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20 La Russia, la lotta di Liberazione, il carcere di San Vittore, Fossoli, Bolzano Gries, Mauthausen, Gusen di Franco Giannantoni O ttantotto anni, una memoria di ferro, l’indomabile spirito battagliero, solo un filo di amarezza per non potersi muovere come vorrebbe per i guai dell’età. Sopravvissuto alla campagna di Russia con l’Armir, alla Resistenza dove fu tra i protagonisti della battaglia del Monte San Martino sopra Luino, al breve esilio in Svizzera interrotto dopo pochi mesi per tornare a combattere in Italia, alla deportazione nei campi di sterminio di Mauthausen e di Gusen passando per San Vittore, Fossoli, Bolzano-Gries, fresco reduce da ben quattro infarti uno die- tro l‘altro ed una broncopolmonite che non ne hanno pie- gato la tempra di uomo d’acciaio, Sergio De Tomasi mi ac- coglie nella sua casa di Varese mentre sta guardando la televisione assistito dalla badante, la biondissima ucrai- na Alessandra che ne segue amorevolmente ogni movi- mento. Il filo del suo racconto non ha intoppi. C ’è forte ed espressa l’indignazione “per una sini- stra che dovrebbe difenderci ed è sparita” e la preoc- cupazione per le sorti di un Paese che ha contri- buito a rendere libero “e che questa gente al governo sta giorno dopo giorno militarizzando”. “Tomasel”, il nome di battaglia, ripercorre con l’auto- matismo di una macchina perfettamente oliata, quello che ha vissuto. Un’avventura, se non unica, certo non comu- ne, in cui la morte più volte gli è apparsa in faccia come lo sbocco inevitabile. “Si vede-dice-che il Cristo ha voluto che io ritornassi sempre a casa perché raccontassi quello che ho patito e quello che ho visto, cosa che faccio da an- ni parlando ai giovani delle scuole, nelle cerimonie pub- bliche, ai compagni che mi vengono a trovare. Di questo sono orgoglioso e spero di poterlo fare ancora a lungo”. Si commuove il vecchio partigiano-deportato ma è solo per un attimo. Sulla parete della libreria alle sue spalle spic- cano il riconoscimento alleato di Alexander, il diploma partigiano di Pertini e Spadolini, la croce di guerra al va- lor militare del Capo di Stato Maggiore dell’esercito. E ra stato proposto per la medaglia d’argento ma la burocrazia partigiana si è intoppata e la pratica si è persa nei cassetti di chi avrebbe dovuto coltivarla. De Tomasi non se l’è presa allora e tanto meno oggi. “Quello che conta-continua-è che i valori per cui io e i miei compagni ci siamo battuti vivano e soprattutto ac- compagnino le generazioni future. Mi basta questo. La speranza più forte che avverto come un bisogno è che l’Italia esca da questa stagione buia dove i grandi princi- pi sembrano offesi e dimenticati”. Partigiano del Gruppo “Cinque Giornate” sul Monte San Martino nella prima battaglia della Resistenza italiana, esule in Svizzera, rientrato in Italia per combattere, catturato a Milano dopo una delazione di un compagno, ha conosciuto la deportazione nei campi di sterminio nazisti. Ora, ottantottenne, passa di scuola in scuola, per testimoniare quello che ha visto e patito in diciannove mesi e sette giorni di strenua opposizione alla dittatura. Sergio De Tomasi Una vita per la liberta’

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La Russia, la lottadi Liberazione, il carcere di San Vittore,Fossoli, BolzanoGries, Mauthausen,Gusen

di Franco Giannantoni

Ottantotto anni, una memoria di ferro, l’indomabilespirito battagliero, solo un filo di amarezza per nonpotersi muovere come vorrebbe per i guai dell’età.

Sopravvissuto alla campagna di Russia con l’Armir, allaResistenza dove fu tra i protagonisti della battaglia delMonte San Martino sopra Luino, al breve esilio in Svizzerainterrotto dopo pochi mesi per tornare a combattere inItalia, alla deportazione nei campi di sterminio diMauthausen e di Gusen passando per San Vittore, Fossoli,Bolzano-Gries, fresco reduce da ben quattro infarti uno die-tro l‘altro ed una broncopolmonite che non ne hanno pie-gato la tempra di uomo d’acciaio, Sergio De Tomasi mi ac-coglie nella sua casa di Varese mentre sta guardando latelevisione assistito dalla badante, la biondissima ucrai-na Alessandra che ne segue amorevolmente ogni movi-mento. Il filo del suo racconto non ha intoppi.

C’è forte ed espressa l’indignazione “per una sini-stra che dovrebbe difenderci ed è sparita” e la preoc-cupazione per le sorti di un Paese che ha contri-

buito a rendere libero “e che questa gente al governo stagiorno dopo giorno militarizzando”. “ Tomasel”, il nome di battaglia, ripercorre con l’auto-matismo di una macchina perfettamente oliata, quello cheha vissuto. Un’avventura, se non unica, certo non comu-ne, in cui la morte più volte gli è apparsa in faccia comelo sbocco inevitabile. “Si vede-dice-che il Cristo ha volutoche io ritornassi sempre a casa perché raccontassi quelloche ho patito e quello che ho visto, cosa che faccio da an-ni parlando ai giovani delle scuole, nelle cerimonie pub-bliche, ai compagni che mi vengono a trovare. Di questosono orgoglioso e spero di poterlo fare ancora a lungo”. Sicommuove il vecchio partigiano-deportato ma è solo per

un attimo. Sulla parete della libreria alle sue spalle spic-cano il riconoscimento alleato di A l e x a n d e r, il diplomapartigiano di Pertini e Spadolini, la croce di guerra al va-lor militare del Capo di Stato Maggiore dell’esercito.

Era stato proposto per la medaglia d’argento ma laburocrazia partigiana si è intoppata e la pratica si èpersa nei cassetti di chi avrebbe dovuto coltivarla.

De Tomasi non se l’è presa allora e tanto meno oggi.“Quello che conta-continua-è che i valori per cui io e imiei compagni ci siamo battuti vivano e soprattutto ac-compagnino le generazioni future. Mi basta questo. Lasperanza più forte che avverto come un bisogno è chel’Italia esca da questa stagione buia dove i grandi princi-pi sembrano offesi e dimenticati”.

Partigiano del Gruppo “Cinque Giornate” sul Monte San Martino nella prima battagliadella Resistenza italiana, esule in Svizzera,rientrato in Italia per combattere, catturato aMilano dopo una delazione di un compagno,ha conosciuto la deportazione nei campi di sterminio nazisti.

Ora, ottantottenne, passa di scuola in scuola,per testimoniare quello che ha visto e patito in diciannove mesi e sette giorni di strenua opposizione alla dittatura.

Sergio De Tomasi

Una vita per la liberta’

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Tre scenari di una storiatenuta insieme da un filo che non si è mai spezzato

La Resistenza qui poggia suun tessuto politico modesto e stenta ad organizzarsi

“ Da dove comin-ciamo la chiac-cherata?” chie-

do mentre brindiamo al-l’incontro con un bicchie-rino di grappa bianca.“ Tomasel” indica tre sce-nari: la Russia, la Resistenza,la deportazione. Una storiasolo in apparenza divisa, inrealtà tenuta assieme da unfilo che non si è mai spez-zato. La libertà. “Quandopartii con l’Armir era il1940. Avevo da poco com-piuto i 19 anni. Un ragazzoo poco più, vissuto semprefra Milano dove sono nato il13 febbraio del 1921 eVarese dove avevo trovatolavoro nel Calzaturificio diVarese e alla Perfecta cometagliatore di tomaie. Fui in-quadrato in un reparto delGenio, aggregato all’arti-glieria a cavallo, come ra-dio-telegrafista. Sul fronterusso rimasi sei mesi sol-tanto e fu una fortuna perchèevitai le disastrose ritirate,

le pene del grande inverno,la definitiva sconfitta. A lrientro fui trasferito aRiccione per un interventoc h i r u rgico”. Ancora un paio d’anni infabbrica a maneggiare ilcuoio, poi vennero il 25 lu-glio e l’8 settembre. Va r e s eè occupata dall’esercito te-desco senza sparare un col-po. La città viene militariz-zata a difesa della produ-zione aeronautica dellaAvio-Macchi, Caproni,Savoia-Marchetti, prezio-sissima per il conflitto incorso. La Rsi si affianca al-l’alleato germanico con unospiegamento di forze ecce-zionale. La linea di confi-ne con la Svizzera è messosotto il controllo dellaGuardia di Frontiera giun-ta da Innsbruck e la fiuma-na di militari, civili, so-prattutto ebrei che tenta divarcarlo è spesso preda del-le truppe germaniche gli oc-cupanti e della Confinaria.

La Resistenza a Va r e s estenta ad org a n i z z a r-si. Il tessuto politico

locale è modesto. Le diver-sità sulle strategie da adot-tare fanno il resto. Chi de-cide di muoversi per primo,rompendo un attendismo im-barazzante, è un militare dicarriera il tenente colonnelloCarlo Croce comandante delPresidio di Porto Va l t r a-vaglia sul lago Maggiore checon un gruppetto di uff i c i a-li e di soldati sale sul SanMartino, una splendida mon-tagna che domina laValcuvia. E’ metà settem-bre. Croce, un militare in-tegerrimo, ha le idee chia-re. Vuole difendere quel ter-ritorio, estremo lembodell’Italia ferita. E’ la “Zonad’onore” e, alla formazioneinquadrata come un gruppomilitare dell’esercito italia-no, dà il nome di “CinqueGiornate del San Martino”“Non si è posto fango sulnostro volto”. In pochi gior-

ni accorrono sulla monta-gna del Luinese decine edecine di giovani. Molti so-no militari stranieri fuggi-ti dai campi di Mussolini,altri sono militari italianirespinti alla frontiera, altriancora civili (prevalgono imilanesi) che si ribellanoai bandi della Repubblicadel duce.Fra questi Sergio De To m a s iche dopo alcune coraggio-se azioni compiute a Va r e s ee dintorni con Antonio DeBortoli “il Barba”, LucianoComolli, Quinto Bonazzola,Mario Gallini, il professorBracchetti, Luigi Ronza, fracui l’assalto alla polverieradi Arcisate con il recuperodi quintali di esplosivo chefiniranno in parte al Gap diMilano, aveva raggiuntoViconago, un paesino pocolontano da Lavena PonteTresa con Lorenzo Bosetti,Giuseppe Ambrosetti, LuigiCrugnola perché i rischi diuna cattura a Varese erano

Sergio De Tomasi oggi. Il vecchio partigiano non manca maidi port a re la propria testimonianza di combattente e did e p o rtato nelle scuole della provincia di Va rese. Accanto altitolo la tessera di riconoscimento n. 60 di Sergio De To m a s ia p p a rtenente al Gruppo “Cinque Giornate”, “Non si è postofango sul nostro volto”. Il tenente colonnello Carlo Cro c e“Giustizia” aveva definito la montagna, dove si svolse laprima battaglia della Resistenza italiana fra il 14 e il 16n o v e m b re 1943, “Zona d’Onore ” .

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diventati molto alti. “Lìmentre valutavamo cosa fa-re fummo raggiunti dallanotizia che sul San Martinosi era costituito un gruppopartigiano. Decidemmo diraggiungerlo. Non fu un’im-presa difficile perché la di-stanza era relativa. Il 1° ot-tobre 1943 mi presentai coni miei compagni a Croce il“comandante Giustizia”. Fuuna esperienza nuova. Lavita era quella di una sortadi “caserma aperta” con re-gole severe. Il Gruppo erastrutturato su tre compagnieposte in località strategica-mente diverse in modo dacoprire ogni versante. Gli ufficiali erano EnricoCampodonico, Dino Cap-pellaro, Germano Bodo,Alfio Manciagli. Croce aveva rispolverato ilgiuramento, la preghieracon il cappellano don MarioLimonta, l’appello, i per-messi per scendere dallamontagna e risalire dallavalle, le esercitazioni allea r m i .Funzionava anche una CorteMarziale che in un paio dioccasioni si radunò per con-dannare a morte chi avevaviolato gravemente le re-gole del Gruppo. I due che erano riusciti afuggire, finirono a Milanonella rete dei tedeschi e ven-nero fucilati all’Arena. Sichiamavano Rossini eCerini. Le giornate tra-scorrevano spaccando le-gna e raccogliendo foglia-me per le brande; aspettan-do che Antonio De Bortoli

e il fornaio Giorgetti daVarese arrivassero con i vi-veri e il pane che lasciava-no ai valligiani e che veni-vano distribuiti fra di noi;requisendo quello che po-teva servire e rilasciandodelle regolari ricevute daonorare una volta che laguerra fosse terminata; al-lestendo fortificazioni di di-fesa e fortini per le mitra-gliatrici. I componenti del Gruppoche nel frattempo avevanosuperato le 170 unità eranodi idee e culture diff e r e n t i .C’erano comunisti, socia-listi, democristiani, mo-narchici, repubblicani, unanarchico tale OsvaldoBrioschi, e anche un fasci-sta, il mitragliere Vi t t o r i oLupano di Luino segnatodall’esperienza che avevavissuto e che, catturato daitedeschi nella ritirata dopola battaglia, finì a Mautha-usen dove morì. Diversi imilitari stranieri, america-ni, russi, francesi, inglesi,sud africani, greci, jugo-slavi”.

Se rgio De Tomasi, perl’esperienza maturatasul fronte russo, fu uti-

lizzato con Biagio Cola-monico, un militare reducedai Balcani, come istrutto-re alla mitragliatrice, unavecchia Breda che spessosi inceppava e all’uso dellebaionette issate sui vecchifucili per gli assalti all’ar-ma bianca. “La nostra pre-senza sul San Martino fu al-la lunga avvertita dai tede-schi e dai fascisti favoritida alcuni nostri compagniin realtà dei delatori. CitoFrancesco Calastri, FrancoRana, Teodoro Piatti, infor-matori dell’Upi-Gnr.Malgrado Carlo Croce fos-se dell’idea che il Gruppodovesse rimanere inattivonell’attesa del “momentoopportuno” cioè dell’arri-vo degli Alleati che era giu-dicato prossimo, non man-carono isolate iniziative mi-litari di alcuni combattenti,in assenza dell’autorizza-zione di Croce fermamentecontrario ad attacchi cheavrebbero potuto provoca-re delle reazioni. Un paio di queste iniziativecontribuirono ad accelera-re infatti l’attacco del ne-mico che aveva program-mato la eliminazione di quelpericoloso nucleo di ribel-

li: l’attentato ad un mezzotedesco a Mesenzana, ai pie-di del San Martino, il 2 no-vembre, condotto dal te-nente Teodoro GuelfoPizzato, un elemento ardi-to ed irrequieto che pro-vocò la morte di due mili-tari del Reich e la catturadi un nostro partigiano equello del 10 novembre aFerrera, una località al bi-vio per Luino con esitiugualmente fatali.Quella duplice iniziativaalimentò un dibattito poli-tico che, se non aveva ri-guardato tutti i membri del-la formazione, certo era pre-sente fra di noi.L’interrogativo era capiresino a che punto fosse op-portuno rimanere fermi incima alla montagna, facilebersaglio per gli aggresso-ri o non invece fosse più uti-le adottare la “tecnica del“mordi e fuggi”, colpire earretrare, evitando una guer-ra di posizione “.Quel tema, tutt’altro che se-condario, era stato il rifles-so della doppia ed oppostainterpretazione dellaResistenza: la visione at-tendista, filo-alleata, conuna lotta limitata a soli attidi sabotaggio, un contribu-to di “intelligence”, azionimilitari circoscritte e quel-

Una vita perla liberta’

Sergio De Tomasi

L’ i n t e r rogativo era capiresino a che punto fosse giustor i m a n e re fermi lassù in cima

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la “rivoluzionaria” con unvero e proprio esercito po-polare per un’Italia libera-ta e sganciata da ogni con-dizionamento pre-fascista.Croce, con la sua visionerigorosamente militare,avallata da contatti con ilSim badogliano, s’era ap-

piattito sulla prima “lettura”,senza nessun rapporto conla base politica dellaResistenza che più volte loaveva invitato a prender at-to della situazione e ad ab-bandonare le posizioni. Ilsuo doveva essere assiemeun monito e un esempio.

L’attacco di terra dei tedeschiappoggiato dall’aria da aere i :poi un grande rastre l l a m e n t o

Dopo alcune verticioperativi nei primigiorni di novembre

alla Prefettura di Varese, frail 13 e il 14 tedeschi e fa-scisti scatenarono l’attac-co da terra supportato da al-cuni aerei. Tutti i civili maschi resi-denti in Valcuvia fra i 14 ei 65 anni furono rastrellatie rinchiusi in alcune chie-se della zona e nelle canti-ne di Rancio per l’intera du-rata delle operazioni. Croceprima della battaglia invitòchi non fosse disponibileall’azione ad allontanarsi.Poi cantò con i suoi parti-giani l’inno di Mameli. S e rgio De Tomasi conCappellaro, Colamonico ealcuni altri uomini piazza-ti sopra l’abitato di Duno,a metà montagna, fu fra iprimissimi testimoni dellaascesa delle truppe tedescheda Cuvio, il centro della val-le. “Fu un rastrellamentopoderoso preceduto da unarichiesta di resa respinta daCroce. Un vero esercito ar-mato di tutto punto solo sesi pensi al fatto che daMilano erano giunti oltredue mila soldati del 15°Reggimento accompagna-ti da carabinieri ed avieriitaliani utilizzati per costi-tuire una “cintura sanitaria”attorno alla zona dell’azio-

ne e non far passare nessu-no. Noi avevamo bombe a ma-no in una certa quantità mapochissimi fucili. Ci difen-demmo con quelle, sca-gliandole contro il nemicoche saliva, favoriti nella vi-suale, per l’intera giornatadel 15 anche se non man-carono isolati casi di diser-zione. Carlo Hauss, un ame-ricano, ad un certo punto siarrese. Il francese George Va b r e“Brevi” abbandonò le sueposizioni per poi ritornare.Fummo bombardati da treJunkers 88 e raggiunti dacolpi di mortaio da Cunardo.I collegamenti radio, coor-dinati dal sudafricanoHarwey Sinclair, con un ap-parecchio rudimentale con-segnatoci dal partigiano diInduno Olona Tredozi fu-rono probabilmente inter-cettati dal nemico e questorappresentò un danno irre-parabile. Ci battemmo come leoni mail confronto era impari.Perdemmo trentotto parti-giani, in gran parte fucilatidopo la loro cattura comesi verificò per il manipolo diAlfio Manciagli “Folco”sorpreso a mezzogiorno del15 novembre con una deci-na di compagni sulla vettanel disperato tentativo di

Sergio De Tomasi (a sinistra) sul fronte russo allaricetrasmittente.

Sergio De Tomasi con la moglie Caterina Olmetti nella cuiabitazione in via Broggini 4 a Milano venne catturato dainazifascisti per la delazione di Te o d o ro Guelfo Pizzato, excompagno di lotta sul Monte San Martino di Va re s e .

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bloccare l’accerchiamentoportato da ogni lato dellamontagna, da Mesenzana edal San Michele. Altri trecombattenti furono cattu-rati a Duno mentre stavanotentando di porsi in salvo.Un altro giovane combat-tente che era arrivato dallavetta quasi al Forte fu ab-battuto da una scarica di mi-traglia davanti ai miei oc-chi. I tedeschi lasciarono sulcampo oltre duecento uo-mini. Alle 18 del 15 no-vembre, il comandanteCroce, vista l’impossibilitàdi resistere, decise la riti-rata. Minò il Forte con tut-to quello che conteneva, ar-mi, munizioni, vettova-gliamento, il deposito del-l’acqua e li fece saltare peraria. Mise anche delle minenei camminamenti dellaLinea Cadorna e decise diraggiungere il confine sviz-zero lontano pochi chilo-metri”. I fuggiaschi con Pizzato intesta e Croce in coda eranocirca sessanta. “Fu una cor-sa disperata nella notte-ri-corda De Tomasi-con il ter-rore di essere sorpresi.Passammo da Cunardo,Marchirolo, Viconago, in-fine arrivammo a PonteTresa. Il gruppo si era ulte-riormente assottigliato.Eravamo rimasti in qua-rantadue. Erano le tre delmattino del 16 novembre.Prima di lasciare l’Italia,favoriti dai carabinieri diguardia che fecero finta di

niente altrimenti sarebbestato un gioco da ragazzicatturarci tutti, il coman-dante Croce ordinò che cischierassimo in doppia infila e assieme gridassimo“viva l’Italia”. Fu una sce-na commuovente anche sein cuor mio pensai che sa-rebbe stato più giusto ri-manere perché l’Italia inquel momento aveva biso-gno di noi”.Nell’esilio svizzero DeTomasi restò pochi mesi ro-so dal tarlo di voler tornareprima o poi in patria percombattere. Il 19 febbraio1944 infatti, dopo aver stu-diato a puntino il piano,fuggì dal campo d’interna-mento di Arch bei Burencon Carlo Alini, un compa-gno varesino del SanMartino. L’impresa riuscì. Altri delGruppo “Cinque Giornate”seguirono la stessa strada. Il2 febbraio rientrò dallemontagne della Va l t e l l i n ail tenente Teodoro GuelfoPizzato che però fu inter-cettato dai tedeschi. Un evento tragico cheavrebbe prodotto di lì a po-co una catena di arresti frai partigiani del Gruppo diCroce perché Pizzato erapassato sul fronte oppostodiventando un agente pro-v o c a t o r e .

Enrico Campodonico,il vice di Croce, erastato sorpreso a

Milano dai nazifascisti il 17aprile. Anche De Tomasi qualchegiorno prima cadde nellatrappola di Pizzato. “Av e v olasciato Va r e s e - r i c o r d a - p e r-ché in città tirava una brut-ta aria. Felice Macchi“Aldo”, partigiano della121a brigata “Garibaldi”,aveva raccolto voci inquie-tanti. Rischi di arresti. Spiein azione. Mario Molteni,Attilio Ve rgani, BattistaBrunati, tre antifascisti del-la prima ora, erano stati leprime vittime di Pizzato.Tutti finirono a Mauthausen,i primi due morirono. A n d a ia Milano dove mi sentivotranquillo nella casa dellamia fidanzata CaterinaOlmetti in via Broggini 4.Pizzato, di cui ignoravo l’at-tività provocatrice, mi con-tattò per fare delle azioni e iodiedi il mio assenso. Era na-turale che fosse così. Ero en-tusiasta di poter ricomin-ciare. Il 2 aprile scesi in stra-da per un appuntamento emi “svegliai” a San Vi t t o r e ! !Mi avevano dato una botta intesta ed arrestato. Pizzatoera sul posto, in borg h e s e ,circondato da un gruppettodi scherani. Non ho mai ca-pito come quell’uomo, un

eroe in battaglia sul SanMartino, fosse diventato unapecora in mano ai nazifa-scisti! In carcere appena fupossibile studiammo comeeliminarlo perché era di-ventato un pericolo pubbli-co. Ci riuscimmo con uno stra-tagemma pensato nella pau-sa della doccia con Cam-podonico, Bracchetti e DeBortoli. Facemmo sapere aitedeschi che Pizzato avreb-be preso contatto a breve conesponenti della Resistenzaa Pino Tronzano a due pas-si dal confine italo-svizze-ro e nello stesso tempo infor-mammo i nostri compagniin Svizzera che il traditoreavrebbe potuto apparire aldi là della rete.Quando Pizzato il 21 aprilegiunse in zona i tedeschi, te-mendo un voltafaccia e untradimento, lo eliminarono”. Per De Tomasi la tappa suc-cessiva fu il campo di Fossolidove restò dal 27 aprile sinoal 21 luglio (tre giorni dopomorirà a Bergamo il colon-nello Croce orribilmente tor-turato dopo la cattura inValtellina il 13 luglio). “Fuuna forte emozione-dice-peruna nuova prigionia tantodiversa da quella di SanVittore, temperata, se si puòdire, dalla possibilità di muo-versi e di rivedere e scam-

Una vita perla liberta’

Sergio De Tomasi

L’esilio svizzero durò poco: “tutti volevano tornare in patria per c o m b a t t e re ”

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biare qualche parola con tan-ti amici varesini fra cui PoldoGasparotto che sarebbe sta-to assassinato il 22 giugno.Altri compagni di Varese fu-rono fra i 67 fucilati del 12luglio. In quelle terribili gior-nate tememmo per la nostravita”. A Bolzano-Gries, ilcampo organizzato dopo losmantellamento di Fossoliper l’avanzata alleata semprepiù vicina, la permanenza fubrevissima, poco più di unasettimana. Il 3 agosto De Tomasi fu de-stinato al lager di Mautha-usen, numero di matricola82.542, e undici giorni dopo

a quello di Gusen. Le vicis-situdini dei deportati sononote. “Se riuscii a salvarmida quell’inferno dove vio-lenza e morte raggiungeva-no livelli al di là di ogni im-maginazione fu per il com-pito a cui venni assegnato. Fui infatti destinato al“ Vagon 7” che doveva tra-sportare ogni giorno quin-tali di patate per le cucineanche se su quei vagoni neiviaggi di ritorno si carica-vano anche i corpi dei com-pagni morti. Passavo ore eore in quell’attività sfian-cante sotto l’occhio conti-nuo delle SS.

Se riuscivo a rubarequalche patata com-mestibile, perché cir-

colavano anche quelle mar-ce che ti facevano venire ladiarrea, la scambiavo conqualche tozzo di pane raf-fermo, ma non era pane erauna cosa indefinibile, che ideportati spagnoli, reduciin gran parte dalla guerra ci-vile, a loro volta recupera-vano dai magazzini di rac-colta presso cui erano ad-detti. C’era chi disperato sinutriva con pezzetti di car-bone con l’illusione che sa-pesse di cioccolato e finivaper ammalarsi di scorbuto. Lo scambio fra patate e pa-ne, pur fra mille pericoli eil rischio costante di esseresorpreso, mi permise di nonmorire di stenti anche se laragione della mia salvezzafu la fortissima determina-zione a voler ritornare. Nonmi lasciai mai andare, com-battei quella battaglia sinoalla fine. Ricordi di com-pagni? Mario Molteni eAttilio Ve rgani, entrambicome me traditi da Pizzato,morti quando l’alba della li-bertà stava sorg e n d o .Molteni cadde, poveretto,per difendere un pezzo dipane. Ebbi occasione di in-contrare anche Comi eSulmincio fra i primi a pren-dere le armi in Va l c e r e s i o

dopo l’8 settembre. Eranolarve umane. Scomparveroanche loro”. S e rgio De Tomasi fu libe-rato da Gusen il 5 maggio1945. Un altro varesino so-pravvisse a quel lager: l’in-gegner Luigi Ronza, diret-tore della Società del Gas eprimo comandante militaredella Resistenza varesina.Si salvò anche BattistaBrunati. “Pesavo 32 chilo-grammi. Quando entrai erosui 70. Mi ero ridotto ad unfantasma irriconoscibile. Ilviaggio di rientro fu lento efaticoso ma la gioia di aversalvato la pelle era talmen-te grande da farmi superareogni difficoltà. A B o l z a n otrovai un gruppo di amiciche mi aspettavano frementi.Fra questi Giovanni Tr e d o z i .Rividi Varese il 23 giugno.Il mio lungo cammino frale rovine dell’Europa scon-ciata dal fascismo e dal na-zismo era terminata. Mi spo-sai con la mia Caterina chenon vedevo da quel danna-to 2 aprile 1944 quando erocaduto nella rete della spiaPizzato e ripresi a lavorarecome tagliatore di tomaie alCalzaturificio di Varese, illuogo che avevo lasciato nelsettembre 1943 per entrarenella Resistenza. La mia milizia durò 19 me-si e 7 giorni”.

Patate marce per non moriredi fame, ma mi salvò la forte determinazione di sopravvivere

“ Tomasel”, nome di battaglia di De Tomasi con il tenenteBodo accanto al mulo “Adolfo” abbattuto per s f a m a re ilgruppo. La stessa sorte toccò poco dopo all’altro mulo“ B e n i t o ” .

Gusen, 5 maggio 1945. Sergio De Tomasi (secondo da sinistra)con altri sopravvissuti. Internato a Mauthausen il 3 agosto1944 fu trasferito nel sottocampo di Gusen il 14 agosto 1944.