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Liceo Scientifico “GIORDANO BRUNO” - Mestre - AVANGUARDIA DELLA TRADIZIONE – IV EDIZIONE L’INFINITO DELLA VITA ANIMALE Professor Andrea Pilastro “Sesso ed evoluzione” 15 dicembre 2008

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Liceo Scientifico “GIORDANO BRUNO” - Mestre -

AVANGUARDIA DELLA TRADIZIONE – IV EDIZIONE

L’INFINITO DELLA VITA ANIMALE

Professor Andrea Pilastro

“Sesso ed evoluzione”

15 dicembre 2008

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Moderatore:

Con il professor Pilastro cominciamo oggi il ciclo riservato alle V del progetto di quest’anno, che è intitolato: “L’infinito della vita animale”. Abbiamo già avuto due lesioni rivolte alle IV, così appassionanti che alcune classi IV hanno chiesto di partecipare anche alla lezione di oggi. Il percorso delle IV non riguarda Darwin, la scelta di Darwin non credo che debba neanche essere coltivata. Non è soltanto la ricorrenza imminente dei 200 anni della nascita e dei 150 anni dalla pubblicazione dell’Origine delle specie, ma è quanto di più attuale e aperto si possa immaginare per quello che noi intendiamo motivo ispiratore il nostro progetto, che ha come lontano titolo “Avanguardia della tradizione”, cioè vedere quanto dei classici, in questo caso classici della scienza, seminino non solo nell’ambito della storia della scienza, ma anche all’interno della cultura in generale. Ora, l’argomento di cui parlerà il professor Pilastro alcuni di voi lo conoscono già, nel senso che hanno anche letto il suo libro, oppure hanno potuto vederne degli estratti che abbiamo in qualche modo curato noi. Apparentemente è un tema soltanto all’interno del meccanismo della selezione naturale così come Darwin l’ha definita, ma la cosa che mi ha più colpito per gli interessi particolari miei, che non sono certamente quelli scientifici, nella lettura del libro, è un passaggio in cui è affermato chiaramente che la selezione sessuale è più potente della selezione naturale in se stessa, anche se non ricordo male la selezione sessuale è parte della selezione naturale. È un tema, quindi, estremamente aperto. Il professor Pilastro è uno zoologo, ma si occupa in modo particolare, sul piano didattico, sul piano della ricerca, della biologia evoluzionistica e dell’etologia e il testo che gira qui nell’aula, ripeto, alcuni hanno letto già l’anno scorso, perché è stato tra i premiati al premio “Galileo” sulla divulgazione scientifica, se non sbaglio non è stato il primo ma il secondo, ha visto tra i giurati anche alcuni degli studenti delle IV dell’anno scorso del Liceo “Giordano Bruno”, che in questo momento sono in V e sono qui dentro, quindi l’hanno già letto alcuni di noi prima di me, per esempio. È un testo divulgativo, anche se non è un raccontino, è una divulgazione che chiede un impegno della testa, comunque non sono le ricerche dirette del professore, che si è preoccupato comunque per quel che riguarda i pesci e gli uccelli, soprattutto nella riproduzione. Il testo e gli argomenti che tratterà oggi certo riguarderanno anche le sue ricerche specialistiche, ma riguardano in genere la selezione sessuale tra gli esseri viventi, in particolare tra gli animali. Faccio corta, lascio la parola al professore e spero che il dibattito sia interessante, come sicuramente sarà la sua presentazione. Applausi

Professor Andrea Pilastro:

Grazie dell’invito. È sempre un piacere incontrare gli studenti prima del momento in cui affrontano gli studi universitari, quanti di loro lo faranno. Quindi alcuni di voi hanno già letto il libro per il premio “Galileo”, spero che abbiate votato per me, ho perso di due punti, quindi se avete votato un altro libro avete una certa responsabilità! Per chi ha già letto il libro in parte queste cose che vi racconterò oggi sono già dette, ma ho cercato in queste diapositive che vi farò vedere di inserire cose che nei libri fanno fatica a entrare, le immagini, in particolare, qualche filmato, per trasmettere in modo più diretto alcuni dei concetti che magari nel libro risultano un pochino meno immediati. L’importanza e l’attualità di Darwin, dal punto di vista scientifico, è un dato straordinario, perché voi sapete che la biologia o alcuni aspetti della biologia sono considerati tra le scienze in questi anni uno dei campi di sviluppo più tumultuoso e promettente, uno di quei campi nei quali la nostra conoscenza sta progredendo più rapidamente. Questo grazie a metodi tecnici, a tecniche soprattutto per ciò che riguarda la genetica e la biologia molecolare, che non erano neppure pensabili fino anche solo a dieci anni fa, ma anche in altri campi, di cui io non mi occupo, ma per esempio le neuroscienze rappresentano anch’esse un momento di sviluppo straordinario, un’esplosione di nuove conoscenze, di nuove scoperte.

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Sia nel caso della genetica e nella biologia molecolare sia nel caso delle neuroscienze, certamente, questo progresso della scienza è dovuto alla disponibilità di nuove tecnologie, di nuovi strumenti, un po’ come può essere stata l’invenzione del cannocchiale nella fisica e nell’astronomia. Però, al di là di queste nuove conoscenze tecnologiche, nella biologia la ricerca, tuttora, paga un tributo importantissimo alle idee, alla prospettiva di ricerca che Darwin ha avanzato, con la sua teoria dell’evoluzione. In altre parole: dal punto di vista concettuale, vale ancora la famosa frase di Dobzanski, che in biologia nulla ha senso se non alla luce della teoria dell’evoluzione; cioè questi strumenti straordinari che ci permettono, per esempio, ci permetteranno di disporre entro, probabilmente, pochi mesi o pochissimi anni dell’intero genoma dell’uomo di Neanderthal, per darvi un’idea, questi strumenti, alla fine, questa massa enorme di informazioni che la genomica ci mette a disposizione avranno un senso e permetteranno di essere inquadrati in un contesto teorico, come dire, unificante, solo grazie a un’idea, che adesso noi sappiamo a posteriori essere semplice, ma geniale che Darwin propose come meccanismo naturale per spiegare in che modo gli organismi viventi cambiano e si adattano all’ambiente. Come ha già detto il professor Martufi, l’anno prossimo ricorre anche il centocinquantenario della pubblicazione dell’Origine delle specie e a proposito di quanto detto di questo ciclo è interessante notare che questo libro fu, prima di tutto, un best seller, cioè venne pubblicato il 24 novembre, nel giro, mi pare, di due o tre giorni tutte le copie furono esaurite, e andò incontro a una serie lunghissima di ristampe, e ovviamente le prime copie saranno state acquistate anche da colleghi, scienziati dell’epoca di Darwin, ma il libro ebbe una diffusione e un successo enorme e ben al di là dell’accademia scientifica dell’epoca. Quindi Darwin è uno scrittore per il vasto pubblico e chi di voi avesse voglia di avvicinarsi alle opere di Darwin scoprirà che sono di facile lettura e anche in alcuni casi molto divertente. Tra l’altro, tutte le opere di Darwin, in inglese, sono disponibili online, sono accessibili, come forse sapete, e molte anche in parte, in misura minore, molta parte delle traduzioni italiane originali di Canestrini, di Lessona sono anche disponibili in rete, quindi sono risorse accessibili a tutti. Adesso quello di cui io vi parlerò nel corso di questa oretta, senza abusare troppo della vostra pazienza è un aspetto della teoria dell’evoluzione che ha appassionato molti scienziati, quindi all’interno del mondo scientifico, ma che al vasto pubblico è meno nota. In altre parole, se voi chiedete a chiunque che cosa sa di Darwin, tutti vi diranno: sì, Darwin ha proposto la teoria dell’evoluzione, e la teoria dell’evoluzione, come dice il titolo stesso dell’opera originale, che cos’è in sostanza? È l’azione, l’effetto dell’azione della selezione naturale. Quindi c’è questa idea diffusa che la teoria dell’evoluzione sia, in sostanza, la teoria della selezione naturale. Questo è certamente vero, ma Darwin stesso aveva sottolineato, già nell’Origine delle specie, che la selezione naturale da sola non poteva spiegare l’evoluzione di alcuni aspetti delle forme di vita, che noi vediamo intorno a noi, così come lui immaginava dovesse essere. Allora il nucleo della teoria darwiniana, io dirò una cosa che sarà stranota alla maggior parte di voi, ma credo che sia uno di quei casi in cui ripetere non è del tutto fuori luogo. Il processo di evoluzione e adattamento attraverso la selezione naturale – qui in questo caso attraverso la selezione – procede attraverso una serie di passi: alla base c’è la variazione, non tutti gli individui sono identici, da una generazione all’altra i caratteri si trasmettono attraverso l’ereditarietà; se questi caratteri sono associati a una diversa probabilità di sopravvivere, avviene la selezione. La selezione è un processo che, di fatto, è risultato della maggiore o minore probabilità di sopravvivenza di un individuo rispetto a un altro in relazione a uno specifico carattere. Questi tre passi – variazione, eredità e selezione – se hanno il tempo di agire per un periodo sufficientemente lungo, danno origine all’adattamento. Quindi se noi osserviamo in natura un animale, non so, che ha una colorazione mimetica che gli permette di sfuggire i predatori, secondo Darwin, questa capacità di imitare lo sfondo è il risultato di questo processo, una variazione, non tutti imitavano lo sfondo altrettanto bene, chi lo imitava meglio aveva maggiori probabilità di sopravvivere; se la capacità di imitare lo sfondo è ereditabile, il tempo, selezionando di generazione in generazione i caratteri, dà luogo all’adattamento. Quindi il processo prevede questi passaggi.

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Immaginate degli individui con caratteristiche diverse, qui rappresentati da delle palline con colori diversi, immaginiamo che per qualunque ragione gli individui, in questo caso indicati con il verde, hanno minore probabilità di sopravvivenza di quelli azzurri, per qualche ragione, perché imitano meno bene lo sfondo etc.; questo processo di sopravvivenza differenziale, ripetuto nel tempo, dà luogo al cambiamento progressivo delle popolazioni in direzione in senso adattativo. L’idea di questo processo è che gli individui, le specie, gli animali e le piante che noi osserviamo in natura dovrebbero possedere caratteri che sono il risultato di questo vaglio della selezione naturale. Tutti i caratteri che sfavoriscono nella sopravvivenza dovrebbero scomparire. Ma detto questo, Darwin, che era un grande naturalista… apro una piccolissima parentesi: voi sapete che la teoria dell’evoluzione, attraverso il meccanismo della selezione naturale, è stato proposto contemporaneamente da Darwin, ormai scienziato di grande fama, già avanti negli anni, e da un giovane ricercatore inglese, Alfred Wallace, che era giunto alle stesse conclusioni di Darwin, e timidamente, a un certo punto, scrive a Darwin, considerato il suo idolo, e gli dice: caro professor Darwin, io sono giunto a una conclusione di questo tipo: secondo me, l’adattamento, il cambiamento delle popolazioni avviene attraverso questo processo. A Darwin viene un colpo, perché lui stava lavorando alla sua teoria, la stava limando da venti anni, praticamente, perché voi sapete che torna dal viaggio intorno al mondo sulla nave di Sua Maestà Beagle alla fine degli anni ‘30, noi sappiamo dei suoi taccuini, nel giro di uno, due anni ha già messo a fuoco le sue idee. Nei tre, quattro anni successivi ha, in realtà, elaborato gran parte della teoria. Quindi siamo alla fine degli anni ‘30, lui per venti anni tiene tutto nel cassetto, perché ha immediatamente la percezione di quanto importanti sono le conseguenze della sua teoria e vuole pubblicare solo quando è sicuro di avere raccolto tutte le informazioni a supporto che può essere in grado di trovare. Se non che questo Wallace gli dice: io sono arrivato alla stessa conclusione. Un giovinastro, molto diverso di carattere da Darwin, e a quel punto Darwin è costretto a dare alle stampe il suo libro. La cosa che volevo sottolineare è: che cosa rende diversi, in qualche misura, Darwin e Wallace dagli altri scienziati che si erano occupati di zoologia, di botanica, che avevano pensato in qualche modo a cercare una spiegazione per la biodiversità? La differenza fondamentale tra Wallace e Darwin e tutti gli altri è che loro avevano viaggiato. Invece di guardare piante e animali nei musei, come si usava fare allora, Darwin e Wallace hanno un’esperienza sul campo straordinaria. In due aree diverse, voi sapete che Darwin studia soprattutto il Sud America, e Wallace, invece, il Sud est asiatico, ma tutti e due in qualche modo vedono gli animali nell’ambiente che li ha plasmati. Questo per dire che per coltivare le scienze l’esperienza diretta è importante. A ogni modo, chiudo la digressione, Darwin, che era un precisino, diremmo adesso, non si accontenta di aver trovato una spiegazione per la maggior parte dei fenomeni, vuole cercare di capire tutto e allora dice: ma se i caratteri che la selezione naturale favorisce sono quelli che aiutano nella sopravvivenza, come è possibile che tanti animali possiedano ornamenti, piume colorate, cantano, saltano, fanno cose bizzarre? E questo non può certo aiutarli a nascondere dai predatori, a sfuggire ai predatori, anzi, li costringe a un surplus di sforzo per produrre queste strutture e per mantenerle. Pensate che le corna di alcuni ungulati – qui c’è uno stambecco – possono arrivare a pesare quasi l’8–10% del corpo, e queste sono strutture che vanno prodotte e oltre a essere prodotte devono essere portate a spasso per tutta la vita. Un fardello che non aiuta certamente nella sopravvivenza. E Darwin si era accorto che questi caratteri bizzarri, antisopravvivenza potremmo dire, sono presenti soprattutto nei maschi. In alcuni casi, per esempio, come è il caso di questo elefante marino, questa è la femmina, questo è il maschio, che pesa 6 volte più della femmina. Se la selezione naturale plasma le caratteristiche migliori per quell’ambiente, come è possibile che due membri della stessa specie raggiungano caratteristiche così diverse? Maschi così più grossi rispetto alle femmine? Darwin ha una spiegazione per questo e questa spiegazione viene inserita in due paginette all’interno dell’Origine delle specie e dice a pag. 87, c’è un piccolo capitoletto, che si intitola “Selezione sessuale”. Non mi dilungo, vi traduco solo la parte cruciale. Darwin dice: “l’esistenza di questi caratteri che vi ho mostrato mi induce a dire poche parole su quella che io chiamo ‘selezione sessuale’. Essa dipende non già dalla lotta per l’esistenza, ma da una lotta che ha

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luogo tra gli individui del medesimo sesso e generalmente tra i maschi per il possesso delle femmine”. Questa è la traduzione di Michele Lessona. “Il risultato di questa lotta non consiste nel soccombere di uno dei competitori, ma nella poca e ognuna discendenza che egli produce”. Cioè Darwin si rende conto che per avere successo dal punto di vista evolutivo, diremmo noi adesso per trasmettere i propri geni alle generazioni successive, future, non è sufficiente sopravvivere, bisogna anche riprodursi. E Darwin immagina che in questa lotta per la riproduzione, questa volta, maschi con caratteristiche, per esempio, rappresentate da grande forza fisica (corna, zanne, squame, armature etc.) in qualche modo siano avvantaggiati in questa lotta per la riproduzione e che quindi trasmettano queste caratteristiche alla generazione futura. E come dice Darwin: la lotta, a questo punto, non è per la sopravvivenza, ma è per lasciare tanti o pochi discendenti. Dal punto di vista evolutivo sopravvivere senza riprodursi è come non sopravvivere, ciò che conta è il numero di discendenti, quindi il numero di copie dei geni che un individuo lascia alla generazione futura. D’altra parte, come vi dicevo, Darwin era uno preciso e riconosceva anche il fatto che molti di questi caratteri, come la famosa coda del pavone, non possono servire nella lotta tra i maschi, è alquanto improbabile, e Darwin lo sapeva perché li aveva osservati questi animali, e sapeva bene che i pavoni, quando combattono tra di loro, e lo fanno, usano gli speroni, il becco, ma non si colpiscono con le piume della coda, perché sarebbe un’arma alquanto inefficace. Però sapeva anche che le femmine, quando i maschi tentavano di accoppiarsi, osservavano più di un maschio, osservavano i display e questi caratteri ornamentali. Infatti dice: “tra gli uccelli la lotta tra i maschi ha spesso un carattere più pacifico e tutti coloro che si sono occupati dell’argomento concordano nel ritenere che vi sia una rivalità accesa tra i maschi per attirare con il canto le femmine. I maschi mostrano il loro piumaggio spettacolare e compiono le più bizzarre esibizioni prima che le femmine, che sono state fino a allora a osservare, alla fine, scelgano il partner più attraente”. Quindi Darwin immagina che ci siano due processi all’interno della selezione sessuale: quella che lui chiama “competizione” tra i maschi, che dà luogo all’evoluzione di caratteri tipo armamenti (corna, unghie, forza fisica etc.), cioè quei caratteri che servono durante la lotta tra i maschi per decidere chi è il vincitore. Ma Darwin dice: in altre specie la selezione sessuale avviene attraverso la forma della scelta femminile, che favorisce l’evoluzione di caratteri di tipo ornamentale, come per esempio le code allungate di tanti uccelli, in questo caso di questa specie di colibrì. Questo tema verrà poi sviluppato nella seconda grande opera di Darwin, pubblicata dodici anni dopo, che non a caso tratta due argomenti sensibili: l’origine dell’uomo, perché è chiaro che una delle conseguenze della teoria dell’evoluzione attraverso la selezione è che l’uomo sia una specie animale diversa dalle altre, per ovviamente tanti caratteri, ma uguale alle altre dal punto di vista del processo che ne ha determinato la comparsa. E era chiaro che dal punto di vista etico, filosofico, religioso la teoria evolutiva ha un’implicazione su quello che si può dire a riguardo dell’origine della nostra specie. Ma l’altro tema che Darwin sapeva essere complesso era proprio questo, cioè: la selezione in relazione al sesso. Quindi lui svilupperà in quest’opera, peraltro un po’ più noiosa, devo dire, dell’Origine delle specie, proprio questi temi. E qui riprende e afferma e va un po’… devo dire una cosa: la competizione maschile viene prontamente accettata dagli scienziati, colleghi di Darwin, nessuno mette in dubbio che i cervi usino le corna per combattere, era un fatto noto, e quindi questa idea che alcuni caratteri possano evolvere attraverso la competizione maschile non sorprende nessuno. La scelta femminile sarà, invece, una fonte di grandi guai e preoccupazioni per Charles Darwin, perché nella selezione in relazione al sesso, Darwin dice: “così pare che nello stato di natura le femmine degli uccelli, avendo per lungo tempo scelto i maschi più attraenti, hanno accresciuta la loro bellezza – la bellezza dei maschi – senza dubbio questo implica certe facoltà di scelta e di gusto per parte della femmina, che a prima vista possono parere sommamente improbabili. Ma io spero poter dimostrare più tardi che non è così”. E da questo momento in poi del libro Darwin elenca un numero interminabile di casi che, secondo lui, dimostrano che le femmine scelgono. Questa è la parte, da un certo punto di vista, interessante perché dimostra l’enorme conoscenza naturalistica del

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nostro, ma, dall’altra parte, noiosissima, perché è una serie infinita di esempi, citando quello che gli ha detto Mr. Brown, una cosa terribile. A ogni modo, fa uno sforzo enorme per sostenere questa cosa, però se vedete voi in questa ipotesi della scelta femminile ci sono due punti che a Darwin daranno dei grattacapi non piccoli. L’idea della scelta femminile si basa, implica certe facoltà di scelta e di gusto da parte della femmina. Questo concetto, quest’idea di tutta la teoria darwiniana, cioè dei due libri principali che lui ha scritto, costituisce la parte sulla quale Darwin avrà più rogne con i suoi colleghi. E la ragione qual è? La ragione è che nessuno, all’epoca – e vedremo per tanto tempo dopo – accetta l’idea che gli animali possiedano un senso estetico, perché anche i più accesi sostenitori della teoria evolutiva di Darwin continuano comunque a ritenere che l’uomo abbia certe facoltà che sono uniche nel regno animale, una di queste è il senso estetico. L’attrazione per la poesia, per la pittura, per le arti e anche l’investimento obiettivo che la nostra specie fa nel produrre oggetti inutili, ma belli, sembra essere una prerogativa puramente umana. Le bestie pensano a mangiare, sopravvivere e riprodursi, sono bestie, e tra le bestie ci sono bestie di serie A e bestie di serie B. Così come all’epoca c’erano persone umane di serie A, gli uomini, e persone umane di serie e B, le donne, che non votavano, che avevano scarsissimo accesso, per esempio, anche alle lettere e alle arti, immaginiamoci che possibilità poteva avere, secondo la psicologia dell’epoca di Darwin, l’idea che una femmina o, meglio, un animale, e per di più femmina, avesse un senso estetico. La cosa interessante è che questa teoria della scelta femminile viene considerata da praticamente tutti i colleghi di Darwin e tutti i maggiori biologi evoluzionisti per circa un secolo dopo Darwin come una corbelleria. Già Darwin se n’era reso conto. La maggior parte dei naturalisti ammette che le armi dei maschi sono il risultato della selezione sessuale, ma molti di essi dubitano o negano decisamente che le femmine degli animali esercitino mai alcun tipo di scelta, in modo da selezionare alcuni maschi preferendoli ad altri. L’idea che le femmine svolgano una parte attiva in qualsivoglia contesto era inaccettabile. Le femmine sono il supino oggetto del desiderio dei maschi, punto. Adesso lascio a voi trarre le conseguenze di quanto ci sia in questo una proiezione del pensiero dominante dell’epoca rispetto ai dati scientifici. Wallace, dopo avere inizialmente supportato l’idea della scelta sessuale, attraverso la scelta femminile, fa un rapido dietrofront, e sarà uno dei più accaniti nemici di quest’idea. Tomas Morgan, premio Nobel per la medicina, dopo aver criticato la teoria della scelta sessuale con una serie di argomenti uno più sbagliato dell’altro – notate – conclude dicendo: la teoria incontra obiezioni fatali a ogni svolta; cioè dice: è una teoria che non sta in piedi dall’A alla Z, e Tomas Morgan era una personcina che aveva una certa influenza nel mondo scientifico. E così Julian Huxley, un altro eminente biologo evoluzionista, nipote del famoso “mastino di Darwin” – voi sapete che Darwin non amava andare in pubblico a difendere la sua teoria, parlerà in pubblico in pochissime occasioni, e quindi i dibattiti che si susseguivano in ambiente scientifico, oppure nelle varie società, non andava mai lui, ma andava il nonno di Julian Huxley, il mastino di Darwin, che era uno combattivo, uno che per dire il ‘politicamente corretto’ lui si confrontava spesso con l’Arcivescovo di Canterbury, che era, invece, un accanito oppositore della teoria di Darwin, fino a che un giorno questo povero Arcivescovo, spostandosi a cavallo, finisce con la testa sulla pietra della strada e si rompe la testa. Esce parte della sua materia celebrale e rimane agonizzante per due, tre grandi, infine muore. Il commento del nonno di Julian Huxley fu: finalmente il cervello dell’Arcivescovo di Canterbury ha avuto un incontro con la realtà e l’esito per lui è stato fatale. Ma anche Dobzanski, strenuo difensore della teoria evoluzionistica, ritiene che la teoria della scelta sessuale sia sbagliata. E perfino Ernst Mayer, in realtà, anche se è un pochino più sfumato, ritiene che gli ornamenti, i colori maschili evolvano sotto la pressione della selezione naturale e non certo della selezione sessuale. Per darvi un’idea: nel 1932, ‘33, mi pare, vengono pubblicati su “Nature”, che è la più importante rivista scientifica al mondo, due articoli che dimostrano che in un pesce e un uccello le femmine scelgono i maschi sulla base del loro colore. Questi articoli vengono sostanzialmente ignorati e non

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sono pubblicati da due personaggetti di bassa qualità. Uno di questi viene pubblicato da Nico Tinbergen, futuro premio Nobel per l’etologia. Ciò nonostante, l’avversione contro l’idea che le femmine siano motore attivo della selezione attraverso la scelta per caratteri estetici è così forte che di fatto neanche la prova, l’evidenza scientifica li smuove. In realtà, negli anni ‘70, molti ricercatori cominciano a riprendere in mano questa teoria e ad affrontarla con uno spirito scientifico vero, galileiano potremmo dire: una teoria fa delle previsioni, queste previsioni si sottopongono a verifica sperimentale; se l’esperimento le supporta, vuol dire che la teoria è giusta, almeno fino a prova contraria; se invece l’esperimento non supporta le previsioni della teoria, vuol dire che è sbagliata. In realtà, ci sono anche cose pubblicate un po’ prima, ma, insomma, un articolo scientifico, pubblicato su “Nature” anche questo, che si considera un po’ la svolta da questo punto di vista viene pubblicato da questo ricercatore svedese, Malte Anderson, che va in Africa a studiare questo uccello Vedova, che è una delle specie che Darwin cita in quel lungo elenco di esempi nei quali le femmine avrebbero, secondo lui, determinato l’evoluzione di queste lunghe timoniere della coda esercitando una preferenza per i maschi con le code più lunghe. Di fronte a una teoria scientifica, dicevo, cosa bisogna fare? Bisogna verificare le previsioni. Allora se la teoria è vera, io mi aspetto che le femmine di questa specie preferiscano i maschi che hanno le timoniere più lunghe. E che cosa faccio? Manipolo sperimentalmente la lunghezza di queste timoniere e guardo che cosa succede, il successo riproduttivo di questi maschi. Malte Anderson fa questo: taglia con un paio di forbici le timoniere a un gruppo di maschi, le incolla alle timoniere di un altro gruppo di maschi, producendo dei maschi superattraenti, e poi forma un gruppo di controllo non manipolato, e il risultato è che in supporto all’idea di Darwin i maschi che hanno le timoniere più allungate riescono ad attirare più femmine di quelli il cui “fascino” è stato artificialmente e tristemente per loro modificato dallo sperimentatore. C’è un’esplosione di interesse a questo punto. Se uno considera le ricerche pubblicate sulle riviste principali di biologia evoluzionistica, a partire dalla fine degli anni ‘70, gli articoli che riguardano la selezione sessuale, che erano prima una minoranza, diventano una parte consistente, in alcuni casi anche maggioritaria, dei contributi, perché? Perché la selezione sessuale o, meglio, la teoria dell’evoluzione, applicata alla selezione sessuale apre la strada a una quantità enorme di possibili scoperte e ricerche. Però sappiamo adesso, dopo questi venti, venticinque anni di ricerca nel campo, che la scelta sessuale femminile è un fenomeno molto diffuso. In tantissime specie, attraverso i taxa più diversi, dagli insetti agli uccelli, come potete vedere, in questo caso, per esempio, in questo piccolo dittero queste palline rosse sono gli occhi che si trovano all’estremità di lunghi peduncoli e le femmine preferiscono i maschi con gli occhi più lontani, con i peduncoli più allungati. Nella rondine sono le timoniere, nello spinarello la macchia rossa, anche in questo pesce ci sono le macchie rosse, nella cinciarella sono le colorazioni ultraviolette, che noi non vediamo, ma che le femmine vedono bene e che usano per scegliere il maschio. E anche finalmente la famosa coda del pavone, che turbava i sonni di Darwin, perché così com’era rappresentava una sfida alla sua idea dell’evoluzione attraverso la selezione naturale. Ma adesso sappiamo che le femmine tendono a preferire i maschi che hanno un “treno” – così si chiama – questo gruppo di penne con il maggior numero di occhi all’interno. E in alcuni casi la scelta sessuale ha prodotto l’evoluzione di quello che potremmo chiamare “fenotipi estesi”, l’ornamento non è più attaccato al maschio, ma è rappresentato da questi oggetti colorati, che il maschio raduna, nel casto di questo uccello giardiniere, di raso, in una zona di foresta che il maschio tiene pulito, costruisce una sorta di palcoscenico che orna raccogliendo in giro per la foresta pezzetti di fiori, frutti colorati, bacche etc.. In questa specie i maschi sono blu, questa è la femmina con l’occhio blu, il blu pare essere il colore preferito e gli ornamenti che il maschio raccoglie sono in gran parte di questo colore. Ma noi sappiamo, per esempio, che in questo gruppo di rane del genere Physalaemus le femmine preferiscono i maschi che producono un pink nel canto, anche se questo pink espone i maschi a essere predati da questi pipistrelli cacciatori più frequentemente dei maschi che non lo producono. Ma non sono solo segnali visivi o acustici, ma anche chimici, che svolgono un ruolo importante nella scelta del partner negli animali nei quali la comunicazione si basa soprattutto sulla

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segnalazione chimica, come il caso del topo, nel quale le femmine sono in grado dall’odore di percepire se un maschio è dominante o subordinato, e preferiscono il dominante, ma sono anche in grado di determinare se quel maschio è geneticamente vicino, simile a loro oppure diverso, e tendono a preferire il maschio diverso. E chi ha letto il libro non sarà sorpreso, ma per gli altri potrebbe essere sorprendente scoprire che questo vale anche nell’uomo. Una serie di ricerche, condotte a partire dalla metà degli anni ‘90, ha dimostrato che nella nostra specie c’è una capacità di discriminare sulla base dell’odore individui che hanno genotipo, quindi varianti genetiche per un locus che si chiama HLA, i fattori maggiori di istocompatibilità, che sono i geni responsabili di una parte della resistenza immunitaria. Anche se non è conscio questo, noi percepiamo queste differenze, e questo è stato dimostrato con un test… ovviamente, il test non è questo, perché? Il test non è questo perché in questa scelta il punteggio di preferenza che potrebbero dare queste sperimentatrici in abito bianco sarebbe certamente influenzato anche da altri caratteri diversi dall’odore e per questo Wedekind, che è questo ricercatore svizzero ha fatto il famoso esperimento delle tshirt usate facendo indossare delle tshirt a un gruppo di studenti universitari, maschi e femmine, per due giorni, e poi presentando a ognuno di questi studenti 6 magliette, ovviamente alle femmine magliette indossate da maschi e viceversa, chiedendo di indicare in un ordine di preferenza l’odore associato a queste tshirt che ritenevano più attraente o meno disgustosa, adesso non so bene se l’indicazione fosse mettere quello che ti piace di più o quello che ti fa meno schifo. Sta di fatto che, conoscendo il genotipo agli HLA degli individui che sceglievano le tshirt, e di quelli che le avevano indossate, Wedekind ha dimostrato che in modo statisticamente significativo che uno ritrova meno disgustoso, più attraente l’odore di una persona che ha geni HLA diversi dai propri e questo ha un vantaggio perché si produce, nel caso in cui da questo annusamento della maglietta discenda poi la produzione di prole, in questo modo una prole che ha una capacità di rispondere a uno spettro più ampio di possibili patogeni. Adesso vi faccio vedere qual è l’esito della selezione sessuale attraverso la scelta femminile e in un paio di casi estremi. Come vi ricordate, Darwin dice che i suoi collaboratori, esperti del settore, gli dicono: in molte specie le femmine stanno ad ascoltare i maschi che cantano, che compiono esibizioni e poi scelgono il maschio con cui accoppiarsi. Allora questo processo di scelta femminile ha prodotto, in alcuni casi, degli esiti quasi incredibili: in molte specie di uccelli è stato dimostrato che le femmine tendono a preferire i maschi che hanno un repertorio di canto più ricco, cioè che producono canti che contengono al loro interno varianti diverse. Ora, produrre canti molto diversi è difficile e un metodo che la selezione, che il processo evolutivo ha favorito per produrre canti diversi, è quello dell’imitazione. Forse succede la stessa cosa anche nell’uomo. Ma è molto più facile riprodurre una canzone sentita da altri, che inventarsene una di nuova, e lo stesso c’è tra gli uccelli. Sta di fatto che la selezione ha favorito, in alcune specie di uccelli, una capacità di imitazione dei suoni di altri uccelli che è incredibile, e l’uccello Lira australiano è uno di questi casi. In questa specie i maschi, come al solito, occupano una parte della foresta all’interno della quale stazionano e – questo è un video preso da Internet, riconoscerete per chi ha passione di queste cose Richard (inc.) – all’interno della zona il maschio produce dei canti per attirare la femmina, e in questa clip si vedrà questo uccello Lira produrre il canto di un’altra specie di uccello imitandolo in modo così perfetto che un individuo di quella specie imitata risponde. (Visione della clip) Adesso lui, tra un po’, produrrà il canto di un Kookaburra, che è una specie di grosso martin pescatore australiano. (…) Ma la cosa incredibile è che questo è un animale fotografato spesso e questo è il risultato. (…) La cosa incredibile è che nelle giornate precedenti in quest’area della foresta i boscaioli avevano tagliato alcuni alberi e questo è il risultato. (…) Adesso vi faccio vedere un altro caso di display di corteggiamento, che potremmo definire “estremo”. Questo uccello che vedete è un manachino ed è un piccolo uccello delle dimensioni di un merlo, grosso modo, che vive nelle foreste. È una famiglia di uccelli che vive nelle foreste

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nell’America centrale, e anche in questo caso i maschi stazionano in un’area della foresta, abbastanza libera dal sottobosco, e all’interno di quest’area compiono delle esibizioni. Queste esibizioni sono complicatissime e richiedono una capacità di coordinamento neuromotorio straordinario. In questa specie particolare, che è il manachino testa rossa, i maschi corteggiano la femmina esibendosi in saltelli sui rami. Saltello sul ramo sembrerebbe una cosa semplice, in realtà questi saltelli sono piccolissimi e avvengono a una velocità incredibile; il risultato che noi vediamo è questo che adesso vi faccio vedere. In questo filmato c’è una collega americana disinibita, che fa una cosa che io non farei mai, ma lei non si preoccupa di questo, e descrive il display di questo manachino. (Visione della seconda clip) Per concludere questo tema, non c’è dubbio che la scelta femminile possa selezionare caratteri estremi - e disponendo di tempo uno potrebbe continuare a presentare esempi di questo tipo per ore - e la cosa interessante, che adesso qui non c’è tempo di affrontare troppo, ma che tratto più approfonditamente nel libro, è che noi adesso sappiamo molte più cose sulla scelta femminile, alcune di queste cose Darwin non le aveva neanche trattate. Per esempio, Darwin non si era chiesto perché le femmine dovessero mai scegliere, cioè lui dà per scontato il fatto che le femmine preferiscono i maschi con caratteristiche più colorate, ma non dice mai in modo chiaro e preciso per che ragione le femmine dovrebbero scegliere; perché è chiaro che la scelta e la preferenza femminile è un carattere come un altro e quindi se c’è ed è comparso potrebbe esserci una spiegazione adattativa. In realtà, adesso noi sappiamo che, attraverso queste preferenze, le femmine selezionano i maschi che hanno qualità genetiche migliori; ottengono anche altre forme di benefici e, quindi, scegliendo un partner rispetto a un altro, utilizzando questi caratteri ornamentali come segnale, sono in grado di individuare i maschi che massimizzeranno il loro successo riproduttivo o perché dispongono di risorse che altri maschi non hanno (un territorio, difesa dei predatori etc.) o perché dispongono di geni di qualità superiore, che quindi garantiranno alla prole alla maggior capacità di sopravvivenza. Quello che possiamo dire è che da quando, alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso fino per i venti anni successivi, il lavoro sperimentale di tanti ricercatori ha dimostrato, quindi, che Darwin aveva ragione, a dispetto della pessima accoglienza che la sua teoria ebbe in ambito scientifico, Darwin aveva visto perfettamente giusto. Ovviamente, però, come sempre e come la scienza della biologia evoluzionistica ci ha insegnato in questi 150 anni di vita, da Darwin in poi, la teoria evoluzionistica è importante e interessante non solo per le risposte che dà, ma anche perché ci permette di affrontare i problemi attraverso un nuovo punto di vista, e adesso vi accennerò brevemente a due punti di vista, a cui Darwin non aveva pensato, dei quali non si era reso conto, alcuni dicono che su questo si era autocensurato, però non è che ci sono elementi per dirlo. Uno di questi è un tema della selezione sessuale, la cui paternità può essere assegnata a Jack Parker, che è uno dei più grandi biologi in campo del comportamento animale della selezione sessuale tuttora vivente. Nel 1970, Jack Parker pubblica una serie di articoli che lui ha sviluppato a partire dalla sua tesi di dottorato di ricerca. Alla fine degli anni ‘60 voi sapete lui era di Liverpool, a Liverpool c’erano i Beatles, stava per avvicinarsi un’epoca di grandi cambiamenti, da “Summer of love” in paesi anglosassoni, il “Maggio francese”, un momento in cui molti giovani erano attirati – verrebbe da dire con uno slogan – da “sesso, droga e rock-and-roll”, invece Jack Parker, bontà sua, era attirato da queste moschine gialle che vedete qui, che sono sicuro la maggior parte di voi troverebbe degli organismi repellenti di cui occuparsi; perché già le mosche non riscuotono il massimo della simpatia, queste mosche, in particolare, devo ammettere, sono tra le meno attraenti si possono immaginare perché si riproducono esclusivamente sugli escrementi freschi di bovino. I maschi, quindi, che cosa fanno? Pattugliano l’ambiente cercando di individuare uno di questi, come dire, dal punto di vista della mosca gialla rappresentano un sito di deposizione delle uova e siccome le uova le depongono le femmine, i maschi cercano le femmine, per i maschi questo sito di riproduzione delle uova rappresenta un’opportunità per accoppiarsi e tra le tante cose che Jack

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Parker poteva fare nella sua giovinezza ha pensato di dedicare tre anni della sua vita a osservare d’estate cosa facevano queste mosche gialle su questi siti di riproduzione. E scopre una cosa che tanti sapevano, anzi, una cosa che tutti sapevano, ma le cui conseguenze dal punto di vista evolutivo erano sfuggite a tutti, e cioè quello di cui Jack Parker si è accorto è che in molte specie animali la promiscuità sessuale non è un affare solo maschile, non è solo il cervo che conquista l’harem di femmine e si accoppia magari con 10, 20, 30 femmine diverse, ma Jack Parker si rende conto che la promiscuità sessuale, cioè l’accoppiamento con più di un maschio nel corso del medesimo ciclo riproduttivo è qualcosa che accade frequentemente anche nelle femmine. Quindi che cosa significa? Significa che il successo riproduttivo per un maschio, dal punto di vista maschile, non dipende solo dal numero di femmine con cui riesce ad accoppiarsi, ma se quelle femmine sono sessualmente promiscue, cioè si accoppiano con altri maschi il suo successo riproduttivo dipenderà dalla proporzione di uova che riuscirà a fecondare per ogni femmina con la quale si accoppia. In altre parole: accoppiarsi con 100 femmine e fecondare 0 uova è una strategia che dal punto di vista evolutivo non porta lontano. In effetti, il riconoscimento del fatto che la promiscuità sessuale femminile è un fenomeno quasi universale in natura ha permesso per la prima volta di comprendere l’evoluzione di curiosità, se vogliamo, zoologiche che prima erano lì, le conoscevano tutti, ma nessuno sapeva spiegarne il perché. Per esempio, un fatto noto è che la dimensione relativa dei testicoli varia in alcuni gruppi animali enormemente: ci sono specie che hanno testicoli molto grandi rispetto alle dimensioni corporee e specie che hanno i testicoli molto piccoli, perché? In fondo, noi sappiamo che anche testicoli di piccole dimensioni sono in grado di produrre un numero di gameti, di spermatozoi in numero più che sufficiente per fecondare le uova che deve fecondare. Quindi perché alcuni individui o alcune specie investono energie, risorse per produrre grandi quantità di spermatozoi? Questo problema non era neanche posto, era come: uno guarda fuori e guarda senza capire. Adesso noi sappiamo, per esempio, che in tutti i gruppi animali in cui questo è stato valutato la variabilità nella dimensione dei testicoli si spiega in modo quasi completo sulla base del grado di promiscuità sessuale femminile. Per esempio, negli primati i gorilla possiedono testicoli che sono molto piccoli rispetto alle dimensioni corporee. I maschi di gorilla pesano oltre 200 chili, quindi pesano circa 8 volte più di un maschio di scimpanzé, un po’ meno, ma 4–5 volte più di un maschio di scimpanzé, ma posseggono testicoli molto più piccoli, per che ragione? La ragione è che le specie nelle quali le femmine sono tendenzialmente sessualmente promiscue hanno un livello di competizione spermatica, cioè di competizione tra gli spermi di maschi diversi per fecondare le uova molto maggiori e per vincere nella competizione spermatica una delle soluzioni, anzi, una soluzione universalmente adottata è quella di produrre più spermatozoi e non solo la dimensione dei testicoli, ma questo lavoro 2005 ha dimostrato che vengono prodotti anche spermi che nuotano più velocemente, perché, ovviamente, il numero è importante, ma nella competizione spermatica è anche importante chi arriva prima a fecondare le uova. Da quello che risulta dalla specie umana, che vedete ha una situazione per ciò che riguarda la velocità degli spermi intermedia tra le specie strettamente monogame e le specie fortemente promiscue intermedia e che suggerisce che la nostra specie si è evoluta in un contesto di competizione spermatica moderato. Oltre alla velocità degli spermi, questo è confermato anche dalla dimensione dei testicoli e dal numero di spermi eiaculati etc.. Ma un altro aspetto che è più interessante dal punto di vista zoologico… so che gli studenti sono molto meno presi dagli spermatozoi degli insetti che della dimensione dei testicoli del gorilla, però, insomma, di scienza bisogna parlare. Per esempio, dall’invenzione del microscopio noi sappiamo che gli spermatozoi degli insetti hanno le forme più bizzarre che si possano immaginare. Qui, per esempio, c’è un piccolo assortimento di spermatozoi che sono in ciuffo, a forma di disco, di pesce, spermatozoo singolo, più lungo, più corto, spermatozoi formati in coppia, a due teste, o lunghi spermatozoi i cui flagelli sono arrotolati a elica. Anche in questo caso, come in ogni campionato zoologico, ci sono i campioni del mondo che tra gli insetti sono rappresentati da un paio di specie del genere Drosofila, quindi la stessa mosca della frutta, lo stesso genere della Drosophila

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Melanogaster, qui si tratta di altre specie, nelle quali gli spermatozoi, che sono prodotti dai maschi, sono lunghi circa 60 volte la lunghezza del maschio. Questo in scala più o meno è un maschio, questo è uno spermatozoo srotolato, perché in realtà vengono prodotti in forma di gomitolo. In una di queste specie, che si chiama “Drosophila Bifurca”, i maschi producono degli spermatozoi talmente grandi che in questa specie si capovolge o, meglio, si arriva a riequilibrare quella caratteristica che è ciò che rende diversi i maschi dalle femmine: i maschi producono gameti piccoli in grande numero, le femmine producono gameti grandi in numero limitato. In questa specie la differenza non è più così pronunciata, perché qui vedete un uovo, questo è un uovo di bifurca e questi sono l’equivalente in massa proteica di questo uovo, che è rappresentato da 6 spermatozoi. In questa specie un maschio produce in media 6 spermatozoi ogni uovo della femmina. Se volete scoprire perché e come si è arrivati a questo, ve lo posso dire dopo, altrimenti c’è nel libro. Ma un altro esempio bizzarro di evoluzione legata alla competizione spermatica è quella che si osserva in alcune specie di topi, nelle quali la forma tipica dello spermatozoo, che è quella che voi avete, immagino, presente, quindi una testa simmetrica e un flagello, lo spermatozoo ha assunto una forma diversa: vedete che la testa progressivamente ha perso la sua simmetria bilaterale e ha sviluppato una forma dell’estremità anteriore della testa a uncino, via via pronunciato. Ognuno di questi numeri corrisponde a specie diverse. In alcune specie questo uncino si è sviluppato così lungo da formare una specie di gancio moschettone, perché? Lo scopo di questa struttura è di permettere agli spermatozoi di viaggiare uno associato all’altro. Quello che vedete agitarsi lassù in cima sono fasci di spermatozoi che nuotano formando dei trenini. E voi direte: e chi glielo fa fare? La ragione è che questi trenini di spermatozoi si muovono molto più velocemente di uno spermatozoo singolo. Quindi questa struttura è associata a livelli crescenti di competizione spermatica e serve a produrre spermi che sono in grado di arrivare alle uova e fecondarli più rapidamente. Ma un altro aspetto che è associato alla competizione spermatica, anch’esso un tempo ben noto, ma la cui spiegazione era lì, è quello relativo al “mate guarding”, al fatto che in molte specie i maschi e le femmine rimangono associati durante il periodo fertile, in alcuni casi i maschi non si separano mai dalle femmine, fino a che queste non hanno deposto le uova e la ragione è che in questo modo i maschi riducono le opportunità per la femmina di accoppiarsi con altri maschi, anche se spesso non ci riescono perché il mate guarding (la guardia, il compagno) è molto diffuso tra gli uccelli, come potete vedere qui. Gli uccelli sono per il 90% socialmente monogami, cioè formano delle coppie formati da un maschio e una femmina, che rimangono insieme per tutta la riproduzione, per tutta la stagione riproduttiva in genere. Nel 90% delle specie, come dicevo, di uccelli abbiamo questo sistema sociale, la coppia, la famiglia verrebbe da dire; nel 75% di queste specie, quindi 3 specie su 4, è stata rilevata un’incidenza in alcuni casi molto elevata di figli di quella coppia che non sono figli genetici del padre sociale, cioè sono frutto di quello che si chiamano “copula extra coppia”. In alcune specie i figli illegittimi arrivano a rappresentare il 75% dei figli che nascono ogni anno. Ma negli insetti, che hanno sviluppato una comunicazione di tipo chimico, le femmine producono degli odori per attirare i maschi. I maschi, per evitare che questa strategia delle femmine abbia troppo successo, depongono con l’eiaculato delle sostanze che hanno un effetto antiafrodisiaco, o perché sono repellenti per altri maschi oppure perché inibiscono direttamente la femmina nella sua propensione a […] come dire, hanno la funzione di vincere in qualche modo nella competizione spermatica, ma hanno come effetto quello di produrre dei costi, in alcuni casi anche importanti, per le femmine. Questo caso particolare lasciamo perdere, ma uno dei casi più noti è quello delle cosiddette “inseminazioni traumatiche”, che si osservano tra le cimici dei letti, il genere Cimex. In queste specie l’organo copulatore dei maschi ha assunto la struttura, la forma di un ago ipodermico e, in effetti, i maschi non copulano in modo tradizionale, ma perforano con questo ago ipodermico l’esoscheletro della femmina iniettando direttamente nella cavità corporea, cioè nell’addome, gli spermatozoi, che poi nuotano fino alle ovaie. Le femmine hanno evoluto una controstrategia che è quella di creare una zona dell’addome, che si chiama questo nome complesso, dove l’esoscheletro è formato da proteine più elastiche, che facilitano al maschio l’inserimento

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dell’organo copulatore, ma facilitano soprattutto per la femmina il rimarginare la ferita dovuta a questa copula traumatica. Nel caso, invece, di questi coleotteri l’evoluzione ha determinato una traiettoria sinistra. Questo che voi vedete qui è un vero e proprio armamento, che però è rappresentato dal organo copulatore del maschio e, come potete vedere, possiede delle spine nella sua sommità e uno si domanda: cosa servono delle spine in un organo copulatore? In questo caso servono proprio a infliggere alle femmine delle ferite. Queste ferite sono costose e riducono, come è ovvio aspettarsi, la propensione della femmina ad accoppiarsi una seconda volta. Questo tipo di strategie riproduttive evidenzia in modo chiaro un altro aspetto importante, che è una conseguenza della nostra capacità di applicare le idee darwiniane, i concetti di evoluzione alla riproduzione sessuale, perché? Perché fino a Darwin incluso e per molto tempo dopo, fino a tranquillamente tutti gli anni ’70 del secolo scorso, la riproduzione era vista in che modo? Il momento nel quale maschio e femmina si trovano insieme di comune accordo per garantire la sopravvivenza della specie. Voi sapete che se uno vi dice che un carattere evolve per la sopravvivenza della specie dovete saltare sulla sedia e inorridire, perché non esiste nessuna pressione selettiva che favorisca i caratteri per il bene della specie, ma le specie e le popolazioni sono il risultato dei caratteri che vengono individuati negli individui. Quindi le caratteristiche di una specie sono il risultato del processo selettivo che agisce sugli individui. E se uno applica questa idea alla riproduzione sessuale si rende conto che anche nella riproduzione sessuale c’è una componente che non è cooperativa, cioè, in altre parole, anche se maschio e femmina hanno, ovviamente, un interesse comune nella produzione di prole, perché è attraverso la prole che lasceranno i loro geni alle generazioni future, gli interessi evolutivi dei maschi e delle femmine spesso divergono in misura maggiore o in misura minore. Nel caso di Callosobruchus, ovviamente, quello che si chiama “conflitto sessuale”, un concetto che ha sviluppato per primo Jack Parker, è molto evidente. Questo maschio ha come prima pressione selettiva, ovviamente, quella di fecondare le uova e massimizzerà il suo sesso riproduttivo fecondando il maggior numero di uova. Se per fare questo deve infliggere delle ferite alle femmine, di fatto riducendone fecondità e longevità, avrà un costo anche lui perché quella femmina specificamente produce meno piccoli, ma se questo gli permette di accoppiarsi con più femmine e di ostacolare gli accoppiamenti di quelle femmine con altri maschi, avrà un successo netto rispetto a maschi che non adottano questa strategia. Ovviamente, l’evoluzione di questi caratteri conflittuali ci aspettiamo che sia accompagnata dall’evoluzione di caratteri, come dire, di resistenza, di difesa nelle femmine, e infatti questo è vero. Le femmine di Callosobruchus tollerano solo copule molto brevi. Appena il maschio ha deposto i suoi spermatozoi comincia a scalciarlo furiosamente con le zampe posteriori e dopo un po’ il maschio è costretto a abbandonare. Quindi la quantità di ferite che il maschio riesce a infliggere sono limitate da questa controstrategia che evolve nella femmina. Come sempre, la teoria della selezione naturale ha posto come quesito: noi da dove veniamo? La nostra specie da dove salta fuori attraverso questo processo? È chiaro che quando uno si occupa di selezione sessuale, oppure legge un libro di selezione sessuale, viene spontaneo domandarsi quanto ciò che ruota intorno alla selezione sessuale nella nostra specie può essere interpretato alla luce delle idee darwiniane, della scelta maschile e della scelta femminile. In altre parole, il comportamento sessuale, maschile e femminile, può essere interpretato in chiave adattativa? Noi possiamo dire questa caratteristica, ammesso che uno riesca a identificarla e a descriverla, è lì perché è vantaggiosa? Per fare la biologia evoluzionistica seria, che è difficile, è necessario che l’idea, l’interpretazione di un carattere sia accompagnato da prove scientifiche, cioè non è più sufficiente dire, come faceva Desmond Morris, autore di un libro che è stato un best seller, “La scimmia nuda”, Desmond avrebbe detto: la specie umana è l’unica specie glabra, priva di peli; è anche una delle poche specie nelle quali maschi e femmine formano coppie che durano nel tempo; quindi essere senza peli ha un significato legato alla riproduzione e facilita il legame di coppia. Questo è un tipico ragionamento

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che può rappresentare, al massimo, un’ipotesi, non può essere una conclusione. Perché vi sono altre specie di primati, di scimmie, che formano coppie stabili e sono pieni di peli. Come si fa, allora, a stabilire qual è la causa evolutiva di un carattere? Ci sono due possibilità: il metodo comparativo e il metodo sperimentale. Forse lo saprete, lo avrete trattato, cos’è il metodo comparativo? Il metodo comparativo consiste nel confrontare specie filogeneticamente simili, quindi parenti stretti, e verificare se un certo carattere è associato in misura statisticamente significativa a un certo stile di vita. Per esempio, io posso dire, come aveva detto Desmond Morris, la nostra è una scimmia nuda, l’uomo è una scimmia nuda, io credo che questo sia legato alla capacità, attraverso la scomparsa dei peli, di formare coppie più salde. A me questa logica sfugge, perché francamente non riesco a capire in che misura il pelo o l’assenza del pelo debba favorire la formazione di un legame. Anzi, uno potrebbe dire: il successo che hanno i peluches nello stabilire un legame affettivo con i bambini che lo possiedono suggerisce che il pelo non è necessariamente un ostacolo alla formazione… ma allora quale sia la ragione di questa ipotesi uno che cosa deve fare? Deve vedere se all’interno di un gruppo animale, in questo caso le scimmie, legami di coppia stabili sono associati a pelosità più pronunciata o meno pronunciata. E questo può farlo. Qual è il problema? Il problema è che per poterlo fare in modo serio bisogna avere, come vi dicevo, una base statistica, cioè bisogna avere tanti casi in cui le due caratteristiche, monogamia, legame di coppia e assenza di peli, si rappresentano numerose volte. Un singolo evento non è statisticamente rilevante. E qual è il problema? Il problema è che la nostra specie appartiene a un gruppo zoologicamente povero di altre specie, perché? (Applausi) Qui non capisco mai se l’applauso e l’entusiasmo sia perché ho scelto questa foto come rappresentante del genere umano… però uno potrebbe, tornando a quello che abbiamo detto prima, pensare che i capelli sul capo siano oggetto di selezione sessuale. A giudicare dallo sforzo che il nostro Primo Ministro dedica al mantenimento di questo ornamento e, contemporaneamente, all’importanza, che sembra anche dedicare al suo successo non riproduttivo, ma, insomma, ci siamo capiti. A ogni modo, tornando un attimo all’attualità scientifica, qui vedete, mi manca il gorilla in mezzo, però anche infilandoci il gorilla, il nostro gruppo zoologico è povero di specie. Noi apparteniamo a un gruppo di animali che non sono mai stati molto numerosi, anzi, adesso lo sono meno di quanto lo sono stati in una parte più antica della storia del ramo evolutivo che ha portato alla nostra specie. Sta di fatto che adesso come adesso siamo l’unica specie vivente del genere Homo, anche se abbiamo sbagliato veramente per poco tempo, dal punto di vista biologico per uno schioccare di dita, non abbiamo incontrato, noi intendo dire umanità moderna, due nostri conspecifici: uno certamente che è l’uomo di Neanderthal, che è vissuto, voi sapete, fino a circa 25 mila anni fa in Europa e in Asia occidentale. Una specie che si è separata dalla nostra linea evolutiva quasi mezzo milione di anni fa ha costituito una specie indipendente; noi, attraverso il sequenziamento del DNA recuperato dagli scheletri meglio conservati dall’uomo di Neanderthal, sappiamo che le due specie, Homo Sapiens e Uomo di Neanderthal, non si ibridavano, erano due specie separate. Noi come specie ci siamo sicuramente incontrati e frequentati, ma non l’uomo moderno. Per un periodo ancora più breve, voi sapete, siamo andati a sbattere contro un nostro antenato ancora più antico. La materia è controversa, ma alcuni di voi sapranno che sono stati recentemente scoperti i resti fossili di due ominidi, due individui, a cui è stato assegnato il nome di Homo Floriensesis, ma che nel dal punto di vista scheletrico sembrerebbero essere discendenti di Erectus, quindi di una specie che si è separata dall’uomo un tempo ancora più antico, che sarebbero sopravvissuti fino a circa 18 mila anni fa sull’isola di Flores nell’arcipelago in Indonesia. Escludendo adesso, questi sono tutti estinti, quindi diciamo le abitudini sessuali di queste specie sono difficili da studiare. Sapremmo molte cose dello scheletro, ma non tutti gli aspetti, le informazioni che si possono avere dagli scheletri sono utili per determinare le abitudini sessuali, per esempio, non sappiamo qual è la dimensione relativa dei testicoli dell’uomo di Neanderthal o dell’uomo Erectus, lo sappiamo per lo scimpanzé e per l’urangutan, ma queste specie hanno una storia evolutiva che ormai è separata da tantissimo tempo. Quindi il progenitore comune tra noi, tra

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l’Homo Sapiens e lo scimpanzé è veramente molto indietro nel tempo. Però alcuni confronti si possono fare. Nello scimpanzé, come vi ho detto, la promiscuità sessuale è elevata, ma sappiamo anche qualche cosa sui gusti, sulla scelta. Per esempio, in alcuni primati, così come nell’uomo, la scelta non è solo femminile, ma è una scelta reciproca, cosiddetta “mutual sexual selection”, cioè sia i maschi che le femmine scelgono il partner, o cercano di scegliere il partner secondo dei criteri. Nel caso dello scimpanzé, per esempio, il criterio con il quale i maschi scelgono le femmine è un criterio basato sull’età, cioè i maschi di scimpanzé preferiscono le femmine vecchie, e sono poco interessati alle giovani femmine, e in questo potete immaginare quanto diversi siano da noi, e la ragione è che il sistema di accoppiamento dello scimpanzé, la ragione più probabile, è che è molto diverso da quello dell’uomo: non si formano legami duraturi e quindi l’interesse riproduttivo che lega il maschio e la femmina o, meglio, che lega il maschio alla femmina è di breve durata. E quindi in questo caso il maschio tende a preferire la femmina che garantirà un maggior successo riproduttivo in quel preciso episodio riproduttivo. Siccome le femmine anziane sono più abili nell’allevare i piccoli, è più probabile avere un discendente accoppiandosi con una femmina vecchia che con una femmina giovane. Laddove, però, il legame è di lunga durata, allora quello che importa non è la fecondità attuale, ma è la fecondità attesa e quindi una femmina giovane ha una prospettiva di produrre più piccoli, ovviamente, di una femmina anziana. Infatti, oltre ai caratteri che abbiamo visto, come la diversità genetica nell’odore dei maschi, nella nostra specie, attraverso culture diverse, mediante metodi molto controllati dal punto di vista sperimentale, è stato possibile verificare che la nostra specie ha dei criteri estetici nella scelta del partner, che sono relativamente costanti in culture diverse, cioè sono transculturali, quindi hanno probabilmente una base biologica, e sono caratteri che nella scelta maschile verso la femmina, verso la donna e nella scelta femminile verso il maschio tendono a preferire caratteri che segnalano, nel caso della femmina, livelli elevati di estrogeni e quindi fecondità, come per esempio il rapporto tra la larghezza del bacino e la larghezza della vita. Viceversa, caratteri di mascolinità cosiddetti, cioè legati al testosterone nell’uomo, che sono la larghezza del bacino rispetto, per esempio, alla larghezza delle spalle. La preferenza per questo tipo di caratteri morfologici si vede nella forma del corpo, nella forma del viso, ma anche in caratteri che nessuno di noi, probabilmente, immaginava essere dimorfici, diversi tra maschi e femmine. Nella maggior parte dei vertebrati i maschi tendono ad avere il secondo dito, l’indice, relativamente più corto del quarto dito, l’anulare, di quanto non sia nelle femmine, e questo si osserva nella specie umana, nelle scimmie… allora diciamo, un minuto per osservare la mano vostra e del vicino e poi riprendiamo. Moderatore:

Interessante è arrivare alla fine, abbiamo il tempo di guardare i propri arti, ognuno per conto suo! Professor Andrea Pilastro:

Prima che la preoccupazione serpeggi tra le fila, avrei dovuto dire una cosa importante, e cioè: in media, così come in media i maschi sono più alti delle femmine, ciò non significa che tutti i maschi sono più alti di qualunque femmina. Allora per tranquillizzare maschi e femmine che dovessero avere l’indice più lungo o più corto di quello che c’è qui rappresentato, dovete sapere che questa è una differenza media; vuol dire che nella nostra specie, in media, i maschi e le femmine possiedono un rapporto dito secondo – dito quarto diverso. I maschi tendono ad avere indice più corto, le femmine tendono ad avere dito indice più lungo. Allora questo vale sia entro specie tra maschi e femmine, ma vale anche tra specie, tra maschi di una specie e maschi di un’altra. Per esempio, in questo caso, vedete qui Hylobates, è un gibbone. Il gibbone è una di quelle specie di scimmie, di primati, che tendono a formare piccole famiglie, legami di coppia. È una specie non aggressiva, i maschi non sono tanto più grandi delle femmine, i maschi si prendono cura della prole etc.. Viceversa, questo è un macaco. Nei macachi si formano dei gruppi molto gerarchici, con molti maschi. Vi sono dei maschi dominanti che lottano molto aggressivi per controllare il gruppo e

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accoppiarsi con le femmine. I livelli di aggressività in questa specie dei macachi sono molto più alti e quello che vedete è che in questa specie l’indice, questi sono dei maschi, la lunghezza media dell’indice è molto più corta rispetto all’anulare. Viceversa, in questa specie fortemente monogama la lunghezza dell’indice del maschio è leggermente più lunga del medio. Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che questa differenza di lunghezza tra indice e anulare segnala i livelli di testosterone durante lo sviluppo. Le specie molto aggressive hanno maschi nei quali i livelli di testosterone sono molto elevati. Viceversa, le specie poco aggressive hanno livelli di testosterone più basso. Per motivi ignoti al momento, in tutte le specie animali che possiedono zampe con dita, gli elevati livelli di testosterone si manifestano con un dito secondo più corto e questo non ci serve solo negli primati, ma, per esempio, è stato dimostrato nelle lucertole e negli uccelli, ovviamente le zampe posteriori nel caso degli uccelli. Uno studio condotto a Milano da un gruppo di un collega dell’Università di Milano, cosa ha fatto? Ha fotografato un certo numero di mani, ha fatto delle fotocopie delle mani. Poi queste foto digitalizzate sono state modificate in modo da creare sperimentalmente delle mani, la stessa mano con variante indice lungo – indice corto. Sono state fatte un certo numero di foto di mani di maschi e di femmine e poi sono state presentate due foto di queste mani, una con l’indice allungato, una con l’indice accorciato a un certo numero di maschi e di femmine, che dovevano indicare quale mano ritenevano più attraente, più bella, più piacevole. E quello che è stato dimostrato è che gli studenti maschi dell’Università di Milano trovano più attraenti mani di femmine che hanno un indice lungo; viceversa, le studentesse dell’Università di Milano trovano più attraenti mani di maschi con l’indice relativamente più corto. In altre parole, anche a livello delle mani ci sarebbe una tendenza a trovare più attraenti mani mascoline da parte delle femmine e mani femminili da parte dei maschi. Qui posso concludere. Prendo alcune conclusioni generali, che poi sono quelle che nel libro tratto nei primi capitoli. Come vi dicevo, Darwin ha gettato una luce importante su un aspetto cruciale dell’evoluzione degli organismi viventi, che è la riproduzione, e affrontare l’evoluzione di sistemi riproduttivi, quindi tutti gli adattamenti comportamentali e morfologici associati alla riproduzione alla lente della teoria evoluzionistica ci ha permesso di fare delle scoperte straordinarie, ma soprattutto di porci dei quesiti relativamente a fenomeni che altrimenti erano lì e non avevano una spiegazione. Così come la promiscuità sessuale femminile o la variabilità nella forma degli spermatozoi erano un dato di fatto, è lì. Ma se uno affronta questi aspetti alla luce della teoria evoluzionistica si deve domandare: perché sono variabili? Perché sono diversi in questa specie oppure in un’altra? Non solo, ma affrontare dal punto di vista evoluzionistico la riproduzione sessuale ci permette di chiederci, per esempio, perché gli animali, la maggior parte degli animali si riproducono sessualmente? La riproduzione sessuale è un processo attraverso il quale i geni di due individui diversi vengono fusi, mescolati nella discendenza. Ora, siccome noi sappiamo che questo non è l’unico modo per riprodursi, ci si può riprodurre per clonazione, cioè si possono produrre, senza mescolare i propri geni con quelli degli altri, semplicemente producendo copie di se stesso. Ci sono tanti animali e molte piante che adottano questo tipo di riproduzione. Ma la domanda è: perché alcuni sì e altri no? Anche tra i vertebrati ci sono specie che si riproducono clonalmente, intendo dire in modo naturale, non la pecora Dolly: ci sono pesci, anfibi, rettili, che sono in grado di riprodursi per via asessuale. Perché alcuni lo fanno e altri non lo fanno? È una domanda che potrebbe sembrare oziosa, ma in realtà interessante perché? Perché una specie che si riproduce per via asessuale ha il successo riproduttivo doppio di una specie che si riproduce per via sessuale. E quindi perché viene favorito un carattere che dimezza il successo riproduttivo? Questo è uno dei grandi temi della biologia evoluzionistica tuttora oggetto di ricerca. Oppure perché ci sono, mediamente, 50% di maschi e di femmine, quando pochi maschi sarebbero in grado di garantire la fecondazione di tutte le uova prodotte dalle femmine. Eppure, invariabilmente, le popolazioni naturali tendono all’equilibro tra i sessi. E poi: perché vengono prodotti solo maschi e solo femmine? Maschi e femmine si differiscono solo perché producono gameti più grandi o più piccoli, ma la domanda è: perché non ci sono individui che producono gameti di dimensione intermedia?

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Se voi andate a esaminare qualunque specie che si riproduca sessualmente e che produce gameti, trovate una variabilità enorme nella dimensione dell’uovo e degli spermatozoi. Pensate, quella Drosofila produce spermatozoi lunghi 60 millimetri, gli spermatozoi umani sono lunghi, non so, 100 micron. C’è una differenza enorme. Pensate alle uova di un kiwi e di uno struzzo oppure l’uovo di uno storione che è in grado di produrne milioni. Però, pure in questa variabilità enorme nella dimensione dei gameti, all’interno di ogni specie ve ne trovate di due dimensioni, o grandi, e sono uova, o piccoli, e sono spermatozoi. Perché? Nel libro c’è scritta la risposta. Applausi

Moderatore:

Il libro, non si dovrebbe, ma lo faccio lo stesso, costa pochi euro e si trova facilmente in libreria, ma qualche copia c’è anche della nostra biblioteca, non potevamo non averlo. Un quarto d’ora per qualche domanda c’è, ragazzi, oltre alle risposte che potete trovare direttamente sul libro. Professor Andrea Pilastro:

Intanto, mentre pensate, vi faccio vedere i miei collaboratori, che sono già o saranno presto “cervelli in fuga” perché, come sapete, le iniziative recenti di questo Governo, in realtà, bisogna anche onestamente dire che in Italia l’investimento per la ricerca è in costante diminuzione da almeno un decennio e di fatto ogni anno viene speso per la ricerca, a parte quest’anno che ci sono tagli ancora più imponenti, circa il 95% di quello che era stato speso negli anni precedenti. E se voi aggiungete a questo calo del 5% il calo dovuto alla diminuzione del potere di acquisto, legato all’inflazione, quindi si parla almeno di un altro 3–4%, la spesa per la ricerca in Italia di fatto si è dimezzata negli ultimi dieci anni. Per esempio, questo mio collaboratore è già all’estero adesso, perché non ci sono prospettive per continuare a lavorare in Italia. L’altra cosa interessante che volevo dire è che… non voglio inibire domande, ma non voglio nemmeno mettere in quella tensione che dice: adesso il prof mi dirà fai tu una domanda, quindi se avete domande da fare interrompetemi, ma approfitto di questo tipo per darvi qualche altra informazione. Nella crisi dell’Università e della ricerca in Italia si parla spesso del problema della fuga dei cervelli all’estero, ed effettivamente questo è un problema, però i paesi più avanzati nella ricerca hanno un sacco di fughe di cervelli, ma non hanno nessun problema perché, in realtà, lo scopo che tutti perseguono è quello di attirare cervelli; cioè la ricerca scientifica, in particolare, non si fa tanto… ovviamente, è importante evitare che elementi più brillanti se ne vadano, ma è anche altrettanto importante attirare menti brillanti dall’estero. E l’unico modo per attirare, purtroppo, bravi ricercatori – che siano italiani o che siano stranieri non è importante, anzi, sarebbe più importante, direi, per l’Italia in questo momento attirare ricercatori stranieri che dare un lavoro ai nostri – sarebbe quello di garantire stipendi decenti. Purtroppo, tante parole si dicono, ma poi quando si vanno a confrontare i livelli dei stipendi dei nostri ricercatori, io dico ricercatori non con il posto fisso, ricercatori temporanei, contratti di ricerca, i nostri contratti di ricerca sono ridicoli per qualunque altro paese europeo. Un ricercatore che abbia appena conseguito il suo dottorato di ricerca prende esattamente, come minimo, il doppio di quello che prendono i nostri ricercatori a contratto. Dal minimo del doppio a circa tre volte, e quindi nessun bravo ricercatore inglese, finlandese, tedesco, francese si sognerà mai di venire a fare ricerche in Italia. Infatti, anche gli studenti stranieri che la nostra Università attira sono studenti che provengono da paesi che stanno da questo punto di vista nelle nostre stesse condizioni; per esempio, portoghesi, come Virginia, una mia studentessa, ho avuto un paio di portoghesi, albanesi, serbi, con il massimo rispetto sono studenti bravissimi, però uno si rende conto solo guardando questa cosa a che punto siamo in Italia.

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Moderatore:

C’è qualche domanda di sicuro da uno studente qui e poi credo di indovinare cosa vuol chiedere un professore dell’arte. Domanda:

Lei ha parlato prima degli spermatozoi che si associano per arrivare a una riproduzione più efficace. Ci sono anche dei funghi, delle spore che si associano, formano delle comunità per poter riprodursi. Secondo lei, secondo degli studi, quanto è più efficace l’associazione degli individui rispetto all’individualismo? Professor Andrea Pilastro:

In molti casi, nella maggior parte dei casi, sarebbe più conveniente cooperare perché il conflitto evolutivo, che può essere sessuale, ma può essere anche di altro tipo, è normalmente associato a dei costi. Nel caso, per esempio, della riproduzione è evidente che in una specie nella quale si diffonde un sistema di accoppiamento come quello di Callosobruchus, in cui i maschi infliggono delle ferite alle femmine per ridurre la loro propensione a riaccoppiarsi, ha come effetto netto una riduzione della fecondità media della popolazione, cioè le femmine producono l’80, il 70% in meno di piccoli di quanto non potrebbero se trovassero una cooperazione più civile con i maschi. Il problema qual è? Il problema è che in molti casi la cooperazione non è evolutivamente stabile, cioè se compare nella popolazione un individuo che non coopera, questo ha inizialmente una fitness più elevata e si diffonde, lascia più discendenti e si diffonde. Questa è una cosa che è nota già dai modelli matematici, non so se qualcuno di voi è appassionato alla teoria dei giochi. C’è un libro dell’evoluzione, scritto da John Maynard Smith, stampato in Italia, e che è molto bello, adesso credo che sia esaurito, ma si trova in qualche biblioteca. Maynard Smith ha sviluppato una serie di modelli matematici che dimostrano come la cooperazione sarebbe vantaggiosa dal punto di vista della fitness media che si osserva nella popolazione, ma non è evolutivamente stabile. È la stessa ragione per la quale converrebbe a tutti, vivendo a Padova, dove il furto della bicicletta è al ordine del giorno, che ci si mettesse d’accordo di non rubare più le biciclette, che sono sempre quelle che girano, quindi uno le ruba, le vende e poi gliele rirubano, alla fine ci si rimette, perché? Perché si investe in grosse catene. L’ultima bicicletta che ho comprato ho speso più di catena che di bicicletta. La fitness media si riduce, però non è evolutivamente stabile perché anche nel momento in cui si decidesse di non legare più le catene e non rubarsele, ci sarebbe qualcuno che la ruba e poi avrebbe una fitness notevole all’inizio. Moderatore:

Se c’è qualche domanda dal fondo, bisogna venire qui. Domanda:

Due cose rapidamente. Prima si parlava di competizione spermatica, io volevo sapere come le femmine, a un certo momento, decidono di scegliere, di effettuare la scelta, cosa che non avevo capito bene. E un’altra cosa: ho visto pochi giorni fa alla televisione un documentario in cui veniva cercato di mostrare come ci siano sul nostro pianeta delle popolazioni umane che stanno insieme basando il loro rapporto non tanto sul reciproco desiderio sessuale, quindi il fine del loro incontro sia la riproduzione, in pratica, ma su come, invece, ci siano neonati che vengano affidati poi a delle donne che tengono questi neonati per tutta una vita nel tentativo di garantirsi una sussistenza, nel momento in cui loro diventeranno vecchie. Come si giustifica questo all’interno…? Professor Andrea Pilastro:

Sulla parte degli animali è molto più facile rispondere perché, come dicevo, capire il significato adattativo delle strategie riproduttive umane non è facile. Intanto, bisognerebbe anche dire che non

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dobbiamo, come Darwin stesso bisogna dire, essere, come si suol dire, “panselezionisti”; cioè non è giusto neanche aspettarsi che ogni carattere che noi osserviamo abbia necessariamente una spiegazione adattativa, perché in molti casi i caratteri hanno spiegazioni diverse, quindi non sono associati a uno specifico vantaggio. E come possono comparire questi caratteri che non sono legati a uno specifico vantaggio? Possono avere spiegazioni diverse: una è, per esempio, la correlazione genetica, cioè alcuni caratteri sono associati a altri caratteri sottoposti a selezione. L’esempio tipico è quello dei capezzoli nei maschi dei mammiferi: i maschi dei mammiferi possiedono capezzoli non funzionali, quindi inutili. Allora uno dice: a cosa servono dei capezzoli inutili? Allora uno può dire: hanno sicuramente una funzione. Uno potrebbe dire: sì, hanno una funzione perché adesso noi sappiamo il piercing è una cosa recente nella nostra società, ma supponiamo che l’uomo da sempre abbia usato mettersi i piercing ai capezzoli, uno potrebbe dire: il capezzolo maschio serve per reggere il piercing e siccome portare il piercing favorisce nella riproduzione, dico io… e invece no, la ragione per la quale i maschi nella nostra specie hanno i capezzoli è che questo carattere in tutti i mammiferi è così fortemente selezionato nelle femmine, dove ha una funzione, ovviamente, decisiva, cioè un capezzolo non funzionante in una femmina significa incapacità di riprodursi nei mammiferi, che questo carattere in forma abbozzata e incompleta compare anche nei maschi, nei quali evidentemente non è costoso, ma non esiste neanche una pressione selettiva per eliminarlo. Perché questa, intanto, non configurerebbe un vantaggio ai maschi e, dall’altro, rischierebbe di produrre delle femmine magari con un’incidenza bassa di femmine funzionalmente non in grado di allattare. Allora questo può verificarsi per tanti caratteri. Nel caso poi delle abitudini culturali è ancora più complesso, perché noi sappiamo che ci sono moltissimi caratteri del comportamento, che sono influenzati per via culturale. La cultura è una cosa diversa dalla genetica, ma si trasmette e anche negli animali, peraltro, per esempio, ci sono mode nella scelta del partner, per cui non è così facile trovare. Invece, per ciò che riguarda la domanda sulla scelta criptica femminile, questa è stata dimostrata in alcune specie, cioè in alcune specie è stato visto come le femmine si accoppiano con più di un maschio, ma poi tendono a favorirne uno in particolare. La ragione per la quale le femmine, invece semplicemente di scegliersi quel maschio, accoppiarsi e non rompersi tanto l’anima, fanno questa cosa di accoppiarsi con più maschi e poi favorirne uno specificamente difende, probabilmente, da due meccanismi: uno è che in molti casi le femmine non hanno scelta, cioè la promiscuità sessuale non è dettata da una scelta femminile, ma dal contesto, come succede, per esempio, nelle galline, le femmine si accoppiano preferenzialmente con il maschio dominante, ma sono tormentate dai maschi subordinati, che sono così insistenti e aggressivi che in molti casi le femmine preferiscono copulare anche con questi maschi per toglierseli di torno, ma poi sono in grado di espellere l’eiaculato in modo da ridurre le opportunità che le proprie uova non siano fecondate dal maschio preferito. In altri casi, invece, la scelta è proprio perché in questo modo le femmine selezionano gameti geneticamente compatibili. Questo è stato osservato, per esempio, nelle popolazioni svedesi della vipera Berus, nelle quali le femmine tendono a accoppiarsi con più di un maschio, ma i maschi geneticamente diversi dalla femmina hanno più chances di fecondare le uova. È una popolazione dove c’è una tendenza all’inbreeding, quindi alla similarità genetica, che è dannosa e quindi le femmine selezionano di fatto, perché in quella specie, probabilmente, non c’è la capacità di riconoscere a livello pre-copulatorio la similarità genetica delle femmine, dei maschi. Applausi

Moderatore:

Abbiamo capito tutti che avete sentito il campanello. Un’informazione: la lezione prevista per giovedì prossimo è stata spostata a febbraio. Vi sarà comunicato esattamente il titolo e la data.