’analyse freudienne du cas Dora. C’est là qu’il attribue l’erreur de Freud(tendre à l’élusion [évitement] de la dialectique du désir) au caractère « strictementinutilisable du complexe d’Œdipe ». À quoi tient ce jugement sévère ? Au fait que, selonLacan, Freud dissimule quelque chose dans le complexe d’Œdipe : précisément le fait que,dès lors que le père entre dans le champ du discours du maître (ce que nous comprenonscomme l’entrée du père dans le champ signifiant ici), dès que le père se fait signifiant (pèresymbolique), il est châtré. Cette opération est ni plus ni moins qu’une opération de névroséobsessionnel (nous avons situé à ce point l’incidence de la névrose de Freud) pour se défairede la jouissance et du père réel qui va avec.

Cette opération consiste à faire s’équivaloir le père réel, le père de la jouissance, avec lepère mort. C’est donc de là, en relevant cette équivalence, que Lacan propose d’extraire leréel du père comme increvable précisément.

Cette réhabilitation passe par la distinction entre père symbolique (le fait d’attribuerl’avènement du sujet au signifiant de la paternité via le père mort) et le Nom-du-Père (lefondement de la loi symbolique qui permet de nommer le réel). La nécessité de cettedistinction est lisible dans ce que Lacan décrit comme « premier temps et première étape ducomplexe d’Œdipe », dans le Séminaire sur les formations de l’inconscient :

« (...) il s’agit de ceci : c’est qu’en quelque sorte en miroir le sujet s’identifie à ce qui estl’objet du désir de la mère, et c’est l’étape, si je puis dire, phallique où la métaphorepaternelle agit en soi pour autant que déjà, dans le monde, la primauté du phallus estinstaurée par l’existence du symbole, du discours et de la loi. Mais l’enfant n’en attrapeque le résultat : pour plaire à la mère (...) il faut et il suffit d’être le phallus (...) » (leçondu 22 janvier 1958) [24].

La présence du symbole de la paternité précède logiquement le recours à la fonctionpaternelle assurée par le Nom-du-Père : il y a du sujet, il parle, donc il y a du pèresymbolique.

Cette distinction entre père symbolique et Nom-du-Père démontre à présent sa fécon-dité. Elle permet de distinguer la mort et la loi, créant un « espace » (Bruno, 1999 et 2000)[22,23] où surgit la dimension de ce que la loi interdit comme de ce qu’elle protège, espacedu désir (du sujet comme vivant), mais aussi où pourrait faire retour le jouisseur indestruc-tible.

10. Clinique de la seconde métaphore paternelle

La révision de la métaphore paternelle est très clinique :

« Il faut que n’importe qui puisse faire exception pour que la fonction de l’exceptiondevienne modèle, mais la réciproque n’est pas vraie – il ne faut pas que l’exception traînechez n’importe qui pour, de ce fait, constituer modèle. Cela est l’état ordinaire –n’importe qui atteint la fonction d’exception qu’a le père, on sait avec quel résultat, celui

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de sa Verwerfung dans la plupart des cas par la filiation qu’il engendre, avec le résultatpsychotique que j’ai dénoncé » (21 janvier 1975) [19].

Si la fonction d’exception traîne chez n’importe qui, il n’y a pas d’exception. Si elle netraîne pas chez n’importe qui, quand un sujet la présente elle est effectivement fonctiond’exception.

La forclusion du Nom-du-Père n’élimine pas l’espace ouvert par la distinction du pèresymbolique et du Nom-du-Père. Elle livre le sujet à la menace directe de la jouissance dupère réel, à sa perversion cette fois.

Comment la fonction d’exception est-elle introduite chez le névrosé ? Lacan enchaîne :

« Un père n’a droit au respect, sinon à l’amour, que si le dit amour, le dit respect, est –vous n’allez pas en croire vos oreilles – père-versement orienté, c’est-à-dire fait d’unefemme, objet a qui cause son désir » (21 janvier 1975) [19].

Lacan nous propose une structure qui est, sur ce point aussi, à l’opposé de celle du mythede la horde freudienne. Là, le vieux mâle jouit de toutes les femmes et accouche dusignifiant de la paternité à être tué par ceux qui se reconnaîtront ses fils. Ici, un sujet doitconsentir à localiser la jouissance qu’il perd à parler (et qu’il espère récupérer par la voie dusexuel) dans une femme. Elle occupe ainsi la place de la cause du désir de cet homme, causeque, dans son algèbre, Lacan écrit « objet a ». C’est après tout une élucidation des formulesde la sexuation : il existe un sujet qui pose la jouissance comme non réductible ausymbolique par la castration.

« Mais ce qu’une femme en accueille ainsi n’a rien à voir dans la question. Ce dont elles’occupe, c’est d’autres objets a, qui sont les enfants, auprès de qui le père intervient –exceptionnellement dans le bon cas – pour maintenir dans la répression, dans le justemi-dieu, la version qui lui est propre de sa père-version, seule garantie de sa fonction depère, laquelle est la fonction de symptôme sans que je l’ai écrite. Il suffit qu’il soit unmodèle de la fonction. Voilà ce que doit être le père, en tant qu’il ne peut qu’êtreexception » (21 janvier 1975) [19].

Peu importe, précise Lacan, que le père ait des symptômes, s’il y ajoute « celui de lapère-version paternelle, c’est-à-dire que la cause en soit une femme, qui lui soit acquisepour lui faire des enfants, et que de ceux-ci, qu’il le veuille ou pas, il prenne soin paternel ».Est-ce forcer le trait que de faire de la fonction paternelle un symptôme du sujet, sans quele père lui-même soit un symptôme ? Le symptôme consiste, pour le père, à loger sajouissance chez une femme : peu de risque ainsi de la prélever sur le dos de ses enfants, ainsique le réaliserait celui qui, se prendrait pour « le » père15. Pour le premier, cette jouissancequ’il peut ignorer et qui cause son désir, fonde ce que Lacan qualifie de « juste non dit ». Lesecond profère la loi sur tout ; « éducateur », il parie sur une transmission intégralementsymbolique, il impose à ses enfants la « bonne façon » de nouer symbolique, réel etimaginaire, sans que le sujet y mette du sien : sans symptôme donc. On sait que Lacan

15 Éclairage latéral sur la pédophilie : piste à reprendre.

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transcrira le nouage paranoïaque dans un triplice qui met en continuité les trois registressans aucune possibilité de les distinguer.

Cette logique implique de se demander ce qu’est une femme pour un homme.C’est inclus dans ce qui précède. Elle consent à incarner pour lui ce qu’il perd à parler,

voire ce qui du sujet16 échappe à toute représentation. Comme telle, elle se situe du côté dece qui ne parle pas, du côté de l’objet, trouvant par la grâce de l’homme qui l’érige en causede son désir, le moyen de se loger dans le monde : pour cet homme, cette femme est unsymptôme. Elle n’est pas un objet. Comme parlante, elle a ses propres objets a – les enfants.Le fait d’arrimer sa jouissance à un homme la protège d’ériger absolument ces derniers enfétiches.

Cette lecture modifie la façon de concevoir et de donner statut clinique aux enfants quel’on présente communément comme « le symptôme de la vérité du couple parental ». Ilconvient de voir dans le nouveau-né le surgissement d’un réel, d’une altérité, que lesparents ont à localiser comme telle : c’est ce nouage qui fait de l’enfant un symptôme. Maiscomment lui-même situera-t-il le réel auquel, comme sujet, il est confronté ? Cette questionreprend celle avancée plus haut et qui nous a conduit à l’examen de la topologie de Lacan :quand il n’y a pas forclusion du Nom-du-Père, comment le père noue-t-il le désir à la loi, sil’on ne se contente plus de l’union du désir et de la loi dont il parlait jusqu’à la « Questionpréliminaire... » [6] ?

11. La doctrine borroméenne du père

Cette question nous ramène aux derniers cheminements que nous nous proposonsd’examiner. Le nouage n’a pas la même valeur selon que le sujet s’en remet au père - ou àn’importe quelle figure de l’Autre - pour l’effectuer ou selon qu’il construit lui-même sasolution. Sans trop le déployer, indiquons qu’une cure conduit le sujet jusqu’à ce point oùil découvre qu’aucun Autre ne fait tenir le réel, le symbolique et l’imaginaire, sinon lesymptôme qu’il est. Cette découverte passe par la mise en jeu du père, mais sous la formequi se déduit de ce développement. Il convient de distinguer d’un côté le père symbolique,le père nommant, dont tout sujet se sert et ne se passe pas forcément, et, de l’autre, le réel dupère, soit, ce qui, de sa version de jouissance, ne passe pas à la castration, irréductibletoujours au symbolique – y compris irréductible au fantasme grâce auquel le sujet tented’imaginer ce que serait la jouissance du père dont il aurait à pâtir si le père était l’Autre.

La chute de la croyance en un Autre supposé répondre de l’être du sujet, contraint sedernier à s’appuyer sur la jouissance irréductible pour construire sa propre solution. Il estsans doute soulagé, au terme d’une psychanalyse, de n’avoir plus à attendre de l’Autre uneréponse impossible – ce qui accompagne la fin du transfert sur le point où il perçoit la« sorte de réel » qu’il est et qui objecte à cet Autre17. Cette « sorte de réel » n’est pasforcément le réel dont Lacan fait un des registres de la structure du sujet, irréductible au

16 Aussi bien pour son partenaire que de ce qu’elle est, elle-même, comme sujet parlant.17 Qui objecte plus à l’existence même de cet Autre qui réponde qu’à ses réponses éventuelles. Nous nous

rendons bien compte de ce qu’a de problématique l’expression « sorte de réel » – que nous rapprocherons de laquête par Lacan « d’un bout de réel ».

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symbolique et à l’imaginaire. Il s’agit, ainsi que nous l’avons distingué plus avant, du réeldu coincement : la singularité qui introduit une « clocherie » dans le réel entendu cette foiscomme registre, « clocherie » qui prouve en quelque sorte l’ex-sistence du réel et àl’imaginaire et au symbolique.

Lacan trouve confirmation de cette conception dans l’examen du cas Joyce. Un souvenirtémoigne du fait que chez lui le corps (imaginaire) n’est pas bien arrimé au symbolique etau réel, au point de le sentir glisser comme une peau. La fonction de nomination n’estsoutenue par aucun Nom-du-Père : pour lui, le nom propre n’a pas plus de valeur qu’un nomcommun. Mais Joyce réussit, par le travail de l’écriture, à se faire un nom – ce qui doits’entendre ici comme « se faire un symptôme ».

Pour réduire les développements de Lacan à leurs conclusions, il faut prendre acte dudéfaut tôt aperçu qui affecte structuralement le symbolique : il est incapable de résorber leréel qu’il produit précisément comme impossible à écrire. Ce qui exige la fonctionpaternelle pour les lier l’un à l’autre, nommer le réel et y introduire la différence sexuelle.Mais au père symbolique est imputable la même faute qu’au symbolique, nous le savons.D’où la duplicité entre le père du nom et le réel du père – lequel n’est père de rien [22,23].C’est ce qui ouvre la question des suppléances d’une façon nouvelle : il ne s’agit pas desuppléer la carence du père, de réussir là où le père échoue, mais de suppléer le défautstructural en s’appuyant sur le réel irréductible auquel à affaire le sujet. L’intérêt de Joyce,chez lequel le Nom-du-Père n’intervient pas comme suppléance au défaut du symbolique,c’est de montrer qu’il est néanmoins possible que le sujet se dote, sans le père donc et grâceau symptôme, d’une suppléance au dit défaut radical.

Le symptôme change de sens. Il abandonne sa fonction pathologique dans l’économiesubjective pour se réduire ici à la fonction qu’il tient de la structure pour lier symbolique,réel et imaginaire, au lieu du père. C’est ce que Lacan appelle, pour le névrosé, se passer dupère à condition de s’en servir : car, pour lui, c’est un père concret qui a introduit le désir –donc une jouissance – irréductible par la castration, et c’est sur cet os qu’il s’appuie pourinventer une solution qu’il n’emprunte à aucun Autre. Le père est toujours le père du désiret c’est à partir de là qu’il transmet une version de jouissance avec quoi le sujet estsusceptible de s’assurer d’une cause.

12. L’enseignement d’un cas

En guise d’illustration de notre propos, un cas. Fils d’enseignants, premier de classe,Jules en a assez de la persécution de ses camarades qui le traitent « d’intello ». Aussidécide-t-il un jour – il est alors en cinquième – d’arrêter sur le champ de travailler. Devantle désastre scolaire qui s’en suit, les parents catastrophés l’amènent à l’un d’entre nous.Jules explique qu’il ne veut pas travailler comme ses parents pour préparer sa retraite à la finde sa vie. Il veut jouir de sa vie tout de suite. Pourquoi son père et sa mère n’acceptent-ilspas son choix ? Il est malheureux de leur causer une peine dont il ne veut pas supprimer laraison.

Son analyste et lui conviennent d’un placement en internat pour mettre fin à l’affronte-ment violent et quotidien que sa décision provoque au sein de la famille. À cette occasionsurvient peut-être le seul moment d’angoisse. Une nuit, il discute avec une dizaine de ses

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camarades dans le box de l’un d’entre eux. Surgit le surveillant. Le groupe s’éparpille,chacun regagnant son lit. Sauf lui que l’embonpoint freine : il plonge sous le lit de son hôte.L’alerte passée, ses amis se précipitent pour l’empêcher de sortir et invitent le dortoir àvenir voir le nouveau domicile de Jules : il est terrifié par cette « domiciliation forcée ». Ilréussit à franchir la barrière des jambes, mais au lieu de regagner son propre box il s’évadedu collège et rejoint la maison familiale.

Les parents l’amènent d’urgence en séance. Il y réalise que s’il ne retourne pas au lycéeil aura du mal à affronter ses anciens camarades et à faire face dorénavant à toute situationdifficile. Il négocie courageusement son retour, reprend sa place au collège où il est plutôtbien accueilli... Mais il ne travaille pas davantage et, à la fin de l’année scolaire, fait l’objetd’un renvoi. De renvoi en renvoi, il se retrouve au bout d’un certain temps dans une classespécialisée au sein d’un lycée technique.

Les parents se relaient pour le laisser tous les matins devant la porte de l’établissement.Ils découvrent par la suite avec stupeur que, malgré leur accompagnement de tous les jours,il ne fréquente pas la classe : ils l’accusent de fuguer. Il explique à l’analyste qui l’interrogesur ses fugues qu’il n’en est rien : entre le portail du lycée et la classe, il doit passer devantle club de jeux de rôles, et il ne peut s’empêcher d’y rentrer et d’y rester. « Quels rôles ytiens-tu ? » « Jamais celui de meneur de jeu, mais souvent la grosse bête qui fonce et qui nepense pas » – l’anti-intellectuel en quelque sorte... que l’embonpoint ne gêne pas. L’ana-lyste s’étonne : « Comment toi qui ne supportes aucune autorité – ni celle du père, ni cellede la mère, ni celle de l’école, etc. – te plies-tu à celle contraignante des règles du jeu derôles ? Tu ne peux te passer de cette servitude volontaire, il te faut un Autre qui com-mande ! ».

Il est surpris. À la séance suivante il annonce qu’il a décidé de rentrer chez les« compagnons du devoir ». Tout se passe comme si la réalisation de sa nécessairedépendance de l’Autre – peut-être parce qu’il a vérifié expérimentalement dans ce « jeu » etsans le savoir qu’elle ne le mettait pas en danger – lui permettait de l’assumer et des’appuyer sur elle pour changer sa position dans l’existence. Son père le soutient dans ceprojet de destin « manuel » avant de s’effondrer, tandis que la mère ne décolère pas, elle quia dépensé toute son énergie à lui trouver des établissements susceptibles de lui permettre dene pas déshonorer les lignées d’intellectuels qui l’ont précédé.

Elle est d’ailleurs en rage contre Jules parce qu’il « dealerait ». À la demande de ce quipeut étayer cette suspicion, Jules répond qu’elle est tombée sur l’argent qu’il gagne envendant les cartes les plus chères, précieusement gardées jusqu’à présent, d’un jeu de rôlequ’il ne pratique plus. Saisi par cette esquisse de séparation en même temps qu’il envisagede changer d’Autre (les compagnons du devoir à la place du jeu de rôles), l’analystel’interroge sur les personnages mis en scène et notamment sur le fait de savoir s’il y aseulement des monstres ou des hommes et des femmes. « Il y a des femmes fort biendessinées », répond-il en souriant malicieusement et en esquissant d’un geste éloquent lecontour d’une poitrine opulente.

L’analyste remarque à son intention que c’est la première fois qu’il mentionne « quelquechose du sexuel ». Il répond que jusqu’à présent cela ne le tracassait pas. Il n’a pas de« petite copine ». Mais il attend. Et il espère. Dans les faits il racontera au cours des séancessuivantes le choc qui fut le sien en apprenant, de la bouche de sa jeune voisine, qu’elle a étéabusée par ses parents, et comment il se transforme en son chevalier servant ! Le monstre dujeu de rôle s’humanise devant la véritable horreur !

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Ce garçon ne se supporte pas sous le signifiant (maître) « intellectuel » où il est assignéà résidence ni en aucun lieu où l’Autre pourrait le saisir – là est l’angoisse du persécuteur.L’échec scolaire est une façon d’échapper à cette emprise. Et sans doute son embonpoint ledémarque de l’enfant idéal dont rêve la mère – ce pourquoi il ne se plaint ni de son poids nides moqueries éventuelles de son entourage. En jouirait-il ? Son corps est celui « de lagrosse bête qui fonce et qui ne pense pas », non marqué par la castration, ce que confirmel’impossibilité d’entamer son obésité par un quelconque régime. La volonté18 d’unejouissance immédiate souligne l’échec de la castration. Cet échec est-il secondaire à laforclusion du Nom-du-Père ? Ou serait-il plutôt l’effet de son inscription, en tant qu’agent,dans le discours capitaliste19 ?

Le jeu de rôle lui greffe du semblant d’être en même temps qu’un Autre supportable.C’est ce que lui révèle l’interprétation. Il consent à se débarrasser de quelques objetsprécieux... pour acheter un ordinateur plus précieux encore en vue de jeux bien plussophistiqués – interactifs : place aux autres. Il témoigne d’un premier émoi sexuel. Sont-celes prémices de la dialectisation de sa névrose infantile ? Est-ce l’effet de l’animation d’unestructure psychotique par le désir de l’analyste ? Dans tous les cas, où est passée l’angoissechez un sujet chez qui aucune perte ne paraît inscriptible ou symbolisable ?

Jules pense arrêter : il estime avoir atteint ce qu’il pouvait espérer du travail analytique.Il a effectué sa part de chemin, ses parents ne changeront pas. L’angoisse paroxystique desparents trouve une issue : la mère part dans une académie voisine où elle est promue ; sonpère s’organise pour pouvoir se consacrer, sa retraite arrivée, à sa seule passion : la voile.Jules attend de voir ce que sera le travail en entreprise et la formation chez les compagnons.À l’évocation de son avenir pointe une légère inquiétude. Sans doute la présence dupsychanalyste a dessiné artificiellement le contour d’un vide grâce auquel le sujet échappeà l’emprise des parents, au grand soulagement des uns et des autres.

La pacification obtenue ressemble à cette sorte de paix sociale que l’on gagne àsimplement isoler les belligérants : nul ne sait quand ils se rencontreront à nouveau. Mais sice jour arrive, Jules risque d’être aussi démuni qu’au premier jour : faute de pouvoirmobiliser la fonction paternelle, son inscription dans le lien social reste, semble-t-il,définitivement précaire...

13. Pour conclure

Quel est donc, en effet, l’intérêt de l’analyse lacanienne de la question paternelle pour laclinique actuelle ? La fonction que le symptôme tient du réel est une fonction de nouage :

• des registres, réel, symbolique et imaginaire, sans le recours à aucun Autre ;• du plus singulier du sujet aux autres, via le langage, dans un « vivre ensemble » auquel

il apporte sa note spécifique.C’est le symptôme ainsi redéfini que Lacan propose de distinguer de sa forme patholo-

gique en changeant l’orthographe pour l’écriture ancienne : sinthome. Cette lecture ouvredes perspectives de recherches sur le lien social contemporain.

18 C’est pourquoi nous avons souligné le verbe « vouloir » au début de cette partie : Jules veut ceci et ne veutpas cela...

19 que Lacan caractérise précisément par la forclusion de la castration et le rejet des choses de l’amour.

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De l’élaboration complexe que Lacan lui consacre [17,25] nous ne retiendrons que laplace dominante de la science contemporaine - la technoscience - et cette incidenceimmédiatement perceptible : désormais aucune autorité ne vaut dans l’univers de cettetechnoscience, y compris la science elle-même vouée à être le « cimetière des théories ». Lemariage de la science et de l’économie - pierre d’angle de la nouvelle guise du discours duMaître - tend à naturaliser les sujets ravalant leurs désirs en besoins que les gadgets - oulathouses - fabriqués par la technoscience et mis à disposition par le marché s’attachera àsatisfaire : la jouissance est partout, accessible à qui la veut, et il est même commandé de« jouir sans entraves » ! Dès lors, comment un père peut-il faire exception en situant sajouissance, sa père-version, du côté d’une femme qui miserait son propre désir pourl’accueillir ? Nous ne disons pas qu’une telle père-version n’est plus possible – encorequ’elle soit chez certains concurrencée par la toxicomanie, par exemple [26] – mais qu’ellene fait pas exception : « elle traîne chez n’importe qui ».

Telle est la postmodernité [27,28] : un état de la culture et du lien social où aucun Autrene faisant autorité, le sujet se trouve privé de toute possibilité de symboliser celle-ci auniveau du père qui consentirait à faire exception. Mais les sujets pour se constituerrequièrent cette autorité. D’où la tentative de la construire sous des formes diverses etparfois problématiques : symbolique (identification à un leader charismatique, sectes etintégrismes), imaginaires (bandes de mêmes) ou réelles (dépendance toxicomaniaques etaddictions diverses). Le sujet postmoderne saura-t-il s’émanciper de ces figures obscènes etde ces Autres de synthèse pour réinventer – via le sinthome – du lien social où trouver abri ?

Références

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« Le Paon », 1997.[5] Balmes F. Le nom, la loi, la voix. Freud et Moïse : écritures du père 2. Toulouse: Erès; 1997.[6] Lacan J. Ecrits. Paris: Seuil; 1966.[7] Lacan J. Le Symbolique, l’Imaginaire et le Réel (1953). Bulletin de l’Association freudienne 1982;1:4–13.[8] Lacan J. Conférence au Collège philosophique (1953). Le mythe individuel du névrosé ou Poésie et Vérité

dans la névrose, Ornicar ? 17/18. 1979. p. 289–307.[9] Lacan J. Les écrits techniques de Freud (1953-1954). Paris: Seuil; 1975.[10] Lacan J. Le moi dans la théorie de Freud et dans la technique de la psychanalyse (1954-1955). Paris: Seuil;

1978.[11] Lacan J. Les psychoses (1955-1956). Paris: Seuil; 1981.[12] Lacan J. La relation d’objet (1956-1957). Paris: Seuil; 1994.[13] Lacan J. Les formations de l’inconscient (1957-1958). Paris: Seuil; 1998.[14] Lacan J. L’envers de la psychanalyse (1969-1970). Paris: Seuil; 1991.[15] Freud S. Totem et Tabou (1912-1913). Paris: Gallimard Coll. « Connaissance de l’Inconscient », 1993

[Traduit de l’allemand par Marie-hélène Weber].[16] Freud S. L’homme Moïse et la religion monothéiste (1939) [Traduit de l’allemand par Cornélius Heim]

Coll. « Connaissance de l’Inconscient ». Paris: Gallimard; 1986.[17] Lacan J. D’un discours qui ne serait pas du semblant. 1970/1971 Séminaire inédit.

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[18] Lacan J. « Séance du 9 juin 1971 », « Notes préparatoires » 1971 ? L’Une Bévue 1977;8/9:24.[19] Lacan J. R S I. 1974/1975 Séminaire inédit.[20] Lacan J. Le sinthome, 1975-1976. 1975/1976 Séminaire inédit.[21] Lacan J. L’insu que sait de l’une-bévue s’aile à mourre. 1976/1977 Séminaire inédit.[22] Bruno P. Actualité. Trèfle, Bulletin de l’Association Freud avec Lacan 1999;2:53–9.[23] Bruno P. « L’après-Dora ». Trèfle, revue de Psychanalyse 2000;1:11–29.[24] Lacan J. Le désir et son interprétation. 1958/1959 Séminaire inédit.[25] Lacan J. Du discours psychanalytique (1972), Lacan en Italie, 1953-1978. Milan: La Salamandra; 1978.[26] Askofaré S, Sauret M-J. La toxicomanie : perspective psychanalytique ; sexualité et discours. Filigrane

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