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EUCLIDE DI ALESSANDRIA Rosanna Zambito 09 Novembre 2012

Rosanna Zambito - WordPress.com · 2012. 12. 21. · tica la loro scienza dei numeri, termine che venne esteso anche a tutto ci o che allora aveva carattere algebrico. Eudemo di Rodi

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  • EUCLIDE DI ALESSANDRIA

    Rosanna Zambito

    09 Novembre 2012

  • Contesto storico e filosofico

    Nel Prometeo Incatenato, Eschilo, uno dei tre più grandi scrittori classici,presenta Prometeo come l’ eroe che ha consentito agli uomini l’ inizio delprogresso, insegnando loro l’ uso del fuoco e molte altre cose utili. In unpasso Prometeo dice “E anche i numeri, la più importante delle scienze, hoinventato per loro”. Queste righe, scritte nel 465 a.C. circa, rendono testi-monianza della grande stima che gli antichi Greci avevano per l’ aritmetica:la matematica veniva considerata come una dimostrazione di umanità, unamanifestazione di cultura e di civiltà superiori.Gli antichi Greci, specialmente i pitagorici, chiamavano col nome di aritme-tica la loro scienza dei numeri, termine che venne esteso anche a tutto ciòche allora aveva carattere algebrico.Eudemo di Rodi ritiene che i Greci abbiano appreso l’ aritmetica dai Fenici,attraverso il commercio. I tassi di cambio di valuta devono aver avuto unruolo importante nell’ economia greca. Il denaro fu introdotto attorno al 600a.C. e il suo uso si diffuse gradualmente tra le città-stato greche. Gli stan-dard di peso per le monete d’ argento erano diversi tra le varie città-stato, eciò creava la necessità di un meccanismo per cambiare le diverse monete.Tuttavia il calcolo numerico concreto non era considerato una scienza: sichiamava “logistica”, ed aveva una valutazione inferiore. La matematicagreca non volle aver alcun contatto con la pratica: doveva essere esercitatae mantenuta nell’ ambito mentale, doveva essere bandita dal mondo dell’ e-sperienza per aspirare ad essere chiamata scienza. Con ciò venne assicuratala sua validità generale e la sua potenza di generalizzazione.Non sappiamo, perciò, quanto l’ aritmetica di Euclide sia legata al commer-cio, ma sappiamo che ha alle spalle queste considerazioni filosofiche: ciò chetroviamo nei libri di aritmetica di Euclide è matematica fine a sè stessa, comela parte geometrica degli Elementi.Possiamo aggiungere un’ altra considerazione importante: all’ inizio dell’e-poca alessandrina l’ atmosfera culturale del mondo greco richiedeva la finedello “scandalo della matematica” seguito agli attacchi del genere dei para-dossi di Zenone. Per affrontare questo compito c’ era soltanto la via tracciatadalla logica di Aristotele: la costruzione di una vera scienza mediante unarigida sistematica, non la trattazione della matematica come una raccoltadi argomenti a sè stanti. Tutto doveva elevarsi passo passo, a partire dalleradici, e una verità doveva necessariamente derivare dall’ altra. Fu Euclidead eseguire questo compito. L’ esposizione degli Elementi è organizzata pro-prio secondo questi canoni: all’ inizio vengono enunciati tutti gli assiomi, poitutte le definizioni e infine i teoremi concatenati in modo ordinato, a partiredai più semplici fino a quelli sempre più complessi.

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  • L’ uso dell’ astrazione nel considerare i problemi geometrici ravvicina note-volmente la trattazione di Euclide al metodo algebrico. L’uso di lettere perindicare segmenti ed aree, il fatto che il testo, che pur ricorre all’ immaginegeometrica, riesce completamente comprensibile anche senza la figura, e ilprescindere dai valori numerici particolari per mezzo della simbologia geo-metrica, conferiscono alla trattazione di Euclide un carattere algebrico. Solola mancanza di uno strumento algebrico costringe talvolta Euclide a ricorreread esempi particolari e a lasciare al lettore il compito della generalizzazione(come accade, ad esempio, per la dimostrazione della proposizione IX.20 sullaquantità dei numeri primi). Neppure i matematici posteriori, come Diofantoe gli Arabi, sono riusciti a superare questo grado dell’ astrazione matematica:una più alta generalità si raggiunge appena nel Rinascimento.

    Biografia.

    Nel 306 a.C., dopo le guerre interne che susseguirono la morte di Alessan-dro Magno, il controllo della parte egizia dell’impero era ormai saldamentenelle mani di Tolomeo I (367 a.C.-283 a.C.). Tra i suoi primi decreti ci ful’istituzione ad Alessandria, centro economico ed intellettuale del mondo elle-nistico, di una scuola, nota come il Museo, che non aveva pari a quel tempo.Ad insegnare in questa scuola chiamò un gruppo di imminenti studiosi tracui Euclide. Della sua vita prima dell’arrivo sulle coste dell’Africa, sappiamomolto poco. L’influenza di quest’uomo fu cos̀ı profonda, che da quel mo-mento praticamente tutti i matematici greci ebbero relazioni con la scuola diAlessandira.Nonostante la vasta fama degli Elementi, le notizie della vita di Euclide so-no molto scarse, tanto che, nel Medioevo e nel Rinascimento, fu identificatoerroneamente con Euclide di Megara, un allievo di Socrate.L’immagine qui sotto è il frontespizio di un’edizione degli Elementi risalen-te al XVI secolo in cui il matematico alessandrino è confuso con Euclide diMegara.

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  • Non si conosce neanche il luogo di nascita per cui viene identificato comeEuclide di Alessandria, dato che fu qui chiamato per insegnare la matemati-ca.Da fonti non certe (ma neanche smentite) emerge che Euclide sia nato aGela, in Sicilia e poi trasferitosi con la famiglia in Grecia che di sicuro nongli diede i natali.Euclide è menzionato in un brano di Pappo (320 d. C.), ma la testimonianzapiù importante su cui si basa la storiografia che lo riguarda viene da Proclo(412-485), che lo colloca tra i piú giovani discepoli di Platone:‘Non molto più giovane di loro Ermotico di Colofone e Filippo di Medma eEuclide; egli raccolse gli Elementi, ne ordinò in sistema molti di Eudosso,ne perfezionò molti di Teeteto, e ridusse a dimostrazioni inconfutabili quelliche suoi predecessori avevano poco rigorosamente dimostrato. Visse al tempodel primo Tolomeo, perchè Archimede, che visse subito dopo Tolomeo primo,cita Euclide; e anche si racconta che Tolomeo gli chiese una volta se non cifosse una via più breve degli Elementi per apprendere la geometria; ed eglirispose che per la geometria non esistevano vie fatte per i re. Euclide eradunque più giovane dei discepoli di Platone, ma piú anziano di Eratostenee di Archimede che erano fra loro contemporanei, come afferma in qualcheluogo Eratostene. Per le idee Euclide era platonico e aveva molto familiarequesta filosofia, tanto che si propose come scopo finale di tutta la raccoltadegli Elementi la costruzione delle figure chiamate platoniche”(Proclo, Comm. Eucl., II, 68).Controversa è invece la notizia secondo cui sarebbe stato un platonico con-vinto. Oggi prevale anzi la tendenza a considerare questo giudizio come pri-vo di fondamento (Heat (1956), Enriques, Neugebauer, Russo (1997)(1998),Migliorato-Gentile, Migliorato) e dettato verosimilmente dal desiderio di Pro-clo di annettere il più grande matematico dell’antichità alla schiera dei neo-

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  • platonici a cui lo stesso Proclo apparteneva.Sul suo carattere si sono traman-dati elogi e aneddoti, le leggende lo dipingono come un uomo vecchio e daltemperamento gentile.Euclide non dava molta importanza agli aspetti pratici della sua disciplina.Si racconta (Proclo) infatti che, quando un allievo gli chiese che utilità aves-se lo studio della geometria, Euclide si rivolse al suo schiavo dicendogli didare all’allievo una monetina perchè ha bisogno di trarre guadagno da ciòche impara. Con la sua domanda si era mostrato non solo venale ma an-che incapace di comprendere il vero significato della scienza. Sempre Proclo,racconta un altro aneddoto: ”si racconta che Tolomeo gli chiese una voltase ci fosse una via più breve degli Elementi per apprendere la geometria edegli rispose che la geometria non prevedeva vie regie”. Da questo aneddotodeduciamo l’estremo rigore di Euclide tanto da non permettere concessionineanche al re.Pappo elogia Euclide per la sua modestia che nel comporre gli Elementiincluse teoremi di matematici che vennero prima di lui (Eudosso e Teete-to). Dante nella DIvina Commedia colloca Euclide nel Limbo, tra gli spiritidell’antichitaà

    Opere di Euclide.

    Euclide e gli Elementi vengono spesso considerati come sinonimi anche se inrealtà egli è anche autore di una dozzina di trattati concernenti vari argo-menti: dall’ottica all’astronomia, dalla musica alla meccanica, sino a un librosulle sezioni coniche.Con la sola eccezione della Sfera di Autolico (360 a.C.-290 a.C.) le opereesistenti di Euclide sono i più antichi trattati matematici greci che ci sia-no rimasti, nonostante più della metà di ciò che scrisse Euclide sia andatoperduto.

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  • Figura 1: Particolare della scuola di Atene di Raffaello del 1509 in cui Euclideè intento ad insegnare.

    Opere perdute.

    Tra le opere perdute vi è un trattato sulle coniche in cui Euclide riconosce-va grande merito ad Aristeo, un geometra contemporaneo che aveva scrittoun trattato sui Luoghi Solidi (termine greco utilizzato per indicare le sezioniconiche). Entrambi tali trattati sono andati perduti; la causa di tale perditapuò forse essere attribuita al fatto che essi vennero presto sostituiti dall’im-portante e ampia opera di Apollonio sulle coniche.Tra le altre opere perdute ci sono una sui Luoghi superficiali, un’altra sugliPseudaria (=false conclusioni) e una terza sui Porismi. Dalle testimonianzeantiche per o non risulta chiaro neppure quale fosse il loro contenuto.Il trattato sui Luoghi superficiali potrebbe riguardare le superficie note agliantichi (la supercie della sfera, del cono, del cilindro, del toro, dell’elissoide dirivoluzione, il paraboloide di rivoluzione e l’iperboloide di rivoluzione a duefalde) o forse le curve giacienti su esse. Per quello che ne sappiamo i greci nonstudiarono altre superfici oltre a quelle dei solidi di rivoluzione. La perditadei Porismi è particolarmente grave; tale opera forse dava l’idea di quantoEuclide si fosse avvicinato alla geometria analitica. Pappo più tardi riferivache un porisma era qualcosa di mezzo tra un teorema, in cui si propone ladimostrazione di qualcosa, e un problema, in cui si propone la costruzione diqualcosa. Altri invece hanno descritto un porisma come una proposizione incui si determina una relazione tra quantità note e quantità variabili o inde-terminate, ciò che forse nell’antichità più si avvicina al concetto di funzione.Se un porisma era, come si è pensato, una sorta di equazione verbale di unacurva, il libro di Euclide sui Porismi differiva probabilmente dalla nostrageometria analitica, in gran parte, per la mancanza di simboli e dell’uso di

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  • tecniche algebriche. Lo storico della geometria Michel Chasles (1793-1880)suggeriva come tipico porisma euclideo la determinazione del luogo dei puntiper ognuno dei quali è costante la somma dei quadrati delle distanze da duepunti prefissati.

    Opere pervenuteci.

    Cinque sono invece le opere pervenute sino a noi:

    • gli Elementi

    • i Dati

    • la Divisione delle figure

    • i Fenomeni

    • l’Ottica

    L’opera L’Ottica è interessante in quanto è uno dei primi trattati sulla pro-spettiva, ossia come veniva chiamata dai greci “la geometria della visionediretta”. L’Ottica di Euclide è notevole per l’esposizione di una teoria emis-siva della visione secondo la quale l’occhio emette raggi che attraversano lospazio fino a giungere agli oggetti. Tale concezione si opponeva alla dottrinadi Aristotele secondo la quale una sorta di azione si trasmetteva attraverso unmezzo in linea retta dall’oggetto all’occhio. Uno degli obbiettivi dell’Otticaera quello di combattere il concetto epicureo secondo il quale le dimensionidi un oggetto erano quelle che apparivano alla vista, senza tener conto delrimpicciolimento dovuto alla prospettiva.I Fenomeni di Euclide era un’opera simile alla Sfera di Autolico, ossia un’o-pera di geometria sferica ad uso degli astronomi. Un confronto tra i duetrattati ci mostra come entrambi gli autori derivassero gran parte del loromateriale dalla tradizione manualistica nota alla loro generazione. È abba-stanza probabile che la stessa cosa valga anche per gli Elementi, ma in questocaso non ci è rimasta nessun’altra opera contemporanea con la quale possaessere confrontata.La Divisione delle figure sarebbe andata perduta se non fosse stato per gliarabi. Infatti il testo originale greco è andato perduto, ma prima della suascomparsa ne fu fatta una traduzione araba (che trascurava alcune delle di-mostrazioni originali per la loro “facilità”) la quale fu a sua volta tradottain latino e infine nelle principali lingue moderne. Tale opera comprende unaraccolta di trentasei proposizioni concernenti la divisione di figure piane. Per

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  • esempio la Proposizione 1 chiede di costruire una retta che sia parallela allabase del triangolo e divida il triangolo in due aree uguali (e cos̀ı via).Abbastanza simile per natura e finalità alla Divisione delle figure è l’opera diEuclide intitolata Dati, che ci è pervenuta sia nella versione greca originaleche nella traduzione araba. Sembra che tale opera sia stata composta per es-sere usata al Museo come sussidiario ai primi sei libri degli Elementi. Dovevaservire come guida all’analisi di problemi di geometria al fine di scoprire ledimostrazioni e come un insieme di esercizi per ripassare e applicare gli Ele-menti. Tale trattato si apre con quindici definizioni riguardanti grandezze eluoghi; nel seguito comprende novantacinque proposizioni, le quali ricordanoallo studente le implicazioni dei dati contenuti nel problema. Ad esempiole prime due proposizioni affermano che, se sono date due grandezze a e b,allora è dato anche il loro rapporto, e che, se sono dati una grandezza e ilsuo rapporto con una seconda grandezze, anche la seconda grandezza è da-ta. Vi sono oltre venti proposizioni del genere, le quali servono come regoleo formule algebriche. Seguono poi semplici regole geometriche concernentirette parallele e grandezze proporzionali, come ad esempio l’avvertenza che,quando due segmenti hanno un dato rapporto, si conosce allora il rapportodelle aree di figure simili costruite su quei segmenti. Alcune proposizionicostituiscono l’equivalente geometrico della soluzione di equazioni di secondogrado.

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  • Gli Elementi

    Introduzione

    La matematica che conosciamo è costituita come un sistema di assiomi, de-finizioni e proposizioni. Tendiamo a un tale sistema se concepiamo la ma-tematica come un’entità astratta indipendente dalle cose materiali e dallefigure concrete, secondo il suggerimento di Platone. In questo modo, datoche non è più consentita una dimostrazione empirica della verità delle pro-posizioni, è necessario dimostrare le proposizioni attraverso un ragionamentologico; bisognerà quindi dedurle da proposizioni già dimostrate, proceden-do in questo modo a ritroso fino al raggiungimento degli assiomi. Un’altraconseguenza della separazione logica della matematica dal mondo materialeè che il significato di un nuovo concetto non può essere ricavato con il soloaiuto di una figura: per ogni nuovo concetto occorrerà invece dare un’esattadefinizione. Questa concezione platonica non inflùı soltanto su Euclide, mainflùı tutta la cultura greca seguente. I greci infatti accettarono l’idea chela conoscenza matematica potesse essere acquisita solo per mezzo del ragio-namento e costruirono la geometria su questo principio. Ad un insieme diproposizioni matematiche basate su assiomi essi dettero il nome di Elemen-ti; secondo Proclo, un insieme di Elementi venne compilato da Ippocrate diChio circa 100 anni prima di Euclide. Dopo di lui, molti altri matematicigreci si dedicarono alla redazione di simili sistemi. In ogni caso però i piùantichi Elementi il cui contenuto sia giunto sino a noi sono gli Elementi diEuclide.Sebbene non gli siano attribuite importanti scoperte, dalla sua opera possia-mo dedurre che egli era un eccellente insegnante; espose infatti i principi dellamatematica in modo tale che essi sono diventati comprensibili agli studenti diogni epoca. Gli Elementi non erano, come talvolta si è pensato, un riassuntodi tutte le conoscenze geometriche del tempo; era invece un manuale intro-duttivo che abbracciava tutta la matematica elementare. Si noti infatti chel’arte del calcolo non è presente dato che questa era considerata come baseinferiore; e neppure lo studio delle coniche o delle curve piane è contenuto in

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  • tale compendio, poichè costituiva una branca più avanzata della matemati-ca. Euclide stesso non aveva alcuna pretesa di essere originale, ed è chiaroche egli attinse a piene mani dalle opere dei suoi predecessori, nonostantesi ritenga che la disposizione della materia sia opera sua, e presumibilmentequalche dimostrazione fu sviluppata da lui stesso. Quindi il trattato euclideovuole e si limita a presentare una sobria esposizione, logicamente strutturata,degli elementi fondamentali della matematica elementare.È probabilmente per la grande utilità degli Elementi, che essi sono giunti finoa noi. Tuttavia, come è accaduto per tutte le opere greche, il testo originaleè andato perduto. Esso venne copiato innumerevoli volte e vi furono aggiun-ti commenti esplicativi e modifiche al testo, e tali aggiunte vennero copiateda scrivani posteriori come se facessero parte del testo originale. Per questomotivo non è più possibile ricostruire il testo originale in ogni dettaglio datoche alcune di queste aggiunte compaiono in ognuno dei manoscritti oggi esi-stenti. Nel Medio Evo gli Elementi diventarono noti in Europa occidentalegrazie agli arabi e diventarono i fondamenti della educazione matematica.Si conoscono più di mille edizioni degli Elementi; con ogni probabilità essisono, insieme con la Bibbia, il libro più di uso di tutta la civiltà del mondooccidentale. La prima edizione a stampa degli Elementi usc̀ı a Venezia nel1482 e fu uno dei primi libri matematici stampati, da allora in poi ci furonopiù o meno un migliaio di edizioni.Le principali opere matematiche ellenistiche osservavano un ferreo silenziosulle proprie fonti, poichè ogni trattato generale cancellava qualsiasi tracciadi quelli precedenti in quanto ogni nuova e più completa esposizione rendevasuperfluo fare delle copie delle altre, inoltre la situazione cos̀ı favorevole dalpunto di vista di diffusione e conservazione delle opere in Alessandria ha ga-rantito il successo degli Elementi a discapito di ogni altra opera matematicaminore.

    Figura 2: Frammento di papiro contenente alcuni elementi della geometriadi Euclide.

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  • La struttura.

    Euclide cercò di attenersi al principio espresso da Platone secondo cui laconoscenza matematica può essere acquisita solo per mezzo del ragionamento.Perciò, nessuna proprietà può essere dedotta dalla figura; si dovrà invece dareuna esatta dimostrazione di ogni proprietà.Euclide fu però anche influenzato da Aristotele. Secondo Aristotele unascienza deduttiva è basata su due tipi di proposizioni la cui verità è accettatasenza dimostrazione (la loro verità doveva essere cos̀ı manifesta da evitareogni possibile dubbio):

    • Nozioni comuni: verità generali valide in tutte le scienze deduttive;(ad esempio: se quantità uguali vengono sottratte quantità uguali, lerestanti risultano uguali).

    • Nozioni speci che: verità che sono alla base delle particolari scienzededuttive; (ad esempio: per due punti passa una retta).

    Le nozioni specifiche sono di due tipi: quelle che definiscono il signicatodei concetti fondamentali e quelle che stabiliscono l’esistenza dei concettifondamentali.Aristotele distingue quindi due tipi di concetti: i concetti fondamentali equelli che sono da essi derivati.

    • I concetti fondamentali non possono essere definiti. Le loro proprietàessenziali vengono formulate nell’ambito di nozioni specifiche. Esempidi concetti fondamentali sono: punto, linea, retta, superficie e piano.

    • I rimanenti concetti devono essere definiti, partendo dai concetti fon-damentali. Dapprima si considera un concetto che sia già noto (il “ge-nus proximum”) a cui si aggiungono dei requisiti specifici(differentiaespecificae). Ad esempio: “genus proximum”: triangolo; ‘differentiaespecificae’: due lati sono uguali; → nuovo concetto: triangolo isoscele).

    Vedremo che Euclide ha cercato di costruire il suo sistema in accordo con irequisiti precisati da Aristotele.

    Il genio di Euclide non consiste tanto nel creare una nuova matemati-ca quanto nel presentare la vecchia matematica in modo del tutto chiaro,organizzato e logico. Gli Elementi non sono semplicemente una raccolta diteoremi con le relative dimostrazioni: Euclide fece di piuù, ci ha dato un

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  • ammirevole sviluppo assiomatico della materia e questa eè una differenzacruciale.Questa relazione verterà sul primo libro, i rimanenti libri verranno trattatinella relazione successiva.Gli Elementi iniziano con poche asserzioni di base: ventitrè termini, cinquepostulati e cinque nozioni comuni. Partendo da questi fondamenti, dimostròla sua prima proposizione, fatto ciò ancora una volta sulla base delle suedefinizioni, postulati e nozioni comuni, con l’aggiunta della prima proposi-zione potè dimostrare la seconda. E cos̀ı via. Non si limitò dunque a forniredelle dimostrazioni: le forǹı all’interno di questo preciso quadro assiomati-co. I vantaggi di un metodo del genere sono notevoli: in primis, si evita lacircolarità dei ragionamenti: ogni proposizione ha alle spalle una lista chia-ra di proposizioni precedenti che, ripercorsa all’indietro, riporta agli assiomioriginali (questo metodo è migliore del metodo ”buttarsi a capofitto in unadimostrazione”: provo teorema A usando teorema B che però richiede l’usodi A e si ricade nella situazione del serpente che si morde la coda!).In secondo luogo, conoscendo i predecessori di ogni teorema è facile capirequello che accadrebbe se alterassimo o eliminassimo uno dei postulati di ba-se. Per esempio, se dimostro il teorema A senza mai ricorrere al postulato Cnè ad alcun risultato dimostrato ricorrendo a tale postulato, possiamo esseresicuri che il teorema A resterebbe valido anche se il postulato C venisse inqualche modo eliminato. (Un problema del genere sorse in relazione al famo-so quinto postulato dando luogo a una delle più lunghe e profonde discussionidi tutta la storia della matematica).Gli Elementi sono costituiti da 13 Libri i quali possono essere distinti nelseguente modo:

    • Libri I-VI: geometri piana elementare;

    • Libri VII-IX: teoria dei numeri;

    • Libro X: gli incommensurabili;

    • Libri XI-XIII: geometria solida.

    L’influenza di Platone si sente nell’opera di Euclide. Platone pensava che cifossero solo due misure della geometria che fossero perfette, le altre eranoimperfette. Magari regolari come per esempio il triangolo equilatero o il

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  • quadrato, pentagoni regolari però imperfetti perchè per esempio cosa rendeun triangolo più o meno perfetto rispetto ad un quadrato?Solo due sono misure perfette poichè simili a ciascuna delle loro parti: la linearetta (qualunque pezzo è simile all’intera figura) e il contrario della retta cioèil cerchio. Per Platone allora, la geometria doveva essere studiata, costruitausando solo gli strumenti che permettono di descrivere e di disegnare questedue figure perfette: riga (senza tacche che individuano le distanze, soltantola possibilità di tracciare rette) e compasso.Possiamo pensare che lo scegliere riga e compasso come unici strumenti dapoter utilizzare nello studio della geometria, sia stato legato a problemi edesigenze pratiche piuttosto che all’idea platonica delle fugure perfette.I tredici libri di EUclide sono tutti costruiti usando solo riga e compasso.

    Libro I.

    Termini.

    Non c’è nessuna introduzione o preambolo all’opera; il Libro I inizia brusca-mente con un elenco di ventitré “termini”. Termini è la traduzione letteraledella parola greca oρoι , che si può anche tradurre come “concetti” o “defi-nizioni”. Non indica peró il concetto attuale di definizione in quanto Euclideapplica la visione aristotelica secondo la quale ogni scienza deduttiva devepartire da un certo numero di concetti fondamentali e il loro significato deveessere esposto in nozioni specifiche. Perció le prime sette “definizioni” nonsono propriamente definizioni, ma devono essere considerate nozioni specifi-che che precisano il significato dei concetti fondamentali che in esse appaiono.Tali concetti fondamentali sono: punto, linea, retta, superficie e piano.

    I Un punto è ciò che non ha parti.

    II Una linea è lunghezza senza larghezza.

    III Le estremità di una linea sono punti.

    IV Una linea retta è una linea costituita in modo uniforme dai suoi stessipunti.

    V Una superficie è ciò che possiede solamente lunghezza e larghezza.

    VI Le estremità di una superficie sono linee.

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  • VII Una superficie piana è una superficie che è costituita in modo uniformedalle sue stesse linee.

    La prima Definizione descrive ciò che si deve intendere per punto: un puntoviene concepito come qualcosa che non ha dimensione, qualcosa di immate-riale.Dalla seconda Definizione si ricava che anche una linea, è qualcosa di imma-teriale: essa non è un filo sottile ma “lunghezza senza larghezza” e un analogoragionamento vale per una superficie. Riporto alcune definizioni alternativedi retta:Platone:“La retta è quella linea di cui la parte media ombreggia gli estremi.”Proclo:“La retta è quella linea che rimane immobile quando sono fermi i suoiestremi.”Archimede e poi Legendre:“La retta è la linea più breve tra due punti.”Il significato delle Definizioni IV e VII è vago. Euclide può avere pensatoche un’asta è rettilinea se nessun suo punto ne sporge: in tal caso l’astaviene vista di profilo come un punto solo. In modo analogo la DefinizioneVII potrebbe significare che una superficie piana è vista come una linea rettaquando viene osservata di profilo.Euclide prosegue con una serie di definizioni in cui viene esposto il significatodei concetti derivati.

    VIII Un angolo piano è la inclinazione reciproca di due linee in un pianoche si incontrano e non giacciono in una stessa retta.

    IX Quando le linee che definiscono l’angolo sono rette, l’angolo è dettorettilineo.

    X Quando una linea retta che interseca un’altra linea retta determina dueangoli adiacenti che sono congruenti tra di loro, ciascuno degli ango-li congruenti è retto, e la linea retta che interseca l’altra è chiamataperpendicolare alla retta che interseca.

    XV Un cerchio è una figura piana contenuta da una linea tale che tutte lelinee rette che cadono su di essa, partendo da un punto fra quelli chegiacciono dentro la figura, sono tra di loro congruenti.

    XXIII Si dicono parallele le linee rette che, appartenendo al medesimo pia-no, prolungate indefinitamente in entrambe le direzioni, non si incon-trano reciprocamente in alcuna direzione.

    Nella Definizione VIII viene definito l’angolo tra due linee, che non sononecessariamente rette, poichè l’angolo rettilineo è definito solo nella Defini-zione IX. La Definizione VIII non è però formulata nel modo prescritto da

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  • Aristotele. La ‘inclinazione reciproca di due linee’ non è, infatti, un genusproximum che sia già stato precedentemente definito e e non è più noto deltermine “angolo”.La Definizione IX è la prima che soddisfa i requisiti aristotelici di una de-finizione. Secondo tale definizione, un angolo rettilineo è un angolo che èformato da due linee rette. Qui angolo è il “genus proximum”; e la ‘diffe-rentiae specificae’ che fa dell’angolo rettilineo un caso particolare dell’angolodefinito prima è che le due linee che lo costituiscono sono rette.Anche la Definizione X è in accordo con i requisiti aristotelici. Infatti unangolo retto è un tipo particolare di angolo rettilineo (genus proximum) chepossiede la proprietà che le due rette formano due angoli adiacenti che sonocongruenti (“differentiae specificae”). I successivi termini definiscono l’an-golo ottuso ed acuto, il cerchio, il centro ed il diametro di un cerchio, ilsemicerchio, il poligono e diversi tipi di triangoli e quadrilateri.L’elenco delle Definizioni termina con la definizione di rette parallele. Si no-ti che con il termine ‘linea retta’ Euclide si riferisce non ad una linea rettainfinita, ma ad un segmento (si veda la Definizione III, dove i punti sono leestremità di una linea). Nella Definizione XXIII egli chiama perciò parallelidue segmenti complanari che non posseggono punti in comune, anche se inde-finitamente prolungati. Sembra quindi che la linea illimitata non venga maiconcepita nella sua interezza, bens̀ı come linea potenzialmente prolungabilequanto occorre.Dalla nostra analisi dei termini risulta che le prime definizioni date da Eucli-de, richiamano concetti mai definiti prima, quali “parte”, ‘lunghezza’,ecc..,mentre le successive definizioni richiamano dei concetti o degli enti già defi-niti in precedenza. Per chiarire dunque il significato di ‘definizione’ seguiamola Critica alla definizione di F. Enriques.Egli infatti spiega che esitono due diversi tipi di definizioni: quelle reali equelle nominali, le prime servono ad introdurre i concetti fondamentali e leseconde vengono introdotte strada facendo. Diremo dunque che la definizio-ne reale non è una definizione logica, ma soltanto una definizione psicologica,cioè un modo per far sorgere un concetto nella mente altrui, per mezzo diimmagini opportunamente rievocate ed associate. Pertanto la più precisae tipica definizione reale è la definizione concreta che si dà del nome di unoggetto, mostrando l’oggetto stesso e pronunziando insieme la parola che lodenota.

    Postulati e nozioni comuni.

    Dopo le definizioni, Euclide elenca cinque postulati e cinque nozioni comuni.Aristotele aveva fatto una netta distinzione tra assiomi (o nozioni comuni)

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  • e postulati: i primi devono essere convincenti di per se stessi e devono es-sere verità comuni a tutte le scienze, mentre i postulati riguardano soltantola disciplina in questione. Alcuni autori di epoca posteriore utilizzavano iltermine assioma per ciò che era noto o veniva accettato come evidente, e iltermine postulato per far riferimento a qualcosa che doveva essere richiesto.I manoscritti rimastici non sono concordi su questo punto, e in alcuni casile dieci supposizioni compaiono tutte insieme in un’unica categoria. Oggi imatematici moderni non fanno alcuna differenza essenziale tra un assioma eun postulato.

    Postulati.

    Euclide fonda i suoi Elementi su cinque postulati. Alcuni postulati inizianocon “e”, che significa “si postuli che”.

    I Si postuli quanto segue: di tracciare una linea retta da un punto qualsiasiad un punto qualsiasi.

    II E di prolungare una linea retta in modo continuo in una linea retta.

    III E di descrivere una circonferenza con centro e distanza qualsiasi.

    IV E gli angoli retti sono reciprocamente congruenti.

    V E, se una linea retta cade su due linee rette rendendo gli angoli interni dauna stessa parte minori di due angoli retti, le due linee rette, se indefi-nitamente prolungate, si incontrano dalla stessa parte dove si trovanoi due angoli minori di due angoli retti.

    Il primo Postulato afferma che qualsiasi punto può essere congiunto con qual-siasi altro per mezzo di un segmento rettilineo. Nella moderna terminologiasi può tradurre in questo modo: per due punti qualsiasi può essere tracciatauna linea retta.Il secondo Postulato dice che un segmento può sempre essere esteso, e comerisultato del prolungamento si ottiene un altro segmento di maggiore lun-ghezza; quindi il segmento prolungato può essere a sua volta prolungato e

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  • cos̀ı via. Possiamo vedere che il termine linea retta nei Postulati corrispondeal nostro concetto di segmento rettilineo. Il concetto di linea retta, nel sensodi un segmento rettilineo infinito, non si trova nei Postulati.Nella moderna terminologia tale postulato si può tradurre in questo modo:una linea retta è di estensione infinita.I primi due postulati consentono proprio le costruzioni che si possono fare conuna riga non graduata. Nel Postulato III si afferma che vi sono circonferenzee che una circonferenza è determinata dal centro e dal raggio. Abbiamo quila base logica che permettere di prendere un compasso e tracciarne una cir-conferenza purchè si abbia un punto dato che faccia da centro e una distanzache faccia da raggio.I primi tre postulati, giustificano tutti gli usi corretti degli strumenti euclidei.Proprio tutti? Se torniamo col pensiero ai nostri studi di geometria, ci ricor-deremo che il compasso ha anche un altro uso: consente di trasportare unalunghezza fissata da una parte all’altra del piano. Dato infatti un segmento lacui lunghezza debba essere riportata altrove, basta posizionare la punta fissadel compasso ad un estremo e la punta articolata all’altro; poi tenendo lostrumento rigido, sollevarlo e trasportarlo nella regione del piano desiderata.È una procedura semplice e utilissima, e tuttavia, a voler seguire rigidamentele regole di Euclide, inapplicabile: in nesun punto della sua opera troviamoun postulato che consenta di operare lo spostamento di lunghezze.Spesso si parla del compasso di Euclide come di uno strumento a ”scatto”:sebbene sia perfettamente in grado di disegnare circonferenze, non appena losi solleva dal piano si chiude, incapace di restare aperto. Egli non aveva biso-gno di assumere come postulato una tecnica del genere perchè la dimostrerànelle prime tre proposizione del libro I. Aristotele aveva scritto:” essendouguali le altre cose è migliore quella dimostrazione che procede da un minornumero di postulati. Euclide evidentemente condivideva questo principio: fugrande suo merito non aver assunto come primitivo ciò che in effetti si potevaderivare, utilizzando cos̀ı il minor numero indispensabile di postulati.I primi tre Postulati devono essere considerati come nozioni specifiche nel-le quali viene asserita la costruibilità dei concetti fondamentali di segmentorettilineo, retta e circonferenza.I Postulati IV e V invece differiscono in modo cos̀ı evidente dai primi tre, checi si deve chiedere perchè Euclide li abbia inclusi tutti in un unico elenco.I primi tre Postulati sono postulati di esistenza e dunque nozioni specifichenel senso aristotelico. Ciò non è più vero per i Postulati IV e V. Nel IVPostulato l’esistenza degli angoli retti non è enunciata, ma ci viene richiestodi ammettere che tutti gli angoli retti sono congruenti. Nel V Postulato in-vece dobbiamo ammettere che due linee rette, che soddisfano certi requisiti,posseggono un punto di intersezione. Questi due postulati non sono quindi

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  • totalmente in accordo con la visione aristotelica; infatti i Postulati IV e Vnon sono nozioni comuni, poichè essi fanno riferimento esclusivamente allageometria; non si tratta neppure di nozioni specifiche, poichè il loro scoponon è di precisare il significato o di stabilire l’esistenza di taluni concettifondamentali del sistema geometrico. Se Euclide fosse rimasto aderente alleprescrizioni aristoteliche, avrebbe tralasciato i Postulati IV e V. È natura-le quindi chiedersi perchè egli gli aggiunse. La risposta è semplice. Eglinon vedeva alcun modo di costruire il suo sistema di geometria piana senzaaccettare i Postulati IV e V; ne vedeva la possibilità di dimostrare la loroveridicità per mezzo di una dimostrazione rigorosa. Cos̀ı non gli rimase altrascelta che l’accettazione di tali Postulati, e poichè essi sono in modo speci-fico proprietà geometriche le quali vengolo accettate senza dimostrazione, eragionevole elencarle insieme con i Postulati.Una delle questioni più celebri dell’intera storia della matematica è il proble-ma della dimostrabilità del quinto postulato di Euclide detto anche “postu-lato delle parallele”, ovvero la possibilità di provare tale postulato sfruttandoesclusivamente gli altri postulati della geometria euclidea. Appare innaturaledubitare della verità di quanto esso afferma, come potrebbe infatti accadereche da un punto esterno ad una retta data sia possibile tracciare ben duedistinte rette parallele alla stessa? L’esperienza quotidiana ricondotta al ta-volo da disegno sembra impedirlo.Eppure, dal punto di vista strettamente teorico, centinaia di infruttuosi ten-tativi, disseminati in due millenni di storia della matematica, portarono adammettere che è impossibile dimostrare che la parallela tracciata ad una rettaper un punto esterno ad essa è l’unica retta parallela a quella retta condottaper quel punto. Solo nel XIX secolo si giunse alla conclusione che il quintopostulato era indimostrabile e sulla sua negazione furono fondate quelle co-nosciute come “geometrie non euclidee”. Riassumento si possono distinguerei cinque postulati in due specie:

    • Postulati di esistenza nei quali si ammette la costruibilità di concettifondamentali (I,II,III);

    • Postulati nei quali si ammette che alcune figure geometriche presentinospecifiche proprietà (IV,V).

    Nozioni comuni.

    Euclide enuncia ora cinque nozioni comuni che costituiscono la base di tuttoil pensiero deduttivo.

    I cose uguali a una medesima cosa sono uguali anche tra loro;

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  • II se cose uguali vengono aggiunte a cose uguali, gli interi sono uguali;

    III se cose uguali vengono sottratte da cose uguali, i resti sono uguali;

    IV cose che coincidono l’una con l’altra sono uguali l’una all’altra;

    V l’intero è maggiore della parte.

    Queste sono dunque le fondamenta sulle quali doveva essere costruito l’interoedificio degli Elementi.

    Proposizioni.

    Il primo libro degli Elementi contiene 48 proposizioni che hanno per oggettola congruenza dei triangoli, le rette parallele e le aree. Con alle spalle ipreliminari, Euclide si appresta a dimostrare la prima delle 48 proposizionidel libro I.

    I Su un segmento dato costruire un triangolo equilatero

    Dimostrazione. Considera un segmento AB.Usa A come centro e AB come raggio e costruisci una circonferenza. Fai ilcontrario e ne costruisci un’altra (Postulato 3). Sia C il punto di intersezionedelle due circonferenze prima costruite. Tramite postulato 1 traccia retta ACe retta CB. Il triangolo cos̀ı ottenuto è un triangolo equilatero: AC = AB eBC = AB in quanto raggi delle rispettive circonferenze ma per nozione 1 siha AC = AB = CB quindi il triangolo è equilatero per definizione.

    Questa dimostrazione presenta un punto debole: Euclide dice che le duecirconferenze si incontrano ma come lo può dimostrare? Questo è il primoteorema, prima di esso non ha dimostrato nulla quindi neppure il fatto chedue circonferenze in quelle condizioni devono avere un punto in comune. L’u-nica giustificazionepossibile per l’esistenza del punto C è che esso appare, intutta evidenza, nella figura. Ma se c’è una cosa che Euclide voleva bandiredalla geometria era proprio il riferimento alle figure nelle dimostrazioni. Eraun principio fondamentale: la dimostrazione doveva basarsi solo sulla logica,sullo sviluppo accurato del ragionamento a partire dai postulati e dalle no-zioni comuni e su nient’altro.In fin dei conti, se potessimo trarre delle conclusioni dalla semplice osservazio-ne delle figure, non avremmo bisogno di postulati e di definizioni: potremmoprovare la proposizione I notando semplicemente che il triangolo cos̀ı costrui-to è equilatero perchè si vede che lo è!

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  • È troppo facile criticare l’opera di Euclide alla luce degli sviluppi successividimenticando che i criteri di rigore mutano con il tempo. Nessuno dei suoi465 teoremi è falso, qualche dimostrazione richiede un piccolo aggiustamento,manca qualche postulato ma al tempo di Euclide, gli Elementi costituivano lapiù rigorosa e razionale sistemazione logica della matematica elementare chefosse mai stata elaborata e sono passati duemila anni prima che ne venissefatta una sistemazione più rigorosa. La sua opera ha superato brillantementela prova del tempo.Le proposizioni II e III stabiliscono la possibilità di trasportare un segmentodato senza dover sollevare il compasso aperto dal foglio. Analizziamo la pro-posizione II e vediamone una dimostrazione letterale data da una versionecritica dell’opera (edizione teubneriana dell’Opera Omnia di Euclide), in cuil’autore ha cercato di rimanere fedele alle particolarità del testo greco.

    II Porre sul punto dato una retta uguale alla retta data.

    Dimostrazione. Sia il punto dato A la retta data BΓ: si deve pertanto porresul punto A una retta uguale alla retta data BΓ. Sia infatti stata congiuntadal punto A fino al punto B una retta AB, e sia stato costruito su di essa untriangolo equilatero ∆AB [Proposizione1], e siano state prolungate in linearetta con ∆A, ∆B rette AE, BZ, e con centro B e intervallo BΓ sia statotracciato un cerchio ΓHΘ, e di nuovo con centro ∆ e intervallo ∆H sia statotracciato un cerchio HKΛ. Poichè dunque il punto B e centro del cerchioΓHΘ , BΓ è uguale a BH. Di nuovo, poichè il punto ∆ è centro del cerchioKΛH, ∆Λ è uguale a ∆H, delle quali ∆A è uguale a ∆B. AΛ restante èquindi uguale a BH restante. E fu anche dimostrata BΓ uguale a BH: unae l’altra delle AΛ, BΓ è quindi uguale a BH. E gli uguali allo stesso sonoanche uguali tra loro: anche AΛ è quindi uguale a BΓ. Risulta quindi postasul punto dato A una retta AΛ uguale alla retta data BΓ: il che si dovevafare.

    Facendo una traduzione moderna di tale dimostrazione ci viene naturale usa-re il termine congruente dove invece Euclide parla di uguaglianza. Euclideperó non assegna una lunghezza ad un segmento rettilineo o una misura adun angolo. La nozione di uguaglianza in Euclide deve essere interpretata nelsenso che i segmenti rettilinei ed angoli uguali possono essere spostati nelpiano fino a quando essi non coincidono.Si nota però che nelle sue dimostrazioni Euclide spesso fa uso di Postula-ti non espressi. Nella prima proposizione degli Elementi, per esempio, egliassume, senza dimostrarlo, che due cerchi si intersechino in un punto. Perquesto e altri casi simili è necessario aggiungere ai postulati un ulteriore Po-stulato equivalente al principio di continuità. Inoltre, i Postulati I e II, cos̀ı

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  • come vengono espressi da Euclide, non garantiscono, ossia non comportanonecessariamente, ne la unicità della retta che passa per due punti non coin-cidenti ne la sua infinitezza: essi asserisco semplicemente che ce n’è almenouna e che essa non ha termini. Tuttavia Euclide nelle sue dimostrazioni fauso liberamente della unicità e infinitezza di tale retta.La proposizione IV costituisce quello che, in termini moderni, si chiama ilprimo criterio di congruenza dei triangoli.La proposizione V afferma che gli angoli alla base di un triangolo isoscelesono uguali. Divenne nota come il ”Pons Asinorum”, il ponte degli asini. Èun nome che deriva in parte alla figura tracciata da Euclide che assomigliavagamente ad un ponte, in parte al fatto che nelle scuole medievali gli stu-denti meno dotati per la geometria non erano in grado di seguire la logicadella sua dimostrazione e quindi non potevano andare avanti nello studiodegli Elementi.La proposizione VI è l’inverso della V.Il secondo teorema della congruenza dei triangoli (noto come terzo criteriodi congruenza) è la proposizione VIII.Euclide ci ha riservato il piatto forte per la fine: egli è pronto finalmente adaffrontare il Teorema di Pitagora!Il Libro I si chiude (Proposizioni 47 e 48) con la dimostrazione del teorema diPitagora e del suo inverso. La dimostrazione del teorema come viene data daEuclide è diversa da quella che si trova solitamente nei manuali attuali, in cuisi applicano semplici proporzioni tra i lati dei triangoli formati dall’altezzache viene abbassata sull’ipotenusa che risultano essere simili.È stata avanzata l’ipotesi che Euclide avrebbe evitato una dimostrazione delgenere a causa delle diffcoltà implicite nella commensurabilità. Soltanto nelLibro V Euclide espone i fondamenti della teoria delle proporzioni, ma finoa quel punto l’uso delle proporzioni viene evitato nella misura del possibile.Per il teorema di Pitagora Euclide si serv̀ı invece di una elegante dimostra-zione basata su una figura che viene descritta talvolta come un mulino avento. Questa pietra miliare della matematica era stata posta già ben primadi Euclide tuttavia è da considerare originale la dimostrazione che egli ci hafornito. La sua bellezza sta nell’economia dei prerequisiti. Per costruirlaEuclide aveva solamente pochi strumenti: i suoi postulati, le nozioni comunie le prime 46 proposizioni. Pensiamo agli argomenti che non aveva ancoraaffrontato: i soli quadrilateri esaminati erano i parallelogrammi, le circonfe-renze non erano ancora entrate in scena, la similitudine non è accennata senon, come già detto nel libro VI. Euclide evidentemente non voleva aspettare6 libri per dimostrare il teorema di Pitagora con i triangoli simili. Volevaintrodurlo il più direttamente e rapidamente possibile. Esaminando le coseda questo punto di vista, appare chiaro che molto di quanto precedere la

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  • proposizione 47 è stato introdotto proprio allo scopo di poter dimostrare ilteorema di PItagora che appare il vero culmine del libro I.

    XLVII Nei triangoli rettangoli il quadrato sul lato che sottende l’angoloretto è uguale ai quadrati sui lati che comprendono l’angolo retto.

    Dimostrazione. Sia ABC il triangolo dove  è un angolo retto. Si costruisca-no i quadrati AGFB, BDEC, CKHA (Proposizione 46). Si tracci per A unaretta parallela a BD (Proposizione 31); essa interseca DE in L e BC in M . Sitracci AD e CF . Si deduce che BÂC+BÂG = π e quindi AG è il prolunga-mento di CA. Si può quindi dimostrare che i due triangoli BCF e BDA sonocongruenti per il primo criterio di congruenza dei triangoli. Inoltre per la pro-posizione 41 (Se un parallelogramma ed un triangolo hanno la stessa base esono compresi tra le stesse rette parallele, allora il parallelogramma è doppiodel triangolo) si ha che DBML

    .= 2(DBA) e che ABFG

    .= 2(CBF ). Da cui

    DBML.= ABFG. In modo simile si può dimostrare che ECML

    .= ACKH.

    Segue quindi che DBCE.= ABFG+ ACKH.

    Si nota che Euclide se vuole mostrare che due figure hanno la stessa area, puòfarlo solamente mostrando che la prima figura può essere divisa in parti taliche, se composte insieme in un determinato modo, esse producono la secondafigura. Egli infatti non indica né le lunghezze dei segmenti rettilinei, né learee delle figure con dei numeri. A Euclide va attribuito il merito di averfatto seguire immediatamente al teorema di Pitagora una dimostrazione delsuo inverso: “Se in un triangolo il quadrato costruito su uno dei lati è ugualealla somma dei quadrati costruiti sugli altri due lati, l’angolo compreso tra

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  • questi due lati è un angolo retto”. Dopo Euclide, il teorema di Pitagoraha ricevuto molte diverse dimostrazioni, come ad esempio da Leonardo daVinci, dal matematico indiano Bhâskara e dal matematico inglese Wallis, perquesto teorema sono state classificate dallo scienziato americano Elisha ScottLoomis 371 differenti dimostrazioni, che sono state pubblicate nel 1927 nelsuo libro The Pythagorean Proposition.

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  • Bibliografia

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    [6] Giorgio Tomaso Bagni, Storia della matematica.

    [7] William Dunham, Viaggio attraverso il genio.

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