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magazine 14 luglio 2010 Rrose Sélavy TAMARA BERTONE

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I personaggi di Tamara Bertone sembrano il riflesso di quegli specchi che deformano, ma non lo sono. Anche se, lì per lì, i loro tratti appaiono fuori norma (ma qual è, poi, la norma?). Siamo sempre noi, comunque, nella nostra purezza poco esibita. Una purezza che significa immediatezza, pensiero subito detto. Difficile essere autentici in un mondo di superficie (superficiale). Tamara Bertone ci riesce. Sono, i suoi ritratti, delle fisionomie iperboliche? Esasperati, esagerati, trasfigurati eppure realistici, veristi, concreti. Lo sono, e derivano dalla pittura della prima metà del Novecento, da quei certi maestri che hanno rivoluzionato la percezione, utilizzando uno sguardo “in-verso”, che è ”contro” e allo stesso tempo “interiore, intimo”, uno sguardo che ci serve per non smarrirsi nei labirinti paranoici della realtà. Occorre però una visione fuori norma, appunto, esasperata ed esasperante. I personaggi di Tamara Bertone sono presi “nell’istante in cui” compiono un’azione, un gesto (o un pensiero).

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Questo “attimo non fuggente” non è il frame, il pezzo di un racconto, un fotogramma. È ciò che sta tra un prima e un dopo. Quindi, i suoi personaggi ci permettono di intuire quello che hanno fatto e di immaginare quello che faranno. Hanno, inevitabilmente, il respiro di un racconto breve, nel quale può accadere di tutto (come in una lunga storia), con un ritmo che sa di battito, di dita che schiocca-no, di un “oplà, noi viviamo” (rubando il titolo al famoso dramma di Ernst Toller). Sono attimi forti, pieni di attese, di emozioni, contraddizioni, paure, gioie, angosce. Ecco allora che quel volto ha la stessa materia della pietra che si è frantumata per sconquasso o per vecchiezza, e quello sguardo ha l’asfissia di un cappio stretto attorno alla gola e il movimento scomposto è causato dall’istinto di sopravvivenza (ogni giorno lottiamo per questo?), e quel corpo ha la superficie glabra, levigata, di chi vive ai margini della bellezza (un codice), con una fisionomia da extramondo (quante volte ci sentiamo alieni, qui?). Per semplificazione, sono anche dei ritratti scaturiti dall’irrequietezza di uno stato dell’animo che si placa, si calma solo quando diventa disegno o pittura. Nella tecnica – con colori di base che suggeriscono l’oriente – i lavori di Tamara Bertone sembrano quasi pagine di illustrazioni, e ci si aspetterebbe una narrazione per sequenze, come nelle strisce, nei fumetti. Invece la storia è dentro un’unica inquadratura, ma non è bloccata, chiusa, finita. È da continuare. Spetta a noi farlo?

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Tamara Bertone vive e lavora a Palermo.Dice di sé: disegno da sempre. Quando ero bambina, leggendo la Settimana enigmistica, facevo le vignette umoristiche e le spedivo per i vari concorsi!I supporti sui quali lavoro sono diversi (carta, carta pesta, pannelli di legno o di plastica, cartone e mdf. Le tecniche che utilizzo sono miste. Per un periodo ho utilizzato (sperimentato) anche pigmenti di colore, spezie, alimenti liquidi, spesso uniti alla colla.Oggi prevalentemente uso acrilico e matite colorate.Ho studiato al liceo artistico, al Dams (disciplina delle arti) e sono diplomata in restauro lapideo.