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Illuminazioni Galattiche
Copyright © 2013 Elena Bottari e Paula DiasTutti i diritti riservati
Codice Isbn 978-88-908227-2-8
SommarioLa zuccataLo spazio sideraleInvito a cenaIl grande annuncioZin ZenIntanto molto lontano da lìAd un passo dalla metaRitorno
La zuccata
Fagioli salterini. In Messico ce ne sono moltissimi. Pare che si spostino tutti
assieme per la nuda terra, rotolando in branco allegramente.
Qualche misterioso tipo di farfalla argentata depone le uova dentro i fagioli,
i bruchini si muovono e fanno saltellare il loro guscio. In cattività vanno
annaffiati una volta al mese e ogni giorno bisogna dare loro qualche scossa,
così si svegliano e sobbalzano un po’. Li guardo saltellare nella mia mano,
qualcuno ha suonato al campanello.
Mi preparo alla peggiore delle eventualità: parenti in rapido avvicinamento.
E' invece un signore baffuto sui 50 che dice “Lotta semplicista”. Voglio
forse abbonarmi?
Spazioclub, testimoni di Genova, venditori di aspirapolvere, preti pronti a
tutto per benedirti la casa, nessuno passa la linea invalicabile della mia
soglia.
«No grazie, non mi serve niente» dico io, acquattato contro la porta. «Ma
non le deve servire, è lei che può servire la causa semplicista, è di lei che
abbiamo bisogno», risponde lui prima di aggiungere «Se mi fa entrare le
spiego». No grazie! Non mi servono spiegazioni, penso, voglio solo farmi un
bagno caldo e dimenticare il genere umano. Gli dico «Quando avrò voglia di
fare due chiacchiere le telefono, arrivederci». E lui «Io però non l’ho mica
vista…»
Dopo un buon quarto d’ora di silenzio, l’assediante dà segno di sé e
rinnova la sua offerta: Lotta semplicista, non l’ha mai letto? Studente? Il
piazzista studia l’avversario, cerca di familiarizzare con il suo pollo.
Da quella volta che ho detto ad un venditore porta a porta che non mi
dispiace leggere e che sì, ogni tanto compro anche un libro, ho ricevuto
quintali di richieste di adesione ad un circolo di lettura che si riunisce una
volta alla settimana in una chiesa sconsacrata. Qualcuno di loro mi ha anche
lanciato un segnalibro di metallo a forma di falce attraverso la finestra aperta.
Considerando l'altezza del bersaglio, lo spazio non proprio abbondante del
marciapiede, il lancio ad effetto che una simile impresa comporta, ho subito
preso carta e penna e ho scritto loro consigliando agli adepti del circolo “Gli
amici di Cthulhu” di convertirsi al baseball, al cricket oppure di mettere su uno
spettacolo itinerante di lanciatori di coltelli. Non mi hanno mai risposto.
Trattengo il respiro con l’occhio incollato allo spioncino.E’ solo questione di
tempo, lo scocciatore se ne andrà presto. Io però voglio vedergli battere la
ritirata. Il baffuto gira i tacchi e se ne va. Vittoria!
Sto per iniziare un bell’inspiro, quando un enorme occhio riempie il mio
oblò.
Grido, la ciotola di ceramica piena di fagioli salterini va in orbita ma i miei
riflessi da giocoliere ne interrompono la caduta. Rialzandomi tronfio di
vanagloria per aver salvato il manufatto a tre millimetri dallo schianto,
dimentico la "consolle", così si chiamano quegli inutili mobili per appoggiarci
sopra il telefono e la rubrica. La mia risalita si incaglia nel legno e una fitta
nebbia si chiude su di me. Il bieco venditore porta a porta mi parla con una
voce da orco con la laringite.
Lo spazio siderale
Fa freddo, parecchie centinaia di gradi sotto lo zero.
Sono alla guida di una navicella della Vortice spa, impresa di pulizie
intergalattica.
La mia cella spaziale è vuota senza di te
che sei uscita una sera e ancora mi chiedo perché
Non ti piaceva forse lo spazio?
Ero davvero uno strazio?
O Yeeee
Vienimi a cercare a Teobroma
Ti saprò perdonare
Sarai la mia signora e padrona
Basta che mi lasci ancora suonare per Teeeee
Avvolto nel mio tutone termico verde pisello sembro un enorme bruco ma
ballo lo stesso, a modo mio. Sembro un fagiolo che salta. Ci vuole comunque
altro per fiaccare l’umore dell'amministratore nonché unico lavoratore attivo
della Vortice spa, nei giorni in cui si sveglia con “Alte torri di Teobroma”,
l'ultimo successo discografico dei Cervelli Positronici.
Il mondo mi sorride, la mia serra gravitazionale va a gonfie vele e la
fioritura delle Imeldea rosse è imminente. Certo da quando la “Pulizie
multigalattiche” si è aggiudicata la fetta più grande del mercato nettezza
spaziale, i profitti della Vortice sono diminuiti. Così è nello spietato mondo
dell’immondizia. Nel tempo libero curo le piante che Temistocle Astrofix,
amministratore delegato della Vortice spa mi ha regalato e quelle che ho
collezionato personalmente nei miei viaggi, alla ricerca di prezioso pattume
ad alta tecnologia.
Nelle notti di insonnia ascolto il silenzio e uso microchip, tubi di
scappamento di moto galattiche, pezzi di cellule fotovoltaiche, insomma tutto
quel che trovo per costruire robottini pulitori, congegni selezionatori e ogni
altra diavoleria che mi viene in mente. Mi serve aiuto per separare il grano
(pattume pregiato) dal loglio (scarti metallici e plastici che fondo e sistemo in
cambusa dopo averli trasformati in cubetti).
Ripulire campi gravitazionali dai rottami che da migliaia di anni l’uomo
lascia nello spazio, non sarà un lavoro di prestigio ma è utile, anche per le
tasche. Può capitare di abbordare navicelle spaziali abbandonate, sfuggite al
setaccio dei pirati spaziali. Le rivendico secondo l’avita legge che fu del mare
ma che ancora oggi vale.
Invito a cena
Un pasto in piena regola mi attende. Teté, Temistocle, mi vuole parlare di
un suo misterioso progetto o di qualche gatta da pelare capitatagli addosso.
Che poi, quando si parla di Teté, è la stessa cosa. Mi ha invitato a cena,
dev'essere roba grossa. Ha scelto il suo ristorante preferito, "Da Tarcisio,
piatti organici come una volta". Mi aspettano un piatto di gnocchi e
Lambrusco della luna viola di Diotima. Dev’essere proprio un bel garbuglio, o
una “criticità di una certa urgenza" come dice lui riferendosi al prossimo
collasso di una stella nelle vicinanze, se è pronto a spendere da cento a
centocinquanta piastre del Triumvirato per parlarmi a quattr'occhi. E' tanto
che non vedo "il principale", voglio proprio vedere se la pensione gli dona.
Teté mi ha dato un lavoro alla Vortice e mi ha insegnato tutto quello che sa
sullo spazio, i buchi neri, le Imeldae da collezione e su come sopravvivere
alla burocrazia del Triumvirato. Mi ha trovato mentre fluttuavo vicino agli
anelli di Orione, in un curioso campo magnetico dove galleggiavano molecole
di ossigeno e strani fagiolini secchi.
Da quando è andato in pensione si dedica alla botanica e all’investigazione
amatoriale.
Non è proprio un Sherlock Holmes, come dicono gli archeologi. Non c’è più
mistero nell’attività investigativa e l’unico pericolo concreto è l’obesità, a cui si
approda con il succedersi inesorabile delle cene della Lega Investigazione
Amatoriale Intergalattica.
Teté non è sempre stato un aspira pattume. Prima di fondare la Vortice spa
faceva il navigatore galattico. Aveva solcato le dense e cocenti atmosfere di
Nadir 4 alla ricerca di metalli radioattivi, aveva scoperto nuovi asteroidi e
persino qualche pianetino. Tutto per un amore finito. A vederlo in faccia non
lo si sarebbe detto capace di sentimenti romantici. Aveva un testone tatuato
come Queequeg di Moby Dick, sopracciglia bianche come quelle di Babbo
Natale, pelle abbrustolita dalla troppa vicinanza ai soli delle centinaia di
sistemi che aveva visitato, un braccio bionico e un torace da nave vichinga
che faceva temere gli abbracci.
Non ho mai conosciuto il suo passato, né so chi fosse la donna che, lui
dice, gli ha spezzato il cuore e lo ha consegnato ad un'esistenza girovaga e
avventurosa. Un tatuaggio sull’avambraccio destro – lato cuore – mi aveva
sempre lasciata perplesso. C’era scritto Bert.
Quando esagerava con il tè alla menta pronunciava parole strascicate,
ridacchiava e cantava vecchie canzoni in tedesco. Dava il meglio di sé con
Kurt Weil e fissava la luna viola di Diotima versando grosse lacrime. Erano le
uniche deviazioni da un umore fisso sul bel tempo e dalla sua perenne
ricerca di nuove imprese.
«Non mi ha accennato proprio nulla» penso mentre nel mio cubicolo
pressurizzato riemergo dal tutone e mi preparo alla cena. Non so cosa Teté
abbia in mente ma dalla vibrazione briccona della sua voce al comunicatore
spaziale, mi aspetto di tutto. Penso alla cena, al Lambrusco di Diotima, ma sì,
male che vada mangio bene, bevo meglio e faccio due risate con il vecchio
"aspirasauro".
Il grande annuncio
Aspetto Temistocle seduto al tavolo riservato per noi. Rosicchio gallette
seguendo i bagliori intermittenti prodotti dal soffitto, un soffitto presuntuoso
che pretende di luccicare a seconda dei pensieri dei clienti seduti sotto.
«Risparmia i microchip, soffitto guardone, penso minacciandolo con una
galletta».
Teté arriva all’improvviso, scomposto e travolgente. Saluta me con gli occhi
e il cameriere con la voce. Porta con sé un’aria fredda da abissi spaziali e ha
una luce, nel suo sguardo da invasato, che non promette nulla di
rassicurante. Mi si siede di fronte guardandomi con la fregola di spifferare
qualcosa. In una mano tiene una forchetta e con l’altra si aggrappa forte al
lato del tavolo sgualcendo la tovaglia. Lo fisso anch’io e finalmente «E
allora?»
«Siamo stati assunti, un lavoro tranquillo!! Qualcuno ha bisogno di noi.
Bisogna trovare una persona scomparsa. Faremo un bel viaggetto. Ci
pagano bene, baratteremo talee, ci godremo alberghi di lusso. Insomma,
vacanza e mistero, non come alle cene dell'associazione investigativa». Teté
era tutto contento.
«Un figlio di papà si è unito ad una setta di adoratori dei Nirvana, un antico
culto di cui si era persa traccia. Stava bene, scriveva a casa, era felice. Ora è
sparito e nessuno lo trova più», spiega Teté aggiungendo subito «Per
qualche motivo i genitori lo rivogliono indietro». Vista la lentezza delle
indagini e la mancanza di riserbo dei poliziotti, il padre di Elisio (così si
chiama il ragazzo), ha sguinzagliato Teté alla ricerca, "discreta", del figlio.
«E io?» chiesi.
«Eh, e tu niente no. Tu vieni con me! Ho già preparato i documenti. Vuoi
mica che ci vada da solo, alla mia età. E poi, non ti sei stancato di raccogliere
immondizia? Non ti va solcarlo, questo spazio intergalattico? ». Teté
sogghigna un po' e ha un'aria, come quando ti regalano un megasauro di Lot,
con la scusa che ti piacciono i gechi.
Zin Zen
Il giorno dopo siamo in viaggio. Seguiamo la rotta che Temistocle ha
disegnato al ristorante, su un tovagliolo, prima di ubriacarsi e iniziare a
cantare "Bella rosa di Diotima". Pestando l'acceleratore quanto basta,
arriveremo sull'asteroide Zin Zen, dove il rampollo ha fatto perdere le sue
tracce.
Zin zen è una colonia di adoratori dei Nirvana, antichi semi-dei, portatori di
un messaggio di pace e fratellanza in chiave malinconica. Si riuniscono sotto
giganteschi gazebo a forma di budino. Allenano la mente e il corpo alle
percezioni fini e alla levitazione. Tre volte al giorno danzano intonando canti
psichedelici e lanciando in aria margherite. Incontriamo un adepto che, a
occhi chiusi e mani aperte rivolte a terra, cerca di distinguere, con la sua sola
sensitività e una tortilla di riso nello stomaco, le erbette a foglia lanceolata da
quelle a foglia rotonda. Ogni tanto apre gli occhi e si scompone un po', poi
riprende a fare il radar umano.
Dopo qualche tentativo, mi sembra che dica qualcosa tipo «Porca spazzola
di Fra Doroteo addolorato, ste cavolo di foglie!» ma non ne sono proprio
sicuro. Fatto sta che ci presentiamo e iniziamo a fare le domande del caso.
«Quando hai visto Elisio per l'ultima volta? Eravate in buoni rapporti? Ti
sembra che il suo umore fosse cambiato, negli ultimi tempi?» L'adepto ci
guarda con gli occhi un po' fissi, senza sbattere quasi mai le palpebre. Ci dice
che avverte un forte mal di testa e ci chiede se per caso siamo soliti
intossicare il nostro organismo con cibi grassi e uva fermentata. Perché in
quel caso, le nostre emanazioni negative, gli avrebbero da lì a poco procurato
un forte mal di testa. Teté si mette a guardare per aria e io gli chiedo «Che
fine pensa che abbia fatto Elisio?». Il sensitivo mi fissa e mi dice. «Non ne ho
la benché minima idea» e ricomincia a scandagliare i segnali provenienti dal
prato.
Ci resta solo la cara vecchia deduzione scientifica, non si può sperare di
cavare molto da questo tipo di testimone. Teté è felice come un coniglietto in
un orto. Sorride da un orecchio all'altro e, se non fossi certo del suo buon
cuore, avrei un po' paura. Il suo sorriso, su quel faccione largo e cotto dalle
radiazioni, sembra un ghigno malefico.
Ha agguantato le polverine per le rilevazioni, le lenti di ingrandimento, lo
scansionatore di dna e ogni altra diavoleria a scopo deduttivo. Sta per
cominciare a spennellare il cubicolo di Elisio quando, tastando il pagliericcio
del suo letto, sento sbucare qualcosa. «Sembra l'angolo di una specie di
lamiera graffiata», dico. Sto per prenderla in mano, quando due manone si
abbattono su di me. Altro che percezioni sottili e influssi magnetici, questi
sono badili in piena regola.
Non è una bella situazione. Io e Teté abbiamo paura che i pacifici adoratori
dei Nirvana ci facciano secchi con le loro tutt'altro che infinitesime braccia.
Altro che foglie dritte e foglie tonde, qui si parla di vere e proprie pizze
margherite dure e pesanti come il basalto!
Il maestro Zin Qui ci guarda in silenzio e continua a fissarci senza
muovere un muscolo. Questo fatto ci rassicura, anche perché di movimento
ne abbiamo avuto a sufficienza.
Ha finalmente smesso di radiografarci e sospira riproducendo il rumore di
una vecchia cantina, di quelle umide con le porte di legno, quando viene
aperta. Ci sentiamo risucchiati dal vuoto prodotto dall'inspiro a seguire e
pensiamo, quasi telepaticamente, che gli esercizi di respirazione allora
funzionano, porca miseria. Sembra di essere in una galleria del vento!
Zin Qui è preoccupato. In tanti anni di pacifica pratica della seraficità e del
canto, nessuno è mai stato rapito e nessun delitto si è consumato, all'ombra
dei gazebo. «La scomparsa di Elisio attira l'attenzione del Triunvirato» spiega
Zin Qui aggiungendo «ci ha tenuti d'occhio a lungo». Il gran sacerdote e
maestro degli adoratori dei Nirvana ha gli occhi bassi e sembra proprio giù di
corda. Un decano dell'ordine di avvicina spiegando che, per certe misteriose
ricerche su foglie né lanceolate, né arrotondate ma palmate, Zin Qui ha quasi
rischiato di finire in gattabuia.
Non è facile sostenere la vista di un adoratore dei Nirvana, già di per sé
non esattamente giulivo, in stato di grave prostrazione. Teté non resiste e
dice al decano che, se la setta farà tutto quello che è in suo potere per darci
informazioni su Elisio, «noi toglieremo presto il disturbo e manderemo un
rapporto rasserenatore ai burocratici di turno, per calmare le acque».
Visto che non vediamo l'ora di andarcene, ad un salvifico cenno di assenso
del vecchio maestro, iniziamo a sorridere e a annuire soddisfatti. A quel punto
un uomo entra nella stanza. E’ il musicista che accompagna i canti degli
adepti. Ha qualcosa di importante da comunicarci. «Elisio mi ha parlato di
una sua scoperta. Mentre si era appartato vicino ad alcune rocce vulcaniche
per mangiare un panino al salame di contrabbando» a questo punto l’adepto
ha lanciato uno sguardo colpevole verso Zin Zen che sembrava aver ingoiato
un insetto, «ha visto luccicare una specie di lamiera quadrata mezza
scolorita» (doveva essere l'oggetto freddo e appuntito che avevo scoperto
perquisendo il giaciglio di Elisio), con su scritto "lampadine al tungsteno
Seleno, illumina il tuo sentiero". Lì sopra era disegnato un uomo che
emanava raggi luminosi». Il cantante aveva aperto le braccia e imitava l’uomo
rappresentato nel disegno. «Elisio deve aver creduto che quel fossile
pubblicitario fosse un indizio del destino che gli indicava la via
dell'illuminazione» commenta Teté sovrappensiero.
Intanto molto lontano da lì
Selene è un antico e periferico satellite, con grossi crateri e un'espressione
un po' triste sulla "faccia". Molti millenni fa era chiamato Luna.
Il ragazzo non ha nessuna intenzione di tornare a casa. Suo padre, che gli
ha dato un insopportabile nome a causa del quale tutti lo hanno sempre
preso per i fondelli, vuole che lui diventi un consigliere del Triumvirato
spaziale, roba da scribacchini. Elisio invece cerca risposte e conoscenza.
Sente che solo indagando nel passato potrebbe trovare la chiarezza di cui ha
bisogno, per questo si è imbarcato su un'astronave di rifornimento che faceva
rotta per il satellite. Vorrebbe sapere perché suo padre gli abbia dato il nome
della madre con una o finale. «Perché il nome della mamma e non il grande
amore che aveva per lei? Perché, se di me non gli importa, non gli va giù che
sia andato con gli adoratori dei Nirvana?». Si chiedeva tutto questo e molto
altro. Soprattutto non riusciva a capire come mai, ora che era arrivato a
Selene, tutta la sua fuga gli sembrasse ridicola.
Ad un passo dalla meta
«Ci sono voluti tre mesi e mezzo di viaggio per raggiungere la Luna.
Abbiamo dato fondo alle riserve di Lambrusco e non abbiamo più nemmeno
granché da mangiare. Altro che alberghi e bella vita, Teté. Sta volta ci siamo
messi in una bella rogna».
Teté pare affranto, non è il caso di infierire. Dopo un bel po' dice «Non
abbiamo scambiato nemmeno una talea, non c'è nessuno da queste parti.
Mangiamo gallette di riso di Zin Zen da tre mesi e l'ultimo letto vero in cui
ho dormito è il pagliericcio di foglie dei seguaci dei Nirvana».Temistocle è ad
un passo dalle lacrime. Addio sogni di gloria investigativa, di eleganza, di
roboanti, ammirate, presentazioni.
«E' giunto il momento di calare l'asso nella manica» dico con fare
misterioso mentre scompaio come un illusionista nella cambusa. Al mio
ritorno il volto di Teté si illumina di beatitudine infinita. Il bottiglione di scorta e
il pollo arrosto con patate disidratato che Tarcisio mi ha infilato nella borsa
come ricostituente lungo il viaggio. Una goccia d'acqua e la magia si compie.
Il pollo ritorna alla sua forma originaria e noi dobbiamo solo apparecchiare la
tavola, stappare il Lambrusco e dare un calcio ai cattivi pensieri.
Temistocle addenta una coscia di pollo tenendola con la mano e dice «Un
pasto decente è quel che ci vuole. Ti ho mai raccontato di quella volta che...»
E giù a ricordare le sue scorribande siderali, alla ricerca di pianetoidi da
rivendicare tra mille pericoli e incontri eccitanti. Prima che il Triumvirato
mettesse le mani su tutto.
Una volta aveva scambiato un motore con dei semi strani, sembravano
fagioli. Il Devoniano che glieli aveva venduti prometteva che gli avrebbero
riservato buone sorprese. Così Teté li aveva tenuti in tasca per un mese, il
tempo di arrivare a casa sua (un laboratorio attrezzato per la minima
sopravvivenza degli uomini ma con tutto ciò che di utile e superfluo, un
vegetale potesse desiderare). La sera stessa del suo ritorno li aveva seminati
e, dopo una doccia, era andato a dormire tutto soddisfatto.
Nella notte aveva avuto l'impressione che qualcosa si muovesse, che
ombre sfilassero veloci nella penombra della sua stanza. Era stanco morto, la
sua mente aveva troppo bisogno di dormire. Al risveglio lo attendeva
un'insolita umidità. Era come se tutti i bucati del circondario fossero stati stesi
sotto il suo naso. Aveva i capelli umidi e il suo letto era tutto bagnato. Una
lumaca gli scivolava sulla fronte e tre funghi erano nati, uno sul naso, uno su
un braccio e uno sul suo ginocchio destro.
Cercando di mettere a fuoco la vista in mezzo alla nebbiolina che occupava
la stanza, si accorse di non essere solo. Un tronco largo quanto tutta la serra
era piantato nel laboratorio, foglie verdissime e teneri ghirigori vegetali
occupavano ogni angolo. Alzò gli occhi al cielo e proprio lì vide il tetto della
serra, appeso su una foglia a molte decine di metri da terra. Le altre sue
piante erano rotolate su foglie più basse e sembravano non passarsela
troppo male. Da quel giorno Teté non ebbe più una casa ma la società
botanica interstellare lo nominò membro onorario e cultore della materia
vegetale.
Selene
Selene è bellissima, sembra che mi guardi con la sua facciona
opalescente. Non so perché ma mi sento come se avessi incontrato un'amica
dopo tanto tempo. Mi sento a casa. Quando la guardavo, dall’oblò, prima
dell’arrivo, la malinconia del viaggio spariva. Anche Temistocle sta meglio. Ha
scoperto che sulla Luna c'è una serra a ossigeno con dentro ogni ben di dio
vegetale e, da vegeto-maniaco, non vede l'ora di mettere gli occhi sui verdi
tesori custoditi lì dentro. Finalmente può scambiare le sue talee con qualche
pianta esotica. Insomma, bentornato pieno buon umore!
L'allunaggio è stato tranquillo e tutto è filato liscio. La stazione di ricerca,
con la serra e gli alloggi dei ricercatori è piccola ma confortevole. Sembra,
però, che non ci sia anima viva. Temistocle sbava contro i vetri antimeteorite
della serra dove sbocciano Sossurae viola, Acmeae notturne e Doroteae di
Solonia. Mille essenze rampicanti, epifite, striscianti, ricadenti e rampanti si
aggrovigliano tra loro in uno spettacolo che farebbe invidia al leggendario
giardino del Triumvirato.
Poco lontano da lì c'è un robot-ricercatore che spolvera sassi e li cataloga
dopo averli messi in scatole trasparenti a forma di cubo. Ha una specie di
carrello della spesa pieno di reperti e non alza lo sguardo nonostante, ne
sono sicuro, mi abbia visto da un pezzo.
«Sa, caro mio, non ho tempo da perdere. La stazione di ricerca è tutta sulle
mie spalle. Devo analizzare rocce, curare la serra, occuparmi della
manutenzione e, ora, nutrire quell'impiastro a due gambe che avevo
inizialmente scambiato per un aggregato solido a base organica,
probabilmente una cacca». Le antenne mi si rizzano sulla testa, sta forse
parlando di Elisio?
Il robot borbotta che lo sgradito ospite è sbucato da uno scatolone dove lui
si aspettava di trovare pezzi di ricambio e semi. Il furbone si era pappato tutti
i semi dopo aver dato fondo alle sue riserve di cibo. Era uscito di là in
condizioni pietose, più morto che vivo e freddo come un ghiacciolo. Nella
serra si era ripreso ma continuava a rosicchiare le piante commestibili
facendo uscire dai gangheri il robot, che si chiama Jeeves. «Sono stufo di
sopportarlo, portatelo via, ve ne prego" supplica in preda allo sconforto.
«Abbiamo tutte le intenzioni di liberarla da quell'ospite rosicchia vegetali!» lo
rassicuro.
Elisio sta su un'amaca e guarda la Terra sorgere all'orizzonte. L'alba è
davvero uno spettacolo che toglie il fiato. Non ho mai visto un pianeta con dei
colori tanto belli!
All'improvviso vediamo un bagliore intenso provenire da fuori e, senza
nemmeno abbandonarci ai soliti convenevoli che si fanno quando ci si
incontra, ci precipitiamo fuori a vedere da dove arrivi quella luce. Lui pensa
alla lampadina al tungsteno che gli avrebbe portato l'illuminazione, qualunque
cosa sia, io invece non so nemmeno cosa mi spinge. Lo faccio e basta.
E' una specie di ampolla trasparente, sembra vuota. Sulla pancia
dell'ampolla c'è scritto Astolfo. Elisio vorrebbe metterci le mani sopra ma, non
so perché, tolgo il tappo.
A quel punto una specie di drago compare dal nulla e mi urla dietro
«Dov'eri finito santa cipolla? Ti ho cercato dappertutto!» Mi solleva con la sua
testa enorme e poi vola sotto di me. "Sono a cavallo di un drago, santo cielo,
urlo verso Temistocle».Teté è fuori dalla serra e si sbraccia gridando ma è
troppo tardi.
«Ma cos'hai fatto che sembri diverso? Non mi ricordo più nemmeno che
faccia avevi quando mi hai piantato in asso» dice il drago. E io «Ma chi sei
tu!!». «Come chi sono? Sono l'Ippogrifo, non ti ricordi?». Mi viene un gran
mal di testa. Qualcosa dal mio passato riemerge, un poema cavalleresco, le
gesta di un certo Orlando che aveva perduto il senno, finito sulla Luna in
un'ampolla. Astolfo era l’uomo che aveva recuperato il senno di Orlando,
pazzo d’amore non corrisposto.
Ritorno
Mi sveglio e sono per terra. Ho un gran bernoccolo e vicino a me ci sono i
fagiolini aperti. Le farfalle sono uscite e io ho una fame bestia.