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communion and communication communion et communication kommunion und kommunikation comunión y comunicación comunione e comunicazione QUADERNI DELL’UFFICIO “PRO MONIALIBUS” Roma, Curia generale OFM NUMERO 49/gennaio 2016

Roma, Curia generale OFM

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QUADERNI DELL’UFFICIO “PRO MONIALIBUS” Roma, Curia generale OFM

NUMERO 49/gennaio 2016

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cTc comunione e comunicazione Quaderni dell'Ufficio "Pro-Monialibus" Bollettino di collegamento fra i monasteri francescani in comunione con l'OFM attraverso l'Ufficio "Pro-Monialibus" Sede dell'Ufficio “Pro-Monialibus”

Curia Generale OFM, Via Santa Maria Mediatrice, 25 - 00165 ROMA tel: (39) (06) 684919 fax: (39) (06) 68491294 e-mail: [email protected]

Sede della Segreteria di Redazione:

Monastero Santa Chiara Via San Niccolò, 5 - 52044 CORTONA (AR) - Italia tel: (39) (0575) 630360 / 630388 fax: (39) (0575) 631703 e-mail: [email protected]

REDAZIONE

fr. Fernando Mendoza Laguna, ofm Ufficio Pro-Monialibus, Roma

Monastero Santa Chiara, Cortona

Hanno collaborato:

Austria: Monastero Maria Enzersdorf Filippine: Federazione Madre Jeronima Francia: Monastero Cormontreuil Monastero Nantes Monastero Nice Monastero Poligny Monastero Rameau de Sion Germania: Monastero Münster Gran Bretagna: Monastero Arundel Monastero Hollington Irlanda: Monastero Galway Italia: Monastero Assisi (S. Colette) Monastero Bienno Monastero Carpi

Monastero Cortona Monastero Fanano Monastero Lecce Monastero S. Agata Feltria Monastero S. Severino Marche Libano: Monastero Yarzé Spagna: Monastero Cantalapiedra

Monastero Vélez-Málaga Svizzera: Monastero Cademario Usa: Monastero Belleville, IL Monastero Langhorne, PA Monastero Minneapolis, MN Altri: Curia Generale OFM - Roma, Italia fr. B. Baisas, ofm - Filippine fr. Bruno, ofm - Cincinnati

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1. Officium Pro-Monialibus

1.1 Carissime sorelle: pace e bene

Fr. Fernando Mendoza Laguna, ofm

2. Articoli 2.1 Vita di una cristiana: la corsa lieve della fedeltà.

Chiara d’Assisi e il suo cammino spirituale

Sr. Chiara Amata Tognali, osc - Bienno, Italia

2.2 Il Signore ci collocò come forma, in esempio e spec-chio… Da San Damiano alle Alpi - Clarisse in Austria

Sr. Helmtrude Klara Aschauer, osc Maria Enzersdorf, Austria

2.3 Dalla lettera della Presidente della Federazione Madre Jerónima

Sr. Marrietta S. Vega, osc - Filippine 2.4 Viscere di misericordia

Sr. María Ángel Prada, osc - Cantalapiedra, Spagna

3. Notizie...

3.1 Irlanda e Scozia, Federazione delle Clarisse Colettine “Santa Maria degli Angeli”

3.2 Francia, Poligny

3.3 Francia, Poligny

3.4 Filippine, Basilan 3.5 Gran Bretagna, Federazione delle Clarisse

3.6 Novena di S. Chiara 2015

- Francia, Nantes

- Filippine, Federazione Madre Jeronima

- Austria, Maria Enzersdorf

- USA, Belleville, IL

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1.1 Carissime sorelle: pace e bene

Carissime sorelle: pace e bene.

Si sta avvicinando il meraviglioso tempo di Natale, un tempo uguale a tutti gli altri, e al tempo stesso differente per più di un motivo. Così a prima vista si nota subito che la vita scorre in ma-niera diversa. I giorni non sono uguali e i gesti familiari e perso-nali non sono gli stessi. C’è qualcosa in più che genera un am-biente festoso e allegro. Noi cristiani crediamo che il Natale sia il motivo profondo che porta a vedere la vita in maniera diversa. Bisogna dirlo esplicitamente: il Natale è la nascita di nostro Si-gnore Gesù Cristo, è l’incarnazione di Dio. Il Natale non è solo questione di tempo, ovvero di durata. Il Natale è anche lo spazio nel quale celebriamo il mistero del Dio che si è fatto carne, che ha preso la nostra carne per vivere in mezzo a noi. L’origine dell’in-carnazione sicuramente è nella Trinità: Dio trino e uno volle che una delle persone della Ss. Trinità, il Verbo di Dio, venisse nel mondo per aiutarci a giungere fino a Dio stesso.

“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Così lo esprime s. Giovanni e così lo viviamo noi cristiani. Un cristiano si riempie di commozione alla grande notizia di un Dio che ha preso la nostra carne per renderci partecipi della vita di Dio. Lui prende la nostra carne e ci partecipa il suo essere divi-no. Lui è Dio e si è fatto carne affinché noi uomini possiamo di-ventare Dio.

Il motivo di questa lettera è la presentazione del prossimo nu-mero della rivista cTc, grazie alla collaborazione delle sorelle che continuano a inviare materiale con generosità ed entusiasmo per rendere fruibile questo mezzo di comunicazione. Il nuovo numero è quasi pronto. E nel mostrarvi la prossima pubblicazione della rivista voglio fare riferimento a un elemento essenziale del nostro carisma: la fraternità. I nostri padri Francesco e Chiara intuirono molto bene ed espressero ancora meglio questo punto fondamen-

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tale del cristianesimo, vero per tutti, ma dato in modo speciale ai nostri fondatori. Ispirato dalla parole di Cristo a san Damiano, “Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e re-staurala per me” (Leg3Comp 5,13), il poverello poco a poco scoprì il significato più profondo di quelle parole; si rese conto che la Chiesa era divisa, che alcuni fratelli non potevano vivere all’inter-no della comunità, che c’era una grande diseguaglianza. France-sco e Chiara perciò agirono di conseguenza a seconda di quello che constatavano coi loro occhi: Francesco andò a vivere con gli emarginati e Chiara si spogliò delle comodità della sua nobile condizione e si fece povera “per amore di quel Dio, che povero fu po-sto nella mangiatoia, povero visse nel mondo e nudo rimase sul patibo-lo” (TestsC 45). A partire dalla sua esperienza Francesco insegnò continuamente ai suoi frati che siamo tutti fratelli per il fatto di essere figli dello stesso Padre. Allo stesso tempo Chiara insegnò alle sue sorelle lo stile di trattarsi fra di loro proprio così, come sorelle.

Seguendo questo esempio le Costituzioni OFM dichiarano fin dall’inizio che “L’Ordine dei Frati Minori, fondato da san Francesco d’Assisi, è una Fraternità” (CCGG OFM Art. 1, § 1). Allo stesso modo le Costituzioni delle figlie di Chiara affermano che “La no-stra famiglia, che a ragione viene chiamata ‘Ordine di santa Chiara’, o anche ‘Ordine delle Sorelle Povere’, costituisce il Secondo Ordine fran-cescano” (CCGG Art. 1). Francesco e Chiara vissero la convinzio-ne di essere figli di Dio. E se tutti siamo figli allora tutti siamo fratelli. Credo, però, che abbiamo dimenticato abbastanza la no-stra identità. Siamo più interessati ad altro. In molti fratelli e so-relle questo elemento che definisce la nostra identità, essere fra-telli e sorelle, è passato in secondo piano. Non sarà forse questa la causa di molti malesseri nelle nostre fraternità? Al contrario, vi-vendo ed esprimendo questo principio essenziale del nostro cari-sma, possiamo aspirare a un mondo migliore, a una Chiesa mi-gliore, ad autentiche comunità dove si vive insieme e si condivi-dono vita e doni.

In conclusione, la realtà del mondo ci chiede di vivere ed esprimere la nostra identità. Siamo chiamati a vivere con passione

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la nostra figliolanza divina e così anche il nostro essere fratelli: saperci e sentirci figli di Dio per desiderare di vivere da fratelli.

Carissime sorelle, il Padre buono che ci ha mandato suo Figlio, Gesù Cristo che si è incarnato e lo Spirito che ci abita, ci conceda-no il dono della fraternità e la grazia di essere fratelli e sorelle. Vi auguro un buon Natale e un 2016 colmo di benedizioni.

fr. Fernando Mendoza Laguna, ofm Delegato generale Pro-Monialibus

Roma, Avvento 2015

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2.1 Vita di una cristiana: la corsa lieve della fedeltà Chiara d’Assisi e il suo cammino spirituale Sr. Chiara Amata Tognali, osc - Bienno, Italia

Vorrei narrare, per quanto è possibile, qualcosa della vita interiore della madre S. Chiara, qualcosa del suo percorso spirituale. Forse è un tentativo azzardato, dato i pochi ele-menti che abbiamo. Questo tentativo di delineare uno svi-luppo di pensiero e di esperienza spirituale nella vita di Chia-ra vuole dare espressione al desiderio di una clarissa di oggi di ritrovare in lei non solo una madre venerata, ma anche una sorella in cammino.

La prima volta che nella storia possiamo sentire la viva vo-ce di Chiara siamo già nel 1234-35, quando scrive la prima delle lettere che possediamo. Non è datata, ma il suo conte-nuto ci fa capire che fu scritta dopo la pentecoste del 1234, giorno in cui Agnese di Praga entrava solennemente nel mo-nastero da lei fondato a Praga. Chiara ha avuto notizia di tutto questo, può anche darsi che Agnese stessa avesse già cercato dei contatti con san Damiano. Chiara, piena di gioia per il passo compiuto da Agnese, che l’aveva da lun-go tempo desiderato, le scrive1. La lettera prima si apre so-lennemente con la presentazione delle due corrispondenti.

Alla venerabile e santissima vergine signora Agnese, figlia dell’eccellentissimo e illustrissimo re di Boemia, Chiara, in-degna serva di Gesù Cristo e ancella inutile delle signore rinchiuse del monastero di San Damiano di Assisi, sua sud-dita in tutto e ancella, si raccomanda in ogni modo con riverenza speciale e augura di ottenere la gloria della feli-cità eterna.

2. Articoli

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In apertura troviamo Agnese, nella sua dignità socialmen-te elevatissima (è signora, figlia di re) ed evangelicamente significativa (è vergine santissima e venerabile). E di fronte a lei Chiara, che si presenta in modo quasi antitetico con titoli umilissimi ed esclusivamente di carattere evangelico: inde-gna serva di Gesù Cristo, ancella inutile, suddita.

A pensarci bene non era affatto scontato che Chiara ri-nunciasse così totalmente a presentare un minimo delle pro-prie credenziali sociali, in una società in cui erano tanto im-portanti; in fondo anche lei non proveniva dai servi della gleba, ma da una famiglia aristocratica, aristocrazia di pro-vincia, ma pur tuttavia caratterizzata da un certa distinzio-ne. Tali titoli sono pura vanità, lo sappiamo, ma in genere siamo tentati di dare loro un certo peso. Qui le uniche cre-denziali presentate sono quelle, davvero consistenti e non vane, del servizio a Dio e alle sorelle. Già questo fatto ci di-ce molto su quanto il vangelo avesse messo radici nell’ani-mo di Chiara, che all’epoca doveva avere circa 40 anni.

Veniamo al motivo della lettera. Chiara dichiara tutta la gioia che ha in cuore per la buona fama di cui la principes-sa lontana gode presso il popolo cristiano e spiega:

Il motivo è questo: mentre avreste potuto più di chiunque altro godere dei fasti, degli onori e del prestigio del mon-do, potendo con gloria meravigliosa andare legittima-mente in sposa all’illustre imperatore, come sarebbe stato conveniente alla vostra e sua eccelsa condizione, riget-tando tutto ciò, avete scelto piuttosto, con tutto l’animo e l’affetto del cuore, la santissima povertà e la penuria cor-porale, prendendo uno sposo di stirpe più nobile, il Signore Gesù Cristo, che custodirà la vostra verginità sempre im-macolata e intatta.

Chiara insiste sul grande salto compiuto da Agnese la quale ha rinunciato ai fasti e agli onori del mondo per sce-gliere la povertà e la penuria, ha rinunciato alle nozze con l’imperatore per abbracciare la verginità consacrata al Si-

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gnore Gesù Cristo. Nel momento stesso che canta le gesta di Agnese, così emblematiche per la sua eccelsa condizio-ne sociale d’origine, Chiara tratteggia anche la propria sto-ria. Il salto compiuto da Agnese l’ha compiuto anche lei. Nella sua piccola città di provincia avrebbe potuto godere dei fasti e del prestigio del mondo, quantomeno del mondo che la circondava, e invece aveva scelto di vivere povera e sappiamo che per anni fu povertà vera e dura la sua, pe-nuria corporale. Anche lei avrebbe potuto avere uno sposo di nobile condizione che le avrebbe assicurato una posizio-ne onorata e prestigiosa, ma aveva tagliato i ponti con quel mondo, affidando la sua vita ad uno sposo di stirpe ancor più nobile.

È abbastanza vero che gli inizi di una storia racchiudono il suo senso, perciò possiamo pensare che qui, facendo echeggiare nell’avventura della sorella lontana la propria avventura, Chiara ci dica quale senso essa abbia per lei e quale senso voglia proporre ad Agnese.

Si sente ancora vibrare nelle sue parole di rallegramento, l’emozione di quella sua decisione giovanile così coraggio-sa, addirittura un po’ avventata2. Quando Chiara lasciò di nascosto la sua casa e distribuì la sua dote ai poveri, il suo era un vero buttarsi via, socialmente parlando, un gesto molto arrischiato, un vero passaggio da una condizione so-ciale alta ad un genere di condizione vile, come la chiama la vita del Celano. Certo un gesto che fece scalpore, susci-tando la vergogna e l’ira dei parenti e i gossip del paese. La sua fuga da casa rimane ancora oggi nella memoria dei fedeli, più che non la sua cosiddetta scacciata dei Sarace-ni.

Dal testamento e dalla regola apprendiamo che furono Francesco, il suo esempio e la sua intuizione, a metterle in cuore il desiderio di seguire Gesù in povertà, mentre nelle lettere questo non viene evidenziato e Francesco è nomina-to una sola volta.

Nel testamento l’atmosfera spirituale è molto diversa e la

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motivazione che Chiara dà dell’inizio del proprio cammino è quello del poenitatiam facere, come Francesco. Il testamen-to però è scritto verso la fine della vita e nel ricordo gli avve-nimenti si sono essenzializzati. Inoltre Chiara lo scrive pensan-do che forse sarà la sua ultima chance per sottolineare quel-lo che davvero le sta a cuore ed è messo in discussione. Il tema della verginità e dello sposalizio con Cristo non sono mai stati messi in discussione e dunque non ne parla.

Nelle lettere invece, dove appare tutta la ricchezza del vissuto spirituale di Chiara, al centro c’è lo sposo Gesù Cri-sto. Chiara inizia proprio da innamorata. Povertà e sposo si fondono nel suo immaginario, perché la povertà è stata scelta in modo privilegiato da lui.

O pia povertà, che il Signore Gesù Cristo, in cui potere era-no e sono il cielo e la terra, il quale disse e tutto fu creato, si degnò più di ogni altro di abbracciare!

Innamorarsi del Signore Gesù e cercare e amare la pover-tà è per Chiara tutt’uno. Questa prima lettera programmati-ca canta in tutti i modi il “salto” che egli ha fatto: tanto gran-de e tale Signore quando venne nel grembo verginale volle apparire nel mondo disprezzato, bisognoso e povero per arricchire noi. A questa luce legge la vita di Agnese e la sua:

avendo voi preferito il disprezzo del mondo agli onori, la povertà alle ricchezze temporali e nascondere i tesori in cielo più che in terra, ... abbondantissima è la vostra ri-compensa nei cieli con ciò a ragione avete meritato di essere chiamata sorella, sposa e madre del Figlio dell’altis-simo Padre e della gloriosa Vergine.

Lui da ricco si è fatto povero, è sceso verso gli uomini che erano poverissimi e bisognosi e soffrivano l’eccessiva man-canza di nutrimento celeste.

Lei e Agnese, fatte le debite proporzioni, da ricche si sono fatte povere per amore suo, per averlo come sposo. La po-vertà di lui suggerisce e ispira di vivere in povertà. Il crocifisso

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povero, amato con ardente desiderio, spinge a vivere po-vere. Stando alle lettere o anche a tutti gli scritti di Chiara, la povertà è sempre vista in riferimento a Cristo, non ha riso-nanze ascetiche.

Tuttavia in tutto questo discorso di Chiara manca comple-tamente il confronto concreto con i poveri, che è invece presente nei racconti della sua giovinezza contenuti nella biografia scritta dal Celano e nelle testimonianze al proces-so. In tali narrazioni apprendiamo che la giovane Chiara vedeva i poveri e, avendone compassione, si privava talvol-ta del cibo per mandarlo a loro. Inoltre diverse testimoni no-tano che vendette la sua eredità per darla alli poveri (fra queste anche la sorella Beatrice, aggiungendo che vendet-te anche una parte della sua), rifiutando anche l’offerta ge-nerosa dei suoi parenti. Al di fuori di queste testimonianze di gioventù non emerge mai in Chiara un rimando ai poveri in senso sociologico. Naturalmente non vuol dire che questo non abbia continuato ad esserci nel corso della sua vita a san Damiano, solo che non è testimoniato. In base ai dati che abbiamo possiamo ipotizzare un certo mutamento di prospettiva nell’atteggiamento di Chiara: dai poveri alla povertà. O, più precisamente: dai poveri a Cristo povero. E Cristo povero rimarrà sempre al centro della sua esperienza spirituale.

La centralità della relazione con Cristo povero fa quindi sì che i temi della povertà e della sponsalità siano strettamen-te congiunti. Ma non dimentichiamo che Chiara sta scriven-do per trasmettere alla principessa simpatizzante quello che propone di vivere, le sta spiegando il carisma, diremmo noi oggi. Vuole farle sapere con chiarezza quello che lei e le sorelle hanno scelto di vivere e dargliene le motivazioni spiri-tuali. Il fuoco in Agnese è già acceso, si tratta di confermar-lo e di orientarlo. Tutto questo in un clima di gioia genuina per la scelta di Agnese e di entusiasmo nella sequela del Signore Gesù Cristo.

In tale contesto, pur seguendo tutti i canoni di un’epistola

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per persone importanti, pur citando con grande abbondan-za frasi altrui, non solo bibbia e liturgia, Chiara lascia trapela-re il suo vissuto. La sua passione per il Signore. La povertà da lei cantata ci appare quasi come fosse la sua dote nuziale. Al posto di quelle ricchezze che lei e Agnese hanno abban-donato e che sarebbero state la loro dote sposando un uo-mo, sia pure illustre, le due donne portano in dote la pover-tà e la decantano in tante diverse modulazioni. Beata, san-ta, pia, è già stata scelta da lui, quindi è la dote ideale per essere a lui unite.

Avendo voi preferito il disprezzo del mondo agli onori, la povertà alle ricchezze temporali e nascondere i tesori in cielo più che in terra, … a ragione avete meritato di essere chiamata sorella, sposa e madre del Figlio dell’altissimo Padre e della gloriosa Vergine.

Ricche di tale dote Chiara e Agnese hanno fiducia che non soccomberanno in nulla all’avversario nella lotta e po-tranno entrare per la via stretta e la porta angusta nel regno dei cieli. Ora si presentano sulla scena come quelle che hanno fatto un affare (linguaggio affaristico che Chiara non avrebbe usato), l’affare della loro vita. Grande davvero e lodevole scambio: lasciare i beni temporali per quelli eterni: uno scambio accorto e ingegnoso.

Siamo nel 1234. Chiara esprime tutto il suo entusiasmo e il genuino amore sponsale per Cristo perché è piena di spe-ranza. Spera che potrà vivere quello che ha intuito di dover vivere, spera che questo possa prendere anche una forma istituzionale, spera che questo sarà possibile anche per Agnese. Eppure di delusioni ne ha già sperimentate parec-chie. Lei e le sue sorelle hanno già dovuto lottare per salva-guardare in qualche modo la loro intuizione di vita, quello stretto mistico legame fra amore per il Signore Gesù Cristo e amore per la povertà.

Quando Chiara scrive questa lettera ha già vissuto incontri e scontri con colui che tanta importanza ha avuto anche

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nella storia dei frati, il card. Ugolino, poi Gregorio IX. Sappia-mo che era in relazioni molto amichevoli con Chiara e le sorelle: c’è una lettera del 1220 in cui egli scrive a Chiara ricordando con dolcezza e nostalgia una pasqua vissuta a san Damiano e da questa traspaiono stima, affetto, affinità spirituale con le sorelle. Egli continuò a dimostrare stima e affetto, ma quanto all’affinità spirituale si riscontrarono pre-sto delle discrepanze. Chiara ebbe da lui alcune grandi e importanti delusioni. Data la bella relazione con la fraternità aveva certamente pensato di poter contare su di lui per una adeguata approvazione giuridica dell’esperienza di san Damiano. Di fatto le indicazioni che Ugolino aveva origi-nariamente avuto dal papa Onorio III imponevano di rispet-tare il desiderio di povertà che emergeva da molti gruppi di donne religiose. Nel corso del tempo però la sua esperienza lo portò in un’altra direzione. Nella mente di Ugolino, ormai Gregorio IX, san Damiano andava configurandosi come un esempio d’eccellenza da proporre alle donne che cerca-vano di vivere una vita religiosa al di fuori dei monasteri tra-dizionali. Ma l’eccellenza che aveva in mente lui riguardava l’austerità, soprattutto digiuno e silenzio, la verginità e la clausura, non la povertà. Chiara si trovò quindi per anni in una scomoda situazione: rimanere in comunione e amicizia con Ugolino-Gregorio IX, ma tenere le proprie inderogabili posizioni. Lo scontro decisivo si ebbe nel 1228 quando egli fece visita a san Damiano e tentò per un’ultima volta di pro-porre quello che a lui sembrava importante.

Il signor papa Gregorio di felice memoria, uomo tanto de-gno del suo ministero quanto venerabile per meriti, amava grandemente con paterno affetto questa santa. Ma quan-do egli volle convincerla ad acconsentire ad avere, a causa dell’incertezza dei tempi e i pericoli del mondo, dei possedimenti, che lui stesso le offriva generosamente, quel-la con animo fermissimo si rifiutò e in nessun modo accettò. Al che il pontefice rispose: «Se è per il voto che temi, noi ti

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sciogliamo dal voto»; e quella disse: «Santo padre, per nul-la mai desidero essere sciolta dalla sequela di Cristo».

Un evento come questo non può essere passato come acqua fresca nella vita di Chiara: il dolore di non sentirsi compresa da una persona con cui esisteva una relazione affettiva, il fatto che questa persona fosse il papa e dunque un’autorità da non poter ignorare, il fatto che quanto Gre-gorio proponeva non fosse per nulla irragionevole. Tutto questo ha senza dubbio messo Chiara in una situazione di crisi. Crisi nel senso che si trovò a dover giudicare e decide-re sul crinale di molti elementi anche emotivamente signifi-cativi. La decisione netta che prese fu decisiva per la sorte di san Damiano e Gregorio IX concesse il Privilegio della po-vertà, ma fu decisiva, io credo, anche per lei. La sua presa di posizione così chiara la allontanava spiritualmente e af-fettivamente da una persona che per tanto tempo era sta-ta importante per lei, per le sorelle e per i frati, la metteva in una posizione tutto sommato solitaria, perché credo che se avesse in quel momento deciso diversamente le sorelle l’a-vrebbero seguita. Dal testamento sappiamo che anche all’interno della sororità di san Damiano si era sperimentata la debolezza su questo punto, la tentazione di recedere da una radicalità che talvolta deve essere sembrata cocciu-taggine.

La decisione era pesata sostanzialmente su Chiara, che al momento dell’ incontro/scontro con Gregorio era giovane, aveva poco più di trent’anni e aveva davvero giocato il tutto e per tutto: Gregorio avrebbe anche potuto irritarsi, imporsi in nome dell’obbedienza, svergognarla come arro-gante. Non lo fece e questo dimostra anche il suo valore e la stima profonda che aveva per Chiara. Il momento vissuto rese peraltro Chiara più consapevole di sé e più ferma in quello che emergeva come il fulcro del “carisma” ricevuto da Francesco.

Da questo momento Chiara sente il peso e la responsabili-

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tà di portare l’eredità di Francesco, ma sente anche la gioia di farlo e la fiducia nell’ascolto della chiesa istituzionale.

Questa fiducia è quella che risplende nella prima lettera ad Agnese, nella quale il libero effondersi del suo canto alla povertà vuole sostenere e convincere Agnese, non il papa. Vuole motivare la sorella lontana: ho ritenuto di supplicare l’eccellenza e santità vostra, per quanto posso, con umili preghiere nelle viscere di Cristo, perché vogliate rafforzarvi nel suo santo servizio. In effetti dalla documentazione non risulta che all’inizio Agnese avesse chiaro questo elemento della povertà, tant’è che il suo monastero era dotato di pos-sedimenti. Con certezza sappiamo che ancora nel maggio del 1235 il monastero di Praga chiedeva e otteneva dal pa-pa l’ospedale san Francesco con tutti i suoi proventi. I con-tatti con Chiara tuttavia la spinsero ad abbracciare con de-cisione il Cristo povero e a fare passi importanti per modella-re la vita sua e della sua comunità su quella di san Damiano.

La storia qui è tracciata dalle lettere del papa ad Agnese, che abbiamo con datazione precisa. Non abbiamo invece la datazione precisa della seconda lettera di Chiara, che si inserisce nel carteggio Agnese/Gregorio, ma non possiamo sapere con certezza in quale momento si collochi. Sicura-mente quando ancora la lotta era aperta e c’erano ancora le carte in tavola.

Nella lettera si percepisce una tensione accentuata. Pur esprimendosi sempre in tono elevato e spirituale, si sente che in Chiara c’è una urgenza, una preoccupazione che ai tempi della prima lettera non emergeva. L’ipotesi più affer-mata data questa lettera fra il 1235 e il 1237 quando è vivo il problema dell’ospedale le cui rendite sono assegnate al monastero di Praga. Agnese vuole liberarsene, ma ci sono delle complicazioni e Chiara interviene con tutto il peso del-la sua autorevolezza. Dal voi siamo passate al più familiare tu e i saluti iniziali sono stati ridotti al minimo per entrare subi-to nel vivo della questione:

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Alla figlia del Re dei re, ancella del Signore dei signori de-gnissima sposa di Gesù Cristo e perciò regina nobilissima, signora Agnese, Chiara, ancella inutile e indegna delle signore povere, invia il suo saluto e l’augurio di vivere sem-pre in somma povertà.

Questo è il punto: vivere in somma povertà. Chiara ha tan-to sperato che la principessa boema potesse vivere appie-no quello che anche lei ha sempre sognato di poter vivere, e quindi rinnova la sua pressione insistendo sulle motivazioni spirituali:

… una sola è la cosa necessaria, di questa sola ti scongiu-ro per amore di colui a cui ti sei offerta come vittima santa e gradita: memore del tuo proposito, come una seconda Rachele sempre vedendo il tuo principio, ciò che hai otte-nuto, tienilo stretto, ciò che stai facendo, fallo e non la-sciarlo, ma con corsa veloce, passo leggero, senza in-ciampi ai piedi, così che i tuoi passi nemmeno raccolgano la polvere, sicura, nel gaudio e alacre avanza cautamen-te sul sentiero della beatitudine, a nessuno credendo, a nessuno acconsentendo che volesse richiamarti indietro da questo proposito, che ti ponesse un ostacolo sulla via, per impedirti di rendere all’Altissimo i tuoi voti in quella per-fezione alla quale ti chiamò lo Spirito del Signore.

In questo non acconsentire a nessuno che volesse richia-marti indietro dal tuo proposito è evidente l’eco della pro-pria lotta, del proprio non aver acconsentito ed è difficile non pensare che questo nessuno sia proprio Gregorio IX. L’impressione che si parli di lui è confermata poco più avan-ti, quando, dopo aver raccomandato di seguire i consigli di frate Elia, ministro generale, Chiara aggiunge:

E se qualcun altro ti dicesse o altro ti suggerisse che sia di impedimento alla tua perfezione, che sembri contrario alla vocazione divina, pur dovendolo rispettare, non seguire il suo consiglio.

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Piuttosto pesante questa espressione. Potremmo pensare che anche umanamente i rapporti fra Chiara e Gregorio IX si siano proprio deteriorati, anche perché in un lettera di quel periodo di Gregorio IX ad Agnese troviamo l’esortazio-ne a non ascoltare qualunque cosa venga suggerita da qualcuno, forse zelante, ma non fornito di scienza, e questo qualcuno potrebbe essere Chiara stessa (o in alternativa frate Elia). Preferiamo però pensare che semplicemente Chiara si senta di fare presso Agnese quella parte che fece Francesco nei confronti suoi e delle sue sorelle, quando dis-se: e prego voi, mie signore, e vi consiglio che viviate sem-pre in questa santissima vita e povertà.

Chiara vede che molte cose non stanno andando come lei e Francesco avevano sognato. Francesco è morto, le pressioni per un livellamento della forma di vita da lui propo-sta sugli standard che ha in mente Gregorio, sono forti. Nel momento stesso in cui Chiara cerca di fare valere la propria autorevolezza di custode del carisma, sembra che una cer-ta angoscia faccia presa su di lei. Sente crescere nella chie-sa e nell’ordine la resistenza all’ideale originario, sente un po’ anche l’emarginazione e nello stesso tempo percepisce il tentativo di Gregorio IX di usare la sua fama e autorevolez-za per portare avanti i propri piani di normalizzazione del mondo religioso femminile. Alla fine della seconda lettera parlando ad Agnese dice anche a se stessa:

Abbraccia, vergine povera, Cristo povero. Vedi che egli si è fatto per te spregevole e seguilo, fatta per lui spregevole in questo mondo. Guarda, o regina nobilissima, il tuo spo-so, il più bello tra i figli degli uomini, divenuto per la tua sal-vezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso e in tut-to il corpo più volte flagellato, morente tra le angosce stesse della croce: guardalo, consideralo, contemplalo, desiderando di imitarlo.

Questo passo è ben lontano dal canto gioioso della prima lettera. Vi compaiono dei temi nuovi: Cristo è sì il povero, ma

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la sua povertà ora non ha nulla di bello e di nobile, come poteva apparire nel travolgente entusiasmo della prima let-tera. Il Signore è contemplato nel punto più basso del suo abbassamento: fatto spregevole, vile, disprezzato, percosso, morente.

Qualcosa di quello che qui è descritto, Chiara e le sorelle lo avevano assaggiato, come racconta Chiara nel suo te-stamento. Rievocando gli inizi del cammino ricorda che Francesco stesso aveva constatato

che, pur essendo deboli e fragili nel corpo, non ricusava-mo nessuna indigenza, povertà, fatica, tribolazione, o ignominia e disprezzo del mondo.

Quelle condizioni che lei ora contempla nella vita del Si-gnore Gesù Cristo.

Certo, questo modo di considerare la redenzione era pro-prio di una spiritualità che stava nascendo allora e dalla quale Chiara è sicuramente influenzata. Ma perché tirare fuori proprio qui tali considerazioni, perché insistere qui sul fatto che Cristo s’era fatto spregevole e vile, se non perché sente che in qualche modo questa passione la sta vivendo anche lei? Perché si aggrappa alla contemplazione di un Cristo la cui povertà appare ormai derelizione e avvilimen-to? Nel momento in cui sembra offuscarsi la speranza di tra-sformare in realtà l’intuizione evangelica degli inizi, non resta che unirsi a Gesù nella sua umiliazione massima:

Se con lui patirai, con lui regnerai, soffrendo con lui, con lui godrai, morendo con lui sulla croce della tribolazione, pos-sederai con lui le eteree dimore negli splendori dei santi

scrive ancora ad Agnese. La differenza fra le tribolazioni e ignominie vissute all’inizio e quelle vissute ora, sta nel fatto che allora c’era Francesco, che allora erano giovani e pie-ne di fiducia, che allora avevano tutto il futuro davanti. Ora però da quegli inizi sono passati più di vent’anni. Chiara e le sorelle sono rimaste fedeli al loro ideale, la fama della loro

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santità si è sparsa, ma questo non è bastato. Intorno a loro il cerchio si chiude. Forse a lei, Chiara, e alle sorelle al mo-mento presenti in san Damiano sarà concesso di vivere co-me hanno desiderato e promesso, ma nulla garantisce che sarà concesso a quelle che verranno dopo di loro. E quale spazio sarà concesso ad altre comunità che vorranno vivere il vangelo sull’esempio e le parole di Francesco? Per Chiara, la prima, l’apripista di questo sogno, la guida incontrastata, l’orizzonte si oscura, il dubbio di aver indotto le sorelle in un’avventura senza esito la prende e cerca conforto nella passione del Signore e nella speranza escatologica. Non rinuncia comunque a lottare e questa lettera ne è la dimo-strazione.

Tutto è però ancora in gioco. Nella lettera Chiara preme-va perché Agnese comprendesse appieno il valore della santa, beata povertà e ottenesse dal papa di poterla vivere anche nella sua comunità. Sembra di poter dire che Agnese sia entrata solo gradualmente in questo desiderio di povertà assoluta. Possediamo infatti due lettere di Gregorio IX ad Agnese, una del 1234 e una del 1235, con le quali egli con-ferma loro che potranno godere i beni e le rendite dell’o-spedale san Francesco annesso al monastero. Nella lettera del 1235 è detto chiaramente che viene rilasciata dietro loro richiesta. Nell’aprile del 1238 lo stesso papa accede ad una ben diversa richiesta di Agnese e concede che lei e le sorelle possano rinunciare a tale ospedale con tutti i suoi diritti, rendite ecc. e concede loro il privilegio della povertà sul modello di quello concesso a san Damiano.

Chiara può dunque tirare un sospiro di sollievo: qualcosa si muove, la sorella lontana ha compreso fino in fondo cosa significhi abbracciare il Crocifisso povero e il papa ha con-cesso che anche a Praga potessero vivere povere.

Se è vero che il discorso povertà è la punta di diamante della specificità che Chiara e le sorelle vogliono vivere, non è però la sola. Hanno ricevuto da Francesco altre indicazio-ni, insegnamenti di vita, un modo di vivere il vangelo che

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non corrisponde a quello delle regole che vengono loro proposte e imposte. Nel 1238 infatti ad orientamento della loro vita il papa ha dato loro una formula vitae da lui com-posta e ad essa si devono attenere, fatta salva la povertà assoluta per custodire la quale hanno ottenuto il privilegio. Tale regola non risponde al loro spirito, non risponde a quan-to ha loro trasmesso Francesco. L’idea di Gregorio IX gira soprattutto intorno a quattro valori fondamentali (per lui):

la verginità e le nozze con Cristo. Questo è condiviso e ap-prezzato anche dalle sorelle.

La clausura, mai espressamente motivata, ma assoluta, secondo uno spirito che Chiara e le sorelle non sembrano pienamente condividere.

Il silenzio e il digiuno, anche questi valori condivisi dalle sorelle, ma secondo una gerarchia e una modalità molto lontane da quelle di Gregorio. L’attenzione di Chiara è per la relazione con il Signore Gesù e per la relazione fra le sorel-le. Clausura, digiuno e silenzio sono strettamente subordinati a promuovere tale cuore pulsante, non hanno una consi-stenza propria. Cosa che invece sembra segnare fortemen-te la proposta del papa.

In questo stesso anno 1238 Chiara scrive ad Agnese la sua terza lettera e il motivo questa volta lo sappiamo con preci-sione: deve rispondere ad un quesito di Agnese sul digiuno e difatti si occupa di questo nella seconda parte della lettera. Nella prima parte però si effonde in considerazioni spirituali che non sembrano motivate dalla lotta che stanno condu-cendo, non sembrano motivate da stimoli esterni. La lettera è bellissima, con accenti mistici davvero suggestivi e apre uno squarcio interessante sull’interiorità di Chiara.

Diamo subito un’occhiata alla seconda parte, scritta per rispondere ad Agnese che chiede le indicazioni di France-sco riguardo al digiuno. La cosa le interessa perché il papa sta cercando di imporre alle sorelle di Praga, con la sua re-gola, un tipo di digiuno che lei percepisce estraneo alle aspirazioni sue e allo spirito con cui è vissuto dalle sorelle di

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san Damiano, su suggerimento di Francesco. Chiara le dà le indicazioni, caratterizzate da grande austerità, ma non rigi-de come quelle che il papa voleva imporre ad Agnese. Il papa accolse ancora una volta le richieste di Agnese, ma fu l’ultima volta. Perché alla richiesta seguente, quando Agnese gli scrive per potersi adeguare alle usanze di san Damiano, lui finalmente si scoccia e le dice: adesso basta, fai come ti dico io, che ti do cibo solido, non latte per neo-nati, come è quello che ti propone qualcuno senza criterio (Chiara?).

Io capisco poco delle questioni sul digiuno e quindi non mi addentro in questo punto per non dire sciocchezze. Vorrei solo notare che a suo riguardo Chiara ha fatto un cammino laborioso. Alcune sorelle testimoniano al processo che il suo digiuno era esagerato, dissennato, tanto che le sorelle ne erano spaventate ed erano dovuti intervenire Francesco e il vescovo di Assisi per moderarlo un po’. Quindi almeno all’ini-zio Chiara manifestava una attitudine al digiuno inaccetta-bile, un suo uso non equilibrato. L’esperienza, la relazione sempre più vera con il Signore, l’intervento di Francesco, forse anche la malattia sopravvenuta, le hanno probabil-mente insegnato la moderazione, un uso del digiuno più ragionevole. Scrive quindi (siamo nel 1238):

Siccome però la nostra carne non è carne di bronzo, né la nostra forza è la forza della pietra anzi siamo fragili e inclini ad ogni debolezza corporale, ti prego vivamente nel Si-gnore, carissima, di ritrarti con saggia discrezione da quell’esagerato e impossibile rigore di astinenza, che ho saputo tu hai intrapreso, affinché vivendo con la tua vita dia lode al Signore.

L’esito che ci interessa è questo: vivendo con la tua vita dia lode al Signore. Le sorelle loderanno Dio con la propria vita. Oggi è questo quello che desideriamo, che sentiamo nostro: lodare il Signore con la nostra piccola vita. Oggi, che siamo così consapevoli di essere fragili e inclini ad ogni de-

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bolezza corporale, nonché psicologica e spirituale, questa è una parola che ci tocca profondamente. Molto più delle indicazioni sul digiuno. Curiosamente nella regola Chiara tornerà ad un maggior rigore riguardo al digiuno, scostan-dosi così dalle indicazioni di Francesco: ripensamento perso-nale o adattamento forzato per ottenere l’approvazione di altri punti che le stavano più a cuore?

Consideriamo ora il resto della lettera terza. Chiara parla con grande trasporto di Cristo, la cui bellezza

ammirano il sole e la luna, la cui bontà ricolma, il cui ricordo brilla dolce nella memoria. Sembra appagata nel suo desi-derio di essere sposa amata, sposa che con trasporto a sua volta ama: ama con tutta te stessa colui che tutto si è dona-to per amore tuo. Tutto questo l’abbiamo già incontrato nel-la lettera prima.

A questa dimensione sponsale se ne aggiunge qui un’al-tra: quella materna. Chiara pensa intensamente a Maria che porta in grembo Gesù.

Stringiti alla sua dolcissima Madre, che generò un figlio ta-le che i cieli non potevano contenere eppure lei lo raccol-se nel piccolo chiostro del suo sacro seno e lo portò nel suo grembo di ragazza.

Come dunque la gloriosa Vergine delle vergini lo portò materialmente, così anche tu, seguendo le sue orme, spe-cialmente quelle di umiltà e povertà, senza alcun dubbio lo puoi sempre portare spiritualmente nel tuo corpo casto e verginale, contenendo colui dal quale tu e tutte le cose sono contenute.

Questi passi della lettera ci inducono a ipotizzare che sia stata scritta in tempo di Avvento, il tempo nel quale con-templiamo Maria in attesa del grande evento. Chiara ave-va ben poche altre fonti di riflessione al di fuori della liturgia e questa risuonava con grande potenza nella vita sua e del-le sorelle e plasmava ogni loro pensiero. Identificarsi in qual-

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che modo con Maria in attesa, aiutava queste donne a rie-laborare la propria dimensione materna. Ma non si tratta semplicemente di un dato psicologico, peraltro molto im-portante. In realtà tale identificazione le abilitava a cogliere con declinazione femminile, il mistero della presenza di Dio nei credenti, il mistero dell’inabitazione, tanto importante, mi sembra, anche in Francesco.

Ad un certo punto si apre in Chiara uno squarcio bellissimo di contemplazione:

Ecco, è ormai chiaro che per la grazia di Dio la più degna tra le creature, l’anima dell’uomo fedele, è più grande del cielo, poiché i cieli con tutte le altre creature non possono contenere il Creatore, mentre la sola anima fedele è sua dimora e sede, e ciò soltanto grazie alla carità di cui gli empi sono privi, come afferma la Verità stessa: Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui.

Rispetto all’effervescenza della prima lettera intravediamo un’interiorizzazione, la relazione con Dio ha ormai imbevuto la vita di Chiara, fino a coinvolgere tutte le fibre del suo cuore.

In poche righe abbiamo 4 volte il verbo contenere, usato per indicare la relazione di Chiara, o del fedele, con Dio. Contenere, essere dimora, raccogliere o portare in sé: è un susseguirsi di locuzioni simili.

L’impressione è che tale contenere veicoli soprattutto uno sguardo sull’essere umano, le provochi un sussulto di ammi-razione per la grandezza che all’uomo è dischiusa, se vuole, se è fedele. Lei, che insieme alle sorelle sta sperimentando quanto gli uomini possano essere di corte vedute, lei che forse sta sperimentando anche in se stessa la fatica e il lato oscuro, si ferma a guardare l’uomo dal punto di vista di Dio. Guardandolo da qui non può che rallegrarsi ed esultare: l’anima dell’uomo fedele, è più grande del cielo è la più degna tra le creature. La percezione positiva che Chiara ha dell’uomo è testimoniata ampiamente nella regola e in mo-

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do davvero simpatico anche nel processo di canonizzazio-ne da Sora ANGELUCCIA:

Anche disse che, quando essa santissima madre manda-va le Sore servitrici de fora del monasterio, le ammoniva che, quando vedessero li arbori belli, fioriti e fronduti lau-dassero Iddio; e similmente quando vedessero li omini e le altre creature, sempre de tutte e in tutte (le) cose laudas-sero Iddio.

Di nuovo si parla di lodare, ed è una lode molto gratuita, decentrata, non per la propria vita, non concentrata su quello che il Signore fa in lei, ma attenta, conquistata, da quello che il Signore fa fuori di lei, indipendentemente da qualsiasi ricaduta sulla sua vita. Gli uomini, tutte le creature esistono e tanto basta per lodare il Creatore.

Anticipando la fine della vita di Chiara, ricordiamo qui le sue parole degli ultimi giorni, quando il suo sguardo ritorna su di sé per un ultimo congedo da questa vita: Benedetto sii tu, Signore, che mi hai creato! La sua vita è davvero divenu-ta lode, estasi dell’esistere, gioia della creazione redenta.

Nell’insieme luminoso di questa lettera troviamo però an-che qualcosa che non quadra del tutto, troviamo dei di-screti, fugaci accenni all’ombra che talvolta può abitare la nostra vita. Scrivendo ad Agnese le parla di astuzie dello scaltro nemico, la superbia che è rovina dell’umana natura e la vanità che infatua i cuori degli uomini.

Dice ancora:

Chi non avrebbe in orrore le insidie del nemico dell’uomo, che attraverso il fasto di beni momentanei e glorie fallaci tenta di ridurre a nulla ciò che è più grande del cielo?

Improvvisamente appaiono delle difficoltà, degli ostacoli a vivere la santa povertà che non sono esterni, non sono dovuti all’opposizione degli uomini, ma sono supposti pre-senti in Agnese e anche in Chiara. Ne parla infatti con la

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partecipazione di chi sa di cosa si tratta. Chiara oppone alle insidie una reazione di allarme totale,

parla di orrore, e questo svela che la tentazione è reale, ha una certa forza. E lei ricorre a considerazioni di sapore sa-pienziale, per non cadere nella trappola:

In ciò a volte si ingannano re e regine di questo mondo: anche se la loro superbia s’innalzasse fino al cielo e il loro capo toccasse le nubi, alla fine sono ridotti come sterco.

Per ben tre volte dunque all’interno di questa lettera si ac-cenna al fatto che nella corsa entusiastica dietro al Signore Gesù Cristo può esserci qualche momento di impasse, qual-che momento in cui si è tentati di fermarsi, in cui riappare come attraente tutto ciò che si è abbandonato. Improvvisa-mente ci affascina il fasto di beni momentanei e glorie falla-ci. Sappiamo che si tratta di vanità, quella vanità che infa-tua il cuore, come dice Chiara, ma ci sono momenti in cui tale vanità può annullare ai nostri occhi ciò che è più gran-de del cielo, può attirarci davvero. Apprendiamo che an-che Chiara, l’incorruttibile, ha percepito talvolta questa ten-tazione, è stata sensibile a questo abbaglio.

Il fatto che solo in questa lettera accenni al pericolo di es-sere ingannati dal nemico o semplicemente di naufragare nel nulla della vanità, ci induce a pensare che proprio nel periodo in cui scriveva la lettera questa tentazione fosse pre-sente nel suo stato d’animo. Tracce di fatica interiore nelle prime due lettere non c’erano assolutamente, così come non ci saranno nella quarta lettera. La terza lettera diventa in tal modo una testimonianza preziosa del cammino umano di Chiara. In ogni altro scritto suo, in ogni altra testimonianza su di lei, appare inossidabile, indomabile. Quasi sovrumana. Poter intravedere qualcosa che la rende un po’ più vicina a noi, ci fa bene, ci fa sentire accompagnati da una sorella che conosce la fragilità senza in essa soccombere.

Chiara fa leva più volte sulla rilevanza decisiva del santo proposito fatto, sul perseverare in ciò che si è promesso a

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Dio. Ritroviamo questo dato in tutto il suo percorso, dalla prima lettera al testamento. Cinque volte nel testamento Chiara raccomanda fedeltà a ciò che promettemmo al Si-gnore e al beato Francesco.

ovunque saranno dopo la mia morte, siano nondimeno tenute ad osservare la predetta forma di povertà, che promettemmo al Signore e al beatissimo padre nostro Francesco.

La benedizione, sempre unita al testamento nella tradizio-ne testuale, culmina così:

Siate sempre amanti di Dio, delle vostre anime e di tutte le vostre sorelle, e siate sempre sollecite di osservare quanto avete promesso al Signore.

Il tema della promessa è in varie modulazioni costante-mente, quasi ossessivamente ripetuto. Cosa significa? In pri-mo luogo che la fatica di essere fedeli alla povertà promes-sa (perché questo era il punto) era tanta e anche a san Da-miano si erano talvolta aperte delle crepe. Siamo ancora nel testamento:

considerando con le altre mie sorelle, la nostra altissima professione e il comandamento di un padre tanto grande, ed anche la fragilità delle altre, che temevamo in noi stes-se dopo la morte del santo padre nostro Francesco … più e più volte volontariamente ci obbligammo alla signora nostra, la santissima povertà.

Per Chiara il rimedio a tale fragilità è ribadire il proposito, la promessa, l’obbligo liberamente assunto. Il suo ragionamen-to è evangelico: alla base del suo promettere ci stanno le promesse di Dio, alle quali semplicemente si risponde. Il re-gno di Dio è promesso solo ai poveri, ergo Chiara promette di vivere povera. Dio si è dato tutto, ergo Chiara dà tutta se stessa, per sempre. Promettere è dare anche il proprio futu-ro, è rendere completo il dono di sé. Chiara vuole dare la

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sua vita oggi, domani e per sempre e quindi promette. Sen-te di poterlo fare, ne percepisce il valore e l’importanza. E ne sente anche l’obbligatorietà, ma questa non la spaven-ta affatto, anzi le dà una carica di entusiasmo.

memore del tuo proposito, … sempre vedendo il tuo prin-cipio, ciò ... con corsa veloce, passo leggero, senza in-ciampi ai piedi, così che i tuoi passi nemmeno raccolgano la polvere, sicura, nel gaudio e alacre avanza ..., a nessu-no acconsentendo che volesse richiamarti indietro da questo proposito, che ti ponesse un ostacolo sulla via, per impedirti di rendere all’Altissimo i tuoi voti in quella perfe-zione alla quale ti chiamò lo Spirito del Signore.

A noi invece, promesse e obblighi creano disagio, pesan-tezza, non entusiasmo, anche se ne riconosciamo la neces-sità. Riconosciamo che essere abilitati a promettere ci rende affidabili. La promessa, insieme al perdono3, è una delle due grandezze che reggono il mondo, che rendono possibile navigare nell’imprevedibilità del reale. Noi percepiamo for-temente la nostra fluidità, il fatto di non sapere oggi cosa sarò domani. E percepiamo drammaticamente che l’agire di ognuno di noi ha conseguenze imprevedibili nella vita degli altri. Il domani è inafferrabile, io sono inaffidabile. Co-me è possibile promettere?

La facoltà di promettere, dice Nietzsche, è una forma di memoria, è “la memoria del volere”4. Un volere ribadito di ciò che si è già voluto. Ora, la memoria ha grande impor-tanza nella bibbia, come anche la facoltà di promettere, che permette le alleanze. La rivelazione inizia con l’alleanza che Dio fa con Abramo. Alleanza certo fondata sull’affida-bile promessa di Dio. Abramo, Chiara, possono impegnarsi nell’alleanza contando sulla promessa di lui.

Questo affidare la nostra promessa alla promessa di Dio è possibile anche per noi, è un dato indubitabile della S. Scrit-tura. Però oserei dire che per noi è più difficile.

Chiara, credo l’uomo medievale in generale, ha una fidu-

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cia di fondo nell’ordine delle cose, nell’affidabilità del mon-do, che gira tutto intorno all’uomo. Il mondo va verso la tra-sformazione finale, ma non va a caso, tutto è percepito sal-damente in mano a Dio. La situazione psicologica era ben diversa dalla nostra, che sappiamo di fluttuare in un univer-so senza centro e dalla storia difficilmente tracciabile. Inoltre nella mentalità feudale e cavalleresca, che sicuramente ha influito su Chiara, la promessa, il vincolarsi a vita, erano valori importantissimi.

La cosa interessante per noi, che scrutiamo il percorso in-teriore di Chiara, è che proprio questa facoltà di promette-re, questa memoria del volere, rende possibile l’introduzione di elementi nuovi nella sua storia, rende possibile l’integrazio-ne di circostanze, atti, idee diversi, senza mandare in tilt il progetto di fondo. Negli anni della vita a san Damiano Chiara si troverà a dover accettare, una dopo l’altra, due diverse regole, proposte da due papi; a dover ascoltare pressioni, a gestire accadimenti drammatici (vedi l’assalto dei Saraceni), ad accogliere altre sorelle, a fare esperimenti di vita fraterna. Ha avuto momenti di fatica interiore, come abbiamo visto. Ma il suo fermo proposito è rimasto appunto fermo. Ha scelto di vivere il vangelo in povertà, in obbedien-za a Francesco e non è mai venuta meno. Però ciò che pre-senta alla fine della vita è diverso, è più elaborato, è più ge-niale, di quello che conosceva e proponeva all’inizio del cammino. La regola, nella quale si coagula tutto quello cui lei ha tenuto, unisce radicalità evangelica ed equilibrio evangelico. La fermezza nel proposito fatto ha reso possibile una evoluzione positiva, un approfondimento dei valori cui aveva aderito fin dall’inizio. La sua fedeltà a quanto pro-messo è divenuta una vita e una proposta di vita veramen-te innovativa (e purtroppo ben presto affondata. Di fatto la nostra generazione di clarisse è la prima che può confron-tarsi davvero con qualche chance di successo con la rego-la di S. Chiara).

Abbiamo a questo punto, dopo la lettera terza, circa 15

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anni di silenzio, black out sul percorso interiore di Chiara e poco trapela anche del cammino della fraternità. La lettera seguente e ultima è infatti del 1253, anno della morte di Chiara. Motivo del lungo silenzio: Questo è il fatto: hanno impedito la nostra corrispondenza la mancanza di messag-geri e i ben noti pericoli delle strade.

Cosa ha vissuto Chiara negli anni dal 1238 al 1253? Una data importante l’abbiamo: nel 1247 fu imposto a lei e alle sorelle di adottare la regola di Innocenzo IV. Rispetto a quel-la di Ugolino-Gregorio ha il vantaggio di salvaguardare il rapporto con il primo Ordine e di sollevare le sorelle dal riferi-mento alla regola benedettina. In tal modo abbandonano istituzionalmente la tradizione monastica e si immettono nell’ambito penitenziale dal quale sono nate. Riguardo alla povertà però tale regola non soddisfa assolutamente le so-relle, perché permette il possesso di proprietà consistenti. Mitiga un po’ il digiuno ma inasprisce il discorso clausura. La situazione in cui Chiara si trova è molto complessa, perché il papa da tempo cerca di fare di san Damiano il riferimento di tutto il movimento religioso femminile del tempo. Non sap-piamo nulla di una reazione ufficiale di Chiara a questo nuo-vo tentativo di normalizzazione dei monasteri (tentativo che fallì, la regola di Innocenzo non ebbe effettiva accoglien-za). Però in questo periodo mise mano lei stessa alla stesura di una regola, nella quale vi è traccia di tutte le regole che hanno attraversato il cammino di san Damiano: tale fatto fa pensare che a questo punto, sconsolata, sospinta dal fermo proposito di osservare quanto aveva promesso al Signore e a Francesco, abbia detto: ora faccio io.

Invece che lasciarsi schiacciare dal peso delle circostan-ze, dalle ripetute frustrazioni ai suoi ideali, invece che affos-sarsi nella parte di chi subisce ingiustizia e oppressione, Chia-ra mette in atto una reazione creativa. Prende l’iniziativa, si fa trovare sempre un passo più avanti rispetto ad una chie-sa che, quantomeno, aveva scarso interesse per le sue istanze. La sua è veramente una fedeltà al futuro, non un

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noioso ripetere il passato. La regola, o meglio, la forma di vita, è veramente qualcosa di nuovo. Se i primi anni per la piccola sororità bastavano i due biglietti di Francesco, quelli che sono inseriti nel capitolo VI, ora occorre altro. Senza rim-piangere quei tempi, ecco che lei si rimbocca le maniche ed elabora il progetto del futuro.

Fu sicuramente una decisione coraggiosa, rivelatrice di un’alta coscienza di sé e della propria autorevolezza, co-scienza di sé raggiunta passando per un lungo e non facile crogiuolo di sperimentazione comunitaria.

Altro momento che non può esser passato nella vita di Chiara senza lasciare un segno, è l’incursione dei Saraceni nel 1240. Quasi tutte le sorelle che testimoniano al processo ne parlano. Dev’essere stato un momento di terrore indi-menticabile. E dev’esser stato più che un momento, perché sora Filippa ci racconta che si era in guerra e che le sorelle temevano un’aggressione al monastero da parte dei nemici che attaccavano Assisi, già prima che questo accadesse effettivamente. Una situazione prolungata di paura, quindi, più che un momento. Una paura fondata, non immaginaria. Filippa riporta le parole di Chiara in tale frangente:

Sorelle e figliole mie, non vogliate temere, però che, se Id-dio sarà con noi, li inimici non ce potranno offendere. Con-fidateve nel Signore nostro Iesu Cristo, però che esso ce liberarà. Et io voglio essere vostra recolta che non ne faran-no alcun male: e se essi verranno, ponete me innanti a loro.

L’atteggiamento di Chiara ricorda quello dei profeti: non magica previsione di come andranno le cose, ma appello a confidare nel Signore. E ricorda l’atteggiamento di Gesù, che si consegna per tutti noi. In verità, se le sorelle avevano una reale possibilità di mettersi in salvo, o più al sicuro, all’in-terno delle mura, questo non suona molto bene, suona un po’ come tentare il Signore. Supponiamo però che questo non fosse fattibile al momento. Allora il porsi di Chiara è quello di un vero leader che gioca il tutto e per tutto per

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amore delle sorelle. Lei non ama distinguersi dalle altre, nella regola non fa che ammonire l’abbadessa a seguire in tutto la vita comune, ama essere una sorella e basta. Ma quando è necessario sa assumere il ruolo indispensabile della guida: abbiamo visto quando ha risposto a Gregorio IX che le offri-va possedimenti, lo vediamo in questa situazione. La paura non la paralizza, ma la spinge a mettersi davanti alle sorelle, ad emergere dal gruppo nel quale di solito sta immersa, per dare a tutte una possibilità di salvezza. Non è comune la consapevolezza che la paura non è un criterio di discerni-mento, spesso a noi capita proprio di fare discernimento a partire dalla paura. Chiara non ha garanzie che tutto andrà bene, sa solo che porsi davanti al nemico così, inerme ma fiduciosa, è la cosa migliore da fare. Lo sa in forza della sua relazione con Dio, della sua fede, non per una sua superiori-tà personale o per competenze psicologiche. Non temere è la parola del Signore a lei. Non temete è la parola di lei alle sorelle. Una parola che viene dall’alto e lei come parola ve-nuta dall’alto la trasmette, non assicurazione di incolumità, ma affidamento a Dio, nella cui volontà è la nostra pace.

Il testamento e la regola suggeriscono l’idea che negli ulti-mi anni Chiara abbia dovuto sbilanciarsi sul versante dell’e-mersione, rispetto all’insieme delle sorelle. In molti passaggi si pone come riferimento autorevole. Addirittura dice:

E come io fui sempre diligente e sollecita nell'osservare, e nel fare osservare dalle altre la santa povertà, che pro-mettemmo al Signore e al beato Francesco nostro padre, così quelle che mi succederanno nell’ufficio, siano tenute fino alla fine ad osservare e a far osservare dalle altre con l’aiuto di Dio la santa povertà.

Sembra un po’ echeggiare san Paolo: fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo. O addirittura Gesù: amatevi come io vi ho amato. Dimostra un’altissima coscienza di sé e della propria vocazione ad essere specchio ed esempio per le sorelle.

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Questa dinamica immersione-emersione rispetto all’insie-me delle sorelle esprime molto bene il percorso di Chiara con la sua sororità e credo sia la dinamica che ha dato a san Damiano quel suo volto tanto particolare ed evangeli-co. Chiara è fra le sorelle, ma è anche prima delle sorelle, alle origini. Chiara è fra le sorelle, ma è anche di fronte alle sorelle: fate come io vi dico. Chiara è fra le sorelle, ma è an-che davanti alle sorelle, vede più lontano di loro, si occupa del loro futuro, si pone come loro scudo.

Questa dinamica immersione-emersione rispetto all’insie-me delle sorelle è splendidamente riconciliata nell’ultima lettera di Chiara.

Questa lettera risale a pochi mesi prima della morte di Chiara e la situazione esterna non si è ancora del tutto risol-ta secondo le speranze di Chiara. La sua regola ha avuto solo l’approvazione del cardinale protettore, che ha trascu-rato di chiedere quella del papa, desiderata da Chiara. L’e-sito della lunga lotta è ancora aperto. Chiara desidera tan-tissimo ottenere l’approvazione definitiva, tanto che quan-do l’otterrà, due giorni prima di morire, bacerà piena di gioia la bolla pontificia.

Sorprendentemente la lettera che scrive non lascia traspa-rire nulla della situazione ancora irrisolta. I sentimenti che tra-smette sono: appagamento, tensione escatologica, felicità sovrabbondante. Il suo amore sponsale per Cristo è sempre più vivo, tanto che tende a travolgere Agnese, le sorelle, noi che leggiamo. Chiara contempla i misteri del Signore Gesù, si sofferma sul Cristo in croce e lo sente ammonire:

O voi tutti che passate per via, fermatevi e guardate se c’è un dolore simile al mio dolore.

Subito trascina le sorelle e noi in una risposta corale ed at-tiva:

rispondiamo con una sola voce, con un solo spirito, a lui che grida e si lamenta: Sempre l’avrò nella memoria e si

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struggerà in me l’anima mia.

Attirami dietro a te, correremo al profumo dei tuoi unguen-ti o sposo celeste!

Attirami e correremo. Io e noi. Il Signore mi attira, noi tutti corriamo.

Poi ancora l’immagine della corsa:

Correrò e non verrò meno, finché tu mi introduca nella cella del vino, finché la tua sinistra sia sotto il mio capo e la destra felicemente mi abbracci e tu mi baci col felicissimo bacio della tua bocca.

Sono tutte risonanze del Cantico dei Cantici, è la corsa della sposa che desidera incontrare lo sposo. Ed ecco che quando Chiara giunge al culmine di questo incontro, nella cella del vino non entra lasciando fuori gli altri. Il ricordo di Agnese entra con lei e le fa dire:

Stando in questa contemplazione, ricordati della tua ma-dre poverella, sapendo che io ho inciso inseparabilmente il tuo felice ricordo sulle tavole del mio cuore, perché ti considero la più cara fra tutte.

Chiara, che ha sempre vissuto nel movimento immersione-emersione fra le sorelle, lo sperimenta anche qui: davanti allo sposo parla in prima persona attirami, correrò, mi ab-bracci, mi baci, ma con sé trascina le sorelle amate e insie-me a loro risponde all’appello dello sposo. Non sa immagi-nare una felicità del tipo “da sola con il Solo”, la sua imma-gine del paradiso trasmette la felicità di un popolo, non di un’anima eletta:

Felice certamente colei a cui è dato godere di questo sa-cro connubio, per aderire col più profondo del cuore a colui la cui bellezza ammirano incessantemente tutte le beate schiere dei cieli, … la cui visione gloriosa renderà beati tutti i cittadini della celeste Gerusalemme.

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Agli ultimi passi del suo cammino terreno in Chiara giunge a compimento, si ricapitola, si riconcilia, ogni contrapposizio-ne. Anche in questa chiesa che l’ha fatta soffrire, che a fati-ca ha compreso e accettato il suo desiderio di vivere il van-gelo in povertà, lei respira alla grande. Sa che non tutti cor-rono come lei, ma non rompe la sua solidarietà; sa che non tutte le sorelle la seguono con la stessa corsa lieve, ma lei non le abbandona: Attirami, noi correremo. Chiara è sempre una con sororibus, anche quando deve prendere un poco di distanza dalle altre, per difenderle, per rispondere al papa (ricordiamo la scena con Gregorio IX), per rispondere a Dio.

Seguire Gesù è stata sempre la gioia del suo cuore, nulla le è stato gravoso in questa corsa (lo dice lei negli ultimi giorni di vita), anzi, correre dietro a Gesù insieme alle sorelle è stato così bello, che quello che ora si augura è un seguirlo per sempre, insieme a tutti i compagni di cordata:

e l’augurio di cantare il cantico nuovo con gli altri santissi-mi vergini davanti al trono di Dio e dell’Agnello e di seguire l’Agnello dovunque vada.

Il paradiso sarà una costante, bellissima sequela, tutti insie-me. Cantando.

——————- 1 Lo studio delle forme retoriche (Chiara d’Assisi, Lettere ad

Agnese - La visione dello specchio, a cura di Giovanni Pozzi, Beatrice Rima, Piccola Biblioteca Adelphi, 1999) ci orienta in questa direzione: Chiara non scrive ad Agnese per aver la gioia di corrispondere con una sorella lontana, narrandole le proprie esperienze interiori (sebbene trapelino anche queste), Chiara le scrive per rispondere a gravi ed urgenti problemi. Le due donne condussero una lunga lotta per sal-vare la specificità della loro esperienza francescana, una lotta di esito incerto fino alla fine. Esse si scrivono (purtroppo non abbiamo alcuna lettera di Agnese a Chiara) per poter mantenere una linea comune ed ottenere dal pontefice

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che avalli quanto sta loro a cuore. Solo la quarta lettera si toglie da questo discorso.

2 Le sorelle tedesche hanno pubblicato un libro su Chiara e le clarisse e l’hanno intitolato Gewagtes Leben, vita azzar-data, arrischiata: mi è sembrato un titolo molto felice.

3 Traggo queste riflessioni da Hannah Arendt, Vita aktiva. La condizione umana, 1958, Chicago. 1964/2009 Milano, 180.

4 Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale, saggio 2, par 1.

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2.2 Il Signore ci collocò come forma, in esempio e specchio… Da San Damiano alle Alpi -

Clarisse in Austria Sr. Helmtrude Klara Aschauer, osc - Maria Enzersdorf, Austria

Cari fratelli e sorelle, dando uno sguardo alla storia delle clarisse in Austria, mi sono trovato davanti agli occhi il pa-norama di una vocazione clariana autenticamente vissuta all’interno dei monasteri. Il monastero di Judenburg che nell’anno della morte di S.

Chiara ha voluto accogliere la forma di vita delle sorelle di San Damiano e il suo antico documento sull’esenzione del monastero di San Damiano mostrano chiaramente quale antica tradizione hanno avuto e hanno le clarisse in Austria. Eppure quasi nessuno oggi lo sa! Questo contributo può servire alle sorelle, ai frati, ai laici per custodire questa an-

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tica tradizione e per riscoprire, nel mutare delle circostanze, la perenne vitalità di Chiara. Auguro a tutte le sorelle e a coloro che leggeranno questo scritto che la conoscenza possa divenire testimonianza di una passione per lo stile di vita di Chiara che ha sempre resistito nei secoli attraverso tutte le difficoltà attraversate. Vi saluta fraternamente,

Fr. Paul Zahner, ofm - Graz Presentazione Scrivendo la Regola del suo Ordine, S. Chiara ha pensato

alle sorelle di ogni tempo che avrebbero vissuto la sua for-ma di vita. Alla fine del suo Testamento riporta significativa-mente questa espressione: «Questo scritto, affinché sia me-glio osservato, lascio a voi, carissime e dilette sorelle mie, presenti e future, in segno della benedizione del Signore, del beatissimo Padre nostro Francesco e della benedizione mia, che sono madre e ancella vostra» (TestsC 79; FF 2853). La conoscenza di questa benedizione offre ancora oggi

alle clarisse la forza di rimanere fedeli alla propria vocazio-ne. La testimonianza delle nostre sorelle del passato ci inco-raggia, malgrado i tempi difficili, ad avanzare con fiducia. In un mondo privo di pace Chiara ci augura quella pace che il mondo non può dare, una pace che nessuno ci può togliere: «Il Signore dia pace a voi, sorelle e figlie mie, e a tutte

le altre che verranno e rimarranno in questa nostra comuni-tà e a tutte quelle, sia presenti che future, che persevere-ranno sino alla fine in tutti gli altri monasteri di signore povere» (BenC 4-5; FF 2854). Santa Madre Chiara, prega per noi!

Sr. Veronika, osc

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Clarisse in Austria Origini ad Assisi - Visione di S. Francesco a San Damiano S. Chiara, nata ad Assisi nel 1193/94 iniziò con poche

compagne nel 1211 a vivere a San Damiano e lì, insieme alla sua fraternità che via via andava accrescendosi di nuo-ve sorelle, vi rimase fino alla morte, l’11 agosto 1253. Chiara descrive la visione che S. Francesco ebbe a San

Damiano sulle origini del futuro Ordine: «Quando lo stesso santo che non aveva ancora né fratelli né compagni, quasi subito dopo la sua conversione, mentre edificava la chiesa di San Damiano, totalmente visitato dalla consolazione divi-na, fu spinto fortemente ad abbandonare del tutto il mon-do, per gran letizia e per l’illuminazione dello Spirito santo profetò a nostro riguardo quello che poi il Signore adempì ‘Venite e aiutatemi nell’opera del monastero di San Damia-no, perché qui tra poco ci saranno delle signore…’». (TestsC 9-13; FF 2826-2827). La relazione con Francesco e i suoi frati fu per Chiara e

la sua comunità sempre importante e dovette lottare per mantenerla. Alla fine della sua vita Francesco incoraggiò ancora Chiara e le sue sorelle con queste parole: «Non guardate a la vita de fore» (FF 263/1). «Come pellegrini e forestieri in questo mondo» Francesco lasciò molteplici trac-ce di una geografia spirituale. L’itineranza di Chiara rispetto a quella di Francesco non va oltre la stretta cerchia della sua città natale di Assisi. La volontà decisa di Chiara di nascondersi che fa parte del suo carattere forte e che è divenuta l’opzione fondamentale della sua vita, rende diffici-le avvicinarsi a questa donna. Chiara visse molto più a lun-go di Francesco ed ebbe una formazione letteraria superio-re; il numero e l’intenzione dei suoi scritti non raggiungono il notevole programma dell’illetterato figlio di Pietro di Ber-

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nardone, il quale era consapevole di condividere attraverso i suoi scritti le parole del Signore che sono spirito e vita. Chiara avrebbe dovuto scrivere da se stessa la verità intima della sua vita in una biografia mistica, ma come Francesco le insegnava «custodiva nel suo cuore il segreto del Re». Già al tempo di Chiara si formarono comunità, nei dintorni

di Assisi e sempre più lontano, che presero come esempio la vita di San Damiano e alle quali Chiara inviò sorelle in aiuto. Bressanone, il primo monastero dell’area tedesca La fondazione più antica dell’area tedesca, monastero che

non è stato mai soppresso, è Bressanone, nel Sud Tirolo, monastero in cui le sorelle vivevano e ancora oggi vivono nello spirito di S. Chiara secondo la Regola di Urbano. La Bolla papale più antica si riferisce alla chiesa, che fu la prima ad essere dedicata a S. Elisabetta di Turingia nel

1236, appena un anno dopo il suo processo di canoniz-zazione. Secondo la tradizio-ne, Chiara mandò alle sorelle un ramo-scello di un albero di pere che fu inne-stato e porta frutto ancora oggi. Furono

dati germogli ad altri monasteri di clarisse affinché portas-sero frutto anche lì. Judenburg – Richiesta di accoglienza nell’Ordine Nell’aprile 1253 una comunità di Povere Dame che viveva

Monastero di clarisse di Bressanone

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dal 1222 a Judenburg in Stiria chiese di essere accolta nell’Ordine delle Povere Dame di San Damiano e gli fu con-cesso nel giugno del 1253. In quest’epoca il monastero go-deva già il patrocinio di “S. Maria in Paradiso”. Il distacco della vita monastica serve come protezione della verginità e quindi favorisce la sponsalità con Cristo per essere uniti a lui in Paradiso per l’eternità. La clausura accanto a una di-mensione corporale ne offre una spirituale; con la separazio-ne dalle distrazioni secolari nasce uno spazio che rende possibile una stretta relazione con Dio (sponsalità). La clau-sura monastica non è quindi esclusione dal mondo: essa mette piuttosto in evidenza il potenziale di vita racchiuso in un monastero. C’è inoltre una novità da sottolineare che riguarda uno

scritto papale, giunto nel monastero di Judenburg attraverso vie a noi sconosciute: è l’unico documento finora conosciuto che riporta la Bolla di Papa Gregorio IX del 22 novembre 1229 con la quale il monaste-ro di San Damiano viene direttamente sottoposto al Papa, ottenendo così l’esenzione. Spesso da Judenburg furono chiamate sorelle in altri monasteri quali

quello di St. Klara, di “Königin” (lett. “della Regina”) e St. Nikolaus a Vienna. Nel 1782 l’imperatore Giuseppe II sop-presse il monastero di Judenburg.

P.F. Placidum Herzog: immagine del monastero di Judenburg.

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Monasteri in difficoltà: Dürnstein, Vienna, S. Veit Il monastero di Dürnstein, che si trova in riva al Danubio

nella Bassa Austria, fu fondato nel 1289. Le prime sorelle venivano da Judenburg. Quando nel 1485 gli Ungheresi pe-netrarono a Dürnstein il monastero di clarisse andò in pre-da alle fiamme insieme ad altre costruzioni. In seguito ai disordini e alle reazioni della Riforma il monastero si estin-se nel 1571; ultima abbadessa fu Ursula Walch. Il monastero “St. Klara” di Vienna fu fondato nel 1305 dal

Duca Rodolfo III insieme alla consorte Bianca di Valois. Du-rante l’invasione dei Turchi nel 1529 le sorelle dovettero fuggire. Dopo il loro ritorno, nel 1531 si trasferirono a S. Anna, nel I distretto di Vienna. Il monastero fu soppresso

nel 1573. Nel 1323-26 Corrado di Au-fenstein fondò a “S. Veit and der Glan” in Carin-zia un monaste-ro di clarisse. Si suppone che le prime sorelle venissero da

Judenburg o Merano, nell’odierno Sud Tirolo. L’ultima abba-dessa venne eletta nel 1539. Il monastero andò in rovina ai tempi del luteranesimo: le sorelle si estinsero senza rinnega-re però la fede cattolica.

Antica immagine di St. Veit con il monastero

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Soppressioni di Giuseppe II nell’anno 1782 Nel 1394 le sorelle di Valduna, nella parrocchia di Rankweil che si trova nello Voralberg, accetta-rono la Regola di S. Chiara. Le sorelle vennero nel 1391 da Grimmenstein, nel cantone sviz-zero di Appenzello. Il monastero ha sempre avuto un eccellente spirito religioso e per questo motivo le sorelle furono spesso inviate in altri monasteri come per es. Villingen nella Foresta nera, Wittichen in Svevia, Speyer e Ratisbona. L’imperatore Giusep-

pe II nel 1782 soppresse anche questo monastero. Il monastero delle clarisse “St. Maria, Königin der Engel” (S.

Maria degli Angeli), chiamato “Königinkloster” (monastero del-la Regina) fu fondato da Elisabetta d’Austria nel 1580 a Vien-na. Le prime sorelle provenivano dal monastero “Anger” di Monaco. La particolarità di questo monastero è il fatto che è sottoposto direttamente al Ministro Generale dei Frati Minori (Breve di Clemente VIII del 4 giugno 1597). Le sorelle di questo mona-

stero aiutarono anche altri monasteri, specialmente le sorelle di Bratislava nel 1607. Dopo la soppressione del “Monastero della Regina” nel

Monastero di clarisse di Valduna

Herzog: Monastero “Königin” a Vienna

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1781, nel 1783 i luterani viennesi e la comunità riformata comperarono una parte dell’ex monastero. Il monastero St. Peter (S. Pietro) a Wiener Neustadt fu

lasciato alle clarisse dopo che nel 1530 le Domenicane fu-rono costrette a fuggire a Tyrnau in Ungheria a causa dell’invasione dei Turchi. Nel 1574 fu soppresso. Le ultime clarisse furono accolte dalle monache agostiniane che si trovavano presso la “Himmelpforte” nel I distretto di Vienna.

Il monastero St. Niklaus (S. Nicola) nel I Distretto di Vienna, Singerstrasse 15, un ex monastero di Cistercensi, fu dato nel 1623 alle clarisse di Pressburg (Bratislava) che era-no fuggite dai Tur-chi. Dal 1624 questo monastero appartie-ne alla Provincia austriaca dei Frati. Poiché all’inizio mo-

rirono molte sorelle, nel 1544 furono chiamate due clarisse di Judenburg. Al momento della soppressione, il 24 gennaio 1782, la comunità era formata da 33 sorelle e 1 novizia. Le clarisse stesse arrivarono a Bratislava nel 1297. Con il

sostegno del re eressero nel XIV secolo, al posto del di-strutto convento dei cistercensi, una chiesa e un monastero. Nel 1782 il monastero fu soppresso.

Herzog: monastero di clarisse “St. Nikolaus” a Vienna

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Graz: liturgia in uso nel monastero delle Clarisse, dal 2010 in un CD

Nel 1602 fu fonda-to a Graz il mona-stero “Zu den Alle-rheiligen Im Para-dies” (tutti i santi del Paradiso); le sorelle provenivano dal monastero St. Jakob am Anger di Monaco. Sono ri-masti molti libri liturgici usati per il canto: antifonali,

graduali e processionali, scritti in modo molto curato e so-lenne; ciò dimostra quale liturgia abbia celebrato la comuni-tà delle clarisse di Graz. Una Scuola corale dell’Istituto per la musica sacra e organo dell’Università di Graz nel 2010, in occasione di un simposio su S. Chiara, ha inciso per la prima volta su un CD il canto dell’ Ufficio e della Messa di S. Chiara. Nel 1782 il monastero delle clarisse di Graz fu soppresso

per mano di Giuseppe II. Al tempo della soppressione il mona-stero era formato da 26 monache coriste e 10 converse. Il 21 giugno 1782 tutte le sorelle dovettero lasciare il monastero. Hall – in pochi anni 90 sorelle Nel 1720 vennero ad Hall 6 sorelle del monastero di

Bressanone per una nuova fondazione. Con l’aiuto delle Fondazioni dei benefattori del paese di Hall le clarisse riu-scirono a costruire la chiesa, dedicata ai santi patroni della

Herzog: monastero di clarisse a Graz

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peste (Sebastiano, Rocco, Firmino e Cristoforo) e l’abitazione adiacente. Il monastero si sviluppò molto bene al punto che durante il breve tempo della sua esistenza contava circa 90 sorelle. La soppressione di Giuseppe II toccò anche le cla-risse di Hall che nel 1782 dovettero lasciare il monastero. La maggior parte delle sorelle rimasero ad Hall e vissero comunitariamente in case private, altre trovarono accoglien-

za in vari monasteri. Nel 1837 morì l’ultima clarissa di Hall – Apollonia Mayr – all’età di 87 anni, a Pradl presso Innsbruck. Merano – saccheggio e rifioritura Un altro monastero in relazione con l’Austria è Merano,

nel Sud Tirolo: le clarisse, chiamate nel 1290 da Dürnstein e Bressanone, nel 1310 poterono abitare un monastero eretto dalla Duchessa Eufemia di Breslavia. Il monastero ebbe un buon spirito religioso e riuscì così a superare il tempo della Riforma. Nel 1525, durante la guerra dei contadini, il monastero fu saccheggiate e le so-

Archivio provinciale dei Frati: monastero di clarisse ad Hall

Calcografia in rame di B. Auer: immagi-ne antica di Merano con il monastero

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relle maltrattate. Ben presto, però, il monastero rifiorì. Nel corso della riforma di Giuseppe II anche questo monastero fu soppresso nel 1782.

Adorazione perpetua – da Lemberg a Vienna Le Clarisse dell’adorazione perpetua a Vienna sono un

ramo relativamente giovane del II Ordine della famiglia fran-cescana. Fu fondato nel 1854 a Parigi da Madre Maria Cla-ra Boillevaux. Nel 1871 Madre Maria delle Croce Morawska lasciò la Francia e introdusse l’Ordine nella sua patria. Con lei il 12 luglio 1898 vennero 7 sorelle da Lemberg (allora nell’austriaca Galizia, oggi Ucraina) a Vienna. Dopo una pri-ma fioritura dell’Ordine, nel 1921 le sorelle poterono essere

inviate a Cleveland/USA per una nuova fondazione. Da lì le sorelle andarono in India e Bangladesch. Nel 1925 da Vien-na fu fondato anche il monastero di Bautzen che sopravvis-se ai tempi difficili della Repubblica Democratica Tedesca. Oggi vivono a Vienna ancora 5 sorelle che continuano il servizio dell’adorazione.

Vienna. Gartengasse: adorazione eucaristica nella chiesa del monastero

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Nuovi inizi dopo la soppressione di due secoli fa Il monastero “Maria, Mutter der Kirche”, (Maria Madre della

chiesa) in “Maria Enzersdorf” è eretto con il preciso scopo di un nuovo inizio. Per iniziativa dell’Istituto Secolare “Piccola Famiglia francescana” e dei Frati Minori, nel 1964, con l’approvazione ufficiale del Cardinale Dr. Franz König, vennero alcune sorelle del monastero di Mün-ster (Scharnhorstr.) in Westfalia. Dal tempo della soppressione di Giuseppe II non esiste-vano più monasteri di clarisse in Austria. La fondazione ufficiale del monastero avviene l’11 agosto 1964. La chiesa del convento venne consacrata il 22 no-vembre 1964 e dedicata a Maria, madre della Chiesa. Il giorno prima Papa Paolo VI alla chiusura della III sessione del Concilio Vaticano II aveva attribuito solennemente il tito-lo di “Madre della Chiesa” alla Vergine Maria. Oggi nel mo-nastero “Maria Enzersdorf” vivono 7 sorelle. Vi sono ancora due sorelle fondatrici, sr. M. Antonia e sr. M. Margareta. Lo scopo della fondazione era di pregare per la caduta della “cortina di ferro”: anche se dal 1989 non esiste più visibil-mente una “cortina di ferro” rimane ancora valida l’intenzio-ne originaria della fondazione perché molte barriere invisibili dividono gli uomini del nostro tempo da Dio, dagli altri uo-mini e da se stessi.

Targa ricordo sulla facciata esterna del monastero

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Pupping - da Senden all’Austria settentrionale Su richiesta dei Frati di Pupping, in Austria settentrionale, nel 1968 alcune sorelle del monastero di Sen-den (Germania) venne-ro nel loro convento per sostenerli attra-verso una vita con-templativa e di pre-ghiera in clausura. Sr. Pia, nativa dell’Austria,

era entrata nel 1954 a Senden; come abbadessa fondatrice guidò le sorelle nell’antico convento dei Frati nella città do-ve morì S. Wolfgang. Il monastero sin da allora dipendeva dal Provinciale della Provincia del Tirolo e si unì al II ramo delle clarisse. Per mancanza di vocazioni e per la morte improvvisa di

una sorella giovane ancora in forze nel 1996 le sorelle do-vettero concludere il loro servizio in questo monastero. Le Suore di S. Chiara – un nuovo germoglio nello Voralberg Nel 1983 le cosiddette “Suore di S. Chiara” diedero inizio

a un nuovo germoglio di vita clariana nello Voralberg. Le prime sorelle provenivano dal monastero di clarisse di Bres-sanone. Inizialmente vivevano in un ritiro contemplativo, orientandosi a seguire la primitiva Regola per gli eremi di S. Francesco. Oggi la comunità appartiene al III Ordine e ha fondazioni in Austria e in Germania.

Calcografia in rame del monastero di Puppin

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Schachendorf - da Zagabria a Burgerland La comunità più

giovane di clarisse in Austria si trova oggi a Burgerland. Il 13 ottobre 2003 le clarisse croate di Zagabria fonda-rono un piccolo monastero a Scha-chendorf. Oggi la comunità è forma-ta da 4 sorelle e 2 novizie. Taisten – da Nocera Umbra al Sud Tirolo Un altro monastero di clarisse nell’area tedesca fu fonda-

to nel 1906 dalla sorelle di Nocera umbra a Taisten/Sud Tirolo nella patria di sr. Agnes Klara Steiner, morta nel 1863. Sr. Agnes era entrata nel 1838 nel mona-stero S. Croce delle Suore bava-resi di Assisi. Sr. Agnes Klara su richiesta del ve-scovo di Assisi riformò tra l’altro

La comunità di Schachendorf con ospiti in occasione di una professione solenne.

Ex monastero delle clarisse di Taisten, oggi casa per ferie di un Istituto secolare.

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il monastero “S. Giovanni Battista” a Perugia e il monastero di clarisse di Nocera Umbra, di cui fu la prima abbadessa. Le sorelle di Taisten hanno mantenuto vivo il carisma di sr. Agnes Klara nella sua patria; nel monastero sono anche entrate molte austriache. Nel 1956 la parte più antica in legno del monastero fu sostituita con una nuova costruzio-ne. A motivo dell’assenza di nuove vocazioni, nel 1998 le sorelle si sono unite al monastero di clarisse di Bressanone. Dopo i lavori di restauro per opera della Diocesi di Bressa-none-Bolzano, le sorelle dell’Istituto Secolare “S. Giuseppe” hanno ricevuto il convento, oggi trasformato in casa per ferie per ritiri spirituali e riposo.

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2.3 Dalla lettera della Presidente della Federazione Madre Jeronima

Sr. Marrietta S. Vega, osc - Filippine

In tutto il mondo questo è l’anno della Vita Consacrata, e que-sto si unisce all’anno dei Poveri nella Chiesa delle Filippine. Non possiamo affrontare separatamente le richieste di queste due celebrazioni perché viviamo la nostra vita di consacrati mentre respiriamo la stessa aria della Chiesa povera nel nostro paese. Vivere la nostra consacrazione significa vivere i voti che abbiamo pronunciato pubblicamente in un determinato momento della nostra vita ed adempierli, o cercare di adempierli, per tutto il resto della nostra vita. Forse non è un caso che la nostra Chiesa locale abbia dichiarato questo anno come anche l’anno dei Pove-ri in quanto questo crea il clima ed il ritmo adatto per uno stile di vita vissuta in Obbedienza, Povertà e Purezza/Castità.

Entrambe queste celebrazioni interpellano noi consacrati a ritornare o a ricordare ciò che siamo chiamati a vivere e ciò di cui siamo chiamati a prenderci cura nella missione di fede, amo-re e speranza. “Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!”. Sicuramente l’amore rimarrà alla fine, perché sarà il testimone, Colui che solo deporrà per o contro di noi su come il più piccolo di questi miei fratelli e sorelle sono stati sfamati, vestiti ed accolti. L’amore custodisce la memoria di quanto spesso venga usato per servire i poveri e bisognosi. Per un consacrato la po-vertà è vissuta appieno quando si dona tutto, perché il motivo per amare così è dato dal fatto che coloro che sono a malapena nutriti (di gentilezza) e vestiti (della loro dignità umana) possa-no trovare conforto dalla nostra scelta di essere più poveri di chiunque altro.

Una persona consacrata è ricca, perché più vicina alla Sorgen-te e al Donatore di ogni cosa; sicura nel senso che conosce chi è il suo protettore; incoraggiata dalla fede e dall’intimità con il Signore; lavata dalla pioggia di benedizioni centuplicate che le sono state promesse; nutrita dall’amore di chi le sta accanto;

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gode del rispetto e del riconoscimento delle persone e, se lei le riconosce, delle doti di ogni membro della comunità. Quale vita, quale bellezza, quale stupenda fortuna la consacrazione religio-sa trasmette ad un’anima, se solo essa lo riconosce.

E laggiù (nelle Filippine ndt), la Chiesa a cui si è sposati è ve-stita di povertà, fame, isolamento, privazioni ed oscurità. I suoi membri sono colmi di ferite dovute a guerre e calamità, di ag-gressioni che mettono alla prova la loro fede e della lotta per riuscire almeno a stendere la mano per chiedere l’elemosina (di misericordia, compassione, giustizia ed integrità), i poveri che non sperimentano neanche che Dio è amore.

Come si può attualizzare la nostra consacrazione a vivere in Obbedienza (alla missione di amare che Dio ci ha donato), sen-za nulla di proprio (perché Dio è molto più del necessario ed il resto appartiene ai poveri) ed in Castità (perché tutto dev’esse-re fatto con cuore e mente puri)? In verità, quanto diventa bello questo Corpo di Cristo quando la sposa ricca ed adorna si unisce a lui attraverso il morire a se stessa per amore dell’amata Chiesa dei poveri. E per quello che riguarda noi, chi sono i poveri alla nostra portata? Li riconosciamo? Sentiamo la loro povertà? Che cosa ci è chiesto di fare?

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2.4 Viscere di misericordia Sr. María Ángel Prada, osc - Cantalapiedra, Spagna

Abbiamo dato inizio alle celebrazioni per il Giubileo della

Misericordia voluto da papa Francesco. Si parla molto della necessità di fare misericordia nel nostro mondo, ma sappia-mo bene che la misericordia è un’esigenza di tutti i tempi, di tutte le culture, di tutti gli uomini. Inoltre nell’AT si invoca Dio come clemente e misericordioso, lento all’ira e ricco di pietà, che si pente delle minacce promesse (Es 33,19; Dt 5,10). E questo Dio «ricco di misericordia» – come scrive Paolo nella lettera agli Efesini (2,4) – ci si è rivelato ultima-mente nella persona di Gesù, il mansueto e il misericordioso per eccellenza, che sulla cima del monte proclamò: «Beati i misericordiosi perché riceveranno misericordia» (Mt 5,7).

Gesù, oltre a dare la sua vita per la redenzione dell’umani-tà, atto supremo di bontà e misericordia verso i poveri uo-mini peccatori, durante la sua vita terrena uno dei principali atteggiamenti che ebbe fu la misericordia e la compassione verso tutti. In effetti, il Vangelo ci dice che Gesù sentiva compassione della gente «perché erano stanche e sfinite co-me pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36). Questa com-passione lo muoveva a parlare con loro, a insegnare, a cura-re gli ammalati nel corpo e nello spirito. Così raccontano vari testi evangelici: «Gesù percorreva tutte le città e i villag-gi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità» (Mt 9,35); «Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli porta-vano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta» (Mc 1,32-33); «Sceso dalla barca, vide

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una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati» (Mt 14,14). Un giorno c’era un cieco che lo cercava: «Rabbunì, che io veda di nuovo!» (Mc 10,51); un altro gior-no un lebbroso: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi» (Mt 8,2); e anche una donna cananea la cui figlia era indemonia-ta: «Signore, aiutami!» (Mt 15,25); e così molti altri.

La misericordia di Gesù si manifestava anche nei gesti di accoglienza, di perdono, di comprensione verso tutti i biso-gnosi, che accorrevano a lui tutti i giorni. Si fece vicino a tut-ti gli emarginati del tempo, vittime del rifiuto, della disugua-glianza, dell’ingiustizia, del peccato e del male, fino a essere chiamato «amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19).

Gesù educa i suoi discepoli alla misericordia e al perdono con le parole e con l’esempio. Con la parola: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi» (Mt 6,14); «se il tuo fratello, si pentirà, perdonagli» (Lc 17,3). E con l’esempio, quando in-chiodato alla croce esclamò: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Allo stesso modo di Gesù anche nel padre san Francesco la misericordia nasceva dal profondo del suo cuore. Così dice san Bonaventura: «La pietà lo elevava a Dio per mezzo della devozione, lo trasformava in Cristo per mezzo della compas-sione, lo faceva ripiegare verso il prossimo per mezzo della condiscendenza e, riconciliandolo con tutte le creature, lo ri-modellava secondo lo stato dell’innocenza primitiva. Per essa era piamente attratto verso ogni cosa, ma in modo particolare verso le anime, redente dal sangue prezioso di Cristo Gesù; e quando le vedeva inquinate dalle brutture del peccato, le compiangeva con una commiserazione così tenera che ogni giorno le partoriva, come una madre, in Cristo» (LM 8,1).

Il Poverello d’Assisi era convinto, come lui stesso ricorda

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nell’Ammonizione 27, che «dove è misericordia e discrezio-ne, ivi non è superfluità né durezza». Per questo consiglia a un ministro: «Non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede; e se non chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu pos-sa attirarlo al Signore; e abbi sempre misericordia di tali fra-telli» (Lmin 8-10). È l’atteggiamento di Gesù che anticipa i nostri bisogni, come quando si avvicina al paralitico della piscina di Betzatà e gli dice: «Vuoi guarire?» (Gv 5,6).

Per Francesco, come scrive nell’Ammonizione 18, è «beato l’uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fra-gilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile». Fragilità indica, in questo caso, le limitatezze, le difficoltà, i difetti, le imperfezioni o i peccati dell’altro, che così spesso emergono condizionando la nostra vita comunitaria, facendoci verificare che non sia-mo una comunità di perfette, di angeli, ma di donne con dei limiti. La miseria umana intrinseca in ognuna di noi, ci deve muovere costantemente a esercitare la misericordia e la comprensione verso la sorella; è la stessa cosa che desideria-mo venga fatta a noi quando si manifesta la nostra fragilità evitando, per tanto, la critica, lo sdegno o il turbamento.

Sempre nella Lettera a un ministro, parlando dei fratelli che hanno peccato, Francesco dice: «E tutti i frati, che fosse-ro a conoscenza del suo peccato, non gli facciano vergogna né dicano male di lui, ma abbiano grande misericordia verso di lui e tengano assai segreto il peccato del loro fratel-lo» (LMin 14). E ancora: «Non oltraggino nessuno; non mormorino, non detraggano gli altri, poiché è scritto: “i sus-

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surroni e i detrattori sono in odio a Dio”» (Rnb 11,7-8). Co-loro che hanno tali atteggiamenti, Francesco li chiama per-versi, perché «portano sotto la lingua il veleno, con il quale intaccano il prossimo» (2Cel 182).

Ugualmente la madre S. Chiara ci esorta: «L’abbadessa e le sue sorelle debbono guardarsi dall’adirarsi e turbarsi per il peccato di chicchessia, perché l’ira e il turbamento impe-discono la carità in sé e negli altri» (RsC 9,5-6).

In Chiara possiamo vedere riflesso il volto di Gesù, man-sueto e umile, buono e misericordioso. Le sorelle che visse-ro con lei a San Damiano sono, a tale proposito, delle testi-moni preziose.

Suor Amata, deponendo al Processo di Canonizzazione, afferma che non è in grado di evidenziare una virtù concre-ta di S. Chiara, poiché tutte in lei sono presenti, e le riassu-me nel seguente modo: la verginità somma, la bontà, la mansuetudine, la compassione verso le sorelle e verso qua-lunque altra persona (cf. Proc IV,3). Non scorgiamo gli stes-si sentimenti del cuore di Gesù?

«Nondimeno sempre era allegra nel Signore – afferma sora Filippa – e mai se vedeva turbata, e la sua vita era tutta angelica. E tanta grazia li aveva data el Signore, che spesse volte quando le sore sue se infirmavano, essa beata, fatto lo segno de la croce con la sua mano, le liberava. Anche disse che essa beata madre ebbe specialmente la grazia de molte lacrime, avendo grande compassione alle sore et alli afflitti. E specialmente effundeva molte lacrime quando receveva el corpo del nostro Signore Iesu Cristo» (Proc III,6-7). Que-st’affermazione è molto comune all’interno del Processo: «Aveva compassione grande alle afflitte» (Proc XI,5); «Se avesse veduta alcuna delle sore patère qualche tentazione o

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tribulazione, essa madonna la chiamava secretamente e con lacrime la consolava, et alcuna volta le si gettava alli pie-di» (Proc X,5); «… fu diligentissima circa la esortazione e guardia de le sore, avendo compassione de le sore infer-me» (Proc VI,2); «… quantunque essa usasse così asperi cilizi e vesti per se medesima, era però molto misericordio-sa alle sore che non potevano patère quelle asperitade, e voluntieri lo’ dava consolazione» (Proc II,6).

Un cuore materno, pieno di misericordia e compassione-vole verso tutti, non poteva manifestarsi se non da un rap-porto intimo con Gesù, di essersi sentita lei – prima di tutto – accolta misericordiosamente da Dio, che amava chiamare Padre delle Misericordie. Per questo, nel suo Testamento, prorompe, per prima cosa, in un rendimento di grazie: «Tra gli altri doni, che ricevemmo e ogni giorno riceviamo dal nostro Donatore, il Padre delle misericordie, per i quali dobbiamo maggiormente rendere grazie allo stesso glorioso Padre, c’è la nostra vocazione» (TestsC 2). E poi aggiunge: «Dobbiamo quindi considerare, sorelle dilette, gli immensi doni di Dio a noi elargiti» (TestsC 6). E dopo avere rivelato quella che è la profezia di Francesco riguardante le donne che avrebbero vissuto a San Damiano, prosegue: «In questo possiamo dunque considerare la copiosa benevolenza di Dio verso di noi: per la sua sovrabbondante misericordia e cari-tà, per mezzo del suo santo si è degnato di parlare così della nostra vocazione ed elezione» (TestsC 15-16). Nuovamente, più avanti, sempre nel Testamento, ricorda che la vita reli-giosa di ogni sorella è un dono per ciascuna di loro, e trami-te esse, per tutte quelle che il Signore vorrà rendere parteci-pe della stessa vocazione: «A motivo di ciò lo stesso Padre delle misericordie, non per i nostri meriti, ma per la sola

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misericordia e grazia del donatore, effuse il profumo della buona fama su quelli che sono lontani, come sui vici-ni» (TestsC 58).

Capacità di rendere grazie perché proveniente da un cuore umile e semplice, che sa riconoscere che i beni ricevuti sono un dono gratuito e immeritato da parte di Dio. Per questo, dal suo essere umile, può donarsi gratuitamente, con visce-re compassionevoli e misericordiose.

La Chiesa – dice papa Francesco – vive un desiderio ine-sauribile di offrire misericordia (Misericordiae Vultus 10). Ma la misericordia della Chiesa non si manifesta soltanto – benché sia una missione primaria, importante e fondamen-tale – attraverso il sacramento della riconciliazione, ma ha molteplici modi di realizzarsi, e a questo fine il Catechismo ci ricorda quattordici opere di misericordia: sette corporali e sette spirituali, che, a loro volta, sono espressi in un’infini-tà di dettagli che riempiono la vita quotidiana.

L’esempio più immediato è, per noi, quello di Francesco e Chiara: essi possono servirci da incoraggiamento, da rifles-sione e da guida per risvegliare i sentimenti del corpo e del cuore nell’accoglienza e nell’attenzione ai nostri fratelli e sorelle in qualsiasi necessità ci manifestino.

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3.1 Federazione delle clarisse colettine "S. Maria degli Angeli" in Irlanda e Scozia. Assemblea federale - 6-11 luglio 2015 Luogo Per la prima volta, la nostra assemblea federale si è

tenuta alla casa per esercizi spirituali 'Emmaus', a Swords, Dublino. Questo luogo è stato in passato casa di formazione per i novizi dei Fratelli Cristiani, quando le vocazioni erano numerose. Situato in un bellissimo parco privato, dista soltanto dieci minuti dall'aeroporto interna-zionale di Dublino e trenta minuti dalla città di Dublino. Circondato da terreni con sentieri alberati, giardini con

vista ed una passeggiata in riva al fiume, qui Dio e la natura vivono in armonia mentre il canto degli uccelli e la grande quantità di specie naturali si sommano alla bel-lezza naturale e alla tranquillità del luogo.

Paraliturgia d'apertura Il mattino di martedì 7 luglio, la nostra assemblea si è

aperta con una stimolante paraliturgia preparata dalle no-stre sorelle di Ennis. Le abbadesse e le delegate dei sette monasteri della

nostra federazione sono state calorosamente accolte da Madre Francis (Madre presidente) e da fr. Patrick Youn-ge, ofm (Padre assistente) che hanno riservato un ben-venuto speciale a sr. Dominic, del monastero di Humbie, (Madre presidente della federazione inglese) e a sr Ga-briel, di Arundel, consigliera della federazione inglese.

Relazione della Madre presidente Madre Francis ha letto la sua relazione, nella quale da-

va un resoconto della disciplina generale, della condizio-ne economica e la statistica della federazione. La rela-

Notizie... 3.

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zione includeva il resoconto sugli incontri del consiglio, sui corsi di formazione iniziale e permanente, sugli in-contri delle abbadesse, sugli incontri per le econome e sui corsi per formatrici, organizzati dalla federazione nel triennio scorso. Madre Francis ha ringraziato tutte le so-relle della federazione per la loro calorosa accoglienza durante la visita materna ai monasteri e per la loro coo-perazione. Ha ringraziato in modo particolare il nostro Padre assistente, fr. Patrick Younge, ofm, che è stato un aiuto meraviglioso sin dalla sua nomina ad assistente, due anni e mezzo fa. Egli è nel definitorio della provincia di Irlanda e Inghilterra. Relazione del Padre assistente In seguito, fr. Patrick Younge, ofm ha letto la sua rela-

zione, delineando l'adempimento del suo ruolo di assi-stente religioso, secondo quanto stabilito nei nostri Statuti Federali - promuovere il vero spirito dell'Ordine, aiutare la presidente federale con il consiglio e l'assistenza pratica, contribuire alla formazione delle novizie e delle professe, compiere le visite fraterne ai monasteri, far giungere alla federazione i documenti più importanti della Santa Sede, partecipare agli incontri del consiglio federale, prendere parte, come invitato, a varie celebrazioni ed eventi della federazione. Fr. Patrick ha concluso la sua relazione facendo riferi-

mento ai problemi urgenti della federazione e su come porre importanti domande che è necessario farsi, in modo particolare alla luce del calo delle vocazioni e dell'invec-chiamento delle comunità: ∗ siamo una comunità contemplativa davvero umana o

ci stiamo esaurendo nel cercare continuamente di far fronte ad ogni aspetto della nostra vita?

∗ Continueremo ad andare avanti nel nostro posto fino al punto di collassare?

∗ Siamo una comunità che può in modo realistico e

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onesto garantire un programma formativo che sia ca-pace di cambiare la vita e durare per la vita? Altri-menti, non dovremmo decidere di indirizzare possibili candidate verso un monastero che abbia più vita? Così facendo, vengono preservate la fantasia di dare una formazione adeguata e viva e le energie.

Le letture di entrambe le relazioni è stata seguita da una discussione molto utile. L’arcivescovo Diarmuid Martin ha celebrato la S. Mes-sa il 7 luglio alle ore 12. È stato commovente sentirlo par-lare della sua esperienza alla guida della Chiesa nell’Arci-diocesi di Dublino in questo tempo di crescente secolariz-zazione. “Ci sarebbero tutte le ragioni per deprimersi”, ha detto, “ma noi siamo chiamati a proclamare la gioia del Vangelo!” È stato molto cortese e ci ha lasciato una sti-molante omelia. Al termine l’arcivescovo si è dimostrato contento di incontrarci per una chiacchierata insieme.

L’elezione della presidente federale e delle consiglie-re è avvenuta mercoledì 8 luglio al mattino. Sono state elette le seguenti sorelle: Sr. Francis (Carlow) presidente federale Madre Paul (Galway) prima consigliera Madre Bernardine (Ennis) seconda consigliera Madre Angela (Bothwell) terza consigliera Sr. Miriam è stata scelta come segretaria federale. Nel pomeriggio dell’8 luglio si è svolto un incontro per

le abbadesse. Relatore ospite. Giovedì 9 luglio è stato il giorno scelto per celebrare l’anno della vita consacrata. È stato questo il tema dell’intervento del relatore da noi invitato, fr. Peter Rogers, OFMCap. Fino a poco tempo fa segretario per-sonale del Ministro Generale OFMCap è attualmente a servizio del gruppo a capo della CORI (Conferenza dei Religiosi d’Irlanda). Attingendo al magistero di papa Fran-

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cesco e dalle nostre Costituzioni Generali, la riflessione di fr. Peter sulla vita consacrata e la leadership ci ha la-sciato molto materiale per la meditazione insieme a molti momenti stimolanti grazie al suo stile moderato. La prima meditazione di fr. Peter sulla ‘vita consacrata’ ha preso avvio dal programma esposto da papa Francesco per l’anno della vita consacrata e preso a prestito da papa Giovanni Paolo: “Guardare al passato con gratitudine, vi-vere il presente con entusiasmo, guardare al futuro con speranza”. Dopo aver riflettuto su questo tema, fr. Peter ha chiesto: “Che cosa sperate da questo anno della vita consacrata?” Nella sua risposta abbiamo sentito l’eco dell’omelia dell’Arcivescovo Diarmuid Martin – la chiamata rivolta ad ogni religioso, sia a livello personale che comu-nitario, per questo anno speciale, a riscoprire, nelle parole di papa Francesco, “la Gioia del Vangelo”. “Nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore” (Paolo VI). Come punto di partenza per il suo discorso, fr. Peter ha

utilizzato un breve messaggio dato da papa Francesco alle Sorelle Povere in S. Chiara ad Assisi, il 4 ottobre 2013. Ciò che accade alla suora che consacra tutta la sua vita al Signore in una vita ascetica e di penitenza è l’opposto di ciò che si potrebbe pensare – ella diventa estremamente umana! Ciò avviene attraverso la sua unione con la Parola Incarnata e la sequela di Gesù Cri-sto. Ma ciò deve essere costantemente sostenuto dalla nostra esperienza, sempre rinnovata, di assaporare l’ami-cizia con Cristo e il suo messaggio. Citando papa Fran-cesco, fr. Peter ha chiesto: “Qual è il segno di una suora umanizzata? La gioia, la gioia, deve esserci la gioia…”. Fr. Peter ha poi citato alcuni articoli delle nostre Costi-

tuzioni Generali che fanno riferimento a questa gioia del Vangelo. La mancanza di gioia può portare così spesso al cinismo, alla depressione, alla mancanza di entusiasmo. Abbiamo bisogno di essere persone che promuovono

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una cultura di apertura nell’ascolto e nell’annuncio della verità gli uni agli altri e con i fedeli laici. Ciò richiede umiltà e semplicità – richiede la kenosis, specialmente per coloro che si professano religiosi nella Chiesa. Fare esperienza della mite gioia dell'amore di Cristo e deside-rare di compiere il bene derivano sia dal non essere in-trappolati in interessi personali e preoccupazioni che dal non avere una mentalità della sopravvivenza. Ci è sembrato una cosa simpatica quando, parlando a

proposito della vita comunitaria, fr. Peter ha ancora una volta citato papa Francesco in un discorso fatto alle cop-pie sposate, ma le sue parole non ci sono sembrate sprecate! – “Litigate quanto volete: se volano i piatti, pa-zienza! Ma mai finire la giornata senza fare la pace”. E non dimenticate l’importanza di tre piccole frasi: “Permesso. Grazie e Scusa”. Parlando del conflitto, papa Francesco così si è rivolto

all’Unione dei Superiori Generali: “… dobbiamo affrontare il conflitto, averci a che fare, superarlo e andare avanti. Tutto deve essere fatto in maniera gentile e con attenzio-ne”. Nella nostra tradizione francescana, la vita comuni-taria è un importante contributo alla vita apostolica della Chiesa – ciò che ci unisce è molto più forte delle nostre differenze. Ciò ha un enorme valore di testimonianza nel-la società multiculturale di oggi – una grande forza di at-trazione. Grazie a fr. Peter, abbiamo riscoperto nuova-mente la ricchezza delle nostre Costituzioni Generali negli articoli sulla vita comunitaria. A conclusione del suo discorso sulla vita consacrata, fr.

Peter ci ha condiviso la seguente domanda di papa Francesco nel messaggio alle monache Benedettine Ca-maldolesi: “Ai piedi della croce, Maria è donna del dolore e al

contempo della vigilante attesa di un mistero, più grande del dolore, che sta per compiersi. Tutto sembra vera-mente finito; ogni speranza potrebbe dirsi spenta. Anche

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lei, in quel momento, ricordando le promesse dell’annun-ciazione avrebbe potuto dire: non si sono avverate, sono stata ingannata. Ma non lo ha detto. Eppure lei, beata perché ha creduto, da questa sua fede vede sbocciare il futuro nuovo e attende con speranza il domani di Dio. A volte penso: noi sappiamo aspettare il domani di Dio? O vogliamo l’oggi? Il domani di Dio per lei è l’alba del mat-tino di Pasqua, di quel giorno primo della settimana. Ci farà bene pensare, nella contemplazione, all’abbraccio del figlio con la madre. L’unica lampada accesa al sepol-cro di Gesù è la speranza della madre, che in quel mo-mento è la speranza di tutta l’umanità. Domando a me e a voi: nei monasteri è ancora accesa questa lampada? Nei monasteri si aspetta il domani di Dio?". La leadership è stato il tema della seconda conversa-zione di fr. Peter. Egli, che ha anni di esperienza in di-versi ruoli di guida, ha introdotto il suo intervento sulla Leadership con il leader a tutti noi tanto familiare oggi, papa Francesco. Il volume uscito di recente, “papa Fran-cesco: perché guida così”, di Chris Lowney, scrittore americano e uomo d’affari di alto livello negli Stati Uniti, è stato lo spunto da cui fr. Peter è partito per il suo di-scorso sulla Leadership. Citando da questo libro, fr. Pe-ter ha affermato che lo stile della leadership di papa Francesco può essere delineato in particolare dai se-guenti elementi: ∗ conosci in profondità te stesso e vivi in pienezza ciò

che sei ∗ lavare i piedi ∗ scarpe polverose/sandali ∗ inginocchiarsi da solo ∗ solide basi ∗ creare il futuro. Questi elementi-chiave non si addicono solamente a

coloro che ricoprono ruoli di leadership ma ad ogni

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membro della comunità. Essi contribuiscono alla costru-zione di ogni aspetto della vita comunitaria. Egli ha detto che il ‘manuale di formazione’ per la leadership cristiana e francescana è costituito dal Vangelo e dalle nostre Co-stituzioni Generali, dalla nostra esperienza personale di vita e dall’esempio delle persone con le quali abbiamo vissuto e che abbiamo stimato come guide. Ricorrendo spesso a papa Francesco come esempio di leader oggi, fr. Peter ha mostrato che alla base di tutte le sue qualità nella leadership sembra esserci un semplice Credo per-sonale che il giovane Bergoglio aveva scritto durante un ritiro prima della sua ordinazione sacerdotale, che egli aveva definito “un momento di grande intensità spirituale”. fr. Peter ha concluso il suo intervento consegnandoci un foglietto con questo Credo: IO CREDO (Credo personale di Jorge Mario Bergoglio – futuro papa Francesco) «Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un fi-

glio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo spirito nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così al regno di vita eterna. / Credo nella Chiesa. / Credo nella mia storia, che è stata trapassata dallo sguardo di amore di Dio e, nel giorno di primavera, 21 settembre, mi ha por-tato all’incontro per invitarmi a seguirlo. / Credo nel mio dolore, infecondo per l’egoismo, nel quale mi rifugio. / Credo nella meschinità della mia anima, che cerca di in-ghiottire senza dare… senza dare. / Credo che gli altri siano buoni, e che devo amarli senza timore, e senza tradirli mai per cercare una sicurezza per me. / Credo nella vita religiosa. / Credo di voler amare molto. / Cre-do nella morte quotidiana, bruciante, che fuggo, ma che mi sorride invitandomi ad accettarla. / Credo nella pa-zienza di Dio, accogliente, buona come una notte d’esta-te. / Credo che Papà sia in cielo insieme al Signore. / Credo che anche padre Duarte stia lì intercedendo per il

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mio sacerdozio. / Credo in Maria, mia Madre, che mi ama e mai mi lascerà solo. E aspetto la sorpresa di ogni giorno nel quale si manifesterà l’amore, la forza, il tradi-mento e il peccato, che mi accompagneranno fino all’in-contro definitivo con quel volto meraviglioso che non so come sia, che fuggo continuamente, ma che voglio cono-scere e amare. Amen». Il giorno particolarmente dedicato alla vita consacrata si

è concluso con la S. Messa concelebrata unita alla pre-ghiera dei vespri. Tra i visitatori che si sono uniti a noi per questo giorno c’erano fr. Hugh McKenna OFM pro-vinciale, fr. Adrian Curran OFMCap provinciale e alcune sorelle di S. Chiara. Questionario – La prima sessione di lavoro di venerdì 10 luglio al mattino, guidata dal nostro Padre assistente fr. Patrick Younge OFM, ha riguardato il questionario per i monasteri delle monache, mandato dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apo-stolica (CIVCSVA), il 20 aprile 2014. I monasteri della nostra federazione hanno avuto grande aiuto e consiglio da parte di fr. Patrick nella compilazione delle risposte da inviare alla Congregazione. Egli ha detto che delle tre domande poste dalla Congregazione – Autonomia, forma-zione e Clausura – la più difficile da trattare si è dimo-strata quella riguardo all’autonomia. Per questo sarà ne-cessario molto discernimento nel futuro, specialmente ri-guardo al problema del calo numerico: chi dovrebbe agire e quando? Proposte – Nella seconda sessione di venerdì mattina, 10 luglio, sono state discusse in maniera dettagliata le propo-ste inviate dai monasteri e approvate dal consiglio federale in vista dell’assemblea. Sono stati dati utili commenti. Paraliturgia conclusiva - La paraliturgia conclusiva, preparata dalle nostre sorelle di Bothwell, ha concluso in

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modo adeguato l’assemblea federale 2015, quando tutte le partecipanti hanno cantato a pieni polmoni come ‘gran finale’ l’inno per l’anno della vita consacrata “Wake the World” e il Magnificat di Maria “Tell out my Soul”. Ha inizio così un nuovo triennio insieme come federa-

zione, con la grazia di Dio e invocando l’intercessione della Nostra Signora del Buon Consiglio su tutte le nostre scelte e decisioni per il futuro.

Sr. Miriam, osc (Cork)

3.2 1415-2015: 600° anniversario della fondazione del Monastero di Poligny

Celebrare il sesto centenario della fondazione del monastero è una sfida, soprattutto quando la fondatrice stessa è S. Colet-te, della quale conserviamo il reliquiario da quando le clarisse di Gand, espulse nel 1783, trovarono rifugio a Poligny e lì porta-rono i suoi resti.

Noi abbiamo l’abitudine di rileggere regolarmente le Cronache in refettorio, iniziando così le più giovani a questa storia, che diventa la loro storia e forma la peculiare fisionomia della no-stra Comunità. Sembra che nel corso dei secoli il monastero ab-bia ampiamente condiviso le gioie e le prove della popolazione di Poligny e, al di là delle considerazioni religiose o politiche attuali, essa continua ad esserci accanto, aiutandoci a vivere il quotidiano, partecipando alla liturgia, chiedendo l'aiuto della preghiera o l’ascolto fraterno, prestando servizi. L’abbiamo sperimentato in modo tutto speciale durante la ristrutturazione della cappella, completata nel 2014.

Dal momento che la prima pietra della Collegiata, ora chiesa parrocchiale della città, situata proprio di fronte al monastero, è stata posata anche nel 1415, abbiamo voluto preparare le principali manifestazioni di questo giubileo in collaborazione con la diocesi e la parrocchia, il comune, le fraternità france-scane e tutti i nostri amici.

L'inaugurazione ha luogo alla Collegiata il 6 marzo, solennità

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di S. Colette, con una concelebrazione eucaristica presieduta da Mons. Jordy, nostro vescovo, mentre la cappella si mostra al-quanto piccola per accogliere pellegrini, parrocchiani e amici provenienti anche da lontano. Il giorno dopo, al monastero, nell’ambito delle conferenze storiche organizzate dalla città e dalla Società di Storia, Annie Gay parla di “Colette di Corbie”, titolo che ha dato al romanzo storico pubblicato poco tempo prima, l’autrice della “Docu-fiction” del centenario “L’età d’o-ro di Poligny nel XV secolo”.

Nel mese di aprile, uno spettacolo di burlesque ideato per il centenario e realizzato da una Compagnia belga insieme con un’altra del Jura, presenta “Colette per l'eternità” per bambini, giovani e adulti riuniti alla Collegiata.

Con la collaborazione degli uffici diocesani per la catechesi, la pastorale familiare e la pastorale vocazionale, la giornata “In famiglia con Colette” attira 700 bambini del Jura con le loro famiglie, cioè un migliaio di persone per un momento di pre-ghiera presso il monastero, dopo un pellegrinaggio sui passi del cammino intrapreso da S. Colette all’arrivo in Poligny. Le sorel-le assicurano l’animazione di diversi laboratori: preghiera del cuore, preghiera davanti all’affresco della nostra cappella rea-lizzato da Paolo Orlando nel 2014, le testimonianze e una confe-renza per gli adolescenti. Altri eventi si svolgono in città, men-tre il nostro vescovo offre due conferenze ai genitori e presiede l’Eucaristia che corona questa giornata memorabile.

“L’età d'oro della Contea di Borgogna”: per due mesi un’espo-sizione in un’antica cappella di Poligny presenta agli abitanti e ai turisti delle opere d'arte del XV secolo, dei pezzi rari dei nostri archivi e l’originale delle Costituzioni di S. Colette, conservato presso il monastero di Besançon-Ronchamp. Un bel filmato fa vedere la statua della Vergine con il Bambino, dono del Duca Giovanni Senza Paura a S. Colette. Le vicissitudini della storia hanno permesso che oggi questa statua si trovi a New York, al Metropolitan Museum, e una copia nella nostra sala capitolare.

Poi arriva il grande fine settimana medievale organizzato nel mese di giugno da parte del Comune, con molte animazioni nel-le strade, con gli abitanti in costume, un buffet di 1500 coperti intorno alla Collegiata. Noi ci riserviamo di raccontare la parte

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“spirituale” per la quale siamo state coinvolte: il sabato sera celebriamo i vespri nella chiesetta di Mouthiers-Vieillard, l’uni-ca che esisteva all'arrivo di S. Colette e nella quale probabil-mente ella pregava in attesa della costruzione del monastero. E la domenica partecipiamo alla Messa solenne presieduta dal no-stro vescovo alla Collegiata.

In luglio si svolge il tradizionale pellegrinaggio delle “coppie che desiderano un figlio”, in collaborazione con la parrocchia di S. Colette di Parigi, che ci pongono la domanda: “Seicento anni e sempre giovane?”.

Nel mese di agosto, durante la Messa televisiva in parrocchia, siamo invitate per un piccolo réportage diffuso da uno dei canali pubblici, che ci ha guadagnato un’ondata supplementare di turi-sti e pellegrini nei mesi successivi!

Ed ecco il culmine di questo anno centenario, il meeting scientifico preparato da tempo: “1415-2015 COLETTE DA CORBIE O LA RINASCITA DI UN CARISMA”, presieduto da André Vauchez, medie-valista affermato, che offre anche una conferenza pubblica nel-la sala delle feste, “La santità per il tempo di crisi: Caterina da Siena e Colette di Corbie”.

Gli storici e gli archivisti locali danno il loro contributo, tra i partecipanti provenienti da più lontano si possono citare: Ludo-vic Viallet, Anna Campbell (GB), Anne-Dolores Marcelis (B), Ber-nard Hours, Evelyne et Henri Hours, fr. Eric Bidot (provinciale dei Cappuccini), Pierre Moracchini, e anche alcune clarisse, sr. Marie Colette da Nizza, ben nota per la sua storia dell’Ordine, sr. Claire, clarissa cappuccina di Chamalières e due sorelle di Poligny, presenza, ha sottolineato André Vauchez , importante per “una storia ancora in divenire”.

Gli interventi seguiti nel dibattito, in cui molti partecipanti hanno potuto prendere parte, si collocano, potremmo dire, su tre livelli: in relazione a S. Colette ci sono la storia locale, la storia dell'Ordine e l’irradiazione di S. Colette o delle sue Costi-tuzioni (è evidente che le due cose non necessariamente si escludono!) e la storia del monastero. Non è possibile riassume-re tutto qui, tuttavia una pubblicazione uscirà nel 2016. Possia-mo segnalare il problema sollevato da sr. Claire Elizabeth, ab-badessa di Poligny: “Seicento anni e una sola fondatrice?”, una

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rilettura mirata delle nostre cronache a cura di sr. Anne-Marie, la più giovane professa solenne che riflette su “fedeltà e creati-vità”, sui temi “tradizione e trasmissione” e “carisma”, affron-tati da diverse angolazioni.

Infine, un contributo molto originale: pare che una comunità colettina, quella di Madrid, abbia influenzato la riforma di Teresa d'Avila... non sono le clarisse, ma un fratello carmelitano, fr. Marie-Laurent Huet (Tolosa), che lo afferma nell’ambito delle sue ricer-che sulle influenze ricevute dalla grande riformatrice spagnola!

Durante le due giornate e mezza nel mese di settembre, non abbiamo messo in pratica ciò che il Papa ci chiede in quest’anno della Vita Consacrata?

“Fare memoria del passato con gratitudine, vivere il presente con passione, abbracciare il futuro con speranza!”. Sì, questo è quello che viviamo accogliendo Claire-Marie, che

inizia il suo postulato ai primi vespri della festa di S. Francesco. A lode del Signore.

Sr. Catherine Marie, osc (Poligny)

3.3 La fondazione del monastero di Poligny

Seicento anni di storia! 600 anni sono trascorsi e il mona-stero delle clarisse di Poligny, fondato nell’anno 1415, si ap-

poggia ancora alla roccia di Grimont, proprio accanto alla collegiata di Saint-Hippolyte, la cui prima pietra fu benedetta dall’arcivescovo di Besançon, lo stesso anno 1415. La chiesa e il monastero: un insieme religioso e spirituale d’eccezione, nel cuore della città, capitale del Baliato d’Aval della contea di Borgogna.

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Nel 1415, Giovanni senza paura, duca della Borgogna, era conte di Borgogna e signore di Poligny. Era succeduto a suo padre Filippo il temerario, duca di Borgogna della famiglia reale dei Valois, fratello del re di Francia Carlo V. Reso ancora più potente dal matrimonio con la contessa Margherita di Borgogna, era a capo di una contea che grazie ai matrimoni si era estesa all’Artois e alle Fiandre… Nel 1404, Giovanni senza paura ereditò questo stato borgo-gnone al quale apparteneva la città di Poligny, una cittadi-na di circa 500 focolari – 2000 abitanti – sovrastata dal suo castello di Grimont, cinta di torri e di potenti bastioni, chiusa da quattro porte. Un borgo e dei sobborghi fuori le mura: il sobborgo di Charcigny, quello di Mouthier-Vieillard, quelli di Boussières e di Treux, quelli di Longeville e del Vieil Hôpital…

Il duca Giovanni senza paura fu all’origine della costruzio-ne della collegiata e del monastero.

Nel 1408, dopo l’incendio che devastò la chiesa parroc-chiale del sobborgo di Mouthier-Veillard, il duca decise di ricostruirne una nuova nel borgo, all’interno della fortezza. I lavori iniziarono nell’anno 1415 e durarono più di quindici anni. Un cantiere monumentale il cui principale mecenate fu un Polignese, Jean Chousat, governatore generale delle finanze del duca. La chiesa fu eretta a collegiata fin dal 1431, con la bolla pontificia di papa Eugenio IV.

Negli anni 1410-1412, la corte di Borgogna intratteneva re-lazioni privilegiate con l’ordine francescano. Henri de Bau-me, un frate francescano del movimento della riforma, pro-veniente da una nobile famiglia della contea di Borgogna, aveva introdotto in Borgogna Colette di Corbie, riformatrice dell’Ordine di S. Chiara e custode degli ordini di san France-sco. Era suo consigliere e compagno missionario. Grazie a lui, Colette di Corbie beneficiò dell’appoggio di borgognoni influenti, della protezione della duchessa di Borgogna, Mar-gherita di Baviera, sposa del duca Giovanni senza paura, del sostegno della contessa Bianca di Ginevra, signora di Fronte-nay, vedova di Ugo II di Chalon-Arlay, amica della duchessa

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di Borgogna. Relazioni indispensabili per fondare monasteri di clarisse nelle città, in un’epoca in cui non era facile, per-ché le altre comunità religiose non ne volevano, per non condividere i doni e le elemosine. Nel 1410, Colette di Corbie prese possesso del monastero delle clarisse di Besançon. Nel 1412, fondò il monastero delle clarisse di Auxonne e riformò il convento dei cordeliers [cordiglieri, ovvero i francescani, così nominati in quel periodo in Francia, ndt] di Dole.

L’interesse delle grandi famiglie di erigere monasteri sulla loro terra, si spiega per il contesto politico funesto, le guerre, i litigi e le faide omicide dell’epoca. Nella mentalità del Me-dioevo, le fondazioni religiose erano un buon mezzo per implorare le grazie divine per la pace delle anime dei de-funti. La duchessa di Borgogna, Margherita di Baviera, eb-be tutte le ragioni per obbligare il marito a fondare un mo-nastero. I molteplici intrighi e macchinazioni del duca l’ave-vano, infatti, portato a fomentare l’assassinio di suo cugino, il duca d’Orléans, e a scatenare così una sanguinosa guer-ra civile. La fondazione di un monastero poteva dunque apparire alla duchessa come un’opera buona per evitare l’inferno al suo ducale sposo e salvare la sua anima! Così, lo persuase a fondare un monastero di clarisse a Poligny, una città adatta a Colette di Corbie, poiché era piccola, ben protetta da torri e bastioni, ben difesa dalla fortezza di Gri-mont, condizioni indispensabili per la sicurezza della sua co-munità visti i tempi che correvano. Il duca donò la casa che possedeva in rue du Dessus, che gli serviva come arse-nale, deposito di polvere da sparo e di munizioni. Una casa in un luogo di “sicurezza”, poggiata alla roccia di Grimont, proprio sotto la fortezza, riparata tra strada e scogliera.

Colette di Corbie arrivò a Poligny il 16 giugno 1415, ac-compagnata da otto delle sue monache e dalla contessa Bianca di Ginevra, il cui castello di Frontenay si trovava a sole due leghe dalla città. Volle dare immediatamente ini-zio alla costruzione del suo monastero, ma ne fu impedita dagli agricoltori del duca, che si opposero ai lavori e fecero

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richiesta al balivo d’Aval di fare annullare la donazione del duca; ritenevano infatti che in tempi di guerra un arsenale valesse più che un convento…

Colette di Corbie e la sua piccola compagnia furono co-strette a pazientare fino alla conferma della donazione del duca. Nell’attesa, il cappellano di Bianca di Ginevra, Jean Bon, nativo di Poligny, le ospitò nella sua casa del sobborgo di Mouthier-Veillard, fuori le mura. La duchessa di Borgogna supplicò il duca di intervenire il più rapidamente possibile. Dal suo castello di Rouvres, egli fece pervenire delle lettere patenti [lettere che conferivano un privilegio da parte del re, ndt] datate 6 agosto 1415, per certificare la sua donazio-ne e ordinare di fare cessare ogni opposizione. Colette e le sue monache potettero dunque prendere possesso della casa di rue du Dessus e si occuparono subito di costruire il loro monastero che chiamarono “Notre Dame de Pitié”…

Il monastero, costruito a partire dal 1415, rimase tale e quale fino all’inizio del XVII secolo, fino alla guerra dei Dieci Anni e alle sue devastazioni. Poligny fu incendiata nel 1638, il monastero pure, le clarisse presero la via dell’esilio. Ritor-narono nel 1646 e restaurarono il loro convento, il portico è datato 1680. La Rivoluzione del 1789 diede un nuovo colpo fatale, le clarisse furono disperse, la chiesa demolita… La comunità però si ricostituì e ricostruì la chiesa nel 1838. Una chiesa che le clarisse di oggi hanno appena rinnovato e inaugurato, un modo magnifico di commemorare nel 2015 il sesto centenario della fondazione del loro monastero. Di celebrare 600 anni di storia, la continuità della vita e della memoria, la catena eterna dei vivi e dei morti…

Annie Gay 3.4 Appello dalle Filippine (Basilan)

Pregate per noi! Messaggio dalle Sorelle Clarisse di Basilan: “Per favore, pregate per noi. La nostra situazione qui è

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molto pericolosa. I soldati stessi ci consigliano di essere vigilanti perché elementi istigati dall’IS presenti nelle vicinanze potrebbero irrompere nelle case religiose o attaccarle. I soldati ci hanno informate che la nostra co-munità è uno degli obiettivi. Si dice che siano stati fatti dei piani e si aspetti solo di eseguirli. Già abbiamo sol-dati che sorvegliano l’esterno del monastero”.

Segue un altro messaggio: “Ma non preoccupatevi, noi stiamo bene e possiamo so-pravvivere in questa situazione, crediamo e confidiamo nell’aiuto di Dio. Sappiamo che voi siete qui con le vo-stre preghiere per noi. La notte però è sempre un tempo duro per noi. Dormiamo tutte insieme in una sola stan-za, la vita di preghiera continua e i legami e la premura tra le sorelle divengono più forti”.

Riflessione. I due messaggi sono sufficienti per farci rabbrividire di paura, sofferenza, angoscia e preoccupazione. Solo Dio dall’alto può pacificare questa grande ansietà, ma quan-to coraggiosamente le sorelle affrontano questa crisi con fiducia nella preghiera! Se loro sono là, con una fede co-sì in cuore, dove siamo noi, alle prese con le semplici noie della vita quotidiana? Quando sei tentata di lamen-tarti per i disagi di una cella stretta o di uno spazio limi-tato per muoverti liberamente, ricordati di loro che di notte, in una stanzetta si stringono l’una all’altra per avere sicurezza. Quando ti senti insoddisfatta per quello che viene servito a tavola, ricordati di loro che, in quello stesso momento, potrebbero stare saltando il pasto o non poter scegliere che cosa mangiare. Se tu puoi anco-ra svegliarti al mattino, stiracchiarti, andare in bagno sana e salva, vestirti tranquillamente e senza rischi, en-trare in coro serenamente e attendere il tempo della pre-ghiera e della Messa normalmente come dovrebbe esse-

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re ogni giorno, per favore, china un momento la testa, ricordati delle tue sorelle a Basilan e sussurra una pre-ghiera piena di amore per loro. 3.5 Capitolo delle Stuoie Federazione delle Clarisse

di Gran Bretagna. Centro Congressi CCT, High Leigh, Hoddensden, Hertfordshire 4-8 maggio 2015

In 30 parole! A partire da qui, in 30 parole o meno, puoi esprimere una frase di speranza, o parole di incoraggiamento, oppure una frase che descriva questo incontro – che cosa, di questo incontro, ti ha parlato?

Gruppo 1 Un pellegrinaggio francescano con il Signore – (fatto di) onestà, apertura, comprensione reciproca, nuove compe-tenze, scoperta di sé, vivendo nel presente, sincerità, co-struendo unità attraverso la diversità, in un clima di gioia e luce generale, che portano alla comunione.

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Gruppo 2 Che l’ispirazione di Papa Francesco sull’importanza della GIOIA possa rimanere in noi e diffondersi a tutti coloro che incontriamo nel contesto della nostra vita insieme co-me sorelle, culminando in un SÌ costante a Dio.

Gruppo 3 La nostra preghiera attraverso la speranza e la misericor-dia, come accoglienza e comunione, possa essere benedi-zione per i nostri.

Gruppo 4 Non temete, continuate ad ascol-tare il Vangelo con il cuore aper-to, nella speranza e nella com-prensione, in comunione recipro-ca, perché si compia il sogno di Dio “che tutti siano uno”.

Gruppo 5 Non abbiate paura: vivete la vostra vita nella gioia del Van-gelo, giorno per giorno, nella fedeltà al carisma di Chiara, confidando nel Padre vostro. Oppure, secondo quella letizia francescana che è espressa dalle parole dell’inno: Non preoccupatevi di cosa mangiare, di cosa vestire o di cosa mettere ai vostri piedi. Confidate e pregate, fate oggi del vostro meglio, e poi lasciatelo nelle mani del Signore.

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3.6 Novene S. Chiara 2015 ◊ Francia, Nantes

Ogni anno per la Novena di S. Chiara (e quella di S. Fran-cesco), "sostituiamo" l'Ufficio di Nona con un momento di preghiera preparato ogni giorno da un diverso gruppo di sorelle, intorno ad un tema scelto comunitariamente, aven-do cura di fare riferimento a S. Chiara.

In quest’anno 2015, anno della vita consacrata, abbiamo elaborato la Novena a partire dalla nostra formula di pro-fessione. Ogni giorno, un gruppo di due o tre sorelle prepa-ra il momento di preghiera intorno a un’espressione tratta dalla formula di professione.

I giorni si susseguono e non si somigliano mai. Apprezzia-mo la creatività delle sorelle: presentazioni, musiche, gesti, partecipazione attiva di tutte, anche delle più anziane.

2 agosto: "Per la grazia che il Signore mi ha dato" TestsC 1; Sal 117; 2Tm 1,9; responsorio; orazione. 3 agosto: "A lode di Dio ... al servizio di Dio e della Chiesa" 3LAg 41-42; 3 cantici di lode; Sal 103; 1Pt 1-6-9;

litania di ringraziamento; Pr 1,11; lode sponta-nea da parte delle sorelle che lo desiderano; orazione; canto di lode finale.

4 agosto: "fermamente decisa, faccio voto" Canto. Il primo giorno: 2LAg 11; Sal 118,129-136; e noi facciamo memoria in silenzio del primo giorno. Giorno dopo giorno: 2LAg 11-13; Gv 6,60-61.66-68; e noi offriamo al Signore una pietra sulla quale in-ciampiamo. Per sempre: TestsC 21-23; Sal 118,97-104; e noi, BenC 14-15. Orazione.

5 agosto: "Per vivere pienamente il Vangelo" Processione con il libro della Parola; RsC 1,1; com-mento sulla Regola; canto; Sal 118; Gv 13,13; ripro-durre la lavanda dei piedi compiuta da S. Chiara; ognuna condivide sulla Parola di Dio; orazione.

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6 agosto: "Vivere in obbedienza" Canto; Fil 2,5-11, condivisione su questo testo; Sal 44; TestsC 24-25; LegsC 11; gesto: porre la mano sul Vangelo in segno di obbedienza a Dio; breve testo di Zundel; orazione.

7 agosto: "Senza nulla di proprio" Canto; Fil 3,7-8; Salmo; azione di grazie sponta-nea per i beni ricevuti; orazione.

8 agosto: "Castità e rinuncia" Canto; Sal 83; Sal 44; Os 2,16.21-22; presenta-zione; condivisione su una parola letta durante il tempo di preghiera; orazione.

9 agosto: "Con tutto il cuore mi dono a questa famiglia religiosa ... con l'aiuto delle mie sorelle" Canto; Gv 3,16-17; Responsorio di S. Chiara; Salmo comunitario; 2Cor 9,7-9; gesto: le sorelle si alzano una dopo l'altra dicendo: "Io do tutto il mio cuore a questa famiglia religiosa (indicando l’icona di S. Chiara), con l'aiuto delle mie sorelle (prendendo la mano della sua vici-na)"; Padre Nostro; orazione.

10 agosto: "Sotto l'azione dello Spirito Santo, per interces-sione della Vergine Maria, di Chiara, di France-sco e di tutti i santi" Canto; Salmo della Passione di S. Francesco "Nona"; racconto della domenica delle Palme; dialogo tra Chiara (TestsC 13; RsC 1.2; 1LAg 13) e Francesco (RsC 6.2; TestsC 23); condivisione su una parola ascoltata in questo tempo di preghie-ra; orazione.

Per S. Francesco riprenderemo lo stesso tema, ma le so-relle che preparano, cambieranno di gruppo. Inoltre, i testi francescani si concentreranno su S. Francesco.

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◊ Filippine, Federazione Madre Jeronima Tema generale: S. Chiara rispecchia i poveri: Cristo e i poveri

Temi della novena 2 agosto: S. Chiara rispecchia i poveri: gli affamati 3 agosto: S. Chiara rispecchia i poveri: i malati e i sofferenti 4 agosto: S. Chiara rispecchia i poveri: i deboli nella fede 5 agosto: S. Chiara rispecchia i poveri: i peccatori 6 agosto: S. Chiara rispecchia i poveri: i perduti e i confusi 7 agosto: S. Chiara rispecchia i poveri: i perseguitati 8 agosto: S. Chiara rispecchia i poveri: gli anziani e i disabili 9 agosto: S. Chiara rispecchia i poveri: gli emarginati 10 agosto: S. Chiara rispecchia i poveri: le vittime delle cala-

mità e delle fragilità umane.

◊ Austria, Maria Enzersdorf Novena di preghiera a S. Chiara per chiederle un aiuto spe-ciale. Preghiera d’apertura Santa Chiara, tu hai già aiutato molti fratelli e sorelle nelle loro necessità. Mi rivolgo quindi a te, piena di speranza, per confidare, insieme a te, nel Padre misericordioso. Padre nostro...

1. Libertà interiore O povertà beata che procura ricchezze eterne a chi l’ama e l’abbraccia! (1LAg 15; FF 2864) Santa Chiara, tu non hai voluto possedere altro che il Signo-re nostro Gesù Cristo. Aiutami a conservare il mio cuore libero e disponibile per lui, che è venuto perché noi abbia-mo vita in abbondanza. Padre nostro…

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2. Risolutezza Non acconsentire a nessuno che volesse richiamarti indie-tro da questo proposito (2LAg 14; FF 2876). Santa Chiara, ti sei decisa risolutamente per una vita secon-do il vangelo. Aiutami a distinguere le molte voci che risuo-nano in me e ad aderire alla volontà di Dio. Padre nostro…

3. Saggezza Poni la tua mente nello specchio dell’eternità (3LAg 12; FF 2888). Santa Chiara, hai sempre cercato ciò che ha valore duratu-ro. Aiutami a vedere la mia vita come un pellegrinaggio, perché io non rimanga attaccata ai beni terreni. Padre nostro…

4. Amore Ama con tutta te stessa colui che tutto si è donato per amor tuo (3LAg 15; FF 1889). Santa Chiara, hai aderito a Gesù Cristo con tutta la potenza d’amore del tuo cuore. Aiuta anche me a rispondere degna-mente all’amore del mio Redentore nella vita quotidiana. Padre nostro… 5. Pazienza Sopporta volentieri i mali avversi e i beni prosperi non ti esaltino (LErm 7; FF 2914). Santa Chiara, tu hai perseverato con pazienza nelle varie si-tuazioni difficili della tua vita, finché Dio ti ha donato la pace interiore. Aiuta anche me a sopportare pazientemente tutta l’oscurità e ad attendere luce dall’alto con umile fiducia. Padre nostro… 6. Fedeltà Memore del tuo proposito, guarda sempre il tuo principio (2LAg 11; FF 2875). Santa Chiara, tenendo fisso lo sguardo sugli inizi della tua vocazione, tu hai acquistato la certezza che Dio era costan-temente al tuo fianco. Aiuta anche me ad ottenere stabilità

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facendo memoria della prima chiamata, per proseguire nel mio cammino con fedeltà. Padre nostro… 7. Forza Rafforzati nel santo servizio del Crocifisso povero, che hai intrapreso con ardente desiderio (1LAg 13; FF 2863). Santa Chiara, nell’unione col Crocifisso povero tu hai cono-sciuto la potenza della sua risurrezione. Aiutami, con la tua intercessione, affinché nella mia debolezza scenda su di me la potenza del Signore. Padre nostro... 8. Gioia Gioisci nel Signore sempre! Non ti avvolga nebbia di amarezza! (3LAg 10; FF 2887). Santa Chiara, tu hai vigilato, affinché né ira, né agitazione disperdessero la gioia profonda nel Signore. Aiuta anche me, affinché non distrugga per mia colpa la grazia immeri-tata che Dio mi dona. Padre nostro… 9. Gratitudine Tra gli altri doni, che ricevemmo e ogni giorno riceviamo dal Padre delle misericordie, per i quali dobbiamo maggior-mente rendergli grazie (TestsC 2; FF 2823). Santa Chiara, non eri mai sazia di ringraziare il Padre delle misericordie per il quotidiano dono della vocazione. Implora anche per me un cuore grato nei confronti del Donatore di ogni grazia, che mi chiama ogni giorno a seguire suo Figlio. Padre nostro… A chiusura della novena Santa Chiara, ringraziandoti per il tuo aiuto e accompagna-mento, ti chiedo la tua materna benedizione. Vi benedico come posso e più di quanto posso, con tutte le

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benedizioni, con le quali il Padre delle misericordie bene-disse e benedirà in cielo e in terra i figli e le figlie e con le quali un padre e una madre spirituale benedisse e benedirà i suoi figli e le sue figlie spirituali. Amen. Vi prego di essere sollecite nell’osservare quanto avete pro-messo al Signore. Il Signore sia con voi sempre e faccia che voi siate sempre con lui (cfr. Ben 11-15; FF 2856-57). ◊ USA, Belleville, IL 2 agosto Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. S. Chiara raccomandava alle sue sorelle: Abbracciate Cristo po-vero! Lei stessa mostrava loro la via distinguendosi per la più vera povertà di spirito, che è l’umiltà. 3 agosto Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Il Papa che la canonizzò scrisse che Chiara era mite nelle parole, dolce nell’azione. Aveva imparato i segreti della mitezza tenendo fisso lo sguardo su Gesù Crocifisso. 4 agosto Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Come S. Francesco, S. Chiara piangeva l'Amore non amato. Da quell'amore crocifisso, riceveva la divina consolazione che in mo-do così generoso condivideva con tutti coloro la cui vita veniva toccata dalla sua. 5 agosto Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché sa-ranno saziati. Il digiuno corporale al quale S. Chiara si sottoponeva era espres-

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sione esterna della sua fame e sete interiore di santità che soltanto Dio può donare. 6 agosto Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Fin dall'infanzia, S. Chiara si impegnava in opere di misericordia, così da diventare capace di riconoscere e proclamare le benedi-zioni che il Padre delle Misericordie concede ai suoi figli e figlie di adozione. 7 agosto Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Chiara d'Assisi desiderava soltanto una cosa: avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione. Perché? Perché così sarebbe stata in grado di pregarlo sempre con cuore puro! 8 agosto Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Da Francesco, il figlio del mercante, Chiara, la figlia del cavalie-re, ha appreso l'arte della pacificazione che nasce dal Vangelo, che i santi di Assisi insegnano ancora oggi al mondo intero. 9 agosto Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Animata da realismo evangelico, S. Chiara ci ricorda che le cause della sofferenza sono molteplici, ma che c'è soltanto un modo di soffrire con Cristo. 10 agosto Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompen-sa nei cieli. S. Chiara poteva rallegrarsi di una gioia che nessuno poteva to-glierle, poiché guardava quotidianamente al Signore, imitando Lui che è il vero specchio di beatitudine.

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